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Annarosa Dordoni San Giuseppe padre, educatore e capo della Sacra Famiglia in età tridentina e post-tridentina (secoli XVI-XVII) 1. Il padre ritrovato Se la valorizzazione della figura di san Giuseppe promossa nel XV secolo da Gerson (ma anche con modalità diverse da Bernardino da Siena e da Bernardino da Feltre) lasciava intravedere la tensione di una società “alla ricerca del padre” 1 l’epoca tridentina e post-tridentina può apparire il tempo del “padre ritrovato”. Al di là delle formule, magari suggestive ma pur sempre semplificatrici, sta il fatto che nei secoli XVI e XVII il rafforzamento del principio gerarchico e delle preoccupazioni normative, operatosi dietro la spinta delle istanze disciplinatrici della società ecclesiastica e civile, comportò anche un’accentuazione della figura paterna, che si riverberò nell’enfasi attribuita al ruolo di san Giuseppe come guida, educatore, capo autorevole e vigile della Sacra Famiglia. Questa attenzione al ruolo paterno di san Giuseppe appare allo stesso tempo come l’approdo di un processo che prende le mosse da san Bernardo, cantore delle sollecitudini paterne di san Giuseppe; si colora, attraverso la sensibilità francescana e l’influsso delle Meditationes pseudo-bonaventuriane, di accenti intimistici e si arricchisce quindi di una vena di realistica quotidianità a contatto con gli ambienti di 1 Cfr. P. PAYAN, Pour retrouver un père. La promotion du culte de saint Joseph au temps de Gerson , in «Cahiers de recherches médiévales (XIII e -XV e siècles)», 4 (1997), pp. 15-29; ID., Joseph. Une image de la paternité dans l’Occident médiéval , Paris, Aubier, 2006.

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Annarosa Dordoni

San Giuseppe padre, educatore e capo della Sacra Famiglia in età

tridentina e post-tridentina (secoli XVI-XVII)

1. Il padre ritrovato

Se la valorizzazione della figura di san Giuseppe promossa nel XV secolo da Gerson (ma anche con

modalità diverse da Bernardino da Siena e da Bernardino da Feltre) lasciava intravedere la tensione di una

società “alla ricerca del padre”1 l’epoca tridentina e post-tridentina può apparire il tempo del “padre

ritrovato”. Al di là delle formule, magari suggestive ma pur sempre semplificatrici, sta il fatto che nei secoli

XVI e XVII il rafforzamento del principio gerarchico e delle preoccupazioni normative, operatosi dietro la

spinta delle istanze disciplinatrici della società ecclesiastica e civile, comportò anche un’accentuazione della

figura paterna, che si riverberò nell’enfasi attribuita al ruolo di san Giuseppe come guida, educatore, capo

autorevole e vigile della Sacra Famiglia.

Questa attenzione al ruolo paterno di san Giuseppe appare allo stesso tempo come l’approdo di un

processo che prende le mosse da san Bernardo, cantore delle sollecitudini paterne di san Giuseppe; si

colora, attraverso la sensibilità francescana e l’influsso delle Meditationes pseudo-bonaventuriane, di

accenti intimistici e si arricchisce quindi di una vena di realistica quotidianità a contatto con gli ambienti di

un’attiva ed emergente borghesia cittadina. Basti ricordare alcune testimonianze iconografiche fiorite nel

Nord e centro Europa (in particolare in Borgogna, Germania, Fiandre), spesso influenzate dalla devotio

moderna, dove san Giuseppe esprime la sua intima partecipazione alla vita della divina famiglia prestandosi

a compiere mansioni umili e concrete, come preparare la zuppa o attizzare il fuoco, e gesti di paterna

sollecitudine.

Il percorso che porta all’affermarsi, nel Cinquecento, della centralità di san Giuseppe si snoda all’insegna

della continuità, ma anche della discontinuità. Aspetti tradizionali, infatti, permangono e si intrecciano ad

1 Cfr. P. PAYAN, Pour retrouver un père. La promotion du culte de saint Joseph au temps de Gerson , in «Cahiers de recherches médiévales (XIIIe-XVe siècles)», 4 (1997), pp. 15-29; ID., Joseph. Une image de la paternité dans l’Occident médiéval, Paris, Aubier, 2006.

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altri inediti, suscitati dal nuovo clima storico, religioso, culturale. In esso gioca un ruolo anche l’evoluzione

del modello di famiglia che, già avviata nel secondo Quattrocento2, si afferma e si apre a nuove prospettive.

Anche il tema iconografico della Sacra Famiglia permette di cogliere, nel suo modularsi, un riflesso di tale

evoluzione. Il passaggio dalla Sacra Parentela alla Sacra Famiglia, iniziato già nel XV secolo, si va

consolidando nel XVI, quando, marginalizzati o esclusi i personaggi secondari, come sant’Anna, san

Gioacchino e santa Elisabetta, l’attenzione si concentra sul nucleo familiare rappresentato da Gesù, Maria e

Giuseppe, all’interno del quale la figura del padre detiene un posto centrale.

Sempre più frequenti sono le scene che esaltano la tenerezza e il vigore di Giuseppe, rappresentato

mentre tiene tra le sue braccia Gesù e lo sorregge3 o mentre - nella veste di nutritor - gli porge un frutto o

un ramo di ciliegie4. Quest’ ultimo particolare ricorre soprattutto nella rappresentazione della fuga in Egitto

o del riposo durante la fuga, tema che conosce una crescente fortuna proprio a partire dal XVI secolo e si

presta ad evidenziare il ruolo di Giuseppe come guida e protettore, così come le scene del pasto della Sacra

Famiglia o del “Benedicite” o, ancora, della Sacra Famiglia nella bottega del falegname sottolineano la

funzione di Giuseppe come capofamiglia, colui che presiede alla comunità domestica, stretta attorno a lui

secondo un’ordinata gerarchia di ruoli, e provvede al suo sostentamento.

