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TECNICHE DI PESCA A TRAINA DENTICI A TRAINA..........................3 I PESCI DELLA TRAINA COSTIERA.............8 LE ESCHE CHE CAMMINANO...................14 LA TRAINA CON IL MONEL...................16 TRAINA CON IL VIVO.......................17 TRAINA D'INVERNO.........................19 TRAINA CON LA SEPPIA.....................20 L'ARTE DI FINGERE........................21 BOLENTINO DI ALTO FONDALE................24 UN BOCCONE A MISURA DI PESCE.............27 I PESCI DELL'ESTATE E DEL PRIMO AUTUNNO. .31 INSIDIA PROFONDA.........................35 PESCA IN MEZZA ALTURA....................40 1. LA CANNA..............................44 2. IL MULINELLO..........................46 5. LA GIRELLA E IL MOSCHETTONE...........47 8. GLI AFFONDATORI DI LENZA..............48 ARTIFICIALI PER LA TRAINA................49 LE PREDE.................................52 LE ATTREZZATURE PER LA PESCA.............52 IL RE DEL FONDALE........................53 UN PREDATORE SOLITARIO...................56 OCCHIO ALL'OCCHIATA......................58 IL MISTERIOSO OCCHIONE...................61 UNA PREDA DIFFICILE......................65 Pag -1 -

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TECNICHE DI PESCA A TRAINA

DENTICI A TRAINA...................................................................3I PESCI DELLA TRAINA COSTIERA......................................8LE ESCHE CHE CAMMINANO..............................................14LA TRAINA CON IL MONEL..................................................16TRAINA CON IL VIVO.............................................................17TRAINA D'INVERNO...............................................................19TRAINA CON LA SEPPIA.......................................................20L'ARTE DI FINGERE...............................................................21BOLENTINO DI ALTO FONDALE.........................................24UN BOCCONE A MISURA DI PESCE..................................27I PESCI DELL'ESTATE E DEL PRIMO AUTUNNO..............31INSIDIA PROFONDA...............................................................35PESCA IN MEZZA ALTURA...................................................401. LA CANNA............................................................................442. IL MULINELLO.....................................................................465. LA GIRELLA E IL MOSCHETTONE.................................478. GLI AFFONDATORI DI LENZA.........................................48ARTIFICIALI PER LA TRAINA...............................................49LE PREDE.................................................................................52LE ATTREZZATURE PER LA PESCA.................................52IL RE DEL FONDALE..............................................................53UN PREDATORE SOLITARIO...............................................56OCCHIO ALL'OCCHIATA.......................................................58IL MISTERIOSO OCCHIONE.................................................61UNA PREDA DIFFICILE..........................................................65IL SARAGO...............................................................................67FEBBRE ROSA........................................................................69RIPOSANDO IN BARCA.........................................................71LA TIGRE PESCE SERRA.....................................................73LA SIGNORA DELLE MAREE...............................................77

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CAPRICCIO E SREGOLATEZZA..........................................80SPIGOLE IN PROFONDITÀ...................................................83TONNETTI AL NATURALE....................................................85IMPORTANTE FERRARLO, POI SI VEDE!.........................86TONNO! L'AZIONE DI PESCA...............................................91MISTER MARE: IL TONNO....................................................943. LA LENZA..............................................................................984. EQUILIBRATURA DEI COMPONENTI............................995. LA GIRELLA E IL MOSCHETTONE...............................1006. L'AMO..................................................................................1007. I GUANTI, LE CINTURE, LE BRETELLE........................1018. GLI AFFONDATORI DI LENZA.......................................101UN COMPUTER PER LA PESCA DEGLI ANNI 2000.........102ARTIFICIALI PER LA TRAINA.............................................104LE ESCHE ARTIFICIALI.......................................................107LE ESCHE NATURALI..........................................................108KIT PROFESSIONALE PER L'AGUGLIA...........................109GLI AFFONDATORI DI LENZA A TRAINA........................110KIT DI PESATURA.................................................................115CHE COS'E' UNA CANNA DA TRAINA.............................115I MULINELLI............................................................................117LE LEGGI SULLA PESCA SPORTIVA IN MARE...............118

LE DISPOSIZIONI VI...........................................................118GENTI....................................................................................118

LIMITAZIONE DI CATTURA.................................................118CLASSI DI PESCA.................................................................119DISCIPLINA DELLA PESCA SPORTIVA...........................119ATTREZZI INDIVIDUALI E NON INDIVIDUALI CONSENTITI PER LA PESCA SPORTIVA...........................119LIMITAZIONE D'USO DEGLI ATTREZZI...........................119MEZZI NAUTICI PER L'ESERCIZIO DELLA PESCA SPORTIVA...............................................................................120SEGNALAZIONE DEGLI ATTREZZI CON AMI.................120AMBIENTE MARE..................................................................120ESPERIENZE DI PESCA......................................................120

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CHI DORME NON PIGLIA PESCI.......................................120BARCA TRASCINATA DA UNO SQUALO BIANCO.........122ANCORA TEMPI DURI PER I PESCISPADA...................122A PESCA DI MEDUSE..........................................................123L'AGUGLIA IMPERIALE........................................................123BARRACUDA A PONZA.......................................................124ALLE CINQUE DELLA SERA...............................................127L'ACROBATA DEL MARE....................................................129PAGRI E GELOSIA................................................................131PER UNA SARDINA IN PIÙ.................................................133

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DENTICI A TRAINA

Il dentice ha caratteristiche strutturali simili agli altri pesci della famiglia degli sparidi, ma per quanto riguarda ambiente e comportamenti fa storia a sé. Vediamone gli aspetti di maggiore rilevanza che possono farlo conoscere ai meno esperti.

E' il più grosso rappresentante della sua famiglia potendo raggiungere ed anche superare, sebbene in via assolutamente eccezionale, il peso di 15 chili;

deve il suo nome ai quattro pronunciati denti canini rivolti all'indietro dei quali si serve per afferrare al volo le prede di cui si ciba;

come quasi tutti i pesci ha un innato istinto gregario; ma di regola i branchi non sono composti da un nu-mero ec-cessivo di esemplari, specie quando la taglia comincia ad aumentare;

è presente, sembra in via esclusiva, nelle acque mediterranee caratterizzate dalle condizioni tipologiche subito appresso indicate;

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vive d'abitudine sul fondo: normalmente a 12-35 metri nella stagione più temperata, a 60-80 metri nella stagione fredda; può pertanto considerarsi un pesce costiero o semicostiero;

il suo habitat consueto è costituito da formazioni rocciose con dislivelli non necessariamente accentuati, meglio se prossime a praterie di posidonia;

solo raramente, e soprattutto nei periodi della buona stagione, si stacca dal fondo in branchi che per l'occasione risultano sempre numerosi e forma il cosiddetto "montone", non si sa se per cibarsi di pescetti che stazionano più in alto, ovvero per esigenze connesse al ciclo riproduttivo;

è catturabile in traina principalmente nelle acque limpide e pulite delle isole maggiori e minori (eccellenti quelle della Sardegna) nonché nella fascia litoranea continentale ove si incontrano coste precipiti e/o secche di una certa consistenza; penalizzati pertanto in partenza i bacini centro-settentrionali dell'Adriatico occidentale;

è carnivoro e si nutre di organismi di piccola e media taglia che stazionano sul fondo o che, incautamente, vi si avvicinano: menole, tanute, castagnole, occhiate, fragolini, aguglie, costardelle, sugarelli, ecc.; è ghiottissimo di triglie, calamari e cefalopodi in genere;

il suo sistema di caccia è essenzialmente basato sull'agguato: si nasconde dietro scogli, cigliate, rilievi, barriere algacee e, non appena la preda transita nelle immediate vicinanze, fa uno scatto fulmineo per addentarla; di solito, se l'attacco non riesce, tutto finisce lì, in quanto la tecnica dell'inseguimento non gli è congeniale;

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possiede in misura notevole uno spiccato senso di territorialità, tale da indurlo non di rado a "fiondarsi" sugli esseri estranei che scorge nella sua zona allo scopo di allontanarli, magari solo a spinte (alias "a musate"); ciò trova conferma nel fatto non infrequente che resta allamato con parti esterne del corpo alle esche

trainate, specialmente se artificiali munite di ancorette multiple;

a differenza del praio, con il quale viene spesso confuso, attacca volentieri le esche trainate; ma, a seconda delle stagioni, ora preferisce quelle naturali, quasi sempre vive, ora invece si fa incantare solo da quelle artificiali;

è stato recentemente riconosciuto dall'IGFA come pesce sportivo suscettibile di record per classi di lenza fino alle 20 libbre;

le sue carni, dulcis in fundo, sono ricercatissime dai buongustai.

I tempi e i luoghi della trainaSulla base delle nozioni appena esposte, dovremmo esserci già fatta un'idea sulla pesca e sulle relative modalità. Occorre però scendere nel merito. Cominciamo con i tempi e con i luoghi.E' ovvio che il periodo più proficuo per la traina è quello che va dalla tarda primavera all'autunno inoltrato, quando cioè il nostro dentuto antagonista si porta su fondali non superiori ai 30-35 metri ove non è difficile far scendere le esche rimorchiate. Infatti, il primo problema che ci si presenta è proprio quello di far lavorare queste esche nella zona preferenziale, ossia quasi a contatto con il fondo; fra poco

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affronteremo l'argomento affondatori di lenza. Non è però da escludere la possibilità di realizzare catture anche in inverno, specie all'inizio di questa stagione quando le acque non sono ancora divenute gelide. Sempre in tema di tempi, giova precisare che, nell'ambito dei periodi stagionali sopraindicati, gli orari propizi sono quelli prossimi al sorgere e al tramonto del sole e, spesso molto di più, quelli dello zenit pieno; il che ha una spiegazione logica: con il sole a picco o quasi il dentice - che come abbiamo visto staziona "raso terra" - ha la possibilità di scorgere meglio le esche che gli passano sopra. Circa i luoghi è evidente che i migliori ai fini della traina sono costituiti dai fondali rocciosi compresi fra i 15 ed i 35 metri, con frequenti variazioni di quota. Questi salti sono buoni anche se di non rilevante entità; ciò è dimostrato dal fatto che le abboccate, di solito più frequenti sui bordi o sui cigli delle secche, non mancano (o addirittura qualche volta sono più frequenti) sui pianori ampi ed estesi che costituiscono il "cappello" delle secche stesse; questo però solo nel caso che su detti pianori vi siano posti adatti all'agguato come buche, rilievi, anfratti con dislivelli anche inferiori al metro. Resta comunque confermato che, a prescindere dalle accennate variazioni limitate di quota, le possibilità migliori le avremo nel momento in cui le nostre esche transiteranno in uscita, ma soprattutto in entrata, sui bordi esterni delle secche costiere o semicostiere. Per i dentici, come del resto per tutti gli altri predatori, vi sono, nelle singole zone marittime adatte, punti più o meno

circoscritti nei quali, nel corso degli anni, le catture sono costantemente più probabili che altrove. Per la individuazione di questi "salvadanai" potremo avvalerci soltanto delle esperienze nostre e dei nostri amici meno "abbottonati".

I due tipi di traina

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La traina al dentice può essere praticata con esche naturali, assai meglio se vive, ovvero con esche artificiali. Questi due tipi di traina non sono compatibili fra di loro: drasticamente o l'uno o l'altro. In genere si pesca con il vivo in estate inoltrata, in pratica da luglio a novembre, e con artificiali da maggio a tutto giugno. Queste indicazioni hanno un valore puramente indicativo anche e soprattutto perché, nella nostra penisola che abbraccia ben 10 paralleli, le condizioni climatiche e conseguentemente le temperature subacquee, sono soggette a variazioni notevoli.

Con il vivo occorre andare molto piano (uno o due nodi) mentre con gli artificiali bisogna avvicinarsi, talvolta superandoli, ai quattro nodi. Abbiamo quindi:- una traina lenta o lentissima con esca naturale;- una traina relativamente veloce con esca artificiale.La scelta dell'uno o dell'altro sistema dipende essenzialmente dalla stagione; è da tener comunque presente che, in traina lenta, è possibile far scendere senza eccessive difficoltà le esche in prossimità del fondo ove, come abbiamo visto, il dentice ha la sua residenza anagrafica abituale. Non dovremo poi dimenticare che le nostre esche naturali potranno essere prese in considerazione, oltre che dal dentice, da grosse e scatenate ricciole, o lecce, le quali richiederanno attrezzature pescanti piuttosto robuste; mentre, trainando con gli artificiali, la potenza delle attrezzature stesse potrà essere assai ridotta in quanto gli unici clienti alternativi potranno essere in pratica soltanto palamite e lampughe, quando e dove ci sono.

Gli affondatoriL'affondamento delle lenze in traina può ottenersi con uno dei seguenti sistemi:

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con i piombi amovibili inseriti, anche in serie multipla, sulla lenza madre;

con i fili autoaffondanti in guaina di dacron o metallici (monel e similari);

con il "piombo guardiano";

con il downrigger che è un congegno concepito per l'impiego di zavorre molto pesanti: le cosiddette "palle di cannone".

Considerata la elevata profondità di pesca richiesta per la traina al dentice escluderei subito i fili con guaina piombata che affondano molto poco; come pure escluderei (non tassativamente però) i piombi amovibili i quali, anche se ben scaglionati sulla lenza madre, appesantiscono troppo la parte immersa dell'attrezzatura. Ci restano quindi il monel, la palla di cannone e il piombo guardiano. Tutti e tre i sistemi vanno bene per la traina lenta con esca naturale; per la traina veloce con gli artificiali dovremo escludere il piombo guardiano.Il monel affonda, per ogni decametro immerso, di 3 metri a 1 nodo e di m 0,70 a 4 nodi.La palla di cannone - che di norma pesa dai 3 ai 7 chili - può viaggiare molto più in basso.Sia il monel che la palla di cannone vanno di volta in volta impostati per una determinata profondità che potremo peraltro modificare aumentando o diminuendo:- la velocità della barca;- il metraggio della lenza immersa o del cavetto metallico che sostiene la palla filato.

E' comunque sempre consigliabile perdere, una volta tanto, qualche ora di tempo e fare con la propria barca alcuni test per rilevare con l'ecoscandaglio la profondità che questi due tipi di affondatori raggiungono alle diverse andature. Con il

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monel occorrerà applicare sullo stesso una serie di segnalini distanziati 50 metri l'uno dall'altro e fatti con cotone di diversi colori ben annodato e ulteriormente fermato con un goccio di colla. Con il downrigger non avremo invece bisogno dei segnalini in quanto basterà annotare i dati fornitici dal contametri di cui è fornito l'apparecchio.Per stabilire la profondità alla quale lavorano il monel e la palla occorrerà:- piazzare un piombino amovibile a spirali di 20-30 grammi all'estremità del monel e tenere d'occhio la canna; quando il piombino tocca il fondo il vettino della canna si muove per effetto di piccole ma percettibilissime oscillazioni;- osservare il braccio di sostegno del downrigger che, anch'esso, quando la palla sfiora il fondo è scosso da inconfondibili vibrazioni. Ai valori così ottenuti dovremo poi aggiungere, se useremo come esca pesci finti

autoaffondanti, i coefficienti di affondamento relativi ad ogni singolo modello.Naturalmente le prove di affondamento in parola dovranno essere effettuate procedendo in linea retta e su fondali puliti e in piano. Con il piombo guardiano non sono necessarie prove preventive in quanto il piombo stesso (dai 3 agli 8 etti) legato una ventina di metri a monte dell'esca alla lenza madre con un fine spezzone di nylon (0,25-0,30) lungo un paio di metri, toccherà il fondo sempre prima dell'esca naturale; e, dato che questa tecnica comporta la necessità di tenere continuamente la canna in mano, non

avremo difficoltà ad accorgerci dell'impatto e a recuperare subito un po' di lenza per prevenire eventuali "arroccamenti".

Le attrezzature pescanti

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Per il dentice andrebbe benissimo una attrezzatura (canna, mulinello, lenza madre) abbastanza leggera diciamo nell'ordine delle 8-12 libbre. Ma in pesca, come già accennato, ci sarà la possibilità di trovarci impegnati con soggetti assai più grossi e combattivi del dentice: grosse lecce e soprattutto grosse ricciole che, nel 99% dei casi, si porterebbero via tutto realizzando uno "scippo" in piena regola. Quindi: attrezzature da 20-30 libbre quando useremo esche naturali; da 8-12 libbre in tutti gli altri casi.I terminali, lunghi intorno ai 20 metri, saranno sempre in nylon: 0,50 o anche 0,40 con gli artificiali, 0,60-0,70 con le esche naturali; sarà bene che lo 0,50 e più ancora lo 0,40 siano doppiati per 15-20 centimetri a monte dell'esca onde scongiurare il pericolo di eventuali tranciature causate dalla poderosa dentatura del dentice.

Fra le esche vive daremo la preferenza a quelle che potremo catturare noi stessi: aguglia, costardella, sgombro (che però riusciremo a mantenere in vita solo per qualche ora), occhiata, sugarello, cefalo, seppia, calamaro che in vasca alimentata con acqua di mare restano vive e vitali anche per più di una giornata. Per la triglia viva, che è senza dubbio il boccone di gran lunga preferito dal dentice, dovremo prendere accordi con qualche pescatore di tramaglio: il che, lasciatemelo dire, è tutt'altro che facile.

Le esche naturali morte che offrono accettabili possibilità in fatto di rendimento, a condizione che siano molto fresche,

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sono il calamaro, la seppia e l'aguglia. Per l'innesco del vivo useremo uno spezzoncino di nylon dello 0,60-0,70 pressappoco della stessa lunghezza del pesce o del cefalopode di cui disporremo, armato con due ami a occhiello corti o leggermente storti del n.4/0.Il primo amo, con funzione traente e non di rado anche catturante, sarà inserito dal basso verso l'alto nella parte anteriore estrema dell'apparato boccale del pesce o del sacco del cefalopode; il secondo invece andrà introdotto dall'alto verso il basso ed appena sottopelle in prossimità della coda del pesce, ovvero fra i tentacoli del cefalopode. Questa montatura va fatta per linee esterne quanto più corta è possibile in rapporto alla necessità di non ostacolare il naturale moto natatorio dell'esemplare impiegato. Il collegamento fra montatura di innesco e terminale avverrà sempre attraverso una robusta girella. L'innesco del "morto"

sarà realizzato con le modalità sopra descritte facendo però passare il filo all'interno del corpo mediante un ago lungo 20-25 cm. Ricordiamo che all'aguglia morta bisogna sempre spezzare la spina dorsale in

almeno due punti allo scopo di farla navigare con movimento abbastanza flessuoso; e che i cefalopodi di una certa grandezza, diciamo di oltre 20 cm, lavorano meglio se appesantiti con un piombo di 30-50 grammi piazzato nella parte anteriore del sacco.Per le esche artificiali la scelta, se vogliamo veramente pescare, è praticamente obbligata: pesci finti (di gran lunga meglio i Rapala) con paletta metallica di 9, 11, 13, 14 e 18 cm. Sulla base delle mie personali statistiche ultraventennali, il Rapala più catturante per il dentice è il 14 cm. Di norma, i colori più graditi dal nostro sparide sono il famoso testa rossa, nonché l'arancione, il giallo, il verde chiaro in tonalità varie ma sempre con striature dorsali nerastre (RH, GM, RT, ecc.).

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L'assetto di pescaTraina con il monel. Useremo due canne laterali divaricate al massimo con lenze filate a distanze diverse per cercare di evitare che i lunghissimi fili metallici vengano a contatto fra loro creando imbrogli inestricabili. Una delle due esche, quella che avremo mandato più lontano, lavorerà vicino al fondo e, ovviamente, avrà maggiori probabilità di essere attaccata dal dentice; l'esca più a corto potrà invece interessare maggiormente ricciole, lecce e palamite. Di solito il monel imbobinato nel mulinello ha la lunghezza delle confezioni standard reperibili in commercio: 200 yards equivalenti a 183 metri. Può quindi accadere che, pur sbobinando tutto questo filo, non si riesca a far navigare l'esca abbastanza a fondo; in tal caso potremo guadagnare qualche metro inserendo sul cuscino di lenza, in prossimità della congiunzione con monel, un piombo amovibile di 5-7 etti.

Traina con il downrigger. Come prima cosa, con la barca a lento moto, manderemo a mare l'esca, il terminale e almeno una sessantina di metri di lenza madre (dacron o nylon). Dopodiché inseriremo la lenza madre stessa nell'apposita pinzetta della palla e faremo scendere questa, piano piano, alla profondità voluta; quindi, operando con il mulinello, faremo in modo che la lenza sia tesa al massimo; di conseguenza la canna risulterà leggermente flessa all'indietro ma si addrizzerà di scatto quando il filo, in seguito all'abboccata, andrà temporaneamente in bando per tornare poi a curvarsi dopo pochi secondi. A questo punto avremo il vantaggio e la soddisfazione di dedicarci al recupero senza alcun corpo interposto fra noi e la preda ferrata. E' possibile, anzi quando ci sono più persone a bordo è senz'altro consigliabile, mettere in pesca una seconda canna; il filo di questa andrà agganciato al cavetto metallico che sostiene la

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zavorra qualche metro al di sopra della stessa con una pinzetta apposita o anche con un semplice elastico da cancelleria. In ogni caso, non appena si verificherà la ferrata, occorrerà provvedere al rapido salpaggio della palla in quanto, per effetto delle evoluzioni del pesce, la lenza potrebbe andare ad imbrogliarsi con il cavetto metallico.

Traina con il piombo guardiano. Con il piombo guardiano dovremo usare una sola canna che, come abbiamo visto, sarà tenuta costantemente in mano, preferibilmente con il manico inserito nel bicchierino della panciera. L'angler si piazza in prossimità del quadro di poppa mentre lo skipper, guidando la barca, presta continua attenzione ai dati rilevati dall'ecoscandaglio. L'angler cede lenza fino a quando avverte l'urto della zavorra sul fondo; dopodiché recupera qualche metro di filo e va avanti così ripetendo l'operazione di limitato saliscendi a brevi intervalli.Quando lo skipper l'avverte che il fondale sta salendo o scendendo recupera o cede lenza più o meno velocemente a seconda del valore della variazione di quota. Al momento dell'incoccio occorre ferrare prontamente dando una breve strattonata alla canna; pronti però a cedere subito un po' di filo se non si sente resistenza in quanto, ad esca ferma o quasi, può verificarsi un secondo attacco da parte del pesce.Il dentice, una volta allamato, tenta subito la fuga per cercare scampo negli anfratti del fondale; è pertanto importante sollevarlo sollecitamente; man mano che sale l'azione di difesa va attenuandosi fino a cessare completamente quando, per il rapido cambiamento di quota, la vescica natatoria si dilata fino al punto di sospingere "a pallone" verso la superficie la nostra preda che, alla fine, si deporrà di fianco ed inerte sull'acqua; questo cedimento può anche non verificarsi se la profondità ove si è verificata la cattura è inferiore ai 20 metri. Nel caso in cui la resistenza opposta risulti particolarmente tenace conviene allentare un

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po' la trazione facendo compiere alla barca ampi giri centrati sul punto di immersione della lenza.

Andare piano con la barcaCon gli entrobordo e gli entrofuoribordo di una certa potenza, dei quali è dotata la maggioranza dei moderni fisherman in circolazione, la velocità minima varia dai 3 ai 4 nodi; e ciò anche se, in caso di motorizzazione binaria, si usa uno solo dei due propulsori. Senonché, per trainare con il vivo occorre scendere quantomeno intorno ai 2 nodi. Le soluzioni possibili sono 4:

1. applicare ai motori i trolling drive che sono invertitori ad olio i quali, quando vengono sottoposti ad una pressione ridotta mediante appositi congegni, riduce la forza di attrito con l'apparato motore e, correlativamente, i giri dell'elica. Soluzione ottima se adottata in partenza in sede di costruzione della barca; adottabile senza eccessivi problemi se gli invertitori già montati sono ad olio; ma sconsigliabile per gli alti costi ove la barca sia già fornita di invertitori meccanici;

2. utilizzare un fuoribordo, applicabile all'occorrenza sulla plancetta di poppa, dai 6 ai 50 cavalli di potenza. Anche questa soluzione ha le sue pecche: il fuoribordo, di solito, deve essere montato e smontato ogni volta che si esce e si rientra; richiede una manutenzione particolare e, di norma, un combustibile diverso da quello impiegato per la propulsione principale;

3. installare un motorino a nafta (lo Spingo) che è completamente autonomo rispetto al o ai propulsori principali, può essere collocato in qualsiasi punto della barca (al limite anche a prua) in quanto la trasmissione del movimento all'elica è realizzata mediante tubolazioni ad olio come quelle usate nella pesca

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professionale per il salpaggio delle reti e dei parangali. Questo sistema noto sotto il nome Spingo, è valido soprattutto per le barche la cui propulsione principale è affidata ad un solo motore. Ma, anche qui, c'è il problema dei costi che assommano in ogni caso a diversi milioni;

4. procurarsi due secchi di robusto materiale plastico di capienza pari a circa 4 litri per ogni metro di lunghezza della barca, imbragarli bene con cime adeguate alla loro grandezza e calarli in zona centro poppiera uno a destra e uno a sinistra della barca stessa. I risultati sono sorprendenti come ho constatato di persona: con la mia barca di 8 metri motorizzata con due VM turbodiesel di 140 HP cadauno, non riuscivo, utilizzando un solo propulsore al minimo, a scendere sotto i 3 nodi. Con i secchi navigo tranquillamente sotto i 2 nodi.

I PESCI DELLA TRAINA COSTIERAAgugliaVive in branchi relativamente numerosi in tutti i mari italiani. La si incontra dalla primavera

all'inizio dell'inverno in prossimità delle coste specie se rocciose, delle scogliere e delle opere portuali. Rarissimamente raggiunge il chilo di peso. Viene insidiata soprattutto per essere a sua volta impiegata come esca.

Attrezzatura: sono più che sufficienti le canne e i mulinelli adoperati per il bolentino ultra leggero.

Lenza madre: dalle 20 libbre in su.

Terminale: dallo 0,15 allo 0,25 lungo almeno 5 metri.

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Esche: in passato si usavano piccoli cucchiaini fusiformi o, con una tecnica abbastanza complicata, gli anellidi o i filetti di pesce. Ma oggi vanno giustamente per la maggiore le "matassine" cui le aguglie restano attaccate senza riportare ferite per effetto del semplice aggrovigliamento del loro piccolo rostro nella trama tessile; nei rari casi in cui la matassina da sola non funziona, si suole collocare, immediatamente a tergo della stessa, un minuscolo amo (n. 9-10) innescato con un verme.

Zavorra: niente o al massimo 50 grammi.

Assetto: due o tre lenze filate ad almeno 40 metri da poppa.

Velocità: 4 nodi ridotti a 3 scarsi se la matassina è arricchita con il vermi.

Orari: le ore di luce fatta, con preferenza per quelle del primo mattino.

Recupero: facilissimo. DenticeFa vita gregaria soprattutto allo stato giovanile ma è raro che i branchi siano molto numerosi. Accosta dalla primavera all'autunno ed è reperibile sugli alti fondali rocciosi o ghiaiosi preferibilmente cosparsi di vegetazione algacea. Ottime le secche al largo con profondità superiori ai 25 metri. Lo si può insidiare in tutte le acque della penisola e delle isole (il primato spetta alla Sardegna) ove si riscontrino caratteristiche subacquee del tipo appena accennato. Può superare abbondantemente il peso di 10 chili.

Attrezzatura: basterebbero le 12 libbre; ma, per via dei piombi e dei possibili attacchi da parte di grandi ricciole, è meglio non scendere sotto le 20 libbre.

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Lenza madre: da 30 libbre in su.

Terminali: in nylon dallo 0,50 allo 0,70.

Esche: in primavera e in piena estate sono preferibili i pesci finti con paletta metallica da 13 a 18 centimetri; successivamente subentrano le esche naturali, specialmente la seppia e il calamaro.

Zavorra: da 500 grammi in su in quanto le esche debbono lavorare in prossimità del fondo.

Assetto: due lenze filate ad almeno 50 metri da poppa.

Velocità: uno-due nodi con esca viva, tre nodi con esca naturale morta, quattro nodi con gli artificiali.

Orari: dal mattino avanzato al pieno pomeriggio.

Recupero: ferrare subito con forza per impedire che il pesce vada ad intanarsi. Una volta staccato dal fondo il dentice non oppone eccessiva resistenza.

DottoSi tratta di un serranide, appartenente alla famiglia delle cernie, che è ancora abbastanza diffuso in alcune zone costiere rocciose delle Puglie, della Calabria e della Sicilia ove viene catturato a traina soprattutto nella buona stagione. Anche il dotto può agevolmente superare i 10 chili di peso. Valgono le indicazioni fornite per il dentice.

LecciaPesce pelagico di aspetto e abitudini molto simili a quelle della ricciola (vedi dopo) ma di presenza occasionale e limitata nelle nostre acque. Nelle sue puntate verso costa preferisce, a quanto risulta, i bacini dell'Arcipelago Toscano.

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Può superare i 30 chili di peso. Le modalità di traina sono identiche a quelle indicate per la ricciola.

Leccia stellaLe lecce stella sono abbastanza diffuse nei nostri mari ed accostano in estate-autunno trattenendosi in regime pressoché stanziale su fondali medio bassi di sabbia o roccia, generalmente in prossimità delle foci. I branchi non sono di solito eccessivamente numerosi; il peso supera raramente il chilo.

Attrezzatura: come per le aguglie.

Lenza madre: 20 libbre o oltre.

Terminale: almeno 5 metri dallo 0,20 allo 0,30.

Esche: cucchiaini argentei fusiformi di 4-5 centimetri, piumette semplici della stessa misura e piccoli pesci finti.

Zavorra: dai 50 ai 100 grammi; non serve con gli artificiali autoaffondanti.

Assetto: due o tre traine scaglionate dai 30 ai 40 metri.

Velocità: 4 nodi.

Recupero: le stelle combattono bene e non vanno quindi forzate troppo quando i terminali sono di spessore minimo.

OcchiataL'occhiata, che è uno dei pesci da traina più diffusi nei mari italiani, vive in branchi in prossimità delle coste su fondali rocciosi medio bassi. Le stagioni migliori sono quelle calde. Raramente supera il mezzo chilo.

Attrezzatura: come per le aguglie.

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Lenza madre: dalle 20 libbre in su.

Terminale: almeno 5 metri dello 0,18 - 0,20.

Esche: piumette semplici bianche di 2-4 centimetri montate su piccoli ami (n. 5-8), cucchiaini lunghi dai 3 ai 5 centimetri.

Zavorra: generalmente non è necessaria con le piume; 50 grammi al massimo per i cucchiaini.

Assetto: da due a quattro lenze filate dai 25 ai 40 metri.

Velocità: dai 2 ai 4 nodi.

Sono più redditizie le ore del primo mattino e, se c'è vento, anche quelle successive di luce piena.

Recupero: facile. PalamitaPoderoso scomberoide, è presente in quasi tutte le acque italiane. Accosta dalla primavera a tutto l'autunno. Talvolta si stabilizza per lunghi periodi nei tratti di mare prossimi o insistenti su grandi formazioni rocciose. Raggiunge i 10 chili di peso.

Attrezzatura: 6-12 libbre.

Lenza madre: non meno di 20 libbre.

Terminali: 0,40-0,60 lungo 5 o più metri.

Piume con testina solida da 5 a 8 centimetri montate su ami del 2/0 - 3/0; cucchiaini di pari lunghezza, pesci finti in balsa con paletta lunghi da 9 a 14 centimetri.

Zavorra: niente per le piume e i pesci finti, 100-200 grammi per i cucchiaini.

Assetto: tre traine portate parecchio a lungo a partire dai 35 metri da poppa.

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Velocità: dai 4 ai 5 nodi.

Orari: di mattino a luce abbastanza fatta e di pomeriggio inoltrato.

Recupero: caratterizzato da veloci fughe sul piano sia orizzontale che verticale ma, in definitiva, abbastanza agevole.

RicciolaPesce pelagico nei mesi freddi, costiero e catturabile a traina dall'estate inoltrata all'autunno anche esso inoltrato. In tali periodi preferisce le acque profonde in prossimità o a ridosso dei promontori rocciosi ovvero delle secche ubicate anche a diverse miglia da terra. Mangia volentieri a fondo ma soprattutto nella mezza acqua. Può superare il peso di mezzo quintale.

Attrezzatura: non si dovrebbe mai scendere sotto le 20 libbre salvo il caso di passo limitato ad esemplari di dimensioni ridotte.

Lenza madre: se si cerca il bestione e manca l'esperienza ci vogliono le 50 libbre.

Terminale: 10-15 metri dello 0,30-0,40 per gli esemplari di taglia modesta, dello 0,70-0,80 negli altri casi.

Esche: aguglia morta o, assai meglio, viva con ami dal 2/0 al 5/0; vanno bene anche la seppia, il totano e il calamaro. Per i soggetti medio piccoli (che danno anche agli artificiali) conviene provare con le piume, con i pesci finti da 7 a 13 centimetri o cucchiaini di 6-8 centimetri.

Zavorra: 100 - 200 grammi con gli artificiali; da mezzo chilo in su con l'esca naturale.

Assetto: due traine a 40-50 metri da poppa e oltre.

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Velocità: 1-2 nodi con il vivo, 3 nodi con esca naturale morta, 4 nodi con gli artificiali.

Orari: assai redditizie le ore centrali della giornata.

Recupero: la ricciola è uno dei pesci più combattivi in senso assoluto; infatti, a parità di peso, oppone una resistenza addirittura superiore a quella del tonno rosso. Bisogna perciò lavorarla con attenzione cedendo filo quando occorre e facendo fare eventualmente dei giri concentrici alla barca.

SerraE' un pesce sportivamente superbo con diffusione purtroppo finora circoscritta ad alcuni bacini centromeridionali della penisola e nord occidentali della Sardegna, con rare ed occasionali apparizioni in Mar Ligure. E' abbordabile dalla piena estate alla fine dell'autunno, periodi in cui si stabilisce in acque poco profonde su sabbia o fango ovvero su o in prossimità di roccia. Sono peraltro possibili accostamenti estemporanei anche durante la stagione fredda. Fa vita di branco, caratteristica che va attenuandosi con il crescere della stazza. I tratti di mare frequentati sono sempre gli stessi. Il peso massimo mediterraneo è di poco superiore ai 10 chili.

Attrezzatura: da 6 a 12 libbre.

Lenza madre: 20 o più libbre.

Esche: l'aguglia viva fa faville; ma anche la morta non scherza; per entrambe ami dall'1/10 al 3/0. Si può anche provare, specie nei confronti di elementi di taglia ridotta, con piume semplici biancheggianti, gialle o policrome lunghe circa 10 centimetri su ami dal n. 2 al n. 1/0. Indispensabile il cavetto metallico.

Terminali: lunghi almeno 6 metri dallo 0,35 allo 0,60.

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Zavorra: niente per le piume, da 100 a 300 grammi per le aguglie.

Assetto: 2 sole canne (perché i serra saltano come i marlin) con esche portate ad almeno 30 metri da poppa).

Velocità: 2 nodi con l'aguglia viva, 3 nodi con l'aguglia morta, 3-4 nodi con gli artificiali.

Orari: di gran lunga più produttive le prime luci dell'alba e quelle intorno al tramonto. Con l'aguglia viva i serra, specie quelli di taglia, mangiano anche a luce piena.

Recupero: ci troviamo di fronte ad un antagonista dotato di grande combattività ed astuzia che spesso riesce a portarsi via l'aguglia o una parte di essa senza restare ferrato, ovvero a liberarsi dall'amo con spettacolari salti fuor d'acqua accompagnati da acrobatiche capriole. Recuperare il più rapidamente possibile. Fare attenzione ai micidiali denti del serra.

SgombroE' un piccolo pesce pelagico più o meno presente in tutte le acque nostrane. Accosta dalla tarda primavera a tutta l'estate portandosi generalmente a 2-3 miglia da terra con preferenza per le rade e gli estuari. Le zone litoranee più frequentate sono di norma sempre le solite. Peso record: un chilo; peso medio corrente dai 2 ai 3 etti.

Attrezzatura: come per le aguglie.

Lenza madre: 20 libbre o più.

Terminali: 0,25-0,30 lunghi 5/6 metri o più.

Esche: cucchiaini da 3 a 5 centimetri, piume giapponesi di 5-6 centimetri armate con ami dei numeri dal 2 all'1/0.

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Zavorra: da 100 a 300 grammi in quanto gli sgombri dimorano e mangiano abitualmente sotto la superficie.

Assetto: due o più traine a 30-40 metri.

Velocità: 3 nodi circa.

Recupero: agevole.

La misura minima legale è di 15 centimetri. SpigolaLa spigola è il predatore costiero più ambito dai pescatori sportivi (e non solo da essi!). E' reperibile lungo i litorali ove ci siano scogliere sommerse medio basse alternate a tratti di fango o sabbia, praterie di posidonia, manufatti portuali e di contenimento vari. E' catturabile a traina soprattutto nel pieno dell'inverno e a primavera. Nel primo periodo della sua vita (quando a malapena raggiunge i 2-3 etti) è fortemente gregaria. Successivamente i branchi, mai peraltro molto numerosi, tendono a dissociarsi. Può superare i 10 chili di peso. E' incredibilmente capricciosa ed incostante.

Attrezzatura: 6 - 12 libbre.

Lenza madre: 20 libbre ed oltre.

Terminale: mai meno di 10 metri dallo 0,25 allo 0,40.

Esche: pesci finti con paletta lunghi dai 5 ai 14 centimetri. Le piumette, i cucchiaini e le esche naturali ancora usate da molti rendono assai di meno.

Zavorra: 2 traine sui fondali fino a 4 metri; da 100 a 300 grammi in acque più profonde.

Assetto: 2 traine laterali dai 40 ai 50 metri ed, eventualmente, una traina centrale più a corto e più affondata.

Velocità: intorno ai 4 nodi.

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Orari: di buon mattino e con il sole allo zenith; ogni altra ora di luce secondo il capriccio delle "Signore".

Recupero: non è facile far abboccare la spigola che però, una volta ferrata, reagisce con forza soltanto al principio e quando vede la barca.

SugarelloSi tratta di un modesto pescetto che nei mesi caldi si avvicina molto alle coste. Frequenta le scogliere sommerse e le acque adiacenti. Difficilmente supera il mezzo chilo.

Attrezzatura: come per le aguglie.

Terminali: almeno 5 metri dello 0,20 - 0,30.

Esche: piume semplici o con testina solida di 3-5 centimetri armate con ami dal n. 3 al n. 1/0; cucchiaini di pari lunghezza.

Zavorra: niente per le piume, fino a 100 grammi per i cucchiaini.

Assetto: 2 o 3 lenze a circa 30 metri.

Velocità: dai 2 ai 3 nodi.

Orari: di buon mattino.

Recupero: senza problemi. La misura minima legale è cm 20.

LE ESCHE CHE CAMMINANOLe regole generaliAlcuni tipi di traina possono essere praticati con semplici lenze a mano; altri invece, data la mole dei possibili interlocutori,

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richiedono l'impiego delle canne con mulinello; l'uso di questi attrezzi serve anche, indipendentemente dalla stazza delle prede, ad esaltare la sportività della pesca ed il relativo divertimento. A stretto rigore le canne, i mulinelli e la lenza madre andrebbero bilanciati fra di loro con la conseguente ovvia necessità di dover disporre di un nutritissimo parco attrezzi. Troppo complicato (e costoso) per chi comincia! I primi passi si possono fare, oltre che con le lenze a mano, con normali cannette da pesca lunghe un paio di metri servite da mulinelli anche a tamburo fisso; ma se le nostre aspirazioni saranno appena un po' ambiziose dovremo orientarci verso un paio di canne da traina da 20 libbre con mulinelli a tamburo rotante del n. 6 imbobinati con lenza madre da 30 libbre: si tratterà così di cambiare soltanto i terminali quando occorre. In seguito sarà l'esperienza a suggerirci soluzioni diverse o verso il basso o verso l'alto.

La lenza madre (dacron o nylon) deve avere un carico di rottura superiore (almeno il 30%) rispetto a quello del terminale. Solo ai fini dei record e nelle gare ufficiali (aspetti dei quali qui non ci occupiamo) le posizioni si invertono perché in questi casi è la lenza madre ad essere presa in considerazione mentre la scelta del terminale resta praticamente libera.

La girella è indispensabile solo se l'esca trainata tende a ruotare su se stessa; è quindi da escludere di massima con le piume e con quei pesci finti che navigano bene; viceversa è sempre necessaria con i cucchiaini e con le esche naturali; di norma va inserita fra lenza madre e terminale; soltanto con le esche naturali è più conveniente piazzarla a stretto ridosso delle stesse.

Gli ami, quando servono, saranno sempre ad occhiello e con il gambo corto.

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Non deve mai mancare a bordo un capiente coppo con manico lungo e rete a maglie0 larghe nonché un gancio di ferraggio. Nel coppo deve entrare per prima la testa del pesce. Il gancio dovrà trafiggere la parte dorsale del pesce stesso.

Si traina, salvo rare eccezioni, con più lenze a mare.

Le traine vanno filate a distanze e con (eventuali) zavorre diverse; le laterali esterne sempre più a lungo delle altre.

In alcuni casi, individuabili con un po' di buonsenso e in particolar modo per i pesci di altura non troppo grandi (orientativamente intorno ai 3-4 chili), le traine su canna e mulinello potranno essere usate assieme a quelle a mano sempreché queste ultime siano armate con piume e filate più a corto.

Durante l'azione di pesca le frizioni dei mulinelli vanno regolate su valori mediamente pari alla metà del carico di rottura del terminale. Per le lenze a mano il sistema migliore è quello di far passare il filo uno o più volte intorno a un qualsiasi elemento tubolare esistente nel pozzetto per modo che in caso di ferrata il filo stesso possa fuoriuscire (opponendo peraltro una certa tal quale resistenza) dal telaio intorno al quale è avvolto; fino a quando non interverremo con le nostre mani o il telaio stesso non sarà arrestato da un fermo (moschettone, maniglia, luce di bitta, ecc.). Da noi predisposto più facile a farsi che a dirsi (vedi disegno).

All'atto della ferrata la lenza va decisamente strattonata in avanti e la velocità va ridotta senza però fermare del tutto la barca.

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In caso di cattura importante (l'importanza ce la segnalano la rapidità di fuoriuscita del filo dal mulinello o la forte trazione esercitata sulla lenza a mano) è opportuno togliere di mezzo

tutte le lenze non impegnate prima di iniziare il recupero.

Nell'ipotesi di catture multiple simultanee il recupero va fatto partendo dalla lenza filata più a corto.

E' buona norma controllare con una certa frequenza le esche per verificare se sono pulite: basta una piccola alga per comprometterne il rendimento.

Se l'acqua è molto torbida le probabilità di cattura si riducono a zero.

Le escheLe esche da traina possono essere naturali o artificiali, le prime vive o morte. Le artificiali vanno benissimo per quasi tutti i possibili clienti; fanno infatti eccezione soltanto le ricciole e le lecce di taglia, i pesci serra cresciuti e, solo in alcuni periodi, i dentici. Nel contesto elementare di questo articolo prenderemo in considerazione unicamente le quattro esche artificiali più collaudate dei nostri mari: i cucchiaini, le piume semplici (quelle costituite da ciuffi di piumette morbide e basta), le piume giapponesi (quelle con testina solida cui vanno assimilati i cosiddetti octopus gommacei) e i pesci finti in legno di balsa. I colori mediamente più catturanti sono l'argento per i cucchiaini, il bianco per le piume, il biancorosso e il makarel per i pesci finti.

Le esche naturali sono tante ma qui ci limiteremo a dire le cose essenziali sulle due di più frequente impiego e, di solito, di maggiore potere catturante: l'aguglia e la seppia. Vanno montate su spezzoncini di nylon, o di dacron o, se ci

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sono in zona pesci serra, di treccia metallica con guaina termosaldante. Gli spezzoncini lunghi almeno una trentina di centimetri e di resistenza mai inferiore alle 30 libbre, recheranno ad una estremità l'amo catturante (dal 2/0 al 6/0)

e all'altra estremità un occhiello nel quale inserire il moschettone della girella annodata alla fine del terminale; su ogni spezzone andrà inoltre legato un amo più piccolo con

funzione traente e talvolta anche catturante.

Per l'aguglia l'amo traente andrà inserito alla base del becco con la punta rivolta verso l'alto mentre l'amo catturante sarà

collocato all'altezza del foro anale (appena sottopelle se l'esca è viva, più in profondità se è morta) con la punta rivolta verso il basso. Per la seppia il traente sarà appuntato all'estremità anteriore del sacco e il catturante verrà allocato fra i tentacoli. L'aguglia morta, cui è necessario spezzare in due o tre punti la colonna vertebrale, funziona bene anche se ripetutamente surgelata, mentre invece la seppia dovrà

sempre essere molto fresca. Le montature del totano e del calamaro sono suppergiù uguali a quelle della seppia.

Gli affondatori di lenzaTutte le esche, eccettuate di norma le piume, destano l'interesse dei predatori solo se navigano sotto la superficie, talvolta addirittura in prossimità del fondo: da ciò la necessità di provocarne l'affondamento più o meno accentuato. L'effetto affondamento può essere ottenuto con mezzi diversi: fili autoaffondanti, downrigger o palla di cannone, piombo guardiano, piombi amovibili a spirale o a sgancio rapido. Qui faremo riferimento al sistema più semplice: quello dei piombi amovibili. Essi vanno collocati sulla lenza

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madre almeno 10-15 metri a monte dell'esca; è possibile montarne più di uno sullo stesso filo in ordine decrescente di peso a partire da quello più vicino al terminale. Quando il peso complessivo della zavorra supera il mezzo chilo è praticamente indispensabile impiegare canne di potenza non inferiore alle 20 libbre. Per "reggere" bene i piombi la lenza madre deve avere un carico di rottura non inferiore alle 20 libbre. E' da notare che i pesci finti con paletta navigano, a seconda dei modelli e della velocità, da mezzo metro a quattro metri sotto la superficie. Se questo affondamento non basta non resta che aggiungere i piombi.I pesci della trainaLe diverse classificazioni con le quali sono abitualmente etichettati i vari tipi di traina (costiera, alturiera, piccola, media, grande, di superficie, di fondo, lenta, veloce, ecc.) finiscono spesso con il sovrapporsi e confondersi fra loro. Ma siccome ogni tematica ha bisogno di una traccia precostituita per svilupparsi compiutamente seguiremo una

di queste classificazioni. Ai fini che qui interessano la distinzione più aderente alla realtà è certamente quella fra traina costiera e traina alturiera, ossia, convenzionalmente, entro o oltre le 3 miglia da terra.

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LA TRAINA CON IL MONELIl monel è un monofilamento metallico a diametro costante, ottenuto con leghe di rame e nickel, molto duttile, con un alto peso specifico e una bassa resistenza idrodinamica. È entrato a far parte del bagaglio dei pescatori sportivi, per la sua eccezionale efficacia nell'affondamento delle esche sia artificiali. I libbraggi più usati sono 40, 50 e 60 libbre. È da tener presente che con l'aumentare del libbraggio, aumenta proporzionalmente anche il diametro e di conseguenza l'attrito con l'acqua. Quindi, non si avrà un maggiore potere affondante, ma si potrà contare su un monel più resistente all'usura e soprattutto alle piccole distorsioni del metallo, che si creano inevitabilmente durante l'azione di pesca. La proprietà principale del monel è quella dell'affondamento costante, ovvero è in grado di far mantenere all'esca una profondità d'azione ben determinata, senza essere influenzato dalla corrente. Questa è una proprietà che soltanto il monel può garantire, al contrario delle piombature dirette o del downrigger. Altra proprietà molto importante è l'alto indice d'affondamento a velocità sostenute. Per il suo particolare rapporto peso specifico/resistenza idrodinamica, il monel consente di pescare a buone profondità anche a velocità vicine ai cinque nodi, permettendo alle esche artificiali di lavorare sempre vicino al fondo. Dato il suo singolare modo d'affondare, il monel si mantiene molto più alto dell'esca, proponendola al branco o al singolo predatore, in modo naturale, senza che questo sia allertato dal passaggio di un corpo anomalo (piombo o palla dell'affondatore), come avviene con altri sistemi. A 4 nodi il monel affonda in media di 80 cm per ogni 10 m calati, e se si considera che un minnow da 14 cm con paletta metallica scende di almeno 2,5 - 3 m, si può immaginare il potere affondante di tale combinazione, con cui si arriva comodamente a pescare a 22 metri di profondità.

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Il monel non risente eccessivamente dell'aggressione degli agenti marini, ma è altamente dannoso per i mulinelli. Dopo brevissimo tempo d'uso danneggia irreparabilmente la bobina, praticandole piccole abrasioni che si trasformano in micro fori. Soltanto i vecchi mulinelli con bobina in acciaio inox (Penn Senator), sono immuni dall'aggressione del monel. Per ovviare all'azione danneggiante basta ricoprire le parti laterali della bobina con del nastro telato o con un paio di strati di nastro isolante, in modo da salvaguardarle. Essendo un filo di metallo, il monel può compromettere anche i passanti della canna. Sono da preferire quelli a carrucola, con roller in metallo oppure quelli in acciaio ad alta resistenza. Il monel in fase di calata in acqua, presenta dei grossi problemi relativi alla forza centrifuga della bobina libera. Il sistema più corretto per calarlo in acqua è quello di tenere la frizione leggermente stretta e sbobinare il terminale e i primi 30 - 40 metri di monel, tirandoli fuori con le mani dal cimino della canna. Una volta che l'esca e il monel avranno un loro peso in acqua, si può aprire il freno e calare la rimanente quantità di lenza, tenendo sempre il pollice sulla bobina. La traina con il monel e con gli artificiali, s'intende con minnow affondanti. Considerando che si andranno a insidiare prevalentemente spigole, dentici e palamite, possiamo restringere la scelta alle misure che vanno dagli 11 ai 18 cm, considerando che i più usati sono i 14. La traina con il monel nonostante costringa a calare in acqua quantità molto alte di lenza, per raggiungere le alte profondità, garantisce l'affondamento anche a 4-5 nodi. Al monel va collegato il terminale in nylon che, a seconda della trasparenza dell'acqua, può variare dallo 0,40 allo 0,60. La lunghezza del terminale può variare dai 10 ai 20 metri, a seconda delle preferenze personali. Trainando a 4 nodi, si può pescare dagli 11 ai 22 metri, tenendo presente che se

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l'esca lavora a quota 22 si possono battere fondali fino a 27 - 28 metri. Per avere dei parametri di regolazione sulla lenza da calare in pesca, bisogna mettere dei segnalini di riferimento sul monel. Si possono effettuare delle prove con un artificiale privato delle ancorette, procedendo a velocità di traina su varie profondità. Quando l'artificiale tocca il fondo, si recuperano 4 - 5 giri di mulinello e si inserisce un segnalino con del cotone cerato o con filo di nylon colorato. Ad ogni segnalino corrisponderà una profondità.

TRAINA CON IL VIVO

La traina con le esche vive, mira alla cattura di grandi predatori pelagici e stanziali, ne conviene che nella maggior parte delle situazioni ci troveremo di fronte avversari di buona taglia e molto combattivi. Alcune componenti dell'attrezzatura sono condizionate dal sistema d'affondamento scelto, e non sempre un'attrezzatura può essere valida per più soluzioni. Si usano attrezzi che variano dalle 12 alle 30 libbre.

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Il calamento per l'innesco dell'esca viva è più o meno standard, ed è composto da due ami; il primo, 3/0 o 4/0, ha il compito di trascinare l'esca, il secondo, 5/0 - 8/0 è destinato a ferrare il pesce. I due ami vanno legati sul terminale, a una

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distanza che sia compatibile con la lunghezza dell'esca, oppure si può montare il primo amo scorrevole, inserendo l'occhiello nel terminale e fissando l'amo con un pezzettino di filo di nylon o di dacron. L'esca più usata è l'aguglia e s'innesca con il primo che va a chiudere il becco dal basso verso l'alto, mentre il secondo viene inserito sotto pelle all'altezza del foro anale. La seconda esca regina è il calamaro, anche se non facile da reperire in buona salute, è incredibilmente catturante. S'innesca con due ami di cui il primo inserito dal basso verso l'alto in punta alla parte anteriore del cefalopode, ed il secondo inserito nel tubicino di scarico posto nella parte inferiore della testa. Stesso innesco per la seppia, meno catturante nei confronti delle grandi ricciole, ma valida per tutti gli altri predatori. Passando a pesciolini di forma tradizionale, si procederà a un innesco simile a quello dell'aguglia, ma l'amo trainante invece che chiudere il becco, andrà a chiudere la bocca. Il sistema d'affondamento più usato si basa sull'applicazione di un piombo sulla lenza. Tale peso viene denominato guardiano per la sua particolarità di salvaguardare l'esca dal fondo. Il piombo guardiano viene collegato alla lenza tramite uno spezzone di nylon lungo 1,5 - 2,0 metri e di diametro inferiore a quello della lenza in bobina. Il piombo guardiano si aggancia a circa 20 metri dall'esca. La pesca con il piombo guardiano permette di far lavorare l'esca a strettissimo contatto con il fondo, segnalando gli incagli immediatamente. In questo modo si possono andare a esplorare tutti i cigli e le cadute, avendo come campanello d'allarme il guardiano. Tale sistema permette di pescare fino a 50 metri di profondità, ma a velocità bassissime, in alcuni casi inferiori al nodo, per non dover calare in acqua eccessiva lenza, con conseguente perdita di sensibilità al momento dell'abboccata. Una volta calati terminale ed esca ed agganciato il piombo, si fila la lenza, fino a sentire che

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tocca il fondo. Si ripete poi l'operazione ogni tanto per controllare a che distanza il piombo è dal fondo e si recupera lenza nel mulinello se la profondità diminuisce. La traina di fondo con le esche vive, si basa principalmente sulla ricerca dei predatori in caccia intorno alle secche. Tutta l'azione di pesca va impostata sulle informazioni fornite dall'ecoscandaglio. Sarà lui a indicare dove cercare i predatori in base ai piccoli pesci ed alla tipologia del fondale. Le principali zone dove è possibile avere buoni risultati sono le cigliate rocciose, situate ai bordi delle secche dove si raggruppano i piccoli pesci favoriti dalle correnti e dalla presenza di micro organismi, base della catena alimentare marina. Questa situazione rende favorevole la caccia per gran parte dei predatori, che alle volte si stabiliscono in branco anche per lunghi periodi, in zone limitrofe alle secche. L'abilità consiste nel riuscire a far passare le esche sulle cadute, seguendo accuratamente l'andamento delle cigliate e tenendo le esche sempre in prossimità del fondo. La preda principale di questa pesca è la ricciola. Gli esemplari di peso fino a 5 chili, si possono catturare da giugno a tutto novembre, mentre quelli adulti arrivano a fine agosto, per poi scomparire improvvisamente, per acque più profonde e con temperatura più costante. La traina alla ricciola si effettua su fondali superiori ai 25 metri e risultano più proficue le ore centrali con il sole alto ed il pomeriggio. In genere attacca le esche da sotto le cigliate, dove si mette in agguato, ma può essere ferrata anche a mezz'acqua. Insieme alla ricciola, si può insidiare il dentice, che frequenta le stesse aree a parte qualche puntata in acqua più bassa. Il dentice può essere pescato durante tutto l'arco dell'anno, prediligendo i fondali tra i 18 ed i 28 metri in primavera ed estate, e quelli fino a 50 metri nei mesi freddi. È più attivo nelle prime ore della mattina. Un altro classico di questa tecnica è la leccia. Si pesca come la sua parente ricciola, soltanto che predilige le aree al di

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sopra delle secche anziché le cigliate, inoltre sembra essere più attiva con il sole basso del tramonto o dell'alba. Oltre a queste prede classiche, ci sono tutta una serie di altri predatori che possono rimanere vittima dell'esca viva.

TRAINA D'INVERNO

Nonostante la temperatura esterna raggiunga punte molto basse, all'inizio dell'inverno l'acqua non si è ancora portata alle temperature fredde. Anzi, specialmente nel sud, si possono ancora riscontrare delle temperature autunnali. Questo è indicativo per poter tentare ancora la traina con il vivo alle ricciole. Questi pesci, infatti, cominciano ad allontanarsi verso profondità in cui la temperatura dell'acqua è costante, proprio con

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l'arrivo dell'inverno, ma in alcune zone si trattengono fino a dicembre inoltrato, consentendo ancora qualche bella cattura. Sono da considerare due fattori principali per questa tecnica: la presenza delle aguglie sulle secche e l'arrivo dei calamari. Entrambi questi fattori possono garantire la presenza dei grandi pelagici. Comunque, in questo periodo sono sempre presenti le ricciole di 2-3 chili, che attaccano volentieri anche le esche artificiali. Gli altri pesci predatori ancora presenti o in arrivo in dicembre sono i dentici, le palamite e le spigole. Trattandosi di traina invernale, bisogna partire dal presupposto che i predatori abituali di questa tecnica, con il raffreddarsi delle acque, tendono a scendere di fondale per garantirsi una temperatura più costante. Questo condiziona abbastanza le tecniche di pesca e di conseguenza le attrezzature. La traina invernale ancor più che quella autunnale o primaverile, si pratica a fondo, quindi il tutto sarà impostato per garantire le esche in prossimità della fascia d'acqua a stretto contatto con il fondale. Prenderemo in considerazione la traina con le esche artificiali, usando come sistemi d'affondamento, il monel, le piombature dirette o l'affondatore a palla (downrigger). Le esche artificiali più impiegate d'inverno e che in alcune condizioni e con alcune prede, danno ottimi risultati sono i minnow con paletta metallica nelle misure che vanno dai 9 ai 14 centimetri. Per quanto riguarda le colorazioni, rischiamo di entrare in una diatriba senza fine e senza soluzione, di conseguenza cercheremo di seguire un filo logico e di adattarci alla realtà. La realtà va intesa partendo dalla considerazione che un'esca artificiale non va assolutamente vista come la vediamo noi, bensì con le colorazioni che assumerà in acqua ed in corsa. Da questo presupposto, deve partire la scelta dell'esca a seconda della condizione. I fattori che influenzeranno ulteriormente la scelta dell'esca, sono: la profondità d'azione, la trasparenza dell'acqua e la

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mangianza presente in loco. Per fare un esempio, mettiamo il caso ci siano delle condizioni di acqua torbida e cielo coperto, la scelta ricadrà su un'esca dai colori brillanti, mentre con il sole alto, opteremo per un'esca scura. Così come se la mangianza principale è composta da sardine, caleremo una colorazione simile. Ci sono sempre però, le colorazioni inesistenti in natura, quelle, in genere, vengono scelte secondo esperienza personale e molto spesso, sono proprio quelle a dare i risultati più incredibili. La pesca si effettua su fondali varianti tra i 12 ed i 25 metri, in quanto sono le fasce dove è più probabile incontrare i predatori invernali. La morfologia del fondo ideale è quella mista alga e roccia, anche le pozze di sabbia isolate tra le alghe sono un buon punto di riferimento. La pesca con le esche artificiali si effettua ad una velocità compresa tra i 3,5 ed i 5 nodi. La montatura standard per downrigger è composta da 2 metri di doppiatura sulla lenza madre, girella e 1,5 metri di terminale. Si calano in acqua 50/60 metri di lenza, si aggancia alla pinza e si cala a velocità di traina, fino a raggiungere la profondità stimata. Le piombature dirette si inseriscono su una doppiatura di 2/2,5 metri effettuata sulla lenza madre. Tramite una girella che passi tra gli anelli, si aggancia il terminale che sarà lungo dai 7 ai 15 metri a seconda delle esperienze personali. La zavorra varia tra i 250 ed i 500 grammi a seconda della profondità e della lenza calata in acqua. Per finire, il monel è l'ultimo e forse il più funzionante sistema d'affondamento. A questo si fissa una girella che passi tra i passanti con un nodo a spirale apposito per il monel, a tale girella si lega il terminale lungo una quindicina di metri. Per la quantità di monel da calare ci regoleremo effettuando delle prove ed inserendo dei segnalini effettuati con del filo colorato. È da tener presente che sia con il monel che con piombature

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dirette, in virata, le esche tendono ad abbassarsi, con relativo rischio di ferrata sul fondo. Pescando con esche artificiali le prede classiche dell'inverno sono la spigola, il dentice e la palamita, ma non di rado può capitare di ferrare ricciole di branco, o tonnetti. Comunque, è questo il fascino della traina invernale: vale la pena di qualche pescata a vuoto e, con un pò di costanza, il pescatore insistente viene sempre premiato.

