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Il confine tra dolo eventuale e colpa cosciente nel caso ThyssenKrupp.Di Sara Corinti e Alessandro Tordella.
Abstract: La ThyssenKrupp è un'azienda tedesca, la più importante azienda d'Europa nel
settore siderurgico, che fu protagonista nel 2007 di una vera tragedia, un incendio che costò
la vita a sette dipendenti presso lo stabilimento di Torino (TKAST, ThyssenKrupp acciai
speciali Terni s.p.a).
La Corte Suprema di Cassazione si espresse nel 2014 con la sentenza n. 38343 avverso la
sentenza del 28/02/2013 della Corte di appello di Torino.
Sommario: 1 Il fatto. – 1.1 La testimonianza di Pietro Barbetta. – 2 Le imputazioni. -
3. La pronuncia della Corte d’Assise di Torino. – 3.1 Le motivazioni. - 3.2 L'incendio, art.
423 c.p.; art. 449 in relazione all'art. 423 c.p. - 3.3 Le condizioni di lavoro nello stabilimento
di Torino. - 3 . 4 Il dovere di tutela in capo al datore di lavoro. - 4. La pronuncia della corte
d’assise d’appello di Torino. – 5 La sentenza della Corte di Cassazione. - 6. I fili conduttori
delle decisioni. – 6.1 La casualità. - 6.2 Causalità della colpa nei reati commissivi mediante
omissione. - 6.2 Il rapporto tra dolo eventuale e colpa cosciente. – 6.3 La prima formula di
Frank. - 6.4 Tra dolo eventuale e colpa cosciente. - 6.5 Le conclusioni delle Sezioni Unite e
gli annessi profili problematici.
1. IL FATTO.
Occorre, innanzitutto, ricostruire sommariamente i fatti che hanno dato origine alla pronuncia
in esame.
Nella sede torinese della ThyssenKrupp avevano luogo solo le fasi a freddo del ciclo
produttivo: la laminazione, la ricottura ed il decapaggio. Il sinistro si è verificato nell'ambito
della linea dello stabilimento denominata APL5 dedicata alle fasi di ricottura e decapaggio,
consistente quest'ultima nell'immersione in vasche contenenti sostanze acide dei rotoli di
acciaio, al fine di conferire lucentezza e perfezione estetica del prodotto. La struttura era
lunga oltre 200 metri, larga circa 12, alta circa 9, e si sviluppava su due piani.
Dopo che il nastro era stato imboccato dall'acciaio, era previsto l'azionamento del pulsante
«aspo al centro» che comandava l'allineamento automatico dell'asse dell'aspo medesimo con 1
quello dell'impianto. Un'apposita lampadina segnalava all'operaio l'avvenuto allineamento.
L'operazione aveva il fine di evitare che il nastro, avanzando, sfregasse contro le sponde
dell'impianto. Il corretto posizionamento era segnalato da una fotocellula.
La linea aveva una cabina di comando principale al cui interno erano collocati alcuni visori;
erano altresì presenti pulsanti di arresto ed emergenza che disattivavano le elettrovalvole e
conseguentemente i circuiti elettrici.
La notte in cui si verificò l'evento erano in servizio sei operai addetti alla linea ed
occasionalmente il capoturno Rocco Marzo.
Le dinamiche che causarono l'innesco e lo sviluppo dell'incendio non sono controverse:
sfregamento per alcuni minuti del nastro di acciaio in lavorazione contro i bordi dell'impianto
posto a quota +3 metri; surriscaldamento con scintille; appiccamento delle fiamme su carta ed
olio di laminazione che si trovava sul pavimento sotto l'impianto; contatto delle fiamme con
un flessibile in gomma, protetto da due reti d'acciaio, contenente olio idraulico ad alta
pressione, che cedeva con proiezione dell'olio nell'aria; deflagrazione della miscela
nebulizzata; formazione di una nuvola incandescente di olio nebulizzato (FLASH FIRE) che
si espanse improvvisamente per un'ampiezza di 12 metri ed investì gli operai che si erano
avvicinati all'incendio con estintori a breve gittata, senza lasciar loro possibilità di scampo.
Le misure avviate per spegnere l'incendio, infatti, si rivelarono inefficaci ed esso divampò
ulteriormente; e fu domato solo dopo un lungo e laborioso intervento dei vigili del fuoco.
Vi è, inoltre, sostanziale accordo al fatto che la lampadina che indicava il corretto centraggio
del nastro era bruciata; quella che segnalava il regolare svolgimento della carta di separazione
era mancante ed il telefono del pulpito era rotto. I dispositivi di centraggio automatico non
funzionavano adeguatamente, a dimostrazione di una grave carenza di manutenzione; gli
idranti esistenti nello stabilimento non avevano pressione sufficiente. Emerse quindi un
complessivo degrado dell'impianto e la parziale inefficienza degli strumenti di spegnimento.
Gli ispettori della Asl riscontrarono ben 116 irregolarità; e constatarono la mancata
manutenzione delle attrezzature tra le quali i tubi flessibili, il danneggiamento di parti
elettriche, l'accumulo di materiale infiammabile.
L'azienda aveva deciso di chiudere lo stabilimento torinese e di trasferire gli impianti in Terni
e tale decisione, secondo l'ipotesi accusatoria, sarebbe stata accompagnata dalla decisione di
fermare ed accantonare gli investimenti per la sicurezza, determinando il progressivo
scadimento dell'efficienza e della sicurezza delle lavorazioni.
Questa cruciale scelta aziendale era in contrasto con le strategie di fondo della holding; infatti
dopo l'incendio che si sviluppò nello stabilimento di Krefeld, nel 2007 fu illustrato un
2
cospicuo stanziamento straordinario per TKAST dell'ordine di diversi milioni di euro per
garantire la sicurezza sul lavoro agli operai. 1
1 . 1 La testimonianza di Pietro Barbetta.
Per meglio capire cosa avvenne la notte tra il 5 ed il 6 Dicembre del 2007 presso lo stabile
torinese della ThyssenKrupp ed a cosa furono costretti ad assistere coloro che erano di turno
quella notte è probabilmente utile riportare la testimonianza di uno degli operai sopravvissuti.
Pietro Barbetta, che telefonò con il suo cellulare personale alle autorità per chiedere
soccorso, era un dipendente della THYSSEN KRUPP (con la mansione di "primo addetto"
alla Linea 4 dello stabilimento di Torino, Linea "adiacente" la Linea 5, dove si consumò
l'evento tragico), sentito all'udienza del 13 / 2 / 2009, interrogato dal P.m., riferiva :
<<La serata tra il 5 e 6 dicembre io ero andato normalmente a lavorare, facevo il turno di
notte, lavoravo sull'impianto, la linea 4 che è adiacente la linea 5, ci divide un muro. [...] vedo
uscire Antonio Boccuzzi dal passaggio che collega la linea 5 alla linea 4, che era lontano una
ventina di metri che urlava e chiedeva aiuto "correte, correte, ho bisogno di aiuto". Quando
lui si è accorto che noi avevamo capito che aveva bisogno di aiuto, [...], è tornato indietro
verso la linea 5,[...]. Come ho passato il passaggio che divide la linea 5 dalla linea 4 ho visto
un muro di fuoco, ecco. Fiamme altissime che arrivavano al carro ponte, bruciava anche il
muro in mattoni. [...] appena sono arrivato nelle vicinanze, proprio vicino al fuoco, ho visto
Angelo Laurino e Roberto Scola che erano a terra, [...] erano completamente nudi, avevano le
scarpe che bruciavano e qualche pezzo di vestito. Non avendo niente, mi sono tolto il
maglione e ho spento quello che era rimasto, Boccuzzi urlava che c'erano gli altri dentro e si
sentivano le urla; allora gli ho chiesto se aveva chiamato aiuto perché ho visto che noi non
potevamo fare più niente, lui mi ha detto che il telefono non funzionava, allora ho preso il
mio cellulare, ho chiamato il 1 1 8 , [...].Come ho passato il passaggio di nuovo al contrario,
mi sono ritrovato davanti gli altri miei colleghi in piedi, tutti nudi, c'era Giuseppe De Masi
che io ho riconosciuto solo perché ha parlato, era impossibile riconoscerli fisicamente, li ho
riconosciuti solo dalla voce e mi ha chiesto se era bruciato in faccia, lui si preoccupava se era
bruciato in faccia, ma era tutto bruciato. Ho cercato di tranquillizzarlo dicendo di stare
tranquillo che avevo chiamato i soccorsi. Rosario urlava "non voglio morire, non voglio
1 Così la ricostruzione del fatto della sentenza della Corte di Cassazione SS.UU n°38343/14, pubblicata nel sito
www.penalecontemporaneo.it in data 19/09/2014 a cura di Gian Luigi Gatta
3
morire". L 'ho riconosciuto quando ha detto che non riusciva a respirare e l'ho aiutato a salire
su un'ambulanza, sennò non avevo riconosciuto neanche a lui.[...]. È arrivata un'ambulanza
ed un camion dei Vigili del Fuoco [...]. Poi lì non c'era nessuno, l'unico responsabile era il
capo turno che era stato coinvolto nell'incendio, non c'era nessuno che coordinava le cose,
allora ho detto alla guardia di far entrare i Vigili in fondo alla linea 5 perché c'era un passo
carraio dove potevano accedere che poi l 'hanno trovato chiuso perché l'elettricista aveva tolto
corrente.[...]. L'unico che mancava era Antonio Schiavone che era rimasto dentro. [...]>>2.