Esemplare appare un’incisione di Cristoforo Bianchi5, che compare nell’edizione romana del 1597 del

Sommario dell’eccellenze del glorioso san Giosef di Jeronimo Gracián, testo nel quale, come più

ampiamente si dirà, il carmelitano spagnolo celebrava, fra i titoli di gloria del santo, le funzioni da lui

esercitate nell’ufficio di padre6.

Ebbene, nella tavola raffigurante il ritorno dall’Egitto, l’incisore lorenese ritrae Giuseppe, in veste da

viandante (tunica corta, mantello e calzari da viaggio), con borraccia ed arnesi da falegname, mentre porta

sulla spalle il fanciullo Gesù che, in atteggiamento di affettuosa complicità, gli cinge la fronte con le mani,

sotto lo sguardo tenero e divertito di Maria. Una scena di intimità familiare, dunque, che sembra alludere

ad un momento di distensione giocosa, ma che nulla toglie alla dignità del personaggio di Giuseppe, di cui è

posto in risalto, grazie anche ai richiami classicheggianti ad Enea e ad Atlante, il ruolo di protettore del

Figlio di Dio e di reggitore della divina famiglia. E’ quanto suggerisce espressamente la didascalia posta in

2 Gli studi sulla storia della famiglia collocano nel XV secolo, nelle aree urbane e presso i ceti medio-borghesi, l’avvio del passaggio dalla famiglia “estesa” al modello “nucleare”, dove il padre tende a diventare sempre più il fulcro. Cfr. M. BARBAGLI, Sotto lo stesso tetto. Mutamento della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, Il Mulino, 1984; Ph. ARIES, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Bari, Laterza, 1968. 3 Si vedano la Sacra Famiglia di Jacopo Pontormo in San Michele Visdomini a Firenze (1518) o l’Adorazione dei pastori di Pellegrino Tibaldi (Roma, Galleria Borghese, 1549) o, ancora, il retable di Pellegrino da San Daniele nella cattedrale di Udine (1501).4 Tra gli esempi più noti, il Riposo nella fuga in Egitto di Federico Barocci (Roma, Pinacoteca Vaticana, 1573).5 L’incisore Cristoforo Bianchi (o Blanci, Blanc, De Blanchis), originario della Lorena, fu attivo tra il 1592 e il 1612 in Italia, dove operò soprattutto a Milano e a Roma. Cfr. A. BERTOLOTTI , Artisti francesi in Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Bologna 1975, pp. 94-96 (rist. dell’ed. di Mantova 1886); la voce Bianchi Cristoforo di A. PELLICCIONI in Dizionario degli artisti incisori italiani (dalle origini al XIX secolo), Carpi 1949; G. MILESI, Dizionario degli incisori, Bergamo 1982, p. 28. 6 Cfr. J. GRACIAN DE LA MADRE DE DIOS, Sommario dell’eccellenze del glorioso San Giosef sposo della Vergine Maria, cavato da diversi autori, tradotto di spagnolo nell’idioma italiano per Sulpicio Mancini, Roma, Luigi Zannetti, 1597.L’edizione spagnola uscì dalla stessa tipografia nel medesimo anno.

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calce , che recita: “Athlas dux custos gestat regit, atque tuetur coelum humeris matrem voce et utrumque

fide”.

L’esplicito riferimento al Gigante che sorregge la volta celeste riflette un’interpretazione diffusa nel

Rinascimento che, recuperando i temi mitologici in chiave cristiana, additava in san Giuseppe il pater

familias e dilatava l’ambito della sua paterna protezione all’intera umanità7.

La raffigurazione di Giuseppe che porta sulla spalle Gesù non è del tutto nuova, essendo attestata nel XII

secolo dai mosaici di Palermo e di San Marco a Venezia e nei secoli successivi da altri noti esempi 8, ma nel

contesto cinquecentesco acquista un complesso di significati che va oltre il richiamo classicistico.

Significativamente, dunque, l’incisione di Cristoforo Bianchi da una parte riprende aspetti della figura del

santo già emersi precedentemente, come l’immagine del “bailo” affettuoso e sollecito, dolce e protettivo,

dall’altra evoca e preannuncia motivi nuovi, o tale almeno per l’intensità degli accenti, che si vanno

affermando proprio fra Cinquecento e Seicento, tra questi in particolare la figura di Giuseppe come

espressione dell’autorità paterna, come educatore e pedagogo, come luogotenente del Padre celeste,

come intercessore e protettore della Chiesa e dell’umanità.

