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Relazione di UDI Unione Donne in Italia – Reggio Calabria su progetto Dell’arch. Nicola Di Battista denominato: SISTEMAZIONE DELL'AREA COMUNALE IMMEDIATAMENTE ANTISTANTE L'INGRESSO PRINCIPALE DEL MUSEO DI REGGIO CALABRIA SU PIAZZA DE NAVA 3ᵃ Conferenza dei Servizi “Museo Archeologico Nazionale Ampliamento e nuovo ingresso da Piazza De Nava” indetta da Direzione Reg. BCP Calabria 25-26 settembre 2013 Punti nodali: 1) trasparenza Trascurando l’iter amministrativo pur molto discutibile, c’è da aggiungere a quanto già espresso nella precedente Conferenza, una riflessione sul termine “sistemazione” utilizzato nell’intestazione del progetto in discussione. Il termine stando alla lingua italiana significa riordino e riorganizzazione di un assetto perduto o stravolto o rovinato. Fa pensare nel caso in questione che verranno magari ridisegnate le aiole, sostituita la pavimentazione malandata, riparato qualche angolo sberciato, l’illuminazione… E dunque non corrisponde all’operazione progettuale in atto, di cui si discute. Questa comprende invece un enorme sterro, una imponente palificazione, un ricavo di altrettanta volumetria costruita

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Relazione di UDI Unione Donne in Italia – Reggio Calabria

su progetto Dell’arch. Nicola Di Battista denominato: SISTEMAZIONE DELL'AREA COMUNALE IMMEDIATAMENTE ANTISTANTE L'INGRESSO PRINCIPALE DEL MUSEO DI REGGIO CALABRIA SU PIAZZA DE NAVA

3ᵃ Conferenza dei Servizi “Museo Archeologico Nazionale Ampliamento e nuovo ingresso da Piazza De Nava” indetta da Direzione Reg. BCP Calabria

25-26 settembre 2013

Punti nodali:

1) trasparenza Trascurando l’iter amministrativo pur molto discutibile, c’è da aggiungere a quanto già espresso nella precedente Conferenza, una riflessione sul termine “sistemazione” utilizzato nell’intestazione del progetto in discussione. Il termine stando alla lingua italiana significa riordino e riorganizzazione di un assetto perduto o stravolto o rovinato. Fa pensare nel caso in questione che verranno magari ridisegnate le aiole, sostituita la pavimentazione malandata, riparato qualche angolo sberciato, l’illuminazione…

E dunque non corrisponde all’operazione progettuale in atto, di cui si discute. Questa comprende invece un enorme sterro, una imponente palificazione, un ricavo di altrettanta volumetria costruita nel sottosuolo, una irreversibile modifica dell’assetto urbanistico che altera la fruizione e la consuetudine collettiva, un enorme corpo estraneo fra Piazza e Museo, il quasi totale smantellamento e ricostruzione di Piazza De Nava, con ridimensionamento della stessa per ricavare un mini parcheggio pullman, notevoli deviazioni della rete impianti sottosuolo fatta passare proprio sotto la piazza e sotto le vie Vollaro e Romeo collaterali, più altre variazioni.

Sono stati rilevati ben quattro modi nella comunicazione adottata dagli organi preposti per indicare il progetto, in ognuno c’è qualcosa e insieme manca qualcosa.

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Queste le titolazioni riferite al progetto:

1. SISTEMAZIONE DELL’AREA COMUNALE IMMEDIATAMENTE ANTISTANTE L’INGRESSO PRINCIPALE DEL MUSEO DI REGGIO CALABRIA SU PIAZZA DE NAVA(che è quello del progetto tecnico ufficiale)

2. SISTEMAZIONE DELL’AREA COMUNALE ANTISTANTE L’INGRESSO PRINCIPALE SU PIAZZA DE NAVA E ACQUISIZIONE DI UNA IDEA PROGETTO PER L’AREA URBANISTICA E DI CONTESTO DEL SITO URBANO DEL MUSEO

3. PROGETTO PRELIMINARE DI AMPLIAMENTO DEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE E SISTEMAZIONE DEL PIAZZALE ANTISTANTE IL MUSEO

4. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI REGGIO CALABRIA. NUOVO ACCESSO DA PIAZZA DE NAVA E REALIZZAZIONE DI SPAZI DEDICATI PER SERVIZI AGGIUNTIVI E DI ACCOGLIENZA

2) danni rischi invasivitàTutta l’area antistante al museo compresa la piazza verrà recintata per anni, e naturalmente sarà inaccessibile ai non addetti ai lavori. Il piano piazza diverrà piano di lavoro per mezzi pesanti, macchine e gru, deposito per grossi materiali, baraccamenti di servizio. Aiole, piante, palme, quegli alberi magistralmente sagomati dai maestri potatori, tutto divelto. Ma questi, pur essendo disturbanti, non sono i veri motivi di preoccupazione.

Preoccupa tanto invece la voragine di 14.000 metri cubi, 10 metri di profondità, larga quanto Corso Garibaldi e oltre il bordo di Piazza De Nava, lunga per circa 53 m, che si formerà sotto il Corso. Le pareti saranno sostenute da 102 grossi pali di 80 cm di diametro, infissi verticalmente per una profondità di 20 m e da 51 micropali di 30 cm di diametro iniettati a pressione e penetranti in obliquo, come tiranti di ancoraggio per le paratie di perimetro in cemento armato. L’ipogeo risulterà un grande volume a due livelli, di cui uno inferiore di servizio, delle dimensioni di circa 50 m di lunghezza per 22 di larghezza.Le trivelle lavorando in cieco potrebbero maciullare crani, anfore, mura, dettagli urbanistici, particolari reperti, soprattutto minuti, ancora ignoti e di possibile grande interesse.Carotaggi e prospezioni geoelettriche non sono una garanzia assoluta, essendo operazioni molto delicate, costose e lente.

Altri scavi sono necessari per tracciare un nuovo percorso sottosuolo per cavi, condutture, dotti, dovendoli deviare. Ben 6 linee impiantistiche viaggianti, da -1 fino a quota -2, che interrotte sul fronte della piattaforma sopralzata, sotto Corso Garibaldi partendo dal lato sud, vengono spezzate a 90°su tutto il lume strada di via Vollaro per spezzare ancora a 90° sotto piazza Piazza De Nava, aggirare le paratie e la palificazione fino a una distanza da questa di circa10 m, raggiungere via Romeo e ridiscendere per ricongiungersi coi tronchi, a loro volta interrotti al lato nord oltre la piattaforma, sotto viale Ammendola. Questo comporta ulteriori movimenti di non pochi metri cubi di terra, lo sterro di Via Vollaro e via Romeo per i segmenti corrispondenti e lo sconvolgimento di Piazza De Nava il

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cui sottosuolo viene impegnato fino a -2m, secondo le pendenze di flusso necessarie, per il sottopassaggio degli impianti e fino a sfiorarne il gruppo marmoreo.Quanto l’operazione complessiva progettuale sia urbanisticamente un taglio, una separazione, un intoppo, lo dimostrano molto bene le contorte operazioni necessarie per le reti impiantistiche sottosuolo che al pari delle strade sono linee energetiche fluide, che non amano le soluzioni di continuità. Quest’opera è sicuramente invasiva e distruttiva di un sottosuolo denso di memorie archeologiche e di un soprasuolo storicamente tramandato denso di carica simbolica.Al rilevamento dei primi reperti (certi, stando agli affioramenti, all’epoca degli scavi per le fondazioni del palazzo del Museo) le procedure di sterro diventerebbero solo manuali con dilatazione dei tempi, senza pensare alla dilatazione dei costi con scopertura, ormai una regola, il che porterebbe la città a sopportare una ennesima profonda ferita che non guarisce. Entriamo nel quarto anno che i bronzi sono altrove in orizzontale e l’importo delle opere di restauro del museo che dovrà riaccoglierli (appena terminate) nel frattempo è lievitato dai 10 milioni di euro iniziali a 33. Quasi quattro anni per restauro, aggiunti ad almeno altri tre (nella più idilliaca previsione) di questi ulteriori lavori nell’ambito museale sono un enorme disagio per il quale la città non ha offerto e non può offrire la piena fruizione dei Bronzi e degli altri reperti.

Ministero e sovrintendenze autorizzano se stesse ad eseguire lavori che nessun privato potrebbe mai eseguire, visti i vincoli archeologici e paesaggistici dell’area.