TRAINA CON LA SEPPIAMai come in questo periodo dell'anno le condizioni atmosferiche e la stagionalità influenzano le tecniche di pesca. L'acqua raggiunge le temperature minime di tutto

l'arco dell'anno, accumulando il freddo invernale. I predatori rallentano notevolmente l'attività di caccia, in attesa della primavera, stagione in cui inizieranno l'accoppiamento. Questo però non è limitante ai fini della traina, anzi proponendo l'esca giusta al momento giusto, molti predatori possono essere stimolati e ingannati come in qualunque periodo dell'anno. Da anni la seppia viene considerata una delle regine nella traina con esche naturali, per le nuove generazioni di pescatori però, ci possono essere alcuni dubbi su come utilizzare al meglio questo cefalopode. Spingiamoci fino a sviscerare la traina con quest'esca, sia viva che morta. La seppia si porta nel sottocosta con l'arrivo dell'autunno,

raggiungendo il massimo della sua presenza da gennaio a marzo. Nel periodo di accostamento delle seppie, i predatori si dedicano quasi esclusivamente alla loro caccia, rendendo

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quest'esca una delle più funzionanti nella stagione fredda. Per avere buone possibilità di successo, sarà necessario disporre di seppie vive (pescate il giorno stesso) o freschissime (avute dai pescatori direttamente dalle reti appena salpate). La seppia viva va mantenuta in una vasca con riciclo continuo, considerando che questo cefalopode ogni volta che si sente in pericolo spruzza grandi quantità di inchiostro, inquinando l'acqua della vasca e compromettendo l'integrità degli abiti dei

pescatori. La seppia in genere si innesca con due ami, il primo del 5/0 in punta alla sacca anteriore, inserito dal basso verso l'alto, il secondo del 7/0-8/0 dentro il tubicino di scarico presente in basso tra la testa e il corpo, inserito in modo che la punta dell'amo volga verso il basso. Tale innesco prevede una rapida ferrata non appena si avverte l'attacco del predatore. La ricciola afferra la seppia in punta, mentre il dentice la morde sui tentacoli. Molto spesso quest'esca viene aggredita anche da altri pesci non propriamente predatori. Tanute, pagelli e prai sono in grado di dilaniare l'esca, rendendola inservibile per altre prede più nobili. Alle prime esperienze conviene innescare a tre ami, riducendone le misure ed inserendo il terzo amo tra i tentacoli. La traina con la seppia si effettua prevalentemente con il piombo guardiano. Questo sistema d'affondamento consente di far lavorare l'esca guidandola sotto le cigliate e le cadute delle secche, aree dove i predatori si appostano generalmente in caccia. Nel periodo invernale è importante cercare quelle zone in cui i predatori trovano da mangiare senza un eccessivo dispendio di energia. Con l'aiuto di un buon ecoscandaglio è possibile individuare la minutaglia e cercare di far passare le esche vicine al fondo, in quell'area.

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Trainando con il piombo guardiano, ed in particolar modo con il multifibra in bobina, è possibile avere un contatto diretto con l'esca, sentendo immediatamente la "toccata" del pesce. Per coloro che iniziano o che non hanno molta esperienza di questa tecnica, è preferibile pescare con la canna in mano e concedere lenza quando si avverte l'abboccata. La traina con la seppia viva può essere veramente molto redditizia, l'importante è individuare l'area giusta e far lavorare le esche seguendo le informazioni dell'ecoscandaglio.

L'ARTE DI FINGERE

Per la traina di altura l'uso delle esche artificiali è diffuso, ma non troppo. Nelle nostre acque i predatori che si possono insidiare con un pesce finto, una piuma o un cucchiaio, non sono poi molti, a differenza di altre parti del mondo dove questo tipo di esca è assai diffuso. Ma i pesci mediterranei, e in particolare quelli che passano al largo delle nostre coste, sono smaliziati, non si fidano di un'insidia che non è

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buona da mangiare, anche se si tratta di un'imitazione ben fatta, presentata come si deve. Per questo, la prima cosa da prendere in considerazione è il tipo di pesce che si desidera insidiare. I pesci muniti di spada, come le aguglie imperiali e lo stesso pesce spada, e con essi gli squali, non si curano neppure di un' esca artificiale, che i primi potrebbero anche giungere ad afferrare, ma che rifiuterebbero sicuramente, visto che nel loro modo di predare c'è un momento di sosta del cibo nella bocca prima di inghiottire. E le esche artificiali, morbide o rigide, non hanno sapore di pesce fresco e vengono quindi sputate. Il problema diviene ancora più evidente con gli squali che, dotati di notevole olfatto, non si lasciano certo ingannare da una cosa che con il loro cibo non ha niente a che fare.

Tuttavia vi sono specie che attaccano l'esca artificiale metodicamente, se essa viene loro presentata come le circostanze richiedono. Fra di esse si possono citare i tonni, i tonni di branco, le alalunghe, le palamite e le lampughe, che della traina sono così i bersagli principali. Ancora una volta siamo in mare con Roberto Steiner che, pur preferendo i suoi sistemi di traina con esche naturali, non rifiuta l'artificiale e ne conosce i segreti di impiego.

"Ci sono due tipi di traina - sostiene Steiner - quella prettamente di superficie e quella profonda, e con questa seconda intendo sia quella a mezz'acqua che quella veramente a fondo. Le differenze sono enormi, sia perchè si tratta d'incontrare pesci del tutto diversi, sia perchè cambiano le esche, le montature, gli attrezzi, la velocità di spostamento della barca, e le tecniche di pesca. Mi viene da sorridere quando vedo usare degli artificiali in modo casuale o addirittura controproducente. Si - continua Steiner - c'è molta confusione in materia".

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Egli sostiene che esiste una serie di motivazioni di tipo scientifico che porta un pesce ad attaccare un'esca imitante o a rifiutarla. Al di là delle ragioni teoriche ( sulle quali sarebbe poco utile il dissertare) rimane

il fatto che alcune specie apprezzano un tipo di artificiale in un modo statistico, così da poter far affermare che si tratti di un'esca sicura. In altre parole, se trainando con una piuma da 20 centimetri ad un metro dal pelo dell'acqua, in cento uscite di pesca si avessero per ipotesi cinquanta abboccate di tonni, significa che quella esca è adatta per quel pesce, in quelle circostanze. Ma ciò non vuol dire in assoluto che lo sia sempre. Perciò, in linea di massima, si può tentare un quadro di preferenze. Tonni, lampughe, alalunghe, palamite, sembrano preferire le piume di tipo giapponese, nei vari colori e dimensioni nelle quali sono disponibili. Spostandosi più sottocosta (sempre traina, ma non più in mare aperto), le ricciole possono attaccare sia le piume che i cucchiai,

mentre sul fondo i dentici sono attratti dai cucchiaini luccicanti. Sono funzionali anche i grandi pesci finti che imitano sgombri, sugarelli, aguglie, o pesci di fantasia, ma

bisogna saperli usare, pena l'insuccesso più assoluto. Steiner sostiene che anche nella traina si possa eseguire una sorta di pastura, appunto "a traina". Si tratta di mettere in acqua a poppa della barca un sacco di brumeggio speciale (e magari anche una rete con le sarde pestate), così da creare una scia dietro la barca stessa che procede battendo vaste zone di mare, con un'andatura che tenga conto del tipo di pesce che si vuole insidiare. Se si riesce a mettersi nella scia, ad esempio, un tonno attratto dagli odori della pastura, rilevandolo sullo schermo dell'ecoscandaglio, si deve far in modo che l'incontro del pesce con l'artificiale sia come casuale, ma che avvenga.

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Come si sceglie una piuma per trainare a tonni? Soltanto l'esperienza propria, unita a quella di altri pescatori che operano nella stessa zona, potrà dire dimensione e colore

di una piuma. Basti pensare che esche artificiali risultate ottime nel Mar Ligure sono divenute non pescanti nell'alto Adriatico.

Un criterio che è risultato valido (a parità di acqua, temperatura, momento stagionale) è il seguente: impiegare piume di tipo chiaro, quindi bianche, bianche/gialle, bianche/rosa, dall'alba fin verso mezzogiorno; poi, nelle ore di massima luminosità, dalle 12 alle 15 circa, scegliere piume più scure, rosse, giallo scuro, giallo/blu, giallo/verde; quindi, nelle ore successive tornare alle precedenti. Una citazione va fatta a proposito di un artificiale che viene realizzato artigianalmente. Si tratta di un pesce finto, di circa 30 centimetri, che somiglia molto ad uno sgombro; armato con un amo singolo di notevole dimensione, ha al suo interno una piccola cavità, con apertura posteriore, all'interno della quale si può inserire un prodotto attirante ( o il materiale da pastura). Mentre viaggia, questa esca conserva un odore naturale ed emana anche, attraverso il tappetto in retino metallico, una specie di piccolo alone attirante; se un pesce è arrivato in scia ( o si è riusciti a portarcelo) avvicinandosi a questo artificiale ne sentirà l'odore che sembrerà molto naturale.

Steiner dice che in materia di traina è difficile dare consigli, perchè mentre un'esca naturale è un boccone prelibato sempre e comunque, un artificiale è infinitamente più soggetto ai capricci del mare e delle sue condizioni, alla singola volontà di reazione di ogni grande pesce. Sostiene anche che non si può andare a traina a caso, ma che si deve provare nella stagione idonea per ogni singola specie.

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Quindi, solo dopo che si è accertata la presenza del pesce conviene uscire ad incrociare sul mare.

Steiner per pescare con gli artificiali preferisce le giornate nelle quali il mare non è perfettamente liscio, ma ha quella sorta di increspatura che lo rende ruvido senza essere molesto. "Si sta meglio in barca - dice - con un po' di vento e i pesci hanno meno buona la visione dello scafo da sotto e l'esca sembra più vera".

Convinto assertore della "scientificità" della pesca, insiste sull'importanza dello studio da parte di ogni singolo angler dell'intera azione. Per stabilire con una base di certezza l'efficacia di un'esca artificiale, occorre rilevare per ogni singola giornata molti elementi: la data - le condizioni meteorologiche generali - le condizioni meteorologiche dei diversi momenti del giorno - la situazione della superficie del mare (liscia, increspata, mossa,ecc) - la trasparenza delle acque - la temperatura delle acque - la presenza di correnti - la presenza o meno di pesce di mangianza e sua natura - la presenza o meno di uccelli e loro comportamento - la direzione del vento dominante - la direzione della barca rispetto al vento - le diverse velocità tenute dalla barca - l'uso o meno di eventuali pasture e loro natura - colori e dimensioni delle esche usate - ore di impiego delle singole esche - profondità di lavoro delle esche - tipo di finale impiegato con le esche - montature dei finali - lenza madre usata - mulinello impiegato - canna usata - rapporto fra canna, mulinello, lenza, finale, esca - più canne operanti insieme e come - comportamento a bordo durante l'azione di pesca (rumori, movimenti, ombre, ecc) - in caso di abbocchi, ora e condizioni dell'attacco del pesce - tenuta dell'amo o degli ami - lotta e recupero - osservare dove il pesce è rimasto agganciato e come.

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Con tutti questi elementi, esaminati alla fine di una stagione, si possono trarre conclusioni e dare giudizi. Ma la pesca, viene fatto di chiedersi, non è un divertimento? A qualcuno, sotto certi profili, può sembrare un

lavoro. E quanto detto pare essere tutto, e tuttavia non è tutto. Vi sono altre cose da memorizzare che sono solo figlie dell'istinto e di quel certo che in più che di un pescatore fa un grande pescatore sportivo. Vero, Steiner?

BOLENTINO DI ALTO FONDALELe nostre prede saranno rappresentate da saporiti occhialoni (sono il piatto forte), da merluzzi di ogni taglia, da grossi scorfani di fondale, da pesci lama e sugarelli di dimensioni super, da gronghi enormi, da grandi scorfani rossi, da prelibate gallinelle conosciute anche come cocci o caponi; altri possibili clienti potranno essere le cernie, le razze e, addirittura, i pesci spada e gli squali in genere; salve comunque ulteriori impensabili sorprese. Naturalmente, per stare tranquilli, occorrono barche veramente da mare, lunghe non meno di 8 metri, con motorizzazione doppia e veloce, strumenti di radio posizionamento, ecoscandagli di portata considerevole, skipper forniti di buone capacità di navigazione, equipaggi sufficientemente numerosi (almeno tre persone) e tanta tanta passione.

Il teatro e i tempi di pescaCi troveremo sempre in grande altura su secche che si elevano da profondità abissali per salire a "poche" centinaia di metri. Solo nei bacini ove i fondali precipitano già in prossimità della costa potremo pescare con la terra ancora in vista. Di norma le postazioni migliori sono quelle

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caratterizzate da considerevoli dislivelli. Per l'individuazione delle secche sono sufficienti talvolta, come ho ripetutamente constatato di persona, le indicazioni forniteci dalle comuni carte nautiche; sono molto valide le informazioni che, se saremo fortunati, potremo ottenere dai colleghi sportivi meno abbottonati e dai professionisti specializzati nella pesca con reti da posta e parangali di fondo; sono eccellenti i dati rilevati da noi stessi durante qualsiasi tipo di navigazione per mezzo del nostro ecoscandaglio; queste esplorazioni potranno portarci alla "scoperta" di formazioni subacquee non riportate nella cartografia marittima e tenute segrete dai pochi che le conoscono o, al limite, completamente sconosciute ove, come è ovvio, la fauna demersale sarà sempre più abbondante e più disponibile che altrove. Naturalmente ogni "punto buono", comunque rilevato, sarà inserito nella memoria della strumentazione elettronica di bordo.Il bello di questo particolarissimo tipo di pesca dalla barca consiste nel fatto che di norma - e fatta salva una lieve priorità per i mesi più freddi - non ci sono stagioni o orari più o meno precisi cui riferirsi; ciò in quanto, indipendentemente dai tempi, potremo sempre imbatterci in una o in diverse specie demersali presenti in loco a rotazione nei vari periodi dell'anno. Potremo insomma pescare in ogni stagione ed a qualsiasi ora sempreché, si intende, le condizioni meteomarine siano orientate verso il bello stabile.

Le attrezzature pescantiNon sembra male soffermarci sugli attrezzi più adeguati per praticare la pesca specifica della quale ci stiamo occupando. Precisiamo che le indicazioni che seguono sono valide per fondali alti fino a 200-250 metri, i più praticati e praticabili a livello dilettantistico nei nostri mari; man mano che cresce la profondità la potenza degli attrezzi dovrà essere progressivamente aumentata soprattutto per quanto attiene

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al diametro dei fili (lenza madre e terminale), alle zavorre ed alla dimensione degli ami. Tanto per fare un esempio di libbraggio del dacron della lenza madre che parte da un minimo di 20 potrà salire fino a 80, il diametro del nylon dei finali potrà passare dallo 0,60 al 100, il peso dei piombi potrà aumentare dai 2-3 etti fino a raggiungere il chilo; lo stesso discorso vale anche per i mezzi di recupero delle lenze.

Andranno benissimo delle robuste canne "da barca" di lunghezza compresa fra i due ed i tre metri, con azione di punta piuttosto rigida. I relativi mulinelli saranno a tamburo fisso con bobine di elevata capienza, tali cioè da contenere almeno 300 metri di dacron da 30 libbre; potremo impiegare anche normali canne da traina supportate dai rispettivi mulinelli (a tamburo rotante) purché questi ultimi siano almeno del numero 6/0 al fine di evitare che il salpaggio della lenza richieda tempi veramente interminabili. In questi ultimi anni si è andato affermando un nuovo attrezzo ideato e prodotto in varie versioni da una casa italiana (la cuneese Kristal Fishing) che ha la funzione di salpare con rapidità e tranquillità centinaia e centinaia di metri di lenza. Questo accessorio, che è normalmente fornito di apposita canna, è ad azione manuale o elettrica con frizione autoregolante in rapporto al peso ed alla resistenza opposta dalle prede da portare in superficie. E' utile in ogni caso ma, ripeto, diventa pressoché indispensabile quando si superano i 250 metri. Per completare il discorso debbo aggiungere che anche il semplice "downrigger" da traina, imbobinato con il dacron in luogo del cavetto in treccia di acciaio, può assicurare recuperi abbastanza rapidi ed ordinati. Il filo più adatto è il dacron il quale, data la minore elasticità rispetto al nylon, consente di avvertire meglio le "tocche" anche se non violente; è preferibile orientarsi verso le basse sezioni (dalle 20 alle 30 libbre) per ridurre al massimo l'inclinazione delle lenze determinata dalle correnti sottomarine o dallo

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spostamento della barca. In proposito giova sottolineare che, anche con tali ridotti libbraggi, avremo entro certi limiti la possibilità, facendo un accorto uso della frizione, di aver ragione di prede di notevoli dimensioni e combattività. Non bisogna infatti dimenticare che la generalità degli organismi che hanno il loro habitat abituale in prossimità del fondo perdono gran parte delle forze, fino all'esaurimento completo, quando vengno velocemente sollevati verso la superficie. Ricorreremo invece al nylon per costruire i terminali. Questi, nella versione standard, consteranno di un corpo di lenza dello 0,60 lungo da metri 1,50 a metri 6 e recheranno sei braccioli con i relativi ami, numero massimo consentito il bolentino sportivo. All'inizio e alla fine del "corpo" piazzeremo due robuste girelle con moschettone destinate la più alta al collegamento con la lenza madre e la più bassa all'aggancio del piombo. I braccioli, in nylon dello 0,50, saranno lunghi 15-20 centimetri e scaglionati mediante l'impiego di girelle a tre vie, ad identici intervalli. Gli ami (a paletta, stagnati, corti, dritti o appena storti) saranno dei numeri compresi dal 13 al 9 (vedi Nautica n. 411 del 1996 a pag. 98) ovvero, secondo una diversa tabella di uso abbastanza corrente, dal n. 4 al n. 2/0. Solo se ci capiterà di imbatterci in branchi famelici di pesci lama o sciabola sarà giocoforza sostituire temporaneamente i braccioli di nylon con altri di treccia metallica munita di guaina termosaldante da 20-30 libbre. In questi casi, per rendere più sicura la tenuta del nodo, occorrerà impiegare ami ad occhiello.

Il piombo ideale è a cono, a piramide o a sfera. Esso - in rapporto alla profondità, alla corrente, alla sezione della madrelenza ed alla circostanza che si peschi sull'ancora o in deriva - sarà di peso variabile compreso fra i 300 e i 500 grammi. L'apposito disegno riassume i dati essenziali per la costruzione di un finale nella più semplice versione di soli due metri.

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Un sistema di richiamo che è indubbiamente utile nel buio profondo in cui lavoreranno le nostre esche è costituito da un comune starlight inserito, mediante uno spezzoncino di scoubidou, a stretto ridosso dell'occhiello della girella a tre vie alla quale è legato il bracciolo (vedi disegno in alto).Altri attrezzi necessari sono il coppo sempre a bocca larga, il gancio di ferraggio, le pinze per slamare le prede più pericolose, i guanti, capienti contenitori di plastica per le esche e per il pescato, una o più panciere da combattimento.

L'ancoraggioAnche in altura si può pescare in deriva; ma, salvi i casi particolari di cui parleremo in seguito, è assai più agevole e meno complicata la pesca a fermo. All'uopo avremo bisogno di un'ancora speciale, ossia di quella con gambo lungo e con bracci in tondino di ferro o di acciaio che, in caso di incaglio, si piegano o si addirizzano in modo da liberare l'attrezzo.Ancore di questo tipo sono ormai reperibili in commercio e non è quindi necessario, diversamente da quanto avveniva fino a pochi anni or sono, farsele costruire appositamente; indicativamente esse debbono pesare circa un chilo per ogni metro di lunghezza della barca. In ogni caso, una ulteriore cautela volta ad evitare la perdita del "ferro" è la cosiddetta armatura alla genovese. Per assicurare la tenuta dell'ancora si suole inserire fra quest'ultima e la cima che la sostiene un tratto di catena pesante 3-5 chili e lungo dai 5 ai 10 metri; se anche così la barca continua a spostarsi non resta che legare, a monte della catena, un peso pari suppergiù a quello dell'ancora costituito di solito da un cubo di cemento fornito di maniglioncino metallico. In vari casi, quando cioè il fondale presenta alte e frequenti formazioni rocciose, converrà calare, al posto dell'ancora (che, nonostante ogni cautela adottata, rischierebbe di andare persa), un semplice "rampino" costituito da un collarino metallico cui sono saldati

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i bracci privi di marre, anch'esso reperibile nei negozi specializzati.Per recuperare l'ancora con il verricello occorrono tempi esasperatamente lunghi. Invece l'operazione risulterà molto

più rapida se adotteremo il seguente sistema che ho sperimentato solo di recente: legheremo ad un grosso parabordo un cerchietto in tondino di acciaio con sezione di 5-6 millimetri e diametro di 10-12 centimetri; entro questo cerchietto scorrerà la cima ; dando motore e procedendo in linea retta vedremo il parabordo allontanarsi sempre di più dalla nostra poppa fino al momento in cui, scavalcata la catena, si fermerà a cavallo fra questa ultima e l'ancora mantenendo il tutto in superficie; a questo punto faremo descrivere alla barca un'ampia curva per

portarci in prossimità del parabordo e potremo recuperare a mano velocemente e senza sforzo cima, ancora, catena ed eventuale zavorra aggiuntiva.

La scelta del postoRaggiunta la secca prescelta dovremo individuare il posto ove calare le nostre lenze. Come di norma, escluderemo i pianori che formano il culmine delle formazioni subacquee e cercheremo invece di portarci sulle "cadute" che, di solito ma non necessariamente, insistono sui bordi esterni della secca; dico non necessariamente in quanto può capitare che, all'interno del sistema orografico sottomarino sul quale ci troveremo, ci siano alture e depressioni con relative scarpate e vallate, esattamente come avviene su ogni lembo montuoso o collinare di terraferma che si rispetti. Una volta fatta la nostra scelta dovremo cercare di stabilire la direzione di spostamento della barca provocata dal vento e/o dalla corrente. La cosa più semplice è questa: caleremo un

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segnale in polistirolo con bandierina e zavorra destinato ad immergersi quanto

serve per mantenere l'asta della bandierina in posizione verticale; fermeremo la barca tenendo bene d'occhio il segnalino (che ovviamente non resterà immobile ma si muoverà ad una velocità notevolmente ridotta), potremo fare i nostri conti con notevole approssimazione; dopodiché, partendo dal punto rilevato, risaliremo il vento e la corrente di qualche decina o centinaia di metri (la distanza la dovremo dedurre dalla profondità e dalla velocità di spostamento della barca) e caleremo l'ancora; se avremo fatto per bene i nostri calcoli, dopo qualche minuto, ci troveremo fermi sul punto prescelto o nelle sue immediate adiacenze.

L'azione di pescaL'esca sovrana è rappresentata dalla sardina che, oltre ad essere la più gradita dai nostri amici che vivono negli abissi, è di solito reperibile fresca in ogni periodo dell'anno e, anche se surgelata, conserva in gran parte il suo potere attirante. L'innesco classico è quello a tocchetti (3-4 pezzi per ogni singola unità); ma può risultare proficuo anche guarnire qualche amo con una sarda intera ovvero tagliata a metà. Le alici, a parte il maggior costo, valgono quasi quanto le sarde. Altre esche, integrative non alternative, possono essere costituite da filetti di totano o calamaro, da piccoli polpi o seppie.Nel calare le lenze, specie se la zavorra sarà pesante, dovremo avere l'accortezza di rallentare un po' la fuoriuscita del filo onde evitare che, per effetto della velocità, i braccioli si attorciglino intorno al corpo del terminale. Una volta raggiunto il fondo recupereremo alcuni metri di lenza e li cederemo nuovamente fino a portare il piombo a "tocca e non tocca". Di regola il filo viene tenuto con le dita per avvertire più percettibilmente l'abboccata; quando la

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sentiremo daremo una strattonata per ferrare ma non procederemo subito al recupero in attesa di probabili attacchi di altri pesci ad altri ami; dopo questi ulteriori attacchi o, in loro mancanza, dopo qualche minuto di attesa provvederemo al salpaggio. Naturalmente, se la toccata sarà molto forte tanto da farci ritenere di aver agganciato un pesce singolo di dimensioni extra tireremo subito su senza concedere un attimo di tregua al signore attaccato dall'altra parte. In questa fase, se opereremo manualmente, dovremo accentuare o alleggerire alternativamente la trazione tenendo conto della resistenza oppostaci; saranno poi le dimensioni della preda a suggerire al momento cruciale se impiegare il coppo oppure il gancio. Un sistema diverso da quello con la lenza in mano consiste nel disporre le canne in posizione quasi orizzontale e tenendo sotto attenta osservazione i loro vettini: quando ci avremo fatto un po' l'occhio le flessioni di questi ultimi ci faranno sapere con quasi assoluta certezza, quello che sta accadendo sul lontano fondale. Qualche volta potrà succedere che, durante la cala o il recupero della lenza, avvertiamo una improvvisa e forte strattonata: di solito si tratterrà di un pesce lama o sciabola il quale, nel 90% dei casi, trancerà con la sua formidabile dentatura il bracciolo recante l'amo sul quale si era avventato. In siffatta ipotesi - specie se l'evento rapina si ripeterà più di una volta e fino a quando il branco si manterrà sotto la barca - non ci resterà altro da fare che sostituire, come già detto, i braccioli di nylon con alri in cavetto metallico plastificato termosaldante da 15-20 libbre. Attenzione: i pesci lama mangiano quasi sempre sopra la mezzacqua, difficilmente sul fondo.

La pesca in derivaPotremo avere la fortuna di incontrare la giornata adatta per la pesca in deriva: assenza assoluta o quasi di vento e di correnti di superficie e di fondo. Ma, purtroppo, in grande

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altura questo accadrà molto di rado. Per contro la barca tenderà di solito a muoversi più o meno velocemente anche se avremo tentato di rimediare all'inconveniente mettendo in acqua una buona ancora galleggiante.Avremo la possibilità di scegliere una di queste due soluzioni.

1. Portarci a monte del sito buono e, una volta sorpassatolo per effetto dello scarroccio, dare motore per risalire fino al punto di partenza. Questo sistema presenta però il difetto che, per stare in pesca appena qualche minuto, dovremo perdere un sacco di tempo per salpare le lenze, per tornare indietro e per calare nuovamente le lenze stesse.

Pescare con i motori accesi in modo che lo skipper riesca a mantenere la barca ferma sulla base dei dati forniti dall'ecoscandaglio e dalla strumentazione elettronica di posizionamento. Questo è il miglior sistema per pescare su altissimi fondali, direi dai 400 metri in su. Ma addio silenziosa tranquillità di una bella bolentinata!

UN BOCCONE A MISURA DI PESCE

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"Per i tonni giganti - sta dicendo Roberto Steiner - è una questione di istinto. Trovarli può anche essere fortuna, ma i tonni devi sentirli: tu li senti, ma solo tu, gli altri no! Non li vedi, ma ci sono!" Stiamo macinando miglia verso il largo, in Adriatico, per sperimentare esche e pasture per la traina d'altura e per la pesca in deriva. Steiner sta preparando attrezzature con un ordine che denota una lunga esperienza. Dice che quest'anno per i tonni giganti è ancora presto, che si vedranno alla fine di luglio e in agosto, con qualche residuo di presenza in settembre. Ogni tanto si guarda intorno, quasi che potesse capire dove siamo anche se l'orizzonte è una linea a 360 gradi. Si può dire che lui avverta in modo istintivo ciò che accade in mare anche se le mani sono occupate. Quando i segnali misteriosi dell'acqua arrivano ai suoi sensi, la leva del gas dello Yamaha si abbassa e in pochi momenti ci troviamo fermi in un silenzio assoluto. L'ecoscandaglio comincia a sondare sotto di noi, fornendo un quadro pressochè perfetto del fondale, che oscilla fra i 42 ed i 55 metri. La barca si posiziona lentamente secondo il leggero vento che spira e si procede alla deriva spostandosi in modo impercettibile.

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" Per pasturare con efficacia - dice Steiner - occorrono molti dati: la profondità massima, la direzione della corrente di superficie, della corrente a mezz'acqua, della corrente sul fondo; e poi ancora la temperatura dell'acqua a profondità diverse, l'intensità della luce e la

trasparenza del mare nella zona. Perchè per pasturare si devono usare i soliti criteri del quando, come, con che, e per chi". Infatti, anche se la pasturazione è momento di base per il drifting, non si esclude che sia possibile realizzarne un tipo particolare anche per la traina.Lo studio della corrente è determinante per la messa in acqua della pastura. Secondo la direzione in cui tira, si metterà in superficie se si vogliono attirare tutti i pesci predatori o un po' più in profondità per gli squali. Questo per la pesca a drifting, nella quale richiamare la preda vicino alla barca è indispensabile.

Il brumeggio si trova normalmente in vendita nei negozi specializzati, confezionato in sacchetti di rete fitta, ed è costituito da sarde macinate. Si lega il sacchetto solidamente ad una cimetta, lo si appoggia sull'acqua, se ne toglie la plastica di protezione e lo si fissa dove si crede opportuno nella zona posteriore della barca. Così, sul filo della corrente e del vento, da studiare con l'osservazione diretta, si forma una scia attirante che si allarga lentamente. Ciò spiega, dunque, perchè si debba conoscere l'eventuale presenza di correnti a quote diverse: infatti, una scia che in superficie proceda, ad esempio, da Est ad Ovest, potrebbe cambiare direzione, da Ovest ad Est appena qualche metro in profondità, finendo per attirare in realtà il pesce in una zona diversa da quella dove si trova la barca stessa. Per questi motivi, conviene creare una "zona" di attrazione spostandosi piano con la barca descrivendo degli ampi

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circoli o seguendo linee rette parallele allo scopo di coprire superfici più vaste.

Secondo il tipo di pesce, occorre ripeterlo, può variare la profondità ideale per la pastura. Per gli squali conviene porla un poco più in basso: in questo caso, potrebbe essere

conveniente zavorrare con del piombo (o delle pietre) il sacco di pastura e calarlo alla profondità desiderata, avendo anche cura di farlo risalire spesso in superficie. C'è con noi anche Athos Terenzi, titolare dell'armeria di Cattolica, che ha in via Belvedere 35 il suo mondo di caccia e pesca, e che è specializzato nel big game e nelle esche vive. E' lui che ha procurato la pastura, lui che è un altro dei validissimi pescatori di questa riviera adriatica. Ci dice che vi sono degli "angler" che non si accontentano del brumeggio prodotto industrialmente, e che uniscono alle sarde tritate degli "additivi" nei quali hanno fiducia, dai più disparati odori.

Steiner ha fatto muovere la barca secondo le sue precise disposizioni, tracciando un grandissimo cerchio e percorrendolo poi al suo interno. La pastura funziona: l'ecoscandaglio comincia a segnalare branchi di pesce fra gli 8 ed i 10 metri di profondità. Se ne distinguono le macchie che raccontano di pesci non grandi ma in branchi spessi. Si calano le lenze leggere innescate con pezzi di acciuga sotto sale, decisamente solidificati dal trattamento, e cominciano le abboccate. Sono sugarelli, tutti di notevole taglia, una vera e propria massa in spostamento. Ne vengono catturati alcuni e molti sono rimessi in acqua. Steiner sta preparando un' altra pastura. Rovescia in un sacco di rete una cassa di sarde, chiude il sacco, poi comincia a pestarle per trarne i succhi vitali; quindi, cala in acqua il sacco e lo fissa saldamente. In mare si crea un'ulteriore scia attirante. Ci dice che, qualora si avvicinassero dei tonni, la pastura viene

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fatta lanciando a mano singole sarde, fra le quali poi si calerà quella abilmente innescata. Roberto è veramente un personaggio unico: mentre inizia a eseguire le montature per drifting e traina, ha armato delle canne Daiwa filandone le lenze di poppa, e si tratta di una canna da 20 libbre, con lenza da 20 libbre e finale in sottile treccia di acciaio in logica proporzione. Lui cerca ormai da tempo il record del mondo con attrezzatura leggera,

ed ogni occasione potrebbe essere quella buona. Spiega che un finale in treccia di acciaio deve essere lungo al massimo m 4,50 e che serve sempre con lo squalo, anche perchè quando questo è ormai sotto la barca spesso si torce e si arrotola sulla lenza stessa che deve poter resistere. Ha un mulinello Daiwa 3/0, e un paio di palloncini colorati segnalano in superficie l'eventuale abbocco. Ci spiega anche che il finale a lenza doppia non può, in tutto, superare m 6,15: egli è attentissimo a tutte le regole internazionali.

Intanto, per le nostre foto, ci mostra l'innesco del calamaro fresco per il drifting allo squalo, l'innesco della sarda singola e doppia per il drifting al tonno, ed il montaggio di un sugarello e di uno sgombro (catturati sulla barca di Athos Terenzi) per la traina al tonno. Mentre le sue mani si muovono agilmente, ci parla di problemi, di tecniche, di astuzie per la pesca, che la sua esperienza rende categoriche. Ci puntualizza il perchè egli tenga la canna che pesca in superficie con l'esca piuttosto vicina alla barca: si deve evitare che per una qualunque corrente possa essere deviata rispetto alla posizione dello scafo e l'abboccata eventuale possa sorprendere il pescatore stesso. Ci dice che, secondo il pesce che si insidia, si può dover far sostare o procedere l'esca ad una determinata profondità: servono allora dei piombi speciali sulle lenze che si possano liberare

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facilmente o anche dei piombi a perdere.

Le preferenze di Steiner, per la pesca allo squalo, vanno a canne che devono avere la potenza massima di 50 libbre (una di queste sta già pescando), al di sopra della qual

potenza non si è più nella cattura sportiva. Aggiunge che con una canna da 50 libbre un pescatore esperto può catturare anche un tonno di mole. Intanto, l'amo che ha scelto e che ha in acqua è un 4/0. Per un principiante o per chi esperienza non ha, l'amo per lo squalo deve essere dal 6/0 all'8/0, con punta larga e aperta. L'azione di pesca allo squalo prevede che la frizione del mulinello sia libera; si può regolarla mettendo semplicemente la lenza in tensione e, a questa gradazione, lasciarla libera. La frizione si chiude dopo l'abbocco, al momento d'iniziare la lotta. Per questo usa i palloncini (legati con un elastico) che segnalano immediatamente l'abbocco. Per la canna, le preferenze vanno al tipo cavo, in quanto rispetto ai modelli pieni la canna cava risulta più nervosa a parità di potenza.

Steiner spiega anche che nel big game tutto deve essere rapportato: canna, mulinello, lenza, amo, secondo parametri logici che non sono difficili da comprendere. Ed ammette che una cattura lo esalta quanto più difficile essa risulti e minore sia la potenza dell'attrezzatura rispetto alla forza e alla mole del pesce con cui si lotta. Che le esche e le montature preparate siano perfettamente funzionanti, così come la pastura, non vi è dubbio, almeno a giudicare da certi fatti che stanno accadendo. Ma delle catture non si parla in questa occasione: è argomento di un prossimo discorso.

Le attrezzatureLa FASSA di Milano, distributore esclusivo per l'Italia dei

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prodotti Daiwa e Gamakatsu, ha messo a disposizione le attrezzature usate per questa e altre battute di pesca.

MulinelliDaiwa serie "Sea Line Tournament", con doppia frizione e quattro cuscinetti a sfere (sono commercializzati i modelli SLT 30 - 50 - 50 W - 80 - 80 W).Daiwa serie "Sea Line", con freno a stella (sono commercializzati i modelli SL 300H - 400 H - 600 H - 900 H).Daiwa serie "Lever Drag Graphite" con freno a leva e quattro cuscinetti a sfere (sono commercializzati i modelli LD 30 H - 50 H).

CanneDaiwa serie "Tournament AFTCO" libbre 20, con anelli e base AFTCO (sono prodotte da libbre 20 - 30 - 50 - 50 H - 8O - 130 - 130 H - 130 HB.). Daiwa serie "Tournament Standard" libbre 20, con anelli AFTCO e base in neoprene (sono prodotte da libbre 20 - 30 - 50).Daiwa serie "Captain" da libbre 30 - 50 in vetro pieno.

AmiGamakatsu, affilati chimicamente, in acciaio speciale e carbonio, per i grandi pesci mediterranei. La serie 12840 è nichelata, ad occhiello, ideata soprattutto per il drifting agli squali, con punta rientrante, nelle misure 7/0 - 8/0 - 9/0 - 10/0.La serie 12850 è nichelata, con ami dritti a punta alta, per la pesca a drifting dei tonni giganti. Sono disponibili nelle misure 6/0 fino a 13/0. L'occhiello ricavato nel gambo ha resistenza superiore. La serie 12834 propone ami a punta rientrante, sempre ad occhiello, ottimi per drifting a tonni e squali, nelle misure 30/35/40/45/50.

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A pesca in mare aperto

Insidiare i grandi predatori di altura, a traina come a drifting, è un'arte non facile. Dalla conoscenza dei fondali e delle correnti, dalle pasture, dal perfetto uso delle esche, dipende il successo dell'intera azione di pesca. Con l'aiuto di Roberto Steiner, siamo andati a sperimentare le tecniche d'innesco e le pasturazioni più adatte, a bordo di una delle sue barche nate per il big game.

di Alexander "Big G" Mainardi - Foto Fabio Petrone

I PESCI DELL'ESTATE E DEL PRIMO AUTUNNO

Vogliamo parlare in concreto della traina ad alcuni pesci blasonati la cui stagione d'oro coincide, in Italia, con l'estate inoltrata e con l'autunno. In particolare prenderemo in considerazione le grandi ricciole (predatrici indomite che, a

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parità di taglia, detengono il primato assoluto della potenza e della combattività), le grandi lecce, i dentici ed i serra, tutte specie che,

negli accennati periodi, si pescano quasi esclusivamente in prossimità delle coste con esche naturali; parleremo un'altra volta dei tonnetti di branco che preferiscono invece la mezza altura o l'altura e le esche artificiali.

Traina a ricciole, dentici, lecce e serraIn estate-autunno l'esca vincente è quella naturale viva. Primeggia alla grande l'aguglia, seguita dal calamaro, dalla seppia e, a distanza, dalla costardella, dall'occhiata, dal sugarello, dallo sgombro, dalla leccia stella e via dicendo. E' da sottolineare subito che la seppia e il calamaro hanno buone chance anche se defunti e che, in qualche caso, può funzionare pure l'aguglia morta. Così stando le cose non ci resta che approfondire il discorso sull'aguglia e fare solo un breve cenno alle altre esche sopra menzionate.

L'aguglia viva esca regina per la traina costieraPrima di tutto l'aguglia bisogna prenderla. Vediamo dove e come. Questo pesce (che ai nostri fini non dovrebbe essere lungo meno di 25 centimetri) "accosta" in branchi abbastanza consistenti nel periodo estivo-autunnale durante il quale preferisce vivere in acque non troppo profonde (5-25 metri) ricche di formazioni rocciose o nelle loro immediate adiacenze; è facile incontrarla anche a ridosso o in prossimità dei blocchi di calcestruzzo posti a difesa dei moli e degli altri manufatti portuali. L'unico segno sicuro di presenza è rappresentato dai salti fuor d'acqua che i branchi, simili a volate di frecce, compiono all'unisono nella stessa direzione e con la stessa parabola evidentemente per sfuggire all'attacco di predatori più grandi. L'assetto normale per la traina ad aguglie è con due canne, preferibilmente leggere, una a destra e una a sinistra divaricate al massimo

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verso l'esterno; lo spessore della lenza madre non deve mai essere inferiore a quello del terminale: nylon dello 0,18-0,25 a seconda della maggiore o minore limpidezza delle acque lungo 5-6 metri; quando il mare è a specchio può essere conveniente inserire sulla lenza madre un piombino amovibile di 25-50 grammi. L'andatura più catturante si aggira intorno ai 3 nodi. Le lenze vanno filate a 35-50 metri da poppa. L'aguglia è anche lei una predatrice, munita però di rostro; e, come tutti i rostrati, impiega questa propaggine colpendo il cibo vivo navigante per poi ingoiarlo una volta tramortito.

Quest'abitudine comportamentale è stata messa a frutto dai trainisti. In pratica quando si avverte il colpo sulla lenza si mollano, con un ampio e pronto spostamento della canna all'indietro, 2 o 3 metri di filo in modo che l'esca si fermi e l'aguglia, convinta di aver ben centrato il bersaglio, si decida ad ingurgitarla. Le esche tradizionali sono costituite da piccoli cucchiaini argentei (2-4 centimetri), nonché dai filetti di aguglia con pelle esposta (1-2 centimetri) o da vermi montati su ami di dimensioni minime: dal n. 6 al n. 10. Ma è recentemente comparsa sul mercato una nuova esca prodigiosa (alla quale i trainisti che l'hanno conosciuta non rinuncerebbero mai) che, oltre a risultare di gran lunga la più catturante, ha determinato un cambiamento radicale nella tecnica di pesca, in quanto le canne non vanno più tenute in mano ma sono alloggiate nei rispettivi portacanne. Si tratta di una matassina, denominata Skeinfisc, di forma circolare realizzata con sottilissimi filamenti tessili la quale, una volta immersa in acqua e rimorchiata, si distende assumendo le sembianze di un pescetto di una decina di centimetri. Al primo attacco il becco dell'aguglia resta inesorabilmente impigliato nei filamenti. Le aguglie prese con queste esche non riportano lesioni di sorta; pertanto, se a bordo non c'è una capiente vasca con acqua in circolo, possono essere

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lasciate tranquillamente a mare legando a una sagoletta calata a poppa e zavorrata con 7-8 etti di piombo una ventina di centimetri del terminale con relative matassina ed aguglia. Arrivati a questo punto dovremmo disporre di alcune aguglie vive e vitali. Si tratta ora di montarle. Ci occorrono:

una girella piccola ma robustissima (50 libbre);

uno spezzone di filo (mezzo metro circa) di dacron o di polietilene da almeno 30 libbre; salvo che non ci siano dentuti pesci serra in giro, nel qual caso opteremo per la treccia metallica ricoperta da guaina termosaldata che, lo diciamo per inciso, funziona bene anche con le ricciole, le lecce e i dentici;

un amo a occhiello del 2/0-3/0 ed un secondo amo del 4/0-5/0. Legheremo lo spezzone di filo alla girella, vi inseriremo l'amo più piccolo che andrà fissato a 5-7 centimetri a valle della girella stessa e quindi il secondo amo che verrà saldamente annodato dietro al primo ad una distanza pari alla lunghezza dell'aguglia; trafiggeremo quindi con il primo amo, che è traente e a volte anche catturante, la base del becco dell'esca dal basso verso l'alto; la punta sarà rivolta in avanti; il secondo amo, che è esclusivamente catturante, lo inseriremo, appena sottopelle, in prossimità del foro anale con la punta orientata in avanti e verso il basso. Lo spezzone di filo risulterà un po' in bando ma propizierà il movimento di nuovo naturale della nostra esca. Una variante spesso messa in atto quando la lunghezza dell'aguglia supera i 35-40 centimetri consiste nel piazzare un terzo amo a metà corpo. Alcuni serrano il becco dell'aguglia con filo di cotone o appositi tubicini previamente inseriti nel terminale ma, a mio modesto avviso, si tratta di accortezze non indispensabili; come pure non mi sembra

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indispensabile collocare la girella fra la madre lenza e il terminale anziché a immediato contatto con il pesce. Sarà invece sempre utile tenere a bordo una serie di montature di lunghezze e con ami diversi onde poter subito disporre di quella adatta alle dimensioni dell'aguglia che avremo per le mani.

I terminaliMontata l'aguglia occorrerà legare la girella al terminale di nylon lungo una quindicina di metri. Per quanto attiene al diametro di questo filo bisognerà tener conto degli eventuali possibili clienti che, nel nostro caso, potranno essere ricciole o lecce (dai 2 ai 60 chili), dentici (da 1 a 8-10 chili) e serra (da 1 a 7-8 chili). Secondo le regole, i dentici dovrebbero stare nelle immediate adiacenze del fondo, le ricciole e le lecce intorno alla mezz'acqua ed i serra un po' sopra della stessa; ma le invasioni di corsia sono all'ordine del giorno. E c'è di più. Sia le ricciole, sia le lecce, sia i dentici frequentano di solito le stesse acque: fondali rocciosi di 15-40 metri ubicati sottocosta o nelle secche più o meno al largo; mentre i serra, presenti dalla Sicilia meridionale alla Toscana e pure in Sardegna, preferiscono stazionare nelle zone sabbiose in prossimità delle foci; ma gli esemplari di maggior pezzatura manifestano una decisa propensione a far concorrenza alle ricciole, alle lecce e ai dentici sui fondali rocciosi, quanto meno su quelli costieri sopra menzionati. Dopo queste delucidazioni torniamo al diametro dei terminali per dire che

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per i serra va bene lo 0,40-0,50, per i dentici è consigliabile lo 0,60 e per le grosse ricciole e lecce non si può scendere

sotto allo 0,70. Pertanto, le scelte giuste potranno scaturire solo da valutazioni personali che, a rigor di logica, dovrebbero trar motivo dalla conoscenza delle specie ittiche attualmente presenti in loco e dalla rispettiva taglia. Facile a dirsi ... ma!!! Per quanto mi concerne, senza voler influenzare

il giudizio dei colleghi, dirò solo questo: nei posti dove, per esperienze mie o di altri, so che c'è la possibilità di incontrare grosse ricciole o lecce non scendo mai al di sotto dello 0,70, con il quale mi è capitato e mi capita assai di frequente di agganciare anche dentici e serra di ogni taglia. In ogni caso la lenza madre (dacron, nylon o monel) dovrà essere piuttosto robusta: direi dalle 30 alle 50 libbre.

Le altre esche naturaliLe esche alternative all'aguglia che potremo procurarci più facilmente sono le occhiate, gli sgombri, i sugarelli e le seppie. La relativa montatura sarà fatta con un solo amo (pesci fino a 15 centimetri) o con due ami (esemplari di lunghezza superiore e, in ogni caso, seppie e calamari). L'amo unico (1/0-2/0) dovrà trafiggere, serrandolo, l'apparato boccale dal basso verso l'alto; con i due ami ci regoleremo secondo i criteri che abbiamo descritto per l'aguglia. La seppia e il calamaro avranno un amo traente-catturante (nn. 1/0-2/0) infilato nell'estremità anteriore del corpo e un secondo amo catturante (3/0-5/0) nascosto fra i tentacoli del cefalopode.Con le esche naturali morte, eccettuati ovviamente i cefalopodi, la prima cosa da fare è di eliminarne la rigidità. Per l'aguglia basterà spezzarne, con acconci piegamenti, la spina dorsale in due o tre punti; per gli altri pesci si potrà ottenere lo stesso effetto sventrandoli, asportando spina

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dorsale e interiora, e ricucendoli. I sistemi di montaggio sono sostanzialmente gli stessi indicati sopra per le esche vive; l'unica variante, fondamentale tra le tante altre possibili, è costituita dal fatto che il filo deve passare all'interno del corpo. A tale scopo potremo avvalerci di un ago molto lungo o, semplicemente, di un pezzetto di filo

metallico (meglio fra tutti il piano wire che non si flette) alla cui estremità avremo formato un piccolissimo occhiello con funzione di cuna.

L'affondamento delle escheAdesso dobbiamo fare un pensierino sul come far affondare adeguatamente le nostre esche. I sistemi più validi sono quattro: lenze madri in leghe metalliche autoaffondanti (monel e similari), piombo o piombi fusiformi amovibili inseriti sulla lenza madre, downrigger con "palla di cannone" (kg da 3 a 7), piombo guardiano. Premesso che la velocità di traina con esca viva è di appena due nodi ma che saranno possibili catture anche se la nostra motorizzazione ci consentirà un minimo di 3 nodi, potremo trar profitto dai seguenti dati di fatto.

Monel e similariMediamente questi fili affondano, per ogni decametro immerso, di m 2 a due nodi e di m 1,30 a tre nodi; quindi, ad esempio, se caleremo 100 metri di monel e andremo a 2 nodi raggiungeremo una profondità di circa 20 metri che aumenterà ulteriormente ad ogni sia pur minimo cambiamento di rotta. Il monel, reperibile in confezioni di 200 metri cadauna, richiede che nel tamburo del mulinello siano inizialmente avvolti almeno 100-200 metri di nylon o di dacron intorno a 50 libbre, per formare il cosiddetto cuscino di lenza. Si tratta del metodo più semplice (e in vari casi più

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redditizio) per praticare la traina di profondità. L'assetto sarà quello con due canne laterali divaricate verso l'esterno con angolo variante da 35° a 45°.

Piombo o piombi amovibili Non è indispensabile il cuscino di lenza. Il piombo o i piombi vanno fissati sulla madrelenza almeno qualche metro a monte del terminale. Le profondità raggiungibili non sono abissali. Ad esempio un piombo fusiforme di un chilo rimorchiato a 50 metri da poppa affonda di circa 10 metri a 2 nodi e di circa 7 metri a 3 nodi. L'assetto di traina è quello appena visto per il monel, ma il rendimento in pesca è

minore.

Downrigger La "palla di cannone" sorretta da un robusto cavetto metallico viene calata o salpata mediante un congegno a funzionamento manuale o elettrico; essa scende molto e alle velocità minime resta quasi in verticale, appena a poppa della barca; per esempio, se

il peso è di 3 chili, si raggiungono i 20 metri a 2 nodi e i 16 metri a 3 nodi. Alla palla viene agganciata, con apposita pinzetta regolabile, la madrelenza che poi si distende per 40-50 metri in direzione dell'esca; all'atto dell'abboccata la madrelenza si stacca dalla pinzetta e si può subito procedere al recupero con la canna ed il mulinello senza zavorre interposte. Il downrigger funziona bene con le esche vive ma è di montaggio e di impiego abbastanza laboriosi; inoltre, se non si ha una buona conoscenza dei fondali, si corre il rischio di trovarsi con la "palla" incastrata in uno dei tanti anfratti rocciosi che incontreremo nel nostro cammino.

Piombo guardiano E' una tecnica di affondamento inventata dai vecchi

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leggendari pescatori di mestiere delle isole, i quali, con semplici ma enormi lenze a mano, riuscivano e riescono tuttora a ferrare ed a portare a bordo dei loro piccoli gozzi ricciole, lecce e dentici di taglie record. Vediamo ora come applicare questa tecnica alle nostre moderne attrezzature pescanti. Si lavora con una sola lenza ed è necessario che a bordo ci siano almeno due persone: lo skipper e l'angler; a 20-25 metri dall'esca legheremo sulla lenza madre un tratto di nylon leggero (0,30-0,35) lungo due o tre metri all'estremità del quale assicureremo un piombo a cono o piramidale di 400-800 grammi commisurato alla velocità della barca e alla profondità che si vuole raggiungere. L'angler, che in questo caso dovrà tenere continuamente la canna in mano con il manico inserito nel bicchierino della panciera, cala la lenza a barca ferma fino a quando avverte che il piombo ha "toccato"; a questo punto lo skipper ingrana la marcia e il piombo si solleva; l'angler cede filo fino a quando percepisce una seconda toccata; al che recupera lenza: da questo momento in poi l'azione di pesca si svolge attraverso un continuo saliscendi determinato essenzialmente dalle indicazioni fornite dall'ecoscandaglio che lo skipper comunica immediatamente all'angler il quale recupera lenza quando il fondo sale e la cede quando il fondo scende. All'attacco del pesce, spesso violento ma talvolta appena percettibile, bisogna reagire prontamente con una decisa strattonata della canna in avanti volta a "ferrare"; se l'operazione va a vuoto cedere subito 5 o 6 metri di lenza: può darsi che il pesce, ove non si sia portata via tutta l'esca, ci riprovi. Quando il piombo giunge in barca va tagliato lo spezzoncino di nylon che lo sostiene. Con il piombo guardiano si possono indubbiamente fare delle belle catture ma l'azione di pesca non è tanto facile come potrebbe sembrare: in ogni caso occorre un buon rodaggio basato sulla reciproca intesa fra timoniere e pescatore.

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Gli attrezzi e l'azione di pescaVista l'ampia gamma delle stazze dei pesci con i quali ci potremo trovare a fare i conti, la prudenza ci suggerisce di non scendere sotto le 20 libbre per le canne, sotto il 6/0 o il 9/0 per i mulinelli e sotto le 30 libbre per la lenza madre. Dei terminali ne abbiamo già parlato. In pesca le frizioni andranno tarate inizialmente ad 1/3 del carico di rottura dell'elemento più debole della lenza. Le ore migliori sono, normalmente ma non tassativamente, quelle del sole alto e, per i serra, quelle che precedono l'aurora e che seguono il tramonto. Le zone da battere sono soprattutto quelle rocciose, con salti ed anfratti, delle acque costiere e delle secche al largo. Di norma i passaggi più proficui sono quelli effettuati sul "ciglio" di dette formazioni e sui punti di incontro di correnti diverse. In linea molto generale possiamo dire che le profondità medie più redditizie sono comprese fra i 15 e i 35 metri. Se useremo due canne converrà far navigare le esche ad altezze differenziate, una vicina al fondo, l'altra verso la mezzacqua. Sulla ferrata dovremo contrastare nei limiti del possibile la fuga del pesce al fine di evitare che lo stesso porti la lenza fra gli scogli che potrebbero facilmente spezzarla. La tattica migliore è quella di cercare di raggiungere, piano piano, acque libere e profonde ove il combattimento potrà svolgersi senza intoppi. I problemi più ardui dovremo affrontarli con le grandi ricciole e lecce che non di rado si "inchiodano" sul fondo e non ne vogliono sapere di farsi spostare; in siffatti casi dovremo far fare alla barca percorsi circolari sempre più stretti senza mai mandare la lenza in bando e recuperandone anzi quanto più si può; al limite, con brevi puntate in direzione del pesce mantenendo il filo teso mediante un rapido riavvolgimento nel mulinello.

Per i serra "da spiaggia" (di solito non troppo grandi e reperibili in zone circoscritte che sono sempre le stesse) non

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occorrono affondatori, il terminale potrà essere anche dello 0,35-0,40; pescheremo con due canne (6-12 libbre) con la frizione dei mulinelli disinserita e con il filo trattenuto

soltanto dal meccanismo della "cicala". Quando questa comincerà a cantare faremo passare qualche secondo per dare al pesce la possibilità di "ingoiare", inseriremo la frizione, daremo una strattonata e cominceremo il recupero sempre divertente ma aleatorio per i salti, per le fughe, per le capriole di queste imprevedibili prede. Attenti ai denti dei serra, micidiali anche post mortem.

INSIDIA PROFONDANon si può affermare che le tecniche del bolentino siano sempre facili. Al contrario: se appena si sale nelle aspirazioni in ordine al pregio ed alla taglia delle prede - ossia se non ci si accontenta delle solite perchie, boghe, spigarelli, donzelle, sugarelli e simili - il bolentino diventa via via più impegnativo sino ad assurgere alla dignità di una vera e propria arte.Questa pesca può essere praticata a partire da distanze minime dalla costa e su fondali di pochi metri fino a giungere alle secche in altura distanti decine e decine di miglia su fondali molto elevati.Naturalmente, date le notevolissime differenze dell'andamento batimetrico che caratterizzano i vari tratti di mare che circondano la nostra penisola e le nostre isole, non è possibile fornire indicazioni univoche sulle distanze e sulle profondità. Peraltro, tanto per dare un'idea soltanto orientativa riferita alle caratteristiche proprie della maggior parte delle nostre acque salate, possiamo azzardare la seguente classificazione:

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bolentino costiero: fino a 2 miglia da terra e fino a 30 metri di fondale;

bolentino classico o di mezza altura (che è il più praticato dagli aficionados): da 2 a 6 miglia dalla costa e/o con fondali da 30 a 100 metri;

bolentino di grande o grandissima altura: da 6 a 30 miglia dalla costa con fondali (secche o canaloni) dai 100 ai 300 metri ed anche oltre.

A questa classificazione, ovviamente non omogenea per i motivi di cui sopra, ne possiamo aggiungere altre due per buona sorte ben più definite. La prima è riferita alla staticità o movimentazione della barca:- bolentino sull'ancora;- bolentino in deriva;La seconda, invece, attiene alle attrezzature pescanti:- bolentino con canna e mulinello;- bolentino con lenza a mano.

Le barcheCome in ogni campo della pesca marittima le dimensioni, la motorizzazione, la tenuta di mare della barca dovranno essere adeguate al teatro operativo ed alle condizioni meteo. Pertanto, se le acque saranno calme e non si prevederanno peggioramenti, anche il natante di stazza minima sarà adatto per pescare entro un paio di miglia; ma se vorremo cimentarci oltre detta distanza i parametri di navigabilità e di sicurezza dovranno essere via via modificati in un logico crescendo. Così se, al limite, decideremo di tentare la sorte su secche lontane 20-30 miglia da terra dovremo disporre di imbarcazioni veramente da mare, robuste, pontate, cabinate, munite di motorizzazione doppia, lunghe almeno 8 metri; salva in ogni caso la indispensabile

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prudenza. Ciò premesso, pensiamo ad elencare le attrezzature di bordo proprie del bolentino.

Una o più ancore e ancorotti con cime adatte al tipo specifico di pesca (indispensabili in altura, utilissime in mezza altura, opportune ovunque). Le ancore e gli ancorotti da scoglio forte dovranno essere a marre pieghevoli per facilitarne il disimpegno in caso di "arroccatura"; le cime, lunghe almeno il doppio del fondale, saranno di diametro pari a tanti millimetri quanti sono i metri di lunghezza della barca; uno spezzone di due o più metri di catena interposto fra la cima e il "ferro" servirà a rendere la presa più sicura.

Un mezzo di salpaggio per l'ancora (necessario in mezza altura e soprattutto in altura). Al verricello è da preferirsi uno speciale piccolo congegno (detto appunto salpaancora) che, inserito nella cima e collegato ad un parabordo di grandezza adeguata al peso da sollevare, scorre velocemente sulla cima stessa non appena la barca parte a motore fino a raggiungere l'ancora e portarla a galla, mantenendovela mercé un ingranaggio di non ritorno.

Un ecoscandaglio.

Un loran o un GPS.

Portacanne da lavoro (in posizione semiorizzontale) e da riposo.

Il guadino e il raffio: questo ultimo può essere indispensabile con pesci come gli sciabola, i gronchi, i merluzzi di 5-6 chili, ecc.

Una serie di capaci recipienti per contenere il pescato.

Le attrezzature pescanti

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L'arnese denominato bolentino è fondamentalmente costituto da due elementi: la lenza madre e il finale di lenza. La prima, in nylon o dacron, rappresenta la totalità pressoché assoluta del filo immerso durante la pesca ed è destinata a sostenere il secondo con le eventuali prede. Il finale, sempre in nylon, è la parte pescante dell'attrezzo e reca un corpo di lenza, i braccioli muniti di ami e il piombo necessario per raggiungere il fondale. Il tutto è avvolto intorno alla bobina del mulinello ovvero a un telaietto di plastica o a tavolette di sughero, di polistirolo o di legno.E' indubbio che le lenze su canna e mulinello risultano sempre vincenti per tanti importanti motivi; in effetti, usando questi attrezzi, che hanno il loro punto di forza nella flessibilità della canna e nella calibrata scorrevolezza offerta dalla frizione del mulinello, potremo:

combattere vantaggiosamente prede di taglia e bellicosità extra;

usare fili più sottili e quindi meno soggetti alle inclinazioni causate dalla corrente impiegando piombi più leggeri: il che serve sempre a rendere più facile l'abboccata;

evitare che la lenza madre, specialmente quando c'è un po' di vento, vada a formare inestricabili parrucche che, spesso proprio sul più bello, ci fanno perdere un sacco di tempo prezioso.

C'è una "corrente di pensiero", diffusa particolarmente fra i meno giovani, secondo la quale, tenendo la lenza in mano è più facile avvertire le "tocche" e ferrare al momento giusto. Ma in verità, dopo un po' di rodaggio, queste "tocche" si percepiscono benissimo anche con la canna e il mulinello; e d'altra parte, nessuno ci vieta di tenere il filo fra le dita una volta che la zavorra si è fermata sul fondo e di tornare al mulinello in fase di recupero.

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CanneVanno benissimo le canne cosiddette da barca, lunghe da un metro e mezzo a tre metri e mezzo, di potenza compresa fra le 4 e le 12 libbre e con anelli passanti per la lenza. Per quanto siano preferibili in generale le canne con azione di punta che consentono una più pronta percezione dell'abboccata, non si può non tener conto del fatto che diversi grufolatori, in primo luogo l'ambito fragolino, possono avventarsi di brutto sull'esca ovvero, al contrario, ingurgitarla delicatamente e, restando immobili, trattenerla in bocca prima di decidersi a risputarla o ad ingoiarla definitivamente; è perciò fuori discussione che l'azione morbida del cimino possa contribuire a rendere meno palese il nostro inganno. Personalmente propendo però per attrezzi ad azione di punta con i quali, quando "sento" il sia pur minimo movimento, cedo un palmo di lenza madre per diminuire la trazione.Questa scelta ha anche un altro motivo: la canna, relativamente rigida, specie nei libbraggi più elevati, è in grado di sostenere, ove occorra, piombature pesanti senza flettersi troppo e quindi senza perdere a priori una parte della sua elasticità. Consigliabili, per il minor ingombro, gli attrezzi a più settori, ad incastro o telescopici.

MulinelliI più congeniali al bolentino sono quelli a tamburo fisso di dimensioni medio-grandi i quali, oltre a spuntare prezzi assai più convenienti, hanno un rapporto di recupero molto elevato: fino a quattro rotazioni della bobina per ogni giro di manovella. Solo nella pesca ad altissimo fondale vale la pena di prendere in seria considerazione gli appositi salpabolentini elettrici o manuali con bobine di grandissima capienza e notevole velocità di recupero.