2. “Sotto l’occhio del padre”. Il ruolo paterno nell’età tridentina e post-

tridentina

La cultura umanistica, mentre andava riscoprendo i valori del matrimonio, dell’utile individuale e

dell’operosità rivolta al bene pubblico, assegnava grande importanza alla famiglia come riflesso e modello

dell’ordine sociale e al ruolo del padre nel governo e nella amministrazione del microcosmo familiare. A lui

spettava, secondo Leon Battista Alberti9, non solo provvedere al benessere materiale e alla gestione

economica, ma anche vigilare, esaminare e correggere, esercitare una funzione di guida e fulcro regolatore

della famiglia, usando un’autorità basata, più che sulla forza, sulla sollecitudine e sull’amore. Il padre, nel

7 L’interpretazione classicheggiante del personaggio di san Giuseppe appare anche nell’adattamento alla sua figura del prototipo di Ercole (cfr. gli esempi addotti da C. WILSON, St. Joseph in Italian Renaissance Society and Art, Saint Joseph’s University Press, Philadelphia 2001, fig. 71: Natività in terracotta di Donatello o sua bottega; fig. 72: Lorenzo Lotto, Madonna con figlio in trono, con s. Giuseppe, s. Bernardino, s. Giovanni Battista e s. Antonio abate, 1521, Bergamo) o di Enea che porta sulle spalle il figlio Ascanio in alcuni pittori operanti in Puglia nel Sei-Settecento, come Ribera, Verrio, Coppola, Fenoglio, Giaquinto. Cfr. R. JURLARO, Note sul culto di san Giuseppe in Puglia, in San Giuseppe nel Rinascimento, Atti del II Simposio internazionale giuseppino, Roma, Libreria editrice Murialdo, 1977, pp. 685-690.8 Il riferimento è alla fuga in Egitto nei mosaici della Cappella Palatina e di Monreale a Palermo e di San Marco a Venezia. Réau segnala due esempi in Serbia (a Detchani nel XIV secolo e a Kaliniten nel XVI) cfr. REAU, Iconographie del’art chrétien, vol. II/2, Millwood, Kraus reprint, 1988, pp. 275-276.9 L. B. ALBERTI, I libri della famiglia, a cura di R. Romano – A. Tenenti, Torino, Einaudi, 1969. L’opera fu redatta in forma di dialogo in 4 libri dall’Alberti tra il 1432 e il 1441.

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trattato dell’Alberti, ma anche di Matteo Palmieri10 e del veneziano Francesco Barbaro11, era punto di

riferimento primario e responsabile dell’educazione dei figli alle virtù morali e civili.

Ma l’attenzione alla famiglia come strumento di trasmissione di modelli comportamentali si accentua nel

corso del Cinque – Seicento alimentando una fiorente trattatistica, il cui destinatario privilegiato è il padre,

espressione del principio ordinatore, di origine divina, che informa la società religiosa, sociale e politica. Il

contesto è quello della Riforma protestante, della Riforma tridentina e della Controriforma, volte a

diffondere un nuovo modello di famiglia e di virtù familiari, funzionali al progetto di cristianizzazione della

società.

Se la Riforma protestante, soprattutto con Lutero, dava particolare rilievo al quarto comandamento e

additava nell’autorità del padre l’espressione della sovranità di Dio e del potere del principe12, anche la

Chiesa tridentina vedeva nel padre il depositario dell’autorità e il vicario di Dio nella chiesa domestica. Il

Concilio di Trento in verità non si occupò espressamente della famiglia né del ruolo, in essa, del padre, ma

pose le premesse per una loro rivalutazione, sacralizzando (anche attraverso il decreto sul matrimonio

Tametsi13) l’istituto familiare, richiamando alla necessità del controllo, della vigilanza, dell’istruzione e

dell’educazione, compiti che, affidati alla Chiesa e ai suoi rappresentanti, non potevano realizzarsi, in un

assetto disciplinato in cui ognuno aveva i suoi doveri e un suo ruolo, senza la mediazione dei genitori, e

soprattutto del padre, responsabile del governo familiare.

E’ nel secondo Cinquecento che tali premesse trovano sviluppo e si concretizzano in una crescente

valorizzazione del ruolo paterno e nel fiorire, nell’ambito di una ricca e minuziosa precettistica rivolta ai

diversi stati di vita, di una produzione specifica destinata ai padri di famiglia 14. Non stupisce che vescovi

impegnati nell’attuazione della Riforma tridentina, come Carlo Borromeo e Gabriele Paleotti, avessero fatto

della promozione della famiglia cristiana uno dei principali obiettivi, affidandosi in ciò all’opera del padre.

Numerosi sono i segni di questo interesse nell’azione legislativa e pastorale del Borromeo15.

Questi, nel terzo concilio provinciale del 1572, si rivolgeva al pater familias come magister ac dux,

appellandosi alla sua autorità per il conseguimento di una disciplina familiare all’insegna dell’ordine morale,

10Cfr. il trattato di M. PALMIERI, Della vita civile, steso fra il 1435-1440, nella edizione critica curata da G. BELLONI (Firenze 1982). 11 F. BARBARO, De re uxoria, a c. di A. GNESOTTO, in “Atti e memorie della Regia Accademia delle scienze, lettere ed arti in Padova”, n.s., 32 (1916), pp. 6-105. 12 Per questi aspetti del pensiero di Lutero si vedano le due prediche I dieci comandamenti (1525) e Della opere buone (1528). Cfr. M. CAVINA, Il padre spodestato. L’autorità paterna dall’antichità ad oggi, Roma-Bari, Laterza, 2007. Cfr. anche J. BOSSY, L’occidente cristiano. 1400-1700, Torino, Einaudi, 1990 e D. LENZEN, Alla ricerca del padre. Dal patriarcato agli alimenti, Bari, Laterza, 1994, pp. 187-211. 13 Cfr. G. ZARRI, Il matrimonio tridentino, in P. PRODI – W. REINHARD (a cura di), Il concilio di Trento e il moderno, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 437-483. 14 Cfr. M. MARCOCCHI, Modelli professionali e itinerari di perfezione nella trattatistica sugli “stati di vita”, in P. PISSAVINO – G. SIGNOROTTO (a cura di), Lombardia borromaica. Lombardia spagnola 1554-1659, Roma, Bulzoni, 1995, pp. 845–893. 15 Cfr. D. TETTAMANZI, Linee di una pastorale del matrimonio e della famiglia nel pensiero e nell’azione di san Carlo Borromeo, in «La Scuola Cattolica», 112 (1984), pp.616-670. Gabriele Paleotti stese nel 1573 Alcuni avvertimenti per li padri et madri di famiglia et per tutti gli altri di casa, editi nell’ Episcopale bononiensis civitatis et diocesis, Bologna, A. Benacci, 1580.

