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Stelio W. Venceslai Geopolitica per capire

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Stelio W. Venceslai

Geopolitica per capire

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INDICE

CAP. I - LO SCENARIO.1.1 – La crisi economica.1.2 – La crisi politica1.2.1 – Gli Stati Uniti.1.2.2 – L’Europa.1.3 – La crisi dei valori.

CAP. II – IL DECLINO DELL’OCCIDENTE EUROPEO.

CAP. III - L’ESTREMO ORIENTE.3 .1 –La questione orientale.

3.1 – La Cina.3.2 – Il Giappone.3.3 – La Corea del Nord.

CAP. IV – IL MEDIO ORIENTE.4.1 – Un’area contestata.4.2 – Israele.4.3 - Iraq.4.4 - Siria.4.5 - I non Stati.

4.5.1 - Il Kurdistan. // 4.5.2 - Il Califfato islamico.4.6 - Gli altri comprimari.

4.6.1 - La Turchia. // 4.6.2 - L’Arabia Saudita. // 4.6.3 - L’Iran.

CAP. V – L’AFRICA.5.1 – Lo scenario africano.5.2 - Gli Stati costieri del Mar Rosso.

5.2.1 – La Somalia.5.2.2 – L’Eritrea.

5.3 - Gli Stati costieri dell’Oceano Atlantico.5.3.1 – La Nigeria.5.3.2 – Mali.5.3.3 – Niger.

5.4 - Gli Stati centrali francofoni.5.5 - Gli Stati costieri del Mediterraneo.

5.5.1 – La presenza araba.5.5.2 – Egitto.5.5.3 – Libia.5.5.4 – Tunisia.

CAP. VI – L’EUROPA.6.1 – Europa geografica ed Europa politica.

6.1 – L’Oriente europeo.6.1.1 – L’Ucraina.6.1.2 – Le ragioni del contendere.

CAP. VII – I PUNTI CALDI DEL PIANETA.

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1 - Lo scenario.

Occorre un’analisi obiettiva delle grandi trasformazioni in corso nello scenario internazionale (in Medio ed Estremo Oriente, in Africa ed Europa) per comprendere meglio le linee di tendenza della crisi politica ed economica mondiale che stiamo vivendo.

Non c’è solo una geopolitica fatta di geografia, di economia e di politica (guerre e paci) connessa alla situazione dei luoghi. Esiste una geopolitica fisica dei fiumi, dei mari, delle montagne e del deserto, tutti aspetti pressoché irreversibili. La mano dell’uomo, l’homo faber, ha portato ad alcune mutazioni strutturali (canali di Suez e di Panama) ma per quanto importanti siano state, poco o nulla è cambiato nell’assetto geografico del pianeta, mentre molto è mutato sul piano dell’evoluzione demografica ed economica delle popolazioni connesse ai luoghi.

La geografia condiziona la politica e l’economia e, dunque, gli uomini e la loro storia. Quando la geografia non risponde alle loro necessità, gli uomini si spostano. La politica ne precede e ne segue i cambiamenti.

Le grandi migrazioni non hanno cambiato la geografia ma la storia. Se consideriamo l’importanza dei commerci, in pieno sviluppo da almeno 3000 anni a.C., così come possiamo desumerlo dai reperti archeologici, gli esseri umani si sono sempre avvalsi delle condizioni naturali del pianeta per spostarsi, per navigare, per commerciare, per conquistare o, più semplicemente, per emigrare verso luoghi più favorevoli ai loro insediamenti.

La grande pianura sarmatica ha favorito l’emigrazione dei Variaghi dalle regioni fredde del Nord verso la Russia e la Crimea, le grandi invasioni dei Mongoli, dei Tartari, degli Unni sono avvenute lungo la via della seta, le migrazioni dei Barbari verso l’Impero romano hanno seguito il corso del Danubio e del Reno fino alle calde terre mediterranee.

L’uomo occidentale ha cambiato la storia dell’umanità nell’ultimo millennio, improntando di sé il mondo conosciuto. Ma il pianeta di oggi, con quasi 8 miliardi di essere umani, è molto diverso da quello all’epoca dell’espansione coloniale europea. La via occidentale dell’evoluzione sociale è solo uno dei tanti percorsi della storia, forse addirittura in declino.

La geopolitica condiziona l’umanità per la tutela dei propri interessi. Là dove le risorse energetiche sono cospicue o dove si sviluppano le rotte navali o fluviali più importanti, ivi si svolgono gli accadimenti che mutano la storia. Per converso, le montagne sono barriere invalicabili se non con grandi sacrifici umani. L’impresa di Annibale e, parecchi secoli dopo, quella di Napoleone, che varcarono le Alpi, stupirono il mondo.

Il mare, poi, è stato fondamentale per le comunicazioni tra popoli diversi, lontanissimi fra loro. La scoperta della regolarità dei monsoni, che per sei mesi soffiano in un senso e per altri sei mesi in un altro, permise traffici e spostamenti dall’Africa all’India fino all’ancor più lontana Cina e viceversa.

Gli stessi deserti, questi grandi spazi apparentemente vuoti e privi di vita1, sono stati teatro di spostamenti epocali, con lunghe carovane cariche di persone, di viveri e di beni da commerciare, soprattutto le preziosissime spezie, che li hanno attraversati in tutti i sensi, seguendo piste millenarie tracciate dai piedi degli uomini e dagli zoccoli dei cammelli.

Tutto questo, oggi, ci sembra facile e quasi ovvio: gallerie, viadotti sottomarini, treni superveloci, grandi arterie stradali ed aerei, hanno accorciato gli spazi, ridotti i tempi e facilitato, in una dimensione globale, l’integrazione umana. Ciò nonostante, il mondo è in tensione e, in un certo senso, il miglioramento incredibile dei mezzi di comunicazione (basterà pensare allo sviluppo delle reti telematiche), paradossalmente, acuisce i

1 I Tuareg, nella loro lingua, chiamano il deserto: teneré, il nulla.

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problemi, genera conflitti, e fa intravedere paurosi scenari di guerra arricchiti dalla minaccia nucleare.

Paesi un tempo sconosciuti si affacciano nella Comunità internazionale e chiedono spazio, Paesi tradizionalmente forti sono in declino e la risposta dell’Occidente, che in gran parte è stato responsabile dell’attuale sviluppo tecnologico del pianeta, quasi sempre è ambigua se non addirittura inesistente. In verità, la difesa del proprio benessere, spesso, si traduce o nell’indifferenza o nell’impotenza della mediazione a tutti i costi.

La difficoltà di capire certi accadimenti geopolitici di oggi non dipende tanto dalla complessità degli eventi quanto dalla nostra capacità di ragionare secondo una mentalità non europa-centrica. Siamo geneticamente convinti che il mondo occidentale sia il parametro di riferimento del mondo sotto ogni punto di vista: economico, politico, sociale, religioso, militare.