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MadrelenzaDeve essere di lunghezza doppia o quasi rispetto al fondale. Ciò per due ragioni: per disporre di tutto il filo che occorre in caso di "incoccio" di pesci fuori ordinanza e, soprattutto, per raggiungere più facilmente il fondo quando, pescando a fermo, la velocità della corrente subacquea comincia a farsi sentire, ovvero quando, pescando in deriva, lo spostamento della barca diviene più accentuato. Come abbiamo visto il filo può essere in nylon o in dacron. Il dacron, che è meno elastico, è più indicato, direi indispensabile, sulle distanze medio lunghe (dai 40 metri in su) in quanto, con la sua ridotta elasticità ci assicura una maggiore immediatezza nella percezione dell'abboccata e, correlativamente, nella strattonata volta a ferrare il pesce; una resistenza "standard" buona per tutti gli usi è la 30 libbre per il dacron e lo 0,50 per il nylon. E' ovvio che - se e quando avremo, per conoscenza della zona o per effetto di recenti esperienze, la certezza pressoché assoluta di incontrare soltanto pescetti - potremo scendere tranquillamente fino al nylon dello 0,25.

Finali di lenzaSaranno sempre in nylon di resistenza uguale o molto spesso leggermente inferiore a quella della madrelenza. La lunghezza usuale del "corpo" è di circa un metro salvo che si peschi in altura con sei ami (il numero massimo consentito dalla legge) nel qual caso detta lunghezza potrà essere elevata a 4-5 metri; alle estremità del "corpo" saranno collocate due girelle con moschettone: la più alta sarà collegata con la lenza madre, la più bassa è destinata a sorreggere il piombo. Sul "corpo" saranno legati i braccioli di nylon lunghi 15-20 centimetri che porteranno l'amo. Lunghezze maggiori consentono un movimento più libero e fluttuante dell'esca ed aumentano quindi le possibilità di abboccata ma possono influire in senso negativo sulla tempestività delle ferrata. C'è poi da aggiungere che in

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parecchie aree marittime (stretti, canali, ecc.), caratterizzate da correnti quasi costantemente molto veloci, è necessario, per evitare che i braccioli si attorciglino continuamente sul corpo, ridurne drasticamente la lunghezza fino a 5-6 centimetri.La distanza fra i punti di attacco dei braccioli sul corpo dovrà essere sufficiente per impedire che i rispettivi ami possano venire a contratto fra di loro. I braccioli possono essere annodati direttamente sul corpo ma, specie sui fondali medio alti, è preferibile usare girelle a tre vie che ne attenuano il movimento rotatorio.

Il piomboSarà di forma piramidale, troncoconica o a pera, ovvero, su fondali puliti di sabbia o di fango, anche piatto "a saponetta", tondeggiante o triangolare. Esso va collocato di norma una ventina di centimetri a valle dell'attacco del bracciolo inferiore. In certi casi (quando cioè il pesce è particolarmente svogliato) può risultare vantaggioso far passare questo bracciolo più basso in un anello in modo che il filo possa scorrervi liberamente per un certo tratto. Il peso del piombo sarà proporzionato alla profondità, alla velocità della corrente di superficie e di fondo; maggiorazioni anche notevoli possono essere rese necessarie dal fatto che si peschi in deriva. Comunque, il concetto base è il seguente: la zavorra dovrà essere quanto più leggera è possibile ma, nello stesso tempo, dovrà far scendere la lenza se non proprio a piombo con un angolo di inclinazione non inferiore ai 45°.

Gli amiDi norma, saranno a paletta, stagnati, dritti o leggermente storti, a gambo corto, dei numeri dal 13 al 20 per la pesca strettamente costiera, dal 15 al 12 per la pesca di mezzaltura, dal 13 al 9 per la pesca in grande altura. A

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causa della confusione che regna sovrana in fatto di numerazione degli ami, quelli menzionati in questo articolo sono raffigurati, a grandezza reale, nella apposita tabella tratta dal catalogo di una casa di importanza mondiale. Ciò detto, sembra utile sottolineare che, sia per gli ami, sia per le altre attrezzature, non è possibile formulare onestamente delle regole fisse in quanto può accadere (ed accade) che, dove e quando meno ce lo aspettiamo, il signore che si fa incantare dalle nostre insidie sia di specie e di taglia completamente diverse da quelle presunte e programmate a tavolino. Il corollario di questa considerazione è obbligato: non scendere mai, ove possibile, nella potenza e nelle dimensioni dell'attrezzatura impiegata.

Le escheLe esche adatte al bolentino sono assai numerose, ma la loro validità è relativamente mutevole in rapporto sia alle singole specie sia alle diverse zone di pesca. Valga un solo esempio riferito ai fragolini: sui relitti e sulle poche secche del basso Lazio (da Sperlonga in giù) è difficile fare buoni affari se non si dispone del paguro; appena più a Nord, diciamo da Terracina al Circeo, funziona ottimamente il gamberetto di canale vivo; salendo ancora per tutta la parte più settentrionale della regione (fermo restando il primato del paguro peraltro di difficilissimo reperimento) vanno benissimo il cannolicchio e il moscardino; in tutte le zone qui sopra considerate hanno una discreta validità (unico punto fermo) gli anellidi, ossia i vermi tipo muriddu, saltarello, coreano, bibi, ecc. In questa situazione di incertezza c'è una sola cosa sicura: ad altissima profondità (dai 150 metri in giù) l'unica esca che funziona sempre o quasi in via esclusiva è la sarda. Così stando le cose (e se non ci troveremo in grande altura) c'è un solo modo per uscire dall'impasse: informiamoci di volta in volta sulle esche che, in quel determinato periodo e in quel determinato posto,

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stanno dando i migliori risultati. Ove ciò non sia possibile, proviamo con i vermi e, in simultanea, con i molluschi o crostacei sopra menzionati, aggiungendovi il gambero di paranza sgusciato e tagliato a tocchetti, la polpa di cozza o la cozza intera, il tentacolo o il filetto di calamaro e i segmenti di sarda. Quanto appena detto vale non solo per i fragolini ma per l'intera confraternita dei pesci, con la sola eccezione della cozza intera il cui campo di impiego è limitato esclusivamente all'orata. In mancanza di meglio si può provare anche con i gamberi ed i moscardini surgelati scongelati lasciandoli a bagnomaria in acqua di mare.I vermi vanno inseriti nell'amo per lungo e debbono coprirlo completamente fuoriuscendone per un breve tratto oltre la punta; lo stesso sistema vale per il cannolicchio e per i tentacoli che hanno struttura vermiforme. Il paguro va innescato facendolo scorrere sull'amo a partire dalla testa; anche per il moscardino conviene partire dalla testa e nascondere la punta dell'amo appuntandola fra i tentacoli. Il gambero vivo va innescato trafiggendone dal basso verso l'alto la parte caudale. Con il gambero morto intero l'amo deve essere inserito all'altezza della coda e diretto, sottopelle, fino alla testa.Viceversa il gambero morto di paranza e la sardina vanno tagliati a tocchetti nei quali inseriremo l'amo facendovelo passare due volte. Con la cozza intera, usando il coltello, bisogna aprirne leggermente le valve ed inserirne l'amo nella fessura; ancora meglio se in questa fessura viene "inzuffata" la polpa di un'altra cozza e il tutto è assicurato con sottilissimi fili di cotone.

I luoghiIn tema di luoghi c'è fortunatamente una regola costante che vale dovunque e per quasi tutti i pesci del bolentino i quali nel 90% dei casi, essendo grufolatori, si nutrono sul fondo. Ebbene, i pascoli di gran lunga preferiti da questi pinnuti

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sono le cosiddette cadute. Vi è caduta nei siti in cui il fondale decresce improvvisamente creando delle vallate nelle quali vanno a posarsi in abbondanza i detriti ed i sedimenti organici provenienti dai contigui relitti, cigli, scogliere, monti o colline di sabbia, di ghiaia, di fango.Per tornare in tempi successivi sui luoghi risultati maggiormente redditizi (che poi, gira e rigira, sono sempre gli stessi) non troppo distanti (diciamo entro le 2-3 miglia) può funzionare il vecchio sistema delle "mire". Si scelgono due punti a terra in ciascuno dei quali un elemento ben visibile (ad esempio un campanile) collima sul piano verticale con un altro elemento (ad esempio la vetta di una montagna costiera) anche esso ben visibile. Oltre detta distanza di 2-3 miglia è difficile orientarsi con le "mire" che, non di rado e specie nella buona stagione, scompaiono nella caligine. Perciò, se non vorremo pescare soltanto a breve distanza dalla costa, dovremo ricorrere al GPS o al loran suffragati, nella fase conclusiva, dall'ecoscandaglio.Per coloro che non sono pratici dei posti, un buon sistema per scovare i punti migliori è quello di intraprendere, preferibilmente nelle giornate di sabato o di domenica durante le quali la "grande armata" dei dilettanti esce in pesca, una minicrociera veloce diretta ad avvistare ed a raggiungere i gruppi di barche, di solito numerosi, che stazionano in ben delimitati tratti di mare. Una volta accertato che si tratta di gente che sta pescando a bolentino, basta solo rilevare ed annotare le "mire" o, meglio ancora, le coordinate fornite dalla strumentazione elettronica.

I tempiDi solito i periodi dell'anno più adatti per il bolentino vanno da ottobre ad aprile. Ma non è escluso che, anche in piena estate, sia possibile fare qualche buona pescata. Circa gli orari c'è da dire che tutti i momenti, dall'alba al tramonto, possono essere buoni. Può accadere peraltro che, nell'arco

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della giornata, a un periodo di stasi assoluta ne segua un altro, purtroppo talvolta assai breve, di intensa attività mangereccia da parte dei pesci. In definitiva, come in tutti i tipi di pesca sportiva, anche nel bolentino occorrono, oltre alla tecnica ed alla conoscenza delle zone, notevoli doti di pazienza e di perseveranza.Penso che quanto fin qui detto sia sufficiente per dare un'idea di massima ai colleghi che intendono dedicarsi alla pesca con il bolentino. La pesca con il bolentino che, come si è visto, ha il suo campo di battaglia a stretto contatto dei fondali subacquei, è diversa dalla pesca con la correntina che si svolge invece a mezz'acqua o addirittura in superficie.Anche nel bolentino avere a disposizione una barca efficiente, specificamente pensata per l'azione di pesca è un fattore molto importante ai fini del risultato finale: la cattura. I saraghi, assieme ai fragolini e a molti altri grufolatori dei fondali marini, sono fra le prede più ambite per chi pratica questo tipo di pesca, così diffusa lungo tutte le coste.Ogni tipo di pesca si effettua utilizzando attrezzature specifiche, con lenze e relativi ami opportunamente dimensionati. In alto è possibile vedere come si devono realizzare i finali per la pesca al bolentino e la relativa gamma di ami che si possono utilizzare su di essi.Per quel che riguarda le esche il cannolicchio sgusciato - nella foto sotto - assieme al moscardino, al gamberetto, al paguro e a vermi come il muriddu, il bibi, il coreano, il saltarello ecc., sono quelle usate più frequentemente. La sarda, invece, può essere considerata quella più efficace sugli alti fondali.

PESCA IN MEZZA ALTURA

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La grande maggioranza dei bolentisti preferisce la pesca cosiddetta classica o di mezza altura, quella cioè praticata generalmente a ridosso o nelle adiacenze delle formazioni rocciose subacquee o dei relitti di unità naufragate nella fascia batimetrica compresa tra i -30 e i -100 metri, a distanze variabili dalle due alle sei miglia dalla costa.Ci occuperemo ora in termini di azione concreta di pesca, di questa forma di bolentino che, pur non postulando navigazioni troppo lunghe, è sempre potenzialmente in grado di fornire buone soddisfazioni sia per la taglia sia per il pregio delle catture.

La preparazioneDiamo per scontato che il tempo sia clemente (di regola altezza delle onde non superiore al metro e mezzo, assenza di frangenti in alto mare, velocità del vento contenuta entro un massimo di 7-8 nodi). Diamo pure per scontato che la provvista di esche (paguri, cannolicchi, moscardini, gamberi, vermi, ecc.) sia adeguata e sufficiente.E' da premettere, dando così corpo ad un concetto già implicitamente formulato, che nel 90% dei casi, il pesce

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pregiato del quale andremo in cerca sarà il roseo fragolino, protagonista abituale e frequente delle nostre battute; ma, insieme o

talvolta al posto del fragolino, potremo incontrare belle tanute, argentei saraghi, tenacissime orate (queste due ultime specie su fondali non superiori ai -50 m), grossi scorfani, corpose e saporite gallinelle, e tanti tanti altri imprevedibili clienti più o meno grandi e più o meno apprezzati.

La pesca sull'ancoraPossibilmente di buon mattino mettiamoci in rotta verso la zona di pesca che avremo prescelto servendoci delle conoscenze nostre o forniteci da altri. Raggiunta questa zona cominciamo a fare vari passaggi con l'occhio attento alle indicazioni dell'ecoscandaglio: ecco qui c'è una secca rocciosa che da un fondale in piano di -60 m sale fino a -35 m. Scegliamo una "caduta" della formazione (di solito la più ripida) ove avremo maggiori probabilità di incontrare i nostri amici pinnuti. Caliamo subito un segnale ben visibile, come ad esempio un grosso galleggiante di polistirolo che, con lo srotolarsi della sagolina intorno alla quale è avvolto, poterà la zavorra (almeno mezzo chilo) sul fondo e ci indicherà il punto preciso; fermiamo quindi la barca per stabilire, tenendo sotto osservazione il segnale, da quale parte ci portano il vento e/o la corrente; appurata questa direzione partiamo dal segnale e risaliamola a motore per 70-80 metri, percorsi i quali caliamo l'ancora, mai quella da ormeggio in dotazione alla barca ma a marre pieghevoli per non rischiarne la perdita. Quando la cima andrà in tensione ci troveremo in prossimità del segnale; mollando o salpando, se necessario, qualche metro di cima arriveremo sul punto prescelto. Filiamo quindi in mare le nostre lenze appesantite da un piombo terminale che, nel caso specifico, non dovrebbe superare i 100 grammi. Solo se l'inclinazione

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accentuata del filo immerso ci farà sapere se c'è una sensibile corrente subacquea, sarà giocoforza salire nella grammatura senza però andare oltre al valore di 200. Di regola i braccioli applicati sul "corpo" del finale (nylon dello 0,40) saranno due, anche essi di nylon ma dello 0,35: uno in prossimità del piombo, l'altro 70-80 centimetri più in alto. Gli ami, di norma dei numeri dal 12 al 15, saranno muniti di esche diverse: ad esempio uno con il cannolicchio e l'altro con un certo tipo di verme. Solo nel caso di recenti esperienze localizzate sulla validità di una determinata esca converrà lavorare fin dal principio esclusivamente con essa. Il piombo dovrà essere tenuto "tocca e non tocca" sul fondale. Ogni tanto non sarà male sollevare la zavorra di un mezzo metro e riabbassarla velocemente sul fondo. Sembra infatti che, qualche volta, i pesci siano attratti dal rumore o da altro sconosciuto fattore provocato da tale impatto.Le frizioni dei mulinelli saranno tarate su una resistenza di 2-4 libbre (1-2 chili); in caso di bisogno si farà sempre in tempo a stringere o allentare l'apposito comando.

E' sconsigliabile mettere in pesca contemporaneamente troppe lenze; ciò onde evitare che, prima o poi, finiscano, in modo o nell'altro, con l'intricarsi fra di loro. In base a questo concetto ed a titolo di semplice esempio, diremo che il numero massimo di bolentisti operanti da una barca di 6 metri non dovrebbe essere superiore a tre. Quando si percepirà una toccata dovremo subito dare una pronta e decisa strattonata volta a ferrare; peraltro se, fatti risalire di due o tre metri piombo ed ami non avvertiremo movimento o peso insoliti, rimanderemo giù il nostro attrezzo in quanto può darsi che un pesce si sia portato via una delle esche senza restare allamato, ma che l'altra esca sia ancora intonsa e funzionante; passato qualche minuto senza che sia successo niente di nuovo recupereremo il tutto, controlleremo e, se del caso, reinnescheremo di nuovo. Un

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espediente che qualche volta ci riserva piacevoli sorprese è quello della cosiddetta "lenza morta" e che io uso sempre quando sono solo o ho un unico compagno di battuta. Si tratta in sostanza di dare molto filo (dai tre metri in su rispetto a quello necessario per toccare il fondo), di sistemare la canna in un qualunque alloggio adatto e di seguitare a pescare con un altro attrezzo. Avviene talora che la lenza morta, offrendo una minor resistenza, risulti più catturante di quelle attive.

Durante la nostra azione potranno verificarsi numerose diverse situazioni.

1. Passa il tempo e i pesci non mangiano; proviamo a spostarci allungando o accorciando di qualche decina di metri la cima di ancoraggio e, se possibile, cambiamo esche e piombi.

2. I pesci mangiano in continuazione ma non restano allamati; evidentemente abbiamo sotto di noi un branco di piccoli e voraci pinnuti (tipo mennole, sparaglioni, boghe, ecc.) per i quali gli ami sono troppo grandi. Il rimedio consiste nel ridurre le dimensioni degli ami o, molto meglio, nello spostare la barca operando sulla cima; ciò in quanto la presenza di questa minutaglia, che si porta via istantaneamente le esche, riduce drasticamente la possibilità di allamare pesci di un certo pregio.

3. Catturiamo soltanto perchie; evidentemente stiamo pescando proprio sullo scoglio e, anche in questo caso, se non vogliamo accontentarci dei piccoli serranidi che ci assediano, converrà spostarci.

4. Avvertiamo un certo movimento in fondo alla lenza e niente più: può essere che un bel pesce abbia preso fra le labbra la nostra esca ma che, giustamente diffidente,

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non si decida ad ingoiarla e resti fermo come un sasso. Cediamo subito uno o due palmi di filo (basta soltanto abbassare un po' la canna) e facciamo passare una decina di secondi; ferriamo quindi risolutamente ed andiamo a vedere che cosa è successo.

5. Dalla fase descritta sub B), passiamo improvvisamente alla stasi più assoluta. Attenzione: può darsi che la minutaglia abbia avvertito l'avvicinarsi di pesci più grandi i quali, da un momento all'altro, potrebbero prendere in seria considerazione le nostre esche.

6. Nel sollevare la canna avvertiamo un peso insolito ma non sentiamo alcun guizzo sia pure smorzato: prepariamo il coppo perché sta per arrivare a bordo un arrabbiatissimo polpo.

7. Le abbiamo provate tutte (cambio di esca, spostamenti sulla cima, alleggerimento o appesantimento dei piombi, ecc.) ma, dopo due e tre ore, non siamo riusciti a combinare niente. E' arrivato il momento dei rimedi estremi: salpiamo l'ancora, mettiamo motore e andiamo a cercarci un'altra postazione. In questo caso, e in molti altri, possono risultare preziose le informazioni che durante la nostra forzata inazione, avremo potuto captare via radio (soprattutto con il CB sintonizzato sul canale usato dai dilettanti in quella determinata zona) da barche amiche e anche non amiche.

Il recupero dei pesci allamati non presenta di solito grosse difficoltà. In ogni caso, bisogna evitare di stringere a morte la frizione. Dopo un po' di esperienze riusciremo anche a capire fin dall'inizio il tipo di pinnuto con il quale stiamo discorrendo: inconfondibili, ad esempio, le vigorose e percettibilissime testate dei fragolini, delle tanute e dei saraghi. Di norma, con i pesci che si avvicinano o superano il chilo, la funzione ammortizzatrice della canna che si inclina

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ad arco per far fronte alle sfuriate della preda diventa assolutamente determinante. Con gli esemplari extra non bisogna mai forzare troppo nel recupero; anzi, in alcuni casi, occorre, di tanto in tanto, agevolarne entro certi limiti le fughe allo scopo di stancarli e di ridurne così la combattività. Mi è capitato una volta di dover fare i conti con una orata, imprevista quanto indiavolata, di ben cinque chili; e vi assicuro che, alla fine dell'operazione durata quasi 20 minuti e terminata fortunatamente con il pesce dentro il coppo, ero letteralmente "fradicio" di sudore; non tanto per la fatica quanto per la preoccupazione, che non mi aveva abbandonato neppure per un solo istante, di avvertire da un momento all'altro la rottura del nylon dello 0,35.

La pesca in derivaOltre che sull'ancora il bolentino di medio fondale può essere praticato con la barca in deriva. Occorre però che il fondo non presenti appigli pericolosi come scogliere con salti e buche profonde, vegetazione algacea tenace, tali cioè da imprigionare ripetutamente le nostre esche con conseguente inesorabile rottura totale o parziale dei finali. Occorre inoltre, assai più che nel bolentino sull'ancora, che il moto ondoso e il vento siano pressoché assenti o, comunque, di intensità assai modesta.Non è detto che per questa pesca, il fondo debba essere pianeggiante in modo assoluto. Anzi i dislivelli sottomarini, anche di semplice fango, che presentano cadute e risalite di una certa entità, non sono affatto da disprezzarsi. Ma le zone migliori sono indubbiamente quelle non troppo lontane da scogli isolati o raggruppati, da secche, da relitti sommersi. Ciò perché i pesci grufolatori (in primis il fragolino), che rappresentano il punto di forza di questa forma di bolentino, preferiscono aggirarsi nei dintorni di detti elementi pur allontanandosene spesso di centinaia e centinaia di metri.

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La tecnica è semplice. Una volta raggiunto il teatro di pesca, si calano le lenze dal bordo opposto alla direzione di movimento della barca e si opera nello stesso modo che abbiamo descritto per la pesca a fermo. Certo, di regola e fatti salvi i casi di assoluta calma piatta, dovremo aumentare di un po' il senso delle zavorre per consentir loro di raggiungere il fondale pur in presenza di un certo spostamento dell'imbarcazione. Quando le ferrate ci avvertiranno che siamo arrivati sul posto buono potremo fare due cose. Tirare su tutto appena la sarabanda sarà finita e ripercorrere a ritroso un breve tratto della rotta di provenienza ricalando immediatamente le lenze per farle passare nuovamente sul punto fatato; ovvero ancorarci sul posto. Questa seconda soluzione sarà facilitata di molto se, come molti fanno, avremo avuto l'accortezza di calare in partenza l'ancora a uno due metri dal fondale; al riguardo giova sottolineare che tale espediente serve anche a rallentare lo spostamento del mezzo nautico nel caso in cui ciò sia ritenuto opportuno o necessario per neutralizzare in parte la forza del vento o della corrente. Durante la pesca in deriva può risultare producente mettere in acqua in prossimità della superficie o un po' sopra la mezza acqua un paio di lenze con terminali dello 0,50, armate con amo unico dei numeri da 8 a 11, innescato con tocchetti di sarda. A una trentina di centimetri a monte dell'amo piazzeremo un piombo ad oliva di una cinquantina di grammi e quindi metteremo in pesca i due attrezzi collocandoli nei portacanne. Avremo così la speranza di catturare, mediante autoallamatura, qualche interessante predatore pelagico; c'è poi da precisare che questi attrezzi supplementari, lavorando in superficie o quasi, non saranno di alcun intralcio per le lenze calate a fondo.

I grufolatori del fondo sono in genere pesci combattivi, capaci di assicurare il divertimento. Raggiungere le secche

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al largo della costa, che nel caso del bolentino sono in assoluto le zone più pescose, è più confortevole con un'imbarcazione fornita di cabina. E' raccomandabile anche una barca abbastanza veloce, che dia la possibilità di ridurre al massimo i tempi di spostamento, utilizzando al meglio tutte le opportunità di pesca.Il posto di pilotaggio coperto è senz'altro da preferire, in quanto offre una zona riparata dal vento, dagli spruzzi o dal sole e, soprattutto, consente l'utilizzo della barca anche nella stagione più fredda. Avere il posto di pilotaggio coperto allunga sicuramente la vita della strumentazione, elettronica e non, installata a bordo. Ciò vale anche per l'ecoscandaglio, apparato indispensabile anche nella pesca al bolentino. Grazie a esso è possibile scrutare sotto la propria barca ottenendo una serie di utili informazioni quali la profondità, il tipo di fondale, la presenza di pesce e a che profondità esso si trova, la velocità tenuta dalla barca, la temperatura dell'acqua ecc. Gli apparati più moderni, quelli interfacciabili con gps o loran, sono in grado di visualizzare anche rotta e punto nave.

Da ricordare che Se l'ancora arerà sul fondo dovremo recuperarla e

legare a 2-3 metri da essa o dalla catena un peso supplementare (di solito un barattolo metallico riempito con 4-5 chili di malta) il quale, tenendo basso il gambo del "ferro", ne faciliterà la presa.

Se dovremo dar fondo su rocce, specie su quelle caratterizzate da dislivelli ed anfratti profondi ovvero su relitti di navi o aerei sommersi, sarà più prudente servirci di un "rampino" che è in sostanza un ancorotto leggero privo di gambo ma fornito di marre pieghevoli.

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L'operazione del lancio del segnalino per constatare la direzione di spostamento della barca potrà essere evitata se saremo in grado di stabilire tale direzione leggendo le variazioni minute forniteci dagli strumenti elettronici di radioposizionamento.

Per evitare perdite di tempo, e anche di pesci, dovremo sapere aver pronta e bene ordinata, una abbondante serie di finali con relativi piombi (a pera, o troncocono o a piramide).

La pasturazione sul fondo realizzata mediante contenitori "a sfuggita" o con altri mezzi non è consigliabile nel bolentino di mezza altura in quanto essa, nella grande maggioranza dei casi, richiama in sito la cosiddetta minutaglia ittica che, ripulendo in continuazione gli ami, vanifica l'azione di pesca.

Quando mancano le abboccate e ci si è stancati di tenere in mano la canna si può inserire quest'ultima in un portacanne ad inclinazione quasi orizzontale e osservarne continuamente e attentamente la punta; in tal modo sarà facile percepire visivamente non solo le eventuali allamature ma anche le semplici toccate; al qual punto torneremo naturalmente all'azione manuale per essere pronti a ferrare con la necessaria tempestività.

Le esche buone, con il paguro in testa, sono moltissime; ma, nei vari bacini marittimi, ce ne è sempre qualcuna che funziona meglio delle altre. E' perciò bene informarsi presso i pescatori locali.

Sono reperibili in commercio costosi ma funzionali fili multifibre adatti per la madrelenza. I relativi diametri, notevolmente ridotti rispetto a quelli del nylon e del

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dacron a parità di carichi di rottura, consentono l'impiego di piombature ridotte.

1. LA CANNA

Per praticare la pesca sportiva dalla barca occorrono determinate attrezzature: canne, mulinelli, fili, esche, ami, raffi, coppi, ecc. In questo articolo cominceremo ad occuparci delle attrezzature per la traina che comprendono anche quelle per il drifting.

La canna ha due scopi primari. Primo: ammortizzare le strattonate del pesce allamato, sempre più violente subito dopo l'abboccata e nelle ultime fasi del recupero quando il "predatore predato" vede la barca pericolosamente (per lui) vicina; secondo: produrre un effetto leva utilissimo nel combattimento. La canna è composta da due elementi: il manico e il cimino detto anche fusto. Il manico è la parte rigida dell'attrezzo realizzata di solito in lega metallica; esso reca, partendo dal basso, una crociera a incastro, una ghiera per il fissaggio del mulinello e un cilindro cavo con relativa ghiera per l'accoppiamento con il cimino. Per il combattimento pesante dalla seggiola esistono anche canne con il manico curvo destinate ad agevolare l'azione dell'angler. Il cimino, che rappresenta la parte flessibile del tutto, ha l'impugnatura rivestita da materiale antiscivolo, i

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passanti guidafilo a carrucola o ad anello e il puntale anche esso a carrucola o ad anello; i passanti hanno lo scopo di assicurare la direzionalità della lenza e di evitare che, qualunque sia la curvatura della canna, il filo venga a contatto con la stessa; essi servono inoltre a distribuire uniformemente la forza applicata sull'attrezzo. La flessibilità del cimino è determinata dalla sua maggiore prontezza nel raddrizzamento e quindi agevolano notevolmente l'angler quando è necessario ricorrere al pompaggio per portare a galla le grandi prede "inchiodate" a picco sotto la barca; sono quindi da preferirsi senza alcun dubbio nella caccia al grosso. Negli altri casi la superiorità delle canne vuote rispetto a quelle piene, notevolmente meno costose, tende ad attenuarsi man mano che si scende nella potenza. Il cimino è ad azione di punta (quasi sempre più catturante) quando, al momento dell'impatto, la flessione iniziale è limitata al solo vertice per poi estendersi progressivamente a tutto il resto della struttura man mano che aumenta la forza di trazione; è invece ad azione parabolica quando, fin dal principio, la flessione tende a distribuirsi su tuto l'attrezzo.

La potenza delle canne (che è commisurata ad una curvatura di 90° oltre la quale l'attrezzo diventa inerte) è espressa in libbre e, di solito, è indicata con apposita dicitura impressa sul cimino. I libraggi di uso e di reperibilità più correnti sono il 6, il 12, il 20, il 30, il 50, l'80 e il 130. Per il recupero di esemplari non superiori ai 4-5 chili il manico può essere appoggiato direttamente sul corpo del pescatore; ma via via che sale la taglia saranno utili e, alla fine, indispensabili, la cintura con bicchierino, le bretelle addominali e/o dorsali e, addirittura, la seggiola o il seggiolino da combattimento.

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La misura standard delle canne da traina e da drifting è di m 2,10 circa. Però da qualche tempo si stanno diffondendo anche canne più corte (m 1,60 circa) denominate stand up, realizzate per il combattimento in piedi condotto con piegamenti delle ginocchia ed acconci movimenti di arretramento di tutto il corpo. Tale tecnica ha la sua ragion d'essere nel proposito di offrire al gran pesce, con la rinuncia alla seggiola, una maggior dose di pari opportunità. Queste canne hanno un manico molto lungo e un cimino di proporzioni ridotte; il loro libbraggio è comunemente indicato con due diversi valori (es. 20-50) corrispondenti il primo all'azione di punta (piuttosto accentuata), il secondo

all'azione parabolica integrale. Per il corretto impiego dello stand up è prevista una speciale cintura composita. Chi non ha cognizioni veramente complete in fatto di combattimento con le grandi prede (tonni giganti e squali volpe che potrebbero

trascinare fuoribordo il pescatore al minimo sbaglio) farà bene a non cimentarsi con tali colossi operando in piedi. A parte ciò, le stand up risultano validissime nei confronti di tutti i predatori; e non è da trascurare il vantaggio connesso al loro ingombro ridotto.

Siamo arrivati al dunque. Di quali canne, fra le miriadi offerteci dal mercato, dovremo provvederci? Se volessimo raggiungere il top della completezza teoricamente possibile in rapporto alle singole specie o gruppi di pesi insidiabili dovremmo disporre di dozzine di tali attrezzi naturalmente completi di mulinelli, fili, ecc. Il che è assurdo. Cerchiamo quindi di ragionare per giungere a soluzioni pratiche accettabili. Ecco il ragionamento.

In traina costiera, che è quella esercitata dalla grande

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maggioranza dei dilettanti italiani, potremo incontrare prede più o meno impegnative: dall'occhiata di un etto alla ricciola scatenata di 60 chili ed oltre, la quale però, salvo rarissime eccezioni, non aggredirà mai un'esca artificiale. Molto più probabili saranno invece le possibilità di imbatterci, sempre in costa e con artificiali, in pesci meno combattivi e comunque di minor taglia massima: spigole, dentici, lecce stella, ricciole minori, sgombri, sugarelli e, scendendo ancora nelle dimensioni, aguglie, occhiate, costardelle, tracine ecc. Per tutto questo popolo di pinnuti sarà sufficiente, o in molti casi addirittura sproporzionata in eccesso, la canna da 12 libbre; potremo scendere fino alle 6 se preferiremo, rischiando, esaltare il nostro senso di sportività, ovvero salire fino alle 20 se vorremo stare relativamente tranquilli. Tuttavia, sempre in costa, saremo indotti in varie occasioni ad usare esche naturali (in primis l'aguglia viva) che sono molto spesso indispensabili nei confronti dei dentici in determinate stagioni, dei serra di taglia e delle grandi lecce e ricciole, ivi compresa quella enorme di cui sopra. Perciò, quando e se traineremo con esca naturale e non disporremo di grande esperienza, non dovremo mai scendere sotto le 30 libbre.

In altura cercheremo l'incontro soprattutto con i tonni di branco (quelli giganti si prendono quasi esclusivamente in drifting), con le alalunghe, con le lampughe e, in quei posti dove ancora ci sono, con le aguglie imperiali. Per questi pesci, che di solito non sono di taglia eccessiva, saranno più che sufficienti le 20-30 libbre. Peraltro, se vorremo andare sul sicuro (può capitare il tonno rosso intermedio di 70-80 chili) dovremo spingerci fino alle 50 libbre.

D'altra parte, se la zona alturiera ove opereremo sarà pressoché esclusivamente popolata da pesci minori, come accade in autunno con le alalunghe a 20-25 miglia dalle

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coste pugliesi, nessuno ci impedirà di adoperare attrezzi di sole 12 libbre. Le canne da 80 o da 130 libbre ci serviranno soltanto nel drifting pesante.

In generale, sia per la traina sia per il drifting, saranno preferibili le versioni in fusto vuoto; come già accennato, solo per potenze inferiori alle 20 libbre potremo orientarci, senza subire eccessive penalizzazioni, verso i fusti pieni ad azione di punta.In conclusione, dopo avere valutato i pro e i contro, possiamo dire che un equipaggiamento standard ragionevolmente differenziato potrebbe essere questo: una o due canne da 20-30 libbre; una o due canne da 50 libbre (che i più esperti possono anche impiegare nel drifting pesante); una o due canne (ma solo se si ambisce al molto grosso sempre in drifting) da 80 o addirittura da 130 libbre. Per chi comincia può andar bene la sola coppia da 12 o da 20 libbre; e, al limite - se le aspirazioni sono circoscritte alla cattura di occhiate, sugarelli, maccarelli e simili - una sola coppia da 6 libbre.

Un discorso a parte lo merita l'alternativa: passafilo a carrucola o ad anello? Le carrucole assicurano una maggiore direzionalità della lenza in fase di combattimento ma sono spesso troppo strette e non consentono o rendono difficoltoso il passaggio di eventuali girelle e, addirittura, di semplici nodi; gli anelli non creano tali problemi ma producono una direzionalità meno precisa e, inoltre, sono molto più soggetti ad usura per l'attrito provocato da lenze madri di monel. Sulle scelte le opinioni sono piuttosto discordi. A mio modesto avviso, nei nostri mari, funzionano bene sia le carrucole di dimensioni accettabili sia i semplici vecchi anelli per i quali le case costruttrici impiegano ottimi materiali sconosciuti in passato.C'è infine una regola inderogabile sull'impiego delle canne:

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quando sono in pesca debbono sempre essere assicurate alla barca con robuste sagole agganciate ai mulinelli.

2. IL MULINELLO

Per la traina e per il drifting il mulinello ideale è quello a tamburo rotante, così chiamato perché ha la caratteristica di avvolgere o svolgere la lenza su una apposita struttura tubolare che ruota su se stessa. Questo cilindro - per effetto di una serie di congegni in metallo, in cuoio o in ferodo - ha la proprietà di girare sia in

folle sia opponendo, mediante la frizione o freno, una resistenza che, partendo da un valore infinitesimale, può essere gradualmente aumentata fino al "blocco" assoluto. Il regolaggio di tale resistenza si ottiene operando con le dita su un comando esterno a leva o a stella. Il primo è più facilmente manovrabile anche da chi è alle prime armi; in particolare perché la leva può essere preordinata su una determinata resistenza rapportata alla potenza dell'attrezzatura considerata nel suo complesso, resistenza che può essere superata solo attraverso una semplice ma specifica operazione manuale che viene perciò compiuta in piena consapevolezza quale che sia lo stato emozionale del soggetto.

Ma la cosa veramente essenziale in fatto di mulinelli è che l'attrezzo sia costruito con materiali e tecniche di primissimo ordine, tali cioè da far sì che, all'abboccata del pesce, la lenza, vincendo subito la forza di inerzia, parta immediatamente allorché è raggiunto il libbraggio

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impostato; e che, in seguito, la resistenza sia prontamente e dolcemente regolabile a seconda della trazione esercitata dal nostro antagonista pinnuto. Ogni mulinello, dal più piccolo al più grande, è fornito di un avvisatore acustico, la ben nota "cicala", che va attivato solo per adempiere al suo compito specifico: segnalarci l'aggancio del pesce. In ogni altra fase, compresa quella inerente al recupero, l'avvisatore dovrà essere disinserito, pena il verificarsi del suo definitivo mutismo.

Le potenze dei mulinelli sono espresse con una numerazione seguita dallo 0: 2,5/0; 4/0; 6/0; 9/0; 12/0; 14/0. Naturalmente la capienza del mulinello varia in rapporto alle dimensioni sempre correlate alla potenza; ad esempio: 500 yard di filo da 30 libbre per il 4/0; 675 yard di filo da 50 libbre per il 9/0; 800 yard di filo da 80 libbre per il 12/0.

Un particolare non trascurabile è rappresentato dal rapporto di recupero ossia dal numero di giri del tamburo corrispondente ad ogni singolo giro della manovella. Il rapporto generalmente migliore è quello da 1 a 3, ma con prede di grandissima stazza, tale rapporto può richiedere troppa fatica da parte dell'angler nella fase di pompaggio; per ovviare a questo impasse potremo adoperare modelli con rapporti minori (es. da 1 a 2, da 1 a 1,5) ovvero, meglio ancora, a doppio rapporto ossia dotati di un cambio come le automobili. E' infine da ricordare che l'effetto leva sarà tanto più favorevole quanto maggiore sarà la quantità di lenza immagazzinata nel mulinello.

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5. LA GIRELLA E IL MOSCHETTONE

La girella ha lo scopo fondamentale di evitare la torsione dei vari elementi che compongono la lenza, primo fra tutti il terminale. Quasi sempre è accoppiata ad un moschettone per l'aggancio al terminale ovvero all'esca. Anche la resistenza della girella è generalmente espressa in libbre: da 20 a 500. In traina è di norma opportuno fare a meno del moschettone che è sempre più voluminoso e più debole della girella. Sono di gran lunga più funzionali e più resistenti (circa il doppio) i modelli in acciaio inox con cuscinetto a sfere.

Cercheremo di evitare l'uso delle girelle quando non sono indispensabili, ossia quando pescheremo con piume semplici o a testa solida o con altri artificiali che non ruotano su loro stessi come determinati pesci finti tipo rapala.

Le girelle non debbono mai avere una potenza inferiore a quella della parte più debole della lenza. Se è appena possibile la eventuale girella di congiunzione fra lenza madre e terminale deve essere di dimensioni ridotte, tali cioè da consentirne l'agevole scorrimento attraverso le carrucole o gli anelli della canna nel momento cruciale in cui la preda oramai prossima alla barca spende tutte le sue energie residue per tentare di liberarsi. In traina lenta con esca naturale la girella serve sempre ma, fatte salve opzioni personali diverse, va piazzata a contatto o quasi a contatto con l'esca naturale medesima. Un caso particolare è quello del drifting, che esamineremo a suo tempo nei dettagli: con questa tecnica la girella è praticamente obbligatoria per congiungere la doppiatura con il terminale.

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8. GLI AFFONDATORI DI LENZA

L'argomento affondatori è importantissimo per molti tipi di traina costiera. Per portare le esche verso il fondo potremo avvalerci di diverse soluzioni.

1. il piombo o i piombi amovibili fusiformi e a spirale;

2. il fatoom master a funzionamento manuale o meccanico; si tratta di un apparecchio destinato a calare pesanti corpi metallici sferiformi (da 3 a 7 kg) ai quali va agganciata una certa quantità di lenza che, all'abboccata del pesce, si libera e consente di effettuare il recupero senza pesi interposti;

3. i fili autoaffondanti quali il dacron con anima piombata, che scende poco, e il monel che scende assai di più;

4. gli stim,, che sono apparecchi che scendono in basso per la loro forma (effetto idrodinamico); gli stim viaggiano ad altezza costante correlata alla velocità della barca, fanno flettere le canne per la forte trazione esercitata e non raggiungono profondità elevate;

5. il piombo guardiano (di forma piramidale o conica e di peso variabile dai 4 agli 8 etti) che è applicato, mediante un sottile spezzone di filo lungo un paio di metri, sulla lenza madre ad almeno 20-30 metri dall'esca.

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Gli affondatori sub a), sub c) e sub d) sono consigliabili per le esche artificiali; mentre tutti, esclusi quelli sub d), sono utilizzabili con le esche naturali. Ammennicoli variPer completare l'attrezzatura da pesca di bordo serviranno, oltre alle esche - di cui ci occuperemo in seguito - alcune altre cosette e cioè:

manicotti metallici di diverso calibro per bloccare i nodi su fili metallici e, se di grande spessore, anche di nylon;

pinze adatte a comprimere, schiacciandoli, i manicotti;

forbici, coltello, aghi, filo (meglio quello interdentale) per "operazioni chirurgiche" necessarie alla preparazione delle esche naturali morte; ci sarebbe il deboner (nei nostri mari lo si usa poco o niente) che è un attrezzo studiato per asportare la spina dorsale di alcune di dette esche senza sventrarle;

filo in treccia metallica con guaina termosaldante ottimo per il montaggio di esche naturali vive o morte;

mazzuolo, in legno pesante o in metallo, destinato ad uccidere rapidamente le prede imbarcate evitando la loro lenta agonia.

Canna e mulinello sono i due attrezzi senza i quali non è possibile pescare. Ma ciò non significa che qualsiasi canna o mulinello siano buoni per ogni genere di pesca. Imparare a distinguere in materia di potenza, di tipologia, di rapporti fra i due strumenti, di adattamento alla tecnica prescelta, di dimensione delle prede, risulta di vitale importanza.

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ARTIFICIALI PER LA TRAINA

Le esche artificiali che ci interessano si suddividono in cinque grandi gruppi: i cucchiaini, le piume semplici, le piume con testina solida, gli octopus e i pesci finti. Dal punto di vista del pescatore queste esche rappresentano la soluzione clou, quella di gran lunga più gradevole in quanto ci consente illimitate possibilità di scelta a seconda delle diverse esigenze e, inoltre, ci fa sporcare le mani solo quando e se le prede giungono a bordo.L'unico aspetto negativo è quello che, per regola quasi ferrea, esse non sono appetite dai grandi esemplari di ricciola, di leccia e di serra che, tutti, vogliono il vivo.

I cucchiainiSono validi per molti pesci: spigole, dentici, occhiate, sgombri, sugarelli, lecce stella, palamite, tracine, lampughe, aguglie e, qualche volta, anche tonnetti. Ma

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diciamolo chiaramente: in molti casi sono oramai superati dai pesci finti in costa e dalle piume con testina solida in altura. Tanto per esemplificare, un cucchiaino può catturare una spigola o un dentice mentre - nello stesso luogo, nello stesso tempo e nelle stesse condizioni - un pesce finto può prenderne tre o quattro. I cucchiaini hanno varie fogge e lunghezze. In linea di massima sono da preferirsi quelli di forma allungata e fusiforme, tale cioè da assomigliare alla mangianza più diffusa nell'ambiente marino: sarde e alici. Le dimensioni consigliabili sono quelle medio-piccole: dai 3 ai 7 centimetri. In definitiva i cucchiaini (che hanno sempre bisogno di una zavorra piazzata almeno cinque metri a monte) possono definirsi esche ottime per le occhiate, le lecce stella, gli sgombri e... le tracine; inoltre rappresentano il mezzo di ingresso più semplice e più economico nel mondo della traina per quelli che iniziano le loro esperienze e hanno bisogno di "farsi le ossa". Personalmente, allo stato attuale dell'evoluzione tecnica degli artificiali, li uso soltanto quando tento di impossessarmi di qualche pescetto da utilizzare in più ambiziosi programmi di traina con il vivo. L'andatura della barca più congeniale ai cucchiaini varia dai due ai quattro nodi scarsi.

Le piume sempliciSi tratta di ciuffetti di piume (2-7 cm, solitamente bianchi) di gabbiano, di marabù o semplice pollastro che, unite fra di loro alla base con appositi leggeri legamenti e munite di amo nella parte posteriore, simulano le sembianze e il movimento dei piccoli pesci che costituiscono la "mangianza" presente in loco.

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Essenzialmente vanno bene per le occhiate, i sugarelli, le lecce stella e altri predatori di taglia non eccessiva ivi compresi, qualche volta, i pesci serra che non superano i due kg di peso. La versione pesce serra è poco conosciuta. La costruisce per sé e per gli amici l'appassionato trainista Rino Caldarelli di Anzio. Non possono definirsi piume in senso stretto ma, senza bisogno di amo, catturano ottimamente le aguglie per "ingarbugliamento" del becco, le ormai famose matassine denominate "skeinfish". Secondo regola le piume semplici non vanno zavorrate. La velocità di traina oscilla fra i due e i tre nodi.

Le piume con testina solidaSono ottime per la caccia ai predatori pelagici anche di taglia medio-grande e grande, in altura e media altura. La struttura di questi artificiali è caratterizzata dalla presenza di un ciuffo piumato, che può essere costituito anche da sottili filamenti vinilici, assemblato mediante una testina di metallo, plastica o altro materiale solido. Attraverso la testina che è forata all'apice, si fa passare il capo del terminale cui viene assicurato l'amo che, per fornire il massimo rendimento, deve essere posizionato in modo che la sua curvatura si trovi all'altezza della parte posteriore estrema del ciuffo. Come detto, le possibili prede sono tutti i predatori di altura e media altura: tonni, tonnetti, lampughe, sgombri, palamite e, qualche rarissima volta, addirittura pesci spada.La lunghezza ottimale è compresa fra i 5 e i 9 cm con armamento di ami a occhiello dei numeri dal 2/0 al 7/0. Alle piume comprese in dette dimensioni possono

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spesso interessarsi, indipendentemente dalla rispettiva taglia, pesci piccoli e pesci enormi: dal maccarello di tre etti ai tonni giganti di alcuni quintali; i quali ultimi in classica azione di scippo mi hanno "portato via tutto", non una sola ma decine di volte. I colori statisticamente più catturanti sono il bianco, il nero carbone e il bianco-rosso. Anche gli altri colori possono trovare il loro utile campo di impiego in determinate zone e momenti e per determinati predatori. E' perciò consigliabile partire dagli anzidetti colori standard e, se dopo qualche ora i risultati sono negativi, cambiare e ricambiare più volte. La velocità di traina con piume munite di testina solida varia dai 5 ai 7 nodi. Di regola non serve zavorra.

Gli octopusSi tratta di simulacri che imitano le sembianze e il comportamento di cefalopodi e ottopodi di limitate dimensioni. Costruiti in gomma e in materiali similari hanno lo stesso campo di impiego che abbiamo appena indicato per le piume con testina solida. Identico anche il sistema di montaggio.

I pesci fintiDi pesci finti in commercio ce ne sono a bizzeffe: in metallo leggero e pesante, in materiali gommosi, in plastica, legno e via dicendo. Ma, gira e rigira, nei nostri mari il primato assoluto di capacità di cattura lo detengono i modelli in legno di balsa, in primis quelli prodotti dalla nota casa finlandese Rapala. Questi

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simulacri, il cui campo d'azione spazia dall'immediato sottocosta alla grande altura, sono tutti muniti di una appendice anteriore (paletta) che, alla velocità giusta, determina il famoso "guizzo", elemento di sicuro richiamo per quasi tutti i predatori.

La paletta può essere di plastica o metallica. La seconda, che determina un maggiore affondamento e un guizzo più pronunciato, è senza dubbio più congeniale alla traina nostrana; c'è però da dire che, soprattutto nei bassi fondali (2-5 metri), la paletta di plastica può offrire anch'essa risultati di notevole rilievo. Le lunghezze vanno dai 3 ai 26 cm. Per ogni singola specie, anche in rapporto alla taglia delle prede insidiate, c'è la misura giusta. Anche i colori hanno la loro importanza, spesso determinante: in assoluto è certamente più catturante il bianco-rosso; seguono il color maccarello, il bianco-celeste e il bianco-nero. Con i Rapala ho preso di tutto: dall'occhiata di mezzo etto al tonno rosso di due quintali. Ma la valenza di queste esche veramente micidiali si manifesta soprattutto nei confronti delle spigole, dei dentici e dei tonni di branco. Ci sono, come accennato, anche altri pesci finti di marche diverse, provenienti soprattutto dall'Est asiatico. In qualche caso funzionano ma fino a quando non saranno adattati, in fase di progettazione e di realizzazione, ai "gusti" dei predatori dei nostri mari, il loro rendimento non sarà ottimale. In molti casi i pesci finti hanno bisogno, tranne che nella traina alturiera e semialturiera, di lavorare molto affondati. Con i pesci finti la traina non può mai essere lenta: almeno tre nodi con i modelli più piccoli,

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per arrivare ai 7-8 nodi con i modelli più grandi in altura.

Le esche esoticheOltre a quelle sopradescritte il mercato offre molte altre esche da traina di fogge e dimensioni diverse. Si tratta quasi sempre di oggetti di importazione che hanno una loro indubbia validità negli oceani ma che, "da noi", funzionano solo in rarissime occasioni.

LE PREDE

La pesca al dentice - Il re del fondale

La grande leccia - Un predatore solitario

Occhio all'occhiata

Il misterioso occhione

Pesca all'orata - Una preda difficile

Ricciola - La regina del blu

Il sarago

Pesca al pagello - Febbre rosa

Bolentino alle mormore

La tigre pesce serra

Spigola - La signora delle maree

Spigole a traina - Capriccio e sregolatezza

Spigole in profondità

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Tonnetti al naturale

Grandi tonni in drifting

Tonno - L'azione di pesca

Mister mare: il tonno

Le tecniche

Le attrezzature

Le schede di oltre 25000 specie di pesci

Pesci d'acqua dolce e salmastra

LE ATTREZZATURE PER LA PESCA

SAPER SCEGLIERE LE ATTREZZATUREPer praticare la pesca sportiva dalla barca è determinate saper scegliere quelle più adatte alle proprie esigenze:La cannaIl mulinelloLa lenzaL'equilibraturaLa girella e il moschettoneL'amoGuanti, cinture, bretelle, coppo e raffiGli affondatori

Un computer per la pesca degli anni 2000

Artificiali per la traina

Le esche artificiali

Le esche naturali

Kit professionale per l'aguglia

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Gli affondatori di lenza a traina

Kit elettronico di pesatura

Che cos'e' una canna da traina

I mulinelli

PRODUTTORI E DISTRIBUTORIUn ampio database merceologico di attrezzature per la pescasuddivise in quasi 20 categorie differenti

Le tecniche

Le prede

IL RE DEL FONDALE

I più esperti lo insidiano anche sulle secche lontano dalla costa dove non è del tutto improbabile la pesca di vecchi esemplari del peso di 10 chili ed oltre. Dopo aver sperimentato differenti sistemi, attrezzi ed esche, sia naturali che artificiali, in varie zone del Mediterraneo, rivisitiamo in sintesi i metodi più efficaci per dare scacco matto a questo maestoso e diffidente sparide degli alti fondali. La mia personale esperienza con il dentice risale addirittura alla primissima infanzia, quando con la qualifica di "aspirante mozzo" (avevo solo otto anni d'età) seguivo mio padre a bordo della sua lancia fuoribordo Scott-at-water, per

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interminabili battute di pesca a traina dall'alba al tramonto. La parte negativa di quelle uscite in mare erano le immancabili alzatacce a notte fonda; i lati positivi, i risultati della pesca, quasi sempre molto fruttuosa, a spese di spigole e dentici. Questi ultimi risultavano le prede più frequenti, da uno a sei o sette chili. Per la verità ne prendevamo saltuariamente anche con le coffe innescate a sarda, insieme a cernie di media mole e ad un'infinità di gronghi e murene che avevano la pessima abitudine di aggrovigliare sia i braccioli che la madre del palamito.

Il mare a quei tempi era molto generoso, mi riferisco a circa quarant'anni or sono; la nostra area di pesca si estendeva da Ladispoli a Tarquinia, con predilezione della zona di Santa Severa per le spigole e di Sant'Agostino per i dentici. Erano le prime esperienze di traina e pescavamo sia con le lenze a mano con piombi ad oliva distribuiti sulla madre lenza, sia con canne di tonchino ad anelli fissi ed un rudimentale affondatore autocostruito che ci permetteva di trainare fino a 30 metri di fondo. Le esche più efficaci, allora come adesso, erano le aguglie, ma il problema era rappresentato dalla perdita di tempo della loro cattura. Il più delle volte utilizzavamo dei cucchiai ondulanti, con un ciuffo di penne bianche sull'ancoretta. Con il passare degli anni ho collaudato tecniche diverse in luoghi differenti, lasciandomi consigliare dai pescatori locali. A Lampedusa e a Pantelleria utilizzavo una grossa lenza a mano con una sagola di nylon intrecciato, arrotolata attorno ad un manico di scopa e 100 metri di nylon monofilo del ø mm 1,40 con un finale dello 0,80 ed un cucchiaio ondulante del tipo martellato, al quale sostituivo l'ancoretta con un grosso amo ricoperto di piume gialle di marabù. Per affondare la lenza utilizzavo un piombo a battello di circa 2,5 chili, che mi permetteva di raggiungere fondali di 30 metri ed oltre, diminuendo opportunamente la velocità; in questo ultimo caso incurvavo maggiormente la

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parte più larga del cucchiaio per farlo lavorare bene anche con il motore al minimo. Le reazioni del pesce erano però attenuate dal grosso piombo e dalla lenza pesante. In Sardegna era possibile reperire le aguglie con relativa facilità nel mese di settembre, e mi ricordo che ad Arbatax trainavamo con queste esche in fondali medio-bassi tra i dieci ed i venti metri con poco piombo ed a bassa velocità, catturando dentici tra i 3 e i 6 chili.

In Grecia ed in Turchia discreti risultati li ho ottenuti con gli artificiali della Heddon americana ed in seguito con i Rapala sinking magnum tipo cefaletto e maccarello. Solo in questi ultimi anni ho effettuato delle buone catture sia all'Isola del Giglio che a Giannutri, un tempo vero santuario di questo argenteo predone, a traina con il vivo ed a "drifting" con sarde molto fresche ed una costante azione di pastura.

Attualmente mi reco tutti gli anni, nel periodo a cavallo fra settembre ed ottobre, in Corsica e nel Nord della Sardegna per la traina ai dentici ed alle ricciole esclusivamente con il vivo. In questi mesi le aguglie abbondano e la cattura dell'esca non comporta più alcuna difficoltà, ma solo la perdita di pochi minuti, purché si conoscano i punti esatti dove cercarle. Ho messo a punto per la pesca a traina un canotto a chiglia rigida HD-SIX della Novamarine e se percorro un tratto di mare che non conosco sfilo in planata lungo la costa con le lenze pronte, ed appena un branco di aguglie, spaventato dal rumore dell'imbarcazione, salta in fuga davanti alla prua, levo il gas ed inizio a pescare in zona sia a traina che da fermo con le canne da punta, pasturando con piccoli pezzi di sarda, crusca e sabbia. E' molto importante disporre di una bacinella, preferibilmente circolare, dove le aguglie, nuotando in circolo, riescono ad ossigenarsi. Una pompa per il ricambio dell'acqua di mare od un ossigenatore o, ancora meglio, entrambe le cose,

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mantengono in vita le esche ottimamente. La montatura deve essere semplice da applicare, leggera ed al tempo stesso robusta: due ami n° 3/0 a gambo corto Lion d'Or serie n° 1545/N o Mustad serie 7691 con anellino saldato, inseriti appena sotto pelle, uno verso la coda e l'altro due centimetri dietro l'opercolo branchiale. Per il trasporto si utilizza un piccolo amo inserito nel becco. La montatura può essere realizzata con un doppio nylon del ø 0,40 o 0,50 o con nylon monofilo dello 0,70 o 0,80. Nel primo caso, il finale della lunghezza di 25 metri dello 0,40 o 0,50 si raddoppia negli ultimi 40 centimetri, posizionando l'ultimo amo con un nodo fisso e l'amo centrale scorrevole al pari dell'amo di trasporto, essendo variabile la dimensione delle aguglie.

Se si cattura un'aguglia grande è preferibile utilizzare ami n° 4/0 e posizionarne tre invece di due, oltre a quello con funzioni di trasporto. Per questo ultimo scopo si può utilizzare un amo della stessa grandezza di quelli fissati lungo il corpo, per il semplice motivo che il dentice se afferra l'esca in testa raddrizzerà con estrema facilità il piccolo amo. In questo caso bisogna fissare l'amo sotto il becco legandolo con un sottile filo di dacron prima intorno alla mascella inferiore e poi, una volta richiusa, intorno alle due mascelle. E' buona norma, poi, serrare il gambo dell'amo, il becco e il filo della montatura con un centimetro di tubicino elastico (ottimi i tubicini gastrici in lattice di gomma), preventivamente

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inserito davanti all'amo di testa. A questo punto è consigliabile legare lungo il corpo i due ami della montatura: facile a dirsi, difficile a farsi per le vivaci reazioni dell'aguglia, che però si manterrà così viva e senza alcuna ferita che vivrà a lungo e a fine giornata, in assenza di ferrature, potrà essere lasciata libera e indenne. E' buona norma, in fase d'innesco, non trattenere l'aguglia per il becco, altrimenti ruota sul suo asse longitudinale aggrovigliando la montatura.

Il sistema più valido, considerando che questa montatura richiede un certo tempo di applicazione e due persone per effettuarla correttamente, è quello di trattenere l'animale sotto il pelo dell'acqua della bacinella adibita a vasca per il vivo, avvolgendo il corpo con

un piccolo asciugamano. La velocità di traina deve essere la più bassa possibile concessa dal motore; spesso è necessario mettere a folle per consentire alla lenza di affondare maggiormente, tenendo però d'occhio lo scandaglio per evitare di incocciare sul fondo.

I fondali adatti alla traina del dentice variano tra i 15 e i 60 metri, a seconda delle zone prescelte. E' evidente che trainare oltre i 30 metri rappresenta un serio problema e si può attuare solo utilizzando i "down triggers", affondatori con zavorre moto pesanti. L'utilizzo di un serio scandaglio scrivente, o meglio a cristalli liquidi, è quasi indispensabile non solo per localizzare i banchi di pesce, comunque di difficile discernimento per la presenza di tante altre specie che non si catturano a traina (saraghi, orate, occhiate, salpe ecc.), quanto piuttosto per delineare il profilo del fondo, cercando di evitare i picchi di roccia dove sia l'esca che l'affondatore possono afferrare a guisa di ancora. Ottimo anche il monel, una lega di acciaio molto duttile, da 40 o 50 libbre, che permette di trainare fino a 30 o 35 metri, filando in acqua all'incirca 180 metri di lenza, più i soliti 25 metri di

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finale di nylon. Il monel richiede molta attenzione mentre si fila in acqua; avendo un peso specifico elevato tende a far girare la bobina ad una velocità maggiore di quella richiesta dal filo stesso, con il risultato di una inestricabile matassa di... acciaio. Inoltre, la coppia galvanica tende ad ossidare le bobine dei mulinelli; è necessario quindi asciugare il filo mentre si recupera a fine giornata, lavarlo poi in acqua dolce e sapone ed una volta al mese estrarlo completamente dalla bobina per cospargerlo con vaselina liquida. Un altro sistema di facile utilizzo è quello del piombo testimone di circa 600 grammi, a palla o a cilindro, piazzato con un bracciolo di nylon sottile, di tre metri, tra la madre lenza ed il finale. Come tutte le medaglie anche lui ha il suo rovescio, costituito da tre inconvenienti. Il primo è quello di non permettere un'azione di traina costante in prossimità del fondo ma un percorso a saliscendi, dimezzando quasi le possibilità di cattura; si è infatti costretti ogni dieci minuti a mettere il motore in folle ed a calare la lenza fino a sentire il piombo che tocca il fondo, per poi ripartire immediatamente, recuperando qualche metro con la manovella del mulinello per evitare di attaccare il peso. Inoltre, in caso di cattura, il piombo attenua le reazioni del pesce sulla lenza e con esse il divertimento dell'angler. Ultimo problema è quello di dover tagliare il bracciolo di tre metri all'atto del recupero; se si è da soli è impresa non facile. Mi ricordo una personale esperienza negativa: avevo sulla lenza una ricciola tra i 10 e i 12 chili e, essendo da solo sul canotto, non riuscii a tagliare il bracciolo del piombo testimone vicino alla legatura sulla girella posizionata tra dacron e finale, ma potei tagliarlo solo un palmo sopra la palla di piombo. Il risultato fu positivo per il pesce e negativo per me, poiché la ricciola fuggì nuovamente con violenza e i quasi tre metri di bracciolo a penzoloni si aggrovigliarono sul finale e sulla leva della frizione, bloccando il rocchetto del mulinello. Un secco schiocco ed il finale dello 0,60 si ruppe lasciandomi con un

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palmo di naso.

