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44. QUESTI È IL FIGLIO MIO, IL DILETTO: ASCOLTATE LUI! (9,1-10) 9 1 E diceva loro: Amen, vi dico: ci sono alcuni di quelli che stanno qui che non gusteranno la morte, finché vedano il regno di Dio venuto in potenza. 2 E dopo sei giorni Gesù prende Pietro e Giacomo e Giovanni, e li conduce su un monte alto in disparte da soli; e fu trasfigurato davanti a loro. 3 E le sue vesti divennero splendenti, bianche molto, quali nessun lavandaio sulla terra può fare così bianche. 4 E fu visto da loro Elia con Mosè ed erano in dialogo con Gesù. 5 E rispondendo Pietro dice a Gesù: Rabbi, è bello per noi essere qui! E faremo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia. 6 Infatti non sapeva cosa rispondere; infatti erano spaventati. 7 E venne una nube che li copriva d’ombra, e venne una voce dalla nube: Questi è il Figlio mio, il diletto: ascoltate lui! 8 E, all’improvviso, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non il Gesù solo con loro. 9 E, scendendo dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che videro,

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44. QUESTI È IL FIGLIO MIO, IL DILETTO: ASCOLTATE LUI!

(9,1-10)

91 E diceva loro:Amen, vi dico:ci sono alcuni di quelli che stanno qui che non gusteranno la morte, finché vedano il regno di Dio venuto in potenza.2 E dopo sei giorniGesù prende Pietro e Giacomo e Giovanni, e li conduce su un monte alto in disparte da soli; e fu trasfigurato davanti a loro.3 E le sue vesti divennerosplendenti, bianche molto, quali nessun lavandaio sulla terra può fare così bianche.4 E fu visto da loro Elia con Mosèed erano in dialogo con Gesù.5 E rispondendo Pietrodice a Gesù:Rabbi,è bello per noi essere qui!E faremo tre tende,una per te, una per Mosè e una per Elia.6 Infatti non sapeva cosa rispondere;infatti erano spaventati.7 E venne una nube che li copriva d’ombra,e venne una voce dalla nube: Questi è il Figlio mio,il diletto:ascoltate lui!8 E, all’improvviso, guardandosi attorno,non videro più nessuno,se non il Gesù solo con loro.9 E, scendendo dal monte,ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che videro,se non quando il Figlio dell’uomo sarebbe risorto dai morti.10 E tenevano la parola,tra loro discutendocos’è il risorgere dai morti.

1. Messaggio nel contesto

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“Questi è il Figlio mio, il diletto.- ascoltate lui”. la seconda e ultima volta che il Padre parla. La prima approvò Gesù come Figlio, quando si mise in fila con i peccatori per immergersi nel Giordano (1,11); ora lo conferma per noi come tale, mentre ha appena dichiarato la parola della croce.Dopo la trasfigurazione dei Figlio, irradiazione della sua gloria (Eb 1,3), il Padre non dirà più nulla. Gesù che va in croce e risorge è la Parola in cui si esprime totalmente e si rivela definitivamente. Per questo dice: “Ascoltate lui!”. La sua carne è il criterio ultimo di discernimento spirituale.Marco, a differenza degli altri evangelisti, pur conoscendole, non racconta le apparizioni del Risorto. Termina con le donne impaurite, che ascoltano l’annuncio di tornare in Galilea: “Là lo vedrete, come ha detto!” (15,7). Il finale rimanda al principio e invita a rileggere tutto alla luce dell’annuncio del Signore morto e risorto. Se lo ascolto, lo incontro nella sua parola che opera in me quello che dice, trasformando progressivamente la mia vita a immagine della sua. Il dono del pane, col miracolo del sordo e del cieco, mi abilita ad ascoltarlo e a vederlo. La sua gloria è la realizzazione di tutta la promessa di Dio, in lui già anticipata e donata a chiunque lo contempla. Vedere il suo volto infatti è la vita dell’uomo, che finalmente davanti a lui riflette la realtà di cui è specchio. “Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito” (2Cor 3,18). Questa è l’esperienza del Vivente alla quale Marco vuol portarci. “Mostrarmi il tuo volto!”. La preghiera, ripetuta nei salmi, esprime il desiderio abissale che ci fa essere ciò che siamo. Ora l’anelito finalmente si placa (o si accende?).La trasfigurazione, narrata al centro della vita terrena di Gesù, è figura di quella risurrezione che la sua parola già opera nel cuore della nostra vita quotidiana, in attesa di quella definitiva. Essa ha il suo inizio nell’ascolto che ci guarisce, si compie nel battesimo che ci unisce a lui, si alimenta col suo pane che ci fa camminare dietro di lui, e si consuma nella visione del suo volto, che si rispecchia nel nostro. “Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2).Tutta la creazione tende al settimo giorno; e geme e soffre come nelle doglie del parto, in attesa di entrare con noi nella gloria dei figli di Dio (Rm 8,19 ss).La trasfigurazione, non la sfigurazione - come temiamo - è il punto d’arrivo dell’universo. Il volto di Gesù, bellezza di Dio, compimento del suo disegno di salvezza, è il nostro vero volto, nel quale, per il quale, e in vista del quale siamo stati fatti (Col 1,15). In lui tutto raggiunge il suo fine e si ricongiunge al suo principio. E Dio, finalmente tutto in tutti (1Cor 15,28), riposa godendo della sua opera.Questo racconto segna una svolta decisiva sia nel cammino di Gesù, che va verso Gerusalemme, sia in quello del discepolo, al quale il Padre mostra il mistero del Figlio.Due persone, smarrite nel bosco, si trovano a percorrere lo stesso sentiero, l’unico che c’è. Ma uno ignora dove porta. Intanto cala la sera e viene la notte. L’altro riconosce da un segno che porta a casa; tra poco siederà attorno al fuoco coi suoi.La vita è uguale per tutti. Ma uno sa solo che alla fine morirà; l’altro invece sa che sta andando verso l’incontro desiderato. Quanto diverse possono essere due cose uguali!

Gesù trasfigurato è la verità di Dio e dell’uomo. Il suo volto di Figlio è la luce della nostra vita, la realtà verso cui camminiamo. In lui gustiamo il Regno già venuto con potenza e abbiamo l’anticipo della meta, la vittoria sulla morte (v. 1).Nella sequenza che va da 8,27 a 9,7 c’è una concentrazione di tutto l’insegnamento su di lui, che ha il suo culmine nella voce del Padre: “Questi è il Figlio mio, il diletto: ascoltate lui!”. Si chiude il dibattito sulla sua identità, mettendo fine alla domanda che pervade tutta la prima parte del vangelo: “Chi è costui?”. Si apre così la seconda parte, che introduce nel mistero profondo del Figlio.A Pietro, che lo riconosce come “il Cristo” (8,29), Gesù spiega di essere il “Figlio dell’uomo” che percorre il cammino del “Servo di Dio” (8,31); proprio così è il “Giudice”, la presa di posizione nei

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cui confronti è la salvezza di ogni uomo (8,34-38). Ora il Padre dal cielo conferma dopo aver conferito al suo corpo, anche visibilmente, la gloria che spetta al Figlio.Abbiamo qui tutti i principali titoli che definiscono Gesù: è il Cristo, il Figlio dell’uomo, il Servo, il Giudice, il Figlio.Questa rivelazione, riservata ora ai tre, sarà offerta a tutti sul Calvario. Allora, per la prima volta, facendo eco alla voce del Padre che risuona dalla nube, un uomo dirà sulla terra: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (15,39).

Discepolo è colui che obbedisce alla voce del Padre che dice: “Ascoltate lui!”. Ascoltarlo significa seguirlo quando ci dice: “Dietro di me” (1,16-20), e sperimentare così il potere della sua parola che ci libera dal male, dalla febbre, dalla lebbra e dalla paralisi, e ci ridà la mano (1,21-3,6) per toccarlo, accogliere la sua vita (3,7-6,6a) e ricevere il suo pane che ci apre l’orecchio e l’occhio per riconoscerlo (6,6b-8,29). Ma bisogna ascoltarlo soprattutto quando dice la “Parola”, tirandone le conseguenze per noi (8,31-38). Ascoltando lui, il Figlio, diventiamo figli. La trasfigurazione corrisponde alla vita nuova che il battesimo ci conferisce attraverso la croce: è un’esistenza pasquale, passata dall’egoismo all’amore, dalla tristezza alla gioia, dall’inquietudine alla pace, dall’impazienza alla pazienza, dalla malevolenza alla benevolenza, dalla cattiveria alla bontà, dall’infedeltà alla fedeltà, dalla durezza alla mitezza, dall’essere in balia delle passioni alla padronanza di sé (Gal 5,22). Questa vita nuova nello Spirito è la sua presenza di risorto in noi. Sul nostro volto brilla il riflesso del suo, che è lo stesso del Padre.Il desiderio da vertigine, impossibile e tuttavia costitutivo dell’uomo: “sarete come Dio” (Gn 3,5), trova nell’ascolto del Figlio la via della sua realizzazione.

2. Lettura del testo

v.1 Amen, vi dico, ecc. Queste parole di Gesù potevano essere intese come promessa di un suo ritorno a breve scadenza (cf 2Ts 2,1 ss) e dare adito a un disimpegno nel tempo presente. Ponendole qui, dopo l’invito a seguirlo e prima della trasfigurazione, dove il Padre dice di ascoltarlo, si evita tale pericolo.

v. 2 dopo sei giorni. La trasfigurazione avviene sei giorni dopo l’invito a portare la propria croce (8,34). Siamo quindi nel settimo giorno, fine della creazione e riposo di Dio, giorno della nostra liberazione e della sua gloria.Marco è sommario nella cronologia; di solito collega i fatti dicendo: “E subito dopo”. Questa indicazione di tempo vuol sottolineare che la trasfigurazione non è immediata, ma il compimento di tutta la settimana della creazione, termine del lungo travaglio dell’uomo e della sua fatica. Non è da escludere anche un richiamo al soggiorno di Gesù a Gerusalemme, che, scandito da Marco in sei giorni, si conclude con la visione della gloria del Figlio di Dio (15,39). La luce che trasforma la mia vita, e mi fa finalmente vedere la verità mia e di Dio, non è forse la visione di un Dio crocifisso per mio amore?

prende Pietro e Giacomo e Giovanni. Sono già stati testimoni della risurrezione della ragazza (5,37). Saranno chiamati a riconoscere la sua gloria di Figlio anche nell’orto (14,33). Ciò che per ora è riservato a questi tre è il dono - importante ma difficile da accogliere - che Dio vuol fare a tutti.

su un monte alto. Vicino al cielo, luogo di solitudine, intimità e rivelazione (cf 3,13; Es 24), questo monte altissimo rimanda all’umilissimo Golgota. Qui, davanti al Moria, dove Abramo compì il sacrificio del figlio e dove sorge il tempio (cf 2Cr 3,1), per la prima volta sulla terra sarà riconosciuta la gloria di Dio nella carne del Figlio unico.

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in disparte da soli. Ognuno è chiamato a questa solitudine con Gesù. Essere con lui è il fine per cui siamo creati, perché con lui siamo ciò che siamo, ossia figli del Padre.

e fu trasfigurato. Il Figlio ha assunto il nostro corpo e la forma di servo, perché il nostro corpo e tutta la materia partecipasse in lui alla forma di Dio. La trasfigurazione lascia trasparire la realtà profonda di Gesù: è il Figlio, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9): “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14, 9).In questa “metamorfosi” (= trasformazione) non si parla, come negli antichi racconti, di un dio che appare in forma umana, bensì di un uomo che appare in forma di Dio.In lui anche noi siamo per dono ciò che Dio è per natura: siamo partecipi della natura divina (2Pt 1,4).

v. 3 le sue vesti divennero splendenti, ecc. (cf 16,5!). La gloria di Gesù è tanto eccessiva che non si riesce a descriverne non solo il riflesso nel corpo, che è come la veste della persona, ma neanche il riflesso nella veste, che copre il suo corpo. La sua veste è luminosa sopra ogni possibilità umana. Quale sarà la bellezza del Figlio?Mosè non aveva visto il Volto, ma solo le spalle. Eppure era tanta la luce che emanava da lui, che il popolo non poteva sostenerne la vista (Es 34,29-35). Ora il discepolo è chiamato a vedere a viso scoperto quel volto del quale non si riesce neanche a descrivere le vesti, e di cui la luce del volto di Mosè è un riflesso del riflesso - “cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo” (1Pt 1,12). In questo modo si balbetta qualcosa della bellezza di ciò che occhio umano mai non vide, e che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9).Le vesti bianche, che il neofita porterà la settimana dopo il battesimo, esprimono la sua vita nuova, illuminata dalla conoscenza e dall’amore del Signore crocifisso e risorto per lui. Egli infatti è rivestito dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera (Ef 4,24). Rivestito di Gesù Cristo (Rm 13,14), la sua vita è più luminosa e bella di quanto ogni sforzo umano di purificazione sia in grado di fare. Infatti è fulgida e splendente come una sorgente di luce.

v. 4 Elia con Mosè. Elia e Mosè, il padre dei profeti e il mediatore della legge, stanno di fianco a Gesù, e lui in mezzo a loro.La legge e i profeti parlano di lui, compimento di ogni promessa di Dio. La gloria del Crocifisso risorto è la “Parola” che toglie il velo, che senza di lui rimane sulla lettura dell’Antico Testamento e sul cuore di chi lo legge (2Cor 3,14 ss). Ma è anche vero che questa gloria è comprensibile solo a partire da Elia e Mosè, senza i quali non possiamo neanche immaginare i doni preziosi e grandissimi che ci sono stati fatti (2Pt 1,4). Per questo Pietro ci esorta a rivolgere la nostra attenzione alla parola dei profeti, come a lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino non si levi nel nostri cuori (2Pt 1,19).Tutta la Scrittura è in relazione a Gesù. Essa ci dice chi è lui, e lui ci dà ciò che essa dice: egli è la realtà di cui essa è promessa.Mosè aveva annunciato un profeta pari a lui, al quale dare ascolto (Dt 18,15). Ora ha la gioia di ascoltarlo.Elia, assunto in cielo e atteso per la fine dei tempi, vede in Gesù trasfigurato la fine del tempo, l’atteso di tutti i tempi. Né Elia né Mosè gustarono la morte, perché parlarono di lui, che l’ha vinta. E ora, primizie dei grande albero della vita, stanno con lui.

v. 5 è bello per noi essere qui. È bello essere con Gesù trasfigurato. Qui raggiungiamo ciò per cui siamo fatti, e ci sentiamo a casa. Altrove è brutto e non possiamo stare, ma solo camminare, alla ricerca di questo che è il nostro luogo naturale. In Gesù trasfigurato tutta la creazione raggiunge quella bellezza che Dio le aveva aggiudicata fin dal principio (Gn 1,4.10.12.18.21.31). È il punto d’arrivo, forza che muove tutto fin dal principio. Queste parole di Pietro celano anche una

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tentazione: sei giorni prima non voleva accettare la parola della croce (8,32), ora vuole arrestare nella gloria il tempo, che invece deve ancora passare attraverso la passione.

faremo tre tende. La tenda richiama la dimora (Gloria) di Dio tra gli uomini, che poi si fissò nel tempio. In realtà tre sono i modi con cui Dio dimora tra noi: la legge (Mosè) che ci àncora al passato, la promessa (Elia) che ci attira al futuro, e l’umanità di Gesù, presenza in cui si compie tutto il passato e termina tutto il futuro. Questa è la tenda definitiva di Dio tra gli uomini. Non saranno Pietro e gli altri due a costruire una casa per il Signore (2Sam 7): lui stesso, nella sua umanità trasfigurata, è insieme la vera casa sua e nostra, dove siamo di casa l’uno nell’altro.

v. 6 Infatti non sapeva cosa rispondere; infatti erano spaventati. L'eccesso di Gloria supera ogni intendimento e coraggio umano.

v. 7 venne una nube. Dio, troppo luminoso, è oscuro ai nostri occhi. Per questo la sua presenza è una nube (Es 40,34). Promessa di fecondità, guidò Israele per il deserto, facendosi luce di notte e riparo di giorno.

li copriva d'ombra. La nube ricopre della sua ombra i tre fortunati, come già la Dimora (Es 40,35 LXX). È la presenza di Dio, che aveva coperto anche Maria (Lc 1,35), e li rivestirà di forza ricevuta dall’alto (Lc 24,49; At 1,8).

venne una voce dalla nube. Dio abita una luce inaccessibile. Ogni immagine che ce ne facciamo è un idolo. Egli non ha volto per essere visto; ha voce per essere ascoltato. Il suo volto è l’uomo che lo ascolta. Perché ognuno è generato a immagine e somiglianza della parola che accoglie. Gesù, Parola di Dio viva ed eterna, è il seme immortale che ci genera figli (1Pt 1,23).

Questi è il Figlio mio, il diletto (cf 1,11). La voce del Padre indica ai discepoli il Figlio. Se uno lo ascolta, il Padre dice a lui ciò che disse a Gesù nel battesimo: “Tu sei il Figlio mio, il diletto” (1,11). Queste parole echeggiano il Sal 2,7, che parla dell’intronizzazione regale, applicate spesso al Cristo risorto (At 4,25 s; 13,33; Eb 1,5; 5,5). Egli infatti è insieme figlio di Davide secondo la carne e figlio di Dio costituito con potenza secondo lo Spirito mediante la risurrezione (Rm 1,3). Richiamano pure il canto del Servo (Is 42,1) e alludono infine anche a Isacco, il figlio promesso e sacrificato, indicato ad Abramo come “il figlio tuo, il diletto” (Gn 22,2.12.16).Qui vediamo la gloria di Gesù, chiamato dal Padre col nome di Figlio. Nell’orto vedremo i costi del Figlio per chiamarlo con il nome di Abbà (14,36).

ascoltate lui. Gesù è il Figlio, Parola definitiva del Padre che in lui dice e dà tutto se stesso. Per questo dobbiamo ascoltarlo, soprattutto quando rivela il suo e il nostro cammino - che nessuno di noi, con Pietro, è disposto ad accettare. Qui il Padre conferma la scelta del Figlio dell’uomo come via di salvezza per tutti quanti vorranno seguirlo (8,31-38).Gesù è il profeta definitivo promesso da Mosè per l’esodo definitivo verso la libertà dei figli: “A lui date ascolto” (Dt 18,15).Il principio della nostra trasfigurazione è l’ascolto di Gesù. Non c’è altra rivelazione da cercare se non quella che ci è stata fatta nella sua carne. Egli è il Figlio obbediente, sua Parola perfetta, in cui pienamente si esprime. L’ascolto di lui ci rende come lui, figli di Dio, partecipi della sua vita.Le ultime parole del vangelo sono un invito a tornare in Galilea, ossia all’inizio del vangelo, dove incontreremo il Signore risorto: “Là lo vedrete, come vi ha detto” (16,7). Se lo ascoltiamo e lo seguiamo, come lui ci ha detto, lo vedremo così come egli è.L’importante, per vederlo risorto, è ascoltare e seguire lui nella sua “Parola” (8,31), non vergognarsi qui e ora di lui e del vangelo (8,38).

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Senza la trasfigurazione di Gesù neanche avremmo immaginato la gloria cui siamo destinati. Il suo pieno fulgore ci sfugge. Si è levato un lembo del manto di Dio, e siamo accecati dallo splendore. Ma ora sappiamo che c’è e conosciamo il cammino per raggiungerla: ascoltare Gesù, tra Mosè ed Elia.“Mostrami la tua gloria, mostrami il tuo volto” (Es 33,18). È la grande aspirazione dell’uomo, in cerca del proprio volto. E Dio ci esaudisce oltre ogni attesa. Il suo volto è il nostro stesso volto, che, nell’ascolto di Gesù, riverbera la stessa gloria del Figlio.A Pietro, che vuol costruire dimore, colui il cui trono è il cielo e il cui sgabello per i piedi è la terra, dice che l’unica casa a lui gradita è il cuore umile e contrito di chi lo ascolta (Is 66,1 s). Come per il Figlio, così vale per tutti i fratelli.

v. 8 non videro più nessuno, se non il Gesù solo. La gloria del Figlio è quella del Gesù solo, l’uomo in cammino verso l’ignominia della croce, che tutti abbandoneranno. Di lui, e di nessun altro, il Padre dice: “Ascoltate lui”. La sua carne è la vera “esegesi” di quel Dio mai visto da nessuno (Gv 1,18), che sulla croce toglierà ogni velo.Dopo la trasfigurazione tutto torna nella quotidianità, uguale a prima. Ma in realtà abbiamo occhi diversi, per vedere che tutto è diverso. Il Padre ci ha detto chi è il Figlio e ci ha ordinato di ascoltarlo, per entrare anche noi nella stessa gloria.D’ora in poi il suo cammino, che prima non si sapeva dove andava a parare, è decisamente diretto a Gerusalemme.

v. 9 ordinò loro di non raccontare a nessuno. La gloria del Figlio sarà comprensibile solo dopo la risurrezione, nel dono dello Spirito. Prima non si può raccontarla. Si cade nell’equivoco di una gloria senza la croce, che sola la rivela.

quando il Figlio dell'uomo sarebbe risorto dai morti. Ogni segreto ha un termine, in cui verrà rivelato (4,22). L’annuncio del Crocifisso risorto e l’invito a seguirlo segna la fine del segreto messianico. Dopo la croce non c’è più pericolo di ambiguità.

v.10 cos'è il risorgere dai morti. I discepoli ignorano ancora il mistero centrale della fede: la risurrezione di Gesù e nostra, di cui la trasfigurazione è l’anticipo. Infatti non hanno accettato la croce (8,31 s).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, vedendo il monte della trasfigurazione.3. Chiedo ciò che voglio: ascoltare il “Gesù solo” che va verso la croce come via alla gloria. Domando al Padre di amarlo, per conoscerlo e seguirlo nel suo cammino di Figlio.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, cosa dicono e cosa fanno.

Da notare: si trasfigurò ascoltate luiè bello stare qui Gesù soloquesto è il Figlio mio, il diletto risorgere dai morti

4. Passi utili: Dn 7,9-10.13-14; Sal 67; Dt 18,15; Es 34,29-35; 2Pt 1; Rm 8,18-30; 2Cor 3; Fil 3,20 s.

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45. COME MAI STA SCRITTO DEL FIGLIO DELL'UOMO CHE DEVE PATIRE MOLTO?

(9,11-13)

11 E lo interrogavano dicendo:Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?12 E disse loro:Sì, Ella, venendo prima, ristabilisce tutto.E come mai sta scritto del Figlio dell’uomo che deve patire molto ed essere disprezzato?13 Ma lo vi dicoche anche Elia è già venuto; e gli fecero quanto volevano, come sta scritto di lui.

1. Messaggio nel contesto

“Come mai sta scritto del Figlio dell'uomo che deve patire molto”. Con questo accenno alla passione, Gesù risponde ai discepoli che non capiscono cos’è la risurrezione. Sanno che essa è il compimento di ogni promessa di Dio (Ez 37,1-14) e che, secondo Ml 3,23 s, deve prima venire Elia per convertire il cuore dei padri verso i figli, perché trasmettano loro la Parola, e dei figli verso i padri, perché l’ascoltino. Gesù dice che Elia è già venuto nella figura del Battista, la cui vita è profezia di quella del Figlio dell’uomo. Chi vuol intendere la sua risurrezione, deve prima entrare nel mistero della sua passione.Questo dialogo contiene il nocciolo di una teologia della storia, il cui punto d’arrivo è la risurrezione e il cui enigma fondamentale è la sofferenza del giusto sconfitto.Ma ciò che a noi fa problema, per Gesù è la soluzione: il male lo vince chi non lo fa e lo porta su di sé ingiustamente, come lui.Qui i discepoli si imbarcano in disquisizioni su questioni allora dibattute. Può sembrare strano che dei pescatori si improvvisino teologi; ma chi non capisce (vv. 6,10), scopre l’innata vocazione a teologare. E, come tutti, invece di riflettere sulla realtà, riferisce pareri di altri, che commentano altri che hanno detto qualcosa. E sì che hanno appena visto la realtà più grande che a uomo sia concesso contemplare!Era opinione corrente, suffragata dalle ultime parole del profeta Malachia, che prima del giorno del Signore sarebbe venuto Elia a disporre una conversione generale al Signore. Ma quando è questo giorno del Signore, che dà l’avvio al suo regno?L’inizio del vangelo identifica Elia col Battista (1,2 = Ml 3,I); e le prime parole di Gesù annunciano che il Regno è già arrivato (1,15). Non c’è quindi da aspettare qualcos’altro, ma da leggere il presente, che è sotto il segno della sofferenza del Figlio dell’uomo. Così ogni istante diventa il momento opportuno per convertirsi a lui e ascoltarlo. Solo a questa condizione si capisce il mistero della risurrezione, di cui la trasfigurazione è un anticipo.

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Gesù annuncia di nuovo la sua passione, senza la quale non si entra nella gloria cui siamo destinati. Il mistero del Figlio dell’uomo, prefigurato da Elia e Giovanni, è ciò che i discepoli non colgono, perché è quello del giusto sofferente. Ciò che attendiamo è già qui, ma non vogliamo riconoscerlo.

Il discepolo è chiamato a capire cosa significa stare con “Gesù solo” e seguirlo nel suo cammino verso Gerusalemme. La croce non si dissolve come un incubo alla luce del mattino di pasqua. Costantemente presente nella nostra storia, è la chiave per entrare nella risurrezione. Elia e Gíovanni, rispettivamente primo e ultimo dei profeti, sono profezia non solo del Figlio dell’uomo, ma di ogni uomo che viene dopo di lui.

2. Lettura del testo

v. 11 lo interrogavano, ecc. I discepoli, non avendo capito la parola della croce (8,32 s), ignorano quella della risurrezione (vv. 6,10). È giusto porre domande a Gesù, purché si sia disposti a lasciarsi istruire dalle sue risposte, diverse da quelle che noi ci attendevamo: “Io ti interrogherò, e tu istruiscimi” (Gb 42,4).

gli scribi dicono che prima deve venire Elia. Prima del compimento dei disegno di Dio sulla storia, che culmina nella risurrezione (Ez 37,1-14), si attendeva la venuta di Elia. Padre dei profeti, avrebbe compiuto l’opera profetica per eccellenza (Ml 3,23 s): la conversione, che apre l’ingresso al Regno. Marco accenna a lui a più riprese (1,2; 6,15; 8,28; 15,35 s). Nella cena pasquale ebraica c’è sempre il posto pronto per lui, che deve venire immediatamente prima del Messia.

v. 12 Sì, Elia, venendo prima. Gesù riconosce indispensabile la funzione di Elia. Anche lui ha posto la conversione come condizione per accogliere il Regno (1,15).

ristabilisce tutto. L’apocatastasi, il rinnovamento totale che segna la fine dei tempo vecchio e l’inizio dei nuovo, non è un momento magico che verrà chissà quando. Il tempo in cui Dio instaura il suo regno è il momento stesso in cui ci convertiamo a lui. Il Regno è già arrivato; il banchetto è già imbandito. Il Signore aspetta solo che accettiamo l’invito.

come mai sta scritto del Figlio dell'uomo che deve patire molto. La croce, come apre l’enigma della storia, è la chiave per entrare nel Regno. Ad essa è legata la risurrezione e la salvezza del mondo: “È necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio” (At 14,22). Questo vale per il Figlio dell’uomo e per ogni uomo.

ed essere disprezzato. Disprezzato in greco è “nientificato”, cioè stimato un nulla (cf Sal 22,7; Is 53,3; Lc 23,1 1). Noi disprezziamo la sua croce che ci salva, perché apprezziamo il male che ci perde: abbiamo scambiato l’albero della vita con quello della morte.

v. 13 Elia è già venuto. Elia è presente in ciascun sofferente, da Abele al Battista (1,2; cf Lc 11,51), fino a Lazzaro che sta alla mia porta (Lc 16,19 s.). Colui che deve venire, viene sempre sotto le spoglie del povero: “Ogni volta che l’avete fatto a uno di questi fratelli minimi, l’avete fatto a me” (Mt 25,40), che mi sono fatto ultimo e servo di tutti (v. 35; cf 10,45).Elia, come è presente nella trasfigurazione di Gesù, lo sarà misteriosamente anche nella sua morte. Ma non per liberarlo (15,35 s), bensì per convertire a lui la persona più lontana di tutte (15,39), e introdurla nel Regno.

gli fecero quanto volevano. Il giusto porta l’ingiustizia del mondo. Sulla sua debolezza grava il peso della volontà di potenza che danna l’uomo. E lì finisce.

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come sta scritto. Di Elia è scritto che vogliono togliergli la vita (1Re 19,2.10.14). Tutta la Scrittura è profezia della croce di Gesù, mistero di salvezza del mondo.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, contemplando le pendici del Tabor, da dove Gesù scende con i tre.3. Chiedo ciò che voglio: chiedo al Signore la grazia di comprendere come mai sta scritto che il Figlio dell’uomo deve patire molto ed essere disprezzato.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: Elia, venendo prima, ristabilisce tuttoIl Figlio dell’uomo deve patire molto ed essere disprezzatoElia è già venuto

4. Passi utili: Ml 3,22 ss; Sal 73; 79; 86; 88; Eb 11,36-38; 1Pt 2,19.

46. QUESTA SPECIE CON NULLA PUÒ USCIRE SE NON CON LA PREGHIERA

(9,14-29)

14 E, venuti presso i discepolividero molta folla intorno a loro,e scribi che questionavano con loro.15 E subito tutta la folla, vedutolo, fu stupitacorreva a salutarlo.16 E li interrogò:Di che cosa questionate con loro?17 E gli rispose uno dalla folla:Maestro,ho portato da te mio figlio, che ha uno spirito muto; 18 e, quando lo prende, lo scuote,e spuma e stride i denti e si fa secco.E ho detto al tuoi discepoli di scacciarlo,e non poterono!19 E rispondendo loro dice:O generazione incredula,fino a quando sarò presso di voi? fino a quando vi sopporterò? Portatelo a me!20 E lo portarono a lui.E, vistolo, lo spirito subito cominciò a contorcerlo,

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e, caduto a terra, si rotolava spumando.21 E interrogò suo padre:Da quanto tempo è che gli capita questo?22 E gli rispose:Dall’infanzia;e spesso anche nel fuoco lo gettò e nell’acqua, per rovinarlo.Ma se tu puoi qualcosa, aiutaci;abbi misericordia di noi!23 E Gesù gli disse:Se puoi?Tutto è possibile per chi crede.24 Subito gridando il padre dei fanciullo diceva:Credo!Aiuta la mia incredulità!25 Vedendo Gesù che sopraggiungeva folla,sgridò lo spirito immondo dicendogli: O spirito muto e sordo, io te lo comando,esci da luie non entrare mai più in lui!26 E gridando e scuotendolo molto, uscì.E divenne come morto,così che tutti dicevano:Morì!27 Ma Gesù, presa la sua mano,lo risvegliò,e risorse.28 E, entrato in casa,i suoi discepoli in privato lo interrogavano: Perché non abbiamo potuto scacciarlo?29 E disse loro:Questa specie con nulla può uscire,se non con la preghiera (e il digiuno).

1. Messaggio nel contesto

“Questa specie con nulla può uscire se non con la preghiera”, dice Gesù del demonio che i suoi discepoli non erano riusciti a scacciare in sua assenza. Si tratta dello spirito muto e sordo, che ci chiude l’orecchio alla parola di Dio, impedendo il dialogo con lui. Il nemico primo dell’uomo è l’ultimo ad essere vinto.Questo esorcismo, unico nella seconda parte del vangelo, è il più duro di tutti. È infatti quello definitivo. Se l’argomento richiama la guarigione del sordo muto (7,31 ss), il modo rimanda alla liberazione della figlia della sirofenicia (7,24-30). Là c’è una madre e una figlia, qui un padre e un figlio; là c’è la fede, qui il cammino per arrivarci, in modo che l’azione di Gesù continui anche in sua assenza. La vittoria su questa specie di demoni è il dono stesso della fede, che ci libera dalla soggezione alla menzogna di satana e ci rende capaci di ascoltare il Signore e di rispondere a lui.La fede non può essere prodotta da noi, generazione incredula. È dono che Dio offre a tutti. L’unica condizione per riceverlo è quella di chiederlo.

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Fondamentale è il desiderio, o almeno il desiderio di desiderare, rivolto a chi può venire incontro al mio male, anche alla mia incredulità. La mia libertà non è credere o non credere - schiavo del demonio sordo e muto, sono impossibilitato a credere - bensì desiderare e chiedere a Gesù con umiltà: “Credo che tu puoi aiutarmi nella mia incredulità: donami la fede”.Il racconto ci presenta nel padre la domanda che ciascuno deve fare per ottenere la fede, e nel figlio il passaggio dalla schiavitù al demonio sordo muto alla libertà di dialogare con Dio. Sdoppiato nelle due figure, vediamo rispettivamente il cammino e il risultato della fede.Il brano inoltre ci dice come, in assenza di Gesù, la comunità dei discepoli può continuare la sua lotta contro il male. Lui è sul monte della gloria. Noi da basso proseguiamo la sua stessa opera innanzi tutto con la preghiera per essere noi stessi liberati dall’incredulità; poi siamo in grado di liberare gli altri che hanno lo stesso spirito immondo.Questo esorcismo avviene tra spasimi e grida, convulsioni e irrigidimenti, stridor di denti e sbavamenti. Passa addirittura attraverso la morte, ultima malefatta del demonio sordo muto. Ma il Signore ha il potere di ridare la vita. Tutto il racconto allude al battesimo, in cui muore la nostra falsa identità che ci uccide, e risorgiamo alla vita nuova di figli di Dio. Partecipiamo al mistero di Gesù morto e risorto, con il quale la fede ci rende solidali.

Gesù risorto, ormai definitivamente presso il Padre, è presente nella sua forza solo per chi accoglie la voce che dice: “Ascoltate lui”. Il nostro problema è credere alla sua parola, davanti alla quale ci manteniamo ostinatamente sordi (8,31s) e anche muti (vv. 32-34). Siamo veramente ciechi davanti alla gloria del Figlio dell’uomo (cf 10,32 ss).Non è l’analisi accurata o le dotte discussioni che ci salvano. Analisi all’intimo e discussioni all’esterno, anche se esatte e forse doverose, non cavano un ragno dal buco. Al massimo sono una buona diagnosi. Attardarsi in essa significa morire. La terapia è toccare lui, medico che è anche medicina: è la fede (cf 5,25ss). Ma questa ci manca - è appunto il nostro male! Non ci resta che chiederla. Sia chi crede di credere sia chi crede di non credere è chiamato a ripetere l’invocazione del padre: “Aiuta la mia incredulità”. È l’ultima supplica prima di quella del cieco, che porta all’illuminazione.Qui è utile riprendere le varie preghiere che finora sono state rivolte a Gesù, sia in prima che per interposta persona. Si vedrà tutta un’educazione del desiderio, per sapere cosa chiedere e accettare ciò che ci vuol donare (1,40; 4,38; 5,18.23.28; 7,26.28.32; 8.22).

Gesù, assente sul monte, agisce con potenza mediante la fede nella sua parola, che vince il demonio sordo muto.

Il discepolo è ancora sordo muto davanti alla Parola. Posseduto dallo spirito di menzogna e di diffidenza, può essere guarito solo dalla fede, che si ottiene con la preghiera.

2. Lettura del testo

v. 15 tutta la folla, vedutolo, fu stupita, ecc. Il Gesù solo, che scende dal monte per continuare il suo cammino verso la croce, ha una luce semplice e nascosta che meraviglia tutti e tutti attira a sé. La sua gloria, anche senza il fulgore della trasfigurazione, è più alta di quella di Mosè che scende dal Sinai. È la stessa di Dio, davanti al cui volto si disperdono i nemici (Nm 10,35; Sal 68,2) e si raccolgono i suoi amici.

v. 16 Di che cosa questionate con loro? Al v. 33 farà ai discepoli una domanda analoga. Gesù desidera che riconosciamo ed esprimiamo a lui cosa ci sta a cuore. L’importante sapere ciò che vogliamo noi per giungere a capire ciò che vuole lui. Il discutere ha sempre una connotazione negativa: indica l’impotenza a risolvere un problema. In genere la discussione lo ingarbuglia e

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diventa un gioco di rivalsa di una parte sull’altra. Dalla discussione - ben diversa dal discernimento che si opera nella preghiera - non esce mai la verità. Vince sempre Il peggiore, cioè il prepotente.

v. 17 gli rispose uno dalla folla. Chi soffre non questiona. La sua voce si alza dalla folla. È un grido, che va diretto verso il Signore, noncurante del resto. La scena trova ormai il suo perno, e diventa un dialogo tra Gesù e il padre del fanciullo.

Maestro, ho portato da te mio figlio. La guarigione del figlio, che il padre ovviamente desidera, diventerà un segno di quanto avverrà in lui stesso: il passaggio dall’incredulità alla fede.

ha lino spirito muto. L’uomo è fatto per dialogare con Dio. Il mutismo è la manifestazione visibile del suo fallimento. Secondo Gesù, è associato a sordità (v. 25), che ne è la causa. Il fanciullo rappresenta ogni uomo che, per l’inganno di satana, è rimasto sordo a Dio che gli dice il suo amore, e di conseguenza non può rispondere con altrettanto amore (12,28 ss).

v. 18 quando lo prende, lo scuote, ecc. La descrizione del male è minuziosa, e ripetuta per tre volte (qui e ai vv. 22.26). La sua analisi è tanto più accurata e precisa, quanto minore è la capacità di risolverlo. Esso si impossessa dell’uomo, dimenandolo come una marionetta nella sua mano.

si fa secco. Perde la linfa vitale; diventa rigido e chiuso, come la mano disseccata di 3,1 ss, incapace di aprirsi al dono.

ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo. La loro missione è annunciare e scacciare i demoni, continuando l’azione di Gesù (3,14 s).

e non poterono. Sono incapaci di vincerlo perché sono a loro volta schiavi dello stesso male (cf brano seguente). Ben visibile nell’altro, è lungo il cammino per giungere a riconoscerlo in sé. Anche il padre dovrà essere portato dall’invocazione di misericordia per suo figlio alla richiesta di aiuto per la propria incredulità! È più facile vedere il volto dell’altro che il proprio. L’altro comunque ci fa da specchio.

v. 19 0 generazione incredula. È la diagnosi di Gesù, che estende l’incredulità a tutti. Già l’ha denunciata nei discepoli (4,40) e riscontrata tra i suoi (6,6); ora il padre del fanciullo l’aggiudicherà a sé (v. 24). Il demonio sordo muto domina tutti. Siamo chiamati a riconoscerlo e a chiederne la liberazione.

fino a quando sarò presso di voi? Ci sarà il momento in cui sarà tolto lo sposo (2,20). Che faremo in sua assenza? Ma proprio il suo essere levato renderà possibile la nostra fede (15,39). Ci farà conoscere chi è Dio e ci attirerà tutti a sé (Gv 8,28; 12,32).

fino a quando vi sopporterò? L’incredulità dell’uomo al suo amore è una sofferenza insopportabile per Dio. Lo farà morire in croce. Solo lì finirà di sopportarci, quando si sarà fatto carico di tutti i nostri mali. Gesù ripete le parole di JHWH che minaccia di sottrarsi al popolo incredulo (Nm 14,27; Dt 31,17; 32,20 s, ecc.). Sulla croce vediamo il modo divino in cui si sottrae!

v. 20 E, vistolo, lo spirito subito cominciò a contorcerlo, ecc. Alla presenza di Gesù le resistenze del male si scatenano. Prima restavano sopite, perché dominavano incontrastate (cf 1,23 ss). Il male si manifesta tale davanti al bene. Solo la luce fa capire che la tenebra ne è la mancanza; e l’occhio, pur fatto per essa, all’inizio soffre e se ne difende.

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v. 21 Da quanto tempo, ecc. Questo male c’è dall’infanzia; ma non dalla nascita. L’uomo infatti fu creato a immagine di Dio. Solo dopo lo spirito sordo si impadronì di lui. È importante sapere che il male non è la realtà prima. Diversamente non si può neanche desiderare il bene.

v. 22 spesso anche nel fuoco lo gettò e nell'acqua, per rovinarlo. Il battesimo sarà essere immersi in un’acqua e in un fuoco che fa vivere (1,8). L’acqua e il fuoco che fa morire toccheranno a lui invece che a noi (Lc 12,49 s).

se tu puoi. Gesù vuole e può (1,41). Siamo noi che non possiamo, anche quando vogliamo; talora, per disperazione, neanche vogliamo. Gesù desidera che noi vogliamo, per farci il suo dono. “Vuoi guarire?” (Gv 5,6), chiede al paralitico per guarirlo.

aiutaci; abbi misericordia di noi. È la preghiera fondamentale dell’uomo, che è bisogno (aiutaci), e bisogno di amore gratuito (abbi misericordia). A questa preghiera corrisponde la realtà di Dio, la cui essenza è vita, e la cui vita è misericordia.

v. 23 Se puoi? Tutto è possibile per chi crede. Per chi crede niente è impossibile, perché è con Dio, presso il quale tutto è possibile (10,27). Al lebbroso che gli disse: “Se vuoi, puoi mondarmi!”, Gesù manifestò la sua volontà: “Lo voglio” (1,40 s). Scontato che lui lo voglia, tutto dipende dalla mia fede. Questa è onnipotente (cf 11,22), perché accoglie la forza di Dio che viene in mio aiuto e ha compassione di me. Ma come può avere fede chi non ce l’ha? Sembra un problema insolubile, ma solo in apparenza! Infatti per avere ciò che non ho, è necessario e sufficiente sapere di non averlo e chiederlo.

v. 24 gridando il padre ecc. Il suo è lo stesso grido dei cieco che invoca (10,47), così diverso da quello dei demoni che lo vorrebbero allontanare (1,23 s; 5,7).

Credo! Aiuta la mia incredulità! Il padre sembra contraddirsi: crede o è incredulo? La fede ha come suo luogo la non fede che l’ha soppiantata. Quest’uomo crede che Gesù è tanto potente da aiutarlo in tutto, anche a superare l’incredulità. Chiede la fede, e la chiede con sicurezza, fondandosi non sulla propria fede, che non c’è, ma sulla sua fedeltà. Fa appello alla sua misericordia, che viene in aiuto ai nostri bisogni, e in particolare al nostro bisogno più profondo, che è quello di affidarci a lui.La fede è il dono per eccellenza, che ci libera dal demonio sordo e muto, restituendoci alla nostra vita di figli.Questa è la preghiera che ciascuno deve fare per giungere al battesimo. Anche se è molto utile, non è sufficiente l’intercessione altrui.Tale preghiera è sempre esaudita in se stessa appena è formulata: infatti esprime la fiducia in lui oltre ogni sfiducia.

v. 25 0 spirito muto e sordo. Gesù sa che lo spirito non è solo muto, come gli aveva detto il padre. È muto, perché sordo. Non sappiamo parlare perché non sappiamo ascoltare; e non sappiamo ascoltare perché il nostro orecchio è già pieno di un’altra parola.

io te lo comando, esci da lui. La vittoria sullo spirito muto e sordo segna il passaggio dall’incredulità alla fede - passaggio duro, che avviene attraverso la morte e la risurrezione a una vita nuova. È il battesimo, per il quale siamo sepolti con Cristo e in lui risuscitiamo per la fede nella potenza di Dio (Col 2,12).

e non entrare mai più in lui. Gesù dà questo ordine perché lo spirito immondo cerca di rientrare, con l’aiuto di sette demoni peggiori di lui. La vita del credente è sempre insidiata dal demone

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dell’incredulità. E se uno gli apre, la sua situazione diventa peggio della precedente (Lc 11,24-26). “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere” (1Cor 10, 12).Ogni giorno preghiamo di “non cadere nella tentazione”. “La” tentazione è l’apostasia. Perdere la fede nella paternità di Dio è cadere nelle mani dello spirito muto, che impedisce di dire: “Abbà” - la parola che ci fa figli.

v. 26 divenne come morto, così che tutti dicevano: Morì. È l’immagine di ciò che avviene nel battesimo, che ci associa al mistero di Cristo: muore l’uomo vecchio, posto nel male. La sua croce sarà l’esorcismo definitivo.

v. 27 Gesù, presa la sua mano, lo risvegliò, e risorse. Sono le stesse parole usate per la risurrezione di Gesù, primogenito di una lunga schiera di fratelli (Rm 8,29). Questo fanciullo è figura di ogni battezzato, che, preso per mano da Gesù (cf 5,41), passa con lui alla vita oltre la morte.

v. 28 entrato in casa, i suoi discepoli in privato lo interrogavano. Per comprendere il mistero del Regno, giova poco o nulla la discussione. Bisogna entrare in casa con lui, e interrogarlo nell’intimità della solitudine (cf 4,10; 7,17).

Perché non abbiamo potuto scacciarlo.? Questo è il problema di ogni discepolo: in assenza di Gesù, come continuare il ministero che ci ha affidato (3,15; 6,7b)?

v. 29 Questa specie con nulla può Uscire, se non con la preghiera. È la preghiera del padre, che ognuno deve fare propria per ottenere la fede. Questa ci rende uomini, ossia figli di Dio, capaci di ascoltarlo e di rispondergli.“Non avete, perché non chiedete; chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri" (Gc 4,2b s). In realtà noi non sappiamo neanche che cosa chiedere (Rm 8,26). Ora invece sappiamo cosa e come chiedere: chiediamo la fede, e la chiediamo appoggiandoci sulla sua fedeltà a noi.

(e il digiuno). È un’aggiunta di molti codici (cf 1Cor 7,5). Il digiuno è quasi la preghiera del corpo. Si rinuncia al cibo, vita del corpo, per affermare che la vita è Dio e il vero cibo la comunione con lui.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, contemplando il luogo ai piedi del monte, dove Gesù scende e gli altri stanno.3. Chiedo ciò che voglio: faccio mia la preghiera del padre a Gesù: “Aiuta la mia incredulità”. Donami la fiducia piena; liberami dal demonio sordo muto.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: questionare tutto è possibile per chi credespirito muto/sordo aiuta la mia incredulitàse puoi aiutaci

4. Passi utili: Ger 2,13; Sal 78; Eb 11.

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47. IL FIGLIO DELL'UOMO È CONSEGNATO IN MANI DI UOMINI

(9,30-32)

30 E usciti di là, attraversavano la Galilea;e non voleva che alcuno lo sapesse.31 Insegnava infatti ai suoi discepoli,e diceva loro:Il Figlio dell’uomoè consegnato in mani di uomini,e lo uccideranno,e, ucciso, dopo tre giorni risorgerà.32 Ma essi ignoravano la Parola,e temevano di interrogarlo.

1. Messaggio nel contesto

“Il Figlio dell'uomo è consegnato in mani di uomini”. dell’istruzione di Gesù ai suoi discepoli.Se non si conta 9,12, è la seconda predizione della morte/risurrezione, la più succinta di tutte. È la Parola, centro della nostra fede, che esprime insieme tutto il nostro peccato e tutto l’amore di Dio per noi.La sordità che ci impedisce di accoglierla, sarà causa della sua morte. Ma questa a sua volta ne sarà la medicina. Infatti, morendo in croce per noi peccatori, ci rivelerà in modo indubitabile il suo amore.La consegna del Figlio dell’uomo è il mistero che celebriamo nella eucaristia. La Parola, che si fa nostro pane e vita, è un esorcismo continuo che ci guarisce dallo spirito sordo e muto.

Gesù rivela nuovamente la sua gloria che passa attraverso la croce: è il Figlio dell’uomo umiliato e innalzato, morto e risorto. Questa Parola rivela Dio come eccessivo amore per noi (Ef 2,4), di cui tutta la bibbia parla.

il discepolo è chiamato a confrontarsi con questa parola, che è l’unico pane che ha con sé nella barca (8,14). La prima volta che Gesù la manifestò, satana uscì allo scoperto, con un’opposizione netta (8,31ss). Questa seconda volta si nasconde nell’incomprensione, e fa seccare il seme nel mutismo di un cuore di pietra. Chi non capisce, normalmente interroga. Ma qui la paura, oltre che sordi, rende anche muti. I suoi hanno quello spirito che nel brano precedente non riuscivano a scacciare dal ragazzo. Tutto il resto del vangelo sarà lotta contro di esso.

2. Lettura del testo

v. 30 attraversavano la Galilea. Gesù va ormai decisamente verso la croce. Dopo la trasfigurazione, il suo cammino punta diritto a Gerusalemme. Anche se accompagnato dai suoi, in realtà è solo.

non voleva che alcuno lo sapesse. Vuol viaggiare clandestino; sia per evitare pubblicità ed equivoci, sia per non essere disturbato dalla folla, mentre si dedica all’istruzione dei suoi.

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v. 31 Insegnava infatti ai suoi discepoli. L’imperfetto indica un’azione continua. C’è un rapporto esclusivo e continuo di maestro/discepolo fra Gesù e i suoi. Tema dell’insegnamento è la “Parola”. Il cammino da Cesarea a Gerusalemme è tutto un confronto tra questa e la vita del discepolo.

Il Figlio dell'uomo è consegnato in mani di uomini. Il mistero di un Dio che si fa Figlio dell’uomo per consegnarsi nelle mani dell’uomo è il centro della rivelazione. La parola “consegnare” (= tradire) unisce i vari episodi del racconto della passione: Giuda lo consegna ai capi e al soldati (14,10.44), i capi a Pilato (15,1) e Pilato ai crocifissori (15,15). Il paradosso è che lo stesso Padre lo consegna, e lui stesso si consegna a noi. Gesù, che si dona a chi lo rifiuta, è la rivelazione di Dio come amore incondizionato.

lo uccideranno. Sa di consegnarsi a noi che lo uccidiamo.

ucciso, dopo tre giorni risorgerà. La sua morte non è la fine di tutto, ma il principio della sua glorificazione. Fu esaltato non nonostante che fu crocifisso, ma perché fu crocifisso.

v. 32 essi ignoravano la parola. L’ignoranza dell’amore di Dio è antica quanto l’opera del demonio sordo. Si squarcerà solo nella visione del Crocifisso.

e temevano di interrogarlo. Il satana, rispetto alla volta precedente (8,31 ss), si fa più astuto: chiude i discepoli nel mutismo. Non hanno capito nulla in più della prima volta - se non che è meglio tacere per evitare lo scontro. Il demonio sordo e muto che tiene in modo chiassoso il fanciullo, possiede in modo silenzioso anche i discepoli. Le resistenze che non osano uscire sono le più profonde.La parola della croce le evidenzia. Così possiamo chiedere, come il padre del fanciullo, la fede che ce ne libera.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo contemplando il luogo: Gesù cammina per la Galilea, evitando i luoghi abitati, per stare solo con i suoi discepoli.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: non essere sordo al suo amore per me, e non evitare lo scontro con la Parola.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: voleva che nessuno lo sapesseinsegnava ai suoi discepoliil Figlio dell’uomo è consegnato in mani di uomini ignoravano la Parola e temevano di interrogarlo.

4. Passi utili: Lamentazioni; Sap 2,12-20; 2Cor 4,7-12.

48. DI CHE COSA DISCUTEVATE LUNGO LA VIA?

(9,33-37)

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33 E vennero a Cafarnao,e, arrivato in casa,li interrogava:Di che cosa discutevate lungo la via?34 Ma essi tacevano;tra loro infatti avevano discusso lungo la via chi fosse il più grande.35 Egli, sedendosi, chiamò i Dodicie dice loro:Se uno vuol essere primo, sia ultimo di tutti e servo di tutti.36 E, prendendo un bambino,lo mise in mezzo a loro; e, presolo in braccio, disse loro:37 Chi avrà accoltouno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e se uno accoglie me, non accoglie me,ma colui che mi ha inviato.

1. Messaggio nel contesto

“Di che cosa discutevate lungo la via?”. Gesù vuol smascherare il demonio sordo muto, che chiude i discepoli alla Parola, mettendo nel loro cuore un’altra parola.Mentre la sua è amore e umiltà, questa è egoismo e protagonismo. Chi cerca il proprio io, perde se stesso, gli altri e Dio. Chi vuol essere più grande, è perché si ritiene insignificante e senza valore. Non si sente amato, e quindi non può accettare se stesso e tanto meno gli altri. Per questo cerca continuamente di essere diverso, un po’ più alto di sé e degli altri, per risultare passabile a sé e agli altri.Dopo la prima predizione sul Figlio dell’uomo, Gesù invitò ogni discepolo a portare la “propria” croce. Questa croce è il rinnegamento del proprio falso io (8,34), la lotta contro la stupidità e l’orgoglio, che portano all’autoaffermazione a spese di tutto e di tutti.Gesù sa che ognuno vuole e deve realizzarsi. Chi vi rinunciasse sbaglierebbe, perché l’uomo è ciò che diventa. Per questo dà i veri criteri. Alla brama di primeggiare nell’avere, nel potere e nell’apparire - illusoria realizzazione e reale illusione di tutti! - egli sostituisce il desiderio di servire e accogliere il piccolo. Questa è la grandezza di Dio. Essendo amore, non afferma se stesso a spese dell’altro, ma lo promuove a sue spese; non si serve dell’altro, ma lo serve; non lo spoglia di ciò che ha, ma si spoglia, a suo favore, di tutto, anche di sé, considerandolo il proprio tutto.Essere povero, umile e piccolo è la caratteristica propria di Dio che, divenuto Figlio dell’uomo, si è fatto ultimo di tutti e servo di tutti. La “minorità”, capita così bene da san Francesco, è il sommo valore umano, rivelazione piena del mistero di Dio.Il modello a cui il discepolo deve ispirarsi non è quello mondano della lotta per il dominio. Al centro della comunità nuova Gesù pone se stesso, e un bambino con cui si identifica.

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Alla concorrenza per essere più grande, si sostituisce il gareggiare nella piccolezza (cf Rm 12,10; Fil 2,3) e nell’accoglienza del piccolo.

Gesù, il Figlio che conosce il Padre, propone a noi come criterio di realizzazione la sua piccolezza.

Il discepolo è chiamato a riconoscere in sé lo spirito sordo e muto che si nasconde nella sua mania di grandezza, principio di divisione all’interno e di cattiva testimonianza all’esterno. Solo la sublimità della conoscenza di Gesù Signore gli può far capire che quanto il mondo apprezza, non è un cibo appetibile, ma rifiuto graveolente, che attacca la sua puzza a chiunque lo ambisce. La vera grandezza del discepolo è diventare come il Maestro, dice Gesù dopo aver lavato i piedi (Gv 13,14 s).

2. Lettura del testo

v. 33 E vennero a Cafarnao, e arrivato in casa. È probabilmente la casa di Pietro, - figura della Chiesa - che fu il centro del ministero in Galilea. Per Gesù fu facile liberare la suocera dalla febbre (1,29-31); ora c’è un’altra febbre, molto più grave, un’epidemia mortale che colpisce tutti. Vuol guarirci anche da questa, perché, come la donna e come lui stesso, possiamo servire (1,31; 10,45).

Li interrogava. Gesù interroga chi non l’ha capito e teme di interrogarlo (v. 32). Vuol evidenziare nei discepoli il demonio sordo muto che impedisce loro di intendere e di parlare.

Di che cosa discutevate lungo la via? È la via verso Gerusalemme. I discepoli vi sono incamminati con lui, ma con lo spirito opposto al suo.

v. 34 Ma essi tacevano. C'è in loro lo Spirito muto, sordo alla provocazione della Parola.

avevano discusso lungo la via chi fosse il più grande. Questo è il motivo per cui, ascoltando la Parola, non intendono, e, interrogati, non rispondono. Lo spirito sordo muto, comune a tutti per il peccato, si esprime nel protagonismo, criterio supremo di azione di chi non si sente amato, non si ama e non ama. Per esso l’uomo sacrifica la propria vita agli idoli dell’avere, del potere e dell’apparire di più, distruggendo la propria realtà di figlio di Dio.Quando si litiga e si discute, anche all’interno della Chiesa, non è mai per amore della verità. Per questa si ricerca, si ascolta, si comunica e si dialoga. Litigare e discutere è sempre per primeggiare sull’altro. Questo desiderio mette ciascuno in lotta con sé e con gli altri, e disgrega la comunità in tanti individui chiusi in sé, dei quali ognuno pretende di essere il sole attorno al quale tutto ruota. Quando Adamo volle occupare il posto di Dio, fece solo l’errore di ignorare che sta all’ultimo posto.Circa l’essere “più grande”, bisogna notare che quel “più” è una trappola infernale, con un potere devastante senza limiti.

v. 35 sedendosi, chiamò i Dodici. Gesù si siede, nella posizione del maestro che insegna. È una lezione importante. In 3,13 li chiamò e fece i Dodici per essere con lui; in 6,7 li chiamò per inviarli; ora li chiama nuovamente per mostrare la loro vera identità, che dovranno vivere e annunciare. Si può dire che qui Gesù dà la nuova legge, la sua legge.

Se uno vuol essere primo, sia ultimo di tutti e servo di tutti. È una definizione di Gesù, che è il primo in quanto ultimo di tutti e servo di tutti. Diventa la norma fondamentale del nuovo popolo. Il primato dell’amore soppianta quello dell’egoismo. La libertà, che ci rende simili a Dio, è farci per amore schiavi gli uni degli altri (Gal 5,13).

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Così inizia l’istruzione che segue la seconda predizione della passione. Si concluderà con l’affermazione analoga: “Molti dei primi saranno ultimi e degli ultimi i primi” (10,31). Infatti il Figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la vita per tutti (10,45).La minorità e il servizio sono il segno dello spirito di Cristo. Egli offre ai suoi discepoli questo criterio di realizzazione come guarigione dalla sete di protagonismo, principio di distruzione.

v. 36 prendendo un bambino. Il bambino è l’uomo non realizzato, ultimo di tutti. Insufficiente a sé e bisognoso degli altri, è ciò che gli altri ne fanno. Riceve tutto ciò che ha ed è - anche se stesso - vivendo di dono e di accoglienza gratuita. E lo fa con semplicità, perché si sente amato. Diversamente non può neanche vivere. In questo rappresenta la condizione creaturale, comune a tutti. Chi non la riconosce, vivrà in un continuo litigio con sé e con tutti, per approdare al nulla. Per questo, chi vuol entrare nel Regno, deve diventare come i bambini (cf 10,14; Mt 18,3). Bambini quanto a malizia, non quanto a giudizio, ovviamente (1Cor 14,20)!

lo mise in mezzo a loro. Nella sinagoga fece venire nel mezzo l’uomo dalla mano arida e chiusa (3,3). Nella casa pone al centro questo bambino, modello dell’uomo nuovo. Il mito del superuomo è inventato da chi, non sapendosi amato e avendo paura del proprio limite, non conosce la propria dignità di creatura. Tutto ciò che hai l’hai ricevuto. E perché ti glori quasi non l’avessi ricevuto (1Cor 4,7)?

presolo in braccio. Lo abbraccia e lo solleva davanti a tutti. Ecco l’uomo! La sua debolezza è la sua forza (cf 2Cor 12,10). Il bisogno di amore e di accoglienza è la sua vera dignità di figlio di Dio, che gli impedisce di trovare altrove la propria sazietà. “Come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come bimbo svezzato è l’anima mia”, dice il salmo 131. Ciò che per il piccolo è il latte - la sua vita - per l’adulto, ormai svezzato, è l’abbandono a un amore che lo avvolge come le braccia di una madre. Senza fiducia, non si diventa mai adulti e liberi: sentirsi amati senza condizioni è l’unica possibilità per vivere umanamente. Diversamente siamo costantemente in cerca di cose sempre più grandi e superiori alle nostre forze, inquieti e angosciati come un vecchio pieno di voglie insoddisfatte in braccio alla morte, che dispera ora e sempre. Così potremmo dire, parafrasando al contrario lo stesso salmo.

v. 37 Chi avrà accolto tino di questi bambini. Il bimbo è bisogno di accoglienza, amore e rispetto assoluto. Ma questo è il bisogno che ha ogni uomo per essere felice. Dio stesso di sua natura è pura accoglienza donata e ricevuta, amore reciproco tra Padre e Figlio.

nel mio nome. Il nome (= persona) di Gesù, il Figlio, è l’unico luogo di verità dell’uomo, che in lui è se stesso, cioè figlio. Per questo in nessun altro c’è salvezza (At 4,12). Infatti, fuori di lui, l’uomo è fuori di sé, privo della propria identità. Agire nel suo nome è principio di comunione e di vita. Agire nel “proprio” nome - personale o collettivo - è principio di disgregazione e di morte.

accoglie me. Lui, ultimo e servo di tutti, si identifica col bambino. Per questo l’amore verso l’ultimo è verso il Signore e viceversa.

se uno accoglie me. Accogliere lui è entrare nella propria verità; è realizzarsi e vivere.

non accoglie me. Notare l’insistenza su questo verbo. Senza amore si può anche servire, per semplice autoaffermazione o per senso di colpa. Ma non si può accogliere. Accogliere è rinnegare se stessi e affermare l’altro, rimpicciolirsi per lasciargli spazio, lasciarsi invadere e prendere senza invaderlo e prenderlo. È la realtà stessa del Dio amore, la cui vita è la reciproca accoglienza tra Padre e Figlio.

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ma colui che mi ha inviato. Accogliere il piccolo nel nome del Figlio è accogliere lo stesso Padre: si entra nel mistero della Trinità.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, vedendo la casa di Cafarnao, dove Gesù sta con i suoi discepoli.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: comprendere la grandezza dell’ultimo di tutti e servo di tutti.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: in casa il bambinoGesù interroga ed essi tacciono accogliere nel suodiscutere chi è il più grande nome il bambino: Gesùil primo sia l’ultimo e stesso e il Padre.servo di tutti

4. Passi utili: 1Cr 21,1-17; 1Sam 2,1-11; Sal 8; 131; 1Pt 2,2; Gv 13,1-17.

49. NON IMPEDITELO

(9,38-40)

38 Diceva a lui Giovanni:Maestro,abbiamo visto uno che nel tuo nome scacciava demoni, (che non segue noi); e glielo impedivamo, perché non seguiva noi.39 Ma Gesù disse:Non impeditelo.Infatti non c’è nessuno che farà un prodigio nel mio nome, e potrà subito dopo parlar male di me.40 Infatti chi non è contro di noi, è per noi.

1. Messaggio nel contesto

“Non impeditelo”, dice Gesù ai suoi, gelosi di un tale che scaccia i demoni nel suo nome, ma senza essere del “loro” gruppo.

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Nel brano precedente i discepoli si dividevano tra loro in nome del proprio io. Qui si dividono dagli altri in nome del proprio noi. Il proprio nome, individuale o collettivo, è principio di divisione; solo il “Nome”, che è quello di Gesù, è fattore di unità tra tutti.Chi ama gode del bene altrui. L’egoista invece non gode del bene, ma solo del suo possesso, e gli fa male quello altrui. È vittima dell’invidia, figlia dell’egoismo e madre dell’orgoglio. Essa riduce la vita a un inferno, perché produce una sofferenza proporzionale al bene, fino a una sofferenza infinita davanti al Bene infinito. Per essa entrò la morte nel mondo (Sap 2,24). La vita infatti, essendo dono e amore, è tale in quanto non posseduta.Egoismo, invidia e orgoglio possono essere in forma sia personale che collettiva. Quest’ultima, molto più dannosa, è tanto macroscopica da riuscire invisibile all’individuo, che può continuare a vivere di dedizione, servizio e umiltà nei confronti del suo “noi” - come un bandito nel confronti della banda.La scena precedente parla del demone dell’individuo, la presente di quello comunitario.I discepoli sono un “noi” ben definito e costituito. Ed è giusto che sia così. L’uomo è anche bisogno di aggregazione e appartenenza visibile. Solo che questo “noi”, invece di Gesù, ha al centro se stesso. Si tratta di una comunità che fa a livello grande quel male al quale ognuno ha rinunciato a livello individuale. È un protagonismo comunitario, che si verifica ogni qualvolta cerchiamo il “nostro” prestigio e non il servizio degli altri.Ciò è evidenziato bene dalle parole di Giovanni: si vuol impedire del bene, perché chi lo fa “non segue noi”.Se il peccato originale del singolo è mettere l’io al posto di Dio, quello comunitario è mettere il “noi”. I discepoli pretendono di essere seguiti! È importante sapere che la Chiesa non è fatta da chi segue “noi”, ma da chi ascolta e segue lui. Maledetto l’uomo che segue l’uomo.L’unità nostra è andare dietro a lui, che ci conduce fuori da tutti gli steccati e ci apre a tutti, cominciando proprio dai più lontani e dagli esclusi. L’essere con lui, il Figlio, ci unisce al Padre e ai fratelli, e forma un “noi” che non si delimita con una siepe di proprietà, ma con una spinta interna di simpatia verso tutti. Ma non per questo il cristianesimo è fenomeno di massificazione. Gesù fugge dalle folle e forma persone che possano fare un popolo. E ognuno diventa persona nel suo rapporto indelegabile con lui, il Signore.Nel nome di Gesù la Chiesa abbraccia tutti e non esclude nessuno. In altri nomi, personali o collettivi, nascono i ghetti, gli spiriti di parte, le sette e le esclusioni.Ma chi esclude uno, esclude colui che si è fatto ultimo di tutti. Oltre che non essere cattolico (= universale), non è neanche cristiano: non ha ancora lo Spirito del Figlio che, conoscendo l’amore del Padre, è morto per tutti i fratelli.Più forte è l’unione con lui, più forte è l’unità tra di noi. Ma non è un monolitismo rigido, che teme di rompersi. È un’unità in piena libertà propria e altrui. Unico è il pastore, Gesù, e unico è il gregge. Ma non unico è l’ovile (Gv 10,16)! Nell’ovile le pecore sono munte e tosate, e muoiono di fame. Il pastore le conduce fuori da tutti i recinti, perché ,possano pascolare (Gv 10,4).Il criterio di appartenenza all’unico gregge è la nostra unione con lui, senza del quale non possiamo fare nulla (Gv 15,5). L’unione tra di noi può essere molto carnale.Molti di quelli che fanno parte della Chiesa visibile non fanno parte di quella invisibile, perché non seguono il Signore Gesù, ma se stessi, le proprie idee e i propri desideri proiettati su di lui. Alla comunità di Corinto, molto vivace e travagliata da divisioni, Paolo dà come criterio decisivo di unità: “Se qualcuno non ama il Signore sia anatema” (1Cor 16,22). E per capire lo spirito di non esclusione con il quale lo dice, basti ricordare che dice anche: “Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, a vantaggio dei miei fratelli” (Rm 9,3)!Questo brano ci ricorda che il male del brano precedente è anche a livello comunitario, oltre che personale; e ci dice che lo si supera sempre “nel suo nome”, ponendo solo lui come punto di riferimento, sia personale che ecclesiale.

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Gesù è il sole. Con lui al centro, tutti ruotiamo armonicamente, seguendo ognuno la propria orbita. La diversità non suona minaccia per nessuno, non è oggetto di paura e di invidia. È segno di ricchezza, e motivo di benedizione verso colui che dà ogni bene.

I discepoli formano una comunità, un “noi”, che è la Chiesa. Essa non ha il suo centro in se stessa. Non fa censimenti per sentirsi forte (1Cr 21,1 ss), e non cerca la propria gloria. Serve solo il Signore, ed è aperta a tutti, con disponibilità e umiltà.Finché cerca in lui l’unità, è una e rimane libera, liberante e cattolica. Deve però sempre guardarsi dall’orgoglio collettivo, tipico del debole che si fa gregario. Nascono così le divisioni, operate dai credenti che si ritengono migliori e nella verità, pensando di avere Dio con loro (Gott mit uns!).Questi si aggregano tra di loro, lasciando in secondo piano la sequela del solo Signore. Come nel nome di Gesù ci si possa dividere tra cristiani o dagli altri, è un mistero d’iniquità tanto incomprensibile che si rinuncia a capirlo, dandolo per scontato! La causa possiamo vederla riflessa già in un’antica proposta ecumenica - e speriamo sia solo antica! che dice: “I greci ritorneranno all’obbedienza della Chiesa romana, i tartari si convertiranno per la maggior parte alla fede, i saraceni saranno distrutti, e ci sarà un solo gregge e un solo pastore” (Ruggero Bacone).