Schiavone Antonio, Scola Roberto, Santino Bruno, Laurino Angelo, Marzo Rocco, Rodino'
Rosario e De Masi Giuseppe, questi sono i nomi degli operai che quella notte persero la vita.
2. LE IMPUTAZIONI .
In relazione a tali accadimenti è stata esercitata l'azione penale in ordine a diversi illeciti nei
confronti di: -Harald Espenhahn, Amministratore delegato e membro del Comitato esecutivo
della TKAST; con delega per la produzione, la sicurezza sul lavoro, il personale, gli affari
generali e legali;
-Marco Pucci, Consigliere del Consiglio di amministrazione e membro del Comitato
esecutivo con delega per il settore commerciale ed il marketing;
-Gerald Priegnitz, Consigliere del Consiglio di amministrazione e membro del Comitato
esecutivo con delega per l'amministrazione, la finanza, il controllo di gestione, gli
approvvigionamenti ed i servizi informativi;
-Daniele Moroni, Dirigente con funzioni di Direttore dell'area tecnica e servizi, con
competenza nella pianificazione degli investimenti in materia di sicurezza antincendio anche
per lo stabilimento di Torino;
-Raffaele Salerno, Direttore dello stabilimento di Torino;
-Cosimo Cafueri, Dirigente con funzioni di responsabile dell'area ecologica, ambiente e
sicurezza e responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dello stabilimento di
Torino.
Le accuse, in breve:
A) tutti imputati, in concorso tra loro, del reato di cui all'art. 437(rimozione od omissione
dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro), commi primo e secondo, c.p. , per aver omesso
di dotare la linea di ricottura e decapaggio denominata APL5 di impianti ed apparecchi
2 Come da testimonianza riportata nella sentenza della Corte d‘ assise di Torino n°31095/07, pubblicata nel sito
www.penalecontemporaneo.it in data 18/11/2011, articolo a cura di Stefano Zirulia.4
destinati a prevenire disastri ed infortuni sul lavoro; ed in particolare di adottare un sistema
automatico di rivelazione e spegnimento degli incendi, di cui emergeva la necessità in
considerazione dell'alto rischio dovuto alla presenza di olio idraulico in pressione, olio di
laminazione e carta imbevuta di olio.
B) Il solo Espenhahn imputato del reato di cui agli artt. 81 e 575 c.p. , per aver cagionato
volontariamente la morte dei lavoratori; prendendo egli la decisione di posticipare
l'investimento antincendio sebbene lo stabilimento si trovasse in una situazione di crescente
insicurezza.
C) Il solo Espenhahn imputato del reato di incendio doloso di cui all'art. 423 cod. pen., per
aver cagionato nella linea APL5 un incendio violento, rapido e di vaste proporzioni dal quale
derivava la morte dei lavoratori. L'imputato, pur informato della concreta possibilità del
verificarsi di incendi, ometteva di adottare le misure tecniche, organizzative, procedurali di
prevenzione e protezione contro gli incendi. Gli si contesta di non aver adeguatamente
valutato il rischio di non aver organizzato percorsi informativi e formativi nei confronti dei
lavoratori, di non aver installato un sistema automatico di rilevazione e spegnimento degli
incendi, nonostante la già menzionata situazione di crescente abbandono ed insicurezza dello
stabilimento. Tutte condotte derivanti dalla già indicata decisione di posticipare
l'investimento antincendio.
D) Priegnitz, Pucci, Moroni, Salerno e Cafueri imputati del reato di cui agli artt. 61, n.3, e
589, commi primo, secondo e terzo, cod. pen., per aver cagionato per colpa la morte dei
lavoratori.
E) Priegnitz, Pucci, Moroni, Salerno e Cafueri imputati del reato di incendio colposo di cui
agli artt. 61, n.3, 449 e 423 cod.pen., per aver cagionato l'incendio già menzionato, a causa
delle condotte colpose riportate al capo D. Con l'aggravante della previsione dell'evento. 3
3. LA PRONUNCIA DELLA CORTE D’ASSISE DI TORINO.
3 Come riportate nella sentenza della Corte di Cassazione SS.UU n°38343/14, pubblicata nel sito
www.penalecontemporaneo.it in data 19/09/2014 a cura di Gian Luigi Gatta
5
La Corte di Assise di Torino, visto l'art. 533 c.p.p. (CONDANNA DELL'IMPUTATO), ha
affermato la responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti e li ha altresì
condannati, in solido tra loro, TKAST, al risarcimento del danno nei confronti di numerose
parti civili. Ha altresì applicato, ai sensi dell' art.25 -septies del d.lgs. n. 231/2001, nei
confronti di TKAST, la sanzione pecuniaria di un milione di euro ex artt. 9,10 e 12, co.2, lett.
a); la sanzione interdittiva della esclusione da agevolazioni e finanziamenti, contributi o
sussidi per la durata di sei mesi ai sensi dell'art. 9, co.2, lett. a); la sanzione interdittiva del
divieto di pubblicizzare beni o servizi per la durata di sei mesi ai sensi dell'art.9, co.2, lett.e);
la confisca della somma di ottocentomila euro ex art.19. 4
3 . 1. Le motivazioni.
3 . 2. L'incendio- art. 423 c.p.; art. 449 in relazione all'art. 423 c.p.
Appare opportuno affermare che quello avvenuto nello stabilimento THYSSEN KRUPP AST
di Torino il 6 dicembre 2007 è, come elemento oggettivo, un "incendio": non solo secondo il
significato comune della parola, ma altresì secondo la definizione giuridica di incendio
contenuta nell'art. 423 c.p., come interpretata dalla costante giurisprudenza della Corte di
Cassazione.
ART.423 c.p.
Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni. ( art. 449 c.p)
La disposizione precedente si applica anche nel caso di incendio della cosa propria, se dal
fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.
ART. 449 c.p., co.1.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel co.2 dell'art. 423-bis, cagiona per colpa un
incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la
reclusione da 1 a 5 anni.
Va detto che il delitto di incendio doloso, nella sistematica del codice penale, è ricompreso
nel titolo VI, tra i delitti "contro l'incolumità pubblica".