I fondali prediletti dal dentice sono le franate di roccia tra i -20 e i -40; ancora meglio se nei pressi ci sono anche buche di sabbia orlate di posidonie. Infatti è solito fare gli "aspetti" alle sue prede stando nascosto fra la vegetazione o nuotando pigramente fra i massi per poi partire con sprint da centometrista per infilarsi tra i branchi di sparaglioni, vope, occhiate ed aguglie, che però frequentano solitamente acque più basse e costituiscono un elemento più occasionale dei suoi menù. Anche castagnole, perchie e canose, e tutti i molluschi cefalopodi sono appetiti dal dentice che non disdegna affatto le sarde, ottime per la tecnica del "drifting". Sono pescosi i cigli che seguono i pianori rocciosi e le secche al largo, anche se non c'è una regola fissa, sia per i fondali che per le ore migliori da dedicare alla pesca. Una volta ferrato, il dentice inizia il combattimento con violente testate e fughe rapide ma brevi; di solito un esemplare medio, intorno ai 4 chili, combatte con violenza i primi 5 minuti, poi si calma e si fa recuperare senza opporre particolare resistenza; solo in vista della barca tenta un'ultima inutile fuga, ammesso che sia stato catturato ad una profondità media. Se è venuto su da alti fondali, la sua vescica natatoria dilatata gli impedisce d'immergersi nuovamente. Un colpo preciso di raffio od un capiente guadino concludono la cattura in modo definitivo.Un ultimo consiglio: se siete buoni sub, prima della battuta di traina fate un'immersione esplorativa per valutare la composizione del fondo e la presenza di eventuali banchi di esche. Ciò vi permetterà di dare scacco matto al re dei fondali in tempi più brevi.

UN PREDATORE SOLITARIO

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Dire "oggi vado a pescare le leccie", significa non conoscere le stravaganti abitudini di questi predatori e formulare un pensiero utopico o perlomeno molto ottimista, specie per il plurale. In effetti le grandi lecce solo nei periodi migratori si spostano in piccoli gruppi di pochi esemplari. Quando trovano una zona di caccia favorevole, preferiscono la predazione solitaria od al massimo di coppia. E' quasi impossibile dare dei dati certi sulle sue migrazioni, sui luoghi dove si stabilisce per riprodursi e per cacciare, sulle sue esche preferite, proprio per l'esiguo numero di catture registrate che forniscono uno spettro statistico insufficiente. In effetti, quando sulla base di qualche cattura, ci si arrischia ad enunciare una regola, la leccia ancora una volta ci sorprende, dimostrando l'opposto. Personalmente, non ho mai catturato leccie di una certa mole con esche artificiali, ma solo con quelle naturali vive o morte; ero quindi convinto della mia teoria che, per gli esemplari più grandi, l'artificiale è pressoché inutile, forte anche della stessa esperienza verificata con le ricciole.

Ritornavo nel porto di Civitavecchia con il mio compagno di pesca Maurizio, appagati entrambi da due ricciole di circa 8

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kg cadauna, catturate con l'aguglia viva nel mese di ottobre, quando sentii sul VHF la chiamata di un nostro amico che rientrando aveva ferrato, quasi sull'imboccatura, a 50 metri dalla diga foranea, un grosso pesce. Dopo un combattimento di quasi 15 minuti, una leccia di oltre 12 kg., raggiunse il pagliolo del fortunato angler, allamata durante la fase di recupero della lenza, quindi a velocità doppia, con un Rapala testa rossa da 14 cm. in acqua torbida e su fondale fangoso. Di certo, la leccia si era spinta in quella zona rumorosa e per lei poco ospitale, all'inseguimento di branchi di cefali o sulla scia dei pescherecci che puliscono il sacco in mare e gettano le prede non commerciabili.

Tecniche di pesca ed escheLa pesca derivante a corrente con il vivo può dare ottimi risultati se abbinata ad una oculata pasturazione, in zone dove sono già state avvistate o catturate delle leccie. Il finale deve essere della sezione dello 0,50 o dello 0,60 di colore neutro o simile a quello dell'acqua circostante, lungo dai 15 ai 20 metri. L'imboccatura con due o tre ami del tipo dritto a gambo corto, misura dal 5/0 al 7/0, a seconda del tipo di esca usata e della sua dimensione, può essere realizzata con il raddoppio degli ultimi 40 cm. di finale di nylon o con un pezzo di kevlar o dacron di pari misura da 130 libbre. L'amo di coda è fisso, quello di centro e quello di testa scorrevoli, per adattarli alla lunghezza variabile delle esche vive. E' senza dubbio più dinamica e divertente la traina, quando questo imprevedibile carangide, ci onora con una sua ferrata. Per indurlo a ciò è necessario procurarsi una seppia di medie dimensioni, forse la sua preda preferita, insieme al calamaro. Fondamentale che questi cefalopodi siano freschissimi, della nottata, e trainati a velocità molto ridotta,

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mai superiore al nodo. Strano ma vero, la seppia morta, non in drifting ma in traina, è più catturante di quella viva, forse perché più visibile, con i tentacoli predatori estesi e l'assenza del mimetismo che la caratterizza da viva. L'esca non deve ruotare e per mantenerla in assetto possiamo piombare la parte inferiore del cappuccio, o inserire una fettuccia di polistirolo, nella parte superiore, fissandola con ago e filo.

Al secondo posto come appetibilità, viene il cefalo vivo di buona taglia, se peschiamo in zone dove sono presenti in buon numero queste potenziali esche, oppure le aguglie, purché dai 40 cm. in su, innescate con tre od addirittura quattro ami, tutti legati, senza ferire l'animale per permettergli la massima libertà nel nuoto. In mancanza delle esche succitate, sgombri, sugheri ed eventualmente occhiate, possono costituire validi surrogati e, con un po' di fortuna, anche i sempre validi Rapala da 14 e 18 cm, modello sinking, trainati a velocità variabili da 3,5 alle 5 mph., con colori vivaci in acque torbide e i colori del cefalo e maccarello, in acque chiare.

Sulla profondità alla quale conviene proporre le nostre esche, ci sono idee ed esperienze troppo contrastanti tra i pescatori incalliti, per trarre delle conclusioni attendibili. Personalmente, le leccie che ho catturato, le ho ferrate a profondità comprese tra i -20 ed i -35 m., intendo dire dove si trovava la mia esca, su fondali di qualche metro più bassi, costituiti da cigli rocciosi che digradavano verso substrati fangosi o vaste piazzole di sabbia e roccia circondate da folti banchi di fanerogame, habitat, questo, ideale per i molluschi cefalopodi.

Attrezzi consigliatiPer affondare la lenza a quelle profondità un buon affondatore o down-rigger, sia manuale che elettrico, ci

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permette di combattere il pesce allamato e sentire le sue reazioni sul cimino della canna, senza essere appesantiti da un piombo guardiano o dalla lenza di monel autoaffondante. Con lenza di nylon o dacron che sia, da 50lbs su canna da 20 lbs., o lenza da 30 lbs., su canna da 12 lbs. per i più esperti, il divertimento è assicurato! In alternativa l'uso del monel da 60 lbs., preceduto nel mulinello

da 150 m di dacron di simile libbragio, diminuisce il divertimento a causa del maggior peso della lenza, ma è altrettanto catturante. Il piombo guardiano di forma sferica od a pera del peso di circa 750 grammi, interposto sulla girella tra i 20 m di finale e la lenza madre, fissato con due metri di nylon dello 0,50, permette, con il motore in folle, di raggiungere maggiori profondità. Ma dopo pochi minuti di traina, il piombo con tutta la lenza, per effetto dell'attrito con l'acqua, tende a risalire e d è necessario ripetere l'operazione dell'affondamento.

Il recuperoE' il momento più emozionante proprio per la grande combattività della leccia e dell'alea della sua definitiva cattura. Un ruolo fondamentale lo giuoca lo skipper, che deve prevenire gli spostamenti della preda, seguendo l'angolo d'inclinazione del filo con l'acqua, la tensione sul cimino e gli avvertimenti dell'angler.Spesso succede che la preda venga incontro all'imbarcazione, ad una velocità superiore a quella del recupero della lenza da parte del pescatore; in questo frangente, con la lenza in bando, si rischia di perdere il pesce ed il pilota deve accelerare per mantenere la lenza in tiro. La leccia, al contrario della ricciola, ha delle reazioni incostanti e spesso la sua cattura richiede meno tempo,

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poichè tende a stancarsi prima. Però le sue fughe sono molto più violente e basate principalmente sulla velocità; una volta in superficie, viaggia veloce con la pinna dorsale e caudale a fendere l'acqua ed a volte si esibisce in salti acrobatici. L'ultima reazione si manifesta alla vista dello scafo e tende a ripartire verso il fondo, quando non si getta verso il piede del motore. Inutile dire che questo è il momento più difficile ed aleatorio: solo un preciso colpo di raffio mette fine al recupero a favore dell'angler.

La scheda della Leccia

Ordine: perciformi - Famiglia: carangidi - nome latino: LICHIA AMIA Distribuzione: Atlantico orientale; presente lungo le coste del Sud-Africa, in tutto il Mediterraneo e nel Mar Nero. In Adriatico entra nella laguna veneta, alla ricerca di cibo.Dimensioni: gli esemplari adulti possono raggiungere la dimensione massima di 2 metri per 50 chili di peso. A detta degli esperti le leccie sono sensibili alla bassa temperatura dell'acqua. Quando questa scende al di sotto dei 14° C., migrano verso mari più caldi. Riproduzione: l'epoca della riproduzione corrisponde alla nostra primavera, ma avviene nei mari più caldi ed in prossimità della costa, su fondali misti di rocce, posidonie e fango.Costumi: specie pelagica con migrazioni stagionali, motivate dalla ricerca di clupeidi e cefalopodi e di temperature miti, dove riprodursi. Saltuariamente, esemplari di mole ragguardevole sono stati notati in qualche metro d'acqua, mentre inseguivano branchi di costardelle o di cefali. Parente stretto di questo perciforme è la ben nota leccia stella, di dimensioni ben più ridotte: la lunghezza media si aggira intorno ai 30 cm., anche se qualche volta si trovano sui banchi dei mercati del pesce esemplari di mezzo metro. E' predata anche da terra con canne da lancio e da posta.

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Meno conosciuta, ma presente anche nei nostri mari, la leccia fasciata raggiunge, per quanto concerne il Mediterraneo, dimensioni maggiori intorno ai 60 cm.. Molto ambita dal pescatore sportivo per la sua accentuata combattività.

OCCHIO ALL'OCCHIATA

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Dal punto di vista gastronomico, è considerato un buon pesce, anche se la sua taglia media non oltrepassa i trecento grammi. E' un pesce estremamente combattente e "tira" come un forsennato, nonostante le sue ridotte dimensioni; quindi si rileva un ottimo antagonista dal lato sportivo. Vediamo come lo si può insidiare, e quali attrezzature occorrono per pescarlo.

Le barche occorrenti

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Per catturare le occhiate non sono necessarie barche di grande stazza, sono sufficienti dei gozzi, delle lance, dei piccoli fisherman o addirittura dei gommoni. Quello che magari risulta necessario, per svolgere correttamente l'azione di pesca, è lo spazio messo a disposizione per ogni pescatore. Colui che sta pescando deve essere libero ed esente da ogni ingombro. Per avere le idee chiare: una lancetta, un piccolo fisherman di circa cinque metri, non possono sopportare più di tre pescatori, in quanto ognuno di essi deve disporre di un proprio settore da riservare alle attrezzature per eventuali ricambi di lenza, per la raccolta delle minuterie varie, e per sistemare il pescato.

Le attrezzature con i relativi finaliCome attrezzature primarie, impiegheremo canne possibilmente in carbonio, lunghe circa quattro metri: ottime quelle all'inglese che si rivelano particolarmente adatte per i lanci di lenze sottili. Comunque, a prescindere dalla moda anglosassone, altre tipologie di canne come le bolognesi a lunghezza similare vanno ugualmente bene. A questi requisiti ne aggiungeremo altri, come, ad esempio, la possibilità di poter disporre di anelli o passanti in buon numero, equamente distribuiti e realizzati con ottimo materiale ad alta dispersione di calore. L'azione delle canne sarà quella di punta e media.I mulinelli saranno quelli tipici della categoria 050, ossia a grandezza medio-piccola, a tamburo fisso. Il mercato attuale ne mette a disposizione una miriade: con leva da combattimento, con doppie frizioni, oppure supertrattati contro la corrosione o realizzati con leghe speciali e frizioni in carbonio.Indipendentemente dai requisiti "tecnologici" che può offrire un determinato mulinello, quello che

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effettivamente conta, e che occorre nella sostanza, è che sia funzionale, semplice, robusto e di conseguenza ... longevo. Praticamente i mulinelli migliori devono essere dotati di organi meccanici interni in bronzo, in acciaio inox e con frizioni speciali per garantire le catture più qualificate. Insomma, mulinelli, il cui costo risulta sensibilmente più alto degli altri, ma giustificato per la loro affidabilità nella pesca e nel tempo.

Per quanto riguarda la lenza madre ed i finali, dovremo regolarci nel modo che segue per avere una buona garanzia di successo. Considerando che questa particolare tecnica di pesca la si può eseguire sia di notte che di giorno, potremo variare a nostra discrezione le selezioni dei monofili. Riguardo alla lenza madre, cioè quella da avvolgere in bobina, opteremo per uno 0,16/0,18 ad utilizzo notturno, e uno 0,14/0,16 per un impiego ordinario.Per il finale, sceglieremo un monofilo con sezione variabile a seconda delle condizioni di trasparenza delle acque, e cioè dello 0,08/0,10 oppure dello 0,12. Naturalmente questa logica la si segue in condizioni ordinarie e diurne. Se la pesca si farà di notte e risulterà fruttuosa, magari con prede qualificate, a questo punto potremo tranquillamente usare un finale dello 0,16 oppure un monofilo unico dello 0,18. Prepariamoci al montaggio della lenza completa che deve essere effettuato con una certa metodologia. Tutto è necessariamente subordinato alla presenza delle nostre amiche pinnute che possono sostare in superficie, negli strati intermedi o nelle vicinanze del fondo del mare.

Un montaggio tipico da occhiate lo si ottiene facendo scorrere la madre lenza negli anelli e inserendoci un

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galleggiante porta starlight (uso notturno) piombato a grammatura variabile a seconda delle nostre esigenze riguardo ai lanci. Il galleggiante lo fisseremo in modo da far giungere l'esca alla distanza voluta di circa 2-3 metri dalla superficie, oppure lo renderemo scorrevole se ci accorgeremo che le occhiate sono presenti in profondità. Al capo della madre lenza genereremo un'asola, alla quale fisseremo il finale vero e proprio, costituito appunto da un monofilo dello 0,10/0,12 o 0,16. Il finale suddetto recherà

un solo amo, ed anche questo varierà nelle misure dal n. 16 al n. 12. Se si rivelano presenze di occhiate di taglia cospicua, è necessario inserire il n.12. Tuttavia, di solito con il bigattino viene rigorosamente scelto il n. 16. La piombatura della lenza, indipendentemente dal galleggiante, se è il tipo all'inglese, normale o piombato, verrà eseguita inserendo una torpilla più un pallino oppure due pallini del n. 9-10. Uno di questi va distanziato dall'amo di circa 80 cm per far fluttuare meglio l'esca in corrente.

Le esche e le pastureEsche ce ne sono molte appetite dalle occhiate, dalla polpa di sardina al fiocco di pane, dalla pasta per le occhiate commercializzata sotto forma di sfarinato (come quello tipo FIMA mare) ai bigattini, e poi vermi, crostacei e molluschi vari. Tra queste esche tipiche citate, ce n'è una molto appetita dalle nostre "amiche", ed è quella che useremo: il bigattino. Il bigattino, chiamato anche bachino, cagnotto o con altri nomi dialettali, è la comune larva di mosca carnaria. Di importazione dulceacquicola, in quanto originariamente

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impiegato per la pesca in acque interne, il bigattino si rivela una della migliori esche in assoluto, non solo per questi Sparidi, ma anche per altre specie di pesce pregiato come il sarago e la spigola. E' un'esca pratica e la si trova facilmente in commercio nei negozi specializzati in attrezzature e articoli di pesca. La pastura, che è un elemento attirante ed indispensabile per i buoni esiti nelle nostre avventure di pesca, può essere realizzata con formula casalinga o comprata confezionata sotto forma di sfarinati o impasti nei secchielli appositi. Per chi opta per la prima soluzione, è necessario comprare un certo quantitativo di sardine fresche (almeno 2-3 kg per ogni pescata), privarle di testa, coda ed interiora, macinarle ed impastarle con sfarinati da mare appositi e almeno un po' di pane bagnato. Chi desidera l'altra soluzione meno impegnativa, e cioè l'acquisto diretto delle confezioni già preparate, può orientarsi sempre sugli sfarinati da pastura da preparare al momento dell'uso e sui secchielli contenenti sarda macinata raccolti in rete, tipo quelli di Spagna Guerrino che si rivelano veramente eccezionali.

I luoghi di pesca, i periodi ed i momenti miglioriCome abbiamo già accennato, le zone migliori sono quelle situate nei luoghi con corrente dei punti cospicui della costa, o nelle vicinanze delle piccole isole o di scogli emergenti al largo. Anche le imboccature dei porti, i dintorni dei manufatti artificiali o delle scogliere, danno i loro buoni frutti. E poi, l'occhiata la si trova anche in prossimità delle vette dei sommi o delle secche dove si unisce a banchi di aguglie alla ricerca continua di cibo. Come periodo, quello migliore è quello autunnale per tutte le zone suddette. Comunque, questo dato non è sempre scontato e spesso dipende dalle

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condizioni meteoclimatiche dei nostri mari. Molto buone anche la primavera inoltrata e l'estate. Le ore diurne risultano spesso e volentieri un po' pigre. Quelle migliori durante le quali si accentua l'attività trofica, si rilevano al tramonto, durante la notte, e alle prime luci dell'alba.

Come si svolge l'azione di pescaRaggiungiamo con la nostra barca il punto desiderato, magari con l'aiuto di un ecoscandaglio se non si conosce bene il fondo, e ancoriamo la barca su un fondale oscillante da una decina fino a circa 25 metri, ad una distanza di pochi metri dalle rocce emergenti. Ancorata la barca, facciamo una cappiola, o asola, sulla cima dell'ancora, in un punto emerso ad un paio di metri dal trincarino di bordo. Fissiamo sulla cappiola un altro spezzone di cima di qualche metro, in modo tale da formare tre venti. Così facendo, la barca assume ben presto una posizione trasversale allo scarroccio e alla corrente di superficie. In questo modo, i pescatori potranno svolgere correttamente tutte le diverse operazioni richieste. Caliamo il sacchetto di pastura al centro della barca in modo tale da farlo affondare per circa tre metri; dopodiché prepariamo le canne e fissiamo i terminali. Appena le nostre amiche "bolleranno" in superficie, getteremo loro con la fionda piccoli quantitativi di pastura unita ai bigattini.Questo è il momento di innescare un paio di bigattini sull'amo, calare le canne e di occhiare i galleggianti che, di solito, non tarderanno ad affondare sotto l'impeto delle occhiate eccitate al massimo. Per i grandi esemplari, un buon guadino risolverà i nostri problemi. Se le occhiate si dimostreranno poco sensibili alla pastura, affonderemo la nostra lenza con un galleggiante scorrevole esplorando i vari interstadi

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d'acqua e zavorreremo il sacchetto di pastura nelle vicinanze del fondo.

IL MISTERIOSO OCCHIONE

Il suo nome italiano è Rovello (Pagellus bogaraveo), ma è meglio conosciuto con alcuni nomi dialettali comunissimi: occhialone, occhione, bezugo, pizzornia o pezzornia, mafrone ecc. Tutti i nomi concentrati in uno, occhione, che noi utilizzeremo per indicare questo bel pesce, che appartiene alla famiglia degli Sparidi e all'ordine dei Perciformi. Per intendersi, l'occhione rappresenta una variante del comune pagello e la sua forma, come anche il colore, è simile a quella del congenere suddetto, ma dimostra di avere abitudini di vita diverse sotto molti aspetti.

E' un pesce gregario che ama sostare in copiosi banchi nelle vicinanze del fondo, a profondità piuttosto cospicue, dai meno 150 a meno 500 metri e oltre! Divide i substrati sul quale vive, che sono ricchi di conchiglie, madrepore e coralligeno ai confini dei grandi rilievi rocciosi in presenza di fango, con naselli, merlane, pesci lama, scorfani di fondale e ... cernie. La sua taglia media è di circa 800 grammi, ma a volte si tirano su prede di oltre due chilogrammi! Nell'ambito della pesca sportiva, l'occhione si rivela un pesce molto

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ricercato, sia per la bontà delle sue carni, sia sotto il profilo sportivo poiché offre al pescatore estenuanti combattimenti ... a fil di lenza! Lo si insidia col comune

bolentino di profondità e con i salpabolentini elettrici, pescando sulle grandi secche al largo in prossimità della scarpata sulla piattaforma mediterranea. Analizzeremo adesso cosa occorre ai nuovi "aficionados" della pesca di profondità all'occhione, sia per quanto riguarda le imbarcazioni occorrenti, che in termini di attrezzature apposite che devono essere correlate di finali, esche ecc.Alle barche e alle attrezzature seguiranno i consigli ed i suggerimenti di come affrontare i luoghi ed i momenti migliori della pesca.

Infine, spiegheremo in modo dettagliato come si svolge l'azione di pesca vera e propria.

Le barche occorrentiVisto e considerato che gli occhioni si pescano a determinate profondità marine, abbastanza rilevanti e, quindi, in genere distanti svariate miglia dalla riva, occorreranno imbarcazioni adeguatamente sicure. Per fare un esempio, andranno egregiamente bene i fisherman intorno a otto metri di lunghezza, magari equipaggiati con due motori. Ai fisherman aggiungeremmo le barche da pesca professionali di buona stazza, che si rivelano molto marine, ma hanno l'handicap di non essere veloci durante gli spostamenti e quando si presenta il bisogno di rientrare alla svelta in porto nel momento in cui il tempo volge al peggio. Logicamente, l'unica eccezione per poter utilizzare i natanti e le imbarcazioni di stazza ridotta si verifica allorquando le zone di pesca vengono rilevate nelle strette vicinanze della costa.

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Le attrezzature con i relativi finali

Riguardo alle attrezzature primarie, cioè agli elementi che fanno le veci della canna e del mulinello, nel bolentino di profondità, in generale vige l'utilizzo del salpabolentino elettrico. Certi attrezzi tecnologici possono non essere usati solo quando l'azione di pesca si esegue su fondali "minori", intorno ai 150 metri di profondità, per la quale sono sufficienti i recuperi manuali di realizzazione artigianale che si trovano comunemente in commercio. Comunque, i salpabolentini elettrici, visto il loro vasto campo d'impiego e la loro straordinaria efficienza, sono attrezzi di gran lunga superiori e quindi consigliabili per la loro grande versatilità d'uso. A tale proposito, la Kristal Fishing, azienda specializzata in questa specifica produzione, propone interessantissime soluzioni di salpabolentini o recuperi elettrici. Alcuni di questi prodotti, di costo contenuto, si applicano direttamente sul portamulinello del manico di una canna ordinaria da traina. Altri modelli simili o di varia grandezza e potenza hanno la loro staffa autonoma da applicare sul trincarino della barca. Assorbono pochissimo amperaggio e offrono recuperi sicuri in qualsiasi condizione di mare.

Altri tipi di attrezzature vengono impiegati in modo complementare, ma non per questo sono meno importanti: cioè l'ancora e la vasca per il pescato.La prima deve essere necessariamente pesante e deve essere rapportata al peso e alla stazza dell'imbarcazione su cui si deve operare. Ad esempio: 14/22 chilogrammi più alcuni metri di maglie di catena per una barca di circa 10 metri. Le marre dell'ancora dovranno essere possibilmente estraibili per razionalizzare il trasporto e la sua collocazione a bordo. A questo elemento portante seguirà il calumo, che dovrà essere di cordame di nylon, possibilmente

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galleggiante. Saranno sufficienti spezzoni di circa 250/300 metri ciascuno, congiungibili con dei moschettoni inox ad innesto rapido. Logicamente la sezione del calumo varierà in rapporto al peso dell'ancora e alla stazza dell'imbarcazione; le sue misure spazieranno da 10, 14 millimetri ed oltre.

Un contenitore a tenuta termica, che può essere parte integrante di un vano della barca, oppure un freezer tipo Igloo saranno necessari per un perfetto mantenimento del pescato. Alcuni fisherman vengono personalizzati appositamente per questa pesca al momento della loro costruzione. Vengono inserite delle serpentine frigo nelle vasche per il pescato per trasformarle in autentiche ghiacciaie. Altri tipi di attrezzature come un raffio, un grande guadino e almeno un coltello ben affilato faranno parte del "corredo" indispensabile insieme alla valigetta portaminuteria. Infine, si rivelano di fondamentale importanza gli apparati elettronici navali che tutte le imbarcazioni oggigiorno possiedono, cioè l'ecoscandaglio, il loran o il gps. Questi strumenti permettono l'esatta localizzazione delle poste più fruttuose ed il loro successivo ritrovo.

Le lenze, che fanno parte delle attrezzature primarie, vanno scelte e sistemate come segue.Alla bobina del salpabolentino elettrico avvolgeremo circa 1500 metri di dacron da 80 libbre, che si rivela un materiale ben equilibrato per questa pesca specifica: è resistente, morbido, leggero e poco elastico per meglio avvertire con una certa sensibilità le tocche dei nostri amici pinnuti. Il calamento, invece, sarà di monofilo di nylon come i braccioli ed avrà una sezione di mm 1 con una lunghezza da definire a nostra discrezione, secondo il numero dei braccioli legati. La sezione dei braccioli sarà dello 0,70 e la loro lunghezza di circa 20 millimetri. Come ami, sempre a nostra discrezione,

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ne impiegheremo alcuni di numerazione variabile, secondo la taglia dei pesci. In genere vanno all'1/0 al 4/0 e devono essere adatti al caso, quindi molto robusti. Si consigliano

quelli temperati al carbonio o forgiati speciali. A seconda delle correnti che regnano nel luogo di pesca, sceglieremo di conseguenza le nostre zavorre, che varieranno nelle grammature da 600 grammi circa fino a 1500 grammi di piombo.

Elencati gli elementi del finale, passiamo al suo montaggio, che avrà le sembianze

tipiche "a bandiera", la cui estremità superiore verrà fissata tramite una cappiola alla girella moschettone della lenza di dacron (lenza madre o trave), e quella inferiore sarà legata ad un'altra girella moschettone che a sua volta recherà il piombo. Dunque, il montaggio avviene semplicemente interponendo sul calamento una girella a tre vie per ogni bracciolo da fissare. La distanza varierà di circa 30 centimetri tra un bracciolo e l'altro. Si consiglia di aggiungere, ad ogni girella a tre vie, 3 o 4 centimetri di scoubidou trasparente a funzione pater noster per evitare imbrogli. Ogni tre braccioli, è consigliabile inserire all'interno di uno scoubidou uno starlight per potenziare il richiamo delle esche.

Le eschePer i nostri occhioni, che dimostrano di essere alquanto voraci, vengono utilizzati con successo i pezzi di calamaro freschissimo, i piccoli polpi chiamati cappelloti o capaccioni, le acciughe o alici e le sardine, sempre freschissime, che vanno innescate a tocchetti: tre bocconi in media per ogni sardina.

I luoghi di pesca, i periodi e i momenti migliori

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Le poste per pescare gli occhioni riguardano quei settori di mare prospicienti le grandi secche, o meglio i grandi rilievi situati in genere a svariate miglia di distanza dalla costa. I punti migliori sono quelli localizzati ai bordi e sulle scarpate i cui substrati abbondano di coralligeno e madrepore unite nelle strette vicinanze dai "canaloni" o fosse di fango miste a conchiglie e fondo sporco. Le stagioni più fruttuose sono quelle

autunnali, seguite da quelle primaverili. Comunque, ciò non è esatto in assoluto. Spesso in pieno inverno, o nel cuore dell' estate, si possono realizzare notevoli carnieri di occhioni anche di taglia considerevole. Per questi sparidi non ci sono orari ben definiti: sono graditi i momenti seguenti l'alba e quelli prossimi al tramonto, ma spesso nelle prime ore pomeridiane iniziano le cosiddette "tocche" in modo decisamente frenetico.

Come si svolge l'azione di pescaSi raggiunge l'ipotetica posta da occhioni con l'ausilio delle carte nautiche del luogo; dopodiché si inizia a scandagliare il fondo e quando localizzeremo il punto a noi più congeniale (una piccola fossata, un ripido sbalzo), ci prepariamo alla calata dei salpabolentini elettrici, che sarà bene non superino il numero di tre unità per evitare imbrogli tra le loro lenze a causa delle correnti marine.

Per una migliore azione di pesca sarà necessario ancorarsi a monte del punto scelto, in modo tale da tenere in considerazione l'eventuale scarroccio o deriva causati dal vento e dalla corrente. E' possibile scegliere la soluzione di sostare sul punto con l'ausilio dei motori. Questo sistema è molto valido ed è di moda tra i pescatori incalliti di occhioni, in quanto permette loro di esplorare in breve tempo

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numerose poste ed evita il perditempo del recupero dell'ancora. Di contro, c'è il continuo fastidio del motore sempre in funzione. Posizionata la barca sull'ipotetico punto giusto, innescheremo gli ami ed immergeremo nel profondo blu le nostre lenze. Per ottenere una pronta risposta nell'allamata del pesce è necessario richiamare il piombo, appena giunge sul fondo, di almeno una ventina di metri, portandolo in tensione quasi a perpendicolo.

Di solito, quando le lenze toccano il fondo, le tocche non si faranno attendere: i famelici occhioni si getteranno avidamente sulle esche. A questo punto, con il dacron tra le dita, daremo un leggero strattone a mo' di ferrata e attenderemo un minuto circa per permettere ad altre prede di assaporare le gustose esche.Dopodiché ferreremo di nuovo ed inizieremo il recupero serrando la frizione della bobina e regolando la velocità del recupero. Se tutto andrà per il giusto verso, la flessione della canna ci segnalerà che stupende collane di occhioni compariranno magicamente in superficie, altrimenti ripeteremo l'azione di pesca innescando di nuovo. A volte capita che i pesci siano momentaneamente svogliati, ed allora conviene pazientare, specialmente se il posto è proprio quello giusto. Spesso le prede che compariranno in superficie sono miste, e tra queste ci sono pesci lama, scorfani di fondale, merlane, sugarelli di profondità e a volte capita di allamare qualche cernia di fondale anche di peso ragguardevole. Per concludere, abbiate l'accortezza di memorizzare con il loran o col gps il punto che dimostra di dare i suoi frutti, per poterci tornare di nuovo a distanza di tempo.In bocca ... all'occhione!

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UNA PREDA DIFFICILE

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E' indubbio che una delle prede più ambite per i pescatori sportivi, anche perché difficilmente catturabile, è certamente l'orata. E' un pesce essenzialmente costiero, che vive in mare nelle praterie litorali fino a una profondità che in genere non supera i 30 metri. Molto diffidente, questo sparide (dal latino "sparus", nome dato da Plinio a questo tipo di perciformi) ha abitudini gregarie e, quindi, si sposta in branchi generalmente comandati dall'esemplare o dagli esemplari più grandi, frequentando quei tratti di mare dove crescono copiose, colonie di bivalve come cozze o cannolicchi, dei quali è ghiotta divoratrice. Quindi, per insidiare questa regina del mare sarà necessario individuare un tratto di fondale che risponda ai suddetti requisiti. I periodi migliori per la pesca risultano essere quelli estivo e autunnale, quando la temperatura dell'acqua è più elevata e i branchi di orate si avvicinano sensibilmente alla costa, spingendosi in molti casi quasi a terra. Perciò, è una pesca che non richiede l'uso di imbarcazioni particolarmente grandi o attrezzate poiché si può svolgere anche a una distanza di 400/500 metri dalla riva e con una profondità spesso inferiore ai 5 metri. Anche gli orari più pescosi si sono dimostrati essere i più caldi e cioè dalle 10 della mattina fino alle 17,00 anche se non sono rare catture anche in altri momenti della giornata.

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Fra le esche più adatte alla sua cattura dobbiamo certamente annoverare i mitili ma anche vermi fra i quali i più catturanti si sono dimostrati l'Americano e il Bibi. Questo tipo di pesca non è il classico bolentino ma, piuttosto, una pesca a

fondo effettuata lanciando dalla barca, ben ancorata in prossimità di una scogliera appoggiata su un fondo sabbioso. Questo perché essendo l'orata un pesce particolarmente diffidente, può essere disturbata dall'ombra dello scafo durante la mangianza e, quindi, è meglio restarne a debita distanza. Bisognerà altresì fare molta attenzione all'ancoraggio che, per esperienza specifica, consigliamo parallelo alla scogliera, da effettuarsi con due ancore, una a poppa e una a prua. Questa precauzione eviterà allo scafo di spostarsi in avanti e indietro e alle lenze di perdere trazione, altrimenti risulterà impossibile percepire la toccata del pesce.

Per quel che riguarda l'attrezzatura, la canna deve essere sufficientemente alta per affrontare un lancio di 30/40 metri con un piombo da 50/70 grammi e, secondo la nostra esperienza, la lunghezza potrà essere di circa m 2,20/2,70. Il mulinello deve essere in grado di imbobinare circa 200 metri di filo dello 0,40 ed è importante che esso sia dotato di un'ottima frizione, considerando la combattività e la mole del pesce che può raggiungere il ragguardevole peso di 5/6 chili.La montatura è abbastanza semplice da eseguire e quindi, facilmente realizzabile anche dai neofiti. Il piombo, che può essere indifferentemente a saponetta, a palla o a pera, deve essere di tipo scorrevole e con fori passanti sufficientemente ampi per accogliere il monofilo dello 0,40. Una volta inserito il piombo sulla madre lenza, su di essa va montata una girella in acciaio con moschettone della misura 8. E' opportuno inserire un salvanodo tra piombo e girella, cioè un tubetto di plastica passante, che impedisce al piombo lanciato di lesionare il nodo sulla girella. Il terminale, realizzato con del monofilo dello 0,25/0,30, dovrà avere una

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lunghezza di circa un metro, con a un'estremità una cappiola realizzata con doppio nodo, che successivamente dovrà essere agganciata al moschettone.

Molto importante è la scelta dell'amo poiché la poderosa dentatura dell'orata può facilmente piegarlo o addirittura romperlo. Infatti, la sua mascella superiore, spostata lievemente più avanti rispetto alla mandibola, porta 2 o tre paia di denti conici, seguiti da 4 o 5 file di denti molariformi tondeggianti di cui l'ultimo della terza serie è molto grande. Nella mandibola vi è anteriormente lo stesso numero di denti conici, seguiti però da 3 o 4 serie di molari di cui gli ultimi due molto grandi, simili a quelli della mascella superiore. In pratica la sua bocca è una specie di pinza appositamente sviluppata per frantumare i gusci delle sue prede e naturalmente... gli ami. Per ciò, le misure più adatte sono quelle del n. 1 o 2, preferibilmente a gambo corto, in acciaio oppure bruniti, specificamente realizzati da molte case per questo tipo di cattura. Per la legatura, gli ami possono avere la classica paletta oppure l'occhiello. Il primo tipo è certamente più indicato, per questioni di praticità, per l'innesco del verme, l'altro è invece più adatto per le montature con mitili.

Analizzando la pesca con il verme, questo deve essere innescato sano in modo che non copra solo l'amo ma che risalga sui primi 5 cm di lenza, restando così molto invitante nella sua integrità. Per questo motivo è necessario munirsi di un ferretto da innesco, il più sottile possibile, sul quale è necessario realizzare con una limetta, sull'estremità opposta alla punta, una piccola tacca dove successivamente deve essere inserita la cappiola del terminale. Il verme andrà innescato sul ferretto partendo dalla testa, ben centrato fino alla coda e, successivamente, dopo aver inserito la cappiola del terminale nella tacca, andrà fatto scorrere lungo tutto il terminale fino alla copertura integrale dell'amo. Dopo aver proceduto all'innesco, la cappiola andrà fissata al moschettone, dando inizio alla pesca. Lo stesso sistema è utilizzabile per

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l'innesco del cannolicchio, che non dovrà essere privato delle valve. Il ferretto andrà fatto passare dal pedone attraversando tutto il corpo dell'animale che quindi andrà calato lungo il terminale, fino all'amo. A questo punto il pedone dovrà coprire tutto l'amo fino all'ardiglione. Quindi, per una maggiore aderenza dell'esca sulla lenza e per evitare che i granchi aprano le valve per raggiungerne la polpa, il cannolicchio andrà avvolto con del filo di cotone elastico, acquistabile presso qualsiasi negozio di articoli di pesca. Un altro sistema usato per il serraggio delle valve del cannolicchio è dato dall'utilizzo di un paio di piccoli elastici beige o addirittura di pezzi di laccio emostatico, precedentemente tagliato ad anelli di qualche millimetro di altezza, che una volta inseriti sui gusci dell'animale risultano essere sufficientemente mimetizzati con la sua livrea chiara.

L'innesco dell'amo con la cozza, invece, prevede che il mitile venga venga aperto con una lama facendo ben attenzione a lasciare integre le sue valve. L'amo andrà innescato sulla parte più dura del muscolo, quella che per intenderci resta fissata ai due gusci. Successivamente, la cozza dovrà essere richiusa e a sua volta andrà avvolta con poche spire di cotone elastico. A questo punto diamo una serie di consigli pratici. Essendo questa una pesca d'attesa, consigliamo di controllare almeno ogni venti minuti/mezz'ora l'integrità dell'esca che, specie quando vengono innescati i vermi, può essere compromessa da granchi o piccoli pesci. Inoltre, per lo stesso motivo, in barca c'è tutto il tempo necessario per controllare più canne che, evidentemente, aumentano le possibilità di cattura.

Quando si pesca con più canne è necessario che esse vengano disposte a raggera, con i fili ben lontani fra di loro per evitare, soprattutto in caso di cattura, pericolosi intrecci delle lenze che quasi sempre portano alla perdita del pesce. Oltre alla necessità di mantenere una sufficiente trazione per i fili, consigliamo un'accorta taratura delle frizioni dei mulinelli, poiché ci si può imbattere in prede di dimensioni ragguardevoli e molto combattive, capaci di

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impegnare a fondo l'attrezzatura e soprattutto i terminali. E' importante disporre di un robusto guadino, magari dotato di manico telescopico, che raggiunga almeno 3 metri di lunghezza per facilitare l'imbarco del pesce nel pozzetto. Sarà opportuno preparare sempre qualche terminale di scorta poiché non è raro l'incaglio dell'esca sugli scogli o sui ciuffi di cozze. Prima di procedere al periodico controllo delle lenze in acqua, è consigliabile innescare già un paio dei terminali di

ricambio, pronti all'uso, in modo da ridurre al minimo i tempi morti fra un lancio e l'altro, aumentando il periodo di pesca e le relative chance di cattura. Buon divertimento!

IL SARAGOIl suo nome scientifico è Diplodus Sargus, appartiene alla famiglia degli Sparidi ed è talvolta confuso dai profani con i suoi congeneri; è conosciuto come sarago maggiore. Non sto a dilungarmi sulla sua morfologia, per la quale sono stati versati fiumi di inchiostro. Questo splendido pesce è insidiatissimo dai pescasportivi e dai pescatori professionisti per le qualità che offre, sia in senso culinario, per la prelibatezza delle proprie carni, che dal punto di vista sportivo, quando rimane allamato a lenze di diametro estremamente sottile.

Le barcheCosa occorre quindi per pescare il sarago, che è un pesce abitudinario del basso fondale e che risulta una preda tanto agognata, specialmente nel periodo delle vacanze estive? Innanzitutto, non sono necessarie imbarcazioni di stazza enorme, è sufficiente (mare permettendo) anche un piccolo

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natante o una imbarcazione che consenta almeno di poter pescare con una certa agibilità. Ad esempio: un gozzo, una pilotina, un piccolo fisherman, o al limite anche un gommone assolveranno egregiamente le funzioni alieutiche richieste. Insomma, la pesca del sarago è alla portata di tutti: qualsiasi diportista nautico può passare bene il tempo insidiando questo sparide.

Le attrezzature e i relativi finali di fondoPer quanto riguarda le attrezzature, occorreranno canne, mulinelli e monofili di nylon di tipo medio-leggero. Scendendo nel dettaglio, le canne avranno una lunghezza variabile da circa 3 fino ad oltre 4 metri e dovranno essere, generalmente, di materiale composito in misto resine fenoliche e carbonio alta resistenza, oppure totalmente in carbonio alto modulo. Questi componenti strutturali forniscono alle canne un'elevata potenza ed un'estrema leggerezza. Tali peculiarità si rivelano essenziali per avere

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una garanzia sul recupero della preda e per una riposante azione di pesca. I mulinelli saranno quelli di tipo ordinario a tamburo fisso e dovranno essere dotati di buoni cuscinetti a sfera per garantire i recuperi più gravosi.

Dulcis in fundo, le lenze con i relativi terminali, gli ami e i ... piombi! Le prime varieranno in: lenza madre o trave, calamento e braccioli. La lenza madre dovrà avere una lunghezza di circa 200 metri e verrà avvolta in bobina; la sua sezione varierà da 0,30 a 0,35 millimetri, a discrezione. Il calamento, che dovrà formare

un finale per la pesca a fondo, verrà fissato tramite una girella al capo libero della lenza madre e avrà una lunghezza di circa 2,5 metri con una sezione di mm 0,25. I braccioli, da utilizzarne almeno 3, di lunghezza di circa cm 30 e di sezione di mm 0,22/0,25, verranno fissati "a bandiera" al calamento, tramite girelle apposite, le quali dovranno girare liberamente sul calamento stesso ed essere fermate tramite due nodi a "otto" con tanto di perline antiscorrimento.

Questi terminali, di realizzazione un po' complessa all'inizio, ma praticissima in seguito, avranno il compito di evitare ingarbugliamenti di lenza. Gli ami già fissati varieranno nella misura e nel tipo; sono preferibili quelli ad artiglio d'aquila dal n. 4 al n. 1/0. La scelta è a nostra discrezione e dipende dalla grandezza dei pesci presenti in zona. Al capo libero dell'ipotetico finale, tramite una girella, fisseremo sempre la zavorra, costituita da un piombo con peso variabile dai 30 ai 150 grammi, a seconda della corrente presente nella zona di pesca.

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Le escheDopo la madre lenza e finale, passeremo necessariamente alle esche, la cui scelta è determinante ai fini di una buona pescata di saraghi. Visto e considerato che il sarago è un pesce di fondo, oltre all'impiego dell'universale sardina freschissima innescata in tocchi, i gamberetti (preferibilmente vivi), i granchi neri di scoglio e gli anellidi, come l'arenicola, rappresentano il top delle esche. Funziona molto bene anche il calamaretto freschissimo tagliato in piccoli segmenti ed innescato trapuntandolosull'amo.

I luoghi di pesca e i momenti miglioriIl sarago lo si insidia un po' ovunque, in modo particolare nelle vicinanze dei bordi delle secche, nei relitti, vicino ai manufatti e alle scogliere artificiali, ai confini tra i "bianchi e neri" (formazioni di posidonia, sasso-tufo e sabbia) e tra gli anfratti delle rocce spartite. Il periodo migliore è la primavera, allorquando i branchi di saraghi risalgono le "cigliate" e si radunano formando il cosiddetto "montone" per espletare la loro funzione riproduttiva. Dopo la primavera, il periodo più propizio si rivela a fine estate o all'inizio dell'autunno. E' notorio che il sarago maggiore comincia a grufolare nel momento seguente la calata del sole, per continuare poi durante la notte fino alle prime luci dell'alba, ma anche il momento dell'ora cosiddetta "calda" risulta abbastanza fruttuoso.

Come si svolge l'azione di pescaImmaginando di essere con la propria imbarcazione nei dintorni di una secca più o meno conosciuta, è necessario scandagliare diverse zone e provare a pescare sulle scarpate prossime al bordo di un rilievo. La profondità interessata varia dai -18 circa, fino ai -35 metri. Quando l'ecoscandaglio segnalerà il punto a noi più favorevole,

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calcoleremo la direzione della corrente tenendo conto approssimativamente dello spostamento in deriva dell'imbarcazione e getteremo l'ancora.

Prima di montare la canna e congiungere lenza madre e finale, è necessario svolgere un'azione preliminare di pasturazione a fondo. La pastura da usare sarà preferibilmente quella contenuta in sacchi a rete di circa kg 5, formata per la quasi totalità da sarde macinate; eccellente quella di Spagna Guerrino. Unitamente a questa, che deve essere collegata con una piccola cima e zavorrata sul fondo, si possono impiegare dei pezzi di sarda gettati periodicamente sottobordo per creare, oltre alla mangianza, una piccola scia adescante. Nei casi limite di forte corrente, è necessario impiegare un pasturatore cilindrico per scaricare i pezzi di sarda sul fondo. Vengono impiegati con successo altri tipi di pastura a base di cozze e ricci di mare frantumati con aggiunta di sabbia a grana grossolana; il tutto viene poi ovviamente raccolto in una sacca a maglie fitte. Appena faremo arrivare sul fondo il nostro finale perfettamente innescato, metteremo la lenza madre in leggera tensione facendo flettere leggermente il vettino.

Se i saraghi sono presenti, le toccate non mancheranno, e dovremo intervenire prontamente con un colpo deciso e "lavorare" di frizione quando lo si richiede con le prede più qualificate. I saraghi più smaliziati e grossi tenderanno ad abboccare lentamente facendo filare la lenza per verificare se esiste l'inganno. A questo punto non resta che "caricare" la canna (cedere filo) e ferrare sperando nel buon esito. Nell'attesa, si ripete l'operazione. Se invece sono saraghetti, metteremo gli ami più piccoli (n.4). Spesso e volentieri con i saraghi maggiori allameremo anche esemplari di saraghi testa nera e di tanute.

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Buon divertimento e...buon appetito!

FEBBRE ROSAI pescatori delle coste laziali lo chiamano fragolino, mentre quelli dell'arcipelago toscano lo chiamano parago; e così via, con altri nomi o nomignoli dialettali per indicare lo stesso pesce, che nei ristoranti e in italiano viene chiamato col suo vero nome: pagello. Quando è appena pescato, il corpo mantiene colori brillanti, con il dorso rosso-rosato che sfuma nel bianco argenteo dei fianchi. Spesso sul corpo, e in modo particolare sulla parte superiore dei fianchi, si notano alcuni punti azzurri. Le pinne sono rosee. Il pagello è un pesce ricercatissimo per la bontà delle sue carni e viene quindi insidiato sia dai pescatori professionisti che da quelli dilettanti. E' divertentissimo dal punto di vista sportivo, in quanto offre un'estenuante resistenza quando si usino lenze di ridotto libbraggio. Raggiunge una taglia media di circa 600 grammi, ma ne vengono pescati anche esemplari di oltre due chilogrammi. Esemplari di notevoli dimensioni, un po' rari, vengono pescati talvolta su relitti e su scogliere sommerse poco conosciute.

Le barche occorrentiLa pesca al pagello si effettua col tradizionale ed antico bolentino, cioè con la lenza a mano opportunamente zavorrata o con la canna con mulinello, a una distanza variabile dalla costa, ad almeno una quarantina di metri di profondità ed oltre, fino a circa quota meno cento. Non saranno pertanto necessarie imbarcazioni di grande stazza: un buon gozzo di circa sei metri o un open center consolle di pari dimensioni andranno egregiamente bene. In alternativa, se il mare è assolutamente calmo, vanno bene anche i gommoni o quelle barche in vetroresina con carena ad ala di

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gabbiano. Naturalmente, per ragioni di sicurezza, il discorso suddetto è valido se le poste dei pagelli sono distanti dalla costa non più di tre miglia, altrimenti occorreranno imbarcazioni di oltre sei metri di lunghezza, magari con la doppia motorizzazione.

Le attrezzature con i relativi finali

Se si opta per la lenza a mano, avvolgeremo intorno a un telaietto di sughero circa duecento metri di monofilo dello 0,70, al cui capo finale fisseremo una girella-moschettone inox che farà da unione al calamento terminale. Se si usa la canna col mulinello potremo orientarci come segue:

canna leggera, robusta, magari in carbonio e ad azione di punta, con vettino sensibile e all'occorrenza intercambiabile, lunga circa 4 metri; mulinello a dimensioni medie di marca e quindi dotato di una certa affidabilità, dotato di ottimi meccanismi interni compresa la frizione, che deve essere precisa, dolce e... sicura! Naturalmente, a bordo dovremo, possibilmente, disporre di altre attrezzature con elementi di ricambio sempre pronti per eventuali sostituzioni. Come accessori aggiungeremo una cassetta portaminuterie, per avere sempre a disposizione lenze, terminali di ricambio, ami di varia numerazione, piombi ecc., un freezer portatile per il pescato e, da non dimenticare, un buon guadino.

Tornando al classico telaietto di sughero, vi avvolgeremo la tradizionale lenza a mano, che sarà costituita da una lenza madre dello 0,70 al cui capo fisseremo un moschettone-girella in acciaio inox, da cui penderà il finale ad unica sezione dello 0,35 sia per il calamento che per i braccioli. In questo caso i braccioli saranno tre, tutti interposti sul

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calamento nel modo tipico a bandiera e avranno una lunghezza di circa 10-15 centimetri. La numerazione degli ami - del tipo fine, bianco ma forgiato - rispetterà rigorosamente quella del n° 3.

Adottando questo tipo di finale, e per facilitare con ciò le funzioni operative in pesca, occorreranno zavorre con

grammature oscillanti da 150 a 250 grammi, a seconda delle correnti marine presenti sulla posta interessata. Andando sul "raffinato" e cioè sull'utilizzo della canna col mulinello, avvolgeremo in bobina uno 0,25 di qualità super che fungerà da lenza madre, e come finale vero e proprio adotteremo un calamento da realizzare con lo 0,22-0,20. A questo fisseremo, con lo speciale attacco "a girare" con perline, tre braccioli dello 0,20-0,18 lunghi ciascuno cm 25, distanti sul calamento circa 40 centimetri l'uno dall'altro; al capo libero del calamento fisseremo poi il piombo, con o senza girella.

La grammatura del piombo varierà da 30 a 60, a seconda delle correnti presenti. Questo calamento può essere modificato con una variante tecnica e cioè potremo inserire il terzo bracciolo, sempre di tipo "a girare", all'altezza del piombo; ma sarà lungo 50 centimetri, in modo che rasenti bene il fondo. Questa soluzione risulta più efficace per la cattura di specie bentoniche complementari come tracine, scorfani rossi (capponi) e gallinelle. Gli ami saranno anche questi di numerazione variabile a seconda della taglia delle prede, e andranno dal n° 3 al n° 6.

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Le escheRiguardo alle esche preferite dai pagelli, l'universo mare ce ne mette a disposizione una miriade: dal gambero al cannolicchio, dal paguro ai vermi. Di questi ultimi, ottimi il muriddu, l'arenicola, il saltarello ecc; e poi le striscioline di calamaro freschissimo e altri tipi di molluschi. Tra tutte le esche citate, il gambero innescato vivo e il paguro rappresentano il top delle aspettative.

I luoghi di pesca e i periodi miglioriIl pagello fa vita gregaria e ama sostare con i suoi simili nelle vicinanze del fondo marino, grufolando alla continua ricerca di cibo che si trova sui substrati ricchi di coralligeno, concrezioni madreporiche, conchiglie, maciotto, fango e rocce spartite. I fondali ricchi di questi substrati devono confinare con rocce e scogliere più o meno rilevanti ed estese. Questo è il regno incontrastato del pagello, nel quale "accosta" periodicamente unito in copiosi banchi. Per i nostri fini alieutici, la primavera e l'autunno rappresentano i periodi migliori; e le poste altrettanto valide si localizzeranno sulle scarpate e nelle vicinanze dei bordi delle secche e dei rilievi, a quota variabile da -40 fino a circa -100. Per la pesca dei pagelli, adottando appunto la tecnica del bolentino, non esistono orari specifici: gli umori alimentari spesso mutano col variare delle correnti sottomarine. Comunque, indipendentemente da questo, le ore del primo mattino, più precisamente alla levata del sole, la pesca darà sicuramente i suoi buoni frutti.

Come si svolge l'azione di pescaLe tecniche di pesca del pagello sono numerose e abbastanza variegate tra loro; tutte varianti del bolentino classico e tradizionale. Nel corso degli anni, tutti i sistemi di pesca adottati hanno avuto evoluzioni spesso derivate ed acquisite dall'attività agonistica. Una buona tecnica è quella

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a sistema ibrido. Nel dettaglio, questo metodo di pesca prevede un'attività iniziale col bolentino classico (telaietto di sughero) con barca in deriva e a scarroccio, ed una

centrale e poi finale, pescando a barca ancorata ma usando la canna e il mulinello. In sostanza, ci comporteremo come segue.

Dovremo raggiungere le poste dei pagelli, dandone per scontata la conoscenza; oppure, per i profani, è sufficiente disporre di una carta nautica del luogo e tracciare la rotta verso quelle batimetriche variabili, circoscritte con dei segni che evidenziano il rilievo; dopodiché non ci resta che provare, provare ancora e poi esplorare di nuovo i fondali limitrofi, con l'ausilio dell'ecoscandaglio e con le ripetute calate di lenza bene innescate, fino a che non si inizia a catturare i pagelli. Mentre stiamo scarrocciando e derivando sotto l'azione del vento e della corrente marina, cercheremo di prendere in seria considerazione quella zona di mare, tra le tante, dove le catture sono più frequenti, o magari dove si evidenzia una singola cattura ma di taglia notevole; dopodiché conviene ancorarsi, lasciare la lenza a mano e prendere canna, mulinello e i relativi finali sottili. Vi accorgerete subito che con una bella polpa di cannolicchio sapientemente innescata, o meglio con un paguro o gambero vivo coadiuvati dai braccioli "a girare" dello 0,18-0,20, cambierà la "musica". Le catture a questo punto di solito saranno sempre più selezionate con esemplari di taglia significativa.

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RIPOSANDO IN BARCALa mormora (Lithognatus mormyrus), è un bel pesce col fianco di colore argenteo, il dorso leggermente più scuro e il corpo

lateralmente compresso. E' considerato un pesce bianco pregiato per la bontà delle sue carni. Vive di solito su fondali sabbiosi e fangosi con presenze limitrofe di posidonia e secche di varia natura. Intorno a queste, ama sostare nelle strette vicinanze del fondo, grufolando continuamente nella perenne ricerca di cibo che è costituito preferenzialmente da vermi e da molluschi, ma anche da piccoli crostacei come gamberetti, granchi e paguri. Le sue dimensioni medie variano intorno i 500 grammi e la sua profondità marina abituale, oscilla dai pochi decimetri d'acqua, ossia in prossimità della battigia, fino a circa quota meno venti. Dopo questa premessa indicheremo quelle cose che sono sostanzialmente necessarie per poterlo pescare dalla barca dal punto di vista squisitamente sportivo. Segnalermo le barche più appropriate con le relative lenze, le esche migliori, i luoghi, le stagioni e i momenti più idonei.

Le barche occorrentiVisto e considerato che la mormora fa vita prettamente costiera i piccoli natanti come gli scafi ad ala di gabbiano, le lancette, i gozzi, i gommoni e gli open consolle center, andranno egregiamente bene. Se poi potremo disporre di altre tipologie di barche dotate di stazza più consistente, ancora

meglio.

Le attrezzature con i relativi finali

Per quanto riguarda le attrezzature primarie le canne hanno

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un'importanza notevole. Potremo usare anche canne estremamente leggere in carbonio di circa tre metri di lunghezza, sia ad uso spinning che specificamente per il piccolo bolentino costiero. Potremo impiegare anche canne da bolentino in carbonio alto modulo da competizione, del metraggio più

variegato, ma non ne vale la pena.

Per la scelta dei mulinelli, opteremo verso quelli a tamburo fisso di taglia medio piccola, che corrispondono alla sigla 030-040. Sono consigliabili i prodotti di qualità in quanto più longevi e più affidabili nei recuperi. In effetti i cosiddetti mulinelli di marca, dispongono di frizioni ben precise e di conseguenza assicurano una migliore garanzia nelle catture, specialmente utilizzando monofili di ridottissima sezione.

Dopo le canne e i mulinelli ci procureremo le attrezzature secondarie, che comprendono tutte le minuterie varie necessarie per poter intercambiare rapidamente tutti i finali oppure aggiungere o sostituire gli ami o i piombi più adatti al mutare delle correnti e delle profondità. Naturalmente il tutto sarà contenuto all'interno di quelle pratiche valigette dotate di ripiani sui quali potremo disporre a nostra discrezione: bobine di monofilo delle sezioni più variegate, girelle, moschettoni, torpille, piombini di varia numerazione, bustine contenenti ami anche queste di varia numerazione, forbici, pinzette, coltello, slamatore, galleggianti di vario tipo e grammatura.

Un buon guadino, un contenitore termico per le esche ed un freezer portatile per il pescato, completeranno le attrezzature necessarie per la pesca della barca o bolentino alle mormore. Per quanto concerne i finali, realizzeremo un calamento monoamo con piombo scorrevole, oppure un altro

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calamento con doppio amo, di cui uno, quello superiore, fissato con bracciolo a bandiera. Se quest'ultimo bracciolo lo armeremo del tipo "a girare'", avrà un'efficacia maggiore. Il calamento monoamo è di realizzazione più semplice e lo si esegue semplicemente facendo passare il capo libero della madre lenza dello 0,20/0,22 che proviene dalla bobina, all'interno di un piombo ad oliva di circa 20/30 grammi, senza fare alcun nodo di fermo, in modo tale che questo rimanga scorrevole. Continueremo successivamente a far passare ancora il capo libero all'interno di uno scoubidou salvanodo, dopodiché legheremo una girella al cui nodo piazzeremo un pallino di piombo spaccato. Appenderemo alla girella il finale vero e proprio, costituito da uno spezzone dello 0,16/0,18 lungo circa un metro, il quale recherà un amo forgiato di numerazione variabile dal n. 4 al n. 6. La soluzione del calamento bi-amo, si discosta come differenza dall'altro solo nell'inserimento di un'altra girella e di un altro bracciolo secondario, disposti a monte della girella finale. Al capo libero della madre lenza, legheremo una girella, al seguito della quale fisseremo uno spezzone di monofilo sempre dello 0,20/0,22 lungo 1,5 metri, che uniremo alla girella finale. In questo spezzone va interposto il secondo bracciolo di tipo "a girare", distante cm 60 dalla girella finale come da disegno illustrato.

Le escheTra l'interminabile serie di vermi appetiti dalla mormora, l'arenicola, sembra sia quella prediletta, ma altri come il muriddu, il saltarello coreano e cinese, il californiano ed altri ancora, vanno bene. Tutti i vermi citati, si trovano facilmente in commercio nei negozi appositi di attrezzature da pesca. Ai vermi, aggiungeremo i molluschi come il cannolicchio, la cozza e altri bivalve. Infine i crostacei. Ottimi il gamberetto, la granchiella di sabbia e l'universale paguro.

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I periodi e momenti miglioriDurante la primavera inoltrata, la mormora accentua la sua attività trofica in concomitanza col risveglio della vita marina. Ma anche in autunno e in inverno, nelle miti giornate piuttosto soleggiate in presenza di mare calmo, si possono fare stupendi carnieri di questi pesci pregiati. L'estate poi, per il bolentino alle mormore, si rivela il periodo migliore specialmente nel periodo notturno. Le ore notturne con la marea in fase crescente, sono i momenti ideali, ma si possono fare delle buone pescate anche durante l'arco della giornata, specialmente al mattino, sulla levata del sole.

Come si svolge l'azione di pescaAppurato che le mormore sono localizzate o sparse in alcuni settori di mare antistanti la costa di un vasto arenile a batimetrica bassa e variabile, raggiungeremo uno dei punti a caso o di nostra conoscenza e spengeremo i motori, lasciando derivare lo scafo al traverso del leggero vento o della brezza che spira da terra o lateralmente alla costa stessa. A questo punto iniziamo a calare le nostre lenze dopo averle accuratamente innescate. La pesca è già in atto, e la barca deriverà lentamente in modo ottimale, in modo tale da esplorare con una decisa "passata", una buona porzione di fondo. Difficilmente la tocca della mormora sarà tempestiva, talvolta è necessario attendere alcune decine di minuti prima di catturare alcuni esemplari. Poi, improvvisamente può riprendere il momento magico che ripaga il tempo perduto, con tocche che si faranno sempre più frenetiche e sempre più coadiuvate da catture a dir vero...a ripetizione. Generalmente, la mormora abbocca in modo deciso facendo flettere il vettino della canna, al cui seguito dovremo essere pronti a sferzare un'energica allamata. Se poi, col passare del tempo, la cosiddetta "passata" non fornisce più quei frutti desiderati, converrà esplorare altre zone, spostandoci semplicemente di poche

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decine di metri dalla fascia a mare già esplorata. In riguardo alle catture, non sempre saranno mormore, miste a queste compariranno talvolta delle tracine o delle triglie di fango. Se rasenteremo alcune posidonie, potremo catturare sparlotti e qualche serrano.

LA TIGRE PESCE SERRAUna volta ebbi occasione di scrivere che se il pesce serra non esistesse bisognerebbe inventarlo. Oggi, dopo anni e anni di ulteriore milizia trainistica, sono ancor più convinto della validità di quella remota asserzione. Il serra (Pomatomus saltator o Bluefish per gli anglosassoni) è un combattente formidabile per antonomasia. E' forte ed intelligente, è avveduto e scaltro al punto tale che già una cattura su due ferrate rappresenta un risultato degno di rispetto; è prevalentemente costiero talché può essere insidiato con attrezzature e mezzi nautici minimi; lotta sempre con energia, con valore, con astuzia senza concedersi un respiro di tregua talora fino al momento del salpaggio. Non mi è mai capitato - a differenza di quanto succede non di rado con prede di altissimo lignaggio come tonni enormi, ricciole grosse e scatenate, spigole ricercatissime, dentici cocciuti - di vedere un serra stremato dal combattimento giungere, inerte o quasi, a portata di raffio o di coppo.