2. Lettura del testo

v. 38 Diceva a lui Giovanni. L’obiezione è fatta da lui forse per il suo carattere focoso - è il figlio del tuono (3,17), che invoca fuoco su un villaggio di samaritani (Lc 9,54). Oppure, forse, essendo lui “il discepolo che Gesù amava”, rappresentava all’interno della comunità l’elemento che sempre fa problema al “noi”? Si alluderebbe allora a una tensione tra Chiesa carismatica e istituzionale, nel suoi due elementi necessari e irriducibili, che trovano unità solo nel suo nome.

nel tuo nome. Tutto il resto del capitolo risolve i vari problemi della comunità nel suo “nome”, cioè nella sua persona concreta, che è l’unico criterio di discernimento. Perché “in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).

scacciava demoni. La vittoria su satana è il fine della missione di chi “è con lui” ed è inviato da lui (3,14 s; 6,7).

glielo impedivamo. Il tempo del verbo è imperfetto. Significa che tentavano di impedirglielo ripetutamente e senza risultato. Interessante che i discepoli, tutti insieme, non erano capaci di scacciare il demonio sordo muto. Ora vediamo il perché: ne sono posseduti loro stessi a livello collettivo. Incapaci di vincerlo, sono invidiosi che un “altro” ci riesca.

perché non seguiva noi. La comunità dei discepoli qui appare per la prima volta come un “noi” ben delimitato e visibile. E questo va bene! Ma c’è un errore; solo lui va seguito. Chi segue la comunità, è sì pecora, ma non sua. La comunità che pretende di essere seguita, si sostituisce al suo Signore, plagiando persone, facendo congreghe, togliendo libertà e perdendo cattolicità. Ciò che mi costituisce credente è il mio rapporto personale con lui. La Chiesa me lo media, non perché si mette tra me e lui, ma perché, con la parola e i sacramenti, attraverso il tempo mi porta al contatto diretto con lui, salvezza mia e di tutti. La comunione con lui fonda quella tra di noi. Se una persona, o anche una comunità, prende il suo posto, è la rovina. Per questo Matteo, vangelo comunitario per eccellenza, dice di non chiamare nessuno maestro, padre o guida. L’unico maestro è Gesù, l’unico padre è il suo e l’unica guida il suo Spirito (Mt 23,8-10).Seguire Gesù il Signore, e non il nostro “noi”, è la differenza tra la Chiesa di Gesù che, anche se piccola, ha sempre un respiro universale, e una setta che, anche se numerosa, è sempre preoccupata

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solo di sé. La prima cresce sotto la spinta dello stesso amore che ha avuto Gesù, che è morto per tutti (2Cor 5,14); la seconda si diffonde per proselitismo e desiderio di egemonia, che non viene certamente da Dio.La comunità cristiana è chiamata a saper individuare in sé questo peccato originale comunitario, risvolto collettivo di quello individuale. Quando non lo riconosciamo, facciamo, a fin di bene, come i discepoli che impediscono la sconfitta del male e la venuta del Regno. Questo è ritardato più dalla cecità dei buoni che dalla perversità dei cattivi che, con la persecuzione, l’affrettano!

v. 39 Non impeditelo. Il bene non va impedito, anche se non è “nostro”. Il desiderio stesso che sia “nostro” mostra che ci interessa più il “noi” che il bene.

Infatti non c'è nessuno che farà un prodigio nel mio nome, ecc. Il problema è vincere il male nell’unico nome in grado di farlo. Queste sono le credenziali, senza bisogno di altre etichette. Operare nel suo nome, significa essere in lui, amarlo e seguirlo. Diversamente si può avere la sorpresa degli apprendisti stregoni di Efeso, che vogliono combattere il male nel nome di Gesù, ma senza appartenergli (At 19,13-20).

v. 40 chi non è contro di noi, è per noi. Non è semplice tolleranza virtù borghese peraltro mai abbastanza apprezzata nel mondo religioso, sempre tentato di fanatismo! È annuncio della libertà dei figli di Dio, che conosce bene chi è vincolato al solo Signore. Egli non vede negli altri nemici o antagonisti da combattere, ma fratelli da amare.Questa affermazione è confermata dall’altra di Gesù che dice: “Chi non è con me, è contro di me” (Mt 12,30; Lc 11,23). Infatti la salvezza consiste nell’essere “con lui”, il Signore, e non nell’essere con noi, poveri uomini.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il luogo: è ancora in casa a Cafarnao, con i suoi discepoli.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: la liberazione dall’invidia. Che mi conceda di godere del bene altrui.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: non segue noi nel mio nomenon impedite chi non è contro di noi è per noi.

4. Passi utili: Nm 11,25-29; Is 60; Sal 87; 117; At 19,13-20; 2Cor 5,14.

50. NEL NOME

(9,41-50)

41 Infatti chiunque vi dia da bereun bicchier d’acquanel Nome,perché siete di Cristo,

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amen, vi dico,non perderà la sua mercede.42 E chiunque scandalizziuno di questi piccoliche credono (in me),è meglio per luise gli sta sul collouna mola d’asino,ed è gettato in mare.43 Se la tua mano ti è di scandalo, tagliala!È meglio per te entrare monco nella vita,che andare con le due maninella geenna,nel fuoco inestinguibile44 [dove il loro verme non muoree il fuoco non si estingue].45 E se il tuo piede ti è di scandalo, taglialo!È meglio per teentrare nella vita zoppo,che con i due piediessere gettato nella geenna,46 [dove il loro verme non muoree il fuoco non si estingue].47 E se il tuo occhio ti è di scandalo gettalo!È meglio per te entrare con un solo occhionel regno di Dio,che con due occhiessere gettato nella geenna,48 dove il loro verme non muoree il fuoco non si estingue.49 Poiché ciascuno sarà salato col fuoco.50 Buono è il sale;ma se il sale diventa insulso,con che cosa lo condirete?Continuate ad avere in voi stessi sale,e a vivere in pace tra voi.

1. Messaggio nel contesto

“Nel Nome”. Il discepolo trova nel nome di Gesù la fonte, il fine e il mezzo di ogni sua azione.Fare del bene a uno nel nome proprio significa schiavizzarlo a sé. Fargli del bene nel suo nome significa essere filantropo, probabilmente ancora per onorare il proprio nome. Fare del bene nel “Nome” significa amare l’altro nella sua vera dignità di figlio di Dio con lo stesso amore del Padre. Chi fa così a sua volta diventa lui stesso suo figlio.La retta intenzione non è secondaria all’azione; è necessaria sia per fare davvero il bene dell’altro, sia per giungere noi stessi al fine per cui siamo creati.

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Il v. 41 dice che anche il minimo servizio compiuto nel Nome è investito di valore salvifico. Il regno di Dio è infatti vivere qui e ora l’amore del Padre. Guai a dimenticare che questa nostra realtà quotidiana e transitoria genera il futuro definitivo. Il presente, per quanto piccolo, è il seme da cui fiorisce l’eternità.I vv. 42-48 chiedono una decisione radicale: bisogna tagliare tutto ciò che è di inciampo ad altri e a me per seguire Gesù. Andare dietro a lui, è scegliere la vita. Perdere la vita per lui, è salvarla; cercare di salvarla per sé, è perderla.I vv. 49-50 si richiamano tra loro per la parola “sale”, connessa col sacrificio, con la sapienza e con la pace. Vi si dichiara la necessità del sacrificio e il pericolo di perdere la sapienza di Cristo, esortando a conservarla come principio di pace gli uni con gli altri. Così si chiude l’istruzione che Gesù ha dato “in casa”, in privato, al suoi discepoli in Cafarnao.

Gesù è il Nome. Tutto ciò che esiste, in lui trova la sua vita. Per questo è vera sapienza perdere tutto per acquistare lui.

Il discepolo è colui che ha smesso di agire nel nome proprio, personale e collettivo. Unito a lui, agisce in lui e come lui, compiendo la sua stessa opera, disposto a rinunciare a tutto ciò che gli è di inciampo.

2. Lettura del testo

v. 41 un bicchier d'acqua. L’amore si manifesta nei fatti più che nelle parole. Nei servizi piccoli e quotidiani si rivela più puramente che in quelli grandi e straordinari, nei quali gioca facilmente l’autoaffermazione.

nel Nome. Il nome è la persona. Gesù, come è il centro della comunità, così è il cuore di ogni nostra azione e decisione. Il suo nome non è qualcosa di estraneo a ciò che facciamo. È come la direzione impressa alla freccia, che le fa raggiungere il bersaglio. In lui l’uomo ritrova la propria esistenza autentica: quella di figlio e di fratello. Fuori di lui è fuori di sé; fallisce e cade nel niente di sé. Per questo Gesù dice: “Senza di me, non potete fare nulla” (Gv 15,5). Lui infatti è il Nome.

perché siete di Cristo. È la più bella definizione del discepolo; anticipa quella di “cristiano” (cf At 11,26). Indica relazione e appartenenza d’amore reciproco, perché lui per primo ci ha amati. L’uomo è sempre “di” qualcuno. Chi è di nessuno, è nella solitudine assoluta, nell’inferno.

non perderà la sua mercede. La ricompensa di chi si comporta da fratello è l’essere figlio. L’ingresso nel regno del Padre non si gioca in cose eccezionali, ma nella piccolezza di quelle più semplici e necessarie (cf Mt 25,40 ss).Ogni azione umana assume la sua qualità dall’intenzione. Per questo, anche il minimo gesto compiuto nel suo nome, ha dignità massima, che non verrà mai persa. “Accoglietevi gli uni gli altri, come Cristo accolse voi” (Rm 15,7).

v. 42 chiunque scandalizzi. “Scandalo” significa ostacolo, inciampo. Scandalizzare è il contrario di servire: invece di aiutare uno nel suo cammino dietro a Gesù, lo si fa inciampare e cadere.

di questi piccoli che credono (in me). Per i discepoli, ancora piccoli, ossia deboli nella fede, possono essere d’inciampo anche cose per me indifferenti o addirittura buone. Devo stare attento al fratello debole, seguendo l’esempio di Paolo in 1Cor 8,1 ss e Rm 14,1-15,7. Il criterio della mia azione è l’edificazione sua. Bisogna fare la verità nella carità (Ef 4,15). La scienza senza carità gonfia chi ce l’ha, e non è utile a nessuno (1Cor 8,2).

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è meglio, ecc. Gesù non esorta né al suicidio né all’omicidio. Vuole dire, con questo paragone, che la morte più tremenda è meno grave che fare del male a un fratello: è uccidere in lui e in me la vita del Figlio.

v. 43 Se la tua mano ti è di scandalo. Come posso essere di ostacolo ad altri, così ci può essere qualcosa che ostacola me. La mia mano, per esempio, quando è chiusa nel possesso invece che aperta al dono. Essa può agire sia per la vita che per la morte. Forse, come Briareo, ho cento mani per prendere e nessuna per ricevere e dare.

tagliala. Bisogna tagliare tutte le mani con cui faccio il male, e tenere l’unica con cui opero il bene.

È meglio per te entrare monco nella vita. Non è un’amputazione masochistica o un taglio mortificante: è una potatura, per portare frutto, ed entrare nella vita, nel Regno (cf anche vv. 45.47).

che andare con le due mani nella Geenna. L’alternativa è la Geenna, la valle dell’Hinnon, dove si immolavano vittime a Moloch e in seguito si bruciavano le immondizie. Chi non è disposto a essere mondato con la potatura, sacrifica se stesso all’idolo e butta via la propria vita come immondizia.

fuoco inestinguibile. Il fuoco, che di continuo arde nella valle dell’Hinnon per bruciare la spazzatura, è immagine dell’inferno come fallimento dell’uomo.

v. 45 Se il tuo piede, ecc. L’uomo cammina sempre. Ma dove va il mio piede, qual è la speranza che muove la mia vita? Seguo Gesù, oppure ho mille piedi che mi portano in direzioni diverse dalla sua?

v. 47 se il tuo occhio, ecc. L’occhio è il desiderio. Porta con sé il cuore e determina gli obiettivi che il piede cerca di raggiungere e la mano di prendere. È quindi principio di decisione e di direzione. Devo perdere i mille occhi che inseguono cose vane, e tenere quello che sta fisso sul Signore.L’occhio da tenere è la fede, che mi fa vedere Gesù; il piede da tenere è la speranza, che me lo fa seguire; la mano da tenere è la carità, che me lo fa toccare.

v. 48 dove il loro verme non muore, ecc. Sono le ultime parole del profeta Isaia, che parla del destino dei ribelli, in contrapposizione al cieli nuovi che Dio farà per l’eternità (Is 66,22-24). Il verme e il fuoco inestinguibile, che richiama ancora la valle dell’Hinnon, indicano la putrefazione e l’autodistruzione di chi non si decide per il Regno.Le parole di Gesù non minacciano una punizione. Sono un ammonimento a costatare il male in cui siamo, perché ne usciamo. L’inferno è il luogo dal quale Dio ci salva.

v. 49 ciascuno sarà salato col fuoco. Per non bruciare nel fuoco con i rifiuti, il discepolo deve ardere di un altro fuoco. È lo Spirito Santo, che accende in noi una vita nuova che ha il sapore, ossia la sapienza del Figlio. Questa ci conserva dalla corruzione e ci rende capaci di sacrificio. Senza sacrificio l’uomo si riduce a bestiolina, incapace di capire e di amare, perché insegue solo il piacere. Questo è criterio sufficiente di azione per l’animale, ma non per l’uomo che, dotato di intelligenza e di volontà, è destinato alla felicità.Scambiare felicità e piacere è il grosso equivoco di sempre. Ma il piacere genera poi infelicità e solitudine; la felicità invece rimane, e genera gioia e comunione.

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v. 50 Buono è il sale. Il sale è simbolo di tutto ciò che dà sapore alla vita, preservandola dall’insipienza e dal vuoto.

Se il sale diventa insulso. Sale senza sapore è il discepolo che non ha la sapienza di Cristo, il fuoco dell’amore che purifica dall’egoismo e dispone al sacrificio. Sale insulso è chi non è disposto a tagliare ciò che nuoce.

Continuate ad avere in voi stessi sale, ecc. Gesù ci dice di continuare ad avere in noi la vera sapienza che è quella di vivere e agire “nel suo nome”. Questo è principio di pace piena, sia in noi che con gli altri.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, osservando il luogo: la casa di Pietro in Cafarnao, dove Gesù sta con i suoi discepoli e li istruisce.3. Chiedo ciò che voglio: chiedo a Gesù che ogni mio desiderare, volere, capire e agire sia “nel suo nome”, ordinato solamente a lode e servizio del Padre.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: un bicchiere di acqua la manonel Nome il piedesiete di Cristo l’occhioscandalizza sale insulso

4. Passi utili: Gn 18,1-15; Eb 13,2; Sal 103; 145; Dt 30,15-20; Sal 19,8-15; 1Cor 8; Rm 14,1-15,13.

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51. NON SONO PIÙ DUE, MA UNA CARNE SOLA

(10,1-12)

101 E, alzatosi di lì, viene nel confini della Giudea,e al di là del Giordano.E di nuovo folle convengono attorno a lui;e, come usava, di nuovo le ammaestrava.2 E, facendosi avanti, dei farisei lo interrogavano,per tentarlo,se è lecito a un uomo rimandare la donna.3 Egli, rispondendo, disse loro:Cosa vi ordinò Mosè?4 E quelli dissero:Mosè permise di scrivere il documento di divorzio e rimandarla.5 Ma Gesù disse loro:Per la vostra durezza di cuorevi scrisse questo ordinamento.6 Ma al principio della creazioneDio li fece maschio e femmina.7 Per questo l’uomo lascerà il padre suo e la madre, e si unirà alla sua donna,8 e i due saranno in una carne sola.E così non sono più due,ma una carne sola.9 Ciò che Dio congiunse,uomo non separi!10 E, a casa, di nuovo i discepolilo interrogavano su questo.11 E dice loro:Chiunque rimandi la sua donnae sposi un’altra,commette adulterio contro di lei;12 e se essa, rimandato il suo uomo,sposi un altro,commette un adulterio.

1. Messaggio nel contesto

“Non sono più due, ma una carne sola”, ribadisce Gesù dell’uomo e della donna creati da Dio a sua immagine e somiglianza. Infatti, proprio in quanto maschio e femmina, i due sono relazione l’uno all’altro, dono e accoglienza vicendevole, e formano insieme una sola vita nell’unico amore. In questo senso il matrimonio adombra la Trinità, compagnia perfetta, vittoria su ogni solitudine.Il rapporto maschio/femmina inoltre è figura del rapporto Dio/uomo. Dio è lo sposo dell’uomo, sua sposa, che ama di amore eterno (Ger 31,3). La bibbia non è che il racconto del suo amore incredibile, la cui prova estrema è la sua morte in croce per noi che lo rifiutiamo. Uno diventa se

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stesso dicendo sì a questa relazione che lo fa essere ciò che è. La nostra dignità è quella di essere suoi interlocutori e partners, simili a lui. L’amore infatti o trova o rende uguali. Il nostro destino è unirci a lui, in reciprocità di amore, nella carne del Figlio. Questo mistero è veramente grande (Ef 5,32). Ci è stato rivelato in Gesù, nel quale Dio ha indissolubilmente sposato la nostra umanità e ciascuno di noi.Il significato del matrimonio non si esaurisce quindi nella conservazione della specie (generazione della prole) o nella semplice soddisfazione di varie necessità (bisogno di aiuto); non è neanche un modo qualunque di vincere l’incompiutezza e superare la solitudine (bisogno di compagnia), dato che non è bene per l’uomo, che è relazione, essere solo (Gn 2,18). È un mistero che trova la sua espressione piena nell’amore assoluto per Dio, dove l’uomo realizza se stesso.In questa ottica si capisce l’importanza che la Chiesa dà alla monogamia. Un amore che non sia fedele e totale non è riflesso di quello di Dio, e non è amore. Nelle varie catechesi familiari (Ef 5,22-6,4; 1Tm 2,8-13; 5,1-6,2; Tt 1,5-9; 2,2-10; 1Pt 2,13-3,7; 5,1-5) il modello del rapporto sposo/sposa è sempre quello di Cristo con la sua Chiesa.Anche il celibato è comprensibile solo come testimonianza profetica di questo amore per Dio, con cuore indiviso (1Cor 7,34), al quale ogni uomo è chiamato. Un matrimonio ben riuscito è figura transitoria di questa realtà che non passa. Da qui l’eccellenza del celibato che dà senso allo stesso matrimonio. “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro al quali è stato concesso”, dice Gesù (Mt 19,11). “Vorrei che tutti fossero come me”, dice Paolo. “Ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro” (1Cor 7,7).Un matrimonio riuscito, anche se è una realtà transitoria, accende già ora quella vampa del Signore che mai si spegnerà (cf Ct 8,6 s).In questo brano Gesù ci mostra come avere in noi il “sale”, cioè la sua sapienza, per quel che concerne il rapporto d’alterità e unità tra uomo e donna. Seguirà l’istruzione sul rapporto d’identità con se stesso (vv. 13-16) e di dono nei confronti delle cose (vv. 23-31). Il peccato originale, allontanando l’uomo da Dio, l’ha alienato da sé, dall’altro e dal mondo. Cristo lo restituisce a sé e all’altro, facendolo signore del creato, come era al principio.La regolamentazione del divorzio fatta da Mosè non rappresenta il disegno originario di Dio. Serve a limitare i danni e va intesa non come legittimazione, ma come denuncia dei male.

Gesù ci libera dalla durezza di cuore. In lui vediamo e accettiamo l’amore di Dio per noi, che ci offre la possibilità di vivere ciò che era “in principio”.

Il discepolo riscopre in lui la vera dignità dell’uomo: essere partner di Dio e amarlo con tutto il cuore. Vive il matrimonio come immagine di questo grande mistero. Per lui il divorzio è naufragio, amore non andato in porto. La monogamia, più che una legge, è un dono evangelico. Deriva dalla coscienza dell’amore con cui si è amati ed a cui si è chiamati.

2. Lettura del testo

v.1 alzatosi di lì. Gesù parte da Cafarnao (9,33) per l’ultima tappa del suo viaggio a Gerusalemme. Da lì era partito pure il cammino in direzione opposta, che abbraccia il lungo periodo che va dalla decisione della morte alla prima predizione della passione-risurrezione (3,6-8,31 s).

E di nuovo folle convengono attorno a lui. Riprende anche l’istruzione alla folla, riservando un supplemento di spiegazione ai discepoli. La loro cecità crescente li accomuna per altro sempre più alla massa. Si differenziano da essa non tanto per la diversa comprensione, quanto per la diversa disponibilità. Amano Gesù, anche se non lo capiscono, disposti ad essere presi e ripresi da lui.

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v. 2 lo interrogavano, per tentarlo. Chiedere per tentare è azione diabolica (1,13). Bisogna chiedere come i discepoli, che stanno in casa con lui, disposti ad ascoltarlo (v. 10).

è lecito a un uomo rimandare la donna. Presso molti popoli l’uomo acquista la donna comprandola dalla sua famiglia; essa diviene sua proprietà, che può abbandonare quando non gli serve più. I ricchi possono comprarne molte, come segno di potere e fonte di ulteriore ricchezza. Chiaramente questo tipo di rapporto fondato sul possesso non è secondo il disegno di Dio. Al di là della forma, anche per noi il matrimonio è sovente un possesso, una compravendita di mutue prestazioni, una prostituzione reciproca.

v. 3 Cosa ordinò Mosè. Dopo aver guastato il rapporto con Dio (“ho avuto paura”) e con sé (“sono nudo”), il primo riflesso del peccato è lo stravolgimento del rapporto con l’altro/a (Gn 3,10.12.16), specchio appunto di quello con Dio. Il matrimonio, invece che amore e servizio, diventa egoismo e sopraffazione. La differenza relativa e il mutuo bisogno si fa arma di potere con cui ognuno domina l’altro. Si sta insieme solo finché dura l’interesse del più forte; cessato questo, cessa tutto.Riconoscendo la situazione di fatto, Mosè diede disposizioni sul divorzio, per limitare i danni del più debole (Dt 24,1-4). Il documento di ripudio sottrae la donna all’arbitrio dell’uomo, e le rende la libertà... di cadere nelle mani di un altro!Circa le cause sufficienti per il divorzio, ammesso da tutti, si oscillava ai tempi di Gesù tra la scuola di Shammai e quella di Hillel. Il primo, più rigoroso, lo ammetteva solo in casi di peccato di lussuria. Per il secondo, più lassista, bastava che la donna lasciasse attaccare il cibo alla pentola!

v. 5 Per la vostra durezza di cuore. Gesù dice che questo è il motivo per cui Mosè permise il divorzio. La “sclerocardia” è la vera causa del male (cf 3,5; 6,52; 8,17, dove si parla di “cuore pietrificato”). Il cuore dell’uomo è indurito, non sa amare. Questo è il suo peccato, il suo fallimento, denunciato a tutti i livelli dalla legge. Essa può anche, a certe condizioni, depenalizzare un delitto per arginarne i danni, ponendo un controllo. Anche se utile o addirittura necessario, ciò non è mai però un legalizzare che renda buona o lecita la cosa.

v. 6 al principio della creazione. Con Gesù la creazione raggiunge il suo fine; torna ad essere come Dio l’ha pensata fin dal principio. Lui stesso è il principio, nel quale, per mezzo del quale, e in vista del quale tutto è stato fatto. In lui tutto ciò che è fatto ha vita e sussiste nella sua verità originaria (Ef 1,4; Col 1,16 s; Eb 1,3; Gv 1,3).

li fece maschio e femmina. A sua immagine e somiglianza li fece (Gn 1,27). La differenza sessuale non è oggetto d’invidia e di possesso, ma, ponendo un’alterità complementare, fa sì che i due siano mutua relazione di dono reciproco. La bisessualità quindi porta a livello corporeo il sigillo di Dio che è amore.

v. 7 l'uomo lascerà il padre suo, ecc. (Gn 2,24). È una reliquia di tradizione antica. Quando vigeva il matriarcato, l’uomo lasciava i suoi per unirsi al clan della moglie.Il significato mistico è molto profondo. Il nuovo Adamo abbandonerà il Padre, lasciando la sua dimora e ogni suo privilegio, per venire da noi e unirsi a noi in un’unica carne di servo. Questa citazione è presa dal secondo racconto della creazione, quasi a dire che, dopo il fallimento del primo, fu creato il secondo Adamo.

v. 8 i due saranno in una carne sola (Gn 2,24). In questo secondo racconto si parla di Adamo addormentato, dal cui fianco è tratta Eva. È figura del Cristo morto, dal cui costato trafitto è formata la Chiesa. Egli l’ha amata e ha dato per lei tutto se stesso, corpo e sangue. Proprio così lei nasce come sposa, capace di riamarlo e formare con lui una carne sola. L’unione tra Dio e uomo, che in Gesù si sposano in un’unica persona umano-divina, è il mistero di salvezza.

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v. 9 Ciò che Dio congiunse. Questa è l’opera di Dio: distinguere per unire. Come ha distinto l’uomo in maschio e femmina perché si unissero nell’amore, così ha fatto l’uomo distinto da sé, per unirlo a sé in un’unica vita.

uomo non separi. Separare è l’azione dell’uomo incapace di distinguere e congiungere. Separare una cosa inanimata significa dimezzarla. Separare un vivente significa ucciderlo. Rompere l’unione tra maschio e femmina è uccidere la loro vita, che è l’amore. L’uomo che non ama, non è.

v. 10 a casa, i discepoli lo interrogavano. Perché l’interrogare Gesù sia diverso da quello dei farisei, vedi 4,10-12.

v. 11 Chiunque rimandi la sua donna e sposi un'altra, ecc. L’adulterio non è lasciarla. Luca esorta a lasciarla per il Regno, come lo stesso Paolo dice che vorrebbe che tutti fossero come lui, senza donna (Lc 14,26; 1Cor 7,7). L’adulterio si consuma nel prenderne un’altra.

v. 12 se essa, rimandato il suo uomo, ecc. Ciò che vale per l’uomo vale anche per la donna; hanno uguali doveri e diritti reciproci. “Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie” (1Cor 7,10s). L’indissolubilità del matrimonio cristiano non è una legge difficile da osservare: è “vangelo”, la buona notizia che all’uomo è finalmente dato di amare come è amato.Il matrimonio è un sacramento, cioè partecipazione al corpo di Cristo morto e risorto per noi. Lo si vive in lui, morendo quotidianamente all’egoismo e risorgendo a vita nuova.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, guardando il luogo: la strada su cui Gesù cammina oltre il Giordano, in Giudea.3. Chiedo ciò che voglio: capire il mistero del matrimonio, che è lo stesso del mio rapporto con lui. Gli chiedo di guarirmi dalla durezza di cuore, di darmi un cuore nuovo, capace di accogliere il suo amore e di amare con fedeltà e misericordia.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: durezza di cuore ciò che Dio congiunseal principio uomo non separinon sono più due, ma una sola carne

4. Passi utili: Gn 1,27; 2,18-24; Sal 45; 128; Cantico dei Cantici; Os 2,16-23; Ez 16; Ef 5,21-33; Ap 19,1-10; 2Cor 11,1s; 1Cor 7,25-35.

52. DI CHI È COME LORO È IL REGNO DI DIO

(10,13-16)

13 E gli portavano dei bambini,perché li toccasse.

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Ma i discepoli li sgridavano.14 Ma Gesù, vedendo, si sdegnòe disse loro:Lasciate che i bambini vengano a me, non impediteli,perché di chi è come loro è il regno di Dio.15 Amen, vi dico,chi non accolga il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso.16 E, abbracciandoli,li benediceva, imponendo su di loro le mani.

1. Messaggio nel contesto

“Di chi è come loro è il regno di Dio”, dice Gesù dei bambini che accorrono a lui.C’è un’intesa profonda con loro, che sfugge ai discepoli: li abbraccia, desidera che vengano a lui, li benedice e impone loro le mani. La scena riprende e amplia il tema di 9,36 s.Nel brano precedente si parlava del rapporto “con l’altro”, rovinato dal peccato e restaurato da Gesù. Ora si parla del nuovo rapporto “con sé”, necessario per entrare nel Regno. Adamo, che aveva posto il proprio io al centro di tutto, scopertosi nudo e bisognoso di tutto, fuggì da Dio, perché ne aveva paura. Il bambino tranquillamente è povero e riceve tutto. Niente di sé, è ciò che gli altri fanno di lui. E vive tutto questo con naturalezza. Accorrendo con fiducia da chi lo accoglie, dà libera espressione alla sua condizione filiale, accettata dagli altri e da lui come unica possibilità di vita.Ma ciò vale di ogni uomo, che è fondamentalmente relazione e appartenenza filiale: è “di” qualcuno, in quanto figlio. Se non vuol essere di Dio, diventa di sé, di altri o di altro, alienandosi rispettivamente nell’egoismo, nella schiavitù o nell’idolatria. La presunta autosufficienza è in realtà morte dell’io.L’uomo è essenzialmente figlio, che riceve come dono d’amore tutto ciò che ha ed è, compreso il proprio io. Diversamente non esiste. Nessuno infatti dà ciò che non ha, e nessuno ha ciò che non ha ricevuto.L’orgoglio, che è in realtà paura di non essere amato, impedendo di ricevere, rende impossibile l’essere amato e l’amare.Gesù, il nuovo Adamo, è il primo che ha vissuto in pienezza la condizione filiale. Il suo essere tutto del Padre, da lui e per lui, è la sua ricchezza infinita, che riversa su tutti i fratelli che si raccolgono intorno a lui. A lui non accorrono i grandi e i potenti, ma quelli che sono come lui, piccolo e povero (9,33 ss; 10,35 ss). Accolti dal Figlio, entrano nel regno del Padre.Il brano inizia con Gesù che tocca, e termina con lui che abbraccia, benedice e impone le mani. Tutte queste espressioni di contatto esprimono la fede, come comunione fisica con lui, il Figlio. Bisogna che l’adulto, rinascendo da acqua e da Spirito (Gv 3,5), acquisti le qualità del bambino, e diventi come lui per entrare nel Regno (Mt 18,3). Il battesimo è una rinascita che, incorporandoci a lui, ci dà l’identità nostra e di Dio: noi siamo figli e lui ci è Padre.

Gesù è il più grande di tutti, perché è il piccolo che acconsente pienamente al suo essere Figlio. Essere con lui è la condizione per entrare nel regno dei Padre.

Discepolo è colui che nulla possiede e tutto riceve. È figlio: ciò che è, è dono, e come tale si accetta con gioia.

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2. Lettura del testo

v. 13 gli portavano dei bambini. Se la donna era possesso dei marito, il bambino era un’appendice della donna. È il povero in senso assoluto, che non possiede nulla, neanche se stesso. Vive dell’amore gratuito dell’altro, ignorando orgoglio e paura, e senza cercare foglie di fico per coprire la sua indigenza. La sua debolezza è l’unica sua forza. Egli ammette di avere bisogno degli altri e di essere “di” qualcuno che lo ama.Questa è la condizione fondamentale dell’uomo. Solo per errore -fonte di illusione e delusione continua - pensa che la sua via consista nell’avere, nel potere e nell’apparire di più.Il bambino è simile a Gesù, il Figlio che tutto riceve dal Padre. Per questo il suo mistero è rivelato ai piccoli mentre resta celato agli intelligenti e ai sapienti (Lc 10,21).

perché li toccasse. Il tatto è la forma primordiale di conoscenza, di comunicazione e di comunione: toccare è unirsi a ciò che si tocca. Non si i tocca ciò che si teme o si disprezza, ma solo ciò che si ama e si i apprezza. Il “Toccare” in Marco esprime la qualità fondamentale della fede come comunione con Gesù e guarigione dell’uomo (cf 5,21-43).

i discepoli li sgridavano. Anche Gesù sgridava i demoni e chi voleva rivelarlo prima del tempo stabilito. I discepoli pensano che sia per lo meno inopportuno che i bambini disturbino il Maestro, che ha cose importanti da spiegare. Per esempio, come si entra nel Regno!

v. 14 Gesù, vedendo, si sdegnò. È la stessa parola che descrive il risentimento dei discepoli con la donna di Betania (14,4). Marco dice rare volte ciò che Gesù sente. Ricorda la sua compassione per chi sta male (1,41; 6,34; 8,2), la sua ira contro la durezza di cuore (3,5), l’amore del suo sguardo (10,21) e la sua angoscia davanti alla morte (14,33; 15,34). Qui si parla del suo sdegno contro l’impedimento del bene.Il suo volto di gioia è conosciuto solo dal piccolo che va a lui.

Lasciate che i bambini vengano a me. Andare a lui, il Figlio, è la salvezza dell’uomo. Il piccolo ne è irresistibilmente attratto.

non impediteli (cf 14,6). Gesù dice ai suoi di lasciare e non impedire i piccoli, che sono i soli che vogliono e possono accedere a lui.

di chi è come loro è il regno di Dio. Il Regno è Gesù, il Figlio povero, umiliato e umile, che può essere accolto così com’è solo da chi gli è vicino ed è come lui. E chi non lo è, lo diventa. Il lavoro che Gesù sta progressivamente facendo con i suoi discepoli è portarli alla verità del bambino. Anche gli adulti sono chiamati a diventare piccoli (Mt 18,3); anche i vecchi come Nicodemo devono rinascere (Gv 3,3 s). Quando si scopriranno ciechi, potranno con Bartimeo venire alla luce.

v. 15 Amen, vi dico. È un’affermazione solenne, con l’autorità di Dio che parla in prima persona.

chi non accolga il regno di Dio. Il Regno non è un prodotto da costruire, ma un dono da accogliere, che già c’è. È Gesù, il Figlio, nel quale diventiamo ciò che siamo: figli del Padre e fratelli di tutti.

come un bambino. Il titolo sul quale il bambino fa forza per ottenere è la sua debolezza, il suo bisogno. Sono le qualità dalle quali l’adulto si difende, nuocendo a sé e agli altri.

non entrerà in esso. All’uomo ricco e autosufficiente è difficile, anzi impossibile entrare nel Regno (v. 23 s).

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v. 16 abbracciandoli. Le braccia del Figlio allargate a tutti i fratelli sono l’ampio cerchio del regno del Padre: aperto a tutti, stringe solo i piccoli, gli unici che lo accolgono.

li benediceva. Gesù insiste nel benedire quelli che i discepoli sgridano.

imponendo su di loro le mani. È il gesto con cui si trasmette ciò che si ha dentro la propria forza e il proprio spirito.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, vedendo la casa dove sta Gesù attorniato dai discepoli e dai bambini.3. Gli chiedo ciò che desidero e voglio: diventare come un bambino, essere portato da lui, essere toccato, abbracciato e benedetto da lui, per entrare nel Regno.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: bambino di chi è come loro è il regno di Diotoccarechi non accoglie il regno di Dio come unsgridano bambino, non entrerà in essosdegnarsi abbracciare

imporre le mani.

4. Passi utili: Sal 8; 131; Mt 11,25-29; Gv 3,3-8; 1Pt 2,1 s; La preghiera di Gesù: Mt 6,9-13; Lc 11,2-4.

53. TUTTO È POSSIBILE PRESSO DIO

(10,17-31)

17 E, uscito egli per il cammino,uno gli corse incontro, si inginocchiò a lui e lo interrogava:Maestro buono,che devo fareper ereditare vita eterna?18 Ora Gesù gli disse:Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non il solo Dio!19 Conosci i comandamenti:non uccidere,non commettere adulterio, non rubare,non dire falsa testimonianza,

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non defraudare, onora il padre tuo e la madre.20 Ora quello disse:Maestro,tutto questo ho custodito fin dalla mia giovinezza.21 Ora Gesù, guardandolo dentro,lo amò e gli disse:Una sola cosa ti manca: va’,vendi quanto hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni,seguimi.22 Ma egli, inorridito per la parola,se ne andò intristito.Aveva infatti molti beni.23 E, guardandosi intorno,Gesù dice al suoi discepoli: Quanto difficilmente quelli che hanno le ricchezze entreranno nel regno di Dio.24 E i discepoli stupivano per le sue parole.E Gesù di nuovo, rispondendo,dice loro:Figlioli,quanto è difficileentrare nel regno di Dio.25 È minor fatica per un cammellopassare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio.26 Ed essi erano enormemente sconvolti,dicendo fra loro:E chi può salvarsi?27 Guardando loro dentro, Gesù dice:Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio, perché tutto è possibile presso Dio.28 E Pietro cominciò a dirgli:Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e abbiamo seguito te.29 Gesù disse:Amen vi dico,non c’è nessuno che ha lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi, a causa di mee a causa del vangelo,30 che non riceva il centuplo

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adesso, in questo tempo, in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi,insieme con persecuzioni, e, nel secolo che sta per venire, vita eterna.31 Molti primi saranno ultimi, e gli ultimi primi.

1. Messaggio nel contesto

“Tutto è possibile presso Dio”, risponde Gesù ai discepoli, quando finalmente capiscono che nessuno può salvarsi. Infatti siamo tutti ricchi, sprovvisti della povertà del bambino, indispensabile per accogliere il Regno.Ma riconoscere tale impossibilità è già principio di salvezza. Infatti costatare la propria perdizione significa essere ridotti alla povertà estrema, condizione necessaria per accettare che Dio solo salva.Dopo aver visto il nostro rapporto con l’altro e con noi stessi (vv. 1-12; 13-16), ora vediamo il nostro rapporto con le cose in ordine al nostro destino.Tutto è stato creato per noi, perché ne usiamo tanto quanto ci serve per amare Dio e i fratelli. Amiamo Dio riconoscendo il dono e lodandolo; amiamo i fratelli donando e condividendo.Ma il peccato ha messo in noi la brama di possesso. Le cose hanno preso il posto di Dio. La paura della morte ci spinge a cercare in esse, invece che in lui, la garanzia di vita. Di fatto assicurano la soddisfazione dei bisogni che abbiamo; ma non del bisogno che siamo.L’economia del possesso uccide quella del dono; capovolge il rapporto tra mezzi e fine, trasformando l’uomo da signore in servo delle creature. L’avidità di ricchezza è vera idolatria (Col 3,5), e l’attaccamento al denaro è radice di tutti i mali (1Tm 6,10).Il brano continua il tema precedente, che riguarda il problema fondamentale dell’uomo; entrare nel Regno, ereditare la vita eterna, salvarsi.Il racconto si divide in tre scene. La prima (vv. 17-22) ci presenta un ricco, che oltre le buone intenzioni per entrare nel Regno, sembra avere tutti i requisiti. Tranne però quello fondamentale, che è amare Dio e i fratelli sopra ogni cosa. L’incontro con Gesù gli renderà possibile l’impossibile, facendogli riconoscere il Signore e liberandolo dall’idolo che lo schiavizza? Gesù cerca di metterlo su questa strada, dicendogli che Dio solo è buono, e che ora può lasciar tutto e decidersi a seguirlo. Ma l’attaccamento al suoi beni lo rende cieco. Nell’alternativa Dio/mammona, sceglie mammona. Alla fine, invece della gioia di chi ha trovato il tesoro, ha la tristezza di chi si sa perduto.A differenza del nemico, che dà piacere nel male e angustia nel bene, il Signore, come dà gioia nel bene, così dà tristezza nel male perché ci si ravveda.La seconda scena (vv. 23-27) ci presenta le dichiarazioni di Gesù sull’impossibilità della salvezza, e lo stupore costernato dei discepoli. Tutti siamo troppo grandi per entrare nel Regno dei bambini: siamo cammelli che tentano buffamente di passare per la cruna di un ago. Riconoscere questa impossibilità ci fa piccoli. Più siamo ricchi, più ci scopriamo incapaci e poveri davanti a ciò che conta.La terza scena (vv. 28-31) ci presenta la constatazione meravigliata di Pietro: come mai i discepoli hanno seguito il Signore, compiendo quel passo che fa entrare nel Regno? La sua chiamata e la sua parola li ha resi poveri e piccoli, facendo loro scoprire il tesoro inestimabile per il quale si lascia tutto.La prima scena quindi è sulla necessità, la seconda sull’impossibilità e la terza sulla possibilità della povertà che apre le porte alla vita.

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Gesù è il Signore da amare con tutto il cuore (12,30). Il Regno è amare lui, che si è fatto nostro fratello per poter essere incontrato e baciato da noi (Ct 8,1). E si è fatto ultimo di tutti, perché amando il più povero, amiamo lui; e amando lui amiamo tutti.

Il discepolo è colui che nel suo sguardo ha scoperto l’unico bene. Conquistato dal Signore, come Paolo, lascia perdere tutto e corre per conquistarlo (Fil 3,8.12). Il suo rapporto con le cose torna ad essere come era al principio, secondo il disegno di Dio: libero dall’idolatria, le vive come dono, ricevendole dal Padre e condividendole con i fratelli.

2. Lettura del testo

v. 17 uscito egli per il cammino. Dopo l’istruzione in privato ai suoi, Gesù riprende il cammino che, da Cesarea di Filippo (8,27) attraverso la Galilea (9,30), porta nella Giudea (v. 1) fino a Gerusalemme (v. 32). È il cammino del maestro, che il discepolo è chiamato a seguire: quello del Figlio dell’uomo, consegnato nelle mani degli uomini (9,31).

uno. Matteo 19,22 ci dice che era un giovane, Luca 18,18, un notabile. quindi giovane, ricco, buono e nobile. È un uomo pienamente realizzato - esattamente il contrario dei bambini, dei quali è il Regno (v. 15).

gli corse incontro, si inginocchiò. Il suo correre e inginocchiarsi indica le migliori disposizioni. Queste possono convivere anche con tendenze contrarie, che restano nascoste fino al momento della decisione. Solo allora escono allo scoperto e scatenano una lotta interiore molto grande. Il risultato finale è la gioia o la tristezza, secondo che si vince o si è sconfitti.

Maestro buono. Il giovane ha intuito nel Maestro una bontà unica. Gesù darà molto peso a questo appellativo, che a prima vista può suonare poco più che una cortesia.

che devo fare. L’uomo, a differenza dell’animale, ha il problema del “che fare”. Non è programmato dall’istinto, ma dal fine che si propone, liberamente o meno.

per ereditare. La vita eterna, pur legata a un fare, è anche una “eredità”. Spetta al figlio da parte del padre, ed è legata al suo vivere da fratello.

vita eterna. Unico animale cosciente di morire, l’uomo cerca la vita; ma non una qualunque, che sempre è condannata a morte, bensì una che sia libera da questa pena, senza limiti di tempo o di qualità. Questa è la “vita eterna”, orizzonte che dà senso a quella temporale.

v. 18 Perché mi dici buono? Gesù lo invita a comprendere il mistero della bontà che ha intuito. Se lo capisce, ha trovato il tesoro.

Nessuno è buono se non il solo Dio. È un modo discreto per suggerirgli la propria identità, lasciandogli la gioia di scoprirla e la libertà di esprimerla. È come se dicesse: “Se non sai chi sono, non chiamarmi buono, perché lo è solo Dio. Se sai chi sono, chiamami pure buono e traine le conseguenze”.

v. 19 Conosci i comandamenti ecc. Tranne l’ultimo, sono solo i doveri negativi verso il prossimo (Es 20,12 ss; Dt 5,16 ss). Custodirli non dà la vita. Anche un morto osserva i primi e non trasgredisce l’ultimo! Gesù tralascia il duplice comando che dà la vita (12,30 s), perché con lui riceve una nuova formulazione: amare il prossimo è farsi fratello di tutti come lui, il Figlio, che ha

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dato tutto (“va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri”); amare Dio è seguire lui, il Signore, che per primo mi ha amato e ha dato se stesso per me (“vieni e seguimi”).

v. 20 tutto questo ho custodito fin dalla mia giovinezza. Questo giovane è come Paolo, che si dichiara irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dalla legge (Fil 3,6).

v. 21 guardandolo dentro. Anche nelle chiamate precedenti Gesù “vede” (1,16.19; 2,14). Qui il suo occhio va oltre: entra nelle profondità del cuore. Vuol fargli vedere come è da lui visto, in modo che conosca come è da lui conosciuto (cf 1Cor 13,12). Ma è ancora cieco a questo sguardo. Dovrà chiedere di vederci, come il mendicante di Gerico (v. 51). Solo allora, come Paolo, avrà la sublimità della conoscenza di Gesù come suo Signore, sarà conquistato e si metterà a correre per conquistarlo (Fil 3,6.12).

lo amò. È il centro del racconto. Lasciarsi prendere o meno da questo amore è il problema stesso della vita eterna. Questo dettaglio può essere colto e riferito solo dall’interessato. Che il giovane sia Marco stesso, alla cui madre appartiene la stanza superiore (14,12-15; At 12,12)? Sarà lui che segue Gesù da lontano fino a quando nell’orto fuggirà nudo e abbandonerà tutto, lasciando l’involucro di morte per rivestirsi delle vesti gloriose dell’annunciatore del vangelo (14,51 s; 16,5 s)?Questo sguardo d’amore è fonte di tristezza fino a quando uno non si arrende. L’inquietudine di chi è nel male è sempre feconda.

Una sola cosa ti manca. Quanto Gesù dice non è un consiglio, ma ciò che manca per ereditare la vita eterna (cf v. 17), entrare nel Regno, essere salvi (vv. 23-26).

va', vendi quanto hai e dallo ai poveri. Questa è la nuova formulazione del secondo comandamento, quello dell’amore del prossimo. Per compierlo al ricco manca proprio ciò che ha e non dà a chi non ha. Chi ascolta questo comando diventa come lui, che ha dato tutto, facendosi povero e piccolo, erede del Regno.Il giovane è allontanato (“va’”), perché allontani da sé le ricchezze (“vendi e da’ ai poveri”); solo dopo può accostarsi e andargli dietro (“vieni e seguimi”).

e avrai un tesoro in cielo. Il vero modo di tesorizzare presso Dio è quello di dare. Uno non ha quanto ha accumulato, bensì quanto ha donato. Il tesoro in cielo si guadagna con il dare ai poveri in terra. Non basta non nuocere al prossimo: bisogna positivamente amarlo (Lc 16,1-12).

vieni, seguimi. Andare da Gesù e seguirlo, è il modo concreto per compiere il primo comandamento, quello di amare Dio. Si va a lui per stare con lui, ovunque vada. Dare ai poveri e seguire Gesù costituisce il compimento della legge - i due comandamenti dei quali non c’è l’uno senza l’altro.

v. 22 inorridito per la parola. La “Parola” lo mette in una profonda crisi interiore, che si rispecchia nel volto. Nel suo cuore inizia la lotta. Il desiderio di seguire Gesù ed ereditare la vita lo lacererà, finché non sarà strappato dalla schiavitù del suo idolo.

se ne andò intristito. È un uomo fallito, incapace di amare Dio, se stesso e il prossimo. Questa tristezza dura fin che dura l’attaccamento ai beni. E questo dura finché non scopre il tesoro. Solo allora può vendere tutto per la gioia (Mt 13,44), forza di ogni decisione evangelica. “La gioia del Signore è la nostra forza” (Ne 8,10).

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Aveva infatti molti beni. Ciò che hai e non dai ti impedisce di ottenere i1 tesoro in cielo. La molta ricchezza è impedimento maggiore; è paragonata alle spine che soffocano la Parola (4,19).

v. 23 guardandosi intorno. Cf 3,5.34.

Gestì dice ai suoi discepoli. Il discepolo è proprio colui che fa quanto il ricco non ha fatto (cf 1,18.20; 2,14).

Quanto difficilmente quelli che hanno le ricchezze entreranno, ecc. Nel regno dei cieli infatti entra solo il bambino, povero di tutto (cf brano precedente).

v. 24 i discepoli stupivano. Forse pensavano che essere giovani, ricchi, belli e buoni fosse un punto di vantaggio.

Figlioli. È un termine affettuoso rivolto al discepoli (cf 2,5).

v. 25 minor fatica per un cammello, ecc. Prima ha detto che è difficile. Davanti al loro stupore, invece di abbassare, alza il tiro, dicendo che è impossibile. Tanti sono ricchi nel Regno quanti i cammelli che passano per la cruna di un ago. La ricchezza accumulata e non condivisa ci separa dal Padre e dai fratelli - è iniquo mammona (Lc 16,13).

v. 26 erano enormemente sconvolti. Lo stupore dei discepoli cresce in sbigottimento.

chi può salvarsi? Salvarsi è l’unico serio problema dell’uomo, che diversamente è perduto. I discepoli capiscono che siamo tutti sufficientemente attaccati ai beni per non ereditare la vita. La loro domanda suona meraviglia e sgomento: “Nessuno può salvarsi!”.

v. 27 Impossibile presso gli uomini. Salvarsi non è né facile né difficile: è assolutamente impossibile all’uomo.

ma non presso Dio. Solo Dio può renderci poveri e piccoli, e salvarci con tutti i poveri e i piccoli. E lo fa con tutti. E se non gli diamo il consenso prima, lo fa almeno in punto di morte. Allora anche il ricco lascia tutto, e si scopre più povero e piccolo degli altri.

perché tutto è possibile presso Dio. Il mestiere di Dio è fare ciò che è impossibile all’uomo. A noi non resta che chiedere, nonostante le nostre resistenze contrarie, questo impossibile che lui solo può donarci.

v. 28 noi abbiamo lasciato tutto e abbiamo seguito te ( 1,18.20). Pietro costata, con sorpresa, che per lui e per gli altri è già avvenuto l’impossibile. Senza che se ne accorgessero, è stato loro donato ciò che al ricco è stato richiesto. Il suo è un grido di stupore e di riconoscenza, una presa di coscienza dell’opera di Dio.

v. 29 Amen, vi dico: non c'è nessuno che ha lasciato, ecc. Gesù conferma che il Regno è per chi ha lasciato tutto per amore suo.

a causa di me e del vangelo. “A causa dì me” è detto per chi lo ha incontrato nella sua vita terrena; “a causa del vangelo” per noi che lo incontriamo dopo, nella potenza della sua parola (cf 8,38).

v. 30 riceva il centuplo. Questo centuplo non è di tipo materiale. La casa è il luogo dove si ascolta la parola e si rivela il mistero del Regno (3,31; 4,1); fratelli, sorelle e madri sono la nuova famiglia

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di quelli che compiono la volontà di Dio (3,31-35). Questo è il campo fecondo, che porta frutto non solo nel secolo presente, ma anche in quello futuro. Non si nomina il padre, tra il centuplo: infatti chi lascia tutto e segue Gesù, entra nel regno del Figlio e scopre l’unico Padre.

con persecuzioni. Il discepolo passa attraverso le stesse scelte e contrarietà del suo Maestro. Non è esente dalla croce. Proprio ad essa è legata la promessa (cf 8,34 ss).

v. 31 Molti primi saranno ultimi. Sono quei primi che non sono diventati ultimi.

gli ultimi primi. Sono quelli che, per amore di Gesù, sono diventati come lui, ultimo e servo di tutti (9,35; 10,45).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, vedendo la casa da dove Gesù esce per il suo viaggio.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: che mi doni di lasciare tutto, per seguire lui.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: che fare per ereditare la vita eterna nessuno è buono, se non Dio solo guardandolo dentro, lo amò una sola cosa ti manca va’, vendi quanto hai e dallo al poverivieni e seguimi chi può salvarsiinorridito per la parola impossibilese ne andò intristito noi abbiamo lasciato tuttoaveva infatti molti beni il centuploquanto difficilmente...

4. Passi utili: Sap 7; Sal 49; 63; 34; Mt 13,44-46; Lc 12,13-34; 16,1-12; Fil 3; Col 3,5; 1Tm 6,10; Gc 4,13-5,6.

54. ECCO, SALIAMO A GERUSALEMME

(10,32-34)

32 Ora erano nel camminosalendo a Gerusalemme;e stava andando innanzi a loro Gesù, ed erano stupiti;ora quanti lo seguivano avevano paura.E, presi di nuovo i Dodici,cominciò a dire lorole cose che stavano per accadere a lui:

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33 Ecco, saliamo a Gerusalemme,e il Figlio dell’uomo sarà consegnatoai sommi sacerdoti e agli scribi,e lo condanneranno a morte,e lo consegneranno ai gentili,34 e lo scherniranno,e lo sputacchieranno,e lo flagelleranno,e uccideranno,e, dopo tre giorni, risorgerà.

1. Messaggio nel contesto

“Ecco, saliamo a Gerusalemme”, dice Gesù ai Dodici. Quanto lì compirà, manifesterà quell’amore che rende possibile adempiere quanto ha richiesto al ricco. È l’ultima delle tre predizioni che scandiscono la seconda parte del vangelo. Ormai appare all’orizzonte la mèta. Tutto il cammino a Gerusalemme è un confronto tra il discepolo e “la Parola”. Questo è il più dettagliato, quasi un sommario puntuale di quanto tra poco deve accadere. Il discorso non può essere più chiaro ed esplicito. Ma la luce piena non fa che evidenziare la cecità del discepolo. Gli occorrono occhi nuovi e cuore nuovo.All’inizio del brano Marco ci presenta un corteo silenzioso che va in salita: innanzi sta Gesù, dietro tutti gli altri, stupiti e impauriti. Egli prende “di nuovo” i Dodici in disparte - l’aveva già fatto altre volte - perché ascoltino con precisione ciò che solo dopo potranno comprendere e poi annunciare. È il mistero della fede, davanti al quale per ora sono sempre più ciechiIl viaggio a Gerusalemme ha come termine la consegna del Figlio dell’uomo (cf 9,31). C’è tutta una serie di verbi, messi in fila con la semplice congiunzione “e”. Sei - il numero dell’uomo! - descrivono la nostra azione: condannare, consegnare, schernire, sputacchiare, flagellare, uccidere. È come la somma di tutto il male, che raggiunge la sua consumazione nell’uccisione dello stesso Dio.Ma la parola definitiva non spetta a noi, bensì a lui: dopo tre giorni risorgerà. Chi ha detto la prima, si riserva anche l’ultima! Egli ci lascia liberi; ma ingloba la nostra azione nella sua, offrendoci un dono impensabile.Vedendo la reazione dei discepoli (cf brano seguente), ci si può chiedere se tutta l’istruzione di Gesù non sia stata inutile. Infatti, al crescere della luce, cresce anche la cecità. In realtà non è così. Primo, perché vediamo chiaramente il nostro male, altrimenti insospettabile. Secondo, perché sappiamo ciò su cui siamo ciechi. La nostra infatti è una cecità particolare, un daltonismo specifico nei confronti della parola della croce, colore proprio di Dio. Terzo, perché chi sa di non vedere può chiedere l’illuminazione a colui che è venuto a dar la vista. Quarto, perché la guarigione è opera della stessa parola, che ci rivela il suo amore per noi.

Gesù, il Giusto sofferente, il Figlio dell’uomo ucciso e risorto, umiliato e innalzato, è il mistero della nostra fede.

Il discepolo è preso in disparte, con i Dodici, per confrontarsi con “la Parola”, il cui ascolto lo fa appunto discepolo.

1. Lettura del testo

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v. 32 erano nel cammino salendo a Gerusalemme. Si specifica per la prima volta la meta del viaggio. Il suo cammino verso la passione è una salita, un’anabasi. Gerusalemme è il termine di ogni pellegrinaggio. Lì l’uomo ritrova nella Gloria la luce del proprio volto.

innanzi a loro Gesù. Lui ci precede in questo cammino sul monte, dal quale ci chiama ad andare a lui per stare con lui (3,13 ss).

erano stupiti. Non capiscono, ma intuiscono che qui si compie il mistero.

quanti lo seguivano avevano paura. Tra pochi giorni, non avrà lui stesso timore e tremore (14,33)?

presi di nuovo i Dodici. Gesù, da quando li chiamò sul monte (3,13), li ha presi spesso in disparte. Qui comunque è la prima volta che si dice esplicitamente che li prende in quanto “Dodici”. “Prendere” è la stessa parola che esce nella risurrezione della figlia di Giairo, nella trasfigurazione e nell’agonia (5,40; 9,2; 14,33). Anche i discepoli in 4,36 prendono lui così com’è nella barca.

cominciò a dire loro le cose che stavano per accadere a lui. Gesù ha conoscenza chiara dei suo destino: è il disegno di Dio che accade nella storia. Anche il discepolo lo conoscerà con chiarezza. Infatti Paolo, che sale a Gerusalemme nell’incertezza di tutto il resto, dice: “So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni” (At 20,22 s).

v. 33 saliamo a Gerusalemme. Anche i discepoli sono inclusi nel suo pellegrinaggio verso la città santa.

il Figlio dell'uomo sarà consegnato (cf 9,31). Sarà Giuda a consegnarlo ( = tradirlo) (14,10). Però, se Giuda lo consegna, è lui stesso che si consegna a noi per amore (14,22). In ultima istanza è lo stesso Padre che lo consegna a noi (Rm 8,32). Così il nostro peccato contiene il suo dono. La nostra consegna di lui alla morte diventa quella consegna di lui a noi che ci dà la vita. Ecco l’opera del Signore, una meraviglia al nostri occhi (Sal 118,23): col nostro male opera il nostro bene.

e lo condanneranno a morte (14,64; cf Sap 2,20; Sal 94,21). Gli danno morte per invidia (15,10), perché è l’autore della vita (At 3,15).

e lo consegneranno ai gentili (15,1). Perché ogni mano di peccatore possa toccare il Salvatore (cf Sap 2,17 s; Sal 22,7 ss; 31,12; 35,15 s; 39,9; 42,11 ecc.).

v. 34 e lo scherniranno (14,65). La forza e sapienza di Dio è schernita come debolezza e stupidità dall’uomo. L’amore risulta incomprensibile all’egoismo.

e lo sputacchieranno (14,65; cf Is 50,6). Il disprezzo e l’umiliazione è ciò da cui l’uomo rifugge con tutti i mezzi. Segno massimo di amore, se ne coprirà la Gloria.

e lo flagelleranno (15,15; cf Sal 73,14). La violenza copre di colpi il suo corpo, prima di esporlo nudo sulla croce.

e uccideranno. È l’azione sesta e ultima dell’uomo, cifra di ogni suo male.

e, dopo tre giorni, risorgerà. Non sta scritto: “ma, dopo tre giorni risorgerà”, bensì “e, dopo tre giorni, risorgerà”. Quasi a indicare che il Signore continua in modo sorprendente e divino la stessa azione dell’uomo, senza contrapposizione o soluzione di continuità. Ognuno fa quello che gli spetta: è proprio dell’uomo nel peccato dare morte, è proprio di Dio che è amore dare vita.

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La sua azione positiva non è che avvenga “nonostante” la nostra negativa. La croce di Gesù non è un incidente di percorso, da dimenticare nella risurrezione. È realmente causa della sua glorificazione. Infatti fu esaltato proprio per la sua obbedienza fino alla morte, e alla morte di croce (Fil 2,8 s). Qui è il mistero di Dio.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo vedendo Gesù che sale a Gerusalemme con i suoi.3. Gli chiedo ciò che voglio: non essere sordo e cieco davanti al mistero della sua croce che è la mia salvezza.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Mi fermo su ogni parola di Gesù, che è la sintesi della sua passione.

Da notare: salire a Gerusalemme sputacchiareessere consegnato flagellarecondannare a morte uccidereschernire risorgere

4. Passi utili: Is 52,13-53,12; i sette salmi penitenziali: 6; 32; 38; 51; 102; 130; 143.

55. COSA VOLETE CHE IO FACCIA PER VOI?

(10,35-45)

35 E gli si fanno innanziGiacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli:Maestro,vogliamo che tu faccia per noi ciò che noi chiediamo a te.36 Ma egli disse loro:Cosa volete che lo faccia per voi’?37 Ma quelli gli dissero:Da’ a noiche, uno alla tua destra e l’altro alla sinistra, sediamo nella tua gloria.38 Ma Gesù disse loro:Non sapete cosa chiedete.Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati del battesimo di cui io sarò battezzato?39 Ma quelli gli dissero:Possiamo!Ma Gesù disse loro:

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Il calice che lo bevo, lo berrete;e del battesimo di cui sarò battezzato,sarete battezzati.40 Ma sedere alla mia destra o alla sinistranon spetta a me darlo,ma è per quanti sta preparato.41 E, ascoltando, i diecicominciarono a indignarsi su Giacomo e Giovanni.42 E, chiamatili innanzi, Gesù dice loro:Sapete che quanti sembrano comandare i popoli,li tiranneggiano,e i loro grandi li spadroneggiano.43 Ora non così è tra voi.Ma chi vuol diventare grande tra voi. sarà vostro servo;44 e chi vuole tra voi esser primo,sarà schiavo di tutti.45 E infatti il Figlio dell’uomonon è venuto ad essere servito,ma a servire,e a dare la sua vitain riscatto per molti.

1. Messaggio nel contesto

“Cosa volete che io faccia per voi?”, chiede Gesù a Giacomo e Giovanni. Essi non sanno ancora cosa chiedere. Ciechi come sono, chiedono il contrario di quanto lui vuol donare. Il dialogo è tutto un gioco di equivoci. introdotti da un “ma”, dove ognuno continua a dire una cosa diversa dall’altro, come avviene tra sordi.Gesù non è il Cristo dei loro desideri, ma quello della promessa di Dio. Essi lo amano; ma a modo loro, senza conoscerlo. Ne hanno fatto come un’incognita, cui danno di volta in volta il valore della loro volontà di potenza. È istintivo per l’uomo fare dei propri desideri il proprio assoluto. Poco importa se lo si chiama Giove, Manitù, JHWH o Gesù. In realtà si indica la stessa cosa. Fino a poco fa aveva anche il nome proprio di Stalin, Hitler, ecc. o quello comune di ideologie religiose o laiche di salvezza. Ora si identifica coi nomi concreti di piacere, benessere, produzione, energia sicura e pulita, ecc., o con le varie scienze che pretendono di dire l’ultimo verbo. L’uomo sostituisce naturalmente Dio con qualunque nome che gli garantisca di perseguire le proprie brame.Criterio divino di salvezza invece è la “carne” di Gesù (1Gv 4,2), cioè la sua debolezza fino alla croce, che delude ogni attesa dell’uomo, religioso o meno (cf 15,29-32).La reazione dei discepoli alla terza predizione della passione è peggiore delle precedenti. Dopo la prima ci fu il diverbio esplicito con Pietro, che pensa secondo gli uomini e non secondo Dio (8,32 s). Dopo la seconda ci fu l’incomprensione e il mutismo da parte di tutti, intenti a litigare su chi fosse il più grande (9,32 s).Ora ci si aspetterebbe un minimo di comprensione. Ma è come se Gesù non avesse detto niente. I due prediletti, invece di ascoltarlo e fare la sua volontà, vogliono che lui faccia la loro! È il capovolgimento del rapporto fondamentale di fede. Essi vogliono che lui sia garante in cielo dei loro deliri di onnipotenza in terra. Ma non è questo, sotto sotto, ciò che tutte le persone “religiose” chiedono al loro dio? Abramo, modello dei credenti, fu il primo a non scambiare la fede con le proprie sicurezze. la verità con le proprie certezze. L’uomo è desiderio. Gli manca sempre

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qualcosa, e la cerca e la chiede. Gesù educa il desiderio dei discepoli, perché cerchino e chiedano ciò che Dio vuol donare.Qui siamo allo scontro decisivo tra il desiderio di Dio per l’uomo e quello dell’uomo nei confronti di Dio. Ne va dell’essenza stessa di Dio: la Gloria. Per Gesù essa è amore che si fa servo, schiavo e ultimo di tutti; per gli uomini di tutte le razze - discepoli prediletti inclusi! - essa consiste nel potere mondano, travestito o meno di buone intenzioni.I discepoli hanno lo stesso peccato del mondo. Ciò non è grave, perché ogni peccatore è salvato! È grave invece non riconoscerlo, perché chi non lo riconosce, rimane in esso.Il “non così è tra voi!” è il grande miracolo che Gesù compie nella sua comunità, illuminandola della sua Gloria.

Gesù conclude il suo insegnamento, inteso a farci ammettere la nostra cecità. Il medico ci ha comunicato la diagnosi; attende che gli concediamo di guarirci.

Il discepolo è colui che passa dalla domanda dell’uomo religioso, impersonato da Giacomo e Giovanni, a quella del cieco di Gerico (vv. 47.51b). I due fratelli sono da ringraziare, perché fanno vedere agli altri dieci e a quanti leggono la loro cecità.

2. Lettura del testo

v. 35 Giacomo e Giovanni. Insieme con Pietro, sono i testimoni prescelti per la risurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione e l’agonia dell’orto. Ancora con Pietro, più Andrea, saranno depositari del discorso escatologico. Mt 20,20 fa avanzare questa loro richiesta tramite la madre. È un complotto familiare! Lo stesso desiderio di primeggiare, già emerso come principio di divisione (9,34), spinge anche ad alleanze interessate.

vogliamo. Ciò che Gesù ha appena detto si è volatilizzato nell’aria, come se non fosse mai stato. La parola è caduta sulla strada e satana l’ha rapita (4,15). È un fenomeno costante: l’uomo taglia via ciò che gli dispiace. Davanti all’impotenza del Figlio dell’uomo consegnato, si scopre allo stato puro la nostra volontà di potenza.

che tu faccia per noi. Il Signore deve fare la nostra volontà, assicurando buon esito ai nostri desideri! Non c’è preghiera più distorta. Pretendiamo di addomesticare Dio, perché ci serva nei progetti della nostra gloria che, per coinvolgere anche lui, confondiamo con la sua (la “tua” gloria, v. 37!).

ciò che noi chiediamo a te. “Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo già ottenuto, e vi sarà accordato”, dirà Gesù (11,24). Ma prima bisogna sapere cosa chiedere, per non domandare ciò che lui non intende dare. Quante nostre preghiere pretendono che Dio si faccia esecutore dei nostri piani! Quand’anche fossero fatte bene e con fede, chiedono in realtà del male. Per fortuna Dio non ci ascolta. “Una volta Dio mi esaudì in ciò che chiedevo, e ne ebbi abbastanza”, diceva un padre del deserto. “Da allora cominciai a chiedergli solo di fare la sua volontà!”

v. 36 Cosa volete che io faccia per voi? Gesù farà la stessa domanda anche al cieco, che però sa cosa chiedere (v. 51).Alla domanda del lebbroso: “Se vuoi, puoi mondarmi”, Gesù disse: “Lo voglio” (1,41). Ci sono cose che lui vuole e altre no. E desidera che noi le sappiamo distinguere, perché chiediamo ciò che piace a lui, non a noi.

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Tutto il vangelo è un’educazione dei desideri, perché, confrontandoli e conformandoli ai suoi, impariamo a volere e chiedere secondo Dio. Egli esaudisce le sue promesse, non le nostre attese. Queste vogliono confermare il nostro male, quelle vogliono liberarcene.

v. 37 uno alla tua destra e l'altro alla sinistra (15,27). Volere i primi posti è un desiderio non solo mondano, ma anche religioso (9,34). È giusto voler star vicini al Signore; anzi, è bene desiderare di essere come Dio. Il male è che non lo conosciamo e crediamo di essere come lui proprio in ciò che ci rende difformi da lui.

nella tua gloria. La “Gloria”, sinonimo di Dio, in ebraico significa “peso”. È il suo eccessivo amore, che dall’alto l’ha attirato verso di noi. Ogni nostra esaltazione è una vana-gloria, un peso vuoto, un non-Dio. La “sua gloria” invece è l’abbassamento del Figlio dell’uomo crocifisso, giudizio sul mondo e fine di ogni vanagloria (8,38; 13,26; cf 14,62). Alla sua destra e alla sua sinistra, al posto dei due fratelli, si troveranno intronizzati due malfattori, fratelli di tutti noi ( 15,27).

v. 38 Non sapete cosa chiedete. È la risposta del Signore a tutte le nostre preghiere che confondono la nostra con la sua gloria, la nostra con la sua volontà.

Potete bere il calice che io bevo. Il suo calice è. quello che a lui stesso non piace, e del quale dice al Padre, in timore e tremore: “Leva da me questo calice. Però non ciò che voglio io, ma tu” (14,36). È il calice della croce, amaro di tutto il fiele dei mondo (Is 51,17; Sal 75,9).

battesimo di cui io sarò battezzato. Il suo battesimo è il suo andare a fondo nell’abisso, in solidarietà con tutti i peccatori. La gloria di Gesù è la sua ignominiosa morte. È a questa che i discepoli chiedono di essere associati?

v. 39 Possiamo. Ovviamente non hanno capito. Per volontà di carne nessuno può essere discepolo e partecipare al suo martirio, bere il suo calice e ricevere il suo battesimo. Questo è dono dello Spirito.

Il calice che io bevo, lo berrete, ecc. Gesù garantisce loro che saranno suoi discepoli, anche se non sanno cosa significa. Predice il martirio ai due fratelli. Essi apriranno e chiuderanno la serie della bella testimonianza dei Dodici (At 12,2; Gv 21,23).

v. 40 sedere alla mia destra o alla sinistra non spetta a me darlo. Il Figlio dell’uomo non è venuto per conferire privilegi o posti di potere. È venuto per comunicarci la sua umiltà di Figlio. Questo è il dono che il Padre concede a quanti si fanno piccoli come lui.

v. 41 i dieci cominciarono a indignarsi. Ambiscono gli stessi posti (cf 9,34). Se si sdegnano, è perché hanno nel cuore le stesse ambizioni. Questa reazione dei dieci contro i due evidenzia il peccato del mondo, comune anche a tutti loro, per il quale Cristo muore.

v. 42 quanti sembrano comandare. Servirsi degli altri per primeggiare, asservendoli e schiavizzandoli, è il principio che governa il mondo. Notare come è fine “sembrano comandare”. In realtà costoro non sono capi, ma poveri uomini capovolti, che credono di essere dritti!

v. 43 Ora non così è tra voi. Perché tra noi c’è il Figlio dell’uomo che è diverso da noi.

chi vuol diventare grande tra voi (9,34). C’è una grandezza che va desiderata e chiesta al Signore. Lui stesso la desidera per noi, e attende che gliela chiediamo.