4
Così disposto dalla Corte d’Assise di Torino nella sentenza n°31095/07, pubblicata nel sito
www.penalecontemporaneo.it in data 18/11/2011, articolo a cura di Stefano Zirulia.6
Di particolare rilevanza appare, nel caso specifico, la motivazione logico giuridica esposta
dalla Corte di Cassazione nella sent. n. 4981 del 6/02/2014 (riguardante l'incendio avvenuto
all'interno della camera iperbarica dell'Istituto Ortopedico «Galeazzi» di Milano):
<<[...]Com'è noto i delitti contro l'incolumità pubblica si caratterizzano per la loro attitudine
ad esporre a rischio la vita e l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone . . . E'
altresì noto che, per poter essere qualificato incendio, il fuoco deve essere caratterizzato dalla
vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento5,
mentre non è richiesto che il fuoco abbia forza prorompente e distruggitrice6.»,tutte
caratteristiche appartenenti al caso di specie.
<<[...]se nell'incendio di cosa altrui il pericolo è presunto (reato di pericolo astratto)
in quello di cosa propria è richiesto il pericolo effettivo (reato di pericolo concreto).>>
Relativamente a questo punto della sentenza presa in esame, si deve osservare che, nel caso
di specie la LINEA 5 è di proprietà della THYSSEN KRUPP AST ed i soggetti che saranno
ritenuti responsabili dell'incendio, a titolo di dolo e di colpa, sono legati alla società da un
rapporto di dipendenza; non hanno quindi, su tale "cosa" (così come sul capannone
industriale), un diritto di proprietà, che è quello richiesto dalla norma citata con la definizione
di "cosa propria". Ne consegue l'applicabilità, all'incendio del 6/12/2007, del l° comma del
citato articolo: nell'incendio di "cosa altrui" il pericolo è presunto dalla legge tanto che non vi
è necessità del suo concreto accertamento.
La "vastità delle proporzioni" e la "tendenza a progredire" emergono senza possibilità di
equivoci dalle testimonianze; nel caso specifico della TKAST sia sotto il profilo della
diffusività sia sotto il profilo della "difficoltà di spegnimento", l'incendio alla Linea 5 è
continuato ed è stato poi spento dai Vigili del Fuoco , tanto che si può affermare che non solo
si è verificata l'"impossibilità" di spegnimento dovuta all'effettotorcia; bensì verso le ore 6
della mattina dello stesso 6/12/ 2007, mentre erano in corso gli accertamenti, si è sviluppato
un secondo incendio, che ha determinato l'evacuazione dei presenti ed un nuovo intervento
dei Vigili del Fuoco. 7
5 Qualificazione di incendio riportata in altre pronunce della Suprema Corte quali: sez. l°, 27 marzo 1995, n.
1802, imputato Dell'Olio; sez. 4 °, 26 ottobre 1 990, n.31 94, imputato Battista e sez. 4 °,27 marzo 1 984, n. 631
3, imputato Canzani6 La non rilevanza, per la qualificazione di incendio, della forza prorompente e distruggitrice riportata in altre
disposizioni della Suprema Corte, quali: sez. l°, 28 novembre 1990 n. 2660, imputato Andreis7La difficoltà di spegnimento dell’incendio da parte degli operai, come riportato nella ricostruzione del fatto
nella sentenza Corte d‘ assise di Torino, n°31095/07, pubblicata nel sito www.penalecontemporaneo.it in data
18/11/2011, articolo a cura di Stefano Zirulia7
3 . 3. Le condizioni di lavoro nello stabilimento di Torino.
Il quadro complessivo emergente era sotto il profilo delle condizioni di lavoro, della
sicurezza sul lavoro in generale e della sicurezza antincendio in particolare, contraddistinto,
nello stabilimento di Torino, da gravissime carenze strutturali ed organizzative; era del tutto
anomalo rispetto agli standard degli altri stabilimenti delle sub holding di THYSSENKRUPP
STAINLESS, in Germania, in particolare a Krefeld ed a Terni.
E' opportuno anche ricordare che lo stabilimento di Torino fu colpito già nel 2002 da un altro
devastante incendio. Sulla scarsa sicurezza dell'impianto di Torino ha sicuramente anche
inciso la decisione di chiudere lo stabilimento per trasferirlo a Terni; notizia che fu resa
pubblica dalla THYSSENKRUPP AST il 7 giugno 2007.
L'assenza di sicurezza sul lavoro può essere ricondotta ad alcuni eventi in particolare:
A) la riduzione degli interventi di manutenzione e di pulizia sulle linee, con conseguenti
perdite di olio dai tubi ed accumuli di carta non rimossa in prossimità e sotto i macchinari, su
un pavimento piano privo della pendenza necessaria per il deflusso; cause di frequenti
incendi di varie proporzioni;
B) la mancanza di un'effettiva organizzazione dei percorsi informativi e formativi nei
confronti dei lavoratori;
C) la drastica riduzione del numero dei dipendenti ed il venir meno delle professionalità più
qualificate e, in particolare, sia dei capiturno manutenzione cui era demandata secondo le
procedure aziendali la gestione dell'emergenza incendi, sia degli operai più esperti e
specializzati. L'assenza di personale «istruito» per l'intervento in caso di emergenza o di
incendio ha posto in essere un dovere implicito di intervenire a carico di ciascun operaio, la
cui incolumità veniva in tal modo messa largamente a rischio;
D) il piano di evacuazione risulta inadeguato e sinonimo di pericolosità per gli operai; dalle
testimonianze emerge che non fosse neanche stato spiegato od illustrato dai responsabili,
salvo che nella parte di "evacuazione", con l'indicazione delle vie di fuga e dei punti di
concentrazione. Lo stabilimento di Torino mancava anche del "certificato di prevenzione
incendi" e continuava ad operare con un nullaosta provvisorio sin dal 08/03/1985 e rientrava
negli stabilimenti a rischio di "incidente rilevante".
Inoltre in caso di incendio solo gli addetti alla sicurezza, cioè i dipendenti della ALL
SYSTEM potevano, se lo decideva il capoturno, chiamare i Vigili del Fuoco esterni; nessun
dipendente THYSSEN KRUPP AST a Torino poteva direttamente chiamarli. Questo
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permetteva di evitare le conseguenti "grane" che l'intervento dei Vigili del Fuoco esterni
avrebbe comportato. 8
In tutto lo stabilimento erano disposti circa 350 estintori portatili, da 5 chili; lungo la Linea 5
ve ne erano una decina ed erano tutti caricati a C02. La scelta per questo tipo di estintori era
stata presa dall'azienda, che non ha considerato le grandi quantità di carta oleata
(combustibile solido) che si trovavano in particolare sulla Linea 5 ed ha, ancora una volta,
privilegiato i tempi di produzione piuttosto che la massima efficienza estinguente; si evince
da un semplice riscontro logico, infatti, che se si fossero utilizzati gli estintori a polvere,
sarebbe stato necessario, dopo ogni focolaio, ripulire il macchinario dai residui lasciati dagli
stessi.
Tale scelta conferma non solo la scarsa attenzione per la sicurezza degli operatori ma altresì
la frequenza con la quale gli estintori erano usati e quindi la piena consapevolezza, da parte
della dirigenza della THYSSEN KRUPP AST, della sussistenza di frequenti incendi nello
stabilimento di Torino.
In conclusione, esaminati questi punti, può constatarsi:
-l'esistenza del diretto nesso di causalità tra le suddette condizioni e l'incendio;
-l'esclusione del caso fortuito, dell'imprevedibile sovrapporsi e concentrarsi di
"anomalie" e, bensì, la evidente prevedibilità da parte di tutti coloro che dirigevano, gestivano
ed organizzavano il lavoro in quello stabilimento;
-la prevedibilità anche di possibili drammatiche conseguenze, come il rischio per l'integrità
fisica dei lavoratori, non determinate nel caso di specie da alcuna condotta imprudente o
negligente da parte degli stessi lavoratori; ai lavoratori non si può neanche imputare alcuna
condotta "imprevedibile", tale da spezzare il nesso di causalità esistente tra le condizioni di
lavoro e l'incendio; quella notte essi si comportarono sempre secondo le direttive aziendali.