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spirituale e religioso16 e non mancava nei suoi interventi pastorali17 di richiamare i padri alle loro

responsabilità educative nei confronti dei familiari e della servitù. Nei Ricordi, in particolare, la figura del

padre, pastore della chiesa domestica, è caricata del gravoso compito di propulsore, regista e controllore

della vita morale e religiosa di quanti da lui dipendono, e di garante dell’ordine, fondamento di una società

che deve ritrovare la sua forza nell’identità cristiana dopo gli sconvolgimenti determinati dalla peste18.

Al Borromeo e alla sua cerchia va ricondotto inoltre l’impulso ad una trattatistica economica incentrata sul

ruolo del padre di famiglia, avvio di una produzione che si farà più copiosa nel corso del Seicento, per lo più

ad opera di autori gesuiti.

Proprio dietro sollecitazione di Carlo Borromeo, Silvio Antoniano compose uno dei trattati più celebri in

questo ambito, i tre libri Dell’educazione cristiana politica dei figlioli (1584), dove, tra i doveri del padre,

“piccolo re … a cui appartiene di conservare la pace e la tranquillità domestica, di mantenere la giustizia, di

provvedere al matrimonio e alle altre cose necessarie al sostentamento de’ suoi soggetti”19, appariva

precipuo quello di educare i figli, compito la cui negligenza era additata come una delle cause dei disordini

presenti all’interno della Chiesa e degli Stati.

Anche Pietro Giovanni Giussani, collaboratore del Borromeo e autore di un’importante biografia

dell’arcivescovo di Milano (1610), nelle Instruttioni e documenti a’ padri per saper ben governare le famiglie

loro (1603)20 stigmatizza come grave colpa del padre disattendere il suo compito di ammaestrare la famiglia

nella pietà e nel vivere cristiano perché grande è la sua responsabilità, avendo avuto da Dio stesso il

governo e l’ “imperio” sulla casa.

In questi e negli altri numerosi trattati di “economica cristiana” che vedono la luce dal secondo

Cinquecento al Seicento – Settecento, la famiglia appare, dunque, come uno specchio dell’organizzazione

sociale21, ne riflette l’assetto verticistico e gerarchico poggiando sull’autorità esercitata dal padre,

espressione del potere del principe e di Dio, fonte di ogni sovranità22. Giovanni Leonardi sottolinea

l’eccellenza e la dignità del padre, derivante dall’essere “strumento di Dio”, suo luogotenente e “vicario pel

16 Accenni ai doveri del padre di famiglia sono presenti nei decreti dei Concili provinciali IV (1576) e V (1579). 17 Litterae pastorales, in Acta Ecclesiae Mediolanensis (d’ora in poi AEM), Milano 1892, vol. III, coll. 458 ss., in cui si sottolinea la funzione del capofamiglia come capo della chiesa domestica: al padre spetta di riunire la famiglia per la preghiera, di dirigerla nella lettura e meditazione di libri spirituali e di disporla alla benedizione della casa. ( ibi, coll. 611-612). 18 C. BORROMEO, Libretto dei ricordi al popolo della città et diocese di Milano Illustrissimo cardinale di S. Prassede arcivescovo. Cfr. il testo in AEM, III, coll. 644-669 e la più recente edizione a cura di I. BIFFI, I Ricordi di san Carlo ai Milanesi, Milano, NED, 1984. 19 S. ANTONIANO, Dell’educazione cristiana e politica dei figliuoli, Torino, Paravia, 1926, p. 8 (il trattato, in tre libri, uscì nel 1584).20 G.P. GIUSSANI, Instruttioni e documenti a’ padri per sapere ben governare le loro famiglie scritti d’ordine di San Carlo Borromeo dal dottore Gio Pietro Giussano sacerdote, nobile milanese, in Lettere pastorali, editti e decreti del cardinale Barbarigo, Padova, Stamperia del Seminario, 1690, pp. 214-322 (I edizione: Milano 1603). 21 D. FRIGO, Il padre di famiglia. Governo della casa e governo civile nella tradizione dell’”economica” tra Cinque e Seicento, Roma, Bulzoni, 1985, p. 85; EAD., Governo della casa, nobiltà e “republica”: l’”economica” in Italia tra Cinque e Seicento, in «Cheiron», 2 (1985), pp. 75-94.22A. BIONDI, Aspetti della cultura cattolica post-tridentina. Religione e controllo sociale, in Storia d’Italia. Annali, vol. IV, Torino, Einaudi, 1981, pp. 253-302, in particolare p. 278.

