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Edizione APRILE 2018

Copyright © MMXVIIIKEY SRLVIA PALOMBO 2903030 VICALVI (FR)P.I./C.F. 02613240601

ISBN 978-88-6959-945-3

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione, di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi.

Stampato da Furlan Grafica Via Garegnano, 41 Milano 20156

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ESAME AVVOCATO OK

Luigi Maria Sanguineti

82 lezioni ragionate con formulario c.p.c., per agevolare la preparazione agli esami e concorsi

In appendice: introduzione al processo telematico

Quarta edizione

LA PROCEDURA CIVILE RAGIONATA

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L’autore

Luigi Maria Sanguineti esercita la professione di avvocato ad Arezzo.Dirige due siti pubblicati nelle pagine web: l'uno (www.praticadiritto.it) vuole essere una guida nella preparazione agli esami e concorsi per diventare avvocato o magistrato; l'altro (http//:www.sapervivere.net) tratta di religione, filosofia, morale (…).Luigi Maria Sanguineti ha pubblicato diversi libri, giuridici e non giuridici.Tra i libri giuridici vanno ricordati, La pratica civile, La pratica penale, entrambi editi da Giuffrè. Tra i libri non giuridici meritano menzione: Dizionario morale, edito da Giuffrè, Critica ai valori della Costituzione, edito da Europa edizioni.Il presente libro fa parte di una trilogia formata dai seguenti libri: Diritto civile ragionato, La procedura civile ragionata, Diritto e procedura penali ragionati.

L’Opera

La procedura civile ragionata, ed. IV, contiene una novantina di lezioni + un “Formulario della procedura civile”. In “appendice” contiene, una “Introduzione al processo telematico” che si propone di dare le nozioni base per agire nel P.C.T.Le lezioni sono fatte in forma dialogata al fine di agevolare l'apprendimento.L'esposizione si caratterizza per la sua chiarezza e semplicità.

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Indice Generale

Parte Prima

Le disposizioni generali

Capitolo Primo

Giurisdizione e competenza

Lezione 1 - Attività giurisdizionale: limiti - Diritto d’azione – Omissione di pronuncia...................................................................................................................Lezione 2 - Giudici ordinari, speciali, straordinari. - Concetto di attività giurisdizionale............................................................................................................Lezione 3 - Diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi semplici..............................Lezione 4 - Le spese giudiziali...................................................................................Lezione 5 - Competenza: concetti introduttivi............................................................Lezione 6 - Competenza per valore...........................................................................Lezione 7 - Pluralità di domande e valore della causa...............................................Lezione 8 - Il principio di economia processuale - La perpetuatio jurisdictionis.........Lezione 9 - La competenza per territorio...................................................................Lezione 10 - Simultaneus processus.........................................................................Lezione 11 - Deroghe alla competenza per ragioni di connessione..........................Lezione 12 - Continenza di cause – Accertamenti incidentali - Eccezioni e cause riconvenzionali.................................................................................................Lezione 13 - Litispendenza........................................................................................Lezione 14 – Il difetto di competenza e di giurisdizione.............................................

Capitolo Secondo

Le giuste parti

Lezione 15 - Processo: Actum trium personarum......................................................Lezione 16 - Imparzialità e terzietà del giudice - Sua astensione e ricusazione........Lezione 17 - I giusti contraddittori..............................................................................Lezione 18 - Divieto di sostituzione processuale.......................................................Lezione 19 - I difensori delle parti: loro necessità per il corretto funzionamento del contraddittorio....................................................................................................Lezione 20 - La capacità delle parti.........................................................................Lezione 21 - La partecipazione del Pubblico Ministero alla causa come antidoto a un funzionamento patologico del contraddittorio..................................................Lezione 22 - L'intervento volontario.........................................................................Lezione 23 - L'intervento su istanza di parte............................................................Lezione 24 - Intervento iussu iudicis........................................................................Lezione 25 - Il litisconsorzio necessario..................................................................

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Capitolo Terzo

I principi di diritto processuale civile

Lezione 26 - Il principio della domanda...................................................................Lezione 27 - Principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato....................Lezione 28 - Il divieto di mutatio libelli.....................................................................Lezione 29 - Limiti all'efficacia soggettiva della cosa giudicata...............................Lezione 30 - Limiti oggettivi all'efficacia del giudicato..............................................Lezione 31 - Problematiche connesse al principio di economia dell'attività processuale. In particolare, sull'esperibilità delle azioni di mero accertamento e di condanna in futuro...............................................................................................

Capitolo Quarto

Forma e nullità degli atti - Notifiche - Termini

Lezione 32 - Forma e nullità degli atti......................................................................Lezione 33 - Le notifiche..........................................................................................Lezione 34 - I termini...............................................................................................

Capitolo Quinto

Lo svolgimento del processo di primo grado

Lezione 35 - Tecniche per la soddisfazione dell’esigenza di dare rapida soddisfazione alle domande di giustizia...................................................................Lezione 36 - Tecniche di accelerazione dei tempi della Giustizia che non comportano il sacrificio di un principio processuale-................................................Lezione 37 - Tutela del contraddittorio-...................................................................Lezione 38 - Rinuncia agli atti – Rinuncia al diritto – Nuova domanda aggiunta in corso di causa – Mutatio libelli.............................................................................Lezione 39 - Nullità dell’atto di citazione (art. 164). Difetto di rappresentanza o di autorizzazione (art. 182)......................................................................................Lezione 40 - Trattazione orale o scritta?..................................................................Lezione 41: I poteri del giudice istruttore.................................................................Lezione 42 - Conseguenze dell’inattività delle parti.................................................

Capitolo Sesto

Le prove

Lezione 43 - Scienza privata del giudice – Fatti notori – Prova legale.....................Lezione 44 - La motivazione....................................................................................Lezione 45 - Il giudice deve decidere iuxta allegata – Il principio di disponibilità delle prove...............................................................................................................Lezione 46 - Il principio di acquisività delle prove....................................................

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Lezione 47 - Divieto al giudice di indagini esplorative..............................................Lezione 48 - Le prove “atipiche” - Il principio della prova migliore...........................Lezione 49 - Divieto di una pronuncia di non liquet. - Onere della prova.................Lezione 50 - La procedura di rendiconto: una procedura per facilitare l’onere della prova...............................................................................................................Lezione 51 - Obbligo del terzo di collaborare all’accertamento dei fatti...................Lezione 52 - Obbligo di collaborazione della controparte........................................Lezione 53 - Premessa: le principali prove “tipiche”. La testimonianza...................Lezione 54 - La confessione....................................................................................Lezione 55 - Il giuramento.......................................................................................Lezione 56 - Il comportamento delle parti. - Il verbale d’ispezione..........................Lezione 57 - I documenti..........................................................................................Lezione 58 - Il consulente tecnico: un ausiliare del giudice nell’accertamento dei fatti...........................................................................................................................Lezione 59 - Querela di falso...................................................................................

Capitolo Settimo

Le impugnazioni

Lezione 60 - I vari mezzi di impugnazione e i loro termini. Il giudicato formale.......Lezione 61 - L’acquiescenza. Estinzione del processo di impugnazione................Lezione 62 - L’effetto estensivo dell’impugnazione.................................................Lezione 63 - Limiti all’effetto devolutivo nel giudizio di appello................................Lezione 64 - La revocazione....................................................................................Lezione 65 - Opposizione di terzo...........................................................................

Capitolo Ottavo

Momenti salienti del processo

Lezione 66 - Primi passi (nell’iter processuale) dell’attore.......................................Lezione 67 - Primi passi (nell’iter processuale) della parte convenuta e dell’Ufficio................................................................................................................Lezione 68 - Costituzione delle parti e iscrizione a ruolo.........................................Lezione 69 - La prima udienza di trattazione...........................................................Lezione 70 - Scambio di memorie ex art. 183.........................................................Lezione 71 - La deduzione della prova testimoniale - La sua assunzione...............Lezione 72 - Precisazione delle conclusioni – Comparsa di risposta......................Lezione 73 - Che fare dopo la sentenza di primo grado?........................................Lezione 74 - Svolgimento di una causa davanti al giudice di pace..........................

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Parte Seconda

Formulario

Avvertenze...............................................................................................................I. Le informative.......................................................................................................II. Procura alle liti.....................................................................................................III. Mediazione (atti relativi a una procedura di) Istanza all’Organismo di mediazione..............................................................................................................IV. Vari tipi di notifica...............................................................................................V. Atto di citazione...................................................................................................VI. Rinnovazione della citazione..............................................................................VII. Comparsa di risposta.........................................................................................VIII. Chiamata in causa del terzo (art. 106).............................................................IX. Intervento volontario (art. 105 C.P.C.)................................................................X. Memorie ex art. 183.............................................................................................XI. Provvedimenti interinali (artt. 186bis, 186 ter, 186 quater).................................XII. Comparsa conclusionale...................................................................................XIII. Interruzione del processo.................................................................................XIV. Appello.............................................................................................................XV. Comparsa di risposta all’appello.......................................................................XVI. Primi passi verso la esecuzione della sentenza: l’atto di precetto...................XVII. Espropriazione mobiliare presso il debitore....................................................XVIII. Espropriazione presso terzi............................................................................XIX. Espropriazione immobiliare..............................................................................XX. Esecuzione per consegna o rilascio..................................................................XXI. Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare..........................................XXII. Opposizione all’esecuzione (art. 615 C.P.C.)..................................................XXIII. Opposizione agli atti esecutivi........................................................................XXIV. Opposizione di terzo......................................................................................XXV. Opposizione in materia di lavoro....................................................................XXVI. Decreto ingiuntivo..........................................................................................XXVII. Procedura per convalida di intimazione di licenza o sfratto -Esecuzione di uno sfratto............................................................................................................XXVIII. Sequestro....................................................................................................XXIX. Denuncia di nuova opera e di danno temuto.................................................XXX. Procedimenti di istruzione preventiva.............................................................XXXI. Provvedimenti d’urgenza..............................................................................XXXII. Ricorso per procedimento sommario di cognizione......................................XXXIII. Procedimenti possessori..............................................................................XXXIV. Separazione personale giudiziale (Fase presidenziale)..............................XXXV. Separazione personale consensuale...........................................................XXXVI. Divorzio giudiziale.......................................................................................XXXVII. Ricorso congiunto per divorzio...................................................................

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XXXVIII. Separazione, divorzio, modifiche alle loro condizioni in base a convenzione assistita...............................................................................................XXXIX. Controversia individuale di lavoro...............................................................

Parte Terza

Documenti dal vivo

Guida alla lettura degli “atti ex vivo”

I. Atto di citazione (Doc. 3, Doc. 4, Doc. 5, Doc. 6, Doc. 7).....................................II. Relazione di notifica (Doc. 7, Doc. 8)...................................................................III. Comparsa di risposta (Doc. 11- Doc. 13)............................................................IV. Nota di iscrizione a ruolo (Doc. 14)....................................................................V. Ordinanza (Doc. 15, Doc. 16)..............................................................................VI. Verbale d’udienza per l’assunzione del giuramento del Consulente tecnico d’ufficio (Doc. 16 A, Doc. 16 B)................................................................................VII. Verbale dell’udienza di escussione testi (Doc. 16 C, Doc. 16 D).......................VIII. Sentenza (Doc. 16 E, Doc. 16 F, Doc. 16 G, Doc. 16 H, Doc. 16 I, Doc. 16 L)..............................................................................................................................IX. Processo verbale di una causa davanti al tribunale (Doc. 17, Doc. 18, Doc. 19, Doc. 20, Doc. 21, Doc. 22).................................................................................X. Processo verbale di una causa davanti al Giudice di Pace. (Doc. 23, Doc. 24, Doc. 25, Doc. 26, Doc. 27, Doc. 28, Doc. 29, Doc. 30)............................................

Appendice

A) Introduzione al processo telematico....................................................................B) Minidizionario del processo telematico................................................................C) Figure e fotografie...............................................................................................

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PARTE PRIMA

LE DISPOSIZIONI GENERALI

CAPITOLO PRIMO

GIURISDIZIONE E COMPETENZA

Lezione 1 - Attività giurisdizionale: limiti - Diritto d’azione – Omissione di pronuncia

Docente: L’articolo 24 della Costituzione solennemente afferma che “tutti” - e usando questo termine il legislatore vuole con tutta evidenza riferirsi sia ai cittadini che agli stranieri - “possono agire per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”.In realtà, però, non tutti coloro che bussano alla porta del Palazzo di giustizia, se la vedono aprire.

Discente: Vuoi dire che il signor Bianchi e il signor Rossi che stanno litigando per la proprietà dell’immobile A, possono vedersi rifiutare dall’autorità giudiziaria una sentenza che dica chi di loro ha ragione, chi di loro é il legittimo proprietario dell’immobile?

Docente: No, un giudice, il signor Bianchi e il signor Rossi, avranno sempre diritto di averlo; ma non é detto che sia un giudice italiano. Ad esempio, se l’immobile disputato fosse sito in Argentina, sarebbe un giudice argentino.

Discente: Mi sembra assurdo: ma c’é un articolo del codice di procedura che dice questo?

Docente: No, questo non lo dice un articolo del codice di procedura, ma lo dice pur sempre l’articolo di una legge dello Stato italiano: l’articolo 5 della legge 31 maggio 1995 n.218 – la legge che ha riformato il sistema italiano di diritto internazionale privato. Questo articolo precisamente recita: “La giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero”.

Discente: Sarà, ma non mi pare una cosa giusta: chi paga le tasse allo Stato

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italiano dovrebbe ben avere diritto a un giudice italiano. E’ vero che al signor Bianchi e al signor Rossi un giudice, che risolva la loro controversia, non viene mai a mancare, ma un conto é avere un giudice che é stato selezionato in base a criteri stabiliti da una legge italiana, e che conduce il processo in base a norme dettate da una legge italiana – cioé da una legge che, almeno indirettamente, Bianchi e Rossi, votando alle elezioni, hanno concorso a formare – e un conto avere un giudice che chissà con quali criteri é stato scelto e chissà quali norme viene ad applicare.

Docente: Ma il legislatore tiene conto delle osservazioni che fai e, nella già citata legge del 1995 e precisamente nel suo articolo 64, rifiuta il riconoscimento della sentenza straniera in non poche ipotesi; e, in particolare, quando tale sentenza sia stata emessa a conclusione di un procedimento in cui sono stati violati i “diritti essenziali della difesa”; metti, si é fatto il processo contro il signor Rossi, senza preoccuparsi di informarlo.

Discente: Meno male. Resta il fatto che il giudice straniero, sia pure in un processo che dà la massima garanzia alla difesa, potrebbe venire ad applicare norme di diritto sostanziale che con quelle italiane fanno a pugni, sono del tutto incompatibili. Ad esempio potrebbe ritenere irrilevante, ai fini dell’annullamento di un matrimonio, il fatto che la nubenda abbia detto il fatidico “si” perché...il genitore le stava puntando una rivoltella alla tempia.

Docente: Anche di ciò il legislatore si fa carico; e, come si argomenta facilmente dall’articolo 64 prima citato, rifiuta il riconoscimento alle sentenze straniere quando le loro disposizioni “producono effetti contrari – queste le testuali parole della legge – all’ordine pubblico”.

Discente: Si, ma il rifiuto del riconoscimento delle sentenze straniere può essere una difesa contro le sentenze straniere sospette di ingiustizia che si vogliono far valere nel territorio italiano, ma non impedisce che un giudice straniero ingiustamente neghi il buon diritto del cittadino italiano (quel buon diritto che il cittadino é stato costretto a far valere in terra straniera). Ma almeno ci sono delle buone ragioni per questo rifiuto della giurisdizione?

Docente: Le buone ragioni senza dubbio ci sono e sono quelle di ottenere un ordinamento di diritto internazionale privato più razionale e più giusto. Ed effettivamente, l’applicazione delle nuove norme sul diritto internazionale privato introdotte dalla legge del 95, portano a ciò. Per rendercene conto, non riferiamoci più all’articolo 5, che riguarda un caso infondo di rara applicazione, ma all’articolo

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tre che in via generale definisce l’ambito della giurisdizione italiana. Orbene tale articolo, comportando un rifiuto della giurisdizione italiana quando il convenuto non risiede e non ha domicilio in Italia (sto sintetizzando, per una maggiore precisione leggiti l’articolo in questione che é piuttosto dettagliato), può costringere il cittadino a giocare la partita processuale fuori casa, di solito nella città straniera dove il convenuto ha il domicilio o la residenza; e ciò corrisponde a una difficoltà nella difesa per lui e ad una agevolazione nella difesa per il convenuto (che non sarà costretto a cercarsi un avvocato in Italia, non sarà costretto a farsi un defatigante viaggio in Italia per far valere le sue ragioni davanti ad un giudice italiano ….). Ma in fondo che il convenuto sia agevolato nella difesa rispetto all’attore é giusto (lo vedremo meglio parlando della competenza territoriale); e d’altra parte il legislatore italiano, riconoscendo tale agevolazione al convenuto straniero, ha ottenuto che altri Stati riconoscano eguale agevolazione al cittadino italiano.

Discente: Leggendo meglio l’articolo 3 della legge del 95, così come tu mi hai consigliato, ho visto che lo Stato italiano, per concedere la sua giurisdizione, non pone condizioni diverse da quelle che in buona sostanza garantiscono la possibilità di difendersi del convenuto: questi deve risiedere o essere domiciliato in Italia o deve avervi un rappresentante ecc. ecc.. Sembrerebbe doversi concludere che qualsiasi straniero, anche se non paga le tasse, anche se non risiede in Italia, possa ottenere che lo Stato italiano spenda a suo favore la sua attività giurisdizionale (quella attività giurisdizionale che pure allo Stato costa non poco!). E’ così?

Docente: E’ così ed é giusto che sia così: non solo il senor Marcaida può convenire davanti al giudice italiano il signor Bianchi (e ciò é abbastanza ovvio), ma, se d’accordo, il senor Marcaida e mister Smith possono domandare al giudice italiano di decidere una controversia tra di loro insorta anche se entrambi risiedono all’estero, il contratto di cui discutono é stato stipulato all’estero, anche se insomma non c’é nessun elemento di collegamento tra la loro controversia e il territorio italiano – tanto dispone il primo comma dell’articolo 4 della legge del 95. Ma ti dirò di più, i presupposti a cui lo Stato italiano subordina la concessione della sua giurisdizione sono gli stessi sia che questa gli venga domandata da un cittadino italiano o da un cittadino straniero

Discente: Quindi, se io, avvocato, debbo fare una causa, per sapere a quale giudice debbo rivolgermi, debbo prima leggermi la legge 31-05-1995 n.218 che mi dirà se la giurisdizione italiana sussiste e, solo dopo, dovrò leggermi il codice di procedura per sapere a quale giudice italiano rivolgere la mia domanda di giustizia.

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E questo poco importando che la controversia sia tra italiani o tra stranieri o tra italiani e stranieri. Dico bene?

Docente: Dici benissimo!Discente Permettimi ora di tornare all’esempio, da te prima fatto, di difetto di giurisdizione: Bianchi propone al giudice (italiano) la domanda “Ho diritto, o no, alla proprietà su quel tal fondo sito nella pampas argentina che il signor Rossi mi contesta?”. Tu hai già detto che nel caso vi è un difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria italiana, ma che significa questo? significa che l’Autorità giudiziaria italiana non prende neanche in esame la domanda del Bianchi e tanto meno su di essa decide?

Docente: No, di certo: dalla domanda del signor Bianchi nascerà comunque un procedimento giurisdizionale – procedimento che sarà affidato (naturalmente) a un giudice, un giudice che terrà udienza per ascoltare il Bianchi e il Rossi e che a conclusione del procedimento emetterà un sentenza. Solo che questa sentenza non si pronuncerà sull’esistenza o meno del diritto vantato dal Bianchi, ma si limiterà a dire che la domanda é “improcedibile”.

Discente: Quindi il signor Bianchi, anche quando non ha diritto ad avere dall’Autorità giudiziaria una sentenza che dica sulla fondatezza della sua pretesa, ha pur sempre diritto di agire davanti all’Autorità giudiziaria (di essere da questa ascoltato, di avere da questa comunque una sentenza...).

Docente: Certo, tu devi distinguere tra il diritto del signor Bianchi all’azione – diritto all’azione che spetta a tutti e sempre (salvo casi di scuola come quello del Tizio che spedisce una lettera al presidente del Tribunale in cui scrive “Signor Presidente le chiedo di condannare il signor Rossi ecc.ecc.”) - e diritto del signor Bianchi ad ottenere dall’Autorità giudiziaria una sentenza sulla fondatezza della sua domanda (che dica, cioè, per rifarci all’esempio prima introdotto, se lui, Bianchi, é, o no, proprietario ecc.ecc.). Diritto questo che esiste solo nei casi in cui: 1) l’Autorità giudiziaria italiana ha giurisdizione nella controversia che il Bianchi le vuol proporre; 2) Bianchi ha la così detta legitimatio ad causam (concetto questo che approfondiremo in seguito, per ora possiamo limitarci a dire che legitimatio ad causam = interesse qualificato a sostenere il contraddittorio);3) Bianchi ha (inoltre) la c.d. legitimatio ad processum (concetto anche questo su cui torneremo in seguito, per ora limitandoci a dire che la legitimatio ad processum é l’equivalente nel diritto processuale della capacità ad agire nel diritto sostanziale, cioè consiste nella capacità del legittimato ad causam di intendere quale sia il proprio interesse

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nel compimento degli atti processuali e di agire in conformità).

Discente: Tu parli di un diritto ad agire, che certamente significa potere di proporre una domanda all’Autorità giudiziaria ma anche diritto di avere una risposta (una sentenza) su tale domanda. Che succede se, però, tale risposta non c’é, se Bianchi domanda al tribunale di Canicattì di dichiarare il suo diritto A, il suo diritto B, il suo diritto C e il tribunale di Canicattì pronuncia una sentenza in cui dice sull’esistenza dei diritti A e B, ma in cui nulla dice sull’esistenza del diritto C o addirittura non pronuncia nessuna sentenza?

Docente: L’omissione totale di pronuncia (il Tribunale di Canicattì non si pronuncia su nessuno dei tre diritti fatti valere da Bianchi: non fa nessuna sentenza) “integra gli estremi del diniego di giustizia di cui all’art. 3 L. 117/1988” - sto usando le parole di un maestro, il Professor Andrea Pietro Pisani, parole tratte dal suo bel libro Lezioni di diritto processuale civile” edizione del 1996.

Discente: Che significa in pratica ciò?

Docente: Significa che il signor Bianchi, previ alcuni incombenti, potrà ottenere da parte dello Stato il risarcimento del danno per non aver avuto risposta alla sua domanda di giustizia.

Discente: E che ne sarà della domanda da lui proposta?

Docente: Tale domanda potrà e dovrà essere riproposta.

Discente: Ma quello di un totale silenzio del giudice su una domanda a lui proposta mi sembra un caso di scuola: veniamo al caso più interessante di un’omissione parziale di pronuncia: metti, Bianchi propone due domande, A e B, una subordinata all’altra: domanda A “Il coerede Rossi collazioni (art. 737 ss. C.C.) l’immobile acquistato con la somma donatagli dal de cuius”; domanda B “Il coerede Rossi collazioni, non più l’immobile, ma la somma donatagli”: il giudice rigetta la domanda A e non si pronuncia sulla domanda B: quid iuris? che succede?

Docente: Prima di tutto Bianchi avrà diritto di impugnare la sentenza davanti a un giudice “superiore” per chiedergli di rimediare all’omissione.

Discente: Ma poniamo che la sentenza non sia impugnabile.

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Docente: In tal caso bisogna distinguere se la domanda (su cui il giudice ha omesso di pronunciare) poteva essere proposta in un autonomo processo oppure no. Se si, non ci sarà problema: la parte inizierà un nuovo processo in cui farà valere la domanda (trascurata).Discente: E se invece la domanda per sua natura non potesse essere proposta in un autonomo processo?

Docente: In tal caso il Proto Pisani (a pag. 223 del libro già citato) ritiene che non ci sarebbe più nulla da fare, che il diritto fatto valere con la domanda trascurata andrebbe perso.

Discente: Quale potrebbe essere un esempio di domanda non più proponibile?

Docente: L’esempio che il Proto Pisani porta é il seguente: Tizio domanda: 1) capitale, 2) interessi; 3) rivalutazione: il giudice omette di pronunciare sulla domanda sub 3): tale domanda sub 3) sarebbe improponibile in un autonomo processo (per cui se non si denuncia la omessa pronuncia con un atto di impugnazione....).

Discente: Tu finora hai parlato di omessa pronuncia su una domanda. Ma una omessa pronuncia si può avere anche rispetto ad un’eccezione: il convenuto, metti, eccepisce la nullità del contratto dedotto o, metti ancora, la prescrizione del diritto fatto dall’attore valere; ma il giudice sull’eccezione non si pronuncia. Naturalmente l’imputato avrà diritto di impugnare, ma se da tale diritto fosse decaduto?

Docente: Secondo il Proto Pisani, se ne interpreto bene il pensiero, in un tal caso la eccezione di nullità potrebbe farsi valere in un autonomo processo; la eccezione di prescrizione, invece, no.

Discente: Ma il dovere del giudice di pronunciarsi sulle domande e sulle eccezioni delle parti, é frutto di un’elaborazione dottrinale o giurisprudenziale, o risulta da una norma di diritto positivo?

Docente: Risulta dall’incipit dell’articolo 112 del codice di procedura, che così suona: Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda....” E naturalmente il giudice come deve pronunciare su tutte le domande deve pronunciare anche su tutte le eccezioni

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Lezione 2 - Giudici ordinari, speciali, straordinari. - Concetto di attività giurisdizionale

Discente: Mettiamo che io, utilizzando i criteri datimi dalla Legge sul diritto internazionale privato, la legge 31 maggio 1995 n.218 di cui abbiamo parlato nella precedente lezione, sia giunto alla conclusione che, nella controversia che intendo sottoporre a giudizio, sussiste la giurisdizione italiana; a questo punto mi si pongono varie domande: “Qual’è l’organo statuale al quale sarà dato dallo Stato italiano il compito di accertare se in quella controversia io sono dalla parte della ragione o del torto? da quali regole verrà guidato in tale accertamento?”. Sono domande importanti perché, se l’organo, a cui lo Stato italiano demanda il compito di rendere giustizia, fosse inaffidabile o inaffidabili fossero le regole ch’egli, per rendere giustizia, deve osservare, io ben mi dovrei porre allora l’ulteriore domanda “Ma mi conviene rivolgermi alla giustizia italiana o non mi conviene piuttosto bussare alla porta di un giudice straniero?”.

Docente: Comincio col dirti che non sempre tu potresti rifiutare la giustizia italiana. Infatti la legge sul diritto internazionale privato, da te prima citata, ammette, sì, un tale rifiuto, ma solo sull’accordo delle parti e se la causa verte su diritti disponibili. Più precisamente il comma 2 dell’art. 4 di tale legge recita: “La giurisdizione italiana può essere convenzionalmente derogata a favore di un giudice straniero o di un arbitrato estero se la deroga é provata per scritto e la causa verte su diritti disponibili”. E il perché di tale limitazione é evidente: il legislatore teme che tu ti rivolga al giudice di uno Stato estero perché le norme di questo non contemplano o ritengono disponibile quel diritto che tu, o tu e la tua controparte, volete (in spregio alla Sua volontà) passare sotto silenzio. Chiarito questo faccio, rispondere alle tue due precedenti domande, l’articolo 1 del nostro Codice di procedura civile, il quale recita: “La giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, é esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice”.

Discente: Ma chi sono i giudici ordinari? quando la giurisdizione va considerata “civile” e quando no?

Docente: Chi sono i “giudici ordinari” te lo dice (non il codice di procedura civile, ma) la legge sull’Ordinamento giudiziario. E, infatti, proprio a questa legge, la Costituzione demanda di dire le regole con cui vanno arruolate le persone e formati gli organi a cui compete di amministrare giustizia. Più precisamente l’articolo 102 della Costituzione recita: “La funzione giurisdizionale é esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.

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Discente: Ma veniamo al punto: che cosa stabilisce la legge sull’Ordinamento giudiziario?

Docente: Stabilisce (nel suo articolo 1) che “La giustizia nelle materie civili e penali é amministrata: a) dal giudice di pace, b) dal tribunale ordinario, c) dalla Corte di Appello; d) dalla Corte Suprema di cassazione; e) dal tribunale dei minorenni; f) dal magistrato di sorveglianza; g) dal tribunale di sorveglianza”.

Discente: Si sente spesso parlare di “sezione prima, sezione terza civile” e così via: che cosa sono queste “sezioni”?

Docente: Le “sezioni” nascono dalla suddivisione in più gruppi dei magistrati formanti l’organico di un ufficio giudiziario: metti che l’organico del Tribunale di Arezzo sia formato da sei giudici, ebbene si raggruppano tre di questi magistrati per formare la “sezione prima” e tre per formare la “sezione seconda”. E di solito le sezioni così formate hanno una competenza diversa; metti, alla “prima sezione”, si affida il compito di trattare le cause penali e, alla “seconda sezione”, di trattare quelle civili.

Discente: Ma un giudice assegnato a un sezione penale potrebbe essere chiamato a decidere una causa civile?

Docente: Certo, l’essere “giudice civile” o “giudice penale” non é una sorta di caracter indelebilis come il sacerdozio. Il dottor Rossi, che fa oggi il giudice penale, potrebbe benissimo essere chiamato domani a decidere una causa civile.

Discente: Se ho ben capito, il concetto di giudice ordinario si oppone a quello di giudice speciale.

Docente: A quello di giudice speciale e anche a quello di giudice straordinario.

Discente: Ma che cosa si intende per giudice speciale e per giudice straordinario?

Docente: Giudice speciale é quello, dallo Stato, assunto ai fini dell’applicazione di una data legge. Metti, l’organo legislativo emana una serie di norme che prevedono come reato i comportamenti A, B, C; e stabilisce, di solito contestualmente, che dovranno essere istituiti, per applicare tali norme, organi formati da persone aventi questi e quelli requisiti.

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Giudice straordinario é quello reclutato per decidere su fatti avvenuti in un determinato periodo storico.

Discente: In che cosa si distingue il giudice straordinario da quello speciale.

Docente: In teoria, si distingue perché egli, al contrario del giudice speciale, non viene istituito per applicare determinate norme; in pratica, si distingue ben poco, perché di solito viene istituito, sì, per giudicare in base a norme già vigenti in quel dato periodo storico (a cui va riferita la sua competenza), ma nel presupposto che l’applicazione di tali norme interessi soprattutto una data categoria di persone (l’esempio classico é quello del partito vittorioso che istituisce giudici straordinari per giudicare di fatti di corruzione, concussione, violenza compiuti sotto il passato regime).Orbene la nostra Costituzione non permette l’istituzione né di giudici speciali né di giudici straordinari; più precisamente il suo articolo 102 nel suo secondo comma stabilisce: “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”.

Discente: Io comprendo il divieto di giudici straordinari, dato che é fondato il timore che essi siano scelti soprattutto per il loro astio verso le persone nei cui riguardi debbono applicare la legge (é fondato cioé il timore che per giudicare sui rossi si chiamino i neri e viceversa) e quindi non diano garanzie di applicare serenamente ed equilibratamente la legge. Non comprendo, però, il divieto di giudici speciali. Infatti sembrerebbe che l’optimum per un legislatore costituzionale, che vuole le leggi puntualmente applicate, sia che ad applicare una data legge siano chiamati magistrati che credono in questa (dato che l’esperienza insegna che, quando un magistrato non condivide gli scopi di una legge, tende a disapplicarla).

Docente: Quel che dici é vero, ma il nostro legislatore costituzionale (venendo ad operare una correzione della nota tripartizione dei poteri, che vorrebbe quello giudiziario semplice esecutore della volontà di quello legislativo) si é preoccupato, più di assicurare che una legge sia applicata quando la condivide e nei limiti in cui la condivide la maggioranza dei cittadini, che di assicurare che una legge sia applicata così come vuole la maggioranza dei parlamentari che l’ha votata. Ed é per questo che ha voluto che le leggi fossero applicate da giudici ordinari, dato che l’esperienza insegna che i giudici ordinari sono sensibili e si lasciano condizionare, nell’applicazione di una legge, dall’opinione che ha su questa la maggioranza dei

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cittadini (e d’altronde essi forse non pronunciano le loro sentenze “in nome del popolo”?!).Peraltro, il nostro legislatore costituzionale, nello stabilire il divieto di giudici speciali, ha operato con la dovuta cautela. Infatti, non solo ha ritenuta la piena legittimità di alcuni organi di giurisdizione speciale (il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti, i tribunali militari) definendone i limiti giurisdizionali in una norma ad hoc, l’articolo 103, ma ha altresì stabilito una proroga nella caducazione degli altri organi di giurisdizione speciale. Infatti la Costituzione nell’articolo VI delle disposizioni transitorie recita: “Entro cinque anni dall’entrata in vigore della costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salve le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei tribunali militari”. E tale articolo é stato interpretato (anche qui con lodevole cautela) nel senso che neanche la mancata revisione nel termine di cinque anni comportava l’illegittimità e in buona sostanza la caducazione degli organi di giurisdizione speciale (non revisionati).

Discente: Il capoverso dell’articolo 102 della Costituzione, dopo aver stabilito il divieto dei giudici speciali e straordinari, aggiunge però, come abbiamo visto, che possono “istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”. Non giustifica ciò quel timore, che abbiamo visto suggerire il divieto dei giudici speciali, cioé che tali sezioni siano formate da giudici scelti per una loro così accentuata condivisione degli scopi delle leggi da applicare, da non renderli sensibili all’opinione che, su tali leggi, si venisse a formare nella maggioranza della popolazione?

Docente: Il timore da te evocato, non ha certo ragione di sussistere per le sezioni specializzate oggi esistenti, ma avrebbe ragion d’essere qualora si creassero sezioni specializzate nell’applicazione di norme con una forte caratterizzazione politica. E non potrebbe certo tacitare tale timore il fatto che, il numero dei giudici togati in tali sezioni, superi quello dei giudici laici (mentre invece, anche autorevolmente, si prende proprio tale elemento come criterio per distinguere tra organi di giurisdizione speciale non ammissibili e sezioni specializzate invece ammissibili).

Discente: Metti che il legislatore venga ad emanare una legge che espropria il latifondo e nel contempo preveda l’assunzione (con determinati criteri) di funzionari a cui attribuire il compito esclusivo di dare, a tale legge, applicazione (il compito cioè di: dividere i latifondi in lotti, attribuire i lotti ai più meritevoli ecc.ecc.): ti

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domando: tale legge violerebbe l’articolo 102 da noi prima esaminato?

Docente: No, perché tali funzionari sarebbero di certo chiamati ad applicare una legge, ma non potrebbero essere considerati dei giudici, espletando loro (nell’applicazione di quella legge) una attività amministrativa e non giurisdizionale.

Discente: Ma quand’é che si ha esercizio di un’attività amministrativa e quando, invece, esercizio di un’attività giurisdizionale? Docente: Non avendo il legislatore definito il concetto di “attività giurisdizionale”, alla domanda che tu poni, l’interprete é costretto a dare risposte fortemente opinabili. Dovendo esprimere la mia opinione personale, io ritengo che la definizione di attività giurisdizionale vada ricavata dalle norme della Costituzione (e del resto tale definizione non acquista forse rilievo soprattutto nell’applicazione di tali norme?!) e precisamente dalla qualità che tali norme mirano ad assicurare al giudice, a chi appunto espleta attività giurisdizionale. Discente: Qual’é questa “qualità”?

Docente: Quella della “imparzialità”.

Discente: Ma questa “qualità” assume rilevanza solo quando un pubblico ufficiale é chiamato a decidere tra due tesi propugnate da parti tra di loro in conflitto di interessi.

Docente: E appunto io ritengo che per giurisdizionale debba intendersi solo quella attività, che un pubblico ufficiale é chiamato a svolgere per decidere tra due tesi contrapposte.

Discente: Tu hai detto quando si ha attività giurisdizionale, ma le norme del codice che andiamo a studiare non si riferiscono all’attività giurisdizionale tout court, ma all’attività giurisdizionale in materia civile. Infatti l’articolo 1 del codice suona “La giurisdizione civile (…) é esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del presente codice”. Quand’é insomma che il giudice esercita un’attività giurisdizionale civile e non, metti, penale?

Docente: La risposta é questa: Il giudice esercita attività giurisdizionale civile quando provvede all’accertamento dell’esistenza, in una delle parti in causa, di un diritto o di uno status.

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Discente: Cos’é un diritto lo comprendo, ma che cosa é uno status?

Docente: E’ un fatto dalla cui esistenza potrebbe dipendere quella di una pluralità di diritti: pensa allo status di figlio legittimo: esso consiste in un fatto (l’essere Mevio generato da Tizio e Tizia uniti in matrimonio legittimo) - un fatto, però, da cui in futuro potrebbero nascere: un diritto agli alimenti, un diritto di successione e così via.

Discente: E tanto basta per giustificare la distinzione di uno status da altri fatti?

Docente: Tanto basta perché il legislatore ammetta che si possa chiedere l’accertamento di tale fatto (idest, del fatto in cui si concretizza lo status) a prescindere dalla richiesta dell’accertamento dei diritti che, in tale fatto (in tale status), trovano la loro fonte. Questo in deroga ad un principio, che in seguito ci riserviamo di approfondire e che esclude che si possa chiedere al giudice di dichiarare in sentenza l’esistenza di un mero fatto (metti che si possa chiedere di accertare l’avvenuta stipula di un contratto, senza far valere i diritti che, in tale contratto, troverebbero la loro fonte).

Lezione 3 - Diritti soggettivi, interessi legittimi, interessi semplici

Docente: Dall’art. 103 della Costituzione si argomenta facilmente, che non tutte le volte, che una persona lamenta la lesione di un suo interesse, può rivolgersi al giudice ordinario: alcune volte, sì, può fare questo, ma altre volte deve rivolgersi al giudice amministrativo. E il criterio, per la scelta di questo o quel giudice, é dato, secondo la terminologia della legge, dalla natura dell’interesse leso: se é stato leso un suo “interesse legittimo” non potrà rivolgersi al giudice ordinario.

Discente: E penso sarà vero anche il contrario.

Docente: Non del tutto: infatti, é vero che la regola é che ci si può rivolgere al giudice amministrativo solo per lamentare la lesione di un “interesse legittimo”; ma, come ogni regola che si rispetti, essa ha qualche eccezione.

Discente: Che cosa dice precisamente l’articolo 103 da te citato.

Docente: Dice che “Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli

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interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi “.

Discente: Come si individuano gli interessi legittimi, cioé gli interessi la cui lesione va fatta valere ricorrendo ai giudici amministrativi e come si individuano i diritti soggettivi, cioé gli interessi la cui lesione va fatta valere ricorrendo ai giudici ordinari?

Docente: Formulando così la domanda già imposti male la questione, perché parti dal presupposto che, un certo tipo di interesse, sia tutelato dal giudice amministrativo e, un altro tipo di interesse, dal giudice ordinario: non é così: la verità é che uno stesso tipo di interesse viene tutelato dal giudice amministrativo o dal giudice ordinario a seconda delle modalità della sua lesione. E mi spiego con un esempio. Poniamo che il legislatore abbia emanata una norma del seguente tenore: “L’autorità amministrativa A potrà espropriare il diritto di proprietà su un immobile solo al fine di costruire su questo un ospedale di pubblica utilità”. E poniamo ancora che, proprio richiamandosi a tale norma, l’autorità amministrativa emetta un ordine di esproprio del diritto che Sempronio ha sull’immobile B. Così facendo l’autorità (procedente all’espropriazione) potrebbe cadere in due diversi tipi di errore: I- potrebbe disporre l’espropriazione, non per costruire un ospedale, ma uno stadio sportivo (primo tipo di errore); II- potrebbe espropriare, sì, per costruire un ospedale, ma (ecco il secondo tipo di errore) quando la costruzione di questo ospedale sul terreno di Sempronio non corrisponde all’utilità pubblica, in quanto, metti, il denaro pubblico risulterebbe meglio speso nella costruzione di un acquedotto, oppure perché, metti ancora, l’ospedale risulterebbe più utile se costruito, non nel terreno di Sempronio, ma in quello di Caio. E’ chiaro che sia l’uno che l’altro errore determinano lo (ingiusto) sacrificio dello stesso interesse: Sempronio avrebbe avuto interesse a coltivare, passeggiare, costruire sul suo terreno B e, sia che si realizzi l’uno o l’altro degli errori (sopra indicati), non potrebbe più dare soddisfazione a tale suo interesse (non potrebbe più coltivare, costruire....).

Discente: Capisco, ma allora perché la lesione dello stesso interesse giustifica il ricorso a due diversi tipi di organi giurisdizionali? Perché non affidare sempre allo stesso tipo di organo giurisdizionale, il giudice ordinario, l’accertamento e la riparazione della lesione?

Docente: Te lo spiego sempre continuando nell’esempio prima introdotto: mentre l’accertamento del primo errore non richiede al giudice ordinario attività diversa da

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quella che gli é usuale e per così dire connaturata, cioé quella di interpretare certe norme e di valutare certe prove (“Vediamo, la legge A permette l’esproprio anche per costruire degli stadi sportivi? Vediamo, che dice la delibera di esproprio? che questo é attuato per costruire un ospedale o uno stadio?” e così via), l’accertamento, invece, del secondo errore implica valutazioni che, fuoriuscendo dalla normale competenza del giudice ordinario, praticamente lo costringerebbero a delegare a un terzo (che, come vedremo meglio in seguito, prende il nome di consulente tecnico di ufficio) il compimento di tali valutazioni – valutazioni di solito caratterizzate, bada, da una fortissima opinabilità: solo col senno di qualche anno dopo, spesso, si può dire se un pubblico amministratore ha promosso il progresso della società investendo i soldi pubblici in un ospedale anziché in una strada, costruendo quel tale ospedale in quel tale quartiere anziché in un altro.Discente: In buona sostanza il giudice ordinario dovrebbe incaricare un consulente tecnico (da lui scelto in un ristretto elenco formato senza nessuna particolare selezione) di ripetere quella valutazione, che il legislatore demanda a un organo pubblico – a un organo pubblico formato da persone selezionate per la loro competenza e per la loro correttezza attraverso un severo concorso pubblico. E perché mai, qualora il consulente tecnico (nominato dal giudice) adottasse valutazioni diverse da quelle operate dall’organo amministrativo (“No, quell’ospedale non andava costruito nel fondo di Sempronio ma in quello di Caio” oppure, per fare un altro esempio: “No, il migliore concorrente a quel pubblico impiego non era Caio ma Sempronio”), il giudice dovrebbe aderire alle sue valutazioni anziché a quello dell’organo pubblico? Ciò a me sembra assurdo!

Docente: E assurdo é. E proprio in considerazione di tale assurdità il nostro legislatore, quando, nell’ormai lontano 1865, volle meglio tutelare il cittadino di fronte alla pubblica amministrazione, gli concesse, sì, di adire la magistratura ordinaria, ma solo per far valere gli errori del primo tipo – per esprimerci con la terminologia adottata dal legislatore: solo per far valere “un diritto civile o politico” (che il cittadino pretendeva leso dalla pubblica amministrazione). Più precisamente, con l’articolo 2 della L. 20 marzo 1865 n. 2248 all F (dal titolo, “Abolizione del contenzioso amministrativo”), il legislatore devolveva “alla giurisdizione ordinaria tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorchè siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”.

Discente: E contro il secondo tipo di errore di cui tu prima hai parlato (cioé, errore dovuto al cattivo esercizio di un potere discrezionale), il legislatore non prevedeva nessuna tutela per il cittadino?

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Docente: In buona sostanza, no: a tutela contro tale tipo di errore – o se vogliamo usare la terminologia sfuorviante degli amministrativisti, a tutela degli “interessi semplici” - il legislatore ammetteva solo opposizioni e ricorsi gerarchici interni (cioé, rivolti ad organi della pubblica amministrazione).

Discente: Ma mi pare che non ci si possa aspettare molto, che, chi é sospetto di aver commesso un errore, sia il miglior giudice della sua esistenza.

Docente: Proprio in considerazione di ciò ben presto si sentì la necessità di dare al cittadino, anche rispetto al secondo tipo di errore, una difesa migliore di quella data dalle opposizioni e dai ricorsi gerarchici. E si ritenne di poterla dare in base alla considerazione che, se anche un organo giurisdizionale non é in grado di sostituirsi all’autorità amministrativa nella valutazione dell’interesse pubblico, é però in grado di rilevare eventuali elementi giustificanti il sospetto che tale valutazione sia inficiata da errori.

Discente: A quali elementi ti riferisci?

Docente: Pensa al caso che l’atto amministrativo sia stato adottato da un’autorità incompetente: l’incompetenza di chi ha emesso l’atto ben giustifica il sospetto della sua erroneità! Pensa ancora al caso in cui l’organo amministrativo abbia adottato l’atto prescindendo dall’assumere un parere obbligatorio: l’omissione di un parere, preteso dal legislatore proprio perché ritenuto utile per evitare eventuali errori, ben giustifica il sospetto che, di tali errori, sia inficiato l’atto amministrativo! Perché mai in tali casi non si sarebbe potuto attribuire a un organo giurisdizionale - un organo giurisdizionale, sì, ma formato, non da giudici ordinari, bensì da persone aventi una buona esperienza del funzionamento della pubblica amministrazione – il potere di annullare l’atto amministrativo; dal momento che, stando il limite implicito nell’attività giurisdizionale demandatagli (cioé, stando che l’annullamento avrebbe potuto essere disposto solo in base ad elementi obiettivi giustificanti il sospetto dell’erroneità dell’atto e non in base all’accertamento dell’erroneità dell’atto) tale organo giurisdizionale non avrebbe avuto bisogno di affidare a un consulente tecnico una nuova valutazione sull’opportunità della amministrativo (nuova valutazione, rispetto a quella già effettuata dall’autorità che aveva emesso l’atto) -?A tale domanda il nostro legislatore ritenne di rispondere positivamente e ammise il ricorso (contro gli atti amministrativi) al Consiglio di Stato e al Tribunale Regionale Amministrativo “per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge”. Più precisamente l’articolo 26 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 riguardante il

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Consiglio di Stato recitava: “Spetta al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale decidere su ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge, contro atti o provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante, che abbiano per oggetto un interesse d’individui o di enti morali giuridici; quando i ricorsi medesimi non siano di competenza dell’autorità giudiziaria né si tratti di corpi o collegi speciali”.

Discente: Questo per quel che riguarda il Consiglio di Stato, ma per quel che riguarda il Tribunale Regionale Amministrativo?

Docente: Per questo provvede allo stesso modo l’articolo 2 L. 6 dicembre 1971 n. 1034, ripetendo il riferimento alla incompetenza, all’eccesso di potere e alla violazione di legge come elementi giustificanti l’annullamento dell’atto amministrativo.

Discente: Ma cosa si intende per “eccesso di potere”?

Docente: Nella figura dell’eccesso di potere si fanno rientrare tutta una serie di “vizi” dell’atto che si ritengono “sintomatici” - proprio questo é il termine usato da un illustre amministrativista, il Sandulli – dell’erroneità dell’atto. Per darti un’idea di tali vizi citerò: la contraddittorietà, la insufficienza, la incongruità della motivazione, la illogicità dei criteri di valutazione, la notoria inimicizia tra il soggetto preposto all’ufficio da cui l’atto proviene e il destinatario di questo.

Discente: In conclusione si può dire che il cittadino “toccato” nei suoi interessi da un atto amministrativo, non solo ha la possibilità di rivolgersi per tutela all’autorità amministrativa (con atti di opposizione, con ricorsi gerarchici...), ma può rivolgersi anche a un organo giurisdizionale che, secondo i casi, può essere un giudice ordinario o un giudice speciale (Consiglio di Stato, TAR...).

Docente: E scegliere l’una o l’altra strada sarebbe anche abbastanza semplice, se per indicarla gli amministrativisti non adottassero una terminologia estremamente infelice e sfuorviante. Infatti essi sono soliti porre come presupposto, per adire il giudice ordinario, il fatto che sia stato “leso un diritto”; per adire il giudice speciale, il fatto che sia stato leso “un interesse legittimo”; e, infine, per adire l’autorità amministrativa, il fatto che sia stato leso “un interesse semplice”. Tale terminologia é certamente equivoca, perché fa pensare che, nelle diverse ipotesi sopraindicate, sia stato leso un interesse diverso; il che non é. Purtroppo tale terminologia acquista una forte carica suggestiva dal fatto che sembra naturale spiegare la

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disciplina legislativa, che concede al privato di adire, per la sua tutela in diverse ipotesi, organi pubblici di diversa affidabilità, con la considerazione che in tali diverse ipotesi le conseguenze di un errore (dell’autorità così adita) sarebbero di diversa gravità: nella prima ipotesi, si lederebbero veri e propri diritti; nella seconda qualche cosa di meno: degli “interessi legittimi”; nella terza, qualche cosa di meno ancora: degli “interessi semplici”. Spiegazione questa, si ripete, suggestiva, ma erronea: l’eventuale errore (dell’autorità adita dal privato “toccato” dall’atto amministrativo) verrebbe a ledere lo stesso interesse. Per rifarci all’esempio all’inizio introdotto, Sempronio, espropriato dal suo campicello, vede sacrificato il suo interesse a coltivarlo sia che gli dica “no” il giudice ordinario, a cui si é rivolto lamentando “la lesione del diritto di proprietà”; sia che gli dica “no” il giudice speciale, da lui adito lamentando la “lesione di un interesse legittimo”. La verità é che i diversi “mezzi” di tutela (azione davanti al giudice ordinario, ricorso al giudice speciale, ricorso o opposizione all’autorità amministrativa) si spiegano solo con la diversa natura dell’accertamento che il privato postula (diversa natura dell’accertamento, che pretende diverse conoscenze e diverse competenze nell’autorità accertante).

Lezione 4 - Le spese giudiziali

Docente: Il signor Bianchi, sentitosi rifiutare dal signor Rossi, quei mille euro che gli aveva dato a mutuo, bussa alla porta del Palazzo di giustizia e lo Stato gli fa avere dal Rossi, bon grè mal grè, i mille euro. Però il signor Bianchi ha dovuto intanto pagare - solo per spese di avvocato, di cancelleria, di notifiche - 300 euro. E’ chiaro che lo Stato non può lasciare sulla sua gobba questa spesa di 300 euro senza perdere di credibilità.

Discente: Perché perderebbe di credibilità?

Docente: Ma é chiaro: perché il signor Bianchi, prima di stipulare il contratto di mutuo, si é letto il codice e vi ha visto scritto “Tu, mutuante, sarai da me, Stato italiano, tutelato nel tuo interesse a riavere indietro i soldi dati a mutuo”; e solo quando ha visto scritto questo, che lui ha preso (e con ragione!) come una solenne promessa dello Stato, solo allora il nostro signor Bianchi ha sottoscritto il contratto di mutuo. Quindi con ragione ora si aspetta che lo Stato onori la sua promessa.

Discente: E forse che lo Stato non la onora facendogli riavere i suoi mille euro?!

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Docente: Sì, se i mille euro glieli fa avere “puliti”; no, se glieli fa avere decurtati dalle spese. Perché allora gli fa avere, non più mille euro, ma settecento euro (1000 – 300 = 700).Ciò spiega il disposto del primo periodo co 1 art. 91, che recita: “Il giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare con gli onorari di difesa”.

Discente: Ma quid iuris se l’attore, Tizio, ha domandata al giudice la condanna di Caio a 100 e il giudice riconosce fondata solo in parte la domanda (“Sì, tu, Tizio, hai diritto ad avere dei soldi da Caio, ma non per un ammontare di cento, ma di cinquanta”)? oppure, se Tizio ha proposto le domande A e B, e il giudice accoglie solo la domanda A e rigetta la B, oppure ancora, se Tizio ha proposta la domanda A (la domanda con cui ha rivendicato il fondo Corneliano) e il convenuto Caio ha proposta la domanda B (con cui ha chiesto il rigetto della domanda A e, in subordine, il riconoscimento di un suo diritto di passo sul fondo Corneliano) e il giudice entrambe le ha accolte?

Docente: In tal caso si applica il secondo comma dell’art. 92, che recita: “Se vi é soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.

Discente: Quindi, se Tizio ha sopportato spese per novanta al fine di far valere la domanda A e Caio per trecento al fine di far valere la domanda B (questo perché, metti, la sua domanda é di triplo valore rispetto a quella di Tizio e gli avvocati, ben si sa,fissano il loro onorario in proporzione al valore della causa in cui difendono), se il giudice non ritiene di condannare ciascuna parte al rimborso delle spese sostenute dall’altra (il che in forza dell’art. 1241 e segg. C.C. si risolverebbe nella parziale compensazione dei due reciproci crediti, di Tizio e di Caio), potrebbe compensare totalmente le spese; il che però comporterebbe che Caio non si vedrebbe rimborsate le spese sostenute per far valere la sua domanda B – il che mi pare ingiusto: perché mai Caio, se avesse proposto la sua domanda, non in via riconvenzionale, ma autonoma, avrebbe diritto al rimborso totale delle spese e invece solo perché ha, tale domanda, proposta in via riconvenzionale, non se le vede per niente rimborsate?

Docente: La ingiustizia che tu lamenti il giudice la eviterà compensando parzialmente le spese; il che non si ottiene, come sembri credere tu (e come, lo

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riconosco, comporterebbe l’applicazione degli articoli del Codice Civile da te citati) con la semplice elisione dei due crediti contrapposti dell’attore e del convenuto, ma con la detrazione da quella che risulta, tra le spese sostenute dalle parti, la maggiore (nell’esempio da te fatto, la spesa di trecento) di una somma, che potrà essere anche minore e ben minore della spesa sostenuta dalla controparte e tanto più minore quanto maggiore fosse stato il costo dell’attività defensionale che Caio (sempre per rifarci all’esempio da te fatto) avesse dovuto spendere per portare alla vittoria la sua domanda (per cui, a voler ragionare con metodo matematico, se la spesa complessiva sostenuta da Caio fosse stata di trecento ma solo cento di queste trecento andassero riferite alla difesa dalla domanda di Tizio mentre duecento fossero state richieste per far valere la domanda B, il giudice da trecento, ammontare complessivo delle spese sostenute da Caio, dovrebbe detrarre solo due terzi delle spese in teoria rimborsabili a Tizio e pertanto dovrebbe condannare questi a pagare 210 (300 – 90 = 210).Discente: Questo però se i giudici avessero tempo e voglia di mettersi a calcolare quanto di attività defensionale una parte ha speso per difendersi dalla domanda avversa e quanto ne ha speso per far valere la sua domanda. Del che io dubito.

Docente: D’accordo in pratica la compensazione totale e parziale, dai nostri giudici, si fa....alla carlona.

Discente: Il secondo comma dell’articolo 92 prevede la compensazione (totale o parziale) delle spese, non solo in caso di “soccombenza reciproca”, ma anche nel caso di “assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”. E a me ciò sembra veramente giusto: che colpa ne ha, Caio, se in base alla norma A, molto confusa, sì, ma che sembrava dargli ragione, ha agito o resistito in giudizio?

Docente: Il tuo ragionamento filerebbe se la condanna alle spese si giustificasse con la colpa del soccombente, ma, come ho detto all’inizio, così non é: la condanna alle spese si giustifica con il dovere, diciamo così, che ha lo Stato di mantenere le promesse fatte ai suoi sudditi: lo Stato ha promesso a Tizio, “Tranquillo, fai il contratto A in cui Caio si impegna a darti cento e ci penserò io a costringerlo a pagarti tale somma”. A questo punto, poco importa che lo Stato abbia fatto questa promessa con parole confuse e difficilmente intellegibili: se si accerta che la promessa l’ha fatta (che la legge pur confusa va interpretata come se concedesse a Tizio il diritto a cento) deve esattamente mantenerla e obbligare Caio a dare cento e non, cento meno qualche cosa. Se mai, uno Stato serio, dovrebbe sentire il dovere (nel caso che abbia parlato, non con parole chiare, ma con balbettii) di

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risarcire i danni (alias, di rimborsare a Caio i soldi che ha dovuto pagare, per spese giudiziali, a Tizio).

Discente: Che dire, se Tizio domanda che Caio sia condannato a centomila, Caio gli fa la proposta, “Ti dò sessantamila”, Tizio non accetta la proposta e il giudice riconosce Caio debitore solo di sessantamila? Naturalmente mi metto nel caso che la proposta di Caio possa essere considerata “seria” (“Se tu accetti, i sessantamila euro te li dò “sull’unghia”, con assegno circolare”).

Docente: Occorre vedere se Caio, la proposta, l’ha fatta prima che sia stato notificato l’atto introduttivo del giudizio o dopo. Se la proposta l’ha fatta prima (e lo prova!) siccome Tizio risulterà soccombente nella causa, sarà lui (idest, Tizio) a pagare le spese giudiziali a Caio. Se l’ha fatta dopo l’inizio del processo, andrà applicato il secondo periodo del primo comma art. 91, che recita: “Se (il giudice) accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 92”.

Discente: Quindi, se Caio, convenuto in giudizio da Tizio, che gli chiede a titolo di risarcimento cento, gli propone “Ti dò la metà, perché la res danneggiata ha metà del valore che tu le attribuisci” e Tizio rifiuta e pertanto occorre nominare consulenti tecnici, sentire testi ecc. e, alla fine, il giudice sentenzia: “Il danno é solo cinquanta”, ebbene, in tal caso, Caio dovrà, sì, rimborsare a Tizio le spese da lui fatte prima della proposta (spese per l’atto di citazione ecc.), ma, non solo non gli dovrà nulla per le spese a questa posteriori, ma sarà lui ad aver diritto al rimborso delle spese, dopo la proposta, sostenute (spese del consulente ecc.). Ho detto bene?

Docente: Hai detto benissimo.

Discente: Sì, ma come si spiega, la riserva fatta in fondo al comma in esame, “Salvo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 92”?