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sarà vostro servo. La vera grandezza è servire, cioè amare non a parole, ma con i fatti. Servire significa promuovere il bene dell’altro. È il contrario di servirsi e asservire, espressione fondamentale dell’egoismo. Servo è colui il cui lavoro è dell’altro.

v. 44 chi vuole esser primo, sarà schiavo di tutti. Grande è chi serve, primo chi si fa schiavo di tutti. Questa è la vera libertà (Gal 5,13), che ci rende simili a Dio. Schiavo è colui che è dell’altro.

v. 45 il Figlio dell'uomo non è venuto ad essere servito, ma a servire, e a dare la sua vita. È la più bella definizione che Gesù dà di sé. Sintetizza il senso della sua venuta e di tutta la sua esistenza: egli è nostro servo e schiavo, che mette a nostro servizio la sua opera e la sua stessa vita.

in riscatto per molti. Molti è un ebraismo per “moltitudini, tutti”. Richiama Is 53,10-12. Qui Gesù interpreta la sua morte come causa della nostra vita. Il suo destino di giusto sofferente lo lega a tutto il male del mondo, che porta su di sé e vince per tutti.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, vedendo Gesù coi Dodici in cammino verso Gerusalemme, dove va a morire per noi.3. Gli chiedo ciò che voglio: vedere la sua gloria, bere il suo calice, ricevere il suo battesimo. Aprimi, Signore, gli occhi sul tuo mistero di umiliazione. La tua gloria è essere servo e schiavo di tutti per amore, fino a dare la vita.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: vogliamo che tu faccia per noi ciò che ti chiediamo che volete che io faccia?la tua gloriail calice e il battesimoservire e dare la vita

4. Passi utili: Lc 1,46-55; Gv 13,1-17.

56. COSA VUOI CHE IO FACCIA PER TE?

(10,46-52)

46 E giungono a Gerico.E, uscendo egli da Gericocon i suoi discepoli e gran folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco,mendicante,sedevaal lato del cammino.

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47 E, udito che è Gesù il Nazareno,cominciò a gridare e dire:Figlio di David,Gesù,abbi pietà di me!48 E molti lo sgridavano, perché tacesse;ma egli molto di più gridava: Figlio di David, abbi pietà di me!49 E, fermatosi, Gesù disse:Chiamatelo.E chiamano il cieco, dicendogli:Coraggio,svegliati,ti chiama.50 Ora egli, gettato il suo mantello,balzò in piedi,e venne da Gesù.51 E, rispondendogli, Gesù disse:Cosa vuoi che io faccia per te?Ora il cieco gli disse:Rabbuni,che io veda!52 E Gesù gli disse:Va’, la tua fede ti ha salvato.E subito vide,e lo seguiva nel cammino.

1. Messaggio nel contesto

“Cosa vuoi che io faccia per te?”, chiede Gesù al cieco. È la stessa domanda che a questo punto il vangelo fa a ciascuno di noi, che, come lui, si ritrova cieco, seduto e fuori strada. E noi facciamo nostra la sua risposta: “Gesù, abbi pietà di me. Che io veda”.Solo così otteniamo la vista: abbiamo la fede che salva, e lo seguiamo nel suo cammino (v. 52).Fine di tutta la catechesi di Gesù ai suoi discepoli e di Marco al suo lettore è portare qui, dove si compie l’ultimo miracolo, quello definitivo: la guarigione dalla cecità.Il cammino del vangelo, è utile ripeterlo, è un’educazione del desiderio, per sapere cosa chiedere. Giacomo e Giovanni, identificati alfine con questo cieco, sanno cosa chiedere e volere. Dove non avviene questa identificazione coi cieco che guarisce, c’è quella con il fico che scopre la sua sterile nudità (11,12-14.20).Questo miracolo è l’illuminazione battesimale che ci fa nascere, uscire dalle tenebre alla luce. È il dono dello Spirito per vedere ciò che Gesù fa a Gerusalemme e scrutare nel Crocifisso la profondità di Dio (1Cor 2,10).Nel vangelo di Marco questo cieco è l’unico - dopo i demoni, ma in modo ben diverso! - che chiama Gesù per nome. Ha con lui un rapporto personale di conoscenza e di familiarità. Chiamare Gesù è pronunciare il Nome, il solo in cui c’è salvezza (At 4,12).Questo cieco è specchio di ciascuno di noi. Attraverso l’ascolto ha sentito la promessa di Dio, e può desiderare e chiedere ciò che vuol donarci. L’invocazione del nome di Gesù trova risposta nella sua chiamata, che lo fa balzare in piedi, gettare il mantello, andare da lui, pregarlo e ottenere la

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vista, in modo da poterlo seguire nel suo cammino. Questa è la salvezza concessa a chiunque invoca il suo nome (At 2,21).Da questo racconto la fede è orecchi per ascoltare, bocca per gridare, piedi per accorrere a lui, mani per gettare il mantello e occhi per vederlo e seguirlo. Il suo principio è la miseria riconosciuta, il suo mezzo è l’invocazione della misericordia, il suo compimento è l’illuminazione che fa vedere il Signore.Qui, dopo le tre predizioni della passione, si compie la seconda parte dei miracolo del cieco di Betsaida. “Vedi forse qualcosa?”, gli aveva chiesto Gesù (8,23). Ora, che ci è chiaro ciò che non vediamo, sappiamo cosa chiedergli per “vedere chiaramente a distanza ogni cosa” (8,25).Subito dopo questo racconto comincia il primo dei sei giorni di Gesù a Gerusalemme. È la settimana della nuova creazione. Ora ci dà gli occhi per vederla, così che non scambiamo più gli uomini per alberi che camminano (8,24), ma vediamo Dio stesso nel Figlio dell’uomo che si offre dall’albero della vita (15,39).

Gesù è la luce del mondo (Gv 8,12), il Figlio di David che esercita la sua regalità usando misericordia, il Signore che dà la vista ai ciechi (Sal 146,8). L’invocazione del suo nome è la nostra salvezza. Infatti è il Nome. E ci salva perché è tutto misericordia rivolta alla nostra miseria.

Il discepolo è generato come tale dall’invocazione del nome di Gesù e della sua misericordia. Così guarisce dalla sua cecità, e può contemplare nel Crocifisso ciò che occhio non vide né orecchio udì né mai entrò in cuore di uomo, e che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Cor 2,9). È illuminato: vede finalmente la realtà.

2. Lettura del testo

v. 46 giungono a Gerico. È città inespugnabile, come la cecità dei discepoli. Ma presso Dio nulla è impossibile (v. 27). Gerico è la porta della terra promessa, che sarà aperta in modo semplice e prodigioso. Cade non con le armi, ma al suono delle trombe dei sacerdoti e al grido del popolo (Gs 6,12-20).Da Gerico, posta a m. 250 sotto il livello del mare, inizia la salita a Gerusalemme.

con i suoi discepoli e gran folla. I discepoli vanno con Gesù. Ma il loro cuore e i loro occhi sono altrove. Ogni uomo In realtà scende da Gerusalemme a Gerico (Lc 10,30).

Bartimeo. Significa in ebraico “figlio di Timeo”. Questo cieco non ha nome; è semplicemente il “il figlio di Timeo”.

cieco. Per il cieco tutto è notte. È immagine del discepolo, che non capisce (4,13), non ha fede (4,40), è privo di intelletto (7,18), ha occhi e non vede (8,18), ha il cuore indurito (6,52; 8,17). La sua cecità è specifica: riguarda “la Parola” (8,32 s; 10,35 ss), davanti alla quale è sordo e muto (9,32 ss). Ma ora che la sordità è stata guarita dall’esorcismo che ha espulso la menzogna (7,3 I ss, 9,14 ss), rimane ancora la cecità: vede solo il buio che ha negli occhi e il vuoto che ha nel cuore. Questo, che è il luogo delle paure, per la sua promessa diventa il luogo dei desideri. Essi non producono nulla, ma raggiungono proprio ciò che, impossibile da produrre, viene solo come dono. Tutte le realtà principali - la vita e l’amore, se stessi e gli altri - sono doni. Il desiderio naturale di vedere Dio” è l’apice del nostro spirito, la nostra ultima possibilità, che ci permette di contemplare lui e diventare come lui. Questo nostro desiderio è come un occhio che non vede, fino a quando non incontra Gesù, sua luce. Il cieco è uno che non è mai venuto alla luce. È ancora come un non-nato, sepolto nelle tenebre. Per lui la realtà non ha ancora il proprio senso.

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mendicante. Chi dice: “Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla”, non sa di essere un infelice, miserabile, povero, cieco e nudo. È bene che si procuri il collirio per ungere gli occhi e recuperare la vista (Ap 3,17 s)!Il mendicante è uno che di professione “chiede” ciò che vuole. È simile al bambino, che vive di ciò che riceve. Rappresenta la situazione creaturale e filiale accettata. La parola greca indica, più che la povertà, la sua qualità di “uno che desidera, brama, chiede, domanda”. È l’unica qualità positiva del discepolo. Si può infatti commettere per orgoglio la stupidità di non chiedere ciò di cui si ha bisogno.

sedeva. Invece di camminare, siede, immobilizzato dalla sua cecità. Non vedendo, non sa dove andare.

al lato del cammino. Non cammina sulla via dei maestro: sta ai bordi.

v. 47 udito che è Gesù. Il cieco può udire e parlare. L’orecchio e la lingua fu già guarita dalla parola potente (7,3 1 ss; 9,14 ss). La fede viene dall’ascolto (Rm 10,17), principio della visione, che ne è il compimento (1Cor 13,12).

il Nazareno. È l’unica volta che il redattore dà questo appellativo a Gesù (cf 1,24; 14,67; 16,6). Sottolinea la realtà storica di Gesù - i suoi trent’anni di Nazaret, lo scandalo che la potenza e la sapienza di Dio si rivelino nella debolezza della sua carne (cf 6,1 ss).

cominciò a gridare. il grido, forma fondamentale di preghiera, esprime sofferenza e disagio. C’è un grido che si alza dall’abisso (Sal 130) e un altro che si leva dalla terra di schiavitù (Es 2,23 s). Ci sarà infine il grido di Gesù dall’alto della croce (15,37). Dio non può non udirlo, come una madre quello del figlio.Il nostro diritto per rivolgerci al Signore non è l’apice della nostra bravura religiosa, ma l’abisso della nostra miseria - perché siamo suoi figli, e lui è il Padre delle misericordie (2Cor 1,3). La forza di questo grido farà cadere il muro della cecità.

Figlio di David. Così sarà subito dopo acclamato (11,10). Gesù è il messia, promesso a Davide come suo discendente (2Sam 7), colui che porta la regalità del Signore, che aiuta i poveri e dà la vista al ciechi (Sal 146,8). Tra poco mostrerà la sua gloria, che è la stessa di Dio. Ora ci dà gli occhi per vederla.

Gesù. Significa “JHWH salva”. È il nome di Dio tra gli uomini. Pronunciarlo ci salva (Rm 10,13; At 2,21). Non è magia. Chiamare per nome una persona vuol dire conoscerla ed amarla; e la nostra salvezza è conoscere e amare Dio. Gesù è il Dio che ci è venuto incontro. “In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).Noi siamo seduti nell’abisso di Gerico - inferno delle nostre solitudini - presi dagli interessi, venduti al peccato, appiccicati al nostro io, timorosi della vita e della morte. L’invocazione del suo nome è la medicina che ci libera e ci fa suoi discepoli.È antichissima nella Chiesa la preghiera del Nome di Gesù Signore, usando il grido del cieco, abbinato a quello del pubblicano di Lc 18,13. In lui il Padre ci concede tutto e non ci nega nulla (Rm 8,32; Gv 14,13 s; 15,16). Lui infatti è solo Amen, il sì totale di Dio all’uomo come suo figlio e il sì del Figlio al Padre (2Cor 1,19 s), in cui tutte le promesse sono compiute. Attraverso lui sale a Dio il nostro amen e scende a noi ogni benedizione.

abbi pietà. La misericordia è l’essenza di Dio. Egli non è misericordioso: è misericordia - amore che si riversa necessariamente su tutti i suoi figli, non in proporzione al merito, ma al bisogno.

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Misericordia in ebraico si dice hesed e rahamin, due parole che indicano la fedeltà sicura e operosa di un amore viscerale, materno, uterino. Gesù rivela questo Dio proprio perché mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2,20), primo tra i peccatori (1Tm 1,15).

di me. Io in persona sono l’oggetto di tutto l’amore del Padre in Gesù. L’amore infatti non si divide per il numero dei figli, ma è tutto intero per ciascuno.

v. 48 lo sgridavano, perché tacesse. Probabilmente a sgridarlo sono gli stessi apostoli, infastiditi dal suo grido, mentre stavano discutendo su cose importanti - a chi i primi posti? Molte voci cercano di soffocare in noi questo grido che si alza nella notte. La voce che più ci vuol far desistere è quella della nostra sfiducia.

ma egli molto di più gridava. È il modo giusto di reagire alla tentazione di tacere. Il suo grido lacera le tenebre, superando ogni scoraggiamento.

abbi pietà di me. È l’unica preghiera ripetuta due volte. Due è il principio di molti. Questa preghiera, che va sempre ripetuta, è quella dell’umile, che squarcia il cielo e va oltre le nubi (Sir 35,17). Questa invocazione è come il respiro e il battito del cuore, che non possono mai cessare.

v. 49 fermatosi, Gesù. Il Signore non può non fermarsi a questo grido. Una mamma, anche se ne ode volentieri la voce, può non ascoltare le richieste del figlio, soprattutto se sono stupide o nocive. Ma non può non accorrere quando grida.

Chiamatelo. La chiamata a Gesù avviene attraverso la parola di altri. Ma chi ci chiama è sempre lui, presente nella sua parola.

chiamano il cieco. Gli apostoli, i veri ciechi, hanno l’incarico di chiamarlo. Saranno chiamati anche loro, quando capiranno di essere come lui. Finché credono di vederci, il loro peccato rimane (Gv 9,41). È comunque consolante che la chiamata del Signore operi efficacemente al di là delle qualità personali dell’apostolo.

Coraggio. È quello che manca al discepoli, che non riconoscono il fatto dei pani (6,50). Sinonimo di fede, è il contrario della paura (4,40; 5,36).

svegliati. “Svegliati, o tu che dormi, destati dal morti, e Cristo ti illuminerà”, dice un antico inno battesimale (Ef 5,14). La luce di Cristo è il suo Spirito, il suo amore per noi. Effuso sulla croce, dà la vista anche al centurione, che vede la Gloria (15,39). Ricevuto nel battesimo, si desta in noi per l’invocazione del nome di Gesù.

v. 50 gettato il suo mantello. Il mantello è tutto per lui. Vestito, coperta, materasso e casa, è la sua unica sicurezza. Per questo bisogna restituirlo al povero che l’ha dato in pegno prima del tramonto del sole, “perché egli possa dormire con il suo mantello e benedirti” (Dt 24,12). Questo povero getta via ogni sua sicurezza, senza esserne richiesto; e va da Gesù, a differenza del giovane ricco, che ne fu richiesto e si allontanò triste.

balzò in piedi. Prima era seduto.

e venne da Gesù. Gettato via il mantello, va da Gesù. Che il suo mantello sia la cecità che lo avvolge e immobilizza?

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v. 51 Cosa vuoi che io faccia per te ? È la stessa domanda rivolta a Giacomo e Giovanni (v. 36). È la domanda decisiva del vangelo. Solo se sono cieco, e so di esserlo, so cosa voglio, e glielo chiedo.

Rabbuni. È forma enfatica di rabbi e significa “mio maestro”. Gesù non è solo il maestro che insegna per mestiere a tutti. È il “mio” maestro.

che io veda. Finalmente Gesù ode la domanda che da sempre aspetta. Vedere il Signore è la vita dell’uomo. Nato per questo, è sempre inquieto finché non contempla il Volto. Gesù in croce squarcerà il velo del tempio e rivelerà pienamente Dio sulla terra.La parola greca anablépo significa “guardare in alto” o “vederci di nuovo”. La fede è un “guardare in alto” lui, appeso in croce per me. Lì io vedo ciò che mai avevo visto, perché la menzogna antica me l’aveva nascosto dal principio: il suo amore per me. Lì ottengo la sublimità della conoscenza di Gesù, mio Signore (Fil 3,8).

v. 52 la tua fede ti ha salvato. In 5,34 la stessa espressione è rivolta alla donna che lo ha toccato. La comunione con lui e la visione del suo amore è la liberazione da ogni male e la pienezza di ogni bene. La fede che salva è vedere lui.

vide. Vede il Figlio di David che gli sta davanti e gli usa misericordia; vede il Regno che è già venuto e aspetta che qualcuno desideri entrarci.

e lo seguiva. Il primo miracolo terminò con la suocera di Pietro che “serviva” (1,31). L’ultimo chiude il cerchio, terminando con il cieco che segue colui che sale a Gerusalemme, “per servire e dare la sua vita in riscatto per molti “ (v. 45).

nel cammino. È la via che va dalla morte alla vita, contraria a quella di ogni uomo, che va dalla vita alla morte.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immedesimandomi nel cieco seduto fuori strada mentre Gesù passa.3. Chiedo a Gesù e ripeto con desiderio ciò che voglio: Gesù, abbi pietà di me, che io veda.4. Traendone frutto, immedesimato nel cieco, ascolto le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Cosa vedo?

Da notare: Gerico gettare via il mantellocieco cosa vuoi che io ti faccia?mendicante Rabbuni, che lo vedasedeva la tua fede ti ha salvatoal lato della strada vedere, seguire, camminouditogridavaGesù, abbi misericordia di mechiamatelo

4. Passi utili: Ger 31,7-9; Sal 34; 126; Is 42,1-7; Sir 35,12-18; Gv 8,12; Ef 5,14.

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57. IL SIGNORE NE HA BISOGNO

(11,1-11)

111 E, come si avvicinano a Gerusalemme,a Betfage e Betania verso il monte degli Ulivi, invia due dei suoi discepoli e dice loro:2 Andate nel villaggio di fronte a voi,e subito, entrando in esso, troverete un asinello legato,sul quale nessun uomo mai si è seduto; slegateloe portatelo.3 E se qualcuno vi dica:Perché fate questo?dite:Il Signore ne ha bisogno,e lo invia qui subito.4 E andarono e trovaronol’asinello,legatodavanti alla porta fuori sul bivio, e lo slegano.5 E alcuni di quelli che stavano lìdicevano loro:Che fate,slegando l’asinello?6 Ed essi dissero loro come disse Gesù,li lasciarono.7 E portano l’asinello da Gesù,e gli gettano su i loro mantelli,e sedette sopra di esso.8 E molti stesero i loro mantelli sul cammino.e altri fronde tagliate dai campi.9 E quelli che precedevanoe quelli che seguivanogridavano:Hosannà!10 Benedetto Colui che viene nel nome del Signore,Benedetto il regno che viene del padre nostro David. Hosannà negli altissimi!11 Ed entrò in Gerusalemmenel tempio,e, guardata intorno ogni cosa, essendo già l’ora tarda, uscì a Betania con i Dodici.

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1. Messaggio nel contesto

“Il Signore ne ha bisogno”, dice Gesù ai discepoli dell’asinello. È l’unica volta che chiama se stesso “il Signore”, ed è l’unica cosa di cui ha bisogno.Inizia con questo racconto il primo dei sei giorni a Gerusalemme. Ha appena guarito l’occhio. Ora fa la luce, principio della creazione. È il suo amore umile e servizievole - raffigurato nell’asinello - origine del mondo nuovo.Questo episodio sintetizza quanto ha fatto finora e farà in seguito, illuminando il suo modo di realizzare il Regno.Ci si aspettava che il Signore venisse con gloria e potenza, prendendo il dominio su tutto. Ed effettivamente viene; ma la sua gloria è l’umiltà, la sua potenza è l’amore, il suo dominio è il servizio. Non viene con il cavallo, come il re che tiene il potere. Non viene con il carro da guerra, come chi desidera conquistarlo. “Umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9,9).Le caratteristiche dell’asinello, vero protagonista del racconto, sono le stesse del suo messianismo: egli è il primo in quanto ultimo e servo (9,35), che dà la vita in riscatto per tutti (10,45). Il suo titolo regale apparirà chiaramente sulla croce (15,26), e proprio nella sua morte si capirà chi è il Signore (15,39).Il somaro, che porta la soma degli altri, è immagine di Gesù, che per primo ha fatto ciò che ci ha lasciato come legge. “Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo”, dice Paolo (Gal 6,2). Questo essere schiavi per amore è la vera libertà (Gal 5,13s), compimento della legge, realizzazione in terra del regno dei cieli.Su quest’asinello “nessuno è mai salito”; e nessuno desidera salire. Inoltre è “legato”. Gesù. che per primo vi è salito, è venuto a liberarlo, a “slegarlo”.Infatti la capacità di servire è la nostra somiglianza con Dio. Legata in tutti, il Signore è venuto a slegarla. Il cristianesimo non è una nuova “religione”, che lega o ri-lega l’uomo con leggi vecchie o nuove. È la libertà di amare, ossia di servire e appartenere all’altro.Questo racconto ci apre l’intelligenza per discernere il Regno. Viene e verrà come è venuto. La fine dei tempo sarà quando questa sua venuta umile sarà accolta da tutti. Lui non ha altro modo di venire, presente e futuro, di quello con il quale è presentato in questa salita a Gerusalemme.Noi siamo ciechi davanti al “figlio di David”. Come Giacomo, Giovanni e gli altri, desideriamo la gloria mondana, non quella di Dio.Questo brano narra il fatto due volte, prima preannunciandolo e poi riferendolo (cf anche 14,12ss). Ciò che Gesù ha detto e fatto è per noi profezia di ciò che accade e accadrà sempre. Oltre la “presa di potere” della sua città, il racconto ci presenta l’ingresso della Gloria nel suo tempio. Questa “visita del Signore” fu già proclamata fin dall’inizio dal Battista, il messaggero mandato davanti al suo volto a preparare la via (1,2 = Ml 3,1). Ma ora che entra nel suo tempio, chi sopporterà la sua venuta, chi resisterà al suo apparire (MI 3,l)?

Gesù è il re che libera, il Signore che dà la vita. È re in quanto servo per ciò che fa per noi; è Signore in quanto schiavo per ciò che si fa per noi. Il suo regno in terra viene nell’essere servi e schiavi gli uni degli altri per amore.

Il discepolo ha gli occhi guariti per vedere il mistero del suo re e Signore, che si rivelerà pienamente sulla croce. Per questo getta ogni falsa sicurezza, investendo tutto nel servizio. Liberatosi del mantello come il cieco, ne riveste l’asinello.

2. Lettura del testo

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v. 1 si avvicinano a Gerusalemme. Appare all’orizzonte la città santa, termine del pellegrinaggio di Gesù, che ha appena detto: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato, ecc.” (10,33).

Betfage. Significa “casa dei fichi”. Ma il Signore non troverà che foglie e resterà con la sua fame. Qui i pellegrini si purificavano per entrare nella città santa. Qui anche Gesù ci purifica da ogni nostra falsa attesa su di lui.

Betania. Significa “casa del povero”. Sarà l’ultima abitazione di Gesù, il povero su cui sarà effuso il profumo (14,3 ss). Cederà il posto alla “stanza superiore, dove effonderà se stesso (14,12 ss).

verso il monte degli Ulivi. Posto a oriente della città, da lì si attendeva il messia. Da questo monte Ezechiele vide tornare la gloria che da lì era fuggita (Ez 43,1 s; 11,23). Su questo monte si compirà la Scrittura: il Figlio dell’uomo sarà preso dagli uomini (14,49); e da lì tornerà presso il Padre (At 1,22).

invia due dei suoi discepoli (cf 6,7). I due sono inviati come il Battista a preparare la via del Signore che viene (1,2).

v. 2 troverete. È una profezia. I discepoli, ovunque andranno, troveranno sempre con sorpresa l’asinello. Gesù lo prevede, come conosce il proprio destino a Gerusalemme. E predispone tutto.

un asinello. Per sé in greco c’è “puledro”. Sappiamo che è un asinello dalla citazione implicita di Zc 9,9, che contrappone l’asinello al cavallo e al carro. Il primo è l’umile animale che serve, il secondo e il terzo sono rispettivamente la cavalcatura di chi si serve o di chi vuol farsi servire dagli altri. Il messia sarebbe arrivato con l’asinello, che raffigura la capacità di servire, ossia di amare.

legato. Ma è legato ovunque a causa del peccato, che è appunto l’incapacità di amare. Questo asinello richiama le parole di Giacobbe su Giuda, da cui sarebbe uscito il re: “Egli lega alla vite il suo asinello, e a scelta vite il figlio della sua asina”. Ora lo scioglie, perché “lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto” (Gn 49,11).

sul quale nessun uomo mai si è seduto. Nessuno mai ha cavalcato questo messianismo umile e debole prima di lui. E, “dietro lui”, nessuno lo desidera, neanche Pietro (cf 8,32 s). Tutti sogniamo un messia forte e potente.

slegatelo. È il comando di Gesù ai suoi discepoli. La loro missione è la sua stessa: slegare la capacità di servire. Questo infatti è il suo “mandato”, quello “nuovo”: “che vi amiate gli uni gli altri, come lo vi ho amato” (Gv 13,34).

e portatelo. Su di esso Gesù va a Gerusalemme: il re viene nel suo regno, Dio nell’uomo. “Colui che deve venire” può venire solo con l’asinello, perché è Dio, e non uomo.

v. 3 Perché fate questo? Il perché di questa scelta sfugge a tutti, discepoli compresi.

Il Signore ne ha bisogno. L’unica spiegazione è la fede nella parola di Gesù, che così ha fatto e detto. È l’unica volta che designa se stesso come il Signore. Infatti sarà riconosciuto come Dio, e Dio stesso sarà riconosciuto come tale, solo dall’alto della croce, dove consumerà il suo servizio (15,39). Il graffito che rappresenta Alexamenos che adora un uomo crocifisso dalla testa d’asino è proprio blasfemo? Oppure bestemmia chi vuole far scendere il Salvatore dalla croce (15,29 s)?

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Quest’asinello è l’unica cosa di cui il Signore abbia bisogno per mostrarsi tale. Tra poco avrà anche fame. Dio infatti è amore, e ha bisogno di essere amato. Il regno è il suo amore corrisposto dal nostro. Ma l’amore non può essere proposto con il cavallo o con il carro, con l’orgoglio o con la violenza. Combinare amore e orgoglio, è incrociare asino e cavallo; si ottiene un mulo, che è sterile e senza intelletto (Sal 32,9) come il nostro ministero non fatto in debolezza. Combinare poi amore e violenza è incrociare asino e carro armato; si ottiene un mostro apocalittico, che ha solo il linguaggio e l’apparenza dell’agnello - come le nostre crociate a fin di bene.

lo invia qui subito. Egli usa per primo questo asinello, e poi lo mette per sempre a nostra disposizione “inviandolo”, come i due discepoli (v. 1).

v. 4 andarono e trovarono l’asinello legato. Legato da sempre, i discepoli, inviati a due a due, avranno la gioia di trovarlo ovunque nel loro cammino.

e lo slegano. Sono inviati a fare questo. Notare quante volte esce la parola “legare” e “slegare”!

v. 5 Che fate, slegando l’asinello? La domanda esprime incomprensione e perplessità. Cosa pretendi di fare, liberando la capacità di servire?Credi forse di cambiare il mondo? Non vedi che ci perdi, anzi ti perdi, e tutto resta come prima?

v. 6 dissero loro come disse Gesù. La risposta non viene dal nostro buon senso. Se stesse in noi, faremmo ben altro! Facciamo così solo per obbedienza a quanto ha detto Gesù, il Signore (v. 3).

li lasciarono. Nessuno ci contende questo tipo di messianismo. Se litighiamo, non è certo per servire (cf 9,33 ss; 10,41 ss). Se uno vuol servire, tutti lo lasciano. Peggio per lui! È stupido, pensano i furbi e i potenti. Al massimo lo derideranno e perseguiteranno. Ogni cattiveria infatti ricade sempre su chi sta sotto. Ma la stupidità e la debolezza di Dio è più sapiente e più forte degli uomini (1Cor 1,25).

v. 7 E portano l’asinello da Gesù. I due fin dal principio del mondo si cercano. Ora finalmente si incontrano! Come si saranno guardati?

gettano su i loro mantelli. Come il cieco, anche i discepoli ora si liberano del mantello. Investono ciò che hanno gettandolo sull’asinello.

e sedette sopra di esso. Dall’alto dell’asinello viene il Regno promesso e appare il Signore nella sua gloria.

v. 8 molti stesero i loro mantelli sul cammino. Tutto il cammino del Re che viene è un tappeto di sicurezze buttate via e gettate nel servizio umile.

fronde tagliate. Gli alberi della foresta si rallegrano davanti al Signore che viene (Sal 96,12, s; cf Sal 118,27b). Invece di restare sterili, come i rami del fico (v. 13), queste fronde portano Gesù, frutto pieno della terra e della benedizione di Dio (Sal 67,7).

v. 9 quelli che precedevano e quelli che seguivano. Quelli che seguono, al momento decisivo fuggiranno tutti (14,50); quelli che precedono saranno gli stessi che grideranno “crocifiggilo” (15,13 s). È proprio impossibile a tutti seguirlo in questo cammino (10,27)!

Hosannà. È un’acclamazione di gioia per la certezza dell’aiuto di Dio. Originariamente significa: “Deh, salvaci!”. La salvezza che chiedono arriva. Ma la rifiuteranno, perché non viene con il

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cavallo e il carro, come sperano. Per questo, anche se la invocano, non la riconosceranno, e l’hosannà si tramuterà in “crocifiggilo!”.

v. 10 Benedetto Colui che viene nel nome del Signore (Sal 118,26 s). “Colui che deve venire” viene in povertà e umiltà, perché viene nel nome del Signore. Sia benedetto lui, che porta ogni benedizione! Chi viene diversamente, viene nel proprio nome. E sia maledetto, perché porta con sé ogni male - anche a fin di bene. “Chi si vergogna di incedere sull’umile cavalcatura di Cristo, vilipende il Signore, che volle incedere su un asino” (Gioacchino da Fiore).

il regno che viene. Così, e non diversamente, viene il Regno: comincia sull’asinello e si compie tra sei giorni sul trono della croce. Là sarà scritto a piene lettere il suo titolo regale (15,26) e sarà proclamata la sua divinità (15,39). Ma già qui sull’asino è re e Signore.

del padre nostro David. Questo è il messia di Israele, il re promesso come successore a David (2Sam 7,11 ss).

v. 11 entrò in Gerusalemme, nel tempio. Il termine del suo cammino nella città santa è ciò per cui è santa: il tempio. Già fin dall’inizio dei vangelo si prepara questo ingresso del Signore nel suo tempio (1,2 = Ml 3,1 ss).

guardata intorno ogni cosa. Nulla sfugge al suo sguardo circolare (cf 3,5). Cosa vede nel luogo dove dovrebbe stare la Gloria?

essendo già l’ora tarda. La notte scende sul tempio. La Gloria esce. Nelle altre due “ore tarde” si consegnerà a noi (14,17) ed entrerà nel sepolcro ( 1 5,42).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando la via da Betania alla città santa e Gesù che, cavalcando l’asinello, attraverso il monte degli Ulivi, giunge in Gerusalemme.3. Chiedo a Gesù ciò che voglio: comprendere la lezione dell’asinello, mistero del suo servizio in povertà e umiltà.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: asinello il Signore ne ha bisognolegato gettarono i loro mantellinessun uomo mai si è seduto sedette su di essoslegatelo Benedetto colui che vieneportatelo nel nome del Signoreperché fate questo? il Regno che viene

4. Passi utili: Gdc 9,7-15; 1Sam 8; 2Sam 7,11; Zc 9,9 s; Sal 96; 98; 118; 2Cor 8,9.

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58. NESSUNO PIÙ IN ETERNO MANGI FRUTTO DA TE

(11,12-14)

12 E il giorno dopo, uscendo essi da Betania,ebbe fame.13 E, vedendo da lontano un ficoche aveva foglie,venne (a vedere) se dunque vi trova qualcosa; e, venutovi, trovònient’altro che foglie.Non era infatti il tempo di fichi.14 E rispondendo gli disse:Nessuno più in eterno mangi frutto da te!E udirono i suoi discepoli.

1. Messaggio nel contesto

“Nessuno più in eterno mangi frutto da te”, dice Gesù rivolgendosi al fico. Esso, come la vigna, è un’immagine del popolo che Dio si è coltivato, perché produca frutti a lui graditi. La sua dolcezza è paragonata alla legge, che si sintetizza nell’amore di Dio e del prossimo (12,28 ss). Di questo il Signore ha fame e si diletta sommamente. Ma alla sua venuta (cf l’episodio seguente) trova solo foglie: tanta apparenza e nessuna sostanza. Il fico aveva l’attenuante che non era ancora la sua stagione. Ma per noi non c’è scusa alcuna. “Il tempo è finito” (1,15), disse Gesù. Finita l’attesa, è ora di fare frutti. Il Regno è già venuto. Siamo ormai chiamati a riconoscere la visita del Signore.La sua venuta ha bisogno dell’asinello, la capacità di servire e amare. Questa è la sua fame. Ma non trova cibo da parte nostra. Al di là del fogliame, di cui, da Adamo in poi, siamo abili produttori e consumatori, non trova un fico secco.Davanti al Gesù povero e umile, si scopre la sterilità di chi non lo accoglie così com’è.È utile notare che il Signore non se la prende con il popolo. Ne fa le spese questo fico, che non c’entra. In realtà quest’albero, che porta su di sé la maledizione nostra, è immagine della croce. Da essa penderà il dolce frutto, nel quale la nostra sterilità diventa feconda. Il Crocifisso infatti è il sì pieno di Dio all’uomo, e dell’uomo a Dio. Luogo d’incontro e di comunione tra i due, è il nuovo tempio.L’episodio del fico senza frutti, che lascia cadere le foglie, incornicia quello del tempio, che sarà distrutto. Il vecchio tempio, fatto da mani d’uomo, lascerà il posto a uno nuovo, non fatto da mani d’uomo (14,58), che sarà casa di preghiera per tutte le genti.

Gesù è il Signore. La sua venuta “debole” è il suo giudizio sul fico e sul tempio, cioè sul popolo e sulla sua immagine di Dio. Ma la condanna ricade sul fico, ossia sul legno della croce; e il tempio distrutto sarà il suo corpo dato per noi. Questo è il suo giudizio: un’offerta incondizionata di salvezza, appello definitivo alla conversione.

Discepolo è colui che dà il frutto di cui il Signore ha fame: accetta il suo amore povero e umile, e ne vive.

2. Lettura del testo

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v. 12 il giorno dopo. Da qui in avanti Marco segna nettamente i sei giorni della nuova creazione, che culminano sulla croce.

Betania. Significa “casa del povero”. Qui vediamo la povertà di Dio, che ha “fame”; e la povertà nostra, che non abbiamo nulla da dargli.

ebbe fame. La fame dell’amore è essere amato. Di questa fame morirà il Signore.

v. 13 vedendo da lontano. Gesù vede “da lontano” il fico, come le donne staranno a guardare da lontano l’albero della croce (15,40). Anche Pietro lo seguirà da lontano (14,54).

un fico. L’osservanza della legge è gradita a Dio come la dolcezza del fico al palato. Albero domestico della terra promessa, è il primo e l’ultimo che produce frutti, direttamente dai rami e senza fiori - come la croce!Il fico è figura del popolo della legge, di cui Dio si compiace, e della legge stessa, nella quale chi cerca trova sempre frutto.

che aveva foglie. All’inizio della primavera, in marzo, quando sono spuntate le foglie, il fico dà i primi frutti. I secondi, più abbondanti, sono alla fine dell’estate. In Galilea può dar frutti per dieci mesi all’anno, e, anche gli altri due, si può sempre trovare in esso qualcosa. Non trovare un fico secco significa trovare proprio niente. Le sue foglie hanno una lunga ascendenza biblica. Indicano tutto ciò che l’uomo fa per coprire la sua nudità, la propria insufficienza non accettata (Gn 3,7).

venne (a vedere) se vi trova qualcosa. Dio ha sempre mandato nella sua vigna i suoi servi, i profeti, per vedere se dava i frutti sperati. Ora viene lui stesso. È la svolta decisiva nella storia della salvezza, il giudizio (cf la parabola dei vignaioli, 12,1-12).

trovò nient’altro che foglie. Dalla sua prima visita nel giardino alla sua ultima nella terra promessa, Dio non trovò mai i frutti sperati. L’uomo è fin dall’origine nel peccato, incapace di amare Dio e il prossimo. Ha solo foglie, dietro le quali si nasconde per vergogna di sé e paura dell’altro.

non era il tempo di fichi. Gesù compie questo “contro-miracolo” appositamente fuori stagione per farci capire che il presente è sempre il momento di far frutto. “Oggi” è il giorno del Signore, e dobbiamo affrettarci finché dura questo giorno (cf Eb 3,13; 4,11). Con la sua venuta tra noi, non vale più la solita scusa: non è questo il momento, bisogna aspettare tempi migliori! Non c’è più da attendere, perché il Signore è qui, e il suo regno è già venuto; bisogna solo convertirsi per potervi entrare.

v. 14 Nessuno più in eterno mangi frutto da te. Non ci sarà alcun frutto, se non ci si converte al Signore povero e umile. La maledizione della nostra sterilità ricade su una pianta innocente. La croce sarà l’albero sul quale si abbatte il nostro male, e Gesù stesso porterà ogni maledizione - come sta scritto: “Maledetto chi pende da legno” (Dt 21,23; Gal 3,13).

udirono i suoi discepoli. Infatti la lezione è impartita a loro, non al fico. Inoltre l’annotazione serve per riprendere la scena il giorno seguente (v. 20), dopo la visita al tempio che, inclusa nella vicenda del fico, trova così la sua cornice interpretativa.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.

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2. Mi raccolgo, immaginando la via da Betania a Gerusalemme, al cui bordi Gesù vede il fico.3. Chiedo ciò che voglio: costatare la mia sterilità, la mia incapacità a soddisfare la “fame” del Signore.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Il fico rappresenta tutti gli uomini che, da Adamo in poi, non hanno risposto alla fame di Dio, nascondendo dietro le sue foglie la loro sterilità.

Da notare: la “fame” del Signorele foglie del fico, senza frutti la “maledizione” del fico

4. Passi utili: Mic 7,1-7; Sal 14; Lc 13,6-9; Mc 12,1-12.

59. LA MIA CASA SARÀ CHIAMATA CASA DI PREGHIERA PER TUTTE LE GENTI. MA VOI NE AVETE FATTO UNA SPELONCA DI LADRI

(11,15-19)

15 E vengono a Gerusalemme. E, entrato nel tempio,cominciò a scacciarequelli che vendono e comprano nel tempio, e rovesciòle tavole dei cambiavalutee le sedie dei venditori di colombe,16 e non lasciava che alcuno trasportasse qualcosa attraverso il tempio.17 E insegnava e diceva loro:Non sta scritto:la mia casa sarà chiamata casa di preghieraper tutte le genti?Ma voi ne avete fattouna spelonca di ladri!18 E udirono i sommi sacerdoti e gli scribi,e cercavano di rovinarlo;avevano infatti paura di lui, poiché tutta la folla era colpita dal suo insegnamento.19 E, quando fu sera,uscivano fuori dalla città.

1. Messaggio nel contesto

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“La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri”. Queste parole di Gesù indicano rispettivamente ciò per cui è fatto il tempio e ciò che noi ne facciamo, dando al suo gesto di “purificazione” il significato di annuncio della passione.La scena è inclusa tra la maledizione del fico e l’istruzione sulla preghiera e la fede. Come il fico, il tempio non produce frutto, perché non è più il luogo della fede e della preghiera. La venuta del Signore ne evidenzia la sterilità e compie il giudizio.Presso tutti i popoli il tempio è “santo”, cioè separato dal resto, che ad esso si ordina. È il luogo del culto e della legge, il fulcro di tutta la vita religiosa e civile, il centro dello spazio e del tempo. La sua distruzione è la rottura dell’asse attorno al quale tutto ruota: è la fine del mondo.Con Gesù crocifisso finisce il mondo vecchio e nasce quello nuovo, in cui non c’è più il tempio, “perché il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio” (Ap 21,22); cessa la funzione del tempio, separato dal pro-fano, perché tutto diventa dimora di Dio. Il vecchio mondo cercava di avere Dio al proprio centro, senza riuscirci per la sua empietà. Nel nuovo mondo Dio stesso ha posto al proprio centro l’uomo, mettendosi con la sua croce nel cuore di ogni empietà. Fin dall’inizio il racconto di Marco punta su questa visita del Signore al tempio, parlando del messaggero che ne prepara la strada (1,2 = Ml 3,1 ss).La distruzione del tempio sarà capo di accusa nel suo processo (14,58) e motivo di irrisione ai piedi della croce (15,29). Eppure proprio alla sua morte si squarcerà il velo del santo dei santi e il centurione prototipo di “tutte le genti” - riconoscerà la Gloria (15,38 s).

Gesù è il nuovo tempio, il mondo nuovo, l’uomo nuovo. “In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). Con lui entriamo in comunione con Dio, nostra vita. In lui Dio ci benedice e la nostra terra dà il suo frutto (Sal 67,7).

Il discepolo, aderendo a lui, diventa pietra viva per la costruzione di un edificio spirituale (1Pt 2,5). Ogni battezzato forma con lui un solo corpo, senza distinzione tra giudei e pagani, perché ha il suo stesso Spirito (1Cor 12.13). Incorporato in lui per il battesimo, ognuno di noi diventa tempio di Dio. Egli infatti è l’uomo nascosto del cuore (1Pt 3,4), l’uomo interiore che per la fede abita nei nostri cuori. In lui gustiamo tutta l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Dio per noi, e siano ricolmi di tutta la sua pienezza (Cf Ef 3,16-19).

2. Lettura del testo

v. 15 vengono a Gerusalemme. Gesù trascorrerà in Gerusalemme l’ultima settimana, passando il giorno in città e la notte fuori, in Betania o sul monte degli Ulivi.

entrato nel tempio. Era già entrato il giorno prima, guardando intorno ogni cosa (v. 11). In esso si attendeva la venuta del Signore, immediatamente preceduta dal suo messaggero (Ml 3,1 ss). Il messaggero fu il Battista (1,2); Gesù è il Signore, che viene per il giudizio e la salvezza definitiva. La scena si svolge nell’atrio, che con i suoi 475x300 metri, era il luogo più adatto al commercio.

cominciò a scacciare quelli che vendono e comprano nel tempio. C’era tutto un mercato attorno al tempio, autorizzato dai sacerdoti con grossi vantaggi.Oltre che del culto, era anche centro di potere politico ed economico. Ma Gesù è il messia che viene con l’asinello e vince con la povertà, l’umiliazione e l’umiltà. Scaccia dal tempio i commercianti, come aveva scacciato dagli ossessi i demoni.La “purificazione” del tempio, che qui inizia, è figura della purificazione della nostra immagine di Dio, inquinata dalla proiezione dei nostri deliri. Il nostro “senso religioso”, che pur presenta un’istanza buona di apertura al trascendente, se non è purificato dalla “carne” (= debolezza) di

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Gesù, è il peggior nemico della fede cristiana: produce una religiosità più o meno arrogante e potente che è la principale causa dell’ateismo (Cf Is 52,5; Rm 2,24).Oltre a quello materiale, nel tempio c’è anche un altro commercio, spirituale. È quello della religiosità naturale quando, con la moneta sonante delle prestazioni, intende comperare la grazia di Dio. È un male gravissimo, figlio diretto del “grande peccato”, che, dipingendo un Dio cattivo, induce a placarlo e ottenerne le grazie dietro pagamento, come fosse una prostituta. È il peccato del giusto, che va direttamente contro l’essenza di Dio che è amore gratuito. Il discorso più duro contro di lui è proprio quello di dire: “Che vantaggio abbiamo ricevuto dall’aver osservato i suoi comandamenti?” (Ml 3,13s).

cambiavalute. Per l’offerta al tempio, i pellegrini dovevano cambiare il denaro greco o romano, che era impuro, nel corrispondente giudaico. Quest’esigenza di “purità” legale diventava ottima occasione di sporchi guadagni nel cambio.

venditori di colombe. Le colombe sono l’offerta dei poveri. Era dovuta dalla donna dopo il parto e per la guarigione da varie malattie “impure” (Lv 12,8; 14,22; 15,14-29). È facile deteriorare la religione a piccolo commercio, che può giovare alle opere nostre, ma certamente non a Dio e alla sua buona immagine.

v. 16 non lasciava che alcuno trasportasse qualcosa attraverso il tempio. L’atrio del tempio, così vasto, era attraversato da chi doveva portare qualcosa dall’altra parte, senza doverne fare il giro. Quante volte la nostra religiosità non fa di Dio la scorciatoia per raggiungere i nostri obiettivi?C’è una manipolazione irrispettosa di Dio. Invece di amare e servire lui, ci serviamo di lui per conseguire i nostri amori, piccoli o grandi. Ma la sua presenza non è il talismano automatico della salvezza (cf 1Re 9,4-9).Con Gesù, vero volto di Dio, il tempio cessa di fare da copertura al male dell’uomo: verrà distrutto (c. 13), come l’immagine negativa che in esso si annida.

v. 17 casa di preghiera. La preghiera è la comunione con Dio, salvezza dell’uomo. Questo è il vero senso del tempio, che sarà la carne di Gesù, piena comunione tra Dio e l’uomo.

per tutte le genti. Genti significa “pagani”. Dio vuol entrare in comunione con tutti, perché tutti sono suoi figli. Già Is 56,7, qui citato, aveva previsto questo tempio.

ne avete fatto una spelonca di ladri. È utile leggere Ger 7,1-14, da cui è presa la citazione. Vi si minaccia la distruzione del tempio. Dio non avalla le nostre malefatte. Perdona senza limiti il peccatore e non si fa suo giudice; ma neanche può farsi suo complice nel peccato. Il tempio è o casa di preghiera o spelonca di ladri.Gesù denuncia chi guida o tollera questo traffico. È il rimprovero più forte che abbia rivolto al giudaismo dell’epoca. Ma il tempio è immagine della Chiesa, depositaria della stessa promessa, ma anche incline alla stessa infedeltà. Tutto ciò che è accaduto a Israele infatti è come un esempio, scritto per ammonimento nostro (1Cor 10,11): “Perciò temi. Se infatti Dio non ha risparmiato i rami naturali, tanto meno risparmierà te”, dice Paolo alla comunità di Roma (Rm 11,20 s).

v. 18 i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di rovinarlo. Questo suo gesto di “purificazione” ha come risposta la sua condanna. I suoi nemici, scavandogli la fossa, gettano le fondamenta per il nuovo tempio.

avevano paura di lui. Avvertono come minaccia il favore del popolo, di cui gode. Ma durerà poche ore (cf 15,11).

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tutta la folla era colpita dal suo insegnamento. Come in Galilea, all’inizio, la gente lo ascolta per ora con meraviglia e stupore.

v. 19 E, quando fu sera. Sul tempio cala la notte definitiva, come sul corpo di Gesù morto e consegnato per noi (15,42; 14,17).

uscivano fuori dalla città. Non è ancora giunta la sua ora.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il cortile del tempio, con tutto il suo traffico.3. Chiedo ciò che voglio: la purificazione del tempio, un rapporto con Dio che sia gratuito, “puro” dalla contaminazione dei miei interessi. Chiedo di cercare il Signore per il Signore, non per i suoi favori.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e guardo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: il tempio per tutte le genticomprare/vendere spelonca di ladritrasportare cercavano di rovinarlocasa di preghiera

4. Passi utili: 1Re 9,4-9; Ml 3; Ger 7,1-14; Is 56,1-7; Sap 9; Sal 63; Rm 11,16-24; Col 2,9; 1Pt 2,1-5; Ap 21.

60. ABBIATE FEDE DI DIO

(11,20-26)

20 E, passando via all’alba,videro il fico seccato dalle radici.21 E Pietro, ricordandosi, gli dice:Rabbi, ecco:il fico che hai maledetto è seccato.22 E, rispondendo, Gesù dice loro:Abbiate fede di Dio.23 Amen, vi dico:Chi dice a questo monte:Togliti e gettati nel mare,e non dubita nel suo cuore,ma crede che ciò che dice avviene,gli sarà accordato.24 Per questo vi dico:Tutto quanto pregate e chiedete, credete che l’avete ricevuto,e vi sarà accordato.

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25 E quando state in piedi a pregare, perdonatese avete qualcosa contro qualcuno, perché anche il Padre vostro nei cieli perdoni a voi le vostre cadute.(26) Ma se voi non perdonateneanche il vostro Padre che è nei cieli perdonerà le vostre cadute.

1. Messaggio nel contesto

“Abbiate fede di Dio”, dice Gesù. Il fico è stato seccato per istruire i discepoli sulla fede; il tempio è stato purificato per diventare casa di preghiera. Alla sterilità del primo, ricco solo di foglie, corrisponde il pullulare di affari nel secondo. Infecondità nel bene e fecondità nel male vanno di pari passo.In questo brano si parla della fede e della preghiera, radice da cui viene il frutto dello Spirito, che essenzialmente è amore e perdono. Gesù vede la fede di chi viene a lui (2,5), chiede ai discepoli se ce l’hanno (4,40) e dice all’emorroissa e al cieco: “La tua fede ti ha salvato” (5,35; 10,52). L’incredulità impedisce la sua azione (6,6), ed è guarita dall’invocazione: “Aiuta la mia non-fede” (9,24). Le sue prime parole sono: “Abbiate fede nel vangelo” (1,15). A Giairo dice: “Non temere, abbi fede” (5,36), e al padre del sordomuto: “Tutto è possibile per chi ha fede” (9,23). I discepoli li chiama “questi piccoli che hanno fede in me” (9,42). Tutte queste parole di Gesù illustrano cosa è la fede in lui, volto visibile del Dio invisibile.Credere non è solo sapere che c’è un Dio, essere supremo e buono, onnipotente e onnisciente, sovrano e giudice di tutti - c’è anche per chi non crede! È aderire a Gesù e alla sua parola, amarlo e seguirlo per essere con lui (1,15-20; 3,14), perché lui è il Signore, l’interlocutore fondamentale della mia vita.La fede si esprime come preghiera verso l’alto e come perdono verso chi ci sta a fianco. La prima ci mette in dialogo col Padre (cf 1,35-38; 6,46; 14,3 ss), il secondo coi fratelli. Non ci può essere l’uno senza l’altra e viceversa. Ambedue sono appunto possibili in Gesù, Figlio di Dio e fratello di tutti.

Gesù è il Signore. La fede in Dio è conoscere, amare e seguire lui così com’è, non come lo vogliamo noi.La sua parola accolta con fede ci trasforma, compiendo in ciascuno di noi i miracoli che il vangelo ci racconta. Diversamente restiamo senza frutto come il fico, e il nostro rapporto con Dio rimane un mercato di compravendita, come il tempio.

Discepolo è colui che ha fede nell’uomo Gesù, potenza e sapienza di Dio, proprio nella sua debolezza. Chi è in comunione con lui, il Figlio donato per noi, è unito con il Padre e con i fratelli: prega e perdona.

2. Lettura del testo

v. 20 passando via all’alba. La luce del sole scopre la nudità dei fico. Vederla è già l’alba del terzo giorno. Sarà un giorno assai lungo, in cui Gesù ci insegnerà qual è il suo potere e qual è il nostro fine (11,2013,37).

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v. 21 Pietro, ricordandosi. Anche al canto del gallo Pietro si ricorderà di quanto Gesù ha detto il giorno prima (14,72). Allora, ritrovandosi nudo e senza foglie, sarà chiamato ad avere fede in lui.

v. 22 Abbiate fede di Dio. Gesù non chiede fede in qualche idea, bensì nel Dio che si rivela in lui povero e umile che finisce in croce. Questa è la fede “di” Dio. Le altre sono dell’uomo, proiezioni dei suoi desideri.

v. 23 Amen. L’affermazione di Gesù è con autorità divina. Questa parola ha la stessa radice della parola ebraica “fede”, e indica certezza, fiducia e stabilità.

Chi dice a questo monte, ecc. Sembra più facile spostare i monti nel mare che smuovere i discepoli e immergerli nella sequela di Gesù!

e non dubita nel suo cuore. “Se qualcuno di voi manca di sapienza la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare mossa e agitata dal vento; e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l’animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni” (Gc 1,5-8). La prima qualità della fede, che la rende tale, è la certezza, la stabilità oltre ogni nostro dubbio. Non è un presumere in sé o in formule magiche, ma un abbandonarsi al Signore e al suo amore per noi. Se non c’è, si può e si deve chiederla, come il padre del sordomuto (9,24).Se non otteniamo, quando non chiediamo ciò che è male (cf Gc 4,3), è perché chiediamo male, cioè senza fede.

v. 24 Tutto quanto pregate e chiedete. Tutto è dono di Dio, termine della nostra lode. Quanto siamo e abbiamo è oggetto di ringraziamento; quanto ci manca, è oggetto di richiesta. Ma all’uomo manca sempre l’essenziale: il Signore stesso. Ora egli ci si è concesso in Gesù. Per questo dobbiamo ripetere la preghiera del cieco: “Che io veda”. Vedere lui è la fede che salva.

credete che l’avete ricevuto, e vi sarà accordato. Chi non ha fede è inutile che chieda: non ottiene. Chieda tuttavia la fede stessa. È vero che Dio vuol donarla a tutti. Va però chiesta, perché ogni dono può essere fatto solo a chi lo desidera! La preghiera è allungare la mano per riceverlo.Dobbiamo credere che ciò che chiediamo avviene (v. 23), perché in realtà è già avvenuto.Se il Padre ha dato il Figlio per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? (Rm 8,32).La preghiera è il respiro stesso della fede. Il nostro rapporto fondamentale con Dio è quello di chiedere/ricevere in umiltà e fiducia, gioia e riconoscenza amorosa. Questo dialogo con lui è la nostra partecipazione alla vita del Figlio.

v. 25 perdonate. Chi non perdona al fratello non può pregare il Padre. Deve però chiedergli di perdonare, domandando perdono di non saper perdonare.

perché anche il Padre vostro nei cieli perdoni a voi le vostre cadute. Chi non perdona ai fratelli, non ha lo Spirito del Figlio. Non conosce il Padre: non accetta che lui è amore gratuito per tutti i suoi figli.

v. 26 Ma se voi non perdonate, ecc. (Mt 6,15; cf Mt 18,21-35). Chi non perdona resta chiuso nel suo peccato. È cieco. Ma ora sa cosa chiedere.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.

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2. Mi raccolgo, immaginando la scena: è mattina, sulla strada per Gerusalemme, davanti al fico essiccato, con Gesù e i discepoli.3. Chiedo ciò che voglio: aver fede, saper chiedere con fiducia e perdonare.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Posso immedesimarmi con il fico secco, figura di chi non ha fede e non sa pregare né perdonare.

Da notare: abbiate fede di Dio credete che l’avete ricevuto non dubitare perdonate

4. Passi utili: Gn 18,16-33; Sal 27; Lc 11,9-13; Gc 1,5-8; Rm 8,31-39; 2Cor 1,19-22; Mt 6,14s; 18,21-35.

61. VI DOMANDERÒ UNA SOLA PAROLA, E RISPONDETEMI

(11,27-33)

27 E vengono di nuovo a Gerusalemme.E, mentre cammina nel tempio,vengono da lui i sommi sacerdoti e gli scribi e gli anziani,28 e gli dicevano:Con quale potere fai queste cose?O chi ti ha dato questo potereper fare queste cose?29 Ma Gesù disse loro:Vi domanderò una sola parola, e rispondetemi;e io vi dirò con quale potere faccio queste cose.30 Il battesimo di Giovanniera dal cielo o dagli uomini? Rispondetemi!31 E ragionavano fra loro dicendo:Se diciamo: Dal cielo,dirà: Perché allora non gli avete creduto?Ma diremo: Dagli uomini?32 Temevano la folla,poiché tutti ritenevano che Giovanni era davvero un profeta.33 E, rispondendo a Gesù, dicono:Non sappiamo!E Gesù dice loro:Neppure io vi dicocon quale potere faccio queste cose.

1. Messaggio nel contesto

“Vi domanderò una sola parola, e rispondetemi”. È la risposta di Gesù a chi lo interroga.

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Nel recinto del tempio inizia una serie di cinque dispute, con cui manifesta il suo potere: è quello della fedeltà e libertà di Dio (12,1-12.13-17), che è vita e amore (12,18-27.28-34). La rivelazione culmina in una lunga domanda, la cui risposta, lasciata a noi, chiarisce tutto: egli è il Signore (12,35-37).La sua attività iniziò con cinque polemiche sulla legge, che determinarono la decisione di ucciderlo (2,1-3,6); ora termina con queste cinque sul potere, che concludono alla sua condanna a morte. Ma proprio questa lo manifesterà come il Figlio di Dio!La questione riguarda tutta la sua attività, che si esprime in pieno nella “purificazione” del tempio: per dire e fare ciò che dice e fa, qual è il suo potere, e da dove viene? È la domanda fondamentale su di lui. Egli risponde, ma a una condizione: che noi siamo disponibili a rispondere a una sua domanda circa il Battista, che ha predicato “un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (1,4).Accettiamo il suo “battesimo” come da Dio, siamo cioè disposti a convertirci, riconoscendo il nostro peccato e il suo perdono? Solo così possiamo conoscere il “più forte” che viene dopo di lui e ricevere il battesimo nello Spirito Santo (1,7 s.).Questa è la condizione previa per conoscere Gesù come Signore, e sperimentare la sua forza di salvezza. Chi si crede nel giusto e non vuole convertirsi, non ottiene risposta: “Neppure io vi dico, ecc.”.

Gesù ci pone davanti al bivio della fede: o mettere in questione il Signore e la sua parola, o lasciarsi mettere in questione. La prima via porta al silenzio di Dio e al nulla dell’uomo; la seconda al dialogo fecondo con lui. Nella prima parte del vangelo noi ci interrogavamo: “Chi è costui?”. Lui ha risposto pazientemente, con tutto ciò che ha fatto e detto. Nella seconda è lui stesso che ci interroga: “Ma voi chi dite che io sia?”.Rispondimi e ti risponderò! Se uno vuol capire la Parola. più che interpretarla, si lasci interpretare da essa.

Discepolo è colui che, rispondendo alla sua domanda, è disposto a convertirsi, a volgersi dal proprio peccato al suo perdono. Solo costui conosce e sperimenta il “potere” di Gesù Signore.

2. Lettura del testo

v. 27 E vengono di nuovo a Gerusalemme. È il suo terzo ingresso, in tre giorni consecutivi. È martedì. Sarà una giornata lunga. Inizia davanti al fico essiccato, si svolge sullo sfondo del tempio e abbraccia le ultime istruzioni, che vanno da 11,20 a 13,37.

cammina nel tempio. Il Signore, venuto per la sua visita, “cammina” per l’ultima volta nel tempio. Il giorno dopo si farà preparare quello nuovo. Sarà la stanza superiore, dove si dona al suoi, per restare sempre con loro e in loro.

i sommi sacerdoti egli scribi e gli anziani. Rappresentano rispettivamente il potere politico-religioso, culturale ed economico, così diversi da quello di Dio, raffigurato nell’asinello. Tutti i grandi della terra si alleano contro il Signore e il suo messia (Sal 2,2; At 4,26 s).

v. 28 Con quale potere fai queste cose? (Vedi anche 1,21.27 e 2,10, a proposito della sua parola e del suo perdono efficaci). “Queste cose” si riferiscono alla purificazione del tempio, come gesto culminante di tutta la sua attività. I suoi nemici gli chiedono quale potere ha, cioè di che natura è. Gesù lo mostrerà nelle dispute seguenti.

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chi ti ha dato questo potere? Da dove gli viene? Questa domanda specifica la prima: la natura del suo potere deriva dalla sua origine.

v. 29 Gesù disse loro: Vi domanderò una sola parola. Gesù risponde con una domanda.

e rispondetemi. Alla quale dobbiamo rispondere noi.

e vi dirò con quale potere, ecc. Se noi rispondiamo a questa domanda, ci rivela il suo potere.

v. 30 Il battesimo di Giovanni, ecc. La sua domanda riguarda il battesimo di conversione, annunciato da Giovanni (1,4). Lo riconosciamo da Dio (“dal cielo”) e lo accettiamo? La disponibilità a convertirci è la porta d’accesso al suo mistero.

v. 31 E ragionavano fra loro, dicendo, ecc. Invece di rispondere a lui, preferiscono chiudersi in sé. Il loro parlare non è un dialogo. Resta il monologo di chi cerca non la verità, ma la difesa di presunti interessi. Da una parte non vogliono convertirsi e dall’altra non vogliono perdere il favore del popolo religioso.

v. 32 Giovanni era davvero un profeta. Il profeta è colui che chiama tutti a conversione.

v. 33 Non sappiamo. Quando non siamo disposti a cambiare e a metterci in discussione, ci trinceriamo dietro questa tragica parola: “Non so”. Più che ignoranza, nasconde la malafede di chi non vuoi ricredersi. Quanta nostra buona fede in realtà non è un alibi?

Neppure io vi dico con quale potere, ecc. Gesù non può rispondere a chi non è disposto a convertirsi. Questo suo silenzio sarà oggetto di meraviglia nel suo processo. Ma è un atto di misericordia: invece di difendersi accusandoci e di giustificarsi giudicandoci, tace (14,60s; 15,4s). Il “silenzio di Dio” è la sua parola più eloquente: grida un amore senza riserve, che si offre sempre, in attesa di una risposta.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, vedendo l’atrio del tempio, dove Gesù passeggia e insegna, dopo averlo purificato dal mercanti.3. Chiedo ciò che voglio: rispondere al suo appello di conversione e non rifugiarmi dietro il rifiuto del silenzio.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: con quale potere fai queste cose? il battesimo di Giovannivi domanderò una sola parola non sappiamorispondetemi neppure io vi dicoe io vi dirò

4. Passi utili: Os 11,7-9; Is 1,2-28; Ez 33,1-20; Ne 9; Rm 1,18-32; Sal 51.

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62. LA PIETRA CHE I COSTRUTTORI RIGETTARONO, QUESTA DIVENNE TESTATA D’ANGOLO

(12,1,12)

121 E cominciò a parlar loro in parabole:Un uomo piantò una vigna,e pose attorno una siepe,e scavò un torchioe costruì una torree l’affittò ad agricoltori,e s’allontanò dal paese.2 E inviò agli agricoltori, a suo tempo, un servo,per prendere dagli agricoltori dei frutti della vigna.3 E lo presero e picchiaronoe rimandarono vuoto4 E di nuovo inviò loro un altro servo;colpirono in testa anche luie lo schernirono.5 E inviò un altro,e uccisero anche lui;e molti altri (inviò),dei quali alcuni picchiaronoed altri uccisero.6 Aveva ancora uno,il figlio diletto.Lo inviò ultimo da loro,dicendo: Rispetteranno il figlio mio.7 Ma quegli agricoltori dissero tra sé:Costui è l’erede!Venite, uccidiamolo;e l’eredità sarà nostra!8 E lo presero,l’uccisero,e lo gettarono fuori dalla vigna.9 Che farà dunque il Signore della vigna? Verrà e rovinerà gli agricoltori e darà la vigna ad altri!10 Neanche avete letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori rigettarono, questa divenne testata d’angolo.11 Dal Signore venne questo,ed è meraviglioso ai nostri occhi?12 E cercavano di impadronirsi di lui,ed ebbero paura della folla.Infatti compresero che disse la parabola per loro.E, lasciatolo, se ne andarono.

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1. Messaggio nel contesto

“La pietra che i costruttori rigettarono, questa divenne testata d’angolo”, dice Gesù ai sommi sacerdoti, agli scribi e agli anziani che lo interrogano e non si lasciano interrogare. Anche con loro, pur non potendo rispondere, mantiene aperto il dialogo. Per questo, sotto il velo delle parabole (cf 4,10), dichiara di che tipo è il suo potere e da dove gli viene: è quello del “Figlio”, e gli viene dal suo essere rigettato, ucciso e gettato fuori proprio da loro!Con questa parabola allegorica Gesù dà la chiave di lettura della storia di Israele - paradigma di quella di ogni uomo - come scontro senza incontro tra la fedeltà di Dio e l’infedeltà nostra. La sua offerta di amore si trova sempre davanti al muro ostinato del nostro rifiuto.Alla sua crescente bontà, corrisponde un crescendo della nostra cattiveria. Sembra proprio un amore infelice, senza possibilità di riuscita. Ma il Signore opera una meraviglia ai nostri occhi, facendo della croce, apice del nostro male, il dono del suo massimo bene: noi lo uccidiamo, togliendogli la vita, e lui ci fa vivere, donandoci la sua vita.La nostra malvagità non vanifica il suo piano. “Davvero”, diranno gli apostoli rivolgendosi al Padre, “in questa città si adunarono insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e Ponzio Pilato con le genti e i popoli di Israele”; ma alla fin fine, senza saperlo, non fecero che “compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse” (At 4,27 s.).Tutto il male nostro e della nostra storia, lungi dall’essere il fallimento del disegno di Dio, non fa che compierlo in modo più sublime, mostrando il suo potere, che è solo e tutto misericordia. Il potere dell’uomo è quello di fare il male dal bene; quello di Dio è fare il bene dal male. Egli vorrebbe diversamente; ma rispetta la nostra libertà. Tuttavia è Dio proprio perché sa colmare la nostra miseria con la sua misericordia, facendo del nostro rifiuto la sua offerta incondizionata di amore. È la vittoria della croce, scontro inevitabile, che diventa incontro definitivo. “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio”, che “ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia” (Rm 11,33.32).Solo lo Spirito è capace di farci penetrare in questo che è il mistero stesso di Dio. Se il rifiuto di Israele fu salvezza per tutti, cosa non sarà la sua conversione? Paolo la vede come il compimento ultimo del disegno di salvezza universale (Rm 11,11-15).

Gesù è il Figlio, l’unigenito che si è fatto servo e ultimo di tutti, dando la vita per noi che gli diamo la morte. Questo è il suo potere: la sua fedeltà oltre ogni nostra infedeltà, appello definitivo alla conversione.

Discepolo è colui che nella pietra scartata riconosce il Figlio, il suo Signore e Salvatore, testata d’angolo del nuovo tempio.

2. Lettura del testo

v. 1 cominciò a parlar loro in parabole. A chi lo interroga ed è disponibile a rispondere, Gesù confida il mistero del Regno e spiega tutto (4,11.34). Per questo la “Parola” è annunciata con chiarezza ai discepoli (8,32) e con parabole agli altri, secondo che possono intendere (4,33). La nostra disponibilità a convertirci è la misura della nostra intelligenza spirituale.

Un uomo piantò una vigna. La vigna è Israele che Dio si è piantato. Richiama Is 5,1 ss, che contiene tutta una recriminazione di Dio nei confronti del popolo (cf Sal 80).

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e pose attorno una siepe. La siepe delimita e protegge. Può essere immagine della legge, che separa dagli altri il popolo che si è scelto come sua proprietà (Es 19,5), perché sia santo come lui è santo (Lv 11,44; 19,2).

scavò un torchio. È dove si spreme e scorre il frutto della vigna. Nel Getsemani, che significa “luogo del torchio”, sarà spremuto Gesù, frutto maturo dell’obbedienza al Padre.

costruì una torre. La torre serve da guardia. In essa il Targum vede il tempio. Tutti questi dettagli indicano la cura con cui Dio si è costruito la sua vigna, dotandola della sua parola e della sua presenza.

l’affittò ad agricoltori. Sono i capi del popolo, responsabili dei frutti della vigna.

s’allontanò dal paese. Dio è discreto. Fa tutto ciò che il suo amore gli detta, poi, dice il testo greco, se ne va all’estero, fuori del suo popolo. Rimane come in disparte - straniero ed estraneo - in attesa della risposta dell’uomo. Il quale può anche dire, nella sua dotta stupidità, che non esiste (Sal 10,4; 14,1).

v. 2 inviò agli agricoltori, a suo tempo, un servo. I servi sono i profeti, inviati da Dio ad esigere i suoi frutti.

frutti della vigna. I frutti della vigna sono l’obbedienza alla legge, che consiste nell’amore di Dio e del prossimo. È ciò di cui Gesù ebbe fame (cf 11,12).

v. 3 lo presero e picchiarono. È la sorte del profeta, che risulta sempre scomodo.

rimandarono vuoto. La missione dei profeti rimane senza esito. La vigna non dà frutti, come il fico sterile.

v. 4 di nuovo inviò loro un altro servo. Dio non si scoraggia. Non lascia mai mancare i suoi profeti, che denunciano il nostro peccato e annunciano la sua misericordia.

colpirono in testa anche lui. L’uomo non desiste dal suo male. Alza la mira, e colpisce anche la testa. Si allude al Battista che fu decapitato?

lo schernirono. Oltre la violenza fisica, anche il linciaggio morale. Sulla sorte dei profeti vedi la splendida sintesi di Eb 11,35b-38.

v. 5 inviò un altro. La sua fedeltà non è sconfitta dalla nostra cattiveria.

uccisero anche lui. Come risposta alla sua bontà c’è un aumento di malvagità: prendere, picchiare, colpire in testa, schernire, uccidere. Uccidere il profeta è la consumazione del male: si spegne la voce che denuncia il peccato, togliendosi la possibilità di conversione.

e molti altri. Dio non viene mai meno nel suo amore per noi.

dei quali alcuni picchiarono ed altri uccisero. L’ostinazione nostra nel male è proporzionale alla sua nel bene.“Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo

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popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio” (2Cr 36,15s). Nella sua ira dovrebbe venire per il giudizio e sterminare tutti. Ma è Dio e non uomo. il suo istinto freme di compassione (cf Os 11,8s). Non conosce altra vendetta che mostrare maggior amore - anzi il massimo amore che è possibile a lui che è amore.

v. 6 Aveva ancora uno, il figlio diletto. Per questo, dopo l’invio dei “servi”, invia il suo tesoro, Gesù, il Figlio diletto, l’unico che egli ha (cf 1,11; 9,7). “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Eb 1,1).