3 . 4. Il dovere di tutela in capo al datore di lavoro.
E' stato accertato che ESPENHAHN ricopriva il ruolo di "datore di lavoro" in THYSSEN
KRUPP AST, anche per lo stabilimento di Torino; che la delega in materia di sicurezza sul
lavoro da lui conferita a SALERNO Raffaele, Direttore dello stabilimento di Torino, era
inefficace; ed anche l'evento-incendio accaduto nello stabilimento di Torino nella notte del
6/12/2007, del quale è stato accertato sia il nesso di causalità materiale tra l'incendio e la
8 Come emerge dalla ricostruzione del fatto nella sentenza della Corte d ‘assise di Torino, n°31095/07,
pubblicata nel sito www.penalecontemporaneo.it in data 18/11/2011, articolo a cura di Stefano Zirulia.9
morte dei 7 operai, sia il nesso di causalità materiale tra le violazioni delle norme di
prevenzione infortuni e di prevenzione incendi e l'incendio medesimo.
Urge precisare che in capo al datore di lavoro sorge il dovere di tutela nei confronti delle
persone che lavorano alle sue dipendenze, nel luogo di lavoro da lui diretto ed organizzato, il
che discende non solo dalla normativa di settore, di cui il D. Lgs. 626/94, ma altresì dalla
norma generale di cui all'art. 2087 codice civile: "L 'imprenditore è tenuto ad adottare
nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la
tecnica, sono necessarie a tutelare l 'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro"; così anche la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23944 del 23/6/2010 dichiara
che: "E' principio non controverso quello secondo cui il datore di lavoro deve sempre attivarsi
positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche
l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre
al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa; tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che
alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c.".
Ancora prima, questo dovere lo troviamo nella nostra Carta Fondamentale, all'art. 41 della
Costituzione: "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con
l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana"; ed
agli artt. 32 e 2 Costituzione, rispettivamente relativi al diritto alla salute ed al principio di
solidarietà.
La Pubblica Accusa aggiunse nei confronti dell'imputato ESPENHAHN una ulteriore
contestazione: quella di avere accettato "il rischio del verificarsi di infortuni anche mortali
sulla Linea APL 5 dello stabilimento di Torino" ed "il rischio del verificarsi di incendi sulla
linea APL 5 del medesimo stabilimento"; questo in virtù della decisione di posticipare dal
2006/2007 al 2007/2008 gli investimenti antincendio per lo stabilimento di Torino pur
avendone già programmata la chiusura; della decisione di posticipare l'investimento per
l'adeguamento dell'APL 5 di Torino alle indicazioni tecniche dell'assicurazione e del
comando provinciale dei Vigili del Fuoco ad epoca successiva al suo trasferimento da Torino
a Terni, nonostante tale linea fosse ancora in piena attività.
La pubblica accusa accolse la tesi accusatoria, basandosi, essenzialmente, sulla combinazione
fra tre teorie:
-quella della probabilità dell’evento;
-quella dell’accettazione del rischio;
-quella della subordinazione di un determinato bene giuridico a un altro (c.d. criterio
economico).
10
Soprattutto alla luce di quest’ultima, infatti, si era ritenuto che l’imputato avesse subordinato
l’incolumità e la sicurezza degli operai al risparmio d’azienda. Egli era pienamente
consapevole dei rischi, anche alla luce della sua riconosciuta competenza e professionalità e
nonostante ciò aveva scelto, consapevolmente, di rinviare gli investimenti antincendio. Egli,
certamente, sperava che l’evento non si verificasse: ma tale speranza non era sorretta dalla
ragionevolezza, ritenuta necessaria per escludere il dolo.
Per queste ragioni la Pubblica Accusa addebitò all'imputato ESPENHAHN l'omicidio (e
l'incendio) volontario con DOLO EVENTUALE; e fu addebitato l'omicidio (ed incendio)
colposo con l'aggravante, oltre che della colpa specifica, della COLPA COSCIENTE, agli
altri imputati.
«La Corte» dichiara come «non riesce, nel caso di ESPENHAHN, ad individuare alcun
fattore ,alcun elemento, ripercorrendo l'intero quadro a disposizione dell'imputato, in forza
del quale egli potesse ragionevolmente sperare che non sarebbe capitato nulla, nessun
incendio, nessun infortunio anche mortale nello stabilimento di Torino, soprattutto sulla
Linea 5, soprattutto dopo l'incendio di Krefeld, soprattutto non intervenendo in alcun modo in
prevenzione e protezione, soprattutto conoscendo le condizioni di lavoro di Torino, le
condizioni di lavoro sulla Linea 5, soprattutto considerata la frequenza degli incendi a Torino
sulla Linea 5>> da lui conosciuta.
E' necessario sottolineare, al momento solo sommariamente, la non semplice questione
giuridica della qualificazione del dolo eventuale e della differenza tra quest'ultimo e la colpa
cosciente e che, mentre la colpa c.d. cosciente trova la sua fonte normativa nell'art. 61 n.3
c.p., il dolo eventuale è frutto di elaborazione giurisprudenziale, ormai risalente nel tempo e
consolidata nelle basi teoriche, ma con indubbie residue difficoltà di applicazione alle singole
fattispecie concrete.
La giurisprudenza di legittimità individua il fondamento del dolo indiretto od eventuale nella
rappresentazione e nell'accettazione, da parte dell'agente, della concreta possibilità, intesa in
termini di elevata probabilità, di realizzazione dell'evento accessorio allo scopo seguito in via
primaria. Il soggetto pone in essere un'azione accettando il rischio del verificarsi dell'evento,
che nella rappresentazione psichica non è direttamente voluto, ma appare probabile. In altri
termini, l'agente, pur non avendo avuto di mira quel determinato accadimento, ha tuttavia
agito anche a costo che questo si realizzasse, sicché lo stesso non può non considerarsi
riferibile alla determinazione volitiva. Si versa, invece, nella forma di colpa definita
'cosciente', aggravata dall'avere agito nonostante la previsione dell'evento (art. 61 n. 3 c.p.),
qualora l'agente, nel porre in essere la condotta nonostante la rappresentazione dell'evento, ne
11
abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel
risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per
abilità personale o per intervento di altri fattori.
4. LA PRONUNCIA DELLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI TORINO.
La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte di assise di appello di Torino. Nei
confronti di Espenhahn il reato di omicidio doloso è stato qualificato come omicidio
colposo ai sensi degli artt. 589, commi 1,2,3 e 61, n.3, c.p.
Per tutti, il reato di incendio colposo è stato ritenuto assorbito in quello di cui l'art. 437,
commi 1 e 2, c.p.
È stato altresì ritenuto il concorso formale tra i reati di cui agli artt. 437 e 589 c.p. Per l'effetto
anche le pene sono state rideterminate. 9
La volontà, dice la Corte, deve avere ad oggetto l’evento, e non solo il rischio, e per
accertarla è necessario utilizzare la prima formula di Frank. E proprio la formula, nel caso in
esame, non può che far concludere per la colpa cosciente, poiché l’evento in esame non può
essere visto come il prezzo da pagare pur di raggiungere lo scopo; in tal caso il risparmio di
spesa, anzi, si risolve nell’esatto contrario dello stesso (si pensi al blocco della produzione, al
danno all’immagine, ai risarcimenti, etc.). Per quanto riguarda la speranza, poi, questa deve
ritenersi ragionevole, proprio alla luce del fatto che i focolai venivano quotidianamente
domati dagli operai. L’atteggiamento di Espenhahn rispetto all’evento, dunque, non può
definirsi come volontario, ma enormemente avventato e negligente. La Corte di Assise di
Appello evidenzia che "non è la previsione dell'evento bensì la VOLIZIONE a differenziare il
dolo eventuale dalla colpa cosciente" e che "l'accettazione del rischio non può avvenire per
pura disattenzione, noncuranza o mero disinteresse, ma a seguito di un'opzione, di una
deliberazione con la quale l'agente consapevolmente sceglie fra l'agire accettando
l'eventualità di commettere l'azione vietata e il non agire" e che "in ogni caso l'accettazione e
la volizione hanno come oggetto non il rischio di evento ma esattamente l'evento"10 .