Docente: Evidentemente, il legislatore, facendo tale riserva, non può aver pensato ai casi di “soccombenza reciproca” - dato che se Tizio ha chiesto cento, Caio ha proposto cinquanta e il giudice ha condannato solo a cinquanta, di soccombenza reciproca non c’é ragione di parlare: il debitore, Caio, é la parte totalmente vittoriosa, e il creditore Tizio, é la parte totalmente soccombente; evidentemente

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quindi il legislatore (un legislatore un po’ pasticcione e portato a dire cose superflue) ha pensato ai casi di “assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza” di cui parla tale secondo comma dell’art. 92.

Discente: Tu, parlando di spese processuali, finora ti sei riferito solo agli onorari dell’avvocato, alle spese di cancelleria e per notifiche, ma il signor Bianchi, che é costretto a fare un processo per realizzare il suo buon diritto, non ha dovuto affrontare solo queste spese: egli, per parlare col suo avvocato, si é dovuto spostare dal suo paesello per andare in città e ciò gli é costato tempo e soldi; egli, per partecipare ad un’udienza, ha dovuto rinunciare ad un lucroso affare e ciò gli é venuto di nuovo a costare dei bei soldini: non sarebbe giusto che il signor Rossi, la parte soccombente, lo risarcisse anche di tali spese?

Docente: Sarebbe giusto, ma non é possibile. Perché, ammettere questo, ammettere cioé il risarcimento di ogni e qualsiasi tipo di danno derivante dal comportamento del soccombente, finirebbe per ampliare a macchia d’olio la materia del contendere: la causa tra Bianchi e Rossi é iniziata per stabilire se questo deve a quello mille euro, ma, una volta risolta tale questione si verrebbe a porre (se si ammettesse il risarcimento di ogni ecc.ecc.) tutta una molteplicità di questioni di fatto (non facili a risolversi) attinenti al rimborso delle spese processuali (lato sensu intese): é vero che Bianchi, la parte vincitrice ha speso tot per viaggi? è vero che perse la possibilità di quel lucroso negozio? Questo il nostro legislatore non lo vuole: una causa non deve, come una maligna metastasi, proliferare altre cause. Di conseguenza Egli, nel primo comma dell’articolo 96, riconosce, sì, alla parte vincitrice, il diritto al risarcimento dei danni, ma limitatamente al caso che la parte soccombente abbia agito in giudizio “con malafede o colpa grave”; e nel terzo comma sempre dell’articolo 96 dà, sì, al giudice il potere di condannare la parte soccombente (a prescindere da una sua malafede o da una sua colpa grave) a una somma - ma vuole che tale somma sia “equitativamente” determinata.Più precisamente l’articolo 96 recita: “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni che liquida anche d’ufficio nella sentenza (….) In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Discente: Ma i diritti, al risarcimento, all’indennità equitativa, al rimborso delle

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spese processuali (stricto sensu intese) possono essere fatti valere dalla parte vincitrice anche in un autonomo processo?

Docente: No, il legislatore vuole che siano fatti valere nello stesso processo a cui i danni, le spese si riferiscono; e questo proprio perché vuole evitare che la controversia sulle spese e sui danni diventi una causa nella causa.

Discente: Il legislatore prevede un comportamento colposo o doloso della parte soccombente. Ma forse che anche la parte vittoriosa non può tenere un comportamento colposo o comunque scorretto?

Docente: Certo che lo può; e il legislatore ne tiene conto nel primo comma dell’art. 92, che recita: “Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88, essa ha causato all’altra parte”.

Lezione 5 - Competenza: concetti introduttivi

Docente: Di giudici, o per esprimerci meglio, di uffici giudiziari nello stato italiano non ce n’é uno solo: ce ne sono moltissimi; non solo, e lo abbiamo già visto, ci sono uffici giudiziari di vario tipo (uffici di Giudici di Pace, di tribunale e così via), ma per ogni tipo ci sono decine di uffici sparsi in tutto il territorio nazionale (c’é un ufficio di Giudici di Pace ad Arezzo, un’altro a Montevarchi, un’altro a Figline ….).

Discente: Quindi, chi deve rivolgersi alla Giustizia ha un’ampia possibilità di scelta.

Docente: Per nulla. E’ intuitivo che un legislatore non possa permettere a chi propone una “domanda di giustizia” (il c.d. attore) di scegliersi il giudice: se così fosse sarebbe ben giustificato il sospetto che chi fa la domanda, tale scelta, la facesse cadere sul giudice che ritiene più favorevole all’accoglimento della domanda stessa: e di certo non si può permettere all’attore di scegliere l’albero …..a cui impiccare l’avversario (il c.d convenuto).

Discente: Ma se attore e convenuto fossero concordi nella scelta?

Docente: Di certo anche in tal caso non si potrebbe ammettere un’assoluta

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discrezionalità nella scelta. Soprattutto per quel che riguarda tra uffici giudiziari di qualità diversa (tribunale anziché giudice di Pace o viceversa).

Discente: Perché?

Docente: Perché il legislatore tende, com’é naturale, a risparmiare l’attività (giurisdizionale) dei giudici più affidabili per riservarla alla cause più importanti; e, se si permettesse alle parti di scegliere liberamente il giudice della loro controversia, ci sarebbe da temere che queste riversassero sempre le loro scelte sul “giudice migliore” (sul tribunale, anziché sul giudice di pace) col risultato di sovraccaricarlo di lavoro e di togliergli il tempo per decidere con serenità le cause più importanti.Ecco perché il nostro Codice, nel suo articolo 6 – che porta la significativa rubrica “Inderogabilità convenzionale della competenza” - dispone che “La competenza non può essere derogata per accordo delle parti, salvo che nei casi stabiliti dalla legge”.

Discente: Capisco che non si possa permettere alle parti di scegliere tra Giudice di Pace e Tribunale, ma perché non si dovrebbe permettere loro di scegliere, ovviamente se d’accordo, tra i vari Giudici di Pace, tra i vari tribunali sparsi nel territorio nazionale?Docente: E in effetti il Codice questo lo permette; più precisamente lo permette nel suo articolo 28, che recita: “La competenza per territorio può essere derogata per accordo delle parti”. Vero é che a tale potere di deroga della competenza territoriale - così si chiama la competenza (dei vari organi giurisdizionali) stabilita in ragione del territorio – il legislatore apporta non poche eccezioni; infatti nell’ultima parte dello stesso articolo 28 egli lo esclude “per le cause previste nei numeri 1, 2, 3, e 5 dell’articolo 70, per i casi di esecuzione forzata, di opposizione alla stessa, di procedimenti cautelari e possessori, di procedimenti in camera di consiglio e per ogni altro caso in cui l’inderogabilità sia disposta espressamente dalla legge”.

Discente: Come si giustificano tali eccezioni alla eccezione?

Docente: Con i motivi più vari. Per quel che riguarda le cause previste dall’articolo 70, il motivo dell’inderogabilità va visto nel fatto che, quelle menzionate nell’articolo 70, sono tutte cause in cui lo Stato ha un interesse accentuato ad una “giusta sentenza”, cioé ad una sentenza che applichi correttamente la volontà espressa in una data normativa (la normativa sul “divorzio”, la normativa sul disconoscimento di paternità ecc.ecc.). Questo, mentre le parti potrebbero avere un interesse a

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scegliere un giudice, che loro sanno disponibile ad un’interpretazione non corretta di tale volontà. Per quel che riguarda le esecuzioni forzate il motivo dell’inderogabilità va visto nella volontà di privilegiare, su quello delle parti, l’interesse dell’ufficiale giudiziario, del custode, del consulente tecnico, a facili contatti con il giudice e la cancelleria. E così via.

Discente: Ma le regole che il legislatore stabilisce per l’individuazione del giudice competente, se non dalle parti, possono essere derogate da un’autorità pubblica, metti il presidente della Corte di appello, metti la Corte di cassazione (“Io, Corte di cassazione voglio che questo processo non si faccia a Palermo ma a Milano”) -?

Docente: No, per il chiaro disposto del comma 1 art. 25 della Costituzione, che recita: “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

Discente: Da tale norma, dal fatto che in essa si parli di “giudice naturale precostituito per legge”, sembrerebbe che l’individuazione del giudice competente debba avvenire, per il nostro legislatore costituzionale, senza lasciare alcun margine alla discrezione delle parti e dell’autorità. Però abbiamo visto che il codice ammette che la volontà concorde delle parti possa determinare la competenza di un giudice.

Docente: E non solo, il codice lascia una certa discrezionalità all’attore nella scelta del giudice della causa (egli ad esempio può scegliere tra il radicare la causa dove risiede il convenuto o dove é sorta l’obbligazione – lo vedremo subito). Diciamo quindi che le norme sulla competenza applicano il dettato costituzionale con elasticità e buon senso.

Discente: A questo punto é opportuno passare all’esame di queste norme.

Docente: E cominciamo a dire che in base ad esse si distingue una competenza per valore, per materia, per territorio e, infine, per connessione. Nel prossimo paragrafo parleremo della competenza per valore e per materia. E tratteremo prima di questa competenza per seguire l’ordine logico con cui si opera la individuazione del giudice competente. Infatti, se tu devi proporre una “domanda di giustizia”, per prima cosa devi individuare il giudice competente per valore o materia (“Debbo bussare alla porta del giudice di pace o del tribunale?”). Risolto questo problema, stabilito, metti, che il giudice competente é un giudice di pace, devi individuare quale tra i tanti giudici di pace presenti nel territorio nazionale (il giudice di pace di

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Genova, il giudice di pace di Palermo ecc) é competente a decidere sulla tua domanda.

Lezione 6 - Competenza per valore

Docente: Gli organi deputati ad amministrare giustizia in primo grado (giudice di pace, tribunale) sono come strumenti capaci di prestazioni qualitativamente diverse. E questo per il fatto che sono formati da magistrati di diversa preparazione, hanno strutture diverse, giudicano con procedure parzialmente diverse. Volendo fare una graduatoria inversamente proporzionale alla probabilità di errori nelle loro sentenze, si dovrebbe mettere, prima, il tribunale e, poi, il giudice di pace.Non potendo attribuire tutte le pratiche giudiziarie all’organo più capace (il tribunale) - dato che esso non riuscirebbe a smaltire il carico di lavoro così attribuitogli – ed imponendosi una loro distribuzione tra i due diversi organi (il tribunale e il giudice di pace), con quale criterio tu la opereresti, se tu fossi il legislatore?

Discente: Ovviamente attribuirei le cause, che presentano una più difficile problematica, al giudice più bravo, il tribunale, e quelle, che presentano una problematica meno difficile, al giudice meno bravo, il giudice di pace.

Docente: Il criterio, da te proposto, é senz’altro logico, ma non é praticamente utilizzabile, dato che a priori é estremamente arduo, se non impossibile, individuare quali cause siano più e quali meno difficili. Dì un’altro criterio.Discente: Dovendo adottare un altro criterio, adotterei quello dell’entità del danno, che ricadrebbe sulla parte soccombente in caso di errore; e di conseguenza affiderei al giudice più bravo le cause la cui erronea decisione causerebbe un danno particolarmente grave.

Docente: Ed é proprio questo criterio che in buona sostanza adotta il legislatore; però operandone una correzione o, se vogliamo, una semplificazione.

Discente: Perché mai una correzione e una semplificazione si rendono necessarie a un criterio, che tu stesso dici essere logicamente perfetto.

Docente: Perché tale criterio “logicamente perfetto”, se applicato rigorosamente, diventerebbe in pratica inutilizzabile. E te lo spiego con un esempio. Metti che Tizio domandi la condanna di Caio alla restituzione di diecimila euro – diecimila euro ch’egli pensa di utilizzare poi nell’acquisto di quella tal merce la cui rivendita gli

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assicurerebbe un’entrata di ben cinquantamila euro. Ebbene, é chiaro che nel caso il danno, in caso di soccombenza, sarebbe dato (non dai diecimila euro, ma) dai cinquantamila euro; però é anche chiaro che, se l’autorità giudiziaria, solo per determinare la competenza, dovesse sobbarcarsi a indagini così laboriose, come nella fattispecie la ricerca dell’utile ricavabile dalla rivendita della merce (prima acquistata da Tizio), ebbene, sarebbe sopraffatta dal carico di lavoro e non riuscirebbe che a risolvere una piccola parte del contenzioso.Ecco perché il legislatore adotta, sì, il criterio della gravità del danno, che potrebbe derivare a una parte in causa da un errore nella decisione del giudice, ma, semplificando, fa l’equazione: gravità del danno = valore della res domandata (e che erroneamente dal giudice potrebbe essere negata). Per cui, se Tizio domanda che Caio sia condannato a dare mille, il valore della causa sarà di mille (reputandosi uguale a mille la perdita di Tizio se il suo credito, pur esistendo, fosse negato, e di Caio, se il suo debito, pur non esistendo, fosse affermato).

Discente: Però determinare il valore di una causa non é sempre così facile come nell’esempio da te fatto: io penso a una causa di apposizione di termini, penso a una causa relativa a uno status (di figlio legittimo, metti): come si fa ad attribuire un valore a tali cause?

Docente: L’osservazione é giusta e il problema é effettivo. Però il legislatore dà soluzione a tale problema in due diverse maniere.Prima di tutto, attribuendo la competenza, non più in base al valore, ma in base alla “materia” (id est, in base al tipo di causa). E così, leggendo al numero 1 del terzo comma dell’articolo 7, tu vedrai che al giudice di pace viene attribuita la competenza per “le cause relative alla apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge” “qualunque ne sia il valore”.

Discente: Vieni alla seconda soluzione adottata dal legislatore (per ovviare alla difficoltà nella determinazione del valore di una causa).

Docente: Tale soluzione consiste nell’operare delle semplificazioni (più o meno soddisfacenti!). Te ne porto di seguito alcuni esempi.L’articolo 12 nel suo terzo comma dispone: “Il valore delle cause per divisione si determina da quello della massa attiva da dividersi”. E’ una semplificazione: infatti é chiaro che, se tre sono i condividenti (e metti in parti uguali) del bene A, anche se per assurdo il giudice attribuisse questo ad uno solo di loro, il danno di ciascuno degli altri due, non sarebbe dato dal valore di tutto il bene A, ma solo da un terzo di tale valore.

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L’articolo 13, nel suo primo comma, dispone: “Nelle cause per prestazioni alimentari periodiche, se il titolo é controverso, il valore si determina in base all’ammontare delle somme dovute per due anni”. Anche questa é una semplificazione, dato che, invece, é ovvio che il danno per l’alimentando sarebbe maggiore (delle somme dovute per due anni), se maggiore fosse il tempo in cui il suo stato di bisogno durasse e, minore, se minore fosse quel tempo. E mutatis mutandis il discorso va ripetuto per l’alimentante.L’articolo 14 stabilisce che “nelle cause relative a somme di denaro o a beni mobili il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore”. Nulla da eccepire sull’equazione fatta dal legislatore: somma richiesta = valore della causa. Chiaramente discutibile é invece che il valore di una causa avente ad oggetto un bene mobile corrisponda sempre a quello dichiarato dall’attore (e, se é vero che nel suo secondo comma, l’articolo 14 ammette il convenuto a contestare il valore come dichiarato dall’attore, in tal caso imponendo al giudice di accertarlo, é anche vero che tale accertamento va da questo compiuto “in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione”, cioè sommariamente – vedi melius l’art. 14 specie per l’ipotesi che il valore non sia dichiarato dall’attore).L’articolo 15 stabilisce che il valore delle cause relative a beni immobili é determinato moltiplicando il reddito dominicale e la rendita catastale per una certa cifra (diversa a seconda che il diritto fatto valere sia un diritto di proprietà, di usufrutto, di servitù ecc). Senonché é ben difficile che il valore così determinato corrisponda all’effettivo prezzo di mercato dell’immobile.L’articolo 17 dispone che il valore delle cause di opposizione all’esecuzione forzata si determina dal credito per cui si procede. Ma non sempre é così (non sempre il danno che il creditore opposto subisce, in caso di accoglimento dell’opposizione, corrisponde all’ammontare del credito fatto esecutivamente valere e non sempre, a tale ammontare, corrisponde il danno che l’opponente subisce in caso di rigetto dell’opposizione); ad esempio non é così, quando l’opposizione é fondata su il difetto di un titolo esecutivo che l’opposto potrebbe in seguito procurarsi (in tal caso il danno di questi sarà dato solo dalla perdita di tempo e di denaro necessari per procurarsi il titolo); ancora non é così (e qui guardiamo al problema dal punto di vista dell’opponente) quando il credito é di diecimila e il bene esecutato é di mille.

Discente: Però anche adottando tali semplificazioni, tali escamotages, ben vi sono delle cause che restano di valore indeterminabile, perché non hanno ad oggetto né una somma di denaro né il diritto su un bene mobile o immobile, ma, metti, l’esistenza di uno status, di un diritto onorifico, il diritto al nome et similia.

Docente: E il legislatore in effetti si faceva carico del problema che tu ora segnali

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col secondo comma dell’articolo 9 – secondo comma con cui attribuiva “ogni causa di valore indeterminabile” al tribunale.

Discente: Perché dici “attribuiva” e non “attribuisce”? il secondo comma dell’articolo 9 é stato abrogato?

Docente: Formalmente no: esiste sempre; però non esiste più il problema da te segnalato per la semplice ragione che gli organi giudiziari in cui va divisa la competenza per materia e per valore, una volta soppresso l’ufficio del pretore (prima previsto dall’art.8), restano solo il giudice di pace e il tribunale; e siccome le cause di competenza del primo sono tassativamente indicate (nell’articolo 7), ne risulta che tutte le altre cause (poco importa se di valore indeterminabile o no), sono di competenza del tribunale.

Discente: Ma tu ti sei diffuso a fare dei bei discorsi sulla ratio della competenza per valore ecc. però non mi hai ancora detto qual’é la competenza del giudice di pace di modo che, sapendo questa, possa anche sapere anche quella del tribunale.

Docente: La competenza per valore del giudice di pace ti risulta dai primi due dei tre commi dell’articolo 7 (mentre il terzo ti dà la competenza del giudice di pace per materia). Tali due commi recitano: “Il giudice di pace é competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a cinquemila euro quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice – Il giudice di pace é altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti purché il valore della controversia non superi ventimila euro”.Come già ti ho detto la competenza del tribunale viene definita de residuo dal codice e precisamente viene così dal comma uno dell’articolo 9 indicata: “Il tribunale é competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice”.

Lezione 7 - Pluralità di domande e valore della causa

Docente: Poniamo che Bianchi proponga al giudice, non una, ma due domande: la domanda A del valore di 100 e la domanda B del valore di 10 – due domande, però, tra di loro dipendenti, nel senso che un errore del giudice nella soluzione delle questioni, di fatto o di diritto, attinenti alla prima domanda A, e comportante, di tale domanda A, il rigetto, comporta anche il rigetto della domanda B. Così come può essere nel caso Bianchi chieda che Rossi sia condannato a restituirgli la somma di

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100 e altresì a pagargli 10 a titolo di interessi per la ritardata restituzione di tale somma: chiaro che il giudice che erroneamente nega la somma di 100, nega anche gli interessi, la somma di 10.Quesito che pongo al tuo buon senso e alla tua intuizione: in un tal caso, il valore della causa, ai fini della competenza, va ritenuto pari alla somma dei valori delle due cause, A e B (per cui valore della causa = 110) oppure solamente pari al valore della domanda più rilevante, la domanda A (per cui valore della causa = 100) -?

Discente: Io direi che va ritenuto pari a 110, cioé alla somma dei valori delle due cause. Infatti un eventuale errore del giudice relativo alla prima domanda A, determinando inevitabilmente un’erronea decisione anche della domanda B, provocherebbe un danno pari, non a 100, ma a 110.

Docente: E certamente questa tua risposta é, di massima, giusta (anche se necessita di qualche chiarimento che mi riservo di fare in seguito); e trova perfetta rispondenza nell’articolo 10 del codice che – dopo aver detto nel suo primo comma (che ci riserviamo di approfondire dopo) che “Il valore della causa ai fini della competenza si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti” - nel suo secondo comma recita: “A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro e gli interessi scaduti le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano col capitale”.

Discente: Però il disposto dell’articolo 10 va oltre a quanto da me affermato: io ho detto che il valore della causa é dato dalla sommatoria dei valori delle domande, quando queste sono tra di loro dipendenti. E non mi sembrerebbe, invece, giusto procedere a tale sommatoria quando le domande, dipendenti, tra di loro non sono: se Bianchi chiede che Rossi sia condannato a rimborsargli il mutuo di 100 (domanda A) e a pagargli altri 100 a titolo di prezzo di un quadro che gli ha venduto, perché ritenere il valore della causa uguale a 200? Non c’é ragione: infatti un errore del giudice relativamente alla domanda A determinerebbe solo un danno di 100 (e non di duecento).

Docente: La soluzione da te adottata (nessuna sommatoria dei valori delle domande tra di loro indipendenti) é effettivamente conforme alla logica, ma non é adottata dal legislatore in considerazione delle difficoltà che la sua adozione comporterebbe: infatti é tutt’altro che facile individuare, all’inizio della causa, le questioni rilevanti per la decisione (sulle domande in tale causa proposte): spesso la rilevanza di una questione si rivela solo in seguito ad una laboriosa e approfondita istruttoria, per cui, imporre al giudice al giudice di decidere sulla

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competenza, in base al fatto che le varie domande abbiano, o no, tra di loro in comune una qualche questione A (per cui l’errore su tale questione A si riverbererebbe su tutte le domande) significherebbe imporgli di concentrare all’inizio della causa quel lavoro....che invece va distribuito in tutto il corso del processo!Vero é che, proprio perché la regola stabilita nell’articolo 10, ha in sé qualche cosa di illogico, ad essa Dottrina e Giurisprudenza fanno numerose eccezioni.E così si ritiene che, la somma dei valori delle domande proposte, non va fatta (ai fini di determinare il valore della causa): A) quando le domande sono proposte le une dall’attore e le altre dal convenuto: Bianchi propone una domanda del valore di tremila euro contro Rossi e questi a sua volta propone (nello stesso processo) una domanda contro Bianchi del valore di duemila euro: il valore della causa è = tremila euro (e non cinquemila euro);B) quando le domande, proposte originariamente in maniera autonoma dando così luogo a autonomi processi, vengono riunite nello stesso processo per essere decise dallo stesso giudice: Bianchi domanda quattro mila al giudice Primus con citazione fatta il 1 aprile, poi domanda tre mila al giudice Secundus con citazione fatta il 1 maggio: se le due domande vengono riunite in una sola causa, il valore di questa é di quattromila;C) quando, pur essendo la domanda B dipendente dalla domanda A (nel senso che un errore relativo a questa si riverbera inevitabilmente su quella), il suo rigetto (idest, il rigetto della domanda B) non aumenta il danno provocato dallo (erroneo) rigetto della domanda A.

Discente: Qui ci vuole un esempio.

Docente: Pensa al caso in cui Bianchi domanda (domanda A) che il coerede Rossi sia condannato alla collazione (art.737 ss) dell’immobile tal dei tali e poi ulteriormente (domanda B) che si faccia la divisione di tale immobile: se il giudice (erroneamente) rigetta la domanda di collazione A, deve inevitabilmente rigettare la domanda di divisione B (anzi, al vero, neanche deve pronunciarsi su di essa) ma ciò (idest, il rigetto della domanda di divisione) in nulla aumenta il danno che Bianchi ha già subito per il rigetto della domanda di collazione. Val la pena di dire che il caso in esame viene dagli studiosi catalogato col nome di “condizionamento improprio tra due domande”.

Discente: Se ci sono dei casi di “condizionamento improprio” ce ne saranno altri di “condizionamento proprio”.

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Docente: Ci sono infatti, ma di essi veniamo a parlare a parte perché, anche se pure in tali casi le domande A e B non si sommano, ciò avviene, non perché il rigetto della domanda B non aggiunga altro danno al rigetto della domanda A, ma perché l’errore, che ha influito sul rigetto della domanda A, non si riverbera sull’errore, che porta al rigetto della domanda B. E con ciò passiamo subito all’esame dell’ipotesi D (di deroga all’art. 10).D) (si ha altra ipotesi in cui le domande non si sommano) quando, come si diceva, vi é tra le due domande il c.d. “condizionamento proprio”, di cui é esempio il seguente caso: Bianchi domanda (domanda A) la rescissione per lesione (art. 1448 C.C.) del contratto con cui ha venduto a Rossi per tremila quel che valeva ottomila, e, in subordine (domanda B), che Rossi sia condannato a pagare il prezzo (di tremila) pattuito. E’ chiaro che in questo caso, se il giudice, dopo aver rigettato per errore la domanda A, rigetta ancora per errore la domanda B, aggiunge danno a danno (non solo Bianchi non ottiene ingiustamente la rescissione del contratto, ma non ottiene neanche il prezzo pattuito!). Ciò nonostante le due domande non si sommano, dato che, l’errore che può portare al rigetto di una, non porta necessariamente al rigetto dell’altra (e quindi se il giudice rigetta le due domande é perché è caduto in due diversi, indipendenti errori: metti ha rigettata, la domanda di rescissione A, perchè ha erroneamente escluso lo “stato di bisogno” e ha rigettata, la domanda di condanna B, perché ha ritenuto già pagato il prezzo). Le osservazioni ora fatte per le domande legate da un “condizionamento proprio” (più semplicemente dette “domande subordinate”) possono, mutatis mutandis ripetersi per le c.d. “domande alternative” (Bianchi domanda l’annullamento del contratto o, in alternativa, il pagamento del prezzo).

Discente: Fino ad adesso siamo partiti dal presupposto che le due domande A e B siano di quelle il cui giudice (competente a giudicarle) si individua in base al valore della domanda stessa: che dire nel caso al giudice Primus venisse proposta la domanda A, di cui é competente per valore, e la domanda B (di cui, invece, é competente per materia)? le due domande si sommano?

Docente: E come potrebbe essere, se della domanda B non si conosce il valore? Chiaramente le due domande non si possono sommare. E ciò significa, ad esempio e a mio modesto e senza dubbio discutibile parere, che, una volta stabilito che le due domande, A e B, possono essere proposte nello stesso processo (questa é l’operazione preliminare da farsi!), la causa (che le contiene) é da considerarsi di competenza del giudice di pace anche se la domanda A ha il valore di cinquemila euro (cioé tocca il tetto della competenza per valore del giudice di pace – vedi melius l’art.7), se l’altra domanda, la domanda B, al giudice di pace, é attribuita

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ratione materiae.

Discente: Quid iuris se Tizio propone al giudice di pace due domande, A e B, la prima del valore, metti, di cinquemila euro, la seconda di valore determinabile ma di fatto non determinato (nulla dice l’attore sul valore di tale domanda – vedi co.1 art.14 – nulla contesta il convenuto – vedi comma 2 stesso articolo 14)?

Docente: Il valore della domanda B si considererà pari al massimo del valore della competenza del giudice di pace, con la conseguenza che, dovendosi sommare i valori di A e B, inevitabilmente la somma così calcolata farà superare la competenza del giudice di pace. Questo a meno che l’attore abbia avuta l’avvertenza di apporre la c.d. “clausola di contenimento”: “Io, attore, voglio che il valore della domanda B sia contenuto in limiti tali che, pur sommandolo con quello della domanda A, la competenza del giudice di pace non sia superata”.A questo punto, riservandoci di ritornare all’articolo 10 per altre osservazioni, é opportuno passare all’esame dell’articolo 11, dato che esso prevede ipotesi assai simili a quelle delle domande “dipendenti”, su cui ci siamo prima soffermati.Tale articolo - sotto la rubrica “Cause relative a quote di obbligazioni tra più parti” - recita: “Se é chiesto da più persone o contro più persone l’adempimento per quote di un’obbligazione, il valore della causa si determina dall’intera obbligazione”.

Discente: Dunque, se ho capito bene, qualora Bianchi, che aveva un credito di 300 verso Rossi, convenga in giudizio i tre eredi di questi: A, B, C, domandando a ciascuno di loro euro 100, il valore della causa, non é di 100, ma di 300. La cosa mi pare logica: infatti, é vero che, se il giudice ritiene per errore l’esistenza del credito preteso da Bianchi, prima contro Rossi, poi, contro i suoi eredi, ciascuno di questi subisce un danno di soli 100 euro; ma é anche vero che se il giudice, sempre per errore, non ritiene l’esistenza del credito vantato da Bianchi verso il de cuius Rossi, - credito che é il presupposto comune dei tre crediti vantati, verso i coeredi, da Bianchi – questi subisce un danno di 300 euro.

Docente: L’interpretazione da te data é senz’altro giusta e per arrivarci tu, evidentemente, hai fatto il ragionamento: il giudice, per decidere sull’esistenza di ciascuno dei tre crediti vantati da Bianchi verso i coeredi di Rossi (il credito verso l’erede A, il credito verso l’erede B, il credito verso l’erede C) deve risolvere un’identica questione (la questione dell’esistenza o meno del credito vantato da Bianchi verso il loro de cuius Rossi), di conseguenza una sua risposta erroneamente negativa a tale questione (“No, il credito verso il Rossi non esisteva”)

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pregiudica, negativamente per l’attore Bianchi, le tre domande e gli causa un danno di 300.Orbene, per dimostrarti i tranelli che può riservare il nostro codice di procedura, io ora ti pongo la domanda: é lecito dedurre dall’articolo 11, così come é stato giustamente interpretato da te, la conclusione, che le domande proposte da un attore verso due o più convenuti si sommano, se la loro decisione dipende dalla soluzione di un’identica questione (di diritto o di fatto) -?

Discente: La logica mi pare imponga di dare al tuo quesito una risposta positiva: si, qualora Bianchi chieda contro Primus, 100, contro Secundus, cento, contro tertius, cento, e l’accoglimento di tali tre domande implichi la soluzione della stessa questione A, va fatta la sommatoria delle tre domande e il valore della causa va ritenuto pari a 300.

Docente: E invece no: tu sbaglieresti facendo la sommatoria. La disposizione dell’articolo 11 va considerata di carattere eccezionale e quindi non può essere analogicamente applicata. Infatti, se per regola si ammettesse la soluzione che tu proponi, e cioé che basti l’esistenza di una questione comune a più domande per imporre la sommatoria dei loro valori (ai fini della competenza), si avrebbe l’inconveniente di un’accentuata incertezza nella determinazione del giudice competente per una causa.

Discente: Perché mai?

Docente: Perché, e lo abbiamo già visto, le questioni (di diritto e di fatto) che al giudice si pongono per la decisione (sulle domande a lui proposte), non sono immutabili: la questione A, che si pone all’inizio della causa, può, nel corso di questa, essere superata e sparire nel nulla e, viceversa, la questione B, non ancora emersa all’inizio della causa (cioé nel momento in cui la competenza del giudice dovrebbe stabilmente essere individuata!) può rivelarsi solo alla fine del processo.

Discente: A questo punto, commentato l’articolo 11, passiamo a commentare l’articolo 12,

Docente: No, prima di parlare dell’articolo 12, dobbiamo parlare di due principi importanti: quello dell’economia processuale e quello della perpetuatio jurisdictionis e, in più, dobbiamo tornare a esaminare l’articolo 10: solo allora avremo acquisiti gli elementi per comprendere l’articolo 12.

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Lezione 8 - Il principio di economia processuale - La perpetuatio jurisdictionis

Docente: L’espletamento dell’attività giurisdizionale costa: voglio dire, costa in tempo e in denari. Allo Stato prima di tutto, che deve pagare: cancellieri, uscieri, giudici...insomma tutte le persone necessarie per “fabbricare” una sentenza (possibilmente giusta).E, poi, costa (in giornate di lavoro perse, in spese di viaggio, ecc.ecc.) a consulenti tecnici, a testimoni, alle stesse parti litiganti, a tutti quelli che, volenti o nolenti, nel processo restano coinvolti. Insomma ogni processo, meglio ancora, ogni attività processuale brucia un po’ della ricchezza nazionale. Ecco perché il legislatore tiene sempre presente ed é condizionato nelle sue scelte dall’esigenza di economizzare l’attività processuale.

Discente: Voi fare un esempio?

Docente: Ne posso fare più di uno, di esempi; l’esigenza di economia processuale spiega gli istituti: del litisconsorzio necessario, del simultaneus processus, del divieto di sostituzione processuale – tutti istituti che a suo tempo vedremo; e spiega anche il principio della perpetuatio jurisdictionis, che, invece, andremo subito ad esaminare.

Discente: In che consiste questo principio?

Docente: Te lo dice implicitamente l’articolo 5, che recita: “La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”.Pertanto, anche se, come vedremo meglio parlando della c.d. competenza territoriale, il legislatore ritiene giusto radicare la competenza nel luogo in cui il convenuto (in giudizio) ha la sua residenza (v. art. 18), se questi (idest, il convenuto), che all’inizio della causa risiedeva a Roma, in corso di causa trasferisce la sua residenza a Napoli, la competenza continua a rimanere radicata a Roma.

Discente: Il principio della perpetuatio jurisdictionis si applica anche quando, l’elemento modificatosi nel corso del processo, attiene alla competenza per valore e non alla competenza per territorio?

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Docente: Certo, metti che l’oggetto, di cui sia disputata la proprietà, sia un oggetto d’oro il cui valore, il giudice, consultati i mercuriali, aveva (ai sensi e ai fini del capoverso art. 14) valutato pari a cinquemila euro (quindi al limite della competenza del giudice di pace); orbene, in corso di causa scoppia una guerra e l’oro raddoppia il suo valore: la competenza rimane sempre radicata nel giudice di pace.Un esempio interessante di indifferenza della competenza al cambiamento del valore (della causa), te lo dà anche il capoverso dell’articolo 10 (interpretato a contrario sensu). Tale capoverso, infatti, nella sua ultima parte, stabilisce che, ai fini di determinare il valore di una causa, “gli interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione (della domanda) si sommano col capitale”. Da tale disposizione quindi si ricava che, se prima dell’inizio della causa erano già maturati mille euro di interessi e il capitale é cinquemila, il valore della causa va ritenuto pari a seimila (per cui il giudice di pace sarebbe incompetente a giudicare); ma si ricava anche (argomentando a contrario sensu) che, se all’inizio della causa il capitale era pari a quattromila e gli interessi eguali a mille (per cui la competenza era del giudice di pace) e, poi, in corso di causa, gli interessi si sono raddoppiati, sono diventati duemila, la competenza per valore non muta (é sempre del giudice di pace anche se il valore della causa é diventato superiore a cinquemila euro).

Discente: Con ciò hai spiegato in che consiste il principio della perpetuatio jurisdictionis, ma quali sono le ragioni che lo giustificano?

Docente: Sono essenzialmente due: La prima é quella di evitare che le parti cambino maliziosamente in corso di causa gli elementi di fatto (su cui si basa la competenza) per sottrarsi al giudice “naturale” (di cui all’articolo 24 Cost.): Rossi é convenuto davanti al tribunale di Napoli perché in tale città ha la sua residenza; la causa si inizia e va vanti ma, da qualche provvedimento adottato dal tribunale partenopeo, Rossi si accorge che questo é orientato a dargli torto: occorre cambiare di giudice: cosa ci sarebbe di più facile, se non esistesse il principio della perpetuatio jurisdictionis? si cambia la città di residenza (Rossi trasferisce la sua abitazione da Napoli metti a Roma) e con ciò stesso si trasferisce nel luogo della nuova residenza la competenza per il processo. E’ proprio quello che l’articolo 5 non vuole e non permette.La seconda ragione, la più importante (che giustifica il principio della perpetuatio jurisdictionis) é quella di ridurre al massimo i casi di translatio iudicii riducendo le ipotesi che la possono determinare. Riduzione auspicata dal legislatore per i numerosi inconvenienti che determina la traslazione di un processo da un giudice all’altro, e peggio se da un giudice di una città a quello di un’altra città: il nuovo giudice deve ripetere quello studio della causa che il collega aveva già fatto, le parti

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(nel caso di spostamento territoriale della causa) possono essere costrette a cercarsi nella nuova sede un nuovo difensore e così via.

Discente: E, cosa ancora più grave, l’effetto interruttivo della prescrizione (art. 2943 C.C.) con la traslatio iudicii viene annullato e vengono annullate le prove già raccolte.

Docente: No, quello non si verifica. A impedire che venga eliminato l’effetto interruttivo, provvede il terzo comma dell’articolo 2943 C.C., che recita: “L’interruzione si verifica anche se il giudice adito é incompetente”. A impedire, poi, che le prove raccolte cadano nel nulla provvede l’articolo 50, il quale, per il caso di riassunzione della causa entro un dato termine, esclude l’estinzione del processo (quell’estinzione del processo che, quella sì, se non proprio renderebbe tamquam non essent, di certo ridurrebbe l’efficacia delle prove già raccolte – sul punto vedi melius l’art. 310) - e questo recitando: “Se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato dall’ordinanza del giudice e in mancanza in quello di tre mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice.– Se la riassunzione non avviene nei termini su indicati il processo si estingue”.

Discente: Chiarito tutto questo, penso che si possa passare all’esame dell’articolo 10 e, più precisamente, del suo primo comma (dato che il suo seconda comma già é stato da noi esaminato).

Docente: Più precisamente ancora, prenderemo in esame l’incipit del suo primo comma, il quale afferma: “Il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda”.Come primo corollario di tale affermazione, si ha che, per determinare il valore, si deve far riferimento, non al decisum, ma al disputatum: Bianchi domanda al tribunale il riconoscimento di un credito di cinquantamila euro: nella sua sentenza il tribunale gli riconosce solo un credito di cinquemila euro: non é che il tribunale, nel momento stesso che riconosce ciò, deve spogliarsi della competenza a favore del giudice di pace.

Discente: E invero ciò sarebbe assurdo: sarebbe assurdo che io, legislatore, faccia, prima, la scelta di attribuire la decisione, sulla domanda di Bianchi (“Il giudice mi riconosca il credito di trentamila ecc.ecc.”), al tribunale, nel timore che la minore capacità professionale del giudice di pace gli impedisca di cogliere

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l’eventuale errore contenuto in tale domanda (“In realtà Bianchi non ha diritto a trentamila, ma a tremila”) e, poi, proprio quando il tribunale effettivamente rileva l’errore e riduce la domanda, gli impedisca di dirlo in sentenza imponendogli di dichiararsi incompetente e di passare le carte processuali al giudice di pace, così lasciando di nuovo aperta la questione sull’esistenza e la quantità del credito. Il vulnus al principio dell’economia processuale sarebbe veramente grave e inammissibile.Ciò mi pare chiaro. Altrettanto chiaro, però non mi é se, quando tu parli di domanda, ti riferisci solo alle domande fatte dall’attore nel suo atto introduttivo della causa (nel suo atto di citazione, nel suo ricorso).

Docente: No, io mi riferisco a ogni domanda – e, bada, a ogni domanda sia di chi (l’attore) ha presa l’iniziativa di fare la causa, sia di chi (il convenuto) é chiamato, più o meno obtorto collo, nella causa (infatti anche il convenuto, come vedremo, può inserire in questa delle domande di giustizia: “L’attore domanda A e io convenuto domando B”). Purché, naturalmente, si tratti di domande tempestive e non tardive (di domande, quindi, sulla cui fondatezza il giudice ha il dovere di pronunciarsi).

Discente: -. Ed in effetti é logico che non rilevino, ai fini della competenza, le domande sulla cui fondatezza il giudice non può pronunciarsi; e infatti che senso avrebbe, metti, che il legislatore costringa il giudice Primus a dichiararsi incompetente (ratione valoris) sulla domanda A (per timore che decidendo commetta un errore) se...il giudice Primus comunque su tale domanda A non può decidere?! che senso avrebbe che il legislatore costringa il giudice Secundus a dichiararsi incompetente (ratione fori, per evitare il disagio che la trattazione della causa presso il giudice Secundus comporta) se...in ogni caso, alla trattazione della causa, il giudice Secundus non può provvedere?!Però la domanda che io ti voglio porre é un’altra: metti che la parte, in un momento processuale in cui la cosa le é ancora possibile, modifichi nel suo valore la domanda prima proposta e la modifichi in modo da eccedere in più o in meno il valore attribuito alla competenza del giudice adito: prima chiedeva cinquemila e ora chiede cinquantamila oppure, viceversa, prima chiedeva cinquantamila e ora chiede cinquemila: che succede?

Docente: Se la modifica supera il valore della competenza del giudice adito (prima si chiedeva cinquemila ora si chiede cinquantamila) questi dovrà dichiararsi incompetente e passare le carte al giudice superiore. Non é vero invece il contrario:

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se al tribunale il Bianchi ha chiesto cinquantamila e poi, in corso di causa, riduce la sua domanda a cinquemila - a un valore, quindi, che la farebbe di per sé rientrare nella competenza del giudice di pace - la causa non passa a questi: lo impedisce proprio quel principio dell’economia processuale che, come abbiamo visto, dà fondamento al principio della perpetuatio iurisdictionis.

Discente: Altro problemino: nel proporre la sua domanda la parte afferma certi fatti: i fatti, A, B, C. Metti ora che uno o tutti questi fatti, rilevanti per la decisione sul merito, siano anche rilevanti per la decisione sulla competenza: esempio, l’attore chiede la rescissione di una divisione ereditaria sostenendo (al fine di sfuggire al termine di prescrizione dei due anni previsto dall’articolo 763 co.3) che la divisione é stata fatta il 1 marzo 2010; e che, proprio in tale data la divisione sia stata fatta, rileva anche ai fini di stabilire la competenza del giudice (dato che la domanda di rescissione della divisione può essere proposta al giudice del luogo dell’aperta successione solo se “proposta entro un biennio dall’apertura della successione” – vedi art. 22 n.2 C.P.C.). …..

Docente: ….Scusa se ti interrompo; ma tu mi stai facendo un caso che esula dalla competenza per valore.

Docente: Si, però mi pare che la sua soluzione può rilevare, mutatis mutandis, anche per tale tipo di competenza.

Docente: Va bene, va avanti.

Discente: Ecco la domanda: il giudice, può decidere sulla competenza indipendentemente dal merito, così, però, inevitabilmente pronunciandosi anche sull’esistenza dei fatti rilevanti anche per il merito? può insomma, per riferirci all’esempio prima fatto, dire “Si, sono competente perché la divisione fu fatta il 1 marzo 2010 – ma mi riservo di decidere sulla intervenuta prescrizione, se del caso cambiando opinione” -?

Docente: Io lo negherei; perché così facendo anticiperebbe un giudizio che metterebbe in forse la sua capacità di decidere con imparzialità la questione di merito (nel caso la questione sull’esistenza della prescrizione) -

Discente: Però nell’articolo 14 co.2 il legislatore prevede la possibilità che il giudice, ai fini della competenza, accerti un fatto rilevante ai fini del merito.

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Docente: Si, però un fatto rilevante sul quantum e non sull’an della domanda.

Discente: -A questo punto, sull’articolo 10 mi pare si sia detto, se non tutto, almeno l’essenziale. Passiamo all’articolo 12.

Docente: L’articolo 12 recita: “Il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che é in contestazione”.

Discente: -. La disposizione mi pare più che logica, se si parte, così come si deve, dal presupposto che il legislatore attribuisca la competenza per valore a un giudice in base alla considerazione della gravità del danno, che da un suo errore può derivare: se Bianchi fa valere la compravendita, di un auto da lui pagata ventimila euro, ma solo per ottenere un risarcimento (per vizi in tale auto riscontrati) dell’ammontare di duemila euro, é chiaro che il danno, che può derivare da un errore del giudice, è solo di duemila euro (e non di ventimila euro).

Docente: Però, bisogna stare attenti di trovarsi davvero di fronte a una talmente chiara non-contestazione (di tutto il rapporto giuridico fatto valere) da escludere un possibile errore del giudice. Io, ad esempio, escluderei l’applicazione dell’articolo 12, non solo nel caso in cui Bianchi chiede diecimila e il convenuto non si costituisce in giudizio né per dire “si” né per dire “no”, ma altresì – e qui so di dire una cosa discutibile – nel caso in cui Bianchi domanda diecimila e il convenuto Rossi ammette di doverne cinquemila (dato che tale ammissione, anche se fosse considerata una prova, sarebbe una prova soggetta a valutazione del giudice e quindi esposta a un suo possibile errore). In buon sostanza si può parlare di non- contestazione del rapporto fatto valere da una parte, solo nei casi in cui il giudice violerebbe l’articolo 112 (che a suo tempo approfondiremo) qualora, nonostante tale non-contestazione, negasse l’esistenza di tale rapporto.

Lezione 9 - La competenza per territorio

Docente: Abbiamo visto in base a che criteri il legislatore individua quale tipo di organo giudiziario, tribunale o giudice di pace, sia competente a decidere una data causa. Se non chè ogni tipo di organo si suddivide in decine e decine di esemplari sparsi in tutto il territorio nazionale: ad esempio, esiste il tribunale di Arezzo, il tribunale di Siena, il tribunale di Firenze ecc.ecc. Occorre, quindi, che il legislatore individui, tra tutti gli organi dello stesso tipo che vengono a costituire una filiera

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orizzontale (tra tutti i tribunali, tra tutti i giudici di pace), quello a cui attribuire la competenza (territoriale). Ed egli infatti lo fa, negli articoli 18 e seguenti.Però, secondo te, in base a quali criteri lo fa?

Discente: Secondo logica, non può farlo che seguendo il principio di economia processuale, cioé attribuendo la competenza in modo da far risparmiare il più possibile tempo e soldi al giudice, alle parti e, insomma, a tutti coloro che, bon grè mal grè, nel processo vengono coinvolti.

Docente: Però, gli interessi dell’attore, Parodi, possono essere in conflitto con quelli del convenuto, Segalerba (Parodi risiede a Milano e avrebbe tutto l’ interesse che la causa si facesse a Milano dove ha lo studio quell’avvocato che conosce tanto bene, ma il suo avversario Segalerba risiede a Roma e anche lui....) oppure con quelli del testimone (o consulente tecnico...) Oneto (che abita a Genova e a cui comprensibilmente rincresce di spendere tempo e soldi per recarsi a Milano) o con quelli dell’Autorità giudiziaria (che, vertendo la causa su un immobile e quindi presumibilmente richiedendo delle ispezioni sullo stesso, avrebbe interesse ch’essa si facesse là dove é situato l’immobile: l’immobile è a Torino? competente sia il giudice di Torino).

Discente: Bisogna che il legislatore scelga: privilegi la tutela di un interesse a scapito di un altro.

Docente: E il legislatore non si sottrae a tale scelta e la opera negli articoli 18 e seguenti che passiamo subito a esaminare.Articoli 18 e 19. Su questi articoli possiamo cominciare a dire che il “foro” da essi contemplato viene detto “generale”; ed é facoltativo nel senso che, in alternativa ad esso, la parte può optare per un altro “foro”, al contrario di quel che accade per i “fori” contemplati nell’articolo 21 e seguenti che sono pertanto detti “esclusivi”.

Discente: Nel senso che sono inderogabili?

Docente: No, nel senso che la parte non ha un’alternativa alla loro scelta (salva la possibilità di derogarli d’accordo con la controparte, quando ciò le é permesso dall’articolo 28, cosa che, come vedremo a tempo debito, non sempre accade).A questo punto diamo lettura dei due articoli.Art. 18: “(Foro generale delle persone fisiche) - Salvo che la legge disponga altrimenti é competente il giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto ha la

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dimora. - Se il convenuto non ha residenza, né domicilio, né dimora nello Stato o se la dimora é sconosciuta, é competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore”.Art. 19: “(Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute)- Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica é competente il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda. - Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo”.

Discente: Due parole di commento.

Docente: Chiaramente il legislatore, con gli articoli ora letti, risolve il conflitto tra attore e convenuto (di cui prima si parlava) a favore del secondo.

Discente: Perché, a favore del secondo?

Docente: Perché già l’attore gode di un vantaggio nella scelta del tempo in cui iniziare la causa; e ciò significa ch’egli può organizzare la sua difesa con tutto suo agio: con calma può scegliere il suo difensore, con calma può reperire le prove a suo favore ecc.ecc. Quindi sembra giusto controbilanciare questo vantaggio iniziale dell’attore, agevolando il convenuto nella sua difesa con attribuire la competenza in un luogo di sua abituale frequentazione. Peraltro lo svantaggio per l’attore di...giocare fuori casa, viene attenuato dalla facoltà accordatigli di scegliere, se il convenuto é una persona fisica, tra il suo domicilio e la sua residenza (come ultima ratio: la sua dimora), se il convenuto, invece, é una persona giuridica, tra il luogo in cui questa ha la sua sede e il luogo in cui questa ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda.

Discente: Quindi, io potrei citare la FIAT sia nella sua sede di Torino sia a Canicattì, se a Canicattì la FIAT ha uno stabilimento.

Docente: Attenzione: la parola “stabilimento”, usata dal legislatore, non ti deve far pensare a dei locali in cui si fabbricano delle cose, ma a dei locali in cui sono degli uffici direttivi e, soprattutto, dove c’é chi é autorizzato a stare in giudizio per il convenuto.

Discente: -. L’art.19, nel suo secondo comma, si limita a dire che le associazione non riconosciute, i comitati ecc. “hanno sede dove svolgono attività in modo

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continuativo”: non dice anche che in tale sede possono debbono essere convenute in giudizio: si tratta di una semplice dimenticanza del legislatore?

Docente: Sì: di una dimenticanza che l’interprete può facilmente colmare.

Discente: Ho notato che l’articolo 18, mentre nel primo comma concede all’attore di scegliere tra residenza e domicilio del convenuto, nel caso che tale comma non sia applicabile (perché residenza, domicilio, dimora sono sconosciute o le prime due sono all’estero) dà, sì, all’attore la possibilità di incardinare la causa nel luogo di propria residenza, ma non nel luogo di proprio domicilio.

Docente: E il legislatore ha fatto bene a non dare all’attore tale possibilità: infatti permettere all’attore la scelta tra due giudici significa dargli la possibilità di scegliere quello a se più favorevole. Il potere di scelta concessogli dal primo comma, lo si può anche accettare come compenso al radicamento della causa in un foro presumibilmente favorevole al convenuto. Oltre non si può andare.

Discente: Credo che si possa ora passare all’esame dell’articolo 20; il quale – sotto la rubrica “Foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione” - recita: “Per le cause relative a diritti di obbligazione é anche competente il giudice del luogo in cui é sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio”. Quale la ratio sottostante alla costituzione di questo foro alternativo?

Docente: Il legislatore ha voluto dare all’attore la possibilità di incardinare la causa (oltre che nei luoghi di residenza, domicilio ecc. indicati negli articoli 18, 19, anche) nel luogo in cui é sorta l’obbligazione (forum obligationis), perché in tale luogo presumibilmente risiedono le persone che hanno assistito ai fatti (di causa): rendendo più facile a loro il recarsi a Palazzo di giustizia per rendere testimonianza, si rende anche più facile alle parti l’ottenere tale testimonianza.Il legislatore, poi, ha voluto consentire all’attore di incardinare la causa nel luogo dove “deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio” (forum destinatae solutionis), pensando ai casi in cui, alla sentenza che dichiara un obbligo di fare o dare, segue una procedura forzata di tale obbligo (art.605 e segg). Siccome tale procedura (di esecuzione), per il disposto del comma terzo dell’articolo 26, dovrebbe necessariamente radicarsi nel luogo “dove l’obbligo deve essere adempiuto” -, dando la possibilità all’attore di incardinare il processo (di cognizione) proprio in tale luogo, il legislatore gli procura un indubbio risparmio di tempo e di soldi (se non altro perché l’avvocato, che lo ha difeso nel processo di cognizione, non avrà difficoltà a difenderlo nel processo di esecuzione che segua nella stessa

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sede in cui il primo si é celebrato, mentre difficoltà potrebbe averne e parecchie se seguisse in altra sede: il processo di cognizione si é fatto davanti al tribunale di Arezzo e il processo di esecuzione si fa presso il tribunale di Genova).

Discente: E veniamo all’art.21 che – sotto la rubrica “Foro per le cause relative a diritti reali e ad azioni possessorie” - recita: “Per le cause relative a diritti reali su beni immobili, per le cause in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto di aziende, nonché, per le cause ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi o delle siepi, é competente il giudice del luogo dove é posto l’immobile o l’azienda …..(omissis)... Per le azioni possessorie e per la denuncia di nuova opera e di danno temuto é competente il giudice del luogo nel quale é avvenuto il fatto denunciato”.Quale la ragione delle scelte operate dal legislatore nell’articolo ora letto?

Docente: La scelta del luogo dove é posto l’immobile o l’azienda, come sede delle cause in materia di locazione e comodato di immobili o di affitti d’azienda (forum rei sitae), é dettata dall’opportunità che il processo di cognizione si svolga in quello stesso foro in cui in futuro dovrebbe svolgersi l’eventuale processo di esecuzione.

Discente: Ma l’articolo 26, che pure é dedicato all’individuazione del foro competente per le esecuzioni forzate, non dice che le sentenze in materia di locazione e comodato di immobili e di affitto d’azienda debbono essere eseguite nel luogo in cui si trova l’immobile (forum rei sitae).

Docente: Effettivamente non lo dice, almeno chiaramente; ma, al silenzio del legislatore, può supplire senza dubbio l’interprete.

Discente: E per quel che riguarda le azioni, possessorie, di danno temuto e di nuova opera, le azioni relative a diritti reali su beni immobili, di apposizione di termini e, insomma, tutte le altre azioni previste dall’articolo 21, come si giustifica il forum rei sitae?

Docente: Si giustifica con due ragioni: con il fatto (prima ragione) che il locus rei sitae sarà probabilmente il foro di esecuzione delle suddette cause (vedi il pur non chiarissimo art.26) e abbiamo già detto dell’opportunità che foro del processo di cognizione e di esecuzione coincidano e con il fatto (seconda ragione) che presumibilmente la maggioranza dei testimoni ai fatti interessanti la soluzione delle suddette cause (i fatti di spoglio, i fatti di usucapione...) risiedono nel locus rei sitae,

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e abbiamo anche qui già detto dell’opportunità di agevolare i testi nell’espletamento del loro ufficio.

Discente: Non mi pare del tutto vero quel che tu dici: metti che Bianchi chieda la risoluzione o l’annullamento del contratto con cui ha venduto l’immobile A a Rossi; si tratterebbe senza dubbio di una causa relativa alla proprietà dell’immobile eppure i testimoni, sui fatti che la interessano, é più probabile che risiedano nel luogo dove é stato stipulato il contratto, anziché nel luogo in cui si trova l’immobile.

Docente: E proprio per questo la giurisprudenza attribuisce la causa del tuo esempio al forum obligationis (di cui al precedente articolo 20) e non al forum rei sitae (di cui ora stiamo trattando); anche se ciò la costringe a fare violenza alla lettera dell’articolo 21.

Discente: Passiamo alla lettura degli articoli 22 e 23.L’articolo 22 – che porta la rubrica “Foro per le cause ereditarie” - recita: “E’ competente il giudice dell’aperta successione per le cause: 1) relative a petizione o divisione di eredità e per qualunque altra tra coeredi fino alla divisione; 2) relative alla rescissione della divisione e alla garanzia delle quote, purché proposte entro un biennio dalla divisione; 3) relative a crediti verso il defunto o a legati dovuti dall’erede, purchè proposte prima della divisione e in ogni caso entro un biennio dall’apertura della successione, 4) contro l’esecutore testamentario purché proposte entro i termini indicati nel numero precedente. - Se la successione si é aperta fuori della Repubblica, le cause suindicate sono di competenza del giudice del luogo in cui é posta la maggior parte dei beni situati nella Repubblica, o, in mancanza di questi, del luogo di residenza del convenuto o di alcuno dei convenuti”.L’articolo 23 – che porta la rubrica “Foro per le cause tra soci e tra condomini” - recita: “Per le cause tra soci é competente il giudice del luogo dove ha sede la società, per le cause tra condomini, il giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. - Tale norma si applica anche dopo lo scioglimento della società o del condominio purché la domanda sia proposta entro un biennio della divisione”.Come si giustificano le scelte fatte nei due articoli ora letti?

Docente: Si giustificano, da una parte, con la considerazione, dettata dall’esperienza, che un’eredità, una comunione, una società sono di solito fonte di più cause riguardanti le stesse persone (ad esempio l’erede Tizio é probabile che sia coinvolto, in una causa di petizione di eredità, come attore, in una causa di

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obbligazioni, come convenuto dal creditore del de cuius, in una causa di divisione, con gli altri coeredi e così via), dall’altra, con l’opportunità che le più cause, in cui può essere coinvolta una persona, siano concentrate nello stesso foro – foro che il legislatore, ragionevolmente, nell’articolo 22, identifica con il “luogo dell’aperta successione” e, nell’articolo 23, nel “luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi”.Gioca ancora per la deroga (fatta dalle norme in esame) agli articoli 18 e 19, la considerazione che, nelle cause con pluralità di parti (e di solito, le cause, a cui gli articoli 22 e 23 si riferiscono, lo sono) diventa ingiusto incardinare il processo nel luogo di residenza di uno dei convenuti scelto ad arbitrio dall’attore, sacrificando così le esigenze di tutti gli altri convenuti che potrebbero essere moltissimi (Bianchi cita Rossi a Milano perché, a Milano, Rossi risiede? benissimo per Rossi; ma male per il coerede Verdi, il coerede Rosatti, il coerede Arancino ecc. che invece risiedono in tutt’altra parte).

Discente: Passiamo ora a leggere l’articolo 25 che – sotto la rubrica “Foro della pubblica amministrazione” - recita: “Per le cause nelle quali é parte un’amministrazione dello Stato é competente, a norma delle leggi speciali sulla rappresentanza e difesa dello Stato in giudizio e nei casi ivi previsti, il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie. Quando l’amministrazione é convenuta, tale distretto si determina con riguardo al giudice del luogo in cui é sorta o deve eseguirsi l’obbligazione o in cui si trova la cosa mobile o immobile oggetto della domanda”.Capisco che questa norma é posta per agevolare l’Avvocatura dello Stato, ma non mi é chiaro il meccanismo attraverso cui avviene l’individuazione del giudice competente.