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reggimento e buon governo della famiglia”23. L’insistenza sul fondamento divino rafforza l’autorità paterna

e le attribuisce una finalità trascendente la sfera umana24. Al tempo stesso questo richiamo pone dei precisi

limiti alla potestas del padre, che ha l’obbligo di controllare con occhio attento e vigile e di dirigere con

fermezza i suoi sottoposti, ma deve anche ispirare in essi una riverenza frutto di timore e di amore e

temperare l’autorità con la prudenza, non eccedendo nei metodi di correzione ma adattandoli all’età e

all’indole dei figli25. Il rilievo dato, tra le virtù del buon padre, alla prudenza era anche un riflesso di quella

cultura umanistica che celebrava questa virtù, intesa come moderazione, giusto mezzo, equilibrio,

accortezza, capacità di discernere e tradurre in pratica i principi teorici della sapientia, una virtù ricca di

implicazioni civili e pertanto particolarmente raccomandata ai principi e, di conseguenza, ai reggitori della

comunità domestica26.

Anche il gesuita Jean Cordier27, trattando dei doveri reciproci dei membri della famiglia, si sofferma sulla

figura del padre, dotato di potere regale in quanto petit roi. Il suo compito è quello di governare i figli

conciliando l’amore con la severità, di non essere troppo accondiscendente, ma nemmeno tiranno, poiché

deve dare ai figli la giusta libertà. Il suo riferimento è Cristo (di cui è luogotenente), capo della grande

famiglia dei santi, mentre il modello cui deve ispirare il suo agire è quello della santa famiglia di Nazaret.

Nel delineare la figura esemplare del padre di famiglia la letteratura precettistica cinque – secentesca non

proponeva san Giuseppe come modello. Al capo della famiglia di Nazaret era riservato per lo più qualche

raro e fugace accenno per richiamare i figli a seguire l’esempio di Cristo, che fu ubbidiente, oltre che al suo

padre celeste, alla madre e al suo padre terreno.28 Eloquente è anche il silenzio di Carlo Borromeo che, pur

assegnando grande importanza al padre di famiglia, non ricorda san Giuseppe in questo ruolo, se non a

proposito del versetto Lc 2,51, dove però l’accento è posto sulla soggezione di Cristo.

Verso san Giuseppe, d’altronde, l’arcivescovo di Milano aveva una devozione “comune”29, non particolare

e spiccata: ne faceva menzione nei commenti evangelici o in riferimento alla sua nobiltà, che non gli faceva

disdegnare il lavoro e offriva un esempio e un monito agli oziosi aristocratici del secolo XVI30. Eppure in

quegli anni a Milano era viva la devozione popolare verso il santo, diffusa e nutrita dalla predicazione

23 G. LEONARDI, Institutione di una famiglia christiana divisa in due parti, Cremona, per Barucino Zanni, 1597, p. 223; F. TOMMASI, Il reggimento del padre di famiglia, Firenze, Marescotti, 1580. 24 D. FRIGO, Il padre di famiglia…, p. 80.25 S. ANTONIANO, Dell’educazione…, pp. 477-478.26 G. PONTANO, De prudentia, Firenze, Filippo Giunta, 1508. Cfr. R. DE MATTEI, Sapienza e prudenza nel pensiero politico italiano dell’Umanesimo al secolo XVII, in E. CASTELLI (a cura di), Umanesimo e scienza politica, Milano, Marzorati, 1951, pp. 129-143 e V. DINI – G. STABILE, Saggezza e prudenza. Studi per la ricostruzione di un’antropologia in prima età moderna, Napoli, ed. Liguori, 1983.27 J. CORDIER, La famille sainte, ou il est traicté des devoirs de toutes les personnes qui composent une famille , Paris 1643. Le citazioni sono tratte dall’edizione di Lyon (chez Chaunod) 1678.28 S. ANTONIANO, Dell’educazione …, p. 185.29 E. CATTANEO, Il San Giuseppe del Richini. Il culto di san Giuseppe nella storia spirituale di Milano, Milano, Cassa di Risparmio delle Provincie lombarde , 1957, p. 24.30 S. CAROLI BORROMAEI Homiliae, a cura di G. A. Sassi, Augustae Vindelicorum 1758, coll. 1214-1216, omelia XCV.

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francescana di fine Quattrocento, coltivata dalla corporazione dei legnaioli e testimoniata dalla fondazione

del Luogo pio San Giuseppe, trasformato in un imponente tempio dal Richini31.

Se questa devozione, radicata nel popolo e legata ai fasti del potere ducale 32, non trovava particolare

rispondenza in Carlo Borromeo, incline a privilegiare il culto di santi ufficialmente promossi dalla Chiesa e

dei santi locali, segni di una personale devozione a san Giuseppe si trovano in Federico Borromeo 33, ma in

un clima mutato, che vedeva un generale incremento del culto giuseppino. All’interno di questo contesto si

può spiegare la scelta di Giovanni Pietro Giussani di comporre, dietro istanza dei deputati al governo del Pio

Luogo di S. Giuseppe, una Historia della vita del glorioso S. Gioseffo34.

3. San Giuseppe padre nella letteratura teologico – spirituale tra Cinquecento e

Seicento. Alcune esplorazioni.

Prima dell’accelerazione impressa alla devozione giuseppina dal decreto dell’ 8 maggio 1621 con il quale

Gregorio XV estendeva la festa del 19 marzo alla chiesa universale, un grande impulso era stato dato dal

Carmelo riformato. L’ordine di Teresa d’Avila e di Giovanni della Croce, che nel 1590 aveva assunto san

Giuseppe come proprio patrono si distinse, come è noto, per una particolare devozione a questo santo in

virtù del suo ruolo centrale nel mistero dell’incarnazione e del suo legame con l’infanzia di Gesù.