Purtroppo non è così. In un pianeta dove vivono quasi 8 miliardi di persone2, l’Europa da sola conta meno di un settimo. La tabella che segue dà un’idea, in percentuali, della distribuzione storica e futura della popolazione mondiale.

Tabella 1 - Distribuzione storica e futura della popolazione mondiale (% sul totale).Anni 1750 1800 1850 1900 1950 1999 2050

Mondo 100 100 100 100 100 100 100Africa 13,4 10,9 8,8 8,1 8,8 12,8 19,8Asia 63,5 64,9 64,1 57,4 55,6 60,8 59,1

Europa 20,6 20,8 21,9 24,7 21,7 12,2 7,0America Latina e Caraibi 2,0 2,5 3,0 4,5 6,6 8,5 9,1

Nord America 0,3 0,7 2,1 5,0 6,8 5,1 4,4Oceania 0,3 0,2 0,2 0,4 0,5 0,5 0,5

Come si vede, il peso della componente occidentale (Europa, America latina e Caraibi, America del Nord) arriva, al massimo, al 23% del totale della popolazione futura al 2050.

Se si considera, poi, il fattore religioso, spesso considerato come particolarmente qualificante, la situazione è la seguente.

Tabella 2 – Ripartizione per credenti

Religione Numero di seguaci(in milioni)

Buddhismo 488Cristianesimo 2 200Hinduismo 1 100Islam 1 800Religioni tradizionali cinesi 754 — 1 000

In sostanza, su 2.2 miliardi di Cristiani nel mondo ce ne sono 4.5 di non cristiani. Questi dati obbligano ad una riflessione profonda perché, attualmente, il punto di vista europeo non è l’unico, ma uno dei possibili punti di vista, ed è solo il risultato di un processo che ha visto storicamente prevalere l’Europa sul resto del mondo.

2 Secondo nuove stime delle Nazioni Unite, la popolazione complessiva del pianeta dovrebbe raggiungere i 9 miliardi nel 2050.

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2 – Il declino dell’Occidente europeo.

Il declino dell’Occidente è iniziato con la prima guerra mondiale e con il coinvolgimento degli Stati Uniti nelle guerre europee. Il nuovo assetto del pianeta, conseguente alla pace di Versailles, vide la fine di quattro grandi Imperi europei che, fino allora, avevano deciso le sorti del mondo: l’austriaco, il tedesco, il russo e turco.

Le grandi potenze residuali (soprattutto Francia ed Inghilterra) si spartirono il mondo. Questa situazione non durò molto a lungo. Una nuova grande guerra europea, vent’anni dopo, mise definitivamente in crisi l’assetto europeo e le sue propaggini coloniali in Africa, in Asia ed in Medio Oriente.

Due nuove grandi potenze emersero da questo conflitto, la Russia sovietica, che aveva pagato il maggior contributo di sangue, e gli Stati Uniti che, con il loro sforzo bellico, avevano rovesciato le sorti della guerra, trasformandosi in un vero e proprio impero con interessi planetari.

La situazione di stallo nucleare verificatasi dopo la seconda guerra mondiale, con la guerra fredda tra le due potenze imperiali, permise all’Europa di ripensare a se stessa, in termini molto meno ambiziosi. L’Occidente europeo si consolidò nella Comunità europea, rinunciando, di fatto, a qualunque politica estera e di difesa, ponendosi sotto l’usbergo politico-militare-americano. I Paesi dell’Est europeo, per parte loro, fecero altrettanto sotto il dominio sovietico. Non fu un miglioramento della situazione, ma i due blocchi, nonostante tutto, determinarono un equilibrio politico-militare che conservò per decenni la pace, anche se con molte tensioni (il muro di Berlino, la missili sovietici a Cuba, l’abbattimento dell’U2 americano nello spazio aereo russo). Nel frattempo, la decolonizzazione, resa inevitabile dal coinvolgimento politico delle etnie locali, spezzettò l’Africa, rispettando criteri e frontiere disegnati a suo tempo dagli interessi delle ex potenze coloniali.

Il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica rimisero in gioco vecchi e nuovi appetiti, in Europa ed altrove. Decine di nuovi Stati si formarono, con regimi solo in parte democratici, in Africa,

La potenza imperiale americana, dati i suoi interessi globali, si è trovata impegnata su vari fronti senza poter raggiungere i propri obiettivi. In Corea, il risultato di una guerra sanguinosa fu il ristabilimento delle frontiere precedenti, in Vietnam, alla disfatta francese seguì il crollo del regime sudvietnamita e la sconfitta americana, in Afghanistan, dopo un fallito tentativo calmieratore dell’Unione Sovietica, intervennero gli Stati Uniti e, tuttora, vi sono dentro, intrappolati dalle loro stesse ambizioni.

Seguirono poi le due guerre del deserto, per abbattere il regime di Saddam Hussein in Iraq, e la situazione lasciata dagli Americani è diventata torbida e pericolosa per la debolezza di quello Stato e per l’insorgere di una nuova, grave minaccia da parte del sedicente Califfato islamico. Infine, in Siria, Paese satellite del nuovo regime russo, la politica americana si è trovata invischiata nelle lotte intestine fra i gruppi oppositori di Bashar Assad e l’inquietante presenza russa nel Mediterraneo. In sostanza, la funzione imperiale degli Stati Uniti (il poliziotto del mondo) è venuta meno.

La Federazione russa, con la dissoluzione dell’URSS, dopo aver perduto quasi tutti i suoi ex satelliti europei, ad eccezione della Bielorussia, si è trovata a dover affrontare la rissosità dei nuovi Paesi formatisi in Caucaso e lungo l’antica via della seta. L’esercito russo è intervenuto pesantemente più volte per ristabilire la pace in quei territori la cui economia continua a gravitare verso Mosca.

Le altre potenze ex coloniali, dopo qualche inutile fiammata d’entusiasmo (vedi l’avventura di Suez o la guerra delle Falkland), si sono dedicate ai loro commerci, forti

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dell’alleanza con gli Stati Uniti, rinunciando, di fatto, a svolgere un qualunque ruolo efficace nel mondo.

Nel frattempo, in Medio Oriente, la nascita d’Israele ha determinato un conflitto permanente con gli Stati arabi confinanti e, soprattutto, con i Palestinesi. L’appoggio occidentale ha salvato Israele dal rischio d’essere sommerso dalla reazione araba e musulmana in genere. Ma la situazione, in Palestina, è una tuttora una ferita aperta.