Docente: Invece é abbastanza semplice. Metti che tu voglia chiamare davanti al giudice la Pubblica Amministrazione per una sua obbligazione nata a Siena. Cosa devi fare? Prima cosa: individuare il giudice che sarebbe competente in base alla regoletta che ti dà l’ultima parte dell’articolo 25: nel caso tale giudice é il tribunale di Siena, dato che a Siena é sorta l’obbligazione. Seconda cosa: stabilire nell’ambito di quale distretto si trova tale giudice: nel caso si troverebbe nel distretto della Corte di Appello di Firenze. Terza cosa: stabilire in quale tra i comuni posti nell’ambito della Corte di appello come prima individuata si trova la sede dell’Ufficio dell’Avvocatura: di solito sarò nello stesso comune in cui ha sede la Corte di Appello e così é nell’esempio da noi fatto: il Comune di Firenze é infatti sede di un ufficio dell’Avvocatura. Quarta cosa: stabilire il tribunale nel cui circolo si trova il

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comune dove ha sede l’Ufficio dell’Avvocatura: facile, é il tribunale di Firenze. Conclusione di questa lunga ma in fondo chiara e semplice trafila: il giudice competente a decidere nella causa da te promossa contro la P.A é il tribunale di Firenze (e vedi caso, tribunale, Ufficio dell’Avvocatura, corte di Appello hanno tutti sede nel comune capoluogo di regione).

Discente: Passiamo ora all’art. 26, che – sotto la rubrica “Foro dell’esecuzione forzata” - nei suoi primo e secondo comma recita: “Per l’esecuzione forzata su cose mobili o immobili é competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano (….) - Per l’esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi é competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”.Debbo dire che io non capisco perché il legislatore, nello scegliere il foro dell’esecuzione forzata, non ha voluto favorire il creditore (che già per realizzare il suo credito deve sobbarcarsi a tante spese con...scarsa speranze di recuperarle integralmente): io avrei scelto, come foro dell’esecuzione quello del luogo di residenza o domicilio del creditore.

Docente: E, invece, la scelta del legislatore é giusta e opportuna per due motivi.Primo motivo: perché il creditore pignorante probabilmente non sarà l’unico creditore a partecipare alla procedura: é probabile che vi intervengano anche altri creditori, che a egual diritto del creditore pignorante potrebbero far valere le loro esigenze di risparmio di tempo e di spese. E’ opportuno pertanto scegliere un foro “neutro”: appunto il foro in cui “le cose si trovano”.Secondo motivo (e forse il più rilevante): il foro in cui si trovano le cose é presumibilmente quello in cui risiedono le persone, che potrebbero avere interesse ad acquistarle: scegliendolo come competente nella procedura, si facilitano, pertanto, i contatti dei potenziali acquirenti con l’ufficio giudiziario e quindi si aumentano le probabilità di una fruttuosa vendita.La scelta, poi, per l’esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore, evidentemente si spiega con la presunzione che tali beni siano posteggiati dove vive e opera il debitore.

Discente: Dell’articolo 26 non abbiamo riportato il terzo e ultimo comma, che recita: “Per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare é competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto”.Quale la ratio della scelta legislativa?

Docente: Il legislatore parte dalla considerazione che nel tipo di esecuzione in oggetto possono nascere problemi e difficoltà che richiedono contatti (v. art. 613)

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tra il giudice e l’ufficiale giudiziario (che, intuitivamente, non può essere altri che quello nel cui mandamento, l’esecuzione, avviene); e quindi con la disposizione in esame ha voluto favorire tali contatti.

Discente: Passiamo all’art. 26bis. Questo articolo – sotto la rubrica “Foro relativo all’espropriazione forzata dei crediti” – recita: “Quando il debitore é una delle pubbliche amministrazioni indicate dall’art. 413, quinto comma, per l’espropriazione forzata dei crediti é competente, salvo quanto disposto dalle leggi speciali, il giudice del luogo dove il terzo debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.Fuori dei casi di cui al primo comma, per l’espropriazione forzata dei crediti é competente il giudice del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede”.Il favore riservato al “terzo debitore”, nel primo comma, mi pare più che giusto. E, non solo per il favor dovuto alla pubblica amministrazione, ma perché mi pare giusto che vengano il più possibile risparmiati tempo e spese a chi viene coinvolto in una procedura, che non lo riguarda direttamente. Proprio per ciò non mi spiego la ratio del secondo comma: perché mai agevolare il debitore esecutato a scapito del terzo debitore?

Docente: Francamente non me lo spiego neanch’io. Val la pena di ricordare che fino ad anni recenti (fino al 2014, anno in cui il legislatore con una “novella” ha inserito l’art. 26 bis) la soluzione adottata dal codice era proprio quella da te indicata: il foro dell’espropriazione forzata dei crediti era proprio quello di residenza del terzo debitore.

Discente: Passiamo alla lettura dell’articolo 27 che – sotto la rubrica “Foro relativo alle opposizioni all’esecuzione” - recita: “Per le cause di opposizione all’esecuzione forzata di cui agli articoli 615 e 619 é competente il giudice del luogo dell’esecuzione, salva la disposizione dell’articolo 480 terzo comma. - Per le cause di opposizione a singoli atti esecutivi é competente il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione”.Due parole di spiegazione.

Docente: L’articolo in esame si riferisce a tre diversi tipi di opposizione. E forse é opportuno cominciare l’esame di tale articolo dandoti almeno un’idea di essi. Cercherò di farlo con degli esempi.Esempio di opposizione agli atti esecutivi: “Io, debitore, mi oppongo al pignoramento, perché il creditore non mi ha prima invitato a pagare notificandomi l’atto di precetto: se lo avesse fatto io avrei pagato infatti spontaneamente”.

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Esempio di opposizione all’esecuzione: “Io, debitore mi oppongo all’esecuzione, perché, é vero che sono stato condannato a pagare centomila, ma é anche vero che, dopo la sentenza che mi ha condannato, ho dato le centomila al creditore”.Esempio di opposizione di terzo: “Io, Tizio, terzo estraneo alla procedura esecutiva, mi oppongo al pignoramento di quell’auto in odio al debitore, perchè essa é di mia proprietà e non del debitore”.Tanto chiarito, é facile comprendere come l’ideale sarebbe che giudice dell’opposizione fosse quello stesso che procede all’esecuzione, dato che questi ha nelle mani il fascicolo processuale e quindi può facilmente controllare la fondatezza dell’opposizione stessa (se, per rifarci all’esempio prima fatto, il precetto é stato, o no, notificato). Ora questa concentrazione nella stessa persona delle due competenze (quella sulla opposizione e quella sulla procedura esecutiva) il legislatore cerca di ottenerla, sia attribuendo tout court la competenza (sull’opposizione) al giudice davanti a cui pende la procedura esecutiva sia attribuendo la competenza (sempre sull’opposizione), non direttamente al “giudice che procede all’esecuzione” (che potrebbe addirittura non esistere ancora – come vedremo a tempo debito), ma al “giudice del luogo dell’esecuzione”: saranno poi i meccanismi predisposti negli articoli 615 e 619 a concentrare nello stesso giudice le due competenze.

Lezione 10 - Simultaneus processus

Docente: Poniamo che il ragionier Bianchi abbia più domande di giustizia da rivolgere all’Autorità giudiziaria; ad esempio abbia da proporre: la domanda A (“Chiedo che Rossi sia condannato a pagarmi il prezzo del quadro che gli ho venduto”); la domanda B (“Chiedo che Rossi sia condannato al risarcimento per avermi dato del ladro”); la domanda C (“Chiedo che Rossi sia condannato a restituirmi il mutuo che gli ho dato”). E’ chiaro che in tal caso egli avrebbe interesse a che tutte e tre le domande fossero esaminate e decise dallo stesso giudice e nello stesso processo.

Discente: Dov’é il problema? Bianchi per ottenere ciò basterà che convenga Rossi davanti allo stesso giudice Primus.

Docente: Tu la fai troppo semplice. Prescindiamo dal fatto che il giudice competente (territorialmente) a decidere sulle tre domande potrebbe essere diverso (sulla domanda A, é competente il giudice di pace di Arezzo, sulla domanda B, é competente il giudice di pace di Bari, sulla domanda C é competente il giudice di

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pace di Genova) - non é il caso dell’esempio fatto, ma può accadere. Poniamo pure che il nostro ragionier Bianchi possa incardinare tutte le domande davanti allo stesso giudice, metti, il giudice di pace di Arezzo. Certo questo é un vantaggio per Bianchi, se non altro perché potrà risparmiare nelle spese legali servendosi di un solo avvocato (residente ad Arezzo) senza necessità di rivolgersi a tre avvocati (uno di Arezzo, uno di Bari, uno di Genova). Ma.....

Discente: -.... Ma, scusa se ti interrompo, uno che fa una causa ad Arezzo, una causa a Bari, una causa a Genova, deve per forza rivolgersi a tre avvocati?

Docente: In teoria, no; in pratica, si, dato che, per rifarci all’esempio, l’avvocato di Arezzo, certo, può recarsi a difendere a Bari e a Genova, ma non lo fa per un’ovvia esigenza di risparmio di tempo e di soldi: o non accetta le cause (di Bari e di Genova) o le cura tramite un collega del luogo e allora, più o meno, le spese legali per il nostro ragionier Bianchi restano le stesse che se si rivolgesse direttamente a tre avvocati.Ma lasciami continuare il discorso: dicevo che Bianchi, incardinando le sue tre cause presso uno stesso giudice, certo ottiene dei vantaggi, ma non tutti i vantaggi che potrebbe sperare. Infatti il giudice Severo I (e qui per semplicità fingo che nell’organico dell’Ufficio giudiziario di Arezzo figuri un solo giudice e quindi non vi sia il pericolo che le cause siano assegnate a giudici diversi) potrebbe fissare l’udienza per le tre diverse cause in tre giorni diversi: e quindi l’avvocato del Bianchi dovrebbe recarsi a Palazzo di giustizia tre volte (e sarebbe costretto a chiedere tre onorari); ma non solo, anche se le cause procedessero per così dire di pari passo (con udienze coincidenti per giorno e per ora), l’avvocato di Bianchi dovrebbe fare tre diversi atti di citazione, chiedere agli ufficiali giudiziari tre notifiche, cioé triplicare la sua attività; ma non solo, una prova, ancorché identica per le tre cause, dovrebbe essere dedotta e assunta tre volte (il teste Verdi dovrebbe scomodarsi ad andare a Palazzo di giustizia tre volte).

Discente: E allora?

Docente: Allora questo ti dimostra che Bianchi, il nostro ragioniere, non ha solo interesse a poter proporre le sue tre domande davanti allo stesso giudice, ma anche a proporle in uno “stesso processo”. Dove l’espressione “uno stesso processo é una ellissi usata (non solo da me, ma anche) dal legislatore per significare che le tre domande, non solo sono trattate dallo stesso giudice, ma anche: che ogni prova dedotta a conforto di una domanda, può essere utilizzata per l’accertamento anche delle altre domande, che le parti possono esporre le

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argomentazioni (le dichiarazioni....) relative alle varie domande in un unico atto e così via.

Discente: A questo punto, dimmi l’articolo in cui il giudice, usando l’espressione ellittica di cui hai fatto parola, dà soddisfazione all’interesse, dell’attore Bianchi, a risparmiare fatica e tempo.

Docente: Dà soddisfazione all’interesse dell’attore Bianchi, ma, bada, anche a quello del convenuto Rossi e del giudice Severo I. Comunque l’articolo, che vuoi conoscere, é il 104 – articolo che, sotto la rubrica “Pluralità di domande contro la stessa parte” - recita: “Contro la stessa parte possono proporsi nel medesimo processo più domande anche non altrimenti connesse, purché sia osservata la norma dell’articolo 10. - E’ applicabile la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente”.La “disposizione del secondo comma dell’articolo precedente”, dà al giudice il potere di separare tutte o alcune delle domande proposte in un unico processo.

Discente: Perché il legislatore dà al giudice questo potere di separare le cause?

Docente: Perché la riunione di più domande in uno stesso processo può anche causare degli inconvenienti; come quando la trattazione di una domanda ritarda quella delle altre domande: ad esempio, la fondatezza della domanda C (restituzione del mutuo) risulta provata documentalmente; invece, per accertare la fondatezza delle domande A e B occorre: nominare consulenti tecnici, sentire testi ecc.: perché costringere l’attore ad aspettare mesi (o anni!) per ottenere una sentenza che gli riconosca (per intanto) il diritto al mutuo? Chiaro che le domande A e B vanno trattate separatamente dalla domanda C.Tutto ciò non toglie che il giudice debba usare cautela nel decidere la separazione, dato che separare le cause – anche se di per sé non esclude che le cause continuino ad essere trattate dallo stesso ufficio giudiziario, anzi, dallo stesso giudice – implicherà pur sempre vari inconvenienti: bisognerà far copia dei verbali, degli atti, dei documenti prodotti (dato che dove bastava una copia ora ne occorreranno due o tre da distribuire tra i due o tre processi nati dalla separazione), forse a trattare alcuni dei nuovi processi subentrerà un nuovo giudice (che dovrà ristudiarsi le cause già studiate dal collega che l’ha preceduto) e così via.

Discente: Una domanda ancora: che cosa significa il riferimento, fatto nel primo comma dell’articolo 104, all’ articolo 10: possono proporsi più domande nello stesso processo “purché sia osservata la norma dell’articolo 10 secondo comma”?

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Docente: Significa che l’attore, per individuare il giudice competente (per valore) a decidere la causa - nata dal cumulo delle diverse domande - dovrà procedere alla sommatoria del valore di queste: la domanda A, isolatamente considerata, ha per valore tremila e la domanda B, sempre isolatamente considerata, ha per valore tremila? La sommatoria delle due domande essendo pari a seimila, la causa diventa di competenza del tribunale (v. melius, l’art. 7).

Discente: Tu hai fatto l’esempio di Bianchi che deve proporre più domande verso la stessa persona; ma ben può essere che egli debba proporre più domande verso diverse persone: per esempio, vittima di un incidente stradale, egli ha da proporre una domanda di risarcimento (domanda A) contro Rossi, che conduceva l’auto, che lo trasportava, a velocità eccessiva, e un’altra domanda (domanda B) contro Verdi che non ha dato, a tale auto, la precedenza dovuta. In tale ipotesi può Bianchi convenire, nello “stesso processo”, Rossi e Verdi?

Docente: Ti rispondo mettendomi nel caso che lo stesso Ufficio giudiziario competente a decidere la domanda A, sia anche competente a decidere sulla domanda B: é il caso più semplice: infatti nell’ipotesi che le domande ricadano nella competenza di uffici diversi le cose si complicano un po’, come vedremo studiando l’articolo 33.Ora la risposta alla tua domanda (ancorchè proposta per il caso più semplice) é “ni”. Infatti il legislatore ammette di massima il cumulo delle domande rivolte contro persone diverse, ma – al contrario di quel che abbiamo visto avvenire in caso di domande contro la stessa persona - subordinandolo a certe condizioni. Così come ti risulterà dalla lettura dell’articolo 103 che - sotto la rubrica “Litisconsorzio facoltativo” - recita: “Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni.- Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi é istanza di tutte le parti ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza”.

Discente: Vuoi fare degli esempi di domande connesse per l’oggetto, per il titolo o dipendenti dalla soluzione di identiche questioni?

Docente: Un esempio di domande connesse per l’oggetto potrebbe essere questo: Bianchi agisce (giudizialmente) per rivendicare da Rossi la proprietà dell’immobile

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A e per negare a Verdi l’usufrutto sempre sull’immobile A. Un esempio di domande connesse per il titolo potrebbe essere quest’altro: Bianchi, che ha acquistata la sua casa dai comproprietari Rossi e Verdi, chiede contro entrambi l’annullamento del contratto.Infine, ecco l’esempio di domande la cui soluzione dipende “dalla risoluzione di identiche questioni”: Bianchi domanda, a Rossi, il rimborso di un mutuo fattogli per centomila e, a Verdi, il rimborso di un mutuo fattogli per cinquantamila; e a prova delle due domande produce un unico documento scritto, in cui sia Rossi che Verdi ebbero a riconoscere i loro due debiti.

Discente: Ma perché il legislatore é tanto cauto nel consentire il cumulo delle domande proposte contro più persone? perché non consente a Bianchi di proporre in uno stesso processo, la domanda con cui chiede l’annullamento del contratto di vendita stipulato con Rossi e la domanda con cui chiede a Verdi il rimborso della somma datagli a mutuo?

Docente: Ma perché convenire nello stesso processo Rossi e Verdi (che l’unica cosa che hanno in comune é...... di avere come avversario Bianchi) potrebbe (ingiustamente) complicare e rendere più pesante e costosa la difesa di uno dei due, metti di Rossi (che potrebbe, ad esempio, vedere prolungarsi anche di molto le udienze per la logorrea del difensore del Verdi o per le testimonianze dei testi, dal Verdi, dedotti e così via).

Discente: Ma non é sufficiente rimedio contro tale inconveniente il potere - dato al giudice, dal secondo comma dell’articolo in esame - di separare le cause?

Docente: No, perché la separazione delle domande é come un intervento chirurgico: é salutare ma non incruenta: insomma anch’essa comporta inconvenienti.

Lezione 11 - Deroghe alla competenza per ragioni di connessione

Docente: Gli articoli 103 e 104, su cui ci siamo intrattenuti nella lezione precedente X, consentono, sì, il cumulo di domande, ma non consentono deroghe alla competenza: se Bianchi volesse convenire in giudizio Rossi e Verdi, l’uno residente a Genova, l’altro a Milano, ancorché le due domande fossero connesse per il titolo, in forza semplicemente dell’articolo 103 non lo potrebbe fare.

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Deroghe alla competenza per ragioni di connessione sono, sì, previste dal codice ma, non negli articoli 103, 104, bensì negli articoli 31 e seguenti.

Discente: Penso che tali deroghe si giustifichino con la volontà legislativa di evitare giudicati contraddittori.

Docente: Lo escluderei: quello di impedire la contraddittorietà dei giudicati non é più uno scopo, che il legislatore oggi sembra proporsi; lo dimostra il fatto che il nostro codice di procedura penale, tale scopo, ha ormai rinunciato a perseguirlo: esso per nulla si preoccupa che una sentenza civile, sul risarcimento dei danni derivanti da fatto illecito penalmente, contrasti con la sentenza penale che, tale fatto illecito, accerta. Io piuttosto riterrei che la maggior parte delle deroghe si giustifica col principio di economia processuale (evitare che un giudice debba ripetere, per accertare il fondamento di una domanda, l’accertamento già operato in relazione ad un’altra domanda). Solo per le deroghe previste dagli articoli 32 e 33 non mi rifarei a tale principio.

Discente: Vuoi dire che le deroghe prevista dagli articoli 32 e 33 sono giustificate dalla volontà di impedire la contraddittorietà dei giudicati?

Docente: No. Le deroghe di cui agli articoli 32, 33 impediscono, sì, la contraddittorietà dei giudicati; ma non é questo lo scopo da loro perseguito. Lo scopo che - concedendo tali deroghe e, quindi, consentendo il cumulo di cause che altrimenti ricadrebbero nella competenza di uffici diversi - il legislatore in realtà si propone, é di evitare l’errore che la contraddittorietà dei giudicati rivelerebbe (non questa in sè e per sè). E ciò contando sul fatto che il cumulo apra per così dire l’ingresso nel processo a delle parti in grado, nella dialettica del contraddittorio, di fornire al giudice utili elementi di diritto e soprattutto di fatto.

Discente: Fa degli esempi.

Docente: Pensa al caso in cui Rossi sia convenuto davanti al tribunale di Genova (dato che a Genova egli risiede – art. 18) da Bianchi, che rivendica la proprietà dell’immobile, che Rossi ha acquistato da Verdi residente a Firenze (e in forza di un contratto stipulato, non a Genova, ma a Firenze): se non fosse stabilita una deroga alla competenza (la deroga prevista dall’articolo 32), Rossi non potrebbe convenire Verdi davanti al giudice di Genova (a che possa contraddire in fatto e in diritto la domanda del rivendicante Bianchi): con il risultato che il giudice (della causa di

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rivendica) sarebbe privato di tutte quelle allegazioni e di tutte quelle prove che solo Verdi (il dante causa di Rossi) e non Rossi (l’avente causa) é in grado di dedurre.

Discente: Chiarito questo, é tempo di passare all’esame dei vari articoli che prevedono le deroghe alla competenza. Cominciando dall’articolo 31 che – sotto la rubrica “Cause accessorie” - recita: “La domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente competente per la domanda principale affinchè sia decisa nello stesso processo osservata, quanto alla competenza per valore, la disposizione dell’articolo 10, secondo comma”.Prima domanda, quand’é che una domanda B deve ritenersi “accessoria” a un’altra domanda A?

Docente: La domanda B si deve ritenere accessoria della domanda A (c.d. domanda principale) quando l’accertamento della sua fondatezza dipende dalla risposta data alla domanda A. Pensa alla domanda per il pagamento degli interessi legali: essa é accessoria alla domanda per ottenere il pagamento del capitale, dal momento che essa (id est, la domanda degli interessi) va respinta se questa (id est, la domanda per il capitale) é stata respinta. Pensa ancora al caso di Tizio, che propone una domanda (possessoria) di reintegra (sostenendo di aver subito uno spoglio), e, altresì, propone una domanda per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti al (preteso) spoglio: é chiaro che, il riconoscimento del diritto al risarcimento, dipende dalla risposta data alla domanda di reintegra: se si accerta che non c’é stato spoglio, si deve negare il risarcimento.

Discente: Però mi pare che negli esempi da te fatti il cumulo delle due domande, quella principale e quella accessoria, si possa ottenere, facendo semplicemente buona applicazione degli articoli 18 e seguenti (e, per quel che riguarda in particolare il secondo esempio, dell’articolo 20); senza necessità di operarvi nessuna deroga.

Docente: E’ verissimo quel che tu dici; e in effetti, secondo me, le ipotesi, in cui é necessario fare applicazione dell’articolo 31, sono veramente poche. Se si vuole costruire in vitro una di tali ipotesi, si può pensare a Tizio che, con la domanda A, rivendica contro Caio la proprietà di un immobile posto nel comune di Genova (art. 21: sulla domanda sarebbe competente il tribunale di Genova, forum rei sitae) e che con la domanda B chiede (argomentando dall’art. 1148 C.C.) il rimborso delle somme che Caio, possessore in mala fede, ha riscosso in base a un contratto stipulato nella città di sua residenza, Torino (per cui il foro competente per tale seconda domanda sarebbe, sia per l’art. 18 che per l’art. 20, non più Genova, ma

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Torino); cosa per cui effettivamente, nell’ipotesi, si potrebbe ottenere il cumulo delle due domande, A e B, davanti al tribunale di Genova, solo facendo applicazione dell’articolo 31.

Discente: L’articolo 31 contempla una deroga solo per la competenza territoriale (e non anche per la competenza per valore), infatti l’incipit di tale articolo suona “La domanda accessoria può essere proposta al giudice territorialmente ecc. ecc.”; significa ciò che, se la domanda principale A (valore = diecimila) é di competenza del tribunale e la domanda accessoria B (valore = tremila) é di competenza del giudice di pace, il cumulo tra le due domande non si può fare?

Docente: No, il cumulo si può sempre fare (e in capo naturalmente al tribunale). E il legislatore non si preoccupa di autorizzare una deroga alla competenza per valore, per quel che riguarda la domanda B, per il semplicissimo motivo che egli ritiene di aver già nell’articolo 10 autorizzato, sia pur implicitamente, che anche per la domanda B sia competente il tribunale – questo stabilendo che in caso di cumulo di domande, ai fini di stabilire la competenza, non si deve far riferimento ai valori delle singole domande, ma alla sommatoria dei loro valori.

Discente: Sì, ma mi pare che, con il disposto dell’articolo 10, il legislatore risponda solo alla domanda “che valore va attribuito alla causa in cui le domande A e B sono cumulate”, mentre la domanda che io mi ponevo era “le domande A e B, che di per sé rientrerebbero nella competenza per valore di giudici diversi, possono essere cumulate?”: é a questa domanda che il legislatore doveva prima rispondere!

Docente: Sì, hai ragione: logica vorrebbe che, prima, si verificasse se le due domande A e B rientrano nella competenza dello stesso giudice (eventualmente in forza di una norma che autorizza la deroga alla competenza per valore) e, in caso che tale verifica sia positiva, si provvedesse al loro cumulo. Ma il nostro legislatore é fatto così: ogni tanto sragiona. Comunque vi é una comunis opinio nel senso che l’articolo 31 non preveda una deroga alla competenza per valore solo per il semplice motivo che tale deroga implicitamente é già prevista dall’articolo 10.

Discente: L’articolo 31 prevede che la domanda accessoria possa essere proposta al giudice della domanda principale, ma non viceversa, cioé non prevede che la domanda principale (nell’esempio prima fatto, la domanda di reintegra) possa essere proposta davanti al giudice della domanda accessoria (nell’esempio, la domanda di risarcimento): perché?

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Docente: La regola che la domanda accessoria deve proporsi al giudice competente per la domanda principale e non viceversa (regola a cui peraltro il sesto comma dell’art.40 pone un’eccezione, quando la domanda principale pende davanti al giudice di pace e la domanda accessoria pende davanti al tribunale) si spiega con la volontà legislativa di restringere al massimo il potere dell’attore nella scelta del Foro. Questo soprattutto per scongiurare il fenomeno delle domande “fittizie” (o simulate) proposte maliziosamente per determinare una deroga alla competenza: la domanda principale A sarebbe di competenza del tribunale di Torino (ciò che a me, attore, dispiace perché risiedo a Genova)? propongo (ancorché infondata) la domanda accessoria B, di cui sarebbe competente il tribunale di Genova, e...il gioco é fatto; o meglio, sarebbe fatto se il legislatore previdentemente non impedisse lo spostamento della domanda principale nel Foro della domanda accessoria.

Discente: Ma é un po’ difficile, per Tizio, che agisce in giudizio, costruire una domanda fittizia senza la collaborazione del convenuto; ed é ben difficile che i rapporti dell’attore col convenuto siano tanto amichevoli da permettere tale collaborazione.

Docente: E in effetti, il fenomeno delle domande fittizie o simulate (proposte ai fini di ottenere un non dovuto spostamento della competenza), si verifica soprattutto nei processi con pluralità di parti, in cui l’attore, in aggiunta all’avversario vero, conviene in giudizio un “avversario-testa di paglia”. A limitare tale pericolo, nelle cause con chiamata in garanzia (previste dall’articolo 32, che subito passeremo ad esaminare) già pensa il legislatore, imponendo la regola (che peraltro ha un’eccezione nel comma sesto art.40 per il caso di domande proposte, l’una davanti al giudice di pace, l’altra davanti al tribunale) che la domanda di garanzia sia proposta “al giudice competente per la causa principale” (e non viceversa). Per cui il fenomeno delle domande fittizie attecchisce soprattutto nei processi con pluralità di parti previsti dall’articolo 33; e la Giurisprudenza della Suprema Corte lo combatte ammettendo che il giudice possa dichiararsi incompetente quando ictu oculi la domanda propostagli risulta “fittizia”.

Discente: Lo sradicamento della causa accessoria dalla sua competenza naturale, certamente accettabile quando sacrifica un foro facoltativo (il forum personae, il forum obligationis...), diventa assai meno accettabile quando sacrifica un foro “esclusivo” (ad esempio, il forum sucessionis, art.22) e diventa addirittura penoso, ci si perdoni il termine, quando sacrifica un foro, per l’articolo 28, inderogabile (ad esempio, il forum executionis, art.26) – e sembrerebbe quindi che il legislatore, una

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volta stabilito che per la causa accessoria B é competente inderogabilmente, metti, il foro ambrosiano, poi non possa aprire una strada facilmente percorribile all’attore e al convenuto, che concordemente scelgano per la causa principale un foro ai fini di sradicare la causa accessoria dal Foro per lei così inderogabilmente stabilito (esempio: per la causa accessoria sarebbe inderogabilmente competente il Foro di Milano e sempre nel Foro di Milano potrebbe o dovrebbe, ma questa volta non inderogabilmente, essere radicata anche la causa principale? le parti concordemente derogano, per la causa principale, alla competenza del foro ambrosiano optando per il foro partenopeo e così...spostano la competenza della causa accessoria, ancorché questa competenza per l’articolo 28 sia inderogabile). Tu che cosa ne pensi?

Docente: Dopo il tuo così serratamente logico ragionamento non posso che pensare che la vis atractiva della causa principale si operi sempre sulla causa accessoria, ma non quando comporterebbe lo sradicamento di questa da un Foro inderogabilmente per lei stabilito. A questa conclusione farei eccezione, in forza del disposto del sesto comma dell’articolo 40, solo quando l’una delle due cause sia di competenza del giudice di pace e l’altra sia di competenza del tribunale: in tal caso si deve ritenere che la causa del tribunale sviluppi tale forza attrattiva da sradicare quella del giudice di pace anche da una competenza inderogabile.

Discente: Ma poniamo che, invece, il giudice accolga, dell’articolo 31, un’interpretazione contraria alla tua: i destini delle due domande si divaricano: la domanda accessoria B resta di competenza del tribunale di Milano e la domanda principale A diventa di competenza del tribunale di Napoli: che fa questo? si mette ad accertare il fondamento della domanda principale A, come già sta facendo il tribunale di Milano?

Docente: No, in tal caso il tribunale di Napoli dovrebbe sospendere la causa, in applicazione dell’articolo 295, che – sotto la rubrica “Sospensione necessaria” - recita: “Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”.

Discente: A questo punto possiamo passare all’esame dell’articolo 32, che – sotto la rubrica “Cause di garanzia” - recita: “La domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale affinchè sia decisa nello stesso processo. Qualora essa ecceda la competenza per valore del giudice adito questi rimette entrambe le cause al giudice superiore assegnando alle parti un

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termine perentorio per la riassunzione”.Tu hai già detto sulla ratio dell’articolo 32: aprire la porta della causa principale al terzo-garante, a che vi porti il suo contributo di conoscenze e di argomentazioni. Vuoi ora portare qualche esempio di applicazione di tale articolo?

Docente: -Certamente. Pensa a Tizio che, fideiussore di Caio, viene convenuto in giudizio dal creditore di questi, Sempronio: chiaramente egli ha interesse a che il dictum del giudice, che, alla fine, definirà il processo, vincoli anche Caio: questo per non sentirsi dire quando, pagato Sempronio, si rivolgerà a lui per essere rimborsato: “Ma che hai pagato a fare: io nulla dovevo a Sempronio per questo e quest’altro motivo”.

Discente: E come può, Tizio, ottenere questo?

Docente: Coinvolgendo Caio, il debitore garantito, nel processo intentato dal creditore; in altre parole, proponendo contro di lui la c.d. “domanda di garanzia” e facendolo così diventare “parte” di questo processo (con tutti i poteri che alle parti processuali competono: dedurre prove, svolgere argomentazioni), di modo che in un domani egli non possa più dire “Ma al giudice doveva essere fatto presente questo e quest’altro” senza sentirsi rispondere “Se tanto andava fatto presente, toccava a te, che eri parte, con tutti i poteri delle parti, farlo presente: per cui ora, zitto e rimborsami”.

Discente: Ma Caio potrebbe risiedere a Genova, per cui, per l’articolo 18, al giudice di Genova la domanda di garanzia andrebbe rivolta; mentre il creditore Sempronio ha convenuto il fideiussore Tizio davanti al giudice di Milano-

Docente: E’ proprio qui che entra in gioco l’articolo 32: tale articolo infatti consente a Tizio di convenire Caio “davanti al giudice competente per la causa principale (nel caso, davanti al giudice davanti a cui pende la causa proposta da Sempronio contro Tizio) affinché sia decisa nello stesso processo”.Un altro esempio di applicazione dell’articolo 32 potrebbe essere questo: Tizio conviene in giudizio Caio, condebitore solidale con Sempronio, davanti al giudice Primus e Caio propone una domanda di garanzia contro Sempronio: anche qui Caio potrà proporre tale domanda (di garanzia) davanti al giudice Primus, in deroga alle norme generali che disciplinano la competenza per territorio e per valore, solo grazie all’articolo 32.

Discente: Che succede se la domanda principale ha il valore di cinquemila (e

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pertanto rientra di per sé nella competenza del giudice di pace) e la domanda di garanzia ha il valore di diecimila (quindi eccede la competenza del giudice di pace e rientra in quella del tribunale)?

Docente: Te lo dice l’ultima parte dell’articolo 32 in esame: il giudice rimette la decisione di entrambe le domande al tribunale.

Discente: E se la domanda principale ha valore di quattromila e pure di quattromila é il valore della domanda di garanzia, si deve fare la sommatoria dei due valori ai sensi dell’articolo 10, con la conseguenza di attribuire la decisione di entrambe le domande al tribunale?

Docente: No, perché l’articolo 10 si applica solo alle “domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona”.

Discente: Quindi?

Docente: Quindi resterà competente, per entrambe le domande, il giudice di pace.

Discente: Possiamo passare all’esame dell’articolo 33; il quale – sotto la rubrica “Cumulo soggettivo” - recita: “Le cause contro più persone che a norma degli articoli 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo, possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse per essere decise nello stesso processo”.Quel che balza subito agli occhi dal confronto tra l’articolo 33 e l’articolo 103 - articolo questo da noi preso in esame parlando dei limiti in cui il legislatore ammette il cumulo soggettivo quando esso per realizzarsi non implica una deroga alla competenza – é che nell’articolo 33 non si fa più riferimento, come elemento giustificatore del cumulo, al fatto che “la decisione dipenda totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni”.

Docente: Ciò non ti deve meravigliare; infatti, come ebbi già a dirti, il legislatore quando deve decidere se ammettere il cumulo di due domande – la domanda A e la domanda B –, pone. su un piatto della bilancia, gli inconvenienti, che può comportare la deroga alle norme generali sulla competenza, e, sull’altro piatto della bilancia, l’importanza degli elementi (in diritto, ma soprattutto in fatto) che, chi é parte di una causa, può portare per l’accertamento della fondatezza della domanda di cui si discute nell’altra causa. Ora, quando la questione identica, che hanno le

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due cause, verte su un fatto costitutivo, estintivo, modificativo dei diritti fatti, nelle due cause, valere (idest, nella terminologia legislativa, le due cause hanno lo stesso titolo), é ben presumibile che, chi é parte in una causa, apporti nell’altra elementi di rilevante importanza; e lo stesso é da ripetersi quando le due cause hanno lo stesso oggetto (perché l’identità dell’oggetto quasi sempre determina il sorgere di questioni identiche sui fatti costitutivi, estintivi ecc.: Bianchi, vittima di un incidente stradale, domanda il risarcimento al suo trasportatore Rosati e al conducente dell’auto antagonista, Rossi: non é evidente che in entrambe le cause si porrà la questione dell’esistenza di quella colpa, nel condurre l’auto, che sarebbe fatto costitutivo della responsabilità di Rosati e/o di Rossi?). Se invece il legislatore ammettesse il cumulo delle cause A e B sul semplice presupposto che esse dipendono dalla soluzione di un’identica questione, siccome questa potrebbe essere una questione marginalissima, ci sarebbe il rischio di accettare gli svantaggi, insiti nel sacrificio delle norme sulla competenza, per poi ottenere un del tutto insignificante apporto nell’accertamento dei fatti veramente rilevanti nelle cause. Ed é questo un rischio che il legislatore non vuole evidentemente correre.

Discente: Confrontando ancora l’articolo 103 e l’articolo 33, io noto un’altra differenza: mentre l’articolo 103 ammette il cumulo attivo (ammette che i concreditori Caio e Sempronio agiscano nello stesso processo contro il comune debitore Cornelio), l’articolo 33 ammette solo il cumulo passivo (il cumulo delle domande del creditore Tizio contro i condebitori Caio e Cornelio): perché questo?

Docente: Il perché é molto semplicemente da ravvisarsi nel fatto che il cumulo attivo, per realizzarsi, non necessita di una deroga alla competenza: i concreditori Caio e Sempronio vogliono cumulare le loro domande contro il condebitore Cornelio che risiede a Torino? semplice, basta che entrambi citino Cornelio davanti al giudice di Torino, come a loro dà facoltà l’articolo 18.

Discente: La lettera dell’articolo 33 sembra ammettere la deroga alla competenza solo nell’ipotesi di “cause contro più persone”: che si fa quando non ci sono più cause ma c’é una sola causa, sempre però contro più persone, come nel caso di una domanda di disconoscimento della paternità (art.247 C.C.) in cui l’attore deve convenire in in giudizio sia il figlio disconoscendo che la di lui madre?

Docente: Semplice, si interpreta estensivamente l’articolo 34; per cui nell’esempio da te fatto, la causa potrà essere radicata sia nel foro della madre che in quello del figlio.

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Lezione 12 - Continenza di cause – Accertamenti incidentali - Eccezioni e cause riconvenzionali

Discente: -Dopo aver parlato nella precedente lezione degli articoli 31, 32, 33 penso che in questa lezione vorrai parlarci dell’articolo 34.Docente: No, é preferibile dire prima due parole sul secondo comma dell’articolo 39; anche se ciò ci costringe a fare un salto dalla sezione IV, intitolata “Delle modificazioni della competenza per ragioni di connessione”, alla sezione V, intitolata “Del difetto di giurisdizione, dell’incompetenza e della litispendenza” - salto giustificato dal fatto che nel secondo comma dell’articolo 40 si opera (melius, si può operare) una deroga alla competenza per motivi del tutto identici a quelli che abbiamo visto giustificare la deroga alla competenza negli articoli 31 e 32.

Discente: Leggo allora il secondo comma dell’articolo 39 – articolo che porta la rubrica “Litispendenza e continenza di cause -: “Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito é competente anche per la causa promossa successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non é competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine sono da lui pronunciate.- La prevenzione é determinata dalla notificazione della citazione ovvero dal deposito del ricorso”.Porta un esempio di continenza di cause.

Docente: L’esempio, diciamo così, tradizionale di continenza é il seguente: Tizio davanti al giudice Primus propone una domanda (domanda A1) di risoluzione del contratto M; davanti al giudice Secundus propone: una domanda (domanda A2) di risoluzione del contratto M + una domanda (domanda B) di condanna dell’altro contraente al risarcimento dei danni (causati dalla risoluzione del contratto).Premesso che, come vedremo, per litispendenza si intende il fenomeno di una causa identica che pende davanti a due giudici diversi, come vedi, in questo esempio (tradizionale) di continenza si ha un fenomeno di litispendenza parziale: la domanda A2 proposta al giudice Secundus é identica alla domanda A1 proposta al giudice Primus (mentre la domanda B é diversa). Si può schematizzare la situazione così: in caso di continenza, pendono: davanti al giudice Primus, la domanda A1; davanti al giudice Secundus, la domanda A2 (identica alla doamnda A1) + la domanda B.Il legislatore non ritiene opportuna questa litispendenza ancorchè parziale e, col meccanismo illustrato nell’ultima parte del comma or ora letto, provoca la riunione

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delle tre cause (melius, delle due cause, dato che le cause A1 e A2 sono identiche) davanti a uno stesso giudice.Tale riunione si opera in capo al giudice Primus (il giudice preventivamente adito); però nel caso il giudice Primus non sia competente (ovviamente per ragioni di valore, perché territorialmente non può non essere competente) per la causa “contenente” (la causa data dal cumulo delle domande A2 + B), la causa A1 viene riassunta (melius, va riassunta a cura delle parti in causa) davanti al giudice Secundus - questo in forza di una deroga alla competenza (per valore) effettiva anche se non traumatica (dato che, in fondo, questa deroga alla competenza si era già operata, in forza o dell’articolo 31 o dell’articolo 32, nel momento introduttivo davanti al giudice Secundus della causa cumulata A2 + B).

Discente: Quale la ratio della riunione, delle cause, imposta dal legislatore?

Docente: Tradizionalmente tale ratio viene vista nell’opportunità, sentita dal legislatore, di evitare una contraddittorietà dei giudicati. Io, come ho già avuto occasione di spiegare, non ritengo che l’evitare tale contraddittorietà costituisca una preoccupazione per il nostro legislatore, e ritengo che la ratio della disposizione in esame vada individuata nel principio di economia processuale (forse che non si avrebbe un inutile dispendio di attività processuale, se il giudice Primus e il giudice Secundus dovessero sobbarcarsi all’identico lavoro di trattare la causa A?!). Dalla ratio così da me attribuita all’articolo 40, io derivo la conseguenza che vi è continenza di cause anche quando uno di due giudici, metti il giudice Secundus, deve risolvere, come “questione pregiudiziale” e senza autorità di giudicato, la stessa questione che davanti al giudice Primus si presenta come una vera e propria causa (da decidersi ovviamente con autorità di giudicato).

Discente: -Spiegati meglio.

Docente: Mi spiegherò con un esempio assai simile a quello prima fatto: Tizio propone davanti al giudice Primus la domanda A1, con cui chiede il rimborso di un capitale dato a mutuo, e davanti al giudice Secundus propone solo la domanda B con cui chiede il pagamento degli interessi relativi al mutuo (ciò che però fa sorgere davanti al giudice Secundus la questione pregiudiziale “esistenza o no del mutuo”). Siccome nessuna delle parti ha chiesto (come, vedremo in commento all’art.34, invece può fare) che la questione pregiudiziale venga decisa con autorità di giudicato, non esiste il pericolo (attuale) di una contraddittorietà di giudicati (nella soluzione che il giudice Primus dà alla causa davanti a lui pendente e nella soluzione che il giudice Secundus dà alla questione pregiudiziale). Tuttavia l’inutile

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dispendio di attività processuale sussiste sempre (dato che, non solo il giudice Primus, ma anche il giudice Secundus deve pur sempre sobbarcarsi alla fatica di accertare se il mutuo preteso da Tizio sussiste o no): tanto basta per me per giustificare la riunione delle cause.

Discente: Tu dici che nell’esempio da te fatto non sussiste il pericolo di una contraddittorietà dei giudicati: in realtà sussiste almeno allo stato potenziale, se é vero che una delle parti può chiedere la decisione, della questione pregiudiziale, con autorità di giudicato.

Docente: La tua osservazione é giusta e ti dirò che autorevoli studiosi ritengono la continenza, in casi simili a quello del mio esempio, proprio sostenendo che, per giustificare la riunione delle cause, basta che la contraddittorietà dei giudicati sia potenziale.

Discente: Puoi riportare qualche esempio di “continenza” dovuta solo a una contraddittorietà potenziale dei giudicati.

Discente: Lo farò con le parole del Luiso, un fautore della tesi or ora accennata - parole che ricavo dalla pagina 224 della terza edizione del suo bel libro Diritto processuale civile edito da Giuffrè: “(Primo esempio) in un processo l’acquirente chiede la consegna del bene e in un altro processo il venditore chiede il pagamento del prezzo in relazione allo stesso contratto di compravendita (...secondo esempio) in un processo il lavoratore dipendente chiede il pagamento della tredicesima e in un altro processo chiede il pagamento delle ferie”.

Discente: Ma ora é davvero tempo di passare all’esame dell’articolo 34; il quale – sotto la rubrica “Accertamenti incidentali” - recita: “Il giudice se per legge o per esplicita domanda di una delle parti é neecssario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui”.

Docente: Per comprendere la disposizione da te ora letta bisogna partire da due considerazioni.Prima: il giudice perviene alla decisione “Z” sulla fondatezza, o no, di una domanda a lui proposta, attraverso la decisione di una molteplicità di questioni, di fatto e di diritto, lato sensu “pregiudiziali”: questione A (“E’ vero che il figlio incestuoso ha diritto agli alimenti?”), questione B (“E’ vero che il convenuto Caio é figlio dell’attore

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Tizio?”), questione C (“E’ vero che Caio versa in stato di bisogno?”).....Seconda (considerazione): quello che si chiama “giudicato” - e che in sintesi possiamo definire la incontestabilità del decisum – si forma di regola (e a certe condizioni che ci riserviamo di esaminare meglio quando parleremo delle impugnazioni) solo sulla decisione finale “Z”. Salvo particolari casi contemplati dalla legge e salvo – e qui veniamo in medias res cioé al disposto dell’articolo 34 – richiesta delle parti. Non vado oltre nell’argomento perché mi riservo di approfondirlo parlando dei “limiti oggettivi del giudicato”.

Discente: Già da ora però mi interesserebbe sapere perché il legislatore fa dipendere dalla volontà delle parti la decisione di una questione con autorità di giudicato.

Docente: Anche questo é un argomento che mi riservo di approfondire in seguito parlando del c.d. principio della domanda. In sintesi ti posso anticipare che il legislatore vuole che una questione sia decisa con autorità di giudicato, solo quando le parti, richiedendo questo, dimostrano di sentirsi pronte a sostenere il contraddittorio (avendo reperite le prove necessarie, avendo compiuti gli approfondimenti necessari sulla problematica giuridica ecc)

Discente: Ma se il legislatore ritiene Pinco Pallino in grado di difendersi dalla domanda di alimenti che contro di lui propone Caio (tanto che, sul suo obbligo o no agli alimenti, il giudicato si forma) non può non ritenere Pinco Pallino anche in grado di difendersi nelle questioni pregiudiziali a tale domanda di alimenti.

Docente: Non é vero: Pinco Pallino può essere riuscito a raccogliere le prove necessarie ad escludere lo stato di bisogno di Caio che gli chiede gli alimenti (e tanto gli basta per vincere la causa propostagli da Caio), ma può essere ancora in alto mare nel raccogliere le prove che dimostrerebbero che Caio non è suo figlio (e, quindi, pur versando in stato di bisogno, nulla gli può chiedere).

Discente: Poniamoci allora nel caso che una parte chieda che una questione pregiudiziale sia decisa con autorità di giudicato; sì, però tale questione non rientra nella competenza per valore del giudice adito: questo é un giudice di pace e la decisione sulla questione é riservata alla competenza del tribunale: che succede?

Docente: L’articolo 34 ti risponde che in un tal caso il giudice di pace dovrebbe spogliarsi sia della causa principale (meglio detta “causa dipendente”) sia della questione pregiudiziale (diventata “causa pregiudiziale”) e trasmettere entrambe al

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giudice superiore.

Discente: -E se succede il contrario? cioé se la “causa dipendente” pende davanti al tribunale e la “causa pregiudiziale” é di competenza del giudice di pace? Non mi pare che l’articolo 34 dica qualcosa al proposito.

Docente: Effettivamente sul punto l’articolo 34 tace: il legislatore si é dimenticato di stabilire (espressamente) la deroga alla competenza per materia e valore che rende possibile quello che é l’evidente scopo dell’articolo 34: far decidere la causa pregiudiziale e la causa dipendente dallo stesso giudice. Si tratta di un lapsus che non impedisce all’interprete (che peraltro può trarre argomenti anche dal sesto comma dell’art.40) di ritenere che, nel caso da te segnalato, il giudice superiore sia investito anche della competenza pregiudiziale.

Discente: Parliamo ora dell’articolo 35, che porta la rubrica “Eccezione di compensazione” e il cui testo suona così: “Quando é opposto in compensazione un credito che é contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, questi, se la domanda é fondata su titolo non contorverso o facilmente accertabile, può decidere su di essa e rimettere le parti al giudice competente per la decisione relativa all’eccezione di compensazione, subordinando, quando occorre, l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una acuzione, altrimenti provvede a norma dell’articolo precedente”.

Docente: In buona sostanza, quando una parte, Tizio, (che di solito sarà il convenuto, ma che potrebbe essere anche l’attore, dato che una compensazione può essere eccepita anche nei riguardi di una domanda riconvenzionale del convenuto), ai sensi degli articoli 1241 e segg. C.C., eccepisce, alla controparte Sempronio, la compensazione di un credito, ne nasce una questione pregiudiziale.

Discente: Anche se la controparte, Sempronio, non contesta il credito?

Docente: Si; e così come, a prescindere da una contestazione, il giudice deve prendere, sull’esistenza del credito opposto, una decisione – che sarà inserita nel dispositivo e non nella motivazione della sentenza – così a prescindere da una richiesta delle parti, tale decisione avrà autorità di cosa giudicata (quindi, questo in esame é uno di quei casi, a cui fa riferimento l’incipit dell’articolo 34, in cui la questione pregiudiziale viene decisa “con efficacia di giudicato” per legge, senza che sia necessaria una richiesta delle parti).

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Discente: Dunque se Tizio chiede la condanna di Sempronio a tremila e Sempronio eccepisce in compensazione un credito di seimila, il giudice nel dispositivo della sentenza rigetta la domanda di Tizio e lo condanna a tremila (cioè alla differenza tra il credito vantato e il creidto opposto: seimila – tremila = tremila).

Docente: Assolutamente, no: stiamo parlando, non di una domanda riconvenzionale, ma di una eccezione riconvenzionale: di una difesa cioé volta semplicemente a paralizzare la domanda avversaria: quindi il giudice nel dispositivo si limiterà semplicemente a riconoscere l’esistenza del credito opposto e ad operare la compensazione.

Discente: Ma se Sempronio, a Tizio, che gli domanda tremila, eccepisce un credito di seimila, il giudice si limiterà ad accertare che Sempronio ha un credito bastante a compensare quello preteso dal suo avversario, si limiterà cioè a dire che Sempronio ha un credito verso Tizio e che questo credito ammonta almeno a tremila; oppure si pronuncerà (con autorità di giudicato) sull’esistenza di tutto il credito opposto, quindi anche su quella sua parte che non é necessaria ai fini della compensazione (“Sì, Sempronio ha un credito verso Tizio, questo credito ammonta a seimila, di questi seimila la metà compensano il credito di Tizio”)?

Docente: Io credo che il giudice debba accertare l’esistenza del credito opposto per tutta la quantità dichiarata dall’opponente e non solo per la quantità utile per la compensazione – e ciò mi portano a credere sia il principio di economia processuale sia il fatto stesso che nell’articolo 35 si preveda l’ipotesi che l’accertamento del credito opposto superi la competenza del giudice adito (ipotesi che non avrebbe senso se il giudice di pace - per rifarci all’esempio, prima introdotto, di un credito di seimila opposto a un credito di tremila - si dovesse limitare ad accertare l’esistenza del credito fino all’ammontare di tremila: in tal caso non si comprenderebbe perché l’accertamento a lui demandato dovrebbe superare la sua competenza!).

Discente: Vero é che allora non si comprende perché il giudice non dovrebbe fare ancora un passo avanti e, senza limitarsi all’accertamento del credito opposto, condannare la controparte al pagamento di quel che residua dopo effettuata la compensazione (mentre tradizionalmente ciò viene ammesso). Ma archiviamo la questione tra le tante che si prestano a soluzioni opinabili e passiamo ad un’altra domanda: se la questione, nata dall’eccezione di compensazione, supera la competenza del giudice adito, questi rimette al giudice superiore la decisione sia sul credito preteso sia sul credito opposto? Ad esempio, se Tizio pretende di avere

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un credito di tremila verso Sempronio, e questo oppone un credito di seimila, il giudice di pace rimette al tribunale la decisione sia sul credito di tremila sia sul credito di seimila? così come dispone l’articolo 34 per le questioni pregiudiziali (abbiamo visto infatti che, se la questione pregiudiziale supera la competenza del giudice adito, egli rimette al giudice superiore “tutta la causa”).

Docente: No, l’articolo 35 deroga all’articolo 34 in due sensi: I - nel senso che, se il credito opposto non é contestato, il giudice adito decide su di esso (naturalmente trattenendo presso di sé tutta la causa) anche se supera la sua competenza; II – nel senso che, “se la domanda é fondata su un titolo non controverso o facilmente accertabile”, il giudice adito, rimette, sì, al giudice superiore la decisione sul credito opposto, ma trattiene la decisione sulla domanda: insomma le due controversie, quella sulla fondatezza dell’eccezione e quella sulla fondatezza della domanda...prendono strade diverse.

Discente: Come si giustificano tali deroghe?

Docente: La prima si giustifica molto semplicemente col fatto che la non contestazione del credito opposto rende la questione sulla sua esistenza tanto semplice che il legislatore ritiene di poterne lasciare la soluzione anche al giudice inferiore,La seconda deroga si spiega col fatto che, il decidere la domanda indipendentemente dalla decisione sull’eccezione di compensazione, non comporta di per sé il rischio di quell’errore (nella decisione) che, invece, si avrebbe qualora si decidesse una “questione dipendente” a prescindere dalla decisione della sua questione pregiudiziale. Mi spiego: se Tizio domanda tot a titolo di alimenti a Caio e questi eccepisce “No, non ti devo gli alimenti perché non sei mio figlio”, per cui ne nasce una questione pregiudiziale sullo status, il giudice decidendo la domanda sugli alimenti indipendentemente dalla soluzione della questione pregiudiziale (sullo status), rischia effettivamente di commettere un errore, di riconoscere un diritto (agli alimenti) che in realtà non esiste. Invece, decidendo sulla domanda indipendentemente dalla decisione sulla eccezione di compensazione, il giudice non corre il rischio di riconoscere un diritto che in realtà non esiste, ma corre solo il rischio, o meglio lo fa correre alla parte che ha sollevata l’eccezione, che questa paghi il credito dell’avversario e poi...resti insoddisfatta del suo credito (del credito cioé che aveva opposto in compensazione).Un rischio questo che peraltro può essere eliminato “subordinando l’esecuzione della sentenza alla prestazione di una cauzione” - così come l’ultima parte dell’articolo 35 dà facoltà al giudice di disporre.

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Discente: Passiamo ora all’esame dell’art. 36, che – sotto la rubrica “Cause riconvenzionali” - recita: “Il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purchè non eccedano la sua competenza per materia o valore; altrimenti applica le disposizioni dei due articoli precedenti” Docente: Quindi Tizio, che é stato convenuto da Caio per il pagamento del prezzo del quadro M, può proporre a sua volta la domanda che Caio sia condannato alla consegna del quadro – e quel che importa può proporre tale domanda (c.d. domanda riconvenzionale, dato che, di solito anche se non sempre, parte dal convenuto) allo stesso giudice Severino del tribunale di Genova, che già deve decidere sulla domanda proposta da Caio.

Discente: Ma Tizio può fare questo anche se Caio, il suo avversario, risiede a Torino? non contrasterebbe ciò con il disposto dell’articolo 18?

Docente: Certo che vi contrasterebbe; ma il legislatore, per permettere a Tizio di proporre la sua domanda (riconvenzionale) nello stesso processo in cui si discute già la domanda contro di lui proposta da Caio, é disposto a consentire, non solo una deroga alle norme sulla competenza territoriale, ma addirittura una deroga alla competenza per materia e per valore.

Discente: Presenta dunque così grandi vantaggi la trattazione in un unico processo delle domande di Caio e di Tizio?

Docente: Indubbiamente, si. Prima di tutto, presenta il vantaggio di consentire una notevole economia di attività processuale sia per il giudice che per le parti (ad esempio permettendo a Tizio di giovarsi del patrocinio dello stesso difensore Cicero sia per la difesa nella causa in cui chiede la consegna del quadro sia per la difesa nella causa in cui é richiesto del pagamento del prezzo del quadro). In secondo luogo, evita una contraddittorietà dei giudicati in un caso in cui tale contraddittorietà, non solo costituirebbe un vulnus al prestigio della magistratura (cosa che di per sé troppo non preoccuperebbe il legislatore), ma rappresenterebbe una patente ingiustizia per una delle parti (Tizio é stato condannato a pagare il prezzo nel presupposto della validità del contratto e, poi, a Tizio viene negata la consegna del quadro nel presupposto ….della invalidità del contratto: non sarebbe questa una inammissibile ingiustizia?!).

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Discente: Ma da quel che capisco l’ammissione di una domanda riconvenzionale comporterebbe anche qualche inconveniente.

Docente: Si, comporterebbe l’inconveniente di ritardare la decisione della domanda principale: la domanda proposta dal convenuto Tizio potrebbe (maliziosamente? perché proposta proprio a tal fine?) ritardare la decisione sulla domanda (volta ad ottenere il pagamento del prezzo) proposta dall’attore Caio.Proprio per questo il legislatore non permette la proposizione di qualsiasi domanda riconvenzionale (ad esempio Tizio, convenuto per il pagamento del prezzo del quadro, non potrebbe domandare che Caio sia condannato a restituirgli una somma datagli a mutuo).

Discente: Neanche permette la proposizione delle domande riconvenzionali attinenti allo stesso oggetto della domanda principale?

Docente: No, il legislatore non ha ritenuto di ammettere la proposizione in via riconvenzionale di tale tipo di domande anche se, come abbiamo visto, egli non ha esitato a disporre, nell’articolo 33, per tali domande (id est, per le domande connesse per l’oggetto) una deroga alla competenza.

Discente: Ma, se per titolo di una domanda si debbono intendere i fatti costitutivi del diritto con la domanda fatto valere, qualora Tizio, il convenuto del nostro precedente esempio, eccepisca un fatto modificativo o estintivo di tale diritto, ad esempio un accordo transattivo, Caio, l’attore, potrà proporre a sua volta una domanda per far dichiarare l’inefficacia di tale fatto estintivo / modificativo (per riferirci all’esempio introdotto, per far dichiarare la nullità della transazione dedotta)?.

Docente: Sì, lo potrà, perché il legislatore si é fatto carico della situazione da te segnalata ed ha ammesso la proponibilità (in via riconvenzioanle), non solo delle domande che “dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore”, ma anche delle domande che dipendono dal titolo “che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”.

Discente: Che comporta il riferimento agli articoli 34 e 35?

Docente: Il riferimento all’articolo 34 comporta che, se l’attore Caio propone la domanda A, volta ad ottenere il pagamento del prezzo del quadro, davanti al giudice di pace, e il convenuto Tizio, a sua volta, in via riconvenzionale, propone

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una domanda B rientrante per valore o per materia nella competenza del tribunale, il giudice di pace deve rimettere al tribunale la decisione sia della domanda B del convenuto B sia (in deroga alle norme generali sulla competenza) della domanda A dell’attore.

Discente: E il riferimento all’articolo 35?

Docente: Il riferimento all’articolo 35 comporta un’eccezione all’articolo 34 e, quindi, a quanto ora abbiamo detto; nel senso che il giudice di pace: se la domanda riconvenzionale B non é contestata, riterrà la sua competenza a decidere, non solo sulla domanda A, ma anche sulla domanda B (ecco un’altra deroga alla competenza!); se la domanda riconvenzionale B é invece contestata e la domanda A “é fondata su titolo non controverso o facilmente accertabile”, egli potrà conservare la sua competenza a decidere sulla domanda A (ma dovrà naturalmente rimettere la decisione sulla domanda B al tribunale).