L'aspetto del nostro pomatomide è, per certi versi, un po' simile a quello della spigola, tant'è vero che non di rado ce lo vediamo offrire al ristorante sotto la fantasiosa denominazione di "spigola francese". La dentatura fitta ed acuminata, assistita da una eccezionale forza mandibolare, è micidiale non solo per le prede che aggredisce ma anche per le mani del pescatore poco accorto. Vive sempre in branchi abbastanza numerosi costituiti da esemplari non

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necessariamente della stessa taglia. Peraltro, come avviene per tutti, pesci predatori e non, l'istinto gregario va gradualmente attenuandosi man mano che crescono le dimensioni. Può superare i dieci chili di peso, ma la maggioranza delle catture interessa soggetti compresi fra gli uno e i cinque chili. Le carni sono prelibate.

Il doveA fronte di tutti i dati positivi appena elencati c'è il fatto che la specie, abbondantissima lungo le coste statunitensi nord-orientali, non è parimenti diffusa nei nostri mari. La "madre" mediterranea dei serra ha la sua ubicazione nel Bosforo; da lì i branchi si sono portati nelle acque elleniche e, un po' per volta a partire dagli anni '40, in alcune, ma solo in alcune, zone della nostra penisola e delle nostre isole maggiori. Presenze consistenti si riscontrano in diversi punti della Sicilia meridionale, della Campania, del Lazio, della Sardegna, qui però in prossimità di Alghero e delle coste sud orientali dell'isola. Fino a qualche anno fa i serra si prendevano con discreta frequenza anche nel Mar Ligure ma, a quanto sembra, le catture in quelle acque sono ora in diminuzione, mentre sono invece aumentate quelle realizzate nella parte meridionale della Toscana. Comunque i punti peninsulari di maggior concentrazione sono, allo stato attuale, stabilizzati nelle adiacenze del Circeo e in quelle di Anzio e Nettuno. Circa gli stanziamenti futuri è difficile fare previsioni in quanto trattasi di specie imprevedibile come dimostra, ad esempio, il fatto che nel 1995 si è verificata una autentica invasione di serra nelle acque di Ischia ove, a memoria d'uomo, non se ne era mai visto uno. Peraltro, sulla base di alcune indicazioni ricorrenti nel mondo della pesca sportiva, si può ipotizzare, ma solo ipotizzare, la eventualità che gli stock siano in aumento e tendano gradualmente ad insediarsi anche lungo i versanti nord occidentali della penisola.

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Nelle anzidette zone "collaudate" i posti migliori sono di norma quelli con fondali dai 2 ai 25 metri di sabbia o di fango non troppo distanti dalle foci di fiumi o canali ovvero da formazioni subacquee rocciose. E' da tener presente che una delle caratteristiche tipiche dei serra è quella di frequentare, nei periodi in cui accostano, sempre gli stessi identici posti ben noti alla maggioranza dei trainisti che operano in zona.

Il quandoLe stagioni migliori sono la primavera inoltrata, l'estate e l'autunno. Può tuttavia accadere che, durante questi periodi buoni, i nostri intrepidi antagonisti scompaiano improvvisamente per giorni o settimane per poi ripresentarsi in forza altrettanto all'improvviso. Ciò dipende probabilmente da esigenze alimentari che possono indurre i branchi a spostarsi temporaneamente in acque più profonde e lontane alla ricerca di migliori fonti di sostentamento. Non credo invece che questo alternarsi di comparse possa ascriversi a fattori di ordine termico; fatto che, invece, è certamente alla base dei non rarissimi incontri invernali. In altri termini vien da pensare che nei mesi freddi i serra si portino in acque molto profonde e quindi assai più temperate di quelle superficiali e che, casualmente, inseguendo il cibo vivente, siano indotti ad "accostare" sia pure per brevissime puntate. Circa gli orari c'è da dire subito che i momenti migliori sono senza dubbio quelli che coincidono con il semibuio del primissimo mattino e del tardo pomeriggio; magici quasi sempre i brevi spazi di tempo che precedono, accompagnano e seguono il sorgere e il tramonto del sole.

Il comeIl serra è un autentico assassino. Aggredisce talvolta, anche quando è sazio, ogni forma di vita marina che ha la sventura

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di trovarsi in loco: sarde, alici, occhiate, aguglie, cefali, sugarelli, sgombri, boghe, stelle e chi più ne ha più ne metta. Allorché sopraggiunge il misterioso stimolo di questa momentanea frenesia distruttiva la furia del serra è tanto incontenibile che non ingurgita le prede ma si limita ad azzannarle lasciandosi dietro una scia di corpi maciullati o sfregiati. Purtroppo a tale rabbia frenetica e crudele che si scatena estemporaneamente a danno di ogni forma di vita marina corrisponde una accentuatissima sospettosità nei confronti delle esche trainate; ed è a questo punto che, per risolvere l'impasse, debbono entrare in gioco la capacità e la preparazione del trainista. Scendiamo nei dettagli.

Le barche e le attrezzatureVista la vicinanza da terra ove si svolge la nostra azione, potremo avvalerci di mezzi nautici minimi. L'attrezzatura tipo è composta da un paio di canne da traina da 12 libbre servite da mulinelli a tamburo rotante di potenza uguale o, data la inesauribile combattività e le possibili buone dimensioni delle prede insidiate, leggermente superiore. Il filo in bobina potrà essere costituito da nylon (0,35-0,50) ovvero da dacron (meglio se autoaffondante) da 20 libbre, ovvero ancora, quando si pesca in acque relativamente

profonde, dal monel che ci troviamo in bobina. I terminali saranno sempre in nylon (0,30-0,45) lunghi una decina di metri.Se però pescheremo con esca viva e di giorno su fondali rocciosi relativamente alti

(15-25 metri) è consigliabile aumentare la potenza dell'attrezzatura in quanto ci sarà la possibilità di "incocciare" qualche grossa ricciola indemoniata.

Le escheSono sempre più valide le esche naturali vive con preferenza assoluta per l'aguglia, seguita a distanza dal

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cefaletto, dall'occhiata, dal maccarello, dalla leccia stella, dal sugarello e da qualunque altro pescetto (tracine e scorfani esclusi) disponibile. E' ovvio che nella pesca fatta alle prime

luci del giorno sarà ben difficile poter utilizzare questi richiami viventi; ragion per cui, in tale fase, dovremo ripiegare sul

"morto". Le esche naturali passate a miglior vita offrono ottime chance nei momenti di luce attenuata o minima; ma conservano un discreto potere attirante anche durante tutto il resto della giornata. In verità, fino a pochi anni or sono, quando non si era ancora generalizzato l'impiego ben più proficuo del vivo, l'esca principe e ogni tempo per i serra era costituita proprio dall'aguglia morta. Le esche artificiali, soprattutto le apposite piume semplici bianche o bianco giallo o bianco nere di 10-12 cm, munite di cavetto metallico interno ed armate con ami dell'1 o 2, funzionano discretamente nel semibuio; un po' meno catturanti ma da non disprezzare affatto i cucchiaini fusiformi argentei di 8-10 cm. Ho fatto e continuo a fare qualche rara cattura, sempre di esemplari di taglia, con i Rapala affondanti destinati alle spigole o ai dentici. Ma, come dice l'adagio, una rondine non fa primavera.

Come reperire le escheIl sistema più seguito è quello di mettersi in caccia di aguglie con le oramai famose matassine che non appena colpite dal rostro del pesce lo imprigionano indissolubilmente nel loro fitto composito di elementi tessili aggroviglianti. Le matassine vanno montate su terminali dello 0,15-0,20 lunghi 7-8 metri e vanno rimorchiate a 40-60 metri da poppa alla velocità di tre nodi abbondanti; per aumentarne l'effetto catturante possono essere inserite in serie (due o tre) sullo stesso terminale a distanza di un metro l'una dall'altra. Si pesca di solito con due o tre canne all'esterno delle opere portuali, sulle zone rocciose, in prossimità degli scarichi a

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mare delle acque depurate. Da tener sempre presenti le bollate in superficie, nonché il volo radente localizzato e le picchiate dei gabbiani. Qualche volta, ma fortunatamente di rado, le matassine, da sole, non funzionano; è allora il caso di arricchirle con un verme (lombrico, coreano o altro) da innescare su un minuscolo amo piazzato a lambire l'estremità posteriore delle matassine stesse. Altre esche vive come occhiate, sugarelli, ecc. potremo procurarcele con piumette a galla e piccoli cucchiaini zavorrati con pochi grammi di piombo. Naturalmente, per mantenere in vita queste esche, dovremo disporre di una vasca, meglio se di forma ovalizzata e capace di contenere almeno una trentina di litri di acqua di mare da rinnovare con una certa frequenza mediante un impianto idrico di circolazione in entrata e in uscita ovvero semplicemente utilizzando un secchio a mano.

L'approvvigionamento delle esche morte è assai più facile. In primo luogo potremo avvalerci di quelle catturate nei giorni o nei mesi precedenti che avremo surgelato dopo averle avvolte una per una in carta d'alluminio; e poi, iniziativa commerciale di origine napoletana recentissima, diversi negozi di articoli da pesca offrono, a prezzi accessibili, confezioni ben fatte contenenti un certo numero di piccole aguglie congelate.Al riguardo, va infine ricordato che un'aguglia congelata, anche se messa in pesca ripetutamente, può essere ricongelata più volte senza che, per questo, perda il suo potere attirante nei confronti dei bluefish. Infine, per quanto attiene alle esche artificiali, non avremo difficoltà a procurarci in negozio le piumette e i cucchiaini della foggia e della misura sopra descritta. Dobbiamo ora parlare dell'argomento meno facile connesso alla traina in parola.

La montatura delle esche naturali. Come abbiamo visto la

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dentatura del serra non perdona né il nylon, né il dacron, né, tantomeno, il kewlar. E' quindi giocoforza ricorrere alla treccia di acciaio che, nel nostro caso, dovrà essere ricoperta da una sottile guaina termosaldante. Ci orienteremo verso trecce da 12 a 30 libbre. Una confezione contiene di solito 10 metri di treccia e una dozzina di manicotti di serraggio.

Taglieremo degli spezzoncini di 50-70 cm o anche meno per pesci esca di dimensioni ridotte; alle due estremità dello spezzoncino creeremo, servendoci di un chiodo e di una pinza, due piccoli anelli al di sotto dei quali formeremo una serie di spire (sei o sette) oblique ed aderenti facendo ruotare il capo libero intorno al dormiente. Dopodiché, tenendo il tutto fermo mediante il chiodo o la pinza, lambiremo con il fuoco di un accendino le spire che, per effetto del calore, si salderanno tra di loro. Una ulteriore sicurezza per la resistenza dei due nodi potranno fornircela i manicotti metallici che però, oltre a non essere tassativamente necessari per i serra di stazza corrente, rendono più visibile la montatura. Nell'occhiello di prua inseriremo una piccola ma robusta girella (in prossimità della quale giungerà l'estremità anteriore del pesce esca) che sarà annodata al terminale di nylon. L'amo anteriore (1/0-2/0) con funzione traente ma non di rado anche catturante potrà essere legato con un nodo di dacron o kewlar subito a tergo della girella. Alcuni preferiscono fissare detto amo traente con appropriata legatura lungo il corpo dello spezzone per modo che, se addentato, possa scorrere fino all'altezza dell'amo di coda in guisa di assicurare una doppia ferratura. Sta però di fatto che gli ami scorrevoli sono vietati dai regolamenti IGFA e che, per di più, l'eventuale

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abboccata sul primo amo comporta di solito l'abrasione e l'arricciamento del filo portante provocata dalla formidabile dentatura del serra. Nell'occhiello posteriore introdurremo l'amo catturante, anche esso ad occhiello, del n° 2/0 - 3/0 preferibilmente storto e a gambo corto.

Riassumendo: collocheremo l'amo di testa all'estremità anteriore del pesce esca inserendolo dall'alto verso il basso e piazzeremo l'amo di coda appena di lato e appena sottopelle un po' a valle del foro anale, con la punta rivolta in basso e verso l'avanti. Ovviamente il tratto di treccia metallica che intercorre fra i due ami dovrà presentare un leggerissimo bando allo scopo di consentire al pesce esca il naturale movimento natatorio. Diversi colleghi, quando si trovano alle prese con aguglie di stazza (50 cm in più), inseriscono a metà corpo un terzo amo destinato, secondo le intenzioni, a bloccare quelle prede che preferiscono attaccare l'esca al centro e di lato. Va ricordato infine il metodo usato per l'innesco di pescetti vivi di stazza ridotta (di solito cefali e occhiate sotto i 100 grammi) non adatti a "reggere" la montatura su due ami.

Queste mini-esche potranno essere montate inserendo un unico amo dell'1/0 (sempre supportato da una girella e da un breve tratto di cavetto termosaldante) che trafiggerà dal basso verso l'alto la estremità anteriore dell'apparato boccale. Attenzione: le esche viventi molto piccole dovranno essere trainate a velocità ridottissima. Con le esche morte, e anche qui mi riferisco prevalentemente all'aguglia, la montatura va fatta all'incirca come per le esche vive. Le uniche varianti possibili consistono nel far passare la treccia all'interno del corpo e, per gli esemplari molto piccoli (sotto i 20 cm di lunghezza), di rinunciare all'amo di testa che risulterebbe troppo visibile, sostituendolo con una stretta legatura del becco o del muso praticata con cotone, kewlar,

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nylon o sottilissimi filamenti di rame avvolti intorno alla treccia. E' chiaro che, per non perdere tempo prezioso al momento buono, dovremo sempre portarci appresso una serie di esche morte previamente bene armate e/o parecchie montature di tipo e grandezza diversi adatte cioè alle varie esche vive che riusciremo a procurarci.

L'azione di pescaNon è consigliabile lavorare con più di due traine. Ciò per evitare che la difesa furibonda del pesce allamato - fatta di fughe incontrollabili in profondità e laterali nonché di imprevedibili assommate accompagnate da salti acrobatici con relative contorsioni - provochi l'imbroglio reciproco delle traine stesse. Le esche naturali saranno sempre un po' affondate usando piombi amovibili (da 30 a 200 grammi a seconda della profondità) ovvero fili autoaffondanti: dacron con anima piombata o monel e similari; e filate ad almeno una cinquantina di metri da poppa.

La velocità ideale è di uno/due nodi con esche vive, di tre nodi scarsi con esche morte, di tre nodi abbondanti con esche artificiali. Se la motorizzazione del nostro mezzo nautico non ci consente andature così contenute potremo sempre ricorrere al sistema dei secchi calati uno a babordo l'altro a tribordo a lambire lateralmente lo scafo un po' più avanti della poppa. E' raro che i branchi di serra segnalino in modo certo la loro presenza: solo se saremo molto fortunati potremo imbatterci in vere e proprie mangianze a galla con salti, schiuma ecc.; altre volte potremo dar credito alle "bollate" provocate da piccoli pesci che assommano o al volo radente e concentrato dei gabbiani. Questi ultimi potranno fornirci indizi attendibili anche quando, in acque pulite, sosteranno a bagnomaria in superficie. Ma, diciamo francamente, il più delle volte traineremo al buio. Con le esche artificiali serreremo le frizioni intorno ad un terzo del

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carico di rottura della lenza; lo stesso fanno in molti anche quando usano esche naturali. Io, invece, assieme ad altri patiti della traina al serra, adotto un altro sistema: metto in folle le frizioni lasciando che l'esca sia trattenuta dal solo meccanismo della cicala; quando quest'ultima comincia a cantare lascio scorrere il filo per qualche secondo onde dar modo al predone di ingoiare l'esca che, per lui, rimane praticamente ferma o quasi; dopodiché aziono il freno e ferro energicamente. Questa tecnica che, chiaramente, può essere usata soltanto con fili autoaffondanti o con piombi molto leggeri, è certamente la più proficua. Ma, come sempre, c'è un però: se invece del serra abbocca una poderosa grande ricciola il pericolo di aggrovigliamento del filo in bobina cresce in modo esponenziale. Il recupero della preda dovrà avvenire quanto più rapidamente è possibile per ridurre al minimo il rischio che la stessa, a causa dei ripetuti e scomposti salti fuor d'acqua e di altre diavolerie, riesca a liberarsi dell'amo. Come già accennato, il serra non arriva mai sottobordo vinto o quanto meno stremato; tutt'altro: è sempre una furia scatenata, ragion per cui la "coppata" o la "raffiata" dovranno essere prontissime e ben calibrate. Gli esemplari che non superano il chilo saranno "volati" direttamente in barca. Forse non ci sarebbe il bisogno di dirlo ma, per completezza, aggiungeremo che la traina al serra viene praticata anche a mano impiegando fili (ad esclusione del monel) di resistenze un po' superiori a quelle sopraindicate. Chi usa questa tecnica tiene di solito a bordo quattro o cinque metri di lenza libera bene in chiaro e, se avverte che il pesce non è rimasto allamato al primo attacco, li cede immediatamente in vista della probabile eventualità che il predone, vedendo immobile l'esca o ciò che ne resta, la aggredisca una seconda volta.

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LA SIGNORA DELLE MAREE

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Da consigliare per lo più agli ostinati ed ai certosini, la pesca a traina alla spigola riserva delle sorprese solo a coloro che non demordono al primo insuccesso. I veri specialisti di questa pesca consigliano ai neofiti che è fondamentale far coincidere alcune precise varianti per ottenere un risultato positivo: l'esca giusta, il fondale adatto, la stagione favorevole, la fase lunare propizia e soprattutto un metodo di pesca ineccepibile per precisione ed attrezzi ultra leggeri.

Le esche consigliate

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Si possono dividere le potenziali esche per questo astuto predatore in due categorie principali: esche naturali ed esche artificiali. Le esche naturali, preferibilmente vive poiché ovviamente nuotano nel modo giusto, sono appetite principalmente nei mesi estivi ed in acque limpide, dove l'inganno dell'artificiale di solito non convince l'astuta spigola. La "ceca", ovvero la piccola anguilla, è catturante nelle zone di bassi fondali vicino alla costa, dove abitualmente questi anguilliformi migrano dalle lagune e dai canali

verso il mare. Le più piccole s'innescano con un amo in punta di bocca e si devono trainare a velocità molto ridotta, inferiore al nodo. Quelle più grandi richiedono un secondo amo verso la coda, passato appena sotto la pelle. Nell'operazione d'innesco è bene bagnarsi le mani e spolverarle con della sabbia fina per far presa sulla scivolosa pelle dell'anguilla. Altra esca viva di grande efficacia è la ben nota aguglia, valida sia in acque basse che molto a fondo, dove oltre alla spigola di grossa taglia si "rischia", si fa per dire, di catturare al suo posto un maestoso dentice.

L'aguglia piccola si suole innescarla con un solo amo misura 2/0, 3/0, legato con del filo di dacron sotto il rostro, facendo attenzione a passare detto filo nella bocca aperta, tra i denti un paio di volte, prima di girarlo anche intorno al becco chiuso. Quella media, di circa 33 cm, deve essere innescata con due ami, posizionando il secondo, un 4/0, verso la coda prima della pinna pelvica, fissato con del filo elastico, quello dei calzini da uomo, non troppo stretto per evitare che funga da laccio emostatico e blocchi la circolazione sanguigna del pesce.

Anche il cefalo, intorno ai 20 cm, può essere potenziale

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molto appetita dalla spigola, abituata a cacciare sotto costa, tra le spume di cefaletti, spesso frenati nel loro nuovo dal risucchio del moto ondoso. L'occhiata, lo sgombro, il sughero sono meno adatti, ma pur sempre validi in mancanza delle esche già citate. Sull'utilizzo della seppia, ci sono opinioni contrastanti. E' fuori di dubbio, a mio avviso, che se nella zona dove la spigola vive e caccia, abitualmente ricca di posidonie, spiazzi di sabbia alternati a cigli di piccole rocce, sono presenti questi appetitosi cefalopodi, la loro vita sarà legata ad un esile filo. L'innesco della seppia viva deve essere effettuato con la massima cautela, mantenendo l'esca in acqua durante questa manovra. Un piccolo amo, con funzioni di trasporto, si fissa sulla punta del cappuccio, perforando delicatamente anche l'osso interno; un secondo amo, dal 4/0 al 6/0, va posizionato tra i tentacoli, inserendolo appena sottopelle, vicino al becco corneo. Tutte queste imboccature per le esche vive, si realizzano con uno spezzone di nylon del diametro del 0,60 + o - 0,70. Si può anche raddoppiare il finale, solo per il tratto dove sono presenti gli ami. E' consigliabile fissare il primo amo, avente funzione di trasporto, in modo scorrevole ma frizionato, per potersi adattare alle varie lunghezze delle esche.

In condizioni di visibilità mediocre, dai tre ai sette metri, quando il mare assume quella tipica colorazione verdastra, le esche artificiali possono addirittura dare risultati migliori delle esche vive, proprio per la loro maggiore evidenza e per le vibrazioni che la linea laterale della spigola percepisce anche a distanza. I famosi Rapala sinking magnum da 11, 13 e 14 centimetri nelle colorazioni giallo limone e testa rossa, per le acque molto torbide, maccarello, cefaletto e bianco madreperlato con strisce arancio, per le altre situazioni con migliore visibilità, danno risultati spesso sorprendenti; ottime anche le imitazioni dell'aguglia, i Rapala

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Sliver. E' importante far lavorare queste esche alla velocità di nodi 3,4 circa, per ottenere un movimento e delle vibrazioni eccitanti. Anche i cucchiai ondulanti, quelli martellati con ancoretta rivestita di piume bianche e gialle, o i Tony Accetta americani ad amo singolo sempre avvolto con penne, in alcuni casi danno risultati positivi. I sostenitori dei Raglou, esca francese in gomma che scodinzola velocemente, disponibile in varie colorazioni, giurano di aver catturato spigole di taglia, con questi artificiali. Recentemente la casa giapponese che sigla le sue esche Yo-zuri, ha prodotto un pescetto artificiale molto simile ad una alice, estremamente riflettente.

Gli attrezzi consigliatiIl finale di nylon deve essere estremamente sottile e resistente al nodo. La sezione varia dal 0,28 al 0,35 per una lunghezza di 20 metri. Per affondare l'esca, si usa abitualmente il dacron piombato da 45 lbs., che cambia colore ogni 10 Yards. Il suo affondamento a velocità di traina con gli artificiali è di circa 80 cm, ogni colore, cioè ogni dieci yards filate in acqua. I mulinelli consigliati sono quelli a tamburo rotante come gli economici ma robusti Penn della serie Long beach e Senator con frizione a stella o i più sofisticati Penn International ad una o due velocità e gli Shimano TD 20 o 30 con frizione a leva. Ma l'attrezzo più importante è senza dubbio la canna, che deve essere molto elastica, per proteggere il finale di nylon così sottile. Ottime le canne multi libbraggio, da 2 ad 8 lbs. o da 4 a 16 lbs. In effetti si flettono, iniziando dal cimino, in proporzione al peso della preda; inoltre avendo un cimino molto sottile, ci avvertono se l'esca struscia il fondo o se si sporca con

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plastica o alghe. Ovviamente canne ed anelli; quelle con carrucole, possono dare dei fastidi al momento del passaggio del finale, che si può incastrare tra i supporti delle ruote. Un buon poggiacanna a cintura per combattere la spigola in piedi ed un capiente guadino a maglie larghe, completano gli attrezzi da pesca.

La barca deve essere manovriera, con un motore che permetta andature al di sotto del nodo per le esche vive e tre nodi circa, per quelle artificiali. Uno scandaglio digitale è l'arma vincente per poter trainar, con precisione, il più possibile vicino al fondale; molto spesso ci indicherà la posizione della spigola, appostata sopra un ciglio o dietro un masso, in attesa della malcapitata preda. La spigola si pesca tutto l'anno; i mesi estivi sono forse più avari di prede e bisogna andarsele a cercare a maggiori profondità, fino a 25 metri. I mesi più favorevoli sono quelli dell'inverno ed inizio primavera, da gennaio a maggio. A febbraio e marzo, i primi giorni di quiete dopo le mareggiate, quando l'acqua comincia a schiarirsi, con gli artificiali citati, si possono catturare mostri di sette o otto chili, in quattro metri di fondo. Ed è proprio in queste occasioni, che subentra l'abilità dell'angler, che deve bilanciare le testate di una grossa preda, con un finale di nylon molto sottile, evitando che il nylon strusci sugli eventuali scogli del fondo. La tecnica migliore consiglia di dirigere l'imbarcazione verso il largo, sfruttando le pause del pesce, rivolte a riprendere energie ed accelerando solo in questi momenti. Dopo i primi cinque minuti, di solito, la spigola di mole, sembra arrendersi e viene docilmente verso l'imbarcazione, se la si recupera molto lentamente. Non bisogna illudersi: il combattimento è solo al suo esordio. Ripartirà almeno altre due o tre volte e sempre verso il fondo, dove cercherà di liberarsi dagli ami e

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dove si sente maggiormente protetta, nel suo habitat più congeniale. Gli attrezzi leggeri impongono di regolare la frizione quasi al minimo, con il risultato di prolungare l'azione di cattura, il nostro divertimento, ma anche le probabilità di fuga. Molto delicato è il momento del recupero a bordo; se vediamo che il nostro retino non è sufficientemente capiente, sarà bene optare per un raffio affilato, cercando di colpire la preda vicino alla testa. Poi, dopo le foto di rito, non resta altro che decidere il modo di come cucinarla.

Non gettate le uova che sono ottime, cotte nel loro sacco, con aglio e rosmarino, irrorate con un goccio di vernaccia sarda; ci si può anche condire gli spaghetti, sostituendo il rosmarino con il prezzemolo ed aggiungendo abbondante peperoncino.

CAPRICCIO E SREGOLATEZZALa spigola è una preda assai ambita da moltissimi trainisti costieri i quali, di solito, la preferiscono ai pur prestigiosi concorrenti litoranei ossia ai dentici combattivi, alle ricciole indiavolate e talvolta enormi, ai pesci serra astuti e scatenati. Si può pensare che il motivo principale di questa preferenza vada ricercato nella insuperabile squisitezza delle carni della Regina. Ma ciò è vero solo in parte, perché vi sono fondati motivi per ritenere che il fattore scatenante che spinge lo sportivo autentico a privilegiare le spigole vada ricercato nella loro imprevedibilità, nella loro capricciosità e quindi nella difficoltà obiettiva di catturarle. Oggi ci sono e mangiano a rotta di collo, domani ci sono ancora ma osservano la dieta più assoluta, ovvero "danno" solo a una determinata esca specifica, ovvero ancora si fanno vive esclusivamente nell'arco di un orario preciso che prescinde

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da qualsiasi elemento a noi cognito. Nella mia lunghissima carriera di trainista ho assai spesso sbattuto e continuo a sbattere la testa contro questa imperscrutabile capricciosità; ciò nonostante, e proprio per questo, continuo ad insistere con immutata perseveranza. Prima di andare avanti vorrei dire qualcosa sul contenuto di

questo articolo. Nel corso di detta "carriera" ho catturato quasi un migliaio di spigole: alcune, in verità molto poche, con i sistemi che si usavano nel passato: andatura lentissima, cucchiaini, piumette, gamberi vivi, piccole anguille anch'esse vive; altre, quasi la maggioranza totale, con pesci finti, ad andatura doppia o tripla rispetto a quella tradizionale. Di questa tecnica, che mi vanto di avere "inventato" all'inizio degli anni Settanta, ho scritto ripetutamente in libri e riviste rivoluzionando letteralmente il discorso sulla traina a spigole tanto che oggi non c'è pescatore sportivo appena evoluto che non l'adotti in via esclusiva. Non sarei perciò onesto se parlassi di metodologie diverse da quella sopraccennata; naturalmente con gli aggiornamenti scaturiti dalle più recenti esperienze e dalla evoluzione tecnologica delle attrezzature pescanti. La spigola, denominata anche branzino o lupo, può raggiungere in Mediterraneo, ma solo in casi assolutamente eccezionali, il peso di ben 12 chili; tuttavia gli incontri più frequenti hanno come protagonisti esemplari di taglia assai minore. Diciamo che un pesce di due o tre chili (la stazza più combattiva anche rispetto ai "pesi massimi") rappresenta già un buon trofeo. Come molti altri pesci il nostro serranide fa vita di branco sebbene l'istinto gregario vada attenuandosi man mano che aumentano le dimensioni. I LUOGHILa spigola è presente, dove più, dove meno, nelle acque costiere di quasi tutta l'Italia. I luoghi più frequentati sono i

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fondali compositi, meglio se non troppo distanti da pronunciate formazioni rocciose, le foci dei corsi d'acqua specie dopo le piogge, le praterie di posidonie, l'esterno dei

manufatti marittimi come i moli e le scogliere frangiflutto, le adiacenze degli impianti per l'allevamento dei mitili, le scogliere sommerse soprattutto se caratterizzate da dislivelli notevoli, i bordi delle formazioni rocciose emergenti, le grandi boe di ormeggio. C'è però da precisare subito che, nell'ambito di tali tipologie, ci sono dei punti precisi, sempre gli stessi nel corso degli anni, nei quali la concentrazione delle Signore è assai più consistente che altrove. L'altezza dei fondali più proficui per la traina varia dai 2 ai 20 metri, con una fascia preferenziale compresa fra i 6 e i 12 metri. Ma anche qui occorre fare un distinguo: le spigole più grandi preferiscono soggiornare sotto la mezza acqua e, spesso, addirittura sul fondo. La presenza delle spigole nelle zone sopraindicate e nei tempi di cui parleremo subito appresso ha, salve rare eccezioni, carattere ciclico nel senso che può risultare alternativamente abbondante o scarsa per periodi più o meno lunghi. Valga un semplice esempio. Le Secche di Mondragone, ai confini fra Lazio e Campania, erano una volta affollate dai nostri ambiti serranidi sia d'estate che d'inverno; ma sono rimaste pressoché desolatamente improduttive dal 1989 al 1994; poi, dal 1995 le Regine sono ricomparse in forze assicurando ai più assidui frequentatori della zona bottini di tutto rispetto: ulteriore dimostrazione della imprevedibilità della specie. Per completare il discorso sui luoghi c'è da aggiungere una cosa. Le spigole allo stato sogliono aggirarsi, certamente per avere una pronta via di scampo contro le incursioni di predatori di stazza maggiore, nelle acque basse a ridosso dei sopraccennati manufatti marittimi e delle coste rocciose litoranee a limitato gradiente di immersione. In tali siti è possibile, una volta individuato il

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posto giusto, fare parecchie catture. Ricordiamoci però che, anche a prescindere dalla misura minima legale (20 cm), la vera sportività della pesca è assolutamente incompatibile con le stragi degli innocenti. I TEMPI E LE ALTRE CONDIZIONILa spigola può essere catturata in ogni periodo dell'anno. Ma, generalizzando, le maggiori probabilità si riscontrano nei mesi invernali e in quelli iniziali della primavera e terminali dell'autunno. Quanto agli orari è indubbio che sono preferibili quelli del primo mattino e quelli del sole intorno allo zenit; da non trascurare peraltro neanche i momenti che precedono e seguono il tramonto. Può accadere che l'attività predatoria del serranide si concentri per diversi giorni consecutivi in spazi limitati e in tempi ristretti. Da ciò emerge l'utilità di poter disporre tempestivamente di notizie aggiornate che potremo procurarci direttamente con la frequentazione paziente e prolungata dei luoghi di pesca e, indirettamente, per mezzo delle confidenze ottenute da colleghi con mentalità non ottenebrate dalla purtroppo assai diffusa mania di segretezza. Per ogni singola cattura ho sempre diligentemente annotato la data, l'ora, le condizioni del mare, del vento e del cielo e tante altre cose ancora. In seguito ho selezionato un campione di 500 pezzi ed ho elaborato tutti i dati così ottenuti mettendoci di mezzo anche le effemeridi nautiche e le tavole di marea. Le conclusioni di questa statistica sono state nel complesso assai deludenti circa le condizioni ambientali più vantaggiose. Ho appurato solo che può andare meglio:

quando le acque sono relativamente torbide;

nelle ore in cui la levata del sole è prossima alla levata della luna;

quando il mare è un po' mosso con onda e vento da scirocco;

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nelle due ore che precedono l'alta marea e nell'ora successiva.

PREPARIAMOCI PER LA TRAINALa barca può essere anche di dimensioni assai modeste (4-5 metri) a condizione che il mare non minacci di fare brutti scherzi e che il teatro di pesca non sia troppo lontano dal porto. Essa deve comunque garantirci una velocità di almeno sei nodi ed essere munita di un ecoscandaglio e, quantomeno, di due portacanne laterali. E' ovvio che, con scafi medio-grandi, tutto sarà più semplice e sicuro. Quanto alle attrezzature, nel presupposto che la nostra azione avrà come obiettivo quello di prendere pesci e non di stabilire record ai limiti dell'impossibile, dirò solo quel che segue. Le canne. Le canne tipiche da spigola sono quelle da 6 a 12 libbre servite da mulinelli di pari potenza. Debbo però dire che questa equilibratura non mi sta bene. Monto mulinelli del 4/0 per le 6 libbre e del 6/0 per le 12 libbre. Ciò per non incorrere in inconvenienti (leggasi la perdita di un bel pesce allamato) che mi hanno più volte rovinato la giornata di pesca. Con detti libbraggi ci potremo però trovare in difficoltà di lavoro, se e quando dovremo aumentare di molto la profondità di lavoro delle nostre esche per mezzo di piombi o di fili autoaffondanti i quali, a causa della trazione delle esche stesse combinata con la velocità della barca, tendono a provocare una eccessiva flessione delle canne. Quindi - se penseremo di dover pescare su fondali relativamente elevati o di utilizzare la nostra attrezzatura anche per le ricciole, per i dentici ed i tonni di branco - niente potrà vietarci di salire alle 20 e, addirittura, alle 30 libbre. La lenza madre. La lenza madre potrà essere in nylon o in dacron o in monel o in filo con anima piombata, in ogni caso con carico di rottura intorno alle 30 libbre. Il monel, reperibile più facilmente in bobine di 200 yards (183 metri) che andranno completamente avvolte nel tamburo del mulinello,

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richiede sempre un cuscino di lenza di nylon o di dacron. I terminali. I terminali, lunghi 10-15 metri, saranno sempre in nylon

relativamente sottile: dallo 0,25 se le acque sono cristalline ed abbiamo motivo di ritenere (cosa un bel po' difficile!) che le nostre antagoniste non raggiungono taglie superiori al chilo, allo 0,40 o addirittura allo 0,45. Le esche. Le nostre esche saranno costituite da pesci finti di gran marca di lunghezza compresa fra i 5 ed i 14 centimetri. I simulacri più catturanti sono sicuramente quelli Rapala: in primis, per gli esemplari di una certa taglia, i Magnum con paletta metallica da 9, 11, 13 e 14 centimetri, nonché l'aguglietta di 13 centimetri. E' solo una curiosità ma voglio dirla: non è affatto impossibile che anche pesci di proporzioni assai ridotte attacchino e restino agganciati a questi modelli piuttosto voluminosi. Se i fondali saranno molto bassi (2-3 metri) potremo usare i modelli con paletta di plastica ivi compresi quelli di dimensioni inferiori ai 9 cm che, rispetto ai Magnum, hanno coefficienti di affondamento

segnatamente più limitati. Da tener comunque presente che, a velocità da spigole (4 nodi circa), si ha un affondamento di meno di un metro con i modelli più piccoli dotati di paletta di plastica e un affondamento di quasi 4 metri con il 14 Magnum munito di paletta metallica. Il colore più catturante in assoluto è il bianco rosso; seguono il makarel, il bianco-celeste e il bianco-nero.

Però, certe volte, possono risultare più attiranti altre livree. Morale: bisogna provare e riprovare. Le girelle. Le girelle con i pesci finti ben fatti, che navigano senza ruotare su loro stessi, non sono indispensabili. Chi le volesse utilizzare per collegare la lenza madre con il terminale dovrà accertarsi che scorrano agevolmente nelle carrucole passafilo della canna.

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Gli affondatori di lenza. Gli affondatori sono indispensabili solo su fondali di oltre 6 metri. Essi saranno costituiti da piombi fusiformi a sgancio (da inserire almeno 15 metri a monte dell'esca) ovvero da lenze madri in monel o in filo con anima piombata. Come già accennato, la velocità ottimale per la traina a spigole si aggira intorno ai 4 nodi. Ed allora, a titolo orientativo, dovremo tener presente che a quella andatura:

un piombo amovibile di mezzo chilo portato a 50 metri da poppa affonda di circa 4 metri;

il monel affonda mediamente di 70 cm per ogni decametro immerso;

il filo con anima piombata affonda di 30-35 cm per ogni decametro immerso. Ai valori così ottenuti dovremo aggiungere l'autonomo coefficiente di affondamento dell'esca utilizzata. Per fare ancora un esempio dirò che un Magnum di 13 cm rimorchiato con 50 m di monel immerso scenderà si 6,50 m (3 m per il pesce finto e 3,50 m per il monel).

Comunque sarà sempre estremamente utile perdere qualche ora di tempo da fare, con l'ecoscandaglio e il contanodi, una serie di prove su fondali in piano e non accidentati di sabbia o di fango. La barca dovrà procedere in linea retta e l'inconfondibile vibrazione del cimino ci dirà che, in quel determinato momento, l'esca sta rasentando il fondo. Se avremo poi l'avvertenza di apporre sulla lenza madre dei segnalini di diverso colore (come fiocchetti di cotone resi non scorrevoli con una goccia di colla) avremo il vantaggio di conoscere la profondità di lavoro delle nostre esche anche in futuro. Quando, ovviamente sui bassi fondali, si usano le esche più piccole con paletta di plastica può accadere che alcuni modelli, per effetto della velocità, non riescano a scendere in via autonoma sotto la superficie; in tali casi

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potremo ridurre l'andatura a tre nodi ed inserire sulla madre lenza un mini piombo amovibile di una cinquantina di grammi. L'AZIONE DI PESCAPartiremo con due canne laterali, divaricate al massimo e filate una per 40 e l'altra per 50 m da poppa. Tali distanze dovranno essere aumentate nel caso in cui useremo fili autoaffondanti e avremo la necessità di scendere parecchio per far lavorare le nostre esche in prossimità del fondale. Se le dimensioni della barca ce lo consentiranno fileremo, più a corto delle laterali, una terza lenza centrale alla quale applicheremo l'esca che ha un maggior coefficiente di affondamento zavorrata con un piombo pesante (mezzo chilo, 1 chilo) collocato 5-6 metri a valle del punto di immersione della lenza madre che, in questo caso, sarà sempre di nylon o di dacron. Eviteremo così ogni possibilità di reciproco imbroglio in quanto tale esca centrale a corto navigherà molto al di sotto dei fili delle laterali. Se poi avremo un portacanne montato sul tuna o sul fly potremo accrescere ulteriormente le probabilità di cattura filando una quarta traina armata con un pesce finto con paletta di plastica il quale non ci darà alcun fastidio anche perché, in caso di arresto del movimento della barca, salirà a galla per conto suo. Va da sé che la terza e la quarta lenza potranno essere utilizzate senza rischi solo se disporremo di almeno un aiutante e il teatro di pesca sarà abbastanza vasto, tale cioè da non imporci virate frequenti. La regola base è quella di mandare a mare l'esca destinata a lavorare più a lungo e poi, mano mano, le altre; nel salpaggio va invece osservato l'ordine inverso. Stabilita la profondità dell'esca che lavora più in basso regoleremo l'allarme acustico dell'ecoscandaglio ad una profondità superiore di un metro abbondante. Al suono dell'allarme aumenteremo di 1/2 nodi la velocità provocando così l'immediato sollevamento delle esche rimorchiate che,

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salvo imprevisti, riusciranno a superare indenni l'ostacolo. Teniamoci comunque sempre lontani dai segnali delle reti da posta e delle coffe. Le frizioni dei mulinelli andranno regolate su un libbraggio corrispondente a un quarto circa di quello proprio dei terminali; così con un finale dello 0,40 (su per giù di resistenza pari a 15 libbre) la frizione dovrà essere tarata intorno alle 4 libbre. Se e quando partirà una lenza ridurremo la velocità, daremo una decisa strattonata alla canna impegnata e regoleremo la frizione in modo che il malcapitato pinnuto possa, nei suoi tentativi di fuga, prendere filo ma non troppo e, mantenendo una rotta rettilinea, tireremo a bordo l'altra e le altre esche. Passeremo quindi al recupero. Se il pesce è grosso alleggeriremo la trazione, facendo descrivere alla barca una larga curva senza però mai mandare la lenza in bando. In caso di ferrata plurima e contemporanea (può succedere anche questo!) daremo la precedenza al pesce allamato più a corto. La spigola non è una grande combattente. Dopo una prima serie di tentativi di fuga, sia laterale sia verso il basso, che si verificano subito dopo la ferrata il pesce si fa più mansueto e naviga di solito in prossimità della superficie. Solo quando giunge in vista della barca ricomincia a lottare spendendo tutte le residue energie in sfuriate decise e violente. E' questa la fase più pericolosa perché, soprattutto gli esemplari di taglia, possono, con le repentine e disordinate "testate", provocare la rottura del terminale. La reazione può essere contrastata sollevando la canna, in modo da far prendere alla signora una per lei non salutare "boccata d'aria". E' comunque sempre necessario disporre di un coppo con manico molto lungo (2 metri circa), con bocca ben capiente (50 cm) e con maglie assai larghe. Trainando nei tempi, nei luoghi e nei modi sopra descritti potremo imbatterci in pesci diversi dalla spigola: soprattutto palamite,

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ma anche dotti, grossi pesci serra, dentici e, come sempre in traina, in altre prede ... a sorpresa. Mi auguro di essere riuscito ad esplicitare quelle nozioni fondamentali che potranno essere di aiuto specialmente ai colleghi non iniziati.

SPIGOLE IN PROFONDITÀLa spigola è, forse, il predatore più ricercato da chi si avvicina alla pesca dalla barca. Le sue abitudini costiere e la sua curiosità la

portano spesso a rimanere vittima di esche trainate anche grossolanamente, o destinate ad altre prede meno impegnative. La spigola come regola generale, si portava nell'immediato sottocosta nei mesi invernali, per allontanarsi su fondali fino a 20 metri in quelli estivi. Nei mesi di dicembre e gennaio infatti, le grosse femmine erano solite spingersi su fondali molto bassi per essere fecondate dai maschi e lasciar cadere in seguito le uova sulla posidonia. Ma se fino a dieci anni fa non era assolutamente difficile trovare spigole enormi in caccia in pochi centimetri d'acqua, finito il periodo di accoppiamento, nelle ultime stagioni fredde tale tendenza si è andata rarefacendo, portando i branchi di grossi esemplari a cercare le zone idonee per la riproduzione e per la caccia a profondità sensibilmente maggiori. Queste variazioni ambientali hanno ingegnato i pescasportivi, i quali si sono trovati di fronte a nuove esigenze di traina, ed hanno messo a punto ed adattato sistemi derivati dalla pesca di fondo ai dentici, destinandoli ad un predatore sensibilmente diverso, sia come abitudini che come sospettosità. Essendo un predatore che caccia prevalentemente in agguato tra le rocce o le alghe, la spigola va insidiata facendo passare le esche quanto più possibile vicine al

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fondo. Nell'ottica di trainare su fondali che vanno in media dai 10 ai 20 metri, bisognerà prendere in esame i sistemi d'affondamento più usati. Il monel è uno dei sistemi più validi. nel caso specifico della spigola non dovrà essere eccessivamente affondante, in modo da poter calare le esche abbastanza lontano dalla poppa della barca (almeno 80 -90 metri). Si preferiscono quindi monel da 30 e 40 libbre.

Il dacron piombato viene usato da anni per questa pesca, ma ultimamente è stato riscoperto e rilanciato. Si usa dacron da 45 libbre che affonda mediamente 40-50 centimetri per ogni 10 metri di lenza filata. Sia il monel che il dacron piombato andranno muniti del terminale lungo non meno di 15 metri.

L'affondatore a palla o downrigger è il sistema più sportivo e permette di recuperare la preda senza peso proprio della lenza o zavorre aggiunte. Utilizzando questo sistema si possono impiegare monofili molto sottili e canne leggere, vantaggi non indifferenti se si pesca in acqua limpida. I piombi a sgancio rapido, infine, sono quelli più comodi e pratici da usare, ma vanno sganciati durante il recupero. In genere si usano zavorre di peso non superiore ai 350 grammi. La spigola non è un eccezionale combattente, fatta la prima fuga infatti, si lascia portare facilmente al guadino. Per rendere la cattura più entusiasmante, si preferisce infatti utilizzare canne molto leggere e flessibili anche in relazione all'impiego di terminali sottili. In presenza di acqua limpida infatti bisogna scendere molto con il diametro del terminale, fino ad utilizzare monofili in fluorocarbon dello 0,30. Di regola invece con acque velate o torbide, ci si può orientare sul 0,35-0,40. Le esche che si sono rivelate più funzionanti trainando le spigole su fondali alti, sono i minnow. Sono da

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preferire quelli sottili con paletta metallica e di lunghezza dai 7 ai 13 centimetri.

Le condizioni ottimali si verificano con mare in scaduta ed acqua leggermente torbida, a cavallo della fase di alta marea. Le ore migliori sono quelle del primo mattino e del primo pomeriggio, ma per coloro che non si scoraggiano di fronte al freddo, le ore notturne coincidenti con l'alta marea, possono riservare bellissime sorprese. La traina alle spigole su fondali superiori ai 6-7 metri, non è stata scoperta adesso, bensì è il risultato di tanti anni di tentativi da parte dei precursori della pesca. La velocità è determinante e l'ideale è far lavorare i minnow a 4-5 nodi, il più vicino possibile al fondo.

TONNETTI AL NATURALEI tonni presenti in Mediterraneo appartengono a cinque specie diverse: il tonno rosso che da adulto raggiunge il peso di diversi quintali, l'alletterato (max 10 chili), lo striato (max 12 chili), l'alalunga (max 20 chili), il tombarello (max 3 chili). Da notare che ci sono alcune misure minime legali da rispettare: 70 centimetri per il tonno rosso, 30 per l'alletterato, 40 per l'alalunga. Caratteristica comune di tutti questi combattivi predatori è quella di fare sempre vita di branco; solo per i tonni rossi l'istinto gregario si attenua, senza scomparire mai del tutto, con l'aumento delle dimensioni. I tempi e i postiDalla fine di agosto a novembre inoltrato potremo incontrare branchi di tonnetti anche in acque relativamente vicine però, di solito, su fondali non inferiori ai 30-40 metri. Gli "accostamenti" più frequenti si riscontrano al largo dei

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promontori più pronunciati specie quando la costa precipita in acque subito profonde; ciò non esclude affatto che, nel periodo in parola e in determinati bacini, i tonnetti siano reperibili solo in grande altura. Le ore migliori sono quelle di luce fatta, prevalentemente al mattino. Le attrezzature pescanti e l'assetto di trainaDi regola le nostre prede saranno di stazza relativamente contenuta, ma potremo imbatterci anche in pesci di buona taglia. Tanto per dirne una - nella tarda estate del 1994, mentre sulla base di una segnalazione, stavo tentando di entrare in contatto con un ipotetico branco di alalunghe tirreniche - agganciai due tonni giganti che, dopo avermi portato via 500 metri di lenza, mi fecero la

grazia di spezzare i terminali evitando così la rottura delle canne. Episodi del genere non sono frequenti e non potremo quindi ricavarne una regola generale che ci costringerebbe a trainare a tonnetti con attrezzature da 80 o 130 libbre; ma siccome con le 30 libbre anche senza essere campioni potremo aver ragione di belle bestie di 30-50 chili non consiglierei a nessuno di scendere al di sotto di tale potenza. Quindi canne da 30 libbre, mulinelli del 6/0 - 9/0, lenza madre da 30-50 libbre, terminali in nylon dello 0,60-0,80 lunghi al massimo tre o quattro metri (solo per i tombarelli sarà bene arrivare a 7-8 metri dello 0,40), niente girelle. Solo quando, dopo svariati giorni di pesca in una certa zona ci saremo resi conto che non ci sono o non ci dovrebbero essere in circolazione esemplari di taglia ragguardevole, potremo rendere più "leggera" la nostra azione diminuendo, addirittura fino alle sei libbre, la potenza delle nostre attrezzature, fatta eccezione per i terminali che dovranno restare nell'ambito dei diametri sopraindicati. Rischieremo di

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più, pescheremo di meno perché i recuperi richiederanno tempi assai lunghi, ma potremo vantare un senso di maggiore sportività.

Come esche impiegheremo piume con testina metallica di 6-10 centimetri armate con ami ad occhiello ed a punta lievemente rientrante dei numeri dal 2/0 al 6/0 proporzionati alle dimensioni delle piume; ovvero rapala magnum di 7,9, 11, 14 centimetri. I colori delle nostre esche possono variare in base a diversi fattori quali la "mangianza" presente in loco, l'eventuale copertura del cielo, la maggiore o minore limpidità delle acque, l'angolo di rifrazione del sole e chi più ne ha più ne metta. Comunque, in linea generale, possiamo dire che statisticamente vanno meglio le piume bianche, nere, rosse e biancorosse; nonchè i pesci finti color maccarello, biancocelesti e, anomalia incomprensibile comune però a tutti i tipi di traina, bianchi con testa rossa. Alcuni colleghi montano talvolta, ottenendo buoni risultati, esche diverse costituite principalmente da imitazioni di piccoli ottopodi; ma, dopo prove e riprove durate decenni, continuo a ritenere che, mediamente, siano assai più validi i pesci finti e le piume. L'assetto di traina più tipico è quello con almeno cinque esche supportate dalle relative canne: una coppia con divaricazioni diverse a destra, una coppia anche essa con divaricazioni diverse a sinistra, una singola centrale.

Le lenze andranno filate a maggior distanza (40-50 metri) quelle esterne, più vicine (25-30 metri) quelle semiesterne e vicinissima (6-15 metri) quella centrale. E' meglio se le canne semiesterne e centrale sono più corte (tipo stand up). La soluzione meno soggetta a provocare l'ingarbugliamento delle traine consiste nel far lavorare i pesci finti sulle lenze servite dalle canne esterne più divaricate e le piume sulle altre. Potrà essere utile, specie se l'obiettivo sarà

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rappresentato dalle alalunghe, zavorrare con 200/300 grammi di piombo le due lenze che lavorano più all'esterno ovvero affondarle con il monel. Quello appena descritto è un assetto standard. Ma, ovviamente, nessuno ci vieterà di pescare con due o tre sole traine ovvero, se le dimensioni e l'attrezzatura della barca ce lo consentiranno, di superare l'anzidetto numero di cinque.

L'azione di trainaCome al solito, saranno utilissime le informazioni che, direttamente o indirettamente, riusciremo a procurarci sulle zone attualmente più frequentate dai branchi. Teniamo comunque a mente che tali zone, ampie o ristrette che siano, sono sempre le stesse nel corso degli anni.

Ci troviamo ora a navigare in acque nelle quali è accertata o presunta la presenza dei tonnetti. Mettiamoci a 3-4 nodi e caliamo le lenze: prima quelle lontane e poi, man mano, quelle vicine. Le frizioni dei mulinelli saranno regolate in via approssimativa su un valore corrispondente a circa la metà del carico di rottura delle lenze; peraltro tale valore potrà essere ridotto anche di molto se la taglia delle prede lo dimostrerà eccessivo. La velocità media migliore è quella compresa fra i 5 e i 7 nodi. A questo punto non resta che mettersi in attentissima osservazione del cielo e del mare, naturalmente dal tuna o dal fly ove la barca ne sia provvista. Se saremo fortunati avvisteremo uno o più "caroselli" di uccelli marini che, concentrati su uno specchio d'acqua ristretto, ruotano, volteggiano, picchiano come pazzi sulle "mangianze" (in genere sarde o alici) che i predatori sono riusciti a far "assommare" e che aggrediscono anche saltando fuor d'acqua. Potrà pure accaderci di incontrare "mangianze" più o meno vistose delle quali i gabbiani non si sono ancora accorti. Nell'uno e nell'altro caso cercheremo di far passare le esche, ma non la barca, all'interno o quanto

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meno ai margini del tratto di mare movimentato. Se non avvisteremo "mangianze" dovremo porre attenzione ai gabbiani (o al singolo gabbiano) che battono insistentemente - a bassa quota, a volo affrettato e con frequenti mutamenti di direzione - una zona delimitata. Altre indicazioni possono fornircele i gabbiani posati, meglio se in gruppi numerosi, in acque pulite e lontane dalle paranze.

Se e quando sentiremo il sempre elettrizzante cicaleccio di un mulinello ridurremo la velocità, salperemo le traine più a corto di quella impegnata e quindi provvederemo al recupero utilizzando, ove occorra, la pancierina. In caso di catture plurime e contemporanee, sempre dopo aver salpato le lenze libere più vicine, daremo la precedenza al pesce più prossimo alla barca e così via di seguito. Con prede di peso inferiore ai tre chili non avremo bisogno del raffio e le "voleremo" direttamente a bordo. IMPORTANTE FERRARLO, POI SI VEDE!

Il tonno per antonomasia, il thunnus thynnus, detto comunemente tonno rosso, è presente in Mediterraneo fin dalle ere preistoriche. Ma i vecchi sistemi di cattura, ossia le

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antichissime patetiche "tonnare" distribuite lungo le coste peninsulari ed insulari e, in tempi assai più recenti, i grandi battelli per la circuizione con apposite macroscopiche reti non avevano assolutamente nulla di sportivo. Fu solo nel corso degli anni '70 che vennero effettuate le prime catture con tecniche non professionali, all'inizio esclusivamente al largo delle foci del Po ed a traina con una metodologia messa a punto da un appassionato del mare, il medico bolognese Adamo Benfenati; poi, dopo alcuni anni e sempre in Alto Adriatico, in drifting, ossia con la barca in deriva e con l'impiego di tecniche escogitate dai dilettanti pesaresi sulla traccia di esperienze locali dirette alla cattura degli squali, soprattutto verdesche. Infine la tecnica si diffuse quasi ovunque quando ci si rese conto del fatto che il drifting ai tonni giganti poteva essere praticato con successo non solo in Alto Adriatico ma anche nella generalità dei mari italiani. Nel 1986 partecipai, documentandola giornalisticamente, alla prima cattura in drifting con canna e mulinello di un grosso tonno fatta in Tirreno centrale da un fisherman del cui equipaggio facevo parte.

Poco sopra ho accennato alla traina. Per completezza di esposizione debbo ora precisare che essa funziona ancora ma con risultati quantitativamente almeno dieci volte inferiori rispetto a quelli assicurati dal drifting; ragion per cui, fatta eccezione per una esigua schiera di nostalgici patiti cui appartengo, è stata praticamente abbandonata.

Il tonno rosso in MediterraneoAbbiamo visto che il tonno rosso è stato sempre presente nel nostro piccolo mare chiuso. In passato l'opinione dominante era che questa presenza fosse dovuta soltanto ai flussi migratori annuali in entrata ed in uscita attraverso lo stretto di Gibilterra. Sul punto ci furono dispute interminabili alle quali parteciparono sia i pratici sia gli studiosi, ivi

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compresi grossi calibri come Aristotele. Oggi ne sappiamo qualcosa di più. C'è una consistente aliquota di tonni adulti che "entra" a primavera e si dirama in tutta l'area mediterranea seguendo rotte che, in buona parte, interessano i mari italiani; e c'è un'altra consistente aliquota che "esce" ad autunno inoltrato. Ma sono moltissimi anche gli esemplari che svernano in loco rendendo peraltro meno palese la loro presenza in quanto, con il raffreddarsi delle acque superficiali, preferiscono spostarsi negli strati marini più bassi meno soggetti alle variazioni termiche determinate dall'alternarsi delle stagioni. Non è ancora stato possibile appurare se gli "stanziali" rimangano tali per tutta la vita ovvero, anche essi, facciano ogni tanto una capatina negli oceani.

La riproduzione del tonno rosso avviene a maggio-giugno in tutti i nostri bacini. Ogni femmina depone un po' alla volta migliaia di uova dalle quali, dopo 60 giorni, scaturiscono cuccioli tanto minuscoli quanto famelici che, in tre o quattro mesi, raggiungono il peso di un chilo. Le zone di riproduzione sono sparse un po' ovunque ma quella di gran lunga preferenziale è ubicata nelle acque circostanti le isole Baleari; ed è costì che, purtroppo, le femmine gravide formano oggetto di feroci campagne di pesca effettuate con reti da circuizione micidiali calate da imbarcazioni professionali portoghesi, spagnole, francesi, italiane, giapponesi, ecc.. La causa scatenante di questa autentica strage scriteriata va ricercata, oltreché nel pregio gastronomico universalmente riconosciuto alle carni del tosso rosso mediterraneo, dall'altissimo (direi pazzesco) valore commerciale della relativa bottarga specialmente presso i popoli del Sol Levante. Ma non finisce qui: anche dopo il periodo di riproduzione, e quindi anche senza l'incentivo della bottarga, la barche tonnare continuano a imperversare per lungo e per largo dal mare di Alboran a

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quello di Levante, assistite spesso da un sistema di ricognizione aerea, impegnate nel prelievo massivo di sterminati branchi di qualunque dimensione anche al di sotto della misura minima legale stabilita da una apposita convenzione internazionale (cm 70).

Gli hot spot in ItaliaC'è da dire subito che, molto probabilmente a causa della eccezionale abbondanza di cibo, ossia di pesce azzurro minuto, i grandi tonni dell'Adriatico sono normalmente assai più "giganteschi" degli altri: la stazza media si aggira intorno ai 150-200 chili con frequenti punte superiori che, in casi eccezionali, si avvicinano addirittura alla mezza tonnellata. Negli altri bacini, invece, la maggioranza dei grandi esemplari ha un peso medio compreso fra i 60 e i 150 chili. Queste differenze dimensionali si ripercuotono ovviamente sulla scelta delle attrezzature pescanti che, come è logico, in Adriatico debbono avere una potenza maggiore. C'è poi da aggiungere che mentre nell'Amarissimo, in cui i fondali sono di regola piuttosto bassi, i tonni bazzicano usualmente a decine e decine di miglia dalla costa, negli altri mari della penisola e delle isole è di solito sufficiente allontanarsi 4-6 miglia da terra e, in certi posti (specie davanti ai promontori) anche molto di meno; di massima in tali acque si può considerare ottima la batimetrica compresa fra gli 80 e i 120 metri.

Fra i tanti "punti buoni" tirrenici e ionici, ricordiamo quelli compresi fra il continente e gli arcipelaghi pontini e partenopei, le acque fra Anzio e Fiumicino, quello di Civitavecchia e quelle del livornese. Presenze e catture ricorrenti di esemplari compresi di solito nella fascia da 100 a 150 chili vengono realizzate anche nel meridione della Sicilia, soprattutto nelle zone ove una volta operavano le leggendarie tonnare fisse distribuite, grosso modo, da

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Siracusa a Capo Passero. Altre zone buone ben collaudate sono quelle calabre, quelle del SW della Sardegna, a NW dell'isola d'Elba, quelle liguri di ponente. Comunque, in ogni porto o porticciolo, c'è sempre qualcuno

che è ben informato della situazione del momento. Di solito sono più attendibili delle altre le notizie che circolano nell'ambito dei vari club di pesca sportiva. Circa i tempi possiamo dire che, di solito, i periodi migliori vanno da luglio a novembre con punte massime locali variabili di anno in anno. In tempi recenti gli angler adriatici si sono accorti che, dalle loro parti, il drifting funziona bene anche in pieno inverno. In tema di orari sembra assodato che siano più redditizie le ore del primissimo mattino e quelle del sole alto.

Barche e loro accessoriCome sempre, le barche debbono essere adeguate - quanto a dimensioni, tenuta di mare e motorizzazione - alla distanza da terra e alle condizioni meteorologiche stagionali della zona di pesca. In ogni caso, a mio avviso, non si dovrebbe mai scendere al di sotto dei sei metri di lunghezza; salva comunque la puntuale osservanza delle distanze massime stabilite in base alla legge per i vari tipi di unità nautiche. La velocità è un fattore importante per raggiungere in tempi ragionevoli i campi di battaglia più lontani e per farne ritorno.

Gli accessori principali della barca finalizzati al drifting sono i seguenti: poltrona, seggiola e seggiolino da combattimento. Nel 99% dei casi sarà sufficiente un semplice seggiolino montato nel pozzetto o a prua. E' importante che questo accessorio sia di buona marca, ancorato saldamente allo scafo mediante una robusta contro piastra e offra una buona base di appoggio per i piedi sull'opera viva quale che sia la rotazione che si renderà necessaria nelle varie fasi del

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combattimento; è anche molto utile che l'altezza dell'impianto consenta all'angler di vedere bene il filo della lenza anche quando per le evoluzioni del pesce il filo stesso

scende verso il fondo in linea verticale: il che succede molto spesso nella fase conclusiva del duello tra uomo e tonno.