L’attenzione rivolta all’umanità di Cristo induceva i Carmelitani a riscoprire la figura di san Giuseppe nella

sua relazione paterna, fatta di intima e affettuosa familiarità con il figlio di Dio, e a cogliere nella paternità

una caratteristica distintiva anche del suo rapporto con i fedeli, tanto che Teresa d’Avila lo invocava come

proprio “padre”35.

31 E. CATTANEO, Il San Giuseppe del Richini…. Il Borromeo visitò il luogo pio nel 1568 e nel 1570.Quanto alla devozione dei falegnami di Milano per san Giuseppe cfr. E. CATTANEO, San Giuseppe operaio nella tradizione milanese, in «Ambrosius», 1956, pp. 128-132. Una delle prime vite di san Giuseppe divulgate a Milano, quella di P. MORIGI, (La santissima vita del glorioso san Giuseppe sposo dell’immacolata Vergine Maria Madre di Dio, Bergamo, per Comin Ventura, 1599) era destinata a maestri dell’arte dei legnaioli di Milano che avevano in san Giuseppe il loro protettore.32 La festa di san Giuseppe fu introdotta a Milano nel 1467 e fissata il 20 marzo per ricordare il giorno dell’assunzione al potere da parte di Galeazzo Maria figlio di Francesco Sforza. Carlo Borromeo spostò la festa al 12 dicembre (per salvaguardare la quaresima ambrosiana), Leone XIII la riportò al 19 marzo. Cfr. E. CATTANEO, L’evoluzione delle feste di precetto a Milano dal XIV al XX secolo, riflessi religiosi e sociali, in «Archivio Ambrosiano», 9 (1956), pp. 117, 137, 178, 184.33 Federico Borromeo nel 1598 commissionò la Natività con pastori del Barocci; nel 1612 acquistò il Riposo durante la fuga in Egitto di Jacopo Bassano, dove san Giuseppe esprime verso il Bambino Gesù la sua tenerezza paterna, e ne fece le lodi nel suo Musaeum (1625). Cfr. C. WILSON, St. Joseph in Italian Renaissance…, p.78. 34 G.P. GIUSSANI, Historia della vita del glorioso S. Gioseffo sposo dell’immacolata Vergine et madre di Dio, Milano, per Francesco Paganello, 1610.35 ISIDORO GARCĺA DE SAN JOSÉ, La Sagrada Familia en la espiritualidad carmelitana, in «Estudios Josefinos», 48 (1994), pp. 147-189.

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Nella produzione carmelitana l’opera già menzionata di Jeronimo Gracián, appartenente alla prima

generazione della “scuola” teresiana, è, al riguardo, particolarmente significativa. Il suo Sommario

dell’eccellenze del glorioso S. Giosef, che attinge a vari autori, dai Padri della Chiesa a Gerson, Giovanni da

Fano e Isidoro Isolani, annovera, tra le eccellenze, ossia i titoli di gloria del santo, il suo ufficio di padre di

Cristo36.

Dopo aver sottolineato la grandezza della funzione paterna in quanto emanazione della paternità di Dio,

supremo “fabro e artista” del mondo (con un palese richiamo al legnaiolo di Nazaret), il Gracián si sofferma

sui dieci “offici” per i quali san Giuseppe è chiamato padre di Gesù. Egli fu tale in quanto elesse Cristo come

figlio tenendolo presso di sé (padre adottivo), in quanto eletto come proprio padre da Gesù che gli si

sottomise tributandogli obbedienza e rispetto (padre eletto), in quanto marito di sua madre e come “padre

di buone opere” per averlo salvato da Erode, allevato, sostentato e trattato con amore paterno. Ma

soprattutto san Giuseppe esercitò il compito di “pedagogo, padrino, governatore, tutore, bailo, padrone”.

Fra questi titoli, quello di “bailo” allude, evocando san Bernardo, alla tenerezza affettuosa del padre che

porta il figlio tra le sue braccia, lo stringe al petto, lo accarezza e lo trastulla, lo conforta cullandolo e

cantandogli canzoni37.

L’intimità affettuosa si associa in san Giuseppe all’autorevolezza di colui che il monarca dell’universo ha

posto accanto al suo Figlio perché lo accompagnasse e lo governasse nell’università del mondo. A Giuseppe

spetta, dunque, il compito, in quanto pedagogo, di ammaestrare, di guidare nella vita, di consigliare e di

difendere Gesù, ma anche, come governatore e tutore, di dirigere con saggezza la casa affidatagli e di

amministrare i beni del suo figliolo. Infine, di esercitare piena autorità su Gesù, in quanto frutto cresciuto

nel fondo o giardino (l’hortus clausus rappresentato da Maria), che il matrimonio gli ha consegnato come

possesso, insieme ai frutti che esso produce 38.

Il Gracián insiste sul rapporto di amore che lega san Giuseppe a Gesù (pp. 84-98), un rapporto fatto di

vicinanza fisica, di consuetudine quotidiana, di complice intimità, e accresciuto dalla dimensione

soprannaturale che lo caratterizza (Giuseppe è padre e insieme figlio di suo figlio). In ciò si avverte

l’orientamento proprio della spiritualità carmelitana, che propone soprattutto l’immagine di san Giuseppe

come colui che alimenta e sostiene il figlio di Dio fatto uomo, ma al tempo stesso si annuncia il tema del

compito di educatore, di guida morale esercitato da san Giuseppe nei confronti di Gesù.

In questo passaggio dal nutritor al pedagogus rivestono un posto importante i Gesuiti. E’ nella riflessione

dei membri della Compagnia di Gesù, infatti, che l’educazione assurge a compito primario e costitutivo del

padre, un compito che fa della figura paterna il perno dell’equilibrio familiare e sociale.