E poi la cosiddetta lanterna: un volume a vetri largo 5,60 metri e alto 4.60 per 42.60, la lunghezza di due vagoni ferroviari, che si frappone fra piazza e museo per permettere di scendere nel sottosuolo. Una palizzata che disturba su due fronti la percezione dell’insieme spaziale.

E’ un’illusione pensare che la trasparenza del vetro permetta ugualmente la fruizione spaziale. All’interno, ascensore, strutture metalliche di sostegno, specialmente viste in scorcio, si configurano come un volume compatto. Il vetro diventerà da subito lattescente per i continui depositi polverosi, e le superfici riflesse (pavimentazioni-facciate circostanti), specie nei giorni assolati, saranno dei veri e propri filtri materici, come volumi pieni. E non permetteranno di vedere al di là se non immagini confuse, come è facilmente osservabile nel piccolo volume vetrato di Piazza Italia.

3) utilità pubblicaIn che modo parla alla gente questo progetto? In che modo è utile? La sua utilità rasenta il risibile. Visto il rischio, l’imponenza dei lavori, la grave mutilazione, il danno complessivo, estetico, urbanistico, antropologico, si potrebbe parlare di pubblica futilità.

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Gli spazi da ricavare nel sottosuolo di Corso Garibaldi non sono spazi di assoluta necessità per il museo, ma di confort turistico, detti di accoglienza (gadget museali, oggettini- riproduzione, libri, multimedia, caffetteria) che potrebbero essere reperiti altrove e con altre modalità. A parte che già esistono all’interno del Museo ricavati con l’attuale restauro. Negli studi preliminari per conto di Ministero - Regione già citati, a tale scopo vi è chiara l’indicazione testuale di poter acquisire con procedura di esproprio l’edificio collocato alle spalle del museo denominato Roof Garden. Di cui rimangono ancora sconosciuti i motivi della dichiarata “ impraticabilità” nonostante una nostra formale richiesta.

E’ utile passare dalla solarità e dall’immersione nell’aria aperta con splendide viste, tipica delle città mediterranee, come è Reggio C., alla vita sotterranea tipica di città nordiche per le quali è indifferente il sopra o il sotto, il chiuso o l’aperto perché comunque la solarità e l’aria aperta non sono da loro godute come beni locali primari e quotidiani? Cosa si aspettano i turisti da questa città? Solo la possibilità di vedere i bronzi? Per ora sì, data la carenza dei servizi ricettivi della città. Ma si spera in seguito che sia l’accoglienza complessiva a rendere possibile la fruizione dei luoghi e nella cui intera maglia sia possibile riconoscere e visitare le orme di un passato lontano e vicino carico di memorie e significati.In mancanza saranno ben accolti solo in un ipogeo.

4) considerazioni antropologiche/urbanisticheL’Idea di città che emerge da un piccolo tassello progettuale come questo è quella di una città pensata per gerarchie e in funzione di una malintesa modernizzazione. Le gerarchie sono legate ad una tradizione recente che ha operato una disgiunzione tra centro e periferia e che ha separato gli spazi rendendoli aree recintate e appunto separate, soggette a seconda della loro identità, o a degrado o a rappresentanza. Rientra in queste separazioni l’idea di considerare il Corso Garibaldi come arteria conclusa.Il Corso è di fatto un lunghissimo asse stradale assolutamente rettilineo che dall’Argine Calopinace porta al quartiere Tremulini per ben 3 chilometri senza soluzione di continuità. La città è senza dubbio un continuum che vive su una struttura vettoriale molto potente che è la strada. Che una strada cambi nome ma prosegua non vuol dire che perda la sua regia vettoriale di confluenze/affluenze e la sua funzione primaria regolatrice e di orientamento. E’ proprio la virtuale conclusione appunto dell’asse viario rilevata nel linguaggio come modo di dire in relazione alla rappresentanza, che genera e avalla il concetto dell’isola, il compattamento tra la piazza e il museo, il taglio in due tronchi. Una grave autoritaria decisione urbanistica che si configura come blocco, chiusura, ingiustificata rispetto ai rischi, al sacrificio della fluidità stradale, e sia in relazione alle finalità della progettazione sia in relazione al contesto storico-urbanistico-archeologico in un nodo nevralgico della città.