In Oriente sono emerse tre grandi potenze: il Giappone, dopo la sconfitta, che è esploso dal punto di vista industriale,

affermandosi come uno dei Paesi più importanti del mondo sotto il profilo tecnologico;

l’India, dopo la decolonizzazione, la sanguinosa separazione del Pakistan, notevoli contrasti con la Cina ed il conflitto con il Pakistan (Kashmir), si è dedicata, prevalentemente, alla soluzione delle sue numerose e complesse questioni interne;

la Cina, dopo la guerra civile contro i nazionalisti di Chanh Kai Schek e l’inglobamento del Tibet, ha riacquistato Hong-Kong (il cui affitto all’Inghilterra per cent’anni era scaduto) ed ha instaurato rapporti di sopportata tolleranza con Taiwan, ultimo residuo della Cina nazionalista sconfitta da Mao Tse Dung. La Cina, con il suo immenso potenziale umano e dopo la fine di Mao, ha scoperto l’economia di mercato, diventando un partner commerciale mondiale di primissima importanza;

C’è poi la questione dell’espansionismo russo (Crimea, Ucraina, Siria) e di quello cinese (Africa). In quest’ultimo continente (un miliardo e mezzo di persone) è forse il nucleo più complesso e foriero di enormi sviluppi per il futuro.

Il pianeta è pieno di punti sensibili (i nuovi Paesi, formatisi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il ristagno giapponese ed il vuoto siberiano in Estremo Oriente, la Corea del Nord). Altri punti sensibili sono la permanente crisi israelo-palestinese, la nuclearizzazione iraniana, la diaspora religiosa in Iraq e Siria, la questione kurda e l’insofferenza araba, altrettanti indicatori di un’evoluzione profonda3.

Come si vede, l’Occidente europeo è ”fuori”, ingabbiato in una Unione economica, una comunità d’affari tra l’altro in crisi.

A ciò aggiungasi la crisi economica in corso che ormai da diversi anni sta devastando l’intero pianeta. Non è questa la sede per un’analisi del fenomeno finanziario che ne è all’origine.

La geopolitica aiuta a capire, non certo a risolvere i problemi, ma come diceva Spinoza: primum, intelligere.

3 - L’Estremo Oriente.

3.1 – La Cina.

In Cina, l’espansione economica sta segnando un forte rallentamento dopo l’impetuoso sviluppo dell’ultimo decennio. Il passaggio graduale ad un’economia di mercato, ma con la sussistenza di una forte presenza pubblica, è stata una vera e propria rivoluzione, molto più “culturale” e penetrante di quella propugnata dal libretto rosso, quanto agli effetti socio-economici-culturali.

Uno sviluppo così accelerato ed imponente ha provocato una crescita del benessere senza precedenti, con tutti mali connessi conseguenti: urbanizzazione,

3 Cfr. Innocenti, Ottaviano: Fiamme su quattro continenti, Pan ed., Milano (1981)

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inquinamento, domanda di prestazioni sociali, diritti umani, crescente internazionalizzazione, aumento della domanda interna.

Per una serie di ragioni che qui sarebbe troppo complesso individuare, lo sviluppo cinese sta rallentando e la moneta, lo yuan, è in un processo di lenta e graduale svalutazione, il che comporta effetti pesanti sull’intera economia mondiale, dato l’impatto di quel gigante economico che è la Cina.

I problemi politici di Pechino sono essenzialmente relativi all’area asiatica, con particolare riferimento ai rapporti con il Giappone e con la Corea del Nord.

3.2 – Il Giappone.Antagonista della Cina da sempre, il Giappone è un gigante industriale che è

riuscito per molti anni a primeggiare nella tecnologia e nell’innovazione, avamposto americano di tutto rispetto. Attualmente, esiste una situazione di equilibrio, con qualche contenzioso circa il possesso di alcune isole nell’Oceano Pacifico4, rivendicate sia da Tokio sia da Pechino.

L’economia giapponese è attualmente in ristagno (con una diminuzione del PIL di 1.40 punti) anche perché il Paese invecchia e mutano le necessità interne. Dopo gli imponenti sviluppi tecnologici dell’industria giapponese, la situazione è profondamente cambiata, pur restando sempre il Giappone un gigante dell’economia mondiale.

Le vere tensioni politiche in corso sono con la Corea del Nord, che rappresenta un problema per tutta l’area.

3.3 – La Corea del Nord.

La Corea è sempre stata un elemento di contrasto nei rapporti fra Cina e Giappone. Dopo la guerra di Corea (1950-1953), nella quale solo l’appoggio cinese e l’amicizia con la Russia sovietica salvarono il regime di Pyongyang dalla disfatta, la Corea del Nord si è chiuso in un rigoroso isolamento, gestito da una dittatura feroce, nominalmente comunista, ma sostanzialmente teocratico-famigliare.

Alla morte del leader Kim Il-sung (1994), il Presidente eterno5, infatti, è succeduto il figlio Kim Jong-il, il Caro Leader, morto nel 2011, la cui successione è stata presa dal terzo figlio, Kim Jong-un, il Brillante Compagno, un giovanotto della cui ferocia sono pieni i giornali asiatici6.

Il livello di vita nel Paese è condizionato dalle sanzioni e dagli embarghi imposti dall’Occidente, dalla fortissima corruzione della classe dirigente, tale da essere annoverato al secondo posto tra i Paesi del mondo con la più alta corruzione percepita 7, e dall'isolamento politico ed economico acuitosi dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica,

4 Queste isole, solitamente concernenti interessi di tipo economico (giacimenti di petrolio o di gas), sono le isole Curili (in contestazione con la Russia), le rocce di Liancourt (in contestazione con la Corea del Sud) e le isole Senkaku (in contestazione con la Cina e Taiwan).

5 Su questo personaggio si veda la stucchevole biografia agiografica, scritta quando il protagonista era ancora in vita: Breve storia dell’attività rivoluzionaria di Kim Il Sung, edito dall’Istituto di Storia del Partito del Lavoro di Corea, stampato in Italia, probabilmente, agli inizi degli anni 70.

6 Avrebbe fatto sbranare da cani affamati da cinque giorni quindici ufficiali nordcoreani, rei d’essersi ubriacati durante le commemorazioni funebri del padre. Il Capo di Stato Maggiore dell’esercito, reo d’essersi addormentato durante un suo discorso, sarebbe stato per questo condannato a morte ed ucciso con un colpo di cannone antiaereo.

7 Secondo il rapporto 2014 di Trasparency International, la Somalia è al primo posto nella lista dei Paesi più corrotti del mondo.

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suo grande sponsor in alternativa alla Cina.Inoltre, il rispetto dei diritti umani è uno dei più bassi del mondo8. Ciò, insieme ai

contrasti con la Corea del Sud per la reciproca rivendicazione dell'intera penisola, è causa di forti tensioni con il mondo occidentale, schierato a difesa della democrazia sudcoreana.

La politica nordcoreana è sempre stata particolarmente aggressiva nei confronti del resto del mondo, ad eccezione di Cina ed Iran. La quarta esplosione nucleare, sbandierata come bomba all’idrogeno, ed il lancio di un satellite nello spazio, dimostrando una capacità missilistica tale da poter colpire gli Stati Uniti e l’Europa, sono stati recentemente fonte di gravissime preoccupazioni per gli USA, il Giappone e la Corea del Sud, al punto da spostare la flotta americana del Pacifico nel Mar Giallo. Ciò infastidisce la Cina, che non gradisce l’attivismo nordcoreano alle sue frontiere, anche per evitare una presenza nordamericana troppo ingombrante in prossimità delle sue coste.