Il posizionamento a prua facilita indubbiamente la cattura sia perché il necessario allineamento della canna in direzione del tonno non è intralciato (o lo è comunque assai di meno) dalla presenza delle strutture sporgenti (plancia, tuna, fly, tendalini, ecc.) sia perché, specie con gli scafi non eccessivamente pesanti, consente agli stessi di essere rimorchiati dalla preda che è così costretta a spendere preziose energie a scapito peraltro della sportività della pesca. C'è tuttavia una piccola controindicazione: il raffiaggio di un grosso pesce può presentare qualche difficoltà se effettuato dalla zona prodiera. La poltrona ha sempre bisogno di una apposita pedana e, a differenza del seggiolino, richiede il continuo intervento di un assistente per le necessarie rotazioni. Portacanne da riposo e da lavoro - Più ce ne sono e meglio è. Quelli da lavoro debbono essere tassativamente ad incasso ossia stabilmente incorporati nello scafo.

Strumentazione elettronica - Il GPS o il loran, (quest'ultimo ancora inutilizzabile per il dannosissimo ritardo della Spagna ad assumere la gestione della stazione ubicata nel suo territorio e lasciatale in perfette condizioni dagli USA fin dal 31 gennaio 1994), e l'ecoscandaglio non sono accessori essenziali ma sempre utili ai fini che qui interessano.

Ancora e cima di almeno 200 metri - Servono solo se, come è d'uso in varie zone, si pesca a fermo; in tal caso, a rigor di logica, non si dovrebbe parlare di drifting in quanto il termine

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inglese di origine (drift) significa deriva.

Le attrezzature pescantiLe canne - Il libbraggio standard è 80. Gli iniziati possono anche scendere a 50. Da escludere in ogni caso potenze inferiori. Si pensi al riguardo che solo di recente - dopo centinaia di tentativi diluiti in un decennio conclusosi con la disintegrazione dell'attrezzatura e probabilmente con l'inutile morte di parecchi tonni - è stato finalmente stabilito il record mondiale sulle 30 libbre con un pesce di 104 chili. Le canne di gran lunga più funzionali sono quelle paraboliche a fusto vuoto in quanto, data la loro peculiarità di riassumere prontamente la posizione diritta, agevolano la operazione di pompaggio. Non parliamo qui delle canne stand-up (cioè di quelle più corte destinate al combattimento in piedi) in quanto questa tecnica applicata ai giganti può risultare un po' pericolosa per chi non è fornito di grande esperienza.

I mulinelli - La potenza di questi attrezzi deve essere uguale o prossima per eccesso a quella delle rispettive canne. Molti praticanti preferiscono i mulinelli a leva in quanto la regolazione del freno-frizione risulta più facile. Ma non escluderei i tradizionali e più economici modelli a stella che, se usati correttamente, sono in grado di fornire anch'essi eccellenti prestazioni. Esistono anche mulinelli a doppia velocità di recupero che, specie per gli angler meno allenati, possono ridurre considerevolmente la non lieve fatica richiesta spesso per il pompaggio del pesce "inchiodato" a fondo ed a picco sotto la barca.

La lenza madre - Il libbraggio dovrebbe corrispondere a quello del mulinello. Circa il materiale (monofilo di nylon o dacron) non c'è unanimità di vedute. Molti preferiscono il nylon che, essendo assai più elastico, riduce notevolmente il rischio di rotture dovute ad eventuali errori nella taratura del

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freno. Altri optano per il dacron che, oltre ad essere più duraturo, assicura con la sua rigidità una ferrata più decisa. Altri ancora scelgono, penso giustamente, una soluzione intermedia ossia al dacron aggiungono una cinquantina di metri di nylon con il sistema di giunzione illustrato nell'apposito disegno. L'imbobinamento del filo nel mulinello va fatto sotto forte trazione e distribuendo ordinatamente il filo stesso in una serie di spire parallele; ciò allo scopo di evitare che nel corso del combattimento qualche spira esterna penetri fra quelle interne bloccando inesorabilmente la lenza. Il mulinello non andrà mai riempito completamente in quanto potrebbe accadere ai meno addottorati che, durante il recupero, il filo si accumuli prevalentemente in un punto della bobina fino a rendere impossibile l'ulteriore avvolgimento.

La doppiatura di lenza - La doppiatura è realizzata fra la lenza madre e il terminale. Serve come rinforzo del filo nelle ultime, spesso aleatorie, fasi del combattimento. Secondo le norme IGFA la lunghezza massima della doppiatura è di m 9,14. Tranne che in Adriatico dove, come abbiamo visto, i veri giganti stanno di casa e la doppiatura può non essere necessaria se la madrelenza è da 130 o, al limite, da 80 libbre. Per eseguire una corretta doppiatura il metodo classico è quello di ricorrere al nodo Bimini, peraltro di fattura piuttosto complicata; in alternativa si possono usare i tubicini di rame o di alluminio per rendere più sicura la tenuto di uno qualunque dei nodi usuali.

Il terminale - Il terminale va unito alla lenza madre doppiata o non doppiata mediante una robusta girella con moschettone; esso avrà una resistenza compresa fra le 200 e le 400 libbre, potrà essere in monofilo di acciaio (piano wire) o in nylon; lunghezza intorno ai m 2-2,50; alcuni optano per lunghezze maggiori ma ciò impedisce, per via della

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girella, di portare il pesce al raffio con la canna e il mulinello in piena attività di servizio. I colori statisticamente più idonei sono il bianco trasparente, l'acquamarina, il nero per il nylon e il bronzato chiaro per il piano wire. A parità di potenza l'acciaio è molto più sottile del nylon e il suo impiego risulta vincente nel caso non rarissimo in cui, al posto del tonno, resti allamato uno squalo (in particolare un volpe) fornito, oltreché di denti acuminati, di altri componenti anatomici per loro natura fortemente trancianti. C'è però da tener presente che, in alcuni periodi e bacini, i tonni rossi "danno" assai più volentieri ai terminali di nylon; probabilmente a causa della

loro minor rigidità. All'estremità del terminale va naturalmente fissato l'amo. Può accadere che i terminali impiegati, in quel momento e in quel posto, non funzionino e occorra

sostituirli; è perciò consigliabile portarsene dietro una certa riserva differenziata per colori, per materiali e, entro ragionevoli limiti, anche per spessore e tipo di amo.

La girella e il moschettone - Come già accennato questi piccoli accessori servono per collegare la lenza madre e il terminale. Di regola la loro potenza deve essere pari o anche un po' superiore a quella del terminale stesso. Da preferire in ogni caso i modelli di gran marca forniti di cuscinetti a sfere.

Gli ami - Gli ami, sempre a gambo corto, debbono essere con occhiello saldato per assicurarne il sicuro fissaggio al terminale. Le fogge più usate sono quelle a punta rientrante e a becco d'aquila; numeri dal 6/0 al 10/0. Esistono ami specifici per tonno (i cosiddetti giapponesi) di grandezza relativamente contenuta ma di notevole spessore; la dimensione ridotta favorisce l'aggancio nell'apparato boccale senza fuoriuscita della punta verso l'esterno; il che impedisce la formazione di un foro passante che, durante il

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combattimento, specie se prolungato, tende spesso ad allargarsi fino a rendere possibile la slamatura della preda; facilita inoltre la dissimulazione dell'esca piuttosto minuta (quasi sempre un paio di sardine). Accortezza da non trascurare mai: le punte degli ami debbono essere mantenute aguzze ricorrendo sistematicamente alla loro affilatura.

Le attrezzature complementari - Occorrono sempre almeno due robusti raffi fissi con manici lunghi circa un metro e mezzo; anche meno se il bordo libero della barca tende al basso. Può riuscire utile (direi indispensabile se "capita" lo squalo volpe) anche un raffio volante lungo un paio di metri. Oltre ai raffi sarà bene tenere a portata di mano una o due robuste cime per assicurare prima dell'imbarco il pesce morto o moribondo con un nodo scorsoio fatto all'altezza della radice della coda. Le cinture da combattimento possono essere a spalle o a reni; meglio però un giubbino completo, bene imbottito che svolge contemporaneamente le due funzioni: quella a spalla e quella renale. E' opportuno regolare preventivamente sulla persona i ganci e le fibbie di questo supporto. Il bigo per l'imbarco del pesce non guasterà mai. Se la barca è fornita di tuna tower il punto di forza cui assicurare la puleggia di carico potrà essere predisposto sul tuna stesso. Naturalmente non mancheranno un paio di guanti, una serie di palloncini (quelli che i ragazzini usano in spiaggia per fare le bombe d'acqua e che nel nostro caso gonfieremo per sostenere le lenze da spedire a distanze diverse), alcuni piombi a pera da 30 a 200 grammi, fili ed elastici sottilissimi, pinze, forbici e coltelli.

TONNO! L'AZIONE DI PESCA

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E' oramai dimostrato che i grossi tonni, quando e dove ci sono, tendono sovente a portarsi nei punti in cui, durante la notte, hanno operato i ciancioli: ciò perché la potentissima luminaria delle lampare attira grandi quantità di pesce azzurro (soprattutto sarde ed alici), una buona aliquota del quale riesce a sfuggire dalle maglie delle reti creando in tal modo una notevole concentrazione di mangianza. Ed è altresì dimostrato che, di solito, i predetti pescioni sono soliti seguire le paranze a strascico per nutrirsi della minutaglia che fuoriesce dal "sacco" durante il periodico salpaggio dello stesso; ne consegue che il rumore provocato dai motori e dalle eliche funziona come fonte di richiamo per i tonni. Di questi dati di fatto assodati faranno tesoro i pescatori sportivi portandosi con la barca nel sito ove di notte hanno operato le lampare, ovvero sulla rotta delle strascicanti spesso segnalata da fitti stuoli di gabbiani posati in acqua "a bagnomaria". Un accorgimento utile per richiamare le prede è quello di aumentare il numero dei giri dei motori durante il brumeggio iniziale e di rimetterli periodicamente in azione,

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naturalmente a folle, durante il brumeggio di routine.

Per una giornata di drifting occorrono normalmente dalle 3 alle 5 cassette di sarde possibilmente freschissime. Ogni cassetta contiene 6-7 chili di esca. Giunti nella zona prescelta, faremo una veloce serie di giri concentrici, sempre più stretti, lanciando in acqua sarde (4-5 chili) e, se ne disponiamo, anche un po' di pastura minuta a base di pesce azzurro per simulare la scia di risulta lasciata dalle reti delle paranze che, come abbiamo visto, sono spesso seguite dai tonni. Un altro metodo di pasturazione iniziale prescinde dai giri concentrici e comporta una semplice "strisciata" di alcune centinaia di metri; ciò fatto, occorre prendere una decisione: ancorarsi o lasciarsi andare in deriva. Anche su questo punto i pareri sono difformi: in alcune zone è preferito il primo sistema, in altre il secondo. A mio modesto avviso il criterio informatore dovrebbe essere quello di pescare a fermo quando la forte corrente allontana rapidamente la pastura in una direzione diversa da quella di spostamento della barca non ancorata e di pescare in deriva in tutti gli altri casi. Si tratta comunque di scelte soggettive determinate da convinzioni fondate su esperienze locali o personali. Se l'opzione sarà quella dell'ancora occorrerà legare la cima ad un ben visibile segnale galleggiante da gettare prontamente in acqua al momento dello strike e a ritrovarlo dopo il combattimento; per ulteriore sicurezza sarà bene annotarsi il punto loran o GPS.

Una volta presa la decisione (deriva sì, deriva no) la prima operazione da fare è quella di mettere in pesca le lenze. Si può pescare con una, con due o anche con tre canne (alcuni arrivano addirittura a quattro!) filate a distanze ed a profondità diverse. La scelta del numero degli attrezzi da impiegare dipende soprattutto dal numero e dalla bravura delle persone presenti a bordo. L'equipaggio ideale è

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composto da quattro elementi: lo skipper, l'angler, il mate (colui che si incarica del raffiaggio) e una quarta persona buona a tout faire. Con tre canne in pesca un assetto abbastanza abituale è il seguente:

una lenza sorretta da un palloncino a 40 metri dalla barca e affondata di altri 40 metri mediante un piombino a perdere (ossia legato con un sottilissimo spezzone di cotone o di elastico destinato a staccarsi per la veemenza della prima fuga);

una lenza, sostenuta sempre da un palloncino, a 20-25 metri dalla barca e affondata di 15 metri;

una lenza, senza piombo e senza galleggiante, a 10-15 metri alla barca.

Quello appena fatto è un semplice esempio e quindi le varianti possono essere moltissime. Se si tenta la sorte con più di una lenza bisogna fare in modo che le esche siano posizionate quanto più è possibile distanti l'una dall'altra; a tale effetto può essere vantaggioso servirsi degli eventuali outriggers. Ricordiamoci sempre di assicurare le canne in pesca allo scafo con robuste sagole e altrettanto robusti moschettoni. Le esche potranno essere costituite da sgombri, boghe, sugarelli, ecc. ovvero semplicemente, come avviene quasi sempre, delle sarde del brumeggio. Queste ultime, in numero di due o tre, saranno inserite nell'amo o per la testa, o per la pancia, a croce o a ciuffo, ma mai per la coda. Il ventre delle sarde dovrà possibilmente essere rivolto verso l'alto per simulare la posizione che assumono i pescetti di richiamo.

Le frizioni dei mulinelli andranno tarate su una potenza pari a circa un quarto di quella della lenza madre. Durante la

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"cala" delle esche le frizioni stesse saranno momentaneamente regolate su valori più bassi ma mai disinserite; ciò in quanto può accadere che, proprio durante questa operazione, il tonno abbocchi e parta per la tangente. Attenzione perciò a filare la lenza senza mai farla avvolgere intorno alle mani o alle dita. Naturalmente tutte queste operazioni preliminari saranno precedute e seguite da un costante brumeggio. Si getta in acqua una sarda e, appena essa comincia a scomparire dalla nostra visuale, se ne getta un'altra e così via di seguito; ogni tanto conviene schiacciare con il pollice la vescica natatoria (che si trova subito dietro la testa) per aumentare il coefficiente di affondamento; del pari, sempre ogni tanto, potrà essere utile alternare il lancio della sarda intera con il lancio della sarda tagliata a tocchetti (3 pezzi per ogni esemplare). Alcuni usano appesantire la scia di richiamo ricorrendo ad infusioni di sabbia ovvero alleggerirla mediante iniezioni d'aria praticate con una siringa: il che non semplifica certamente le cose.

Il combattimentoQuando e se la cicala del mulinello comincerà a deliziarci con il suo canto elettrizzante:

lo skipper avvierà i motori lasciandoli in folle;

l'altro o gli altri membri dell'equipaggio toglieranno di mezzo le lenze non impegnate e butteranno a mare l'eventuale boa di ormeggio;

l'angler indosserà il giubbotto e porterà al seggiolino la canna baciata dalla fortuna; non dovrà in alcun caso contrastare la fuga del tonno; anzi se questa è assai lunga dovrà cercare di capire, attraverso la trazione cui è sottoposta la canna, se è o meno il caso di alleggerire il tiro che, con lo svuotarsi del mulinello e con la

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conseguente diminuzione della forza di leva, potrebbe risultare eccessivo.

Durante la fuga iniziale, che di solito è la più violenta e prolungata, lo skipper farà muovere la barca verso la direzione presa dal pesce e l'angler recupererà rapidamente filo. Nel corso delle ulteriori fughe che, sebbene abitualmente più brevi non mancheranno mai, il comportamento dell'equipaggio sarà identico a quello appena descritto a proposito della fuga iniziale. Una volta terminate o attenuatesi queste sfuriate la barca dovrà viaggiare parallelamente al tonno che l'angler cercherà di sbilanciare strattonandolo per rendergli più faticoso ed innaturale l'assetto di navigazione. Se il tonno fa forza limitarsi a fargli prendere, non certo agevolmente, tutto il filo che vuole; se il tonno dà cenni di cedimento recuperare velocemente. Può anche darsi che il pesce muti improvvisamente la sua rotta anche di oltre 90°; è questo uno dei momenti più pericolosi in quanto, data la quantità di filo a mare, l'angler non riuscirà ad avvertire con immediatezza la variazione e la lenza resterà in bando per diversi secondi. Generalmente, a un certo punto, il tonno scenderà di quota e comincerà a fare dei giri concentrici giacché il movimento gli è indispensabile per ossigenarsi; e, anche in questo caso, una serie dosata di strattonate, potrà servire a rendergli le cose meno facili e, qualche volta, a costringerlo a riassommare e, addirittura, a farlo avvicinare a portata di raffio. Però, secondo il calcolo delle probabilità, l'ulteriore svolgimento della vicenda ci troverà col pesce "inchiodato" molto a fondo, esausto e a picco sotto la barca; in tal caso, per arrivare ad una conclusione non ci resterà che ricorrere a pompaggio continuato e senza tregua: si solleva di forza e al massimo il vettino della canna e lo si riabbassa di volata riavvolgendo contestualmente filo in bobina; nei primi tempi sarà un po' difficile coordinare questi

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movimenti ma, dopo un certo rodaggio, tutto diverrà più semplice. Quando il tonno sarà vicino alla barca (15-20 metri), stringere la frizione senza però mai giungere al massimo. In questa fase se il pesce è ancora vivo e vitale potrà riuscire, nonostante le manovre dell'angler, a portarsi sotto lo scafo ove le insidie della carena e soprattutto dei timoni e delle eliche incombono sulla integrità del filo; in siffatta ipotesi l'angler dovrà allentare il freno in modo che il pesce possa allontanarsi; dopodiché l'operazione finale di avvicinamento dovrà essere ripetuta. La situazione migliore per il raffiaggio è quella con il tonno in superficie o quasi in posizione parallela alla fiancata della barca. Il raffio dovrà penetrare possibilmente nella parte addominale prossima alla testa; se la situazione lo richiederà sarà opportuno mettere a segno anche un secondo raffio. Potrà accadere qualche volta che l'avvicinamento del pesce (specie se di dimensioni extra ed ancora in possesso di sufficienti energie) si riveli difficoltoso e/o aleatorio; sarà allora il caso di agganciarlo con il raffio volante la cui cima dovrà essere mantenuta continuamente in massima tensione. Per l'imbarco - dopo avere passato una cima con nodo scorsoio intorno alla radice della coda e, se possibile, un'altra cima attraverso le branchie - dovremo fare un confronto fra le dimensioni del tonno e le energie dell'equipaggio; a seconda dei casi il pesce potrà essere salpato di forza, ovvero avvalendosi del bigo, ovvero ancora utilizzando l'apposito sportellone poppiero. Soluzione estrema di ripiego: pesce legato di traverso sulla plancetta o lungo la fiancata della barca.

Succede, neanche tanto di rado, che il tonno, seguendo la scia della pastura giunga nelle immediate adiacenze della barca e si mangi meticolosamente tutte le sarde che vede tranne quelle innescate che noi, avvicinando una lenza, gli presenteremo a portata di bocca augurandogli fervidamente

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buon appetito. Certe volte non c'è niente da fare: il pesce si è laureato a Oxford magna cum laude e continuerà imperterrito a girarci intorno goliardicamente soddisfatto per la nostra ingenuità. Ma qualche tentativo lo potremo pur fare:

portiamo l'esca a galla e facciamola ballonzolare in superficie con ripetute parziali immersioni ed emersioni;

sostituiamo l'esca mutandone la posizione di innesco;

gettiamo l'esca a mare contemporaneamente e nel bel mezzo di una buona manciata di sarde da brumeggio;

sostituiamo il terminale montandone uno di colore e/o di materiale diverso.

Ipotesi opposta (non frequente ma possibile) a quella or ora descritta è la seguente: due tonni fanno partire contemporaneamente o quasi due canne. Regola tassativa inderogabile: tagliare immediatamente una delle due lenze.

MISTER MARE: IL TONNO

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Quando rimane allamato ed inizia la sua folle corsa, è come una locomotiva impazzita, inarrestabile, che con la sua forza travolge qualsiasi cosa ostacoli il suo moto; stiamo parlando di lui, del possente e mitico tonno rosso (Thunnus thinnus). E' dotato di straordinarie capacità natatorie, grazie al suo corpo allungato, fusiforme, alle sue particolari pinne retrattili e alla sua potenza muscolare: nei momenti di fuga, di maggiore impeto, sembra che possa raggiungere fino a 110

chilometri orari! Non c'è che dire, è una macchina idrodinamicamente perfetta.

Potremmo definire il tonno come un vigoroso "muscolo", perfettamente ossigenato da un notevole cuore e da una grande circolazione sanguigna. Si nutre in genere

di sgombri e di cupleidi (sardine e acciughe) di cui è voracissimo. Gli esemplari "giganti" raggiungono il peso di oltre 600 chilogrammi. Dopo un breve accenno alle caratteristiche morfologiche del tonno, analizziamo adesso cosa può offrire questo pesce dal punto di vista della sua cattura, nel pieno rispetto dell'etica sportiva. Viene insidiato con le tecniche di pesca a traina e, in modo particolare, a drifting. Quest'ultima disciplina si sta rivelando un grande successo ed è seguitissima dai pescasportivi per il buon numero di prede che sa fornire ad ogni stagione. Parleremo quindi della tecnica di drifting al tonno, che sostanzialmente significa: pescare in deriva ... pasturando.

Le barche occorrentiInnanzitutto, per quanto riguarda le barche, saranno necessarie quelle dotate di prestazioni velocistiche

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abbastanza significative. Questo perché, qualora lo si richieda, dovremo dirigerci in zone distanti svariate miglia l'una dall'altra, nel più breve tempo possibile, verso quelle poste cosiddette "alternative" dove si presume vi siano concentrazioni e branchi di tonni. Occorre disporre di barche che, oltre alla dote della velocità, abbiano pozzetti ampi, agevoli, privi di intoppi per poter lavorare al meglio le attrezzature come i raffi, le cime e naturalmente la grande preda. Inoltre, in determinate condizioni, dovremo avere l'opportunità di girare bene a 180° con la poltrona da combattimento nella zona di poppa, oppure spaziare parimenti con la sedia situata a prora, puntellandoci bene con i piedi sul tubolare della battagliola o sul trincarino del mascone. Le murate dovranno essere a misura ottimale: all'altezza delle ginocchia nei giardinetti e, possibilmente, disporre di uno sportello nello specchio di poppa per facilitare l'imbarco del tonno. Infine, la plancetta di poppa si rivela utilissima sia per sostenere che per trasportare la preda.

ro, occorreranno i fisherman con la effe maiuscola, attrezzati di tutto punto, che si rivelano imbarcazioni ideali per un equipaggio numeroso che deve operare nella zona di combattimento situata a poppa, o quei piccoli fisherman squisitamente walkaround, estremamente agevoli e funzionali. In alternativa, accettando un buon compromesso, andranno

egregiamente bene anche quelle pilotine veloci dotate di performance più consone al diporto che alla pesca.

Le attrezzature con i relativi finali

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Come attrezzature, ce ne vorranno sostanzialmente di robuste e proporzionate, a cominciare dai raffi, che dovranno essere di due tipi: fisso e "volante". La cintura da combattimento, il cosiddetto "renale", gioca decisamente il suo ruolo: è essenziale regolarla preventivamente in vita, per evitare sovraccarichi di stress durante il combattimento. Un pugnale ben affilato, pronto a tagliare la lenza qualora capiti un eventuale imprevisto, sarà fissato alla sedia da combattimento oppure sistemato a stretta portata di mano. Anche le cime sono molto importanti: servono per imbracare, caricare a bordo, o per assicurare il tonno alla plancetta esterna. Infine, un paio di scarpe con le, suole di gomma tipo tennis assicureranno la funzione antisdrucciolo durante il combattimento. Per quanto riguarda le canne, esse vengono classificate con un parametro di valori espressi in libbraggio; per la loro scelta opteremo come segue: 130 lbs (libbre), 80 lbs, 50 lbs, e 30 lbs. Le prime sono troppo rigide e pesanti e si possono usare solo in casi particolari. Le 80 lbs, quelle di tipo ordinario, sono le più indicate e offrono un'elevata sicurezza durante il combattimento. Le 50 lbs vengono usate dagli angler più esperti per avere più soddisfazione nella cattura; durante il combattimento con il tonno raggiungono arcoflessioni notevolissime. Occorrono elementi di qualità eccellente per assicurare la cattura. Le ultime, cioè le 30 lbs, sono per gli angler più temerari: vengono usate in genere nei tentativi di record.

Riguardo ai mulinelli, essi vengono in genere abbinati con le canne nel modo seguente. Mulinello 12/0 (130 lbs) con canna da 80 lbs: maggiore disponibilità di nylon (lenza) per "lavorare" la preda, ma è ingombrante per la

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sua mole e per la sua pesantezza. Mulinello 9/0 (80 lbs) con canna da 80 lbs: buon abbinamento, ma la canna è un po' voluminosa. Mulinello 9/0 con canna da 50 lbs: ottimo abbinamento per l'angler più impegnato. Sono da preferirsi i mulinelli con freno a leva, in quanto più robusti, più rapidi ed agevoli nella regolazione della frizione e nell'uso in generale.

Per la scelta del nylon che assolverà la funzione della lenza madre, il mercato mette a disposizione dell'utenza una moltitudine di monofili già imbobinati di varie marche, i cui valori sono espressi anch'essi in libbre. Su un mulinello da 12/0, avvolgeremo un monofilo da 130 oppure da 80 lbs. Dopo aver avvolto il monofilo alla bobina del mulinello, realizzeremo la doppiatura di lenza. Questa viene eseguita doppiando il capo libero per circa nove metri (secondo norme IGFA) che fermeremo col nodo bimini twist. Al capo della doppiatura, tramite l'offshore swivel knot, fisseremo una girella tipo Sampo da 150/250 lbs alla quale fisseremo secondariamente il finale. Per la costituzione di quest'ultimo, prenderemo uno spezzone di monofilo lungo circa due metri, variabile nella sua sezione e da scegliere a nostra discrezione: mm 1,40/1,80. Per completare il finale, legheremo cal capo libero l'amo che sarà di tipo Mustad o Marinex del 9/0 - 10/0, dopodiché fisseremo all'altra estremità un piccolo segmento di scoubidou, oppure una piccola redancia da interporre alla girella-moschettone della lenza madre, per evitare lo shock da trazione durante il combattimento.

Le esche e la pasturaPer la scelta delle esche ci orienteremo verso i cupleidi come le sarde o le alose, chiamate anche cheppie o salacche. Proprio queste ultime si rivelano migliori, sia

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per le dimensioni che sono maggiori di quelle della sarda, che per la robustezza, giacché resistono per lunghi periodi all'amo. Entrambe le specie vengono innescate trapuntandole dalla cavità anale, con il dorso girato verso il basso. La pastura per attirare il tonno è rappresentata dalle sarde, tenute in casse o in un unico contenitore. Generalmente vengono impiegate 3-4 casse per ogni battuta di pesca, che si deve protrarre per buona parte della giornata. C'è anche chi "abbonda" con 8-10 casse!

I luoghi di pesca, i periodi e i momenti miglioriE' difficile identificare con precisione i luoghi di pesca del tonno, in quanto essi sono soggetti a mutamenti a causa delle variazioni continue del clima, delle correnti e delle condizioni meteorologiche. Di solito, nel Mare Tirreno, in questi ultimi anni si è rivelata particolarmente redditizia la fascia di mare che segue la batimetria che va dai 90 a circa 130 metri di profondità. Altri luoghi di pesca interessanti sono quelli situati al largo, a svariate miglia di distanza dalle foci dei fiumi, dove, grazie ai particolari flussi di corrente ricchi di organismi planctonici, si concentrano grandi branchi di sgombri, alici, sarde, e naturalmente ... tonni! Riguardo a quest'ultima considerazione, due casi tipici di sicuro effetto eclatante si stanno verificando davanti al delta del Po e davanti alla foce dell'Arno, chiamata "zona d'Olivo" dal nome del suo scopritore.

I periodi migliori per la pesca al tonno sono certamente quelli estivi, seguiti dalla stagione autunnale e primaverile. Comunque, a prescindere da questo, "stranamente" nell'autunno-inverno 1992-93 al largo di Porto S. Giorgio, nelle Marche, ci sono state numerosissime catture di tonni anche di taglia notevole.

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I momenti migliori sono generalmente quelli del primo mattino, allorquando si alza il sole, ma anche per questi esiste una variabile regolata dall'influsso degli astri (luna ecc.) e dalle correnti.

Come si svolge l'azione di pescaLocalizzata l'ipotetica zona sopra la quale dovremo iniziare a pescare, si compie un ampio giro o più giri concentrici di qualche centinaio di metri, col motore al minimo, gettando alcune manciate di sarde ad intervalli regolari per simulare l'effetto del peschereccio quando recupera e sistema il pesce azzurro. Così facendo, il tonno viene tratto in inganno proprio dalle sue abitudini alimentari e si avvicina alla nostra barca.

A questo punto inizia l'azione di pesca vera e propria. Fissiamo il terminale alla girella-moschettone della lenza madre della canna, inneschiamo l'amo e caliamo in corrente la nostra lenza inserendo un galleggiante sulla madre per sospendere l'esca all'altezza desiderata (20-25 metri). Il galleggiante è in genere rappresentato da un palloncino colorato tipo "bombe d'acqua". Eseguita questa operazione, fissiamo la canna ad un portacanne ad incasso, tarando la leva della frizione a circa 7-8 chilogrammi. Lo strike (leva di fermo) va fissato a circa 11-13 chilogrammi. Stessa operazione per l'altra canna o canne che caleremo, avendo l'accortezza di fissare il palloncino ad una distanza superiore dall'esca per farla affondare sui 40-50 metri. Se si rileva un po' di corrente è sufficiente aggiungere alla girella un piccolo piombo da 30-60 grammi. Sistemate le canne nei loro alloggi, aspetteremo la tanto agognata preda con santa pazienza, ingannando l'attesa pasturando: si getta in acqua a monte di corrente una sarda ogni 30 secondi circa. Questa operazione non è granché gradita dai

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componenti del team, ed è bene eseguirla a turno. Durante l'azione di pesca, la barca deriverà in corrente generando una scia costante di sarde. C'è chi preferisce ancorarsi con un grosso gavitello. Questa condizione è preferibile quando si pesca in presenza di una forte corrente e quando si presume che nella zona vi sia una discreta concentrazione di tonni. Quando il tonno abbocca, è come se una furia disumana si abbattesse sulla lenza: volano via alcune centinaia di metri di monofili e l'angler avrà subito l'accortezza di disporre la leva della frizione nella posizione dello strike. A questo punto la canna si flette repentinamente ed il tonno si dovrebbe allamare. Se questa condizione è assicurata, inizia il combattimento. Colui il quale dovrà combattere con il tonno (angler), dovrà indossare la cintura o il giubbotto da combattimento, infilarsi le scarpe, togliere la canna dalla sede con l'aiuto di un amico e posizionarla nel bicchierino della sedia.

La vera lotta inizia allorquando il tonno si ferma, momento nel quale deve iniziare il "pompaggio" della canna da parte dell'angler. E' necessario cedere lenza quando il tonno la richiede e pompare velocemente quando il tonno si ferma per evitare che lo stesso possa ossigenarsi. Durante il combattimento, lo skipper avrà il compito di mantenere, con opportune manovre, l'imbarcazione costantemente nella posizione corretta, ossia

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in modo tale da non fare allontanare troppo la lenza e anche di non farla andare sotto bordo nelle vicinanze dell'elica. L'esperienza e l'affiatamento dell'equipaggio sono determinanti per un esito positivo. E' necessaria anche una persona che aiuti l'angler a girare la poltrona e a fornirgli quell'assistenza necessaria per agevolare e completare l'intera operazione, compresi la raffiatura ed il recupero del tonno.

2. IL MULINELLO

Per la traina e per il drifting il mulinello ideale è quello a tamburo rotante, così chiamato perché ha la caratteristica di avvolgere o svolgere la lenza su una apposita struttura tubolare che ruota su se stessa. Questo cilindro - per effetto di una serie di congegni in metallo, in cuoio o in ferodo - ha la proprietà di girare sia in folle sia opponendo, mediante la frizione o freno, una resistenza che, partendo da un valore infinitesimale, può essere gradualmente aumentata fino al "blocco" assoluto. Il regolaggio di tale resistenza si ottiene operando con le dita su un comando esterno a leva o a stella. Il primo è più facilmente manovrabile anche da chi è alle prime armi; in particolare perché la leva può essere preordinata su una determinata resistenza rapportata alla potenza dell'attrezzatura considerata nel suo complesso, resistenza che può essere superata solo attraverso una semplice ma specifica operazione manuale che viene perciò compiuta in piena consapevolezza quale che sia lo stato emozionale del soggetto.

Ma la cosa veramente essenziale in fatto di mulinelli è che l'attrezzo sia costruito con materiali e tecniche di primissimo ordine, tali cioè da far sì che, all'abboccata del pesce, la lenza, vincendo subito la forza di inerzia, parta immediatamente allorché è raggiunto il libbraggio impostato;

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e che, in seguito, la resistenza sia prontamente e dolcemente regolabile a seconda della trazione esercitata dal nostro antagonista pinnuto. Ogni mulinello, dal più piccolo al più grande, è fornito di un avvisatore acustico, la ben nota "cicala", che va attivato solo per adempiere al suo compito specifico: segnalarci l'aggancio del pesce. In ogni altra fase, compresa quella inerente al recupero, l'avvisatore dovrà essere disinserito, pena il verificarsi del suo definitivo mutismo.

Le potenze dei mulinelli sono espresse con una numerazione seguita dallo 0: 2,5/0; 4/0; 6/0; 9/0; 12/0; 14/0. Naturalmente la capienza del mulinello varia in rapporto alle dimensioni sempre correlate alla potenza; ad esempio: 500 yard di filo da 30 libbre per il 4/0; 675 yard di filo da 50 libbre per il 9/0; 800 yard di filo da 80 libbre per il 12/0.

Un particolare non trascurabile è rappresentato dal rapporto di recupero ossia dal numero di giri del tamburo corrispondente ad ogni singolo giro della

manovella. Il rapporto generalmente migliore è quello da 1 a 3, ma con prede di grandissima stazza, tale rapporto può richiedere troppa fatica da parte dell'angler nella fase di pompaggio; per ovviare a questo impasse potremo adoperare modelli con rapporti minori (es. da 1 a 2, da 1 a 1,5) ovvero, meglio ancora, a doppio rapporto ossia dotati di un cambio come le automobili. E' infine da ricordare che l'effetto leva sarà tanto più favorevole quanto maggiore sarà la quantità di lenza immagazzinata nel mulinello.

3. LA LENZA

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La lenza da traina o da drifting è generalmente composta da tre elementi. Partendo dal mulinello avremo:

1. il cuscino di lenza costituito da filo robusto, destinato ad aumentare il diametro del tamburo (fino a 1/3 circa) e quindi la correlativa forza di leva; nonché ad offrirci una riserva della lunghezza complessiva da utilizzare in caso di necessità;

2. la madrelenza che rappresenta la maggior parte del complesso;

3. il terminale, lungo dai 3 ai 15 metri, che è la parte finale della lenza ed alla cui estremità va collocata l'esca artificiale o naturale.

Sono ora necessarie alcune puntualizzazioni. Secondo i regolamenti dell'IGFA (l'ente internazionale preposto all'omologazione dei records) l'unico elemento che conta è il libbraggio della madrelenza. In parole povere, secondo detti regolamenti IGFA - che, è bene dirlo, sono stati elaborati tenendo prevalentemente conto della pesca alturiera nelle acque oceaniche - il terminale può essere di qualunque materiale e spessore, assai più resistente della madrelenza. Ma noi pescheremo nelle nostre povere acque e, come abbiamo visto, soprattutto sottocosta: cioè in condizioni tali che, per i pesci che avremo a disposizione, il filo del terminale dovrà esser di solito molto più sottile di quello della madrelenza. Solo quando ci dedicheremo ai giganti, quasi sempre in drifting, il rapporto dovrà essere invertito.

I materiali con i quali vengono costruite le lenze impiegate nella pesca sportiva sono:

il nylon in monofilo utilizzabile per il cuscino e per la madre;

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la treccia di dacron con anima piombata, moderatamente autoaffondante, che può essere impiegata per tutta la lenza madre o per una parte di essa;

la lega di metalli pesanti in monofilo (monel e simili) che serve per la madrelenza quando si vogliono raggiungere profondità considerevoli senza piombi o affondatori di altro tipo;

l'acciaio in monofilo (piano wire) che serve per i terminali quando si tratta di affrontare pesci che - con il rostro, o con i denti, o con altre parti anatomiche - potrebbero facilmente "rompere";

la treccia metallica a più capi, scoperta o rivestita di guaina, che ha il suo campo di impiego specifico nei confronti degli squali;

la treccia metallica con guaina termosaldante che è prevalentemente impiegata in piccoli spezzoni per il montaggio di esche naturali soprattutto nella traina a pesci serra e a dentici;

le fibre di polietilene con cui vengono costruiti fili, da poco tempo reperibili sul mercato, che hanno lo stesso campo di impiego del dacron rispetto al quale però presentano, a parità di spessore, una resistenza doppia e un costo triplo; sono in corso sperimentazioni volte a testarne la validità in funzione anche di terminali.

Tutti questi fili hanno diametri e resistenze (carichi di rottura) diversi indicati in centesimi di millimetro e/o in libbre nelle rispettive confezioni contenitrici.

Nella scelta dei fili entrano in gioco numerosi fattori: morbidezza, resistenza all'usura, elasticità, visibilità in acqua, costo e chi più ne ha più ne metta. Fatte salve alcune

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soluzioni oggettivamente inderogabili, tali scelte sono in genere determinate da opinioni zonali, o addirittura personali, spesso profondamente radicate ed aprioristiche. In tale situazione, per non restare nel vago, posso solo riferire in sintesi quello che penso io dopo un trentennio di pesca sportiva intensamente vissuta in Mediterraneo; libero poi ciascuno di fare a modo suo ove ritenga, senza dubbio a ragione, di averne motivo.

Cuscino: fatta eccezione per i casi in cui la madre è in monel, può anche mancare; la resistenza non deve mai essere inferiore a quella della lenza madre. Madrelenza: è preferibile il dacron per la maggior durata, per la minor memoria meccanica, per la elasticità non eccessiva; non è peraltro da escludere, specie nella traina pelagica, il nylon che consente di pescare "a lenza unica", ossia senza cuscino e senza terminale; può essere importante che il nylon sia vivamente colorato in modo che lo skipper sia in grado di seguire senza troppe incertezze le evoluzioni del pesce allamato; una madrelenza in monel ci consente di far navigare le nostre esche trainate a profondità ragguardevoli, anche oltre i 30 metri; molto meno affondante è la treccia di dacron con anima piombata che ha il suo settore di impiego preferenziale nella traina su fondali compresi fra i 5 e i 10 metri.

Terminale: quasi sempre vanno bene i terminali in nylon; solo per gli squali è tassativo l'impiego della treccia metallica o, quantomeno, del monofilo d'acciaio; per quanto attiene al colore del nylon, nella media sono vincenti il bianco trasparente e il celeste acquamarina; sono sempre da escludere colorazioni troppo vivaci.4. EQUILIBRATURA DEI COMPONENTI

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Secondo gli usi e i costumi che ci provengono da oltre oceano ed anche secondo considerazioni logiche e razionali, la potenza della canna, del mulinello e della madrelenza debbono avere una certa tal

quale corrispondenza. Però, applicando alla lettera i più rigorosi criteri americani, constatiamo che una canna da 12 libbre dovrebbe esser servita da un minuscolo mulinello del 2,5/0 nel quale andrebbe avvolta una madrelenza dello 0,30 se in nylon o da 12 libbre se in dacron. Orbene, chi nei nostri mari pratica seriamente la traina avvertirà subito che in questo schema "classico" c'è qualcosa che zoppica: ossia che il mulinello e la lenza madre sono decisamente sottomisura rispetto alla canna.

Ne consegue che, se non vorremo avere la certezza quasi matematica di perdere quei pochi pesci decenti che riusciremo ad agganciare, dovremo addivenire a qualche "arrangiamento". Così, restando nel- l'ambito dell'esempio appena fatto, armeremo la canna da 12 libbre con un mulinello del 4/0 e con una madrelenza in nylon dello 0,50 o in dacron da 30 libbre. Ad ogni buon conto, qui di seguito indichiamo alcuni rapporti adatti alle acque di casa nostra.

Del tipo, della resistenza e della lunghezza dei terminali ci occuperemo in seguito con riferimento alle singole prede; ma, forse, qualche anticipazione come esempio in materia di traina con fili di nylon non guasta: spigola 0,30/0,40 - dentice 0,40/0,60-ricciola 0,60/0,80 - serra grande 0,40/0,45 - aguglia e occhiata 0,15/0,20 - sgombro e sugarello 0,25/0,30 - pelagici in altura (giganti esclusi) 0,50/0,90. Lunghezza tipo, per non sbagliare: 10 metri.

5. LA GIRELLA E IL MOSCHETTONE

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La girella ha lo scopo fondamentale di evitare la torsione dei vari elementi che compongono la lenza, primo fra tutti il terminale. Quasi sempre è accoppiata ad un moschettone per l'aggancio al terminale ovvero all'esca. Anche

la resistenza della girella è generalmente espressa in libbre: da 20 a 500. In traina è di norma opportuno fare a meno del moschettone che è sempre più voluminoso e più debole della girella. Sono di gran lunga più funzionali e più resistenti (circa il doppio) i modelli in acciaio inox con cuscinetto a sfere.

Cercheremo di evitare l'uso delle girelle quando non sono indispensabili, ossia quando pescheremo con piume semplici o a testa solida o con altri artificiali che non ruotano su loro stessi come determinati pesci finti tipo rapala.

Le girelle non debbono mai avere una potenza inferiore a quella della parte più debole della lenza. Se è appena possibile la eventuale girella di congiunzione fra lenza madre e terminale deve essere di dimensioni ridotte, tali cioè da consentirne l'agevole scorrimento attraverso le carrucole o gli anelli della canna nel momento cruciale in cui la preda oramai prossima alla barca spende tutte le sue energie residue per tentare di liberarsi. In traina lenta con esca naturale la girella serve sempre ma, fatte salve opzioni personali diverse, va piazzata a contatto o quasi a contatto con l'esca naturale medesima. Un caso particolare è quello del drifting, che esamineremo a suo tempo nei dettagli: con questa tecnica la girella è praticamente obbligatoria per congiungere la doppiatura con il terminale.6. L'AMOIn traina gli ami occorrono soltanto per montare le piume e le esche naturali; in drifting solo per le seconde; sia nel primo

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che nel secondo caso sono preferibili gli ami ad occhiello. Le fogge di questi attrezzi sono numerosissime: a gambo corto, a gambo lungo, a paletta, a occhiello, a curva larga media o stretta, a punta dritta o storta, a sezione circolare o quadrangolare e potremmo continuare a lungo. Le grandezze non sono sempre evidenziate dalle case secondo criteri univoci. Comunque la scala più conosciuta parte dal numero 14 e, salendo, arriva fino al numero 1; dopodiché, sempre salendo, riparte dal numero 1 ed arriva al numero 11 seguiti però dallo O. C'è poi da aggiungere che ogni specie ittica e, addirittura, ogni taglia di quella specie, può richiedere ami di dimensione e di forma diverse correlati all'ampiezza ed alla durezza dell'apparato boccale, nonché a vari altri fattori quali le modalità di aggressione e la velocità di traina. In questa situazione abbastanza confusa posso solo dire, generalizzando, che personalmente adopero ami ad occhiello, in acciaio, a gambo corto, storti ed a punta lievemente rientrante; e che, per quanto attiene alle dimensioni, mi attengo di massima ai seguenti criteri:

per gli ami applicati alle piume l'apertura (distanza fra il gambo e la punta) è pari a 1/8 circa della lunghezza complessiva della piuma;

per gli ami applicati alle esche naturali la dimensione tipo è quella sufficiente a trafiggere dal basso verso l'alto l'apparato boccale (mandibola e mascella, amo di testa) e penetrare a mezza altezza nella parte posteriore del corpo fuoriuscendone, ma non troppo, in basso con la punta rivolta in avanti (amo di coda).

Sono in commercio ami destinati specificamente a determinati predatori (tonni e squali); ma in diverse zone le scelte sono influenzate dalle tradizioni locali.

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7. I GUANTI, LE CINTURE, LE BRETELLEI guanti servono principalmente nella pesca al molto grosso quando, per via della grande

girella, il recupero integrale della lenza non può essere effettuato con il mulinello; ma possono assolvere ad altre utili funzioni quale è quella di sorreggere il pesce in fase di slamaggio senza farsi male.

Le cinture con bicchierino servono per combattere e recuperare prede di media taglia operando con la forza delle braccia. Se ad esse aggiungeremo le bretelle addominali e/o renali, sempre agganciate a due appositi occhielli ubicati sulle opposte faccie esterne del mulinello, potremo avvalerci, oltre che della forza delle braccia, anche di quella delle spalle, dell'addome e dei reni. Le bretelle, che spesso formano un corpo unico con cinture di varia foggia, sono sempre indispensabili nell'azione di pompaggio, quando l'angler lavora sulla poltrona, seggiola o seggiolino. E, già che ci siamo, diciamo ora incidentalmente due parole su questo benedetto pompaggio: si alza al massimo la punta della canna e quindi, nel riabbassarla, si recupera lenza con il mulinello. Di regola, ricorreremo al pompaggio solo quando il pesce non cederà per effetto della semplice rotazione della manovella; il motivo è semplice: ogni singola strattonata tende ad allargare il foro nel quale è conficcato l'amo o l'ancoretta.

Il coppo e i raffiIl coppo deve avere una bocca molto ampia (almeno 50 cm), una rete a maglie abbastanza larghe e un manico assai lungo. Il suo impiego standard è quello su prede che non superano i 5-6 chili. Oltre questo limite si rende indispensabile l'uso di raffi, i quali si distinguono in due tipi: il

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fisso e il volante. Quest'ultimo è composto da un'asta e dal gancio il quale, una volta conficcatosi nel corpo del pesce, si stacca dall'asta e resta assicurato alla barca mediante una robusta cima. Specialmente quando si pesca in drifting è bene disporre di almeno due buoni raffi.8. GLI AFFONDATORI DI LENZA

L'argomento affondatori è importantissimo per molti tipi di traina costiera. Per portare le esche verso il fondo potremo avvalerci di diverse soluzioni.

1. il piombo o i piombi amovibili fusiformi e a spirale;

2. il fatoom master a funzionamento manuale o meccanico; si tratta di un apparecchio destinato a calare pesanti corpi metallici sferiformi (da 3 a 7 kg) ai quali va agganciata una certa quantità di lenza che, all'abboccata del pesce, si libera e consente di effettuare il recupero senza pesi interposti;

3. i fili autoaffondanti quali il dacron con anima piombata, che scende poco, e il monel che scende assai di più;

4. gli stim,, che sono apparecchi che scendono in basso per la loro forma (effetto idrodinamico); gli stim viaggiano ad altezza costante correlata alla velocità della barca, fanno flettere le canne per la forte trazione esercitata e non raggiungono profondità elevate;

5. il piombo guardiano (di forma piramidale o conica e di peso variabile dai 4 agli 8 etti) che è applicato, mediante un sottile spezzone di filo lungo un paio di

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metri, sulla lenza madre ad almeno 20-30 metri dall'esca.

Gli affondatori sub a), sub c) e sub d) sono consigliabili per le esche artificiali; mentre tutti, esclusi quelli sub d), sono utilizzabili con le esche naturali. Ammennicoli variPer completare l'attrezzatura da pesca di bordo serviranno, oltre alle esche - di cui ci occuperemo in seguito - alcune altre cosette e cioè:

manicotti metallici di diverso calibro per bloccare i nodi su fili metallici e, se di grande spessore, anche di nylon;

pinze adatte a comprimere, schiacciandoli, i manicotti;

forbici, coltello, aghi, filo (meglio quello interdentale) per "operazioni chirurgiche" necessarie alla preparazione delle esche naturali morte; ci sarebbe il deboner (nei nostri mari lo si usa poco o niente) che è un attrezzo studiato per asportare la spina dorsale di alcune di dette esche senza sventrarle;

filo in treccia metallica con guaina termosaldante ottimo per il montaggio di esche naturali vive o morte;

mazzuolo, in legno pesante o in metallo, destinato ad uccidere rapidamente le prede imbarcate evitando la loro lenta agonia.

Canna e mulinello sono i due attrezzi senza i quali non è possibile pescare. Ma ciò non significa che qualsiasi canna o mulinello siano buoni per ogni genere di pesca. Imparare a distinguere in materia di potenza, di tipologia, di rapporti fra i due strumenti, di adattamento alla tecnica prescelta, di dimensione delle prede, risulta di vitale importanza.UN COMPUTER PER LA PESCA DEGLI ANNI 2000

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Anni fa, quando andavo a fare delle battute di pesca con gli amici, la navigazione a vista di tipo costiero, coadiuvata con i vari punti di riferimento a terra, rappresentava la condizione fondamentale ed essenziale per navigare e ritrovare le poste più fruttuose. In effetti era sufficiente raggiungere con una

certa approssimazione il luogo di pesca, far collimare quattro punti a terra, o meglio sei, rappresentati occasionalmente da

pendii, da punti cospicui della costa, da caseggiati irregolari, da tralicci, da ciminiere, per ritrovare il punto magico. Poi, nel tempo, ci venne in aiuto uno strumento prezioso, tutt'ora in auge: l'ecoscandaglio elettronico ad ultrasuoni. Un vero gioiello della tecnologia elettronica navale applicata alla pesca, che ci forniva quel tocco professionale, che in presenza di foschie o di nebbia risultava addirittura un elemento indispensabile per ritrovare quella secca o quel relitto particolarmente pescosi. Nel frattempo le zone di pesca tradizionali costiere venivano

(e vengono tutt'ora) sfruttate in modo spesso sconsiderato dai pescherecci con le reti a strascico, che causavano l'over fishing. Queste condizioni hanno generato nel tempo un'autentica migrazione dei pescatori sportivi, e dei pescatori professionisti dediti alla piccola pesca, dalla costa verso poste situate più al largo e quindi meno sfruttate. Chiaramente chi si spostava a molte miglia di distanza verso il mare aperto doveva far fronte a svariati problemi tra i quali, oltre alla sicurezza della navigazione, anche l'incognita del ritrovamento della posta ricca di pesce.

A tale proposito, ancora una volta la tecnologia elettronica navale veniva e viene tutt'ora in aiuto al pescatore: prima

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con l'introduzione del sistema Loran C, di pari passo con la miniaturizzazione del radar, oggi alla portata di tutti, e poi per ultimo, con il sistema GPS integrato col videoplotter. Quest'ultima soluzione, rappresenta a tutti gli effetti un autentico computer della navigazione, cioè uno strumento dotato di una straordinaria funzion rimaria come lettore di cartografia elettronica e con in aggiiunta un sensore di posizione satellitare GPS incorporato. In sostanza lo strumento evidenzia e particolareggia, all'occorrenza con "zoomate" digitando a nostra richiesta nella tastiera del proprio schermo, tutta una serie di carte nautiche rapportate ad ogni scala di quel determinato settore di mare. Le carte nautiche, numericamente circa quaranta, sono raccolte e contenute all'interno di una microcassetta o cartuccia con memoria allo stasto solido. Questa agisce in perfetta sintonia con un software applicativo modulare che ha il compito di fornire e di coordinare gli imput necessari per ricevere e trasmettere i dati di tutte le funzioni richieste ed integrate col sistema GPS. Quindi, tecnologicamente parlando, potremo disporre di rapidi tracciamenti e successivi cambi di rotta, rotte plurime, punto barca in navigazione, zone estremamente dettagliate verso cui vorremmo arrivare, waypoint in memoria: una miniera di dati, di informazioni e di calcoli precisi estremamente semplificati alla portata di tutti. Il tutto avviene e si evolve su carte nautiche intercambiate a richiesta e continuamente aggiornate sul monitor, sempre costantemente sotto i nostri occhi.

Cartografia elettronica applicata alla pescaNaturalmente il campo d'impiego della cartografia elettronica computerizzata non si ferma solamente all'uso pratico della navigazione, ma, grazie al sistema GPS, anche nel campo della pesca. Questa convinzione è maturata allorquando l'estate scorsa, durante un'occasionale gita in barca con amici, avevo già notato e verificato la strabiliante funzionalità

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di questo nuovo sistema operativo, osservando e chiedendo attentamente all'operatore alcune informazioni sulla funzionalità del videoplotter GPS applicato in navigazione. Contattai allora il comandante Vittorio Iardella, uno dei responsabili della C-Map, azienda italiana leader mondiale, indiscussa produttrice, appunto, di questi sistemi operativi. Dopo quel proficuo colloquio, ero sovraccarico di nozioni, ma volevo capire fino in fondo il funzionamento di questo sistema cartografico computerizzato. In sintesi, volevo proprio metterlo in pratica con una battuta di pesca, magari alle cernie di profondità.

L'idea della battuta alle cernie non dispiaceva ad un carissimo amico di Sassari, veterano di questa pesca specifica, che prontamente si metteva a mia completa disposizione per la prova tecnica. E così, in una bella giornata autunnale, con un Pan Navigator MK II Plus, gentilmente fornitomi dalla C-Map, raggiungevo l'amico in Sardegna. I preliminari dei lavori erano solo quelli di consultare attentamente il libretto di istruzioni e di montare lo strumento a bordo, con la relativa connessione dei cavi sulle polarità e la sistemazione temporanea dell'antenna del GPS con un nastro adesivo. Avevamo a disposizione solo una mezza giornata di tempo, a causa dell'approssimarsi di una perturbazione atlantica. La barca, l'elemento coadiuvante della prova, un vecchio cruiser americano, era pronta all'ormeggio nello specchio acqueo del marina di Porto Conte (Alghero). Questa splendida zona si trova esattamente nella parte più interna e ridossata della grande insenatura di Porto Conte, tra Capo Caccia e Punta Giglio. Dunque, tutto era pronto, non restava altro che effettuare con lo strumento alcune prove di carteggio. Dopo

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l'inserimento delle due microcassette, o cartucce, relative al software e alla parte interessata inerente al settore Ovest della Sardegna, attivavamo lo strumento e in base alle istruzioni, muovendo la trackball (mouse), portavamo il cursore sulla rotta da seguire per pianificare il percorso con alcuni waypoint, segnati sulla carta con la semplice digitazione dei tasti Route e 1. Praticamente il waypoint finale, ossia il punto di pesca, doveva trovarsi su un fondale ricco di substrato roccioso e coralligeno a quota dai meno 120 ai meno 150 metri di profondità; raggiungibile con rotta di 270° e distante 7,2 miglia da Capo Caccia, con valori di coordinate di Lat. N 40° 32' 50 e Long. E 07°57' 50. Successivamente mollavamo gli ormeggi e seguivamo fedelmente la rotta, dopo aver opportunamente digitato il tasto Mode e il tasto 1, per commutare lo strumento dalla fase di carteggio a quella di navigazione. A questo punto la nostra imbarcazione, alle varie velocità, era ben rappresentata e visualizzata nella carta elettronica come una crocetta lampeggiante all'interno di un piccolo cerchio, di dimensioni leggermente inferiori a quelle del cursore.

Via via che ci spostavamo seguendo la rotta tracciata verso la posta di pesca, la funzione del Pan aggiornava automaticamente la finestra video con i dettagli di una nuova carta e il punto nave veniva costantemente aggiornato di secondo in secondo da una delle funzioni del GPS, a cui regolarmente seguivano gli altri dati richiesti: velocità stimata in funzione del tempo e della distanza residua espressa in miglia fino al punto di arrivo. Arrivati al punto di pesca quasi a velocità di dislocamento, in quanto il mare stava formandosi, calavamo le nostre lenze dei salpabolentini elettrici Kristal Fishing, e contemporaneamente tenevamo i motori accesi pronti ad innestare le leve del telecomando per poter riprendere la distanza perduta dal punto, a causa del vento e dello scarroccio. Dopo due o tre passaggi sul Mark o

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boa elettronica, i punto ipotetico di pesca segnato e reale sulla carta elettronica, si fletteva una canna: una cernia si era allamata. Dopo il solito rituale del tira e molla con sfrizionamenti vari, un esemplare di una decina di chilogrammi saliva a bordo senza non poche difficoltà. Intanto il mare stava ingrossandosi. Dopo altri passaggi infruttuosi decidevamo di cambiare di nuovo la rotta e di spostarci nelle immediate vicinanze, per fare almeno altre due o tre calate prima di rientrare in porto. Lo strumento era attivato e mostrava chiaramente in modo preciso il nuovo cambio di rotta con tutti i dati relativi al caso. Arrivati al nuovo Mark (X) della seconda posta di pesca, ripetevamo le varie operazioni e dopo il primo passaggio riuscivamo ad allamare una seconda cernia, risultata poi del ragguardevole peso di circa 30 chilogrammi. Sulla rotta del ritorno, tra un'ondata e l'altra, verificavamo costantemente la notevole precisione dei dati forniti dalle varie funzioni dello strumento, variazioni continue dei valori delle coordinate, tutte correlate alle varie finestre video sostituite di volta in volta dalla funzione automatica Pan. Il nostro punto nave, ossia la nostra imbarcazione, si avvicinava sempre più al marina di Porto Conte fino a quando terminava la rotta segnalandoci l'arrivo sul punto di ormeggio. Il tutto veniva ben visualizzato dalla funzione del tasto Zoom In, che commuta la scala diminuendola e quindi mette in evidenza i particolari notevolmente ingranditi. Questo computer non smetteva mai di stupirci.

Giunti all'epilogo, con l'amico commentavamo positivamente il risultato ottenuto grazie all'esperienza dei pescatori, ma più che altro grazie all'apporto della straordinaria sinergia operativa fornita dalla cartografia elettronica computerizzata e dal sistema di navigazione GPS. Possiamo onestamente asserire che questo sistema operativo facilita notevolmente l'utente, nel nostro caso specifico il pescatore, sotto vari

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aspetti: la possibilità di interfacciare il videoplotter GPS col pilota automatico come primo abbinamento e poi in successione, con altri apparati elettronici di bordo. Altro aspetto di primaria importanza è quello che con la cartografica elettronica computerizzata potremo deporre definitivamente nel gavone di bordo le carte nautiche coi relativi attrezzi di carteggio come il compasso, il lapis, le squadrette o parallele e il blocco notes per le varie ed eventuali annotazioni di bordo. Tutto questo comporta una fastidiosa perdita di tempo e spesso i calcoli riportati in valori di gradi sessagesimali presentano degli errori. Insomma con questo innovativo computer concepito per la navigazione e "trasportato" nella pesca è nata una nuova era per il mare, quella degli anni 2000

ARTIFICIALI PER LA TRAINA

Le esche artificiali che ci interessano si suddividono in cinque grandi gruppi: i cucchiaini, le piume semplici, le piume con testina solida, gli octopus e i pesci finti. Dal punto di vista del pescatore queste esche rappresentano la soluzione clou, quella di gran lunga più gradevole in quanto ci consente illimitate possibilità di scelta a seconda delle

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diverse esigenze e, inoltre, ci fa sporcare le mani solo quando e se le prede giungono a bordo.L'unico aspetto negativo è quello che, per regola quasi ferrea, esse non sono appetite dai grandi esemplari di ricciola, di leccia e di serra che, tutti, vogliono il vivo.

I cucchiainiSono validi per molti pesci: spigole, dentici, occhiate, sgombri, sugarelli, lecce stella, palamite, tracine, lampughe, aguglie e, qualche volta, anche tonnetti. Ma diciamolo chiaramente: in molti casi sono oramai superati dai pesci finti in costa e dalle piume con testina solida in altura. Tanto per esemplificare, un cucchiaino può catturare una spigola o un dentice mentre - nello stesso luogo, nello stesso tempo e nelle stesse condizioni - un pesce finto può prenderne tre o quattro. I cucchiaini hanno varie fogge e lunghezze. In linea di massima sono da preferirsi quelli di forma allungata e fusiforme, tale cioè da assomigliare alla mangianza più diffusa nell'ambiente marino: sarde e alici. Le dimensioni consigliabili sono quelle medio-piccole: dai 3 ai 7 centimetri. In definitiva i cucchiaini (che hanno sempre bisogno di una zavorra piazzata almeno cinque metri a monte) possono definirsi esche ottime per le occhiate, le lecce stella, gli sgombri e... le tracine; inoltre rappresentano il mezzo di ingresso più semplice e più economico nel mondo della traina per quelli che iniziano le loro esperienze e hanno bisogno di "farsi le ossa". Personalmente, allo stato attuale dell'evoluzione tecnica degli artificiali, li uso soltanto quando tento di impossessarmi di qualche pescetto da utilizzare in più ambiziosi programmi di traina con il vivo. L'andatura della barca più congeniale ai cucchiaini varia dai due ai quattro

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nodi scarsi.