Lo inviò ultimo. È il dono ultimo della sua fedeltà. Dopo di lui, non ha più nulla da darci, perché insieme con lui ci ha donato ogni cosa (Rm 8,32).

Rispetteranno il figlio mio. È l’ultima sua speranza.

v. 7 Costui è l’erede. Gesù non è solo un profeta o un servo: è il Figlio di Dio, “erede di tutte le cose, e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (Eb 1,2).

Venite, uccidiamolo. Sono le stesse parole dei fratelli di Giuseppe, rosi dall’invidia (Gn 37,20). L’uccisione del Figlio di Dio è il massimo male pensabile. Come la cattiva sorte di Giuseppe, così la morte di Gesù sarà salvezza per tutti quelli che non si è vergognato di chiamare suoi fratelli (Eb 2,11).

l’eredità sarà nostra. Con grande sorpresa - questa è l’opera meravigliosa di Dio! - sarà vero. Lui ci dona quanto gli rubiamo, la sua stessa vita.

v. 8 lo presero, l’uccisero. È il destino di Gesù.

e lo gettarono fuori dalla vigna. Gesù patì fuori della porta della città (Eb 13,12).

v. 9 darà la vigna ad altri. La vigna qui rappresenta il popolo di Dio, e gli agricoltori personificano l’ostinatezza nel male, che , come nei capi, cova in ciascuno di noi.L’indurimento di parte di Israele divenne causa di salvezza per i pagani (At 13,46). Questi, secondo Paolo, servono per muovere la “gelosia” di Israele, perché si converta (Rm 11,11-24).

v. 10 questa Scrittura. Gesù cita dal Sai 118,22s, già cantato dal popolo al suo ingresso in Gerusalemme (11,9s = Sal 118,26).

La pietra che i costruttori rigettarono. La pietra è Gesù, il Figlio disprezzato dai capi del popolo, scartato dai “costruttori”, che prima erano chiamati “agricoltori”. Si passa qui dall’immagine della vigna a quella di casa o tempio di Dio.

divenne testata d’angolo. Il giorno di pasqua si capovolge la situazione: Gesù disprezzato e crocifisso è risorto e glorificato, principio del nuovo tempio e della nuova Gerusalemme.

v. 11 Dal Signore venne questo. Questa è la grande opera di Dio: il peggior male che noi potessimo fare, è cambiato da lui nel massimo bene.

meraviglioso ai nostri occhi. È lo stupore del mattino di pasqua, la sorpresa di come Dio vinca nella sua sconfitta, e offra a tutti una via d’uscita insperabile.

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v. 12 cercavano di impadronirsi di lui. Eseguono quanto Gesù ha appena detto del figlio (v. 8).

ebbero paura della folla. La folla per ora sta con lui. Quando lo vedrà umiliato, griderà: “Crocifiggilo!”.

compresero, ecc. Chi capisce, o si converte o si indurisce.Questa seconda ipotesi è quella prevista nella parabola. Il Figlio muore proprio per salvarci da questo indurimento.

lasciatolo se ne andarono. Se ne vanno, ma per poco. Mancano infatti ancora tre giorni al compiersi di questa parabola che Gesù ha raccontato. La sua parola è comunque efficace, anche per chi la contrasta.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il tempio dove Gesù passeggia con i suoi discepoli, circondato dalla folla e dai nemici.3. Chiedo ciò che voglio: comprendere la meraviglia che compie Dio, vincendo la nostra infedeltà con la sconfitta della sua fedeltà.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: le cure prodigate alla vignal’ostinazione dei vignaioli“uccideremo l’erede e l’eredità sarà nostra”la pietra che i costruttori hanno rigettato divenne testata d’angolo.

4. Passi utili: 2Cr 36,15s; Is 5,1-7; Sal 80; 118; Rm 11,11-32; Eb 11,35-38.

63. DATE A CESARE CIÒ CHE È DI CESARE E A DIO CIÒ CHE È DI DIO

(12,13-17)

13 E inviano da lui alcuni dei farisei e degli erodiani,per intrappolarlo con la parola.14 E, venendo, gli dicono:Maestro,sappiamo che sei veritiero, e non ti curi di nessuno, perché non guardi a faccia d’uomini, ma, secondo verità, insegni la via di Dio.È lecito dare il tributo a Cesare,o no?

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Che lo diamo,o non lo diamo?15 Ma egli, conosciuta la loro falsità,disse loro:Perché mi tentate?Portatemi il denaro,che lo veda.16 E quelli lo portarono.E dice loro:Di chi è quest’immagine e l’iscrizione?E quelli gli dissero:Di Cesare.17 E Gesù disse loro:Date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio.E si meravigliavano di lui.

1. Messaggio nel contesto

“Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, risponde Gesù ai farisei e agli erodiani.La loro trappola è perfetta. Se dice di non pagare il tributo, viene eliminato dai romani che occupano la Palestina; se dice di pagarlo, si inimica il popolo, che attende un messia “politico”, che prenda il potere e liberi dall’occupazione straniera. Certa teologia, sempre di moda sotto vari nomi, è vecchia quanto il mondo!La risposta di Gesù non è una semplice astuzia per eludere il problema e non cadere nel tranello. Non dice semplicemente: “Date a ciascuno ciò che gli spetta”, senza determinare ciò che spetta a ciascuno.Ai suoi tempi il dominio di un sovrano si estendeva ovunque la sua moneta aveva corso legale. È ovvio che dove circola quella di Cesare, si sottostà al suo dominio, e si rispettano le regole del gioco, tra cui quella di pagargli il tributo (cf Rm 13,1-7; 1Pt 2,13 ss).Ma per Gesù il problema è un altro: dare a Dio ciò che è di Dio.Come la moneta porta l’immagine di Cesare e appartiene a Cesare, così l’uomo è immagine di Dio e appartiene a Dio. Il tributo da pagargli è quello di darsi a lui, amando lui con tutto il cuore, e il prossimo come se stessi (v. 30 s). Questo comando, prima impossibile a causa del peccato, ora con Gesù possiamo e dobbiamo viverlo, in ogni nostra singola azione.Circa l’autorità civile è utile distinguere il contenuto dal modo. Il suo contenuto è quello di servire al bene comune. In questo senso, anche se le sue forme sono storicamente più o meno imperfette, è legittima e positivamente voluta da Dio (cf Rm 13,14). Normalmente il modo nel quale è esercitata è quello dei capi delle nazioni (cf 10,42) - comune a ogni uomo, discepoli compresi - che bramano l’avere, il potere e l’apparire. Questo modo non è voluto da Dio. Frutto del peccato che alberga nel cuore di ognuno, non è per il bene, bensì per il male comune. Schiavizza tutti, sia chi lo esercita sia chi lo subisce, togliendo a tutti, dominatori e dominati, la libertà - che è ciò per cui siamo immagine e somiglianza di Dio.Questo brano aiuta a capire il “potere” del Figlio dell’uomo, che mette sempre in crisi quello dell’uomo. È infatti amore, servizio e umiltà.Questo significa dare a Dio ciò che è di Dio. Così diventiamo ciò che siamo: simili a lui, di cui portiamo l’immagine. E questo non solo a livello personale, ma anche nei rapporti civili, con i modi alternativi di gestire l’autorità, perché non degradi da servizio a dominio.

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Gesù risponde con precisione alla domanda dei suoi avversari, prendendo le sue distanze da loro, come anche dagli zeloti, che vogliono prendere il potere, pensando che per ottenere il regno di Dio basti semplicemente cambiare etichetta al regno dell’uomo. Di illusi del genere, ingenui o meno, ce n’è sempre tanti, in ogni epoca!Inoltre ci dà anche il criterio in base a cui scegliere: in ogni cosa bisogna sempre prima dare a Dio ciò che è di Dio. Solo così sapremo cosa dare al Cesare di turno.In concreto le prime comunità cristiane pagavano tranquillamente il tributo; rifiutando però ogni assolutizzazione del potere e ogni sua imposizione ingiusta (obiezione di coscienza). Ma la loro resistenza non era con gli stessi mezzi del potere, bensì con la povertà della testimonianza, ossia col martirio. È l’unica arma efficace (cf Ap 13).

Gesù, nella sua umanità di Figlio dell’uomo che serve per amore, ci restituisce il volto di Dio a immagine del quale siamo fatti. In esso ci offre la vera libertà, possibile a chiunque sia povero. Il re, che può fare quello che vuole, si crede l’uomo ideale, ideale di ogni uomo. In realtà non è un uomo libero: è schiavo e fallito, immagine capovolta di Dio. Sulla regalità umana, vedi l’apologo bellissimo di Gdc 9,8-15 e 1Sam 8, che mostrano perché Dio non vorrebbe che in Israele ci fosse un re.

Il discepolo è testimone di Gesù, l’uomo nuovo e libero, che sa amare e servire in questo mondo di schiavitù e di peccato, obbedendo o disobbedendo al potere costituito secondo che serve o meno all’uomo.Non pensa al “particular suo”, non concorre con gli altri per arraffare e spartirsi la torta; è contro ogni ingiustizia e pretesa totalitaria. Non rivendica però alcun potere. Il rimedio sarebbe peggiore del danno! Infatti non c’è nulla di peggio delle teocrazie o delle dittature a fin di bene. Giustificano anche i peggiori abusi e delitti!

2. Lettura del testo

v. 13 farisei ed erodiani. Si erano già alleati in 3,6. Gesù aveva ammonito i discepoli di guardarsi dal lievito dei farisei e di Erode (8,15). I farisei zelavano per la legge, gli erodiani simpatizzavano per Erode. Si accordano contro Gesù, perché lo avvertono come insidia comune, anche se per motivi diversi.

per intrappolarlo con la parola. Speravano che Gesù si dichiarasse apertamente contro i romani, per accusarlo. Se si fosse dichiarato per loro cosa improbabile - avrebbe almeno perso il favore del popolo. Il potere non usa mai la parola per la verità - anche quando la dice, come qui ma per avere l’altro in mano.

v. 14 Maestro, sappiamo che sei veritiero. È il più bel complimento rivolto a Gesù in tutto il vangelo. Lodano la sua libertà di giudizio per farlo cadere più facilmente nella trappola di dichiararsi contro i romani.

È lecito. La questione è posta in termini non politici o giuridici, ma di coscienza: qual è la volontà di Dio nel confronto del tributo ai romani?

dare il tributo. Era il “censo”, imposta personale e fondiaria. Pagarla significava riconoscere la signoria dei romani. Gli zeloti la consideravano idolatria e si ribellavano con le armi, perché l’unico Signore è Dio. I farisei l’accettavano, fino alla redenzione finale del messia, da ottenere con le preghiere. Agli erodiani invece la cosa non faceva problema, anche se il loro rapporto di dipendenza da Roma non era sempre pacifico.

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lo diamo o non lo diamo? Vogliono una risposta pratica, che comunque lo comprometta davanti al popolo o davanti all’autorità civile.

v. 15 conosciuta la loro falsità. Gesù conosce la verità del nostro cuore - con tutte le sue falsità, che talora noi stessi ignoriamo.

Perché mi tentate? Prendere il potere politico in nome di Dio è una tentazione sempre attuale, sia per noi che per Gesù. Lo accompagnò per tutta la vita, dal deserto alla croce (cf Lc 4,6; Gv 6,15: Mc 15,2.26.32). Il presupposto dei suoi avversari è confondere il potere mondano con quello di Dio, cercando di conseguire il suo regno con il pensiero e i mezzi dell’uomo.

Portatemi il denaro, che lo veda. L’uso del denaro è l’accettazione implicita del potere di chi l’ha coniato. Gesù non ha con sé la moneta, a differenza di loro. Le loro parole non presentano quindi un vero problema per loro, sono solo un’insidia per Gesù. Ma cadono nella fossa che hanno scavato (Sal 7,16).

v. 16 Di chi è quest’immagine? Il danaro porta l’effigie dell’imperatore Tiberio e di sua madre. Agli ebrei era proibito farsi un’immagine di Dio. L’unica sua immagine è l’uomo che lo ascolta. Era anche vietato fare immagini dell’uomo, perché immagine di Dio.

l’iscrizione. L’iscrizione sulla moneta porta il nome e il ruolo divino dell’imperatore: “Tiberio Cesare Imperatore, figlio del divino Augusto”. Il titolo regale di Gesù non lo troveremo iscritto su alcuna moneta, bensì sulla croce (15,26).

v. 17 Date a Cesare ciò che è di Cesare. La moneta è sua, e gli va restituita. Solo chi è povero e ha lasciato tutto, è libero, e può entrare nel regno di Dio.

a Dio ciò che è di Dio. Questo è il problema: l’uomo, immagine di Dio, è di Dio e deve ritornare a lui. Con Gesù inizia la sua signoria.Il suo regno è un nuovo rapporto con sé, con il mondo e con gli altri: un modo di vivere filiale e fraterno, libero dal possesso e dal dominio, in atteggiamento di dono e di servizio. Questa è la vera libertà, che con Gesù inizia qui ed ora, in questo mondo posto nella schiavitù e nel male, senza attendere tempi migliori. Chi dà a Dio ciò che è suo, impara cosa e come dare a Cesare ciò che gli spetta.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il cortile del tempio, dove Gesù si trova con i suoi.3. Chiedo ciò che voglio: chiedo a Dio di dargli me stesso, come lui si è dato a me. Farò mia questa preghiera: “Prendi e ricevi, Signore, tutta la mia libertà, intelligenza e volontà. Ciò che ho e sono, è dono tuo. A te io rendo tutto, perché lo amministri secondo il tuo volere. Dammi il tuo amore e la tua grazia. E sono ricco abbastanza, e nulla più ti domando” (sant’Ignazio di Loyola).4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: sei veritiero ecc. di chi è l’immagine e l’iscrizione? insegni la via di Dio date a Dio ciò che è di Diolo diamo o non lo diamo il tributo a Cesare?

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perché mi tentate?portatemi il denaro

4. Passi utili: Gdc 9,8-15; 1Sam 8,10-22; 2Sam 7,5-17; Is 11,1-11; Sal 72; Rm 13,1-10; Ap 13.

64. NON È UN DIO DEI MORTI MA DEI VIVENTI

(12,18-27)

18 E vengono sadducei da lui,che dicono che non c’è risurrezione;e lo interrogavano dicendo:19 Maestro,Mosè scrisse per noiche se un fratello di uno muoree abbandona moglie senza lasciar figli, il fratello di lui prenda la moglie,e susciti seme al suo fratello.20 C’erano sette fratelli.E il primo prese moglie,e morendo non lasciò seme.21 E il secondo la prese,e morì non lasciando seme.E il terzo lo stesso.22 E i sette non lasciarono seme.Ultima di tutti, anche la moglie morì.23 Nella risurrezione, quando risorgono, di chi di loro sarà moglie?Tutti e sette infatti l’ebbero in moglie.24 Disse loro Gesù:Non forse per questo vi ingannate, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio?25 Quando infatti risorgano dai morti,né si ammogliano né si maritano; ma sono come angeli nei cieli.26 Circa i morti che risorgono,non avete letto nel libro di Mosè sul roveto, come gli parlò Dio dicendo:Io sono il Dio di Abramo, (il) Dio di Isacco e (il) Dio di Giacobbe?27 Non è un Dio dei morti, ma dei viventi.Molto v’ingannate.

1. Messaggio nel contesto

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“Non è uni Dio dei morti ma dei viventi”, risponde Gesù al sadducei e a chi, come loro, non crede nella risurrezione dai morti. La serie di queste discussioni, che concludono il suo insegnamento, partono dalla domanda: “Con quale potere fai queste cose?”.Egli risponde che il suo potere è comprensibile solo da chi si converte (11,27 ss), perché è quello della pietra scartata (vv. 1-12) - ben diverso da quello di Cesare, che opprime e dà la morte (vv. 13-17). Ora afferma che è lo stesso del Dio dei viventi, che dà la vita al morti.La risurrezione nostra, di cui questa disputa parla, è il centro della fede cristiana. Senza di essa “è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”, scrive Paolo a quelli di Corinto (1Cor 15,14).Supera qualunque pretesa ed esula dall’attesa di chiunque, che, davanti alla morte, si ritrova impotente, e non attende più nulla. Indeducibile da qualunque premessa, ci è rivelata solo dalla promessa di Dio; improducibile da qualunque sforzo, è puro dono del suo amore.Per questo su di essa si inganna chiunque ignora “le Scritture” e “la potenza di Dio”.La risurrezione di cui qui si parla non è la rianimazione di un cadavere, che torna alla vita di prima - come, per esempio, la figlia di Giairo (5,21 ss). È il passaggio non a un’altra vita, uguale alla precedente, ma a una vita altra, nuova e diversa, in comunione con Dio, nella pienezza della sua gloria, alla quale partecipa anche il corpo (1Cor 15,35-58). Dio stesso infatti è la nostra vita (Dt 30,20) - come l’amato è la vita di chi ama.Chi non crede alla risurrezione si inganna, dice Gesù all’inizio e alla fine della sua risposta. È ancora vittima della menzogna che lo fa vivere nell’ombra di morte.Solo la Scrittura e l’esperienza di Dio ce ne libera, facendoci conoscere l’amore dal quale veniamo e al quale torniamo.La fede nella risurrezione in Israele è un frutto maturo e tardivo, che trova la sua formulazione più alta in 2Mac 7.

Gesù con le sue opere e le sue parole, ma soprattutto con la sua morte e risurrezione, ci libera dal dominio della paura della morte, causa di ogni nostro male, e ci dona la piena conoscenza della promessa e della forza del Dio vivente.

Il discepolo, battezzato “nel nome” di Gesù, immerso in lui e incorporato in lui, è per sempre con lui (1Ts 4,17). Morto all’ignoranza e al peccato, è risorto a una vita nuova di conoscenza e di amore; vinto il potere della morte, vive per Dio (cf Rm 6,1-11).

2. Lettura del testo

v. 18 sadducei. Discendenti di grandi famiglie e proprietari terrieri, ricoprivano le più alte cariche sacerdotali e costituivano la classe dirigente. Di tendenza ovviamente conservatrice, ritenevano ispirati solo i primi cinque libri della bibbia - il Pentateuco, attribuito a Mosè. Rifiutavano in blocco l’autorità degli altri libri.

dicono che non c’è risurrezione. La fede nella risurrezione non è formulata esplicitamente nel Pentateuco. Nella bibbia emerge solo lentamente, come punto d’arrivo dell’esperienza di Israele. Espressa velatamente in certi Salmi (Sal 16,9-11; 49,16; 73,23-28) e forse in Gb 19,25-27, è chiara solo nei libri più recenti (Dn 12,2; 2Mac 7,14; 12,43). Sap 1-5 parla dell’immortalità dell’anima, che per sé non è da confondere con la risurrezione dei corpi. Questa implica la partecipazione del corpo trasfigurato alla gloria dei figli di Dio.I sadducei somigliano a tanti credenti attuali. Credono in Dio, ma non nella sua promessa. Chiusi nel materialismo, non credono praticamente e/o teoricamente al fine cui Dio ci ha destinati.È l’alienazione più tragica dell’uomo, che perde ciò per cui è fatto, l’orizzonte che dà senso alla sua vita.

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v. 19 Mosè scrisse per noi. È la legge del levirato (Dt 25,5 ss): se uno muore senza discendenza, suo fratello ne sposa la moglie, per suscitargli posterità. Morire senza figli è una maledizione (cf Gdc 11,37 s; Gn 30,1 ss; 1Sam 1,6 ss). La generazione è una protesta contro la morte, una sopravvivenza della “specie” - vittoria illusoria, perché non fa che accrescere il numero dei mortali! Uno però ha almeno la soddisfazione di perpetuare il suo nome nei figli, nella speranza di veder compiuta in loro la promessa di Dio. La legge del levirato era inoltre molto importante per regolare l’eredità terriera. Cosa tutt’altro che trascurabile per i sadducei, nobili e ricchi.

v. 20 ss C’erano sette fratelli, ecc. Si narra questo caso per mostrare l’assurdità della risurrezione e metterla in ridicolo. Inoltre se ci fosse non varrebbe più la legge della monogamia, istituita nella creazione (Gn 2,18-24).

v. 24 vi ingannate. Chi non crede alla vita personale futura, resa possibile dalla risurrezione dei corpi, si inganna. Ignora chi è Dio e chi è lui per Dio.

non conoscete le Scritture. La sua identità di Padre e la nostra di figli ci è testimoniata in tutte le Scritture, non solo nel Pentateuco. La rivelazione è stata progressiva, adattata alla nostra capacità di intendere. Proprio all fine c’è il vino migliore (Gv 2,10).

né la potenza di Dio. Dio è amore più forte della morte, più tenace degli inferi (Ct 8,6). La sua fedeltà non può venir meno: dura in eterno (Sal 117,2). Se io, con la morte, vengo meno, a lui non resta che ridarmi vita. “Riconoscerete che io sono il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri” (Ez 37,13). Infatti ha creato tutto per l’esistenza, perché è un Dio amante della vita (Sap 1,14; 11,26).

v. 25 Quando risorgano dai morti, ecc. Qui Gesù parla della possibilità della risurrezione, mostrando l’infondatezza dell’obiezione dei sadducei. Essi pensano che sia un ritorno alla vita precedente, mentre si tratta di una nuova creazione, in cui l’immagine cede il posto alla realtà. Il rapporto donna/uomo nel matrimonio è immagine del rapporto uomo/Dio. Lui è lo sposo. La nostra unione con lui è la vita eterna, un destino di gloria che neanche osiamo immaginare.

v. 26 Io sono il Dio di Abramo, ecc. Qui Gesù mostra la realtà della risurrezione proprio attraverso Mosè, la cui autorità è riconosciuta anche dai sadducei. Si rifà all’esperienza del roveto ardente, dove Dio si definisce come il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (Es 3,1 ss). Un Dio che appartiene a loro, a cui loro appartengono.

v. 27 Non è un Dio dei morti, ma dei viventi. Questa è la più bella definizione di Dio, che risponde al nocciolo dell’esperienza biblica. Quindi, se lui è Dio dei nostri padri, che già sono morti, o è un Dio dei morti, il che contraddice la fede d’Israele, o i padri già morti devono conoscere in lui una vita oltre la morte.Come può il Dio vivente appartenere a loro se sono definitivamente morti? Una relazione cessa se scompare uno dei due termini! Se l’autore della vita è mio e io sono suo - e la morte c’è! - non può non esserci la risurrezione dai morti. È una deduzione esperienziale dall’amore di Dio e dalla sua fedeltà.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il luogo: l’atrio del tempio, dove Gesù passa gli ultimi giorni della

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sua vita, insegnandoci le cose ultime.3. Chiedo ciò che voglio: conoscere le Scritture e la potenza di Dio, per sostituire la morte con la risurrezione - unico orizzonte per una vita libera dalla paura e dall’egoismo.4. Traendone frutto, vedo, ascolto, e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: sadduceidiscendenzarisurrezionepromessa di Dio e sua potenzarisurrezione come appartenenza di Dio a noi e di noi a lui

4. Passi utili: Es 3,13-15; Dt 25,5-10; 2Mac 7; 12,43-45; Gb 19,25-27; Ez 37,1-14; Sal 16; 1Ts 4,13-18; 1Cor 15.

65. NON SEI LONTANO DAL REGNO DI DIO

(12,28-34)

28 E, venendo avanti, uno degli scribi,che li aveva uditi discutere, visto che aveva loro risposto bene, lo interrogò:Qual è il comandamento primo di tutti?29 Rispose Gesù:Il primo è:Ascolta, Israele,Signore è il Dio nostro, l’unico Signore;30 e amerai il Signore tuo Diocon tutto intero il tuo cuore, con tutta intera la tua vita, con tutta intera la tua mente, con tutta intera la tua forza.31 Il secondo è questo:Amerai il tuo prossimo come te stesso.Altro comandamento non c’è più grande di questi.32 E gli disse lo scriba:Bene, Maestro, con verità hai detto che egli è l’unico,e non ce n’è altri se non lui;33 e amarlocon tutto intero il cuore, con tutta intera l’intelligenza, e con tutta intera la forza, e amare il prossimo

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come se stesso,è meglio di tutti gli olocausti e i sacrifici.34 E Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente,gli disse:Non sei lontano dal regno di Dio.E nessuno osava più interrogarlo.

1. Messaggio nel contesto

“Non sei lontano dal regno di Dio", risponde Gesù allo scriba che ha capito il comandamento che sta a principio della legge. Non è lontano, ma, per entrarvi, gli manca una cosa: amare Gesù, il Signore che gli si è fatto vicino.Il brano conclude dicendo che nessuno più osava interrogarlo. Il nostro silenzio lo costringerà a provocarci perché lo interroghiamo, per capire chi è lui: è il Signore (brano seguente). Solo dopo la croce ci sarà uno - Giuseppe di Arimatea - che attendeva “il Regno” e “osò” “chiedere”. Ebbe in dono il corpo di Gesù (15,43 ss). Infatti solo lì sappiamo chi è il Signore: colui che per primo ci ha amati.La nostra vita è amare Dio e unirci a lui (cf Dt 30,20), diventando per grazia ciò che lui è per natura. L’amore per lui è via alla divinizzazione: uno diventa ciò che ama.Dio non solo è madre e padre, amore rispettivamente necessario che dà la vita e libero che non la soffoca; è anche sposo, al quale aderire formando con lui un’unità pur nella distinzione. Il nostro peccato fu ignorare questo amore, voltandogli le spalle. Gesù è venuto a portarcelo in ogni lontananza, fin sulla croce, perché ognuno possa vederlo e conoscere così le Scritture e la potenza del Dio dei viventi (cf brano precedente). Chi risponde a questo amore è passato dalla morte alla vita; chi non ama, rimane nella morte (1Gv 3, 14).

Gesù ha un solo potere: quello di donarsi in modo assoluto, proponendosi ed esponendosi fin sulla croce, in attesa di essere corrisposto.

Discepolo è chi riconosce e crede nell’amore che Dio ha per lui in Gesù (1Gv 4,16). Il Cantico dei Cantici svela la nostra verità: siamo la risposta alla proposta di Dio.

2. Lettura del testo

v. 28 uno degli scribi, visto che aveva risposto bene, lo interrogò. Non c’è polemica in questa domanda. C’è desiderio di conoscere è disponibilità ad ascoltare. L’unico pericolo è che il desiderio cessi prima di esser appagato.

il comandamento primo di tutti. La vita dell’uomo dipende dall’obbedienza alla parola di Dio (Dt 30,15 ss). Qui lo scriba chiede qual è il “primo” dei comandamenti. Cerca il loro criterio ispiratore e unificatore per non cadere in un legalismo vuoto, che frantuma l’esistenza.

v. 29 Ascolta, Israele, ecc. Gesù richiama lo “Shema” (Dt 6,4 ss), recitarsi nella preghiera del mattino e della sera. Prima del comando c’è “Ascolta Israele!”. Infatti è possibile amarlo solo nella misura in cui conosciamo il suo amore per noi, incredibile per chi non ascolta la parola che lo rivela.

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Signore è il Dio nostro, l’unico Signore. Il nostro amore non si rivolge a un idolo, ma all’unico Signore, pieno di maestà e degno di riverenza Egli ci ha creati e salvati, mostrandosi unico Signore e Signore nostro.

v. 30 amerai il Signore tuo Dio. Se non ce l’avesse comandato, non avremmo mai osato. Fa tenerezza un Dio che chiede: “Ascolta, per favore! Voglimi bene, perché io sono innamorato di te. Anzi, siccome non mi credi, te lo comando: amami!”.L’amore o trova o rende simili. Il suo per me l’ha fatto uomo, il mio per lui mi fa Dio. Amare significa lodare, riverire e servire. Lodare, il contrario di invidiare, è gioire del bene dell’amato; riverire è rispettarlo e tenerne conto per timore di perderlo; servire è mettergli a disposizione ciò che si ha, ciò che si fa e ciò che si è.Impariamo cos’è l’amore dal Signore stesso, che ha gioito del bene nostro più che del suo, ha stimato noi più di sé, e ha posto la propria vita a nostro servizio.Questo comando ci fa capire chi è lui: è colui che è da amare perché è l’amore. Se amare è il fine per cui siamo creati, il nostro peccato o fallimento (in ebraico hattat = fallire) è il non esserne capaci.

con tutto intero il tuo cuore. Il cuore è il centro da cui scaturisce ogni azione. Dio accetta di non essere amato, ma non di essere secondo. Non sarebbe Dio. Lui è il polo unico, in base a cui oriento ogni mia scelta; è l’assoluto che non voglio perdere, il primo e l’unico. il mio Signore. Nessun altro desidero all’infuori di lui, che solo sazia la mia fame.

con tutta intera la tua vita. Lui è il Signore di ciò che sono e di ciò che faccio; vale più della mia vita, che metto a suo servizio, come lui ha fatto con me.

con tutta intera la tua mente. L’amore è intelligente: ama conoscere per amare di più. L’intelligenza è come l’occhio del cuore. Non si può amare ciò che non si vede, come non si può non cercare di vedere chi si ama!

con tutta intera la tua forza. Tutto ciò che ho, qualità personali e mezzi esterni, è da usare tanto quanto serve ad amare lui. Amandolo così, mi realizzo pienamente, diventando simile a lui, che è tutto e solo amore in sé e per me.

v. 31 Il secondo è questo. L’amore per l’uomo non è in alternativa a quello per Dio. Ne scaturisce come l’acqua dalla fonte.Per questo è “secondo”. Non perché sia secondario, ma perché ogni amore deriva e scende dall’alto. Chi lo pone come primo scambia il rubinetto con la sorgente. E, se si stacca da questa, rimane senz’acqua.

Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18). La nostra capacità di amare è più grande di qualunque realtà creata; è infinita, perché fatta per Dio. Il prossimo non va amato in modo assoluto; sarebbe farne un dio, mentre è un uomo. Lo si carica di un peso che non può portare, e lo si distrugge. In genere lo si butta via, con delusione e odio, quando ci si accorge che è limitato.L’altro devo amarlo come me stesso, cioè come uno che realizza sé amando Dio. Quindi lo amo in verità solo se lo aiuto a diventare se stesso, raggiungendo il fine per cui è stato creato, che è appunto quello di amare Dio sopra ogni cosa.Per questo molto del cosiddetto amore, che schiavizza sé e l’altro, è una scimmia di Dio. È necessaria una lunga purificazione perché diventi amore.Ogni uomo è persona libera proprio perché in relazione diretta e unica con Dio. Per questo un amore possessivo - diretto ed esclusivo schiavizza e uccide (éros e thànatos: amore e morte), mentre l’amore vero libera e dà la vita (agápe e zoé).

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come te stesso. Amare se stessi perché amati da Dio è somma sapienza e principio di ogni buona azione. Come posso odiarmi se Dio mi ama; e come posso amare l’altro se odio me stesso?

Altro comandamento non c’è più grande di questi. “Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,10). Ogni altro comando ha in questo suo senso, e ne è un’espressione. Ciò che non viene dall’amore e non porta ad esso, non è volontà di Dio.

v. 32 egli è l’unico, ecc. Lo scriba risponde bene. Ma, come i1 ricco 10,17, non ha ancora capito che il Signore unico da amare è davanti lui.

v. 33 e amarlo, ecc. è meglio di tutti gli olocausti e i sacrifici. Lo scriba risponde ripetendo quella parola che è da ascoltare, ricordare e raccontare ai propri figli (Dt 6,6 ss). Come ogni ripetizione, è uguale solo parzialmente, con quelle dimenticanze, accentuazioni, variazioni o amplificazioni che possono essere indotte dalla nostra disattenzione o dallo Spirito di Dio. Qui lo scriba tralascia l’amore con tutta la vita (sarà proprio della povera vedova: v. 44), e aggiunge che questo è il vero culto (cf 1Sam 15,22; Os 6,6). Onorare Dio e santificare il suo nome infatti compiere la sua volontà, discernendo ciò che è buono, a lui gradito, perfetto. Questo è il culto spirituale (Rm 12,1s), che fa di noi la sua d mora. È da notare che il dialogo si svolge nell’atrio del tempio, luogo del culto e del sacrificio, del quale presto si dirà che verrà distrutto (13,1 ss)

v. 34 aveva risposto saggiamente. Questo scriba è il primo a cui Gesù riconosce la saggezza. Essa consiste nel capire non tante cose più o meno sottili, bensì ciò per cui siamo fatti.

Non sei lontano dal regno di Dio. Questa risposta inattesa attende un nuova domanda: “Perché? Cosa manca ancora?”. Al ricco, Gesù rispose che una sola cosa gli mancava per entrare nel Regno: lasciare ogni cosa per seguire lui (10,17-21). A questo scriba dice che non è lontano da Regno: è vicino e ci entrerà solo se oserà fino in fondo interrogarlo. Allora capirà l’amore di Dio per lui, e saprà amare come è amato.

nessuno osava più interrogarlo. Gesù vuole essere interrogato. Lui stesso, nel brano seguente, pone la domanda decisiva, suggerendo la risposta.Signore, tu vuoi essere interrogato da me, perché io impari da te cos’è l’amore e chi è il Signore. Se lo non oso chiedere, continua tu a interrogarmi, fino a quando io ti interrogherò. E tu istruiscimi (Gb 42,4).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando l’atrio del tempio, dove Gesù sta con i suoi.3. Chiedo ciò che voglio: Ti chiedo di entrare nel Regno, amandoti, perché tu sei il mio Signore. Ti chiedo di amarti come tu vuoi che io ti ami e di amare il prossimo come me stesso.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono e che fanno, fermandomi attentamente su ogni parola.

4. Passi utili: Dt 6,4-13; Lv 19,18; Sal 45, Cantico dei Cantici; Os 2,16-25; Ap 21-22.

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66. DAVIDE LO DICE SIGNORE, E COME È SUO FIGLIO?

(12,35-37)

35 E, rispondendo, Gesù diceva,insegnando nel tempio:Come dicono gli scribiche il Cristo è figlio di David?36 Lo stesso David disse nello Spirito Santo:Disse il Signore al mio Signore:Siedi alla mia destrafinché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi.37 David stesso lo dice Signore; e come è suo figlio?E la molta folla lo ascoltava volentieri.

1. Messaggio nel contesto

“Davide lo dice Signore, e come è suo figlio?”. Così Gesù interroga chi non osa più interrogarlo, per sollecitarlo a scoprire la sua identità.La prima parte del vangelo culminò nella domanda: “Ma voi chi dite che io sia?”. E Pietro lo riconobbe come il Cristo, figlio di David (8,29). La seconda culmina in questa, nella quale lui stesso suggerisce che il Cristo non solo è il figlio promesso, ma addirittura il Signore, colui che ha promesso, superiore a ogni attesa. Lo dirà chiaramente davanti al sinedrio (14,61 s) e lo capirà il centurione ai piedi della croce (15,39).Questo brano è un’unica interrogazione di Gesù, che conclude tutte le dispute. Non c’è che una risposta possibile, che si può dare o rifiutare: è quella della vedova, che dà tutta la sua vita (brano seguente). È quanto manca allo scriba per entrare nel Regno, dal quale non è lontano (brano precedente). Seguirà la parola sulla fine del mondo vecchio e l’inizio di quello nuovo (c.13), e la Parola per eccellenza, il racconto della sua passione/risurrezione (cc. 14-16), che legittima e provoca tale risposta.

Gesù, figlio di David secondo la carne, è Figlio di Dio secondo lo Spirito di risurrezione (Rm 1,3). È il Signore, che si è fatto mio fratello e mi ha mostrato tutto il suo amore perché lo possa riamare. Con la sua parola e la sua vita lui mi interroga.Siamo abituati a dire: “Gesù è il Signore”, e applichiamo a lui le nostre idee su Dio. Invertendo soggetto e predicato, dovremmo imparare a dire: “II Signore, che nessuno mai ha visto, è Gesù”, colui che mi ama e dà la vita per me che lo uccido.

Discepolo è chi, nella forza dello Spirito, riconosce, ama e segue il suo Signore nell’uomo Gesù, nella sua “carne”, come ce la tramanda il vangelo. E su di lui corregge tutte le sue idee (= idoli!) su Dio.In genere andiamo dietro non a lui, ma alle nostre fantasie che applichiamo a lui.

2. Lettura del testo

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v. 35 rispondendo, Gesù diceva, insegnando nel tempio. Siamo sempre nel tempio, di cui non resterà pietra su pietra (13,1 ss). Alla sua morte si spaccherà il velo, dietro cui si cela la Gloria, e anche la persona più lontana conoscerà il Signore (15,38 s). Ora suggerisce ciò che manca allo scriba, proponendo una domanda precisa su di sé. La risposta ad essa ci fa cristiani.

Come dicono gli scribi. Questo finale del c. 12 è tutto sugli scribi, che insegnano la parola di Dio. Gesù domanda com’è possibile che, come essi dicono, il messia sia il figlio di David, se David lo chiama Signore.Non c’è altra possibilità che riconoscerlo figlio di David secondo la carne e Figlio di Dio secondo lo Spirito (Rm 1,3). È la fede cristiana in Gesù, vero uomo e vero Dio, che nella sua umanità ci insegna la verità di Dio.

il Cristo è figlio di David. Gesù è il messia promesso a David come suo discendente (2Sam 7). Pietro l’ha riconosciuto (8,29) e la folla inneggiato (11,9 s). La cosa è vera, ma parziale nel contenuto e inesatta nel modo. Anche il cieco lo chiama figlio di David (10,46 ss), ma, per avere la fede che salva, dovrà essere guarito, per vederlo e seguirlo come colui che va a Gerusalemme a dare la vita.

v. 36 David disse nello Spirito Santo. “Nessuno può dire: il Signore è Gesù, se non sotto l’azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3). Come ha ispirato i profeti e tutti gli autori della Scrittura, così ispira il cuore di chi ascolta a riconoscere in lui il Signore.Gesù cita dal Sal 110 già allora letto in chiave messianica, che sarà ampiamente usato dalla Chiesa primitiva per celebrare la sua glorificazione pasquale (cf At 2,34 s; Eb 1,13; 1Cor 15,25).

Disse il Signore. È Dio, l’unico Signore.

al mio Signore. È il messia discendente di David, che lui riconosce come suo Signore.

Siedi alla mia destra. Il messia ha prerogative divine: sedere alla destra di Dio significa avere il suo stesso potere.

finché io ponga, ecc. Indica la vittoria finale dei Signore su tutti i suoi nemici. Ultimo nemico ad essere vinto sarà la morte, sconfitta nel giorno della sua risurrezione (cf 1Cor 15,25 s).

v. 37 David stesso lo dice Signore. Gesù esplicita il punto della questione: se David chiama Signore suo figlio, significa che questo è ben più che suo figlio. E chi sarà? David l’ha già profetato, nella forza dello Spirito: è il Signore.Chi risponde a questa domanda, conosce l’identità di Gesù e il suo “potere”, oggetto di questi capitoli finali.Intuiamo il mistero, nel quale lui stesso ci introduce; ma ancora non lo comprendiamo. Possiamo però, come il cieco di Gerico, gridare il suo nome e invocare il Figlio di David, che abbia misericordia di noi. Lui ci illuminerà. Appena lo seguiremo, nella carne di Gesù umiliata e glorificata, avremo la conoscenza del Signore. “Non scandalizziamoci del figlio di David, per non incontrare l’ira del Signore di David” (Agostino).

E la molta folla lo ascoltava volentieri. La parola vera diletta il cuore, attratto ad essa dalla “gioia della verità” (sant’Agostino). L’ascolto è il principio di tutto, ma non è tutto. O porta all’adorazione dell’unico Signore, o finisce nel grido: “Crocifiggilo! “ (15,13 s).Anche Erode ascoltava volentieri Giovanni (6,20). Ma alla fine, invece di obbedire alla sua parola, trovò più comodo tagliargli la gola.

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3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il tempio, dove Gesù passeggia e insegna per l’ultima volta la verità ultima.3. Chiedo ciò che voglio: il suo Spirito, per riconoscere in lui che va in croce il mio Dio e Signore.4. Medito su chi è Gesù per me. È solo il Cristo, oggetto delle mie speranze? Accetto la sua povertà, umiliazione e umiltà fino alla croce? È il mio Signore? Riconosco nella sua debolezza, nel suo amore e servizio, il vero volto di Dio, il senso della mia vita, colui che mi ama e amo con tutto il cuore?

4. Passi utili: 2Sam 7,5-17; Sal 110; Rm 1,1-3; 1Cor 12,3; Ef 1,3-23; Col 1,13-20; Ap 5,9-14.

67. DALLA SUA MISERIA GETTÒ QUANTO AVEVA, TUTTA INTERA LA SUA VITA

(12,38-44)

38 E nel suo insegnamento diceva:Guardatevi dagli scribi,che amano andare in giro in lunghe vesti,39 e saluti sulle piazze,e primi posti nelle sinagoghe,e i primi divani nei banchetti,40 i quali divorano le case delle vedove,e per ostentazione pregano a lungo.Costoro si prenderanno più grave condanna.41 E, seduto davanti al gazofilacio,osservava come la folla getta monete nel gazofilacio; e molti ricchi gettavano molto.42 E, venendo, sola una vedovapoveragettò due spiccioli,che fanno un quadrante.43 E, chiamati innanzi i suoi discepoli,disse loro:Amen vi dico:Questa povera vedova ha gettato più di tutti quelli che gettano nel gazofilacio.44 Infatti tutti gettarono dal loro superfluo.Ma costei, dalla sua miseria, gettò tutto quanto aveva, tutta intera la sua vita.

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1. Messaggio nel contesto

“Dalla sua miseria getto quanto aveva, tutta intera la sua vita”, dice Gesù della vedova.Ormai sta per andarsene, ma ci lascia in eredità un maestro discreto, che continua in silenzio la sua lezione. Chi ha orecchio per intendere, intenda.Il brano è un contrappunto: bisogna guardarsi dagli scribi, i falsi maestri che tanto amiamo, e guardare alla vedova, vero maestro che preferiamo ignorare. I primi hanno il culto della propria immagine: amano con tutto il cuore se stessi, e si servono di tutto e di tutti, anche del Signore e della sua parola per primeggiare. Sono il prototipo riuscito del peccato fondamentale che è nel cuore di ogni uomo: il protagonismo, che mette l’io al posto di Dio.La povera vedova, invece, sola e inosservata, povera e umile, “getta” tutta la sua vita: è come Gesù, che si è fatto ultimo di tutti, e ha messo la sua vita a servizio di tutti. Ha il suo stesso Spirito, è il vangelo vivo, in cui possiamo sempre vedere il volto del nostro maestro. Da lei si diffonde il buon profumo di Cristo, per la vita del mondo (cf 2Cor 2,14).La prima azione prodigiosa di Gesù fu la guarigione della suocera di Pietro, perché potesse servire (1,29-31). L’ultima sua istruzione prima del discorso escatologico, quasi il suo testamento, è indicarci questa vedova. Senza che lei lo sappia, Gesù la mette in cattedra al posto suo, perché prolunghi nel tempo la sua presenza.Essa dà tutto per il tempio, che presto verrà distrutto (c. 13). Il tempio in realtà è Gesù stesso, che interpreta il suo gesto come risposta concreta alla sua ultima domanda. Lui è il Signore; la fede è riconoscerlo come tale, amandolo con tutta la vita (v. 30), perché lui per primo mi ha amato con tutta la sua vita. Ma tale risposta può maturare solo sull’albero della croce. Questa vedova ne è come il frutto anticipato. Il fico sterile e secco comincia a dare le sue primizie.

Gesù ci indica il modo di riconoscerlo Signore e rispondere alla sua domanda precedente: come questa vedova getta nel tesoro del tempio tutto ciò che ha, così noi gettiamo e affidiamo a lui la nostra vita.

Il discepolo è rappresentato da questa donna, che agisce come il suo Signore, facendo per lui quanto lui ha fatto per lei. È il compimento perfetto del vangelo (cf 14,3-9).

2. Lettura del testo

v. 38 Guardatevi da. Gesù ci dice di guardarci con orrore da ciò che guardiamo con ammirazione.

gli scribi. Sono gli esperti della Scrittura, che era anche codice di diritto. Erano quindi teologi e avvocati. Professione magra la prima, ma certamente ben rimunerata la seconda!

amano. Il loro amore non è per Dio, ma per il proprio io, per il quale bramano quanto ritengono desiderabile.

lunghe vesti. Amano abiti belli e costosi, da festa, non da lavoro. L’abito è il modo primo per distinguersi agli occhi di tutti. Copre il corpo, dandogli l’apparenza desiderata.

v.39 saluti sulle piazze. Amano la stima e la riverenza altrui.

primi posti nelle sinagoghe. Amano essere primi davanti a Dio.

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primi divani nei banchetti. Amano essere primi davanti agli uomini. Essere il “primo “, il “più grande”, è il protagonismo, origine di tutti i peccati (cf 9,34; 10,35 ss). Gli altri, e Dio stesso, sono ridotti a proprio piedistallo.

v. 40 divorano le case delle vedove. Oltre l’apparire e il potere, amano l’avere, procacciato con furto e senza scrupoli. Mediante i soldi si ottiene tutto il resto. La vedova non ha il marito che la protegge. Debole ed esposta, è di nessuno. Per questo è di Dio, che ne prende le difese. Gli scribi, in quanto esperti della legge, dovrebbero difenderla a suo nome.La casa in Marco è figura della Chiesa, e la stessa vedova rappresenta la comunità dei discepoli, quando le sarà tolto lo Sposo (2,20). Questi scribi rappresentano quindi ciascuno di noi, nel nostro aspetto di mondanità, che distrugge la Chiesa.

v. 41 seduto. È la posizione del maestro che insegna.

davanti al gazofilacio. È il tesoro del tempio, che sarà distrutto. Aveva tredici casse, in cui si mettevano i tributi e le offerte. Un sacerdote controllava la validità della moneta e ne dichiarava ad alta voce l’entità.

osservava. Nulla sfugge al suo sguardo, che non guarda le apparenze, ma vede il cuore (1Sam 16,7).

come la folla getta. In questo brano esce sette volte la parola “gettare”. Ci sono però due modi di gettare: uno che vale secondo gli uomini e l’altro secondo Dio.

molti ricchi gettavano molto. Secondo gli uomini i ricchi gettano molto; secondo Dio poco, perché danno dei superfluo, e per farsi vedere.

v. 42 sola una vedova. Tra i tanti, il suo sguardo nota questa vedova.

povera. In greco c’è “pitocca”. Il cieco di Gerico è mendicante, chiede l’elemosina (10,40). Questa invece non chiede; nella sua povertà, è in grado di dare.

gettò due spiccioli. Sottolinea che erano due, perché poteva darne solo uno e tenersi l’altro. Gesù sa che è tutto quanto ha.

che fanno un quadrante. È una moneta di circa 3 gr. di bronzo - un valore minimo.

v. 43 chiamati innanzi i discepoli. È l’ultima chiamata per i discepoli. Anche la precedente fu per un’istruzione sull’umiltà (10,42). Il maestro, che ormai sta per lasciarli, resta seduto, e insegna chi guardare al suo posto. Li chiama ad osservare ciò che neanche hanno visto, e che comunque ritengono di poco conto.

Amen, vi dico. L’affermazione è solenne, con l’autorità di Dio che parla in prima persona.

Questa povera vedova ha gettato più di tutti. Nel giudizio di Dio i primi sono gli ultimi e gli ultimi i primi (10,31).

v. 44 tutti gettarono del loro superfluo. Quando uno si è garantito tutto, dà a Dio gli avanzi, per aver vantaggio anche da questi. Certo non è questo il modo di riconoscerlo come Signore. È ridurlo a un idolo (cf Is 44,9-20).

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costei, dalla sua miseria. La parola greca indica “essere all’ultimo posto”. Anche il Signore si è fatto ultimo, per farci ricchi: “Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Cor 8,9).

gettò tutto quanto aveva. A differenza del giovane ricco (10,21 s) e come il cieco che buttò il mantello (10,50), essa getta via tutto.

tutta intera la sua vita. È la risposta piena dell’uomo al Figlio dell’uomo. Così lo riconosce come Signore, e adempie al primo comando: amarlo con tutta la vita (v. 30). Questo è l’unico modo di entrare nel Regno, che è dei poveri e dei piccoli.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il luogo dove Gesù, davanti al tesoro del tempio, guarda chi fa le sue offerte.3. Chiedo ciò che voglio: riconoscere Gesù come mio Signore, offrendogli me stesso e la mia vita.4. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: guardatevi dagli scribicosa fanno secondo Gesù molti ricchi gettavano molto solo una vedova povera gettò due spiccioli gettò quanto aveva, tutta intera la sua vita.

4. Passi utili: 1Re 17,9-16; 2Re 4,1-7; Sal 138; 146; 1Cor 1,26-3 l; 2Cor 8,9.

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68. NON SARÀ LASCIATA QUI PIETRA SU PIETRA

(13,1-2)

131 E uscendo egli dal tempio,gli dice uno dei suoi discepoli:Maestro,guarda che pietre e che costruzioni!2 E Gesù gli disse:Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietrache non sia distrutta!

1 . Messaggio nel contesto

“Non sarà lasciata qui pietra su pietra”, dice Gesù del tempio, la cui stabilità, bellezza e grandezza, suscitano l’ammirazione di chiunque lo veda. La fine del tempio significa la fine del mondo, figura della morte e risurrezione di Gesù (cc. 14-16).L’uomo è l’unico animale che sa di avere una fine. Cosciente della propria morte, cerca di sapere quando sarà; ne spia i segni, nell’illusione di controllarla. Ma proprio così, invece di scansarla o allontanarla, si fa sua preda anticipata. Cade sotto il suo dominio dispotico, ipnotizzato e soggiogato dalla paura.La gazzella pascola tranquilla tenendo sott’occhio il leone. È più veloce di lui! Ma chi corre più veloce del tempo che va e della morte che viene?Il vangelo non soddisfa il nostro prurito di curiosare circa il futuro. Non vuole alimentare la nostra ansia, ma vincerla con la fiducia. Con la croce è già venuta la fine del mondo vecchio e il principio di quello nuovo. Ciò che è avvenuto al Signore, è quanto avviene e avverrà a ciascuno di noi e a tutta la storia.Il c. 13 non intende fare previsioni catastrofiche e ineluttabili. Alla luce della storia di Gesù, vuol farci leggere il nostro presente per viverlo con responsabilità e determinare così il nostro futuro, che dipende appunto da ciò che facciamo ora.Il discorso “escatologico”, molto unitario, parla del “compimento finale” (v. 4) che sfocia nella venuta del Figlio dell’uomo nella sua gloria (v.26). Questo compimento e questa venuta può e deve essere letto a tre livelli: uno passato, uno futuro e uno presente. Quello passato ci serve per leggere con fede il presente, e quello futuro per viverlo con speranza. Ciò che conta è il presente, come luogo della fedeltà al Signore.Questo discorso, più che dirci le ultime cose che avverranno, ci svela il senso ultimo delle cose che avvengono. Gran parte di esso parla di guerre, carestie e terremoti. Non sono che gli ingredienti della nostra storia posta sotto il segno del peccato. È qui che viviamo la sua stessa pasqua! I rantoli del vecchio mondo che agonizza, sono anche le doglie del parto del mondo nuovo che nasce.Le parole che qui Gesù dice si sono avverate nella sua epoca e si avverano in ogni epoca. Per questo l’evangelista dice: “Chi legge, capisca!” (v. 14). Infatti la storia del Figlio dell’uomo rivela il mistero dell’uomo e del cosmo: in lui è il destino di tutto e di tutti.Nella prima comunità era molto vivo il desiderio del suo ritorno glorioso. È l’anelito di ogni credente, come è il gemito di tutta la creazione (Rm 8,22).

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Ma c’era anche il pericolo di falsi allarmismi e facili inganni, con la tentazione di abdicare alle responsabilità presenti. L’ansia struggente per la meta rischiava di mozzare il fiato e tagliare le gambe per il cammino.Un fanatismo disimpegnato ed alienante poteva fare da surrogato alla sequela di lui nella vita concreta. Per questo il discorso è una doccia fredda contro un’attesa febbrile ma vuota, che si accende per ogni novità e si rimpinza di ogni curiosità; ma è anche un richiamo a un’attesa appassionata e operante, con gli occhi aperti sul presente.Noi non attendiamo con lo stesso fervore. Forse non attendiamo più nulla. Il nostro mondo si è addirittura dimenticato di avere un futuro - e quale!Pensiamo che non ci sia un fine positivo per tutta la nostra vicenda umana. Questo vuoto angosciante di memoria e di speranza è causa del proliferare di tante sette che parlano della fine del mondo - con date e scadenze puntualmente smentite. Infatti l’uomo, senza futuro, non può vivere; è già morto. Bisogna riprendere in tutto il suo vigore il messaggio escatologico di Gesù, per ridare alla nostra vita asfittica il respiro della speranza. Altrimenti ci si inventa speranze fasulle. Senza mete non si cammina.Tutto il discorso di Gesù ridireziona le domande allarmate dei discepoli circa il “quando” e “quali segni” della fine dei mondo, dicendo “quale” è il fine e “come” vivere ora.La fine del tempio, presagio della fine di tutto, è iscritta nella finitezza di tutto ciò che esiste all’infuori di Dio; il modo tragico in cui tutto finisce, è conseguenza del nostro peccato. Gesù crocifisso dà al tutto un significato positivo, nuovo per noi, ma da sempre nascosto in Dio.Nel c. 13 ci si dice il senso profondo della realtà: la verità definitiva verso cui cammina è la stessa che si è rivelata nel Signore morto e risorto (cc. 14-16).A qualcuno il tono del discorso può sembrare un po’ eccessivo. Ma la verità non è sempre paradossale, al di là di ogni opinione corrente?

Gesù è il tempio distrutto e riedificato in tre giorni (14,58; 15,29.38.39).

Il discepolo sa che c’è una fine: la morte. Ma sa anche che c’è un fine: la risurrezione. Questo illumina tutto del suo vero senso, infondendogli una fiducia costruttiva.A differenza di chi ha ideologie positive o negative, egli né si illude, né si delude. Gli altri sono ottimisti o pessimisti; lui è realista, perché ha speranza.

2. Lettura del testo

v. 1 uscendo egli dal tempio. Presso tutti i popoli il tempio rappresenta l’ombelico del mondo, il centro vitale attorno a cui cresce e si organizza lo spazio e il tempo, l’urbanistica e il calendario, tutta l’attività con la sua fatica e il suo riposo, con la sua pena quotidiana e la sua gioia festiva. È il luogo sacro, separato da tutto, da cui tutto riceve senso e verso cui tutto tende.Per Israele era il luogo della “legge” e della “Gloria”; lì stava l’ordinamento eterno che proviene dal caos e l’abitazione di Dio in mezzo al suo popolo. Andare al tempio è presentarsi davanti al Volto, di cui si è immagine e somiglianza. Il pellegrinaggio è raggiungere il proprio volto, trovare la patria del proprio desiderio, entrare in comunione con la propria vita.Per il cristiano il tempio è innanzitutto Gesù, “in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). È poi la stessa comunità, le cui persone sono “pietre vive per un edificio spirituale” (1Pt 2,5). È infine il cuore di ogni credente, dove dimora “l’uomo nascosto” (1Pt 3,4), Gesù Cristo, l’uomo interiore che abita per la fede nei nostri cuori (Ef 3,16s). Per questo la nostra preghiera è “in” Gesù, e avviene nel nostro cuore. Questo è il nuovo tempio, dimora dello Spirito, in cui si adora Dio in spirito e verità (Gv 4,24).Gesù che esce è la Gloria che abbandona il suo tempio (Ez 10, 18-22).

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uno dei suoi discepoli. È un discepolo anonimo, che ha il nome di ogni discepolo.

che pietre e che costruzioni. Si diceva che chi non ha visto il tempio, non ha mai visto un edificio splendido. È il tempio grandioso, iniziato da Erode nel 19 a.C. , per la cui costruzione vennero impiegati 100.000 uomini e 1.000 sacerdoti muratori per i lavori interni. Ancora in via di costruzione e di abbellimento ai tempi di Gesù, sarà terminato solo sei anni prima della distruzione, avvenuta nel 70 d.C.Il discepolo è affascinato dal dettaglio (che pietre) e dall’insieme (che costruzioni). Il tempio è fascinoso, bello e grande; ha le caratteristiche dell’idolo, che sarà frantumato da un sassolino (Dn 2,31-35).Infatti, a causa del peccato, nel tempio si cela una profonda ambiguità, tipica di ogni religione: la pretesa di possedere Dio e averlo disponibile, riducendolo a soddisfazione del proprio bisogno di sicurezza. Si veda la denuncia, scandalosa non solo per i contemporanei, che ne fa Geremia 7,1-15; 26,1 ss.

v. 2 Non sarà lasciata qui pietra su pietra. Del tempio non sarà lasciata pietra su pietra, perché il nostro peccato ne ha fatto la peggior torre di Babele: visibilizza il nostro tentativo di toccare il cielo, e di assicurarci una potenza illimitata, servendoci anche di Dio (cf Gn 11,4-6).La profezia della sua distruzione non è una novità (cf Ger 7,1-15; 26,6). Avrà un ruolo decisivo nel processo contro Gesù (14,58) e sarà argomento di irrisione ai piedi della croce (15,29).La fine del tempio è la fine del mondo: si rompe l’asse cosmico, e tutto regredisce nel caos. Così l’intendono i discepoli, dando a Gesù l’occasione del suo lungo discorso sulla fine del mondo.La maledizione del tempio - la stessa dell’uomo, peccatore eppure gloria di Dio - sarà portata da Cristo, vero tempio distrutto e riedificato in tre giorni.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il tempio. da cui Gesù esce coi suoi discepoli.3. Chiedo a Gesù di capire il motivo della fine di tutto e della mia morte alla luce del suo mistero di morte e risurrezione.

Considerare: Il significato del tempio con la sua bellezza e la sua ambiguità.Gesù che ne esce e lo abbandona: sarà distrutto come il suo corpo.Il nuovo tempio dove si adora Dio in spirito e verità.

4. Passi utili: Ger 7,1-15; 1Sam 4,1-11; 1Re 9,4-9; Sal 84; 1Cor 6,19; 1Pt 2,4 s. 3,4; Ap 21,22s.

69. GUARDATE CHE NESSUNO VI INGANNI

(13,3-23)

3 E sedendo egli sul monte degli Ulivi,di fronte al tempio,lo interrogava in disparte Pietro

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e Giacomo e Giovanni e Andrea:4 Di’ a noi quandosaranno queste cose,e quale il segnoquando staranno per compiersi tutte queste cose?5 Ora Gesù cominciò a dire loro:Guardate che nessuno vi inganni.6 Molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono;e inganneranno molti.7 Ma quando ascolteretedi guerre e rumori di guerre,non spaventatevi.Bisogna che avvengano,ma non è ancora la fine.8 Infatti si leverà nazione contro nazione e regno contro regno;vi saranno terremoti qua e là,vi saranno carestie.Principio di doglie è questo!9 Guardate a voi stessi:vi consegneranno a sinedri,e sarete percossi in sinagoghe,e comparirete davanti a governanti e re per causa mia,in testimonianza per loro.10 E prima bisogna che il vangelosia annunciato a tutte le nazioni.11 E quando vi conducono per consegnarvi,non preoccupatevi cosa direte;ma quanto vi sarà dato in quell’ora,questo dite;infatti non siete voi a parlarema lo Spirito Santo.12, E il fratello consegnerà a morte il fratelloe il padre il figlio,e insorgeranno figli contro genitorie li uccideranno.13 E sarete odiati da tuttia causa del mio nome.Ma chi resisterà sino alla fine,questi sarà salvato.14 Ma quando vedretel’abominio della desolazionestare dove non bisogna- chi legge comprenda! -15 allora quelli in Giudeafuggano sui monti,e chi è sul terrazzonon scenda e non entria prendere qualcosa dalla sua casa,

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16 e chi è nel camponon torni indietroa prendere il suo mantello.17 Ahimè per le donne gravidee per le lattanti in quel giorni.18 Ma pregate che non sia d’inverno.19 Quei giorni infatti saranno afflizione,quale non fu simile dal principio della creazione che Dio creò,fino ad ora,e non sarà più.20 E se il Signore non accorciasse i giorni,non sarebbe salva nessuna carne.Ma per gli eletti che ha elettoaccorciò i giorni.21 E se allora uno vi dica:Ecco qui il Cristo!Ecco là!continuate a non credere!22 Infatti si leveranno falsi cristi e falsi profeti, e daranno segni e prodigia fine d’ingannare, se possibile, gli eletti.23 Ma voi guardate:a voi ho predetto tutto!

1. Messaggio nel contesto

Guardate che nessuno vi inganni”, dice Gesù al suoi discepoli circa il quando e i segni della fine del mondo.Sia per la prima generazione cristiana, che vide la guerra giudaica, sia per la seconda, che vide la persecuzione dei discepoli a Roma, sia per tutte le successive, è facile cadere nella tentazione di leggere i propri mali come segno della catastrofe imminente.Gesù ha appena parlato della distruzione del tempio. I discepoli pensano che sia anche la fine del mondo, e domandano “quando” e “quale segno” del “compimento di tutto”.Gesù li esorta a sostituire l’allarmismo col discernimento. Invece di preoccuparsi del futuro, devono occuparsi del presente, in fedeltà operosa alla sua parola.È inutile speculare: nessuna risposta teorica muta il dato di fatto sicuro. La finitezza del tutto s’impone. Ma proprio questa può essere vissuta da noi o come angoscia mortale, o come dipendenza filiale da Dio.Tra l’altro la fine del mondo non è prevedibile da nessun segno; non è in continuità con gli eventi storici, perché costituisce una rottura definitiva. Non possiamo prevedere neanche la nostra morte. Quand’anche ci riuscissimo, non avremmo ottenuto altro che anticiparla a causa della paura!I mali che accadono, e che noi stessi facciamo, fanno parte della nostra storia dopo il peccato. Ma proprio questa è da leggere ormai come luogo di salvezza, alla luce del Signore morto e risorto.Il cristiano è contro l’alienazione, sia quella religiosa che quella laica. Non si rifugia in una speranza celeste incontaminata dalle vicende terrestri, sognando un futuro bello che gli faccia dimenticare il presente brutto; neanche evade nell’illusione di un mondo felice, cadendo nella negazione del male, ritenendolo un semplice gradino inferiore nell’evoluzione ascendente della natura, della specie, della classe operaia o altro. Sa che il male è male, e, per sé, non ne viene alcun bene. Vive tutto lo spessore e il peso di una realtà di peccato. Ma sa che in essa è presente il suo

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Signore crocifisso. Si fa quindi sua memoria vivente, incarnandolo nella propria vita. Unito a lui, partecipa e prolunga in sé la sua stessa vicenda di morte salvifica.Il limite e il negativo - che conosce come gli altri e riconosce meglio degli altri - non ha per lui l’incanto fatale della fine che ipnotizza, rendendo tutta la vita una mimesi della morte. Lo assume nella forza della risurrezione, che permette di vivere il presente con intelligenza disincantata e volontà decisa, con libertà responsabile e fedeltà operosa nei confronti del Signore, che per primo ha percorso lo stesso cammino. Egli, entrato nel nostro medesimo tunnel, ha sfondato il muro che ci separava dalla vita e ci relegava nella paura della morte.La storia presente - è sempre e solo presente quello che possiamo vivere! - non è da vedere con le lenti nere delle nostre paure, ma con l’occhio limpido della parola di Dio. Questa ci fa scorgere come nel nostro male, che è indubitabile, si opera la salvezza di Dio.Per questo Gesù vuol bandire tutte le apprensioni, infondendoci fiducia e coraggio.La struttura del brano evidenzia questo intento, racchiusa com’è tra due messe in guardia contro ingannatori e allarmisti (vv. 5-6.21-23). Infatti la paura deresponsabilizza e cerca le sue conferme in ciarlatani e falsi profeti che pascolano di risposte immediate ogni bocca beante in domande ansiose.C’è poi la descrizione degli ingredienti normali della storia: guerre, terremoti e carestie (vv.7-8). Conseguenza del peccato e prodromi di morte, sono il segno che il mondo finisce; ma non sono la fine, bensì l’inizio delle doglie, parto del mondo nuovo!Al centro c’è la descrizione del discepolo (vv. 9-13). La sua persecuzione, insignificante per chi la fa e scoraggiante per lui che la subisce, è in realtà il vero segno della fine del male. Egli, testimoniando a tutti l’evangelo, è la creatura nuova, che vive ciò che annuncia, partecipando della lotta e della vittoria del suo Signore.Segue la descrizione misteriosa di un male abominevole (vv,. 14-20), che sembra preludere il ritorno del Signore. È la grande afflizione che bisogna attraversare, ma non è ancora la fine.Il discorso conclude infine, come già detto, mettendo in guardia contro i falsi Cristi (= salvatori) e profeti (vv. 21-23). L’unico salvatore è il Signore Gesù, che ha anche “predetto tutto” (v. 23) ciò che ci serve sapere. La nostra profezia è il “ricordo” di quanto lui ha fatto e detto.Gesù è venuto, viene e verrà; era, è e sarà. Viene al presente e verrà nel futuro come già è venuto nel passato; è e sarà ciò che era e si è manifestato a noi nella sua carne. Dal suo passato - unica profezia! - abbiamo il parametro per vivere il presente e conoscere il futuro.Quanti parlano della fine del mondo promettono ai loro discepoli di scampare dai mali che incombono. È una menzogna, perché tutti viviamo la stessa realtà. Gesù invece insegna come viverla positivamente, promettendo ai suoi di associarli alla sua stessa sofferenza redentrice. E questa è una promessa divina.

Gesù è il rivelatore completo, la cui storia contiene ogni storia e tutta la storia. Il suo passato ci dice il nostro futuro e ci fa capire il nostro presente come il momento della testimonianza.

Il discepolo sa che il mondo è posto nel male. Non si stupisce né si allarma, e lo legge come luogo in cui testimoniare il suo Signore.

2. Lettura del testo

v. 3 sedendo di fronte al tempio. Seduto in atteggiamento da maestro, Gesù sta davanti al tempio, di cui ha appena predetto la distruzione.

v. 4 quando saranno queste cose. L’uomo sa “che” deve finire, lui e il suo mondo, ma ignora “quando”. Chi pretende di soddisfare questa curiosità, trova subito uditorio. Ha meno fortuna chi, invece di predire il futuro, cerca di far capire il senso del presente.

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quale il segno. In tutto ciò che vede l’uomo spia il segno per presagire quando arriva il nemico che teme, nell’illusoria pretesa di controllarlo. Ma proprio così cade sotto il suo sguardo pietrificante.

staranno per compiersi queste cose (Dn 12,7 LXX). La distruzione del tempio e la fine del mondo non sono un’abdicazione di Dio nel governo del mondo; entrano invece nel “compimento” del suo piano. Gesù insisterà su questo aspetto, trascurando i segni e il quando. Staccherà anzi il quando della fine da ogni speculazione sui segni. A lui sta a cuore che il discepolo sappia non quando deve morire, ma come deve vivere.

v. 5 Guardate che nessuno vi inganni. È il ritornello di tutto il discorso. È ingannatore chiunque parla del quando e interpreta i segni in tale senso. Infatti ottiene solo l’effetto di terrorizzare l’uomo, piegandone così la libertà a ogni suo arbitrio e fanatismo.

v. 6 Molti verranno nel mio nome. Gli ingannatori sono “molti” e si presentano nel “nome” di Gesù. Ma sono falsi, anche se forse in buona fede, perché dicono ciò che lui non ha mai detto, anzi ciò che espressamente ha detto di ignorare (v. 32)!

lo sono (cf 6,45; 14,62). È una dichiarazione di identità, o addirittura una pretesa superiore, divina (Io Sono = JHWH)?

inganneranno molti. Molti gli ingannatori e molti gli ingannati, che vivranno il presente in sudditanza alla morte invece che al Signore della vita.

v. 7 guerre e rumore di guerre. È la manifestazione del peccato. La rottura col Padre porta necessariamente al conflitto tra i fratelli. Qui si parla della guerra giudaica; ma ogni epoca e ogni popolo ha purtroppo la sua !

non spaventatevi. La paura non è rimedio, sua scintilla che accende e legno che alimenta il male. Il discepolo non ne è terrorizzato o scoraggiato: sa che lo si vince col bene (Rm 12,21).