In sostanza, la Corea del Nord è uno dei possibili punti di frizione nell’Estremo Oriente, anche a causa dell’evidente follia del suo giovanissimo ed imprevedibile leader.

4 – Il Medio Oriente.

4.1 – Un’area contestata.

Tutta la regione, dal lontano Pakistan alle coste del Mediterraneo, è in fibrillazione da molti anni. Le origini di questa situazione sono tanto religiose quanto politiche ed economiche.

Questa vasta area, già cristiana ed ortodossa, è oggi essenzialmente islamica, con limitati gruppi di Cristiani appartenenti a confessioni diverse (come i Nestoriani ed i Siriaci) ed una ancor minore presenza ebraica (Siria ed Iraq).

Fondamentalmente, i Musulmani sono divisi tra Sciiti e Sunniti, che sono la stragrande maggioranza degli Islamici (circa il 90%), ma numerose sono le diverse osservanze esistenti (Alawiti, Drusi, Yazidi, Wahhabiti, Ismailiti e molte altre).

Politicamente, le frontiere furono tracciate in base alle decisioni delle potenze occidentali dopo lo sfacelo della Sublime Porta, alla fine della 1° guerra mondiale, frontiere tracciate con riga e compasso, in funzione dei vari interessi inglesi e francesi, senza tenere in alcun conto tradizioni, affinità storiche e linguistiche, in tal modo creando sulla carta degli Stati fantoccio, tipo Iraq e Transgiordania, creati dal nulla.

Ciò è stato determinato dal fatto che questa regione, economicamente, è una delle più ricche del mondo.

Già fondamentale centro dei traffici dall’Oriente ad Occidente (spezie, sete, profumi, articoli di lusso), questo territorio è straordinariamente ricco di giacimenti petroliferi e di gas, il che ha scatenato, a suo tempo, gli appetiti delle grandi potenze e, per loro, delle

8 Per chi volesse approfondire i ”misteri” della vita quotidiana nordcoreana, si veda Lee, Hyeansoeo: La ragazza dai sette nomi, Mondadori ed., Milano (2015).

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multinazionali.

4.2 – Israele.

Il primo elemento di tensione nell’area, storicamente, è stato la costituzione dello Stato d’Israele, nel 1948, con la conseguente opposizione del mondo arabo in difesa degli interessi palestinesi. Sono note le diverse guerre che ne sono seguite, con l’Egitto, la Siria e la Giordania, la costituzione dell’entità palestinese, l’occupazione della parte meridionale del Libano, l’intifada, gli scontri sulla Striscia di Gaza e così via.

Israele dispone, quasi certamente, di armi nucleari ed è l’unico Paese dell’area ad averne, ad eccezione, forse dell’Iran, se le avrà, in futuro, dopo l’accordo con gli USA.

La Palestina da molti anni è un focolaio di crisi determinato dal reciproco irrigidimento delle parti.

4.2 - Afghanistan.

Il secondo elemento di tensione nell’area è dato dall’Afghanistan. Più propriamente, non si tratta di uno Stato mediorientale, ma le sue vicende s’intrecciano fatalmente con quelle del Medio Oriente.

Rovesciata a suo tempo la monarchia (1973), la nuova Repubblica è stata oggetto di forti tensioni massimalistiche, politiche e religiose. Dopo l’invasione russa, durata circa un decennio (1979-1989), nel cui corso persero la vita due milioni di Afghani e 14.000 soldati russi, sono subentrati gli Americani (2003), con una coalizione internazionale anti-terrorista, ma il Paese non è assolutamente pacificato. I Talebani dominano il territorio confinante con il Pakistan, con un intenso scambio di armi e combattenti, fonte di tensione in Pakistan, dove resiste un regime militare ancorato agli Stati Uniti.

Il Governo di Kabul è molto debole, non è in grado di controllare l’intero territorio nazionale al punto che sta trattando con i Talebani per un governo di coalizione, ma le truppe occidentali sono ancora nel Paese e continuano le stragi, i kamikaze, le distruzioni.

4.3 - Iraq.

Il terzo elemento esplosivo è l’Iraq. Le due guerre del Golfo, volute dai Bush, hanno detronizzato Saddam Hussein, che governava da 25 anni, ma non hanno né pacificato il Paese né stabilizzato il nuovo sistema. Il dissidio profondo tra Sciiti e Sunniti rimane, il nord est del Paese è, in pratica, in mano ai Kurdi, e l’autorità del Governo centrale è molto debole. Il nuovo esercito iraqeno, addestrato dagli Americani, non ha dato buona prova di sé, almeno all’inizio della lotta contro la ribellione che è poi sfociata nell’ISIS e nel Califfato islamico.

Attualmente il governo di Baghdad controlla solo una parte del Paese: nel nord ci sono i Kurdi, praticamente autonomi, nel Sud la popolazione è a prevalenza sciita, il Califfato è pressoché alle porte della capitale e si è impadronito della maggior parte dei pozzi e degli impianti petroliferi del Paese.

4.4 - Siria.

Il quarto elemento di crisi è dato dalla Siria. Il regime di Bashar Assad è stato messo in crisi da una rivolta originata

dall’opposizione democratica (2011), sulla scia della cosiddetta primavera araba, cui si è aggiunta, prevalendo poi, una componente islamica, divisa in molte fazioni, tra loro in contrasto.

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L’appoggio occidentale alla guerra civile contro Bashar è contrastato dalla Russia, suo alleato tradizionale. Almeno sulla carta Russia sia Occidente sono unite contro le forze dell’ISIS che hanno occupato all’incirca la metà del territorio siriano9, compiendo stragi nei confronti di Yazidi, Cristiani e Sciiti, e distruzioni anche dei siti archeologici (Palmira).

Difficilissimi negoziati internazionali, sotto l’egida dell’ONU, in queste ultime settimane, sono arrivati ad un accordo per il cessate il fuoco in Siria, escludendo peraltro la lotta contro il Califfato, al fine d’istituire delle zone franche dove radunare i rifugiati e dar loro i primi soccorsi. È arduo immaginare che ciò possa portare ad una conclusione dei vari conflitti in corso.

4.5 - I non Stati.

In questo contesto tanto confuso quanto sanguinoso (sono almeno 4 milioni i profughi siriani), s’inseriscono altri due elementi di crisi, i Kurdi e l’ISIS, cui si aggiunge il ruolo, peraltro non meglio decifrabile, della Turchia.

4.5.1 - Il Kurdistan.

I Kurdi, una popolazione fra i 40 ed i 50 milioni di abitanti, da sempre privi di un loro Stato, sono alla ricerca di un’unità territoriale, politica e linguistica, dispersi fra Iraq, Turchia, Siria ed Iran10.