L’impostazione accusatoria è stata quindi sconfessata dai giudici di Appello, i quali hanno
ritenuto insussistente la tesi secondo cui l'imputato aveva accettato l’evento disastroso.
9 Dispositivo della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Torino n° 31095/07 pubblicata nel sito
www.penalecontemporaneo.it in data 3/06/2013, articolo a cura di Stefano Zirulia10 Come si riscontra dall’articolo, pubblicato nel sito www.penalecontemporaneo.it in data 28/05/2013,
“TYSSENKRUPP: VERSO LA RESA DEI CONTI TRA DUE OPPOSTE CONCEZIONI DI DOLO
EVENTUALE?” a cura di Guido di Biase, pag 24.12
La c.d. prima formula di Frank, in base alla quale si è proteso per la colpa cosciente, dichiara
che il soggetto si trova in dolo eventuale se risulta che avrebbe agito allo stesso modo anche
se avesse previsto come certo il verificarsi dell'evento o comunque il fatto illecito; mentre il
soggetto si trova in colpa cosciente se avendo avuto la certezza del verificarsi dell'evento
avrebbe agito diversamente.
Per questa ragione secondo la Corte non è possibile distinguere la posizione
dell’amministratore delegato da quella degli altri imputati dal punto di vista dell’elemento
soggettivo, poiché egli faceva parte di un board dove i poteri decisionali erano condivisi.
5. LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
Il P.G. presso la Corte d’Appello di Torino ha proposto ricorso per Cassazione in relazione al
riconoscimento della sola colpa cosciente in capo all’imputato Espenhahn. Infatti, i giudici di
secondo grado avrebbero inopinatamente accolto una teoria minoritaria in cui il dolo
eventuale sarebbe accettazione dell’evento, anziché accettazione del rischio. Avrebbero poi
utilizzato la prima formula di Frank quando questa, in realtà, può essere utilizzata solo in
certi contesti, come quello del tutto peculiare del rapporto tra ricettazione e incauto acquisto.
Infine, avrebbero ritenuto ragionevole la speranza che l’evento non si sarebbe verificato
quando questa, in realtà, non poteva dirsi tale.
Il ricorso, vista la sua importanza venne assegnato alle Sezioni Unite, chiamate a delineare
l’esatto confine tra dolo eventuale e colpa cosciente; e, in particolare, a dire, se la speranza
irragionevole che l’evento non si sarebbe verificato, comporti la qualificazione dell’elemento
soggettivo in termini di dolo eventuale.
La Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta
esistenza della circostanza aggravante di cui al capoverso dell'art. 437 c.p. (RIMOZIONE OD
OMISSIONE DOLOSA DI CAUTELE CONTRO INFORTUNI SUL LAVORO: chiunque
omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul
lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.)
ed al conseguente assorbimento del reato di cui all'art. 449c.p. (DELITTI COLPOSI DI
DANNO: chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dell'articolo 423-bis,
cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è
punito con la reclusione da uno a cinque anni).
13
Ha disposto inoltre la trasmissione degli atti ad altra Sezione della Corte d'assise d'appello di
Torino per la rideterminazione delle pene in ordine ai reati di cui agli artt. 437, comma 1°,
589 commi 1,2 e 3, 61 n.3, 449 in relazione agli artt. 423 e 61 n.3 c.p.
La Corte ha inoltre rigettato i ricorsi del Procuratore generale, degli imputati e della persona
giuridica ThyssenKrupp acciai speciali Terni s.p.a., condannando quest'ultima al pagamento
delle spese processuali.
Ha condannato in solido gli imputati ed il responsabile civile ThyssenKrupp acciai speciali
Terni s.p.a. alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile
Medicina Democratica che liquida in complessivi 7,000,00 oltre accessori come per legge.
Visto l'art. 624, comma 2, c.p.p. (ANNULLAMENTO PARZIALE: la Corte di Cassazione,
quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili.
L'omissione di tale dichiarazione è riparata dalla Corte stessa in camera di consiglio con
ordinanza che deve trascriversi in margine o in fine della sentenza e di ogni copia di essa
posteriormente rilasciata. L' ordinanza può essere pronunciata di ufficio ovvero su domanda
del giudice competente per il rinvio, del pubblico ministero presso il medesimo giudice o
della parte privata interessata. La domanda si propone senza formalità.) dichiara irrevocabili
le parti della sentenza relative alla responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro
ascritti11.
6. I FILI CONDUTTORI DELLE DECISIONI.
La sentenza di primo grado, quella di appello ed anche la decisione della Corte di Cassazione
sono tutte incentrate sulla necessità di risolvere le medesime questioni, ovvero:
-la causalità;
- il rapporto tra dolo eventuale e colpa cosciente.
6 . 1. La causalità.
11Dispositivo della sentenza della Corte di Cassazione SS.UU n°38343/14, pubblicata nel sito
www.penalecontemporaneo.it in data 19/09/2014 a cura di Gian Luigi Gatta.
14
L'ordinamento accoglie la concezione condizionalistica della causalità cui è strettamente
legato il giudizio logico controfattuale, necessario per riscontrare l'effettivo rilievo
condizionante del fattore considerato:
-se dalla somma degli antecedenti si elimina col pensiero la condotta umana ed emerge che
l'evento si sarebbe verificato comunque, allora essa non è condizione necessaria;
-se invece, eliminata mentalmente l'azione, emerge che l'evento non si sarebbe verificato,
allora occorre ritenere che fra l'azione e l'evento esiste nesso di condizionamento.
Nei reati omissivi impropri il meccanismo controfattuale viene posto in opera immaginando
la condotta mancata e verificando se la sua adozione avrebbe impedito la produzione
dell'evento.
Nell'ambito dei reati commissivi mediante omissione tale indagine si rivela spesso
particolarmente problematica. Infatti, se nei reati commissivi l'azione umana è parte
naturalisticamente reale, certa, della spiegazione dell'evento, nei reati omissivi che in tale
caso interessano, dal punto di vista naturalistico, si è in presenza di un nulla, di un non
facere; occorre quindi determinare se l'azione doverosa avrebbe avuto concrete CHANCES
di salvare il bene protetto o di annullare il rischio. È chiaro quindi che per il suo carattere
ipotetico la causalità omissiva è per sua natura esposta a maggiori margini d'incertezza
rispetto a quella commissiva.
6 . 2. Causalità della colpa nei reati commissivi mediante omissione.
L'esperienza giudiziaria mostra come tra causalità commissiva e causalità omissiva in realtà
vi sia un confine netto. Accanto a situazioni sicuramente riconducibili alla causalità omissiva
(es. il medico che sarebbe tenuto ad accorrere in ospedale per un urgente intervento
chirurgico preferisce restare a casa), vi sono, infatti, molti casi di incerta collocazione (es. il
medico interviene, si adopera anche con sollecitudine, ma manca di compiere un atto che era
essenziale, come stilare una corretta diagnosi o prescrivere una terapia appropriata);la
giurisprudenza, tuttavia, come osservato dalle Sezioni Unite, nella sentenza n. 30328 del
2002 (Franzese), parla sempre di causalità omissiva, anche quando, in realtà, si tratta di
situazioni di causalità commissiva.
A tale proposito, un utile criterio cui affidarsi per inquadrare correttamente la situazione è
quello di verificare se nella spiegazione dell'evento abbia avuto un ruolo significativo e
preponderante la condotta commissiva o quella omissiva: così, nel caso di errore diagnostico
15
o terapeutico, il fatto che l'agente si sia in qualche modo attivato è alquanto insignificante, ne
consegue, quindi, che si ragionerà in termini di causalità omissiva12.
6 . 2. Il rapporto tra dolo eventuale e colpa cosciente.