Bisogna che avvengano. Il male “bisogna” che avvenga, come la croce di Gesù (8,31; 9,12). Dato che c’è, non può non venire a suppurazione. “A peste, fame et bello, libera nos Domine!”.Il male siamo noi a farlo. La punizione non viene da Dio, ma è interna al male stesso come sua conseguenza, e serve da lezione positiva al bene. Se mi do una martellata in testa, sento dolore; e ciò mi fa capire di smettere. La nostra esperienza però ci dice che non siamo liberi di non farci male.Possiamo però scegliere se chiedere a Dio la forza di smettere, oppure usare la mano sinistra per prendere un analgesico, continuando con la destra a darci martellate.

ma non è ancora la fine. Gesù dissocia la fine del mondo dalla guerra giudaica, come da ogni guerra in corso. Anche se noi oggi possiamo distruggere il mondo, la fine sarà solo quando l’avrà stabilito la “pazienza” di Dio, “che non vuole che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,10). Infatti “vuole che tutti gli uomini siano salvati, e arrivino alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4).

v. 8 nazione contro nazione. È una situazione di guerra generale. Il male imperversa dappertutto. Non c’è pace in nessun luogo.

terremoti. È come se la terra si ribellasse all’uomo, scuotendoselo di dosso.

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carestie. Sono conseguenza delle guerre e dei terremoti, ma anche della siccità. Pure il cielo si ribella alla terra, che si ribella all’uomo, che si ribella al fratello perché si è ribellato al Padre! Lo staccarsi da Dio è l’inizio della caduta nel caos.

principio di doglie. Gesù non dice che è la fine, bensì “principio”; e non parla di dolore, bensì “doglie”. La stessa realtà ha contemporaneamente due letture opposte: sofferenze di morte e travaglio del parto. La fine dell’uomo vecchio è anche nascita di quello nuovo.Probabilmente la guerra giudaica, esplosa nel 66 d.C. , faceva presagire ai cristiani l’imminente ritorno del Signore. Con queste parole si vuole far intendere che siamo solo al “principio” delle doglie. Prima della nascita della nuova creatura, l’uomo perfetto, secondo la statura piena di Cristo (Ef 4,13), c’è di mezzo un lungo travaglio, che è quello di tutta la storia, che non finirà prima che Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28).

v. 9 Guardate a voi stessi. Dagli eventi esterni l’attenzione si sposta ai discepoli.

vi consegneranno, ecc. Essi saranno esposti a persecuzione, come il loro Signore. Compiono nel loro corpo quello che ancora manca alla sua passione per la salvezza del mondo (Col 1,24). Gesù non promette loro altro privilegio che quello di essere simili a lui. Chi non fa il male, lo porta; e solo così lo vince. È il travaglio che genera l’uomo nuovo.

per causa mia (8,33; 10,29). Motivo della persecuzione è l’amore per Gesù e la fedeltà alla sua parola. “È una grazia, per chi conosce Dio, subire afflizioni, soffrendo ingiustamente” (1Pt 2,19).

in testimonianza per loro. La persecuzione non è sterile. È “martirio” (= testimonianza), prova d’amore davanti a tutti, seme fecondo che cade nella terra. Non distrugge il discepolo, ma lo costituisce tale, testimone del suo Signore.

v. 10 prima bisogna che il vangelo sia annunciato a tutte le nazioni. Il fine della storia è la conoscenza dell’amore del Padre da parte di tutti i suoi figli. È una necessità (“bisogna”) assoluta del piano di Dio. L’annuncio è l’opportunità per tutti di accettarlo. Per questo Marco ha anche scritto il suo vangelo.

v. 11 quando vi conducono per consegnarvi, ecc. Nelle persecuzioni non siamo soli e abbandonati. Siamo assistiti dal Consolatore, che ci consola in ogni nostra desolazione (2Cor 1,3). La sua gioia è la nostra forza per testimoniare Gesù: ci fa dire e fare ciò che noi non siamo in grado di dire e fare.

vv. 12s il fratello consegnerà a morte il fratello, ecc. (cf Mic 7,2-6). L’odio dei propri familiari è segno del caos assoluto: il disordine tocca il nido della vita, intaccandone la sorgente. Il peggio del male tocca al discepolo - come già prima al suo Signore, che sta al di sopra di ogni suo affetto e della stessa vita.

v. 13 chi resisterà sino alla fine, questi sarà salvato. Il tempo è più lungo del previsto, e l’angustia lo rende ancor più lungo. Per questo è necessaria la perseveranza, capace di farsi carico del male, senza abbandonarne il peso prima della fine.

v. 14 l’abominio della desolazione stare dove non bisogna (Dn 9,27; 12,11). Si allude al massimo male: l’idolo posto nel tempio. Ciò capita ogni qualvolta il male, prendendo il posto di Dio, ne assume le caratteristiche di necessità, totalità e assolutezza. Il peccato si consuma nel conferire a Dio le caratteristiche del male, o al male le caratteristiche di Dio.L’abominio della desolazione si compie sulla croce, dove Dio stesso si fa peccato e maledizione per noi.

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chi legge comprenda. Ognuno deve comprendere e vivere questo mistero di perdizione e di salvezza nella propria epoca. Cosciente che queste parole sulle cose ultime possano essere facilmente fraintese, Marco esorta chi legge a capire, per spiegare bene, senza indurre nessuno in errore.

vv. 15s allora fuggano sui monti, ecc. È una esortazione di Gesù alla prima comunità a lasciare Gerusalemme che sarà distrutta. In casi di guerra la città fortificata è il luogo più sicuro. Ma se cade, è una trappola mortale. Quando il male ha la pretesa di assolutezza, è bene fuggire dalla città degli uomini verso il monte, da dove verrà l’aiuto (Sal 121,1). Bisogna lasciarla, come Sodoma e Gomorra, senza volgersi indietro. Anche nelle persecuzioni è bene nascondersi, finché non è venuta l’ora della testimonianza.

v. 17 Ahimè per le donne gravide e per le lattanti. È la compassione di Gesù per chi genera la vita in tale situazione di morte. Inoltre le donne incinte e allattanti sono impedite nella fuga.

v. 18 non sia d’inverno. D’inverno piove e i fiumi si gonfiano, ostacolando la fuga. Con queste parole Gesù esorta i discepoli a fuggire da Gerusalemme a Pella, e Marco esorta i cristiani di Roma a sottrarsi alla persecuzione, per evitare il pericolo di compromettersi con la bestia.

v. 19 afflizione quale non fu simile dal principio della creazione, ecc. Sia la morte di Gesù che la distruzione di Gerusalemme che la testimonianza del discepolo sono la grande angustia, la porta stretta alla vita nuova.

v. 20 se il Signore non accorciasse, ecc. Il Signore desidera salvarci, e commisura sempre le prove sulle nostre forze (1Cor 10,13), abbreviandole per amore dei suoi discepoli perseguitati (gli eletti).

v. 21 Ecco qui il Cristo! Ecco là! In questa grande tribolazione il desiderio del suo ritorno si fa più intenso, ed è facile cadere nell’inganno di volerlo vedere qui o là. Invece non è ancora il suo ritorno, ma ciò che lo precede.

v. 22 si leveranno falsi cristi. Sono i falsi portatori di una salvezza che non passa attraverso la croce di Gesù e nostra. Sono gli anticristi, che non riconoscono “Gesù venuto nella carne”, ossia nella debolezza (1Gv 4,2). Oggi ce n’è tanti quante sono le ricette di salvezza.

falsi profeti. Sono quanti parlano di Gesù (v. 6), dicendo però ciò che lui non ha detto, ossia le scadenze sulla fine del mondo. Sono quelle persone religiose che, anche in buona fede, soddisfano le domande curiose, invece di richiamare alla fiducia e alla fedeltà al Signore.

segni e prodigi. Di miracoli e prodigi ingannatori ce ne sono tanti anche nella nostra epoca. Confondono la salute con la salvezza, distruggendo infine ambedue.

v. 23 Ma voi guardate. All’allarmismo, che sfocia in credulonerie poi sempre gabbate, Gesù contrappone il discernimento.

a voi ho predetto tutto. Il criterio del discernimento è quanto lui ha detto - nulla di più, nulla di meno. Egli è la Parola unica e totale del Padre: “Ascoltate lui” (9,7). La sua “carne” ci manifesta quel Dio che nessuno ha mai visto e altrove mai vedrà.La profezia è ricordo di lui, parola fatta carne e tornata parola per farsi nostra carne nell’ascolto.

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3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il monte degli Ulivi, dove Gesù con i quattro discepoli sta di fronte al tempio.3. Chiedo al Signore il discernimento, per vedere nel mali presenti la partecipazione alle sue sofferenze, in modo da aver parte alla sua gloria (cf Fil 3,10).4. Considerare: il pericolo di allarmismi e ingannatori sul quando e quali i segni (vv. 5-6.21-23); il senso delle guerre, dei terremoti, delle carestie e dell’abominio della desolazione (vv. 7- 8.14-20); il senso della testimonianza del discepolo che sta al cuore del discorso (vv. 9-13).

4. Passi utili: Gn 6-8; Sal 49; 1Ts 4,1-5,11; 2Ts 2,1-3,15.

70. ALLORA VEDRANNO IL FIGLIO DELL’UOMO VENIRE NELLE NUBI

(13,24-27)

24 Ma in quei giorni,dopo quell’afflizione,il sole sarà oscurato,e la luna non darà la sua luce,25 e gli astri staranno a cadere dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scosse.26 E allora vedrannoil Figlio dell’uomo venire nelle nubi, con molta potenza e gloria.27 E allora invierà gli angeli,e riunirà i suoi elettidai quattro venti,dall’estremità della terra all’estremità del cielo.

1. Messaggio nel contesto

“Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire nelle nubi”. È la grande promessa di Gesù. A questo incontro con lui tutta la storia è condotta dalla mano sapiente e paziente di Dio. La creazione è in cammino verso la rivelazione del Figlio dell’uomo, nel quale ogni uomo è figlio in comunione con il Padre.La fine del mondo non è il cadere di tutto nel nulla, ma il compiersi di ogni speranza al di là e al di sopra di ogni attesa, in una pienezza che nessuno osa immaginare.L’invocazione del credente: “Maranà thà: vieni, o Signore” (1Cor 16,22), presta voce al gemito di tutta la creazione (Rm 8,19-23), che con aspirazione da vertigine tende a lui, nel quale, per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato fatto (Col 1,15s). Egli infatti è la vita di tutto ciò che esiste (Gv 1,3b-4).

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La fine del mondo non è qualcosa di tremendo. È anzi il fine sommamente desiderato, la meta agognata. Paolo spera che avvenga mentre lui ancora vive (2Cor 5,1-5). È infatti l’incontro tra la sposa, che nello Spirito grida: “Vieni”, e lo sposo che garantisce: “Sì, verrò presto” (Ap 22,17ss).Queste parole di Gesù presentano il quadro finale della vicenda cosmica. Al centro sta la venuta del Figlio dell’uomo (v. 26), che segna la fine del mondo vecchio coi suo male (vv. 24-25) e l’inizio di quello nuovo, in comunione con lui (v. 27).La prima comunità cristiana ha visto nella distruzione del tempio il segno della fine del mondo. Fuggita verso i monti per scampare dall’eccidio, era in fervida attesa del ritorno di Gesù. Non mancavano falsi cristi e falsi profeti che l’annunciavano prossimo. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Sarà “dopo” quell’afflizione e dopo tutta la storia di afflizioni, e comporterà qualcosa di totalmente nuovo, uno sconvolgimento in cui si arresterà il tempo e si confonderà lo spazio. L’avvenimento sarà palese: tutti lo vedranno.Per questo è inutile fare speculazioni o cercare segni particolari.Queste parole di Gesù si realizzano nella sua crocifissione, ormai prossima. Essa è la sua intronizzazione, la sua venuta in potenza e gloria per compiere il giudizio di Dio e la sua salvezza.La sua croce è la chiave di lettura di tutta la storia.Questa è una parabola, un “enigma”, che trova in quella la “parola” che lo spiega.Il mistero di Gesù morto e risorto costituisce la sua prima venuta. Esso continua nella vita quotidiana del discepolo, che è come la sua seconda venuta, anticipo o garanzia della terza, quella finale.Questa non sarà che lo svelarsi di ciò che ora già c’è in modo nascosto; perché non c’è nulla di nascosto che non debba venire alla luce (4,22).La venuta gloriosa del Signore e il suo giudizio è quindi a tre livelli: uno passato, quello della croce, dove tutto è compiuto (Gv 19,30); uno presente, quello della nostra sequela, e uno futuro, quando sarà compiuto in tutti ciò che già lo è in lui e in chi lo segue. La prima venuta, testimoniata dalla Parola, è norma di fede, che ci fa attendere il futuro nella speranza e vivere il presente nell’amore.La storia è sotto il segno della croce, gloria ora segreta che poi si manifesta. Il braccio potente, con cui Dio ha vinto il male, sono le braccia misericordiose del Figlio allargate a tutti i fratelli.Con queste parole Gesù risponde alla domanda: “Quale il segno” della fine del mondo (v. 4).

Gesù è il Figlio dell’uomo giudice della storia. Sulla croce si rivela tale e manifesta il giudizio del Padre: è il suo stesso di Figlio che si fa fratello di tutti i peccatori per salvarli. Questo è il fulgore pieno della gloria e della potenza divina, la cui rivelazione, che già avviene nella vita del credente, è il futuro di tutto il creato.

Il discepolo conosce il giudice e il suo giudizio. Vive quindi con fiducia, speranza e “giudizio”, prendendo come criterio di vita il Figlio che ama il Padre e i fratelli.

2. Lettura del testo

v. 24 Ma. Si passa a considerare qualcosa di diverso, anzi di opposto a quanto fanno gli uomini. Dio si riserva la parola definitiva. A lui, che ha detto la prima, spetta anche l’ultima. E dirà il suo “ma”, ponendo fine alla perdizione e inizio alla salvezza.

in quei giorni. Sono i giorni della grande afflizione, che indicano la morte di Gesù e la distruzione di Gerusalemme. Continueranno nella persecuzione dei discepoli, fino “a quel giorno e a quell’ora” che solo il Padre conosce (v. 32).

dopo quell’afflizione. Il Figlio dell’uomo si manifesterà “dopo” che si sarà consumata ogni afflizione - come per Gesù e per Gerusalemme, così per ciascuno di noi e per il mondo intero. Il

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male del mondo deve “spurgarsi” nella croce del Giusto e di chi è con lui, prima che si riveli la Gloria.La fine del mondo è “dopo” ogni avvenimento mondano: è un “dopo” rispetto a tutto ciò che c’è prima. Non va quindi dedotta da nessun avvenimento, per quanto sia catastrofico.

il sole sarà oscurato, ecc. Sono immagini. Sole e luna sono l’orologio cosmico. Si rompono e si arresta il tempo. Gli astri, con il loro moto, definiscono l’universo. Si confondono e si annulla lo spazio.È un modo - solo un modo? - per significare la regressione al caos, punto zero dell’universo. La morte si rimangia la vita. Nella fine del mondo avverrà quanto è avvenuto nella morte di Gesù, quando si oscurò il sole meridiano (15,33) e la luce stessa del mondo si spense e s’inabissò nella tenebra.

v.25 le potenze dei cieli saranno scosse. Crollano i cardini del mondo: l’alto diventa basso. Allora avverrà quanto è avvenuto sulla croce - abbassamento estremo dell’Altissimo.

v. 26 E allora vedranno. Non sarà una cosa segreta, ma ben visibile. Avverrà quanto avvenne nella morte di Gesù, quando il centurione vide e conobbe Dio (15,39).

il Figlio dell’uomo venire nelle nubi (cf Dn 2,13). Queste parole di Gesù, causa della sua condanna a morte (14,62), si sono realizzate proprio nella sua esecuzione. Alla fine avverrà ciò che è avvenuto ai piedi della croce: il Figlio dell’uomo apparirà nella nube abissale della sua gloria, e sarà riconosciuto come il Signore che viene per il suo giudizio.Per Marco il Figlio dell’uomo è colui che perdona i peccati (2,10), è il Signore del sabato (2,28), deve soffrire e risorgere (8,31; 9,9.12.31; 10,33), è venuto per servire e dare la vita per tutti (10,45) e se ne va consegnato nelle mani dei peccatori (14,21.41).Questo è quello che ci giudica (8,38; 14,61s). Ma quale sarà il suo giudizio, se lui, il giudice, è uno che muore in croce per noi peccatori? Quale il giudice, tale il giudizio!E questo è il suo giudizio, in cui compie ogni giustizia di Dio: lui, che è giusto, porta su di sé ingiustamente il nostro peccato e giustifica tutti gli ingiusti che si riconoscono tali e accettano la sua grazia.In questo giudizio finalmente capisco chi è Dio per me e chi sono io per lui. Cessa finalmente l’inganno che mi ha allontanato da lui, dando inizio alla mia storia di morte. Ormai, caduto il giudizio mio o altrui su di me, vivo del suo, che è la mia verità e salvezza.

le nubi. Sono il luogo della rivelazione di Dio giudice. Egli si manifesta nella nube, perché, luce eccessiva, solo velandosi può rivelarsi. Ma quando sarà rotto il velo del tempio (15,38), allora lo vedremo faccia a faccia: nel nascondimento massimo svelerà la sua gloria più intima.

con molta potenza e gloria. La gloria di Dio - splendore della sua essenza, ciò per cui lui è se stesso - è l’amore misericordioso. Sarà manifesto a tutti proprio sulla croce.

v. 27 invierà gli angeli. Inviato in greco si dice “apostolo” e angelo significa “annunciatore”. Gli apostoli sono inviati come annunciatori della gloria di Dio - angeli del suo giudizio sulla storia. Il fine della loro missione è riunire attorno al Crocifisso tutti gli eletti.

riunirà i suoi eletti. I suoi eletti sono i discepoli - e lui ordinò di fare suoi discepoli tutti (Mt 28,19). Meta della storia è la riunione con lui, il Figlio che riversa su tutti l’amore del Padre. Il desiderio nostro è di essere rapiti fra le nuvole per andare incontro a lui, “e così saremo per sempre con i1 Signore” (1Ts 5,17). “Vieni Signore Gesù” (Ap 22,20).

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dall’estremità della terra all’estremità del cielo. La croce è la riunione di tutto e di tutti nell’unica gloria. Le sue braccia si allargano per racchiudere gli estremi confini della terra e la sua asta si alza dall’abisso dell’universo alla volta del cielo.Il Figlio dell’uomo è il grande albero del Regno, in cui tutti i popoli trovano il loro nido (4,30ss), e fanno di Dio la loro dimora.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il monte degli Ulivi, dove Gesù sta con i quattro discepoli di fronte al tempio.3. Desidero e chiedo al Signore: “Vieni, Signore Gesù! Fammi vedere la tua gloria”.4. Considero il senso della storia: cielo e terra passeranno; il Signore viene come giudice sulla croce, nella sua gloria e potenza; il fine della sua venuta è salvarci e riunirci attorno a sé.

4. Passi utili: Dn 12,1-3; Gl 1,15-2,11; Sai 90; 1Ts 5,1-11; 2Ts 2,1-12; Ap 21-22.

71. DAL FICO IMPARATE LA PARABOLA

(13,28-32)

28 Ora dal fico imparate la parabola:quando già il suo ramo si fa tenero e germina le foglie,sapete che è vicina l’estate.29 Così anche voi:quando vedrete accadere queste cose, sapete che è vicino, alle porte.30 Amen, vi dico:Non passerà questa generazionefin che non avvengano tutte queste cose.31 Il cielo e la terra passeranno,ma le mie parole non passeranno affatto.32 Ma circa quel giorno e l’ora,nessuno sa,né gli angeli nel cielo,né il Figlio,se non il Padre.

1. Messaggio nel contesto

“Dal fico imparate la parabola”, dice Gesù: quando esso germoglia, è segno che inizia l’estate.

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Ma il fico, sterile e maledetto (11,12), sta per germogliare proprio ora. Fra tre giorni vedremo pendere dall’albero un frutto, primizia di una stagione feconda. Fuori parabola: con la croce di Gesù è già finito il mondo vecchio e iniziato quello nuovo. Viviamo ormai nel tempo definitivo della salvezza; ogni momento è quindi l’ora dei frutti (11,13), perché il tempo è finito e il regno di Dio è qui (1,15).Il brano si articola in quattro parti.I vv. 28-29 presentano una parabola di discernimento: tutti i mali descritti sono come il germinare del fico, segno evidente della stagione dei frutti.Il v. 30 dice “quando” tutto questo avviene: nella stessa generazione degli ascoltatori di Gesù, che fra tre giorni, vedendolo sulla croce, sarà chiamata a fare frutti degni di conversione. Come allora, così ora e sempre ogni generazione è chiamata a contemplarlo e a convertirsi.Il v. 31 assicura la certezza dell’evento: tutto passa, ma non la sua parola, che ci ha promesso la sua venuta.Il v. 32 infine afferma l’incertezza dell’ora: quanto è sicuro l’evento, altrettanto è ignoto il giorno e l’ora. Chi sa discernere il segno del fico e si converte, vive ogni istante in vigilanza e fedeltà (brano seguente).

Gesù in croce è il primo frutto del fico che germoglia. Già l’inverno è passato (Ct 2,11.13). Il volto di Dio si è illuminato su di noi e la nostra terra ha dato il suo frutto (Sal 67,1.7). Chiunque si volge a lui, entra nel Regno. La sua morte, avvenuta una volta per tutte, è per ogni generazione il passaggio dalla morte alla vita.La promessa del suo ritorno è infallibile; l’ora è ignota, perché ogni istante sia attesa. E intanto ogni giorno è “quel giorno” e ogni ora è “quell’ora” in cui camminiamo incontro a lui che viene, fino all’abbraccio definitivo.

Il discepolo sa discernere in Gesù morto e risorto il frutto di vita, e ne vive ora e sempre, fino alla rivelazione piena di tutto il mistero nascosto.

2. Lettura del testo

v. 28 dal fico. Il fico già ci ha istruiti, facendoci capire che è ormai sempre la stagione buona (11,12 ss). È l’albero che fa i primi e gli ultimi frutti. Prodotti direttamente dal tronco, senza fioritura, durano sulla pianta per tutto l’anno; chi cerca, ne trova sempre almeno uno. Se il fico sterile rappresenta noi, quello fecondo è la croce, dove troviamo Gesù, dolce frutto dell’amore del Padre e dei fratelli, Parola fatta carne.

imparate la parabola. È l’ultima parabola di Gesù.

quando il suo ramo si fa tenero. All’inizio della primavera comincia a scorrere la linfa, e i rami, da secchi, si fanno teneri. In questa stagione il fico dà i primi frutti. La primavera è l’accadere di “queste cose” - la grande tribolazione con ciò che precede e ciò che segue - che coincidono con la croce di Gesù, in cui ogni tribolazione germina frutto di vita.

germina le foglie. Le foglie del fico servivano per coprire la nudità (Gn 3,7) e la propria sterilità (11,12ss); ora guariscono le nazioni (Ap 22,2).

sapete che è vicina l’estate. È la stagione dei frutti. La croce ne segna l’inizio inarrestabile. Gesù è il primo di una numerosa schiera (Rm 8,29).

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v. 29 quando vedrete accadere queste cose. Questa parabola ci dice quando viene il Signore: quando accadono “queste cose” descritte prima, che accadono sempre.Venuto nel nascondimento della croce, viene nella croce quotidiana del discepolo e verrà alla fine, rivelandone la gloria.In tutto il travaglio della storia ormai possiamo leggere il gemito della nuova creatura che nasce. Il capo è già nato. Ora devono uscire alla luce tutte le membra.

sapete che è vicino, alle porte. Fra tre giorni, il primo frutto sarà appeso al tronco, fuori la porta delle mura (Eb 13,12). Con lui è giunto il regno di Dio. Basta che ci convertiamo a lui e lo seguiamo (1,15-20).

v.30 Non passerà questa generazione finché non avvengano tutte queste cose. Gesù ha detto questo per la sua generazione, che tra poco vedrà la sua gloria. Ma vale anche per quella successiva, che vedrà nella croce di Gerusalemme il diffondersi della gloria nel mondo. Marco lo dice per quelli di Roma e per quanti verranno dopo - chi legge comprenda! perché vedano nelle proprie tribolazioni lo stesso mistero di morte e risurrezione del Signore.

v. 31 Il cielo e la terra passeranno. Cielo e terra significa tutto. La scena di questo mondo passa (1Cor 7,31). Ma non viene distrutto: viene trasfigurato, reso partecipe della gloria dei figli (Rm 8,19-23).

ma le mie parole non passeranno. La sua parola rimane in eterno, come la sua fedeltà e il suo amore (Sal 148,6; 117,2). Solo lui, che dice: “Amen”, è la roccia stabile su cui fondare la propria vita.

v. 32 quel giorno. È il giorno della morte di Gesù che ogni singolo e l’universo intero rivive nei propri giorni di vita e rivivrà in pienezza nel proprio giorno di morte.

l’ora. Non conosciamo l’ora della sua ultima venuta, ma sappiamo che lui torna in ogni ora della notte e del giorno: di sera, quando si dona, di notte quando va nell’orto, a mezzanotte quando lotta, alle tre di notte quando è preso, al canto del gallo quando è rinnegato, al mattino quando è condannato, alle nove quando è crocifisso, a mezzogiorno quando si oscura il sole, alle tre quando spira, alle sei quando entra nella notte del sepolcro per il riposo sabatico. Ogni ora della notte - ed è sempre notte - chi tiene gli occhi aperti e veglia, lo vede venire.

nessuno sa, né gli angeli né il Figlio. Quanto è certo e determinato l’evento, altrettanto è incerta ed indeterminata l’ora e il giorno della fine nostra, della fine del mondo e della sua ultima venuta. Così Dio ha saggiamente stabilito per il nostro bene. Infatti, se sapessimo il giorno e l’ora, cadremmo in un terrore pietrificante o in un’attesa alienante, invece di vivere ogni istante facendo la sua volontà. Inoltre, non sapere il quando ci fa vivere la nostra finitezza come luogo di conversione dalla paura della morte all’abbandono filiale nelle mani del Padre. Quel giorno poi dipende anche dalla nostra libertà così dura a convertirsi, alla quale viene incontro la pazienza di Dio. Quel giorno e quell’ora, infine, è ogni giorno e ogni ora in cui ci decidiamo per lui. È infatti sempre questo il tempo di dare frutto.

Gesù è il rivelatore del Padre, che ci ha detto tutto (v. 23) quanto occorreva che conoscessimo. Venisse anche dagli angeli, ogni altra rivelazione sulla fine del mondo è certamente sempre falsa e fuorviante. Non è importante sapere quando finisce. Sappiamo che certamente finisce. Anzi sappiamo che già è finito, ed è giunto il momento di passare dalla morte alla vita.

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se non il Padre. Il Padre conosce il tempo del ritorno a casa di tutti i suoi figli. Anzi, il tempo è già venuto, ed è questo, in cui tutti siamo invitati.Ma come mai tarda tanto l’estate, se il fico ha già dato la primizia?Tutta la storia ormai non è altro che il tempo della pazienza di Dio. “Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono. Ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,8 s). Infatti vuole che tutti gli uomini siano salvati (1Tm 2,4) e che la sua casa sia piena (Lc 14,23). Ma come potrà essere piena la casa di un padre, se manca anche un solo figlio? Nel Figlio dell’uomo, fattosi maledizione e peccato per noi (Gal 3,13; 2Cor 5,21 ), è già tornato a casa l’ultimo dei suoi figli. Per questo bisogna far festa e rallegrarsi (Lc 15,32). È quanto celebriamo nell’eucaristia.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo guardando il tempio dal monte degli Ulivi, dove Gesù sta seduto con i quattro apostoli.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: imparare dal legno della croce a leggere le tribolazioni del presente come le doglie del parto della vita nuova, e vedere in esse il mio essere associato alla sua “gloria”.4. Medito sulle quattro affermazioni di Gesù: dal fico imparo a discernere nel travaglio la visita del Signore che viene; tutto si compie sempre in “questa generazione”: questo è il tempo in cui si decide la vita eterna; tutto passa, ma la parola del Signore rimane in eterno; solo il Padre conosce il giorno e l’ora ultima. Ma ogni giorno e ogni ora è per me l’ultima, il momento di decidermi a seguire Gesù, passando dalla morte alla vita.

4. Passi utili: Ml 3; Sal 73; Rm 8,18-23; 2Cor 4,7-5,10; 1Cor 7,29-31.

72. LO DICO A TUTTI: VEGLIATE

(13,33-37)

33 Guardate, vigilate!Infatti non sapetequando è il momento.34 Come un uomo in viaggio, lasciata la sua casae dato il potere ai suoi schiavi, a ciascuno il proprio lavoro,e ordinò al portinaio di vegliare.35 Vegliate dunque:non sapete infattiquando vieneil signore della casa

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se di sera,o a mezzanotte,o al canto del gallo,o all’alba.36 Che arrivando all’improvviso non vi trovi a dormire.37 Ora, quel che dico a voi,lo dico a tutti:Vegliate!

1. Messaggio nel contesto

“Lo dico a tutti: Vegliate”. Così Gesù conclude il suo ultimo discorso. Il brano è tutto una variazione sul tema della vigilanza. Inizia con le parole “guardate, vigilate”, nel mezzo raccomanda due volte di vegliare, e alla fine estende a tutti l’esortazione: “Vegliate”. Il cristianesimo non è oppio. Fa tenere gli occhi aperti, come la saggia civetta, per scrutare nella notte ciò che c’è, ed è nascosto ai più fino a che non viene il sole.Star svegli è necessario, ma non basta. Il Signore, quando ci ha lasciato, ci ha dato il suo stesso “potere”. Siamo quindi responsabili di fare e dire quanto lui ha fatto e detto, fino al suo ritorno. La vigilanza costante quindi è riempita da una fedeltà operosa.La storia non è una sala d’attesa. È piuttosto un cammino alla sequela di lui, verso il quale tendiamo. Il suo venire a noi è ormai il nostro andare a lui: il ritorno del Figlio è affidato al nostri piedi di suoi fratelli che camminiamo come lui ha camminato.La storia è il luogo del discernimento (brano precedente), che ha come condizione l’attesa vigilante e come risultato l’operosità fedele. La vigilanza è l’occhio del cuore aperto sul Signore per vederlo mentre viene in ogni presente; l’operosità è la mano per compiere con responsabilità l’incarico ricevuto.Il Signore è già arrivato alla meta. La sua assenza è ormai la distanza che a noi tocca colmare, percorrendo il suo cammino, fino a quando saremo sempre con lui.

Gesù se ne è andato, ma non ci ha abbandonati. Ci ha lasciato tutto quanto aveva: il suo stesso potere di Figlio. Infatti ci ha battezzati nel suo Spirito, perché possiamo vivere come lui ha vissuto.

Il discepolo deve guardarsi dal fanatismo di chi attende con agitazione, speculando su date e scadenze, come pure dalla delusione di chi non attende più e dorme. Nell’attesa del suo ritorno definitivo, sa che fare: mettere a servizio dei fratelli il suo dono nello Spirito.

2. Lettura del testo

v. 33 vigilate. Veglia chi teme o desidera una presenza ancora assente. La parola greca (agrypnéo) significa uno che pernotta in aperta campagna, attento ai rumori della notte, oppure una persona insonne che invano va a caccia di sonno.Nella grande notte del mondo, il discepolo è posto come sentinella. la sua funzione profetica (Ez 3,16). Non dorme come gli altri, ma resta sveglio, ed è sobrio (1Ts 5,6). Infatti sa che è tempo di svegliarsi dal sonno (Rm 13,11). Se prima era tenebre, ora è luce nel Signore; e si comporta da figlio della luce, portando il frutto della luce (Ef 5,8 ss; 1Ts 5,1 ss).Infatti si prepara per l’incontro desiderato.

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non sapete quando è il momento. La vigilanza deve essere costante perché si ignora il momento della sua ultima venuta. E non c’è da indagare su giorni e su ore; ci basti sapere che ogni giorno e ogni ora è il momento opportuno in cui vivere l’incontro con lui, in attesa di quello definitivo.

v. 34 un uomo in viaggio. La parola greca indica uscire dal proprio popolo, emigrare all’estero, lontano (cf 12,1). Gesù se ne è andato da noi. Ci separa da lui lo stesso cammino che lui ha fatto quand’era tra noi, e che noi dobbiamo a nostra volta compiere per essere con lui.

ha dato il potere ai suoi schiavi. Servo è uno il cui lavoro appartiene ad un altro. Schiavo è uno la cui vita appartiene a un altro. Noi siamo schiavi, perché siamo del Signore. Proprio così siamo uguali a lui, che si è fatto nostro servo e schiavo, per essere tutto di noi. Il potere che ci ha dato è il suo stesso di Figlio che ama il Padre e i fratelli. Ci viene dal suo Spirito, ed è quello della parola che rimette i peccati, scaccia i demoni, porta a conversione e fa riconoscere il Signore (1,20.27; 2,10; 3,15; 6,7; 11,28.29.33).

a ciascuno il proprio lavoro. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito, per l’utilità comune (1Cor 12,7). Non ha dato tutto a tutti, perché non ci chiudessimo nell’autosufficienza. Ha dato a ciascuno qualcosa, perché ognuno serva il fratello in ciò che ha, e sia servito in ciò che non ha, e così viviamo nel servizio reciproco.Non conta il tipo di prestazione; basta che ognuno, secondo il dono ricevuto, compia la sua.Comune a tutti, è la legge fondamentale di mangiare il pane col sudore della propria fronte (Gn 3,19). Chi mangia senza sudore fa sudare un altro, che per di più non mangia. Per questi Paolo dice: “Chi non vuol lavorare, neppure mangi “ (2Ts 3,10).

ordinò al portinaio di vegliare. Il custode ha una responsabilità particolare circa la vigilanza. Il suo lavoro specifico è richiamare tutti, perché chi non veglia, non attende, e chi non attende, non accoglie colui che viene.

v. 35 Vegliate dunque. Non solo il portinaio, ma tutti dobbiamo vegliare. “Questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri” (Rm 13,11-14).Vegliare significa questo.

non sapete infatti quando viene il signore della casa. Si insiste sul non speculare su date precise circa il suo ritorno. Il punto è un altro: vivere da figli della luce e del giorno (1Ts 5,5), rivestiti del Signore (Rm 13,14), in ogni ora della notte. E allora ogni ora sarà un incontro con lui e un passo verso l’incontro definitivo.

di sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o all’alba. Sono le varie ore della notte. Richiamano il racconto della passione: la sera si consegnò in pasto ai suoi, a mezzanotte agonizzò e fu tradito, al canto del gallo fu rinnegato, all’alba fu condannato. Le quattro ore in cui vegliare corrispondono ai quattro sonni del discepolo.

v. 36 arrivando all’improvviso non vi trovi a dormire. Tutti questi momenti coglieranno i discepoli nel sonno, all’improvviso. La carne è debole, non ancora rivestita della forza dello Spirito. La sua venuta è quella dello sposo per chi l’attende e ha fatto di lui la sua vita (Mt 25,6); è invece quella del ladro (1Ts 5,2) per chi ha posto altrove il suo tesoro.

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v. 37 quel che dico a voi. Il discorso era rivolto a Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea (v. 3).

lo dico a tutti. Attraverso loro è rivolto a tutta la Chiesa di ogni tempo.

Vegliate. È la parola ultima che Gesù dice a tutti, dopo aver predetto tutto (v. 28). Poi inizierà il racconto della passione.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo vedendo il monte degli Ulivi, dove Gesù sta con i quattro davanti al tempio.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: attenderlo con vigilanza e fedeltà nel mio lavoro.4. Considerare: Il “potere” che Gesù ci ha dato.

Svolgo il lavoro comune a tutti e il mio compito specifico?Cosa significa non dormire, vigilare e vegliare?

4. Passi utili: Is 63,16-64,7; Sal 80; Rm 13,1-14; 1Ts 3,10; 1Cor 12,4-31; Mt 25,1-13. 14-30.

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73. A CHE PRO QUESTO SPRECO?

(14,1-11)

141 Ed era la Pasqua e gli Azzimi dopo due giorni. E cercavano i sommi sacerdoti e gli scribi come impadronirsi con inganno e ucciderlo.2 Dicevano infatti:Non nella festa,perché non ci sia un tumulto del popolo.3 E, mentre egli era in Betania,nella casa di Simone il lebbroso, sdraiato a mensa, venne una donna che aveva un alabastro di profumo di nardo puro, molto prezioso; infranse l’alabastro e lo versò sul suo capo.4 E c’erano alcuni irritati in se stessi:A che pro si è fattoquesto spreco di profumo?5 Si poteva infatti vendere questo profumoa più di trecento danarie darli ai poveri.6 E fremevano contro di lei. Ma Gesù disse:Lasciatela!Perché le date fastidio?Ha fatto un’opera bella in me.7 Infatti sempre avete i poveri con voi,e quando volete potete far loro del bene; me invece non sempre avete.8 Ha fatto quanto poteva,ha anticipato di profumareil mio corpo per la sepoltura.9 Amen, vi dico:ovunque sarà annunciato l’evangelonel mondo intero,sarà raccontato anche ciò che lei ha fatto, in ricordo di lei.10 E Giuda Iscariota, uno dei Dodici,se ne andò dai sommi sacerdoti per consegnare lui a loro.11 Ora essi, udendo, si rallegrarono, e promisero di dargli danaro. E cercava come consegnarlo a tempo opportuno.

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1. Messaggio nel contesto

“A che pro questo spreco?”. Queste parole nei confronti della donna esprimono bene il mio sentimento davanti alla passione del Signore: perché questo spreco di amore? Non poteva risparmiarsi un po’?Chi comprende questo eccesso entra nel mistero di Dio. Con questa scena delicatissima Marco dà il la al racconto centrale della nostra fede.In tutto l’evangelo, il gesto compiuto dalla donna è l’unico che Gesù gradisce e approva senza riserve. Solo lui capisce lei e solo lei capisce lui. Ciò che essa fa è chiamato “opera bella”, “vangelo”.Il complotto per ucciderlo (vv. 1-2) e il tradimento (vv. 10-11) sono la cornice oscura che fa contrappunto alla luminosità del quadro, e indicano la situazione di chi non è dalla parte della donna.Gesù fu proclamato messia nel battesimo (1,9 s) e riconosciuto tale da Pietro dopo il pane (8,29). Ora, mentre va in croce, è consacrato da una donna. Quanto essa fa è la realizzazione piena del vangelo: “II Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l’uomo” (Ger 31,22). La sposa risponde finalmente all’amore dello sposo, che la ama di amore eterno (Ger 31,3).La reciprocità d’amore tra uomo e Dio è punto d’arrivo di tutta la creazione.Il racconto è un vaso prezioso, da cui esala il profumo di molti misteri nascosti.Infatti l’unzione della donna è la consacrazione di Gesù oltre che come messia, anche come profeta, sacerdote, altare e vittima, che pure venivano consacrati con l’olio. E ci rivela anche cos’è la fede: riconoscere Gesù povero e morente come proprio Salvatore e Signore, amandolo con tutto il cuore.Inoltre quanto fa questa donna è figura di quanto farà Gesù sulla croce: il vaso del suo corpo sarà rotto, e ne uscirà per tutta la terra il profumo di Dio.In sintesi: in questa donna è rappresentata la verità di ogni uomo, sposa di Dio, che incontra la verità di Dio, sposo dell’uomo.Protagonista del brano è il profumo, che emana dal ritrovarsi dei due, impregnando e avvolgendo tutto. Come l’amore, il profumo di sua natura non può non donarsi. Invisibile a tutti e da tutti percepibile, lo si avverte anche al buio, piacere di una vicinanza gradita, gioia di una compagnia che rompe la solitudine.In ebraico profumo si dice shemen. Richiama shem (= nome), che indica la presenza di Dio tra gli uomini. Dio infatti è amore e letizia che non può non comunicarsi e donarsi. Il suo profumo si espanderà proprio dalla croce, dove il suo nome sarà conosciuto e glorificato anche dal più lontani (15,39). Nel Cantico dei Cantici Dio, mai nominato se non nel finale posteriore (8,6), ha nome “profumo effuso” (Ct 1,3). Infatti è amore amante, presente ovunque è amato.Gesù interpreta il gesto della donna anche come vittoria sulla morte e profezia di risurrezione: lo unge prima che muoia, intuendo che il profumo non è per coprire l’odore di morte, ma per donare al Vivente. L’amore infatti è più forte della morte (Ct 8,6).Il racconto ruota su due gruppi di persone. Da una parte i sommi sacerdoti, gli scribi, Giuda e tutti gli altri; dall’altra Gesù solo con la donna e la donna in silenzio e sola con lui.In corrispondenza ci sono due gruppi di parole. Da una parte c’è: impadronirsi, inganno, uccidere, tumulto, vendere, denaro, comprare, fremere, dare fastidio; dall’altra alabastro, profumo, nardo genuino, rompere, effondere, sprecare, dare, beneficare, opera bella, vangelo. Con il primo gruppo si può scrivere tutta la storia umana, col secondo quella di Dio in Gesù.I due gruppi di persone e di parole esprimono due economie opposte. Da una parte c’è quella dell’egoismo, che si impadronisce, compra, vende con denaro, calcola e uccide, adirandosi e dando fastidio. È l’economia dell’uomo. Dall’altra c’è quella dell’amore che dona in gratuità e spreca follemente. È l’economia di Dio.Il tutto è evidenziato nel contrasto dei due odori che si succedono: la puzza di morte nella casa di Simone il lebbroso lascia il posto al profumo di vita.

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Gesù sta terminando il suo cammino. Dopo aver dato tutto ciò che ha, è giunto il momento in cui dà ciò che è: sulla croce si romperà il vaso, e ne uscirà il profumo.

Discepolo è colui che diventa come questa donna. Ciò sarà possibile solo dopo la passione/risurrezione, come risposta all’amore del suo Signore.

2. Lettura del testo

v. 1 Ed era la pasqua e gli Azzimi dopo due giorni. Si nomina per la prima volta la grande festa giudaica, che inizia con la cena dell’agnello pasquale e si protrae per una settimana, in cui si mangia pane azzimo, senza lievito. È il memoriale dell’uscita dalla schiavitù d’Egitto, promessa del mondo nuovo. Nella cronologia di Marco siamo di mercoledì, il quarto degli otto giorni in cui è scandito il finale del suo vangelo. La pasqua cadrà al sesto, di venerdì, giorno della creazione dell’uomo, e coinciderà con la morte di Gesù. La sua croce è infatti liberazione definitiva dalla schiavitù degli idoli - conosceremo chi è Dio! - e creazione dell’uomo nuovo.

i sommi sacerdoti e gli scribi. Insieme con gli anziani, sono gli attori della passione. Sono come le tre maschere del male, e rappresentano la struttura del mondo nelle sue tre concupiscenza, il desiderio di avere, di potere e di apparire. Queste tre brame alienano rispettivamente dalle cose, dalle persone e da se stesso l’uomo che si è alienato da Dio.Qui non sono nominati gli anziani, la cui funzione è svolta egregiamente dai discepoli, che calcolano il dono o lo consegnano in cambio di denaro.

impadronirsi. Parola chiave della passione, esprime il male radicale dell’uomo. Questi necessariamente “prende” perché è figlio, creatura che riceve quanto ha ed è. Se prende in dono rimane nella vita, unito al Padre che ringrazia e ai fratelli con cui divide. Se si “impossessa”, si separa dal Padre e si divide dai fratelli. Il peccato di Adamo e di ogni uomo è rubare il dono. La salvezza di Dio è donare ciò che è rubato.Il Figlio, dono perfetto del Padre, fatto oggetto di possesso, verrà ucciso.

con inganno. Chi si impadronisce, sempre inganna; ma anche si inganna, anzi è ingannato. Credendo di procurarsi un bene, si fa il massimo male: perde la sua somiglianza con Dio.

e ucciderlo. Fine di ogni possesso è la morte. I mezzi, vedremo, saranno danari, baci, spade e bastoni (vv. 11.43 ss). Il solito gioco dell’uomo, che, senza saperlo, gioca se stesso.

v. 2 Non nella festa. Invece il momento opportuno sarà proprio la festa. Infatti noi con il possesso uccidiamo il dono e la vita; ma la sua morte sarà dono incondizionato, principio di nuova gioia.

perché non ci sia un tumulto del popolo. Il popolo, che finora gli è favorevole (12,37), al momento opportuno farà tumulto per condannarlo (15,11-14).

v. 3 mentre era in Betania. Da qui entra ed esce negli ultimi giorni trascorsi a Gerusalemme. È diventata la sua dimora: infatti significa “casa del povero” (11, 1.11.12).

nella casa di Simone il lebbroso. All’inizio del suo ministero Gesù ha guarito un lebbroso (1,40 ss). Una scena simile a questa è descritta da Luca in casa di Simone il fariseo (7,36 ss). Simone il lebbroso e Simone il fariseo sono come un’unica persona. Infatti il peccato del fariseo, che non si sente amato e non ama, non è forse una lebbra che intacca il cuore dell’uomo e ne divora la carne?

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Nella sua casa, graveolente di morte, entra ora il Signore della vita. Ci darà il suo profumo, e avrà in cambio il nostro fetore.

sdraiato a mensa. Gesù partecipa a suo agio alla nostra mensa; condivide tutto con noi, perché noi condividiamo tutto con lui.

venne una donna. Sappiamo da Giovanni che è Maria, sorella di Marta e di Lazzaro (Gv 12,1 ss). È la stessa che fa l’ “unica cosa necessaria”, scegliendo “la parte migliore, che non le verrà tolta” (Lc 10,42). Marco ne tace il nome, come pure Luca nella scena analoga, dove è presentata come la prostituta che diventa finalmente sposa (Lc 7,36ss).

alabastro. Si dice il materiale di cui è fatto il vaso che contiene il profumo. È prezioso, come il corpo di Gesù, in cui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,9).

di profumo. Ct 1,3 dice che il nome (shem) dello sposo è profumo (shemen). È il nome vero di Dio, amore e dono per tutti. Sulla croce si romperà il vaso prezioso e la sua essenza si effonderà, impregnando la terra intera.

di nardo puro. Il nardo è un preziosissimo profumo orientale. La parola “puro” in greco (pistikós) richiama la parola “fede” e significa: atto a suscitare fede, ossia genuino. Questo profumo effuso non potrà non essere creduto, e susciterà necessariamente fede nel Signore, finalmente riconosciuto nella sua genuinità.

molto prezioso. Si sottolinea la preziosità dei profumo.

infranse l’alabastro. Non basta aprire il vaso? È necessario lo spreco perché ci sia amore. Solo rompendolo esce tutto ciò la cui misura è non avere altra misura che la totalità.

versò sul suo capo. Tutto avviene in silenzio. Sul suo capo scende l’olio di letizia che lo consacra re, profeta, sacerdote, altare e vittima. E lui si compiace della bellezza di ciò che fa la sposa (Sal 45,8.12). La casa del lebbroso si riempie del profumo. Come il vaso, anche il suo corpo sarà spezzato; come il profumo, anche il suo sangue sarà riversato sulle moltitudini (v. 24).

v. 4 alcuni irritati. Marco non dice chi sono. Tra questi alcuni c’è ciascuno di noi, che si sente indisposto e a disagio davanti a tanto amore.

A che pro questo spreco? È quanto ciascuno di noi si chiede davanti alla croce di Gesù. Non basta una sola goccia a lavare il mondo intero? Perché questa follia d’amore?Solo chi capisce questo è in grado di rispondere alla richiesta che Gesù fece al ricco, e così adempiere il comando dell’amore (10,21; 12,29 ss) ed entrare nel Regno. Questo infatti è la reciprocità d’amore tra uomo e Dio.

v. 5 Si poteva vendere. Comprare e vendere appartiene all’economia di possesso. Chi calcola è ancora nell’egoismo e nella morte. L’amore non conosce calcolo.

trecento danari. È il salario di trecento giorni lavorativi, la fatica e la vita di un anno!

darli ai poveri. Chi crede che l’amore per il Signore sia sottratto ai fratelli, è come chi pensa che l’acqua della sorgente sia sottratta al secchio. Inoltre l’elemosina del superfluo non risolve la povertà, anzi la mantiene, aggiungendovi la dipendenza. Solo il dono di tutto dà inizio al mondo nuovo (cf 12,44).

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v. 6 E fremevano. Gesù fremette davanti al lebbroso (1,43); noi davanti al profumo. È un’ira che si esprime sbuffando. Ma la sua è contro il male, la nostra contro il bene. E siamo capaci anche di darle una motivazione nobile e religiosa.

Lasciatela. Gesù ne prende le difese, approvandola totalmente. È lo specchio di quanto lui ha fatto e vuole insegnarci a fare.

Perché le date fastidio? Il fastidio interiore che proviamo davanti al suo amore lo riversiamo su di lei. Vorremmo cambiare lei invece di noi.

Ha fatto un’opera bella. Bella è solo l’opera come esce dalle mani di Dio, ancora non toccata dal male (Gn 1,4.12.18.21.31). Nella donna riverbera la bellezza originaria di quando egli creò il mondo e l’uomo a sua immagine. È l’inizio della nuova creazione.

in me. L’opera bella ha come termine la persona del Signore Gesù: è risposta personale d’amore verso di lui, che, andando in croce, compie l’opera bella per eccellenza.

v. 7 sempre avete i poveri con voi. “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, dice colui che si è identificato con i poveri, rivestendosi della loro carne (Mt 28,20; 25,35 ss). La nostra risposta d’amore a lui, che si è fatto ultimo e servo di tutti (9,35; 10,45), è sorgente di quanto faremo per loro. Non si tratterà di un’elemosina che li umilia, ma di un amore che ci eleva alla loro dignità, che è quella del Signore stesso.

v.8 Ha fatto quanto poteva. È come la vedova, che dà tutto quanto ha, tutta la sua vita (12,44). L’amore ignora il tanto e il poco: conosce solo il tutto. Come è impossibile al giusto che calcola, è invece donato alla povera vedova e alla peccatrice (cf Lc 7,36 ss).

ha anticipato di profumare il mio corpo per la sepoltura. Siamo due giorni prima della sepoltura. Due giorni dopo andranno inutilmente a profumarlo. L’olio “comperato” non servirà (16,1). L’unzione anticipata è interpretata da Gesù come preannuncio della sua risurrezione. Il profumo della donna persisterà sul suo corpo crocifisso e glorioso. Dove c’è un amore che dà tutto, c’è già vittoria sulla morte.

v. 9 ovunque sarà annunciato l’evangelo. Il vangelo è il ricordo/racconto di “Gesù Cristo Figlio di Dio” (1,1).

sarà raccontato anche ciò che lei ha fatto, in ricordo di lei. L’evangelo diventa racconto/ricordo di questa donna. C’è quindi identificazione tra lei e Gesù. Infatti, mediante l’amore reciproco, sposo e sposa fanno una carne sola. Questa donna è il vangelo vivo, il buon profumo di Cristo che si effonde per il mondo intero, prototipo di tutti quelli che hanno ottenuto la vita ( 2Cor 2,14 ss).

v. 10 E Giuda Iscariota. Il gesto della donna è come la croce di Gesù, giudizio di Dio che discrimina. Chi non è con lei che è con Gesù, è contro di lei, alleato di Giuda e di tutti gli altri che sono contro Gesù.

per consegnare lui. Ora inizia il racconto della storia del vaso prezioso, il suo corpo consegnato nelle mani dei peccatori.

v. 11 si rallegrarono. Anche il male conosce una sua gioia. Ma è ingannevole, e c’è solo come promessa non mantenuta. Ne segue infatti sempre amarezza e confusione.

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promisero di dargli danaro. Il danaro è lo strumento normale per comprare/vendere e consegnare ciò di cui ci si vuol impadronire. Trecento denari è il valore del profumo donato; a trenta sicli, prezzo dello schiavo (Mt 26,15; Es 21,32), è svenduto il dono di Dio.

E cercava come consegnarlo a tempo opportuno. Il tempo opportuno della consegna di Gesù, contro la previsione dei capi, sarà proprio la festa di pasqua. Perché la nostra pasqua è lui, immolato per noi (1Cor 5,7).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando la casa di Simone il lebbroso, dove Gesù sta a mensa con i suoi.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: capire il perché dello spreco della donna e suo.4. Traendone frutto, ascolto, vedo e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Inoltre posso considerare attentamente i due gruppi di persone e di parole, che esprimono rispettivamente due logiche e due economie: quella del dono e della vita, quella del calcolo e della morte. Sentire anche i due odori: quello della lebbra e quello del profumo.

4. Passi utili: Dt 6,4-8; Sal 45; Lc 7,36-50; Mc 12,28-34; Cantico dei Cantici; 2Cor 2,14-16; Ap 22,17-20.

74. LÌ PREPARATE PER NOI

(14,12-16)

12 E il primo giorno degli Azzimi,quando si immolava la pasqua, gli dicono i suoi discepoli:Dove vuoi che andiamo a preparare,perché tu mangi la pasqua?13 E invia due dei suoi discepoli,e dice loro:Andate nella città,e vi verrà incontro un uomo che porta un vaso d’acqua.Seguitelo;14 e, dovunque egli entri, dite al padrone di casa:Il Maestro dice:Dov’è il mio luogo di riposo, dove io possa mangiare la pasqua con i miei discepoli?15 Ed egli vi mostrerà una stanza superiore, grande,

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arredata,preparata;e lì preparate per noi.16 E uscirono i discepoli,e vennero nella città,e trovarono come disse loro,e prepararono la pasqua.

1. Messaggio nel contesto

“Lì preparate per noi”, dice Gesù ai discepoli, indicando come trovare il luogo del banchetto.È giovedì, vigilia di Pasqua. Quattro volte esce il verbo “preparare”; per questo bisogna individuare quello che il Maestro chiama “il mio luogo di riposo, dove io possa mangiare la pasqua con i miei discepoli”.Tutto il vangelo di Marco è una lunga introduzione al racconto della morte e risurrezione di Gesù, e vuol condurci a questo luogo, in cui si celebra l’eucaristia, nostra pasqua.Il brano ci suggerisce i passi necessari per prepararci alla cena del Signore, che subito dopo verrà narrata.1. Per ben quattro volte si nomina la pasqua ebraica. Bisogna innanzitutto conoscere che cosa essa è, perché solo alla sua luce è comprensibile l’eucaristia cristiana, compimento di quella liberazione di cui l’esodo è promessa.2. Si parla di immolare la pasqua, cioè l’agnello. Bisogna anche essere coscienti che questa liberazione avviene a caro prezzo: costa il sangue dell’agnello immolato, che è Cristo (1Cor 6,20; 7,23; 5,7).3. Gesù inoltre prevede ciò che avviene e lo affronta con coscienza. Bisogna quindi sapere che la sua morte non è un incidente sul lavoro o una brutta sorpresa, bensì il costo preventivato - la sua per la nostra vita!4. Gesù infine non solo sa, ma liberamente vuole, anzi preordina tutto, esattamente come nella scena dell’ingresso a Gerusalemme Bisogna allora tener presente che la sua morte è non semplicemente subita, ma il frutto di tutta la sua vita di Figlio che ama il Padre e i fratelli. 5. Oltre questo, il discepolo deve anche cercare la stanza superiore: è il problema centrale del brano. L’uomo con la brocca d’acqua, figura di colui che porta al battesimo, indicherà come trovare questo luogo dove si mangia, cioè si vive col Signore la sua stessa pasqua. Chi ne resta fuori, non gusta del grande dono.

Gesù è l’agnello immolato, che coscientemente e liberamente ha dato se stesso per noi. Egli è la nostra pasqua, liberazione da ogni male.

Il discepolo si “prepara” a mangiare con lui innanzitutto sapendo cos’è la pasqua, poi disponendosi, come lui, a farsi carico del male del mondo con coscienza e libertà, e infine trovando la “stanza superiore”.

2. Lettura del testo

v. 12 il primo giorno degli Azzimi. È giovedì, 14 Nisan, vigilia della pasqua. Secondo vari calcoli, probabilmente siamo al 6 aprile dell’anno 30. Gesù morirà il giorno dopo, venerdì 15, giorno di pasqua. Già la vigilia si inizia a mangiare pane azzimo, simbolo di purezza, togliendo il lievito, simbolo di corruzione.

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Marco suppone che si conosca la pasqua ebraica. Essa è innanzitutto liberazione dagli idoli che schiavizzano. Segna inoltre la fine dell’oppressione dell’uomo da parte dell’uomo, perché Dio non tollera l’ingiustizia. È infine rottura con il peccato e con la morte, attesa di cieli nuovi e terra nuova.Tutti questi vari significati della pasqua ebraica sono la promessa che trova compimento nella croce di Gesù, e servono per capirne pienamente la portata.

quando si immolava la pasqua. Pasqua sta per agnello pasquale. La nostra pasqua è Cristo, immolato per noi (1Cor 5,7). Lui è l’agnello senza difetto e senza macchia, già preparato prima della fondazione del mondo 1Pt 1,19 s), che si fa carico del peccato del mondo (Gv 1,29).La pasqua di Gesù è martirio, ossia testimonianza di un amore più forte di ogni male e della stessa morte, capace di farsi solidale coi fratelli fino alla debolezza estrema: “Fu crocifisso per la sua debolezza” (2Cor 13,4).Mangiare la pasqua con lui significa essere associati alla sua stessa passione per il mondo, disposti a pagarne i costi, che assumiamo liberamente, nonostante le paure e le resistenze contrarie (cf vv. 32 ss; Mt 5,11; At 4,23 ss; 5,41; 14,22; 20,23; Eb 12,8 ss; Gc 1,2 ss; 1Pt 1,6 ss; 2,19).

Dove vuoi che andiamo a preparare. Il problema è trovare il luogo “dove” preparare la pasqua.

perché tu mangi la pasqua. Gesù in prima persona mangia (“tu mangi”), ossia vive questa pasqua in cui dà la propria vita.

v. 13 vi verrà incontro un uomo che porta un vaso d’acqua. Secondo i Padri, quest’uomo che porta l’acqua ( in greco bastázon = che porta, richiama baptizon = che battezza) è colui che, dando il battesimo, introduce nella sala superiore, dove si celebra l’eucaristia. Tocca a lui indicare questo luogo.La brocca di cotto, in greco kerámion, in ebraico marekah, richiama il nome di Marco, autore del vangelo, nella cui casa forse si svolse l’ultima cena e nacque la prima Chiesa (cf At 12,12).

Seguitelo. Lui lo conosce bene questo luogo, da cui viene e al quale vuole portare tutti.

v. 14 Il Maestro dice. È l’unica volta che Gesù chiama se stesso Maestro. Lui è il solo Maestro interiore; noi tutti siamo suoi discepoli, ascoltatori di lui, parola del Padre che apre il nostro cuore alla verità (cf At 16,14).

Dov’è il mio luogo di riposo. Il Maestro ha un luogo che chiama “mio” perché è solo suo, da sempre; qui lui trova “riposo”, perché qui sta di casa. La stessa parola (katá1yma) è usata da Luca per indicare anche il luogo in cui Gesù nasce (Lc 2,7). In questo luogo infatti il Figlio nasce in noi e noi nasciamo figli: è il vero “natale dell’anima” (M. Eckhart).

dove io possa mangiare la pasqua. Qui lui mangia, ossia vive il suo mistero pasquale.

con i miei discepoli. Qui la sua pasqua diventa nostra: noi mangiamo con lui, entrando in comunione di vita con lui.

v. 15 egli vi mostrerà una stanza superiore. Questo luogo sta in alto, fuori dalle comuni occupazioni in cui l’uomo abita. Questa stanza superiore è il luogo “teologico” in cui si realizzano tutti i misteri della nostra fede. Qui Gesù dà il suo corpo e appare risorto; qui gli undici dimorano con Maria e gli altri, e, perseverando in preghiera, ricevono lo Spirito (At 2,1ss); qui si ritrova la prima comunità per ascoltare la Parola e condividere il pane, celebrare l’eucaristia e pregare (At 2,42); fino ad At 12,12, da qui parte e qui arriva ogni missione.

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Non si tratta solo di un luogo materiale in cui si svolgono gli ultimi avvenimenti di Gesù e i primi della Chiesa. Nuovo tempio in cui si rende culto in spirito e verità (Gv 4,24), la “stanza superiore” è il mio stesso cuore, in cui abita l’uomo nascosto del cuore (1Pt 3,4), l’uomo interiore (Ef 3,16), che fa del mio corpo il tempio dello Spirito (1Cor 6,19). Qui posso comprendere con tutti i santi l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, per essere ricolmo di tutta la pienezza di Dio (Ef 3,17 s). Qui vedo e gusto quanto è buono il Signore (Sal 34,9) e ricevo il mio essere me stesso da lui, che è a me più intimo di quanto non lo sia io (Agostino). Il “dove” della pasqua è la mia verità profonda: lui che vive in me, e mi fa essere ciò che sono. Questo luogo è il centro della mia persona, il fondo e l’occhio dell’anima, la punta dello spirito, la sorgente dell’io, la mia finestra su Dio, l’abisso di luce da cui scaturisco e dove io dico a lui ciò che lui da sempre dice a me : “Eccomi”. È il mio essergli figlio in Gesù, nel quale, per mezzo dei quale e per il quale sono creato ed esisto.Questo luogo non lo raggiungo con complicate speculazioni trascendentali. Mi viene insegnato da colui al quale chiedo, secondo la parola del Maestro. E questi mi dice semplicemente come il Signore abita in me per mezzo della fede ( Ef 3,16), e come io posso dimorare sempre più stabilmente in lui, ascoltando la sua parola che ha la capacità di manifestarsi al mio cuore (Gv 14,23). Qui, al suono della voce esterna, il Maestro fa risuonare la sua parola interna. È nascosta e spirituale; come il vento, si fa percepire dal movimento che ravviva dove passa. Queste “mozioni” sono oggetto di “discernimento” in ordine a ogni “decisione”, che voglia produrre un’“azione” conforme alla volontà di Dio. Il cuore in questo senso sta al centro dell’etica cristiana (cf 7,6.21).Queste “mozioni” sono inoltre oggetto di “comunicazione” tra i fratelli, principio di “comunione” e fondamento della “comunità” - fatta appunto da persone che mettono insieme le risonanze dello Spirito, come una molteplicità di note che si compone in un’unica armonia.Chi non entra nel proprio cuore e non percepisce ciò che si muove dentro, resta fuori dal luogo vitale del cristianesimo. Rimane nell’ambiguità o nella falsità, nella legge o nella menzogna. Preparare la pasqua e cenare col Signore significa accedere a questa stanza superiore. Chi la raggiunge non è mai solo. È sempre “consolato” da colui che sempre gli è presente come suo Dio, amore eterno e reciproco tra Padre e Figlio. Qui, al di fuori da tutti i rumori e gli stordimenti, scopro la mia verità, che è la sua presenza e il suo amore per me. Qui la sua parola risuona in me, portando luce, fiducia, gioia, pace, forza e libertà di amare. Qui entro finalmente in comunione col mio io, con Dio e con gli altri: è il luogo della Chiesa.

grande, arredata preparata. Sono le caratteristiche della stanza superiore, riposo suo e anche mio, dove lui mangia con me. Essa è “grande”, tanto grande da contenere il Signore stesso e tutti gli uomini in un’unica comunione di figli col Padre; è “arredata”, ossia adorna di tappeti, piena di ogni comodità e bellezza; è “preparata”, pronta da sempre ad accogliere la venuta del suo Signore, perché fatta per questo.

lì preparate per noi. La stanza c’è ed è già preparata; come l’agnello pasquale è già preparato prima della creazione del mondo (Ap 13,8 Vg.). Manca ancora solo il mio ingresso in essa, seguendo l’uomo che porta il vaso d’acqua. Questa è la preparazione ultima.

v. 16 trovarono come disse loro. Chi ascolta la parola dei Maestro ha la sorpresa di trovare che è vero quanto lui dice.

prepararono la pasqua. Nel finale si sottolinea ancora, come all’inizio, “la preparazione” della pasqua. Ora sappiamo come e dove. Seguirà la cena pasquale, in cui riceviamo il dono del corpo e del sangue del Signore. “Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

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3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando Gesù fuori Gerusalemme, probabilmente in Betania, che inizia e istruisce i suoi discepoli su come prepararsi per mangiare la pasqua.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: mi insegni a pregare, mi introduca nella stanza superiore, mi doni conoscenza, disponibilità al sacrificio e libertà per mangiare con lui.4. Medito esplicitando i seguenti punti del racconto: Cos’è la pasqua ebraica. Come la morte di Gesù compie ogni promessa. L’atteggiamento di Gesù davanti alla sua morte: sa e accetta liberamente la sua passione. La stanza superiore: vederne le caratteristiche; come e dove cercarla e trovarla.

4. Passi utili: 1Pt 2,19; Mt 5,11 s; At 5,41; 1Pt 1,6-9; Gc 1,24; Eb 12,1-12; 2Cor 11,21b-12,10; Col 1,24: 2Re 4,8-10; Sal 16; 1Cor 6,19; Ef 3,14-19; 1Pt 3,4; Ap 3,20.

75. UNO DI VOI MI CONSEGNERÀ

(14,17-21)

17 E, fattasi sera,viene con i Dodici.18 E, mentre stavano sdraiati e mangiavano,Gesù disse:Amen, vi dico:uno di voi mi consegnerà, che mangia con me.19 Cominciarono a rattristarsia dirgli uno ad uno:Forse io?20 Ma egli disse loro:Uno dei Dodici,il quale intinge con me nel piatto.21 Il Figlio dell’uomo se ne va,come sta scritto di lui;ma ahimè per quell’uomoper mezzo del quale il Figlio dell’uomo è consegnato.Bene per luise non fosse nato quell’uomo.

1. Messaggio nel contesto

“Uno di voi mi consegnerà”, dice Gesù l’ultima sera che passa con i suoi. Poi viene la notte.Siccome per gli ebrei il tramonto del sole segna il cambio di data, siamo all’inizio di venerdì, suo sesto giorno a Gerusalemme. Nel racconto della Genesi in questo giorno Dio creò l’uomo, che subito si allontanò da lui. Da allora cominciò a cercarlo, percorrendo ogni lontananza per

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raggiungerlo. La croce, ormai imminente, sarà il punto più lontano, oltre il quale non può fuggire. Lì finalmente lo incontrerà.È il momento più importante di tutta la creazione, in cui Dio corona il suo desiderio così a lungo vagheggiato: abbracciare colui che ama. Seguendo la tradizione, Marco, di solito così sommario nelle sue indicazioni di tempo, scandisce ogni ora di questo giorno, che inizia col tramonto, si prolunga nelle diverse veglie notturne, culmina nell’oscurarsi del sole meridiano e termina con la deposizione vespertina nel sepolcro.È un giorno di tenebra, un’unica notte dal principio alla fine, in cui il Signore entra in tutte le nostre notti e l’uomo conosce molte notti!D’ora in poi il racconto è un concerto, una lotta tra la passione infinita di Dio per l’uomo e l’indifferenza mortale di questi nei suoi confronti. La narrazione procede in un gioco costante di luce e di ombre: la luce del mondo si perde in tutte le nostre ombre, e le illumina della sua presenza.Sdraiato a mensa con i suoi, il Signore della vita annuncia la sua morte per noi, e si offre come cibo e bevanda a noi che lo uccidiamo. Davanti a lui che si dona, si evidenzia il nostro peccato. “A che pro tutto questo spreco?” (v. 4). Ogni discepolo, che sta con lui attorno alla stessa tavola, si chiede: “Sono forse io colui che tradisce e lo consegna alla croce?”. La risposta è facile. Se non sono dalla parte di Gesù e della donna di Betania, sono tra coloro che lo vendono, lo comprano, lo consegnano, lo prendono e lo uccidono. Se non sono nell’economia dell’amore e della vita, sono in quella dell’egoismo e della morte. Se non vivo il dono che ricevo donando a mia volta, sono chiuso nell’inferno del mio io, nemico di me, degli altri e di Dio.Nell’ultima cena, davanti all’amore di Gesù che dà se stesso, la nostra cecità si fa evidente: siamo diversi da lui, immersi nella tenebra più profonda.Giuda non è il mostro che siamo abituati a pensare. È “uno dei Dodici”, come si dice sempre di lui; “uno di voi”, “che mangia con me”, “che intinge con me nel piatto”, dice Gesù. Egli ha tanti fratelli quanti sono gli uomini. Il suo è il mio stesso peccato, a causa del quale il Signore muore; è il peccato del mondo, dove ciascuno di noi ha la sua quota di partecipazione. Il suo è “il” male dal quale devo essere salvato. Esso consiste, più che nel vendere il dono, nel rifiutarne il perdono: “Ho sbagliato, quindi pago!” (cf Mt 27,30). Il suo suicidio, tentativo estremo di autogiustificazione, è l’ultimo frutto del primo peccato - quello di Adamo che, non conoscendo l’amore gratuito di Dio, pensa di guadagnarselo facendo il giusto o di punirsi quando è ingiusto. Se Giuda ignora il suo amore - e per questo lo rifiuta - Gesù, morendo per lui, glielo rivela. Questa è l’essenza del vangelo: Dio è amore infinito e incondizionato per tutti i peccatori.Il Signore, nel tradimento e nel suicidio di Giuda, ha certamente sperimentato il fatto più sconvolgente: la tragedia di un amore fallito. Possiamo a buon diritto affermare che è morto per lui, prima che per tutti gli altri. Infatti l’amore non ha altra misura che il bisogno dell’amato.