In Iraq, di fatto, si è creata un’entità statuale indipendente, peraltro non riconosciuta ma accettata, visto l’impegno kurdo contro l’ISIS che, dove può, cerca di sterminarli.

In Siria, l’enclave kurda ha resistito vittoriosamente contro il Califfato, ma è bombardata dagli aviogetti turchi mentre, in Turchia, l’etnia kurda continua ad essere perseguitata e, spesso, oggetto di raid aerei.

4.5.2 - Il Califfato islamico.

L’ISIS è un fenomeno nuovo, ma che si è inserito prepotentemente nel contesto mediorientale, sconvolgendo gli equilibri politici esistenti. Rigorosamente sunnita, foraggiato dapprima dagli stock di armi americane lasciate al nuovo esercito iraqeno, e da questo abbandonati, e da risorse finanziarie dell’Arabia Saudita e del Qatar, impadronitosi dei principali pozzi petroliferi della regione, dispone in quantità di risorse finanziarie, di armi e di uomini, con una forte affluenza di combattenti stranieri (i foreign fighters), provenienti dal mondo islamico occidentale.

Rapidamente, l’ISIS è riuscito a controllare un ampio territorio fra l’Iraq e la Siria, proclamandosi nuovo Califfato islamico ed estendendo le sue braccia nello Yemen, in Somalia, nel Sinai egiziano, in Libia ed in Nigeria (le cosiddette cinque “province” del Califfato)11.9 Le forze aeree occidentali (prevalentemente USA) hanno condotto fino ad ora circa 15.000 raid aerei contro l’ISIS, mentre i Russi ne hanno fatti più di 50.000. Nella guerra contro la Serbia, in due settimane, la Nato effettuò 39.000 missioni. Questo dà un’idea del blando impegno americano in Medio Oriente.

10 Sui problemi del Kurdistan, un Paese che non esiste sulla carta geografica, si veda: Darwish, Alan: Kurdistan, Ediesse ed., Roma (1992).

11 Per capire meglio l’ISIS e le prospettive del mondo arabo contro il Califfato, si veda: AA.VV.: La strategia della paura, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n. 11 (2015).

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4.6 - Gli altri comprimari.

4.6.1 - La Turchia.

Il ruolo della Turchia, Paese schierato con l’Occidente, membro della NATO e candidato all’Unione europea, è piuttosto incerto. La sua politica, almeno in questo momento, pur essendo indecifrabile e contraddittoria, è caratterizzata da un forte contrasto con la Russia di Putin e con la Siria di Bashar Assad.

Dalle frontiere turche filtrano milioni di profughi, parte dei quali s’imbarca poi per la Grecia, spesso finendo miseramente in mare.

Oppositore di Bashar Assad, il governo turco mira al suo abbattimento ed a sostituirsi alla massiccia influenza politica dei Siriani in Libano. Inoltre, in via di principio, sarebbe contrario al Califfato, che combatte contro Bashar Assad, ma i suoi aviogetti bombardano più gli accampamenti kurdi in lotta con l’ISIS che le formazioni militarti dell’ISIS.

I Russi, invece, stanno bombardando contemporaneamente le postazioni dell’ISIS e quelle delle fazioni che si oppongono a Bashar Assad e ad il Califfato, per sostenere il governo siriano. Sono, però, in contrasto con i Turchi (e gli Americani) circa il destino della Siria, ma in accordo (teorico) con questi ultimi nei confronti del Califfato. Il recente abbattimento nei cieli turchi di un aviogetto russo uscito di rotta non ha facilitato la situazione.

D’altro canto, gli Occidentali sono contro l’ISIS, si coordinano con i Russi, ma vogliono il rovesciamento di Bashar. Un pasticcio inestricabile.

4.6.2 - L’Arabia Saudita.

Il ruolo dell’Arabia Saudita, alleato tradizionale degli Stati Uniti, almeno in passato è stato anch’esso molto ambiguo. I Saudiani hanno finanziato molte azioni terroristiche di al-Qaeda e del suo leader storico, Osama Bin Laden, che era cittadino saudita.

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Successivamente, hanno alimentato il Califfato, in concorrenza con il Qatar che aspira a sostituirsi all’Arabia saudita nel ruolo di guida del mondo islamico.

Quando l’intraprendenza del Califfato è esplosa nell’Yemen, Paese satellite ai confini sauditi, c’è stato un cambio di rotta. Truppe saudiane combattono nello Yemen contro la parte sciita del Paese e contro le infiltrazioni dell’ISIS. I Saudiani si sono resi conto del pericolo, per la monarchia, dell’espansione del Califfato, ed hanno rafforzato i legami con gli Stati Uniti.

Recentissimamente, poi, sembra che i Saudiani abbiano deciso d’inviare materiale militare e truppe scelte in una base militare messa a loro disposizione della Turchia per allestire un’operazione turco-saudita in Siria.

Nel contempo, tuttavia, l’accordo nucleare USA-Iran ha aperto un nuovo fronte, politico e religioso, contro la minaccia iraniana. L’Iran, sciita, uscito dal letargo delle sanzioni e dell’embargo del passato, si appresta ad essere non solo campione dello sciismo (l’Arabia saudita è sunnita di osservanza wahhbita), ma anche ad interpretare il ruolo di prima potenza dominante nel Golfo arabico, contestando la supremazia saudiana.

Ciò a portato l’Arabia Saudita alla rottura delle relazioni diplomatiche con Teheran e ad un’alleanza con la maggior parte dei Paesi del Golfo a maggioranza sunnita.

4.6.3 - L’Iran.

Il ruolo dell’Iran, tradizionale difensore degli sciiti iraqeni, è un ruolo di primo piano in tutto il Medio Oriente, soprattutto ora che, con la fine delle sanzioni economiche, è in grado di esprimerne a tutto campo il suo potenziale economico e demografico (Il Paese conta poco meno di 80 milioni di abitanti).

Rovesciata la monarchia di Reza Pahlevi, la nuova Repubblica teocratica instaurata da Komeini si è trovata in rotta di collisione con gli Stati Uniti e con l’Occidente ed è stata messa al bando della Comunità internazionale.

Con l’accordo nucleare, duramente negoziato con Stati Uniti e Russia, l’Iran è tornato ad assumere un ruolo di primaria importanza nel contesto del mondo islamico, con particolare riferimento ai rapporti con il debole Iraq, con il quale ha avuto ai tempi di Saddam una lunghissima guerra sanguinosa (oltre un milione di morti) e nei confronti dei ricchi Paesi del Golfo e dell’Arabia saudita.

Nemico da sempre di Israele, Tel Aviv vede come una minaccia mortale la crescita della potenza iraniana, che ha finanziato gli Hezbollah (di religione sciita) in Libano proprio contro Israele.

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5 – L’Africa.

5.1 – Lo scenario.

Per quanto vicino all’Italia, il continente africano è pressoché sconosciuto. L’Africa è enorme, con più di 30.2 milioni di kmq, tre volte più grande di tutta l’Europa(compresa la parte europea della Russia), pari a 10.1 milioni di kmq, poco meno di tre quarti dell’intera Asia (44.6 milioni di kmq).