L’opera educativa si esplica soprattutto come azione di governo sul Figlio, che si sottomette alla sua guida

prudente e avveduta. Così il gesuita Paul de Barry parla della paternità di san Giuseppe. Ne La devotione a

36 J. GRACIAN DE LA MADRE DE DIOS, Sommario..., libro II, cap. 1-3, pp. 67-98.37 Ibi, p. 80.38 Ibi, p. 81.

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s. Gioseppe, egli fa consistere la sua grandezza nell’aver ricevuto da Dio stesso il governo del suo Figlio e nel

trovarsi nella singolare condizione di governare “quello che l’universo governa” 39. L’autorità che san

Giuseppe esercita su Gesù è, dunque, non solo un riflesso di quella divina – come avviene per ogni pater

familias – ma una precisa elezione da parte dell’eterno Padre che lo ha scelto, come afferma il gesuita

Gregorio Ferrari, come suo luogotenente per guidare e reggere la sua famiglia, tanto che “nulla [s.

Giuseppe] opera intorno al Figlio senza l’ordine di lui”40.

E se ogni padre è “principe” della propria casa, a maggior ragione questo titolo spetta a san Giuseppe,

“preposto alla reale famiglia dal supremo monarca”41. Anche le virtù richieste a colui cui spetta il governo

dei popoli (la giustizia, la prudenza, la fortezza, la temperanza, la saggezza, la misericordia) sono le stesse

che vengono celebrate nel capo della divina famiglia.

San Giuseppe è anche il fedele depositario e tesoriere dei beni preziosi a lui affidati, Maria e Gesù 42, è il

tutore, l’angelo guardiano del verbo incarnato43, il suo custode pronto e vigilante44.

Anche Paolo Segneri, in un suo panegirico su san Giuseppe45, sottolinea il compito svolto da san Giuseppe

nel preservare Gesù dalle insidie e dai pericoli e nel custodirlo con amorosa sollecitudine. E’ sull’amore

paterno, espresso nel rapporto di intima quotidianità con Gesù, che il predicatore gesuita insiste, come

d’altronde gli altri autori dei testi ricordati, nei quali l’autorità del capo della famiglia di Nazaret è sempre

accompagnata e temperata dalla tenerezza dell’amore. Vi si riflette quella concezione della famiglia propria

dei Gesuiti del Seicento. Come ha osservato Louis Châtellier, nelle congregazioni mariane essi non solo

riunivano i singoli individui appartenenti a precise categorie sociali, valorizzando i diversi stati di vita,

compreso quello matrimoniale, ma prestavano una crescente attenzione alla famiglia, vista come

strumento indispensabile per la creazione di una società cristiana46.

Di questo interesse per la famiglia si faceva interprete il gesuita Cordier nel trattato già ricordato La

famille sainte, dove, lamentando la scarsa considerazione rivolta dagli scrittori ecclesiastici al coniugati, ai

padri e alle madri, ricordava che questi sono la maggioranza della popolazione e anche i più bisognosi di

essere guidati sulla via della santità, ad essi non preclusa. La famiglia, poi, è il luogo in cui si creano e si

sperimentano quelle relazioni sociali, connaturate all’uomo, su cui si fonda la società civile.

39 P. DE BARRY, La devotione a san Gioseppe grandemente amato e amabile fra tutti i santi doppo Giesu e Maria e l’assistenza con cui soccorre i suoi sudditi e quelli che l’invocano, Milano, Federico Agnelli, 1671.40 G. FERRARI, Li santi et amorosi affetti del p. Gregorio Ferrari della Compagnia di Giesu, Milano, per Gio Pietro Cardi, 1641, p. 84.41 P. DE BARRY, La devotione…, p. 131.42 FERRARI, p. 85. Un’altra immagine attribuita a s. Giuseppe in riferimento a questo ruolo di amministratore della casa di Dio, è quella di “maggiordomo” (Cfr. Settimana consacrata alla divotione di san Giuseppe protettore del regno di Boemia ed avvocato degl’agonizanti, dedicata all’ecc.ma Sig. Principessa Anna Maria Ludovisia da un divoto di detto santo, Roma, per Gio Giacomo Komarek boemo all’Angelo custode, 1694, p. 85).43 P. DE BARRY, La devotione…, pp. 13 e 48.44 G. FERRARI, Li santi et amorosi affetti…, p. 80.45 P. SEGNERI, Panegirici sacri, Venezia 1707, pp. 631-662.46 L. CHÂTELLIER, L’Europa dei devoti, Milano, Garzanti, 1988.

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All’interno della famiglia i Gesuiti andavano scoprendo il legame affettivo dei genitori tra loro e verso i

figli, mostrandosi aperti ad una sensibilità nuova, volta al superamento del modello della famiglia

patriarcale, fondato sul potere dispotico del padre47. Un modello, questo, ancora presente invece nel

panegirico dedicato a san Giuseppe dell’oratoriano Jean François Senault, edito a Parigi nel 1656-5848.