Gesù si dona a una comunità di persone che lo tradiscono, rinnegano e fuggono. Sa già che, nonostante la buona volontà, non siamo in grado di fare altro. E si dona non “nonostante”, bensì “per questo”. Lo annuncia in anticipo perché sappiamo che il suo amore, libero e sovrano, si riversa su di noi gratuitamente, non per i nostri meriti, anzi prevedendo i nostri demeriti. Noi invece vorremmo sempre un amore meritato, senza accorgerci che, se è meritato, non è amore. Sarebbe debito e non dono.

Il discepolo trova in Giuda la sua prima identificazione - poi ce ne saranno altre - se vuol comprendere che Gesù muore per lui. Il preannuncio del peccato serve ad assicurargli che il suo amore fedele resiste ad ogni male, peraltro già preventivato.La nostra miseria è il recipiente della sua misericordia. Il nostro peccato è la nostra parte di vangelo. L’altra è il suo perdono, che fa della nostra perdizione il luogo della sua salvezza.

2. Lettura del testo

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v. 17 fattasi sera. Con il calar delle tenebre inizia il nuovo giorno: è già pasqua.

viene con i Dodici. Gesù ha fatto i Dodici per essere con lui (3,14). Sono con lui perché lui è con loro, nella stanza superiore per cenare insieme.

v. 18 Amen, vi dico. Gesù non ama fare previsioni sul futuro (cf 13,32). Ha usato la sua preveggenza solo per dirci come trovare l’asinello (11,13s) e la stanza superiore (vv. 12ss), le due cose fondamentali da cercare.Ora ci predice anche il nostro peccato. Parla con autorità divina, dicendo: Amen. Il nostro peccato è la prima verità di fede che ci garantisce il vangelo. È la nostra stessa verità, uguale e contraria a quella di Dio che è perdono. “Certa è questa parola: se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,11-13).

uno di voi. Con queste parole Gesù non vuole indicare o scoprire il colpevole. Dichiara solo il male e la nostra solidarietà con chi lo compie: è uno di noi.

mi consegnerà. Il Signore si consegna a chi se ne impossessa e lo dà ai nemici: si dona a chi lo prende e lo butta via.Giuda non compie un gesto unico ed eccezionale nella sua tragicità. Cerchiamo di capirlo attraverso lo stesso racconto di Marco.Anch’egli, come tutti gli altri, fu chiamato perché amato (3,13), e ha risposto perché cercava il regno di Dio.È solo caduto nell’equivoco, comune a tutti, di confonderlo con la realizzazione del proprio io. Di conseguenza cerca quei mezzi normali che a tale fine si usano: l’avere, il potere e l’apparire.Più che lui, è Gesù il “traditore”, perché ha deluso le sue attese. Giuda, come gli altri discepoli, deve essere entrato in crisi quando vede che lui evita il successo e comincia a mostrare la sua “follia” e la sua debolezza (cf 1,35 ss; 3,19 ss; 6,6b-13.39.45; 8,11-21.31-33; 9,32 ss; 10,32 ss). Giuda, in fondo, invece di seguire Gesù, persegue in lui i propri desideri: cerca nel Regno la propria realizzazione, e lui dovrebbe essere strumento per conseguirla. Ma lo stesso vale anche per Pietro (8,33), Giacomo e Giovanni ( 10,36 ss) e tutti gli altri (9,34; 10,41).Nessun discepolo accetta come proprio Salvatore e Signore il messia povero e umile che va in croce. Giuda rappresenta ciascuno di noi, che, con il nostro senso religioso, più o meno buono, e con il nostro buon senso, più o meno religioso, pensiamo sempre istintivamente non secondo Dio, ma secondo gli uomini, alias secondo satana (8,33).

che mangia con me. È citazione dal Sal 41,10, che parla di un infelice perseguitato e abbandonato dagli amici: “Anche l’amico, in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, ha alzato contro di me il calcagno”.

v. 19 Cominciarono a rattristarsi. Si rattristano non solo per il destino di Gesù, ma anche per la scoperta della propria connivenza col traditore. Diversamente si sarebbero solo adirati o sdegnati. Invece si accorgono di essere tutti coinvolti nello stesso male, come risulta dalla domanda che fanno.

e a dirgli uno ad uno. Questo esame di coscienza si impone a chiunque sta attorno alla mensa eucaristica.

Forse io? Tutti iniziano, a uno a uno, a identificarsi nel traditore. Nessuno si sente affidabile; ognuno sa di non avere il pensiero di Cristo, e scopre latente il proprio tradimento. Lui si dona, e io cosa faccio? Non sono forse dall’altra parte?

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v. 20 Uno dei Dodici. Gesù conferma la verità della loro sensazione, e sottolinea ancora una volta la solidarietà loro col traditore: “Uno di voi”. Non è un estraneo. È loro fratello, anzi gemello.

intinge con me nel piatto. Tutti stanno mangiando dallo stesso piatto, in un gesto d’intimità familiare.

v. 21 Il Figlio dell’uomo se ne va. Gesù se ne va, ossia muore, per questo peccato comune a tutti noi.

come sta scritto di lui. Non che Giuda debba recitare un copione prestabilito, in cui gli tocca fare questa brutta parte. L’uomo fa il male perché, dopo il peccato, non può fare diversamente. Ma Dio lo sa; e nel suo amore ha fissato un piano di salvezza che ne tiene conto: il Figlio dell’uomo se ne va, portando su di sé il male di ogni uomo. Questo sta scritto di lui.

ahimè per quell’uomo. Non è una minaccia, ma un lamento di dolore. Gesù è dispiaciuto del male che si fa chi gli fa del male.“Ahimè” significa “mi dispiace”, “sento dolore”. Realmente il male dell’amato ricade su chi ama. La croce di Gesù è il dolore di Dio, il suo ahimè per il male del mondo.

Bene per lui se non fosse nato quell’uomo. Non è maledizione ma avvertimento, perché Giuda prenda coscienza del male che sta facendo a se stesso, male così grave da distruggere la sua vita. Queste parole di Gesù rivelano la sua infinita misericordia: si preoccupa non di sé, ma del destino di chi lo uccide.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando la stanza superiore, dove Gesù è sdraiato a tavola con i suoi.3. Gli chiedo: sono forse io a tradirti? Che io scopra il mio peccato.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Mi fermo su ogni espressione del testo, identificandomi con tutti i discepoli, Giuda compreso, che gli chiedono l’uno dopo l’altro: “Sono forse io?”.

4. Passi utili: Is 54,7-10; Os 11; Sal 41; Rm 5,6-11; 2Tm 2,11-13.

76. QUESTO È IL MIO CORPO QUESTO È IL MIO SANGUE DELL’ALLEANZA

(14,22-26)

22 E mentre essi mangiavano,preso del pane,benedicendolo spezzò,

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e diede loroe disse:Prendete,questo è il mio corpo.23 E, preso un calice,rendendo grazie,lo diede loro,e ne bevvero tutti;24 e disse loro:Questo è il mio sangue dell’alleanza, il quale è versato per molti.25 Amen, vi dico:Non berrò più dal frutto della vite,fino a quel giorno in cui lo beva nuovo nel regno di Dio.26 E, cantato l’inno,uscirono verso il monte degli Ulivi.

1. Messaggio nel contesto

“Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue dell’alleanza”, dice Gesù sul pane e sul vino nell’ultimo pasto coi suoi. Un sacrificio - qualunque esso sia - dell’uomo a Dio, fa parte di ogni religione. Il cristianesimo invece si fonda sul sacrificio di Dio all’uomo.Questo brano ci presenta l’istituzione dell’eucaristia. L’ultima pasqua di Gesù diventa cena dell’Agnello, il banchetto in cui ci nutriamo di lui, facciamo memoria della sua passione, ci abbeveriamo del suo Spirito e riceviamo il pegno della gloria futura.“Culmine e fonte di tutta la vita cristiana” (Lumen Gentium, 11), l’eucaristia veramente “è tutto e ci dà tutto” (G. Dossetti): è tutta la creazione che si fa corpo del Figlio, è l’umanità intera assunta nella sua carne, è Dio che si dona all’uomo.Tutto il vangelo porta ad essa e parte da essa. L’annuncio infatti ha come fine quello di introdurci nella stanza superiore, perché possiamo vivere di lui che è morto per noi, e ha come principio la vita nuova che da lui scaturisce. Parola e Pane non sono solo intimamente congiunti: la Parola si fa Pane.Questo breve testo è il nucleo genetico del Nuovo Testamento. I fratelli, riuniti a mensa per celebrare la memoria del Signore morto e risorto, asceso al cielo e presente in mezzo a loro, ricordano e raccontano ciò che ha detto e fatto, realizzando le varie promesse dell’Antico Testamento che illustrano un aspetto sempre nuovo del dono di cui vivono nell’attesa del suo ritorno.I vangeli sono nati per comprendere il mistero che si celebra nell’eucaristia, sintesi e compimento, in modo sovraeminente, di tutte le Scritture. Infatti, se queste sono memoria di quanto Dio ha fatto per noi, l’eucaristia celebra ciò che lui si è fatto per noi, facendoci il dono dei doni: donandoci se stesso. Dio non può darci nulla di più di questo pane, che davvero contiene ogni delizia (Sap 16,20). In esso il suo amore raggiunge il suo fine: unirsi a noi e farsi nostra vita.Le predizioni del tradimento e del rinnegamento, che racchiudono il racconto, evidenziano il senso profondo dell’eucaristia: è un amore totale e assolutamente gratuito, che si dona a chi tradisce e lo misconosce. La gemma più preziosa di tutta la Bibbia è incastonata nel nostro peccato, che solo racchiude la misericordia di Dio, anzi Dio misericordia.Il perdono del suo amore, fedele oltre ogni nostra infedeltà, riversa su di noi la sua essenza più recondita.

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Adoriamo l’umiltà di Dio, che, per essere desiderato da chi ama, si fa pane, suo bisogno fondamentale.Mangiare non è solo introiettare, ma anche vivere - si vive di ciò che si mangia. E non è neppure solo assimilare, ma anche in qualche modo essere assimilati - si diventa ciò che si mangia. Per questo chi mangia di questo pane, che è il Figlio, vive di lui e diventa figlio.Veramente l’eucaristia è la forza divinizzatrice in cui ci “ri-cordiamo”, ossia portiamo al cuore, al centro della nostra persona, il dono che lui ci fa di sé, per assumerlo e assimilarci a lui. Essa è il “sì” reciproco e totale tra il Creatore e la sua creatura, rapita nella compiacenza e nell’amore mutuo Padre/Figlio, che abbraccia tutti e pervade tutto.Per essa siamo incorporati pienamente in Cristo, nel quale siamo ciò che siamo secondo Dio. Questa è la vita eterna pregustata e anticipata, seme che cresce fino alla sua misura piena e si moltiplica fino a raggiungere tutti gli uomini.Per essa ancora diventiamo “martiri”, testimoni memori di Gesù, vivendo già, nell’attesa del suo ritorno, la sua gioia di Figlio, in perenne lode al Padre e armonia coi fratelli.

Gesù, dopo averci restituiti a noi stessi, ci fa ora il dono di sé, per renderci come lui, figlio del Padre. Il suo corpo e il suo sangue dati per noi rivelano Dio come amore assoluto e infinito; e insieme ci donano di diventare per grazia ciò che lui è per natura.L’eucaristia realmente divinizza l’uomo. Ma senza alcuna confusione: distinto da Dio, è realmente unito a lui in un unico amore e in un’unica vita.

Il discepolo conosce l’indegnità propria e la dignità del dono; e vive questa distanza con amore gioioso, silenzio adorante e canto di lode. È la vita filiale, sorgente di vita fraterna. Attorno alla mensa, nella comunione con lui, nasce la comunità tra di noi. Se è vero che la Chiesa fa l’eucaristia, è perché ancor prima l’eucaristia fa la Chiesa.

2. Lettura del testo

v. 22 mentre essi mangiavano. È la cena pasquale, preparata il giorno prima nella stanza superiore, dove lui mangia con noi e noi con lui. Mangiare insieme è vivere insieme, essere compagni, che condividono lo stesso pane, lo stesso cammino e la stessa meta.

preso. Prendere è l’azione che costituisce la creatura. Ha la vita, ma non è la vita; tutto riceve: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?” (1Cor 4,7). Ma ci sono due modi di prendere: con la mano aperta per accogliere il dono, o con la mano chiusa per rapirlo.

del pane. Il pane, che alimenta di continuo la vita, è figura di ogni dono di cui l’uomo vive, e soprattutto del dono che lo fa uomo: la parola d’amore del Padre che gli dà la vita del Figlio.Per l’eucaristia Gesù prende il pane e il vino, non il frumento e l’uva. Non solo il frutto della terra - la semplice natura - ma anche quello dell’uomo - la sua storia e la sua cultura - è assunto nel corpo del Figlio.

benedicendo. Anche Adamo prese, ma rubando con invidia, senza riconoscere il dono e senza benedire colui che dà ogni bene. Impadronirsi del dono significa distruggerlo nella sua natura e staccarsi da chi dona. Prendere benedicendo invece significa ricevere come dono ed entrare in comunione col donatore. Nella benedizione ogni briciola di vita ritrova la sua sorgente; ogni realtà, per quanto piccola, diventa segno di un amore infinito, che solo sazia la fame dell’uomo. Altro pane, per quanto ne accumuli, non fa che accrescerla, fino a ucciderlo.Gesù, il Figlio è l’unico che prende il pane e benedice, ossia riceve se stesso e la propria vita come dono d’amore del Padre.

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lo spezzò. Prendere con benedizione dal Padre comporta il condividere coi fratelli. Il dono d’amore diventa capacità di donare per amore, perché uno ama se e come è amato.Ma vivere l’economia del dono in quella del possesso esige il sacrificio di sé, perché non c’è ancora reciprocità. L’amore non corrisposto comporta la morte di chi ama, il quale arriva a donare la vita a chi gliela rapisce.Il suo corpo donato, portando su di sé tutta la maledizione del nostro rifiuto, diventerà pane spezzato per noi, fonte perenne di ogni benedizione. Il vaso è rotto e lascia uscire tutto il profumo.

e diede loro. Gesù “prende”, “benedice”, “spezza” e “dà”: mantiene il circolo vitale del dono, senza interromperlo col possesso. La vita è come il respiro: se lo tieni, soffochi. Gesù prende e dà perché benedice e spezza, vivendo in ciò che prende l’amore del Padre e in ciò che dà l’amore dei fratelli. Egli è il Figlio, perché prende con gioia; è uguale al Padre, perché dà.

e disse. La sua parola creatrice fa quanto dice e dice il significato di quanto fa.

Prendete. Questo imperativo è un invito a “prendere” il dono di Dio. Adamo, non temere di allungare la mano! Realmente con questo frutto ti rende uguale a sé. Ti ha dato tutto, anche te stesso. Ora ti dona se stesso, perché tu lo prenda e viva di lui. Per questo ti ha fatto e questo è il desiderio che lui ha messo nel profondo del tuo cuore. Se così non fosse, il nemico non ti avrebbe potuto ingannare, dicendoti: “Diventerete come Dio” (Gn 3,5). Tu non ci vieti, anzi ci comandi di prenderti. Desideri essere preso da noi. Ci offri la tua comunione con noi, perché noi desideriamo la nostra con te.

questo è il mio corpo. Ogni pane è dono del Padre, vita del Figlio. Ora il corpo di Gesù, il Figlio, si fa nostro pane, dono perfetto del Padre a tutti i suoi figli. In esso Dio, dandoci se stesso, ci dà di essere noi stessi, nella nostra verità di suoi figli.

v. 23 E, preso il calice. È il calice del vino, figura del sangue, che è vita, amore ed ebbrezza.

rendendo grazie. Il sostantivo greco di questo verbo è usato da noi per indicare l’“eucaristia”. Rendere grazie (eu-charisteîn) è qualcosa di più che benedire. Infatti contiene, oltre la parola bene (eu), una parola che significa “grazia” (cháris), ossia bellezza, dono, favore, amore gratuito. Indica tutto quel complesso di atteggiamenti trasformanti che esprimono la gioia dell’amore, radice di ogni benedizione. Si bene-dice con la bocca, esprimendo la festa di un cuore eucaristico, grato per il dono.

diede. La gioia del dono è forza per donare.

ne bevvero tutti. I semiti non bevono sangue. È vita, e appartiene solo a Dio. Chi prende e mangia il corpo del Figlio, beve la vita di Dio: ha il suo Spirito.

v. 24 e disse. Le parole sul calice, identificando il vino col suo sangue, dichiarano anche il senso della sua morte come nuova alleanza, sacrificio di espiazione e salvezza per tutti.

Questo è il mio sangue. Il corpo e il sangue di Gesù sono nominati separatamente. Sullo sfondo c’è la croce, sacrificio cruento e mortale, che divide il corpo dalla sua vita. Il suo sangue diventa nostra bevanda: la sua vita si fa nostra, il suo Spirito nostro.

dell’alleanza. L’alleanza si faceva in un contesto di sacrificio e di banchetto di comunione. Chi l’infrangeva, veniva maledetto, destinato a finire spaccato in due come le vittime attraverso le quali

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si passava per concludere il patto (Ger 34,18: cf Gn 15,17). Ma noi prima che la conoscessimo, l’abbiamo trasgredita (cf il vitello d’oro: Es 32). Il male, che avrebbe dovuto colpire noi, è invece ricaduto su di lui (Is 53,5). Infatti, quando fece la promessa ad Abramo, fu lui solo a passare come fuoco tra le due metà delle vittime squartate (Gn 15,17).Colpito dalla lancia, il suo petto sarà squarciato; e ne scaturirà il sangue dell’alleanza: “Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi” (Es 24,8). Questo sangue, come quello che Mosè asperse sull’altare e sul popolo (Es 24,6.8), unisce l’uomo a Dio, rendendoli consanguinei.Questa alleanza è nuova (Lc 22,20; Ger 31,31) e sarà eterna (Ez 16,60; Os 2,16-25). È “nuova” rispetto a quella antica, che era bilaterale. Infatti è unilaterale: Dio si impegna con noi, perché lui è misericordioso e ci salva, non per la nostra giustizia, ma per il suo amore e la sua fedeltà verso di noi. Quella antica, con la legge, era necessaria come pedagogo (Gal 3,23) per condurci a questa, che è nuova, sotto il segno della grazia, in cui conosciamo chi è veramente il Signore: amore senza condizioni e perdono (cf Ger 31,33 s).Questa alleanza inoltre è “eterna”, perché non possiamo più infrangerla. Qualunque cosa facciamo, anche se lo mettiamo in croce, lui rimane sempre fedele al suo amore per noi, “perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13). “A stento si trova chi sia disposto a morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7s). Ora “se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Chi accuserà gli eletti di Dio, se Dio giustifica?” (Rm 8,31.33). Per questo Paolo dice di essere persuaso che “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore che Dio ha per noi in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,31 ss).

il quale è versato per molti. La sua vita e il suo Spirito è donato senza misura e per tutti, nessuno escluso.Queste parole nel contesto richiamano Is 53,11 s, in cui si parla del servo che versa la sua vita in espiazione del peccato di tutti e giustifica le moltitudini. Infatti “egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siano stati guariti” (Is 53,5). Bisogna stare attenti a non pensare un Dio come padre cattivo che castiga il suo figlio unico e buono al nostro posto. Non ci può essere distorsione peggiore del cristianesimo.Dio è buono, Padre d’immenso amore per tutti. Il Figlio, che lo conosce e ha il suo stesso amore, porta su di sé tutti i nostri mali per liberarcene.

v. 25 Amen, vi dico: Non berrò più dal frutto della vite. Il nostro primo calice di vita è per lui l’ultimo, che contiene la sua morte.

fino a quel giorno in cui lo beva nuovo nel regno di Dio. Il vino è bevanda della terra promessa. Gesù sarà pellegrino nel mondo, digiuno e abbeverato di morte, fino a quel giorno in cui l’ultimo fratello non si sarà arreso alla conoscenza dell’amore del Padre. Quando la sua casa sarà piena di tutti i suoi figli, sarà il regno di Dio. Fino allora Gesù continuerà a bere il calice di morte per dare a noi il calice di vita. Quanti ne bevono, sono a loro volta spinti dal suo stesso amore di Figlio verso i fratelli che ancora non conoscono il Padre (2Cor 4,12).Lo scarto tra ciò che celebriamo nell’eucaristia e ciò che vediamo nel mondo sta all’origine della missione. Essa lo colma, portando a tutti la parola e il pane della misericordia. Infatti questo cibo è necessario per tutti. A quelli che sono naufraghi nel mare in tempesta, digiuni con lui nella stessa barca carica di frumento, Paolo dice: “Vi esorto a prendere cibo; è necessario per la vostra salvezza”. E preso il pane, rese grazie davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare “Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo” (At 27,34-37). È la sua messa sul mondo!

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v. 26 cantato l’inno. È il grande Hallel (Sal 136), che segue il piccolo Hallel (Sal 113-118). un salmo che, passando in rassegna i doni della creazione e della storia - giungendo fino al momento presente in cui Dio dà il cibo ad ogni vivente - ripete a ogni riga il ritornello: “perché eterna è la sua misericordia”. Queste parole dicono il perché profondo di tutta la creazione e di tutta la storia.Dopo l’eucaristia anche noi comprendiamo che la sua misericordia eterna è il perché ultimo di tutto quanto c’è e accade: è il trionfo del suo amore su tutto il male del mondo. Non possiamo che danzare di una gioia che nessuno può ormai rapirci. A noi, che abbiamo compiuto il massimo male uccidendo suo Figlio, Dio concede il massimo bene, donandoci la vita del Figlio. Ora comprendiamo che la sua misericordia è eterna e onnipotente, capace di capovolgere in bene ogni male e di salvare tutto e tutti. Di questo faccio perenne eucaristia.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando la stanza superiore, dove Gesù sta a mensa coi Dodici.3. Gli chiedo ciò che voglio: prendere il suo corpo e bere il suo calice, gustare e vivere di lui.4. Fermarmi ad assaporare ogni parola. È la sintesi di tutta la rivelazione, realizzazione di ogni promessa, che ogni giorno vivo e celebro nell’eucaristia.

4. Passi utili: Ger 31,31-34; Ez 36,22-30; Sap 16,20-29; Sal 16; 23; Gv 6,26-58; At 27,27-38; 1Cor 11,17-33.

77. TRE VOLTE MI RINNEGHERAI

(14,27-31)

27 E dice loro Gesù:Tutti sarete scandalizzati,perché sta scritto:Percuoterò il pastore,e le pecore saranno disperse.28 Ma, dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea.29 Ora Pietro gli diceva:Anche se tutti saranno scandalizzati, io però no!30 E gli dice Gesù:Amen, ti dico:Tu oggi,in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, tre volte mi rinnegherai.31 E lui all’eccesso parlava:Anche se bisogna che io muoia con te, non ti rinnegherò.

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Ora lo stesso dicevano anche tutti.

1. Messaggio nel contesto

“Tre volte mi rinnegherai”. Così inizia il battesimo di Pietro, al quale Gesù fa prendere coscienza delle due verità di fede fondamentali: il peccato dell’uomo e il perdono di Dio.Se in Giuda vediamo il male, in Pietro vediamo il “bene”, dal quale Cristo ci salva.È quel bene che fa da manto all’orgoglio, essenza di ogni male. Presente in quantità variabile nel peccatore normale, è concentrata allo stato puro nel “giusto”.Davanti al suo amore che si consegna per tutti, Gesù prevede e predice la caduta di Pietro e di tutti. Ma la sua grazia, lungi dal venir meno, si manifesta pienamente nel cedimento dei discepoli, e promette la sua fedeltà fin oltre la morte: “Dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea” (v. 28). Il nostro peccato, in quanto misura della sua misericordia, è il luogo dell’incontro e della conoscenza di Dio.Non solo è inevitabile, ma è anche bene che Pietro cada. Così, invece di presumere per poi disperare di sé, confiderà in lui, con una speranza che non delude più.La frana di tutti i suoi buoni desideri lascerà emergere dalle rovine la roccia salda che non crolla: la fedeltà del Signore.Se Pietro non avesse rinnegato e fosse morto per Cristo, si sarebbe salvato?Per sé dobbiamo rispondere negativamente. Ciò che mi salva infatti non è il mio amore per Dio - supposto che ci sia! - ma il suo per me. Il mio per lui è solo risposta e dono del suo per me. L’uomo, in quanto creatura, è sempre e in tutto secondo. Deve quindi accettare di essere tale, senza usurpare il posto del suo Creatore: è come lui, ma in quanto figlio e creato.Pietro dovrà passare dalla propria giustizia alla giustificazione, dalla legge al vangelo. È la difficilissima conversione di Paolo, che porta alla sublimità della conoscenza di Gesù come Signore (vedi Fil 3,1 ss).Siamo al nocciolo della fede cristiana.Il discepolo non è più bravo degli altri. Peccatore come tutti, ha però la gioia di conoscere il Signore morto per lui peccatore. Questo è il nuovo principio di vita, che ha il potere di guarirlo dal suo male radicale.“Il giusto vivrà di fede” (Rm 1,17 = Ab 2,4), dice Paolo, ossia: il giusto vivrà della fedeltà del Signore a lui. Nulla infatti può separarlo dall’amore che Dio ha per lui in Cristo Gesù (Rm 8,35.39). Questa fede è incrollabile, perché poggia non sulla mia fedeltà a Dio, ma sulla sua fedeltà a me. Neanche il peccato e la morte mi sottraggono a lui, perché lui si è fatto per me peccato e morte, per essere mia giustizia e vita nuova.Inoltre è molto importante che il peccato di Pietro sia previsto e predetto. Gesù muore per lui non perché lo crede bravo, ma sapendo che lo rinnega. Solo in questo modo è chiaro chi è il Signore e chi è Pietro: il Signore è amore gratuito e fedele, e Pietro è in quanto amato da lui.Davanti alla croce di Gesù tutti subiamo scandalo. Ma proprio cadendo scopriremo l’identità di Dio e nostra.La differenza tra Giuda e Pietro non è tanto nel loro peccato - comune anche a tutti noi. L’esito diverso di morte o di vita dipende dall’accettare o meno di vivere del suo perdono.

Gesù sa che non siamo in grado di comprendere il mistero del suo amore; sa che cadiamo, rinneghiamo e fuggiamo. E proprio a noi promette la sua fedeltà oltre la sua stessa morte.

Il discepolo deve essere, come Paolo, disarcionato da ogni sua presunzione religiosa, per comprendere che il Signore muore per lui e accettare di vivere pubblicamente della sua misericordia.

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2. Lettura del testo

v. 27 Tutti sarete scandalizzati. Lo “scandalo” è una pietra di inciampo. La fedeltà del Signore è una roccia contro cui ogni uomo sbatte e cade. Dio è scandaloso perché è amore, e quindi debolezza, povertà, servizio e umiltà. Contro di lui s’infrange il nostro egoismo, con la sua brama di avere. di potere e di apparire. Tutti cadiamo, nessuno escluso, perché tutti abbiamo peccato, e non conosciamo la gloria di Dio (Rm 3,23).

Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse (Zc 13,7). Quanto sta per capitare a Gesù è la prova finale che solo lui supera. Davanti alla croce del pastore tutte le pecore si smarriscono; ma la stessa croce che le disperse sarà anche il bastone che le raccoglie e guida fin oltre la valle oscura (Sal 23).“Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”, perché “allora saprete che Io Sono” (Gv 12,32 ; 8,27).I discepoli saranno dispersi perché ancora ciechi davanti alla gloria (10,32 ss). Come Bartimeo devono essere illuminati.Pietro, dopo il suo pianto, sarà curato dalla sua cecità. Ma prima di accettare la terapia, dovrà convincersi della diagnosi.

v. 28 dopo che sarò risuscitato, vi precederò in Galilea. La stessa promessa sarà annunciata il giorno di pasqua (16,7). In Galilea abbiamo già trovato e troveremo sempre il Signore che proclama l’evangelo (1,14).Gesù, oltre che del nostro peccato, ci assicura anche del suo amore più forte della morte (Ct 8,6). Ci sarà sempre vicino nella nostra Galilea, per accompagnarci da lì a Gerusalemme.Promette la sua fedeltà eterna a coloro ai quali ha appena predetto la loro infedeltà costitutiva.

v. 29 Anche se tutti saranno scandalizzati, io però no. Pietro vive ancora di confronto e competizione con gli altri. L’egoismo e l’orgoglio ovviamente! - è più presente nel bene che nel male. In genere facciamo il male per errore, e il bene per superbia. Per questo la conversione è più difficile per il giusto che non per il peccatore. Anche se ambedue si chiudono, rispettivamente nella presunzione o nella disperazione, tuttavia la situazione del secondo è privilegiata e diventa un passaggio obbligato, perché solo nel peccato si capisce Dio come Dio, ossia perdono e amore gratuito.

v. 30 Amen, ti dico. Come la predizione del tradimento di Giuda, anche quella del rinnegamento di Pietro è introdotta con “Amen”. Dio parla in prima persona, impegnando la sua veridicità. Due infatti sono le verità complementari dell’evangelo: il nostro peccato e il suo perdono, la nostra infedeltà e la sua fedeltà, la nostra miseria e la sua misericordia. Solo nella prima ci è dato cogliere la seconda. La scena del rinnegamento, qui predetta, sarà descritta con cura alla fine del capitolo.

mi rinnegherai. Rinnegare corrisponde a vergognarsi di Gesù e delle sue parole (8,38). È il contrario di testimoniare; significa negare di conoscere qualcuno, non ricordarsi di lui.Il discepolo che non rinnega se stesso (8,34), rinnega il suo Signore consegnato, mettendosi dalla parte di chi lo consegna.

v. 31 E lui all’eccesso parlava. Lo stesso eccesso avrà poi nel rinnegare (v. 71). L’eccesso di parola copre sempre incertezza o addirittura menzogna.

Anche se bisogna che io muoia con te. Questo desiderio di stare con Gesù, anche se dettato da amore, è ancora un’affermazione di sé, l’ultima. Tutte le religioni raggiungono il loro apice nel

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sacrificio a Dio, come esaltazione massima dell’io religioso. Contro questo è da ribadire, come già detto, che la salvezza non è il fatto che io muoia per il Signore, ma che lui muoia per me. Ciò che salva non è anzitutto amare, ma essere amati. Al massimo di amore si muore; è dell’essere amati che si vive.Inoltre voler morire con, ed eventualmente per Cristo, invece di accettare che lui muoia con e per me, è il solito protagonismo di Adamo, che mette l’io al posto di Dio.Infine morire per lui è il massimo che si possa fare per meritarsi il suo amore. Ma “meritare” l’amore è meretricio. Si tratta Dio come se fosse una prostituta, i cui favori sono da pagare a prezzo di opere buone. Questo è il peccato del giusto, l’unico che va direttamente contro l’essenza di Dio. “Duri sono i vostri discorsi contro di me”, dice il Signore a quelli che si chiedono che vantaggio hanno ad osservare la sua parola (Ml 3,13 s). Ogni merito infatti richiede di essere compensato. Ma l’amore o è gratuito o non è. Pretendere di meritarlo è distruggerlo. Infatti ci pone in un dilemma diabolico: se Dio lo concede, non è gratuito; se non lo concede, è cattivo.Amarlo fino a dare la vita può solo essere dono suo, risposta a lui che per primo mi ha amato ed è morto per me. Diversamente è orgoglio, quasi io fossi Dio, e inganno, quasi Dio volesse la mia morte. Per questo accettare di essere amato è previo e più difficile che (pretendere di) amare. È far dipendere la propria vita da lui, accettare di essere suo.

lo stesso dicevano anche tutti. Sono tutti d’accordo, in questa pretesa come tutti litigavano su chi tra loro fosse il più grande (9,35). L’epilogo è al v. 50: “abbandonandolo, fuggirono tutti quanti”.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il cammino dal cenacolo all’orto degli Ulivi, nella notte di luna piena, attraverso la valle del Cedron.3. Chiedo a Gesù ciò che voglio: capire il mio peccato “religioso”, la presunzione di essere bravo e di salvarmi. Gli chiedo di capire che lui è morto per il mio peccato.4. Considerare: Le parole di Gesù: “Tutti sarete scandalizzati”.

La reazione di Pietro e la sua risposta.La protesta di tutti gli altri.

4. Passi utili: Giona; Sal 136; 117; Rm 8,31-39; 1Tm 1,15 s.

78. DIMORATE QUI E VEGLIATE

(14,32-42)

32 E vengono in un poderedi nome Getsemani,e dice al suoi discepoli:Sedete qui,fin che io prego.33 E prende con sé Pietroe Giacomo e Giovanni,e cominciò ad aver terrore e angoscia,

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34 e dice loro:La mia vita è nella tristezza fino a morte.Dimorate qui e vegliate.35 E, andando avanti un po’,cadeva per terrae pregavache, se è possibile, passi da lui quell’ora.36 E diceva:Abbà, Padre!Tutto è possibile a te: togli questo calice da me; ma non ciò che voglio io, ma tu.37 E viene e li trova che dormono,e dice a Pietro:Simone, dormi?Non hai avuto forzadi vegliare una sola ora.38 Vegliate e pregate,per non venire in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne debole.39 E di nuovo, andatosene, pregòdicendo la stessa parola.40 E di nuovo, tornato, li trovò che dormivano.Infatti i loro occhi erano appesantiti e non sapevano cosa rispondergli.41 E viene la terza voltae dice loro:Dormite ormai e riposate.Basta. È giunta l’ora.Ecco: il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori.42 Svegliatevi, andiamo.Ecco: chi mi consegna è qui.

1. Messaggio nel contesto

“Dimorate qui e vegliate”, dice Gesù a Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono i tre testimoni prescelti, chiamati per primi a contemplare la sofferenza di Dio per il male del mondo.Chi rimane qui e veglia, vede il grande mistero: la passione del suo Signore per lui.La bibbia ci riferisce tre notti altissime, da cui nascono i tre giorni fondamentali della storia della salvezza. La prima è quella del caos primordiale, quando Dio creò il mondo, che poi si allontanò da lui. La seconda è quella della lotta con Giacobbe (Gn 32,23 ss), quando creò il suo popolo, dandogli il nome di Israele. La terza è questa, quando il vero Israele dà a Dio il suo vero nome: “Abbà”.Se nella creazione ha posto il mondo fuori di sé, ora Dio stesso va fuori da sé - estasi dell’amore! - e si porta nel luogo più lontano: sulla bocca del Figlio che va in croce. Da qui per la prima volta il

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Nome esce, e risuona con potenza in ogni abisso. È la nascita di Dio nel mondo e del mondo in Dio. In questa notte ogni notte è ripiena della sua luce.Nella trasfigurazione il Padre lo chiamò: “Figlio”; ora, nella sfigurazione, il Figlio lo chiama: “Abbà, Padre”. Là sul Tabor l’umanità di Gesù lasciò trasparire la propria divinità; qui, nell’orto, la divinità lascia trasparire tutta la sua umanità - che, rivestendosi della nostra disumanità, manifesta la Gloria.L’agonia nell’orto è la finestra sull’io più intimo di Gesù. Le sue stesse parole ci aprono al suo rapporto di Figlio col Padre, proprio nel momento decisivo della sua vita.I discepoli si ostinano tre volte a chiudere gli occhi. Ma la scena rimase impressa nella loro memoria come rivelazione suprema del Figlio e nostra salvezza.Figlio infatti è colui che compie la volontà del Padre.Per questo “nei giorni della sua vita terrena egli offri preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo dalla morte e fu esaudito per la sua riverenza”. Non fu però esaudito nel senso che fu liberato dalla morte; fu invece esaudito con la risurrezione, dopo aver “accettato bene” la morte con riverenza filiale. Infatti, “pur essendo figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì, e, reso perfetto, divenne causa di salvezza per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb 5,7 ss).Il vangelo di Marco non contiene il Padre Nostro. Certamente non perché lo ignora, ma perché si rivolge al catecumeno, che solo nel battesimo conosce Dio come Padre. Ora ci fa vedere il Figlio che si abbandona con fede a lui, e lo chiama per nome. È il suo battesimo, in cui, istruendoci sul nostro, vive e dice le parole fondamentali del Padre Nostro: Abbà, Padre; sia fatta la tua volontà, che non cadiamo in tentazione. Le parole sul perdono sono state anticipate in 11,25.Il racconto è un contrappunto discepoli/Gesù, i due poli dell’asse attorno al quale ruotano le altre opposizioni: seduti/prostrato, dormire/vegliare-pregare, debole/forte, carne/spirito, mia/tua volontà. I discepoli, seduti, dormono nella debolezza della carne, chiusi nella loro volontà; Gesù, prostrato, veglia e prega nella forza dello Spirito, compiendo il passaggio dalla volontà propria a quella del Padre.Così giunge l’“ora” decisiva della storia umana, quella della fede che genera suoi figli.La vera lotta dell’uomo è con Dio, che, dopo il peccato, non è più conosciuto come Padre, bensì temuto come antagonista. La fede è il travaglioso passaggio dalla mia alla sua volontà, nella resa al suo amore in cui credo al di là di tutte le mie paure.L’agonia di Gesù segna l’“ora” in cui si abbatte il muro tra l’uomo e Dio. È la felice notte della nostra salvezza, in cui il Signore della vita si immerge in tutte le nostre notti, portando ovunque la luce del Nome.

Gesù è il primo uomo, anzi l’unico, che sperimenta tutto il dramma del peccato. che è l’abbandono del Padre; e lo vive con fiducia, abbandonandosi a lui. È il “Figlio” che compie la sua volontà riscattandoci dalla diffidenza.

Discepolo è colui che rimane lì davanti a Gesù in agonia e tiene gli occhi aperti. Qui conosce l’amore di Dio per lui e accetta nel fratello maggiore l’amore del Padre che lo fa figlio.

2. Lettura dei testo

v.32 vengono in un podere di nome Getsemani. È un campo delimitato sul monte degli Ulivi, che sta di fronte al tempio, posto proprio tra il Getsemani e il Calvario. Getsemani significa “torchio”. Qui l’umanità di Gesù, torchiata, spremerà la sua essenza divina di Figlio, dicendo: Abbà!

Sedete qui. I discepoli prendono il luogo della folla, evidenziando la distanza che li separa dal Maestro.

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fin che io prego. Gesù prega da solo. La preghiera è sempre solitudine davanti a Dio, unico consolatore capace di colmare il nostro vuoto costitutivo. Abbiamo già trovato Gesù in preghiera due volte: nella tentazione dopo la prima giornata (1,35 ss), e in quella dopo il fatto dei pani (6,45 ss). Ambedue le volte era di notte. Le tenebre, immagine della morte e dei suoi terrori, è il luogo in cui Gesù è in comunione col Padre. Anche adesso, per la terza volta, lo troviamo in preghiera, mentre vince la tentazione definitiva.

v. 33 prende con sé Pietro e Giacomo e Giovanni. I tre che videro la risurrezione della figlia di Giairo (5,37 ss), ora sono testimoni della sua agonia mortale. Hanno contemplato la divinità della sua umanità e udito la voce del Padre (9,2 ss); ora, al sesto giorno, contemplano l’umanità della sua divinità e odono da lui la Parola che costituisce Dio Padre e Figlio: Abbà! Da questo monte, dove insieme con Andrea (13,3) hanno ascoltato il discorso sulla fine del mondo vecchio, ora assistono all’agonia del Figlio dell’uomo e alla nascita del Figlio di Dio. Questi tre, staccati dagli altri per iniziativa di Gesù, ricevono per primi ciò che lui vuole donare a ciascuno che glielo chiede: vederlo come Figlio.

cominciò ad aver terrore. È paura spinta al massimo grado: terrore della morte. Comune eredità e causa di ogni peccato, Gesù ha voluto viverla in piena solidarietà con noi. Infatti, lui che non ha peccato, si è fatto peccato per noi (2Cor 5,21), per essere presente dove noi lo consideriamo assente. Mai abbandona chi lo abbandona, per quanto fugga lontano da lui, anche nella lontananza estrema: “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,14 s).Come tutti, Gesù ha paura della morte. La sua è violenta e orribile, per di più ingiusta. Che bene può venire dall’uccisione dell’innocente? La sconfitta del bene non è il massimo male? Se nella prova definitiva soccombe, che rimane di buono e sensato sulla terra? Nella sua morte Gesù vive l’insensatezza di ogni morte innocente e ingiusta.

e angoscia. L’angoscia è peggiore del terrore: è essere sazi di vuoto, pieni di nulla. È la possibilità negativa estrema dell’uomo: imparentato con Dio e con il nulla, se non si sente prossimo al Padre che l’ha fatto, si sente prossimo al niente da cui è tratto. È quindi strutturale alla sua condizione di creatura, continuamente salvata dal vuoto che la inghiotte. Nell’angoscia tutto cade sordamente nel caos. La vita si allontana. Dio non interviene, è anzi scomparso.La vera essenza del male è l’abbandono di Dio, la sua assenza. In realtà siamo noi a lasciare lui. Ma la pena ricade su chi ama. Ecco perché lui stesso nel Figlio prova misteriosamente il dolore del nostro distacco.Inoltre Gesù è “il Figlio”, la cui natura è “essere del Padre”. Abbandonato da lui è il niente di sé, e vive in modo infinito un male infinito.L’angoscia dell’uomo tocca davvero il cuore di Dio.

v. 34 La mia vita è nella tristezza. Gesù è come avvolto dalla tristezza. Fuori come dentro, non c’è nulla che non sia dolore, terrore e angoscia.

fino a morte. La stessa morte è più facile di questa vita. Infatti sta vivendo un dolore che è al di là di ogni possibile morte, suicidio compreso. Nella sua sono tutte le nostre morti, nelle quali si è battezzato fino in fondo.

Dimorate qui e vegliate. L’uomo è chiamato a sostare e a tenere gli occhi aperti davanti alla passione del Signore per questo mondo perduto. Qui trova la sua vera dimora: l’amore che Dio ha per lui.

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Al di là di tutto quanto io possa sentire per lui, qui contemplo in silenzio e adorazione ciò che lui sente per me. È la mia salvezza.

v. 35 E, andando avanti un po’, cadeva per terra. Da dove e verso dove fugge nella tenebra, imploso dal male esterno, esploso dal male interno? Si accascia al suolo e ricade, fiore secco sulla terra che l’ha generato per tanto male.

pregava. Gesù non ha in sé nessuna ragione per vivere. Tutto è finito! Solo la comunione col Padre, creduta per pura fede, è suo motivo di vita.

se è possibile. Gesù aveva detto: “A Dio tutto è possibile” ( 10,27); perciò “tutto quello che domandate nella preghiera abbiate fede di averlo già ottenuto, e vi sarà accordato” (11,23). Questo è vero, ma solo perché il Figlio si è abbandonato in ogni nostra perdizione. Infatti se Dio “non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Rm 8,32).

passi da lui quell’ora. È l’ora della croce, dell’abbandono di Dio e del trionfo del male.Luca dice che Gesù entra in agonia e suda sangue (Lc 22,24). Nel suo sangue lotta e si dibatte la creatura nuova: è il travaglio del Figlio di Dio che nasce in terra, portando su di sé la maledizione della nostra carne di peccato.

v. 36 diceva: Abbà, Padre. Nell’abbandono e nella disperazione assoluta Gesù si abbandona con fiducia assoluta a Dio. Lo chiama ed è Abbà, papà, unico fondamento della sua vita. Per questo è “il Figlio”. Questa fede nel suo amore senza nessuna prova, anzi contro ogni prova, è la guarigione dal peccato originale. Adamo non gli credette e si nascose da lui. Il nuovo Adamo, dall’abisso di ogni morte, oltre i confini del nulla, si abbandona a lui con fiducia. In lui chiunque, da ogni angolo di perdizione del mondo, può ormai rivolgersi a Dio come Padre. Qui, mentre si fa fratello di tutti i perduti, Gesù si rivela “il Figlio”, l’unico che vive l’amore del Padre. Siamo al centro della fede cristiana.

Tutto è possibile a te. Gesù vive il dramma della libertà umana che può dire sì o no. Sente anche tutto il peso del no originario e la fatica per passare al sì.

togli questo calice da me. Il calice del Figlio è pieno del male di tutti i fratelli. Padre, ti prego, non togliere questo calice dal fratello maggiore. Diversamente noi siamo privi del pane dei figli.

non ciò che voglio io, ma tu. La nostra vera lotta è con Dio, che, dopo il peccato, percepiamo come nemico. È anzi questo il peccato. Gesù, appunto perché innocente, ne porta su di sé tutta la maledizione (2Cor 5,21 ; Gal 3,13).Noi tutti, quando preghiamo “sia fatta la tua volontà”, proviamo un timore istintivo, e pensiamo: “Cosa mai vorrà Dio?”. Questa sfiducia è l’eredità della menzogna, principio di ogni male. Gesù l’ha vinta per tutti noi, perché in lui ci riconsegnamo al Padre.

v. 37 li trova che dormono. Davanti alla morte l’uomo non può che chiudere gli occhi, anticipando il sonno finale.

dice a Pietro: “Simone, dormi?”. Il portinaio deve vigilare e aiutare gli altri a vegliare (13,35). In Marco è l’unica volta che Gesù lo chiama per nome. È segno di grande amicizia.È anche l’unica volta in cui sono accostati i suoi due nomi. Quello nuovo che gli viene dal fatto che il Signore gli rivela il suo vecchio - la sua verità di uomo che dorme davanti alla Gloria.

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Non hai avuto forza di vegliare una sola ora. Il Signore trova addormentato anche il portinaio (cf 13,35).Ma cosa può fare l’uomo nella notte se non dormire? Gesù ci chiede di vegliare, perché ora nelle nostre tenebre è presente lui. Possiamo quindi guardare negli occhi tutte le nostre notti, senza essere travolti dalla vertigine; in esse ormai troviamo la luce del Figlio che grida: Abbà.

v.38 Vegliate e pregate. La preghiera è la forza per vegliare.

per non venire in tentazione. Significa “per non cadere in tentazione”. la tentazione definitiva, la grande prova della fede, da superare per essere creatura nuova. Diversamente restiamo nel sonno della morte.

Lo spirito è pronto, ma la carne debole. Anche Gesù ha voluto sperimentare la debolezza della carne. Lo spirito è sempre pronto: è quello del Figlio. Ma dopo il peccato la “carne” è debole, perché vive il suo limite con sfiducia e paura, trasformando la condizione creaturale di abbandono al Padre in caduta nel nulla. La preghiera fa della nostra debolezza il luogo della potenza di Dio. Infatti ci mette in comunione con lui, rendendoci possibile tutto ciò che lui può. Se restiamo chiusi in noi, la nostra debolezza diventa la nostra perdizione.

v. 39 E di nuovo pregò. La preghiera di Gesù è insistente e persistente nel tempo. La nostra vita è fatta di tanti frammenti, uno dopo l’altro. Ciascuno o è pieno della comunione col Padre, o è vuoto angosciante di morte - da anestetizzare o da rimuovere.

dicendo la stessa parola. Abbà è “la” Parola: è il Figlio che esprime il Padre nell’unico Amore.

v. 40 E di nuovo, tornato, li trovò che dormivano. Se il Signore non fosse venuto di continuo a svegliarli, non avrebbero intravisto, sia pure tra un sonno e l’altro, il grande mistero del suo rapporto con il Padre.

i loro occhi erano appesantiti. Sul Tabor tennero gli occhi aperti (Lc 9,32). La nostra cecità è causata dalla paura della morte. Ne siamo liberati solo nella misura in cui vediamo che il Figlio per amor nostro entra e abita in essa.

non sapevano cosa rispondergli. Non c’è giustificazione per questo sonno. E neanche occorre, perché comune a tutti fin dal primo uomo.

v. 41 E viene la terza volta. Tre volte Gesù aveva detto di vegliare (13,33-37), e tre volte puntualmente dormono. Ma anche tre volte viene a svegliarli, perché colgano, tra un sonno e l’altro, qualche briciola del suo bagliore.

Dormite orinai. Gesù ha finito la lotta; ha accettato il calice. Per questo non dice più di vegliare, ma di “dormire”. Non è un’ironia. Dormire significa morire. Dopo la sua agonia, il discepolo può abbandonarsi alla morte, perché sa che lì trova il suo Signore.

e riposate. Il riposo è la terra promessa. Ormai il sonno della morte, mio limite estremo, non è la fine di tutto, ma l’incontro con lui che mi si è fatto vicino fino a questo punto.

È giunta l’ora. È giunta l’ora decisiva, il momento della venuta del regno di Dio (1,15).

Basta. Non manca più nulla alla nostra salvezza. Ognuno ha ricevuto ciò che gli spetta: il Figlio ha ricevuto da noi il nostro male e la nostra morte; e noi da lui il suo bene e la sua vita.

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Ecco: il Figlio dell’uomo è consegnato nelle mani dei peccatori. Nelle nostre mani è consegnato il Figlio dell’uomo: il nostro peccato è pieno del suo perdono, la nostra morte colma della sua vita. La giustizia di Dio si è fatta giustificazione per tutti.

v. 42 Svegliatevi, andiamo. È venuta la luce; possiamo svegliarci e camminare. La sua notte ha posto fine alle tenebre, guarendo tutte le nostre notti. È vinto l’orrore del vuoto, del caos e della morte; il Signore della vita ha colmato della sua presenza ogni abisso. In lui, sia che viviamo sia che moriamo, siamo figli, che gridano: “Abbà”, e hanno trovato nel Padre la sorgente della vita.

Ecco, chi mi consegna è qui. Le prime parole di Gesù sono: “Il regno di Dio è qui” (1,15). Ora è qui con Giuda che lo consegna a morte. Nel suo essere consegnato lui si consegna a noi e il Padre stesso ce lo consegna come nostra vita.Qui finisce l’azione di Gesù e inizia la sua passione. Dio ormai esprime il suo amore direttamente, senza veli.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando l’orto degli Ulivi, dove Gesù è con i suoi discepoli nella notte del plenilunio pasquale.3. Chiedo a Gesù ciò che voglio: dimorare lì e tenere gli occhi aperti per vedere cosa lui si è fatto per me.4. Traendone frutto, vedo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Mi fermo a lungo e molte volte a contemplare ogni dettaglio del racconto.

4. Passi utili: Gn 32,23-33; Sal 40; Gal 4,4-7; Rm 8,15-17; Eb 5,7-9; 12,4-12.

79. SI COMPIANO LE SCRITTURE

(14,43-52)

43 E subito, mentre egli ancora parlava,si fa vicino Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, da parte dei sommi sacerdoti, e degli scribie degli anziani.44 Ora colui che lo consegnavaaveva dato un segno, dicendo loro:Colui che baceròè lui!Impadronitevi di lui,e portatelo via ben stretto.

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45 E, venendo, subito avvicinatosi a lui,dice:Rabbi!E lo baciò.46 Ma quelli gettarono le mani su di lui,· si impadronirono di lui.47 Ora uno di quelli che stavano appresso,estratta la spada,colpì lo schiavo del sommo sacerdote, e gli tolse via l’orecchio.48 E, rispondendo, Gesù disse loro:Come per un ladrone con spade e bastonisiete usciti per prendermi.49 Ogni giorno ero presso di voinel tempio a insegnare, e non vi siete impadroniti di me. Ma che si compiano le Scritture!50 E, abbandonandolo, fuggirono tutti.51 E un giovinetto lo seguivaavvolto in un lino sopra il nudo, e si impadroniscono di lui.52 Ma egli, abbandonando il lino,fuggì nudo.

1. Messaggio nel contesto

“Si compiano le Scritture”, dice Gesù a chi è venuto a prenderlo per ucciderlo. Ciò che sta accadendo è il compimento di ogni promessa di Dio.Quando era libero, dal suo mantello scaturiva la vita; al suo contatto e alla sua parola gli zoppi saltavano, i sordi udivano, i ciechi vedevano e i morti si svegliavano; dalle sue mani fioriva la fragranza del pane. D’ora in poi non fa e non è più nulla: è il niente che gli altri ne fanno. Il dono, stretto in pugno, porta su di sé la maledizione del possesso. Ma proprio così adempie ogni Scrittura.Qui finisce l’azione di Gesù e inizia la sua passione.La sua azione fu particolare e limitata. I miracolati furono pochi rispetto alla massa degli uomini. Inoltre, nel giro di qualche anno, gli ex-ciechi tornarono a non vedere, e rimasero immobilizzati con gli ex-zoppi nell’abbraccio della morte che li strinse a sé con gli ex-risuscitati. Volendo guardare, ciò che fece fu efficace solo provvisoriamente, e rappresenta una piccola proroga al limite inderogabile che il tempo fissa per ogni mortale.Ciò che ha efficacia universale ed eterna è ciò che gli abbiamo fatto.Propriamente parlando, Gesù non ci ha salvati con la sua azione, ma con la sua passione.La parola chiave del brano è impadronirsi (cf v. 1). In questo gesto si esprime il peccato dell’uomo che, invece di prendere in dono, benedicendo il donatore e donando al bisognoso, prende in possesso, misconoscendo il donatore e chiudendosi al fratello.Dio, essendo amore, è dono. Impadronirsi è l’azione antidivina per eccellenza: riporta tutto al caos, che si ridivora ciò che gli ha sottratto. Se lui, per un solo attimo di secondo, volesse possedere ciò che ha e ciò che è, all’istante non ci sarebbe più nulla. Il possesso è la negazione del dono, e quindi di ogni creatura e dello stesso Creatore.

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Gli strumenti per impadronirsi sono danari, spade, bastoni e baci che richiamano cuori e coppe. Sono le solite carte con cui da sempre il mondo si gioca la propria morte. Le variazioni sono infinite, quante le persone; ma ognuno le usa nella stessa tragica partita.A noi che ci impadroniamo, lui risponde rimanendo ciò che è: si dona e si abbandona nelle nostre mani, che fanno di lui quello che vogliono. Mentre noi lo prendiamo, lui si lascia “comprendere”, ossia concepire (v. 48) nella sua essenza di dono assoluto, che non si sottrae davanti a nessun male. Nel Figlio dell’uomo che si consegna nelle nostre mani, il peccato afferra il perdono, le tenebre la luce, la morte la vita.La vittoria del male diviene la sua sconfitta definitiva.

Gesù, che si consegna a chi se ne impadronisce, è il compimento di tutte le Scritture. Queste infatti raccontano la passione di Dio per noi, e promettono il dono della salvezza per noi peccatori.

Il discepolo capisce di essere tra coloro che prendono. Tradisce, rinnega, fugge e lo abbandona, come tutti.Il più forte tra i prodi fuggirà nudo in quel giorno (Am 2,15). Resta lui solo, che muore per il peccato di tutti.

2. Lettura del testo

v. 43 Si fa vicino Giuda, uno dei Dodici. Giuda resta sempre uno dei Dodici, solidali con lui ciascuno a modo suo - chi con la spada, chi con la fuga.

spade e bastoni. Il denaro, il cui accumulo è violenza ormai pulita, ottiene praticamente tutto. È il dio di questo mondo. Ciò che ancora non si può ottenere con esso, lo si ottiene con la violenza pura. Dietro il denaro (v. 11), ci sono sempre spade e bastoni.

sommi sacerdoti, scribi e anziani. Sono le tre maschere del male del mondo, chiamato anche “mani degli uomini” (9,31), “mani dei peccatori” (v. 41). Raffigurano le tre brame, che muovono le mani dell’uomo a impossessarsi del Figlio dell’uomo.

v. 44 colui che lo consegnava. L’unica ed identica azione (consegnare o tradire) è insieme propria di Giuda che consegna Gesù al suoi avversari, di Gesù che si consegna nelle mani dei peccatori e del Padre che lo consegna per tutti noi. Nel nostro massimo male Dio nasconde il suo massimo bene: nella consegna di Gesù sta la consegna del Figlio a tutti i suoi fratelli. A chi lo tradisce, Dio si tradisce, rivelandogli pienamente se stesso come amore e offerta di salvezza senza condizioni.

aveva dato un segno: Colui che bacerò. Il bacio diventa segno di colui che bisogna prendere. Quanto amore è in realtà possesso, stravolto nel suo contrario! D’altra parte il nostro peccato non è proprio l’incapacità di amare?Il bacio scatenerà spade e bastoni, portando a compimento ciò che iniziò con denari.

Impadronitevi di lui. Impadronirsi, parola chiave del brano, esce quattro volte (vedi inoltre “gettare le mani “ e “concepire”). Questo termine, che esprime il fine di ogni azione dell’uomo, segna l’inizio della passione del Figlio dell’uomo. Adamo con il suo impadronirsi si staccò da Dio e uscì dall’Eden nel caos; Gesù, col suo consegnarsi, ci riporta Dio, lasciando entrare l’Eden nel caos.L’uomo biblico conosce due forme di ateismo: uno scientifico e l’altro pratico. Quello cosiddetto scientifico è proprio dello stolto che dice: “Dio non c’è” (Sal 14,1). Quello pratico è proprio del ricco che spadroneggia sul povero (Sap 2), pensando che Dio sta lontano e non vede.

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portatelo via ben stretto. Giuda teme che sgusci via, usando i suoi poteri taumaturgici. Ignora che la forza dell’amore è la debolezza, la sua astuzia la follia.

v. 45 Rabbi. Così l’aveva chiamato anche Pietro sul Tabor (9,5), e i discepoli davanti al fico essiccato (11,21). Il cieco lo chiamava: “Rabbunì” (10,51). L’appellativo “Maestro” è il più usuale per chiamare Gesù (4,38; 5,35; 9,17.38; 10,17.20.35; 12,14.19.32; 13,1; 14,14). Lui infatti insegna la via di Dio. Ma la sua parola non è come quella dello scriba che spiega: ha la potenza di Dio che opera quanto dice (1,22.27; 2,5-11; 11,20).

E lo baciò. Il discepolo usava salutare il maestro con il bacio. In greco katephílesen indica un bacio tenero, con abbandono e intensità. È ostentato per essere meglio notato dai suoi compari e non insospettire Gesù.

v. 46 gettarono le mani sii di lui. Le mani o si aprono per accogliere il dono (3,1 ss), o si gettano con avidità per chiudersi in rapina.

si impadronirono di lui. D’ora in poi non farà più niente. Diventerà il nulla al quale il possesso riduce tutto.

v. 47 tino di quelli. Sappiano da Gv 18,10 che è Pietro.

estratta la spada, colpì. Pietro, come tutti noi, confida nelle stesse armi dell’avversario. Anche se vuole il bene, in realtà è tra quelli che moltiplicano il male. Dio, essendo perdono e misericordia, trionfa proprio perdendo. Per fortuna i discepoli sono più deboli degli altri, che diversamente avrebbero dovuto fuggire.Quando siamo più forti e cantiamo vittoria, siamo noi i veri nemici di Gesù, il quale a causa nostra deve continuare la sua agonia nell’orto. Egli avrebbe a disposizione dodici legioni d’angeli (Mt 26,53); ma l’unica sua arma rimane ancora e sempre la debolezza di un amore che si consegna. “Rendere giustizia con la violenza” è una contraddizione nei termini (Sir 20,4).

gli tolse via l’orecchio. Pietro ama Gesù, ma non conosce il suo spirito. È ancora nel campo avversario, nello stesso gioco di spade, bastoni, denari e baci. Nonostante la sua buona volontà, è anche lui prigioniero di quel male per il quale Gesù sta pagando.L’arma con cui Gesù colpirà al cuore il nemico sarà la misericordia. Vince il male usando il mite asinello, non il superbo cavallo o il potente carro (Zc 9,9).Quante difese di Gesù che non rientrano nel suo spirito!Egli non ha nemici da vincere, ma fratelli da conquistare all’amore del Padre. Ogni volta che abbiamo un nemico da combattere, siamo lontani da lui, suoi nemici noi stessi. Tutte le nostre crociate non servono che a tagliar orecchi, ossia a togliere ai fratelli la capacità di ascoltare la misericordia di Dio, unica possibilità di conversione.La spada di Pietro è profezia di tutti gli strumenti di potere che noi discepoli abbiamo usato, usiamo e useremo, ritardando la venuta del suo regno in proporzione alla nostra forza.A chi ha poco discernimento, il nemico usa accrescere tanto la buona volontà. Che Dio doni intelligenza a chi ha zelo, perché, a fin di bene, non abbia a operare alacremente per l’avversario!

v. 48 Come per un ladrone. Gesù è trattato da malfattore (Lc 22,37): l’innocente porta su di sé le conseguenze del male.

per prendermi. La parola greca syllambáno indica con-prendere o concepire, ed è la stessa usata da Luca per indicare la concezione di Gesù da parte di Maria (Lc 1,31).

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In realtà noi comprendiamo Dio, addirittura lo concepiamo, proprio nel nostro peccato. La nostra mano, che si chiude per prendere e uccidere. racchiude il dono che per noi si fa perdono e risurrezione. E il grande mistero della nostra salvezza, unico incontro possibile tra noi e Dio, nel pieno rispetto della libertà di ambedue.

v. 49 Ogni giorno ero presso di voi. Si sottolinea che lo prendono di nascosto, con inganno (v. 1 s). È sempre così in ogni prendere.

si compiano le Scritture. È l’unica volta - per di più sulla bocca di Gesù - in cui Marco parla del compimento delle Scritture in modo assoluto, senza specificazioni. È il commento di Gesù a quanto sta accadendogli. Il Figlio dell’uomo preso nelle mani degli uomini peccatori è la salvezza dell’uomo, fine del disegno di Dio. Gesù è il giusto che, portando su di sé l’ingiustizia, ce ne riscatta.Infatti il male lo porta chi non lo fa; e ce ne libera solo chi, non facendolo, ha l’amore e il coraggio di portarlo.

v. 50 abbandonandolo, fuggirono tutti. È la conclusione effettiva di tutte le velleità contrarie (cf v. 31!).I discepoli abbandonano Gesù perché debole. La loro fuga fa vedere che sono “con lui” solo fino a quando possono pensare che sia come lo vogliono loro. Hanno la stessa mentalità dei suoi nemici. Lo amano davvero, ma ancora come proiezione dei loro desideri, non per ciò che è. Ma chi cerca il Signore per il Signore?Quando il pastore è percosso, si segue un altro pastore - la paura della morte.

v. 51 un giovinetto lo seguiva, ecc. Solo Marco parla di questo “giovinetto”. La parola riappare nell’annuncio del Risorto (16,5). È la firma dell’autore, che l’aveva seguito dal cenacolo, forse di sua proprietà (cf At 12,12), fino al giardino? Anche lui fugge nudo, lasciando finalmente tutto ciò che costituisce la sua ricchezza - che, come per il ricco, è una veste di morte (cf 15,46) - per riapparire poi, vestito di luce, ad annunciare il Risorto.Davanti al compimento escatologico ognuno si ritrova a fuggire, nudo come Adamo: “II più coraggioso tra i prodi fuggirà nudo in quel giorno” (Am 2,15).La scena è anche preannuncio di Gesù morto e risorto: lasciando la veste del suo corpo nelle mani dei violenti, sfugge loro nudo, per riapparire come “giovinetto” vestito di bianco nel mattino di pasqua.Le varie interpretazioni non si escludono; possono anche utilmente sovrapporsi.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando l’orto degli Ulivi, nel plenilunio pasquale.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: comprendere come le Scritture si compiono in lui, l’innocente preso dalle nostre mani di peccato.4. Traendone frutto, guardo, ascolto, e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno.

Da notare: il bacio di Giuda la spada di Pietroimpadronirsi il compimento delle Scritture

la fuga di tutti

4. Passi utili: Is 52,13-53,12; Dt 8,15; Lv 25; Sal 24; 16; At 2,42-48; 4,32-37.

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80. IO SONO

(14,53-65)

53 E condussero Gesù dal sommo sacerdote;e convengono tutti i sommi sacerdotie gli anziani e gli scribi.54 E Pietro da lontano lo seguìfin dentro il cortile del sommo sacerdote, e stava a sedere insieme con i servi e a scaldarsi al fuoco.55 Ora i sommi sacerdoti e tutto il sinedriocercavano una testimonianza contro Gesù per ucciderlo,e non la trovavano.56 Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui,e le testimonianze non erano uguali.57 E alcuni, alzatisi, testimoniavano il falso contro di lui,dicendo:58 Noi udimmo che costui diceva:Io distruggerò questo tempio manufatto, e, dopo tre giorni, edificherò un altro non manufatto.59 E neppure così era uguale la loro testimonianza.60 E, alzatosi in mezzo, il sommo sacerdoteinterrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla?Cosa testimoniano costoro contro di te?61 Ora egli taceva,e non rispose nulla.Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogava e gli dice: Tu sei il Cristo,il Figlio del Benedetto?62 Ora Gesù disse:Io Sono.E vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della potenza e venire con le nubi del cielo.63 Ora il sommo sacerdote,strappandosi le sue tuniche, dice:Che bisogno più abbiamo di testimoni?64 Udiste la bestemmia!?Che pare a voi?Ora quelli tutti lo condannarono

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che era reo di morte.65 E cominciarono alcunia sputacchiarlo,a velargli il volto,e a schiaffeggiarlo,e a dirgli:Profetizza!E i servi lo presero a schiaffi.

1. Messaggio nel contesto

“Io Sono”, dice Gesù confermando per la prima volta la sua identità di Cristo e di Figlio di Dio, e proclamandosi Figlio dell’uomo, giudice supremo di tutta la storia.Il vangelo sfocia in questa sua autotestimonianza, che risolve ogni mistero e sarà causa della sua condanna. Ma la sua uccisione sarà il sigillo di autenticità della sua rivelazione. Ai piedi della croce ogni uomo esclamerà col centurione: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (15,39).Tutto il vangelo di Marco è sotteso dalla domanda: “Chi è Gesù?”. Nella prima parte, dopo ogni miracolo, ci si chiedeva sempre, insieme alla folla e ai discepoli: “Chi è costui?”. A metà vangelo è lui che domanda: “Ma voi chi dite che io sia?” (8,29). Ora lui stesso risponde direttamente, dicendo la propria identità.Dopo queste parole non dirà più niente. Sentiremo solo la breve risposta a Pilato e il duplice grido in croce (15,2.34.37).Ormai un silenzio assoluto di stupore e adorazione avvolge la Parola. Dio non ha nulla più da dire. In essa si è totalmente espresso, dicendosi e dandosi tutto a noi, senza serbare più nulla per sé. Il confronto con la croce lo renderà evidente a tutti.Qui finisce il “segreto messianico” e ogni segreto; e comincia ogni nostra comprensione di Gesù e di Dio.Ogni teologia - e prassi corrispondente - che non parte dalla “teoria” della croce (Lc 23,48), rimane una proiezione dei nostri desideri (cf 8,33) avvelenati dalla falsa immagine di Dio. La croce è la “differenza irriducibile” tra il cristianesimo e ogni religione, compreso l’islamismo e l’ebraismo. In nessun dialogo interreligioso è da togliere questo “scandalo”, che è inciampo e salvezza per tutti. Solo partendo da qui il cristianesimo ha qualcosa di assolutamente inaudito da dire, significativo anche per l’uomo moderno.Il problema della fede cristiana non si pone prima della croce, che è appunto la distanza infinita che Dio ha posto tra sé e ogni nostra cattiva fantasia su di lui. Lì Gesù rivela per la prima volta chi è Dio e si rivela Dio.Per noi cristiani la croce è troppo ovvia, spesso ridotta a ornamento, amuleto religioso. In realtà un Dio che è un uomo, e per di più crocifisso, suona bestemmia per tutte le religioni e per tutti gli ateismi, i quali negano esattamente il dio delle varie religioni (ogni ateismo è acriticamente religioso!). Questa bestemmia, critica di ogni religione e ateismo, è l’essenza della fede cristiana: è la stoltezza e debolezza alla quale arriva la sapienza e la potenza di un Dio che è solo e tutto amore per l’uomo. Per questo Paolo compendia ogni suo sapere con le parole: “Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2,2).La fede cristiana consiste nell’accettare come proprio Salvatore Cristo), Dio (= Figlio del Benedetto) e Giudice (= Figlio dell’uomo) l’uomo Gesù che va in croce per me. Egli è la fine di ogni falsa speranza dell’uomo, di ogni raffigurazione di Dio come suo antagonista e di ogni giudizio che pretenda autosalvezza o presuma autogiustificazione. Ai piedi della croce si dissolve ogni menzogna, e inizia la verità che ci fa liberi (Gv 8,32).Davanti alla Gloria, così santa e diversa da ogni opinione, la reazione comune è il rifiuto.

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Il sommo sacerdote lo accusa di bestemmia, tutti sentenziano che è reo di morte, i servi lo dileggiano, e Pietro, in rappresentanza dei discepoli, anche di quelli che verranno dopo, professa di non conoscerlo. Gesù sarà condannato non per testimonianza altrui, ma per “questa” sua rivelazione.

Gesù è il Salvatore perché si perde per noi; è il Signore perché porta su di sé il nostro male; è Giudice perché si lascia condannare in vece nostra. Così ci fa conoscere cos’è la salvezza, chi è Dio e quale è il giudizio: l’amore di uno che sa perdersi senza riserve per tutti i perduti.

Il discepolo è chiamato a riconoscerlo così come è, e non come l’aveva pensato.