Per converso, l’Europa ha quasi 900 milioni di abitanti e l’Africa 1.2 miliardi di abitanti.

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L’Africa è strutturata in 54 Stati diversi, per lingua tradizioni, cultura e storia. In pratica, per un esame sintetico degli attuali punti geopolitici di frizione è opportuno distinguere, in modo peraltro molto approssimativo:

gli Stati di lingua inglese costieri del Mar Rosso (Somalia, Eritrea ed altri); gli Stati di lingua inglese e francese che gravitano sull’Oceano Atlantico (Nigeria,

Mali, Niger ed altri); gli Stati centrali, francofoni (Tchad e Centro Africa, Congo Kinshasa, Congo

Brazzaville ed altri); gli Stati costieri del Mediterraneo, di lingua araba (Egitto, Libia, Tunisia, Algeria).Diverse sono le risorse di cui dispongono, differente il livello di vita, le condizioni

climatiche, il numero degli abitanti.Lo scenario politico è caratterizzato da una progressiva diffusione dell’infezione

jihadista, pilotata dal Califfato islamico, cui si sono progressivamente affiliati numerosi gruppi integralisti africani.

5.2 - Gli Stati costieri del Mar Rosso.

5.2.1 – La Somalia.

La Somalia è un buco nero nel continente africano. Caduto il regime di Mohammed Siad Barre, in Somalia (1991) sono cominciate le guerre tribali, che hanno portato al pratico dissolvimento dello Stato. La grande Somalia, vagheggiata nella bandiera con la stella a cinque punte, si è ridotta a ben poco, preda dei Signori della Guerra e delle Corti Islamiche, invasa dalle truppe etiopiche e, poi, da quelle ugandesi, per sedare i disordini, frenare i massacri all’esodo delle popolazioni stremate dalla penuria di viveri e dagli omicidi politici, e colpire il terrorismo che minaccia il Kenya, con ripetuti massacri da parte delle milizie somale arruolate dal Califfato, come è recentemente avvenuto con la strage di Garissa, compiuta in Kenya dal gruppo islamista somalo di Al-Shabaab.

La Somalia, nonostante un recente Governo di pacificazione, le cui prospettive politiche sono piuttosto fragili, è un luogo di grande fibrillazione da cui può uscire un vulcano per tutta la regione.

5.2.2 – L’Eritrea.

L’Eritrea, dopo aver riacquistato l’indipendenza dall’Etiopia (1993), vive in uno stato di grande povertà sotto una dittatura militare pseudo socialista, guidata da 21 anni dalla stessa persona, Saias Afewerki.

Tra il 1998ed il 2001 questo poverissimo Paese è entrato in guerra contro l’Etiopia, subendo disastri, esodi e distruzioni.

Il Paese, con una gravissima crisi economica, è sotto pressione politica e potrebbe scoppiare da un momento all’altro se la predicazione del Califfato riuscisse a far presa su quella parte di popolazione che è musulmana (la restante parte è cristiana, anche se di diverse osservanze).

5.3 - Gli Stati di lingua francese ed inglese.

5.3.1 – La Nigeria.

Il più importante tra questi Stati è certamente la Nigeria, un colosso di 182 milioni di abitanti e poco meno di 1 milione di kmq di territorio, provvisto d’ingenti ricchezze energetiche e naturali, uno fra i Paesi più corrotti del mondo.

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Questa eccezionale situazione non ha portato fortuna al Paese che è vissuto tra colpi di stato militari, sanguinosi tentativi di secessione da parte degli Igbo (guerra del Biafra, 1967-1970), e colpi di mano, altrettanto sanguinosi da parte del Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger, il Mend, fino all’esplosione jihadista del movimento Boko Haram (letteralmente: vietata l’istruzione occidentale) nelle regioni settentrionali del Paese. Le prime elezioni libere in Nigeria si sono tenute una volta sola in sedici anni.

BokoHaram fu fondata nel 2002 a Maiduguri da un predicatore islamico, Ustaz Mohammed Yusuf, morto oscuramente in carcere, forse durante un tentativo di fuga. Si tratta di un movimento integralista sunnita di osservanza salafita12. Ne ha raccolta l’eredità l’attuale leader del gruppo, Abubakar Shekau che, alleatosi con al-Qaida, nel Maghreb islamico, è entrato ufficialmente a far parte del Califfato, effettuando azioni terroristiche ad ampio raggio, debolmente contrastate dall’esercito federale nigeriano, in Nigeria, Niger, Camerun, Mali e Tchad.

Boko Haram, violentemente anti cristiano, è responsabile di rapimenti (275 ragazze rapite, stuprate o vendute come mogli, tratte da un college), di stupri, di uccisioni, di massacri di massa (a Baga, oltre 2000 morti). Si tratta della minaccia terroristica più grave esistente in Africa.

5.3.2 – Mali.

In Mali è ripresa la guerra civile ha portato più volte il Paese vicino al disastro. L’etnia tuareg da decenni ambisce a crearsi un territorio autonomo in una qualunque parte del Sahara. Il Movimento Nazionale di Liberazione dell’Azawad (il nord del Mali), di fondazione tuareg, nel 2012 si è alleato con alcune frazioni fondamentaliste (gli Ansar Dine), aderenti al Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento, l’equivalente di al-Qaida nel Maghreb, con l’intento di controllare appunto l’Azawad, ai confini con l’Algeria.

Il governo del Mali è riuscito a ricacciare i ribelli nel deserto, nel 2013, con l’aiuto algerino, francese ed americano (operazione Serval). Nel corso degli scontri, tuttavia, le formazioni ribelli sono riuscite a distruggere numerose reliquie della locale tradizione sufi13 e le tombe dei santoni locali (i marabutti), data l’iconoclastia wahabbita che considera bestemmia qualunque forma di culto non dedicata ad Allah.

La sconfitta dei rivoltosi non ha sanato il conflitto, che è endemico per tutto il Sahara. Anzi, è nato un fronte del Sahara14, con stretti collegamenti con Boko Haram, che punta al controllo delle regioni meridionali algerine ed alle relative sorgenti di petrolio e di gas. Lo stesso fronte sahariano gravita verso il nord libico, nel Fezzan, ed allunga i suoi tentacoli verso il Tchad ed il Centro Africa, già meta delle guerre di Gheddafi (1973-1988), interessato alla conquista della striscia uranifera di Aozou, fermate a suo tempo dalla Legione straniera francese.

12 Il salafismo è una scuola di pensiero sunnita che identifica le prime tre generazioni di Musulmani come dei modelli esemplari di virtù religiosa da imitare. A partire dalla fine del secolo scorso, molti gruppi estremisti si sono ispirati a questa ideologia, come il Gruppo Salafita per la Predicazione ed il Combattimento, nato in Algeria, ed altre milizie jihadiste legate ad al-Qaida.