Discente: Dobbiamo ora passare all’esame dell’articolo 40 che - sotto la rubrica “Connessione” - recita: “Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali per ragione di connessione possono essere decise in un solo processo, il giudice fissa con ordinanza alle parti in termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale e negli altri casi davanti a quello preventivamente adito.- La connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d’ufficio dopo la prima udienza e la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse.(....)”Ometto di leggere gli altri commi dell’articolo perchè contengono disposizioni del tutto marginali: i commi 3, 4, 5 mirano a risolvere i problemi che nascono quando per le cause riunite occorre seguire riti diversi (il rito ordinario e un rito speciale oppure due riti speciali); i commi sei e settimo disciplinano la competenza per connessione tra le cause di competenza del giudice di pace e del giudice togato, in base al principio che il cumulo delle cause va sempre realizzato presso il giudice togato.Tu anche se incidenter tantum hai già detto qualche cosa sulla disposizione del comma sesto (che esprime il principio in questione) e penso che altro non meriti di essere aggiunto.

Docente: Forse però, val la pena di riportare la risposta data dal sempre ottimo Luiso (e tratta dal suo commento all’art. 40 in “Codice di procedura commentato”, editore IPSOA) all’ovvia domanda “Ma in che cosa i commi in questione innovano le regole comuni?”. Ecco la risposta (del Luiso): “La deviazione rispetto alle regole

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comuni si coglie sia sotto il profilo della derogabilità anche delle competenze forti (non ammessa, secondo la corrente interpretazione, da alcuna delle norme degli artt. 31 ss), sia sotto il profilo della forza attrattiva assegnata alla causa di competenza del giudice togato indipendentemente dal suo prospettarsi come causa “principale” (mentre, almeno negli artt. 31 e 32, per la garanzia e l’accessorietà, vale l’opposta regola della attrazione della “causa principale” ed anche in favore di un giudice inferiore). Di conseguenza l’attrazione al giudice superiore togato deve qui verificarsi anche se la causa di sua competenza sia quella accessoria o di garanzia e, comunque, sempre anche a danno della competenza per materia del giudice di pace”. Val al pena ancora aggiungere che autorevolmente i commi in questione non escludono l’applicabilità, anche nel processo davanti al giudice di pace dei meccanismi, alternativi alla rimessione di tutta la causa al Tribunale, previsti negli articoli 35 e 36 (quindi ad esempio, il giudice di pace conserva la competenza sul credito opposto in compensazione ancorché eccedente in valore i cinquemila euro se tale credito non é contestato).

Discente: Detto ciò passiamo a parlare del primo comma dell’articolo 40.

Docente: Fino ad adesso abbiamo esaminato norme (gli artt. 31 ss.) che danno a Tizio la facoltà, a certe condizioni naturalmente, di proporre più domande in un simultaneus processus. Però ben può essere che Tizio, tale facoltà, non utilizzi: che egli, ad esempio, domandi al giudice Primus il capitale della somma mutuata e al giudice Secundus i relativi interessi (mentre per l’articolo 31 avrebbe potuto proporre cumulativamente le due domande); che, ancora per fare un altro esempio, egli, - convenuto da Caio davanti al giudice Primus con una domanda diretta ad ottenere la consegna della res compravenduta - chieda, sì, il pagamento del relativo prezzo, ma non al giudice Primus, bensì al giudice Secundus (mentre per l’art. 36 avrebbe potuto proporre in via riconvenzionale tale domanda al giudice Primus).

Discente: Senza dubbio Tizio avrà anche avuti i suoi buoni motivi per rinunciare all’economia di attività processuale che il simultaneus processo consente e per correre il rischio di una contraddittorietà dei giudicati, ma Caio, la controparte, e l’autorità giudiziaria, perchè dovrebbero subire tale rischio? perché dovrebbero subire la perdita di tempo e di denaro che la rinuncia al simultaneus processus comporta? Non mi pare che ce ne sia ragione!

Docente: E proprio perché di ciò non c’é ragione, il legislatore impone, nell’articolo

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in esame, al giudice di provvedere alla riunione di quelle cause che, ancorchè connesse, pendessero davanti a giudici diversi.

Discente: Ho capito la ratio dell’art. 40; ma non capisco perchè il legislatore voglia che la riunione delle cause avvenga, nei casi di cui agli articoli 31 e 32, davanti al “giudice della causa principale e, negli altri casi, “davanti a quello preventivamente adito”: io in tutti i casi avrei operato la riunione in capo al giudice della causa più avanzata nell’istruttoria: se nella causa A il giudice Primus già ha sentiti i testi, già ha disposta una perizia, mentre il giudice Secundus della causa B...non ha fatto un bel nulla, io, se fossi il legislatore, riterrei opportuno che la causa B trasmigrasse nella competenza del giudice Primus e non viceversa; se non altro per non azzerare il lavoro del bravo giudice Primus.

Docente: In realtà tale lavoro non verrebbe per nulla azzerato; infatti, anche in caso di spostamento di una causa da un giudice all’altro al fine di realizzare il simultaneus processus, si applica l’articolo 50; il quale, proprio per evitare l’inconveniente da te segnalato, dispone che la causa sradicata dall’originario giudice, se riassunta nei termini, “prosegue davanti al nuovo giudice”: ciò significa che il giudice Secundus del tuo esempio potrebbe benissimo utilizzare le prove raccolte dal suo collega Primus. Ma il punto non é questo. Il punto é che il criterio da te proposto sarebbe di difficile applicazione (fuori del caso limite da te esemplificato), infatti non sarebbe facile determinare quale di due cause, entrambe, sia pur parzialmente, istruite, é più “avanzata”; mentre i criteri scelti dal legislatore sono di facile applicazione e in più, il criterio che porta alla riunione in capo al giudice della causa principale, é in armonia col disposto degli articoli 31 e 32 (che vogliono che la causa accessoria e di garanzia siano proposte al giudice della causa principale) e, il criterio che porta alla riunione in capo al giudice “prevenuto”, fa sì che probabilmente a trattare ulteriormente delle due cause sia proprio il giudice che ha maturata più attività processuale (dato che si ha ad presumere che egli, avendo incominciato prima la trattazione, anche di più l’abbia portata avanti).

Discente: Ma anche quando la riunione avvenisse in capo al giudice che che ha maturata più attività, se le cause fossero in un diverso stato di avanzamento, resterebbe il fatto che la definizione dell’una verrebbe ritardata dal necessario completamento dell’istruttoria dell’altra: metti che il giudice Primus per la causa A avesse già sentito tutti i testi, per cui, se la riunione non ci fosse stata avrebbe potuto metterla in decisione: dopo la riunione, più non lo potrebbe fare, perché prima dovrebbe sentire i testi relativi alla causa B.

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Docente: Tale inconveniente é stato tenuto ben presente dal legislatore, il quale, nel comma due dell’articolo in esame, infatti dispone che “la rimessione non può essere ordinata quando lo stato della causa principale o preventivamente proposta non consente l’esauriente trattazione e decisione delle cause connesse” - che é un modo, non del tutto felice ma abbastanza chiaro, per dire che la rimessione non va disposta quando l’esauriente trattazione di una causa ritarderebbe la definizione dell’altra.

Discente: Ma il legislatore non si limita a dire questo, nel comma da te citato: dice anche che “la connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata d’ufficio dopo la prima udienza”.

Docente: Si, ma questo é un altro discorso: il legislatore pone un limite temporale al rilevamento della connessione per le stesse ragioni (diverse da quella ora presa in esame) per cui, come vedremo, pone dei limiti al rilevamento della incompetenza.

Discente: Con la differenza però che l’attività compiuta dal giudice Simplicius - di cui avrebbe potuto essere rilevata eccepita o rilevata la incompetenza per territorio, valore, materia - sarà pur sempre un’attività utile; mentre l’attività compiuta dal giudice Severus, di cui avrebbe dovuto essere rilevata la incompetenza per connessione, sarà inutile o addirittura dannosa nel senso che costituirà duplicato dell’attività di un altro giudice o addirittura porterà a una contraddittorietà dei giudicati: se io fossi stato il legislatore non avrei posto limiti alla rilevabilità della connessione e invece avrei pensato...meglio tardi che mai.

Docente: Ma tu non sei il legislatore.

Discente: Fino ad adesso abbiamo ragionato nel presupposto che le cause connesse o in rapporto di continenza pendessero davanti a due giudici appartenenti a due uffici giudiziari diversi: una metti davanti al tribunale di Genova, l’altra, metti, davanti al tribunale di Milano. Però può anche accadere che le due cause connesse pendano davanti a giudici dello stesso ufficio giudiziario (davanti a due sezioni del tribunale di Genova, metti) o addirittura davanti allo stesso giudice (metti davanti allo stesso giudice Severus): che succede allora?

Docente: La riunione delle cause naturalmente si farà lo stesso; cambierà solo il meccanismo per l’individuazione del giudice in capo a cui la riunione deve avvenire.

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Questo in un doppio senso: sia nel senso che l’individuazione del giudice, che dovrà continuare la trattazione delle due cause, sarà fatta (in caso naturalmente che esse non pendano davanti allo stesso giudice) dal presidente dell’ufficio; sia nel senso che i criteri in base a cui avverrà tale individuazione non saranno necessariamente quelli indicati negli articoli 39, 40 (ad esempio il presidente potrà dare il compito di decidere le due cause al giudice adito per ultimo, se la causa da questi curata è in un grado più avanzato di trattazione). Tutto questo ti risulterà meglio dalla lettura dell’articolo 274.

Lezione 13 - Litispendenza

Docente: L’istituto della litispendenza é disciplinato dal primo comma dell’articolo 39, che recita. “Se una stessa causa é proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo”.

Discente: Ma quand’é che si può dire che la causa pendente davanti al giudice Primus sia la “stessa” della causa pendente davanti al giudice Secundus?

Docente: Questa é la maggiore difficoltà che presenta l’interpretazione della disposizione in esame. Per superarla tradizionalmente si offre il seguente criterio: due cause sono identiche quando intervengono tra gli stessi soggetti, hanno la stessa causa petendi, hanno lo stesso petitum.E bisogna riconoscere che di massima l’applicazione di tale criterio porta a giusti risultati. Però non é sempre così. Per cui certe volte prima di dichiarare (in base al criterio ora indicato) che la causa (pendente davanti a due giudici) é la “stessa” é meglio fare...la prova del nove: vedere se, eliminando una delle due cause pendenti, si avrebbe, o no, un caso di denegata giustizia. Per meglio farti rendere conto di ciò ti propongo questo caso: il socio Bianchi domanda al giudice Primus di annullare l’assemblea dei soci tenuta il 06.09.2011 (causa A); il socio Rossi domanda al giudice Secundus di annullare la stessa assemblea dei soci e per gli stessi motivi fatti valere dal Bianchi (causa B): si può dire che davanti al giudice Primus e al giudice Secundus pende la stessa causa?

Discente: No, perché le due cause hanno lo stesso petitum, hanno la stessa causa petendi ma intervengono tra soggetti diversi.

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Docente: Eppure sta sicuro che l’Autorità giudiziaria riterrebbe la litispendenza e ordinerebbe la cancellazione dal ruolo di una delle due cause. E farebbe bene, perché se, mettiamo, venisse cancellata dal ruolo la causa B, nulla impedirebbe al Rossi (che l’ha proposta) di far valere le ragioni dell’annullamento davanti al giudice Primus e, bada bene, continuando ad utilizzare le prove già dedotte e raccolte davanti al giudice Secundus: insomma non si potrebbe per nulla dire che gli é stata denegata giustizia.Ti faccio ora un altro caso: causa A: Tizio conviene Caio davanti al giudice Primus domandando che sia dichiarato che il fondo M é di proprietà sua, e non di Caio, perchè da lui usucapito; causa B: Tizio conviene Caio davanti al giudice Secundus domandando che sia dichiarato che il fondo M é di proprietà sua e non di Caio (ma non perché da lui usucapito, bensì) perché da lui acquistato da Caio stesso. Secondo te la causa A e la causa B possono ritenersi una “stessa causa”?

Discente: Certamente, no; dato che, sì, i soggetti e il petitum sono identici, ma diversa é la causa petendi.

Docente: E invece certamente (e giustamente!) un giudice riterrebbe la litispendenza partendo dal presupposto dell’identità tra le due cause e sempre partendo da tale presupposto disporrebbe la cancellazione di una delle due. E in realtà questa cancellazione di una causa non potrebbe per nulla ritenersi una forma di denegata giustizia, dato che nulla impedisce a Tizio, se, metti, fosse cancellata la causa B, di far valere la causa petendi, già fatta valere in tale causa B, nella causa A.

Discente: Ma se si ammettesse questo, se cioè si ammettesse Tizio a far valere tale causa petendi, allora si dovrebbe anche ammettere che, se Tizio, davanti al giudice Primus, domanda mille a Caio come rimborso di un mutuo fattogli e, davanti al giudice Secundus, domanda ancora mille ancora allo stesso Caio a titolo però di risarcimento, egli, intervenuta per una qualsiasi causa la cancellazione della causa davanti al giudice Secundus, possa chiedere al giudice Primus mille sia come rimborso del mutuo sia come risarcimento del danno

Docente: No, qui la situazione sarebbe diversa, tanto è vero che, se Tizio chiedesse al giudice Primus mille sia come rimborso del mutuo sia come risarcimento e il giudice ritenesse valide entrambe le causae petendi, il giudice gli dovrebbe riconoscere il diritto a duemila (mille + mille); mentre nel caso in cui Tizio facesse valere l’usucapione e il contratto di acquisto come causae petendi della rivendica dell’immobile M e il giudice ritenesse valide entrambe le causae petendi, il

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giudice non gli riconoscerebbe il diritto ….a due immobili M.

Discente: De hoc satis: altro problema, altra domanda: quale dei due giudici (davanti a cui pende la causa) ne decreterà...la morte (cioé la “cancellazione dal ruolo”)?

Docente: Quello successivamente adito, se le cause pendono davanti a due uffici giudiziari diversi.

Discente: E se pendono davanti a giudici dello stesso ufficio o addirittura davanti allo stesso giudice?

Docente: In tal caso non si avrà...nessuna esecuzione capitale: nessuna delle due cause verrà cancellata dal ruolo, ma esse semplicemente verranno riunite.

Discente: Nel caso pendano davanti a due giudici (metti davanti a due sezioni) dello stesso ufficio chi indicherà il giudice in capo al quale dovrà avvenire la riunione?

Docente: Il presidente dell’Ufficio come meglio ti risulterà dalla lettura dell’articolo 273.

Lezione 14 – Il difetto di competenza e di giurisdizione

(Le note sono in calce al paragrafo)

Discente: Che succede se un giudice difetta di competenza e ciononostante lui e/o le parti svolgono attività processuali: le parti depositano memorie, fanno istanze, lui, il giudice, prende provvedimenti, escute testi, ecc.ecc.?

Docente: L’ipotesi da te prospettata é difficile che si realizzi (per i termini brevissimi concessi, come subito vedremo, dal legislatore, alle parti, per eccepire e, al giudice, per rilevare la incompetenza). Però può realizzarsi (ad esempio, nel caso che il giudice, aderendo a una interpretazione della legge molto discutibile, non decida subito sull’eccezione, ma, riservandosi di decidere su di essa insieme al merito, per intanto prosegua nella trattazione della causa).

Discente: Mettiamo che, comunque sia tale ipotesi si realizzi.

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Docente: In tal caso, bisogna fare tre ipotesi.I- Prima ipotesi: il giudice di merito si é dichiarato incompetente (o é stato dichiarato incompetente dalla Corte di Cassazione, a cui si é ricorso), e le parti hanno riassunto la causa davanti al giudice, indicato come competente, nei termini prescritti dall’art. 50: in tal caso l’attività svolta dalle parti e dal giudice conserva in pieno la sua validità; infatti, come dice espressamente l’art. 50, “se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine (….) il processo continua davanti al nuovo giudice;II- Seconda ipotesi: il giudice si é dichiarato incompetente, ma le parti non riassumono nei termini prescritti dal legislatore: in tal caso, il processo si estingue (vedi sempre art. 50 co.2); e ciò significa che si applica l’art. 310 (le prove potranno essere valutate in un nuovo processo solo come argomenti di prova, tutti i provvedimenti del giudice, compresa la ordinanza del giudice che ha ordinata la sua incompetenza, diventano “inefficaci”, salvo improbabili sentenze di merito e, fatto importante, la sentenza della Corte di Cassazione che abbia deciso sulla competenza, in seguito a quella procedura di “regolamento di competenza” di cui parleremo).III- Terza ipotesi: il giudice ha deciso la questione sulla competenza insieme con il merito (evidentemente perché si é ritenuto competente) e la sentenza é stata impugnata: in tal caso io ritengo che la interpretazione migliore - argomentata dall’art. 50, dall’art. 156 e da me accettata superando le perplessità che potrebbero nascere dall’art. 158 - porti a ritenere la validità dell’attività svolta, non solo dalle parti, ma anche dal giudice e in particolare la validità delle prove da questi escusse (salva, naturalmente, la facoltà del giudice di appello di rinnovarle – v. art. 356).

Discente: Però, nonostante tale salvataggio delle attività svolte dalle parti e dal giudice, mi pare evidente l’opportunità che quanto prima la questione sulla competenza sia chiarita e risolta.Docente: E ciò che appare evidente a te, appare evidente anche al legislatore, che, a tal fine: I - permette anche al giudice di rilevare d’ufficio l’incompetenza, salvo che si tratti di incompetenza per territorio diversa da quella prevista dall’art. 28 (vedi art.38 al co.3); II- stabilisce termini brevissimi, alle parti, per eccepire l’incompetenza e, al giudice, per rilevarla (vedi comma 1 e 3 art. 38); III, rende “ferma” l’indicazione, del (diverso) giudice competente, fatta dal giudice adito, se le parti costituite aderiscono a tale indicazione (vedi meglio, il secondo comma art. 38);

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IV.- costruisce una sorta di scorciatoia per adire alla Corte di cassazione, il c.d. “regolamento di competenza”;V- rende vincolante la decisione della Corte di Cassazione anche per il giudice dell’eventuale processo iniziato dalle parti dopo aver lasciato estinguere quello in cui era intervenuta la dichiarazione di incompetenza (arg. ex co 2 art. 310); VI, nel caso che la decisione sulla competenza avvenga insieme col merito, ammette, sì, che tale decisione possa “essere impugnata” “nei modi ordinari quando insieme con la pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito”, ma, anche in tal caso, dà facoltà alle parti di “saltare” il giudizio di appello per adire subito alla Corte di Cassazione con il regolamento di competenza; VII, rende incontestabile la incompetenza del giudice che l’ha pronunciata e la competenza del giudice indicato da lui come competente, se l’ordinanza relativa non é impugnata “con istanza di regolamento e la causa viene riassunta davanti al giudice indicato (vedi meglio l’art. 44); VIII, non permette al giudice indicato come competente di declinare la propria competenza, ma gli permette solo di “richiedere d’ufficio il regolamento di competenza” (vedi meglio l’art. 45).

Discente: Ma da che cosa é caratterizzato il ricorso per cassazione nella forma del “regolamento di competenza”?

Docente: E’ caratterizzato soprattutto dalla celerità e, cosa molto interessante per i giovani colleghi, dal fatto che é “aperto” anche ai non cassazionisti: infatti al difensore (nella causa in cui si é posta la questione di competenza) é concesso di proporre l’istanza di “regolamento” anche se non iscritto nell’Albo degli avvocati ammessi a difendere davanti alle giurisdizioni superiori (vedi meglio l’articolo 47).

Discente: Voltiamo pagina. Abbiamo parlato dell’incompetenza, ora parliamo del difetto di giurisdizione.

Docente: Per il difetto di giurisdizione si può a grandi linee ripetere quel che si é detto per la incompetenza. E ciò é naturale: infatti, come il legislatore ha interesse a che sia definita al più presto la questione sulla competenza, a che il pericolo di una dichiarazione di incompetenza non incomba sull’operato del giudice e delle parti come una spada di Damocle, così, per un motivo simile, ha interesse a che sia definita al più presto la questione sulla giurisdizione. Quindi: I- anche in relazione alla giurisdizione é prevista quella scorciatoia ad adire la Corte di Cassazione che é il “regolamento di giurisdizione” (art. 41);

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II, anche in relazione alla giurisdizione, il legislatore cerca di impedire quel palleggiamento da giudice a giudice (il giudice A declina la giurisdizione a favore del giudice B, il quale la declina a favore del giudice A o C....) che é il grosso pericolo in subiecta materia - e come lo impedisce? lo impedisce vietando al giudice B, che si ritiene privo di giurisdizione, di declinarla, e imponendogli di investire, invece, della questione sulla giurisdizione, la Corte di Cassazione (vedi meglio il co.3 art. 59 Legge 18 giugno 2009 n.69, riportato nella nota 2); lo impedisce, ancora, vincolando le parti all’indicazione, fatta dal giudice a quo, del giudice munito di giurisdizione, nel caso esse riassumano la causa davanti a questo nei termini prescritti (vedi meglio il comma secondo dell’art 59 riportato in nota 2); lo impedisce, infine, stabilendo (vedi comma uno sempre dell’art. 59 riportato in nota 2) che “la pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione é vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo”.

Discente: Queste, le similarità, ma vi saranno anche le differenze.

Docente: E’ così; e le principali sono: I, che le parti non sono jugulate a sollevare il difetto di giurisdizione in limine del processo, ma possono farlo (attivando il “regolamento di giurisdizione”!) “finché la causa non sia decisa nel merito” (vedi co.1 art. 41); II,che il regolamento di giurisdizione ha carattere “preventivo”, il che significa che, mentre la parte, in materia di competenza, per ricorrere in cassazione deve attendere che il giudice si “pronunci sulla competenza”, invece, in materia di giurisdizione, può adire la Corte a prescindere dell’esistenza di una pronuncia sulla giurisdizione (vedi comma 1 art. 41); III, che l’istanza introduttiva del regolamento di giurisdizione (attenti, giovani colleghi!) deve essere sottoscritta da un “cassazionista”; IV, che il regolamento di giurisdizione non si presenta come l’unico strumento (lo strumento “necessario”) per impugnare la decisione, che ha declinato la giurisdizione senza decidere nel merito, ma ad esso si aggiunge l’appello (ma, altra differenza, una volta che la causa “sia decisa nel merito”, non vi é più la possibilità di “saltare” l’appello per adire direttamente la Corte di cassazione – vedi l’incipit dell’art. 41 – possibilità che invece, come abbiamo visto, per il disposto dell’art. 43, sussisteva in materia di competenza), V, che il giudice di appello, se ritiene che il giudice di primo grado aveva quella giurisdizione, che invece aveva declinato, non trattiene la causa per deciderla lui (come invece avviene in caso di sentenza del giudice di primo grado, che abbia dichiarato la propria incompetenza), ma “rimanda le parti davanti al primo giudice” (v. art. 353):

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VI. che pur in caso di riproposizione nei termini prescritti della domanda davanti al giudice indicato come munito di giurisdizione, le prove raccolte davanti al giudice a quo perdono di validità, potendo essere valutate solo come argomenti di prova (vedi comma 5 art 59 riportato in nota 2).

Discente: Così abbiamo parlato del difetto di giurisdizione “del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione o dei giudici speciali”, ma non può esistere anche un difetto di giurisdizione del giudice nazionale rispetto al giudice straniero?

Docente: Naturalmente, sì, ma non é regolato dal codice di procedura civile ma dalla legge 31 maggio 1995 n.218 (che ha riformato il sistema di diritto internazionale privato).

Note1) Il legislatore prevedendo che la eccezione di incompetenza possa essere sollevata solo nella comparsa di risposta, esclude implicitamente che tale eccezione possa essere sollevata dall’attore. Perché? Per il principio di autoresponsabilità stabilito dall’art. 157 co 3.2) L’art. 59 della Legge 18 giugno 2009 n.69, recita: 1- Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione é vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.2- Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda é riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui é stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile.3- Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa é riassunta può sollevare d’ufficio con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.4- L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio, comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

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5- In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova”.

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CAPITOLO SECONDO

LE GIUSTE PARTI

Lezione 15 - Processo: Actum trium personarum

Docente: Anche il giudice più competente, se lasciato a se stesso, solo soletto a decidere una causa, senza che nessuno che gli alleghi dei fatti, gli porti delle prove, gli proponga le possibili interpretazioni della norma, ben difficilmente potrebbe giungere ad emettere una sentenza giusta.Ecco perché il processo é actum trium personarum; ecco perché la sentenza é il risultato della collaborazione (sia pure di una collaborazione sui generis): del giudice; di una parte (c.d. attore) che allega i fatti, porta le prove, propone le tesi favorevoli all’accoglimento della domanda; di una parte (c. d. convenuto) che allega i fatti, porta le prove, prospetta le tesi favorevoli al rigetto della domanda.

Discente: Davvero sempre il processo é, come tu dici, actum trium personarum?

Docente: Sempre nel processo penale, dove é massima l’esigenza dello Stato di giungere ad una sentenza giusta; non sempre nel processo civile, in cui tale esigenza si affievolisce e lo Stato ammette che il giudice possa giungere alla sentenza anche dopo un processo claudicante, anche dopo un processo, cioé, di cui protagoniste siano state, non tre, ma solo due persone.

Discente: Il giudice e l’attore.

Docente: Oppure il giudice e il convenuto; dato che a latitare nel processo (in termini tecnici, a essere contumace) può essere sia l’attore che il convenuto (come a tempo debito ci riserviamo di vedere meglio). Comunque il concetto che ti volevo trasmettere é che il processo, che dà la massima garanzia di concludersi con una sentenza giusta, é quello che vede come protagonisti: un giudice, un attore, un convenuto.

Discente: Un giudice, un attore, un convenuto qualsiasi?

Docente: No, un giudice che sia un giusto giudice, un attore e un convenuto che siano le giuste parti.

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Lezione 16 - Imparzialità e terzietà del giudice - Sua astensione e ricusazione

Discente: Tu, nella precedente lezione, hai detto che il meccanismo del processo abbisogna, per funzionare bene, non solo di “giuste parti”, ma anche di un “giusto giudice”: qual’é la qualità principale di questo “giusto giudice”?

Docente: Senza dubbio, la imparzialità: egli non deve avere interesse, poco importa se materiale o morale, all’accoglimento o al rigetto della domanda.Si comprende, quindi, come il legislatore – quando tale interesse vi é (ad esempio viene impugnata davanti al giudice la delibera assembleare di un condominio di cui egli fa parte) o semplicemente vi sono circostanze che, tale interesse, fanno sospettare (ad esempio, il giudice o il coniuge é parente di una delle parti o di uno dei difensori) – imponga (art.51) al giudice di astenersi dal giudicare e dia alle parti il potere (art.52) di ricusarlo (così provocando la sua esautorazione dall’ufficio di giudicare in quella causa).

Discente: Vanno considerati come tassativi i casi indicati nell’articolo 51 in cui, nel giudice, vi é l’obbligo di astenersi e, nelle parti, il potere di ricusarlo?

Docente: Si; però nell’ultimo comma sempre dell’articolo 51, il legislatore, anche se non impone più l’obbligo, dà la facoltà al giudice di astenersi “in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza”.

Discente: In questi casi in cui sussistono “gravi ragioni di convenienza” per l’astensione, le parti possono ricusare il giudice?

Docente: No, le parti possono ricusare il giudice solo nei casi (tassativamente) indicati nel primo comma dell’articolo 51.

Discente: Nel numero 4 dell’articolo 51 il legislatore impone l’obbligo di astensione al giudice che nella causa “ha deposto come testimone oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico”. Eppure io non vedo perché in tali casi si dovrebbe sospettare un interesse del giudice ad una data soluzione della causa (se lo si é ritenuto tanto imparziale da ammetterlo a giudicare nel primo grado del processo, perché mai non lo si dovrebbe ritenere tanto imparziale da giudicare nel suo secondo grado?).

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Docente: Effettivamente in tali casi di un vero e proprio interesse del giudice a dare una certa soluzione alla causa non si può parlare; però indubbiamente in tali casi l’aver egli, in un precedente grado del processo, espresse delle dichiarazioni sulla verità o meno di un fatto rilevante, per decidere sulla fondatezza della domanda, o, peggio, l’aver egli espresso un giudizio su tale fondatezza, crea in lui una propensione a ripetere tali dichiarazioni e tale giudizio. Ecco perché, anche in tali casi, l’articolo 51 impone l’obbligo di astensione. Ecco perché l’articolo 111 della Costituzione, nel suo secondo comma, vuole il giudice, non solo imparziale, ma anche “terzo”, cioè immune da quei condizionamenti psicologici che potrebbero a lui derivare da una sua precedente attività nel processo. Più precisamente il secondo comma dell’art.111 Cost. recita: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”.Manifestazione precipua della volontà legislativa di preservare la terzietà del giudice é il c.d. “principio della domanda”, che esclude che il giudice possa autoinvestirsi di una causa o, in altri termini, possa autoproporsi la domanda sulla cui fondatezza dovrà giudicare: ma di tale principio parleremo nella prossima lezione.

Lezione 17 - I giusti contraddittori

Docente: Poniamo che, davanti al “giusto giudice”, di cui abbiamo parlato in una precedente lezione, il signor Bianchi faccia valere un suo diritto al risarcimento: “Passeggiavo tranquillamente quando certo Rossi mi ha investito: chiedo che Lei, giudice, condanni il Rossi al risarcimento”.Ora, il giudice nulla sa dell’incidente, nulla sa delle modalità in cui si é svolto: é chiaro che ha bisogno che qualcuno, chiamiamolo il signor X, gli porga gli elementi e le prove che confortano la fondatezza della domanda (del signor Bianchi). Meglio – siccome il signor X potrebbe, in buona o mala fede, dare una falsa rappresentazione della realtà – occorre che vi sia anche qualcun altro, chiamiamolo il signor Y, che gli indichi e deduca gli eventuali elementi e le eventuali prove che dimostrano la infondatezza di tale domanda. Ancor meglio, occorre che il signor X sia messo in grado di conoscere e di replicare agli elementi e alle prove dedotti dal signor Y, e viceversa. In altre parole occorre - a che lui, il giudice, possa prendere una giusta decisione - che questa sia preceduta da un contraddittorio tra il signor X e il signor Y.

Discente: Sì, ma perché il contraddittorio esplichi veramente la sua funzione di

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illuminare il giudice (su quella che é la più giusta decisione da prendere), quelli, che tu hai voluto chiamare il signor X e il signor Y, non possono essere scelti a casaccio: debbono essere i “giusti contraddittori”, le “giuste parti”. Per cui ti domando: quali sono le “giuste parti” di una causa, le parti più adatte a sostenere il contraddittorio davanti al giudice?

Docente: L’ideale sarebbe che fosse chiamato a sostenere il contraddittorio chi rispondesse ai seguenti requisiti: I – avesse la migliore conoscenza dei fatti di causa; II – avesse il maggior interesse a portare a conoscenza del giudice tali fatti di causa. Tuttavia, non sempre chi possiede il requisito I possiede anche il requisito II, e viceversa; ad esempio, Tizio, che su mandato di Sempronio ha in suo nome acquistato un bene, conosce certamente più di Sempronio le modalità della vendita (i discorsi passati tra lui e l’acquirente, se l’acquirente sapeva, o no, di quel certo vizio della cosa, e così via), però é certamente meno interessato di Sempronio a far conoscere al giudice gli elementi, che, metti, dimostrerebbero l’inesistenza di quei vizi della volontà o della cosa venduta di cui l’acquirente vorrebbe farsi forte per non pagare il prezzo.

Discente: E allora, a chi, il legislatore, attribuisce il compito di sostenere la “domanda”?

Docente: Al titolare del diritto, che con la domanda si fa valere; considerandolo, giustamente, il più interessato a far conoscere al giudice i fatti che, del diritto, confortano l’esistenza, e contando ch’egli voglia e sappia procurarsi la conoscenza di tali fatti da chi eventualmente in essi fosse, più di lui, addentro.

Discente: Ciò mi pare molto logico ed assennato; ma mi puoi indicare la norma da cui risulta?

Docente: Una norma che dica ciò chiaramente, non te la posso indicare, per la semplice ragione che non esiste; però ti posso indicare norme che, più o meno fortemente, “puntellano” il discorso da me prima fatto. Tali norme sono, per cominciare: l’articolo 99 (che recita “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”) e l’articolo 81 (che recita “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”): dal primo di tali articoli, risulta che la “domanda”, cioé l’atto che mette in moto tutto il meccanismo processuale, deve partire “da chi fa valere il diritto” (al cui riconoscimento la domanda é finalizzata); dal secondo di tali articoli, cioé dall’articolo 81, risulta che, chi può far valere un diritto, é solo il suo titolare:

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quindi, dal combinato disposto dei due articoli, risulta che l’input al processo può essere dato solo dal titolare del diritto che vi si fa valere. Quanto al fatto che sia poi questi a sostenere il contraddittorio....

Discente: Stop. Permettimi di fermarti: a me sembra che dall’articolo 81 risulti solo che Caio non potrebbe far valere il diritto di Tizio a proprio nome, ma non che Caio non possa far valere il diritto di Tizio a nome di Tizio.

Docente: Ma una comunis opinio nega ciò (salvo naturalmente i casi in cui Caio agisce nel processo come rappresentante di Tizio). Comunque già ti ho detto che chiare norme in subiecta materia non sussistono. Dunque lasciami proseguire: il fatto che, poi, ad agire nel processo, cioé a sostenere il contraddittorio, sia proprio chi ha proposta la domanda (idest, per quel che abbiamo visto, il titolare del diritto ecc.ecc.), risulta da tutto il complesso della normativa contenuta nel codice e in particolare dagli articoli 163 e 165. Dall’ articolo 163, e precisamente dal suo ultimo comma (che recita “L’atto di citazione, sottoscritto a norma dell’articolo 125, é consegnato dalla parte o dal procuratore all’ufficiale giudiziario il quale lo notifica....”), risulta che, il primo atto, diciamo il primo passo nel processo (cioé la consegna della domanda all’ufficiale giudiziario), é compiuto da chi ha redatto e sottoscritto la domanda (e infatti solo questi ha la disponibilità dell’atto di citazione e quindi può farne consegna all’ufficiale giudiziario); dall’articolo 165 (che recita: “L’attore, entro dieci giorni......deve costituirsi in giudizio...depositando in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione....”), risulta evidentemente, anche se non espressamente, che parlando di “attore” il legislatore vuole riferirsi, a chi ha sottoscritta la domanda e l’ha consegnata all’ufficiale giudiziario; il complesso poi delle norme che fanno dello “attore” uno dei protagonisti del contraddittorio, consente all’interprete di fare l’equazione: persona chiamata a sostenere il contraddittorio = attore = persona che ha sottoscritta la domanda = titolare del diritto fatto valere.

Discente: Va bene, sia pur arrampicandoti sugli specchi, hai individuato, nel titolare del diritto, colui a cui spetta di sostenere, nel contraddittorio, la sua esistenza; ora però devi dire come avviene l’individuazione di colui a cui spetta di sostenere (nel contraddittorio), di tale diritto, l’inesistenza.

Docente: Orbene, la individuazione del convenuto (questo è il termine con cui si designa colui che é chiamato a sostenere il contraddittorio in antitesi con l’attore) é fatta dall’attore; che però, naturalmente, non può farla...a capoccia (se no, sarebbe troppo facile per lui vincere la causa: basterebbe che scegliesse come suo

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contraddittore...lo scemo del paese).

Discente: Ma esiste una norma del codice che indica i criteri, che l’attore deve seguire per individuare il suo contraddittore?

Docente: Esiste se...ti accontenti. Insomma una norma che dica chiaramente “Tu, attore, devi “convenire” in giudizio la persona che ha questo e quest’altro requisito”, non c’é. Però una norma, che indica in qualche modo il requisito che deve avere il “convenuto”, esiste, ed é l’articolo 100; che recita (occhio alla sua ultima parte): “Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa é necessario avervi interesse”.

Discente: Quindi l’attore deve convenire in giudizio chi ha interesse a contraddirlo.

Docente: Più precisamente (il legislatore qui evidentemente minus dixit quam voluit) chi ha il maggiore interesse a contraddirlo.

Discente: E chi sarà colui che ha “il maggiore interesse a contraddirlo”?

Docente: A seconda che si eserciti un’azione di condanna, o di mero accertamento, o costitutiva, sarà: nel primo caso, la persona di cui l’attore chiede la condanna a qualche cosa (se Tizio chiede che Caio sia condannato a X, il convenuto dovrà essere Caio); nel secondo caso, la persona che con il suo comportamento di contestazione o di iattanza costringe all’accertamento del diritto dell’attore (se Tizio chiede l’accertamento del suo diritto di proprietà in seguito alle contestazioni di Cornelio, convenuto dovrà essere Cornelio); nel terzo caso, la persona nella cui sfera giuridica viene ad incidere la sentenza (se Tizio chiede l’annullamento del contratto da lui stipulato con Sempronio, convenuto dovrà essere Sempronio). Discente: Ma il giudice deve sempre prendere un provvedimento solo dopo avere ascoltato le parti in contraddittorio tra di loro?

Docente: No, non sempre: questa é una regola che ammette delle eccezioni. Ad esempio, in certi casi, in cui la domanda si presenta confortata da prove documentali particolarmente rassicuranti, il giudice può ingiungere alla controparte di adempiere a questo o a quel obbligo senza averla prima sentita (é il caso contemplato nella procedura per decreto ingiuntivo disciplinata negli artt. 633 ss). Ancora ad esempio, nel caso in cui sia chiesto contro una persona un

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provvedimento (pensa a un sequestro), di cui questa persona potrebbe eludere l’esecuzione se preventivamente ne fosse posta a conoscenza, il giudice può emettere tale provvedimento senza prima sentirla (é il caso contemplato nella procedura per provvedimento cautelare disciplinata dagli artt.669bis e ss.).

Discente: E non si dà a tale persona la possibilità di difendersi?

Docente: Certo che le si dà la possibilità di far le sue ragioni, ma dopo che il provvedimento é stato emesso; per cui si parla di “contraddittorio differito”. Ma sul punto ci riserviamo di tornare a tempo debito.

Lezione 18 - Divieto di sostituzione processuale

Docente: Sotto la rubrica “Sostituzione processuale” l’articolo 81 recita: “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.

Discente: L’articolo va letto nel senso che – mentre Tizio non può far valere in nome proprio il diritto di Caio – egli può far però valere il diritto di Caio in nome di Caio?

Docente: Assolutamente, no: in realtà il legislatore vuole dire che “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge” Tizio non può far valere in nome proprio il diritto (metti di servitù) di Caio e fuori dei casi in cui ne abbia la rappresentanza (tutore, padre esercente la potestà, persona munita di procura ad hoc...) non può far valere in nome di Caio il diritto di Caio”.

Discente: Qual’é la differenza tra Tizio che fa valere un diritto di Caio in nome proprio e Tizio che fa valere un diritto di Caio in nome di Caio?

Docente: In ipotesi di soccombenza, nel primo caso, tenuto a pagare (all’avversario) le spese processuali sarà Tizio, nel secondo caso, invece, le spese ricadrebbero su Caio.

Discente: Quindi, se a Tizio viene proibito di far valere il diritto di Caio, quando, in caso di esito sfortunato della causa, Caio non ci rimetterebbe le spese processuali, a maggior ragione gli sarà impedito di far valere il diritto di Caio, quando, in caso di esito sfortunato del processo, le spese, inciderebbero, non su di lui, ma su Caio.

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Chiarito questo, resta da spiegare perché una persona non può far valere nel processo un diritto altrui (in nome proprio e, ancor meno, in nome del titolare del diritto): in che cosa nuoce al titolare del diritto? Ad esempio, Tizio che esercita il diritto di servitus altius non tollendi, che spetta a Sempronio, sul fondo limitrofo di Caio, in che cosa nuoce al primo, a Sempronio?

Docente: Prima di tutto bisogna intendersi sul significato delle parole: infatti le parole “esercizio della servitù di Sempronio” possono avere due diversi significati: I- (primo significato) possono voler dire che Tizio domanda al giudice di dichiarare l’esistenza della servitù e stop; II (secondo significato) possono voler dire che Tizio, ottenuta la sentenza che dichiara la servitù e condanna alla demolizione delle opere abusive, la esegue costringendo Caio alle disposte demolizioni.Presa, la tua domanda, in questo secondo significato, la risposta (da darle) é chiaramente e facilmente positiva: si, Tizio facendo valere nel processo la servitù di Sempronio, lo danneggia - e questo in quanto lo priva della possibilità di ottenere, in cambio dell’omesso esercizio della servitù (in cambio della rinuncia a chiedere la demolizione delle opere abusive), una qualche utilità da Caio: questi, é chiaro, se la decisione, sul far demolire o no eventuali opere (abusive in quanto compiute in spregio alla servitù), non dipendesse dalla sola volontà di Sempronio, ma anche da quella di un qualsiasi altro Tizio, non avrebbe più interesse a pagare un qualche prezzo a Sempronio per ottenere da lui la rinuncia a tale demolizione.

Discente: D’accordo, Tizio, esercitando la servitù di Sempronio (nel significato testè preso in considerazione) danneggia Sempronio, il titolare del diritto; ma in che cosa lo danneggia se esercita la servitù unicamente nel senso (corrispondente al primo dei significati da te attribuiti alle parole “esercizio del diritto” ecc.) che si limita a domandare al giudice una sentenza che la servitù dichiari e anche, perché no? ordini la demolizione delle opere abusive (libero Sempronio, poi, di far eseguire tali demolizioni, o no)?

Docente: Effettivamente da un siffatto esercizio dei diritto (da parte di un terzo, da parte di Tizio), il titolare del diritto, Sempronio, in nulla verrebbe danneggiato; dato che, se la causa andasse male, non potrebbe essere condannato alle relative spese (art. 91) e la sentenza (negativa della servitù) non avrebbe per lui nessuna efficacia. Però un danneggiato ci sarebbe sempre, e sarebbe Caio, il proprietario del fondo servente (come tale convenuto in giudizio). Questo perchè, la possibilità data (dal legislatore) a un terzo, a Tizio, di esercitare il diritto (che Sempronio pretende verso Caio), porrebbe Caio in questa svantaggiosa situazione: che, mentre le sentenze a

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lui favorevoli, in quanto negatorie del diritto di servitù, non vincolerebbero Sempronio, invece, delle sentenze affermative del diritto (ottenute contro di lui) Sempronio si potrebbe giovare. E la cosa più grave é, che ciò darebbe a Sempronio un facile mezzo per eludere il principio ne bis in idem (in forza del quale, intervenuta una sentenza passata in giudicato che esclude l’esistenza di un diritto, questo non può più essere giudizialmente fatto valere – il tutto detto in estrema sintesi).

Discente: Perché mai Sempronio potrebbe eludere tale principio.

Docente: Metti che Sempronio sia un furbacchione: egli sa che il diritto di servitù da lui preteso é molto discutibile e allora che fa (o meglio potrebbe fare, se non esistesse l’articolo 81)? semplice, dà incarico a Tizio I di farlo valere in suo nome (id est, a nome di lui, Tizio): se il giudice riconosce l’esistenza della servitù, bene: egli (idest egli, Sempronio) di tale sentenza si gioverà, se invece la disconosce....poco male: egli darà incarico a Tizio II di riproporre l’azione (l’actio confessoria servitutis): se questa azione avrà successo, bene, se no....poco male e così fino a che verrà trovato (e ciò non potrà mancare in base al calcolo delle probabilità) un giudice che, la servitù, riconosca.

Discente: Il tuo ragionamento fila; ma é il presupposto da cui parte che non mi convince: perché mai Sempronio potrebbe giovarsi della sentenza che riconoscesse il diritto di servitù, dal momento che alla causa (da tale sentenza conclusa) non ha partecipato?

Docente: Quel che importa é che vi abbia partecipato Caio (il proprietario del fondo servente), con tutte le possibilità di farvi valere le sue ragioni e di dedurvi le sue prove; il fatto, invece, che non vi abbia partecipato Sempronio, nulla può significare; anzi, se il giudice ha riconosciuto le sue ragioni nella sua latitanza, vuol dire che tali ragioni erano veramente buone e che, quindi, in nulla si ledono i diritti di difesa del convenuto Caio, vincolandolo alla sentenza anche nei riguardi di Sempronio. Del resto é in base a considerazioni simili che il legislatore, nel secondo comma dell’articolo 1306 C.C., ammette i concreditori solidali a far valere contro il comune debitore la sentenza che un altro concreditore abbia, contro di questi, ottenuta.

Discente: Va bene, é giusto anzi giustissimo non ammettere la sostituzione processuale. Però il legislatore ….certe volte l’ammette: risulta dallo stesso articolo 81, il cui incipit recita “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere ecc. ecc.

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Docente: Si, vi sono delle eccezioni alla regola.

Discente: Danne qualche esempio.

Docente: L’articolo 2900 C.C. che ammette la sostituzione del creditor creditoris al debitore diretto, e l’articolo!706 C.C., che consente al mandante di sostituirsi al mandatario nella rivendicazione dei beni da questi acquistati in nome proprio.Discente: Cos’é che convince il legislatore a derogare alla regola generale.

Docente: Di solito, quindi salvo casi particolari come quelli contemplati dall’articolo 111 di cui ci riserviamo di parlare a parte, convince il legislatore alla deroga la considerazione che, nel caso, il più interessato a far valere il diritto, sia il sostituto (negli esempi: il creditor creditoris, il mandante).

Discente: Ma nel caso, da te esemplificato, del creditor creditoris, che si sostituisce al suo debitore diretto, non si verifica l’inconveniente da te prima segnalato (l’inconveniente di una elusione del principio ne bis in idem)?

Docente: No: perché il legislatore pensa ad evitarlo disponendo nel comma 2 dell’articolo 2900 che “Il Creditore quando agisca giudizialmente deve citare anche il debitore al quale intende surrogarsi”.

Discente: E’ il momento ora di sciogliere la riserva prima fatta e di parlare dell’articolo 111.

Docente: Per prima cosa ti dò lettura dell’articolo, il quale – sotto la rubrica “Successione a titolo particolare del diritto controverso” - recita: “Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie. - Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte il processo é proseguito dal successore universale o in suo confronto.- In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l’alienante o il successore universale può esserne estromesso.- La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed é impugnabile anche da lui, salve le norme sull’acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione”.

Discente: Dunque, se Tizio inizia il primo marzo un processo per rivendicare, metti,

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il diritto di proprietà sull’immobile A contro Cornelio, e, il primo giugno aliena tale suo diritto di proprietà a Sempronio, il processo prosegue tra Tizio e Cornelio, anche se Tizio, avendo persa la titolarità del diritto, viene così ad esercitare un diritto altrui (il diritto di Sempronio). E lo stesso discorso va sostanzialmente ripetuto nel caso di Flavio che, dopo aver iniziato il processo di rivendica contro Rubio, muore lasciando come erede Plinio ma dando in legato a Neridio la proprietà dell’immobile: il processo prosegue tra Plinio (l’erede) e Rubio (già convenuto dal de cuius Flavio), anche se così Plinio viene ad esercitare pure qui un diritto altrui (il diritto del legatario Neridio). Ho detto bene?

Docente: Hai detto benissimo. Va solo aggiunto che il discorso va ripetuto negli stessi termini nel caso ad alienare il bene controverso oppure a decedere, sia, non l’attore, ma il convenuto.

Discente: Ma Plinio, l’erede che dovrebbe sostenere il contraddittorio, non é detto che sappia della causa e quindi la causa rischia di proseguire con un contraddittorio claudicante.

Docente: No, questo non può avvenire perché il legislatore, in caso di morte di una delle parti, dispone la interruzione del processo e consente la sua prosecuzione solo in forza di un atto di riassunzione notificato agli eredi della parte deceduta – così come ci riserviamo di vedere meglio parlando degli articoli 299 e ss..

Discente: Ma in ogni caso non si verifica l’inconveniente di una parte (l’alienante, nel primo caso, l’erede, nel secondo) disincentivata a sostenere il contraddittorio?

Docente: Proprio in considerazione di ciò il legislatore (ricordati di quel che dice il terzo comma dell’articolo ora letto) dà al “successore a titolo particolare” il potere di intervenire nella causa e dà il potere di chiamarvelo alle parti e al giudice (a quelle con l’articolo 106, a questo con l’articolo 107 – come meglio vedremo in seguito).

Discente: Ma non sarebbe stato più logico, più lineare, stabilire che il processo proseguisse tra il successore a titolo particolare e l’originaria controparte?

Docente: In tal caso, però, logica vorrebbe che tenuto a pagare alla controparte le spese (art.91), almeno quelle verificatesi dopo il suo intervento nel processo, fosse il successore a titolo particolare; la qual cosa, per la controparte, non sarebbe molto giusta.

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Discente: Che differenza farebbe per lei se a pagare non fosse Tizio (l’originaria parte processuale o l’erede dell’originaria parte processuale) ma Sempronio, il successore a titolo particolare?

Docente: Moltissima, se Tizio fosse persona ricca e solvibile e Sempronio fosse un poveraccio senza un soldo. Ed é facile immaginare i truchetti a cui ricorrerebbero i furbetti che ferquentano le aule di giustizia (“La causa va male? almeno evitiamo di pagare le spese: alieniamo l’immobile a quello spiantatato di Sempronio e il nostro avversario...rimarrà a bocca asciutta”).

Lezione 19 - I difensori delle parti: loro necessità per il corretto funzionamento del contraddittorio

Discente: Dall’articolo 82 risulta che, salvo i casi delle c.d. cause bagatellari, cioé di poco valore, le parti non possono stare in giudizio davanti al giudice di pace, se non sono rappresentate o assistite da un difensore (che potrebbe anche non essere un avvocato ma un semplice patrocinatore) e non possono stare in giudizio davanti al tribunale, la corte di appello e la corte di cassazione, se non sono rappresentate da un difensore particolarmente qualificato, cioé da un avvocato (iscritto all’Albo).Perché non lasciare che la parte si difenda da sé: perché imporle l’assistenza o addirittura la rappresentanza di un difensore “tecnico”?

Docente: Per due motivi: Primo: molti atti del procedimento vanno assoggettati a forme e termini la cui osservanza va garantita da severe sanzioni (la nullità, per l’atto compiuto in difetto di certe forme, la decadenza, per l’atto compiuto oltre un certo termine) - sanzioni la cui applicazione, però, risulta giusta solo nel presupposto che, chi è gravato dell’onere di rispettare tale termini e tali forme, ne abbia conoscenza, insomma conosca il diritto, così come lo conosce (o dovrebbe conoscerlo) un “difensore tecnico”, un Uomo di legge.Secondo motivo: il processo, per giungere ad una conclusione rapida e “felice”, deve svolgersi in un clima di serenità e di equilibrio, che si ha da temere sia turbato dalla passionalità delle parti (a meno che la frequenza delle aule giudiziarie a cui esse sono aduse non dia, in senso contrario, una garanzia - cosa per cui la parte “quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore” - vedi melius l’art. 86).

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Discente: Ovviamente il difensore lo sceglie la parte, ma da quale articolo ciò risulta?

Docente: Direttamente da nessun articolo, ma indirettamente dal primo comma dell’articolo 83, che recita: “Quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura”.

Discente: Quali poteri conferisce al difensore la procura?

Docente: Te lo dice l’articolo 84 che – sotto la rubrica “Poteri del difensore” - recita: “Quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore questi può compiere o ricevere nell’interesse della parte stessa tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati. In ogni caso non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente potere”.

Discente: Non capisco in che senso il difensore non possa compiere atti che “importano disposizione del diritto in contesa”? A me invece sembra che inevitabilmente il difensore sarà portato a compiere atti che, almeno potenzialmente, possono incidere sul diritto in contesa: basta l’omissione della produzione di un documento o della deduzione di un teste per importare la perdita della causa e quindi del diritto nella causa fatto valere; e di certo non si può sottrarre alla libera scelta del difensore la produzione, o no, di una prova!

Docente: In questo sono d’accordo con te: senza dubbio l’articolo 84 va interpretato in modo da salvaguardare la libertà dell’Uomo di legge nelle scelte difensive che la causa impone. Di conseguenza, mentre va escluso che il difensore abbia il potere di compiere atti (come la transazione) che importano rinuncia totale o parziale al diritto in contesa, si deve ammettere ch’egli tragga dalle risultanze della causa tutte quelle conseguenze che, secondo la sua interpretazione della legge e la sua coscienza, esse impongono. Pertanto: se riterrà falso un documento potrà (anzi, dovrà) non produrlo (anche se la produzione di quel documento avrebbe portato alla vittoria nella causa e la sua omessa produzione, porti alla soccombenza); se dalle prove escusse risulterà l’inesistenza dei fatti pretesi dal cliente come costitutivi del suo diritto (ad esempio, risulterà l’inesistenza dell’usucapione, dal suo cliente, vantata) potrà (anzi, dovrà) riconoscere ciò nei suoi scritti e alla fine del processo prendere le conclusioni, che tale inesistenza, impone.

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Discente: Ma che differenza c’è tra il difensore, che nelle sue conclusioni accetta le tesi dell’avversario sull’inesistenza del diritto del cliente, e il difensore, che con una transazione rinuncia al diritto del cliente. Io non la vedo?

Docente: In realtà una differenza c’è: le conclusioni rinunciatarie del difensore, certo esimeranno il giudice dal motivare il perchè nega il diritto preteso dalla parte, però, non implicando rinuncia al diritto, non impediranno alla parte di impugnare la sentenza che questo le nega (con un difensore diverso, verosimilmente!) sostenendo davanti al giudice dell’impugnazione che tale suo diritto, al contrario di quel che ritennero il precedente giudice e il precedente difensore, in realtà esiste. Va aggiunto che – ma questo é una questione di deontologia, non di diritto – che il difensore, prima di prendere decisioni “suicide”, deve contattare il cliente ed eventualmente rinunciare al mandato.

Discente: Ma il difensore può davvero rinunciare alla procura, la parte può davvero revocarla?

Docente: Certo; ciò é previsto dall’articolo 85, che recita: “La procura può essere revocata e il difensore può sempre rinunciarvi, ma la revoca o la rinuncia non hanno effetti nei confronti dell’altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore”.

Discente: Ma come: Tizio revoca l’avvocato Cicero perché non ne condivide, metti, la strategia difensiva e l’avvocato Cicero può continuare a parlare (e forse a far guasti) nel processo in nome di Tizio?

Docente: No, non é così che la norma va interpretata: la revoca, così come la rinuncia, non avranno, sì, efficacia per la controparte - che pertanto potrà continuare a fare, ad esempio, le sue notifiche, metti la notifica della sentenza (art. 285), al domicilio dell’avvocato Cicero (come l’autorizza l’articolo 170) - però, nei riguardi del giudice e della parte patrocinata, la revoca e la rinuncia avranno effetto, con la conseguenza che l’avvocato Cicero non avrà più os ad loquendum nel processo (non potrà più depositare memorie, dedurre testi, fare istanze...).

Lezione 20 - La capacità delle parti

Docente: Abbiamo visto in base a quale criterio sono scelte le “giuste parti” del

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processo: in base al criterio del loro interesse nel processo stesso.Però perché il contraddittorio sia veramente uno strumento valido per l’accertamento della verità, non basta che sia, per così dire, affidato alle persone che hanno il maggiore interesse ad azionarlo, se poi queste persone non sono in grado di individuare e tutelare convenientemente tale loro interesse.

Discente: Ma a sostenere convenientemente il contraddittorio non pensa già il difensore?

Docente: Il difensore può fare tanto, ma non può fare tutto: ci sono decisioni, alcuni atti, che li può prendere, li può compiere solo la parte in causa. Per cominciare, ed é lapalissiano, é la parte in causa che deve fare la scelta (e la eventuale revoca) del difensore. Ma a prescindere da ciò, vi sono atti che, anche quando c’é un difensore nel pieno esercizio dei suoi poteri, debbono essere compiuti dalla parte. Pensa, al deferimento del giuramento (art. 233), alla proposizione della querela di falso (art.221), alle risposte all’interrogatorio (art. 231).Insomma, ad agire nel processo, oltre al difensore, c’é la parte; per cui al legislatore del codice di procedura civile si é venuto a porre lo stesso problema che si era posto al legislatore del codice civile: dire quando una parte ha la capacità di agire - problema a cui egli ha data risposta con l’articolo 75, che – sotto la rubrica “Capacità processuale” – recita: “Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere.- Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità.- Le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma di legge e dello statuto.- Le associazioni e i comitati che non sono persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo delle persone indicate negli articoli 36 e seguenti del codice civile”.

Lezione 21 - La partecipazione del Pubblico Ministero alla causa come antidoto a un funzionamento patologico del contraddittorio

Docente: Il contraddittorio é un meccanismo che funziona solo se le parti in causa, l’attore e il convenuto, hanno interessi confliggenti. Il che non sempre accade.

Discente: Ma se non sono in conflitto tra di loro, perché le parti instaurano una causa davanti all’Autorità giudiziaria?

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Docente: Perché fare una causa, ottenere una sentenza, certe volte é per le parti un passaggio obbligato per ottenere certi effetti giuridici. Mi spiego: se io voglio dividere con i miei coeredi l’asse ereditario, non debbo necessariamente rivolgermi al tribunale: posso anche rivolgermi a un notaio, se tutti gli altri coeredi sono con me d’accordo sul se e il come effettuare la divisione. Invece, se voglio ottenere l’annullamento del matrimonio, il divorzio, la separazione dal mio coniuge, debbo per forza rivolgermi all’Autorità giudiziaria: infatti solo questa può operare un divorzio, una separazione, dichiarare la nullità di un matrimonio.

Discente: Perché questo?Docente: Perché il legislatore vuole che un divorzio, una separazione ecc. si possano dichiarare solo se sussistono certi presupposti. Ad esempio, vuole che la nullità di un matrimonio sia dichiarata solo se sussistono i presupposti indicati nell’articolo 117 e segg. C.C. (minore età, rapporto stretto di parentela....) - e teme che, se lasciata alla libera autonomia delle parti, tale dichiarazione sia fatta anche in mancanza di tali presupposti.