2. Lettura del testo

v. 53 condussero Gesù. Gesù è preso, condotto e consegnato. In balia del possesso dell’uomo, diventa un puro oggetto, che ognuno maneggia come vuole.

tutti i sommi sacerdoti e gli anziani e gli scribi. Costituivano il sinedrio, organo di potere supremo, anche se sotto il controllo dei romani.

v. 54 Pietro da lontano lo seguì. Vuol onorare la sua parola, memore dei propositi di poche ore prima, mentre camminavano dal cenacolo all’orto. Soprattutto vuol bene a Gesù, e non può staccarsi da lui.

stava a sedere insieme con i servi, ecc. Gesù è in alto, nella sala del consiglio; Pietro in basso, nel cortile con i servi. Parallela alla testimonianza del maestro, ci sarà la contro-testimonianza del discepolo.

v. 55 cercavano una testimonianza contro Gesù per ucciderlo. Gesù è già condannato prima del giudizio. È quanto capita nei processi farsa. Ne consegue l’assoluzione dell’ingiusto, la cui pena è portata dal giusto consumazione di ogni male.

non la trovavano. La condanna dell’innocente precede sempre il processo, il quale non fa che confermarne l’innocenza. Se così non fosse, Gesù non ci giustificherebbe: sarebbe giustamente condannato per il proprio peccato e non morrebbe da giusto, per il nostro peccato.

v. 56 testimoniavano il falso contro di lui. La menzogna è lo strumento privilegiato dell’ingiustizia: stravolge la verità, giustificando arbitrio e violenza. È il mezzo fondamentale di ogni politica di parte.

le testimonianze non erano uguali. La “prova” nel processo ebraico era la testimonianza concorde di due. Bei tempi in cui ci si fidava della parola (Dt 17,6; 19,15)!

v. 58 lo distruggerò questo tempio, ecc. (cf 15,29.38; Gv 2,19 ss). Il tempio, cuore di ogni istituzione, è il luogo supremo dei valori; vi abita Dio e vi si conserva la legge. Il re rappresenta a sua volta Dio in terra, e fa rispettare nel tempo la sua legge eterna. Oltre il tempio, la legge e il re, istituzioni in qualche modo comuni a tutti i popoli, anche se in forme diversificate, Israele conosce un’altra funzione, di tipo carismatico: il profeta. Egli è critico nei confronti del re e del popolo, richiamandoli all’osservanza della legge; ed è critico anche nel confronti di questa, impedendo che diventi legalismo e tenendola aperta a una promessa sempre più grande.

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Nella morte di Gesù finiscono queste istituzioni. Il vecchio tempio sarà distrutto per lasciar luogo al nuovo, che sarà il suo corpo crocifisso, presenza di Dio; la nuova legge sarà il suo amore che perdona; la nuova regalità sarà quella di uno che serve in umiltà, scegliendo come suo trono il patibolo dello schiavo ribelle. Anche la profezia finisce con il suo silenzio - maestà di Dio che si manifesta compiutamente. La nuova profezia sarà il ricordo della croce gloriosa, che interpreta la storia dell’uomo e rivela il mistero di Dio.Questa accusa sulla distruzione del tempio può connettersi alla sua profezia di 13,2. Ripetuta ai piedi della croce (15,29), si realizzerà nella sua morte, quando si squarcerà il velo del santo dei santi (15,38).

v. 60 Non rispondi nulla? Gesù tace, come il giusto perseguitato del Sal 38,14 s. Il suo silenzio è di grande importanza per l’evangelista. Lo sottolinea due volte davanti al sinedrio e due davanti a Pilato (15,4). Se avesse risposto alle accuse, dimostrandole false, sugli accusatori sarebbe caduta la pena prevista per lui. Ma egli è l’agnello di Dio che porta il peccato del mondo (Gv 1,29), muto davanti al suoi tosatori (Is 53,7). Non apre la bocca e si lascia giudicare, perché non siamo condannati noi. Questo suo silenzio, espressione massima di misericordia, è la rivelazione estrema di Dio, cui risponde la nostra riverente adorazione. Il silenzio di Dio è segno della sua gloria irraggiungibile: “Egli non ha da rispondere” (Gb 37,23).

v. 61 Tu sei il Cristo. Questo titolo, che uscirà di nuovo ai piedi della croce (15,32), è usato all’inizio del vangelo, nel riconoscimento dei demoni e di Pietro, ed esce tre volte dalla bocca di Gesù (1,1.34; 8,29; 9,41; 12,35; 13,21). Il Cristo è il messia, il discendente di Davide, il re promesso (2Sam 7), che sarebbe venuto a liberare e salvare il suo popolo.

Il Figlio del Benedetto (= Dio). Questo titolo, usato in 1,1 e riconosciuto a Gesù per ora solo dai demoni, è detto dal sommo sacerdote, forse come sinonimo di messia. Ma Gesù gli dà un significato ben più profondo, che lo stesso sommo sacerdote comprenderà bene, accusandolo di bestemmia.

v. 62 Io Sono. La sua morte è già decisa. Non c’è più nessun pericolo di ambiguità. Cessa quindi ogni segreto. Gesù si proclama quanto il sommo sacerdote ha detto e quale la comunità cristiana lo crede: Cristo e Signore, Salvatore e Dio. “Io Sono”, oltre che risposta affermativa alla domanda: “Tu sei?”, richiama la rivelazione dell’Esodo: Io sono è il Nome, JHWH. Il lettore è chiamato a riconoscere nel crocifisso il suo Salvatore e Signore (At 2,36).

vedrete il Figlio dell’uomo, ecc. (Dn 7,13; Sal 110,11). Richiama 13,26, dove si parla della fine del mondo e del suo giudizio. Gesù, Figlio dell’uomo sofferente, Giusto giustiziato ingiustamente, è la fine del mondo e il giudizio di Dio sulla storia. I suoi giudici saranno da lui giudicati; quando l’avranno consegnato alla croce, lo contempleranno esaltato nella gloria di Dio: “Vedranno colui che hanno trafitto” (Zc 12,10). Lì siede sul trono, in tutta la sua potenza, mentre viene a giudicare. Perché la croce è il giudizio di Dio, di quel Dio che è amore, e muore per salvare tutti i peccatori, rivelando così la sua giustizia.

v. 63 strappandosi le sue tuniche. Al sommo sacerdote era vietato strapparsi le vesti (Lv 21,10). Anche il velo del tempio si squarcerà (15,38).

v. 64 Udiste la bestemmia. Gesù fu accusato di bestemmia già nel suo primo miracolo pubblico, quando rivelò il suo “potere”, che appartiene al solo Dio: perdonare i peccati (2,6). La bestemmia è una parola contro Dio. Questa affermazione in effetti demolisce ogni immagine che l’uomo si fa di Dio.

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tutti lo condannarono. Infatti muore per tutti.

reo di morte. Morirà per un reato preciso: la parola con cui si dichiara e rivela un Dio così scandalosamente diverso da tutti i nostri idoli.

v. 65 cominciarono a sputacchiarlo (cf 10,34). Lo sputo, opposto al bacio di adorazione, è segno di disprezzo (Is 50,6). La nostra vanagloria esprime il suo disprezzo per la pienezza di gloria, e la sputacchia.

a velargli il volto. Il più bello tra i figli dell’uomo (Sal 45,3) è oscurato dalla nostra disumanità. Il suo volto velato, volto di tutti i senza volto, è rivelazione del Volto stesso, salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 42,12).

a schiaffeggiarlo. La forza di Dio è debolezza, colpita dalla nostra violenza (Is 53,5). Non sottrae la sua faccia agli sputi e ai colpi (Is 50,6) veleno che spurga dalla nostra impotenza paurosa e rabbiosa.

Profetizza. Si prende uno, gli si copre il capo e lo si colpisce, perché indovini chi lo ha percosso. È un gioco da bambini, che mima la tragica realtà dei grandi. Gesù sa chi lo ha percosso. Non sono solo loro, i poveri servi. È tutto il male del mondo, il gioco della nostra storia che si riversa su di lui. È ciò viene attraverso le mani di servi umiliati e frustrati, che duplicano il male subito, appena trovano uno più debole su cui sfogarsi.Profetizza! La profezia è parola di Dio che rivela la verità, chiama a conversione e dà salvezza.Questo volto velato del Figlio dell’uomo è profezia piena, parola potente di Dio che svela la realtà sua e nostra, e ci chiama a conversione dandoci salvezza.Questo stesso volto chiede a me: “Sai chi sono io e chi mi percuote? Profetizza!”. Sono chiamato a vedere in lui il mio Signore e Salvatore; e in me colui che lo percuote. Pietro, come poi ciascuno di noi, subirà davanti a questo volto il suo esame di fede.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando la sala del sinedrio, con tutti i suoi membri, testimoni e Gesù.3. Chiedo ciò che voglio: conoscere nel volto velato il mistero del mio Salvatore, Signore e Giudice, giudicato e condannato per me come schiavo e bestemmiatore.4. Traendone frutto, contemplo la scena, rilevando: le accuse contro Gesù il suo silenzio il suo volto velato, sputacchiato e percosso

4. Passi utili: Dn 7,13; Sal 110; 63; 67; 42; 1Cor 2,2; Gal 3,1.

81. NON CONOSCO QUEST’UOMO

(14,66-72)

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66 E mentre Pietro era da basso nel cortile,viene una delle serve del sommo sacerdote,67 e, vedendo Pietro che si scalda, guardandogli dentro, dice:Anche tu eri col Nazareno, Gesù.68 Ma egli negò dicendo:Né soné capiscoche tu dici!E uscì fuori nell’atrio,e un gallo cantò.69 E la serva, vedendolo,cominciò di nuovo a dire ai presenti:Costui è di quelli!70 Ma egli di nuovo negava. E, dopo un po’, di nuovoi presenti dicevano a Pietro: Veramente sei di quelli! Infatti sei anche galileo.71 Ma egli cominciò a imprecare e a giurare:Non conosco quest’uomodi cui dite.72 E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E ricordò Pietro la parola,come gli disse Gesù:Prima che il gallo canti due volte, tre volte mi rinnegherai.E si gettò a piangere.

1. Messaggio nel contesto

“Non conosco quest’uomo”, dice Pietro di Gesù, di questo Gesù dal volto velato.“Mostrami la tua gloria, mostrami il tuo volto!”. L’invocazione di Mosè (Es 33,18), ripetuta in numerosi salmi, esprime il desiderio profondo dell’uomo. Fatto a immagine e somiglianza di Dio, proprio perché esule - fuggiasco o pellegrino - rimane radicale nostalgia di lui, realtà di cui è specchio e in cui ritrova se stesso.Tre sono i modi in cui il Signore manifesta il suo volto ed è presente.Il primo è quello sofferente e glorioso, col quale fu in mezzo a noi duemila anni fa. È il suo volto passato, la sua carne umiliata ed esaltata, principio della nostra fede. È presente nella parola che lo ricorda e racconta, perché possiamo riconoscerlo ora e attenderlo nel futuro.Il secondo è quello glorioso, con cui si svelerà alla fine dei tempi. È il suo volto futuro, la sua umanità esaltata, principio della nostra speranza. È presente nella preghiera e nell’eucaristia, per darci la forza di camminare ora e raggiungerlo poi definitivamente.Il terzo infine è quello crocifisso, con cui si offre ai nostri occhi ogni giorno. È il suo volto velato, presente nel volto di tutti i senza volto, principio della nostra carità. La nostra salvezza dipende dalla presa di posizione nel suoi confronti (Mt 25,31 s). La Parola ci dà occhi per riconoscerlo, l’eucaristia forza per amarlo: fede e speranza trovano la loro pienezza nella carità.È in questo volto che, insieme con Pietro, siamo chiamati ancora oggi a riconoscerlo come Salvatore, Signore e Giudice nostro. Il regno di Dio è veramente presente in mezzo a noi, ma in un modo che non attira l’attenzione (Lc 17,21). Anzi, ci guardiamo bene dal guardarlo. Preferiamo

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volgere altrove il nostro sguardo, perché “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi” (Is 53,2).Questo brano è il punto di arrivo dell’esperienza di Pietro, esemplare per ogni discepolo. Solo dopo di essa uno è abilitato ad annunciare quanto il Signore gli ha fatto e la misericordia che gli ha usato (5,19).Pietro, non riconoscendo e rinnegando tre volte il suo Maestro, non mente, come a prima vista può apparire. Confessa la propria verità: non è “con lui”, non è “di quelli” che sono suoi discepoli, “non conosce quest’uomo”. Lui conosce un altro Cristo, per il quale era anche disposto a morire; questo invece, povero e umiliato, lo sconcerta e scandalizza. il velo, che è ancora sul suo cuore, gli impedisce di riconoscere il Signore che si rivela nella sua gloria.Il pianto squarcia questo velo e Pietro scopre insieme la sua verità di uomo che non conosce il Signore, e la verità di Dio che muore per lui che lo rinnega. Al di là di ogni illusione, vede finalmente se stesso. Ma il ricordo della parola di Gesù gli impedisce di cadere nella disperazione e lo strappa dall’inferno del proprio io fallito.La scena - un cerchio di fuoco nella notte - è tutta un gioco di occhi. Uno è come è visto, ossia giudicato dall’altro. Pietro vedrà la propria realtà riflessa successivamente, e in modo diverso, negli occhi della gente e in quelli di Gesù (Lc 22,62).A lui decidere con quale sguardo identificarsi: è la scelta fra la morte e la vita. La morte è una vita sacrificata all’idolatria, al culto di buone immagini di sé da produrre per accattivarsi lo sguardo altrui; la vita è morire allo sguardo proprio e altrui, per vivere di quello del Signore. Infatti, o Signore “quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è, e nulla di più”, dice l’umile san Francesco (Imitazione di Cristo 111,L,37).Le lacrime di Pietro sono il battesimo del cuore. Lo purificano e lo illuminano. Lui non è quello che crede di essere; si smentisce come discepolo e perde la sua presunta identità. S’accorge di essere uno che non può gestire la propria vita come vuole; vede di non saper morire per Gesù. È invece Gesù che muore per lui. Ormai, se sceglie di vivere, troverà la propria identità nel suo sguardo, vivendo pubblicamente della sua misericordia.L’esperienza di Pietro è il passaggio pasquale tra il fuoco nella notte e l’acqua del suo pianto. Anch’io devo passarci in mezzo, e accettare di morire a me, per vivere di colui che è morto per me.Il volto velato di Gesù è lo specchio della verità. Davanti ad esso cessa la menzogna su di me e su Dio, e io sono scandalizzato dalla realtà mia e sua.È importante che Gesù abbia predetto a Pietro il rinnegamento, e che Pietro lo ricordi. Solo così vede che non lo ama perché è disposto a morire con lui; lo ama invece e muore per lui peccatore.

Gesù vuol bene a Pietro non perché è bravo, ma perché gli vuole bene. Non gli perdona perché è pentito, ma può pentirsi perché da sempre è perdonato.

Il discepolo accetta l’amore gratuito di Gesù come principio della propria vita. Libero dal giudizio proprio e altrui su di sé, vive del giudizio del suo Signore che muore per lui che lo rinnega.La vera conversione, quella dalla legge all’evangelo, è il passaggio dal mio amore per Dio al suo per me. Il mio peccato diventa il luogo in cui lo esperimento inequivocabilmente.La fede si fonda sulla certezza non della mia fedeltà a lui, ma della sua a me. Nulla mi potrà separare dall’amore che Dio ha per me in Cristo Gesù - neppure la morte, non solo mia, ma neanche sua (Rm 8,31-39). L’inferno diventa il luogo proprio della salvezza.

2. Lettura del testo

v. 66 mentre Pietro era da basso nel cortile. Gesù ha il suo processo nella sala del sinedrio; Pietro nel cortile, in mezzo ai servi. Il primo, in alto, testimonia di sé, ed è condannato a morte; l’altro, in basso, nella vita quotidiana, deve semplicemente riconoscerlo per avere la vita. Sappiamo dal v. 54

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che Pietro era seduto tra i servi a scaldarsi al fuoco. Nella notte c’è una luce: il legno verde brucia, mentre quello secco si sta scaldando (Lc 23,3 1).

v. 67 guardandogli dentro. L’incerta luce del fuoco notturno facilita gli sguardi indagatori e lascia ampio spazio alla fantasia di chi si vede osservato. L’occhio accetta o rifiuta, ama o condanna, dà vita o morte: l’uomo vive o muore dello sguardo altrui. Da qui l’importanza di come si appare all’altro. Il look, il culto dell’immagine (= idolatria), è un tentativo di accattivarsi lo sguardo altrui, per non essere rifiutato o addirittura per imporsi; è ricerca di vana gloria, ossia di peso vuoto, propria di chi non si sente amato e non conosce la vera gloria (ebr. kabod = peso), che è il peso dell’amore di Dio per lui.

tu eri col Nazareno, Gesù. Gesù fece i Dodici perché fossero con lui (3,14). Con lui l’uomo è se stesso; lontano da lui è lontano da sé. Ora che il Figlio si rivela come tale, ognuno è chiamato a essere con lui.

v. 68 negò dicendo: Né so né capisco che tu dici! Pietro nega di essere con “questo” Gesù; afferma di non sapere e non capire che cosa significa. Era con “un altro”, che conosceva e capiva bene - almeno così credeva! Era con il Nazareno che guariva i malati e risuscitava i morti, dava il pane e confondeva i nemici. Questo invece, che “deve soffrire molto” da parte di tutti, non l’ha mai capito; fin dalla prima volta che si è rivelato, gli si è ribellato (cf 8,29-33). E gli altri sono tutti come lui, primus inter pares (cf 9,32 ss; 10,35-51).È vero che ama Gesù, ma non accetta che sia povero, umiliato e umile: lo vuole ricco, potente e glorioso. Quando, rivelandosi sotto il velo del nostro male, si manifesta per quello che è, scopre di non essere mai stato con lui. Pietro, capo degli apostoli e della Chiesa, fa in prima persona l’esperienza che ciascuno è chiamato a fare.

un gallo cantò (v. 30). Il canto del gallo segna la fine della notte e l’inizio del giorno. La luce dissolve le tenebre e appare la realtà. Anche per Pietro svaporano i fumi della sua presunzione e s’annuncia l’alba.

v. 69 vedendolo, cominciò di nuovo a dire ai presenti. Pietro vede lo sguardo altrui che indaga e scruta più a fondo - quello sguardo per compiacere al quale uno deve di volta in volta modificare la sua identità.

Costui è di quelli. Osservatolo meglio, la serva è sicura. Pietro certamente è di quelli che sono con Gesù, fa parte della comunità dei discepoli. L’ha ben visto i giorni scorsi, tutto contento e gongolante, mettersi in mostra sulla spianata del tempio, mentre il maestro diceva la sua a ciascuno e zittiva tutti, col popolo che lo applaudiva.Il primo dialogo era solo tra la donna e Pietro; ora la donna coinvolge con sé i presenti e con Pietro i suoi compagni.

v. 70 egli di nuovo negava. Pietro continua a negare. Infatti uno è discepolo e fa parte della comunità solo se personalmente conosce e accetta di essere con questo volto. Non giova nulla essere “di quelli”, far corpo con loro e difendere lui e se stessi in qualsiasi maniera (cf 9,38-40). Non basta neanche far parte della comunità per essere cristiani; bisogna accettare il Cristo povero e umile come proprio Salvatore e Signore.

sei di quelli! Infatti sei galileo. Il suo modo di parlare tradisce la sua origine e la sua appartenenza (Mt 26,73). Sarebbe come se uno mi dicesse che sono cristiano, perché ho un linguaggio e una cultura cristiana.

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v. 71 cominciò a imprecare e a giurare. Pietro ha nel rinnegare la stessa eccessività che poche ore prima aveva nell’affermare la propria fedeltà (v. 31).

Non conosco quest’uomo di cui dite. Essere di quelli che sono con Gesù non significa avere una ideologia cristiana che ci accorpa e neanche parlare di Cristo: significa riconoscerlo nel volto velato, col desiderio di stare con lui. Qui Pietro dichiara la sua totale estraneità a Gesù. Neanche lo nomina; è “quest’uomo di cui dite”. Finalmente vede la verità del suo rapporto con lui. Lo ama veramente. Ma c’è stato come uno scambio di persona: ora si trova davanti uno che non conosce.

v. 72 per la seconda volta, un gallo cantò. Il canto del gallo è ripetuto e insistente, come i dinieghi di Pietro, che comincia a conoscersi. È lontano da Gesù: non solo lo rinnega, ma neanche lo conosce. Ora che vede la propria notte, non tarderà molto a giungere il sole.

ricordò Pietro la parola, ecc. Senza questa parola, Pietro sarebbe perduto. Essa gli ricorda che il Signore lo ha scelto sapendo che lo avrebbe rinnegato; gli garantisce che il Signore lo conosce e lo ama così com’è. Lc 23,61 aggiunge il dettaglio: “Il Signore guardò dentro Pietro”. Ora egli può confrontare lo sguardo altrui e proprio su di sé con quello del Signore che lo conosceva già prima che fosse, che lo ha fatto come un prodigio (Sal 139,14), e lo considera prezioso e degno di stima, perché lo ama (Is 43,2). Noi ci raffiguriamo sempre un Dio giudice; e lo vorremmo complice. Ma l’occhio di Gesù, che qui lo rivela, non è né giudizio né complicità: è perdono e accoglienza senza limiti. In esso vedo la verità mia e sua, l’una nell’altra: la mia miseria, colmata dalla sua misericordia.

si gettò a piangere. Luca dice: “Uscito fuori, pianse amaramente” (23,62). Si allontana da Gesù, confuso, deluso e amareggiato di sé. Non sa più chi è lui; gli rimangono in mano solo i cocci delle presunzioni con cui si era identificato. Chi è veramente lui, che protestava di voler morire con Gesù? Chi è Gesù che conosceva il suo rinnegamento e lo guarda con amore e dolcezza, senza rimprovero?L’acqua amara del pianto di Pietro è il mare in cui affoga il suo faraone che lo tiene schiavo, l’orgoglio religioso, la presunzione di essere bravo. O farà la fine di Giuda - ultimo gesto di autoaffermazione come autodistruzione - o cercherà inutilmente di dimenticare tutto, o si volgerà a Gesù, vivendo del suo sguardo “gentile e cortese” (Giuliana di Norwich), che lo ama senza condizioni.Questa sarà la sua risurrezione, la sua nuova identità: l’amore e la misericordia del suo Signore che muore per lui!Ma prima è necessario che esca tutta l’amarezza della sua sconfitta.Il battesimo è questa morte del proprio io falso, sempre in cerca di conferma e autoaffermazione, per vivere pubblicamente dell’amore di Dio per me. Questo è il mio io autentico, la mia vita nuova, libera finalmente dalla paura e dal giudizio. Niente mi può separare da questo amore: né il mio peccato né la sua stessa morte (Rm 8,39). È un amore eterno (Ger 31,3), che dà la vita eterna.Cessa finalmente la menzogna che ha fatto fuggire l’uomo da Dio, sua vita. Nasce il nuovo Adamo, che non si difende più da lui, con sottomissione religiosa o ribellione atea. Finalmente si sente amato e quindi capace di riamare.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando il cortile del palazzo del sommo sacerdote, dove Pietro sta con i suoi servi attorno al fuoco.3. Chiedo a Gesù ciò che voglio: vivere non del mio o dell’altrui, bensì del suo sguardo su di me.

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4. Traendone frutto, vedo, ascolto, e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. Identificarmi con Pietro, sentire e rispondere alle sue stesse domande.

4. Passi utili: Is 43,1-6; Sal 139; Rm 5,6-11; 8,31-39; 1Tm 1,15 s; 2Tm 2,1-13.

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82. CROCIFIGGILO

(15,1-15)

151 E subito, all’alba, facendo consiglio,i sommi sacerdoti con gli anziani e gli scribie tutto il sinedrio, legato Gesù,lo portarono viae lo consegnarono a Pilato.2 E lo interrogò Pilato:Tu sei il re dei giudei?Ora egli rispondendo gli dice:Tu dici.3 E lo accusavano i sommi sacerdoti di molte cose.4 Ora Pilato di nuovo lo interrogava dicendo:Non rispondi niente?Guarda di quante cose ti accusano.5 Ma Gesù non rispose più niente,così che Pilato si meravigliava.6 Ora per la festaliberava loro un prigioniero, quello che richiedevano.7 Ora c’era quello chiamato Barabba,legato coi rivoltosiche nella rivolta avevano fatto omicidio.8 Ora, salita la folla,cominciò a chiederecome sempre faceva loro.9 Ora Pilato rispose loro dicendo:Volete che vi liberi il re dei giudei?10 Sapeva infatti che i sommi sacerdoti l’avevano consegnato per invidia.11 Ora i sommi sacerdoti sobillarono la folla che piuttosto liberasse loro Barabba.12 Ora Pilato di nuovo rispondendo diceva loro:Che dunque faròdi quello che dite il re dei giudei?13 Ora quelli di nuovo gridarono:Crocifiggilo!14 Ora Pilato diceva loro:Che ha fatto di male?Ora quelli oltre misura gridarono:Crocifiggilo!15 Ora Pilato, volendo soddisfare la folla,liberò loro Barabba;e consegnò Gesù,dopo averlo flagellato,

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perché fosse crocifisso.

1. Messaggio nel contesto

“Crocifiggilo”, grida la folla del suo re, che non ha fatto nient’altro di male che servire invece di dominare.Con la sua croce chiedono la liberazione del delinquente. La libertà di Barabba vale la condanna del Cristo. È il grande baratto che ci salva: la morte del giusto per la vita dell’ingiusto.Il processo davanti al sinedrio ha messo in rilievo “la bestemmia”: Messia, Signore e Giudice della storia è Gesù. Il processo davanti a Pilato tratta specificatamente della salvezza: egli è il Salvatore promesso proprio in quanto servo. Condannato come Figlio di Dio e giudice, rivela chi è Dio e quale è il suo giudizio; messo sul patibolo dello schiavo come re - modo divino di regnare! - diventa salvatore di tutti.Come Dio fu respinto dall’autorità religiosa; come re fu rifiutato dal popolo e ucciso dall’autorità civile. Giudei e pagani, tutti sono alleati nell’unico peccato e nell’unica salvezza.Il re è la persona riuscita, libera e potente. Uomo ideale e ideale di ogni uomo, è considerato l’immagine di Dio in terra. Ma in Israele c’è sempre stato un atteggiamento critico verso la regalità.L’attesa del messia, radicata nella promessa fatta a David (2Sam 7), aveva trovato terreno fertile nella constatazione di quanto fosse perverso ogni potere dell’uomo sull’uomo (cf 10,40ss; Gdc 9,8-15; 1Sam 8,1 ss).Il re infatti spadroneggia sui sudditi e li rende suoi servi, togliendo loro ciò che li rende simili a Dio: la libertà. Questa infatti risulta insieme alle facoltà di capire, di volere, e di operare, capacità divine che costituiscono l’uomo nella sua unicità di persona, signore di tutto e pari con tutti, unica immagine del suo Signore.Il re è un Dio capovolto, la cui intelligenza scambia il vero con l’utile, la cui volontà sostituisce l’amore con l’egoismo, la cui azione mira al potere invece che al servizio. È una caricatura d’uomo, l’uomo fallito!Gli strumenti che usa sono le spade e i bastoni per sottomettere i nemici, i denari e i favori per tenere in mano gli amici. La storia non è che una variazione sul tema di queste quattro note. Grande - ma anche monotona, immensamente monotona! - è la fantasia dell’uomo nel suonare all’infinito questi pochi lugubri tasti.Dio aveva promesso a Israele di liberarlo, mandando un re che lo avrebbe veramente rappresentato, anzi, regnando lui stesso. Il regno di Dio, nocciolo della predicazione di Gesù, è la grande attesa dei suoi contemporanei.Questa promessa ora si realizza: Gesù è il re autentico, libero da ogni potere, capace di testimoniare la verità di Dio. Infatti si fa schiavo di tutti, donando tutto, fino al dono di sé.Il seguito del racconto procede come un solenne cerimoniale di corte: la condanna a morte è l’editto che lo proclama re, il dileggio dei soldati è la sua incoronazione, la via crucis il suo corteo trionfale, la crocifissione la sua intronizzazione. Dall’alto del suo trono, infine, esercita il suo potere: invece di uccidere i nemici, muore per loro, uccidendo la morte, nemico ultimo di tutti.Dobbiamo contemplare il seguito del vangelo con Pietro, che, dopo il suo pianto, si scioglie e scompare per diventare tutto e solo occhio. Esso è l’organo più debole, che non modifica in nulla la realtà; ma anche il più ricco, che accoglie e lascia entrare tutto nel cuore. Ciò che d’ora in poi suona burla sulla bocca di chi non crede, è professione di fede agli orecchi di chi conosce il Signore.Gesù appare ora in solitudine assoluta. Lui, che si è abbandonato nella mani di tutti perché nessuno si sentisse solo, sperimenta l’abbandono di tutti, anche del Padre.Questa solitudine è la sua forza divina di una solidarietà estrema con tutti.

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Nessuno lo desidera più. Un Dio e un re così è rifiutato da tutti! Anche la folla, fino a ieri osannante, lo vuole morto. Chi, come Pilato, lo vorrebbe salvare perché innocuo, lo consegnerà alla morte.Barabba rappresenta tutti noi, uomini falliti e meritevoli di morte, che siamo salvati per la sua morte.“Cos’è la verità?” chiede Pilato (Gv 18,38). Gesù non gli risponde nulla, perché la può vedere davanti a sé: lui è la verità di Dio che libera l’uomo.La libertà è il dono più grande di Dio, che egli rispetta sempre, anche quando è contro di noi o addirittura contro di lui. Sa che essa è schiava dell’ignoranza. Ora la libera, mostrandoci la sua verità (Gv 8,32).

Gesù è re. È l’uomo libero e potente che ci salva proprio perché ama sino a farsi schiavo e impotente, portando su di sé la morte di tutti - dei sinedriti e di Pilato, di Pietro e di Barabba, dei capi e della folla, dei forti e dei deboli. È il Signore che regna, e dà la libertà a tutti gli oppressi (Sal 146); la sua condanna alla morte di croce è il prezzo della nostra libertà.

Il discepolo in lui vede il male proprio e di tutti. Ma contempla insieme anche il bene che lui vuole a ciascuno. A questo punto si identifica con Barabba, il delinquente condannato a morte, al cui posto viene ucciso l’innocente. È la grazia pasquale, che gli viene dal sangue dell’agnello.

2. Lettura del testo

v. 1 all’alba. Dopo essere già venuto di sera, di notte e al canto del gallo (13,35), ora il Signore viene anche all’alba. Ma trova tutti addormentati. Nessuno sa riconoscerlo.

legato Gesù. Il Figlio del Padre è legato come Barabba (v. 7). Esprime così la sua libertà massima, che è quella di amare fino a farsi schiavo (Gal 5,13). Le sue sciolgono le nostre catene.

lo portarono via e lo consegnarono. Il dono di Dio - Dio stesso che si dona - è ridotto dal nostro possesso a oggetto di trasporto e di consegna. Così, passato per le mani l’uno dell’altro, raggiunge tutti, prima i giudei, e poi i pagani.

v. 2 Tu sei il re dei giudei? Evidentemente il sinedrio ha presentato Gesù con questa accusa, l’unica che poteva interessare a Pilato. In Palestina capitavano di frequente moti di insurrezione, in cui uno si proclamava re e ingaggiava la lotta di liberazione contro i romani. L’ultimo tentativo sfocerà nella distruzione di Gerusalemme e del tempio (70 d.C.).

Tu dici. Gesù conferma di essere re. Ma come sia re, nessuno lo sospetta. Pilato stesso resterà stupito. La sua regalità infatti, è divina, e consiste nel servire per amore.

v. 3 lo accusavano di molte cose. Non c’è un capo d’accusa preciso. Chiaro è comunque che bisognava eliminarlo; sia come Dio, perché nessuno accetta un Dio così, sia come salvatore, perché nessuno comprende la sua salvezza.

v. 4 Pilato di nuovo lo interrogava. Le parole “interrogare” e “rispondere”, sono di continuo ripetute nel processo. L’uomo interroga, ma il Signore non risponde, se non con un “tu dici”. Lo rimanda alla sua domanda, perché metta in crisi il suo modo di pensare.

Non rispondi niente? Gesù d’ora in poi tacerà. Ciò che gli stiamo facendo lo rivela pienamente. Il suo è il silenzio del servo sofferente (Is 53,7); anzi è il silenzio maestoso di Dio: “Se uno volesse

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disputare con lui, non gli risponderebbe una volta su mille” (Gb 9,2). È soprattutto il silenzio che rivela chi è Dio. Infatti se parlasse, saremmo tutti condannati.

v. 5 Gesù non rispose più niente. Si sottolinea ancora il suo silenzio. In esso “ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42,5). Non sei più tu che devi rispondere a me, ma io a te.

Pilato si meravigliava. Il suo silenzio provoca lo stesso stupore che provocava la sua parola (cf 1,21.27). E infatti la parola più potente di Dio: dice la sua essenza di misericordia infinita.

v. 6 per la festa. L’autorità usava liberare un condannato a morte, ricordo dell’antica e presagio della futura pasqua, libertà per tutti. Ora questa festa sarà la morte dell’agnello muto, il cui sangue sarà la salvezza di Barabba.

liberare. Questa parola esce quattro volte nel testo. È il tema stesso del racconto, che interpreta la condanna di Gesù come nostra pasqua, nostra liberazione dalla schiavitù e dalla morte.

v. 7 Barabba. Barabba significa “figlio del Padre” (Bar-abba): è il nome che si dà ai figli di ignoti. Figlio di nessuno, ribelle, omicida, legato in catene, in attesa dell’esecuzione capitale, è l’uomo, specchio di ognuno di noi. Infatti, dopo il peccato, ignorando il Padre, siamo figli e fratelli di nessuno, e viviamo l’uno contro l’altro, reclusi come in carcere, aspettando di subire la nostra morte dopo averla data ad altri.

v. 8 la folla cominciò a chiedere. Tutta la folla invoca la grazia pasquale.

v. 9 Volete che vi liberi il re dei giudei? Se il Giusto fosse liberato, non sarebbe il nostro re e salvatore, e noi saremmo giustamente giustiziati.Egli è il re promesso perché assume su di sé liberamente la nostra condanna.Pilato da parte sua vorrebbe rimandarlo, perché un simile re non è in concorrenza con Cesare. Politicamente è innocente, anzi innocuo. Se come Figlio di Dio è blasfemo, come re è non-re! Religione e politica lo squalificano. È interessante notare come il potente Pilato sia impotente a fare il bene che vuole; è solo capace di fare il male, anche quando non lo vuole.

v. 10 l’avevano consegnato per invidia. Per l’unica volta è detto il motivo della consegna. La morte, entrata nel mondo per invidia del diavolo (Sap 2,24), entra ora in Dio per invidia dell’uomo. L’invidia è l’incapacità di godere del bene altrui e la brama di possederlo in proprio, anche a costo di sopprimere l’altro. È il sentimento più umano e più contrario a Dio, l’egoismo.Al suo opposto c’è la lode, che consiste nel godere del bene altrui. Dio è lode e gioia per tutte le creature, in particolare per l’uomo. Il suo occhio si compiace della creazione intera (Gn 1,10.12.18.21.25.31), e il suo cuore gode di tutte le sue opere (Sal 104,31).Lodare è la nostra salvezza, perché ci fa gioire della sua stessa gioia, godere del suo stesso bene più che se fosse nostro. La lode, espressione perfetta di amore, è la nostra somiglianza con lui.Se anche fossi in paradiso, ma fossi invidioso, sarei all’inferno: sarei infinitamente triste che Dio sia infinitamente più grande di me. Se anche fosse all’inferno, ma sapessi lodare, sarei in paradiso: gioirei infinitamente che il Signore sia infinitamente bello e buono.L’invidia e la lode fanno rispettivamente della nostra vita un inferno o un paradiso.Come Gesù, anche Abele il giusto fu ucciso per invidia; per lo stesso motivo anche Giuseppe fu venduto dai fratelli - e così li salvò!

v. 11 sobillarono la folla. La folla è facilmente sobillabile perché ha lo stesso modo di pensare dei capi, che per questo appunto sono i suoi capi! Anch’essa non sa che farsene di un Cristo debole.

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La folla è una massa di individui sempre pericolosa e bestiale. È il contrario del popolo, fatto di persone libere e ragionevoli. Per questo chi vuol dominare deve ridurre il popolo a massa.

liberasse loro Barabba. Con la morte di Gesù la folla chiede la vita di Barabba. Ma insieme chiede anche la propria. La sua morte, voluta da tutti, è per la vita di tutti. È una morte “vicaria”, al posto nostro.

v. 13 Crocifiggilo. La folla è un’unica bocca, da cui esce per la prima volta il grido: Crocifiggilo! In esso risuona la voce di ciascuno. Ascolto distintamente anche la mia. Questo urlo disumano è insieme invocazione della salvezza divina.

v. 14 Che ha fatto di male? Nulla! Passò tra noi solo facendo del bene e risanando tutti coloro che erano sotto il potere del diavolo (At 10,38). Per questo deve essere crocifisso. Infatti solo perché innocente, può portare il nostro male e salvarci gratuitamente. Se fosse delinquente come noi, porterebbe il suo, e meritatamente.

Crocifiggilo. Il grido è ripetuto. La morte di Gesù è decisa dal capi, voluta dalla folla, eseguita da Pilato. Tutti siamo implicati. Barabba con quale animo avrà udito il grido e atteso la condanna di Gesù?

v. 15 Liberò Barabba. Questa è la “soddisfazione” che Pilato concede alla folla, innanzitutto a Barabba. Il Figlio del Padre si fa figlio di nessuno e viene ucciso in vece sua; lui, il figlio di nessuno, diviene libero e figlio del Padre, che gli ha dato la vita del Figlio. È la grazia pasquale.Barabba, dopo Pietro, è l’identificazione ultima: Gesù muore per me, la sua morte è la mia vita. Da qui conosco chi sono io e chi è Gesù: io sono un disgraziato graziato, e lui è il Signore che mi grazia a caro prezzo.Con Barabba, ogni uomo è oggettivamente liberato da Cristo che si consegna per lui. Ma pochi lo sanno. Al solo ex lebbroso che torna da lui a rendere grazie, Gesù domanda dove sono gli altri nove (Lc 17,17), inviandolo presso di loro. Infatti chi veramente lo conosce, è, come Paolo, spinto ad annunciarlo a tutti. La salvezza infatti è conoscere il Salvatore e rispondere personalmente al suo amore.

consegnò Gesù. Gesù è oggetto costante di consegna. Ora è nelle mani della folla. Tutta la sua vita è un divino abbandonarsi nelle mani degli uomini - un cadere con amore fiducioso nel loro abisso che tutto colma del suo dono.

dopo averlo flagellato. Questo supplizio atroce, fatto prima della crocifissione, è solo nominato. Si davano 40 colpi meno uno con l’“orribile flagello”, una frusta con l’estremità di pezzi d’osso e di metallo. È la tortura dello schiavo prima del patibolo. Poteva essere mortale.

perché fosse crocifisso. Si compie così la volontà di tutti gli uomini, che non sanno che fare di questo Signore e Salvatore debole - “Fu crocifisso per la sua debolezza” (2Cor 13,4). Si compie così anche la volontà di Dio, che proprio qui si rivela Signore e Salvatore - Signore della misericordia e Salvatore dall’egoismo.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il palazzo dove sta Pilato con i suoi soldati, davanti al quale Gesù è processato.

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3. Chiedo al Signore ciò che voglio: udire anche il mio grido tra quello della folla, e sentire la stessa meraviglia e gioia di Barabba, liberato al posto di Gesù che muore per lui.4. Contemplare i seguenti punti: Gesù legato è condotto dalla casa di Caifa al pretorio Pilato gli chiede se è re Gesù tace Barabba scambiato con Gesù la folla grida: “Crocifiggilo” Gesù flagellato

4. Passi utili: Gdc 9,2-15; 1Sam 8; 2Sam 7,1-17; Gv 13,1-17; Sal 95; Mc 10,41-45; Gal 5,13-15.

83. SALVE, O RE DEI GIUDEI

(15,16-20)

16 Ora i soldati lo portarono viadentro al palazzo, ossia pretorio.E convocano tutto quanto il manipolo,17 e lo vestono di porpora,e gli cingono una corona di spine intrecciate,18 e cominciarono a salutarlo:Salve,o re dei giudei!19 E gli battevano il capo con una canna, e gli sputavano addosso,e, piegando le ginocchia, lo adoravano.20 E, quando l’ebbero schernito,lo spogliarono della porpora e lo rivestirono delle sue vesti. E lo conducono fuori per crocifiggerlo.

1. Messaggio nel contesto

“Salve, o re dei giudei”, dicono per scherno a Gesù i soldati. Secondo il cerimoniale di corte per il nuovo re, questa è l’incoronazione, che segue la proclamazione regale. Poi ci sarà il corteo trionfale, che lo condurrà al luogo del giudizio, dove siederà sul trono per esercitare il suo potere.Gesù ormai non è più chiamato per nome. Oggetto innominato - nefando ineffabile! - per dodici volte è indicato col pronome “lo”, “lui” termine passivo dell’azione altrui. Non è più nessuno, perché è tutti, col nome di tutti i senza nome. Uscirà col suo nome unico mentre è condotto al Calvario per la crocifissione (v. 22) e nel suo duplice grido di abbandono e di morte (vv. 34-37).Gesù è presentato come l’uomo negativo, carico del male che nessuno vuole per sé e che ognuno scarica sugli altri: “Disprezzato e reietto agli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (...), è stato trafitto

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per i nostri delitti, schiacciato per e nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per e sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,3-5).Trattato per gioco da re, in lui, che ne fa le spese, vediamo la brutalità del gioco che tutti facciamo.Queste righe sono un sommario di filosofia della storia. Non è scritto su carta, ma sulla carne piagata del Figlio dell’uomo. Ma “questa” carne è la nostra salvezza. Su di essa ricade. tutto il male che facciamo, e lì si arresta. Infatti c’è uno che, invece di restituirlo con interesse, ha la forza di portarlo per amore.Alla fine della coronazione Giovanni ce lo presenta dicendo: “Ecco l’uomo” (19,5). Al di là di ogni menzogna, ecco l’uomo, come lo riduciamo coi nostri giochi terribili di potere. Ma anche: “Ecco Dio” - cosa si è fatto per noi e cosa noi ne facciamo. Il volto di Gesù coronato è la verità dell’uomo. Ma anche la verità di Dio. Che altro poteva fare, che non ha fatto per noi?La contemplazione di questa scena ha il potere di liberarci dalla brama di avere, di potere e di apparire - da quella stupidità e vanità che ci distrugge tutti.

Gesù è l’ultimo dei giusti, su cui ricade tutta l’ingiustizia. È il colatoio, l’imbuto in cui si riversa e passa ogni malvagità. In lui vediamo senza veli tutto il male che noi facciamo e tutto il bene che Dio ci vuole.

I1 discepolo riconosce e adora il suo Signore e Salvatore in Gesù umiliato e disprezzato. Quanto per gli altri è salvezza, per lui è tragica burla; quanto per gli altri è burla, per lui è salvezza.

2. Lettura del testo

16 i soldati. Sono i ministri di quel potere che dà la morte (Gv 9,10), risultato ultimo di ogni dominio dell’uomo sull’uomo. È l’unico che Dio non ha, perché è il Signore dei viventi (12,20), amante della vita Sap 11,26), che tutto ha creato per l’esistenza (Sap 1,14).

lo Gesù non ha più nome. È indicato col pronome, che sostituisce qualunque nome. Infatti è al posto di ciascuno di noi. D’ora in poi non è più soggetto di alcuna azione: è solo oggetto, pura passione, che subisce ciò che noi gli facciamo. Proprio così compie la grande opera della nostra salvezza.

portarono via, dentro al pretorio (Gv 18,28). Proclamato re davanti a tutti con la condanna alla croce, ora è condotto nel palazzo dove, circondato dalla corte, è incoronato.

convocano tutto quanto il manipolo. Il manipolo, costituito da 200 soldati, è la guarnigione del palazzo. I servitori della morte si radunano attorno al servo che dà la vita. Al centro dell’ingiustizia c’è il giusto che paga: ogni male che facciamo è sempre portato da un altro che è innocente, almeno nei confronti di quello che subisce. E chi è totalmente innocente, lo porta tutto. Questa è la legge fondamentale della storia.I servi asserviti alla violenza riversano sul servo di Dio il loro gioco di male, riducendolo a dolorante mimo di chi sta loro a capo.

v. 17 lo vestono di porpora. La porpora, clamide scarlatta del soldato e veste di sangue di chi ha il potere, avvolge l’innocente. La violenza altrui aderisce stretta alla sua carne martoriata.

gli cingono una corona di spine intrecciate. La corona indica la gloria di chi domina. Non è forse fatta sempre di spine infitte nel capo di chi è dominato, privato della sua libertà, del proprio volto a immagine di Dio? Secondo Gdc 9,8-15, le spine sono il simbolo della regalità dell’uomo.

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v. 18 cominciarono a salutarlo. È il saluto di sudditanza, fatto per scherno. E cos’è la sudditanza se non il più brutto scherno tra gli uomini, che svendono la loro dignità?

Salve. Significa: continua a star bene! L’uomo considera bene il potere, e desidera che continui.

re dei giudei. È il titolo di Gesù. Proprio ora è re: è libero e libera dal male, perché non lo fa e lo porta su di sé.

v. 19 E gli battevano il capo con una canna. La canna è lo scettro regale, simbolo del comando. E cos’è il comando, se non una percossa sul capo di chi ha ragione?

gli sputavano addosso. L’incoronazione, secondo il cerimoniale, comprendeva il bacio di benevolenza e di adorazione.Adorare significa proprio baciare, portando alla bocca l’oggetto del proprio desiderio. In un rapporto di dominio, cos’è la benevolenza se non uno sputo, un disprezzo reciproco?

piegando le ginocchia, lo adoravano. La prostrazione di sudditanza conclude l’incoronazione del nuovo re. Qui è una presa in giro. Cos’è la sudditanza tra gli uomini, se non una reciproca presa in giro, sia del superiore che del suddito, in un gioco di falsità?

v. 20 E, quando l’ebbero schernito. La sintesi di tutta la scena è detta: “schernire”. Questo scherno o gioco infantile dell’uomo con il suo ideale di regalità è la tragica realtà del suo male che si scarica sul giusto sofferente.Gesù è Salvatore e Signore perché inizia il gioco opposto, facendosi per amore ultimo e servo di tutti.Accetto che lui, proprio così, è il mio re? Oppure continuo anch’io a schernirlo, perpetuando il brutto scherzo con i miei ideali di potere e di prestigio?

lo spogliarono della porpora. È l’anticipo della nudità ultima, quando suo vestito sarà il suo stesso sangue - sublime nascita dell’uomo nuovo!

lo rivestirono delle sue vesti. Queste sue vesti diverranno nostra eredità ai piedi della croce, quando lui rivestirà la nostra nudità.

E lo conducono fuori per crocifiggerlo. Dopo l’incoronazione il re esce dal palazzo. Seguito dal corteo trionfale, andrà al luogo in cui si alza il suo trono, dove farà giudizio e giustizia di tutti i nemici.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il cortile del pretorio, con tutta la corte e Gesù al centro.3. Chiedo ciò che voglio: riconoscere in Gesù flagellato e coronato il mio Salvatore e Signore, il vero uomo e il vero Dio. Gli chiederò, nonostante ogni mia resistenza e ripugnanza, di somigliare a lui e di “scegliere piuttosto che ricchezza, povertà con Cristo povero, piuttosto che onori, umiliazioni con Cristo umiliato, e desiderio di essere considerato stolto e pazzo per Cristo, che per primo fu tenuto tale, piuttosto che saggio ed accorto secondo il giudizio del mondo” (Ignazio di Loyola).4. Contemplo i dettagli: ogni tessera del mosaico di male, che compone il quadro della nostra storia, diventa una perla preziosa dell’amore di Dio che se ne fa carico.

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4. Passi utili: Sal 93; 96; 97; Gal 6,14.

84. PRENDA LA SUA CROCE

(15,21)

21 E angarianoun tale che passa,Simone Cireneo,che viene dalla campagna, il padre di Alessandro e Rufo, a prender su la croce di lui.

1. Messaggio nel contesto

“Prenda la sua croce”, dice Gesù a chi vuol essere suo discepolo (8,34): Ognuno deve caricarsi e portare quella che è sua e di nessun altro. Ma chi sarà questo cireneo che porta non la sua, ma la stessa di Gesù?Lo svolgimento del racconto - siamo ormai all’apice - è interrotto per introdurre questa strana figura. Nella contemplazione della passione c’è come una sosta, una pausa per considerare il nostro rapporto con la croce di Gesù.Dopo l’Ecce homo, “Ecce homines”: ecco gli uomini, in cui si perpetua la passione del Signore. In loro possiamo continuamente vederla e misurarci con essa.Discepolo è colui che fa i conti con la croce, Simon Pietro lo sapeva e lo voleva (14,29.31). Ma la ventura tocca a un altro Simone, che non sa e non vuole, anzi è costretto dalla violenza altrui. Il tutto è per lui come un incubo spiacevole, una prepotenza disdicevole, un non senso gratuito.Eppure gli è riservata la dignità più alta che mai sia toccata a un uomo. Il Signore sta compiendo la “sua” opera più importante, coronamento di tutta la creazione; e lui lo aiuta a portare la “sua” gloria, il peso del suo amore per il mondo. Solo più tardi capirà. Per ora soltanto maledice, borbotta e si ribella, e con ragione, contro il caso malaugurato.Questo brano ci fa riflettere a fondo sulla nostra vocazione di discepoli: come avviene, e a chi tocca.Essere discepoli non è scelta nostra, ma dono di Dio. Ci viene dalla storia, al di là di ogni nostro buon proposito. Ci cade addosso quando dobbiamo portare la croce che non comprendiamo e non vogliamo, perché insensata e ingiusta. Contro ogni falsa mistica, essa per sé non viene da Dio, ma dall’uomo. Anche Gesù la porta non perché gli piace, ma perché non può fame a meno. Chi ama “deve” portare il male dell’amato.Inoltre il caso (!) vuole che portar la croce tocchi sempre all’ultimo, al più povero, a colui che non può ribellarsi - se no è peggio per lui! In altre parole: la croce la fa il forte, e la porta il debole. Il Signore fu crocifisso appunto per la sua debolezza (2Cor 13,4).Lui è debole perché ama. Ma chiunque è debole, per qualunque motivo, si trova “costretto” a fare ciò che lui liberamente assume.Se Gesù si è fatto per amore ultimo e servo di tutti, l’ultimo è obbligato a servire tutti. È come lui, anche se non lo vuole. La sua croce è quindi quella degli altri, la stessa del Signore, che si identifica con lui e lo associa a sé.

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Simone pare la persona più estranea. È “un tale”, viene da Cirene, in Africa; è lì di passaggio e viene dai campi, totalmente ignaro di quanto sta succedendo. Non sa e non vuole nulla di quanto il caso (cattiveria dell’uomo e/o mano sapiente di Dio?) gli va preparando.Sia detto per inciso, “il caso” è ciò che è sottratto all’intelletto e alla volontà nostra, ed è il luogo tipico dell’azione di Dio nella storia. Lui è il Signore di tutto e di tutti, nulla sfugge alla sua mano, e conduce tutto al bene (Rm 8,28). Rispetta la nostra libertà, ma anche la propria.E così si riserva di intervenire in ciò che avviene “per caso”, fuori della nostra decisione. Egli agisce negli abbondanti buchi che la nostra programmazione e perspicacia gli concede, operando in essi le cose principali, quali il nostro nascere - perché proprio io? - gli incontri determinanti della vita e il nostro incontro con lui nella morte. Così “il caso” riserva al Cireneo un misterioso destino da superdiscepolo: senza saperlo o volerlo, sostituisce addirittura Cristo nel portare la croce altrui. Diviene così immagine vivente del suo Signore, che porta il male del mondo!Ciò che il Cireneo è involontariamente per Gesù, Gesù è liberamente per ciascuno di noi. Egli porta la croce per tutti noi, Cireneo compreso, e morirà su di essa. Dirà Gerolamo: “Il Cireneo è Cristo”. Nell’uomo di Cirene e in quanti come lui portano il male che non fanno, il Signore continua la storia della nostra salvezza. I poveri cristi sono la sua carne sofferente da amare e adorare, in cui si compie quanto ancora manca alla sua passione per la salvezza del mondo (Col 1,24). Quando annunciamo loro il vangelo, sveliamo loro questo grande mistero. E se diamo tutto per loro, è per essere uniti a loro, corpo di Cristo e seme del Regno.

Gesù porta la croce dei nostro male di cui morirà.

Il discepolo è associato a lui. Sa che la “sua” croce ormai non è più sua: è del suo Signore.

2. Lettura del testo

v. 21 angariano. Angariare è una parola tecnica, che significa requisire uno per un lavoro coatto.

un tale che passa. È la persona più indeterminata del vangelo: un tale, di passaggio, totalmente estraneo a quanto capita.

Simone. Ora sappiamo il suo nome. Guarda caso, è identico a quello di Simone Pietro che, secondo le sue pretese di poche ore prima, avrebbe dovuto essere qui a morire con lui (14,29.31). Ma anche Pietro diventerà discepolo e seguirà Gesù quando, come questo Simone, sarà portato dove lui non vorrà (Gv 21,18s).

Cireneo. Viene da Cirene, in Africa. Dal suo nome possiamo supporre che sia un ebreo emigrato in cerca di fortuna. Ma non deve averne fatta molta, se è tornato a lavorare i campi, forse altrui. Se fosse stato ricco, altri avrebbero lavorato per lui. Scegliendo proprio lui per portare la croce, ovviamente i soldati hanno guardato in giro per vedere quale fosse il più sprovveduto. Certamente uno furbo o potente non l’avrebbero mai beccato, neanche se avessero voluto!

viene dalla campagna. Sta entrando in città, e si incontra con il corteo pasquale che ne esce.

il padre di Alessandro e Rufo. Se Marco lo indica attraverso i suoi figli, significa che questi sono noti alla Chiesa di Roma, come pure sua moglie (cf Rm 16,13). È da notare che Simone di Cirene è l’unico nominato in quanto padre - non perché si stia parlando di suoi figli (come in 5,21 ss; 9,14 ss). Ed è padre non di uno, ma di due. Due è principio di molti. Infatti ha una grande posterità: tutti i cirenei della storia.

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a prender su la croce di lui. La croce è da sollevare e da portare: c’è un inizio in cui la si prende, e una continuazione in cui la si porta. Ognuno di noi ha da portare la “sua” croce (8,35) quotidiana (Lc 9,23), che giustamente si merita per le sue malefatte (cf Lc 23,41). Costui invece porta quella di Gesù. È il più grande dono concesso a un uomo: collaborare col Signore alla salvezza del mondo.Questo indica forse anche che la nostra croce, al momento decisivo, è sempre in realtà la sua, sulla quale muore lui e non noi. Noi siamo associati alla sua, ma senza morirne, perché lui si è associato alla nostra, morendo.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il cammino attraverso la città dal pretorio al Golgota.3. Gli chiedo ciò che voglio: essere associato alla sua croce, al suo mistero di morte e risurrezione. E lo ringrazio che per primo lui si è associato alla mia croce ed è morto per me.4. Traendone frutto, guardo, ascolto e osservo le persone: chi sono, che dicono, che fanno. E considero anche i “casi” spiacevoli della mia vita: che senso hanno per la mia vita di discepolo?

4. Passi utili: Ger 20,7-18; Sal 33; Gv 21,15-19; Col 1,24; 2Cor 4,7-12; 11,21b-12,10.

85. LO CROCIFIGGONO

(15,22-28)

22 E lo portano al luogo Golgota,che si traduce luogo del cranio,23 E gli davano vino con mirra,ma lui non ne prese.24 E lo crocifiggono,e si dividono le sue vesti, gettando su di esse la sorte, cosa prenda ciascuno.25 Era l’ora terzae lo crocifissero.26 Ed era scritta l’iscrizionedella sua accusa:Il re dei giudei.27 E con lui crocifiggono due predoni,uno alla destra e l’altro alla sinistra di lui.28 [e si compì la Scrittura che dice:Fra gli iniqui fu annoverato].

1. Messaggio nel contesto

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“Lo crocifiggono”. Con questa parola cruda si indica ciò che gli uomini fanno al Figlio dell’uomo. Consegnato nelle loro mani, il loro servizio a chi è venuto a servirli, è inchiodargli le mani alla croce. Il patibolo dello schiavo diventa suo trono regale. Qui, ultimo e servo di tutti, realizza pienamente la regalità di Dio.“Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo” (Gal 6,2), che consiste nel porsi, per amore, a servizio gli uni degli altri (Gal 5,13). È la legge di libertà (Gc 2,12) che Gesù ora compie, facendo per primo ciò che comanda a noi. In lui vediamo la sovranità universale di Dio: regna su tutti, perché porta il peso di tutti.Fu crocifisso per la sua debolezza (2Cor 13,4). È la debolezza di chi, amando, fa suo tutto il male dell’amato. L’amore è una malattia mortale, sopportabile solo da Dio, pienezza di vita.Paolo diceva: “Ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso” (1Cor 2,2). Scandalo per la religione e stupidità per la ragione, è potenza e sapienza di Dio, del Dio amore. La carne di Gesù in croce ne è l’esibizione totale.La sapienza dell’uomo è affermare se stesso, servendosi degli altri; la sua potenza è possedere, dominare ed esaltarsi. La sapienza di Dio invece è affermare l’amato servendo; la sua potenza è spogliarsi di tutto, anche del proprio io, abbassandosi fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo è Dio, e non uomo. E per questo ci salva.La croce è il suo giudizio, con cui convince di stoltezza la nostra sapienza e d’impotenza la nostra potenza. Egoismo e morte sono vinti definitivamente.

Gesù crocifisso è re. Egli è l’uomo libero, immagine di Dio, che ama e serve a sue spese, caricandosi del male di tutta la nostra debolezza e stupidità.

Il discepolo riconosce nella sua carne la potenza e la sapienza di un Dio che è amore senza condizioni e senza misura.

2. Lettura del testo

v. 22 Lo portano al luogo del Golgota, che si traduce luogo del cranio. È un piccolo rilievo fuori le mura, a ovest di Gerusalemme.Adamo salì sull’albero del bene e del male per elevarsi fino a Dio; ma tutta la sua ricerca di potenza non gli procurò che morte. Dio ora scende fino all’abiezione estrema e con la sua impotenza gli ridà vita.Secondo una tradizione popolare, il legno della croce viene dalla pianta che diede a tutti il frutto mortale. In effetti è fatta dal nostro peccato.Nelle raffigurazioni tradizionali, ai suoi piedi c’è un teschio e una caverna, immagini di Adamo e dell’abisso, l’uomo e il suo cosmo ritornati al caos. Ora, dal cuore della morte, fiorisce l’albero della vita.

v. 23 gli davano vino con mirra. È una bevanda anestetica, per lenire i dolori atroci della morte di croce. Tutta la sapienza umana è, in ultima analisi, un tentativo - peraltro mai riuscito! - di anestesia contro la morte. “Date bevande inebrianti a chi sta per perire, e il vino a chi ha l’amarezza del cuore” (Pr 31,6).

ma lui non ne prese. L’insipienza di Dio lo porta a rifiutare il calice analgesico, per gustare fino in fondo il nostro calice di morte. La sua lotta nell’orto fu proprio per bere questa coppa di amarezza e di furore (14,36).

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v. 24 E lo crocifiggono. La morte per crocifissione è atroce e lenta. Finché uno ha forza di vivere, si solleva sulle braccia e respira; quando non ne può più, si abbandona e muore asfissiato. Più uno lotta per non morire, più soffre. È una pena che traduce tutta la capacità di vita in orrore e dolore. Infatti l’agonia si prolunga in proporzione diretta alla vitalità che uno ha. Più che venire dal di fuori, la morte gli cresce progressivamente dal di dentro, fino a invaderlo tutto; e uno finisce quando ha spremuto l’ultima goccia di vita.La croce è figura dell’esistenza umana: insufficienza di respiro, nell’affanno continuo, fino all’impossibile, quando l’ultimo anelito diviene rantolo.Non si esprime nessuna emozione su ciò che avviene a Gesù. È realmente “nefando”, ossia indicibile. Ogni nostro dire o sentire su di lui scompare davanti a ciò che lui è per noi.Siamo al sesto giorno, il giorno in cui Dio fece Adamo, re del creato. Il suo patibolo di schiavo ribelle tocca al Figlio obbediente, nuovo Adamo. Ne fa il suo trono, da dove compie il giudizio di Dio.

si dividono le sue vesti (Sal 22,19). Adamo dopo il peccato ricoprì la propria nudità con foglie di fico. Dio le sostituì con tuniche di pelli (Gn 3,21), in attesa di dargli le vesti del Figlio, il quale, rimasto nudo, ce le lascia in eredità. Basta toccarne un lembo per essere salvati (cf 5,27 s). La sua nudità ci riveste della gloria di figli.

v. 25 Era l’ora terza. Siamo al mattino del sesto giorno, quando fu creato Adamo, figlio di Dio.

e lo crocifissero. Sulla croce contempliamo il Figlio del Padre che porta su di sé il nostro destino di figli e fratelli di nessuno, ribelli e omicidi.

v. 26 Il re dei giudei. Il titolo di condanna è la didascalia della croce. Gesù muore così perché è re; ed è re perché muore così. È la libertà somma di Dio, che libera tutti.

v. 27 con lui crocifiggono due predoni. Tre croci sono sul Golgota: due di malfattori e una del solo giusto, al centro. Le prime due, giuste e meritate, che distruggono il senso della vita, rappresentano tutti noi, ingiusti che giustamente moriamo in croce. L’altra, ingiusta e gratuita, dà senso a ogni morte: è la presenza di un amore più grande di ogni male.

uno alla destra e l’altro alla sinistra. I posti che Giacomo e Giovanni volevano e gli altri contendevano (10,37.41), sono riservati al due malfattori. Al centro c’è la “Gloria”, peso di un amore infinito che sprofonda in ogni abisso.

[v. 28 si compì la Scrittura che dice: Fra gli iniqui fu annoverato] (Lc 22,37 s; Is 53,12). In questa sua solidarietà estrema, che non ci abbandona neanche nella solitudine assoluta, Dio compie ogni promessa. Ormai troviamo la Gloria anche dove non dovrebbe essere, nel cuore di ogni empietà, nella stessa morte degli abbandonati da Dio. Ogni lontananza da lui ha ora al centro la sua presenza. Nessuno può più dirsi dimenticato, e lui finalmente è re di tutta la terra. C’è soltanto lui e soltanto il suo nome (Zc 14,9), che ora, dalla croce, abbraccia tutto e tutti.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo immaginando il Golgota, su cui si alzano le tre croci.3. Gli chiedo ciò che voglio: comprendere la Scrittura e la promessa di Dio, in modo da riconoscere in lui il mio re e Salvatore.4. Contemplo e adoro attentamente ogni parola. Dietro ciascuna c’è un abisso di tenebra che si

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riempie di luce.

4. Passi utili: Is 52,13-53,12; Sal 98; 99; 100; Fil 2,6-11; Ap 5,9-14.

86. SALVA TE STESSO

(15,29-32)

29 E i passanti lo bestemmiavano,muovendo il loro capoe dicendo:Veh! tu che distruggi il tempioe lo edifichi in tre giorni:30 salva te stessoe scendi dalla croce.31 Similmente anche i sommi sacerdoti,schernendolo fra loro con gli scribi, dicevano:Ha salvato gli altri,non può salvare se stesso!32 Il Cristo,il re di Israele,scenda ora dalla croce,perché vediamo e crediamo.E anche quelli che erano crocifissi con luilo insultavano.

1. Messaggio nel contesto

“Salva te stesso”, dicono tutti al Crocifisso. Il ritornello, ripetuto con attesa dai passanti e con ironia da chi finalmente lo gode sul patibolo, è gridato con rabbia da chi si vede inchiodato con lui alla forca.Salvarsi è la molla profonda di ogni attività dell’uomo. Il suo pulsante è la paura della morte, che, travestita da ansia di vita, suggerisce ad ogni istante il motto segreto: “Salva te stesso, pensa a te, ai tuoi interessi, a ciò che ti garantisce di sopravvivere”. L’amor proprio, che in realtà è odio di sé e degli altri, depone le sue uova di morte in ogni nostra intenzione, azione e operazione, ed è padre di tutti i mali.Chi vuol salvare la propria vita, la perde, vittima dell’egoismo che lo distrugge come immagine di Dio. Chi invece sa perderla, la salva (8,35b). Diventa come Dio, amore che dà tutto, anche se stesso, e proprio così è se stesso.Gesù, perdendosi per noi perduti, salva la vita sua e nostra, realizzando in sé e offrendo a noi un amore più forte della stessa morte.Ai piedi della croce esce allo stato puro il nostro peccato: ignoriamo Dio, e vorremmo che fosse come noi, invece di essere noi come lui.

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Vengono ripetute con scherno le due accuse, che già abbiamo udito nel sinedrio e nel pretorio: uno che non sa neanche salvare se stesso, come può pretendere di distruggere e riedificare il tempio, di essere re e salvatore di altri?In realtà il vecchio tempio è distrutto. Il Golgota, sdemonizzando Dio e la sua immagine, demolisce ogni nostra costruzione; l’insospettato nuovo tempio è il suo corpo crocifisso.Anche il falso ideale dell’uomo e di salvezza è distrutto. Il re, l’uomo libero che libera, è colui che sa amare in povertà, servizio e umiltà fino alla morte.Realmente la croce è “la crisi”, il giudizio di Dio che liquida tutti i disvalori religiosi e mondani, facendo giustizia dei vari idoli che ci tengono schiavi.

Gesù, in quanto crocifisso, è il nuovo tempio e il nuovo re - presenza di Dio, legge suprema e perfetta libertà.

Discepolo è colui che “vede e crede” nel Crocifisso la realtà stessa di Dio e della sua salvezza.

2. Lettura del testo

v. 29 i passanti. Sono probabilmente persone pie che vanno e vengono dalla città santa per la festa. Passando davanti alle tre croci, stanno attente a non contaminarsi.

le bestemmiavano (cf 2,7; 14,64). La vera bestemmia, peccato diretto contro Dio, è non riconoscerlo in croce. Con essa la Gloria entra a viso scoperto nel mondo e si rivela per quello che è. Bestemmiano anche molti cristiani: tutti quelli che si comportano da nemici della croce di Cristo (Fil 3,18), ignorando la grazia. Staccare Dio dalla croce è staccarlo dalla sua essenza di amore eccessivo (Ef 2,4).

muovendo il loro capo (Lam 2,15). È segno di scherno. Il nemico è soddisfatto della sua vittoria (cf Sal 22,8).

Veh. Espressione di sorpresa, qui in senso sarcastico. La croce desta sempre stupore. Non è ovvia, per nessuno, neanche per i nemici. Solo il buon senso religioso di molti cristiani l’ha addomesticata tanto da renderla un motivo ornamentale, addirittura insegna per ottenere o gestire il potere.

tu che distruggi il tempio, ecc. È l’accusa già fatta nel sinedrio (14,58). La distruzione del tempio va intesa come preannuncio della sua morte e risurrezione, con cui cessa ogni separazione tra Dio e uomo, e inizia un mondo nuovo.

v. 30 salva te stesso. Il consiglio che ognuno dà a sé - norma suprema del suo agire - viene ora dato anche a lui.

scendi dalla croce. È ciò che ognuno cerca di fare. Lui è Dio e non uomo proprio perché perde se stesso e resta sulla croce. Se cercasse di salvarsi e scendesse, corrisponderebbe alla proiezione dei nostri desideri. Sarebbe come tutti noi, specialisti nello scendere dalla croce per appendervi altri.

v. 31 i sommi sacerdoti, schernendolo tra loro con gli scribi. Ai loro occhi di uomini potenti e sapienti la sua regalità pare impotenza e stoltezza.

Ha salvato gli altri. È vero! E per questo perde se stesso. La sua perdizione è la nostra salvezza!

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non può salvare se stesso. Se si fosse salvato, non ci avrebbe salvati. In mezzo alle nostre croci sarebbe mancata la sua, solidarietà di Dio con noi.

v. 32 Il Cristo, il re di Israele, scenda ora dalla croce. Gesù è il Cristo, il re potente, proprio perché si è fatto servo fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo è libero e libera noi dalla nostra schiavitù all’egoismo.

vediamo e crediamo. I potenti credono in uno che salva se stesso a tutti i costi, a spese, ovviamente, degli altri. È il loro modello. Noi invece crediamo Gesù come Salvatore e Signore, proprio perché vediamo che resta in croce.

quelli che erano crocifissi con lui. Presto o tardi - ogni tardi è sempre troppo presto! - poveri e ricchi, saggi e stolti, ci troveremo tutti sulla nostra croce. Nessuno sopravvive alla propria morte. Lui si è fatto crocifiggere per essere con noi anche in quel punto, dove tutti passiamo da soli.

lo insultavano. Anche - e soprattutto! - chi si trova alla fine ragiona in termini di egoismo, e non capisce la croce. Essa infatti è una potenza e una sapienza che “non è di questo mondo”, è “una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1Cor 2,6 ss).La fede che salva consiste nel passaggio dall’imprecare Dio al vederlo presente nella propria morte. È ciò che in Luca fa uno dei due malfattori, vedendo vicino a sé il Crocifisso che non ha fatto nulla di male (Lc 23,39-43).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando di essere ai piedi della croce.3. Chiedo al Signore ciò che voglio: riconoscerlo come mio Salvatore e Signore in croce e comprendere perché questo spreco.4. Identificandomi coi passanti, coi sommi sacerdoti e scribi, e con i crocifissi con lui, lo contemplo dal loro punto di vista.