13 Il sufismo è una forma di ricerca mistica caratteristica della cultura islamica. Secondo alcuni studiosi, il sufismo in realtà sarebbe la continuazione di una preesistente e perenne filosofia dell'esistenza, nata prima dell’Islam. Secondo altri, invece, questa filosofia sarebbe di natura prettamente islamica, anche se non ci sono elementi per ritenere che la catena di filiazione dei maestri sufi (silsila) risalga direttamente a Maometto.

14 Su questo tema si veda: AA.VV.: Fronte del Sahara, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n. 5 (2012).

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5.3.3 – Niger.

Di tutti i Paesi dell’area, probabilmente, il Niger è il più povero, maggiormente intriso di wahabbismo e più suscettibile di reagire alle sollecitazioni della propaganda jihadista.

Tra un colpo di Stato militare ad un altro, il Paese con la maggior percentuale di giovani al di sotto dei 18 anni di tutto il continente, è un focolaio pericoloso per l’alto tasso di povertà e di disoccupazione, fragile preda degli estremismi.

Una crescente ed importante presenza cinese ha offerto lavoro e prospettive, tenendosi bene alla larga dalle questioni politiche e religiose.

Il Paese è per la massima parte, islamico e l’educazione è impartita nelle varie scuole islamiche, finanziate dall’Arabia Saudita, data la difficoltà del Governo di Niamey di pagare i propri insegnanti.

5.4 - Gli Stati centrali francofoni.

La situazione di questi Paesi, segnatamente quella dell’ex Congo belga, ora Congo Kinshasa, è tristemente nota per le guerre civili ripetute, per i massacri compiuti, per la secessione fallita del Katanga, per le azioni di rapina delle grandi compagnie minerarie internazionali, per l’assetto rovinoso del loro sistema istituzionale.

Mentre l’altro Congo, quello di Brazzaville, vive dal 1997 con una blanda dittatura militare (Denis Sassou-Nguesso) ed è o cristiano o animista, con un 2% soltanto di Musulmani, il Congo Kinshasa, prevalentemente cristiano (86%), ha avuto una storia molto turbolenta, attualmente caratterizzata dalla presenza di truppe ugandesi e da diversi movimenti ribelli o scissionisti.

5.5 - Gli Stati costieri del Mediterraneo.

5.5.1 – La presenza araba.

Tutta la fascia settentrionale africana è di religione islamica, salvo la mal tollerata presenza copta in Egitto.

In quest’area, dopo la cosiddetta primavera araba, sono fortissime le tensioni politiche e religiose, caratterizzate in Egitto, Tunisia ed Algeria dal tradizionale movimento dei Fratelli musulmani15, che più volte ha cercato di assumere il potere ma è sempre stato duramente represso dai militari.

Esiste, poi, una profonda diversità, demografica ed energetica, tra l’Egitto, scarso di risorse ma densamente popolato (circa 90 milioni di abitanti), la Libia ( poco più di 6 milioni di abitanti), scarsamente popolata ma ricca di giacimenti petroliferi e di gas, la Tunisia (11 milioni di abitanti), le cui uniche risorse sono quelle turistico-agricole e l’Algeria, popolosa (40 milioni di abitanti) e ricca di gas e di petrolio.

5.5.2 – Egitto.

15 I Fratelli Musulmani sono una delle più importanti organizzazioni politiche islamiche internazionali. Fondati nel 1928 da al-Hasan al-Banna ad Ismailia, in Egitto, poco dopo il collasso dell’Impero ottomano, si sono diffusi soprattutto in Egitto ed in Palestina (Hamas), Considerati un’organizzazione terroristica in molti Paesi arabi, sono finanziati dal Qatar.

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Al rovesciamento del regime di Mubarak, che aveva governato per trent’anni, è subentrata una stagione politica difficile, con la messa al bando dei Fratelli Musulmani, che avevano vinto le elezioni, cui è subentrato un regime militare molto autoritario, saldamente ancorato all’Occidente.

La situazione politica, tuttavia, è molto precaria, per effetto della presenza di numerose infiltrazioni jihadiste che hanno portato a segno diverse iniziative terroristiche miranti a destabilizzare il Paese.

Tre sono i punti focali emergenti: il Sinai: la penisola, in stretto collegamento con la Striscia di Gaza e la

resistenza palestinese è, praticamente, nelle mani del Califfato, con l’appoggio, tacito, di Hamas, e le forze egiziane sono sulla difensiva;

il terrorismo turistico: il terrorismo islamico ha colpito più volte le strutture turistiche sulle coste del Mar Rosso ed i turisti stranieri in Egitto, per tagliare il più importante flusso di valuta estera del Paese;

la presenza di una forte opposizione integralista. I Fratelli Musulmani sono stati messi al bando ma gran parte del Paese è con loro. L’avvento di un regime integralista è visto con molta preoccupazione dal mondo occidentale, per la saldatura che può rappresentare con il Califfato islamico e per i suoi effetti sugli altri Paesi del Nordafrica.

5.5.3 – Libia.

Dopo la rivoluzione, “assistita” dagli aviogetti francesi ed inglesi, che ha portato alla defenestrazione di Muammar Gheddafi ed alla sua morte, lo Stato libico si è praticamente dissolto, dividendosi in varie fazioni l’una contro l’altra armata, con l’esplosione delle diverse rivalità fra i clan libici.

La situazione attuale è caratterizzata dalla presenza nel territorio di due diversi governi, uno a Tobruk e l’altro a Tripoli, più un terzo, che secondo l’Occidente dovrebbe essere sintesi dei primi due, di stanza a Tunisi. Inoltre esiste un forte raggruppamento militare attorno al generale Khalifa Belqasim Haftar, che aspira alla leadership del Paese ed è appoggiato dal vicino Egitto.

Il 30 luglio 2014, milizie islamiche, Ansar al-Sharia, devote al Califfato, hanno occupato Bengasi, instaurandovi il loro regime.

La guerra civile è attualmente in corso su più fronti, con la presenza di truppe egiziane al confine orientale, per evitare il contagio islamico, e l’imminenza di un probabile intervento armato delle Nazioni Unite per mettere fine ai disordini e ricostituire lo Stato.

5.5.4 – Tunisia.

Il 17 dicembre 2010, un giovane ambulante, Mohamed Bouazizi, si diede fuoco davanti al palazzo del Governatorato di Sidi Bouzid a seguito della volontà delle autorità di revocargli la licenza. Quest'episodio portò alla nascita della primavera araba, un insieme di movimenti popolari che si svilupparono in diverse Nazioni di cultura araba.

Circa un mese dopo, il 14 gennaio 2011, si dimise il dittatore Ben Alì, che fuggì all'estero con la famiglia. Alle elezioni conseguenti un breve periodo di transizione ha vinto un partito islamico moderato che ha varato una nuova costituzione democratica.