Nel suo discorso il predicatore francese sviluppava in una decina di pagine il tema della paternità del

santo, associata all’ufficio di nutrire il figlio con il lavoro delle proprie mani e con il sudore della propria

fronte, di essergli guida e “conducteur”. Ma soprattutto san Giuseppe è padre perché ha esercitato il

comando su Gesù trattandolo come suo figlio e schiavo (esclave), dettandogli ordini che egli umilmente

eseguiva assoggettandosi a lui. La paternità è intesa, dunque, come l’esercizio di un potere sovrano. I padri

– scrive il Senault – sono i sovrani dei loro figli, il loro impero è fondato sulla natura e sulla legge, tanto che

in tutte le nazioni della terra i figli sono stati gli schiavi dei loro padri. E ancora, con tono perentorio,

aggiunge: i padri sono arbitri della vita e della morte dei loro figli. L’esercizio, da parte di san Giuseppe, di

una tale “puissance paternelle ou souvraine” è individuato nell’aver dato il nome a Gesù, un atto che ha

deciso della missione del Figlio e, dunque, della sua condanna a morte.

L’insistenza su tali prerogative del santo risponde anche allo scopo che il predicatore si propone, quello di

persuadere i fedeli a scegliere san Giuseppe come proprio sovrano e protettore. La sovranità esercitata sul

Figlio divino lo rende infatti l’intercessore potente, il dispensatore per eccellenza (il tesoriere, l’economo, il

maître) alle grazie celesti, alle quali non si può avere parte se non attraverso colui che Dio “constituit super

familiam suam”.

Considerando invece il ruolo di san Giuseppe nella famiglia di Nazaret, esso passa dal piano delle mansioni

legate alle esigenze concrete della vita quotidiana ad una dimensione soprannaturale, dal piano teologico a

quello simbolico, quando si afferma l’immagine (già presente in Gerson, ripresa dai Gesuiti e sviluppata

dagli oratoriani francesi) della Trinità creata come riflesso della Trinità celeste. Nella triade terrena

Giuseppe rappresenta ora l’immagine o l’“ombra” del Padre eterno, che si cela nella figura nascosta dello

sposo di Maria, ora come l’immagine dello Spirito Santo49. Se nel primo caso san Giuseppe adombra la

potenza dell’Altissimo, nel secondo rappresenta l’amore che lega Maria (il Padre in quanto genera) e il

Cristo (il Figlio generato) e che rende possibile il mistero dell’Incarnazione50. Grazie all’immagine della

trinità terrena, la figura di Giuseppe acquista un posto ed un significato eminenti, ma rimane distante dalla

sensibilità e dalla recezione del popolo dei fedeli.

A livello popolare la paternità di san Giuseppe viene recepita grazie alle confraternite intitolate alla sacra

Famiglia, diffusesi numerose nel corso del Seicento ad opera soprattutto di Carmelitani e Gesuiti. E’ un

47 L. CHÂTELLIER, L’Europa dei devoti, pp. 148-155.48 J.F. SENAULT, Panégyriques des saints, Paris 1656-1658. Del’opera ho utilizzato l’edizione stampata a Lione (chez Jean Certe) nel 1684, in cui il panegirico di s. Giuseppe si trova alle pp. 427-450.49 M. DUPUY, Jean-Jacques Olier et saint Joseph, in Présence de saint Joseph au XVIIe siècle, in «Estudios Josefinos», 35 (1987), pp. 155-161 e P. DE BARRY, La devotione…, p. 28.50 H.P. BERGERON, Saint Joseph dans la prédication en France à la fin du XVIIe siècle, in Présence…, pp. 349-365.

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fenomeno, questo, che salda devozione popolare ed istanze controriformistiche per la sua incidenza sulla

vita di pietà, nutrita e plasmata attraverso i libri di preghiere, le immagini, le pratiche che tali associazioni

veicolavano, e nello stesso tempo per la sua ricaduta sulla società. La famiglia di Nazaret, più che una realtà

da ammirare e da celebrare, diventa il modello delle famiglie cristiane, quindi ispira ed orienta i

comportamenti sociali. Si tratta di un terreno in parte già dissodato, ma che richiede ancora esplorazioni

capillari51.

La dimensione familiare e domestica si coniuga infine con quella cittadina e pubblica anche nella figura,

sopra richiamata, di san Giuseppe come padre protettore. Difensore di Gesù dalle insidie di Erode e suo

custode nei pericoli, san Giuseppe diventa anche il protettore di quanti a lui si affidano: fedeli, associazioni,

città, nazioni, la Chiesa stessa, minacciata dalla “peste” ereticale e dall’offensiva turca52.

Nel corso del Cinque-Seicento la figura di san Giuseppe protettore, già presente in Gerson, si sviluppa e si

arricchisce, proprio in rapporto all’affermarsi del suo ruolo paterno, ponendo le basi di un crescente

ricorso, nei secoli successivi, al suo patronato da parte delle nazioni cattoliche e della Chiesa.

51 Cfr. J.M. BLANQUET, Primeras instituciones en honor de la Sagrada Familia, in AA. VV., La Sacra Famiglia nel XVII secolo, Atti del II Congresso internazionale della Sacra Famiglia, Barcelona - Roma 1995, pp. 399-458. 52 Nella Summa de donis del domenicano Isidoro Isolani (Pavia 1522) emergeva la figura di san Giuseppe come patrono della Chiesa militante, come baluardo contro le eresie ed intercessore per la pace dell’Italia lacerata dalle guerre. Cfr., a questo proposito, C. WILSON, St. Joseph as Custos in the “Summa” of Isidoro Isolano and in Italian Renaissance Art , in La Exhortación Apostólica de S.S. Juan Pablo II “Redemptoris Custos”. Aspectos teológicos y pastorales, Actas VIII Simposio internacional sobre San José (El Salvador, 16-23 de septiembre de 2001), in «Vilasecanum», 16 (2001), n. 30, pp. 567-581.