Discente: Ho capito il punto della questione: il legislatore costringe Marietto e Mariolina a rivolgersi al tribunale se vogliono ottenere il divorzio; essi lo fanno, ma non essendo essi in conflitto, ma tutto al contrario ben d’accordo nell’aggirare la legge e far apparire avvenuti quei presupposti (per la dichiarazione del divorzio) che invece non sussistono, quel meccanismo del contraddittorio, che nel pensiero legislativo dovrebbe permettere al tribunale di accertare la verità, si inceppa.Orbene qual’é l’antidoto trovato dal legislatore alla (possibile) collusione delle parti e al conseguente inceppamento del meccanismo del contraddittorio?

Docente: La presenza del P.M. come parte, e con tutti i poteri delle parti per quel che attiene l’attivazione della dialettica del contraddittorio (produzioni di prove, svolgimento orale e per iscritto di argomentazioni ecc. – vedi melius l’articolo 72) nelle cause in cui vi “é un pubblico interesse”, per usare le parole del terzo comma dell’articolo 70.

Discente: Parole non troppo felici, dato che in ogni causa v’è un pubblico interesse: il pubblico interesse a che essa sia decisa in modo conforme alla volontà legislativa. Vi sono solo delle cause in cui tale interesse é condiviso da almeno una delle parti in causa (ciò che porta a un funzionamento fisiologico del contraddittorio) e delle cause in cui tale interesse non é condiviso o può non essere condiviso da nessuna delle parti (private) in causa (ciò che può portare a un funzionamento patologico del contraddittorio).

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Docente: La tua osservazione é sostanzialmente giusta; ma non del tutto condivisibile.E’ vero che ci é sempre un interesse dello Stato alla retta applicazione della legge (tanto é vero che sempre, nelle cause di cassazione, il P.M. deve intervenire – v. comma secondo dell’articolo 70). E’ ancora vero che il pericolo di una collusione delle parti nell’aggirare l’applicazione della legge é un indice sicuro dell’opportunità che il P.M. intervenga in causa. Non è vero però il contrario e cioè che l’opportunità che il P.M. intervenga in una causa sussiste solo perché e quando c’é il pericolo di una collusione tra le parti: la verità é che vi sono normative alla cui esatta applicazione lo Stato tiene particolarmente (e le puoi ricavare dalla lettura dell’articolo 70), e che nelle cause in cui va fatta applicazione di tali normative la partecipazione del P.M. si rivelerebbe opportuna (anche quando si potesse tranquillamente escludere una collusione delle parti) al fine di supplire a una (in buona fede) manchevole conduzione del contraddittorio.Peraltro, dalla lettura degli articoli 69 e seguenti, vedrai che, alcune volte, la partecipazione del P.M. alla causa é obbligatoria, altre volte, facoltativa. Vedrai anche che il P.M. in alcuni casi, non solo ha il potere di partecipare alla causa promossa dall’iniziativa delle parti private, ma addirittura può prendere egli l’iniziativa di promuoverla.

Lezione 22 - L'intervento volontario

Docente: L’intervento volontario é previsto dall’articolo 105, che recita: “Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo,- Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti quando vi ha un proprio interesse”.L’articolo 105 disciplina, quindi, tre diversi istituti: I – l’intervento principale (Tizio interviene nel processo, in cui Sempronio e Cornelio si contendono la proprietà di A, per far dichiarare che A é di sua proprietà: c.d. intervento ad infringenda iura utriusque litigatoris); II- l’intervento autonomo anche detto intervento litisconsortile (Tizio interviene nel processo, in cui il coerede Sempronio vanta il credito di 100 verso Cornelio – credito avente titolo in un mutuo di 200, fatto dal de cuius a Cornelio stesso -, per vantare a sua volta il credito dei residui 100 derivante sempre dallo stesso mutuo); III- intervento ad adiuvandum (Tizio interviene nel processo, in cui Sempronio chiede la risoluzione del contratto di locazione stipulato con Cornelio, che a lui ha sublocato, ai fini di contrastare la domanda di risoluzione –

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art.1595 C.C.).Ciascuna di queste tre diverse forme di intervento ha una diversa ratio e va, pertanto, studiata separatamente. Cominciamo dalla terza, l’intervento ad adiuvandum.Come risulta dal secondo comma dell’articolo in esame, non sempre e non tutti possono intervenire nel processo già pendente tra due altre persone: può intervenire solo chi ha interesse a sostenere le ragioni di uno dei due litiganti.

Discente: Ma ques’interesse non può mai mancare in chi vuole intervenire: se Tizio é disposto a spendere soldi e tempo per intervenire in un processo tra Sempronio e Cornelio, vuol dire che vi ha interesse.Docente: Giustissimo: e quindi dobbiamo concludere che, anche qui come in molti altri istituti da noi studiati, lex minus dixit quam voluit: in realtà il legislatore vuole dire che, per intervenire, non basta che Tizio abbia un qualsiasi interesse, occorre che abbia per ciò un interesse qualificato.

Discente: Qualificato da che cosa?

Docente: Qualificato dal fatto che, il rigetto delle ragioni di Sempronio, uno dei litiganti, viene ad impedire a questo litigante l’adempimento di un obbligo che ha verso di lui (verso lui, Tizio).

Discente: Qui é meglio che tu ti spieghi con qualche esempio. Comincia a dare un esempio di interesse “non qualificato”, di interesse cioè che non legittima l’intervento.

Docente: Pensa al caso di Tizio, che abitualmente passa le vacanze estive nella bella villa che l’amico Sempronio ha sul mare. Ora il vicino di Sempronio vorrebbe chiudere il passo, che dalla villa porta alla spiaggia: un disastro, le vacanze di Tizio perderebbero il cinquanta per cento della loro bellezza: Tizio certo vorrebbe e avrebbe interesse a intervenire nel processo, in cui l’amico Sempronio vanta la servitù di passo sul fondo di Cornelio, ma non può: il suo interesse non lo qualifica a tanto.

Discente: Dà ora qualche esempio di interesse che legittima all’intervento.

Docente: Pensa al caso che ho già accennato all’inizio, il caso di Tizio che ha ricevuto in sublocazione un appartamento da Sempronio. Ora Cornelio, il locatore di Sempronio, ha citato questo in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto:

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risolto il contratto di locazione, deve sloggiare Sempronio ma anche Tizio. Quindi, non solo vi é un evidente interesse di Tizio a intervenire, per sostenere le ragioni del suo sublocatore Sempronio e opporsi alla risoluzione, ma tale interesse é qualificato (nel senso all’inizio del nostro discorso chiarito): infatti, se le ragioni di Sempronio fossero disattese e il contratto fosse risolto, Sempronio non potrebbe più adempiere al suo obbligo verso Tizio (l’obbligo di dargli in godimento l’appartamento).Altro esempio: Tizio é creditore di Sempronio. Ora questi é stato convenuto in giudizio da Cornelio, il quale rivendica la proprietà dell’immobile A (che invece Sempronio fa rientrare nel suo patrimonio). Anche qui, non solo é evidente l’interesse di Tizio a intervenire nel processo tra Cornelio e Sempronio, per sostenere le ragioni di questi, ma tale interesse è qualificato nel senso sopra chiarito: infatti, se le ragioni di Sempronio fossero disattese, potrebbe accadere ch’egli non avesse più la possibilità di pagare il suo debito verso Tizio.

Discente: Bene, ora mettiamoci nel caso che Tizio sia intervenuto e pertanto debba considerarsi parte del processo tra Sempronio e Cornelio; sì, ma parte con quali poteri?

Docente: Con i poteri necessari per eccepire tutti i fatti e dedurre tutte le prove (con un punto interrogativo, però, per quel che riguarda il giuramento e l’interrogatorio) necessari per evitare la soccombenza di Sempronio.

Discente: Quindi l’interveniente potrebbe eccepire alla controparte, Cornelio, che pretende di aver usucapito l’immobile A, un atto interruttivo della usucapione; e alla controparte, Flavio, che chiede lo sfratto, la proroga della locazione.

Docente: Senza dubbio, sì; anche se con un onere di prova particolarmente per lui rigoroso, in riguardo a certi fatti, come la violenza il dolo e l’errore (questo per motivi che qui non possiamo approfondire).

Discente: Riallacciandomi ai due esempi da te prima fatti (di intervento ammissibile),

ti voglio ora fare un’obiezione – un’obiezione che nasce dalla considerazione che Tizio non potrebbe in nessun modo interferire nella vendita dell’immobile A, che il suo debitore volesse fare a Cornelio, o nella risoluzione del contratto di locazione, che il suo sublocatore volesse effettuare con Flavio: ora, se il codice civile non dà a Tizio il potere di mettere, per così dire, i bastoni tra le ruote a Sempronio,

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dettandogli se e come deve accordarsi con Cornelio o con Flavio, perché mai il codice di procedura civile darebbe a Tizio il potere di interferire nella gestione fatta da Sempronio dei processi che lui ha contro Cornelio e Flavio?

Docente: Premetto che, al contrario di quanto tu sembri ritenere, il codice civile consente a Tizio di intervenire, sia pure ex post, nella gestione del patrimonio fatta dal suo debitore o sublocatore, per privare di efficacia i contratti che in suo pregiudizio essi avessero fatti. Questo lo avresti dovuto imparare dallo studio dell’articolo 2901 del Codice civile. Premetto ancora che il Codice di procedura - e questo tu non lo potevi sapere ma lo vedremo quando studieremo il secondo comma dell’articolo 404 - dà, agli aventi causa e ai creditori di una delle parti processuali, il potere di fare “opposizione alla sentenza, quando é l’effetto di dolo o collusione a loro danno”. Tanto premesso il ragionamento diventa molto semplice: i casi sono due: o Sempronio non solleva una eccezione e non deduce una prova, ancorché ciò sia necessario per la vittoria processuale, perché é in malafede, perché sta colludendo con la controparte, oppure non solleva l’eccezione e non deduce la prova per negligenza o incompetenza. Orbene, in nessuno dei due casi avrebbe ragione di lamentarsi, se Tizio si sostituisse a lui nel sollevare l’eccezione o nel dedurre la prova: nel primo caso, per il noto brocardo Nemo audietur suam turpitudiem invocantem (e che, tu, Sempronio, vuoi che il giudice ti porga orecchio quando ti lagni che Tizio ti impedisce di compiere..... una collusione a suo danno?!); nel secondo caso, perché dall’operare di Tizio (in sua sostituzione) nessun danno, ma anzi un vantaggio, gli deriva.

Discente: Voltiamo pagina: parliamo ora del c.d. intervento litisconcortile o autonomo, come più piaccia chiamarlo.

Docente: Come già ho accennato, tale intervento si ha quando un soggetto (Tizio) interviene in un processo tra altri soggetti (metti, in un processo tra Caio e Sempronio oppure, tra Caio e Sempronio, da una parte, e dall’altra, Cornelio) per far valere un diritto (diverso ma compatibile con quello di uno di tali soggetti) “relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo”.

Discente: Qualche esempio.

Docente: Esempio di diritto dipendente dallo stesso titolo: Tizio II, erede di Tizio I, fa valere pro quota il diritto del de cuius Tizio I ad avere una certa somma da Cornelio: il coerede Tizio III interviene nel processo per far valere la quota a lui spettante di questo stesso diritto.

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Esempio di diritto relativo allo stesso oggetto: Tizio I, trasportato nell’auto A collisa con quella B condotta da Sempronio, chiede a questi il risarcimento dei danni: TizioII, trasportato con Tizio I nella stessa auto A, interviene per chiedere anch’egli il risarcimento a Sempronio.

Discente: Quali sono le ragioni che spingono il legislatore a consentire che Tizio faccia un intervento litisconsortile nella causa tra Caio e Sempronio?

Docente: Quelle stesse che, come abbiamo già visto in una precedente lezione parlando dell’articolo 103, lo convincono a consentire a Tizio e a Caio di proporre, con lo stesso atto di citazione e nello stesso processo, le loro domande contro Sempronio (se relative allo stesso oggetto o dipendenti dallo stesso titolo): permettere a Tizio e a Caio di giovarsi l’uno dell’attività difensiva dell’altro e di ridurre, di questa, le spese (ad esempio, nominando un unico consulente tecnico).Discente: Ma come abbiamo visto studiando l’articolo 33, il legislatore non si limita a consentire (con l’art.103) il cumulo (in un unico atto di citazione) delle domande di Tizio e Caio, ma ponendosi il problema della loro possibile diversa competenza territoriale, lo risolve operando a questa delle deroghe: tali deroghe valgono anche per le domande introdotte (non con un atto di citazione, ma) con un intervento in causa?

Docente: Certamente, si.

Discente: Ma le deroghe alla competenza generale che il codice nell’articolo 33 prevede, riguardano solo la competenza territoriale; che succede quindi se, per rifarci all’esempio prima introdotto, il valore della domanda del coerede interveniente Tizio III, sommato a quello della domanda del coerede (già presente in causa) Tizio II, supera la competenza del giudice adito?

Docente: Io escluderei uno spostamento della causa al giudice superiore, e riterrei che l’intervento dovrebbe essere escluso.

Discente: Voltiamo ancora una volta pagina e parliamo dell’intervento principale.

Docente: Tale intervento, previsto nel primo comma dell’articolo 105 (come l’intervento litisconsortile), si ha quando una persona (Tizio) interviene in un processo tra altre persone (metti, il processo di Caio contro Sempronio oppure il processo tra Caio, da una parte, e Sempronio e Cornelio, dall’altra), per far valere un diritto incompatibile con quello delle due parti già in causa e “relativo allo

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oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo”. Un po’ semplificando si può anche dire: é l’intervento di una persona per far valere un suo diritto nei confronti di entrambi i litiganti (con una formula tradizionale: é l’intervento ad infringenda iura utriusque litigatoris).

Discente: Qualche esempio.

L Docente: Posso richiamarti quelli già fatti. Pensa, per avere un esempio “relativo all’oggetto dedotto nel processo”, al caso di Tizio, che interviene nel processo tra Caio e Sempronio, che si contendono la proprietà di A, per reclamare a se medesimo tale proprietà. Pensa, per avere un esempio di intervento “dipendente dal titolo dedotto nel processo”, al caso di Tizio III, che interviene nella causa in cui in cui Tizio II fa valere un suo diritto A verso Cornelio in base a un contratto B, per reclamare per sé, in base a una diversa interpretazione dello stesso contratto B, tale diritto A (verso Cornelio)

Discente: Quali sono le ragioni per cui il legislatore ammette questo tipo di intervento?

Docente: Questo tipo di intervento é ammesso, sia per ragioni di economia processuale, sia per consentire all’interveniente di prevenire una sentenza che lo pregiudicherebbe,

Discente: Ma come può pregiudicare l’interveniente Tizio una sentenza emessa tra Caio e Sempronio: res inter alios acta non nocet.

Docente: Certamente la sentenza tra Caio e Sempronio non potrebbe acquistare autorità di cosa giudicata per Tizio; e tuttavia potrebbe lo stesso danneggiarlo. Questo lo approfondiremo parlando della c.d. “opposizione di terzo” (art.404 ss.), ma già ti può convincere che una sentenza, pur non assumendo autorità di cosa giudicata, può nuocere a un terzo, la considerazione che il fatto stesso che la sentenza attribuisca, per riferirci ad un esempio prima introdotto, a Caio il diritto di proprietà invece spettante a Tizio, potrebbe a questo nuocere col rendergli più difficile la commerciabilità dell’immobile.

Discente: Abbiamo visto quando si ha il potere di intervenire, ora vediamo che poteri ha l’interveniente

Docente: -Sui poteri che ha l’interventore adesivo, noi ci siamo già espressi. Per

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quel che riguarda l’interventore litisconsortile e principale, dobbiamo ripetere, e a maggior ragione, quel che, per l’interventore adesivo, abbiamo detto: i loro poteri sono gli stessi sostanzialmente di quelli delle parti.

Discente: Fino a quando c’è tempo per intervenire?

Docente: Questo te lo dice l’articolo 268, che recita: “L’intervento può avere luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni.- Il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte, salvo che comparisca volontariamente per l’integrazione necessaria al contraddittorio”.Discente: Ma chi interviene a metà processo ha gli stessi poteri di chi (forse più diligente) é intervenuto al suo inizio?

Docente: Si, perché sarebbe assurdo dare all’interveniente il potere di proporre una domanda fino al momento della precisazione delle conclusioni e poi impedirgli di dimostrare, di tale domanda, la fondatezza.

Lezione 23 - L'intervento su istanza di parte

Docente: L’intervento su istanza di parte é previsto dall’articolo 106, che recita: “Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende essere garantita”.Dunque l’articolo 106 prevede due forme di chiamata di un terzo in causa: la chiamata per comunanza di causa e la chiamata in garanzia. Due forme (di chiamata) che però hanno identica ratio: quella di evitare che, emessa da un giudice Primus una sentenza, ad essa possa seguire la sentenza di un giudice Secundus che, contraddicendo la prima, venga a privare una parte di un diritto, che le é pacificamente riconosciuto, o venga gravarla di un obbligo, che pacificamente è ritenuto ingiusto addossarle.

Discente: E ciò come viene ottenuto?

Docente: Vincolando il terzo, potenziale parte nella causa davanti al giudice Secundus, al decisum del giudice Primus.

Discente: Fai un esempio.

Docente: Eccolo: Tizio, il cui fondo é intercluso (art. 1051 C.C.), conviene in

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giudizio Sempronio per ottenere una servitù di passo sul suo fondo. Sempronio si difende sostenendo che, sì, il fondo di Tizio é senza dubbio é intercluso e a questi spetta una servitù di passo, ma che di tale servitù va gravato, non il suo fondo, ma quello di Cornelio. Ora ragioniamo ab absurdo: poniamo che l’articolo 106 non esista, che Tizio non possa chiamare in causa, di conseguenza assoggettandolo a quella che sarà la decisione del giudice Primus, Cornelio, che cosa potrebbe accadere? Potrebbe accadere che il giudice Primus accolga le difese del convenuto (“Sì, la servitù spetta ma sul fondo, non di Sempronio, ma di Cornelio”) e neghi il diritto di passo sul fondo di Sempronio. Poco male se poi il giudice Secundus, a cui dovrebbe rivolgersi Tizio per ottenere la servitù sul fondo di Cornelio, la concedesse; però potrebbe accadere il contrario (il giudice Secundus potrebbe sentenziare “Sì, la servitù spetta ma, siccome il passo é più agevole sul fondo di Sempronio, su tale fondo va costituita”). Risultato (del tutto ingiusto): Tizio si vedrebbe negare in pratica un diritto che in teoria nessuno gli nega. Noi abbiamo finora ragionato ab absurdo, cioè nel presupposto che l’articolo 106 non fosse stato scritto, invece fortunatamente é stato scritto e permette di evitare la ingiustizia di cui sopra: infatti in forza dell’articolo 106, Tizio potrà chiamare in causa Cornelio e di conseguenza anche questi sarà vincolato dalla decisione del giudice Primus: se questi dirà che il fondo in cui più agevole é il passo é il suo, egli non potrà più contestare ciò davanti al giudice Secundus (se davanti al giudice Secundus Tizio dovrà rivolgersi, avendo il giudice Primus ritenuto che della servitù non vada gravato il fondo di Sempronio).

Discente: Ingegnoso certamente il marchingegno. Ma perché non permettere a Tizio, non solo di chiamare Cornelio a partecipare alla causa davanti al giudice Primus, ma altresì di proporre subito contro di lui una domanda di costituzione coattiva di servitù (col vantaggio così di evitare di rivolgersi al giudice Secundus qualora il giudice Primus non concedesse la servitù sul fondo di Sempronio)?

Docente: E in effetti ciò, pur nel silenzio del codice, per una comunis opinio (giustificata dall’evidente economia processuale da te segnalata), é permesso: Tizio può, sia limitarsi a chiamare in causa Cornelio (c.d. chiamata non “innovativa”), sia chiamare in causa Cornelio e contestualmente domandare contro di lui una sentenza costitutiva della servitù (c.d. chiamata “innovativa”). Naturalmente la domanda di Tizio si presenterà come una domanda alternativa (“Chiedo la costituzione di una servitù o sul fondo di Sempronio o sul fondo di Cornelio”) o come una domanda subordinata (“Chiedo la costituzione di una servitù sul fondo di Sempronio, in subordine, su quello di Cornelio”).

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Discente: Nell’esempio da te fatto, chi ha interesse alla chiamata in causa, é l’attore: fai un esempio in cui invece l’interesse è del convenuto.

Docente: Ecco l’esempio: Sempronio, che ha ricevuto in locazione l’ immobile A da Tizio, viene convenuto in giudizio davanti al giudice Primus da Cornelio, il quale sostiene di aver acquistato l’immobile A da Tizio e pretende da lui il pagamento del canone locatizio. Sempronio, il conduttore, certo non vuole rifiutarsi di pagare il canone; però non vuole neanche correre il rischio di dovere, prima, ottemperare a una sentenza del giudice Primus di condanna (al pagamento del canone verso Cornelio) e, poi, di essere convenuto in giudizio davanti al giudice Secundus da Tizio, il quale, negando di aver mai venduto l’immobile, chieda anche lui (come già Cornelio) il pagamento del canone. Come può Sempronio evitare tale rischio? Semplice, applicando l’articolo 106, chiamando in causa Tizio, che di conseguenza verrà vincolato dalla decisione del giudice Primus: se questa dirà che l’immobile é stato venduto a Cornelio, Tizio non potrà più sostenere di essere, lui, il proprietario dell’immobile e richiedere il canone (davanti al giudice Secundus).E’ chiaro che in questo secondo esempio l’interesse a chiamare in causa il terzo é del convenuto. E non dell’attore.

Discente: -Gli esempi da te finora fatti sono evidentemente di chiamata per “comunanza di causa”: fai qualche esempio di chiamata “in garanzia”.

Docente: L’esempio classico di tale forma di chiamata é quello di Tizio che, dopo aver acquistato l’immobile A da Sempronio, viene chiamato in causa da Cornelio, il quale rivendica a sé la proprietà dell’immobile. Nel caso, Tizio, in forza dell’articolo 106, potrà sia limitarsi a chiamare in causa Sempronio sia proporre, contestualmente alla chiamata in causa, una domanda per il riconoscimento del diritto alla garanzia (art. 1483 ss. C.C.) – domanda naturalmente condizionata all’accoglimento della rivendica del terzo Cornelio: in entrambe le ipotesi Sempronio risulterà vincolato dal decisum del giudice Primus (in una eventuale causa davanti al giudice Secundus).

Discente: E se Tizio non effettuasse la chiamata in garanzia?

Docente: Si esporrebbe al rischio che gli venga negato, prima, il diritto di proprietà e, poi, il diritto di garanzia - questo mentre é pacifico che o l’uno o l’altro gli spetterebbe.Lo stesso discorso può ripetersi per il fideiussore Cornelio, che, convenuto dal creditore Tizio, non provvedesse a chiamare in garanzia il debitore principale,

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Sempronio: rischierebbe di vedere, prima, affermato (dal giudice Primus) il suo obbligo a pagare il creditore Tizio e, poi, negato (dal giudice Secundus) il diritto ad essere rimborsato dal debitore principale (che sostenesse l’inesistenza del diritto del creditore).

Discente: Tu hai detto che il terzo, Sempronio, chiamato davanti al giudice Primus, con ciò stesso resta vincolato dalla decisione che questo andrà a prendere; ciò é giusto, però, solo a patto che, davanti al giudice Primus, Sempronio possa esercitare tutti i poteri necessari per la sua difesa, né più né meno che le altre parti in causa.

Docente: E così é, secondo me (anche se autorevolmente, te ne debbo avvisare, si tende a ridurre i poteri del terzo chiamato, in caso di chiamata in causa non innovativa: Tizio si limitare a chiamare in causa Sempronio senza avanzare verso di lui nessuna domanda).

Discente: La chiamata in causa può effettuarsi in deroga alle norme generali sulla competenza?

Docente: Certamente, sì, per quel che riguarda la competenza per territorio: Sempronio, convenuto in rivendica da Tizio, davanti al tribunale di Milano può (in forza dell’art.32) chiamare davanti a questo tribunale Cornelio, anche se questi risiede a Genova. Per quel che riguarda la competenza per valore bisogna invece stare attenti.

Discente: Attenti a che cosa?

Docente: Al fatto che si tratti di garanzia propria, cioè prevista dalla legge (come la garanzia per l’evizione, la garanzia del debitore principale verso il fideiussore...) e non di garanzia impropria, di cui é esempio tipico, quella che nasce, per i vizi della cosa, nelle vendite c.d. a catena (e di cui ha diritto, il commerciante al dettaglio verso il commerciante all’ingrosso, il commerciante all’ingrosso verso il fabbricante....). Infatti nel primo caso (garanzia propria) la giurisprudenza riconosce l’applicabilità dell’articolo 32 (per cui, se il giudice Primus é un giudice di pace e la domanda di garanzia é di competenza del tribunale, il giudice di pace deve trasmettere sia questa che la domanda principale al tribunale; mentre, sia detto per inciso, non vale il contrario: se la domanda principale pende davanti al tribunale e la domanda di garanzia é di competenza del giudice di pace, il tribunale trattiene entrambe le domande); nel secondo caso (garanzia impropria), invece, la

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giurisprudenza non riconosce l’applicabilità dell’articolo 32 – per cui, se, ad esempio, la causa principale pende davanti al giudice di pace e la domanda di garanzia é di competenza del tribunale, questa non si può proporre. Ma, bada bene, non si può proporre la domanda, però la chiamata in causa (chiamata in causa non innovativa) quella, sì, che si può effettuare.

Discente: Da chi può partire la chiamata del terzo: dall’attore? dal convenuto?

Docente: Può partire sia dal convenuto, ed é il caso statisticamente più frequente, sia dall’attore, sia addirittura dal chiamato in causa.Ciò risulta chiaramente dal codice; e precisamente dall’articolo 167 (per quel che riguarda il convenuto), dall’art.183 co.5 (per quel che riguarda l’attore), dall’art. 271 (per quel che riguarda il chiamato in causa).

Discente: Ma il comma 5 dell’articolo 183 dà, sì. la possibilità all’attore, nella prima udienza di trattazione, di “richiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo”, ma solo “se l’esigenza é sorta dalle difese del convenuto”.Docente: Ma tu non devi pensare che ciò costituisca una menomazione delle possibilità difensive dell’attore: infatti quelle stesse persone che l’attore non può chiamare in forza di una chiamata in causa, le avrebbe potute chiamare nell’atto di citazione.

Lezione 24 - Intervento iussu iudicis

Docente: L’istituto che andiamo ora a toccare (l’intervento iussu iudicis) e l’istituto che toccheremo nella prossima lezione (il litisconsorzio necessario), hanno questo in comune, che vanno studiati tenendo presente il c.d. principio della domanda (da noi trattato in una lezione ad hoc) - principio che, in estrema sintesi, vuole che sia il soggetto titolare del diritto, a scegliere il momento in cui farlo valere. Invece, nei due istituti in questione, avviene il contrario, il titolare del diritto é “comandato” dal giudice di farlo valere.

Discente: Opportuna la premessa, ma dì ora da quale articolo è previsto l’intervento iussu iudicis.

Docente: E’ previsto dall’articolo 107, che recita: “Il giudice quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa é

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comune, ne ordina l’intervento”.

Discente: Ma che cosa si intende per “causa comune”, quand’é che può dirsi che la causa pendente tra Tizio e Caio é comune al terzo Cornelio?

Docente: In realtà l’espressione “causa comune” non ha un preciso significato: é come una scatola vuota che l’interprete deve riempire. Però, nonostante la nebulosità, diciamo così, del pensiero legislativo, alcuni punti fermi si possono lo stesso porre.Il primo é che l’istituto della chiamata iussu iudicis non é posto per tutelare l’interesse delle parti in causa.

Discente: Perché dai ciò per certo?

Docente: Perché le parti in causa, già dall’articolo 106 – l’articolo che abbiamo esaminato nella lezione precedente – sono munite di tutti i poteri necessari a chiamare un terzo in causa quando ciò é necessario alla loro difesa.Discente: Però ben può essere che le parti in causa (forse perchè mal rappresentate da un difensore negligente o incompetente) non si rendano conto del loro interesse a chiamare nel processo il terzo; per cui potrebbe essere opportuno che il giudice suggerisse loro, ciò che che il loro interesse reclama.

Docente: Nessun dubbio che possa esserci un difensore tanto addormentato o incompetente da non capire che l’interesse del suo rappresentato esige la chiamata del terzo, molto dubbio, invece, che il giudice possa sbilanciarsi a colmare le defaillances difensive di una parte; é comunque da escludersi che l’ordine del giudice, di cui parla l’articolo 107 possa essere equiparato a un semplice suggerimento. Lo é tanto poco che la sua inosservanza é colpita da una sanzione, sia pure sui generis: la cancellazione della causa dal ruolo. Lo stabilisce il secondo comma dell’articolo 270 recitando: “Se nessuna delle parti provvede alla citazione del terzo, il giudice istruttore dispone con ordinanza non impugnabile la cancellazione della causa dal ruolo”.

Discente: D’accordo allora sul primo punto fermo da te fissato: il potere dato al giudice di ordinare la chiamata del terzo, non mira, nel pensiero legislativo, a surrogare un cattivo esercizio da parte della difesa dei poteri a lei concessi dall’art.106. Passiamo al secondo punto che tu vuoi “fermo” e indiscutibile nell’interpretazione dell’art. 107.

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Docente: Il secondo punto fermo nell’interpretazione dell’articolo 107, é che essa deve conciliarsi il più possibile col c.d. principio della domanda: certamente l’istituto dell’art. 107 fa violenza a tale principio, l’interprete, però, deve ridurre al massimo tale violenza. Questo significa che il giudice può chiamare in causa un terzo solo quando, indipendentemente dalla chiamata in causa, la sentenza avrebbe esteso i suoi effetti diretti o “riflessi” sul terzo.

Discente: Quindi tu verresti ad ammettere la chiamata in causa dei soli soggetti che potrebbero già intervenirvi (ai sensi del comma due dell’art. 105): ad esempio, i creditori della parte (che subiscono i c.d. “effetti riflessi” della sentenza), gli aventi causa, il subconduttore della parte (comma secondo dell’art. 1595 C.C.).

Docente: E’ così.

Discente: E come giustifichi l’esercizio da parte del giudice di un potere a loro favore?

Docente: Col fatto che il codice esclude la necessità di una loro partecipazione al processo, facendo conto che il contraddittorio sia efficacemente sostenuto (anche nel loro interesse) dalla parte in causa (dal debitore, dal dante causa, dal sublocatore...). Però il giudice può accorgersi che così non é: che la parte in causa é negligente nella difesa o addirittura fa nascere il sospetto di colludere con la controparte. In tal caso l’art.107, dando al giudice il potere- dovere di ordinare la chiamata in causa del terzo (del creditore, dell’avente causa...), gli permette di riequilibrare il contraddittorio.

Discente: Tu dici che il giudice “deve” in tali casi ordinare la chiamata del terzo: però in realtà l’articolo 107 sembra rimettere a una valutazione di opportunità l’ordine del giudice.

Docente: Quel che tu osservi é giusto; e senz’altro anch’io accetto l’insegnamento tradizionale che vede la differenza tra l’istituto del litisconsorzio necessario e l’istituto dell’intervento jussu iudicis, nel fatto che, nel caso del primo istituto, l’ordine di integrazione del contraddittorio é dovuto e necessario, nel caso del secondo, invece, é rimesso a un giudizio di opportunità del giudice. Quello che volevo dire é solo che, il giudice, quando riconosce che la chiamata del terzo é opportuna, deve ordinarla.

Discente: Tu dici che l’ordine di chiamare un terzo può essere dal giudice dato

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solo nell’interesse del terzo; ma non solo questo interesse é meritevole di tutela: lo sono anche l’interesse all’economia processuale e quello ad evitare la contraddittorietà dei giudicati. Poni questo caso: Tizio, danneggiato in un incidente stradale, domanda che Caio sia condannato al risarcimento; mentre questo si difende sostenendo che, non lui, bensì un certo Cornelio, é il proprietario dell’auto investitrice: perché io, giudice Primus, che subito vedo che, se prosciolgo Caio, si renderà inevitabile una causa tra Tizio e Cornelio (con inevitabile spendita di tempo e di risorse per l’autorità giudiziaria, con possibilità di una contraddittorietà dei giudicati) non posso costringere subito Tizio a chiamare in causa Cornelio?

Docente: Ti potrei rispondere: perché così verresti a inferire un vulnus al principio della domanda. Debbo però riconoscere che, in non pochi casi, la chiamata iussu iudicis potrebbe supplire a una (latitante) chiamata a istanza di parte, senza inferire a tale principio un vulnus significativo.

Discente: Tale tua affermazione va spiegata con un esempio.

Docente: Pensa al caso di Tizio, proprietario di un fondo intercluso, che ha convenuto Sempronio per avere un passaggio sul suo fondo: metti che, su comando di un giudice (che evidentemente non condivide le tesi da me sopra espresse), egli chiami in causa anche Cornelio (proprietario dell’altro fondo su cui il passaggio sarebbe possibile). A questo punto i casi sono due: o il giudice dichiara che il passo più adeguato é quello sul fondo di Sempronio e allora, sì, il formarsi del giudicato sul punto, anche nei confronti di Cornelio brucia, per così dire, il diritto di passo che Tizio sul fondo di questi potrebbe vantare.

Discente: Ma, scusa se ti interrompo, che cosa può importare a Tizio di non poter vantare un diritto di passo sul fondo di Cornelio, se gli viene riconosciuto il diritto di passo sul fondo di Sempronio?

Docente: Appunto, non importa niente: il vulnus al principio della domanda é stato del tutto innocuo. Continuo il discorso: mettiamoci ora nell’altra alternativa: il giudice riconosce come più adeguato il passo sul fondo di Cornelio: qui la parte non avrebbe da lamentarsi, ma addirittura da rallegrarsi che il principio della domanda fosse stato dal giudice vulnerato e che lei sia stata costretta a mettere in gioco il suo diritto, dato che per lei tale gioco é risultato vincente.

Discente: Allora tu ammetteresti una chiamata iussu iudicis anche per tutelare l’interesse all’economia processuale e l’interesse ad evitare la contraddittorietà dei

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giudicati?

Docente: Questo non l’ho detto. Dico anzi che ritengo opportuna una interpretazione il più possibile restrittiva dell’articolo 107 e limitata ai casi in cui il terzo sarebbe legittimato all’intervento adesivo. Però l’articolo 107, come già ho avuto modo di notare, é in definitiva una norma in bianco, una lavagna su cui il giurista può scrivere quel che vuole; purchè abbia ben s’intende, una certa serietà e fondatezza. E una interpretazione (dell’art. 107), che ammettesse, nei casi da me segnalati, l’ordine di chiamata a tutela dell’interesse all’economia processuale e dell’interesse ad evitare la contraddittorietà dei giudicati, tale serietà e fondatezza avrebbe.

Discx. Voltiamo pagina. Fino a quale momento processuale il giudice può emettere il suo ordine?

Docente: In ogni momento; te lo dice il primo comma dell’articolo 270, recitando: “La chiamata di un terzo nel processo a norma dell’articolo 107 può essere ordinata in ogni momento dal giudice istruttore per un’udienza che all’uopo egli fissa”.

Discente: Questo al contrario della chiamata su istanza di parte, che può essere al contrario effettuata solo in limine litis, come meglio si é visto nella precedente lezione.

Lezione 25 - Il litisconsorzio necessario

Docente: L’istituto che andiamo a studiare, il litisconsorzio necessario, rappresenta, come l’istituto che abbiamo studiato nella precedente lezione, l’intervento iussu iudicis, una deroga al c.d. principio della domanda: questo principio vorrebbe che fosse il titolare di un diritto a decidere se e quando farlo valere; invece vedremo che, almeno nella maggior parte dei casi che vanno ritenuti di litisconsorzio necessario, la parte può essere “costretta” dal giudice, a pena di vedere estinto il processo da lei iniziato e disattesa la sua domanda (“Io giudice non ti ascolto, non provvedo sulla tua domanda se...”), a far valere il suo diritto contro un terzo. Tanto premesso, leggiamoci l’articolo che il legislatore dedica al litisconsorzio necessario: é l’articolo 102, che così recita: “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo.- Se questo é promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il

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giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito”.Va detto subito che, per il disposto del comma terzo dell’articolo 307, l’inosservanza dell’ordine dato dal giudice ex art.102, comporta – non la semplice cancellazione della causa dal ruolo, come abbiamo visto, nella precedente lezione, avvenire in caso di inottemperanza dell’ordine dato ex art.107 - ma l’estinzione del processo.Ora prescindiamo dai casi in cui il legislatore con norme ad hoc impone che alcuni soggetti siano parti necessarie del processo, dato che questi sono casi chiari e pacifici di applicazione dell’articolo 102, su cui, pertanto, non vale la pena di soffermarsi, e domandiamoci in quali altri casi il giudice deve rifiutarsi di pronunciare la sentenza se tale pronuncia non viene anche chiesta nei confronti di un terzo (pretermesso dalla parte che, la causa, ha introdotto).

Discente: Però io vorrei prima, almeno qualche esempio dei casi in cui, per esplicita volontà legislativa, un soggetto deve essere chiamato a far parte di un processo.

Docente: Uno degli esempi da te richiesti é dato, in tema di azione surrogatoria, dal comma secondo dell’articolo 2900, che impone al creditore che “agisca giudizialmente” di “citare anche il debitore al quale intende surrogarsi”. Un altro esempio lo puoi ricavare dal comma primo dell’articolo 247 C.C., che recita “Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento”. E, per finire, un altro esempio ancora ti é dato dal comma terzo dell’articolo 144 D.lgs 7 sttembre 2005 n.209, che, disciplinando l’azione di risarcimento promossa dall’infortunato in incidente stradale, stabilisce che “Nel giudizio promosso contro l’impresa di assicurazione é chiamato anche il responsabile del danno”.

Discente: Ma qual’é la ratio che suggerisce al legislatore l’imposizione del litisconsorzio (in questi casi espressamente da lui contemplati)?

Docente: Può essere la più diversa, dato che nessuno può porre limiti …. alla creatività del nostro legislatore. Di solito però tale ratio é quella stessa che, come abbiamo visto studiando l’articolo 107, dovrebbe convincere un giudice (intelligente) a ordinare l’intervento del terzo: si teme che il contraddittorio tra i soli Tizio e Caio non possa svolgersi efficacemente, o per mancanza di grinta di Caio (casi di cui agli articoli 2900 e 247) o per sua ignoranza del come si sono svolti i fatti di causa (caso di cui all’art. 144), e allora si integra tale interrogatorio

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imponendo la partecipazione di chi dovrebbe essere motivato a ben sostenerlo. Logica vorrebbe che in questi casi, che si ispirano alla stessa ratio dell’articolo 107, la sanzione, dell’inottemperanza dell’ordine di integrazione, fosse quella stessa che colpisce la parte che disattende l’ordine dato dal giudice ex art.107, cioè la (semplice) cancellazione dal ruolo della causa, ma così non é: é una delle tante incongruenze del nostro Codice.Ma dopo questa parentesi, torniamo alla domanda che ci eravamo posti all’inizio: vi possono essere altri casi di litisconsorzio (imposti dall’articolo 102) oltre a quelli che risultano espressamente da norme particolari? quali possono essere questi altri casi? sai tu darne un esempio?

Discente: Caio chiede che sia diviso tra lui, Sempronio e Tizio un immobile di cui loro tre sono tutti comproprietari e conviene in giudizio solo Sempronio: questo mi pare un chiaro esempio in cui il giudice deve ordinare la integrazione del contraddittorio.

Docente: No, il tuo esempio non risponde alla mia domanda: io ti avevo chiesto un esempio di applicazione dell’articolo 102 – l’esempio cioé di un caso in cui, avendo Tizio domandato una pronuncia contro contro Primus e Secundus, il giudice, appunto in forza dell’articolo 102, deve rispondere: “No, io non mi pronuncio solo nei riguardi di Primus e Secundus io mi pronuncio solo nei riguardi di Primus, Secundus e Tertius. Tu, invece, mi hai portato un esempio di applicazione dell’articolo 101, cioé l’esempio di un caso in cui, avendo Tizio domandato al giudice di pronunciarsi contro Primus, Secundus e Tertius senza però aver citato Tertius, il giudice in forza dell’articolo 101 deve rispondere “Io non mi pronuncio nei riguardi di Primus, Secundus, Tertius se anche Tertius non é citato”. Debbo aggiungere a tuo maggior disdoro che, anche come esempio di applicazione dell’articolo 101, il caso da te portato é piuttosto...banale: é chiaro che se Tizio domanda una pronuncia contro Primus, Secundus e Tertius e si limita a citare solo i primi due, il giudice deve subordinare la sua pronuncia alla citazione di Tertius. Questo mentre i casi che spesso si presentano al giudice – e che, la cosa va anche detta, vengono spesso dalla Dottrina presentati e dalla Giurisprudenza risolti come casi di applicazione dell’articolo 102, mentre sono invece casi di applicazione dell’articolo 101 - non sono (purtroppo!) così banali. Non sempre é facile stabilire se l’attore ha chiesta una pronuncia contro Tertius, se cioé l’accoglimento della domanda dell’attore inciderebbe nella sfera giuridica di Tertius. Pensa a questo caso (realmente presentatosi): Caio chiede l’annullamento della compravendita con cui ha venduto un immobile a Cornelia; particolare tutt’altro che trascurabile, questa é sposata con Tizio in comunione di beni. Domanda (non facile): l’annullamento del

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contratto incide sulla “comunione di beni” rendendo così neecssaria la citazione nel processo anche di Tizio, come co-rappresentante con Cornelia di tale comunione? Ai posteri...l’ardua sentenza.Ma mi accorgo di stare divagando, di parlare dell’articolo 101 mentre dovrei parlare dell’articolo 102, per cui ti rinnovo la domanda: oltre ai casi previsti expressis verbis dal legislatore, ce ne sono altri in cui il giudice, avendo Tizio domandato una pronuncia solo contro Primus e Secundus, può rispondere “No, la tua domanda non la posso prendere in esame, perché io posso pronunciare solo una sentenza nei riguardi di Primus, Secundus e Tertius”?

Discente: Direi di no: una sentenza pronunciata solo contro Primus e Secundus quale interesse di Tertius potrebbe ledere? Res inter alios acta non nocet!

Docente: Tu parti dal presupposto che il legislatore possa imporre la pronuncia anche nei confrionti di Tertius solo per tutelare gli interessi di Tertius. In realtà gli interesssi che il legislatore si potrebbe proporre di tutelare imponendo la pronuncia contro Tertius potrebbero essere diversi. In particolare potrebbero essere: I – l’interesse del convenuto all’economia processuale; II- l’interesse dello Stato all’economia processuale; III e, anche, l’interesse di Tertius (se vi fossero, così come vedremo che ci sono, interessi di Tizio che potrebbero essere lesi da una sentenza inter alios acta ancorché questa non incida nella sfera giuridica di Tizio).Cominciamo a passare in rivista questi tre interessi per vedere se la loro lesione potrebbe giustificare il litisconsorzio necessario; meglio, concentrandoci di volta in volta su ciascuno di questi tre interessi, ipotizziamo dei “casi” e domandiamoci se essi comportano una lesione di tali interessi e se tale lesione può giustificare il litisconsorzio necessario.Interesse del convenuto all’economia processuale – Il primo caso lo possiamo ricavare riallanciandoci all’esempio da te prima fatto: Caio é comproprietario di un immobile con Sempronio e Tizio e ne domanda la divisione convenendo in giudizio solo Sempronio; ma (ecco la variante rispetto all’esempio da te prima fatto) nella sua narrazione dei fatti non dice che l’immobile appartiene anche a Tizio (ma il suo atto di citazione suona: “Premesso che io, Caio, sono comproprietario con Sempronio dell’immobile A, ne chiedo la divisione”). Certamente dal punto di vista del giudice, non c’é ragione in tal caso di rifiutare la decisione, dato che per lui i conti tornano: due gli risultano essere i comproprietari e due sono le parti in causa.

Discente: Ma il giudice potrebbe scoprire dall’esame delle carte processuali che l’immobile appartiene anche a Tizio.

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Docente: Anche se lo scoprisse, anche se trovasse un documento (metti, un rogito) da cui risultasse papale papale che l’immobile appartiene a tre e non a due, ciò sarebbe ininfluente: il giudice deve prendere le sue decisioni iuxta allegata: se Caio e Sempronio dessero come pacifico che l’immobile appartiene solo a loro, il giudice non potrebbe rifiutare la divisione: certo sarebbe una divisione inefficace per il terzo proprietario pretermesso, che pertanto in ogni momento potrebbe chiedere una diversa divisione, ma non potrebbe essere rifiutata. Però mettiamoci nei panni del convenuto Sempronio: avrebbe egli interesse a non perdere tempo e soldi per fare una divisione che il comproprietario pretermesso potrebbe tranquillamente disattendere? Certamente, si.. Se Sempronio, in considerazione di tale suo interesse, allegasse nel processo che l’immobile non é solo in proprietà a lui e all’attore, il giudice potrebbe e dovrebbe tener conto di tale allegazione? Certamente, si. L’interesse all’economia processuale di Tizio, merita tutela? Certamente si. Questi tre “si” ci convincono che, quello ora esaminato, potrebbe ben essere un caso di applicazione dell’articolo 102 Poniamoci ora dal punto di vista dello Stato, del suo interesse all’economia processuale.Interesse dello Stato all’economia processuale (come giustificazione del litisconsorzio necessario). Pensa a questo caso: Caio ha il suo fondo intercluso dai fondi A e B, cioé per arrivare alla strada comunale deve per forza attraversare tutti i due fondi, A e B. Egli conviene in giudizio il proprietario di A a che sia costituita coattivamente la servitù sul fondo (e solo sul fondo) di A. Senza dubbio il primo comma dell’articolo 101 sarebbe rispettato; certamente la decisione che costituisse, in accoglimento della domanda di Caio, la servitù, non lederebbe per nulla gli interessi di Tizio proprietario del fondo B. Però fare un processo per arrivare a tale (sola) decisione, lederebbe l’interesse dello Stato all’economia processuale, dato che lo scopo pratico perseguito da Caio (avere il passo fino alla strada comunale) rende probabile la celebrazione nel futuro di un processo (il processo contro Sempronio per far dichiarare la servitù anche sul suo fondo) che nel presente potrebbe celebrarsi con grande risparmio di tempo e soldi per l’autorità giudiziaria. Anche questo potrebbe essere un caso di applicazione dell’articolo 102.

Discente: Certo, infatti nel caso la sentenza del giudice sarebbe inutiliter data.

Docente: No, questo non si potrebbe dire. La sentenza potrebbe benissimo tornare utile a Caio (anche se riguarda uno solo dei fondi); ad esempio perché potrebbe agevolare una trattativa amichevole tra lui e il proprietario di B per la costituzione (non più coattiva, ma) volontaria della servitù. Però anche in tal caso il pericolo di un secondo processo ci sarebbe sempre, e, quindi, ci sarebbe sempre l’interesse dello Stato al litisconsorzio. Mi rendo conto però che certe concrete fattispecie

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potrebbero suggerire soluzioni diverse: per il che penso al caso in cui Caio e Tizio abbiano già stipulato (al momento in cui Caio propone la domanda contro il solo Sempronio) un preliminare per la costituzione della servitù o anche siano già in avanzate trattative per costituirla volontariamente. Val la pena di notare che in un caso simile – quello di un Pincopallino che aveva domandato al giudice la costituzione di una servitù su un fondo in comproprietà a Sempronio e Tizio convenendo in giudizio solo il primo – autorevolmente si é sostenuto che il litisconsorzio non era necessario qualora il consenso del secondo alla costituzione della servitù già in qualche modo risultasse.

Discente: Per vedere se ho capito bene ti propongo ora un caso assai simile a quello da te fatto per primo: il caso di Tizio che chiede (non un ordine di demolizione, ma) che venga dichiarato il suo diritto alla demolizione di un muro abusivamente costruito dai due comproprietari limitrofi, Sempronio e Tizio, convenendo solo Sempronio e giustificando la sola citazione di Sempronio col fatto che l’altro comproprietario, alla demolizione, non si oppone. Secondo me anche in questo caso il giudice dovrebbe ordinare l’integrazione del contraddittorio; a meno naturalmente che Caio non porti prove chiare e inequivocabili che Tizio, l’altro comproprietario, ha dato il suo consenso alla demolizione. Tu che ne pensi?

Docente: Giustamente tu hai messo in evidenza che Caio non chiede l’ordine di demolizione; dato che, se lo chiedesse, scatterebbe senza dubbio l’applicazione dell’articolo 101: infatti l’ordine di demolizione inciderebbe nella sfera giuridica del comproprietario non convenuto in giudizio. Così come da te configurata, invece, l’azione proposta da Caio risulta un’azione di mero accertamento; e come tale io la riterrei ammissibile anche se proposta contro il solo Sempronio, dato che l’altro comproprietario non contesta il diritto di Tizio.L’esempio da te proposto mi dà lo spunto per parlare del terzo caso di (possibile) litisconsorzio necessario: quello che nascerebbe dal pericolo che la sentenza richiesta, pur non incidendo nella sfera giuridica del terzo, purtuttavia lo pregiudichi.III -Interesse del terzo, che potrebbe essere pregiudicato da una decisione del giudice (ancorché questa non venisse a incidere sulla sua sfera giuridica). Un esempio di come ciò possa avvenire ce lo suggerisce proprio il caso da te esemplificato: Caio, tacendo che il muro abusivo appartiene a due comproprietari, Sempronio e Tizio, conviene in giudizio solo Sempronio e chiede (questa é la seconda particolarità rispetto al tuo esempio) che sia ordinata la demolizione del muro. Il giudice studia le carte processuali e ha il più che fondato sospetto che il muro non appartenga solo al convenuto ma anche a Tizio. Certo la sentenza che egli é chiamato a emettere non inciderebbe per nulla sulla sfera giuridica di Tizio, e

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questi potrebbe sempre sostenere in un futuro processo che il muro non doveva essere demolito ecc.ecc.; però certamente vi é il timore che Caio, ottenuta la sentenza, manu militari demolisca il muro, con chiaro pregiudizio di Tizio. E’ questo un caso in cui va fatta applicazione dell’articolo 102? Io lo negherei e sarei solo disposto a vederci un caso di applicazione dell’articolo 107 (con la conseguenza che, in caso di inottemperanza all’ordine del giudice, non si avrebbe l’estinzione, ma solo la cancellazione della causa dal ruolo).Con ciò ritengo esaurita la trattazione dell’argomento “litisconsorzio necessario”.

Discente: Permettimi un’ultima domanda: da quel che capisco tu non riterresti il litisconsorzio necessario nel caso dell’azione revocatoria di cui all’articolo 2901 C.C., vero?

Docente: No, non lo riterrei andando con ciò contro una comunis opinio: il debitore Tizio aliena un suo immobile a Sempronio: mettiamo che Caio, il creditore, convenga in giudizio solo l’acquirente dell’immobile, Sempronio, e che ne segua una sentenza solo contro Sempronio. Questa sentenza pregiudicherebbe la difesa in un futuro processo di Tizio (l’alienante pretermesso)? No. Il processo fatto nell’assenza di Tizio lederebbe l’interesse all’economia dell’attività processuale dello Stato o di Tizio? No, perché, é vero che in futuro é prevedibile una causa intentata dall’acquirente Sempronio verso il debitore-alienante Tizio, ma é anche vero che questa causa, non essendo resa necessaria dalla realizzazione dello scopo pratico perseguito (dall’attore) col processo, é, si, probabile, ma non tanto probabile da giustificare il vulnus al principio della domanda. Del resto a Sempronio, l’acquirente, nulla impedisce di chiamare in causa Tizio (ai sensi dell’art. 106) e di far valere subito, nella causa intentatagli da Caio, il suo credito verso Sempronio. Sed de hoc satis.

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CAPITOLO TERZO

I PRINCIPI DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

Lezione 26 - Il principio della domanda

Discente: Il principio della domanda, a cui hai accennato nella precedente lezione, é consacrato in qualche norma?

Docente: Si, tale principio risulta sia, direttamente, dall’articolo 2907 C.C., sia, almeno indirettamente, dall’articolo 99 del codice di procedura e dall’articolo 111 della Costituzione.L’articolo 2907, nel suo primo comma, recita: “Alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte e quando la legge lo dispone anche su istanza del pubblico ministero”.L’articolo 99 – sotto la rubrica “Principio della domanda” - recita: “Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”.L’articolo 111 nel suo secondo comma recita: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”.

Discente: Si riconoscono eccezioni a tale principio?

Docente: La Dottrina é pressoché concorde nel ritenere l’esistenza nel nostro Ordinamento di eccezioni, anche se pochissime, a tale principio; eccezioni di cui la più importante sarebbe data dal potere, che ha il tribunale fallimentare, di dichiarare il fallimento di un imprenditore motu proprio. A mio modesto parere, però, in tale, e consimili ipotesi (portate ad esempio di deroga al principio in oggetto), non si ha una forma di autoinvestitura della causa da parte del giudice (forse che la causa vera e propria davanti al tribunale non nasce in seguito all’opposizione del fallito alla sentenza?!). Però indubbiamente in tali casi, se non vi é una lesione (tollerata però dall’Ordinamento, quindi un’eccezione) al principio della domanda, vi é una lesione (eccezione) al principio di terzietà del giudice (nel caso particolare esemplificato, deciderà sulla opposizione che contesta la fondatezza della sentenza di fallimento lo stesso giudice che, emettendo tale sentenza, ha dimostrato di ritenere tale fondatezza).

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Discente: Vi é allora una violazione dell’articolo 51, da noi esaminato in una precedente lezione?

Docente: Questo, no. Infatti l’articolo 51 impone l’astensione al giudice solo quando ha conosciuto della causa in “altro grado” e non anche “in altra fase” del processo; e, sempre per riferirci all’esempio prima fatto, il tribunale, che decide di emettere la sentenza dichiarativa del fallimento – non diversamente dal giudice che decide di emette un decreto ingiuntivo – prende tale sua decisione (quindi “conosce” della causa), non in un grado, ma in una “fase” precedente a quella del giudizio di opposizione. No, il rispetto dell’articolo 51 é salvo: dubbio é quello dell’articolo 111 Costituzione. Docente: Io ho certamente interesse che l’esistenza di quel tal mio diritto sia decisa da un giudice terzo e imparziale, ma ho anche interesse che la questione sulla esistenza di tale diritto sia posta al giudice nel momento in cui più mi comoda: quando ho i soldi per pagare l’avvocato, che dovrà sostenere le mie ragioni, quando ho raccolte le prove, che le mie ragioni confortano e così via. Anche tale mio interesse trova tutela nella legge?

Docente: Nella legge costituzionale, direi di no: l’articolo 111 Cost. si limita a garantire l’imparzialità e la terzietà del giudice. Però, senza dubbio, l’interesse da te indicato merita tutela e io penso che, senza troppe forzature, si potrebbe attribuire la volontà di tale tutela all’articolo 2907, di cui poc’ anzi abbiamo data lettura.

Discente: Quindi il principio della domanda verrebbe ad avere due diverse ratio: quella di impedire che la causa sia decisa da un giudice “condizionato” da sue precedenti prese di posizione e quella di tutelare l’interesse, del titolare di un diritto, a farlo giudizialmente valere nel momento da lui ritenuto più opportuno.Ma la tutela di questo interesse conosce eccezioni?

Docente: Senza dubbio. Per averne un esempio puoi pensare all’articolo 34, da noi preso in esame parlando della competenza: Caio fa valere un diritto agli alimenti contro Sempronio sul presupposto di un suo preteso status di figlio di Sempronio, senza però chiedere di tale status l’accertamento con autorità di cosa giudicata: siffatto accertamento gli può però essere imposto dalla controparte Sempronio. Per un altro esempio pensa a un’actio negatoria servitutis: chi pretende la servitù vorrebbe aspettare il 2014 (quando avrà acquisita finalmente quella tal prova) per far valere il relativo diritto: Sempronio, il proprietario del fondo preteso servente, lo cotringe a mettere le carte in tavola e a giocarsi la partita subito.

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Discente: Il principio della domanda, vietando al giudice di autoinvestirsi della decisione sull’esistenza del diritto di Tizio ad avere mille, gli fa divieto implicitamente anche di riconoscere il diritto di Tizio a mille, se di tale diritto Tizio non ha chiesto l’accertamento. Ma se il giudice non può riconoscere il diritto a mille di Tizio, se Tizio non gliene ha fatta domanda, mi pare logica la deduzione che il giudice non può riconoscere a Tizio il diritto a 1200 quando Tizio gli ha chiesto solo mille.

Docente: La conclusione da te presa é giusta (in effetti il giudice non può riconoscere il diritto a 1200 quando gli é stato domandato di dichiarare solo il diritto a 1000); é dubbio che tale conclusione possa essere tratta dal principio della domanda. Ma questo lo vedremo meglio parlando, nella prossima lezione, del principio di “corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”.

Lezione 27 - Principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato

Docente: Il principio della “corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” é consacrato nell’articolo 112, che recita: “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”.E’ opportuno far presente che é insegnamento tradizionale che da tale principio derivi sia un divieto di ultrapetizione (tu, giudice, non puoi dare a Tizio più di quello che ti ha chiesto: ha chiesto 100: tu non gli puoi dare 150) sia un divieto di extrapetizione (tu, giudice, per dare a Tizio quel che ti ha chiesto, non puoi basarti su una causa petendi diversa da quella, da Tizio, fatta valere).

Discente: Il primo concetto, quello di ultrapetizione, é facile da afferrare; non altrettanto può dirsi per il secondo: fai qualche esempio in cui pacificamente il giudice cade nel vizio di extrapetizione.

Docente: Primo caso (pacifico!) di extrapetizione: Maria ha chiesto in sede di separazione personale (art. 151 C.C.) 100 a titolo di mantenimento, facendo valere (oltre naturalmente allo status di coniuge) il tenore di vita durante il matrimonio: il giudice le dà 100 (o, la cosa non cambia, 60) ma a titolo di alimenti (“No, tu, Maria, non hai diritto al mantenimento perchè la separazione é a te addebitabile, ma siccome sei in stato di bisogno....”).Secondo caso (sempre pacifico) di extrapetizione: il ragionier Rossi chiede 100 a

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titolo di risarcimento per danni alle cose (in seguito a un incidente stradale): il giudice gli dà 100 (o, la cosa non cambia, 80), ma non a titolo di risarcimento per danni alle cose (causa petendi fatta valere) ma a titolo di risarcimento per danni alla persona (causa petendi non fatta valere).