Fortemente legata alla Francia (ed all’Italia), lo Stato tunisino è stato oggetto di attacchi terroristici volti a destabilizzare il Paese e ad impedire quei flussi turistici che sono fondamentali per la limitata economia del Paese.

Se la Libia cadesse in mano agli estremisti, la Tunisia non potrebbe resistere alla loro pressione, anche perché in Tunisia sono tuttora attivi i Fratelli Musulmani.

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6 –L’Europa.

6.1 – L’Oriente europeo.

6.1.1 –L’Ucraina.

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Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, si sono formati molti nuovi Stati. In particolare, in Europa, sono apparsi la Bielorussia e l’Ucraina, due entità statuali già facenti parte dell’URSS in qualità di Repubbliche federate, ma prive di sovranità nazionale internazionalmente riconosciuta16.

Con il crollo del regime sovietico, sia Bielorussia che Ucraina sono divenuti Stati, riconosciuti come tali, a tutti gli effetti, dalla Comunità internazionale.

Storicamente l’Ucraina non è mai stata indipendente, con parti del suo attuale territorio spartite fra l’Austria-Ungheria e la Russia zarista. Questa situazione ha caratterizzato le popolazioni, cristiane ad ovest ed ortodosse ad est, in modo diverso: il suo territorio occidentale faceva parte della Galizia austriaca mentre la sua parte orientale apparteneva all’Impero zarista. Alla fine della 1° guerra mondiale l’Ucraina, dopo varie vicissitudini, entrò a far parte dell’URSS e nel 1954 Kruscev decise d’incorporare la Crimea nell’Ucraina.

Nell’agosto del1991 l’Ucraina dichiarò la propria indipendenza e cominciarono subito i problemi tra i filorussi ed i filo occidentali, culminati, alla fine, con l’allontanamento del Presidente Janucovych, filorusso, che non si è mai dimesso e di cui Mosca difende la legittimità, e la formazione di un governo filoeuropeo, definito “di destra” dai filorussi.

L’approccio ucraino all’Unione europea ha determinato una brusca reazione da parte di Mosca, con una crescita della tensione fra i due Paesi con ripercussioni sul lato economico e politico. La Russia, per ritorsione, ha aumentato notevolmente il costo del gas che prima forniva all'Ucraina ad un prezzo amichevole, e le relazioni diplomatiche si sono di molto inasprite.

Contestualmente, in Crimea e nelle regioni dell’Ucraina orientale, al confine russo, nelle quali la popolazione è russofona, sono scoppiate rivolte separatiste, alimentate da Mosca.

Il Governo ucraino ha reagito, sono iniziati i combattimenti fra i miliziani separatisti, aiutati e foraggiati da volontari russi, e l’esercito ucraino, con centinaia di morti e reciproche accuse tra Kiev e Mosca.

Nel frattempo, la Crimea si è proclamata indipendente l’11 marzo 2014 e, quattro giorni dopo, ha chiesto l’adesione alla Federazione russa.

Nelle regioni orientali, invece, per quanto si siano proclamate indipendenti, c’è una situazione di stallo, dopo lunghi e difficili negoziati tra Francia, Germania e Governo di Kiev, da un lato, Russia e Bielorussia dall’altro, per un cessate il fuoco.

I separatisti hanno indetto anche un referendum nel maggio 2014 e nell’aprile 2015° seguito del quale hanno costituito due repubbliche indipendenti: la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk. Tutto ciò non aiuta di certo ad un ritorno allo status quo ante.

6.1.2 – Le ragioni del contendere.

La Russia considera l’Ucraina e la Bielorussia due territori cuscinetto rispetto alla NATO. Mentre la Bielorussia è un fedele alleato, il passaggio dell’Ucraina all’Occidente è considerato pericoloso, perché un’Ucraina, membro associato dell’Unione europea e membro della NATO, significherebbe testate missilistiche in prossimità della frontiera russa.

16 In verità, per ragioni politiche, questi Paesi facevano già parte delle Nazioni Unite, per dare più consistenza alla posizione politica sovietica spesso contrastante con quella dell’Occidente, ma non avevano una vera e propria personalità giuridica internazionale.

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Scorporare dall’Ucraina la Crimea e le due sedicenti repubbliche di Donetsk e di Lugansk significherebbe, comunque, per Mosca, mantenere una zona di rispetto alla frontiera russa, priva di testate nucleari od armamenti missilistici. Il separatismo di queste regioni è stimolato e protetto dall’esercito russo, in nome della tutela dei diritti umani e del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Da parte del Governo di Kiev e dell’Occidente, invece, oltre a contestare la presenza di personale volontario sovietico, militare e civile, nelle aree contestate, si accusa il Governo di Mosca di sobillare la popolazione locale, russofona, spingendola alla rivolta ed all’autodeterminazione, per poi confluire nella Federazione russa, come ha già fatto la Crimea. Se la tregua fosse interrotta, il nuovo conflitto potrebbe coinvolgere, indirettamente, anche la NATO.

7 – I punti caldi.

In conclusione, gli attuali punti caldi geopolitici, attualmente, si possono individuare come segue:

a - Corea del Nord: le mosse dell’attuale Presidente sono imprevedibili e da un momento all’altro potrebbero determinare gravi complicazioni. Peraltro, la Cina agisce da freno e la presenza della flotta Usa nelle acque coreane è un deterrente importante. Tuttavia non sono da escludere colpi di testa nei confronti della Corea del Sud.b - Siria: un multiconflitto è già in corso, ma la situazione potrebbe aggravarsi a causa delle tensioni russo-turche. Esiste, tuttavia, un accordo di massima tra USA e Russia, nel senso che Bashar Assad, vittorioso con l’aiuto russo sulle forze ribelli, potrebbe restare ancora per poco tempo al potere e poi dimettersi, indicendo nuove elezioni.Ciò disturberebbe assai la Turchia, che vuole la caduta di Assad, ma non ha la forza militare per opporsi a tale situazione.Resta indefinita la situazione dei Kurdi, che vogliono un loro Stato, e la questione del Califfato che, una volta che fosse sconfitto dai Russi in Siria, potrebbe estendersi ulteriormente in Iraq ed altrove.c - Nigeria: la situazione è, al momento, incontrollabile, perché Boko Haram non è contrastato come vorrebbe far credere il Governo nigeriano, e la sua influenza politico-militare si estende in tutta l’Africa centrale e nel Sahara,

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sino a collegarsi con la Libia. Nessuno è ancora intervenuto contro Boko Haram ed i suoi alleati e la situazione è destinata a degenerare.d - Egitto: la situazione è sotto ferreo controllo da parte della dittatura militare che lo governa, almeno per il momento.e - Libia: qui il conflitto è in corso ed è prevedibile un intervento occidentale sotto l’egida delle Nazioni Unite. La questione potrebbe aggravarsi se vi fosse un’unione di forze fra gli jihaidisti di Bengasi e Boko Haram.f - Ucraina: situazione di stallo armato. L’Ucraina non può sopportare l’umiliazione di essere mutilata di parti del territorio nazionale.

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