6 3. La prima formula di Frank.
Nel 1890, Reinhard Frank pubblica un cospicuo saggio intitolato «Rappresentazione e
volontà nella dottrina moderna sul dolo» con il proposito di «offrire un contributo alla
corretta comprensione del dolo penale» e al «chiarimento delle questioni controverse»13.
Due anni prima, Franz von Liszt aveva contestato all’ «opinione comune» che descriveva il
dolo in termini di «coscienza e volontà degli elementi del reato» di essere imprecisa,
pericolosa e scorretta: imprecisa, perché solo il movimento corporeo potrebbe essere voluto, e
non l’evento; pericolosa, perché confonderebbe la volontà con lo scopo; scorretta, perché
l’oggetto del dolo sarebbe costituito dall’evento, e non da tutti gli elementi del reato.
L’assunto dogmatico centrale dello studio di Frank è che può dirsi voluta solo la condotta, e
non l’evento; l’agente potrà,quindi, scegliere la condotta da realizzare ma l’evento non potrà
essere espressione della sua volontà, poiché sarà sempre costernato dal dubbio, da circostanze
imprevedibili14; la volontà deve collocarsi nell’ambito del concetto di azione. Premesso che
«senza dubbio» vanno imputate a titolo di dolo le conseguenze sicure della propria condotta,
Frank affronta il tema delle conseguenze previste come possibili, respingendo la soluzione
estrema di riportare le ipotesi di dubbio sempre nell’alveo del dolo o della colpa. Nel primo
caso (dubbio = dolo) sarebbe ingiustamente privilegiata la disattenzione, facendo rispondere
di incendio colposo chi, fumando a letto, non sia stato sfiorato dal dubbio di poterlo
realizzare, e di incendio doloso il fumatore «talmente sfortunato» da aver previsto la possibile
verificazione dell’evento.
Nel secondo caso (dubbio = colpa), al contrario, sarebbe incomprensibilmente favorito il
delinquente dotato di maggiore istruzione ed esperienza, perché la propensione a considerare
ogni possibile contrattempo impedirebbe sempre la rappresentazione dell’evento in termini di
12 Parte delle motivazioni date dalla sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. N°38343/14 al pto 27, pubblicata nel sito www.penalecontemporaneo.it in data 19/09/2014 a cura di Gian Luigi Gatta.13 Citazione presa dall’articolo, pubblicato nel sito www.penalecontemporaneo.it,“SE IO AVESSI PREVISTO
TUTTO – riflessioni storico-dogmatiche sulle formule di Frank” a cura di Gianluca Gentile, pag 1.14 Cosi’, K.ENGISCH, UNTERSUCHUNGEN uber VORSATZ und FAHRLASSIGKEIT (1930), AALEN,
1995, 131. Cfr. anche A. PECORARO-ALBANI, Il dolo, Napoli, 1955, 124.16
certezza. Inoltre, tale schema non consentirebbe di punire per omicidio volontario il bandito
che, al fine di provare la gittata del suo nuovo fucile, abbia sparato in direzione di un uomo,
uccidendolo: eppure, per Frank il carattere doloso di tale condotta sarebbe incontestabile,
anche se il bandito non conosceva ancora la gittata del suo fucile, e quindi non era affatto
sicuro di colpire l’altro uomo.
Ma perché il fumatore che ha previsto la possibilità di scatenare un incendio andrebbe punito
a titolo di colpa, mentre il bandito dovrebbe rispondere di omicidio volontario? La differenza
tra i due casi, spiega Frank, è evidente:
- Il bandito avrebbe sparato, anche se avesse saputo di cagionare la morte
- Il fumatore avrebbe spento il sigaro se avesse saputo che una scintilla sarebbe caduta
sul letto e avrebbe mandato in fiamme la casa.
La previsione di un evento in termini di possibilità integra pertanto il concetto di dolo solo
quando la previsione di tale evento in termini di certezza non avrebbe trattenuto l’agente, né
avrebbe assunto il significato di un contro-motivo decisivo. Qualora sia possibile stabilire in
anticipo con certezza che cosa accadrà nel futuro, il dolo sussiste quando si sarebbe agito
nonostante questa consapevolezza dell’evento. Quando questa consapevolezza avrebbe
distolto dall’azione, il dolo invece non sussiste.
La c.d. prima formula di Frank afferma che:
la rappresentazione che potrebbe sussistere una circostanza di fatto o realizzarsi un evento è
sufficiente per il dolo quando si sarebbe agito anche nel caso di sicura conoscenza della
circostanza o di sicura previsione dell’evento – invece non basta, quando una
rappresentazione sicura o una previsione sicura avrebbero distolto il soggetto dall’agire.
Anche dalla c.d. seconda formula di Frank emerge la medesima concezione; egli infatti
ritiene che il dolo eventuale si presenti come quel peculiare rapporto psichico, sussistendo il
quale l’agente si dice: le cose possono stare così o altrimenti, andare così o altrimenti, in ogni
caso io agisco.
Nel 1901von Bar muove alcune considerazioni critiche secondo le quali la prima formula di
Frank avrebbe indotto il giudice a decidere sulla base delle proprie simpatie personali, e non
degli elementi di fatto effettivamente percepiti dall’agente: da questo punto di vista, la vera
ragione per distinguere il caso del bandito da quello del fumatore distratto è che il primo
sarebbe una «cattiva persona», a differenza del fumatore distratto; ma in questo modo si
utilizzerebbe un parametro del tutto arbitrario, e «nei processi politici» il «socialdemocratico»
potrebbe essere assolto o condannato a seconda delle simpatie partitiche del giudice.
17
Nel replicare, Frank definisce la prima formula uno «strumento essenziale» per superare le
«grosse difficoltà» legate all’accertamento di quel «particolare stato d’animo» descritto dalla
seconda formula, con l’essenziale precisazione che non conterebbe la personalità
dell’imputato, ma solo il ‘peso’ da egli assegnato al suo scopo concreto.
La questione può essere risolta nel senso del dolo eventuale solo quando elementi precisi
mostrano che per l’agente raggiungere il proprio scopo era preferibile all’evitare una condotta
punibile (obiettivamente valutata). Dalla formulazione data deriva specialmente tale
principio: l’agente è sempre in dolo quando l’evento è ambìto, a prescindere dal fatto che egli
ne abbia previsto la realizzazione in termini di certezza o di possibilità.
A partire dall’ottava e decima edizione del commentario, Frank dichiarerà esplicitamente che
la prima formula «non descrive lo stato d’animo da contraddistinguere in termini di dolo
eventuale, ma è solo uno strumento per la sua conoscenza»15.
La critica forse più diffusa alla prima formula di Frank è che ai fini dell’accertamento del
dolo conterebbe il comportamento reale dell’agente in rapporto al suo effettivo stato
psicologico, e non quello che si sarebbe ipoteticamente avuto in presenza di una certezza
soggettiva fittizia ; neppure l’agente stesso sarebbe in grado di dire come si sarebbe
comportato in una situazione mentale diversa, sicché la formula porrebbe al giudice un
quesito che solo il «buon Dio» saprebbe risolvere, con il rischio di trasformare l’accertamento
della colpevolezza per il fatto in una prognosi di pericolosità del reo.