Discente: Fai ora qualche esempio di casi in cui pacificamente non si ravvisa il vizio di extrapetizione.

Docente: Primo caso: Rossi chiede la risoluzione del contratto per inadempimento (art. 1453 C.C.): il giudice riconosce il diritto di Rossi a recedere dal contratto per impossibilità sopravvenuta nell’adempimento (art. 1163 ss. C.C.).Secondo caso (in cui sempre pacificamente si esclude il vizio di extrapetizione): Rossi chiede il risarcimento di 100 adducendo la voce di danno A (incapacità lavorativa del dieci per cento): il giudice riconosce il diritto di Rossi a ottenere, a titolo di risarcimento, 100, ma non per la voce di danno A (danno alla capacità lavorativa) ma per la voce di danno B (danno biologico oppure danno alla vita di relazione).

Discente: E ora fai un caso in cui é discusso se vi sia, o no, il vizio di extrapetizione.

Docente: Rossi chiede 100 come rimborso di una somma data a mutuo (“A Bianchi ho dato la somma di 100: la rivoglio indietro”): il giudice riconosce a Rossi il diritto a 100, ma solo in quanto addiziona, al capitale dato a mutuo (risultato inferiore ai cento richiesti), gli interessi dovuti sul capitale ancorché non richiesti (“Io, giudice, riconosco a te, Rossi, 100, anche se ho accertato che non hai dato a mutuo 100 ma 90, essendoti dovuti da Bianchi, dieci a titolo di interessi da te non richiesti”).

Discente: In base agli esempi da te fatti, io direi che la ratio dei divieti di ultrapetizione e di extrapetizione vada ravvisata nel fatto che lo Stato - quando attribuisce un diritto a chi non lo pretende (dà a Rossi che si accontentava di 100, 150 oppure dà a Rossi 100 a titolo di risarcimento di un danno alla vita di relazione, di cui egli neanche si sarebbe sognato di lamentarsi) - fa qualche cosa di contrario alla sua natura: compito dello Stato, infatti, é quello, non di fomentare, ma di placare la litigiosità tra i consociati; invece, quando va ultrapetita o extrapetita, lo Stato é come se dicesse alla parte “Svegliati, tu potevi pretendere da Bianchi B e non l’hai fatto: lo faccio io per te”. E questo senza dubbio fomenta la litigiosità tra le parti (se non altro perché Bianchi – che, se fosse stato condannato solo ad A, si sarebbe rassegnato - una volta che é condannato a A + 1 oppure a B, é tentato di

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impugnare la sentenza e trascinare la lite chissà ancora per quanto tempo).E mi rendo conto che - anche nell’esempio da te fatto di Rossi, che chiede la risoluzione per inadempimento richiamandosi all’articolo 1453 e il giudice gli riconosce il diritto a recedere dal contratto applicando l’articolo 1163 - il giudice attribuisce (in forza del principio iura novit curia) a Rossi un diritto che questo non pensava di avere; però nel caso ci troviamo di fronte a una persona che si agita, che pretende, che insomma rimarrebbe insoddisfatta, se il diritto a recedere dal contratto non le fosse riconosciuto; diverso il caso di Rossi che, invece, si sarebbe sentito soddisfatto anche se il giudice gli avesse riconosciuto solo A (e non A + 1).

Docente: Forse il tuo ragionamento può accettarsi, per quel che attiene il vizio di ultra petizione. Però é sbagliato (nei suoi presupposti) per quel che riguarda il vizio di extrapetizione: Maria, che ha chiesto 100 per assegno di mantenimento e se lo vede negato, non é per nulla soddisfatta e rassegnata e certo sarebbe stata ben contenta se quei cento gli fossero riconosciuti per una causa petendi diversa da quella da lei fatta valere (id est gli fossero riconosciuti, non a titolo di mantenimento, ma di alimenti). E pure il Rossi, forse si potrebbe sentire soddisfatto anche ricevendo solo 100 (per danni alle cose), ancorché avesse diritto a 150 (100 per danni alle cose e 50 per danni alla vita di relazione e danno biologico); ma tale sua soddisfazione cesserebbe per dare di nuovo posto alla litigiosità, una volta che si accorgesse che dall’incidente gli é derivato anche un danno alla persona (non solo la sua auto é un rottame, ma si sta accorgendo che le sue gambe non gli permettono più di fare delle belle camminate e così via).

Discente: Allora secondo te, qual’é la ratio del divieto di extra petizione?

Docente: Io trovo la ratio di tale divieto in quel principio “della domanda”, che abbiamo visto nella lezione precedente e che vuole sia dato al titolare di un diritto di scegliere il momento per lui più opportuno per farlo valere (dal momento che un esercizio di tale diritto, intempestivo – in quanto metti ancora non sono raccolte le prove necessarie – potrebbe portare al suo disconoscimento e alla sua perdita).

Discente: A me non pare molto valida questa tua spiegazione: infatti - per rifarci all’esempio del Rossi che chiede il risarcimento dei danni alle cose – se il giudice Primus gli riconoscesse 100, non per danni alle cose, ma alla persona (oppure gli riconoscesse 150 per danni alle cose + danni alla persona) darebbe, é vero, ingresso nel processo a un diritto (il diritto al risarcimento per danni alla persona) in un momento che il Rossi potrebbe ritenere prematuro (ai fini di ottenerne il riconoscimento), ma é anche vero che in quello stesso momento, di tale

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diritto...riconoscerebbe la fondatezza; così dimostrando l’inesistenza di quel pericolo (di un esercizio intempestivo del diritto al risarcimento dei danni alla persona), dal Rossi, paventato.

Docente: E invece tale pericolo esisteva, e esiste ancora dopo la sentenza favorevole del giudice: forse che la controparte non potrebbe appellare questa sentenza? forse che il giudice di appello non potrebbe riformarla e disconoscere quel che il giudice di primo grado ha motu proprio riconosciuto? Insomma il giudice Primus, riconoscendo il diritto al risarcimento (non richiesto), pone tale diritto in gioco: in un gioco che potrebbe finire male (per il suo titolare).

Discente: Quindi?

Docente: Quindi io riterrei che il giudice Primus cada nel vizio di extrapetizione tutte le volte che motu proprio riconosce alla parte un diritto, che questa potrebbe far valere in un domani autonomamente davanti a un giudice Secundus: di conseguenza non sarebbe viziata la sentenza che, pur avendo l’attore chiesto l’annullamento del contratto solo per errore, lo annullasse per dolo - dato che la sentenza che rigettasse la domanda di annullamento impedirebbe all’attore di richiederlo per la diversa causa petendi del dolo.

Discente: La spiegazione da te data per il divieto di extrapetizione, però non spiega il disposto dell’ultima parte dell’articolo 112, che fa divieto al giudice di “pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti”. E infatti per regola (che tollera solo pochissime eccezioni) i fatti, che si possono far valere in via di eccezione, non possono essere fatti valere come causa petendi di una domanda proposta in un successivo autonomo processo. Quindi, seguendo il tuo ragionamento, ci si sarebbe dovuti aspettare che il legislatore ne ammettesse la rilevabilità anche nel silenzio della parte.

Docente: La tua osservazione é giusta. E infatti la ratio che giustifica il divieto di extrapetizione rispetto alle eccezioni, é diversa da quella che giustifica il divieto di extrapetizione rispetto alle domande.

Discente: Dì, allora, quel che giustifica il divieto di extrapetizione per le eccezioni.

Docente: Lo giustifica la considerazione che un dato fatto materiale (metti, l’aver il convenuto Caio sottoscritto il contratto con la pistola di Tizio, l’attore, puntata alla tempia – l’essere mancante la res di quella qualità che la rende inadatta a un dato

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uso) giustifica nel pensiero legislativo un dato effetto giuridico (l’annullamento, la risoluzione del contratto), in quanto e solo in quanto rimanda e fa presumere elementi psicologici (uno stato di timore per la propria vita – art. 1435 C.C.) o circostanze (l’essere stata la res acquistata proprio per quell’uso che il difetto di quella data qualità non permette - art. 1497 C.C.), che in definitiva solo chi ha vissuto quel fatto (il convenuto Caio) conosce veramente (dato che solus deus est scrutator cordium). Ora, il non avere la parte sollevata l’eccezione, é dal legislatore preso ad indice che l’elemento psicologico, la circostanza di cui sopra, in realtà non esistano (Caio, nonostante la pistola puntatagli può avere firmato, non per timore, ma per convenienza; Caio in realtà non aveva destinato la res a quel dato uso per cui il difetto di qualità rileva).

Discente: Tu hai parlato di fatti costituenti eccezioni: perché? perchè ci sono dei fatti che tali non sono?

Docente: E certo che si: pensa a Caio che deduce la violenza subita (fatto A) per escludere la validità del contratto e deduce il colloquio, che tutto agitato e tremante ebbe subito dopo con la Beppa (fatto B), per dimostrare che la violenza effettivamente l’aveva subita: il fatto A é un’eccezione, il fatto B non lo é.

Discente: E pertanto il fatto B potrà essere messo dal giudice a fondamento della sua sentenza anche se non fatto valere dalla parte.

Docente: Questo lo vedremo quando parleremo delle prove.

Lezione 28 - Il divieto di mutatio libelli

Docente: Il divieto di mutare la domanda (originariamente al giudice proposta) e, a maggior ragione, di aggiungere un’altra domanda (a quella originaria), risulta dal quinto comma dell’articolo 183, che disciplina l’udienza di prima comparizione e trattazione della causa, e dall’articolo 189, che disciplina la fase della c.d. “precisazione delle conclusioni” - dove per “conclusioni” tu devi intendere le “domande” (“Tizio sia condannato a...” “Si rigetti la richiesta A ….” “Si rimetta la causa in istruttoria per....”) che le parti ritengono porre al giudice a conclusione del processo.Il quinto comma dell’articolo 183 recita: “Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto.- Può altresì chiedere di essere autorizzato

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a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza é sorta dalle difese del convenuto. Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate”.Il primo comma dell’articolo 189 recita: “Il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, (…) invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni (…) nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’articolo 183”.Quindi dall’articolo 183 si ricava che nella prima udienza é ancora ammessa una “modifica o precisazione delle domande” (c.d. emendatio libelli) - mentre non é, invece, ammessa l’introduzione di una nuova domanda o anche una modifica della domanda originaria talmente radicale da trasformare questa in una nuova domanda (c.d. mutatio libelli). Dall’articolo 189 si ricava che dopo la prima udienza non é ammessa neppure una emendatio libelli.Sempre dall’articolo 189, e precisamente dall’imposizione alle parti di precisare le conclusioni “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi ecc” (come a dire che le conclusioni, oltre tali “limiti”, non possono andare, ma sotto tali limiti, si), si ricava che le parti possono sempre modificare le loro domande (ma solo) in senso riduttivo (“Io, attore, chiedevo 100 e ora mi accontento di 50”) o addirittura rinunciarvi (“Io, attore, che ho domandato A e B, rinuncio a chieder B” o, rara avis, “Rinuncio a chiedere sia A che B).

Discente: Ma perché non permettere la mutatio libelli?

Docente: Cerco di spiegartelo ponendomi in un caso limite: Bianchi, che ha convenuto in giudizio Rossi con la domanda A (“Rossi sia condannato a restituirmi le somme che gli diedi a mutuo”), a metà processo processo propone anche la domanda B (“Rossi sia condannato a risarcirmi il danno che mi causò investendomi con la sua auto”). Ecco alcuni degli inconvenienti che causerebbe l’ammissione di tale domanda: I - priverebbe (senza ragione!) il convenuto Rossi di tutti quei mezzi di difesa che invece gli vengono riconosciuti (con ragione!) contro le domande proposte nell’atto introduttivo: diritto a replicarvi con uno scritto difensivo (la comparsa di risposta di cui all’art.167) e con un lungo lasso di tempo per meditare la replica (quello previsto dall’art.163), diritto di chiamare in causa un terzo, di eccepire la incompetenza e così via;II – rischierebbe di scombinare la strategia difensiva del convenuto: e infatti chi deve fare una causa sceglie il difensore in base alla qualità e alla gravità della causa: Rossi, se convenuto con un’azione di disconoscimento di paternità,

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nominerà come difensore un matrimonialista, mentre, se convenuto con un’azione di risarcimento, nominerà un avvocato esperto in infortunistica; se convenuto per il pagamento di dieci, nominerà un avvocatino, mentre se convenuto per il pagamento di un milione, nominerà un principe del foro e così via. Quindi ben si comprende che la strategia di Rossi (e quindi il suo diritto di difesa 1) subirebbe un grave vulnus, se, essendo egli stato convenuto con l’atto introduttivo per un risarcimento danni, poi, in corso di causa, si vedesse proporre una domanda, metti, di divisione ereditaria; oppure, se convenuto inizialmente con una richiesta di 10, poi, in corso di causa si vedesse chiedere un milione;III – rischierebbe di ritardare la decisione sulla domanda; e molto di più di quel che accada quando due domande sono proposte insieme nell’atto introduttivo (infatti se due domande, A e B, partono, per così dire, insieme, si può programmare l’attività processuale di modo che nella stessa udienza si svolga insieme, metti, l’attività istruttoria dell’una e dell’altra, ma quando la domanda B é proposta a metà processo, questo diventa (probabilmente) difficile: ad esempio, é probabile che i testimoni utili per decidere sulla domanda A siano stati già escussi, quando si palesa la necessità di escutere i testi utili per decidere sulla domanda B.

Discente: E’ però vero che questi inconvenienti possono verificarsi anche in caso di domande riconvenzionali: eppure tali domande sono ammesse.

Docente: Ma non a caso il legislatore limita la proponibilità di tali domande (art.36) e le ammette solo in limine litis (art. 167).

Discente: D’accordo, l’introduzione di una domanda nuova nel corso del processo provoca gravi inconvenienti: quindi, no all’introduzione di nuove domande che si aggiungono a quelle originarie (proposte negli atti introduttivi) e, a maggior ragione, no alle nuove domande che vengano a sostituire quelle originarie.Ma tali inconvenienti continuerebbero a sussistere se la parte non aggiungesse o sostituisse la domanda B ad A, ma si limitasse a modificare o precisare la domanda A?

Docente: E’ chiaro che, da un punto di vista strettamente logico, non c’é differenza tra una modifica della domanda A che verrà fatalmente a mutarla in un quid diverso, la domanda B - domanda B che di conseguenza sostituirà la originaria domanda A – e la sostituzione ….di una domanda B alla domanda A. Però capisco il senso del tuo discorso, c’é modifica e modifica o, se vogliamo essere più chiari e meno ipocriti, c’è sostituzione e sostituzione di domanda: alcune sostituzioni mettono in crisi la difesa della controparte, altre no. Si tratterà allora di fare un

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bilanciamento tra gli inconvenienti, che comporta la sostituzione della vecchia domanda con quella nuova, e gli inconvenienti che comporta la sua mancata sostituzione.

Discente: Perché, la mancata sostituzione (o modifica, se vogliamo usare questo termine) di una domanda comporta degli inconvenienti?

Docente: Certo che si: pensa solo ai casi in cui la nuova domanda B in un nuovo processo non sarebbe proponibile. E, proprio per evitare di “bruciare” alla parte un diritto (solo perché, quando essa ha redatto l’atto introduttivo, non aveva ancora le idee tanto chiare da percepirne l’esistenza), io riterrei che, in tali casi, sempre dovrebbe ritenersi ammissibile la sostituzione di una domanda all’altra (o la modifica della domanda originaria, se così piace rappresentare la cosa). Di conseguenza io ammetterei che, proposta una domanda di rivendica fondata sull’usucapione, questa venisse modificata in domanda di rivendica fondata su un contratto acquisitivo del diritto; che, proposta una domanda di annullamento per errore, essa venisse modificata in domanda di annullamento per violenza o dolo.

Discente: Confesso che io trovo dubbia la validità del secondo esempio da te portato.

Docente: Che cosa ti fa dubitare della sua validità?

Discente: Il fatto che, se, ragionando ab absurdo, esso fosse valido, si dovrebbe dire che, come una domanda di annullamento per errore può essere modificata in una domanda di annullamento per dolo, così un’eccezione di annullamento per errore dovrebbe potersi modificare in un’eccezione di annullamento per dolo.

Docente: E che cos’é che lo impedisce? Non certo il dettato del quinto comma dell’articolo 183; dato che in esso chiaramente si ammette che, così come le domande, anche le eccezioni possono essere modificate.

Discente: Direi che lo impedisce il dettato del secondo comma dell’articolo 167, là dove impone di proporre nella comparsa di risposta “le eccezioni processuali e di merito” a pena di decadenza: questa disposizione verrebbe facilmente elusa, se si ammettesse che Bianchi, proposta un’eccezione di annullamento per errore, potesse, già scaduto il termine per il deposito della comparsa, trasformarla in una eccezione di annullamento per violenza.

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Docente: Ma un articolo si può anche interpretare restrittivamente se lo impone la logica.

Discente: Sia come sia. Dimmi però un altro caso di modifica ammissibile di una domanda; però un caso che io possa considerare pacificamente ammesso.

Docente: Tizio domanda il risarcimento per danni subiti dal parafango della sua auto (nel contesto di un incidente stradale) e poi modifica tale domanda nella richiesta di risarcimento dei danni subiti dall’apparato motore (e val la pena di dire che, addirittura, si ammette che, chiesto il risarcimento per i danni alla carrozzeria, a tale richiesta si possa aggiungere quella di un risarcimento per danni subiti dal vestiario).

Discente: All’inizio della lezione tu avevi detto che una parte può rinunciare totalmente alle domande da lei proposte: in tal caso la causa si estingue?

Docente: No, la rinuncia unilaterale non comporta la estinzione del processo; ed é intuitivo il perché: Bianchi propone una domanda temeraria, si accorge di stare perdendo la causa e di dovere pagare le relative spese all’avversario, che fa, allora? rinuncia alla domanda e estingue la causa: eh, no: sarebbe troppo bello (per lui).La rinuncia estingue, sì, la causa, ma solo se accettata dalla controparte (vedi melius l’art. 306).

Lezione 29 - Limiti all'efficacia soggettiva della cosa giudicata

Discente: Il giudice Primus emette la sentenza A: chi può dirsi vincolato da tale sentenza, nel senso che non potrà più metterne in discussione il decisum davanti ad altri giudici (e ogni altro giudice, in ogni altra causa in cui egli fosse coinvolto, dovrà ritenere nei suoi confronti tale decisum conforme a diritto e giustizia)?

Docente: La regola fondamentale per individuare chi è vincolato, e chi no, da una sentenza si ricava dal comma 2 dell’articolo 24 Costituzione, che recita: “La difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”: é vincolato dalla sentenza del giudice Primus chi, nella causa decisa dal giudice Primus, é stato messo in grado, come parte, di svolgere le proprie difese.Ma tale regola ha delle eccezioni.

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Discente: Vediamole.

Docente: La più importante eccezione é data dall’articolo 2909 C.C., che recita: “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

Discente: Io comprendo il perché il legislatore ha esteso l’efficacia del giudicato, non solo alle parti, ma anche ai loro eredi: secondo il nostro Ordinamento la personalità del de cuius si prolunga e, per così dire, rivive nel suo erede, e quindi non si può neanche pensare che il secondo contesti quel che il primo non poteva contestare.Ma per quale ragione il legislatore ha esteso l’efficacia del giudicato anche agli aventi causa delle parti?

Docente: Te lo spiegherò con un ragionamento ab absurdo: Il giudice Primus ha rigettato la domanda di rivendica propostagli da Caio I: “L’immobile A é di proprietà, non di Caio I, ma di Sempronio”. Se non esistesse l’articolo 2909, Caio I avrebbe un facile modo per non subire le conseguenze dannose del giudicato: vendere l’immobile a Tizio I, il quale (sempre ragionando ab absurdo) potrebbe ritentare la sorte, riproporre cioé la domanda di rivendica. E se il giudice Secundus gli desse torto, ancora rigettasse la rivendica? Poco male: Tizio I potrebbe vendere a Tizio II, il quale a sua volta potrebbe tentare la sorte, in caso di un ulteriore rigetto della domanda, rivendendo a Tizio III; questo fino a quando, in base al semplice calcolo delle probabilità, si dovrebbe trovare un giudice, tanto stupido, da accogliere la domanda.Il ragionamento muta un po’, ma é sostanzialmente lo stesso, qualora si abbia riguardo alla posizione, non dell’attore, Caio I, ma del convenuto Sempronio: questi ha perso la causa, la domanda di rivendica é stata accolta, può Sempronio eludere le conseguenze per lui nefaste del giudicato? Se non esistesse l’articolo 2909 lo potrebbe facilmente, alienando l’immobile a Cornelio I; cosa che costringerebbe Caio I, l’attore vittorioso, a riproporre l’azione di rivendica contro Cornelio I; il quale, però, se soccombente, potrebbe rivendere a Cornelio II costringendo Caio I a proporre la terza domanda di rivendica; e così via fino a che Caio I, defatigato ….rinuncerebbe all’immobile A.

Discente: Il nostro Ordinamento conosce altre eccezioni alla regola che vuole limitata alle parti in causa l’efficacia della sentenza?

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Docente: Si, nel nostro Codice ci sono alcuni articoli, al vero pochissimi, che a tale regola fanno espressa eccezione; tra questi merita di essere segnalato l’articolo 1595 C.C., che recita: “Senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore e la sentenza pronunciata tra locatore e conduttore ha effetto anche contro di lui”. Cosa per cui il locatore, senza necessità di fare una nuova causa, potrà eseguire coattivamente la sentenza di rilascio, da lui ottenuta contro il conduttore Sempronio, anche contro Cornelio, il subconduttore.

Discente: Ma le eccezioni previste dalla legge hanno carattere tassativo?

Docente: Certamente, no. A tale conclusione costringe la considerazione degli inconvenienti, che si determinerebbero in certe fattispecie, nel caso l’efficacia del giudicato fosse strettamente limitata inter partes.Pensa a questo caso: l’assemblea di una società per azioni (o di un condominio) ha preso una delibera che, come spesso accade, non a tutti i soci piace. Uno dei soci dissenzienti la impugna: se la sentenza che rigetta l’impugnativa non facesse stato per tutti gli altri soci, questi a uno a uno potrebbero ritentare la sorte del processo; e l’impugnativa, in base al semplice calcolo delle probabilità, finirebbe prima o poi per essere (sia pure a torto) accolta. Inconvenienti simili si ripetono in tutti i casi in cui, interessata ad una causa, é una pluralità di soggetti tanto ampia o tanto indeterminata che diventa impensabile chiamare tutti questi soggetti a partecipare al processo. Così come - per fare un altro esempio, oltre quello ora fatto di una delibera assembleare - avviene nelle controversie che riguardano uno status.

Discente: Che sono gli status?

Docente: Sono dei fatti – ad esempio, il fatto che Tizio II sia stato generato da Tizio I; il fatto che Caio sia la legittima consorte di Caio – di cui il legislatore ammette l’autonomo accertamento; in deroga alla regola (il cui fondamento vedremo in seguito) che non ammette l’instaurazione di un processo solo per il mero accertamento di un nudo fatto.Orbene, per continuare il discorso, non si possono chiamare, a far parte delle controversie relative ad uno status, tutte le persone interessate a che sia dichiarata o negata l’esistenza dello stesso. Per rendertene conto pensa al caso di Caio che ha avuto tre figli: Caio I, Caio II, Caio III. E’ chiaro che, alla controversia sullo status di figlio legittimo di Caio I, potrebbero avere interesse, sia Caio (al fine di esimersi dall’obbligo degli alimenti), sia Caio II e Caio III (al fine di eliminare un concorrente

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alla futura eredità, che Caio lascerà ai figli). E con ciò sono consapevole di semplificare in modo drastico la fattispecie; dato che in realtà sono molto più numerose le persone interessate alla ipotizzata controversia. Chiamare tutte queste persone a far parte del processo? Impensabile! L’unica soluzione é quella di limitare la legittimazione attiva, a proporre la causa, e la legittimazione passiva, a essere in questa convenuti come parti, a un limitato numero di interessati; e di estendere poi gli effetti, della sentenza che la concluderà, a tutti gli altri (interessati), al fine di impedire una contraddittorietà dei giudicati (il giudice Primus, adito da Caio, riconosce lo status di figlio di Caio I, il giudice Secundus, adito da Caio II, lo nega).

Discente: Io ben comprendo le ragioni che, nei casi da te richiamati, impongono la estensione ultra partes del giudicato; eppure bisogna riconoscere che in tali casi quel diritto di difesa, così solennemente proclamato nell’articolo 24 della Costituzione, viene totalmente sacrificato.

Docente: Non “totalmente”; dato che con gli articoli 105, 106, 107 il legislatore si preoccupa di dare anche ai soggetti, che l’attore non è tenuto a convenire in causa, la possibilità di essere parti in questa. Ma questo é l’oggetto di un’altra lezione.

Lezione 30 - Limiti oggettivi all'efficacia del giudicato

Discente: In che consistono i limiti oggettivi del giudicato?

Docente: Cercherò di spiegartelo con un esempio: metti che Caio II domandi la condanna di Tizio al pagamento della somma tot, esponendo quanto segue: “Il mio de cuius, Caio I, ebbe a dare a mutuo la somma tot a Tizio – somma da rimborsarsi a rate: Tizio ha pagata la prima e la seconda rata e..stop. Quanto dico risulta da una confessione (stragiudiziale), che Tizio ebbe a rendere il giorno tal dei tali”. E’ chiaro che il giudice perverrà alla soluzione della questione finale “Caio II ha diritto o no alla somma tot da Tizio?” (quella soluzione che costituisce la risposta alla domanda propostagli da Caio II), tramite la soluzione delle questioni (propedeutiche): A - “Caio I, il de cuius, stipulò, o no, un contratto di mutuo con Tizio?”; B - “Tizio confessò, o no, di aver stipulato il contratto di mutuo?”; C -“Il contratto di mutuo é valido?”; D.-. “Caio II é, o non é, il figlio legittimo di Caio I?” E - “Caio II é stato, o no, escluso dall’eredità di Caio I, nonostante ne fosse il figlio, per indegnità?”.

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Discente: Una vera e propria corsa ad ostacoli!

Docente: Davvero, e pensa che ho sintetizzato e sfrondato parecchio. Ma riprendo il discorso. Ora può essere che la soluzione di alcune questioni non sia controversa tra le parti: ad esempio, la soluzione delle questioni D ed E (é pacifico tra le parti che Caio II sia il figlio e sia erede di Caio I): in tal caso, in termini tecnici, tale questione viene a costituire (solo) un “punto pregiudiziale” della controversia – punto sul quale il giudice, non solo non é tenuto ad indagare, ma non può indagare. Può essere invece (anzi, sarebbe strano non lo fosse!) che la soluzione di alcune questioni sia controversa: ad esempio, la soluzione delle questioni A e B (Tizio nega di aver mai stipulato un contratto di mutuo e tanto meno di aver mai confessato di averlo stipulato) e (al contrario di quanto prima ipotizzato) delle questioni D ed E (Tizio nega anche che Caio II sia figlio e comunque erede di Caio I): tali questioni, in termini tecnici vengono chiamate “questioni pregiudiziali” - e naturalmente tali questioni vanno decise dal giudice. Ma per alcune di queste, e precisamente per quelle che potrebbero essere proposte a un nuovo giudice, il giudice Secundus, in un autonomo processo, si pone un particolare problema.

Discente: Prima di dire il problema che si pone, fammi un esempio di questione pregiudiziale per cui tale problema non si pone.

Docente: La B: la questione infatti se Tizio abbia confessato o no l’esistenza del mutuo verte su un nudo fatto e come tale non potrebbe proporsi autonomamente in un processo: insomma Caio II non potrebbe adire un giudice Secundus, per far accertare e solo per far accertare che Tizio confessò eccetera eccetera. Riprendo il discorso: per le questioni che potrebbero, invece, in un domani essere al centro di un autonomo processo (ad esempio la questione C, sulla validità del contratto di mutuo) si pone il problema: “La decisione, che il giudice Primus prenderà a proposito di tali questioni, assumerà l’autorità di cosa giudicata?” - (per cui, se il giudice Primus risolvesse, ad esempio, la questione A favorevolmente per il creditore Caio II e questi in un domani si rivolgesse, per avere la quarta rata del mutuo, a un giudice Secundus, questo non potrebbe risolvere la questione A in maniera difforme dal collega Primus e, quindi, non potrebbe negare l’esistenza del contratto di mutuo).

Discente: E’ un problema non facile.

Docente: Per nulla facile. Infatti, su un piatto della bilancia, bisogna mettere quell’interesse delle parti (interesse da noi preso in esame parlando del principio

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della domanda) a far risolvere una questione con autorità di giudicato solo quando sono ben preparate ad affrontare su di essa il contraddittorio. Ma, sull’altro piatto (della bilancia), vanno messi, l’esigenza di evitare la contraddittorietà dei giudicati e l’interesse dello Stato ad economizzare la sua attività giurisdizionale: il giudice Primus deve spendere tempo e fatica per risolvere la questione C “sulla validità del contratto”? va bene, ma non si costringa poi il giudice Secundus - alla cui porta bussi, in un secondo tempo, Caio II per avere la quarta rata del mutuo - a indagare di nuovo se il contratto di mutuo sia stato stipulato e sia valido o no!

Discente: E tu, quale piatello della bilancia faresti scendere?

Docente: Il secondo, cioé darei la prevalenza all’interesse delle parti a che sia decisa con autorità di giudicato una questione solo quando a ciò loro sono preparate. Mi rendo conto, però, che, sulle questioni di status, una contraddittorietà tra due sentenze (anche se, una, avente l’autorità di cosa giudicata e, l’altra, no) può sensibilmente turbare la pubblica opinione; e ancora mi rendo conto che lo spreco di attività giurisdizionale può sembrare veramente ingiustificabile nei casi in cui é del tutto prevedibile che la questione pregiudiziale si ripresenti in altre cause (si pensi all’esempio, fatto primo, di Caio che fa valere un contratto per riscuotere solo una delle rate che ne derivano: é evidente che la questione, sull’esistenza del contratto, dovrà riproporsi, quando Caio chiederà la condanna del debitore all’ulteriore rata; si pensi al caso del venditore che fa valere il contratto di compravendita per ottenere il pagamento del prezzo: é evidente che, anche qui, la questione, sull’esistenza e validità del contratto, si riproporrà quando l’acquirente chiederà la condanna alla consegna della res).Si comprende quindi la tendenza (oggi prevalente) di estendere il più possibile i casi in cui la decisione della questione pregiudiziale acquista autorità di cosa giudicata.

Lezione 31 - Problematiche connesse al principio di economia dell'attività processuale. In particolare, sull'esperibilità delle azioni di mero accertamento e di condanna in futuro

Docente: In questa lezione passeremo in rivista alcune problematiche connesse al principio di economia della attività processuale.Prima problematica: é ammissibile una domanda volta a chiedere l’accertamento di un mero fatto materiale? ad esempio, Tizio può chiedere che il giudice accerti sic et simpliciter l’avvenuta stipula di un contratto tra lui e Sempronio (si badi senza

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pretendere che da tale contratto sia derivato questo o quel diritto, senza chiedere di questo o quel diritto l’accertamento)?

Discente: Io risponderei di no, che non lo può; per ragioni economia processuale, perché l’Autorità Giudiziaria, se non vuole essere sopraffatta dal lavoro, deve limitare la sua attenzione alle domande con cui si fa “valere un diritto” (arg. ex art. 99) e non rispondere alle domande di accertamenti di fatti, sia pure potenzialmente produttivi di diritti (dato che, il diritto in potenza contenuto in un fatto...può non nascere mai).

Docente: Io trovo sostanzialmente giusta la tua risposta. Mi pare però anche condivisibile l’opinione (espressa autorevolmente dal Proto Pisani a pag.155 dell’Opera già citata) che trova una spiegazione, dell’inammissibilità delle domande di accertamento di un mero fatto, nella difficoltà in cui verrebbe posta, la difesa del convenuto, da una domanda, da cui non risulti il diritto che l’attore mira a far valere, dato che, per misurare il suo impegno nella causa, la parte “deve poter sapere – sto riportando le parole del Proto Pisani - contro cosa deve difendersi, deve poter sapere quale sia il bene concretamente richiesto dall’attore e quale sia il danno che gli può derivare dall’accoglimento della domanda attrice”.E passiamo alla seconda problematica.Seconda problematica: un credito può essere fatto valere frazionatamente? ad esempio, Tizio - che ha dato a Caio mille a mutuo ed, essendo il termine concesso a favore di Caio già scaduto, potrebbe chiedere subito la restituzione di tutti i mille - può invece chiedere a marzo la condanna di Caio a pagare una frazione dei mille, metti cinquecento, e poi, a novembre chiedere la sua condanna al pagamento dell’altra frazione, degli altri cinquecento?

Discente: Se effettivamente a marzo il credito di mille é tutto esigibile, io riterrei di no: perché far lavorare due volte l’Autorità giudiziaria? perché costringere il convenuto alla spesa di due processi? Se, al contrario dell’esempio fatto, a marzo fosse esigibile solo una rata del credito e solo a novembre diventasse esigibile l’altra, io riterrei discutibile l’imposizione, al creditore Tizio, di chiedere tutto il credito, quindi anche la seconda rata non scaduta, al momento in cui chiede il pagamento della prima.

Docente: - Tutto é discutibile in una materia come questa in cui manca una chiara direttiva del legislatore; e il “si ” di un interprete vale il “no” di un’altro interprete, non essendovi vere e chiare ragioni per preferire una interpretazione all’altra. Val la pena di far presente, invece, che una questione assai simile a quella ora

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proposta si presenta in materia di danno: Caio in un incidente ha subito il danno: di A (parafango dell’auto), di B (orologio), di C (vestiti): egli, che ha chiesto in un precedente processo il risarcimento solo di A e di B, può chiedere in un successivo processo il risarcimento anche di C?Molti rispondono di no. La giurisprudenza, direi prevalente, risponde: “Si, purchè nel precedente processo abbia fatto riserva di chiedere C”.Come vedi si tratta di una questione assai simile a quella dell’ammissibilità di una richiesta frazionata di un credito (o, addirittura, secondo alcuni autori, con tale questione coincidente, dato che, nel caso, Tizio chiederebbe – questa é almeno la tesi di tali autori - frazionatamente il suo risarcimento del danno) e alla questione, che ora andremo ad esaminare, se sia possibile far valere un diritto in base a una causa petendi deducibile, ma non dedotta, in un precedente processo.E passiamo alla terza problematica.Terza problematica: può un diritto essere fatto valere per una causa petendi deducibile, ma non dedotta, in un precedente processo? ad esempio: Tizio rivendica l’immobile A da Caio sostenendo che questi glielo ha venduto. Il giudice Primus gli dà torto. Può Tizio, davanti al giudice Secundus, rivendicare sempre la proprietà dell’immobile A sostenendo però, questa seconda volta, di averlo usucapito?

Discente: E che risposta si dà alla questione?

Docente: Pacificamente negativa (salvo naturalmente che l’usucapione fatta valere sia maturata dopo la definizione del primo processo). Così come negativa, se non pacificamente, maggioritariamente, é la risposta che si dà alla questione sull’ammissibilità di “plurime impugnative negoziali”: Tizio che ha chiesto l’annullamento o la dichiarazione di nullità di un negozio in base ad A (metti, perché dovuto a errore) e si é vista rigettare la domanda, può in un secondo processo chiedere l’annullamento o la dichiarazione di nullità per B (metti, per violenza subita)? Ovviamente, come non si ammette la possibilità di far valere in un secondo processo un diritto in base ad una causa petendi già deducibile in un primo processo, così non si ammette la possibilità di far valere in un secondo processo un diritto in base a prove deducibili nel primo processo (sul punto però vedi melius, il numero 3 dell’art. 395). Si é soliti esprimere tale soluzione col brocardo “La sentenza copre il dedotto e il deducibile”

Discente: Ovviamente l’inammissibilità di una seconda domanda nei casi in questione va spiegata con ragioni di economia processuale.

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Docente: E, direi anche, con lo scopo impedire che la controparte venga defatigata dal reiterarsi delle domande contro di lei.

Docente: Quarta problematica: sono ammissibili le azioni di mero accertamento?E’ opportuno sottolineare che il problema riguarda le azioni di mero accertamento; dato che non c’é nessun dubbio che al giudice possa essere chiesto di accertare un diritto. Anzi, questo si può dire che avvenga sempre: avviene quando si domanda una sentenza di condanna (dato che, ad esempio, prima di condannare il convenuto a mille, il giudice dovrà ben accertare il diritto di credito dell’attore a mille); avviene quando si domanda una sentenza inibitoria (dato che, ad esempio, prima di inibire a Tizio di frapporre ostacoli al passaggio di Caio nel suo terreno, il giudice senza dubbio dovrà accertare il diritto di Caio alla servitù di passo); avviene infine quando si domanda una sentenza costitutiva (dato che, ad esempio, prima di annullare un contratto, come chiesto dall’attore, il giudice dovrà accertare se esiste nell’attore il diritto all’annullamento). Ma, da tutti questi accertamenti, quello di cui ora dobbiamo occuparci, si distingue perchè é, appunto, un “mero accertamento”; e la questione che ci poniamo adesso é se si può chiedere al giudice di accertare un diritto quando ciò non é finalizzato a una sentenza di condanna, a una sentenza di inibitoria, a una sentenza costitutiva.

Discente: A questa domanda ti posso rispondere anche io: certo che sono ammesse le azioni di mero accertamento. Esse sono previste dal Codice Civile, in almeno due articoli: l’articolo 949 e l’articolo1079. L’ articolo 949 recita nel suo primo comma: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio”. A sua volta l’incipit dell’articolo 1079 ci dice che “il titolare della servitù può farne riconoscere in giudizio l’esistenza contro chi ne contesta l’esercizio”.

Docente: Bravissimo. Ma non solo il Codice Civile, anche il Codice di procedura civile ha degli articoli che prevedono domande di mero accertamento; e per di più domande non limitate, come quelle di cui agli articoli 949 e 1079 del Codice Civile, al diritto di proprietà e al diritto di servitù.

Discente: Quali sono questi articoli?

Docente: L’articolo 181 e l’articolo 34.L’articolo 181, dà la possibilità al convenuto, nell’inerzia dell’attore (v. melius il secondo comma dell’articolo) di domandare l’accertamento (ovviamente negativo) del diritto di questo. L’articolo 34 dà alle parti, ma per quel che qui soprattutto

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interessa, al convenuto, il potere di domandare l’accertamento con autorità di giudicato della questione pregiudiziale relativa all’esistenza di un rapporto giuridico: ad esempio, Caio, convenuto da Tizio che pretende un canone locatizio nel presupposto di un rapporto di locazione, può chiedere che sia accertata l’inesistenza di tale rapporto locatizio.Quindi senza dubbio nel nostro Ordinamento sono contemplati dei casi in cui può essere chiesta al giudice una sentenza di mero accertamento. Non esiste però nel nostro Ordinamento una norma, che in via generale ammetta domande volte ad ottenere sentenze di mero accertamento. Per cui sorge questione se, tali domande, siano ammissibili al di fuori dei casi espressamente contemplati.

Discente: Perché mai non dovrebbero essere ammissibili?davanti al giudice una persona può far valere un qualsiasi diritto: l’articolo 99 suona semplicemente “Chi vuol far valere un diritto” ecc.ecc. Insomma il codice di procedura non pone nessun limite all’esercizio di un diritto in giudizio.

Docente: E, invece, lo pone. E precisamente lo pone con l’articolo 100 che – sotto la rubrica “Interesse ad agire” - recita: “Per proporre una domanda o per contraddire ad essa é necessario avervi interesse”.

Discente: Ma l’articolo 100 si limita a richiedere, in chi propone una domanda, un interesse a proporla. Ed é chiaro, e, più che chiaro, lapalissiano, che, se Tizio si sobbarca alle spese e alle perdite di tempo necessarie per proporre una domanda giudiziale contro Caio, non può non avere interesse a proporla: nessuno getta via il suo tempo e i suoi soldi per niente!

Docente: Proprio perché ciò é lapalissiano e dobbiamo pensare che neanche il legislatore ami spendere tempo e fatica per dire ciò che é...inutile dire, dobbiamo ritenere che l’articolo 100 richieda nella parte, in Tizio, non un qualsiasi interesse (a proporre la domanda), ma un interesse tanto forte da giustificare la spendita dell’attività giurisdizionale, nel giudice, e la perdita di tempo e di denaro per partecipare al processo, in chi vi é chiamato, in Caio.

Discente: Ma perchè farsi tanto scrupolo di coinvolgere Caio nel processo? Se egli, con il suo comportamento, ha fatto sorgere in Tizio un vero interesse a rivolgersi per tutela al giudice e a iniziare un processo, é giusto che di questo sopporti gli inconvenienti (tempo perso, soldi persi..), se così non é, egli, del processo, avrà diritto a farsi rifondere le spese (art 91 e ss.).

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Docente: Si, ma il rimborso delle spese, non ristora mai la parte dei danni subiti: é vero, alla fine del processo, Tizio, l’attore, é condannato a dare diecimila a Caio, il convenuto inutilmente distratto dal suo quieto vivere e dalle sue occupazioni, ma é anche vero che questi soldi (forse) potranno servire a Caio per ripianare le spese da lui fatte per l’avvocato, ma non lo ripagheranno delle perdite di tempo per recarsi a parlare con l’avvocato e col giudice.

Discente: Veniamo al dunque: dimmi allora quale é il tipo di interesse che deve avere Tizio per ottenere dal giudice una sentenza di mero accertamento. Escluso a priori che possa essere un interesse puramente morale, potrebbe essere semplicemente un interesse conoscitivo, un interesse a sapere se egli ha, o no, un certo diritto, se il compiere una certa attività gli comporta, o no, certi obblighi?

Docente: No. E non già perché tale interesse non possa essere apprezzabile: se Tizio deve decidere se continuare nel suo attuale impiego (o, metti, cominciare invece la libera professione), come può ritenersi futile il suo interesse a sapere il trattamento di quiescenza a cui avrà diritto al suo termine? Però il suo datore di lavoro, che sempre correttamente si é comportato con lui, che sempre puntualmente ha adempiuti i suoi obblighi, perché dovrebbe rimetterci il suo tempo e i suoi soldi (il tempo e i soldi a lui necessari per partecipare al processo in cui Tizio lo vorrebbe convenire) per permettere a lui (lui, Tizio) di soddisfare questo suo (pur apprezzabilissimo) interesse? Tizio si arrangi, si fidi dei lumi che gli può dare un avvocato o un commercialista!

Discente: Escluso quindi, che possa giustificare la domanda di una sentenza di mero accertamento, un interesse semplicemente di carattere morale o conoscitivo, é giocoforza concludere che, a giustificare tale domanda, possa essere solo un interesse di natura economica.

Docente: L’esistenza di un interesse economico é condizione necessaria, ma non sufficiente: occorre anche che il sorgere di tale interesse sia determinato da una condotta colpevole o, comunque, scorretta di Caio (di chi, insomma, dovrà essere chiamato nel processo a contraddire la domanda di accertamento). Di solito, tale condotta prenderà la forma di una contestazione del diritto di Tizio o del reclamo di un diritto incompatibile con quello di Tizio (c.d. “iattanza”) - contestazione e reclamo che debbono essere tanto seri, però, da effettivamente causare un danno: perchè Tizio possa chiedere una sentenza, che, metti, escluda sul suo fondo un diritto di servitù di Caio, non basterebbe che questi, in chiacchiere da bar, si fosse vantato di avere tale diritto di servitù, occorrerebbe qualche cosa di più: ad esempio, che nel

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rogito con cui Caio ha acquistato il fondo A, si facesse menzione di una servitù a favore di tale fondo A e a carico del fondo B, di Tizio: ciò effettivamente danneggerebbe quest’ultimo, perché ridurrebbe la commerciabilità del suo fondo: nel timore che questo fosse asservito i suoi potenziali acquirenti ridurrebbero la somma, che sarebbero disposti a dare per il suo acquisto.

Discente: A me sembra che gli inconvenienti, che tu hai segnalato per le domande di mero accertamento, potrebbero sussistere anche per certi tipi di domande di condanna – e con ciò mi riferisco soprattutto alle domande di condanna in futuro. Io penso al caso di Tizio, che ha diritto di avere 100 da Caio alla scadenza del 10 agosto, ma che deve mettere in conto che Caio il 10 agosto non paghi, costringendolo così ad iniziare quel processo di cognizione, che gli darà, ma solo alla sua conclusione che arriverà dopo lunghissimo tempo, il titolo per una esecuzione forzata: chiaro l’interesse di Tizio a ottenere, prima della scadenza del suo credito, tale titolo e, quindi, a iniziare, prima di tale scadenza, il processo di cognizione, chiedendo al giudice di emettere prima del 10 agosto una condanna a quel pagamento che si dovrà effettuare solo il 10 agosto (cioé chiedendo una condanna in futuro): é tutelato tale interesse?

Docente: E’ tutelato negli stessi limiti in cui abbiamo visto essere utelato l’interesse ad ottenere una sentenza di mero accertamento.

Discente: E quindi se non vi é un comportamento del debitore, di Caio, o colpevole o scorretto, che indichi nel senso di un suo inadempimento, la condanna in futuro, Tizio, non la potrebbe ottenere.

Doc Questa mi pare la conclusione logica dopo quel che si é detto a proposito dell’azione di mero accertamento: una domanda di condanna in futuro é in fondo una domanda di sentenza di mero accertamento. Che mi risulti, c’é solo un caso, quello della licenza per finita locazione (art.657), in cui l’Ordinamento ammette una condanna in futuro, a prescindere da un comportamento del controinteressato che la giustifichi.

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CAPITOLO QUARTO

FORMA E NULLITÀ DEGLI ATTI – NOTIFICHE - TERMINI

Lezione 32 - Forma e nullità degli atti

Discente: Che cosa si intende per forma di un atto?

Docente: Il termine “forma” di un atto ha, nell’ambito del diritto processuale, un’accezione (impropriamente e pericolosamente, per gli equivoci a cui può dar luogo) lata; con tale termine, infatti, non ci si vuole solo riferire al modo in cui va espresso un atto (oralmente o per scrittura, per scrittura redatta da privato o da pubblico ufficiale …), ma anche al suo contenuto. Pertanto (secondo tale impropria ed equivoca, ma pacificamente accettata terminologia) sarebbe viziata nella forma (e non difettosa nel contenuto) la sentenza in cui non fosse fatta “indicazione del giudice” (come vuole l’art. 132 comma 1°); così sarebbe sempre viziato nella forma, l’atto di citazione in cui non venisse determinata la “cosa oggetto della domanda” (come vuole l’art. 163 comma 3 n.3).

Discente: Chiarito questo, passiamo all’esame dell’articolo 121, che – sotto la rubrica “Libertà di forme” -, recita: “Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti, nella forma più idonea al raggiungimento dello scopo”.

Docente: Da tale articolo tradizionalmente vengono ricavati due principi – principi che peraltro, sempre tradizionalmente, sarebbero ribaditi, per quel che riguarda gli atti (non delle parti, ma) del giudice, dal comma due dell’articolo 131, il quale stabilisce che, in mancanza di prescrizione contraria, “i provvedimenti (del giudice) sono dati in qualsiasi forma idonea al raggiungimento del loro scopo”. Questi principi sono: quello della “libertà delle forme” e quello della “congruità della forma allo scopo”.Sul fatto che l’articolo 121 esprima davvero il principio della libertà delle forme, non mi voglio pronunciare: mi limito solo a dire che, per avere un senso l’incipit di tale articolo, deve essere letto come se suonasse: “Gli atti del processo, per i quali la legge espressamente non richiede....”; cioé va interpretato come se vietasse ogni interpretazione analogica.

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Discente: Parliamo allora del secondo principio: il principio della congruità della forma allo scopo.

Docente: Tale principio, espresso in parole più chiare (di quanto non faccia il legislatore), vorrebbe che, chi compie un atto (processuale), gli desse contenuti tali (o – se più piace usare un’altra espressione che, però, lo abbiamo gà spiegato, rimanda allo stesso significato – gli desse una forma tale) da escludere la lesione degli interessi, la cui tutela rientra negli scopi dell’atto stesso.

Discente: Quindi Cicero, che redige un atto di citazione, per decidere se inserirvi, o no, un certo contenuto (ad esempio, per decidere se indicarvi o no l’oggetto della causa) deve conoscere gli scopi, che il legislatore assegna all’atto di citazione.

Docente: E qui, ecco il punto, rischia di crearsi un circolo vizioso, dato che io, per sapere se l’indicazione dell’oggetto della domanda va inserita nell’atto di citazione, devo sapere se questo ha lo scopo di informare la controparte anche su quello che é l’oggetto della domanda.

Discente: E da che cosa potrei dedurre che l’atto di citazione ha lo scopo di informare sull’oggetto della domanda?

Docente: Dal fatto – ecco il circolo vizioso – che il legislatore impone che l’indicazione dell’oggetto sia inserita nell’atto di citazione.

Discente: Dopo questa critica demolitrice dell’articolo 121 e del secondo comma dell’articolo 131, passiamo a parlare del primo comma dell’articolo 131, che recita: “La legge prescrive in quali casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto.” Anche questa é una norma priva di un logico significato?

Docente: Tutt’altro, si tratta di una norma molto importante e molto chiara.

Discente: Importante, perché?

Docente: L’importanza di tale disposizione la puoi capire tenendo presente che solo per le “sentenze” il legislatore impone al giudice un’esauriente motivazione e che solo per le sentenze é (almeno come regola) ammessa un’impugnazione.

Discente: A questo punto sarebbe opportuno richiamare le disposizioni di legge che stabiliscono ciò.

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Docente: Comincio, com’é naturale, dalla Costituzione, il cui articolo 111 nei suoi commi 6 e 7 recita: “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale (….) é sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge”.Poi possiamo passare al titolo terzo del libro secondo intitolato “Delle impugnazioni”, che, mentre nel suo articolo 323 prevede vari mezzi di impugnazione per le sentenze, non indica l’esistenza di mezzi utili per la impugnazione delle ordinanze e dei decreti: evidentemente perchè di regola tali provvedimenti non sono impugnabili.Infine dobbiamo richiamare – non più perchè riferiti all’argomento dell’impugnazione, ma perché riferiti all’argomento della motivazione – gli articoli 132, 135 e 134, L’articolo 132, nel suo comma due, recita: “(La sentenza) deve contenere (….) la concisa esposizione (….) dei motivi in fatto e in diritto della decisione”; mentre l’articolo 134 si limita a stabilire che la “ordinanza é succintamente motivata” e l’articolo 135 nel suo comma quattro addirittura afferma che “il decreto non é motivato”.

Discente: Capisco allora come diventi importante sapere quando un provvedimento del giudice può essere qualificato come sentenza e quando, no.

Docente: E qui si rileva l’importanza del comma primo dell’articolo 131; infatti con tale disposizione il legislatore (ordinario) ci viene a dire: “Sono io che stabilisco quando ci si trova di fronte ad una sentenza (idest, di fronte ad un provvedimento che deve essere munito di motivazione ed é soggetto a impugnazione e in particolare a ricorso per cassazione)”. Che poi il legislatore (ordinario) abbia effettivamente il potere di vincolare il giudice ad una data interpretazione delle norme costituzionali e, per quel che qui più rileva, dell’articolo 111 Costituzione, bè, questa é un’altra questione; ed é una questione veramente discutibile ed effettivamente discussa: sono molti a sostenere che, indipendentemente dal nomen iuris loro attribuito dal codice, certi provvedimenti debbano ritenersi delle sentenze (ai sensi dell’art. 111 Cost.) e quindi debbano essere motivati esaurientemente e siano ricorribili in cassazione.

Discente: Passiamo ora a un argomento molto collegato a quello della forma degli atti: all’argomento delle nullità.Tanto per cominciare, cosa significa che un atto é nullo: significa che é inesistente?

Docente: Certamente, no: se c’é una cosa pacifica in subiecta materia é che

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“nullità” non é sinonimo di “inesistenza”; basti pensare che molti atti “nulli” sono per il nostro diritto suscettibili di sanatoria (e si può sanare una persona malata, non una persona che...non é mai nata, mai venuta ad esistenza); basti pensare che l’atto nullo, se come tale non é dichiarato dal giudice, produce tutti interi i suoi effetti (cosa ben strana se davvero esso ….fosse inesistente); basti pensare, dulcis in fundo, che dottrina e giurisprudenza si sono sentite autorizzate a creare accanto alla categoria degli “atti nulli”, quella degli “atti inesistenti”.

Discente: Come nella procedura penale.

Docente: Nella procedura civile trovando però una base normativa nell’articolo 161, che esclude la necessità dell’impugnazione per far valere la nullità derivante dalla omessa sottoscrizione della sentenza.

Discente: Ma quale sarebbe la caratteristica degli atti “inesistenti”?

Docente: Caratteristica degli atti inesistenti sarebbe la loro insanabilità assoluta: il “giudicato” (idest, in sintesi, l’esaurimento di tutti i mezzi di impugnazione di un atto) sana tutte le nullità, ma non può sanare un atto inesistente.

Discente: In buona sostanza, riprendendo il filo del discorso, tu mi vieni a dire che il termine “nullità” non ha un preciso contenuto semantico – idest, viene usato per esprimere concetti tra di loro diversi.

Docente: Esatto, non bisogna lasciarsi ingannare dalla forza evocatrice che il termine “nullità” possiede: atto nullo non solo non significa atto inesistente e indica genericamente le conseguenze sfavorevoli che l’ordinamento ricollega all’inosservanza di un dato onere di comportamento; ma queste conseguenze sfavorevoli, possono essere diverse da caso a caso, per cui, ad esempio, il dire che “la tal prova é nulla “, viene a significare che “tu, giudice, devi prendere le tue decisioni senza poterle, con tale prova, motivare”; invece, il dire che “la tal sentenza é nulla” viene a significare che “tu, giudice di appello, devi rimettere la causa al collega del precedente grado” (o anche che “tu, giudice, devi riprendere in esame tutto il “merito” della controversia”).

Discente: E’ stato bene chiarire questo, però, avvertito lo studioso della equivocità del termine, sarà bene che noi si continui ad usarlo: sei d’accordo?

Docente: Certo che sì: noi dobbiamo continuare a lavorare con gli strumenti, anche

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se imperfetti, che il nostro diritto ci offre.

Discente: Dicci ora, quali sono le ragioni per cui un Ordinamento giuridico può reagire ad un atto (compiuto in violazione di norme processuali) stabilendone la nullità?

Docente: Le più varie: il timore che l’atto contenga il germe di un errore per il giudice (si pensi all’assunzione di una prova con violazione delle norme intese ad impedirne l’inquinamento); la necessità di togliere un incentivo, al giudice e alle parti, alla violazione di certe norme processuali particolarmente importanti (perché, ad esempio, miranti a tutelare l’interesse a contraddire di una parte: si pensi al combinato disposto degli articoli 163, 164) ecc. ecc.

Discente: Quindi, essendo diverse le ragioni che convincono il legislatore a reagire alla violazione di una norma, penso, sarà anche diversa l’intensità e, per così dire, l’energia della reazione.

Docente: Certamente, si. Però, la sanzione della violazione di una norma processuale, non potendo trovare espressione che nella morte dell’atto compiuto in spregio a questa (di meno non avrebbe senso, di più ….non sarebbe possibile), dovendo, cioé, la quantità della sanzione rimanere invariata (qualunque sia la lesività dell’atto, le probabilità che si ripeta), tale maggiore energia nel reagire alla violazione, non potrà manifestarsi che nel rendere più certa e sicura l’applicazione della sanzione stessa.

Discente: E come pensa il legislatore di ottenere tale maggiore certezza nell’applicazione della sanzione?

Docente: In due modi: 1) aumentando il numero di persone, a cui compete il richiedere l’applicazione della sanzione, in altri termini, il potere di eccepire e rilevare la nullità, e includendo in tale numero anche chi, come il giudice, dall’esercizio di tale potere, non potrebbe esimersi; 2) diminuendo i casi, le circostanze, che tale potere estinguono (le c.d. “sanatorie”).

Discente: Se il legislatore impone una data formalità, certamente lo fa per uno scopo: quello (e quale mai altro potrebbe essere?!) di apprestare la giusta tutela ad un interesse. Ma se questo interesse é veramente degno di tutela, se davvero l’inosservanza della (imposta) formalità lo vulnera, logica non vorrebbe che il legislatore reagisse sempre a tale inosservanza, e reagisse sempre con quella

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sorta di restitutio in integrum che è la nullità dell’atto lesivo?

Docente: Questo sembrerebbe volere la logica; e appunto seguendo questa logica il legislatore francese del 1789, nell’illusione di poter creare un ordinamento del tutto logico e razionale, stabilì la nullità per ogni violazione di legge. Ma si dovette ricredere. E infatti l’atto, una volta dichiarato nullo, va, se possibile, rinnovato (sul punto leggiti l’articolo 162); ora, in molti casi, se si soppesa, da una parte, il dispendio di tempo e di fatica che la rinnovazione dell’atto causerebbe e, dall’altra, la gravità del vulnus inferto (dalla nullità) all’interesse tutelato, si deve concludere che per il processo l’imporre quello (idest, quel dispendio di tempo e di fatica) é maggior male che il sopportare questo (idest, il vulnus all’interesse tutelato).Vi sono poi addirittura dei casi in cui la rinnovazione dell’atto ben difficilmente medicherebbe la ferita inferta all’interesse tutelato: pensa all’escussione di un teste, avvenuta senza prima fargli assumere il c.d. impegno: il vulnus all’interesse alla fedeltà e veridicità della prova, c’è (in altri termini, c’é la probabilità che il teste si lasci andare ad affermazioni false, da cui si sarebbe astenuto se avesse assunto l’impegno), ma quali probabilità ci sono che il teste, dopo aver testimoniato “nero”, reinterrogato (dopo che é stata dichiarata la nullità della sua precedente testimonianza) dica “bianco”, solo perché, questa seconda volta, ha preso...l’impegno di dire la verità? Una su un milione! E allora perché annullare la testimonianza e perdere tempo a rinnovarla?