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E un altro enorme macigno incombe sulla città a nord con altro polo museale e relative aree, il Regium Waterfront di Zaha Hadid e Patrick Schumacher, esteso dal porto a tutto il litorale e fino alla Stazione Centrale (e oltre), opera razionalista di Angiolo Mazzoni, che in un futuro prossimo o lontano si vorrebbe demolire per creare una stazione sotterranea.

La modernizzazione è spesso il tentativo di sprovincializzazione indotta o anche auto assunta che passa per l’acquisizione di forme e formule tecnologiche pseudo creative avveniristiche e spacciate per futuro ma che sono astoriche, asettiche e portatrici di moduli di vita urbana omologanti e a volte distruttivi.

Non si tratta di conservatorismo ma di antropologia dell’abitare, di nuova antropologia dell’abitare, dell’abitare sostenibile, grande tema attuale. Un costoso ipertecnologismo non sarà né mantenibile né sostenibile.Esiste certamente un ottuso conservatorismo, ma di contro anche un ottuso avvenirismo che demolisce pezzi di società e di storia, come già da tempo, per esempio, per la civiltà contadina che ha creato i borghi e fatto belle masserie e case e mantenuto gratis l’assetto idrogeologico del territorio.

Allo stesso modo come le donne hanno sostenuto e sostengono oggi gratis il welfare familiare-sociale.

Reggio è una città che rischia di diventare un “ non luogo”, cioè uno spazio non identitario, privo di interrelazione, non amato dai più. Eppure è anche ricca di beni ambientali, paesaggi, ospitalità, memorie e tradizioni.Di tutto questo ogni persona ha una viva stratificazione interiore che non trova visibilità ed esternazione per mancanza di spazi e tempi relazionali culturali, con un uso della città quasi solo commerciale. La forza trasmessa all’immaginario dai luoghi, specie se sono legati a ritualità, civili o religiose, si perpetua nel tempo e crea il legame col proprio profondo, al di là delle personali credenze. Questi luoghi dovrebbero essere considerati reliquie antropologiche per il loro alto valore storico-sociale. Se manca l’integrazione con il tessuto simbolico e di rievocazione, possono sorgere disadattamento, aggressività, alterazione mentale. L’architettura e l’urbanistica si dimostrano oggi incapaci di leggere l’immaginario dei luoghi e anzi disposte a sacrificarlo.

Un‘opera di distruzione graduale di questa città è cominciata da tempo e c’è il rischio che prosegua. Si sono conservate poche tracce popolari storiche. Diverse piazze “ristrutturate” che erano vive, animate e colorate, hanno perso senso, memoria e presenze, anzi qualcuna ha acquisito squallore.

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Ci si dovrebbe sentire donne e uomini titolari e responsabili della propria città. Invece si è ostaggi di burocrazie preordinate. Si pretendono riconoscimento acritico e consenso, accettazione di soluzioni che risultano gravi forzature piuttosto che riqualificazioni. Una visione moderna invece deve rientrare ormai nella sfera della tutela, del funzionante, con scatti orientati ad una sostenibile trasformazione.

Non è moderna una città che manca dei servizi primari, l’acqua per esempio, che non cura le strade, l’illuminazione, la pulizia, il bisogno di evoluzione e di spazi culturali dei cittadini. E non è moderna la città che sovrappone, alle sue tipologie che non ha saputo sviluppare, altre caratteristiche formali e modalità estreme, stridenti o omologanti. Ogni città ha bisogno di esprimere la sua bellezza che è unica e che è quella che i visitatori e gli abitanti vogliono ri-conoscere. E’ un delitto per es. trascurare e ignorare meravigliosi palazzi purtroppo molti in degrado di cui Reggio è ricca, il suo splendido liberty, la linearità del tracciato stradale.

La posizione dell’UDI per questi e altri motivi già espressi, non ultimo una visione dal punto di vista femminile di una saggia e sopportabile amministrazione della cosa pubblica, è fortemente critica nei confronti di questo progetto, ne rifiuta l’attuazione e ribadisce con forza la necessità di dare inizio alle trattative di acquisizione del Roof Garden.

Marsia Modola UDI Unione donne in Italia sede di Reggio Calabria