Le piume sempliciSi tratta di ciuffetti di piume (2-7 cm, solitamente bianchi) di gabbiano, di marabù o semplice pollastro che, unite fra di loro alla base con appositi leggeri legamenti e munite di amo nella parte posteriore, simulano le sembianze e il movimento dei piccoli pesci che costituiscono la "mangianza" presente in loco. Essenzialmente vanno bene per le occhiate, i sugarelli, le lecce stella e altri predatori di taglia non eccessiva ivi compresi, qualche volta, i pesci serra che non superano i due kg di peso. La versione pesce serra è poco conosciuta. La costruisce per sé e per gli amici l'appassionato trainista Rino Caldarelli di Anzio. Non possono definirsi piume in senso stretto ma, senza bisogno di amo, catturano ottimamente le aguglie per "ingarbugliamento" del becco, le ormai famose matassine denominate "skeinfish". Secondo regola le piume semplici non vanno zavorrate. La velocità di traina oscilla fra i due e i tre nodi.

Le piume con testina solidaSono ottime per la caccia ai predatori pelagici anche di taglia medio-grande e grande, in altura e media altura. La struttura di questi artificiali è caratterizzata dalla presenza di un ciuffo piumato, che può essere costituito anche da sottili filamenti vinilici, assemblato mediante una testina di metallo, plastica o altro materiale solido. Attraverso la testina che è forata all'apice, si fa passare il capo del terminale cui viene assicurato l'amo che,

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per fornire il massimo rendimento, deve essere posizionato in modo che la sua curvatura si trovi all'altezza della parte posteriore estrema del ciuffo. Come detto, le possibili prede sono tutti i predatori di altura e media altura: tonni, tonnetti, lampughe, sgombri, palamite e, qualche rarissima volta, addirittura pesci spada.La lunghezza ottimale è compresa fra i 5 e i 9 cm con armamento di ami a occhiello dei numeri dal 2/0 al 7/0. Alle piume comprese in dette dimensioni possono spesso interessarsi, indipendentemente dalla rispettiva taglia, pesci piccoli e pesci enormi: dal maccarello di tre etti ai tonni giganti di alcuni quintali; i quali ultimi in classica azione di scippo mi hanno "portato via tutto", non una sola ma decine di volte. I colori statisticamente più catturanti sono il bianco, il nero carbone e il bianco-rosso. Anche gli altri colori possono trovare il loro utile campo di impiego in determinate zone e momenti e per determinati predatori. E' perciò consigliabile partire dagli anzidetti colori standard e, se dopo qualche ora i risultati sono negativi, cambiare e ricambiare più volte. La velocità di traina con piume munite di testina solida varia dai 5 ai 7 nodi. Di regola non serve zavorra.

Gli octopusSi tratta di simulacri che imitano le sembianze e il comportamento di cefalopodi e ottopodi di limitate dimensioni. Costruiti in gomma e in materiali similari hanno lo stesso campo di impiego che abbiamo appena indicato per le piume con testina solida. Identico anche il sistema di montaggio.

I pesci fintiDi pesci finti in commercio ce ne

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sono a bizzeffe: in metallo leggero e pesante, in materiali gommosi, in plastica, legno e via dicendo. Ma, gira e rigira, nei nostri mari il primato assoluto di capacità di cattura lo detengono i modelli in legno di balsa, in primis quelli prodotti dalla nota casa finlandese Rapala. Questi simulacri, il cui campo d'azione spazia dall'immediato sottocosta alla grande altura, sono tutti muniti di una appendice anteriore (paletta) che, alla velocità giusta, determina il famoso "guizzo", elemento di sicuro richiamo per quasi tutti i predatori.

La paletta può essere di plastica o metallica. La seconda, che determina un maggiore affondamento e un guizzo più pronunciato, è senza dubbio più congeniale alla traina nostrana; c'è però da dire che, soprattutto nei bassi fondali (2-5 metri), la paletta di plastica può offrire anch'essa risultati di notevole rilievo. Le lunghezze vanno dai 3 ai 26 cm. Per ogni singola specie, anche in rapporto alla taglia delle prede insidiate, c'è la misura giusta. Anche i colori hanno la loro importanza, spesso determinante: in assoluto è certamente più catturante il bianco-rosso; seguono il color maccarello, il bianco-celeste e il bianco-nero. Con i Rapala ho preso di tutto: dall'occhiata di mezzo etto al tonno rosso di due quintali. Ma la valenza di queste esche veramente micidiali si manifesta soprattutto nei confronti delle spigole, dei dentici e dei tonni di branco. Ci sono, come accennato, anche altri pesci finti di marche diverse, provenienti soprattutto dall'Est asiatico. In qualche caso funzionano ma fino a quando non saranno adattati, in fase di progettazione e di realizzazione, ai "gusti" dei

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predatori dei nostri mari, il loro rendimento non sarà ottimale. In molti casi i pesci finti hanno bisogno, tranne che nella traina alturiera e semialturiera, di lavorare molto affondati. Con i pesci finti la traina non può

mai essere lenta: almeno tre nodi con i modelli più piccoli, per arrivare ai 7-8 nodi con i modelli più grandi in altura.

Le esche esoticheOltre a quelle sopradescritte il mercato offre molte altre esche da traina di fogge e dimensioni diverse. Si tratta quasi sempre di oggetti di importazione che hanno una loro indubbia validità negli oceani ma che, "da noi", funzionano solo in rarissime occasioni.

LE ESCHE ARTIFICIALI

La pesca a traina si basa principalmente sull'inganno e sul proporre ai pesci predatori, un simulacro di un pesce. Il neo trainista si accorgerà ben presto, che alcune esche funzionano bene in alcune situazioni, mentre altre in condizioni del tutto diverse, pur con gli stessi pesci. Proviamo a fare un minimo di statistica per fare un po di luce nella scelta dell'esca giusta. Considerando il sole basso (alba e crepuscolo) e tutte le altre condizioni di bassa visibilità (acqua torbida), l'ideale è montare un'esca molto visibile, come il cucchiaino. E' stato provato che con il mare calmo vanno meglio i modelli molto sottili, senza piumette, mentre con il mare un po' mosso che crea schiuma e rigiri di corrente, vanno meglio i modelli più panciuti, magari martellati e con arricchimento di piume sull'ancoretta. E' da tener presente che l'ancoretta rende più facile l'allamata, ma non garantisce bene la presa, mentre l'amo singolo è meno sicuro per la ferrata, ma garantisce maggiormente la tenuta durante il recupero della preda. I cucchiaini si montano su terminali varianti dallo 0,20 allo 0,35, e si trainano a velocità

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variante dai due ai quattro nodi.

Quando ci troviamo in condizioni di mare calmo ed acqua chiara, l'esca più giusta è la classica piuma bianca, deve essere molto vaporosa e sottile, e può arrivare ad una lunghezza di 10-12 centimetri. La colorazione

della piuma varia a seconda del colore dell'acqua e dell'altezza del sole. Trainando sottocosta, ma su fondali che scendono a strapiombo e quindi su un colore blu intenso, si sono rivelate molto catturanti le piume gialle, mentre, in inverno con il cielo coperto ed il mare calmo danno buoni risultati le piume interamente nere. Le piume si possono confezionare da soli o comprare già fatte, vanno trainate a due nodi e si montano su terminali dello 0,18-0,25.

Esiste poi un'esca che rappresenta un jolly, si tratta delle anguilline fluorescenti in silicone. La colorazione migliore è quella neutra e risultano molto catturanti nell'acqua molto bassa e limpida, naturalmente montate su terminali molto sottili (0,18-0,20). Si trainano a 2-3 nodi.Esistono poi i minnow, che sono le esche artificiali più usate. Possono misurare dai 3 ai 26 centimetri, ma le misure più usate vanno dai 7 ai 14 centimetri. Hanno una paletta direzionale davanti che gli conferisce un particolare movimento laterale. Questa può essere di plastica, nei modelli che navigano appena sotto la superficie, o di metallo, in quelli che affondano di qualche metro. I minnow sono in genere usati o con acqua torbida o piombandoli per farli lavorare a profondità variabili tra i 7 ed i 25 metri. Sono graditi dalla maggior parte dei predatori del Mediterraneo. Le colorazioni sono le più svariate ed a seconda delle situazioni possono essere funzionanti o meno. Quelle più usate somigliano a pesci esistenti in natura (cefalo, sardina, sgombro e aguglia) ma esistono delle livree che pur non

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avendo riscontro oggettivo, sono lo stesso molto catturanti ( testa-rossa, bianco-arancio, viola-giallo-blu).

Nella scelta di un'esca artificiale bisogna sempre considerare che con luce alta sono da preferire i colori scuri, mentre con luce bassa quelli chiari. Bisogna inoltre cercare di capire cosa mangiano i predatori in quel periodo, per proporgli un'esca delle stesse dimensioni di quello che mangiano in natura.

LE ESCHE NATURALILa traina lenta di fondo con le esche vive sta, giorno dopo giorno, raccogliendo sempre più adepti. Il suo fascino non è pari a nessun'altra tecnica ed i risultati superano quasi sempre tutte le aspettative. L'esca più usata per la traina con il vivo, è l'aguglia. Questo piccolo pelagico è facilmente catturabile, permette un innesco rapido ed efficace e risulta gradito da tutti i predatori. Per innescare l'aguglia viva esistono diversi sistemi, conviene quindi conoscerne bene due o tre ed eseguirli alla perfezione. In genere s'innesca con due ami il primo del 5/0 che trapassa dal basso verso l'alto il becco, ed il secondo del 6/0 inserito sotto pelle all'altezza della pinna anale, questo è l'innesco migliore ai fini del nuoto dell'esca, ma sulla ferrata del pesce bisogna essere pronti e veloci. Sempre con due ami si può bloccare il filo del terminale con un tubicino di plastica sul becco dell'aguglia ed inserire i due ami entrambi del 6/0 sotto pelle a 6-7 centimetri di distanza tra loro. Un innesco molto valido

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per dentice e pesce serra si effettua con tre ami del 5/0, uno a chiudere il becco e gli altri due sotto pelle uno in pancia e l'altro vicino alla coda. Tale innesco garantisce una più facile ferrata, ma vincola molto il nuoto dell'aguglia ed è chiaramente più visibile.

L'aguglia è un'ottima esca anche morta, ed addirittura congelata. In ogni caso bisogna rompergli la spina dorsale in tre o quattro

punti. L'innesco si effettua con due ami del 4/0, legando il becco con il cotone cerato sul filo dopo aver inserito un piombo ad oliva da 15 grammi sulla lenza. Il piombino si fissa nella parte inferiore della testa tra le branchie, legandolo sull'aguglia con del cotone cerato o del filo interdentale, fatto passare preventivamente nel foro del piombo.

Immediatamente dopo l'aguglia c'è il calamaro, senza dubbio l'esca migliore in assoluto per dentici e ricciole. S'innesca con due ami, il primo del 4/0 in punta alla sacca anteriore, inserito dal basso verso l'alto, il secondo del 6/0 dentro il tubicino di scarico presente in basso tra la testa ed il corpo, inserito in modo che la punta dell'amo volga verso il basso. Tale innesco prevede una rapida ferrata non appena si avverte l'attacco del pesce. La seppia viva è un'altra ottima esca, molto gradita da dentici, pesci serra, spigole e ricciole di branco. L'innesco è molto simile a quello del calamaro, ma gli ami saranno rispettivamente del 4/0 e del 5/0.

Sia la seppia che il calamaro possono essere innescati anche morti, a patto che siano freschissimi. L'innesco rimane lo stesso, ma va applicato un piombo ad oliva da 15-20 grammi immediatamente dietro l'amo trainante, in modo da

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stabilizzare l'esca in navigazione. Un'altra esca viva molto catturante è l'occhiata. L'unica accortezza è quella di trainarla a velocità ridottissima, altrimenti tende a mettersi di fianco. S'innesca con due ami, il primo del 5/0 a chiudere la bocca ed il secondo del 7/0 si fa penetrare nel foro anale e fuoriuscire in prossimità della pinna retrostante. Il secondo amo deve essere perfettamente perpendicolare alla pancia del pesce, in quanto ha funzione di timone. E' un'esca molto catturante in primavera ed estate, soprattutto quando non si trovano le aguglie. Le grandi ricciole ne vanno matte, così come dentici e pesci serra.

Il cefalo, in natura, è attaccato da tutti i predatori indifferentemente, è inoltre un pesce che trovano durante tutto l'arco dell'anno. Nelle misure medio piccole è un'ottima esca per serra, spigole e dentici, s'innesca con due ami del 4/0, uno inserito dal basso verso l'alto nella parte dura appena dietro la bocca, e l'altro sotto pelle vicino alla pinna anale. Per le ricciole e le lecce vanno innescati cefali di buone dimensioni, (dai 250 grammi in su), in quanto più stimolanti, e si usano ami del 5/0 per la parte anteriore e del 7/0 per la posteriore. Il sughero rappresenta una di quelle esche occasionali che spesso capitano a tiro in mancanza dei pesci vivi più classici. Si cattura spesso a traina ed è un'esca molto tenace se correttamente innescata. Risulta catturante con i dentici e le lecce di branco, mentre non è molto efficace con le ricciole. Date le sue notevoli vibrazioni quando è innescato è una tra le esche migliori per il pesce serra.

KIT PROFESSIONALE PER L'AGUGLIA

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Per insidiare le grandi ricciole, gli esemplari adulti di dentici, le lecce di mole ed i pesci serra più astuti, non c'è esca artificiale che li inganni. Solo "il vivo" riesce ad interessarli,

ed, in particolar modo, l'aguglia. Abbinando una mini-maciuda messicana senza ami per la sua cattura, il sistema di trasporto in acqua che ho messo a punto personalmente, ed una montatura con ami legati, si riesce ad utilizzare una aguglia perfettamente integra e senza ferite che resta piena di vitalità per l'intera giornata di pesca. Se nessun predatore si è... interessato a lei, è possibile lasciarla andare via, tagliando le legature degli ami a fine pescata, per una meritata libertà. Considerando la sua "collaborazione", anche se forzata, è il meno che possiamo concederle dopo questa roulette russa acquatica. Speriamo presto di entrare tutti nello spirito di catturare i grandi pesci solo per l'azione venatoria propriamente detta e non per l'aspetto alimentare che ne può derivare dopo. Portare sottobordo una ricciola di trenta chili, fotografarla per la nostra vanità e come documento probante per gli amici che ci punzecchiano, etichettarla con data e luogo di cattura ed altri dati eventuali che possono ampliare le nostre conoscenze sulla vita nel mare, per poi levare l'amo dalla mascella e ridarle la libertà, sarà un'autoregolamentazione degli angler del domani, consci di cooperare alla difesa della vita del mare, senza rinunciare all'attività del "big game". Con un minimo di coerenza un pesce a misura del nostro forno o una preda con l'amo ingoiato nello stomaco, destinata comunque a morire, saranno messi a pagliolo senza troppi complimenti.

Il "soft tail", questa piccola esca filamentosa senza amo, di origine messicana, è adatta esclusivamente per le aguglie che restano imbrigliate con il loro becco dentellato. E' quindi altamente selettiva e mirata per la cattura dell'esca viva principalmente per le ricciole di mole, altrimenti imprendibili

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con esche artificiali. Per disinnescare il "soft tail" dai dentini dell'aguglia è sufficiente aprire le mandibole di qualche centimetro, tirando i filamenti verso la testa del pesce con rapidità e delicatezza.Non disponendo di vasca per il vivo e se si vuole disporre durante l'intero arco della giornata di esche in perfetta forma si utilizza il terminale di trasporto. Coprendo il corpo dell'aguglia con un asciugamano bagnato, aprirne il becco posizionando il nodo finale del terminale di dacron, in fondo all'articolazione della mascella. Chiudere poi la bocca del pesce ed inserire il tubicino elastico fino ad oltre la metà del becco. Basta poi immergere il piombo sferico lateralmente all'imbarcazione a circa un metro di profondità, senza superare la velocità di circa 1,6 nodi.L'innesco con montatura legata, permette di disporre di un'esca al massimo della sua vitalità e durata, sfruttando al meglio i vantaggi di una cattura senza ami ed un trasporto in mare senza ferite di un'aguglia ben ossigenata.

GLI AFFONDATORI DI LENZA A TRAINA

I dispositivi che consentono alle lenze in traina di

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raggiungere profondità rilevanti, possono raggrupparsi in due grandi categorie: affondatori per gravità e affondatori idrodinamici. Sia con gli uni che con gli altri il concetto base da tener sempre presente è che l'affondamento aumenta alle andature più lente e diminuisce a quelle più veloci.

Affondatori per gravità Abbiamo:

i piombi amovibili;

i fili autoaffondanti in metallo;

i fili autoaffondanti in dacron;

con anima piombata;

con anima piombata;

il piombo guardiano;

la palla di cannone o bal de fer.

I piombi amovibili sono di due specie: quelli tradizionali, detti a spirali o a tortiglione, e quelli più recenti a incastro. Gli uni e gli altri vanno collocati sulla lenza madre almeno 15 metri a monte dell'esca. Scendono verso il basso nelle misure indicate in tabella. Per aumentare l'effetto affondamento, a parità di peso complessivo, si può ricorrere alle piombature cosiddette "a scalare" che si realizzano con pezzi di grammatura diversa: ad esempio 250 grammi a 20 metri da poppa, 150 grammi a 30 metri, 100 grammi a 40 metri. Gli amovibili offrono il vantaggio di essere facilmente intercambiabili e di contribuire alla importante bisogna di mantenere le esche pulite. Presentano però qualche difetto. Infatti:

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1. richiedono un intervento manuale per il loro disinserimento, il che non è comodo quando la preda combatte disperatamente nel tentativo di liberarsi;

2. scendono rapidamente verso il basso, rendendo concreto il pericolo di "arrocamento" quando la direzione della barca cambia sensibilmente;

3. esercitano, mano mano che cresce la grammatura, una trazione sempre più forte, fino al punto di richiedere, una volta raggiunto un certo limite, l'impiego di canne di libbraggio sproporzionato per eccesso.

Valutati i pro e i contro possiamo dire che i piombi amovibili sono proficuamente utilizzabili quando il loro però non supera il mezzo chilo, con canne di potenza non inferiore alle 12 libbre e per profondità massime di 15-20 metri.I piombi fissi, quelli cioè collocati in modo stabile sulla lenza, hanno ormai fatto il loro tempo e non sono compatibili con una concezione razionale e aggiornata della pesca sportiva.

I fili metallici autoaffondanti sono conosciuti con la denominazione, in vari casi

tecnicamente impropria ma oramai generalizzata, di "monel";

sono costruiti con varie leghe di elevato peso specifico sempre con una componente di acciaio e di nichel;

sono reperibili in confezioni a doppia bobina con lunghezza complessiva pari a 200 yards (m 180 circa);

assicurano un affondamento graduale ed omogeneo, più o meno accentuato a seconda della quantità di lenza ceduta.

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I fili metallici consentono il recupero diretto delle prede, senza corpi interposti sulla lenza; adempiono in pieno alla loro funzione di massima discesa quando vengono filati molto a lungo, al limite fino a 180 metri di poppa; ma vanno bene anche a profondità ridotte comprese nella fascia dai 6 ai 12 metri nelle quali viene esaltato il vantaggio di una discesa più morbida e più graduale tale da ridurre considerevolmente il rischio di incaglio in curva; possono essere utilizzati solo con mulinelli a tamburo rotante di buona capienza (dal 4/0 in su) nei quali vanno imbobinati al di sopra di un cospicuo cuscino di lenza in dacron o in nylon; la loro resistenza varia dalle 20 alle 60 libbre ma la correlativa diversità di spessore è in pratica ininfluente ai fini dell'affondamento, in quanto il maggior peso-metro dei libbraggi più elevati è controbilanciato dalla più ampia superficie complessiva soggetta a ricevere la spinta verso l'alto, secondo la ben nota legge di Archimede; conviene perciò orientarsi verso i libbraggi più alti, che assicurano una resistenza adeguata anche nei confronti di prede di taglia extra. I fili metallici non sono ammessi dall'IGFA e non sono quindi utilizzabili per il conseguimento dei record e nel corso delle gare ufficiali; a prescindere da questa controindicazione, peraltro non giustificata sul piano tecnico dato che i fili in parola hanno anche essi un carico di rottura facilmente testabile con il dinamometro, resta il fatto che il monel è il mezzo più semplice e più pulito per far navigare le nostre esche in strati subacquei ben profondi, seppur non abissali. Durante la

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"cala" occorre evitare che il filo fuoriesca troppo velocemente dal mulinello, provocando l'accavallamento e il bloccaggio delle spire; perciò quando si manda la lenza a mare è opportuno inserire la "cicala" o, meglio, esercitare con le dita una lieve pressione sulla bobina, frenandola.

I fili metallici affondano, per ogni decametro immerso, in ragione di m 2,50 a un nodo, di m 1,80 a due nodi, di m 1,20 a tre nodi, di m 0,60 a quattro nodi. Questi dati rispecchiano valori medi ma, ciò nonostante, sono suscettibili di variazioni non infinitesimali, a causa delle correnti subacquee in alcuni casi insospettabilmente violente. Alcuni trainisti, al fine di accrescere ulteriormente la profondità di lavoro offerta dal monel, sono soliti inserire un piombo amovibile di 3-5 etti sul cuscino di lenza; ma in tal modo il filo a mare raggiunge lunghezze spropositate e, inoltre, è giocoforza adoperare canne da almeno 20 libbre. Un sistema usato da molti per avere prontamente un'idea sulla quantità di lenza filata consiste nel legare sul monel a distanze predeterminate (ad esempio ogni 50 metri) appositi segnalini in cotone o altro di colori diversi, fissati con una goccia di colla. Le canne compatibili sono quelle dalle 12 libbre in su.

Concludendo, possiamo senz'altro affermare che il monel, fatta eccezione per i bassissimi fondali, rappresenta un sistema di affondamento efficacissimo, sia che si traini con esca artificiale sia che si impieghino esche naturali; con le

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quali, c'è da aggiungere, che data la minima velocità richiesta si può arrivare tranquillamente anche a 30 e più metri. I fili autoaffondanti con guaina in dacron e anima in piombo sono commercializzati in bobine di 100/200 metri, di vario libbraggio, e sono contrassegnati con un colore diverso per ogni tratta di 10 metri, consentendo con ciò di individuare a occhio e in ogni momento il metraggio filato; essendo molto duttili e trattabili, non postulano la necessità tassativa di impiegare mulinelli a tamburo rotante; però affondano meno della metà di quanto affonda il monel; l'affondamento può tuttavia essere accresciuto mediante piombi amovibili suppletivi.

Questi fili non sono adatti per le grandi profondità mentre offrono il meglio delle loro prestazioni su fondali medio bassi, soprattutto nei confronti delle spigole e dei pesci serra.

La guaina tessile, che "regge" il tutto, è soggetta ad indebolimenti causati dall'azione della salsedine e del sole. Sono perciò indispensabili frequenti lavaggi con acqua dolce. Canne compatibili: dalle 6 libbre in su. Le palle di cannone. Si tratta di pesantissime zavorre (dai 3 ai 10 chili) realizzate prevalentemente in piombo, di forme tondeggianti o leggermente sfilate, munite quasi sempre di alette direzionali. Queste zavorre sono sorrette da un robusto cavetto in treccia metallica, avvolto su una capiente bobina, installata su un apposito basamento rotante, reso solidale con l'opera viva poppiera. La bobina è dotata di un congegno di freno-frizione regolabile, di un misuratore metrico e di un braccio mobile buttafuori con relativa carrucola. Questo composito dispositivo, detto anche fatoom Master, è specificamente concepito per la traina su fondali di 30 e più metri.

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Tanto per fornire un'indicazione di massima diremo che una palla di cinque chili scende di 45 metri a un nodo, di 30 metri a due nodi e di 20 metri a tre nodi. Il miglior rendimento si ottiene alle andature più lente e quindi con l'impiego di esche naturali; meno produttive invece le artificiali probabilmente a causa delle vibrazioni sonore prodotte dalla treccia metallica agli standard consoni all'impiego delle artificiali stesse (3-4 nodi). La messa a punto di questa attrezzatura è certamente un po' laboriosa ma le cose diventano più facili mano mano che, superate le incertezze del primo impatto, si va avanti con l'esperienza. Se si vogliono fare le cose per bene occorre, inizialmente e una volta per tutte, perdere qualche ora di tempo per eseguire alcune prove. Ecco lo schema da adottare:

1. portiamoci su un fondale in piano di sabbia o di frango corrispondente alla profondità alla quale intendiamo trainare (ad esempio 20 metri);

2. fermiamo la barca e caliamo la palla fino a toccare il fondo;

3. annotiamoci la profondità segnata dal contametri;

4. ripetiamo l'operazione per altre profondità: sempre ad esempio 35 e 40 metri.

A questo punto siamo in grado di trainare senza rischio qualche metro al di sopra dei fondali considerati. Ma se vorremo

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arrivare al "raso fondo" (il che è sempre consigliabile quando si va a caccia di dentici) dovremo ripetere le prove con la barca in movimento: una volta avvertito il tocco delle palla sul fondo, ben percettibile visivamente sull'estremità del braccio mobile, solleveremo la zavorra di un paio di metri, ci annoteremo il metraggio e sapremo che su quel fondale e a quella velocità potremo andare sicuri. In seguito, quando ci troveremo sul teatro di pesca prescelto, manderemo a mare per almeno 50/60 metri la lenza munita della relativa esca; quindi, navigando alla velocità testata, inseriremo la lenza stessa nell'apposita pinzetta a sgancio incorporata nella palla e, sempre andando avanti alla medesima velocità, manderemo lentamente giù la nostra greve zavorra, fino al punto in cui il contametri ci avvertirà che abbiamo raggiunto la distanza necessaria. Volendo, potremo mettere in pesca anche una seconda traina facendone passare il filo in una pinzetta mobile fissata sul cavetto metallico di sostegno qualche metro al di sopra della palla. In luogo delle pinzette a sgancio possono usarsi dei semplici elastici da cancelleria. All'atto della ferrata la lenza si libererà dalla pinzetta o romperà l'elastico, consentendoci di lavorare il pesce senza che alcun corpo frapposto fra noi e "lui'" influenzi in qualche modo il combattimento ivi compreso il salpaggio conclusivo; prudenza vuole che, durante il recupero della preda la palla sia portata in superficie e sollevata fuor d'acqua. E' forse superfluo sottolineare che con questo sistema sono utilizzabili anche canne di potenza minima: al limite, stazza dei pesci insidiati permettendolo, bastano anche le sole due libbre! C'è però da porre moltissima attenzione, più che con ogni altro tipo di affondatore, ai ripidi e improvvisi sbalzi delle formazioni rocciose sommerse, sempre pronte a far prigioniera la nostra "bal de fer" unitamente a buona parte dell'attezzatura pescante; dovremo perciò tenere sotto costante osservazione l'ecoscandaglio, avvalendoci anche dei segnali trasmessici dall'allarme acustico che avremo

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opportunamente regolato. Tutto questo discorso ha un suo preciso corollario: salvo che non si conosca perfettamente la morfologia subacquea della zona battuta la palla di cannone va usata raso fondo solo in bacini che non presentino frequenti variazioni batimetriche di eccessivo rilievo.

Il piombo guardiano.Il sistema di traina con il piombo guardiano (forma conica o piramidale, peso dai 300 ai 700 grammi) è stato "inventato" dai leggendari vecchi pescatori di mestiere delle isole, che lo praticano tuttora, impiegando grosse e robustissime traine a mano con le quali riescono a catturare ricciole mozzafiato anche di mezzo quintale. Nel campo della pesca sportiva, che se ne è prontamente approriata, il piombo guardiano viene usato con il supporto della canna e del mulinello. Si fa così. Sulla lenza madre, almeno una ventina di metri a monte dell'esca, si annoda uno spezzone di nylon relativamente sottile, (0,30-0,40) lungo 2 o 3 metri, recante alla sua estremità il piombo guardiano. Si parte con la barca e si cede lenza fino a che si avverte che la zavorra ha toccato il fondo; si recupera qualche metro e si cala di nuovo regolando la continua manovra di saliscendi anche sulla base delle indicazioni fornite dall'ecoscandaglio. Si tratta di una tecnica molto efficace che ci permette di esplorare compiutamente e meticolosamente tutti i recessi e gli anfratti subacquei esistenti, con l'unico rischio di perdere la sola zavorra. In fase di recupero delle prede, quando il piombo giunge a bordo, si taglia con le forbici lo spezzoncino di nylon e si seguita ad avvolgere lenza nel mulinello. Gli inconvenienti sono questi: saremo obbligati a tenere continuamente la canna in mano; inoltre, salvo il caso di poco probabili

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virtuosismi, avremo sempre la necessità di disporre di una seconda persona a bordo che conduca la barca e ci avverta in tempo reale delle variazioni batimetriche rilevate dall'ecoscandaglio.Circa la compatibilità delle canne, è buona regola non scendere al di sotto delle 12 libbre.

Gli affondatori idrodinamici.Ci troviamo di fronte a oggetti costruiti in metallo o in plastica, di varie dimensioni e fogge, (a scarpetta, ad ogiva, a slittino, a navetta spaziale, ecc.) che scendono a causa della loro forma appositamente studiata a tale specifico effetto. L'affondamento può essere diminuito o aumentato sia cambiando la posizione di attacco della lenza sia operando sulla velocità della barca. Questi dispositivi funzionano per profondità limitate e costante; di solito, quando si superano i 4 nodi salgono a galla come pure salgono a galla quando il loro equilibrio è compromesso dalla presenza di pesci allamati; esercitano inoltre una fortissima trazione sulle lenza e quindi sono poco compatibili con le canne; anche perché, una volta giunti a bordo, il recupero della parte restante della lenza deve essere fatto sempre a mano.

Fra gli affondatori idrodinamici vanno annoverate anche le palette metalliche o di plastica delle quali sono muniti, nella loro stragrande maggioranza, i cosiddetti minnows o pesci finti. Queste palette provocano un affondamento autonomo talché in acque non troppo profonde, diciamo grosso modo fino ai 4-5 metri, non c'è bisogno di aggiungere altro. Ma quando si traina a fondale è spesso necessario spedire in basso i nostri simulacri, avvalendoci dei sistemi di cui abbiamo parlato sopra. In questi casi per calcolare la profondità di lavoro dei minnows bisogna sommare due valori: quello dell'affondatore propriamente detto e quello del

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pesce finto; ai fini di tale calcolo ci potremo avvalere dei dati riportati nell'apposita tabella che si riferisce all'affondamento autonomo di alcuni modelli di Rapala (i pesci finti più usati), rimorchiati a una distanza pari a quella normalmente prescritta per la traina di fondo (15 o più metri). E per finire, tre consigli pratici validi in ogni caso quando si traina con lenze affondate.

1. Evitare sempre di fare curve troppo strette;

2. tenersi ben lontani dai segnali indicanti la presenza di reti da posta o parangali; nella speranza, spesso purtroppo delusa, che non ci siano in giro attrezzi non segnalati affatto;

3. se si avverte, attraverso l'ecoscandaglio, la presenza di un ostacolo immerso in una fascia acquea inferiore, uguale o vicina alla profondità a cui navigano le

nostre esche (e non c'è tempo di fare altro) aumentare subito e considerevolmente la velocità.

KIT DI PESATURAE' stato studiato per gli amanti della pesca sportiva questo kit elettronico di pesatura, ma può essere in tutte le occasioni in cui occorra la misura istantanea di un peso con precisione dello 0,1%. Si chiama Scale Master ed è prodotto alla West Weigh di San Diego, California, tel. 001/619/2918231, fax 001/ 619/2910596. A detta dei titolari è quanto di più moderno e perfezionato esista in campo elettronico per la determinazione dei pesi: ha infatti una accuratezza cinque volte superiore a quella delle apparecchiature meccaniche, non ha parti in movimento perché sfrutta una cella di carico, ha la possibilità

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di effettuare una tara, legge sia libbre che chilogrammi a seconda della impostazione che si preferisce, è dotato di batterie

ricaricabili e di apparecchio di ricarica, rileva la lettura di picco. In più è dotato di 20 metri di cavo per la lettura a distanza ed è contenuto in una valigetta di vetroresina che, quando è chiusa, è a tenuta stagna e galleggia, oltre che proteggere la strumentazione dalla umidità e dagli urti con una schiuma a cellule chiuse. Per usi professionali può essere sottoposto a certificazione e taratura da parte di Uffici Pesi e Misure perché rispetta le normative richieste. Viene fornito, per una spesa di circa 500 dollari, con due portate (x1 e x10) a scelta fra cinque possibilità: 10 e 100 kg, 25 e 250 kg, 60 e 600 kg, 100 e 1000 kg; per ogni fondo scala impostato l'apparecchio legge divisioni di 1/1000, lavora cioè con un display di quattro cifre significative.

CHE COS'E' UNA CANNA DA TRAINALe canne da traina si differenziano sostanzialmente da tutte le altre, che si impiegano per le diverse tecniche di pesca. Mentre una canna generica può essere utilizzata per diverse tecniche, le canne concepite per la traina sono impiegabili esclusivamente per lo scopo di nascita. La canna si compone di due parti ben distinte: il manico ed il cimino. Il manico è rigido e presenta una parte inferiore in lega leggera o materiale plastico ricoperto di neoprene ed una parte superiore rivestita di materiale morbido dove si dovranno poggiare le mani per effettuare la pompata. Tra queste due parti è collocato l'alloggio per il mulinello, composto da una parte fissa ed una mobile che si blocca con doppia vite di serraggio. Nella parte estrema inferiore del manico c'è una croce che serve per bloccare la canna nel portacanna. Il cimino è la parte che determina la qualità

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e la potenza di una canna. E' composto da un fusto che penetra nel manico assemblandosi ad esso. I fusti sono generalmente in fibra di vetro, ma gli attrezzi migliori sono

composti in grafite (carbonio) in quanto tale materiale risulta più leggero, più resistente e con una maggiore nervosità, ovvero con una risposta più veloce nel ritornare alla posizione eretta da quella flessa. Le canne da traina hanno i passanti per il filo rivolti verso l'alto, al contrario delle normali canne da pesca, questo perché il mulinello è posizionato al contrario.

I passanti possono essere di due tipi: ad anello o a carrucola. Gli anelli sono realizzati in lega leggera ad alta resistenza meccanica,

con l'interno rivestito in pietra dura o in carbonio autolubrificante. Sono di gran lunga più leggeri delle carrucole e si montano in genere su canne di basso libbraggio ( fino alle 30 libbre). La loro altezza è inferiore a quella delle carrucole e quindi dovranno essere di numero maggiore per evitare che il filo entri in contatto con la canna. Le carrucole

presentano dei roller interni che facilitano lo scorrimento della lenza. I roller possono essere montati su cuscinetti a sfera o su bronzine, ma in entrambi i casi garantiscono una fluidità di uscita del filo molto maggiore rispetto agli anelli. Le carrucole sono da preferire quando ci si trova a misurarsi con prede molto veloci nella fuga (tonni, palamite e predatori oceanici), in ogni caso sono più resistenti degli anelli pur aumentando il peso della canna.

Le canne da traina si dividono in due grandi categorie: quelle tradizionali e le stand-up. Le canne tradizionali hanno il

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cimino lungo circa due volte e mezzo il manico. Il mulinello è posizionato al centro del manico, quindi in media la mano sinistra che farà forza sull'imbottitura anteriore al mulinello, dovrà sollevare una leva molto lunga ed affidarsi molto alla capacità di raddrizzamento del fusto. Pescando con canne tradizionali la forza contraria a quella del pesce, viene esercitata con le braccia, tirando verso se stessi l'impugnatura. Le canne tradizionali possono essere ad azione parabolica, a ripartizione o di punta. Le canne denominate stand-up sono facilmente riconoscibili per il cimino molto corto e per il manico che presenta una parte anteriore più lunga rispetto a quella retrostante al mulinello. Sono state inventate per pompare dal fondo i grandi tonni in piedi e sono concepite per un sistema di pompaggio totalmente diverso da quello che si applica alle canne tradizionali. Con la stand-up bisogna utilizzare una cintura da combattimento bassa che poggia sulle cosce ed un renale agganciato al mulinello. La mano sinistra si pone al culmine del manico imbottito e la pompata si effettua flettendo le gambe e contrapponendo al peso del pesce, quello del proprio corpo. In pratica la leva in questo caso è molto più corta ed in teoria lo sforzo da parte del pescatore è molto minore in quanto anziché pompare con le braccia interessando i muscoli bicipiti e dorsali, si pompa con la schiena e con le gambe, mentre le braccia intrevengono in modo secondario.

Nella maggior parte dei casi le canne stand-up hanno il fusto con azione a ripartizione. Le canne stand-up sono state concepite per perde potenti ed in particolar modo per quei predatori che impostano la propria difesa sul fondo. Nei nostri mari sono eccellenti per i tonni e per le ricciole, ma la pesca in stand-up ha senso dalle 20 libbre in su. Per libbraggi più leggeri è preferibile usare canne tradizionali ad azione parabolica, quanto più lunghe possibile. Come

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accennato una canna da traina esprime una sua potenza, ovvero contrappone al vettore rappresentato dal pesce, un vettore contrario di una potenza espressa in libbre ben determinata. La potenza massima che la canna esprime si può misurare con un dinamometro fissato mediante un pezzetto di cordino, al cimino. Si deve flettere il fusto fino alla sua curvatura massima, ovvero sia fino a quando non è possibile piegarlo oltre, in questo momento la canna esprime la sua massima potenza. E' naturale che non faremo mai lavorare una canna alla massima potenza, ma a non più del 75% del suo limite. Questa è la potenza massima della canna, ma la misura (espressa in kg o lbs) del vettore che la canna contrappone al pesce è quello che il fusto sviluppa raddrizzandosi e di conseguenza portando la preda verso di noi. Tale vettore è la risultante della potenza della canna, più la forza impressa dal pescatore, più quella della barca che trascina il pesce. Tali dati non possono essere calcolati empiricamente, ma possiamo basarci all'incirca con un peso statico, da sollevare a terra con la canna, cercando di evitare flessioni eccessive che potrebbero rompere l'attrezzo.Nei nostri mari si utilizzano canne da traina di potenza massima nell'ordine delle 30 libbre, arrivando fino alle 50 per le grandi ricciole se pescate da neofiti.

I MULINELLII mulinelli da traina sono concepiti esclusivamente per tale tecnica, ma vengono utilizzati anche nel drifting. I mulinelli da traina sono denominati a bobina rotante, a differenza di quelli da lancio che sono a bobina fissa. I mulinelli dell'ultima generazione hanno lo

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châssis ricavato da un monoblocco di lega leggera, i modelli più economici sono invece interamente realizzati in materiali plastici ad alte prestazioni meccaniche. Tutte le parti meccaniche interne sono in acciaio inossidabile. La bobina ruota su un asse e poggia su cuscinetti a sfera; maggiore è il numero dei cuscinetti, più fluida è la rotazione. I mulinelli in

lega leggera vengono protetti con un'anodizzazione speciale, che li preserva dagli agenti atmosferici.

La scelta del mulinello va abbinata al carico di rottura della lenza. In linea di massima ci sono abbinamenti standard che tengono

conto dell'equilibrio dell'attrezzatura e sono: canne da 4, 8 e 12 lbs vanno abbinate con un mulinello 2,5/0; da 20 e 30 lbs vanno con il 4/0; la 50 lbs corrisponde a un 6/0; l' 80 lbs corrisponde a un 9/0 e la 130 lbs si abbina con un 12/0 o un 14/0.

Il sistema di frenatura della lenza in uscita, più comunemente detto frizione, è pilotato da una leva posta sulla parte destra del corpo. Tale leva, spostandosi in avanti, agisce su una molla che preme un disco sulla bobina, aumentando così l'attrito e, di conseguenza, la forza necessaria per lo slittamento. Il complesso frizione ha una preselezione (preset) che permette di stabilire a priori quale sarà lo slittamento medio. La leva di regolazione principale presenta tre posizioni: il free, che stacca completamente il disco permettendo la fuoriuscita libera del filo; lo strike, posizione in cui viene regolata la fuoriuscita tramite il preset, per avere uno standard in combattimento (in genere è la posizione di ferrata) e per finire, il full, posizione la massima della frenatura. Più ampia è la corsa della leva del freno e maggiore sarà la gradualità della regolazione. Un buon mulinello deve avere ampia possibilità di regolazione e una

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gradualità dolce nel serraggio, in modo da poter intervenire sulla leva durante il combattimento, senza il rischio di bloccare la fuoriuscita della lenza. La frizione vera e propria è situata nel monoblocco del mulinello ed è generalmente composta da un disco unico.

I materiali impiegati per la fabbricazione dei dischi sono i più disparati, ma nei mulinelli di alta qualità vengono utilizzati dischi in carbonio. La precisione delle frizione è data oltre che dal materiale del disco, dalla perfetta levigazione e dalla indeformabilità della zona fissa del mulinello su cui slitta il disco, sul suo parallelismo con questo, e dalle molle che ne regolano la pressione. Le qualità di una frizione devono essere la modularità, la gradualità, l'assenza di scatti in uscita e l'indeformabilità dei materiali in situazione di surriscaldamento, dato dall'attrito.

Da qualche anno a questa parte sono apparsi sul mercato i mulinelli a doppia velocità. Questo significa che, oltre alla velocità normale di recupero, sono dotati di un sistema di demoltipliche che, riducendo la velocità, diminuisce notevolmente la forza da imprimere alla leva per recuperare la lenza. L'utilità della doppia velocità è senza dubbio notevole, in quanto oltre a diminuire lo sforzo da esercitare sulla leva, consente in alcuni momenti di recuperare il pesce senza pompare. I migliori sistemi di cambio di velocità sono quelli che consentono al pescatore di inserire il riduttore o viceversa, senza staccare la mano dalla leva.

LE LEGGISULLA PESCA SPORTIVA IN MARE

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La legislazione italiana sulla pesca sportiva in mare è senza dubbio una delle più restrittive del mondo; ciò soprattutto a causa delle ingiustificate e preconcette pressioni sistematicamente esercitate sui centri decisionali dalle potenti organizzazioni della pesca professionale; organizzazioni che - per motivi strettamente populistici - si ostinano a vedere in noi sportivi, privi peraltro di rappresentanze di categoria efficienti e determinate, dei temibili concorrenti. A nulla è valso e vale il fatto che i nostri prelievi siano assolutamente irrisori rispetto a quelli complessivi. Dai all'untore: punto e basta. Infatti, come volevasi dimostrare, oggi ancor più che in passato, detta legislazione è in fase di ulteriore pesantissima chiusura. Nelle righe che seguono riportiamo per sommi capi le norme vigenti aggiornate al 1°dicembre 2000 e facciamo anche un accenno ai nuovi dictat che bollono in pentola dai quali saremo colpiti (e con noi la nautica amatoriale, la cantieristica , l'accessoristica, il turismo ecc.) nel prossimo futuro. LE DISPOSIZIONI VI

GENTILe norme in vigore che ci interessano sono riferite in parte esplicitamente alla pesca sportiva e in parte genericamente a tutti i tipi di pesca e quindi anche a quella sportiva. Le fonti normative sono rappresentate da diversi provvedimenti che, nella disamina che segue, vengono evidenziati con apposita simbologia e cioè:

REG.IT Regolamento sulla pesca marittima approvato con D.P.R. 2 ottobre 1968, n. 1639 e successive modifiche

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C.N.Codice della navigazione.

REG.COM.Regolamento comunitario sulla gestione delle risorse alieutiche in Mediterraneo.

D.M.Decreti ministeriali.

LIMITAZIONE DI CATTURA

II pescatore sportivo non può catturare giornalmente pesci, molluschi e crostacei in quantità superiore a 5 Kg. complessivi salvo il caso di pesce singolo di peso superiore.Non può essere catturato giornalmente più di un esemplare di cernia a qualunque specie appartenga. (Art.142 REG.IT)Nota: vedi anche il D.M: 27 luglio 2000CLASSI DI PESCA

La pesca sportiva è l'attità esercitata a scopo ricreativo o agonistico. Sono vietati, sotto qualsiasi forma, la vendita e il commercio di tale tipo di pesca. (Art,7 REG.IT)

DISCIPLINA DELLA PESCA SPORTIVA

La pesca sportiva si esercita alle condizioni e con le modalità stabilite nel presente capo; per quanto non

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espressamente previsto si osservano le altre disposizioni sulla pesca in quanto applicabili (Art.137 REG,iT).

ATTREZZI INDIVIDUALI E NON INDIVIDUALI CONSENTITI PER LA PESCA SPORTIVA

Gli attrezzi individuali e non individuali consentiti per la pesca sportiva sono:

1. coppo o bilancia;

2. giacchio o rezzaglio o sparviero;

3. lenze fisse quali canne a non più di tre ami, lenze morte, bolentini, correntine a non più di sei ami, lenze per cefalopodi, rastrelli da usarsi a piedi;

4. lenze a traino di superficie e di fondo e filaccioni;

5. nattelli per la pesca in superficie, fucile subacqueo, fiocina a mano, canna per cefalopodi;

6. parangali fissi o derivanti, nasse. (Art.138 REG.IT)

LIMITAZIONE D'USO DEGLI ATTREZZI

L'uso degli attrezzi per la pesca sportiva è soggetto alle seguenti limitazioni;

1. non possono essere utilizzate bilance di lato superiore a 6 metri;

2. non può essere utilizzato giacchio o rezzaglio o sparviero di perimetro superiore a 16 metri;

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3. non possono essere usate più di 5 canne per ogni pescatore sportivo;

4. il numero degli ami dei parangali complessivamente calati da ciascuna imbarcazione non deve essere superiore a 200 qualunque sia il numero delle persone presenti a bordo;

5. non possono essere calate da ciascuna imbarcazione più di due nasse qualunque sia il numero delle persone presenti a bordo;

6. è vietato l'uso di fonti luminose ad eccezione della torcia utilizzata nell'esercizio della pesca subacquea. Nell'esercizio della pesca con la fiocina è consentito l'uso di una lampada (Art.140 REG.IT)

MEZZI NAUTICI PER L'ESERCIZIO DELLA PESCA SPORTIVA

Nell'esercizio della pesca sportiva possono essere utilizzate solo unità da diporto come definite dalle leggi 11 febbraio 1971, n. 50 e 6 marzo 1976, n. 51 e successive modificazioni ed integrazioni (Art.143 REG.IT).

SEGNALAZIONE DEGLI ATTREZZI CON AMI

I parangali debbono debbono essere muniti di segnali costituiti da galleggianti di colore giallo, distanziati fra loro non più di 500 metri.Le estremità dell'attrezzo debbono essere munite di galleggianti di colore giallo, con bandiera di giorno e fanale di notte, dello stesso colore; tali segnali debbono

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essere visibili a distanza non inferiore a mezzo miglio. (Art.116 Reg,IT)

DIVIETO DELL'USO DEI PALANGARI PER LA PESCA SPORTIVA DEI PESCI SPADA

La pesca del pesce spada non può essere esercitata dai pescatori sportivi con i palangari fissi o derivanti. (D.M. 7 agosto 1992)

AMBIENTE MARE

CHI DORME NON PIGLIA PESCI

BARCA TRASCINATA DA UNO SQUALO BIANCO

ANCORA TEMPI DURI PER I PESCISPADA A PESCA DI MEDUSE

ESPERIENZE DI PESCA

L'aguglia imperiale

Barracuda a Ponza

Alle cinque della sera

L'acrobata del mare

Pagri e gelosia

Per una sardina in più

Le sorprese della traina

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CHI DORME NON PIGLIA PESCIMa anche chi sta sveglio, da un po' di anni a questa parte, non sembra aver maggior fortuna. Perché di pesce se ne cattura sempre di meno.E quel che rimane, oggi, sono solo giovani di piccola taglia che vengono pescati non appena raggiungono dimensioni appena sufficienti per essere commercializzati. Ma proprio perché sono così piccoli, i pescatori devono catturarne un numero sempre maggiore, col risultato di diminuire ulteriormente le dimensioni dello stock, con la prospettiva di diminuire ancora i profitti. E' un cane che si morde la coda, che spinge molti pescatori ad abbandonare le zone tradizionali di pesca per spingersi in mari stranieri.

Il 70% degli stock di pesce è sotto il livello di guardia, denuncia la FAO, commercialmente estinti o sovrasfruttati. Parallelamente, e paradossalmente, una gran quantità di organismi finisce per essere ributtata a mare perché invendibile: è il cosiddetto by-catch, l'insieme di quegli organismi che finiscono nelle reti insieme alle specie pregiate, ma che non sono vendibili. Troppo grandi o troppo piccoli, del sesso sbagliato o semplicemente di sapore o di aspetto sgradevole: dai 18 ai 40 milioni di tonnellate di animali marini, circa un terzo delle catture totali, viene ributtato in mare, ormai morto, ogni anno. Fra tutti gli attrezzi di pesca, le reti a strascico sono sicuramente le meno selettive e le più distruttive: spazzano il fondo come un grande rastrello, raccogliendo ogni tipo di organismo che abbia la sventura di incrociare il suo passaggio. Negli Stati Uniti si calcola che per ogni chilo di gamberi, dai 4 ai 10 kg di altri organismi vengono catturati e poi ributtati in mare inutilizzati. Anche le reti pelagiche derivanti esigono la loro

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tassa di morte accidentale: per decenni migliaia di cetacei, squali, tartarughe ed anche uccelli marini finivano imprigionati nelle maglie di queste reti, per essere rigettati in mare, ormai morti.

Delle molte specie di pesci vittime del sovrasfruttamento della pesca industriale, fra i più colpiti sono i grandi predatori pelagici, quelli che vivono in mare aperto per tutta la loro vita, compiendo spettacolari migrazioni: tonni, pescespada, marlin e squali, i "leoni e le tigri del mare", che ovunque lungo il loro cammino sono costretti a schivare ami, reti fisse e volanti, ed eludere gli aeroplani che frugano fra le onde la loro presenza.La pesca sregolata e irrazionale ha ridotto dell'80% negli ultimi vent'anni le popolazioni riproduttive di molte di queste specie. Una frenesia che non conosce sosta: il pregiato tonno rosso, quello che d'estate nuota nelle nostre acque, è diminuito nell'Atlantico del 90% dal 1975; ma poiché un esemplare di buona qualità raggiunge quotazioni da capogiro (60.000 dollari al mercato di Tokio, 200$ a porzione in un ristorante giapponese) la pressione non accenna a diminuire.

Simile il discorso del pescespada, il cui peso medio degli individui catturati è sceso da 120 kg di vent'anni fa a soli 25 kg. E proprio per il pescespada qui in Italia assistiamo da anni ad un penoso braccio di ferro fra pescatori, a più riprese spalleggiati dal governo, e il resto del mondo. Le reti pelagiche derivanti sono state bandite nel 1992 da tutti gli oceani; ma in Italia abbiamo oltre 600 pescherecci dediti a questo tipo di pesca. La legge comunitaria, grazie a pressioni notevolissime del nostro governo, consente infatti ai paesi membri dell'UE di continuare ad utilizzarle, purché abbiano lunghezza inferiore ai 2,5 km. Un valore unanimamente ritenuto non produttivo dai pescatori che, di

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fatto, lo ignorano calando reti di una lunghezza media compresa fra i 9 e i 12 km. Una realtà su cui il governo italiano, effettuando scarsi controlli e rimandando il programma di riconversione della flotta, nonostante le denuncie da tutti i fronti, ha sempre chiuso un occhio. Solo l'embargo alle importazioni di prodotti marini dall'Italia minacciato dalla Corte statunitense del Commercio Internazionale, con un danno potenziale all'economia nazionale di gran lunga superiore al fatturato della pesca al pescespada, ha smosso le acque. E come d'incanto sono iniziati i controlli: un comunicato stampa delle Capitanerie di Porto informa trionfante degli "eccellenti risultati conseguiti nel complesso dall'operazione della nave comunitaria (la Northern Desire, diretta al controllo della pesca con le spadare nel Mediterraneo, sulla quale hanno preso imbarco ispettori comunitari, ed ufficiali della capitaneria di Porto), che hanno elevato dieci verbali amministrativi ed eseguito altrettanti sequestri di reti di lunghezza superiore ai limiti stabiliti dalla normativa vigente". "Grazie all'impegno italiano ribadito quest'anno in maniera molto più incisiva", prosegue il comunicato, "e grazie all'intensificazione della vigilanza in mare, a terra e nei porti di armamento e di approdo delle navi da pesca italiane... sembra per il momento scongiurata la minaccia del governo USA di attuare l'embargo commerciale contro i "prodotti del mare" provenienti dall'Italia (finora ingiustamente accusata di tollerare la pesca di tonni e pescespada con reti illegali nel mar Mediterraneo da parte della propria flotta peschereccia) per un valore complessivo di circa 2 miliardi di dollari."

La realtà è che manca ovunque una seria politica di gestione delle risorse marine, che si occupi di stabilire quanto pesce possa essere pescato ogni anno senza intaccare la stabilità dello stock. Una legge che venga poi applicata, soprattutto nel caso delle specie pelagiche, in tutti i paesi dove questi

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animali si spostano. La realtà è che i pescatori sono troppi, i pescherecci moderni ed efficientissimi, e con altissimi costi di gestione che possono essere colmati solo con grandi quantità di pescato. Senza andare troppo per il sottile per quanto riguarda la qualità. La realtà è che i governi di tutto il mondo spendono ogni anno 54 miliardi di dollari per sovvenzionare i pescatori per esaurire stock già sull'orlo del collasso; non volendo rendersi conto che i finanziamenti vengono impiegati per costruire navi sempre più efficienti che, dopo aver esaurito le risorse dei propri mari, si spingono nelle acque costiere dei paesi in via di sviluppo (attualmente più del 25% del pescato della Unione Europea è catturato fuori dalle acque territoriali), scambiando moneta forte per i diritti di pesca, esportando il problema. I pescatori di questi paesi vedono quelle che considerano le "loro" risorse, predate dai pescatori stranieri. E così canadesi contro spagnoli, inglesi contro francesi, italiani contro giapponesi, tunisini contro italiani; la guerra del pesce infiamma ogni nazione, ogni mare.La realtà, insomma, è che troppe reti insidiano troppo pochi pesci: un fatto che pescatori ed autorità debbono affrontare, seriamente, una volta per tutte.

BARCA TRASCINATA DA UNO SQUALO BIANCOE' accaduto a Manukau Harbour, vicino ad Auckland, in Nuova Zelanda. Un pescatore sportivo stava procurandosi la cena a bordo della sua barca, quando "qualcosa" ha afferrato una delle due esche. Immediatamente il supporto della canna è saltato, la frizione ha iniziato a bruciare e la barca, lunga quattro metri, è stata trascinata via. "Volevo tagliare la lenza, ma non potevo mollare le canne per non perderle e così non sono riuscito ad afferrare il coltello. Sono

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passati cinque minuti prima che potessi cominciare a recuperare parte della lenza.

Quando finalmente sono riuscito a portare sotto la barca il pesce, mi sono accorto che si trattava di uno squalo di circa un metro e mezzo di lunghezza. Era uno squalo bianco." Dopo averlo portato sottobordo, il pescatore ha tagliato la lenza vicino al muso e lo squalo lentamente si è inabissato. A Pasqua, nella stessa baia, è avvenuto un caso simile: un altro pescatore ha raccontato che la sua piccola imbarcazione di alluminio, con tre uomini a bordo, è stata trascinata alla velocità di 2-3 nodi da uno squalo bianco che presumibilmente voleva portarsi via il sacco di esche attaccato all'ancora, in superficie. Dopo qualche minuto, finalmente, lo squalo è riuscito a strappare la sacca, abbandonando la presa: nei resti delle maglie però il pescatore ha trovato il frammento di un dente, successivamente identificato da Malcolm Francis, del National Institute of Water and Atmospheric Research di Wellington, Nuova Zelanda, come il dente di uno squalo bianco.

ANCORA TEMPI DURI PER I PESCISPADAE' scesa in pochi decenni da 120 a 40 kg. la taglia media dei pescispada catturati nel Nord Atlantico, eppure l'ICCAT, l'organismo che riunisce le nazioni cacciatrici di questo pesce, ha decretato che anche per quest'anno i pesci sotto taglia (pescati e rigettati a mare, che costituiscono una parte rilevante delle catture) non debbano entrare a far parte della quota assegnata ad ogni paese. Dal 1992 gli USA da soli hanno pescato in media dai 30.000 ai 40.000 pescispada immaturi all'anno; nel 1997 il peso dello scarto superava di 455 tonnellate la quota totale assegnata agli USA. Nel frattempo continua in America la campagna "Diamo una chance ai pescispada" che ha coinvolto centinaia di chef

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della costa orientale: nei loro ristoranti non viene servito il pescespada e i clienti vengono informati del declino di questo splendido pesce e della necessita' di nuove norme più efficaci per la sua salvaguardia.

A PESCA DI MEDUSEA pesca di meduse stanno andando i pescatori della Florida, convinti di poter trasformare una "piaga" in una miniera d'oro. D'estate, infatti le acque del golfo pullulano di meduse: una seccatura per i bagnanti ma una vera prelibatezza per i gourmet asiatici. E così nacque l'idea: pescare le meduse e venderle sui mercati orientali e soprattutto in Cina, Tailandia e Corea dove i celenterati fanno parte della cucina tradizionale. Dopo 13.000 dollari e cinque anni di sperimentazione, l'industria della pesca di meduse è oggi una realtà cui si sono convertiti i pescatori locali, rimasti senza lavoro per il declino degli stock di pesce pregiato.

Il Florida Labor Department ha approvato uno stanziamento di quasi 80.000 dollari per insegnare a 80 pescatori disoccupati come raccogliere, essiccare e conservare le meduse. La preparazione al consumo delle meduse richiede qualche settimana di lavoro: una volta essiccate (le meduse contengono l'85% di acqua), si separa la "testa" della medusa dai tentacoli, questi ultimi utilizzati come condimento in fiocchi. Il cappello viene quindi affettato in striscioline delle dimensioni di lacci da scarpa, per essere poi marinato nella salsa di soia prima di essere servito. Non mancano le polemiche degli ambientalisti, preoccupati perché le meduse sono la principale fonte di cibo per alcune tartarughe marine. La stessa industria ammette di non poter prevedere quale effetto la pesca intensiva potrebbe avere sulle popolazioni di meduse o di tartarughe.

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L'AGUGLIA IMPERIALEAvevo deciso di trascorrere una vacanza autunnale a Punta Secca, amena località sulla costa ragusana, ove ogni anno, da oltre trent'anni, mi trasferisco con la famiglia per le ferie estive. Se ne era parlato molto in estate e tutto era stato organizzato con Raffaele, mio antico amico che coltiva da sempre, come me, la passione della pesca. Dire che sia stato io a trasmettere a lui questa passione è certamente eccessivo: ma da me Raffaele aveva avuto incentivi ed emozioni quando, agli inizi, mi accompagnava nelle battute di pesca in mare aperto, che già da tempo praticavo, quasi sempre solo, su "Olivia", un gozzo di legno di 6 m. Nell'estate del '96 mi ero trovato senza barca ed avevo accettato la sua ospitalità a bordo di una barca in vetroresina, un po' bassa di fiancata, cui bastava una leggera maretta per proporti, in navigazione, una abbondante doccia, piacevole in estate ma sgraditissima in inverno! Raffaele, però, l'aveva attrezzata di tutto: perfino di un GPS satellitare, veramente utile per ritrovare senza fatica i posti rivelatisi più pescosi. In estate, perciò, si era parlato molto della pesca a traina da me poco praticata, preferendo dedicarmi ai palamiti da fondo o derivanti, al bolentino d'altura o alle reti da posta quando erano consentite. Raffaele dedicava invece molto tempo a questa attività, soprattutto in autunno e primavera, quando le catture erano più interessanti per la qualità, il numero ed il peso del pesce. Fu così che mi ritrovai con Raffaele, quel 30 ottobre del 1996, alle ore 11,45 in navigazione verso le lampugare.

Già da qualche giorno sia la traina con i suoi tonnetti, sia il palamito derivante con i pesci spada, ci avevano assicurato emozioni e catture, ma conservavamo intatto dentro di noi quel desiderio di avventura che, in certi casi impone il

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silenzio, consiglia la pazienza, conforta l'attesa, pur di sentire il cicalino del mulinello cantare mentre il filo si libera dal tamburo ed il pesce rende viva e pulsante la canna che lo trattiene.

Ogni rituale quotidiano era stato già compiuto: eravamo usciti tardi rincuorandoci con la presunta maggior pescosità legata alle ore di sole, come sostenuto da autorevoli esperti sulle riviste di pesca; ma lo "zaino tattico" era al suo posto con gli indumenti asciutti, le cerate e la frutta che, con un paninazzo di Schiacchitano (storica rivendita alimentare locale) rappresentava il nostro pranzo. Raffaele aveva già provveduto a sistemare la cinque canne che erano da qualche giorno le nostre inseparabili compagne, armandole con esche finte a forma di ottopodi dai colori sgargianti, secondo una disposizione ed una lontananza dalla barca che la sua esperienza gli suggeriva: tre canne pescavano in scia; due, le più esterne, fuori scia.

A circa 3 miglia dalla costa si attendevano le prime abboccate: il mare era calmo, con un residuo di onda lunga che faceva oscillare, in lontananza, le barche di altri appassionati dilettanti a pesca del grosso tonno rosso. Altra attrezzatura, altra barca, sedia da combattimento, prede sopra i 100 kg; le avevamo viste ed invidiate anche in quei giorni. Ed allora facevamo progetti per tener conto anche di questi desideri... Mentre discorrevamo, Raffaele virò dalla rotta abituale che ci portava quotidianamente a visitare tutte le lampugare entro le 12 miglia, per attraversare la zona dove i tonnaroli pasturavano con notevoli quantità di sarda per richiamare il tonno rosso dalle profondità del mare. Raffaele si era acceso mezzo toscanello, riservato ai momenti di più intensa attesa e timonava con attenzione per seguire la rotta ideale per non interferire con l'azione di pesca delle altre barche.