Discente: Conclusione: non ogni inosservanza di forme conduce alla nullità di un atto. Ma se così é – ecco il problema che vengo ora a porti – é più opportuno rimettere al giudice la decisione di quando la violazione di una forma produce la nullità oppure é più opportuno riservare tale decisione al legislatore (introducendo così nell’Ordinamento processuale il principio di tassatività delle nullità) -?

Docente: Certamente a favore della seconda soluzione (tassatività delle nullità) depone l’ingiustizia di colpire con una sanzione (chè, in fondo, la nullità é anche una sanzione) il comportamento di un soggetto giuridico, senza avvisarlo prima (con una chiara disposizione di legge) del danno (la sanzione é un danno!) che, da tale comportamento, gli deriverebbe. Però, a favore della prima soluzione, c’é.... la limitatezza della mente umana: il legislatore non può prevedere tutti i casi in cui la violazione di una forma meriterebbe di essere colpita dalla nullità. Poco male, se questa avesse solo la funzione e il carattere di una sanzione, senonchè essa (la nullità) ha di caratteristico (e in più, rispetto alle altre sanzioni) di tendere (non tanto a reagire alla lesione di un interesse, quanto) ad impedire la lesione di un interesse: quindi, non comminarla, significherebbe, non tanto lasciare impunita una violazione

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di legge, quanto piuttosto lasciare senza tutela un interesse, che invece la merita.

Discente: Debbo pensare quindi che il nostro Ordinamento rifiuti il principio di tassatività.

Docente: Senti, l’ipocrisia é una caratteristica dei legislatori moderni: quindi non ti deve meravigliare se, leggendo l’articolo 156, nel primo comma trovi solennemente affermato il principio di tassatività: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non é comminata dalla legge”; e, poi, trovi rimangiata tale solenne affermazione nel secondo comma: “Può tuttavia (la nullità) essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”.

Discente: Ma vogliamo – dopo tanti discorsi in apicibus iuris – scendere più basso, leggerci le più importanti norme sulle nullità e, possibilmente, dire due parole di esegesi su di esse?

Docente: Cominciamo dall’articolo 156; e, siccome l’idea é stata tua, leggilo tu.

Discente: L’articolo 156 – sotto la rubrica “Rilevanza delle nullità” - recita: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non é comminata dalla legge.- Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.- La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo cui é destinato”. Alcune osservazioni.

Docente: Telegraficamente, dal momento che già abbiamo avuto occasione di riferirci a questo articolo.Il primo comma accoglie il “principio di tassatività” e, come già si é avuto occasione di dire, il secondo comma...se lo rimangia. Il terzo comma esprime il principio di “convalidazione per il raggiungimento dello scopo” - principio che, a sua volta, viene ritenuto espressione di quello di “conservazione degli atti imperfetti”, vigente anche ne diritto sostanziale.

Discente: Forse val la pena di fare un esempio di quest’ultimo principio.

Docente: Un esempio, e importante, di tale principio, é la sanatoria delle nullità della citazione, stabilita dall’articolo 164 comma terzo, a seguito della costituzione del convenuto.

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Discente: Passiamo ora all’esame dell’articolo 157 che – sotto la rubrica “Rilevabilità e sanatoria delle nullità” - recita: “Non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata d’ufficio. Soltanto la parte nel cui interesse é stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.- La nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente”.

Docente: Va premessa all’esegesi della norma, una precisazione terminologica: si chiamano nullità relative quelle che possono essere eccepite solo dalle parti, nullità assolute, quelle che invece possono essere rilevate anche dall’ufficio (idest, dal giudice).Tanto premesso, partiamo con l’esegesi dell’articolo 157; ma non cominciamo dal suo primo comma, bensì dal secondo, perchè é questo che ci dà il bandolo della matassa. “Soltanto la parte nel cui interesse é stabilito un requisito – ecco qual che ci viene a dire tale secondo comma dell’articolo 157 - può opporre la nullità per la mancanza del requisito stesso (...)”. Ed é questa una cosa perfettamente logica: se la parte, che il legislatore vuole tutelare con una norma – quella stessa norma a garanzia della cui osservanza é prevista la nullità – non si lamenta della sua violazione, vuol dire che questa violazione non le ha causato nessun danno: in termini più tecnici, ha ad presumersi che, nonostante la mancanza del requisito voluto, “l’atto abbia raggiunto lo scopo a cui é destinato”.

Discente: Quindi alla fin fine il secondo comma dell’art. 157 (che stai commentando) non é che un corollario del terzo comma dell’art. 156 (che hai prima commentato).

Docente: Direi proprio di si. Ma passiamo al primo comma sempre dell’art. 157. Questo comma sembrerebbe volerci dire che tutte le nullità sono da ritenersi relative, a meno che una norma non le qualifichi come assolute. Ma questa é un’interpretazione che il giurista (di buon senso) non può accettare, dato che non é per nulla da escludere che vi siano nullità - che senza dubbio meritino di essere rilevate d’ufficio o perchè poste a tutela di un interesse dell’Ufficio o perché, sì, poste a tutela di un interesse della parte, ma questa si trova impossibilitata ad attivarne la tutela - che il legislatore per una delle sue tante defaillances si é dimenticato di dichiarare rilevabile d’ufficio. E allora perché il giurista non dovrebbe rimediare a tale dimenticanza (come fa con altre norme che pur pretenderebbero di essere tassative nei loro enunciati)?

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Discente: Tu, insomma, così come escludi una tassatività delle nullità, così escludi una tassatività delle nullità rilevabili d’ufficio. Opinione rispettabilissima, ma …..non dimentichiamoci di parlare del terzo comma dell’articolo in esame.

Docente: Questo terzo comma esclude la legitimatio ad excipiendum della parte “che ha data causa” alla nullità, e di quella che vi “ha rinunciato anche tacitamente”.La prima esclusione si giustifica col principio malitiis non est indulgendum. La seconda va considerata (come abbiamo già visto essere per la disposizione di cui al secondo comma) come un corollario del terzo comma dell’art. 156: la rinuncia ad eccepire fa presumere che l’atto abbia raggiunto il suo scopo.

Discente: Passiamo all’art. 159, che – sotto la rubrica “Estensione della nullità” - recita: “La nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono in dipendenti.- La nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti.- Se il vizio un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti al quale é idoneo”.

Docente: I primi due commi dicono cose ovvie, cose che l’interprete avrebbe da sé solo dedotte facilmente dal terzo comma dell’art. 156. E infatti, é ovvio che la nullità di un atto successivo non può aver impedito a quelli precedenti di raggiungere il loro scopo (e se non l’ha impedito, questi atti non possono non ritenersi validi!); più che ovvio, é, poi, quasi una petizione di principio il dire che non può considerarsi nulla una parte (dell’atto) se é, da quella inficiata da nullità, “indipendente”: quel che ci dovrebbe invece dire, il legislatore, é proprio quando una parte é, da un’altra, indipendente (indipendente nel senso, ovviamente, che può raggiungere il suo scopo a prescindere dall’esistenza di questa): detto questo, il legislatore ci avrebbe detto tutto (dato che il resto lo ricaveremmo dal terzo comma dell’art. 156!).Ovvio il contenuto dei due primi commi dell’art. 159 e pure ovvio quel che si deduce a contrario da essi: che cioè la nullità di un atto comporta quella dei successivi che ne dipendono: questa é una “ovvia” deduzione (non più dal terzo comma, ma) dal secondo comma dell’art.156, se si deve intendere – e altro non si potrebbe intendere! - come atto “dipendente” quello che fallisce il suo scopo in conseguenza della nullità dell’atto (viziato 9 che lo precede.Terzo comma: valeva la pena di inserirlo nel codice? Diremmo di no, perché esso si limita a fare applicazione di un principio incontestato del nostro Ordinamento: quello che si esprime nel noto brocardo “Utile per inutile non vitiatur”.A chiusura dell’esame dell’art. 159, lo studioso va avvertito che tale articolo va posto in relazione col primo comma dell’articolo 162, secondo il quale “il giudice

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che pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende”.

Lezione 33 - Le notifiche

(Le note sono in calce al paragrafo)

Discente: Perché il legislatore si dovrebbe preoccupare di far notificare (nel senso etimologico di “fare nota”) una certa circostanza a un terzo o a una parte in causa?

Docente: Perché tale notificazione (tale conoscenza) é al legislatore necessaria per giustificare (dare la “ratio” a) l’illazione che egli vuole poter trarre da un dato, eventuale comportamento (della parte o del terzo): é lecito dedurre dalla mancata costituzione del convenuto il suo disinteresse per la causa e compiere la necessaria attività processuale in sua assenza? Sì, ma a patto che egli, della causa, abbia avuta conoscenza. E’ lecito dedurre dalla mancata comparizione della parte, a cui é stato deferito il giuramento, che i fatti, di cui egli avrebbe dovuto giurare l’esistenza, in realtà esistenti non sono? Sì, ma a patto che essa fosse a conoscenza del deferimento del giuramento.

Discente: Se così, mi pare che la logica voglia che il legislatore, tutte le volte in cui ritiene necessaria la notifica di una data circostanza, pretenda anche una prova che tale notifica é avvenuta.

Docente: Ed é così; di più, egli riserva alla sua discrezione, non solo la valutazione del grado di certezza che deve dare tale prova (dell’avvenuta notificazione di una circostanza), ma anche lo stabilire le forme e modalità di notificazione che danno tale grado di certezza.

Discente: Perché questo?

Docente: Perché, se fosse rimesso al potere discrezionale del giudice la valutazione di tale grado di certezza e lo stabilire le prove che, tale certezza, danno, si avrebbe il risultato che un giudice (il giudice Primus) nello stesso momento in cui ritenesse provata, in base all’esercizio di tale suo potere (discrezionale!), una notifica (metti, la notifica dell’ordinanza che deferisce il

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giuramento a Caio), per trarne una data illazione (“La mancata comparizione di Caio all’udienza é dovuta al suo rifiuto di prestare il giuramento, quindi nella mia sentenza gli dò torto”), avrebbe ben ragione, lui (e con lui le altre parti in causa!) di temere che il giudice Secundus (il giudice del secondo grado di giudizio) in base alla valutazione (discrezionale!) che, a sua volta, farà della prova della notifica, ritenga invece infondata l’illazione da lui (giudice Primus) tratta e ribalti la sua sentenza.

Discente: Capisco: di conseguenza il Giudice Primus (e le altre parti in causa) cercherebbero di aggiungere altre prove a quella della mancata prestazione del giuramento e ciò determinerebbe un affaticamento e un rallentamento del processo.

Docente: Proprio per questo, proprio perché occorre sottrarre alla valutazione del giudice la prova dell’avvenuta notifica (1), vigono in materia di notifiche due fermi principi.Il primo, é espresso dalla formula che “la notificazione non ammette equipollenti” (in altre parole, non ammette prove diverse da quelle volute dal legislatore): tu, Sempronio, hai mandato un telegramma per avvisare la controparte Caio, che é stata chiamata a prestare giuramento per quella tal data; Caio lealmente in un atto pubblico ha riconosciuto ciò: non importa: manca la prova certa che Caio “sapesse”, perché la prova che Caio ha avuta conoscenza della ordinanza che deferiva il giuramento non é stata data nei modi voluti dal legislatore.Secondo principio: una volta adottate per la notifica quelle forme e quelle modalità volute dal legislatore (e da lui volute in quanto, secondo lui, danno la più alta certezza che Caio abbia avuta effettiva conoscenza di quella circostanza, che gli vuol rendere nota), nulla importa che il notificando sia venuto a conoscenza, o no, della circostanza notificanda: é stata consegnata copia dell’ordinanza, che deferisce il giuramento a Caio, a sua moglie, a che, a sua volta, ne faccia consegna al marito, destinatario della notifica (vedi art. 139): c’é la prova che la moglie si é dimenticata, che il marito ha nulla saputo: poco importa, si va avanti nel processo come se questi avesse saputo (confronta co.1 art.294 e, per una eccezione al principio ora enunciato, il co.1 art. 663).

Discente: Va bene, l’adozione di certe forme, di certe modalità, dà la prova che il notificando “sappia”; ma chi dà la prova che tali forme, tali modalità siano state osservate?

Docente: Questa prova viene ricavata dal legislatore in modo diverso a seconda

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dei diversi tipi di notifica che lui ammette (notifica tramite ufficiale giudiziario, notifica a mezzo posta fatta “in proprio”, cioé “saltando” l’ufficiale giudiziario, dal difensore, notifica tramite posta elettronica certificata, notifica in forma “diretta” fatta dal difensore – vedi meglio la voce “notifica” del “Formulario”)Volendo riferirci alla notifica, a cui il legislatore dà nel codice maggiore attenzione, la notifica tramite ufficiale giudiziario, si può dire che la prova della effettiva adozione delle forme e modalità di notifica volute dal legislatore, é data dal dictum (meglio dalla “relazione” – vedi art. 148) di un pubblico ufficiale particolarmente qualificato, appunto, l’ufficiale giudiziario.Vedremo però (nel “Formulario”) che sono possibili altri tipi di notifica, in cui la prova dell’adozione delle forme e modalità particolari di notifica per esse volute dal legislatore, non é data in tal modo. E così nella notifica, fatta dal difensore, della “intimazione a teste” (vedi nel “Formulario”) la prova dell’effettiva osservanza delle forme e modalità pretese dal legislatore é data, in parte, dal dictum (non dell’ufficiale giudiziario, ma) dall’ufficiale postale e, in parte, dal dictum del difensore.

Discente: Una prova, il dictum di una parte in causa com’é il difensore, di livello, di certo, inferiore rispetto a quella, prima vista, data dal dictum di un soggetto imparziale, l’ufficiale giudiziario!

Docente: Considera però che, da una parte, il difensore nel fare la sua relazione sulla notifica assume la qualifica di pubblico ufficiale (e quindi si espone a quelle stesse sanzioni a cui si espone un p.u che fa un atto falso), dall’altra, che egli (normalmente) manca di interesse a mentire: egli é il primo infatti che ha interesse che il “suo” testimone sappia che deve venire a testimoniare.

Discente: Ma il difensore é legittimato a notificare solo le intimazioni a teste?

Docente: No. Tutti i difensori sono legittimati a notificare tutti gli atti, se la notifica avviene avviene tramite posta elettronica certificata o in “via diretta”, cioé con la consegna, fatta dal notificante, di copia dell’atto a mani del notificando (vero, però, che tale secondo tipo di notifica incontra precisi limiti: é ammesso solo se il notificante e il notificando sono entrambi avvocati – vedi meglio nel “Formulario”).Inoltre, quasi tutti gli avvocati (cioé tutti gli avvocati, meno quei pochissimi a cui il loro Consiglio dell’Ordine ha negata l’autorizzazione ad hoc, in considerazione della loro non perfetta correttezza professionale) possono notificare tutti gli atti via posta (“in proprio”, cioé evitando di rivolgersi all’ufficiale giudiziario e contattando direttamente l’ufficio postale). E in tale caso a dar la prova del rispetto delle forme e

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delle modalità di notifica, saranno il dictum dell’ufficiale postale e del difensore.

Discente: E nei due casi precedenti?

Docente: Nel caso di notifica via posta elettronica certificata, tale prova sarà data dalle “ricevute” che i due gestori della PEC, quello del mittente e quello del destinatario, rilasciano (come vedremo parlando del processo telematico).Nel caso invece di notifica “in forma diretta”, la prova sarà data dalla dichiarazione scritta, in tal senso rilasciata dal destinatario (questi, ricevuta copia dell’atto, verificata la sua conformità all’originale, scrive su questo “Ricevuta copia conforme” o altra simile dichiarazione).

Discente: Quindi é possibile per la parte andare dal notificando e consegnargli copia dell’atto.

Docente: Assolutamente, no: se così fosse succederebbero macelli. Che le due parti in causa entrino in contatto fuori dall’aula giudiziaria, é cosa che il legislatore vuole il più possibile evitare: le notifiche avvengono di regola con la intermediazione di un pubblico ufficiale (l’ufficiale giudiziario, l’ufficiale postale). Quella a cui prima ho accennato, é la famosa eccezione che conferma la regola; eccezione giustificata dalla professionalità e levatura morale, del notificante e del notificato (entrambi avvocati).

Discente: Tu hai parlato di forme e di modalità di notifica, vuoi dirmi ora quali sono?

Docente: Indicarle tutte non mi é possibile, data la natura della presente opera, ma in sintesi ti posso dire, che queste generalmente consistono nel far pervenire al notificando una copia dell’atto, che contiene la notizia che si vuol dargli (ad esempio, una copia della ordinanza che deferisce il giuramento).

Discente: Sei troppo astratto: cerca di spiegarti più chiaramente.

Docente: Cerco di essere più chiaro, mettendomi nel caso, che poi é il più frequente, di notifica fatta dall’ufficiale giudiziario: questi scrive, in calce sia dell’originale dell’atto da notificare sia di una sua copia, una dichiarazione che presso a poco suona così (vedi meglio le “relate di notifica” riportate nei Documenti” 7 e 8, della “Parte terza”, “Atti ex vivo”): “Io, sottoscritto ufficiale giudiziario richiesto da Fulano ho notificato copia conforme del sopra esteso atto di citazione a Pinco

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Pallino consegnandogliene copia conforme”.

Discente: Penso che l’ufficiale giudiziario, prima di consegnare la copia, controllerà l’effettiva sua conformità all’originale.

Docente: Così dovrebbe, in realtà di ciò non ha né tempo né voglia: insomma non controlla nulla. Così come nella notifica fatta “in proprio” dal difensore, a mezzo del servizio postale, l’ufficiale postale dovrebbe controllare che l’atto, che il difensore gli chiede di spedire, é conforme all’originale (che il difensore trattiene per poi produrlo davanti al giudice), ma io non conosco un ufficiale postale che lo faccia. Ma questi sono dettagli.

Discente: Dettagli fino a un certo punto, perché, da quel che capisco, poi, l’originale dell’atto notificando va a finire nelle mani del giudice, con il risultato che questi é costretto a basarsi su una prova non sicura.

Docente: Che vuoi che ti dica, questa é la prassi

Discente: Prescindiamo, e facciamo un piccolo passo indietro. Mi pare di capire che la notifica si perfeziona con la consegna della copia al notificando.

Docente: Sostanzialmente hai ben capito. Ma vanno fatte due precisazioni.Prima precisazione: con la consegna della copia si perfeziona la notifica per il notificando, mentre, per l’interessato alla notifica, questa si é già prima perfezionata al momento della sua richiesta (c.d. principio del “doppio perfezionamento”): Fulano richiede la notifica il 10 maggio: poco importa che l’ufficiale giudiziario consegni poi copia dell’atto notificando il 10 dicembre: la notifica, per Fulano, si é perfezionata il 10 maggio (per cui se aveva un credito che andava in prescrizione entro il 10 maggio, egli é riuscito a interrompere tale prescrizione – ed é giusto che sia così: chi richiede la notifica non deve essere penalizzato dai ritardi dell’ufficiale giudiziario!).Seconda precisazione: la notifica si perfeziona anche se la copia dell’atto non é consegnata a mani del notificando. Certo, questo sarebbe l’ideale, perché in tal caso si avrebbe - se non la sicurezza (di sicuro non c’é niente: il notificando presa la copia, se la mette in tasca, lì se la dimentica, e la “notizia” da lui viene tranquillamente ignorata) - la massima certezza che egli apprenda la notizia che si vuole dargli. Però, questo, é un ideale spesso irraggiungibile. Conscio di ciò il legislatore si accontenta che la copia venga consegnata o a persona, che presumibilmente ha “a cuore” gli interessi del notificando e, con lui convivendo, può

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facilmente contattarlo, oppure a una persona, che ha il dovere di tutelare l’interesse del notificando a ricevere la posta inviatagli.

Discente: Capisco: occorre, nella materia che stiamo trattando, distinguere il notificando (destinatario della notificazione) dalla persona semplicemente legittimata a ricevere copia dell’atto notificando (consegnatario).Ma chi sono queste persone legittimate a ricevere la copia dell’atto?

Docente: Data la natura dell’opera, non te le posso elencare. Però ti posso dire che cambiano a seconda delle situazioni. Per cui in subiecta materia può parlarsi di vari “modelli di notifica”. Mi spiego con degli esempi. Mettiamo che la notifica vada fatta a Fulano, che risiede nella via Roma di Palermo: l’ufficiale giudiziario bussa alla porta dell’appartamento di via Roma: Fulano é assente: in tal caso l’ufficiale giudiziario consegna la copia alla moglie o al figlio (che presumibilmente hanno a cuore gli interessi di Fulano) e che con lui convivono (per cui é facile per loro consegnare la copia a Fulano) o, se questi mancano o rifiutano di accettare la copia, al portiere (che ha il dovere di recapitare la posta a Fulano). E con ciò, di solito, la notifica é ben fatta (vedi meglio l’art. 139). Poniamo però che Fulano stia facendo il militare a Milano. In tal caso la moglie, il figlio (…) non sono più le persone che danno maggiore affidamento di consegnare la copia (dell’atto notificando) a Fulano (per far ciò dovrebbero mettere in una busta tale copia, andare all’ufficio postale ecc....troppa fatica, l’amore ha i suoi limiti). Chi, invece, darà il maggior affidamento al proposito sarà, nel caso, il “comandante del corpo a cui Fulano appartiene” (vedi meglio l’art.146) e a lui la copia andrà fatta pervenire. Poniamoci poi nel caso che Fulano al momento di stipulare un contratto preliminare di vendita vi abbia inserita la clausola “tutte le notifiche relative al presente atto dovranno essere fatte presso il mio avvocato Cicero son studio in Roma via ecc”. In tal caso, la persona che (presumibilmente) darà più affidamento di far pervenire la copia dell’atto notificato a Fulano e a cui la copia (dell’atto notificando) andrà consegnata, sarà (vedi meglio l’art.141), l’avvocato Cicero, il domiciliatario eletto (dato che é presumibile che Fulano abbia nominato suo domiciliatario la persona che dà la maggior garanzia di fargli pervenire eventuali notifiche).

Discente: Ma chi provvederà a informare l’ufficiale giudiziario che Fulano risiede a Roma, oppure sta facendo il servizio militare a Milano oppure ha eletto domicilio presso l’avvocato Cicero?

Docente: A dare all’ufficiale giudiziario le informazioni necessarie per l’effettuazione di una valida notifica (indicazione della residenza, del domicilio, della

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dimora, indicazione di un eventuale domiciliatario...) dovrà essere il richiedente la notifica: non si può pretendere che, per ogni notifica richiestagli, l’ufficiale giudiziario faccia indagini per appurare, se il notificando ha eletto domicilio, se sta facendo il militare (….). Certo, se, bussato alla porta, di quella che gli é stata indicata come residenza del notificando, l’ufficiale giudiziario viene a sapere che questi ha cambiato residenza o sta facendo il militare o ha eletto domicilio, egli (se in possesso dei dati necessari o se può procurarseli con facilità, andando ad esempio all’anagrafe) dovrà adottare il modello di notifica che la nuova e imprevista situazione impone.

Discente: E se bussato alla porta dell’appartamento, che gli é stato indicato come residenza di Fulano, l’ufficiale giudiziario scopre che Fulano l’ha lasciato per ignota destinazione – destinazione che nonostante una ricerca diligente all’anagrafe non risulta?

Docente: Per il tal caso provvede l’articolo 143, che ti invito a leggere.

Discente: Voltiamo pagina. Anzi torniamo a una pagina precedente. Tu prima avevi parlato di notifica tramite ufficiale giudiziario e di notifica tramite ufficiale postale, quali differenze vi sono?

Docente: La procedura di notificazione nei due casi non è significativamente diversa. La vera differenza sta nella maggiore professionalità dell’ufficiale giudiziario. Tieni, però, presente che nella procedura di notifica si possono incontrare dei limiti che solo l’ufficiale giudiziario (e non l’ufficiale postale) può superare. Poniamoci ad esempio nel caso che l’ufficiale postale – e qui non importa che sia stato incaricato direttamente dal difensore (caso di notifica fatta dal difensore “in proprio”, cioé saltando l’ufficiale giudiziario e contattando direttamente l’ufficiale postale) o che sia stato incaricato dall’ufficiale giudiziario (caso previsto dall’art. 149) - venga a sapere che il notificando si é trasferito...per ignota destinazione: in tal caso, la procedura di notificazione può naturalmente perfezionarsi lo stesso, ma solo a opera dell’ufficiale giudiziario, perché solo lui é competente a espletare le formalità di cui all’art.143.

Discente: Ma la parte può rivolgersi a qualsiasi ufficiale giudiziario per effettuare una notifica?

Docente: Chiaramente, no. Pensa cosa succederebbe se ufficiale giudiziario di Palermo potesse essere obbligato a fare una notifica a Milano? Quanti giorni

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perderebbe per eseguirla! Obbligati alla notifica di un atto sono solo due ufficiali giudiziari (meglio, due uffici di ufficiali giudiziari): quello nel cui mandamento rientra l’ufficio giudiziario competente per l’atto notificando e quello nel cui mandamento rientra il luogo della notifica. Ad esempio: Sempronio vuole convenire Caio, che risiede a Milano, davanti al Tribunale di Genova: competenti alla notifica saranno solo l’ufficiale giudiziario di Genova e l’ufficiale giudiziario di Milano.

Discente: Però l’ufficiale giudiziario di Genova potrà pur sempre essere costretto a recarsi a Milano per notificare l’atto, con suo non poco disagio e perdita di tempo.

Docente: Assolutamente, no Se l’ufficiale di Genova verrà richiesto della notifica la effettuerà tramite posta (v. art. 149).Discente: Ma sempre, l’ufficiale giudiziario potrà utilizzare il servizio postale?

Docente: Sì. A meno che la parte lo richieda di provvedere alla notifica di persona e la notifica vada fatta nell’ambito del suo mandamento.

Discente: Ma se l’ufficiale giudiziario tramite posta può effettuare notifiche in tutta Italia, che utilità dà all’avvocato il potere, di cui prima parlavi, di effettuare la notifiche direttamente tramite posta

Docente: Metti che tu, avvocato, risiedi a Palermo e hai convenuta in giudizio una persona residente a Roma davanti al tribunale di Napoli, in tal caso tu ti dovresti rivolgere all’ufficiale giudiziario o di Roma o di Napoli (il che potrebbe risultare per te molto scomodo e, comunque, darebbe come risultato, sicuro, nel caso che tu ti sia rivolto all’ufficiale giudiziario di Napoli, molto probabile, nel caso tu ti sia rivolto a quello di Roma, che la notifica avvenga...a mezza posta, ai sensi dell’art. 149); avendo, invece, il potere di far la notifica di persona, tu molto semplicemente ti puoi recare all’ufficio postale di Palermo e da lì provvedere alla notifica.

Note(1) Bisogna però riconoscere che sacrifica tale esigenza il potere concesso al giudice di “prescrivere che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge”. Vedi però i precisi limiti che l’art. 151 pone a tale potere.

Lezione 34 - I termini

Docente: L’attività processuale molto spesso é scandita da termini: alcuni, detti

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dilatori, che vogliono impedire ch’essa sia compiuta prima di un certo limite temporale (pensa all’articolo 482, che impedisce il pignoramento se non é passato un certo numero di giorni dalla notifica del precetto); altri, detti acceleratori, che vogliono, invece, pungolare l’attività delle parti e, pertanto, pongono un limite temporale, oltre il quale tale attività non può da loro compiersi (pensa all’articolo 325, che stabilisce entro quando va esercitato il diritto di impugnazione).

Discente: Che succede se un termine non viene osservato?

Docente: Certe volte non succede nulla. Ad esempio, se il giudice non ottempera al termine postogli dall’articolo 321 comma due, non succede assolutamente nulla. Altre volte, invece, ne deriva la nullità dell’atto compiuto. Ad esempio, il pignoramento compiuto prima dei dieci giorni stabiliti dall’articolo 482 é nullo.

Discente: Chi stabilisce che un atto é soggetto a un termine: solo la legge (direttamente) o (sia pure indirettamente, per un potere conferitogli dalla legge) anche il giudice?

Docente: Il legislatore assegna il compito di rispondere a questa tua domanda all’articolo 152 che – sotto la rubrica “Termini legali e termini giudiziari” - recita: “I termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge, possono essere stabiliti dal giudice anche a pena di decadenza, soltanto se la legge lo prevede espressamente.- I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge li dichiari espressamente perentori”.

Discente: Sembrerebbe, quindi, che anche il giudice possa creare, diciamo così, dei termini e addirittura dei termini stabiliti a pena di decadenza.

Docente: Così dalla lettera sembrerebbe doversi dedurre; ma io credo che la norma esprima male il pensiero del legislatore. Questi probabilmente ha voluto solo dire che “I termini possono essere stabiliti dalla legge o dal giudice. Nei casi espressamente previsti dalla legge il giudice può stabilire la durata anche di termini da me, legislatore, stabiliti a pena di decadenza”. Così come in effetti avviene, ad esempio, nel caso di integrazione del contraddittorio (in ipotesi di litisconsorzio necessario, art, 102): il legislatore, nel caso, stabilisce che il giudice dia alle parti un termine per la integrazione del contraddittorio stabilendo anche (nel terzo comma dell’articolo 307) la sanzione per l’inosservanza di tale termine (sanzione che é l’estinzione del processo): dunque il legislatore stabilisce il termine, il giudice ne determina (solo) la durata.

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Discente: Nel secondo comma dell’articolo testè letto si fa parola di “termini perentori” e di “termini ordinatori” senza definirli: vuoi definirli tu?

Docente: Io li definirei così: termini perentori sono quelli improrogabili (salvo giustificato motivo); ordinatori, sono quelli prorogabili (a discrezione del giudice).

Discente: Il corollario di tale definizione mi pare dunque sia questo: che i termini perentori vanno osservati a pena di decadenza, mentre l’inosservanza dei termini ordinatori non produce decadenza.

Docente: Così si sostiene, anche autorevolmente; ma a me ciò non pare del tutto vero. E forse tu concorderai con me dopo la lettura degli articoli 153 e 154.L’articolo 153 – sotto la rubrica “Improrogabilità dei termini perentori” - recita: “I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull’accordo delle parti.- La parte che dimostra di essere incorsa in una decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termine (.....)”.L’articolo 154 – sotto la rubrica “Prorogabilità del termine ordinatorio” - recita: “Il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d’ufficio, il termine che non sia stabilito a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato”.

Discente: Io non vedo perché dagli articoli citati dovrebbe risultare contraddetta la tesi che la inosservanza dei termini ordinatori non produce decadenza.

Docente: Fa attenzione all’articolo 154: ti sembra logico che il legislatore tanto si preoccupi di dire che il termine ordinatorio può essere abbreviato o prorogato, che la proroga può ecc.ecc-, se intanto nessuna conseguenza negativa derivasse alla parte dalla inosservanza del termine?

Discente: No, effettivamente non sarebbe logico. E allora come va letto l’articolo 154?

Docente: Va letto come se suonasse. “Il giudice, prima della scadenza, può abbreviare o prorogare, anche d’ufficio un termine che non sia espressamente dichiarato dalla legge come perentorio. La proroga non può ecc.ecc.” Restando inteso che anche un termine ordinatorio va osservato a pena di decadenza – decadenza dalla quale il giudice potrà salvare la parte (in difficoltà nell’esatto

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adempimento) prorogando, prima della scadenza, il termine.

Discente: Passiamo a parlare dell’articolo 155, che – sotto la rubrica “Computo dei termini” - recita: “Nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l’ora iniziali.-. Per il computo dei termini a mesi e ad anni, si osserva il calendario comune.- I giorni festivi si computano nel termine.- Se il giorno di scadenza é festivo, la scadenza é prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo.- La proroga prevista dal quarto comma si applica altresì al termine per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato.- Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari nella giornata del sabato, che ad ogni effetto é considerata lavorativa”.Docente: L’articolo 155 ha l’importante funzione di fornire all’interprete i criteri per risolvere i dubbi (esegetici) che potrebbero nascere nell’applicazione delle varie norme, sparse nel codice, in cui vengono stabiliti dei termini.

Discente: Fa un esempio.

Docente: Pensa alle norme che stabiliscono il termine per fare appello (gli articoli 325 e 326): da esse risulta che tale termine, di trenta giorni, “decorre dalla notificazione della sentenza”. Punto e basta: e se la notifica della sentenza é stata fatta alle ore nove del tredici maggio, chi ci dice se nei 30 giorni va fatto, o no, rientrare quello in cui la notifica é avvenuta, il 13 maggio? Ecco, ce lo dice l’articolo 155 (e non l’articolo 325) con il primo comma: no, il giorno 13 non va calcolato. Altro dubbio che potrebbe nascere: il trentesimo giorno é festivo, si calcola? Anche qui la risposta la possiamo ricavare (solo) dall’articolo 155, il quale nel suo quarto comma ci dice: “Se il giorno di scadenza é festivo, la scadenza é prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo”. Ma (altro dubbio interpretativo) i giorni festivi, che scadono nel corso del termine, si computano? Si, chiarisce, anche qui puntuale, l’articolo 155 col suo terzo comma.Abbiamo fatto l’esempio di un termine stabilito a giorni, e se fosse invece un termine stabilito a mesi (si pensi al termine stabilito dall’articolo 327)? per computare il termine si moltiplica il numero dei mesi (stabilito dalla legge) per 30? A toglierci dall’impasse provvede anche questa volta l’articolo 155 col suo secondo comma: “Per il computo dei termini a mesi o ad anni si osserva il calendario comune”; con ciò volendo escludere la validità del calcolo da noi prima abbozzato e volendo significare -come più chiaramente si esprime il quarto comma dell’articolo 2963 C.C. - che il termine stabilito a mesi scade “nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale”.

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Dics.- Quindi, per sapere quando scade il termine per l’appello di sei mesi, termine, metti, iniziato il 15 gennaio, per prima cosa individuo il mese di scadenza: é luglio; e poi trovo il giorno corrispondente a quello del mese iniziale: é il 15 luglio. Conclusione: il mio termine per appellare scade il 15 luglio.

Docente: Esattissimo, però, ogni volta che calcoli il termine di impugnazione, dovrai ricordarti della così detta “sospensione dei termini feriali”; ma dicendo ciò, lo riconosco...sto divagando.

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CAPITOLO QUINTO

LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO GRADO

Lezione 35 - Tecniche per la soddisfazione dell’esigenza di dare rapida soddisfazione alle domande di giustizia.

Premessa – Il legislatore nel disciplinare il processo civile deve soprattutto badare a soddisfare le due seguenti esigenze: I- Esigenza di dare dare la più rapida soddisfazione possibile alle domande di giustizia.II- Esigenza di garantire un effettivo contraddittorio tra le parti.Di seguito cercheremo di chiarire come il legislatore provvede a soddisfare tali esigenze.

Docente: E’ intuitiva la importanza che la tutela dello Stato arrivi in tempi rapidi (quindi prima che l’interesse tutelato sia, forse irrimediabilmente, leso!). Purtroppo le necessarie garanzie da accordare alla difesa delle parti rendono il processo inevitabilmente lungo.

Discente: Quali sono allora le tecniche che il Legislatore può usare per soddisfare l’esigenza di una rapida giustizia?

Docente: Io le dividerei in due grandi categorie: quelle che per essere attuate comportano un sacrificio di uno dei principi che come abbiamo visto nella prima parte regolano il processo e quelle che un tale sacrificio non comportano.

Discente: Cominciamo a parlare delle tecniche rientranti nella prima categoria.

Docente: A loro volta possiamo distinguerle in due diversi tipi. Primo tipo: tecniche che sacrificano il principio proclamato dall’art. 100 (che, come abbiamo visto in una lezione sul libro primo del codice, vuole che il titolare di un interesse ne chieda la tutela allo Stato solo quando tale interesse é stato leso, e non quando solo c’é il pericolo che venga leso); secondo tipo, tecniche che sacrificano il principio del contraddittorio.

Discente: Un esempio di tecnica che sacrifica il principio di cui all’art.100.176

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Docente: Ti é dato dall’incipit del primo comma dell’art.657, che recita: “Il locatore (...) può intimare al conduttore (….) licenza per finita locazione, prima della scadenza del contratto con la contestuale citazione per la convalida (…)”. Quindi tu, che hai stipulato un contratto di locazione che scade il 15 ottobre, non devi aspettare di constatare che il 16 ottobre il tuo inquilino sta ancora occupando imperturbabilmente il tuo appartamento, per agire giudizialmente: puoi giocare di anticipo, iniziare l’iter processuale prima del 15 ottobre con la speranza così di giungere a tale data già con la convalida in tasca e pronto ad agire per eseguirla.

Discente: E ora un esempio delle tecniche che vengono a sacrificare il contraddittorio.

Docente: Il prototipo di tale tecniche ti é dato dal procedimento di ingiunzione, le cui condizioni di ammissibilità ti sono dette dall’art. 633, che recita: “Su domanda di chi é creditore di una somma liquida di danaro, o di una determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna”.

Discente: Senza sentire le ragioni del debitore?

Docente: Senza sentire le ragioni del debitore. Ma naturalmente l’ingiunzione viene emessa solo se la sua richiesta é resa affidabile o dalla qualità della prova (che la conforta) o dalla qualità del creditore (che la propone). E infatti l’articolo 633 così prosegue nel suo secondo e terzo comma: “(Il giudice pronuncia ingiunzione) 1) se del diritto fatto valere si dà prova scritta; 2) se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo; 3) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte per la quale esiste una tariffa legalmente approvata”.Vi é inoltre da dire che il legislatore concede all’ingiunto di contestare la giustizia dell’ingiunzione instaurando un procedimento in cui il creditore dovrà dare la prova del suo diritto secondo i principi ordinari (che potrebbero pretendere una prova migliore e più “forte” di quella valida e sufficiente per ottenere la ingiunzione stessa: per ottenere l’ingiunzione basta, all’art. 634, un telegramma “anche se mancante dei requisiti prescritti dal codice civile”? Ebbene nel processo instaurato, tu creditore dovrai invece dare la prova con un telegramma, di tali requisiti, munito); ciò risulta dall’art. 641, che recita nel suo primo comma: “Se esistono le condizioni previste dall’art. 633, il giudice, con decreto motivato (….) ingiunge all’altra parte di

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pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste (….) nel termine di (…) con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione a norma degli articoli seguenti e che in mancanza di opposizione si procederà ad esecuzione forzata”.

Discente: Ma il procedimento di ingiunzione riguarda il libro quarto del codice: le tecniche di cui tu hai fatto cenno non trovano applicazione nel libro secondo che qui ci interessa?

Docente: Sì, la trovano; e precisamente la trovano negli artt. 186bis, 186ter, 186quater. Infatti tutti e tre questi articoli prevedono la possibilità per il giudice di emettere un’ordinanza (“ordinanza interinale”) che accolga in tutto o in parte le domande di una parte – questo prima della conclusione del processo, quindi quando ancora la controparte avrebbe spazio e modo di far valere delle “ragioni” (in contestazione delle domande accolte).

Discente: Pertanto con evidente sacrificio delle garanzie di difesa. Ma questo sacrificio é giustificato dalle particolari esigenze di celere definizione che il procedimento, in cui l’ordinanza é emessa, presenta?

Docente: No, é giustificato, nel caso degli articoli 186bis e 186ter, dal fatto che, data la particolare qualità della prova, che conforta la “domanda” di una parte, é improbabile che tale prova sia, per così dire sopraffatta dalle prove che pur la controparte potrebbe in teoria ancora portare.

Discente: E nel caso dell’articolo 186quater? il sacrificio del contraddittorio non é neanche qui giustificato dalla qualità delle prove portate a conforto della domanda?

Docente: No, l’ordinanza di cui nell’art. 186 quater viene emessa quando le prove dedotte hic ed inde sono state raccolte: quindi non si giustifica col ragionamento “Le prove a conforto della domanda di Tizio sono talmente forti che é improbabile che la controparte Caio deduca prove capaci di neutralizzarle”, bensì col semplice ragionamento “Le prove dedotte da Tizio, comparate a quelle dedotte da Caio, risultano migliori e la causa non presenta in diritto questioni complesse per cui io, giudice, posso accogliere la domanda di Tizio ancor prima e a prescindere di quello scambio di scritti defensionali (le “comparse conclusionali) e di quella discussione orale che pur il legislatore prevede a conclusione del processo”.

Discente: Certo, comunque si giri la frittata, il sacrificio del principio del

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contraddittorio é decisamente forte!

Docente: Tieni presente però che la possibilità di emettere le ordinanze de quibus é ammessa dal Legislatore solo per le “domande” che, a suo giudizio, dovrebbero essere di facile “decisione”. E così l’ordinanza di cui all’art. 186bis é ammessa solo per le “domande” di condanna a una somma; l’ordinanza di cui all’art. 186ter é ammessa solo per le domande proposte da “chi é creditore di una somma liquida di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o da chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata” (vedi il combinato disposto degli artt. 186ter e 633 co.1); l’ordinanza, infine, di cui all’art. 806quater é ammessa solo per le “domande di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni”.Tieni ancora presente che, almeno per quel che riguarda le ordinanze di cui all’art. 186bis e 186quater (il discorso quindi non vale per quel che riguarda le ordinanze di cui all’art. 186ter!), il giudice “può”, ma non “deve”, emettere tali ordinanze: insomma ha un potere discrezionale al proposito.

Discente: E questo mi lascia tanto più perplesso: ma come, tu, legislatore, con varie norme poni dei vincoli al giudice – vincoli che nascono da tuo timore che egli non abbia l’equilibrio e la saggezza di rispettare gli interessi della difesa, e che pertanto della tutela di tali interessi vengono a costituire preziose garanzie – e poi gli dai il potere discrezionale di...giudicare quando tali vincoli vanno rispettati e quando se ne può fare a meno (quando, in specie, si può fare a meno della garanzia del contraddittorio)?!

Docente: Effettivamente in ciò vi é una contraddizione. Contraddizione che forse, però, é il prezzo che si deve pagare se si vuole raggiungere lo scopo di un’accelerazione nella amministrazione della giustizia. Tanto é vero che tale contraddizione é presente, anzi é ancora più eclatante, nel c.d. “procedimento sommario di cognizione” disciplinato recentemente, nel libro quarto, dagli artt. 702bis e seguenti. Il discorso su tale procedimento non lo possiamo in queste pagine approfondire, dato che esse sono dedicate allo studio del libro secondo. Però non possiamo non notare che in questo procedimento il giudice può bypassare (v. co.3 e 5 art.702ter) tutta una serie di garanzie a tutela della difesa e dell’effettività del contraddittorio (in particolare può negare alle parti, quello scambio di “memorie”, che, per l’art. 183, dovrebbe essere la normale appendice della prima udienza di trattazione, può negare quel deposito di comparse con cui nel disegno del codice dovrebbe normalmente concludersi ogni procedimento -v. artt.190, 281 quinquies); e questo in base a una sua valutazione discrezionale: “se ritiene che le

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difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria” applica “le disposizioni del libroII” altrimenti procede nel rito sommario.

Discente: Sempre che vi sia il consenso di tutte le parti, penso.

Docente: Per nulla: il procedimento sommario può essere adottato a richiesta di una sola parte.

Discente: Sia come sia, ora é giunto il momento di lasciare da parte le considerazioni di carattere generale e di passare all’esame delle varie ordinanze. Cominciando naturalmente da quella prevista dall’art. 186bis, il quale così recita: “(Ordinanza per il pagamento di somme non contestate). Su istanza di parte il giudice istruttore può disporre fino al momento della precisazione delle conclusioni il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite (…) L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo – L’ordinanza é soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177 primo e secondo comma, e 178 primo comma”.In base alla lettura ora fatta mi pare di capire che la prova particolarmente qualificata che giustifica per l’art. 186bis il sacrificio del contraddittorio é....quel comportamento processuale della partte da cui, per il secondo comma dell’art.116, il giudice può desumere solo “argomenti di prova”: ciò mi pare un po’ contraddittorio!

Docente: Puoi anche metterla in modo meno polemico così: l’articolo 116 va interpretato nel senso che dal comportamento della parte si possono desumere solo argomenti di prova salvo che tale comportamento consista nella “non contestazione delle domande di pagamento somma della controparte: accogliendo tale interpretazione ogni contraddizione sparisce.

Discente: Mettiamola pure così. Ma quando si può dire che la parte A “non contesta” la domanda della parte B? quando A riconosce che, sì, egli deve la tal somma a B?

Docente: No, non occorre nessun espresso riconoscimento della fondatezza della domanda di controparte: basta che A non si difenda dalla domanda di B (non deduca prove, non svolga argomentazioni contro la domanda di B).

Discente: Allora se A fosse contumace, B potrebbe sempre e facilmente ottenere l’ordinanza di condanna contro di lui: chi é contumace per definizione nulla

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contesta!

Docente: No, quel che rileva (leggiti meglio il primo comma dell’art. 186bis) é solo la “non contestazione” della parte costituita. Cioé la “non contestazione” di chi, per essere assistito o rappresentato da un uomo di legge, é in grado di valutare la fondatezza della domanda avversaria e, se non fondata, di contestarla; mentre il contumace, non assistito da nessun legale può non contestare solo per ignoranza.

Discente: Ma anche la parte costituita, o perché costiuitasi di persona o perché mal assistita o rappresentata da un legale, può “non contestare” per ignoranza:

Docente: Proprio per questo il giudice, nonostante la “non contestazione, può negare l’ordinanza e, se la emette, questa comunque non acquista l’autorità di cosa giudicata- questo per espresso disposto del terzo comma dell’art. 186bis in esame, che recita “L’ordinanza é soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177, primo e secondo comma, e 178, primo comma”. La condanna al pagamento della somma potrà pertanto acquistare autorità di cosa giudicata solo se a conclusione del processo il giudice nella sentenza la riterrà fondata

Discente: E nel frattempo?

Docente: Nel frattempo la ordinanza potrà essere messa in esecuzione e, bada, anche nel caso che il processo si estingua. Ciò risulta dal secondo commna dell’art. 186bis che tu or ora hai letto.

Discente: Passiamo ora a parlare della seconda ordinanza, quella prevista dall’art. 186ter, che recita: “(Istanza di ingiunzione). Fino al momento della precisazione delle conclusioni, quando ricorrano i presupposti di cui all’art. 833 primo comma, numero 1), e secondo comma, e di cui all’art. 634, la parte può chiedere al giudice istruttore, in ogni stato e grado del processo, di pronunciare con ordinanza ingiunzione di pagamento o di consegna (…). L’ordinanza deve contenere i provvedimenti previsti dall’articolo 641, ultimo comma,, ed é dichiarata provvisoriamente esecutiva ove ricorrano i presupposti di cui all’articolo 642, nonché,ove la controparte non sia rimasta contumace, quelli di cui all’articolo 648, primo comma (...)L’ordinanza é soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177 e 178, primo comma – Se il processo si estingue l’ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia esecutiva ai sensi dell’articolo 653, primo comma”.

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La prima domanda che viene spontanea dopo la lettura dell’articolo 186ter é questa: ma se già gli artt. 633 segg. danno al creditore la possibilità di ottenere (se fornito di prova scritta ecc. se fa valere il credito a una somma di danaro ecc.) un decreto ingiuntivo, che bisogno c’era per il legislatore di dare la possibilità (con l’art. 186Ter) al creditore (fornito di prova scritta ecc, che fa valere un diritto ecc.) di ottenere l’ordinanza di condanna?

Docente: La risposta a questa più che naturale domanda é la seguente: il legislatore ha ritenuto di concedere al creditore la possibilità di ottenere, nel contesto di un procedimento ordinario, l’ordinanza de qua, pensando ai casi in cui la possibilità di accedere al procedimento speciale per decreto ingiuntivo viene a lui bruciata dall’astuzia del debitore.

Discente: Com’é possibile ciò?!

Docente: E’ possibile: basta che il debitore, quando ha sentore che il suo creditore sta per adire le vie giudiziarie, lo prevenga proponendo una domanda di accertamento negativo: così facendo, quando il creditore otterrà il decreto ingiuntivo, egli facendovi opposizione, determinerà la litispendenza (tra il procedimento di opposizione e il procedimento di accertamento negativo) con la conseguenza che, per il criterio della prevenzione (art. 39), il giudice dell’opposizione, in quanto “successivamente adito”, dovrà ordinare la cancellazione del procedimento di opposizione (cosa per cui il decreto sarà tamquam non esset).

Discente: Ma se il legislatore ha ritenuto opportuno concedere la possibilità di ottenere l’ordinanza-ingiunzione nel caso di cui al n.1 dell’art.633 (credito fornito di prova scritta), perché non l’ha ritenuto opportuno nei casi di cui al numeri 2 e 3 dello stesso art. 633 (crediti relativi a onorari per prestazioni giudiziali...crediti per onorari spettanti al notaio...)? perché in altre parole il titolare di un credito relativo a onorari ecc.ecc. può ottenere il decreto ingiuntivo e non la ordinanza-ingiunzione?

Docente: La spiegazione di ciò probabilmente é questa: il legislatore concede ai notai e a chi ha effettuato prestazioni giudiziali (v. melius l’art. 633) di ottenere il decreto ingiuntivo in base alla semplice presentazione della “parcella delle spese e prestazioni”, senza necessità di fornire la prova dell’effettivo espletamento di queste, per non gravare il professionista del peso (defatigante e costoso in termini di tempo perso) del reperimento della documentazione comprovante la prestazione stessa, dal momento che il gravare di tale peso il professionista stonerebbe con la

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concessione che gli si vuol fare di una procedura facile e per così dire snella per ottenere i suoi onorari (nei casi non infrequenti in cui il debitore non provvede a pagarli!). Di conseguenza il legislatore non ritiene più di concedere tale agevolazione (idest, la esenzione della prova della prestazione) quando il professionista ha ritenuto di dover proporre la sua domanda (di onorari) nel contesto di una procedura per sua natura farraginosa e defatigante come quella del procedimento ordinario.Discente: Seguire il tuo ragionamento é un po’....defatigante, ma la sua conclusione é accettabile. Spiegami, però, un’altra cosa, perché il giudice nel procedimento speciale per decreto ingiuntivo può concedere, per l’art.648, “l’esecuzione provvisoria del decreto” “se l’opposizione non é fondata su prova scritta o di pronta soluzione”, mentre pur in presenza degli stessi presupposti (mancanza di prove scritte che contraddicano la domanda) non può concedere la ordinanza-ingiunzione o meglio la può concedere se il debitore si é costituito e non la può concedere se il debitore é contumace?

Docente: La spiegazione del perché in caso di contumacia (e non é il caso di aggiungere “in caso di mancanza di prova scritta”, perché, se il debitore é contumace, naturalmente non può produrre nessuna prova, scritta o no che sia) il legislatore non ritiene opportuna la concessione della provvisoria esecuzione, non é difficile da spiegare: il legislatore non ritiene ciò opportuno perché sospetta che la contumacia e la conseguente inerzia difensiva siano dovute, non alla mancanza di prove valide da opporre a chi avanza pretese creditorie, ma semplicemente a sprovvedutezza e ignoranza (del debitore che si é reso contumace) – sprovvedutezza e ignoranza che invece non si possono certo presumere in chi si é costituito nel processo (specie se si é costituito, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, con la assistenza o la rappresentanza di un uomo di legge). Se mai é difficile spiegare perché a eguale conclusione il legislatore non giunga nei casi (certamente rarissimi ma in teoria possibili) in cui, nel procedimento speciale per decreto, il debitore, dopo aver fatto opposizione, non si costituisce e si rende contumace (ma forse la spiegazione di ciò sta nel fatto che la sprovvedutezza e l’ignoranza del diritto di cui si parlava si possono già ritenere escluse in considerazione della semplice opposizione).

Discente: Una volta che il giudice ha emessa l’ordinanza, che succede?

Docente: Succede che, se il debitore é contumace, il creditore deve notificargli l’ordinanza e, se non lo fa, l’ordinanza perde la sua efficacia.

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Discente: E il debitore, ricevuta la notifica, deve, immagino, fare opposizione se non vuole che l’ordinanza divenga esecutiva.

Docente: No, contro le ordinanze non é prevista la proposizione di un formale atto di opposizione (né da parte di chi é contumace né da parte di chi é costituito): quel che deve fare il debitore (contumace) é solo di costituirsi. Se non si costituisce allora sì, che la ordinanza diventa esecutiva (e “ai sensi dell’art. 647”, ciò che significa che - al contrario dell’ordinanza diventata esecutiva, come subito vedremo, per estinzione del processo - quella diventata esecutiva per difetto di costituzione non sarà più impugnabile, ma solo revocabile ai sensi dell’art. 395 – vedi melius sul punto l’art.656).

Discente: E se il contumace si costituisce?

Docente: Se il contumace si costituisce, allora la ordinanza non diventa esecutiva (salva la possibilità della provvisoria esecuzione, se vi é materia per applicare l’art.648, se cioé il debitore non offre prova scritta ecc.ecc.).

Discente: Tutto questo per quel che riguarda l’ordinanza contro la parte contumace, ma per quel che riguarda la ordinanza contro la parte costituita?

Docente: I casi sono due. Primo, all’ordinanza é stata concessa la provvisoria esecuzione: in tal caso il creditore deve decidere se eseguirla o no (sapendo che se la esegue la esegue a suo rischio e pericolo, dato che l’ordinanza per espresso disposto del comma tre é sempre revocabile). Secondo, all’ordinanza non é stata concessa la provvisoria esecuzione: in tal caso al creditore non resta che sperare...nell’estinzione del processo. Infatti, per il terzo comma dell’articolo in esame, “se il processo si estingue l’ordinanza che non ne sia già munita acquista efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 653, primo comma”.

Discente: Che significa “acquista efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 653”?

Docente: A mio modesto parere, significa che l’eventuale giudice reinvestito dall’accertamento della causa (su iniziativa del creditore, o anche del debitore, dato che questi ben può proporre una domanda di “accertamento negativo”) potrà sempre revocare la ordinanza.

Discente: Ma questa non acquista mai forza di cosa giudicata?

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Docente: No: quello che acquisterà forza di cosa giudicata sarà il dictum del giudice nella sentenza che accoglie o rigetta la domanda.

Discente: Passiamo all’esame dell’articolo 186quater, che così recita:”(Ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione). Esaurita la istruzione, il giudice istruttore, su istanza della parte che ha proposto domanda di condanna al pagamento di somme ovvero alla consegna o al rilascio di beni, può disporre con ordinanza il pagamento ovvero la consegna o il rilascio, nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova. Con l’ordinanza provvede alle spese processuali.- (comma 2) L’ordinanza é titolo esecutivo. Essa é revocabile con la sentenza che definisce il giudizio -(comma 3)Se, dopo la pronuncia dell’ordinanza, il processo si estingue, l’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza -(comma 4) L’ordinanza acquista l’efficacia della sentenza impugnabile sull’oggetto dell’istanza se la parte interessata non manifesta entro trenta giorni dalla sua pronuncia in udienza o dalla comunicazione, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che sia pronunciata la sentenza”.

Docente: Avevamo già avuto occasione di rilevare che l’ordinanza de qua, a differenza di quelle previste dagli articoli 186bis e 186ter, può essere emessa solo alla fine dell’istruttoria; per il resto, tutto chiaro?

Discente: Direi di sì: mi pare chiaro che l’ordinanza può limitarsi ad accogliere solo parzialmente la domanda: A chiede 100 e l’ordinanza condanna la sua controparte solo a 50.

Docente: Esatto.

Discente: Mi pare anche di comprendere che l’ordinanza de qua é revocabile come le ordinanze di cui agli artt. 186bis e 186ter.

Docente: Qui dici cosa non del tutto esatta: infatti le ordinanze di cui agli artt. 186bis e 186ter “possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha emesse” (v. art. 177 co.2); mentre l’ordinanza de qua é revocabile solo “con la sentenza che definisce il giudizio”. Tu avrai notato, poi, che la disciplina dell’ordinanza de qua si distingue anche per un particolare onere imposto all’intimato.

Discente: Si, l’onere di manifestare “la volontà che sia pronunciata sentenza” entro un certo termine dalla pronuncia dell’ordinanza (v. melius il quarto comma

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dell’articolo in esame), altrimenti l’ordinanza passa in giudicato.

Docente: No anche qui dici cosa parzialmente inesatta: l’inosservanza dell’onere non determina il passaggio in giudicato dell’ordinanza, ma le attribuisce solo “l’efficacia della sentenza impugnabile”. Sottolineato, impugnabile. Quindi l’intimato dopo l’ordinanza si trova di fronte a una scelta: o proseguire nel processo facendo decidere sulla domanda lo stesso giudice che ha emesso l’ordinanza....

Discente: …...ma in tal caso dovrà prevedere che quel giudice farà una sentenza fotocopia dell’ordinanza....

Docente: …..il che anche potrebbe non dispiacere all’intimato se l’ordinanza é di accoglimento solo parziale della domanda. Oppure “saltare” un passo ormai scontato del processo (“Il giudice nell’ordinanza mi ha dato torto, certamente mi darà torto anche in sentenza, meglio non perdere tempo e creare le condizioni per impugnare subito davanti al giudice superiore”) - il che può ottenere semplicemente....standosene quieto e zitto.

Discente: Ma anche il creditore, a cui l’ordinanza ha dato solo parzialmente ragione (per cui é da prevedere che anche la sentenza gli darà solo parzialmente ragione) non potrebbe avere interesse ad andare subito davanti al giudice superiore?

Docente: In pratica, si; ma in teoria, no. Infatti in teoria il giudice accogliendo la sua domanda solo per una parte, non viene a dichiarare che per la restante parte é infondata, ma solo che per la restante parte “non é già raggiunta la prova” (vedi primo comma dell’articolo in esame). Quindi il legislatore non dà al creditore la possibilità di impugnare subito la ordinanza e lo costringe ad aspettare la sentenza, perché fino a quando questa non é pronunciata, egli non ha nulla di che lagnarsi davanti al giudice superiore: la sua domanda nell’ordinanza é stata accolta solo per il 30 per cento: é poco probabile ma nulla esclude che nella sentenza venga accolta al 100 per 100.

Discente: E in caso di estinzione del processo che cosa succede?