Di tali critiche non si fece carico Frank, bensì von Hippel, il quale chiarì che il compito del
giudice sarebbe quello di verificare se lo stato di dubbio ha avuto lo stesso significato pratico
di un’ipotetica rappresentazione in termini di certezza, ma non se l’agente si è effettivamente
posto questo problema al momento del fatto; che per esprimere l’equivalenza di significato
pratico di tali stati psicologici si potrebbe dire:
«in entrambi i casi la speranza del mancato verificarsi dell’evento non è stata un motivo
decisivo per compiere l’azione»; che, nonostante la sua configurazione ipotetica, la prima
formula mirerebbe «all’accertamento di relazioni psicologiche realmente esistenti»; che il
giudizio ipotetico ad essa sotteso non sarebbe tanto diverso dalla teoria della condicio sine
qua non in materia di causalità; che ai fini della prova del dolo si dovrebbe eliminare
mentalmente la speranza del mancato verificarsi dell’evento, e domandarsi se, mantenendo
inalterate le altre componenti del coefficiente soggettivo (cœeteris paribus), l’agente avrebbe
agito ugualmente anche in caso di sicura rappresentazione dell’evento: una risposta positiva
15 Citazione presa dall’articolo, pubblicato nel sito www.penalecontemporaneo.it,“SE IO AVESSI PREVISTO
TUTTO – riflessioni storico-dogmatiche sulle formule di Frank” a cura di Gianluca Gentile, pag 1218
dimostrerebbe che la speranza non ha assunto un’influenza decisiva sulla dinamica volitiva, e
che di conseguenza può parlarsi di dolo eventuale. 16
Nel caso specifico dell'incendio della ThyssenKrupp l'applicazione della formula di Frank,
anche laddove trovasse integrale conferma la ricostruzione probatoria effettuata dal giudice di
primo grado, dovrà notarsi la differenza tra correre consapevolmente (e sconsideratamente) il
rischio che si possa produrre un incendio ,evitando in questo modo un costoso investimento
in un impianto in via di dimissione; ed il mettere in conto l'effettivo verificarsi dell'incendio,
e la morte di sette persone. Il punto non è la maggiore o minore sensibilità etica dell'imputato,
che potrebbe anche essere l'uomo più cinico , preoccupato solo della massimizzazione ad
ogni costo del profitto della propria impresa; bensì , il punto è che anche, in una logica
meramente economica di costi-benefici, la verificazione di un catastrofico incidente come
quello verificatosi a Torino rappresenta un evidente fallimento del piano di azione del
soggetto, non fosse altro che in relazione all'inevitabile procedimento penale che ne sarebbe,
e che ne è di fatto, seguito.
6 . 4. Tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Per poter comprendere la suddetta distinzione è certamente necessario partire dalla
definizione di dolo contenuta nell'art. 43 del c.p.(elemento psicologico del reato), in base al
quale il delitto «è doloso o secondo l'intenzione, quando l'evento dannoso o pericoloso, che è
il risultato dell'azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è
dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione»; <<è
colposo>> quando <<l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a
causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti,
ordini o discipline>>.
Quella di dolo è una nozione complessa nella quale vengono in gioco, da un lato, profili
intellettivi (l'evento deve essere «preveduto») e, dall'altro, profili volitivi (l'evento deve essere
«voluto»).
Il legislatore ha in tal modo coniugato le due tradizionali teorie sul dolo elaborate nel corso
del tempo dalla dottrina, ovvero la c.d. «teoria della rappresentazione», che parte dal
presupposto per cui di veramente volontaria c’è solo la condotta, mentre gli altri elementi
costitutivi della fattispecie possono essere oggetto solo di rappresentazione, e la «teoria della
16 Citazione presa dall’articolo, pubblicato nel sito www.penalecontemporaneo.it,“SE IO AVESSI PREVISTO
TUTTO – riflessioni storico-dogmatiche sulle formule di Frank” a cura di Gianluca Gentile, pag 1619
volizione», mediante la quale si ritiene che l’evento è voluto non solo quando è oggetto
dell’intenzione dell’agente, ma anche qualora sia conseguenza certa della condotta, nonché,
in alcuni casi, quando si tratti delle conseguenze accessorie solamente possibili della stessa. Il
problema, però, è proprio quello di capire quando queste ultime possano dirsi volute.
Questa scelta del legislatore ha quindi comportato particolari problemi interpretativi proprio
per quelle figure più sfumate del dolo come, appunto, il dolo eventuale, la cui elaborazione è
stata demandata agli interpreti. 17
Tradizionalmente, nel diritto penale, il dolo viene distinto in tre categorie, a seconda della
maggiore o minore intensità della volontà:
-dolo intenzionale, quando si ha di mira proprio la realizzazione di quel determinato evento;
-dolo diretto, quando si compie volontariamente una certa azione, rappresentandosi con
certezza od alta probabilità la realizzazione del conseguente evento;
-dolo eventuale non è normativamente individuato, essendo frutto dell'elaborazione dottrinale
e giurisprudenziale. Il rimprovero che mediante tale figura di dolo viene mosso all'agente non
è quello di essersi comportato con leggerezza, bensì si ha dolo eventuale, quando il soggetto
non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come seriamente possibile (non
come certa) l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come
conseguenza dell’azione e , pur di non rinunciare all’azione ed ai vantaggi che se ne
ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi: il soggetto decide di agre “costi quel che
costi”, mettendo così in conto la realizzazione del fatto18.
È proprio questa concretezza della previsione che differenzia il dolo eventuale dalla colpa
cosciente, nella quale, invece, manca l'elemento della rappresentazione concreta.
Al riguardo si fa l'esempio classico del giocoliere che lancia i coltelli verso un'altra persona,
in tal caso vi è certamente previsione della possibilità di cagionare un evento dannoso, ma
essa è accompagnata dalla convinzione che, confidando nell'abilità personale, tale pregiudizio
non si verificherà. Tale convincimento significa che l'agente ha escluso dalla propria
coscienza la possibilità positiva che l'evento si verifichi. Solo quando l'agente accetta la
possibilità che si realizzi l'evento dannoso, sia pure come risultato accessorio rispetto allo
scopo della sua condotta, si può affermare che esso è voluto e, quindi si tratterà di dolo
eventuale.
17 Come emerge dall’articolo, pubblicato sul sito www.penalecontemporaneo.it, “SENTENZA
THYSSENKRUPP FRA DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE” a cura di Luca Carboni.18 Come descritto alla pagina 299 del “MANUALE DI DIRITTO PENALE” ed 2012 di Giorgio Marinucci ed
Emilio Dolcini20
Secondo un'altra parte della dottrina il dolo eventuale deve essere invece caratterizzato da
qualcosa di più della semplice accettazione ed identifica questo quid pluris nell'accettazione
del rischio a seguito di un'opzione, di una deliberazione con la quale l'agente
consapevolmente subordina un determinato bene ad un altro. Vi deve essere, cioè, la chiara
prospettazione di un fine da raggiungere, di un interesse da soddisfare che, in un giudizio di
valutazione comparata degli interessi in gioco, risulta preminente su tutti gli altri. In
presenza di tali condizioni l'evento dannoso viene ad essere considerato come prezzo da
pagare per il raggiungimento del fine e, quindi, risulta addebitabile all'agente a titolo di dolo
eventuale (c.d. criterio del bilanciamento od «economicistico»).
Le tesi volontaristiche muovono da una critica alla teoria dell’accettazione del rischio, in
particolare nella parte in cui essa afferma che si avrebbe colpa cosciente qualora l’agente
abbia agito nella convinzione che l’evento non si sarebbe verificato.
Va detto che non basta il dubbio a integrare il dolo eventuale: questo, infatti, è elemento
comune sia del dolo eventuale che della colpa cosciente, e quindi l’equiparazione tra dubbio e
dolo comporta un’eccessiva estensione della categoria. Insomma, l’accettazione del rischio,
in sé, è un elemento comune tra dolo eventuale e colpa cosciente. Ciò che muta è la volontà:
perché vi sia dolo eventuale, è necessario che l’agente abbia agito a seguito di un’opzione.
Tale opzione è lato sensu economica: si subordina un bene giuridico ad un altro, dopo averli
messi sul piatto della bilancia e l’evento (non solo il rischio) è il prezzo che si è disposti a
pagare pur di raggiungere il proprio interesse.
La Suprema Corte, pur rilevando la complessità dell'individuazione di un atteggiamento
psichico, ritiene condivisibile quest'ultimo orientamento per garantire un uso
«particolarmente cauto» dell'istituto del dolo eventuale, considerando il pericolo di
trasformare in dolo una responsabilità sostanzialmente colposa.