4. Passi utili: Sap 2,12-20; 4,7-18; Sal 49; 35; 1Cor 1,17-25; Lc 23,3943; Fil 3,18.

87. VERAMENTE QUEST’UOMO ERA FIGLIO DI DIO

(15,33-39)

33 E, quando fu l’ora sesta,fu tenebra su tutta la terra fino all’ora nona.34 E, all’ora nona,gridò Gesùcon voce grande:Eloi, Eloì,

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lamà sabachtáni,che si traduce:Dio mio, Dio mio,perché mi hai abbandonato?35 E alcuni dei presenti, udendo, dicevano:Ecco, chiama Elia.36 Ora, correndo unoe imbevuta d’aceto una spugna, postala su una canna, gli dava da bere dicendo:Lasciate,vediamo se viene Elia, a tirarlo giù.37 Ma Gesù,emessa una voce grande, spirò.38 E il velo del tempio si squarciò in due,dall’alto in basso.39 Ora vedendo il centurione,che stava lì davanti a lui, che così era spirato, disse:Veramentequest’uomo era Figlio di Dio!

1. Messaggio nel contesto

“Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”, dice il centurione di Gesù che vede spirare, dopo aver gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.Le prime parole del Sal 22, invocazione del Giusto sofferente, sono le ultime parole che risuonano dall’alto della croce.Questo grido è la somma di tutta la disperazione dell’umanità. L’abbandono di Dio è “il” male, lo sprofondare del tutto nell’abisso del nulla.Ogni nostra distanza dal Padre ora è colmata dalla voce del Figlio che si rivolge a lui dalle lontananze estreme del caos in cui si è lasciato cadere per incontrare tutti noi. Questo suo abbandonarsi assoluto a noi che l’abbiamo abbandonato, rivela il mistero stesso di Dio come amore infinito tra Padre e Figlio, aperto a tutti. Infatti non può perdersi così se non chi è infinitamente amante e amato.L’inizio del Sal 22 getta brutalmente in faccia un dato di fatto, che nel caso del giusto suona scandaloso: nel male e nella morte Dio lascia l’uomo al male e alla morte.In realtà lui è l’Emmanuele, che sta sempre “con”; noi abbiamo lasciato lui, non lui noi. Per questo lui ne porta il peso. Solo chi ama soffre la perdita!Egli sulla croce porta il male di ogni peccato: l’abbandono stesso di Dio. Così, solidale in tutto, ci garantisce ovunque e sempre il suo essere con noi.Nell’amore si scambia ciò che si ha e si è. Qui lo scambio è perfetto: Dio ci dà il suo bene e noi gli diamo il nostro male.Solo vedendolo morire così il centurione capisce chi è Gesù e chi è Dio; ed esclama, a nome di ogni lontano: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.Il vangelo di Marco punta a metterci davanti al Crocifisso, apice di tutta la storia di Dio e dell’uomo.

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La bibbia inizia col Signore che chiede ad Adamo: “Dove sei?” (Gn 3,9). La sua lunga ricerca, cominciata da allora, termina sulla croce. Qui il cammino del tempo giunge alla mèta prefissata dall’eternità: Dio trova l’uomo, anche il più lontano; e ogni uomo, anche il più maledetto, trova Dio.Il Crocifisso è l’unione consumata tra i due. La sua stessa carne, in quanto si fa carico di ogni male, è l’uomo nella maledizione del peccato; in quanto si consegna per noi alla morte, è epifania di Dio.Tutte le promesse non sono più ricordo di un passato o desiderio di un futuro. Sulla croce sono compimento. Con essa infatti è creato il mondo nuovo e l’uomo nuovo, è celebrata la pasqua definitiva - esodo dalla schiavitù alla libertà, dall’idolo alla conoscenza di Dio, dalla morte alla vita -, viene il giorno di Dio con il suo regno, si compie il suo giudizio di salvezza per tutti, e si celebrano infine le nozze tra Dio e l’uomo. In Gesù crocifisso si realizza ogni figura dell’AT: egli è il nuovo Adamo, l’agnello pasquale, il servo/figlio obbediente, il giusto sofferente, il messia salvatore, il giudice che salva i miseri, il medico che guarisce i mali, lo sposo che sazia ogni brama. Infatti è il Figlio di Dio, Dio stesso, principio e fine di tutto.La croce è la chiave con la quale il Risorto apre ai discepoli le Scritture e la mente all’intelligenza di esse (cf Lc 24,25-27.45-46). Finalmente vediamo chi siamo noi e chi è Dio: noi siamo da lui amati infinitamente, più di se stesso - ha dato per noi il Figlio! - e lui è amore infinito, che ci ama sopra ogni misura.Oltre la croce Dio non ha più nulla da dirci o da darci: ha detto senza veli chi è lui, dandosi tutto a noi. In essa si è totalmente espresso. Esprimere significa “spremere fuori”: Dio ha come spremuto fuori di sé la sua essenza per riversarla su di noi. Il corpo di Gesù è il vaso rotto da cui esce il profumo. Il Nome è notificato e offerto a tutti. In lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9), esposta nella nudità della sua passione per noi.La croce è il segno definitivo da scrutare, anzi la realtà ultima in cui entrare, per comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza (Ef 3,18 s).Segue solo il silenzio della maestà di Dio, cui risponde lo stupore dell’adorazione nostra.

Gesù crocifisso e morto rivela chi è Dio e chi è l’uomo, e unisce ambedue in un unico amore. È il sì di Dio all’uomo più lontano e maledetto, e insieme il sì a Dio dell’uomo più lontano e maledetto. La croce è rivelazione di Dio “sub contrario”, perché noi da sempre lo pensiamo all’incontrario. Vediamo infatti che la Vita muore, la Parola tace, il Primo è l’ultimo, il Signore è schiavo, il patibolo è trono, il Giudice è giudicato, il Giusto è giustiziato, il Salvatore si perde, il Benedetto è maledetto, il Santo è peccato. Realmente Dio, abbandonando se stesso per farsi in tutto simile a noi, ha rivelato chi è lui: amore più forte dello sheol (Ct 8,6).

Il discepolo, come il centurione, sta davanti al Crocifisso; lo riconosce Figlio di Dio, vedendolo spirare in quel modo, mentre dà la vita per chi lo uccide. La fede che salva è conoscere in Gesù l’amore di Dio per me, più grande di ogni male e della stessa morte mia e sua.

2. Lettura del testo

v. 33 E, quando fu l’ora sesta, fu tenebra, ecc. È mezzogiorno, l’ora del pieno sole. “In quel giorno - oracolo del Signore JHWH - farò tramontare il sole a mezzodì e oscurerò la terra in pieno giorno” (Am 8,9). Nella morte di Gesù si consuma la decreazione che il peccato comporta. È veramente la fine (13,24): il mondo ricade nel nulla, la luce ritorna nelle tenebre. L’oscurità fitta che accompagna l’uccisione dell’Unigenito, richiama l’uccisione dei primogeniti d’Egitto. Ma proprio dal caos Dio trarrà la luce: dalle tenebre che gli mangiano il Figlio verrà la salvezza di tutti i suoi figli, Egitto compreso.

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Siamo a metà del sesto giorno, quando Adamo fu creato e intronizzato re del cosmo. Ma subito il peccato lo fece nascondere dalla luce del suo volto. È da allora che il suo giorno diventa tenebra sempre più fitta, fino ad oscurare il sole meridiano, fino a spegnere la luce stessa. L’uccisione di Dio è il massimo male, al di là del quale non c’è più alcun male.

v. 34 allora nona, Nel racconto della passione si contano le ore. È giunto “il” giorno, di cui si computa con cura ogni prezioso momento. Sono le tre del pomeriggio. Dopo il peccato, Dio venne a cercare Adamo, dicendogli: “Dove sei?”. Ed egli fuggì da lui, sua vita. Ora lo trova nella sua morte.

gridò Gesù. Questo suo primo grido contiene tutte le notti e le morti dell’uomo lontano da Dio, È il grido del giusto oppresso, sconfitta del bene e somma di ogni male.

con voce grande. Questa voce grande riempie tutti gli abissi che separano la croce di Gesù da Dio stesso. Il Verbo creatore, inarticolato come il nulla in cui è entrato, dall’altra riva del caos torna al Padre dal quale è uscito.Dio non può non udire il grido dell’oppresso (Es 2,23 s) e quello che si eleva dagli inferi (Sal 130): è lo stesso del Figlio suo unico, abbandonato sulla croce per noi. In lui è attento alla nostra voce. Se non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui (Rm 8,32)? Questo suo grido grande dall’alto della croce è salvezza universale: riporta al Padre ogni nostra lontananza.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? È l’inizio del Sal 22. Parla del giusto su cui si riversa il male del mondo, e le cui sofferenze portano a tutti la giustizia e il regno di Dio. Il salmo termina dicendo: “Ecco l’opera del Signore!”. È un inno che passa dalla disperazione assoluta alla lode piena. È il canto di chi ha visto oscurarsi il volto di Dio ed ora vede realizzarsi tutta la sua bontà.L’abbandono di Dio è il male dell’uomo. Ora lo porta su di sé il Signore stesso - e ne muore. Il suo grido esprime un male per noi inconcepibile. Infatti Gesù è “il” Figlio, il cui essere è tutto e solo “essere del Padre”. Abbandonato da lui, vive il niente di sé - male infinito, oltre il possibile e l’impossibile.Qui è il grande mistero: Dio, Trinità d’amore in sé, si perde per salvare noi; e proprio così si ritrova pienamente realizzato anche nella nostra storia.Non c’è grido di disperazione che ormai non sia racchiuso in questo di Gesù. La sua divinità si rivela nel fatto che l’abbandono di Dio è rivolto a Dio stesso chiamandolo “mio” Dio: è fiducia filiale assoluta, gridata dall’ultima sponda a cui ha condotto la sfiducia antica.

v. 35 Ecco, chiama Elia. I passanti capiscono Elia per Eloì (Dio). Il racconto coglie in questo fraintendimento l’occasione per un insegnamento importante. Elia, secondo le ultime parole dell’AT (Ml 3,22-24), doveva tornare prima della fine, per convertire il cuore dei padri verso i figli e dei figli verso i padri. La divisione padre/figlio interrompe la sorgente di vita, impedendo di trasmettere la benedizione di Dio.Gesù in croce è il figlio più lontano di tutti, che finalmente si rivolge al Padre. Questi non può non ascoltare la sua voce, e, in essa, quella di tutti coloro dei quali si è fatto fratello. È la conversione piena del cuore del Padre a tutti i figli, e del cuore del Figlio, ultimo di tutti, al Padre.Questo è davvero il giorno “grande e terribile, il giorno del Signore (Ml 3,23), che segna la fine del mondo vecchio e l’inizio del nuovo quello dei figli di Dio.

v. 36 imbevuta d’aceto una spugna (Sal 69,22b). Il bere serve per allungare la vita, e quindi la sofferenza di chi soffre. Pietà o crudeltà? È difficile per l’uomo davanti alla morte distinguere i

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contrari! Qui è un atto di vana pietà, nell’illusoria attesa che Elia venga a liberarlo. Assunto in cielo su un carro di fuoco, egli era il santo dei miracoli impossibili.Il gesto assume anche un altro significato: noi diamo da bere a lui l’aceto - vino andato a male. gioia morta della vecchia alleanza, da sempre rotta col nostro peccato. Egli lo sorbisce fino alla feccia; è il calice dell’amarezza, accettato nell’orto per restituirlo a noi in calice di salvezza.La sua sete è quella di dissetare la nostra sete di vita (Gv 4,7; 19,28).

vediamo se viene Elia a tirarlo giù. L’attesa di un intervento finale è l’ultima a morire. Non Elia, ma Giuseppe d’Arimatea lo tirerà giù (v 46), per metterlo nel sepolcro. Dio infatti non libera dalla morte, ma nella morte. Diversamente sarebbe solo illusorio rinvio, e non liberazione reale. Dalla morte non scampa nessun mortale. L’uomo, attesa di morte, spera sino alla fine. Quando essa giunge, cessa ogni attesa. Ma proprio qui, contro ogni speranza e attesa umana, Dio è presente e dona la vita che promette: se stesso.

v. 37 emessa una voce grande. Questa voce grande, più forte delle molte acque (Sal 93,4), è il grido di trionfo sul nemico e sulla morte parola possente di Dio che giudica e salva, vagito prepotente della nuova creatura che viene alla luce, ancora coperta di sangue. È finita la tenebra e la morte. Germoglia sulla terra proprio ora una cosa nuova, non ve ne accorgete? (Is 43,19). Nasce il Figlio stesso di Dio! Dalle acque della morte esce il capo, generato prima di ogni creatura (Col 1,15), primogenito di coloro che risuscitano dai morti (Col 1,18), primo di una numerosa schiera di fratelli (Rm 8,29).Questo grido riempie tutto e tutti, vivi e morti: è l’annuncio potente dell’amore di un Dio che dà la vita per noi peccatori, perché siamo suoi figli.Oltre che di trionfo e di nascita, è anche grido di gioia dello sposo che finalmente si unisce alla sua sposa. Sulla croce di Gesù, uomo e Dio sono finalmente una carne sola. La morte, unico nemico che avrebbe potuto separarli, li ha definitivamente uniti.

spirò. La parola “spirare” non significa morire, bensì soffiare, buttar fuori il respiro vitale. Matteo dice: “consegnò lo Spirito” (27,50), e Giovanni: “trasmise lo Spirito” (19,30). Lo Spirito è la vita di Dio, l’amore mutuo tra Padre e Figlio.Dall’alto della croce Gesù soffia su tutto il mondo l’alito di Dio: il suo Spirito di Figlio è effuso su ogni creatura.Chi perde la sua vita la salva (8,34). Dando la sua vita, Gesù l’ha salvata per tutti: ci ha offerto la vita stessa di Dio, il suo amore di figlio e di fratello.

v. 38 il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Nel suo battesimo si squarciò il cielo (1,10); ora il velo del tempio. Esso divideva il “santo” (tempio) dal “santo dei santi”, il luogo più intimo (Es 26,33), dove si occultava la Gloria (Es 35,12; Nm 4,5) e si custodiva l’arca (Es 40,3). Il suo rompersi è la distruzione simbolica del tempio, già predetta in 13,2, prefigurata in 11,15-19 e preannunciata dalle prime parole del vangelo (1,2; cf anche 14,58; 15,29). Con la sua morte cessa ogni separazione tra Dio e uomo: non c’è più nessun velo che li divide. Sul Golgota Dio strappa la coltre che copre il volto di tutti i popoli ed elimina la morte per sempre; e ognuno può dire: “Ecco il nostro Dio” (Is 25,7-9). Finalmente è manifesta la Gloria: il peso del suo amore per noi ha lacerato e strappato tutto ciò che lo tratteneva in seno al Padre col Figlio, e si è riversato su tutta la terra. Ogni uomo ora ha libero accesso a Dio, perché il suo amore si è dilatato e avvolge tutto il cosmo - quasi un unico utero che contiene l’unico Figlio, che è tutto in tutti.Il velo non poteva essere squarciato che dall’alto, cioè da Dio stesso; e si divide in due, perché rivela il duplice mistero di Dio e dell’uomo, che è uno solo in Gesù.

v. 39 vedendo. Gli ultimi due faticosi miracoli di Gesù sono proprio per illuminare i ciechi (8,22 ss; 10,46 ss). L’uomo da sempre è cieco. Solo la croce è in grado di aprirgli gli occhi. Illuminato

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è colui che vede la realtà! Tutto il vangelo di Marco voleva portare a questa visione di Dio nell’uomo crocifisso. Finalmente lo conosciamo com’è, e possiamo con fiducia abbandonarci in lui in una vita filiale, libera da ogni paura. Vedere il Signore è venire alla luce: infatti la vita dell’uomo è la visione di Dio (Ireneo).

il centurione. Unico interprete autentico della croce è la persona meno adatta, che ha nessun titolo se non negativo - pagano, comandante del plotone di esecuzione, empio giustiziere del giusto. Ha l’uomo altro punto di vista per capire Dio che non sia quello della propria empietà?

che stava lì davanti a lui. Marco vuol portarci a questo faccia a faccia col Crocifisso, nei panni del centurione che lo crocifigge.

che così era spirato. Il confronto è con la morte di Gesù, e con questa sua morte, che avviene in questo modo che abbiamo visto.

Veramente quest’uomo era Figlio di Dio. Solo qui nasce la fede, senza più pericolo di ambiguità. Tolto ogni segreto, comprendiamo per la prima volta chi è Gesù e chi è Dio. Le due conoscenze sono inseparabili tra di loro e dalla croce. Gesù infatti è Dio, perché muore così; e quel Dio che nessuno mai ha visto è quest’uomo che spira così. L’unica conoscenza che ne abbiamo è la carne di Gesù che si dona: essa è epifania, rivelazione della sua verità, che la menzogna antica ci aveva nascosta. Sulla croce Gesù manifesta chi è Dio e che è Dio: Dio è uno che ama così, e chi ama così è Dio.Si dice che “era” non perché non lo sia più, ma perché la sua morte fa capire come lo fosse anche prima, nella sua vita che il vangelo racconta. Ora dobbiamo rileggerlo e finalmente possiamo comprenderlo.Si dice “Figlio”, non “il” Figlio. La mancanza di articolo vuol dire che non è “il” figlio determinato che noi pensiamo; ma “un” figlio indeterminato che neanche sognavamo, e che proprio ora si rivela. Parimenti si dice “di Dio”, senza articolo, per significare che “questo” Dio era da noi ignorato.Un Dio crocifisso per nostro amore non lo conoscevamo neanche per sentito dire. È ignoto a ogni religione e a ogni ateismo. Questo Dio, per non diventare idolo, deve sempre restar indeterminato rispetto a tutte le opinioni del nostro senso religioso e ricevere le sue determinazioni dal Crocifisso. La “carne” del Verbo è l’unico principio di conoscenza di Dio, sua esegesi autentica (Gv 1,18), vero criterio di discernimento spirituale.L’umanità crocifissa di Gesù è il suo vaso rotto: esce il profumo, e il Nome si effonde per l’universo intero. Ecco perché tutto questo spreco, che solo può rivelare un Dio come amore, la cui misura è solo l’eccesso.Il centurione, interprete autorizzato della croce, è il primo di quanti si troveranno davanti al Crocifisso nella sua stessa condizione. Finora solo il Padre conosceva il Figlio e solo il Figlio conosceva il Padre. Il Padre lo proclamò tale nel battesimo (1,11) e lo presentò ai tre sei giorni dopo l’annuncio della passione (9,7). Il Figlio lo chiamò Padre la notte del sesto giorno, davanti alla sua morte (14,36). Ora, intronizzato sulla croce, appare a tutti e regna su tutti (cf Sal 22,29), cominciando dal più lontano. Infatti gli è il più vicino, dal momento che lui stesso è il più lontano di tutti.Gli altri riconoscimenti di Dio prima della croce erano solo tentazioni, intese a stornare dalla Gloria, che solo qui si rivela.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.

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2. Con il centurione sto davanti al Crocifisso.3. Chiedo ciò che voglio: vedere come lui spira.4. Contemplo ogni parola e adoro la carne di Gesù, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9).

4. Passi utili: Leggere e rileggere il racconto della passione è seme di contemplazione, visione che trasforma. Infatti mi mostra chi è Dio non di spalle, in ciò che ha fatto, ma faccia a faccia, in ciò che si è fatto per me e in ciò che io gli ho fatto. Vedo, al di là di ciò che sento io per lui, ciò che lui sente per me. Può essere utile meditare le sette parole di Gesù in croce. Ci danno il vero senso di ciò che accade.1. Lc 23,34 Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.2. Lc 23,43 Oggi sarai con me in Paradiso.3. Mc 15,34 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?4. Gv 19,26.27 Donna, ecco tuo figlio! Ecco tua madre!5. Gv 19,28 Ho sete.6. Gv 19,30 Tutto è compiuto.7. Lc 23,46 Padre, nelle tue mani affido la mia vita.Es 33,18-23; Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-11; 52,13-53,12; Sal 22.

88. C’ERANO ANCHE DELLE DONNE CHE GUARDAVANO

(15,40-41)

40 Ora c’erano anche delle donneche guardavano da lontano, tra le quali anche Maria di Magdala e Maria, madre di Giacomo il minore e Giosè, e Salome,41 le quali, quando era in Galilea,lo seguivano,e lo servivano;e molte altre,che erano salitecon lui a Gerusalemme.

1. Messaggio nel contesto

“C’erano anche delle donne che guardavano”. La vicenda di Gesù non finisce con la morte. Continua, anzi comincia il suo nuovo corso con queste donne che osservano la croce. Presto le ritroveremo, tranne Salome, al sepolcro, dove, tre giorni dopo, riceveranno per prime l’annuncio pasquale.Con loro il vangelo raggiunge il suo scopo: portare al confronto con Gesù morto, sepolto e risorto.Esse non fanno niente. Semplicemente guardano, sprofondando nella realtà che hanno davanti. È il battesimo, che le immerge in Cristo. Il far niente della contemplazione è l’azione somma, la sola capace di cambiare il cuore. Lo svuota di sé, riempiendolo di ciò che contempla.

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Come il Cireneo prima, così ora queste donne rappresentano il vangelo vivo. Raccolgono l’eredità del Signore, che in loro prosegue la sua storia di salvezza.“Sotto il melo ti o svegliata”, dice lo sposo alla sposa (Ct 8,5) Vedendo il suo amore, non può non rispondervi.Tutti e quattro i vangeli vedono qui il luogo di origine della Chiesa. Dal costato aperto di Adamo è formata Eva, sposa sua e madre dei viventi; dal petto squarciato di Cristo è tratta la sua sposa, madre dei credenti (Gn 2,18 ss; Gv 19,25 ss). Al piedi della croce nasce il popolo sacerdotale, fatto di figli che hanno libero accesso al Padre; nasce il popolo regale, fatto di fratelli che si amano reciprocamente come sono amati; nasce il popolo profetico, fatto di persone responsabili, che ricordano e raccontano la gloria di Dio.La natura di una cosa è il suo nascimento (Vico). L’albero ha le qualità del seme da cui viene. Queste donne sul Calvario ci mostrano la natura della Chiesa: una realtà povera e piccola, stolta e insignificante, debole e compassionevole, che ha le stesse caratteristiche del suo Signore crocifisso.Questi due versetti sono un compendio di ecclesiologia, che descrive quel cammino che parte dalla croce e porta alla croce.I discepoli maschi, persone forti e qualificate, intelligenti e capaci, si sono eclissati. L’uomo resta finché ha qualcosa da dare o da fare. Dopo rimane solo chi ama. Cessata l’azione, inizia la compassione, che mette in gioco la persona stessa. Qui, e non prima, inizia l’amore, che rende vulnerabili a tutto il male dell’altro. E alla fine uccide.La compassione è la qualità del debole, da cui ci si difende con cura. Ma è anche la forza più grande che esista, l’unica in grado di superare la soglia invalicabile della solitudine estrema: non abbandona l’amato neanche nell’impotenza della morte. Più forte di ogni azione, arriva dove questa ha perso efficacia. A ben guardare, ogni azione che non è mossa dalla compassione non è amore dell’altro, ma affermazione di sé.La compassione ha come mezzo l’occhio. È la porta del cuore, che, invece di chiudersi, rimane aperta sull’oggetto del suo desiderio. Lo sguardo porta le donne fuori di sé, nel Crocifisso, e porta questo nel loro cuore. La contemplazione è estasi (= star fuori): fa stare l’amante fuori di sé nell’amato. Ma è anche principio di unione: fa entrare l’amato nell’amante.Lo sguardo delle donne sul Crocifisso corrisponde allo sguardo suo sul mondo, pieno dello stesso “amore crociato” che l’ha portato a quel punto.Attraverso la contemplazione di Gesù, le caratteristiche del Dio amore passano alla Chiesa e diventano le sue note essenziali, che la distinguono da qualunque altra società.Al v. 41 Marco sintetizza le altre sue caratteristiche, che sono il tessuto connettivo del suo vangelo: “seguire”, “servire”, “salire”, “con lui” fino a “Gerusalemme”. Queste parole costituiscono l’identità del discepolo.La storia di Gesù ora diventa quella della Chiesa: il volto dello sposo si rispecchia in quello della sposa. Cristo non è morto invano. Queste donne, e chi è come loro, diffondono per il mondo intero il suo profumo (2Cor 2,14 ss).

Gesù è colui che mi ha amato ed ha dato se stesso per me (Gal 2,20).

Discepolo è colui che sta ai piedi della croce con queste donne, e con loro compie il cammino del battesimo. Contemplandolo, commuore con lui, per poi essere consepolto e conrisorgere con lui (due brani successivi). Il “battesimo” è immergersi e affogare nel suo amore, per morire al proprio io e vivere di lui.

2. Lettura del testo

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v. 40 c’erano anche delle donne. Lo sguardo “evangelico” dell’autore isola questo nucleo di donne. All’osservatore normale paiono insignificanti. Ma a loro è affidato il mistero della morte, della sepoltura, della risurrezione e dell’annuncio di Gesù.Ai tre apostoli scelti fu riservata l’immagine della morte e risurrezione nell’orto e nella trasfigurazione (cf anche 5,37). A queste donne, di cui si nominano espressamente tre, è riservata la realtà di Gesù morto e risorto.È da notare anche che, nella cultura giudaica, le donne non erano autorizzate a testimoniare. Ma la “pietra scartata” (12,10) sceglie proprio la loro testimonianza squalificata.

guardavano. “Mostrami la tua gloria”. “II tuo volto, o Signore, io cerco, non nascondermi il tuo volto” (Es 33,18: Sal 27,8 s). Il grande desiderio dell’uomo - è fatto per questo! - è vedere il volto di Dio. In esso, realtà di cui è immagine, trova se stesso; lontano da esso è niente di sé. Ma nessuno può vedere Dio e restare in vita (Es 33,20). Ora, rotto il velo del tempio, lo contempliamo faccia a faccia. Il velo della nostra morte, che porta su di sé, lo rivela pienamente come amore che dà la vita per noi.Gesù crocifisso è chiamato da Lc 23,48 theoria - è l’unica teoria del Nuovo Testamento! - che significa “spettacolo”. Si apre il sipario; Dio si mostra al mondo così com’è, offrendo al nostri occhi la sacra rappresentazione della sua realtà, e dissolvendo tutte le nostre fantasie su di lui.La croce di Gesù, croce di ogni teologia, è la bestemmia che mette fine a ogni religione e ateismo, dando inizio a un parlare cristiano su Dio. Un teologare ha senso partendo solo da qui, dove Dio sdemonizza il suo volto, fa giustizia di ogni idolo e ci dà la vera conoscenza di sé. Per questo Paolo, riassumendo tutta la sua scienza teologica di rabbi convertito, dice. “Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2,2). Teologo è colui che contempla e conosce bene “questa” teoria.Guardare la croce è principio di vera conoscenza. Lì cessa il segreto di Dio, e inizia la sapienza cristiana. Chi volge lo sguardo a Gesù innalzato, guarisce dal veleno del serpente e ha la vita eterna, perché conosce Dio ed è attirato a lui (Gv 3,14; 8,28; 12,32).Lo sguardo al Crocifisso è il punto di arrivo della sacra Scrittura. “Guarderanno a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). Ad esso rimanderà costantemente il Risorto (Lc 24,25-27.44-46). Le sue ferite mostrano il mistero di Dio nella sua passione incredibile, nel suo eccessivo amore per noi. Guardandole, i discepoli gioiscono: vedono il Signore (Gv 20,20).Questo sguardo muove ad avere verso lui lo stesso sentimento che lui ha verso noi: la compassione (in greco sympátheia = simpatia). Essa rivela il segreto di Dio - ciò per cui Dio è Dio e non uomo, la sua “santità” (Lc 6,36; Os 11,9; Gio 4,2) - bruciante ogni nostra impurità. Egli non è amorevole, grazioso e misericordioso; è amore, grazia e misericordia, e si mostra tale nella sua compassione.

da lontano. Pietro aveva seguito Gesù da lontano (14,54) e non lo seppe riconoscere. Anche il cammino di queste donne comincia da lontano. Ma il loro sguardo le porterà sempre più vicine, fino a toccare il suo corpo ed entrare nel suo stesso sepolcro. Pietro l’aveva seguito per tener fede ai propri propositi; e lo abbandona. Queste donne lo contemplano crocifisso e si avvicinano. È il moto stesso del battezzando che progressivamente si immerge nella sua morte, fino a commorire e a essere consepolto con lui, per conrisorgere con lui a nuova vita (Rm 6,3 s; Col 2,12).

Maria di Magdala. Da lei Gesù scacciò sette demoni (Lc 8,2). Qualcuno la identifica con la donna che gli lavò i piedi con le lacrime, glieli asciugò coi capelli e profumò con l’unguento (Lc 7,36 ss), compiendo lo stesso gesto di Maria, sorella di Lazzaro (14,1 ss = Gv 12,1 ss).

Maria, madre di Giacomo il minore e Giosè. È forse Maria di Cleope, zia di Gesù (Gv 19,25), del quale Giacomo e Giosè sono cugini (6,3).

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e Salome. Il suo nome deriva da shalom, pace. È nominata solo da Marco. Tra le tante persone che c’erano si parla di queste tre, in allusione ai tre testimoni della morte/risurrezione della figlia di Giairo, della trasfigurazione e dell’orto.

v. 41 quando era in Galilea. È il luogo d’inizio del ministero di Gesù, dove risuona l’appello del Regno e l’invito alla sequela (1,14-20). Lui stesso l’ha indicato come luogo d’incontro dopo la risurrezione (14,28; cf 16,7).

lo seguivano (cf 1,16 ss; 8,34 ss). Il discepolo segue Gesù nel suo cammino, facendo le sue scelte, per mangiare infine con lui la sua pasqua. Tutto il vangelo è ricordo/racconto della vita del Maestro, che si fa via del discepolo per diventare sua vita.

lo servivano. Seguire Gesù in concreto significa servire (cf 1,29-3 1) e diventare come lui, il figlio/servo (cf 1,11), il Figlio dell’uomo che è venuto a servire e dare la vita per tutti (10,45). Servire è il contrario di servirsi. Esprime amore concreto, non con la lingua, ma coi fatti e nella verità (1Gv 3,18).

e molte altre. Il corteo è esclusivamente femminile. La donna rappresenta la verità profonda dell’uomo proprio per le sue qualità “deboli”, che la rendono simile a Dio: amore umile, accogliente, servizievole, compassionevole e fecondo. Le cosiddette qualità forti sono il fallimento dell’uomo. L’egoismo, l’orgoglio, il potere, il dominio, la durezza chiudono nella sterilità della solitudine. Sono l’inferno. “Chi non diventa donna, non entrerà nel regno dei cieli”, si potrebbe dire, rifacendo il verso al finale del vangelo apocrifo di Tommaso.

salite con lui. L’apostolo è chiamato a essere “con lui” (cf 3,13 s), anche quando il cammino è in salita. Qui vediamo qual è il monte sul quale è salito e dal quale chiama: il Calvario. Essere con lui è la vita dell’uomo, che in lui trova la propria realtà di figlio. Paolo desidera essere per sempre con lui: questa è la vita eterna (1 s 4,17), perché lui è la sua vita (Fil 1,21).

a Gerusalemme. È il luogo della gloria di Dio, termine di ogni cammino di sequela, di servizio e di salita con lui.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo ai piedi della croce.3. Mi chiedo cosa ha fatto Gesù per me e cosa ho fatto, faccio e farò io per lui. Gli chiedo di non essere sordo al suo amore e affidargli la mia vita.4. Con queste donne contemplo il Crocifisso e medito ogni parola, facendo con lui ciò che lui per primo ha fatto con me: mi ha guardato, ha avuto compassione, mi ha seguito, servito, e ha voluto essere con me, fino alla morte.

4. Passi utili: Sal 34; 1Cor 1,26-31; 2,1-10; 2Cor 3,17 s; 1Gv 3,2.

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89. LO DEPOSE IN UN SEPOLCRO

(15,42-47)

42 E quando già fu sera,poiché era parasceve, cioè presabato,43 venendo Giuseppe d’Arimatea,nobile consigliere,- anche lui era uno che attendeva il regno di Dio -osò entrare da Pilato,e chiese il corpo di Gesù.44 Ora Pilato si meravigliòche già fosse morto, e, chiamato il centurione, lo interrogòse da molto fosse morto;45 e, informato dal centurione, regalò le spoglie a Giuseppe.46 E, comperato un lino,calatololo avvolse nel lino,e lo depose in un sepolcro che era tagliato dalla roccia; e rotolò una pietra sulla porta del sepolcro.47 Ora Maria Maddalenae Maria di Giosècontemplavano dove era posto.

1. Messaggio nel contesto

“Lo depose in un sepolcro”. Il primo pezzo di terra promessa, che Abramo ottenne a caro prezzo, fu il sepolcro di Sara (Gn 23). Il sepolcro di Gesù racchiude la realtà di ogni promessa: contiene quel seme che, gettato sotto terra, diviene il grande albero del Regno.Adoriamo nel sepolcro l’umiltà del Signore. Egli è in tutto simile all’uomo. È humus, umiltà essenziale. Tratto dalla terra, ad essa è destinato. Gesù, secondo la tradizione, nasce in una grotta e in una grotta conclude la sua vita terrena.Dio, uscito da sé alla ricerca dell’uomo in fuga, percorsa ogni lontananza, alla fine del sesto giorno l’ha trovato sulla croce. Ora scende con lui negli inferi.È sabato. Compiuta ogni fatica, finalmente anche lui riposa. Riposa del nostro sonno. Nel suo sonno con noi è il nostro riposo in lui.La sua discesa agli inferi è il mistero più grande della fede, limite ultimo possibile della kénosis. Rivela un Dio amore solidale con noi in tutto, fino a diventare ciò che nessuno vuol essere e ognuno diventa: il niente di sé. Nel sepolcro finalmente incontra tutti, nessuno escluso. È il luogo di convegno universale. Gli uomini sono mortali, e si distinguono, ma solo provvisoriamente, in già e non ancora morti. Tutto il passato è lì nel sepolcro. Il futuro non ancora, ma è solo questione di tempo. Il presente, fauce della morte, è la porta di passaggio in cui ciò che sarà è inghiottito da ciò che non è più. Negli inferi tutti si riuniscono, stolti e sapienti, ugualmente sconfitti e vinti. Lì la morte regna sovrana sull’uomo e la sua storia.

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Ora il Signore penetra nell’abisso che ognuno paventa per tutta la vita, e verso cui corre tanto più velocemente quanto più cerca di allontanarsene.Ma cosa fa lì? Annuncia il vangelo (1Pt 3,19). La buona notizia è proprio il fatto che lui sia lì. Dove temo il nulla di me, ora incontro colui ai cui occhi sono tanto prezioso e degno di stima (Is 43,4) che dà la sua vita per me. Il mio limite assoluto è ormai l’incontro con la sorgente da cui scaturisco. Il Signore non mi libera dalla morte, bensì nella morte. Sta con me anche nella valle oscura (Sal 23,4), per liberarmi con la sua morte dalla paura della mia morte, che mi tiene schiavo per tutta la vita (Eb 2,14).Per garantirmi di questo, ha scelto di darmi il segno più sicuro: si è fatto solidale col mio sepolcro, perché non possa più dubitare che lui sia con me ovunque mi trovi, anche nella maledizione estrema.La morte riveste ancora il suo carattere di drammaticità, soprattutto per il peccato - pungiglione della morte è il peccato (1Cor 15,56)!Ma la contemplazione del sepolcro di Gesù me ne libera progressivamente.Dietro la pietra c’è tutto ciò che temo e da cui fuggo. Ora so che lì c’è il Signore che mi ama e che amo. Il vero sepolcro è al di qua della pietra. È il mio cuore, che ancora vive nella menzogna.Essere battezzato significa accettare la mia vita e la mia morte rispettivamente come dono di Dio e abbandono in lui. Questo è l’atto di fede che mi guarisce dalla sfiducia, radice di ogni male. E mi cura insieme dall’egoismo: se lui pensa a me più che a sé e meglio di me, sono esonerato dal preoccuparmi per me. La mia vita, affidata a lui, trova la sua “gloria”, il suo peso. L’amore suo per me è la mia vera identità, che mi rende possibile un’esistenza nuova. Non ho più bisogno di cercare la “vana gloria” (peso vuoto), riempiendomi del vuoto mortifero degli idoli.Liberato dalla paura del futuro, posso finalmente vivere con gioia il presente, godendo di ogni dono, senza l’affanno di possederlo nel timore che sfugga. So che la parola ultima non è la morte come fine di tutto, ma la vita piena di tutto ciò che ora è solo parziale.Ora posso fissare negli occhi anche la morte, senza restare pietrificato. Nel sepolcro incontro Dio stesso, che si dona a me definitivamente.Mosè, arrivato a 120 anni, non voleva morire. Accettò alfine a una sola condizione: che Dio lo baciasse sulla bocca. Si può accettare di morire - e quindi di vivere! - solo se la morte è unione di amore con lui.La sposa del Cantico sospira: “Mi baci con i baci della sua bocca” (Ct 1,2). Il sepolcro di Gesù è questo bacio, respiro di un amore più grande degli stessi inferi (Ct 8,6).

Gesù sepolto compie il moto discendente dell’incarnazione: si unisce a ogni uomo, che trova nel sepolcro la sua ultima verità.La tomba del Cristo, impotenza assoluta, è il caos primordiale. Ma, potenza estrema dell’amore, è anche il grembo vitale da cui Dio fa nascere la creatura nuova.

Discepolo è colui che, dopo aver contemplato la croce, ora contempla il sepolcro dove sta colui che lo ama di amore eterno (Ger 31,3). Ed entra misticamente per essere consepolto con lui. Solo così è liberato dalla paura della morte - talora nei giovani è paura di vivere - sapendo che è l’incontro con lui.

2. Lettura del testo

v. 42 E quando già fu sera. È la sera del sesto giorno, inizio del settimo, il sabato. È l’ultima. Poi non ci sarà più notte. Tra poco la luce, entrando nel sepolcro - unica grande notte di tutto e di tutti - illuminerà ogni tenebra.

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era parasceve, presabato. Parasceve significa “preparazione”. È il tempo immediatamente prima del sabato, in cui si fanno gli ultimi preparativi prima di dar inizio alla gioia e al riposo festivo.

v. 43 Giuseppe d’Arimatea, nobile consigliere. Il Signore raccoglie i primi frutti del suo amore tra i più lontani. Se il centurione pagano l’ha giustiziato, Giuseppe fa parte del sinedrio che l’ha giudicato.

uno che attendeva il regno di Dio. Le prime parole di Gesù sono: “II tempo è finito, il regno di Dio è qui” (1,15). Il Regno è un mistero confidato a chi lo interroga (4,11). È un seme che porta frutto (4,1-9): gettato sottoterra, germoglia da sé (4,26). È il più piccolo di tutti i semi, che diventa grande albero, rifugio per tutti (4,30 s). In esso entra chi ha il coraggio di decidere e tagliare tutto ciò che gli nuoce (9,47). È dei piccoli, che lo accolgono in dono (10,14.15). Il ricco resta fuori (10,23.24.25), perché non accetta di stare col re, che viene povero e umile sull’asinello (11,10). Allo scriba, che bene risponde sul comandamento dell’amore, Gesù dice: “Non sei lontano dal Regno” (12,34a). Deve solo “osare” “interrogare” a fondo su questo argomento colui che gli sta davanti. Solo allora capisce nello Spirito chi è il Signore (12,34b-37). Il re promesso si manifesta con gloria e potenza grande proprio sulla croce (14,62). Lì si notifica a tutti come il Cristo che perde se stesso per salvare gli altri (15,31-32).Ora Giuseppe, che attendeva il Regno, ottiene in dono il corpo di Gesù. Questo è il Regno: il Figlio dell’uomo consegnato definitivamente nelle mani degli uomini.

osò entrare da Pilato. La morte di Gesù dà coraggio a chi prima non ne aveva. Era discepolo nascosto, per paura dei Giudei (Gv 19,38).

chiese il corpo di Gesù. La costellazione di parole “regno di Dio”, “osare” e “chiedere” (o “interrogare”) esce anche dopo il comando dell’amore, quando Gesù risponde allo scriba che non è lontano dal “regno di Dio” e nessuno “osa” più “interrogare” (12,34). Il regno di Dio invece è proprio il dono fatto a chi osa chiedere il corpo di Gesù, realtà piena dell’amore - sì totale di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio e ai fratelli.

v. 44 Pilato si meravigliò che già fosse morto, e, chiamato il centurione, ecc. La morte di Gesù è attestata per due volte ciascuna da tre testimoni: Giuseppe chiede a Pilato, Pilato al centurione, il centurione informa Pilato e Pilato dona infine la spoglia a Giuseppe.È molto importante questa morte: contemplata dal centurione e dalle donne, è accertata insieme da amici e nemici, che si passano il corpo di Gesù.

v. 45 regalò le spoglie. Il corpo crocifisso, dato a chi aspetta il Regno, è dono grande e prezioso - somma di tutti i doni. Questo corpo è epifania di Dio, martirio di un amore più grande di ogni male e ogni morte. Il Figlio dell’uomo è nelle mani dei peccatori, che ne fanno quello che vogliono. Se prima lo uccidono, ora lo accolgono. Chiedo a Giuseppe di stargli vicino, e aiutarlo. “Palpando con una certa curiosità, maneggia tutte le piaghe del tuo salvatore, così morto per te”, scrive Landolfo di Sassonia (Vita di Gesù Cristo, Venezia, 1570, Prologo, p. 2). La curiosità sia chiedergli di ognuna: “Perché questa ferita, ricevuta in casa dei tuoi amici?” (cf Zc 13,6); e chiedergli di tutte insieme: “Perché questo spreco?” (14,4).

v. 46 comperato un lino. Un lino avvolge il suo corpo morto. Il giovinetto, fuggendo, lascia nelle mani dei nemici il suo lino (14,51 s). Ciò che si compra e si vende ha attinenza con la morte, e viene sempre lasciato indietro dalla vita. Invece il profumo donato e sprecato rimane. Certamente, dopo due giorni, il corpo del Signore odora ancora dell’amore di Betania.

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calatolo. Non Elia (15,36), ma Giuseppe leva giù dalla croce Gesù. Non può essere tolto prima: solo lì è perfetto il dono di Dio.

lo avvolse nel lino. Tutto quanto può fare l’uomo col suo sapere e col suo potere è solo nascondere la morte. Gesto di pietà che copre orrore pietà per l’altrui morte, orrore per la propria! Questo velo bianco richiama però ossessivamente il buio da dimenticare.

lo depose in un sepolcro. Sepolcro in greco significa “ricordo”. La morte è la memoria fondamentale dell’uomo. Ognuno finisce nel sepolcro, ricordo profondo e sotterraneo da cui comincia a rifuggire da quando è uscito dal ventre della madre, per andarci inesorabilmente incontro.Ora il ventre della morte contiene il seme della vita. Cosa può fare la tenebra che concepisce la Luce? Quale sarà stato il suo incontro con Adamo, Abramo, Giuseppe, Davide, e con tutti i peccatori?

tagliato dalla roccia. Da Abramo e Sara, sterili e morti, Dio ha suscitato un popolo innumerevole, come le stelle del cielo e l’arena del mare. Dal sepolcro di Cristo, grembo nuovo della madre terra, siamo tutti generati a vita nuova. “Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati” (Is 51,1).

rotolò una pietra sulla porta del sepolcro. È una pietra molto grande; sotto di sé racchiude ogni creatura. Chi la potrà rotolare via (16,3)? Ma ora, nel suo silenzio, è entrato il Verbo di Dio creatore. Dio è nel non-Dio, e, nel settimo giorno, riposa dalla sua opera.

v. 47 Maria Maddalena e Maria di Giosé contemplavano dove era posto. È importante guardare questo luogo preciso, dove è sepolto il seme. Da lì germina l’albero della vita. Manca Salome. Certamente ha qualcosa da fare: forse comperare i profumi in tempo utile, prima della notte del sabato, in modo d’averli pronti per l’alba del giorno dopo. Ma ogni fare, e soprattutto comprare e vendere, risulta inutile. La sindone “comprata” sarà lasciata come quella del giovane, che fugge nudo (14,52); il profumo “comprato” resterà inservibile, testimonianza di qualcosa che non si è donato. Questo l’aveva capito la donna di Betania, che certamente anche adesso resta al sepolcro, dove è nascosto colui il cui nome è profumo effuso (Ct 1,3). Tra poco, al terzo giorno, dopo aver colmato gli abissi informi, romperà la pietra, squarcerà la terra e si diffonderà per l’universo intero. Prima però deve riposare. E il suo riposo è scendere negli inferi e riempire tutti quelli che là sono e saranno; poi travaserà dalla bocca del sepolcro.Salome, assente, lascia il posto a ciascuno di noi. Contempliamo e adoriamo.O Dio, nessun cielo riempie il mio occhio, nessuna terra colma il mio cuore, nessuna acqua estingue la mia sete, nessun fuoco scalda la mia notte. Tutto è niente. Cieco l’occhio e oscuro il cuore, terra il cielo e abisso il suolo, arena l’acqua e fuliggine il fuoco. La vita senza vita grida, silenzio più vasto dell’universo, angoscia scavata più giù del nulla, grande come te, di cui è vuoto.Ma ora hai mostrato il tuo volto, e sono consolato. Con Simeone canto: lascia che il tuo servo vada in pace. In pace mi corico e subito mi addormento: tu solo al sicuro mi fai riposare, sereno e tranquillo come bimbo svezzato in braccio a sua madre.

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo davanti al sepolcro.3. Chiedo ciò che voglio: ricevere con Giuseppe in dono quel corpo, stare con le donne davanti al sepolcro, sentire ciò che sentono, vedere ciò che vedono.4. È la contemplazione più facile del vangelo. C’è nulla da vedere. Solo una pietra, che chiude

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la vista su tutto. Dietro c’è la tenebra che pavento e su cui proietto le mie paure. In realtà lì c’è la luce, e la pietra del sepolcro mi separa dalla mia vita. Il sepolcro sono io.

4. Passi utili: Gn 23; Sal 130; 131; 1Cor 15,55 s; 1Pt 3,19 s; Eb 2,14s.

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90. GESÙ IL NAZARENO, IL CROCIFISSO, È RISORTO

(16,1-8)

161 E, passato il sabato, Maria Maddalena e Maria di Giacomo e Salomecomprarono aromi per venire a ungerlo.2 E molto presto,il primo dei sabati,vengono al sepolcro,sorto già il sole.3 E dicevano tra loro:Chi ci rotolerà via la pietra dalla porta del sepolcro?4 E, guardando su, osservanoche è stata rotolata via la pietra: era infatti grande assai.5 Ed entrate nel sepolcro,videro un giovane,seduto alla destra,avvolto in veste bianca;e si spaventarono.6 Ora egli dice loro:Non spaventatevi.Gesù cercate,il Nazareno,il Crocifisso.È risorto,non è qui!Ecco il luogodove lo posero.7 Ma andate,dite ai suoi discepoli,e a Pietro:Vi precede nella Galilea; lì lo vedrete, come vi ha detto.8 E uscite,fuggirono dal sepolcro;infatti le aveva prese tremore e terrore. E non dissero niente a nessuno; temevano infatti.

1. Messaggio nel contesto

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“Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto”. È il grido pasquale di vittoria sulla morte, che dal sepolcro risuona per il mondo intero. L’annuncio incredibile del Crocifisso risorto è il principio del “vangelo” di Gesù Cristo Figlio di Dio (1,1).Le donne sono le prime ad ascoltarlo e a ricevere la missione di raccontarlo.La prova negativa è l’assenza indebita del suo corpo là dove dovrebbe essere presente, come tutti: “Non è qui, ecco il luogo dove era deposto!”. Il sepolcro è vuoto. Allora come adesso, chiunque può costatarlo.La prova positiva è la promessa ricevuta dalle donne e trasmessa agli apostoli, che giunge fino a noi: “Vi precede nella Galilea; lì lo vedrete, come vi ha detto”.I quattro evangelisti si diversificano molto in questa parte finale. Vogliono infatti portare il lettore all’incontro col Risorto. E questo avviene secondo livelli diversi, corrispondenti alle diverse tappe del cammino di fede in cui ciascuno si ritrova.Marco, vangelo del catecumeno, vuol portare alla fede nella potenza della Parola. In essa incontriamo il Signore vivo e operante in mezzo a noi, in modo che gli affidiamo la nostra vita nel Battesimo e, introdotti nella stanza superiore, mangiamo con lui.Comunque tutti concordano nel fatto che la Parola e il Pane sono il luogo del riconoscimento pieno di colui che sempre accompagna la sua Chiesa nel cammino, come i due discepoli di Emmaus.Non è la fede principio della risurrezione, bensì la risurrezione principio della fede: “Se Cristo non è risorto, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14.17), ribadisce Paolo. La gioia del Risorto è la forza del nostro cammino; ci mette alla sua sequela, vivendo e morendo con lui, per aver parte alla sua stessa vita oltre la morte (cf Fil 3,10).La risurrezione di Gesù non è una semplice rianimazione di cadavere, come nel caso della figlia di Giairo che torna a vivere una vita “mortale”. È partecipazione del corpo alla sua gloria di Figlio, primizia di tutti noi che saremo per sempre con lui, nostra vita ormai nascosta in Dio (cf 1Ts 4,17; Fil 1,21; Col 3,3).La risurrezione non è deducibile da nessuna premessa né producibile da nessuna pretesa umana.Prima che agli altri (cf At 17,18-32; 26,24!) risulta incredibile ai discepoli stessi. Sia loro che noi possiamo dedurla solo dalla promessa di Dio e attenderla dalla comunione con lui. La conoscenza delle Scritture e della sua potenza (12,24) è per tutti la via d’accesso alla fede nel Risorto. I primi l’hanno anche visto, per testimoniarlo a noi che veniamo dopo. Ma pure chi l’ha visto, lo riconosce come noi solo attraverso la luce della Parola e la forza del Pane.La risurrezione di Gesù - e la nostra futura - è corporea, come lo fu anche la sua morte! La prova ne è il sepolcro vuoto, riportato da tutti quattro i vangeli. Paolo tenta di spiegarci con quale corpo risorgeranno i morti. Non sarà più mortale, ma trasformato a immagine dell’uomo celeste, come quello di Gesù risorto (1Cor 15,35 ss).Il sepolcro vuoto smentisce l’ultima attesa dell’uomo. Infrange la sola certezza assoluta ponendogli un enigma insolubile. L’unica spiegazione è l’annuncio del Risorto, l’unica verifica l’incontro personale con lui, offerto a chiunque accoglie con fede la Parola.Marco non narra le apparizioni. Pur conoscendole, termina il vangelo con un “infatti” (greco: gár), lasciandolo chiaramente in sospeso. Invece di concludere, lo apre con l’invito a tornare in Galilea, luogo in cui comincia il racconto.Il finale quindi rimanda all’inizio, dove Gesù annuncia che il tempo è finito e il regno di Dio è qui per chi si volge a lui e si mette a seguirlo (1,14 s). Non resta che verificarlo. Chi è disponibile, esperimenta il primo incontro col Risorto: la sua Parola ha la forza di dargli animo, per affidarsi a lui e seguirlo (1,16-20).Poi lo libera dal male e gli dà la capacità di servire (1,21-31); monda la sua vita dalla lebbra e la purifica dalla morte; gli perdona i peccati e lo fa camminare; gli fa aprire la mano per ricevere il dono, ecc. (cf 1,453,6). Ogni miracolo raccontato è ciò che la parola potente del Signore risorto opera in noi, adesso come allora. Essa infatti è un seme che ha il potere di generarci figli di Dio, trasformando tratto dopo tratto la nostra esistenza.A metà vangelo, chi accetta “la Parola” e l’invito a seguirlo, lo “vede” trasfigurato (8,31-9,9).

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La trasfigurazione in Marco sostituisce i racconti della risurrezione. Il discepolo, guarito passo dopo passo, vede il volto del Figlio nel proprio di fratello, e sperimenta la sua potenza di risorto nella propria vita rinnovata. La trasfigurazione rivela non solo la divinità di Gesù, ma anche la gloria che lui dà a noi. Chi ha conosciuto e creduto all’amore di un Dio crocifisso, abbandona in lui la propria vita e la propria morte, e diventa un uomo nuovo, passato dalla notte al giorno. È la piena illuminazione battesimale, alla quale Marco vuol portare il suo lettore.La seconda parte del vangelo diventa poi tutta un confronto tra la Parola fatta Pane e la nostra vita nelle sue diverse relazioni con noi stessi, con gli altri, con le cose e con Dio.Giunti alla fine del vangelo, siamo sempre di nuovo rimandati all’inizio, in un movimento concentrico a spirale, in modo che ogni volta cresciamo sempre di più, fino alla statura piena di Cristo (Ef 4,13), quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).Ma già fin d’ora, al centro della nostra vita come a metà del vangelo, c’è una esperienza di trasfigurazione, che procede di pari passo con l’accettazione della croce.Ogni rilettura del vangelo non è una semplice ripetizione per non dimenticarlo. Ogni volta ci riporta al “principio” (1,1), e ne usciamo più simili a lui, invitati a tornare sempre allo stesso principio.Volendo distinguere i vari livelli successivi di lettura - l’uno conduce all’altro ed è da esso incluso - potremmo parlare di un primo che porta dal precatecumenato al catecumenato, di un secondo che porta dal catecumenato al battesimo, e di un terzo infine che è proprio del battezzato, chiamato a un progresso senza fine nella conoscenza e nella sequela del suo Signore. La sorgente non dà mai la stessa acqua: una vita che si ferma, è morta.Il precatecumeno comincia a conoscere la storia di Gesù. Essa, facendogli balenare la promessa di Dio, libera in lui i desideri profondi per cui è fatto. È il primo incontro col Risorto, che con la sua parola apre il cuore (At 16,14). Il finale gli propone di riprendere dall’inizio, credendo che lui compie quanto dice. Allora si scatenano tutte le resistenze contrarie alle speranze concepite. A lui scegliere se ripiegare con paura nel silenzio e nella fuga, come anche le donne in un primo tempo, o tentare il rischio, chiedendo la fede. Chi accetta il salto, esce dalla folla. Cessa di essere semplice spettatore e diventa parte interessata, coattore con Gesù di ogni scena. Diventa catecumeno.Il catecumeno crede alla Parola e ritorna in Galilea, lasciandosi coinvolgere da ciò che il Signore dice con autorità. Sperimenta allora di essere sempre l’altra persona per la quale lui dice o fa qualcosa: è il discepolo chiamato che segue, l’indemoniato che è liberato, la suocera che è guarita, il lebbroso che è mondato, ecc. In questa ripetizione è importante la preghiera, in cui chiedo con fede che quanto è raccontato avvenga anche a me. Incontro così il Signore risorto nelle sue parole e nelle sue azioni, che mi trasformano perché possa seguirlo fino alla croce e contemplarlo come mio Salvatore e Signore.Allora scopro che la mia paura è diventata fiducia, la mia fuga sequela e il mio silenzio urgenza d’annuncio. Sono quindi pronto al battesimo: affido la mia vita e la mia morte a lui che è morto per me ed è risorto, ed entro nella Chiesa, la comunità dei fratelli che vivono la vita nuova.Il battezzato desidera seguire sempre più da vicino il suo Signore, per essere con lui (3,14) ed essere mandato ad annunciarlo (6,6b ss), percorrendo il suo stesso cammino dalla croce alla gloria (8,34 ss). Mentre la prima tappa, che è per tutti, porta il curioso al catecumenato, e la seconda porta il catecumeno al battesimo, questa terza, più tipicamente ecclesiale, non porta altrove. E tuttavia non resta mai conclusa. Anche qui il finale rimanda daccapo, in un crescendo di amorosa conoscenza. Ogni rilettura è un nuovo tocco di Cristo che mi illumina ulteriormente. “Vedi forse qualcosa?”, domanda Gesù al cieco di Betsaida. La mia vista è sempre inadeguata a ciò che è da vedere: più è pulita, più contempla e riceve Gloria, in un moto di desiderio e sazietà senza fine.A questo livello si possono anche utilmente fare letture tematiche, secondo gli argomenti che il testo stesso suggerisce nella sua articolazione:1. Chi è l’uomo davanti a Dio: la promessa dell’AT (1,1-8).2. Chi è Dio davanti all’uomo: Gesù compimento di ogni promessa (1,9-13).3. Chiamata e risposta al Regno: la fede come sequela di Gesù (1,14-20).

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4. Programma del Regno: una giornata messianica (1,21-45).5. Rapporto legge/vangelo: Gesù opera ciò che è impossibile alla legge (2,1-3,6).6. Il nuovo popolo: con Gesù in ascolto della Parola (3,7-35).7. Fede nella Parola: seme di Dio (4,1-34).8. Passaggio del mare: fede e battesimo come liberazione dal male e dalla morte (4,35-6,6a).9. Parola e Pane: missione ed eucaristia (6,6b-8,29).10. La Chiesa a confronto con la Parola: Gesù morto e risorto principio di vita nuova (8,31-10,51).11. Il “potere” di Gesù: il Figlio servo (11,1-12,44).12. La fine del mondo: il senso del presente alla luce del mistero di Gesù morto e risorto (13,1-37).13. La Parola fatta Pane: Gesù morto e risorto (14,1-16,8).Si possono anche utilmente sviluppare letture tematiche trasversali, con taglio cristologico, ecclesiologico, sacramentale, storiologico, ecc.; oppure scegliere specifici temi teologici (discepolato, croce, segreto messianico, conoscenza di Dio, ecc.) o pratici (rapporto con la Parola, con sé, con gli altri dentro e fuori la Chiesa, coi beni, ecc.).In genere si fa l’errore di cominciare da questi tipi di lettura per soddisfare la curiosità, quasi cercando un ricettario di risposte alle nostre domande. Ma è bene lasciarle per ascoltare le domande che il testo fa, e le risposte nuove che suscita.In ogni lettura si tenga presente che nella prima parte dei vangelo si offrono piuttosto i frutti e i semi (miracoli e parabole), mentre nella seconda l’albero e le radici (croce e Parola).

Gesù è il Crocifisso risorto, presente nella Parola, che mi invita ad accogliere e sperimentare il suo amore per me, per seguirlo e a mia volta annunciarlo.

Il discepolo, entrato nel sepolcro, lo trova vuoto di morte e pieno dell’annuncio di vita. Come le donne, reagisce dapprima con paura (= incredulità), fuga e silenzio. È invitato a superare questa resistenza, per sperimentare il potere della Parola, che cambia la paura in fede, la fuga in sequela e il silenzio in annuncio. È l’esistenza del battezzato che, commorto e consepolto con Cristo, conrisorge con lui a una vita nuova, quella di figlio di Dio e fratello degli uomini.

2. Lettura del testo

v. 1 passato il sabato. Il sabato, fine di ogni fatica, è passato. I cristiani festeggiano il giorno dopo, che è l’inizio della settimana. Viviamo ormai oltre il settimo, nell’ottavo giorno che è festa senza fine. Da quando Dio si è riposato nella tomba dell’uomo, l’uomo ha raggiunto il riposo di Dio.

comprarono aromi. Questi aromi sono inutili come tutte le cose che si comprano e vendono. Il nardo odoroso fu invece donato al Vivente (14,3 ss). Non c’è lezzo di morte da coprire, ma profumo di vita che si effonde.

v. 2 molto presto. È l’alba dell’ottavo giorno che non conosce più tramonto.

vengono al sepolcro. La morte è la memoria alla quale l’uomo ritorna di continuo con orrore e pietà. È il suo ricordo fondamentale. Le donne, grembo di vita, si recano al sepolcro, bocca di morte della madre terra, alimentata dal loro generare.

sorto già il sole. Il sole, oscurato nell’agonia di Gesù, era calato con lui nella tomba. Ora è sorto quello nuovo, ma nessuno ancora lo sa.

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v. 3 Chi ci rotolerà via la pietra? Nessuno è in grado di rotolare via la pietra che chiude nella morte. Neanche le donne che danno la vita; generano infatti per la morte.

v. 4 guardando su, osservano che è stata rotolata via la pietra. Ma ora, per chi solleva lo sguardo, il sigillo della morte è infranto, e dal di dentro!

era infatti grande assai. Tanto grande da racchiudere tutto e tutti.

v. 5 entrate nel sepolcro. Provo anch’io a entrare con loro nel sepolcro. È lì, e non prima o altrove, che risuona l’annuncio del Risorto. La salvezza non è dalla morte - sarebbe falsa, perché siamo mortali - ma nella morte.

videro. Dalla croce in poi il problema è “vedere”. Per questo gli ultimi due miracoli di Gesù sono il dono della vista. Tra i due c’è tutta la seconda parte del vangelo che annuncia la morte e risurrezione di Gesù, la “Parola” che dà luce agli occhi (Sal 19,8).

un giovane. È lo stesso termine usato in 14,51.

seduto alla destra. Non è un fuggitivo impotente. È “seduto alla destra”, nel fulgore della gloria di Dio.

avvolto in veste bianca. Non è più avvolto in una sindone o nudo. come un dormiente o uno sconfitto. È rivestito di luce, con la candida veste della vittoria, come il Signore trasfigurato (9,3).Questo giovane è figura di chiunque annuncia il Risorto, e del Risorto stesso, presente nella parola che annuncia.

si spaventarono. Non è l’orrore del vuoto, ma il terrore della pienezza traboccante, l’eccessività del divino. È la sorpresa di una vita nuova, giovane e luminosa, proprio nel luogo oscuro della morte, dove dovrebbero stare i cadaveri dei suoi vinti. È stata vinta la vincitrice di tutti! Spogliata del suo bottino, le restano in mano solo le spoglie - il lenzuolo di chi credeva di ghermire!

v.6 Non spaventatevi. Da Gn 3,10 la paura è la prima reazione dell’uomo davanti a Dio. Per questo ogni volta che interviene deve dire: “Non temere”.

cercate. Uno trova ciò che cerca; cerca ciò che desidera; e desidera ciò che gli manca, e di cui non può fare senza.

Gesù il Nazareno, il Crocifisso. È risorto. Sono le parole del kérygma, che proclama la buona notizia: Gesù di Nazaret, di cui tutto il vangelo è ricordo e racconto, quello che finì sulla croce, proprio lui in persona è risorto! È la parola fondamentale della fede cristiana, incredibile a tutti. Noi conosciamo una vita per la morte; qui c’è una morte per la vita. È importante ogni parola di questo annuncio: il Risorto è l’uomo Gesù, il carpentiere di Nazaret, la sua carne crocifissa. Tutta la debolezza umana è inscindibile dalla gloria che io cerco.

non è qui. È importante venire al sepolcro, e vedere che non è qui. Qui dovrebbe essere, dove ognuno attende di finire e dove finisce ogni attesa. Ma la promessa di Dio smentisce la nostra certezza più certa.Questo “non è qui” è una constatazione oggettiva della risurrezione, anche se in senso negativo. È infatti un’assenza inspiegabile. Se fosse spiegabile, sarebbe l’ultimo imbroglio, il peggiore (Mt 27,64). Inoltre, se il corpo fosse nel sepolcro, la morte non sarebbe vinta, e non ci sarebbe il

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vangelo di salvezza. Ci sarebbe solo una dottrina su come vivere e morire piamente. Ma questo non cambia la realtà!

Ecco il luogo dove lo posero. È quanto possono vedere coloro che vanno pellegrini al sepolcro, allora come adesso, amici o nemici di Gesù, credenti o meno. Per cogliere l’annuncio pasquale, è necessario un confronto onesto, senza barare, con la morte - primo tabù dell’uomo, che è coscienza di vita perché ne conosce anche il contrario. Bisogna entrare nel sepolcro, “nostra” verità, e perlustrarlo bene. Solo da qui si può vedere se e quale senso abbia la nostra esistenza.La promessa di Dio deve entrare nella morte, veleno di tutta la vita dell’uomo.

v. 7 andate, dite. Le donne sono mandate a portare l’annuncio del Risorto ai discepoli. Sono apostole (= inviate) degli apostoli. Superapostole quindi!

ai suoi discepoli, e a Pietro. Come predisse lo scandalo di tutti e il rinnegamento di Pietro, ora, risorto, ribadisce la sua fedeltà, già promessa (14,28), e in particolare a Pietro, che, dopo il rinnegamento, poteva dubitarne.

Vi precede nella Galilea. La Galilea è dove inizia la predicazione di Gesù, e ha luogo il primo incontro coi discepoli. Il lettore, se vuole fare la stessa esperienza, è rinviato lì, a riascoltarlo con loro.Le apparizioni del Risorto furono sia a Gerusalemme che in Galilea. Marco non ne racconta appositamente nessuna; annuncia solo quelle in Galilea, per farci andare lì.

lì lo vedrete, come vi ha detto (cf 14,28). Anch’io, se riprendo il racconto dal principio, mi ritrovo in Galilea. Se qui ascolto ciò che lui dice, lo incontro nel vangelo, che è Gesù Cristo Figlio di Dio (1,1), che annuncia se stesso (1,14), proclamando la fine del tempo e la venuta del Regno (1,15). Se l’accolgo come parola di Dio, quale veramente è, mi accorgo che opera ciò che promette (1Ts 2,13). E mi metto a seguirlo. Ogni passo del racconto diventa allora un incontro salvifico con lui, che dice e fa per me quanto è narrato. Per la potenza del suo Spirito mi ritrovo progressivamente trasfigurato. Ero tenebra, egoismo, tristezza, inquietudine, impazienza, malevolenza, cattiveria, asprezza e schiavitù. Ora divento luce, amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, libertà (Gal 5,22). Vivo una vita da figlio nel Figlio, risorto nel Risorto.

v.8 uscite, fuggirono dal sepolcro. Davanti alla buona notizia, le prime reazioni delle donne, in questo simili a tutti gli uomini, sono di resistenza: disobbedienza e fuga invece di sequela.

infatti le aveva prese tremore e terrore. Sono prese da uno spavento “tremendo”, che scuote loro le ossa e le fa uscire di sé. Invece della fede, c’è la paura, segno d’incredulità (cf 4,40).

E non dissero niente a nessuno. Non vogliono essere prese per pazze e visionarie (cf Lc 24,11). Invece dell’annuncio, c’è il silenzio. Prima di giungere alla fede, devono emergere tutte le reazioni negative del nostro cuore davanti al kérygma. È troppo grande per noi ciò che Dio dona.

temevano. Si ribadisce la paura. Ma l’annuncio, caduto nello stagno della nostra incredulità, ha sconvolto tutto. Chi ha letto fin qui il vangelo, si trova a un bivio: ascoltare le proprie paure e andarsene, ormai per sempre inquietato da una possibile buona notizia, oppure ascoltare il desiderio che essa gli ha posto nel cuore? Questo è come pietrificato. Ma la Parola è un seme. Deposto nel terriccio di una crepa, cresce e rompe la roccia.

infatti. Il vangelo di Marco termina con questa parola, con cui non si può concludere. La particella gàr (= infatti) non può stare in chiusura, tanto meno di un libro! L’annuncio rimane sospeso. S’è

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diffuso nell’aria e non può più essere chiuso. Il vangelo infatti rimane ormai aperto per sempre, anche per chi lo getta via. E non finisce qui, ma rimanda al principio, per finire nell’orecchio e nel cuore di chi l’ascolta - fin che la sua paura diventa fiducia, la sua fuga sequela e il suo silenzio ricordo/racconto per altri.Infatti è il vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio (1,1). Il Risorto, oltre che annunciato, è l’annunciatore dell’annuncio (1,14). Qui ogni uomo lo incontra, potenza di Dio e salvezza per chiunque crede (Rm 1,16).

3. Esercizio

1. Entro in preghiera, come al solito.2. Mi raccolgo, immaginando le donne che vanno al sepolcro.3. Chiedo ciò che voglio: gioire che il Signore è risorto.4. Entro con le donne nel sepolcro, e, traendone frutto, vedo, ascolto e osservo tutto.

4. Passi utili: Sal 16; 30; 1Cor 15; Lc 24; Gv 20-21; At 17,16-21.32 s; 26,22-25; Sal 147; Rm 1,16; 10,11-17; 1Cor 1,21; 1Ts 2,13.

91. ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO A OGNI CREATURA

(16,9-20)

Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni.Questa andò ad annunciarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere. Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere.Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano.

Nota:Questo finale, pur essendo canonico, non è di Marco. “È un’autentica reliquia della prima generazione cristiana” (Swete), che contiene un riassunto delle apparizioni del Risorto e una sintesi della teologia dell’annuncio. Le parole, che non sono di Marco, riflettono però bene la sua ottica kerygmatica.

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