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All'improvviso la canna montata sulla fiancata destra cominciò a vibrare ed il mulinello come impazzito cedeva filo, mentre il cicalino aveva già riproposto il suo canto indimenticabile. Istintivamente mi alzai, sfilai la canna dal supporto e praticai una accorta ferrata, serrando leggermente la frizione. In quel momento mi resi conto che all'altro capo del filo lottava per la vita un pesce di taglia notevole: la canna da 30 lb e soprattutto il terminale dello 0,50 non consentivano di aver ragione di quella preda solo con la forza; bisognava usare tecnica, pazienza, astuzia e.... preghiere.

Iniziò così una lotta serrata fatta di fughe, recuperi, inabissamenti, larghe spirali intorno alla barca e dopo venti minuti avevo le braccia così stanche da chiedere a Raffaele il cambio per riposare qualche minuto. Ero veramente stanco: in quel momento non valutavo quanto era importante far partecipare l'amico che mi ospitava alla cattura di quella preda fuori dal comune: ero solo stanco. Ma non c'era tempo per le riflessioni: il pesce era ripartito portandosi via quasi tutto il filo che avevo così faticosamente mantenuto o recuperato e Raffaele non poteva più contrastarlo! Per aiutarlo misi in moto e mi predisposi a seguire il pesce nei suoi spostamenti, consentendo a Raffaele il recupero di parecchio filo.

Erano ormai le 12,50 e, mentre lottava, il pesce si produsse in uno spettacolare salto fuori dall'acqua e potemmo finalmente vederlo: una meravigliosa aguglia imperiale! Mai visto un'aguglia di quelle dimensioni! Alle 13,30 l'aguglia era a bordo, veramente splendida: l'avevo agganciata con un colpo di raffio, fortunato nella sua perfetta esecuzione, esattamente sotto la branchia destra, mentre, ormai sfinita, continuava a lottare strenuamente per liberarsi di quell'amo

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assassino. Siamo rimasti a lungo seduti, in silenzio, per recuperare il fiato stroncato dall'emozione e dalla fatica. Ma ogni tanto ci si congratulava a vicenda per l'inaspettata e strepitosa preda e, ripreso fiato, manifestammo all'aguglia tutto il nostro entusiasmo con ripetute carezze e alte grida di gioia. Neanche a dirlo, l'aguglia imperiale polarizzò l'attenzione, benevolamente invidiosa, degli altri appassionati pescatori locali e, comunque, suscitò la meraviglia di chiunque la vedesse.

Noi, a dire il vero, non abbiamo fatto nulla per nasconderla: anzi con un folto pubblico l'abbiamo misurata e pesata (2 m per 48 kg) e poi fotografata, rammaricandoci che non fossimo all'uscita di una cattedrale dopo la Messa di Natale. So già per esperienza che la vita, con il tempo, copre ogni emozione ed è per questo che non ho mai amato le fotografie, preferendo coltivare la memoria viva, aiutando cioè il cervello a conservare intatte le emozioni dei momenti più belli. Non so dire perché per l'aguglia imperiale ho fatto un'eccezione, chissà! Forse fu Raffaele ad insistereBARRACUDA A PONZA

AntefattoDall'inizio degli anni '90, diversi amici e io, tutti malati di "traino-mania", avevamo preso l'abitudine di fare ai primi di giugno una puntata nelle acque della Corsica sud-orientale. L'obiettivo era costituito dai dentici che, come avevamo casualmente scoperto, in quel periodo e in quella zona dimostravano una spiccata bramosia per le esche Rapala rimorchiate con il monel. Di solito, con la mia e con altre due

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o tre barche, partivamo da Civitavecchia la mattina presto e dopo poco più di cinque ore di navigazione eravamo in piena azione di traina nelle adiacenze degli isolotti del Toro e della Vacca. Poi, prima dell'imbrunire, accostavamo ed entravamo di volata nel profondo "fiordo" all'estremità del quale sorge la cittadina di Portovecchio con il suo attrezzatissimo approdo turistico; qui, dopo aver ormeggiato le barche, raggiungevamo a piedi e in cinque minuti un confortevole residence che a stagione balneare non ancora principiata aveva trovato conveniente anticipare l'apertura proprio per accogliere il nostro gruppo. Il pescato ce lo facevamo cucinare per noi; ciò che restava, quando restava, lo regalavamo ai locali e ai pochi turisti antesignani che ce lo chiedevano. Ricordo in proposito che nel 1995 c'era in porto una modesta barchetta a vela di 7 metri abitata da due coniugi inglesi anziani ma ben arzilli che stavano facendo con tutta calma il giro del Mediterraneo. Ebbene, la signora, che aveva capito subito l'antifona, ci aspettava tutte le sere per ritirare la sua quota di pesce destinata al desco di bordo. Anche a costo di qualche nostro piccolo sacrificio non la deludemmo mai! Tutto andava per il meglio quando una sera fummo aggrediti verbalmente dal "comandante" di una barca professionale, un energumeno mezzo ubriaco ma ben determinato, il quale, spalleggiato da una masnada di brutti ceffi anch'essi palesemente alticci, ci minacciò di mandare a fondo le nostre barche perché, diceva, stavamo prendendo troppi pesci! Ci sarebbero stati mille motivi per reagire di brutto ma, a scanso di equivoci (ossia per non trasformare un innocente divertimento in una probabile battaglia), la mattina dopo levammo gli ormeggi e ce ne tornammo in continente.

I fattiFine maggio 1996. Conciliaboli vari con i colleghi di battuta degli anni precedenti. Nessuno vuole correre il rischio di

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tornare in Corsica perché si è saputo che pure a Bonifacio si sono verificati nei confronti di pescatori sportivi episodi di intolleranza analoghi a quello appena descritto; d'altra parte, sulla base delle poche e contraddittorie notizie disponibili sull'istituendo parco marino de La Maddalena, siamo tutti perplessi sulla opportunità di fare una prova nei bacini settentrionali della Sardegna ove presumibilmente, data la breve distanza dalle acque della Corsica meridionale e la coincidenza del periodo stagionale, il comportamento dei dentici dovrebbe essere lo stesso dei loro colleghi francesi. Perciò quest'anno non se ne fa nulla. Sennonché, all'ultimo momento, si fa avanti Gianluca che da pochi giorni ha varato una nuovissima ed attrezzatissima barca nuova, il Mister Fish (Albemarle USA) e che non vuole rinunciare alla velleità di collaudarla subito in crociera e in pesca. "Io provo a Ponza, chi mi ama mi segua". Claudio, Titta ed il sottoscritto ci arruoliamo subito di buon grado.

Giovedì 6 giugno 1996. Alle sei del mattino usciamo dal marina di Riva di Traiano e alle 9,30 cominciamo a trainare nel tratto di mare che divide Ponza da Zanone. Come in Corsica in passato, peschiamo con il monel e con i Rapala; i terminali, lunghi una ventina di metri, sono di nylon dello 0,60. Seguendo le indicazioni del mappatore che ci segnala i rilievi più promettenti, cominciamo il solito andirivieni tipico della traina fra una secca e l'altra. Il mare è una tavola, azzurro e cristallino, il sole scalda ma non brucia, la vista del Circeo e delle isole Pontine con gli scogli e gli scoglietti che le attorniano è come sempre meravigliosa, la barca va che è una bellezza, la conversazione con gli amici è piena zeppa di battute e controbattute divertenti. Ma in fatto di pesca io mi sento scettico. A Ponza ci sono venuto tante tante volte, mai però in questo periodo dell'anno sul quale, per di più, nessuno dei colleghi che frequentano abitualmente il piccolo arcipelago mi ha mai detto qualcosa di interessante.

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Sarà...?! E, invece, ai bordi di una secca ubicata fra lo Scoglio Grosso e Zanone (fondale 22 metri), parte improvvisamente una canna. E' un dentice di due chili che ha dato incautamente credito a una aguglia Rapala 13 testa rossa. Come per incanto, le mie perplessità lasciano il posto ad un cauto ottimismo; e dopo appena mezz'ora, per la precisione alle 13,30, ecco ancora un altro dentice, questa volta di oltre quattro chili; brindando alla buona sorte rivolgiamo il nostro non amichevole pensiero all'energumeno conterraneo di Napoleone Bonaparte. A sera troviamo senza difficoltà un comodo attracco su uno dei pontili galleggianti di cui si è dotata l'isola. Prima di andare in albergo (il vecchio Mari completamente ristrutturato e modernizzato) incontriamo a banchina un antico e ben noto pescatore locale (di quelli leggendari che ancora oggi prendono pesci enormi con rudimentali traine a mano), il quale ci mostra due belle ricciole di oltre 15 chili l'una; le ha prese con l'aguglia viva ma, ci avverte, è però difficilissimo catturare di questi tempi. Andiamo a cena e nella vecchia, direi mitica, trattoria di Amedeo dove siamo quasi gli unici clienti, siamo serviti come papi.

Venerdì 7 giugno 1996. Ci alziamo presto ma, ragionando sulle due belle riccioline che abbiamo visto ieri sera, aspettiamo che apra qualche negozio di pesca per procurarci i vermi per le aguglie. Sappiamo infatti, per esperienza acquisita, che nei periodi di magra, quando cioè le "matassine" da sole non catturano, bisogna arricchirle con un bel vermaccione agganciato ad un minuscolo amo piazzato subito dietro ed a contatto con le matassine stesse. Verso le otto e mezzo tira su la saracinesca il primo negozio ove acquistiamo ben sei scatolette di coreani meticolosamente sigillate. Qualche minuto per applicare gli ametti a valle delle matassine e via di corsa verso uno dei più conosciuti "hot spot" da aguglia: le secche affioranti a

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meno di un miglio per SE da Punta Madonna. Apriamo le scatolette e constatiamo che i vermi sono tutti defunti come quasi certamente sapeva il negoziante che, approfittando della nostra fretta, ce li ha rifilati vantandone la freschezza. Comunque proviamo. Quattro leggerissime canne con matassine e vermi morti alternate via via ad artificiali diversi teoricamente in grado di accalappiare qualche altra esca idonea alla traina come occhiate, sugarelli, ecc.. Niente. Per farla breve buttiamo via tutta la giornata nel vano tentativo di procurarci l'agognato belonide o un suo valido surrogato. Naturalmente prima di arrenderci le proviamo tutte: piumette di ogni colore, cucchiaini piumati e non piumati, minuscoli e un po' più grandi, zavorrati e non zavorrati, terminali visibili solo con la lente di ingrandimento, periplo completo dell'isola con deviazioni varie. Al rientro in porto notiamo che, rispetto a ieri sera, il numero delle barche ormeggiate è aumentato considerevolmente: è la fase iniziale dell'imminente invasione turistica ormai consueta, con l'eccezione dell'inverno, nei giorni di sabato e domenica; ce lo conferma subito l'affollamento delle strade, dei negozi e di tutti i locali di ristorazione in genere.

Sabato 8 giugno 1996. Siamo usciti dopo le otto perché all'ultimo momento, sempre con la mente ottenebrata dal recentissimo ricordo delle grosse ricciole, abbiamo pensato di provare con le esche morte e siamo perciò stati costretti ad aspettare che la pescheria più mattutina si decidesse ad aprire. Scegliamo alcuni cefalopodi freschissimi di mezza misura che di solito, specialmente in queste acque, offrono un rendimento inferiore a quello del "vivo" ma comunque più che apprezzabile soprattutto nei confronti delle ricciole. Regoliamo l'andatura della barca al livello congeniale alla traina con esca morta: 3 nodi scarsi. Passano le ore ma non succede niente, tanto che, verso mezzogiorno, siamo tutti d'accordo sull'idea di togliere le seppie e di "riattaccare" con

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gli artificiali; abbiamo così la sorpresa di trovare una delle due seppie tranciata a metà. Strano, anzi stranissimo perché le cicale dei mulinelli sono sempre rimaste assolutamente mute: sembrerebbe l'opera di un grande ed astutissimo pesce serra; ma il fatto è che qui, a memoria d'uomo, i pesci serra non si sono mai visti. Perplessi e un po' frastornati montiamo due magnum Rapala CD di 14 cm e ripartiamo un'altra volta a quattro nodi. Il monel immerso è di 150 metri per la lenza di destra e di 110 metri per quella di sinistra. Verso le 13, nella solita zona in prossimità di Zanone, incocciamo un dentice di un paio di chili seguito dopo da un collega ben più cresciuto. Passa mezz'ora e canta nuovamente una cicala; mentre Titta leva rapidamente di mezzo la lenza non impegnata, Gianluca comincia a recuperare; sembra però poco convinto e ce ne spiega il motivo: non avverte le testate che, di regola, caratterizzano le prime fasi del combattimento con i nobili sparidi (alias dentici); ma il pesce c'è di sicuro perché ogni tanto la curvatura della canna aumenta vistosamente e il filo fuoriesce dalla bobina. Alla fine lo scorgiamo a una ventina di metri da poppa: è argenteo, oblungo, serpentiforme e scatenato. Non riusciamo ad individuarne la specie. Come lo vediamo in barca da vicino, restiamo tutti e quattro letteralmente allibiti: qui, in Mediterraneo centrale, abbiamo catturato un pesce che ha il suo habitat esclusivo in acque tropicali e subtropicali: un barracuda! Non è enorme ma pesa quasi cinque chili. La dentatura spaventosa ci permette di sciogliere ogni dubbio sull'autore della mutilazione, netta e precisa al livello della più alta chirurgia, subita dalla seppia. Come tutte le catture insolite ed impensate, anche questa ci manda letteralmente in visibilio in quanto - nel suo piccolo, anzi nel suo piccolissimo - avvicina il nostro modo avventuroso ma ragionato di andare a traina alle vicende ben più eclatanti di coloro che, nei secoli scorsi, cercavano di scoprire, navigando, terre fino ad allora sconosciute. E

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quel nostro entusiasmo, forse un po' sproporzionato ma pur sempre genuino, esplode nuovamente quando, alle quattro del pomeriggio, un altro "mostro" appartenente alla stessa specie resta a sua volta agganciato.

Abbiamo fatto la nostra quota e, pienamente appagati, rientriamo in porto. E qui troviamo una baraonda allucinante: barche che arrivano a frotte (da S. Felice Circeo, Terracina, Gaeta, Anzio, Nettuno e persino da Napoli) che non trovano posto e che fino a buio inoltrato continuano a girovagare in porto e in rada alla disperata ricerca di un ormeggio; nonostante il mare immoto e la completa assenza di vento imperversano le liti e c'è pure qualche urto con relativi danni. A terra la situazione non cambia: in tutti i ristoranti e trattorie c'è la fila per trovare un tavolo. Dopo cena (per fortuna avevamo prenotato per mangiare e per dormire) paghiamo i conti e andiamo a letto.

Domenica 9 giugno 1996. Alle sette siamo già in navigazione sulla via del ritorno verso Civitavecchia. Il mare continua ad essere una tavola ma c'è tanta foschia che non riusciamo neanche ad intravedere la pur alta isola di Palmarola che sorge poche miglia a sinistra della nostra rotta. Alle 11 sbarchiamo a Riva di Traiano.

ConclusioniPonza, come tutte le altre isole ed isolette degli arcipelaghi pontino e campano, è bellissima e, ben a ragione, tutto il mondo ce la invidia. La pesca sportiva dalla barca offre, anche nei periodi considerati morti, delle possibilità di tutto rispetto. Il segreto per pescare in pieno relax, senza cioè essere afflitti dal super affollamento marittimo e terrestre, è quello di evitare il pernottamento fra il sabato e la domenica; salvo il caso, si intende, di permanenze prolungate e bene organizzate. Un' accortezza valida per tutte le stagioni, ai fini

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di un più sicuro approvvigionamento di aguglie vive, consiste nel portarsi appresso un po' di vermaccioni di terra (lombrichi) che sopravvivono tranquillamente per molti giorni.Stiamo pensando seriamente di tornare a Ponza; non solo per i dentici e per le ricciole ma anche per vedere se ci riesce di scoprire qualcosa di più sulla "extraterritorialità" dei barracuda.

ALLE CINQUE DELLA SERA

I palloncini colorati danzano su un mare che non vuole essere nè generoso nè tranquillo. L'onda lunga viene presa al traverso da un venticello che crea increspature minuscole sulla superficie. Sembra che, nonostante la sapiente pasturazione, nessun pesce degno di nota voglia avvicinarsi alle esche che i palloncini sulla lenza tengono a profondità diverse. La barca di Steiner ci ha portato ancora una volta in Adriatico, a circa ventisei miglia da terra, per tentare la sorte con qualche bella preda. E' il terzo scafo che usiamo da quando sono incominciate le nostre uscite, il terzo di quelle "fishing machine" che sono nate per chi ama la pesca e la sicurezza a distanza dalla costa. Roberto Steiner sa che le sue imbarcazioni sono fra il meglio di quanto il settore della nautica sportiva possa offrire, e tuttavia non è mai interamente soddisfatto: nella sua testa girano idee, possibili innovazioni, soluzioni più raffinate, sia per l'attrezzatura di bordo che per i materiali ed i sistemi di pesca. E' per questo motivo che in barca non è mai del tutto rilassato: si guarda intorno durante i trasferimenti, sorveglia la strumentazione, e perfino durante l'azione di pesca si giurerebbe che stia riflettendo su come migliorare qualcosa.

La giornata è cominciata presto, con lo scambio di telefonate fra pescatori adriatici; poi la partenza con otto casse di sarde da pastura e altre delizie per i pesci di altura. Steiner ha

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deciso di operare con un'attrezzatura media. La canna è una Daiwa serie Tournament da 80 libbre, con anelli e base Aftco; il mulinello è un Daiwa serie Sea Line Tournament 80, con una lenza madre sempre da 80 libbre. La parte finale della lenza è il raddoppio, lungo 9 metri, eseguito con la stessa lenza madre da 80 libbre, cui segue il terminale di 3 metri in acciaio. L'amo - come dice Steiner - può essere 8/0 - 9/0 - 10/0, secondo l'esca e le prede potenziali. Per la pesca del tonno il terminale di 3 metri va benissimo, mentre nel caso dello squalo volpe sarebbe bene che il terminale fosse di 6 metri ed il raddoppio di 6 metri ugualmente. Questo perchè il pesce volpe può talvolta giungere ad arrotolarsi letteralmente nella lenza e, in questo caso, è preferibile che i colpi e l'abrasione siano affrontati dal filo d'acciaio stesso. La lenza madre viene unita al raddoppio tramite il "Bimini twist", un nodo sicurissimo e un po' complesso, che può essere sostituito dal nodo a treccia. Poi, con una solida girella si fissa il raddoppio al terminale.

L'innesco, oggi, è una sarda interamente infilata sull'amo dalla bocca fino alla coda, così da assumere una forma piegata. Ma c'è anche una seconda canna, un insieme molto più leggero che lavora in modo autonomo, con un innesco a due sarde disposte a T. Questa seconda attrezzatura serve per il colpo eccezionale: non si sa mai, abboccasse qualcosa alle 30 libbre potrebbe scapparci un record. La pasturazione è stata abbondante: eseguita a coprire una discreta superficie, studiando le correnti e la temperatura dell'acqua. Noi siamo in deriva, per cui la pastura deve essere abbondante: se, infatti, la corrente tira in una certa direzione, ad esempio da Est ad Ovest, ed il vento in senso opposto, lo scarroccio della barca si somma a quello della corrente e ci si può trovare in breve tempo con le esche del tutto fuori dalla zona pasturata. Se invece si pescasse con la barca ancorata, la pastura andrebbe solo in una direzione

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così da poter essere rimontata dalle prede potenziali fino alle lenze e alle esche. Inoltre, una pastura modesta di richiamo potrebbe essere gettata in mare addirittura a monte della barca, così da farla derivare verso le lenze man mano che scende.

Steiner calcola quanto scarrocciamo, poi con i motori al minimo compie un certo giro assai ampio e torna a monte della zona pasturata, gettando qualche sarda ogni tanto. Intorno non c'è segno di vita. Solo una barca a vela risulta visibile, piuttosto lontana.I grandi pesci che vorremmo non si fanno vivi. I palloncini punteggiano la superficie con il loro vivo colore, ma non accade niente. Dopo l'innesco delle sarde più fresche, la lenza è stata filata in mare e ad essa sono stati fissati questi simpatici galleggianti che hanno una notevole importanza. Infatti, secondo la pastura, la corrente, la temperatura dell'acqua, si decide a quale profondità far giungere l'esca perchè aumentino le probabilità di abboccata. Si manda tanta lenza per quanto il boccone deve scendere, poi si fissa il palloncino: l'amo cala per quanta lenza intercorre fino al palloncino che dolcemente ne blocca quindi la discesa.

Mentre cominciamo ad avvertire una certa sonnolenza, Steiner salta in piedi, afferra la canna da 30, e con una sfilza di imprecazioni fra i denti comincia a recuperare: c'è un piccolo squalo in fondo alla lenza, una verdesca (prionace glauca) di poco più di 50 centimetri, sottile ed impotente che fa quasi tenerezza. Si, squalo è squalo, ma una creatura che si accarezza. Viene slamata con amore, subito riossigenata, le viene applicata una targhetta dei dati e quindi liberata. La verdesca junior, anche se un po' sbattuta, si allontana ondeggiando quasi in superficie: arrivederci fra qualche anno! Il sole è pesante, il silenzio denso, le grandi prede latitano. E' difficile pensare che si potrebbe da un momento

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all'altro scatenare il finimondo. La contrarietà di Steiner gli si legge sul viso. A bordo tutti trovano una seduta più comoda; le macchine fotografiche vengono messe nella cabina di prua, compaiono i panini e le bottiglie e rinasce anche un po' di animazione.

Credere o non credere all'istinto? Dovremmo crederci per forza. Steiner, senza una ragione apparente, ad un tratto getta quel che gli resta di un panino, salta a prua e prende la lenza fra il pollice e l'indice scrutando la superficie. Che vuol dire questo? Chiama suo figlio, sempre attento ai movimenti del padre, e gli dice: - Arriva, ora arriva! - Non ci vogliamo credere, non può essere. E tuttavia, dopo forse tre minuti, senza che in superficie si noti niente, il palloncino forza sull'acqua, tenta d'immergersi ed esplode scomparendo. Sembra impossibile, ma la lenza va, va, vaaaa!- Cristo - grida uno di noi - c'è davvero!Il mulinello, con lenza da 80 libbre, è tarato fra 20 e 25 libbre di frenatura per il momento dell'abboccata. Steiner ha la canna in mano, ma asseconda l'uscita del filo. Le nostre grida di incoraggiamento sono da stadio, ma poi ci calmiamo per non disturbarlo. La ferrata c'è già stata è Steiner dice con voce rotta:- E' un tonno, ed anche grosso!Mentre viene recuperata l'altra lenza, sulla sedia a prua sta per iniziare il lungo momento della verità. Non è facile dire quanto tempo intercorra fra la prima fuga e quando il gioco del pompaggio cominci a recuperare lenza. Il tonno (perché è un tonno) ha fatto di tutto: è fuggito in orizzontale a lungo, si è fermato; la barca guidata da Steiner junior gli si è riavvicinata guadagnando spazio e consentendo di recuperare sul mulinello metri e metri; poi è fuggito ancora, ed ha tentato di scendere, ma canna, frizione, braccia e barca glielo hanno impedito; poi ha mutato direzione di fuga, costringendo a cambiare posizione alla canna fino a che la

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barca non si è rimessa con la prua sul tonno stesso; poi ancora verso il fondo contrastato dalla canna e dalla frizione; poi si è calmato. Il lavoro coordinato del pescatore e del timoniere più giovane dell'Adriatico ha domato il pesce, anche se non vuol dire averlo preso.

Il recupero di un grosso pesce è il risultato di una cooperazione fra l'angler e lo skipper che dovrebbe essere sempre perfetta. L'importanza dei movimenti della barca durante la lotta è determinante. Sulla lenza in fuga si può sfruttare il movimento dello scafo (quasi un inseguimento) per riavvolgere con una trazione minima. Chi ha la canna deve poter dare a chi conduce l'imbarcazione ordini fulminei, secchi e perfettamente comprensibili, su cosa fare: accelerare o rallentare, piegare a sinistra o a destra, indietreggiare, cambiare l'asse dello scafo rispetto alla lenza, e tutte le cose che un combattimento propone. Il tempo passa, ed il sole è già sceso abbastanza in direzione della terra. Mentre la lenza era all'inizio dell'avventura quasi orizzontale, quasi parallela alla superficie ed entrava in acqua laggiù, lontano, ora penetra in mare molto più vicina, con un angolo assai deciso: il pesce si sta avvicinando. E' il momento di tirarlo vicino alla barca, di pomparlo con maggiore decisione, a frizione più stretta e a canna piegata.

Steiner dice, con la voce rotta dal respiro affannoso, di prendere i raffi e di prepararsi. Escono un raffio diritto, dei raffi volanti con le grosse cime, e le domande: ma se uno sta alla canna, uno col raffio lungo, uno con la macchina fotografica, uno alla guida, chi aiuta a prua? Andiamo a poppa? Si lasciano i motori in folle e la barca in deriva.- Eccolo! - Il grido torna ad essere da stadio. Appare sotto un paio di metri d'acqua, grande, argenteo e bluastro, quasi incredibile, appoggiato su un fianco come infinitamente stanco. E' l'ultimo momento della verità: sarà davvero

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domato? Quando il primo raffio lo ferma ci si rende conto di cosa sia nella realtà: una forza ed una massa da fare paura, un'entità che ridimensiona l'uomo stesso che l'ha vinto con la sua astuzia e le sue tecniche raffinate.- Dio, che pesce! -Il resto non è più storia, ma cronaca. Il sole sta calando con quella rapidità che stupisce sempre chi sull'Adriatico non è nato. Il rientro è gioioso, fra birre e battute, ed il cupo ruggito dei motori. Il porto raduna la solita folla di curiosi, più o meno

competenti. In noi c'è un certo innegabile atteggiamento a minimizzare una giornata che è fra quelle indimenticabili: ma è solo la felicità grande che l'età non consente di esprimere beluinamente. Una signora si avvicina, guarda incuriosita e chiede:- Che pesce è quello? -- Una sardona! - risponde una voce ironica falsamente seria. Steiner, perdi il pelo, ma non il vizio.

L'ACROBATA DEL MAREEra il mese di ottobre e mi trovavo a passare nel porto di Riva di Traiano, vicino a Santa Marinella, e vidi tre lampughe di taglia modesta che nuotavano veloci, come è loro costume, vicino alla banchina, compiendo di continuo lo stesso tragitto, un ovale di trenta metri. Pensai che fosse il caso di montare sul Calafuria 7 e dare un'occhiata in giro per vedere se branchi di lampughe si aggiravano nella zona. Notai, appena uscito dal porto, circa due miglia al largo, un evidente movimento di gabbiani in picchiata sulla superficie. Preparai la canna da 8 lbs., con un piccolo mulinello a tamburo rotante e come esca un octopus di plastica verde luminescente. Alla seconda canna, da 12 lbs, dotata di mulinello 21/2 -0, applicai un finale di Ayaka dello 0,30 e un

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piccolo artificiale in plastica morbida bianca con codina mobile, già sperimentato con successo con i pesci azzurri.

Raggiunsi il luogo del banchetto giusto in tempo per notare, molto più al largo, due scene simili ma con moltissimi gabbiani che eseguivano volteggi e picchiate sulla superficie, tappezzata di bianca spuma. Un vento fresco di Nord-Ovest sollevava creste bianche sulle onde già formate, impedendoci di distinguere eventuali salti dei pesci, neppure con l'ausilio del binocolo.

Detti di nuovo motore per dirigermi in planata dove i gabbiani davano spettacolo della loro abilità di acrobati dell'aria. Questa volta ridussi la velocità a circa 300 metri dall'obbiettivo e filai in acqua le lenze con le

esche a soli 15 metri dalla barca, dove ancora era visibile la schiuma bianca prodotta dall'elica. Calai, a sei metri dalla poppa, anche un teaser (eccitatore) color madreperla con la testa rossa, sperando che svolgesse il suo compito di attirare le prede sotto la barca.Con i tonnetti e le palamite a "drifting", avevo sperimentato con successo la "doccia", un tubo di plastica con fori sottili ed alimentato da una pompa di acqua marina. Quella volta eravamo sopra un fitto banco di acciughe e gli schizzi provocati dalla piccola cascata artificiale simulavano le alici in fuga, trattenendo le prede sotto la nostra carena. Ma ora, prima di armare il marchingegno, volevo vedere qualche risultato, e poi per la pesca in corrente avevo come esche solo grosse sarde e volevo insistere con la traina.

Raggiungemmo il primo punto di mangianza, dove la superficie aveva dei riflessi madreperlati per le tante scaglie lasciate dalle alici in fuga da ogni lato, insidiate dal cielo da

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nuvole di gabbiani e dal blu del mare da corifene verdi-oro. A pochi metri dalla prua si formò una enorme palla di alici che esplose letteralmente per una carica dal basso delle lampughe lanciate all'attacco. La strage dal cielo venne interrotta dalla nostra presenza, con acute grida di protesta dei cacciatori alati. Vidi le lampughe a decine sfilare veloci lungo i fianchi dell' imbarcazione e poi entrambe le frizioni dei mulinelli trillarono senza interruzione. Lasciai filare il nylon della mia Italcanna da 8 lbs. senza toccare la sua frizione.

Improvvisamente il cimino tornò verticale con il filo in bando. Pensai ad una occasionale slamatura; poi mi ricordai di altre catture di lampughe e dei loro repentini cambiamenti di direzione. Recuperai il filo con la massima velocità

consentita dalla piccola leva del mio mulinello. Un salto improvviso a venti metri dalla poppa mi mostrò la mia preda in tutta la sua acrobatica bellezza. Di nuovo la canna si piegò ad arco e la corifena partì di slancio, incrociando la mia lenza con quella del mio compagno di pesca. Invertimmo rapidamente le nostre rispettive posizioni per disfare la X delle nostre lenze. Gianni, con il guadino nella sinistra, tentò il recupero della sua preda senza successo, per una sua ulteriore fuga verso il basso.

Anche se eravamo con l'invertitore a folle, temevo che il filo s'ingaggiasse tra l'elica ed il

timone. Presi con la mano sinistra la canna del mio amico invitandolo a salpare la sua lampuga con il retino, nel più breve tempo possibile. Nel contempo la mia preda, sentendo la tensione del filo più blanda, approfittò per una nuova fuga parallela alla superficie con spettacolare salto finale. Dopo

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pochi istanti anche il mio dorado raggiunse il pagliolo dimenandosi come un forsennato.

Calammo di nuovo le lenze in mare e dopo pochi secondi, la lenza di Gianni, quella con il pesciolino di gomma bianca, partì sibilando, mentre la mia rimase inerte. Decisi di cambiare esca, convinto della maggiore attrazione esercitata dall'esca bianca, più simile alla pancia bianca delle acciughe, ma il branco si era disperso e solo dopo un'altra ora avvistammo nuovamente il volteggio dei gabbiani sul mare, nostri validi alleati nell'azione di ricerca. Catturammo altre quattro lampughe per un totale di sette esemplari e decidemmo che il nostro carniere era più che sufficiente per permetterci una lauta cena con quegli amici malati come noi di questa inguaribile passione alieutica.

LAMPUGA (Coriphaena hippurus)

Nei secoli scorsi si credeva esistessero differenti specie di lampughe a causa delle notevoli variazioni morfologiche che si verificavano in questo pesce durante la crescita ed anche per il particolare dimorfismo sessuale. In effetti la forma della testa dei vecchi maschi si presenta con una cresta frontale molto accentuata ed il profilo del muso è quasi verticale. Curiosa la pinna dorsale che parte dall'altezza dell'occhio ed arriva fino alla coda senza interruzioni, di colore azzurro verdastro come il dorso; i fianchi sono argentei con riflessi dorati. Questi splendidi colori scompaiono dopo la morte; nel preciso istante del trapasso il dorso del pesce assume per pochi istanti una colorazione azzurro elettrico per poi diventare grigio argento. E' un pesce pelagico d'alto mare che compie spostamenti in branchi molto numerosi durante il periodo della riproduzione. Ha la curiosa abitudine, al pari della cernia di fondale, di fermarsi all'ombra di relitti ed altri oggetti galleggianti alla deriva. Alle Baleari viene in effetti pescato con reti di circuizione sfruttando questa sua

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stranezza, in prossimità di stuoie di canna preventivamente posizionate. La sua preda preferita è la rondine di mare con la quale gareggia in velocità sul filo della superficie; non disdegna però altri clupeidi, sarde, alici, sgombri, sugheri ecc. Abita tutti i mari tropicali e temperati del globo. Lungo le nostre coste loa si incontra a fine estate e durante l'autunno, specie nelle isole più a Sud dello stivale. Nel Pacifico sono state catturate lampughe di 45 chili, e si suppone che questo sia il massimo dell'accrescimento. E' un grande combattente e si dimena e salta oltre la superficie al pari di tutti gli istioforidi, e proprio per questo è una preda molto ambita da tutti i trainisti. Le sue carni sono bianche e molto delicate e quindi richieste sul mercato ittico.

PAGRI E GELOSIACapo Scalambri e la sua minuscola "isola": pochi scogli a formare un riparo naturale, rifugio di gabbiani e faedri, fondali ricchi di pesci, molluschi e ricci.Per chi transita sulla strada provinciale che va da S. Croce Camerina a Marina di Ragusa, è quasi doverosa una breve sosta a Punta Secca, e sono molti quelli che se ne innamorano. Per me l'amore dura dal 1967. Il paese, in inverno, sonnecchia. Per merito della nautica da diporto, negli ultimi anni sembra però aver ritrovato, anche durante la stagione fredda, la vivacità di un tempo, di quando esisteva, fiorente, la lavorazione della sarda. Il nucleo dei residenti abituali è aumentato, funziona per tutto l'anno un ottimo ristorante, il bar nella piazzetta del faro è stato rinnovato ed ampliato; ma, con l'inverno, l'atmosfera torna ad essere quella di tanti anni fa: si prende un caffè e si parla di pesca. Alla sera, il tressette e lo scopone accompagnano le

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lusinghe di questo mare e di questa gente schietta e appassionata, arsa dal sole, generosa e .... gelosa!

"Tussi e amuri nun si possunu ammucciari", dicono da queste parti. Ed è vero, non si possono nascondere; e, credo, sia impossibile descrivere compiutamente l'amore per il mare che c'è all'ombra del faro di Capo Scalambri. Amore che ha consentito la nascita di un circolo nautico e di un porticciolo turistico che favorisce lo sviluppo di una nautica da diporto particolarmente felice per il clima e per i ... pesci! La gelosia (per i pesci, s'intende) è un sentimento che qui si vive con bontà e che accresce lo spirito di emulazione, stimola la fantasia, fa compiere atti che sarebbero altrimenti incomprensibili. Ricordo ancora un' "insospettabile" che esibiva una cesta apparentemente piena di fragolini (pagelli) ma il cui fondo era stato sapientemente riempito con alcune spirali di una grossa cima. Eppure si trattava di un ottimo pescato, ma era scattata in lui la voglia di strabiliare e l'occasione era quella giusta.

Nessuno si sottrae a questo desiderio di esibire la preda né può trattenersi dal gettare un'occhiata furtiva e gelosa al pescato del vicino.Fino a qualche anno fa si era in pochi ad andare a pesca in quel tratto di costa antistante il Capo Scalambri. Ora siamo più numerosi e con ben altre barche ed attrezzature; ma i pesci continuano a rallegrare le nostre uscite in mare qualunque sia il tipo di pesca praticata.Nel periodo che mi torna in mente, nel quale alcuni pescatori sportivi non erano ancora riusciti ad individuare esattamente in quale punto della secca andavo a pescare i meravigliosi pesci pagri che portavo a terra, la mia barca, un gozzo di legno di circa 6 metri, era lenta e per sfuggire agli appostamenti uscivo ad orari sempre diversi, molto prima dell'alba, con le luci spente.

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Navigando alla velocità di circa 6 nodi a 245 gradi, il tempo d'arrivo era stimato in circa un'ora e trenta minuti. A metà del tragitto il mare aveva cominciato a muoversi ed il vento a rinforzare, ma io continuavo a navigare poiché il barometro che avevo ed ho ancora in casa, consultato prima di uscire, mi aveva confortato. I pesci volanti si libravano sotto la luce, fino ad allora maliziosamente spenta, concludendo il loro volo molto più avanti della prua. Strani pesci con il desiderio di essere uccelli.

Arrivato sul posto, attesi ancora per verificare le condizioni del mare; poi cominciai le operazioni di cala. Quando si è soli a bordo bisogna avere tutto predisposto ed a portata di mano. Calato il segnale e la bandiera, attesi che la mazzara di circa 3 chili scendesse a 114 metri di profondità e si adagiasse sul fondale fangoso; poi mi lasciai trascinare dalla corrente e dalla leggera maretta che già si era formata mossa dal vento e che mi portava verso levante. Innescavo velocemente, svolgendo rapidamente la lenza madre per anticipare l'uscita degli ami rispetto alla deriva della barca.Alle sei il palamito era tutto in acqua: 150 ami Mustad ritorti n°7 innescati con seppioline molto invitanti, esca meno profumata della sarda ma ideale per le profondità maggiori. Il mare continuava ad aumentare ed io mi lasciavo andare a corrente finché l'orza di levante era in vista, poi mi riavvicinavo: sapevo bene quanto poteva essere pericoloso perdere di vista i segnali. Scrutavo il sorgere del sole con fiducia, perché placasse il mare. Intanto, per due volte, si era avvicinato un branco di delfini, girando intorno alla barca facendo la ruota o correndo sotto l'onda di prua, mentre mi riaccostavo al segnale.I delfini non sono un incontro difficile in quel tratto di mare. In un'occasione, proprio nell'agosto del 1995, Simone, giovane amico surfista, ospite a bordo per una battuta di pesca, aveva guardato a lungo un delfino, occhi negli occhi, steso

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sulla tuga di prua mentre il delfino pinneggiava sotto la barca. Credo che non lo dimenticherà per tutta la vita!

Il mare, dicevo, continuava ad aumentare e la prudenza mi suggeriva di tornare rapidamente a terra. Temevo però di non ritrovare i segnali: allora il GPS era ancora poco utilizzato, io comunque non l'avevo, ed il rischio era concreto. Ma la situazione peggiorava facendo pensare ad un fenomeno locale, ma non per questo meno pericoloso, ed alle otto le condizioni del mare non mi avrebbero consentito comunque il recupero dell'attrezzo, soprattutto perché ero da solo.Misi a malincuore la prua verso il faro ma il vento da ponente mi investiva già con discreta forza e qualche ondata andava "accompagnata" timonando con accortezza.Arrivato sottocosta il fenomeno si era attenuato consentendomi di entrare nel porticciolo usando l'ingresso di ponente. Con mare già formato era impossibile entrare a ponente e bisognava, allora, utilizzare l'ingresso a levante, attendendo accanto al riparo dell'isola che l'onda spianasse per attraversare a tutta velocità un breve tratto di mare e rifugiarsi nel porticciolo.

Pietro era l'unico pescatore professionista della zona; uomo che ancor oggi, ancorché affiancato da altri che traggono dal mare le maggiori risorse per vivere, considera il mare come un amico da amare e da rispettare.E fu a lui che mi rivolsi per tornare, nel primo pomeriggio, a riprendere il palamito. Il mare era calato e di molto, le previsioni erano buone; ma la leggera maretta rimasta, che al largo poteva essere maggiore, consigliava di essere in due per superare eventuali difficoltà di manovra durante il recupero.Navigavamo in silenzio. Il mare sembrava fatto di vetro frantumato che luccicava al sole creando effetti di luce

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strabilianti. Ero in pensiero per i segnali e Pietro scrutava l'orizzonte con la sua vista acuta e, soprattutto, abituata dall'esperienza. Guadavo quell'uomo semplice e pensavo alla sua vita, alla perenne convivenza con il mare, alla sua abile manualità per affrontare ogni riparazione sulle barche o sui motori, alla capacità di usare l'ascia da intaglio.

La bussola continuava a dirmi che la rotta era giusta, ma i segnali non si vedevano. La tensione si allentò quando Pietro avvistò il segnale di ponente. L'altro segnale, cioè quello calato a levante, non si vedeva. Recuperando la mazzara la trovai pulita, ossia priva di quelle tracce di fango che avrebbero dovuto esserci.Avanzammo l'ipotesi che a causa della corrente e del mare, la pietra fosse risultata leggera ed avesse scarrocciato. La lenza madre, in effetti, non seguiva più la traiettoria nella quale l'avevo calata al mattino; anzi tendeva a disporsi verso il largo. Alzando gli occhi vidi l'orza di levante, almeno così l'avevo calata, e capii che il palamito aveva effettivamente scarrocciato fermandosi poi a ridosso dei primi scogli della secca. Sembrava però sufficientemente steso per essere recuperato senza danni: non pensavo di trovare pesci. Il primo colpo lo avvertii dopo una ventina di ami: era un colpo deciso e prolungato, tipico del grosso pagro quando dà una testata verso il fondo per liberarsi dell'amo che lo trattiene. Poi la lenza madre si "incaramò" al fondo, presumibilmente incastrandosi sotto qualche roccia. Usando il cordino da 1,2 mm, la probabilità che si recidesse era molto più che un timore.Pensai che potevano esserci altri pesci ma non avevo scelta e provai a tirare tenendo la barca in linea più a ponente, per favorire la eventuale fuoriuscita del filo da sotto la roccia.

Pietro mise in atto ogni manovra che la sua esperienza consigliava ma, come si temeva, il filo si ruppe; il pesce,

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però, lo sentivo ancora e dopo un po' un bel pagro di oltre dieci chili affiorò ad una trentina di metri dalla barca. Lo recuperammo andando poi a salpare l'altra orza, navigando verso il largo.Liberata la pietra dal fondo, cominciammo il recupero del palamito. Avvertivo delle vibrazioni sul cordino, molto teso ed appesantito, ma la corrente ci favoriva e non c'erano segni di ulteriori "incaramatine". Trascorse un quarto d'ora circa e ci trovammo davanti agli occhi lo spettacolo che ogni pescatore sogna da sempre: una fila di pesci allamati al palamito, che galleggiava ormai tutto in favore di corrente, sembrava venirci incontro gioiosamente mandando luccichii argentei e rosati. Salpammo ben sei pagri, tutti di notevole taglia, e tre gallinelle di circa sette-otto chili, da aggiungere al primo pagro. Il rientro al porticciolo suscitò le normali "invidie" fra i pescatori e diede luogo ai commenti sull'abilità dei protagonisti ma chiamando, altresì, in causa la fortuna, in tutte le sue accezioni. Personalmente, credo che il mare offra prima o poi, a chi lo ama e lo rispetta, la grande emozione, non necessariamente riferita alla pesca, oltre a quelle quotidiane che sono eterne come il suo movimento. Pensa che molta di questa gente provi, all'ombra del faro di Capo Scalambri, la gelosia degli innamorati. Perché sono tutti innamorati del mare e di come distribuisce i suoi doni: ecco perché sono gelosi di un pesce che non hanno preso o di un'alba che non hanno visto. Ma il dono più grande lo ebbe il padre di Pietro che morì, vecchio, come aveva sempre sperato da giovane: seduto su uno scoglio a guardare il "suo" mare.Lo stesso mare che continua ancor oggi a regalare pagri meravigliosi ed a suscitare le medesime emozioni nei giovani che rinnovano in lui la passione per l'avventura.

PER UNA SARDINA IN PIÙ...

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Questo mi è venuto di pensare guardando a prua sulla mia piccola barca (un Boston Whaler 15 piedi) il corpo senza vita di un tonno di una sessantina di chili. Infatti, un pesce del genere, tutto muscoli e velocità, nella foga di nutrirsi è stato beffato da una piccola sarda che, in mezzo a tante altre divorate avidamente, nascondeva l'insidia di un robustissimo amo solidale alla mia lenza.

Questo tipo di pesca detto "drifting" è molto sportiva: si effettua da fermo, il pesce mangia a corto, nel pieno delle sue forze, e le attrezzature sono tarate per sforzi di gran lunga inferiori a quelli che dovranno poi affrontare (la mia lenza è da lbs. 50, circa kg 22); essa è montata su di un mulinello Penn Senator 9/0 che ne contiene 500 metri; anche la canna di fibra di vetro vuota è da lbs 50. Il finale di lenza si raddoppia per circa 10 metri, quindi una girella robusta ed un terminale di nylon lungo circa 3 metri di mm 1,60 di diametro. Ma per ottenere un successo e non correre il rischio di farsi male, il corredo della barca deve essere completato da un seggiolino girevole con bicchiere portacanna con snodo cardanico, spallaccio per tenere solidale canna e mulinello alla propria schiena, un paio di robusti guanti, un poderoso raffio possibilmente del tipo "volante" (il gancio si sfila dal bastone rimanendo assicurato ad una robusta cima). Non deve mancare un buon coltello da usare prontamente in caso di emergenza: è meglio tagliare la lenza che rischiare il peggio.

Nei primi giorni d'agosto nell'ambiente dei pescatori di traina si diffonde la notizia di un ottimo passo di tonni lungo le coste tirreniche, con qualche buona cattura e diverse prede mancate.Decido di provare con il mio Boston Whaler, lungo le coste dell'Argentario dove è stato segnalato il

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passaggio di tonni. Dopo gli ultimi ritocchi alle attrezzature, procurata la necessaria scorta di sardine, alle ore 7 circa siamo in mare, mio figlio Paolo, un nostro amico ed io. Non sto a ripetermi nel descrivere la parte preparatoria della pescata, ma quando l'orologio ci dice che sono trascorse in attesa più di tre ore, siamo sul punto di rinunciare ed andare a fare un bel bagno sulla spiaggia, anche perché il mare è leggermente mosso. Ma il sottoscritto prima di cedere vuole effettuare un ultimo tentativo cambiando posto, anche perché un grosso peschereccio sta portando avanti il suo sacco non lontano da noi: chissà che dietro non ci siano dei tonni attirati dal pesce che normalmente sfugge alla cattura.

Proviamo, ci fermiamo in questo nuovo tratto di mare ed improvvisamente, sono le 14 circa, lo scandaglio ci mette in allarme: siamo su un fondale di 84 metri e a 30 metri dalla superficie una sfilata di bei pesci procede sotto di noi. Abbasso l'esca a quella profondità ed ecco la ferrata, scoppia il palloncino, parte velocemente la lenza, dandomi appena il tempo di sedermi sulla sedia girevole piazzata sulla prua della barca: sono le 14.10. Il rocchetto del Penn 9/0 scorre ad un ritmo sostenuto tanto che stimo aver in mare oltre 200 metri di lenza; è il momento di opporre resistenza onde capire di che entità sia l'esemplare allamato, stringo un po' la frizione, trattengo con la mano sinistra la lenza sull'impugnatura della canna e comincio a pompare per quanto possibile. La resistenza è forte ed infatti mio figlio, al timone della barca, mi avverte che stiamo filando via, trainati alla velocità di più di un miglio. Nella mia mente cominciano i timori: l'attrezzatura che certamente non è all'altezza di questa cattura, resisterà o al primo strappo più vigoroso cederà? Meglio andargli incontro derivando lateralmente

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per fiaccarlo o fermarsi e cercare di combatterlo da fermo?

Proviamo alternativamente i due sistemi ma sono trascorse più di due ore senza un cenno di resa. Come può essere che il tonno catturato dieci giorni prima, malgrado la sua mole, abbia lottato per un'ora venendo in superficie quasi immobile? Questo quanto mi passava per la mente in quel momento e che mi faceva concludere che avevamo agganciato un grosso pesce oppure un combattente eccezionale. Per abbreviare i tempi stringo ancora la frizione, dò un'energica pompata portandomi completamente all'indietro ma ottengo ben poco: il pesce riparte, mi fa girare sulla sedia da sinistra a destra e nel mezzo di questa azione si rompe un moschettone dello spallaccio! Me lo tolgo, lo getto all'indietro ordinando di aggiustarlo alla meglio; ma velocemente e contemporaneamente mi accorgo che anche il bicchierino della sedia da combattimento (probabilmente non ben serrato) aveva perduto uno dei quattro bulloni di fermo, anche questo per la forte pressione della canna verso il basso. Riparati i danni è ora di farla finita, stringo del tutto la frizione per obbligare il pesce a cambiare direzione, altrimenti finiremmo a Giannutri.

Metto in atto questo proposito ma la grande resistenza al di là del filo mette a durissima prova l'attrezzatura e la mia forza fisica: io sono stanchissimo ma non chiedo il cambio; la canna è curvata al massimo, il mulinello è caldo dalla parte dei dischi-frizione. Cosa fare? Tra un'ora sarà scuro, a bordo due su tre decidono di tagliare la lenza e tornare in porto. Naturalmente il terzo, di parere contrario, sono io; faccio mettere la retromarcia visto che il mare è calmo e possiamo

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procedere lentamente verso Porto Ercole, ma la velocità è tale che il commento è unanime: "Sono curioso di vedere come finirà quest'avventura" borbotta tra sé e sé il mio amico ospite. Siamo ormai nel buio totale ma quando superiamo la Punta Avvoltore tiro un sospiro di sollievo: siamo ormai vicini al porto e lì tutto sarà più facile.

Ore 20: procediamo con il pesce che in effetti non oppone più la resistenza di prima; è a 20 metri dalla barca tirando sempre verso il fondo ma, quando effettua un ultimo tentativo di fuga, resisto a stento alla tentazione di tagliare la lenza!Finalmente siamo all'imboccatura del porto. In questo basso fondale il mio "antagonista" tenta il tutto per tutto, incomincia a girare in circolo trascinando la barca, tanto da constringerci a mettere in moto per assecondarlo ed evitare che la lenza finisca nell'elica. Ma ecco il mio amico pescatore, con il suo gozzo ed una potente lampada; il tonno lo vediamo scorrazzare sul fondo melmoso del porto, è grosso e non domo del

tutto. "Attenti a che non vada ad impigliarsi nei corpi morti, ancoraggio dei pescherecci" si ode nel buio "forse sarebbe stato meglio portarlo su di un vicina spiaggetta".

Ormai la lotta deve finire, recupero tutto il filo sino all'ultimo pezzo "porta-amo" collegato alla lenza madre con una girella a spillo, ma nell'ansia avvolgo troppo sino ad incastrare questa spilla nell'apicale della canna stringendola nei due rullini così da farla aprire; come me ne accorgo un brivido mi sale lungo la schiena e un grande senso di sgomento mi assale; che fine

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ingloriosa! Con la forza della disperazione afferro il finale ormai libero completamente, lo tiro con tutte le mie forze e riesco ad annodarlo alla battagliola della barca. Ho vinto, tiriamo in tre persone, accostiamo il pesce alla barca, lo arpioniamo sopportando una doccia indesiderata procurata dal battere violento della sua coda, lo issiamo a bordo dove manda in aria ciambella di salvataggio e quant'altro nei paraggi; solo un colpo di stiletto nella testa lo finisce. E' un esemplare di circa 60 chili, ed a detta di chi ne sa più di me, trattasi di un maschio, molto più combattivo delle femmine e anche di pesci più grossi.

Questo combattimento veramente sportivo, durato esattamente otto ore, mi ripaga ampiamente della fatica sostenuta poiché certamente il pesce ha avuto molte possibilità di sfuggire alla cattura. Dovrebbe essere sempre così, specialmente quando si catturano pesci così belli e forti che non meritano di cedere ad un amo appeso ad una corda collegata ad un grosso galleggiante: questo non è sport! Chi ha provato a catturare tonni con questo sistema non lo faccia più, e chi volesse tentare non lo faccia: rispettiamo la natura e queste sue stupende creature mettendoci sempre nelle condizioni di combattere lealmente.

LE SORPRESE DELLA TRAINA

Stiamo trainando a spigole sulle ben note secche di Macchia Tonda, poco più a sud del castello di Santa Severa, situato a soli 40 km da Roma. E' il 3 marzo ed una Tramontana tesa ci fa ben sperare sull'esito della pesca, anche se la prima spigola catturata alle ore 9,30, quando il vento ha rinforzato, arriva a malapena al chilo. Lo scorso anno nello stesso periodo ed in simili condizioni di mare dopo una violenta

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mareggiata, spianata in poche ore da una forte tramontana, catturammo ben quattro spigole, tutte di taglia rispettabile. Stiamo trainando con il dacron piombato e due Rapala Sinking che ci hanno sempre dato ottimi risultati. Le due Cartagena da 4-16 libbre della Italcanna, in fibre composite, ci permettono di "leggere" sul cimino il movimento dell'esca. Improvvisamente una delle due canne si piega notevolmente facendo sfrizionare il mulinello Shimano a brevi tratti. L'arco costante del cimino e la mancanza di reazioni a strappo ci fanno supporre di aver agganciato sull'esca un ciuffo di posidonie o, come spesso accade nei nostri mari, una busta di plastica portata dalla corrente a mezz'acqua. Recuperiamo lentamente, diminuendo la velocità del fuoribordo per facilitare il recupero stesso. Grande è la sorpresa quando vediamo affiorare in superficie un enorme calamaro che ha afferrato l'aguglia Rapala con entrambi i tentacoli predatori. Il mollusco ha accusato al peso kg 1,8 ed una volta cucinato al forno, non ci ha fatto rimpiangere la mancanza di spigole.

Una sciabola dalle tenebre

Abbiamo circumnavigato tutta l'isola del Giglio, a velocità di traina, calando le esche a differenti profondità, senza sentire neanche una toccata. Eppure alle 7,30, appena giunti nei pressi della punta sud, meglio nota come punta Capel Rosso, abbiamo visto sciamare in superficie un fitto branco di aguglie, inseguito da enormi groppe di argentee ricciole, non inferiori ai 20 chili.

Non abbiamo incontrato difficoltà nel catturare le aguglie e per ben tre volte abbiamo afferrato delle prede misteriose che dopo pochi secondi ci hanno lasciato con un palmo di naso e due terzi di aguglia sulla montatura, priva della parte caudale, un centimetro dietro l'amo posteriore. E' quasi una

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beffa: non riesco a credere che le ricciole si rechino al loro pasto con il metro pieghevole fra le pinne e mangino con questa precisione millimetrica, tanto da eludere i tre ami delle nostre esche. Peraltro tutte le ricciole di mole che ho catturato nella mia vita di trainista hanno sempre afferrato uno dei due ami di testa. Gianni, il mio compagno di pesca, ne ha le scatole piene e mi sollecita a mettere la prua verso Porto Ercole; ma io voglio andare fino in fondo al mistero, in tutti i sensi, e voglio tentare un altro passaggio sulla batimetrica dei 57 metri proprio davanti a Capel Rosso, utilizzando invece del monel, insufficiente per questa profondità, l'affondatore vero e proprio con una zavorra da 8 chili. Mi devo sbrigare per vincere la gara con il sole che sta ormai tramontando ed innesco sull'ultima aguglia mantenuta in vita nella vasca di bordo, un amo supplementare sulla coda, legato con un sottile filo. Non passano più di 10 minuti e la lenza del mio Penn International 30 TW si libera dalla pinza del "down riggerr". Questa volta la misteriosa preda resta ferrata e si fa recuperare senza tanta resistenza. Agli ultimi bagliori rosati del tramonto un nastro argenteo con due grandi occhi sfila in superficie: è un lungo pesce sciabola! Era lui e gli altri suoi fratelli che per tutto il giorno si sono divertiti a troncarci le esche, a filo dell'amo posteriore, senza rimanere ferrati.

Grandi esche, piccole prede!

Il cimino sensibile della canna da traina, tipico nelle canne multilibbraggio, aiuta nell'individuare alghe o piccoli detriti sull'esca ed anche modesti predatori d'insolita voracità. Le foto commentano meglio come piccoli pesci possano a volte avventarsi su un'esca anche più grande di loro. E' il caso della piccola perchia che si è avventata sull'aguglia Rapala, rimanendo ferrata. La tracina invece è stata attratta dall'aguglia viva ed è probabilmente arrivata prima dei

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dentici che avevamo localizzato, proprio davanti a Capo Teulada in Sardegna, su un fondale di sabbia e roccia di circa 30 metri.

Mi è anche capitato di catturare una cavagnola che era la metà dell'esca ed uno sgombro più piccolo del cucchiaio che stavo trainando.Un dentice di 5 kg come esca!Stavo trainando nei pressi di Stintino, lungo la costa rocciosa del mare di fuori, con un occhio allo stato del mare in repentino aumento per il Maestrale che stava montando a velocità incredibile. Le rocce nere del litorale sono taglienti come coltelli e, se si ferma il motore, fidarsi di un' ancora calata a 30 metri è pura utopia. Avevamo già a bordo un dentice di modeste proporzioni, non sufficiente per la cena programmata con un gruppo di amici per il giorno successivo. Proprio mentre stavamo per tirare le lenze a bordo e rientrare prima che la violenza del mare ce lo impedisse, il Penn Senator 6/0 della canna di destra cominciò a cantare. Poi le classiche testate di un dentice di grossa taglia che impegnò Gianmario ad un recupero calibrato ma con la ferma sensazione di averlo già a pagliolo. Improvvisamente la canna si piegò con un arco più pronunciato e la frizione lasciò scorrere la lenza in acqua

alla stessa velocità della nostra barca. Il mio amico si esibì allora in una garbata serie di imprecazioni non proprio da educanda, convinto di aver pescato, come usava dire lui, la

Sardegna. O meglio era convinto che il dentice, nell'estremo tentativo di difendersi, si fosse arroccato. Io ritornai sulla mia rotta mentre Gianmario recuperava un bel po' di lenza. Eravamo quasi a picco sul luogo del "fattaccio" e dopo un curioso tira e molla, la lenza si liberò con la nostra delusione.

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Improvvisamente la canna si animò di nuovo e la lenza ripartì con strappi improvvisi. Il dentice c'era ancora o chi per lui. Agganciammo la preda, una volta sottobordo, e ci rendemmo conto che il nostro dentice era di oltre 5 chili. Aveva sulla parte ventrale la pelle strappata ed alcuni fori causati da una enorme murena che aveva ingaggiato con noi il tiro alla fune, cedendo un metro per recuperarlo un attimo dopo.

L'ora del barracuda

E' incredibile come alcuni abitatori del mare rispettino così scrupolosamente gli orari per la colazione e per la cena. Uno di questi è il luccio di mare o barracuda mediterraneo, vorace predatore che predilige per i suoi spuntini l'alba e il tramonto. Dopo una serie di ferrate a vuoto con l'aguglia tranciata in due parti, sempre allo stesso punto della costa ed alla stessa ora, decidiamo di metterci di punta per svelare il mistero del predatore del tramonto, dispettoso come una scimmia con la sua mania di tranciarci le esche in due parti, quella con gli ami per noi, e quella senza per il suo palato da intenditore. La sua puntualità ci sconcerta: è quasi possibile rimettere l'ora esatta sull'orologio! Imbottiamo un'aguglia di ami e dopo due passaggi ferriamo una preda che, dopo una discreta reazione iniziale, si lascia recuperare senza opporre resistenza. Una volta a bordo, il barracuda si dimena con violenza, mostrando le sue fauci ben provviste di denti conici. Il giorno dopo, stessa scena, stessa ora, stessa preda. C'è da chiedersi se questi barracuda vengano dalla

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Svizzera invece che dal Mar Rosso.

Traina a sorpresa sulle secche degli alti fondali

Trainare con l'affondatore sul ciglio o sul sommo di secche emergenti da fondali notevoli, è la prima regola per il pescatore che ama le grosse prede a sorpresa. Si possono catturare dentici mostruosi, ricciole come siluri, meno frequentemente squali, lecce, tonni ed anche cernie di mole considerevole. In Senegal, in Tunisia, in Grecia ed anche in Sardegna, ho pescato numerose cernie sia con il totano che con l'aguglia viva, trainando a velocità ridottissima per raggiungere i 50, i 60, ed anche i 70 metri di fondo, dove abitano i cernioni di oltre 30 chili. Bisogna disporre di un ecoscandaglio con un buon numero di pixel ed una discreta potenza e mettere spesso in folle per permettere all'esca di affondare fino in fondo. E' un tipo di traina che rasenta il "drifting" in corrente ed è attuabile solo se si dispone di un buon affondatore. Spesso si perde tutto il marchingegno della zavorra e del finale sul fondo; ma quando si riesce a far salire la preda di qualche metro evitando l'arroccamento, l'esito della pesca è scontato. Le grandi cernie, una volta che la vescica natatoria per effetto della depressione si dilata, vengono verso la superficie senza grandi problemi. In Tunisia catturai una grossa cernia che però quasi a fine recupero si liberò per la rottura del finale di nylon che si era logorato sulle rocce nella fase iniziale della lotta con il serranide. Rimasi sorpreso quando, già convinto di aver irrimediabilmente perso il mio cernione, me lo vidi affiorare in superficie con il ventre dilatato per la differenza di pressione.In Senegal catturai una cernia di 43 chili con una enorme aguglia, ma il recupero fu particolarmente faticoso: la cernia venne in superficie con la bocca spalancata ed il ventre gonfio di acqua, opponendo una resistenza fuori dall'ordinario.

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