Le teorie volontaristiche sul dolo eventuale si dividono quindi, sostanzialmente, in due classi.
-La prima ritiene essenziale la sussistenza di una scelta, di una ponderazione di interessi, da
parte dell’agente. In questo caso, soprattutto per l’accertamento, domina il profilo
rappresentativo, da valutare alla luce della probabilità dell’evento. Il concetto in questo modo
diventa normativo, e si standardizza la prova. Il rischio, dunque, è quello di oggettivizzare il
concetto, e conseguentemente di ampliarne l’ambito applicativo.
-La seconda classe, proprio al fine di restringere l’ambito applicativo dell’istituto, ritiene che
si debba ricostruire il concreto atteggiamento soggettivo rispetto al risultato. Ma in tal modo
si realizzerebbe un’eccessiva soggettivizzazione, l’indagine si dirigerebbe più verso il reo che
non verso il fatto.
21
Spesso, però, le due teorie appena esposte portano in concreto a risultati equivalenti. Ma vi è
uno spazio di incertezza: quello in cui l’evento è probabile, ma l’agente spera che non si
verifichi. È in questi casi che diventa arduo individuare il confine; ed è qui che si vede come
la categoria debba essere utilizzata con particolare cautela.
Controverso è anche il ruolo della speranza che per alcuni rileva; per altri no; per altri sì, ma
solo qualora sia ragionevole. Le Sezioni Unite guardando ad alcuni precedenti fanno
particolare riferimento al paradigmatico caso Oneda: i genitori di una bambina talassemica si
erano opposti alle trasfusioni della figlia, in quanto aderenti alla fede dei Testimoni di Geova.
Il Tribunale per i Minorenni, avvisato dai servizi sociali, impose in un primo momento le
cure in forma coatta, ma a causa di carenze della struttura sanitaria, la bambina morì. La
Corte di legittimità riconobbe in questo caso la colpa cosciente e non il dolo eventuale dei
genitori poiché gli stessi, pur essendosi opposti alle cure, speravano che l’evento non si
verificasse proprio alla luce dell’intervento del Tribunale, che avrebbe potuto impedirlo senza
che fosse necessaria una loro condotta peccaminosa.
La colpa cosciente ed il dolo eventuale potrebbero sembrare contigui ma non è proprio così;
essi, infatti, appartengono a due forme di colpevolezza radicalmente diverse: diversa è la
previsione, diverso l’evento, diverso l’agire umano, diverso l’animus.
Il buio e subliminale mondo della colpa è fatto di sconsideratezza, superficialità, previsioni
sommarie e irrisolte. E queste sono buone per la colpa, non per il dolo.
Non basta dunque il dubbio: questo è ancora compatibile con la colpa ma non per il dolo. A
questo si deve aggiungere una vera e propria opzione, proprio poiché il dubbio, invece,
rappresenta una situazione ancora irrisolta, in cui si agisce per irrazionalità19.
La previsione dell’evento è ben diversa nel dolo e nella colpa: e ciò distingue la colpevolezza
dolosa e colposa. Nel dolo vi è un agire razionale, organizzato, finalistico rispetto all’offesa
del bene protetto. É per questo che vi sono la massima adesione al fatto e il massimo
rimprovero. Proprio alla luce di ciò, la previsione nel dolo deve essere chiara, puntuale,
concreta: solo così si può veramente parlare di scelta.
6.5. Le conclusioni delle Sezioni Unite e gli annessi profili problematici.
19
Affermazione emergente dalla relazione “LE SEZIONI UNITE DELINEANO IL CONFINE TRA DOLO
EVENTUALE E COLPA COSCIENTE IN RELAZIONE ALLA VICENDA THYSSENKRUPP: UNA
SINTESI DELLE MOTIVAZIONI”a cura di Luca Carboni, pag 922
Premettendo che a nostro avviso le Sezioni Unite non hanno stabilito in modo certo il confine
effettivo tra dolo eventuale e colpa cosciente risulta necessario esplicitare quanto deciso dalla
Suprema Corte.
In primo luogo bisogna menzionare il riconoscimento esplicito, compiuto dalla Corte,
dell'effettività dei processi psicologici che costituiscono il dolo; con ciò i giudici di legittimità
implicitamente rigettano l'idea che l'irragionevolezza o l'irrazionalità del convincimento
dell'agente relativo alla NON verificazione dell'evento possa fondare un rimprovero a titolo
di dolo eventuale; la previsione deve infatti essere reale.
Va apprezzato anche il rigetto, da parte della Corte di Cassazione, della tesi finora
maggioritaria per la giurisprudenza di legittimità e di merito, che ritiene sussistente il dolo
eventuale anche quando vi sia solo una mera previsione dell'evento come possibile, e che
afferma che, nella colpa cosciente, la previsione consiste in una mera previsione negativa
circa la verificazione dell'evento. Il solo dubbio relativo alla possibilità che si verifichi un
evento lesivo di beni giuridici come conseguenza collaterale di una condotta non potrà più
determinare il riconoscimento della responsabilità a titolo di dolo eventuale a carico
dell'agente. Ciò che lascia perplessi è la difficoltà che comunque permane relativa alla
riconducibilità al dolo eventuale piuttosto che alla colpa cosciente, dato che la stessa sentenza
è emblematica nel riconoscere la sussistenza di quest'ultima in capo agli imputati, affermando
che all' astratta prevedibilità dell' incendio di Torino si sarebbe accompagnata «la concreta
previsione» dello stesso, senza chiarire come possa una previsione «concreta» essere nel
contempo «vaga», come si vorrebbe la «previsione» nella colpa cosciente.
Nonostante la radicale incompatibilità tra la previsione che caratterizza il dolo eventuale e
quella tipica della colpa cosciente, la Suprema Corte è chiara sulla necessità di dover ritenere
provato il dolo eventuale ogniqualvolta si ritenga raggiunta la prova della sola
rappresentazione «chiara, lucida» dell'evento collateralmente connesso alla condotta
dell'agente.
Altre perplessità, in relazione a quanto deciso dalle Sezioni Unite, riguardano alcuni degli
indicatori per la prova del dolo eventuale, nonostante alcuni di essi sembrino essenziali come
la «congruenza del prezzo connesso all'evento non direttamente voluto rispetto al progetto di
azione», le «conseguenze negative o lesive anche per l'agente in caso di verificazione
dell'evento» e la formula di Frank; altri risultano fuorvianti come la decisività dell'indicatore
rappresentato dalla «condotta successiva al fatto»; « l'esperienza insegna che condotte quali la
fuga dal luogo del delitto, la cancellazione delle tracce, la ricerca di falsi alibi, possono essere
riconducibili anche al panico di una morte provocata accidentalmente o colposamente». Alla
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luce di ciò resta misteriosa la ragione in virtù della quale un comportamento successivo debba
necessariamente dimostrare l'adesione ad un evento precedente, che l'agente si era tutt'al più
rappresentato come una mera eventualità; e non possa, in ipotesi, essere invece ricondotto ad
un tentativo di sottrarsi all'arresto per l'evento improvvisamente intervenuto, che l'agente ben
poteva non avere minimamente accettato.
Desta ulteriori perplessità l'indice di sussistenza del dolo eventuale costituito dalla
«situazione illecita di base», come espresso dalla Corte di Cassazione; infatti, non crediamo
sia ammissibile che chi cagioni un evento lesivo nell'ambito di una condotta già di per sé
delittuosa debba essere indiziato di dolo eventuale, mentre chi cagiona il medesimo evento
svolgendo un'attività in sé lecita debba essere considerato meno propenso ad accettare
l'evento previsto. In effetti la stessa Suprema Corte, sul punto, invita alla cautela, per evitare
che il giudizio [...] possa nascondere un giudizio sul tipo d'autore».20
20 Riferimento preso dalla relazione “IL DOLO EVENTUALE ALLA LUCE DEL CASO THYSSENKRUPP” a
cura di Alberto Aimi, pag 13 e ss24