Docente: Te lo dice il terzo comma dell’articolo in esame: con innegabile logica, il legislatore, come fa derivare dall’inerzia di una parte (l’inerzia dell’intimato che non richiede la pronuncia della sentenza allo stesso giudice che ha emessa l’ordinanza) l’acquisizione dell’efficacia della sentenza impugnabile all’ordinanza, questa stessa

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efficacia fa alla ordinanza acquisire in caso di inerzia di entrambe le parti del processo (che conduca alla sua estinzione).

Discente: E con questa ultima notazione sull’ordinanze interinali, chiudiamo l’argomento “tutela della esigenza a una giustizia rapida” e passiamo all’argomento “tutela dell’esigenza all’economia dell’attività processuale”.

Lezione 36 - Tecniche di accelerazione dei tempi della Giustizia che non comportano il sacrificio di un principio processuale-

Discente: Parliamo ora delle tecniche (per accelerare i tempi della Giustizia) che non richiedono il sacrificio di un principio processuale.

Docente: Possono essere varie. Ma la più importante, e anche la più intuitiva, é questa: creare nella trattazione delle varie questioni che un processo presenta un ordine logico e razionale che faccia risparmiare tempo (al giudice e alle parti).

Discente: Spiegati meglio.

Docente: Pensa ad una banalissima causa per pagamento somma: Tizio, di professione antiquario, ha stimato dei mobili per Caio e ora chiede che questi sia condannato a pagargli 10 mila a titolo di corrispettivo.Ebbene, non devi credere che in una tale causa le uniche questioni che si possono presentare siano quelle relative a: A)”Effettivamente esistono i fatti dedotti dall’attore?” - B) “Effettivamente tali fatti fanno sorgere (sono fatti costitutivi di) un suo diritto ad avere una certa somma?”.No! Oltre a queste si potranno porre le più varie questioni; eccone alcune a titolo di esempio:C-“L’atto con cui é stato citato il convenuto é nullo o valido?”;D-” La competenza a decidere sulla causa spetta al giudice adito o a un altro giudice (di diversa competenza per valore, materia, territorio; ad esempio: anziché al tribunale di Roma, a quello di Arezzo?)?;E- “Il credito vantato dall’attore é, o no, prescritto?”;F“I testi dedotti dall’attore sui fatti costitutivi del suo diritto, sono, o no, ammissibili?”.Ora é chiaro che trattare la questione F (sull’ammissibilità dei testi dedotti sui fatti costitutivi del diritto) esporrebbe a una inutile perdita di tempo, nel caso la

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questione E richiedesse una risposta positiva (“Sì, il credito é prescritto”); e lo stesso mutatis mutandis si può ritenere per la trattazione della questione E (sulla prescrizione) prima della questione D (sulla competenza) e della questione D prima della questione C (sulla nullità).

Discente: Senza dubbio é vero quel che tu dici, senza dubbio l’ordinata trattazione delle varie questioni comporta un notevole risparmio di tempo e di attività processuale, ma come ottiene ciò il legislatore?

Discente: Prima di tutto costringendo le parti a porre per così dire le carte (alias, le questioni) in tavola all’inizio del processo.: tu, attore, nello stesso atto con cui introduci la causa devi indicare i fatti e gli elementi di diritto che confortano la tua domanda (in seguito parlando dell’articolo 163 vedremo meglio); tu, convenuto, non hai os ad loquendum per trattare la causa (alias, non ti si considera “costituito in giudizio”) se non depositi uno scritto difensivo (la c.d. “comparsa di risposta”) in cui “esponi tutte le tue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda (v. melius, l’art. 167); non solo, mentre ti puoi costituire anche alla fine del processo (v. però melius il co.1 art. 293), se non ti costituisci “almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione (v. melius l’art. 166) decadi dalla possibilità di “proporre eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio” e, inoltre, non puoi essere autorizzato a chiamare un terzo in causa (vedi co.2 art. 167; e ciò significa che tu, convenuto, sei costretto a proporre una domanda riconvenzionale, un’eccezione ecc. almeno 20 giorni prima dell’udienza!); non solo, se tu non ti costituisci neanche alla prima udienza sei dichiarato contumace (col rischio di vederti preclusa tutta una serie di attività – v. melius il co. 2 art. 171 e gli artt. 293, 294). E qui ci fermiamo, dato che delle altre preclusioni, cioé decadenze volte a costringere le parti a compiere subito un’attività, ci riserviamo di parlare in seguito (in specie trattando dell’art. 183).

Discente: Va bene, col sistema delle preclusionio il legislatore riesce a costringere le parti a porre subito sul tappeto le questioni che rilevano nella causa; ma questo ben poco sarebbe utile ad un’abbreviazione dei tempi processuali, se poi il giudice non potesse dare un ordine alla trattazione delle varie questioni (dalle parti proposte), se ad esempio fosse costretto a risolvere la questione D (sulla competenza) e la questione E (sulla prescrizione) insieme alle questioni A e B (cioé alle questioni sull’esistenza dei diritti fatti valere): gli dà il legislatore questo potere?

Docente: Certo. Glielo dà con l’articolo 187 che recita: “Il giudice istruttore, se

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ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio. (co2) Può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio. (co3) Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali.ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito”.

Discente: E con ciò abbiamo visto una delle tecniche di accelerazione processuale (non comportanti sacrificio dei principi). Un’altra tecnica (sempre non comportante sacrificio ecc.ecc.) quale potrebbe essere?Docente: Potrebbe essere, anzi é – dato che il nostro legislatore l’adotta (non tanto nel libro II, che ora ci riguarda, quanto soprattutto nel libro quarto, dedicato ai procedimenti speciali) – la tecnica di strutturare l’atto introduttivo del processo, non come citazione, ma come ricorso.

Discente: Spiegati meglio: la struttura della citazione com’é?

Docente: Nel modo di introduzione della causa con citazione, chi intende porre una domanda giudiziale (l’attore) comunica (melius, notifica), alla parte che é legittimata passiva a contraddire tale domanda, un atto (appunto, l’atto di citazione) in cui dice che il giorno tale (da lui scelto!) egli comparirà davanti al giudice tal dei tali per chiedere e ottenere dalla Giustizia questo e quest’altro. Naturalmente il legislatore impone all’attore di indicare nell’atto di citazione, non solo il giorno da lui scelto per la comparizione davanti al giudice, ma di dare al convenuto tutta una serie di informazioni, che lo pongano in grado di contraddire con cognizione di causa alla domanda. Tutto ciò lo vedremo meglio in seguito. Quel che importa qui notare é che se il giudice, all’udienza davanti a lui fissata dall’attore, rileva l’omissione in tutto o in parte delle informazioni, al convenuto (come si é detto prima) dovute, ordina la rinnovazione (o la integrazione) dell’atto di citazione.

Discente: E capisco che ciò può comportare un notevole tempo e una notevole attività processuale. Ma perché il ricorso comporta un risparmio di tale tempo e di tale attività?

Docente: Perché nei casi in cui l’introduzione della causa avviene con ricorso, chi propone la domanda comunica per prima cosa l’atto introduttivo (il ricorso, appunto), non alla controparte ma al giudice: questi legge il ricorso, fissa (é lui che la fissa, non il ricorrente!) l’udienza di comparizione con un decreto apposto in

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calce al ricorso e dispone che ricorso e decreto siano notificati a cura del ricorrente alla controparte in un dato termine.

Discente: E il risparmio di tempo e di attività processuale da che é dato? Non capisco!

Docente: E’ dato prima di tutto dal fatto che – mentre per un’espressa norma del codice (l’articolo 163bis) “tra la notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere” un certo numero di giorni, con la conseguenza che l’attore non può fissare l’udienza di comparizione prima di una certa data (“io, attore, riuscirò a notificare la citazione solo entro il 15 ottobre; tra la notifica della citazione e l’udienza di comparizione debbono intercorrere giorni, metti, 90,; quindi io non posso fissare la comparizione prima del 16 gennaio”) - il giudice invece può a sua discrezione fissare il termine di comparizione (e quindi può fissarlo in un giorno più ravvicinato di quello che avrebbe potuto fissare l’attore con l’atto di citazione). Ma soprattutto l’introduzione con ricorso permette al giudice di leggere subito (prima della sua notifica) l’atto introduttivo, di rilevarne le eventuali omissioni che comporterebbero la sua nullità e la necessità di una sua rinnovazione e di segnalarle subito al ricorrente (imponendogli naturalmente di eliminarle se vuole ottenere la fissazione dell’udienza!), di conseguenza evitando, alla parte che propone la domanda, la inutile fatica di notificare un atto che, poi, in quanto nullo, dovrebbe essere rinnovato e, a se stesso, di comparire a un’udienza che si risolverebbe...in una bolla di sapone.

Lezione 37 - Tutela del contraddittorio-

Docente: Perché A possa contraddire B bisogna, prima di tutto, che A sappia quel che B ha detto (forse che “contraddire” non deriva da “contra-dicere”?).Pertanto si comprende come la tutela del contraddittorio implichi, prima di tutto e soprattutto, la possibilità della parte di conoscere quel che la controparte ha detto.E tale possibilità, in fatti, il legislatore l’assicura in vari modi: ad esempio, disponendo che, se la parte espone oralmente le sue difese, lo faccia alla presenza della controparte...

Discente: Da che risulta?

Docente: Risulta, sia pure non esplicitamente, dal fatto, che la trattazione della causa (che deve essere orale, art.180) deve avvenire in una “udienza”(arg. dall’art.

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163: il convenuto viene citato per una udienza) cioé in un locale in cui é presente non solo il giudice ma in cui é presente (o, almeno dovrebbe essere presente!) anche un p.u., il cancelliere, col compito di verbalizzare appunto la trattazione (orale).E, continuando il discorso, come le difese orali vanno svolte alla presenza della controparte, così quelle scritte le vanno comunicate (nei modi indicati dal quarto comma dell’art. 170).Ma quelle che il legislatore considera informazioni basilari, essenziali da dare alla controparte, le informazioni mancando le quali, manca anche la possibilità elementare di un leale e giusto contraddittorio, sono le informazioni che devono, per l’articolo 163, essere espresse nell’atto di citazione. E non a caso il legislatore quando enuncia, nell’articolo 101, il principio del contraddittorio fa dipendere questo dalla “regolarità della citazione” – infatti l’articolo 101 così recita: “(Principio del contraddittorio) – Il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcun domanda, se la parte contro la quale é proposta non é stata regolarmente citata (e non é comparsa)”.Evidentemente il legislatore considera le informazioni (che impone di dare al convenuto con l’atto di citazione) di primaria importanza; in quanto il loro possesso permette al convenuto di tutelarsi in un proprio interesse fondamentale. E cercare di individuare quale sia questo (fondamentale) interesse del convenuto é di grandissima importanza per lo studioso del processo civile, dato che le parole con cui il legislatore cerca di descrivere le informazioni, al convenuto, dovute (nell’atto di citazione), non brillano sempre, ahimè, per chiarezza.

Discente: Se é così, direi di cominciare a leggere le norme che disciplinano il contenuto dell’atto di citazione: quali sono?

Docente: Una, la principale, come ho già accennato, è data dall’art. 163, l’altra é data dall’articolo 125. Possiamo dar lettura di tutte e due, anche se poi ci limiteremo solo all’esame della prima (in quanto nella prima sono trasfuse e specificate le disposizioni della seconda).

Discente: Art. 125 c.1: “(Contenuto e sottoscrizione degli atti di parte) Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o la istanza, e, tanto sull’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore”.Art. 163 co.3: “Contenuto dell’atto di citazione) (….) L’atto di citazione deve

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contenere: 1) l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda é proposta; 2) il nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se l’attore o convenuto é una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio; 3) la determinazione della cosa oggetto della domanda; 4) l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni; 5) l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione; 6)il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia stata già rilasciata; 6)l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167”.

Docente: E’ importante subito notare (ai fini dell’individuazione di quello che é l’interesse fondamentale che il legislatore vuole tutelare, l’interesse la cui lesione vulnera mortalmente il principio del contraddittorio) che non tutte le informazioni, che pur per l’art. 163 debbono essere date al convenuto, sono dal legislatore considerate essenziali (perla salvaguardia del contraddittorio); tanto é vero che, come noteremo meglio studiando l’articolo 164, la mancanza di alcune rende nullo l’atto di citazione, la mancanza di altre, invece, no.In particolare non lo rende nullo l’omessa indicazione dei mezzi di prova (pur pretesa dal n.5): per cui questi mezzi vanno, sì, indicati in un certo termine (quello indicato nell’art.183) a pena di decadenza, ma non vanno necessariamente indicati nell’atto di citazione. E, mutatis mutandis, lo stesso vale per gli “elementi di diritto che costituiscono le ragioni della domanda” (arg.ex co. 4 art. 164, che commina la nullità solo per la mancata esposizione dei fatti e non anche degli elementi di diritto).

Discente: E perché il legislatore non ritiene essenziale informare il convenuto né dei mezzi di prova né degli elementi di diritto che confortano la domanda? forse che la conoscenza di questi e di quelli non aiuta il convenuto, al momento della redazione della sua “comparsa di risposta”, nella ricerca delle prove e degli argomenti utili per convincere il giudice dell’infondatezza delle tesi dell’attore e della fondatezza delle proprie tesi (cioé non lo aiuta a contraddire)?

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Docente: Certamente, sì. Ma non é evidentemente un tale “aiuto” quello che il legislatore preme di dare (preme tanto da essere pronto, per assicurarlo, a ritenere la nullità dell’atto di citazione). E questo perché in realtà il legislatore ritiene che un convenuto di media diligenza (il convenuto-bonus pater familias) sia in grado di trovarsi da solo, gli argomenti e le prove a lui utili – e, bada, non solo quelli utili per negare l’esistenza e la rilevanza dei fatti addotti dall’attore come costitutivi del suo diritto, ma anche quelli utili per dimostrare la rilevanza dei fatti che egli, il convenuto, oppone all’attore come estintivi o modificativi di tale diritto e non solo quelli utili a dimostrare i fatti estintivi e modificativi ma anche quelli utili a fondare le eventuali domande riconvenzionali: se il contratto é stato viziato da violenza, se il diritto si é prescritto, se c’é, o no, un credito da opporre in compensazione, io, legislatore, penso che tu, convenuto, lo possa e lo debba scoprire scoprire da solo.

Discente: Perché insisti tanto su questo punto?

Docente: Perché non manca chi, anche molto autorevolmente, interpreta l’articolo 163, e in particolare il suo numero 4,come se il legislatore fosse stato mosso nel formularlo dalla preoccupazione di permettere al convenuto di far valere tempestivamente eventuali sue domande riconvenzionali ed eccezioni: il convenuto deve nel termine un po’ jugulatorio dell’articolo 167 sollevare certe eccezioni e formulare le domande r., l’articolo – ecco quel che si sostiene - vuole che gli siano date le informazioni necessarie per farlo: ad esempio vuole che l’attore indichi quando é sorto, nel tempo il suo diritto, ai fini di permettere al convenuto il calcolo di un’eventuale prescrizione.Secondo noi non é così: é altro l’interesse che il legislatore si propone di tutelare (a costo di dichiarare la nullità dell’atto di citazione).

Discente: E qual’é questo altro interesse?

Docente: Prima di tutto – e naturalmente!- compito dell’atto di citazione é quello, di portare a conoscenza del convenuto la data dell’udienza, di ragguagliarlo su alcune modalità della costituzione e su alcune decadenze stabilite da norme che, da chi é iuris imperitus, come si presume sia chi legge l’atto di citazione, potrebbero essere ignorate (“Non mettere da parte l’atto che ti é stato notificato pensando, provvederò più in là, c’é tempo: no, se vuoi costituirti devi farlo entro il.....e se non lo fai entro il..rischi...”) e, infine, di permettergli di individuare l’ufficio giudiziario davanti a cui dovrà costituirsi (sempre che decida di costituirsi in giudizio) – e a tale compito provvedono le informazioni, gli “inviti” e gli “avvertimenti” di cui al numeri 1 e 7

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dell’art.163.

Discente: Questo é uno dei compiti dell’articolo 163 ma, mi pare di capire, non é l’unico.

Docente: Si, altro importantissimo compito dell’atto di citazione (melius delle informazioni contenute nell’atto di citazione che debbono essere date a pena di nullità dell’atto stesso) é quello di fornire al convenuto gli elementi per decidere se attivarsi, o no, per sostenere il contraddittorio e, se sì, come organizzarlo e con quale energia (con quale dispendio di soldi e di tempo) sostenerlo.

Discente: Soffermiamoci su questo secondo compito che tu attribuisci all’atto di citazione. Per cominciare: perchè l’informazione contenuta nel numero 3 (cioè la “determinazione della cosa oggetto della domanda”) dovrebbe essere utile al convenuto per prendere le decisioni di cui tu hai fatto or ora parola?

Docente: Perché, sapere qual’é la cosa oggetto della domanda, permette al convenuto di misurare il rischio di danno ingiusto che corre in caso di soccombenza. Ora é dalla valutazione di tale rischio che il convenuto, com’é naturale, si lascia guidare per decidere se costituirsi e con quale energia (con quale impiego di tempo e di soldi). Se il rischio é di essere condannato a solo mille euro, il convenuto, può anche decidere di astenersi dal costituirsi (anche se ha ragione!); ma difficilmente deciderà di astenersi se il rischio é di essere condannato a un milione di euro (a meno che sappia di aver torto e inutile ogni tentativo di evitare la condanna).Ancora. Se il rischio é di una condanna a mille euro, il convenuto sarà portato a risparmiare sulle spese e il tempo da dedicare alla causa (“Quello sbarbatello di avvocatino? ma si va bene, tanto se perdo la causa non casca il mondo”), se il rischio é di una condanna a un milione non lesinerà di certo sulle spese legali pur di evitare il disastro di una soccombenza (“Altro che un avvocatino qualunque: qui ci vuole un principe del Foro”).

Discente: Mi rendo conto dell’importanza che ha per le decisioni che deve prendere il convenuto (al momento di ricevere l’atto di citazione) la informazione di cui al numero 3; ma perché ha importanza quella di cui al numero 4 (“l’esposizione dei fatti.....costituenti le ragioni della domanda”)?

Docente: Perché la domanda che l’attore fa di una certa cosa, metti di una certa somma, può essere giusta o ingiusta, fondata o infondata a seconda della “causa petendi”: dei fatti su cui la domanda é fondata. Tizio mi domanda che io sia

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condannato a dargli mille sostenendo che ebbe a darmele a mutuo? Senz’altro vado davanti al giudice a farmi le mie ragioni (che sono quelle che io mai e poi mai ricevetti un mutuo da Tizio). Tizio mi domanda mille a titolo di risarcimento del danno ch’ebbi a causargli all’auto? Chino la testa e apro il portafoglio (perché effettivamente il danno ebbi a causarlo).Ma conoscere la causa petendi non solo, bada, serve al convenuto per decidere per decidere se attivarsi o no nel processo, ma anche gli serve per decidere come organizzare la sua difesa. Se Tizio mi domanda mille a titolo di alimenti io, per la difesa, mi rivolgo a un avvocato competente in diritto di famiglia; se Tizio mi domanda mille perché l’ho investito con la auto, mi rivolgo a un avvocato esperto in infortunistica.

Discente: Ma quando il n.4 parla di “fatti costituenti le ragioni della domanda” si riferisce a qualsiasi fatto rilevante per l’accoglimento della domanda? Metti Tizio mi domanda mille come restituzione di un mutuo che pretende di avermi fatto; e a riprova che effettivamente il mutuo me l’ha fatto deduce che “Il giorno tal dei tali Caio, cioé io, ebbe a dichiarare di fronte a più persone di aver ricevuto il mutuo”: domanda: il legislatore impone di indicare (a pena di nullità) anche questo secondo fatto (idest, il fatto che il giorno tal dei tali ecc.ecc.)?

Docente: No perché questo secondo non é un fatto a cui una norma dà rilevanza (non é un fatto costitutivo, estintivo, modificativo di un diritto): é una prova: conoscerlo non serve al convenuto per stabilire la giustizia o meno, la fondatezza o meno in diritto della domanda attrice, ma solo per stabilire la consistenza delle prove che ha l’avversario e quindi le probabilità che ha di vincere la causa, quindi (non la giustizia, ma) la convenienza o no di resistergli in giudizio.

Discente: Non ci resta che spiegare perché é utile al convenuto. per prendere le decisioni da te all’inizio evidenziate, conoscere gli elementi di cui al numero 2 (nome e cognome dell’attore, nome e cognome del convenuto, ecc.ecc.).

Docente: A dir il vero non tutti gli elementi di cui fa menzione il numero 2 hanno la finalità di permettere al convenuto di permettere le decisioni di cui ho parlato all’inizio (e d’altra parte va anche detto che, nonostante la lettera dell’art. 164 comma primo, é dubbio che sempre la mancanza degli elementi di cui al numero 2 determini la nullità dell’atto di citazione: la determina, a nostro modesto parere, se impedisce la identificazione delle parti - ma di questo ci riserviamo di parlare in altra sede). Certamente però tale finalità ce l’hanno l’indicazione del nome e del cognome delle parti.

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Discente: Ma perché conoscere nome e cognome del convenuto e dell’attore diventa importante (importante per decidere se attivarsi o no nel processo) per chi riceve la notifica dell’atto di citazione?

Docente: -Ma perché a seconda di chi propone una domanda questa può essere giusta o ingiusta: é Tizio che mi domanda la restituzione di mille? Mi costituisco per contestarlo, perché mai tizio mille mi diede: é Caio che me lo domanda? Busso alla sua porta, chiedo scusa e...dò le mille (dato che mille Caio effettivamente ebbe a darmi). Ancor più evidente perché rilevi il nome e il cognome della persona contro cui la domanda é diretta: mi arriva una citazione in cui si chiede che Sempronio sia condannato ecc. ecc.? La prendo e la getto nel cestino: io sono Caio (e non Sempronio): che Sempronio sia condannato, che mi interessa?!

Discente: Ma oltre alla indicazione del nome dell’attore e del convenuto il numero 2 impone la indicazione del nome e cognome delle persone “che rispettivamente li rappresentano e li assistono”.

Docente: E’ vero l’art. 163 impone l’indicazione anche di coloro che rappresentano o assistono l’attore e il convenuto (le c.d. “parti processuali” in contrapposto a chi é il titolare del diritto fatto valere nel processo e a chi é gravato dall’obbligo correlativo che sono dette “parti sostanziali”: il tutore Tizio fa valere il diritto di credito del pupillo Caio? Tizio é la parte processuale, Caio, la parte sostanziale del processo.).Tale indicazione delle parti processuali non serve in effetti a permettere al convenuto di sindacare la giustizia (o meglio, la conformità al diritto) della domanda, ma solo la legittimazione di chi la propone a...proporla. Per me pertanto é dubbio che la omessa indicazione delle parti processuali determini la nullità della citazione. Ma su questo e altri elementi indicati nel numero 2 ci riserviamo di parlare meglio trattando quando esamineremo gli articoli 164 e 182. Del resto altre osservazioni avremo da afre sull’art.163 in un paragrafo successivo in cui commenteremo un atto di citazione preso dal “vivo”.

Lezione 38 - Rinuncia agli atti – Rinuncia al diritto – Nuova domanda aggiunta in corso di causa – Mutatio libelli

Discente: Può Caio, dopo aver convenuto Tizio in giudizio, metti, per ottenere la sua condanna al pagamento di una somma, rinunciare alla sua domanda?

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Docente: Che cosa intendi per “rinuncia alla domanda”? Te lo chiedo perché il termine si può prestare ad equivoci: vuoi dire che Caio rinuncia al suo diritto di credito?

Discente: No: Caio non vuole rinunciare al suo diritto di credito, semplicemente non vuole più né andare avanti nel processo per arrivare a una sentenza che lo definisca né che conservino efficacia gli atti compiuti (in particolare le testimonianze raccolte, le risposte date all’interrogatorio...).

Docente: Quindi Caio vuole quella che in termini tecnici si chiama una “rinuncia agli atti del processo”. Ebbene, in tal caso la sua volontà incontra due precisi limiti; dettati dal primo comma dell’articolo 306 e dall’articolo 310, che rispettivamente così recitano:Art. 306 co.1: “(Rinuncia agli atti del giudizio).Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa é accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione”.Art. 310: “(Effetti dell’estinzione del processo). L’estinzione del processo non estingue l’azione. -(co2) L’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti., ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza.-(co.3) Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell’articolo 116 secondo comma. -(co.4) Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate”.

Discente: Quindi la volontà di Caio di rinunciare agli atti incontra: in primo luogo, il limite derivante dalla necessità del consenso della controparte; in secondo luogo, il limite che la rinuncia non travolge tutti gli atti prima compiuti nel processo: ne restano salve le sentenze.Ovvia mi pare la concessione alla controparte del potere di impedire la estinzione del processo e di ottenere una sentenza che lo definisca: ovvia non solo quando chi vuole rinunciare agli atti é il convenuto (chi mai adempirebbe un obbligo sapendo che, se mai il creditore si rivolgesse alla Giustizia, basterebbe a lui rinunciare agli atti...per liberarsi dal fastidioso processo?!); ma ovvia anche quando a voler rinunciare agli atti é l’attore (più in genere, chi ha proposta la domanda): in tal caso il potere concesso al convenuto riposando sulle stesse ragioni, che convincono il legislatore a concedere le azioni di accertamento negativo: come Tizio ha diritto di agire per ottenere una sentenza che dichiari l’inesistenza di un diritto, che Caio contro di lui vanta in sede stragiudiziale, così a maggior ragione egli ha diritto di agire per ottenere una sentenza, che dichiari l’inesistenza di un

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diritto da lui, da Caio, dichiarato e fatto valere in via giudiziale.Non capisco però perché salvare, diciamo così, dall’annientamento le sentenze.

Docente: Ma il fatto che la rinuncia agli atti non estingua le sentenze di merito non significa che le parti non possano rinunciare ai diritti in tali sentenze riconosciuti (purché naturalmente si tratti di diritti disponibili).

Discente: Sì, d’accordo, il legislatore non ricollega l’estinzione delle sentenze di merito alla rinuncia agli atti perché vuole lasciare, a una chiara e meditata decisione delle parti, il privarle o no della loro efficacia; ma per quel che riguarda le sentenze sulla competenza? Per esse non é possibile una rinuncia neanche dopo chiuso il processo!

Docente: Ed é giusto che sia così: amministrare giustizia costa soldi all’erario e tempo ai giudici: non si può permettere alle parti di fare a questi il discorsetto “Questa sentenza non ci piace: al lavoro di nuovo: rifatela”.

Discente: Alla rinuncia agli atti il legislatore pone dei limiti; ma se Caio non volesse semplicemente rinunciare agli atti, ma volesse rinunciare al diritto fatto valere, anche all’efficacia di tale rinuncia il legislatore porrebbe dei limiti?

Docente: No, ma tale efficacia si determinerebbe solamente nel campo sostanziale, e non anche in quello processuale. In altri termini, la rinuncia determinerebbe l’estinzione del diritto, ma non l’estinzione del processo. Questo proseguirebbe per giungere a una sentenza che, sì, assolverebbe il convenuto dalla domanda contro di lui proposta (dato che il diritto fatto con tale domanda valere non esisterebbe più), ma provvederebbe sulle spese (facendo riferimento alla fondatezza o meno che la domanda aveva quando, all’inizio del processo, fu proposta). Cosa per cui il furbastro creditore che, vista ormai come probabile la sua soccombenza e il rigetto della sua domanda, pensasse di eludere, con una rinuncia al credito, i limiti che sono posti a una rinuncia agli atti e così di salvarsi dalla soccombenza nelle spese, vedrebbe frustrato il suo (callido) disegno.

Discente: E se chi ha proposta la domanda, non rinuncia agli atti, non rinuncia al diritto, ma semplicemente riconosce che la sua domanda non ha fondamento (“Mi sono sbagliato a proporla, scusatemi”)?

Docente: In tal caso non si determinerà nessuna estinzione né nel campo sostanziale né nel campo processuale. Il processo proseguirà fino alla sentenza in

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cui il giudice rigetterà la domanda (fatalmente, se non altro perché l’accoglierla violerebbe il divieto di ultrapetizione di cui all’art. 112) e condannerà (nonostante il suo ravvedimento), chi ha agito avventatamente nel processo, alle spese.Mettiamoci ora nel caso di Caio, che non vuole diminuire il carico processuale (con una sua rinuncia, ma lo vuole aumentare, aggiungendo, nel corso del processo, alla domanda A, proposta al suo inizio, una nuova domanda: può farlo?Docente: Certamente no, gliene farebbero chiaro divieto gli articoli 167 co.2 e 183 co.5: il primo, imponendo al convenuto di proporre le sue domande (riconvenzionali) nella comparsa di risposta, il secondo permettendo, sì, all’attore di proporre, alla prima udienza di trattazione, oltre a quelle già proposte nell’atto di citazione, altre domande, ma solo se queste “sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto”.

Discente: Ma qual’é la ratio di tale divieto?

Docente: In primo luogo, la salvaguardia del contraddittorio. Pensa solo a questo: Tizio in base alla natura, alla gravità della domanda A proposta inizialmente, si é scelto come difensore l’avvocato Ciceruacchio (costa poco e vale poco, ma anche la domanda A é domanda da poco). Poi, nel corso del processo, si vede proporre la domanda B (il cui accoglimento lo lascerebbe nel lastrico): che fa? revoca Ciceruacchio e nomina a difenderlo il grande avvocato Cicerone I? Non é facile, sia per intuitive ragioni psicologiche, sia per ragioni economiche (gli avvocati revocati tendono a far levitare la loro parcella!).In secondo luogo, il divieto de quo (il divieto di nuove domande) é imposto da ragioni di economia processuale: questa, l’abbiamo visto in una precedente lezione, richiede che le attività processuali si svolgano con un dato ordine; ora una nuova domanda (nel corso del processo) rischierebbe di scombinare completamente tale ordine: se Tizio propone una nuova domanda alla terza udienza, la controparte Caio vorrà proporre delle domande riconvenzionali (su tale nuova domanda) a una quarta udienza, vorrà controdedurre dei mezzi di prova a una quinta udienza e così...il processo cadrà nel caos!

Discente: Penso che come io non posso (nel corso del processo) aggiungere, alla domanda A proposta con l’atto di citazione, una domanda B, così io neanche possa sostituire la domanda B alla domanda A.

Docente: Chiaro che no: varrebbero per impedirtelo le stesse considerazioni fatte ora. E in aggiunta a tali considerazioni ci sarebbe anche questa ulteriore: e cioé che non é ammissibile che una parte rinunci “agli atti” relativamente a una

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domanda senza il consenso della controparte.

Discente: Ma se io non posso sostituire alla domanda A quella B, neanche posso modificare la domanda A: infatti la modifica di una domanda comporta fatalmente la sua trasformazione in un quid aliud: in una nuova domanda: una volta che la domanda A é stata modificata, essa a rigore non é più la domanda A ma é la domanda B (che si sostituisce alla domanda A).

Docente: In via di principio quel che tu dici é ineccepibile e mai la modifica di una domanda (la c.d. mutatio libelli) dovrebbe ammettersi. Però ogni principio va applicato cum grano salis: ha insomma le sue brave eccezioni.

Discente: Vediamo quali sono le eccezioni al divieto della mutatio libelli.

Docente: Prima di tutto sarà sempre ammessa una modifica, diciamo così, “al ribasso”: Caio ha proposta una domanda di risarcimento per mille e la riduce a cinquecento.

Discente: E forse in tali ipotesi non si ha neanche una modifica della domanda, ma semplicemente una rinuncia (parziale) al diritto o un (parziale) riconoscimento della infondatezza della domanda: si ricade insomma in quelle ipotesi che abbiamo visto all’inizio di questa lezione.

Docente: Forse, sì. Però certamente si ha una vera e propria modifica della domanda nei casi in cui viene sostituita la causa petendi: Caio rivendica l’immobile A in base a una compravendita e in corso di causa sostiene “No, il mio diritto di proprietà non si fonda sulla compravendita, che ebbi a stipulare, ma sulla usucapione, che ebbi a perfezionare”.

Discente: Ma questa, che senza dubbio é una mutatio libelli, sarebbe ammissibile?

Docente: Sì, é giocoforza che tu l’ammetta. Altrimenti finiresti per cadere nell’eccesso che, per salvaguardare il principio del contraddittorio, castigheresti, la incompetenza e la sprovvedutezza di una parte nell’impostare la sua domanda, con la perdita del diritto fatto da lei valere: non é che Caio - una volta che il Giudice Primus ha rigettata la sua domanda perché, metti, il contratto su cui ha fondata la rivendica della proprietà non é valido - poi, in un secondo processo, può rivendicare ancora la proprietà davanti al giudice Secundus fondandola (non più sul contratto, ma) sull’usucapione: tale seconda rivendica gli verrebbe rigettata in base al

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principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile.Più in generale si può enunciare il seguente criterio, per distinguere quando l’introduzione di una nuova causa petendi é inammissibile (nel qual caso si é soliti parlare di mutatio libelli) e quando non lo é (caso in cui si é soliti parlare di “emendatio libelli”): se il diritto, che si pretende fondare su una nuova causa petendi, potrebbe, in caso di rigetto della domanda come originariamente formulata, essere fatto valere in un nuovo processo (ovviamente in base alla causa petendi “nuova”), l’introduzione della nuova causa petendi é inammissibile (si avrebbe, per usare la terminologia usuale, una mutatio libelli), altrimenti é ammissibile (in quanto sarebbe considerato, non una mutatio, ma una “emendatio libelli”).

Discente: Facciamo degli esempi.

Docente: Caio domanda mille fondando la sua domanda sul fatto illecito A (Tizio, il convenuto, l’ha investito mentre attraversava sulle strisce pedonali); egli non potrebbe (si avrebbe una inammissibile mutatio libelli!) in corso di causa domandare mille (non più in base al fatto illecito A, ma) alla stipula del mutuo B. Infatti nulla impedisce a Caio, che si é vista rigettare la domanda fondata sul fatto illecito A, di domandare a un secondo giudice la condanna di Tizio in base al mutuo B. Caio domanda l’annullamento del contratto, per violenza. In tal caso costituirebbe un’ammissibile emendatio libelli chiedere la risoluzione, non più per violenza, ma per errore: infatti Caio non potrebbe far valere questo secondo vizio in un secondo processo per ottenere la risoluzione-

Discente: -Un’ultima domanda: io che ho chiesto mille a Tizio fondando la mia richiesta sull’articolo 2043 C.C. (risarcimento del danno) posso, in corso di causa, fondarla (non più sull’articolo 2043, ma) sull’articolo 2041 (arricchimento senza causa)?

Docente: Sì, se rimangano inalterati i fatti che poni a fondamento del tuo diritto: in tal caso tu modificheresti solo la ricostruzione giuridica di tali fatti, cosa che naturalmente puoi sempre fare.

Lezione 39 - Nullità dell’atto di citazione (art. 164). Difetto di rappresentanza o di autorizzazione (art. 182)

Discente: Ci eravamo riservati di parlare dell’art. 164 e 182. Ora mi pare il 201

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momento di sciogliere la riserva.Comincio a leggere l’art. 164: “(Nullità della citazione) La citazione é nulla se é omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei numeri 1) e 2) dell’articolo 163, se manca l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se é stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento previsto dal numero 7) dell’articolo 163.- (co2) Se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione ai sensi del primo comma, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307, comma terzo.-(co.3)La costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali di cui al secondo comma; tuttavia, se il convenuto deduce l’inosservanza dei termini a comparire o la mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7 dell’articolo 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini. -(c.4)La citazione é altresì nulla se é omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3) dell’articolo 163 ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4) dello stesso articolo. (co5)Il giudice rilevata la nullità ai sensi del comma precedente, fissa all’attore un termine perentorio per rinnovare la citazione o, se il convenuto si é costituito, per integrare la domanda. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti quesiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione.- (c.6) Nel caso di integrazione della domanda, il giudice fissa l’udienza ai sensi del secondo comma dell’art. 183 e si applica l’art. 167”.Vedo che i requisiti la cui omissione determina la nullità sono indicati dal legislatore, alcuni, nel primo comma dell’articolo, gli altri, nel quarto comma: insomma vi é una suddivisione in due gruppi di tali requisiti. Per quale ragione?

Docente: Prima di tutto perché la costituzione del convenuto (nonostante la nullità dell’atto di citazione) dà luogo a diverse conseguenze a seconda che la nullità derivi da questo o quel vizio.

Discente: Ma non si applica il terzo comma dell’articolo 156, secondo cui “la nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo per cui é destinato”? Il convenuto si é costituito, quindi lo scopo dell’atto di citazione é stato raggiunto e la nullità di questo dovrebbe considerarsi sanata.

Docente: E’ sfuoviante parlare di “scopo dell’atto di citazione”, in realtà

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bisognerebbe parlare di scopo di questa o quella indicazione o avvertimento o informazione che con l’atto di citazione va dato. Ora in effetti il vizio relativo all’indicazione dell’ufficio e della data di comparizione é sanato (appunto in applicazione del disposto dell’articolo 156) quando il convenuto si costituisce, perché l’indicazione dell’ufficio e della data ha proprio il solo scopo di permettere la costituzione del convenuto. Ma, l’indicazione di una data conforme al disposto dell’articolo 163 bis e l’ avvertimento di cui al numero 7 dell’art.163, non hanno solo lo scopo di permettere al convenuto di costituirsi, ma anche quello, anzi soprattutto quello, di permettergli di costituirsi preparato al contraddittorio (cioé dopo aver avuto tempo di: studiarsi la causa, di reperire le prove ecc.ecc.). Questo spiega perché quando il vizio é relativo a tale indicazione e a tale avvertimento la costituzione non sana un bel nulla e, se il convenuto lo chiede, il giudice deve “fissare una nuova udienza nel rispetto dei termini”. E così come la costituzione del convenuto non può avere effetto sanante in questo caso, così non può averlo quando “é omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3 dell’art. 163 ovvero se manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4”.

Discente: Capisco, non potendo conoscere quali sono le ragioni in fatto della domanda, non potendo conoscere l’oggetto della domanda, il convenuto anche qui ha diritto che sia fissata una nuova udienza.

Docente: No, qui il giudice non deve fissare una nuova udienza, ma deve ordinare all’attore di integrare la domanda; cioé di ben chiarire, mettendo nero sul bianco, a futura memoria, qual’é l’oggetto della domanda, qual’é la sua causa petendi, qual’é insomma il diritto che intende far vale: é il diritto A o il diritto B? Cosa questa importantissima non solo, bada, per la tutela del contraddittorio, ma anche ad altri fini, ad esempio al fine di una esatta applicazione dell’articolo 112 (“Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”): se non si conoscono esattamente i termini della domanda, come si può dire se il giudice ha pronunciata una sentenza “oltre i limiti di essa”?!

Discente: Mi rendo conto che la medicina utile per sanare i vizi indicati nel comma 1 é diversa da quella necessaria per sanare i vizi raggruppati nel comma 4: ma questa é l’unica ragione che giustifica la loro suddivisione?

Docente: No, ce n’è un’altra meno importante, ma pur sempre importante, ed essa sta nella diversa efficacia sostanziale e processuale che hanno, l’atto nullo per i vizi di cui al primo comma, e, l’atto di citazione nullo per i vizi di cui al secondo comma.

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Discente: Prima di andare oltre, dà un esempio di effetto sostanziale e di effetto processuale della atto di citazione, se no, non riesco a seguirti.

Docente: Per un esempio di effetto di carattere sostanziale, pensa a quello previsto dall’articolo 2943 (interruzione della prescrizione); per un effetto di carattere processuale, pensa a quello contemplato dall’articolo 307 (impedimento della estinzione del processo operato dalla tempestiva riassunzione).Orbene l’atto di citazione affetto da uno dei vizi di cui al primo comma (omessa indicazione dell’ufficio giudiziario, data di udienza irregolare...) produce tutti gli effetti sostanziali e processuali di un atto, diciamo così, “sano” (purché seguito da una sua rinnovazione o purché il convenuto si sia comunque costituito). L’atto di citazione affetto da uno dei vizi di cui al quarto comma, invece no: gli effetti sostanziali e processuali si verificheranno solo dalla sua rinnovazione o integrazione, l’eventuale costituzione del convenuto manterrà ferme le decadenze e i diritti acquisiti (a suo favore, idest a favore del convenuto).

Discente: Perché questo?Docente: Ma é evidente il perchè! Come si farebbe a dire se l’atto di citazione nullo (nullo perché non indica l’oggetto della domanda, perché non indica la causa petendi) ha interrotto o no la prescrizione, se non si sa che diritto (se il diritto al risarcimento che si prescrive in anni tot, o il diritto al pagamento del prezzo di una compravendita che si prescrive in anni tot+tot) é stato fatto valere?

Discente: A prescindere da queste differenze, però, mi pare che, nel caso di mancata costituzione del convenuto, la medicina (la sanatoria del vizio che rende l’atto nullo) é eguale, sia che il vizio sia uno di quelli previsti nel comma 1 o uno di quelli previsti nel comma quattro.

Docente: E’ così, in entrambi i casi la sanatoria richiede la rinnovazione dell’atto.

Discente: Un breve esame ora dell’articolo 182 cominciando dalla sua lettura: “Art- 182 (Difetto di rappresentanza o di autorizzazione) Il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. (co.2) Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della

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stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione”Per cominciare: gli atti compiuti dalla parte che sta in giudizio in difetto di chi dovrebbe rappresentarla o assisterla (minorenne che non é rappresentato dal tutore...) o in difetto delle necessarie autorizzazioni (tutore che promuove un’azione senza l’autorizzazione del giudice tutelare o del tribunale, sindaco che promuove un’azione senza l’autorizzazione della giunta) sono validi?

Docente: Sono nulli e, non solo sono nulli quelli compiuti dalla parte in difetto, ma anche quelli compiuti dalla controparte nei suoi riguardi: le parti hanno perso il loro tempo a compierli, il giudice ha perso il suo tempo a decidere su di essi.

Discente: Quindi, la prima cosa che sempre dovrebbe fare il giudice all’inizio del processo, sarebbe di verificare la regolarità della costituzione delle parti: se possono stare in giudizio di persona, se in caso contrario sono assistite o rappresentate da chi di dovere, se hanno le necessarie autorizzazioni ecc.ecc.

Docente: Ciò sarebbe eccessivo: eccessivo sarebbe fare onere alle parti di produrre sempre all’inizio della causa tutti i documenti comprovanti la loro legitimatio ad processum; eccessivo sarebbe anche pretendere che il giudice all’inizio di ogni processo controlli tale documentazione. In medio stat virtus: il giudice dovrà controllare la costituzione delle parti solo quando sorgerà qualche sospetto sulla sua regolarità; la parte dovrà esibire tale documentazione solo quando il giudice la vorrà controllare.

Discente: Ma che accade se il giudice, controllata la documentazione, scopre qualche irregolarità, ad esempio il difetto di una necessaria autorizzazione?

Docente: Se la documentazione latita solo perché la parte non l’ha portata con sé (l’ha lasciata in casa o in studio) tutto si risolverà con un rinvio della causa per permetterle di produrla. Se invece non manca il documento (comprovante la autorizzazione, il mandato, la rappresentanza) ma manca l’autorizzazione, il mandato (…) bisogna distinguere.Se la parte in difetto é il convenuto, nulla quaestio: l’applicazione del capoverso dell’art.182 non presenta problemi: si dà un termine alla parte per la regolarizzazione. Se invece la parte in difetto é l’attore, bisogna ancora distinguere. Prima ipotesi,il convenuto si é costituito: anche qui l’applicazione del capoverso dell’art. 182 non presenta problemi o dubbi. Seconda ipotesi, il convenuto non si é costituito: allora si presenta il problema: dichiarare o no la nullità della citazione? Si

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potrebbe infatti sostenere la tesi che il convenuto potrebbe non essersi costituito proprio per aver rilevato il difetto di legittimazione in chi lo conveniva in giudizio. E’ questa una tesi che però noi non condividiamo: il convenuto tanto esperto in iure da sapere valutare la legittimazione di chi lo conviene in giudizio, deve presumersi anche tanto esperto in iure da conoscere l’articolo 182 e la possibilità che il giudice sani il difetto nella legittimazione.

Lezione 40 - Trattazione orale o scritta?

Discente: Abbiamo visto che l’attore espone per iscritto (nell’atto di citazione) le sue ragioni e il convenuto sempre per iscritto espone le sue (nella comparsa di risposta): ma attore e convenuto non si parlano mai? E il giudice, che fa, non dice nulla?

Docente: No, viene un tempo in cui le strade di attore e convenuto e giudice si incontrano e questo tempo é l’udienza.

Discente: Allora finalmente le parti potranno esporre le loro ragioni oralmente: tu, attore, parli, dici una cosa che a me, convenuto, pare inesatta, prima che tu prosegua oltre intervengo, te lo faccio osservare e così via. Mi pare che in questo modo quella verità che il processo vorrebbe accertare sia più facile afferrarla!

Docente: Certo la trattazione orale é importante; e le parti hanno interesse a esporre oralmente le loro ragioni (anche perché, mentre il giudice fannullone potrebbe ….autodispensarsi di leggere le parole scritte, quelle dette oralmente bon grè mal grè é costretto ad ascoltarle!). E questo interesse dal codice é tutelato: “La trattazione della causa é orale”, proclama un po’ enfaticamente l’art.180.Però la parte ha anche interesse a esporre per iscritto le sue ragioni.

Discente: Perché?

Docente: Ma perché quando scrivi hai tempo di riflettere e quindi riesci a esporre il tuo pensiero con precisione, ordine e compiutezza. E come tu hai tempo di pensare prima di scrivere, chi ti legge ha tempo di soffermarsi ogni tanto per assimilare e ben capire quanto hai scritto (é noto che i due terzi delle parole, dette in un discorso orale un po’ prolungato nel tempo, vanno per l’ascoltatore perse!).

Discente: -E tale interesse della parte all’esposizione scritta viene tutelato dal

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Legislatore?

Docente: Sì, e nei due momenti più importanti della causa: il suo inizio e la sua fine. Nella udienza di prima comparizione e trattazione della causa, il giudice “se richiesto, concede alle parti” (e non può non concederlo!) termine per scambiare delle memorie (vedi co.6 art.183). Al momento, poi, della precisazione delle conclusioni, le parti, senza che neanche debbano farne richiesta, hanno diritto di nuovo allo scambio di scritti difensivi, le c.d. “comparse conclusionali e le c.d. memorie di replica” (v. melius gli artt. 190, 181 quinquies) salva l’eccezione, nella pratica trascurabile, rappresentata dall’art. 281sexies (articolo che peraltro riguarda solo il procedimento monocratico, non quello davanti al giudice collegiale).

Discente: Ma il deposito di uno scritto difensivo, non finisce per complicare la causa; se non altro perché la controparte, per un minimo di cautela, chiederà che, prima di andare avanti nella trattazione, le si permetta di leggerlo (con quella calma che la confusione e lo stress dell’udienza non permette!) e il giudice non potrà non ritenere giusta e non accogliere tale richiesta (rinviando la causa).

Docente: Questo é verissimo. E certamente ciò esclude che la parte senza autorizzazione del giudice possa depositare una memoria; non solo, ma porta anche ad escludere che il giudice possa usare di tale potere autorizzativo (qualora glielo si voglia, nel silenzio del codice, riconoscere) se non in casi del tutto eccezionali.

Discente: Come tu hai già avuto modo di dire, lo svolgimento rapido del processo richiede ch’esso si svolga in maniera ordinata: immagino quindi che il legislatore preveda un tempo per compiere una certa attività (o risolvere una certa questione), un tempo per compiere una certa altra attività (o risolvere una certa altra questione) e così via.

Docente: Sia pure in maniera non rigida così effettivamente avviene. E dalla lettura degli articoli 183 e segg. si ricava che nella mente del nostro Legislatore l’ordine nella trattazione della causa dovrebbe essere quello che io ora vengo a dirti (un po’ sintetizzando).I-In prima battuta, il giudice deve compiere le attività di cui all’art. 182: deve cioé verificare la regolarità della costituzione delle parti, ecc.: chi siede attorno al mio tavolo ha os ad loquendum in nome della parte A? (questo senza ancora, si badi, porsi il problema se la parte A ha diritto di essere parte nel processo o no).II-In seconda battuta, il giudice deve compiere le attività di cui al co.1 art. 183: deve

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cioé verificare la “regolarità del contraddittorio”: ma A ha veramente diritto di essere...parte in questo processo? é legittimato attivo o passivo a contraddire? tutte le persone che avrebbero diritto di essere parti sono state convenute in giudizio o comunque si sono costituite? (….)III-In terza battuta,vanno compite le attività di cui ai commi 4 e seguenti dell’art.183; cioé, verificata la regolarità della costituzione e del contraddittorio,risolte dal giudice le relative questioni, vanno poste sul tappeto tutte le (altre) questioni (processuali o nel merito): il giudice “indica le questioni rilevabili d’ufficio”, le parti propongono le loro ulteriori domande ed eccezioni (ulteriori rispetto a quelle già proposte nell’atto di citazione e nelle comparse di risposta o di intervento) e deducono le loro prove.IV- In quarta battuta, si compie (se rivelatasi necessaria) la attività prevista dall’art.184: l’assunzione delle prove. V- In quinta battuta, finita l’istruzione, le parti, come vogliono gli artt. 189 e 291quinquies, precisano le “conclusioni” (che, dall’attività prima svolta, il giudice dovrebbe trarre nella sua sentenza).VI- In sesta battuta, le parti parti possono (non sempre ma quasi sempre – v. artt. 190, 281 quinquies, 281 sexies) scambiarsi scritti difensivi e possono (se e in quanto lo vogliano) discutere oralmente la causa.VII-In settima battuta, (ovvio!) il giudice pronuncia la sentenza.Discente: Ma il giudice non deve tentare la conciliazione delle parti?

Docente: Sì, se congiuntamente di questo le parti lo richiedono (art. 185 co.1). Tieni comunque presente che questo tentativo, anche se il legislatore sembra volere che si compia proprio alle prime battute processuali (v. co. 3 art. 183), in realtà può essere compiuto (come invece si argomenta dal co.2 art.185) in tutto l’arco (se non del processo) dell’istruzione.

Discente: Seconda domanda: ma tutte le attività, a cui tu hai accennato, vanno esaurite in un unico contesto temporale, in un’unica udienza?

Docente: Ovviamente, no. E tieni presente che anche quando il legislatore fa rientrare più attività (ad esempio le attività, sub I, sub II e sub III) in un’unica udienza (nel caso, l’udienza di prima trattazione di cui all’art.183), ciò non significa che Egli voglia che tutte queste attività siano esaurite nello stesso giorno: significa soltanto che il giudice, finché esse non sono esaurite, non può proseguire nella trattazione affrontando altre attività (per rifarci all’esempio: il giudice non può passare ad assumere le prove fino a che non ha verificata la regolarità del contraddittorio, fino a che le parti non hanno esaurite le loro deduzioni processuali e di merito, fino a che non sono state dedotte tutte le prove).

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Discente: Mi pare di capire che il giudice, dopo aver risolto le questioni di cui all’art. 182 e 183 co.1 (le questioni vertenti sulla regolarità della costituzione e del contraddittorio), non può passare a trattare le questioni di merito (il contratto tra A e B é valido o no? che diritti ne derivano?...) se prima non ha risolto le questioni pregiudiziali (sono io, giudice di Arezzo, competente o lo é il giudice di Palermo?...) o preliminari di merito (il credito vantato dall’attore, é prescritto o no?....).

Docente: No, hai capito male. Non é vero che, dopo risolte le questioni di cui all’art. 182 e al primo comma art. 183, il giudice deve subito passare a risolvere le (altre) questioni pregiudiziali e le questioni preliminari. Può farlo, se lo ritiene opportuno; se no, ne rinvia la soluzione al momento in cui definirà tutte insieme le questioni che la causa presenta. Ciò risulta dal secondo e terzo comma dell’art.187, che recitano: “(Il giudice istruttore) può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio- (co.3) Il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinenti alla giurisdizione e alla competenza o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise unitamente al merito”.

Discente: Quindi, mentre le questioni pregiudiziali di cui all’art. 182 e al co.1 art.183 debbono essere decise subito, le altre questioni pregiudiziali e le questioni preliminari possono essere decise quando il giudice ritiene più opportuno.

Docente: A voler essere precisi bisognerebbe distinguere: il potere del giudice istruttore di scegliere il momento in cui decidere una di tali questioni non incontra limiti quando si tratta di questioni pregiudiziali mentre incontra un preciso limite quando si tratta di questioni preliminari – e questo limite é dato dal fatto che il giudice può decidere “separatamente” tali questioni (preliminari) “solo quando la (loro) decisione può definire il giudizio”.Ad esempio, tu, giudice, ritieni provata l’esistenza del diritto di A al risarcimento (cioé ritieni provato il c.d. an debeatur), ma ritieni ancora insufficiente la prova del quantum debeatur? Ebbene non puoi decidere separatamente la questione sull’an: questa decisione potrà, sì, essere presa (separatamente dalla questione sul quantum) ma solo dal Collegio (in forza dell’art. 278) e solo quando tutta la causa sarà a questo rimessa per la decisione.

Discente: Ma perché il Legislatore preferisce che tutte le questioni siano decise insieme?

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Docente: Soprattutto per ragioni di economia processuale. Non devi pensare, infatti, che il giudice, quando deve decidere una delle questioni di cui parla l’art. 187, possa dire alle parti “Qualche minuto di pazienza, mi ritiro in camera di consiglio, risolvo la questione e torno per proseguire la trattazione della causa”. Questo il giudice lo può fare riguardo alle questioni di cui all’art.182 e al comma 1 art. 183 o anche riguardo alle questioni che possono nascere sull’ammissibilità delle prove; però non per le questioni di cui parla l’art.187. No, affatto: prima di tutto perché la decisione di tali questioni non spetta al giudice istruttore ma al Collegio (o al giudice monocratico ma non più nelle vesti di istruttore); in secondo luogo perché “il giudice istruttore – stiamo citando dall’art.189 – quando rimette la causa al collegio (o a se medesimo, trattandosi di procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica) a norma dei primi tre commi dell’art. 187 (e qui ricordati che i commi due e tre dell’art.187 riguardano appunto le questioni preliminari e pregiudiziali) o dell’art. 188 invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso – Le conclusioni di merito (stiamo citando sempre dall’art. 189 ma dal suo co. 2) debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dall’art. 187, secondo e terzo comma - La rimessione (co. 3 ancora dell’art. 189) investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell’art. 187, secondo e terzo comma”. E come le parti debbono essere invitate a precisare le conclusioni, così a esse deve essere concesso un termine per lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Insomma la decisione di una delle questioni preliminari o pregiudiziali di cui all’art. 187 mette in moto un marchingegno che causa un grave battuta di arresto del processo.

Lezione 41 - I poteri del giudice istruttore

Docente: L’art. 175 (che dà inizio alla “sezione” del Codice relativa ai “poteri del giudice istruttore in generale”), così recita: “Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. - (co.2) Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali”.

Discente: Ma il giudice non si limita a fissare le udienze e i termini di cui fa parola l’articolo ora letto!

Docente: Ovviamente, come dice il suo nome, “istruisce” la causa e in particolare assume le prove necessarie per accertare i fatti dedotti.

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Discente: Sì, certo, ma oltre a fissare le udienze, assumere le prove, tentare la conciliazione delle parti, egli, mi pare ha il potere di risolvere delle questioni di rilevante importanza. Io penso al caso in cui dichiara la nullità dell’atto di citazione, e tale nullità comporta praticamente la perdita del diritto fatto dall’attore valere (perché si tratta di una delle nullità previste dal quarto comma dell’art. 164 e la rinnovazione giungerebbe tardiva per interrompere la prescrizione – come risulta dal quinto comma dello stesso articolo); io penso ancora al caso in cui ritenga l’inammissibilità dei testi indicati da una parte e questi testi siano le uniche prove, per la parte, disponibili. Ora a mi pare che sia assurdo che un giudice, che viene qualificato solo come “istruttore”, possa prendere delle decisioni che pregiudicano la decisione della causa. Assurdo specialmente nei casi di procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale: il legislatore stabilisce: “questa causa per la sua importanza la decide il collegio”, e poi dà il potere di deciderla...al giudice istruttore.

Docente: Non assurdo, ma doppiamente assurdo sarebbe se così fosse. In quanto a deporre sull’assurdità di una tale disposizione legislativa starebbe, non solo il fatto, da te evidenziato, ma anche il fatto che la decisione in grado di incidere sulla soluzione della causa verrebbe presa senza dare alle parti un qualche “spazio”, una qualche possibilità di illustrare le proprie ragioni (con uno scambio di scritti difensivi, con una discussione orale, come previsto in via generale dagli più volte citati artt.190, 281quinquies, 281 sexies). Fortunatamente il nostro Legislatore non é così improvvido e tale assurdità la evita disponendo, con l’articolo 177 co.1, che “Le ordinanze – e le “ordinanze” sono i provvedimenti tipici del giudice istruttore, vedi l’art.176 co.1 – non possono mai pregiudicare la decisione della causa”. Ciò significa, per riferirci all’esempio da te portato, che quando il collegio (o il giudice monocratico, una volta dismessi gli abiti dell’istruttore) dovrà decidere sull’esistenza del diritto di credito controverso, potrà non ritenerlo prescritto partendo dal presupposto che l’atto di citazione (al contrario di quanto ritenuto dall’ordinanza emessa in sede istruttoria) era (non nullo, ma) valido.Ma non solo le ordinanze istruttorie possono essere disattese e, per così dire, corrette al momento della decisione della causa; ma siccome, un ritardo nella correzione dell’errore in esse commesso potrebbe inceppare l’ordinato svolgimento del processo, il Legislatore, col comma 1 dell’art.178, stabilisce che “Le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio, quando la causa é rimessa a questo a norma dell’art. 189, tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con ordinanza revocabile”. Cosa per cui - anche se il giudice istruttore rimette alla decisione del collegio (o di se medesimo, non più come giudice

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istruttore, ma come giudice monocratico investito dei poteri del collegio) una questione preliminare, metti, la questione sull’esistenza della prescrizione del credito -, la parte interessata potrà proporre la questione, metti, sull’ammissibilità della chiamata del terzo (questione, metti sempre, risolta negativamente da un’ordinanza istruttoria).

Discente: Certamente importante la disposizione dell’articolo 178, da te ora citata, ma mi pare pleonastica dato che già dal secondo comma dell’art. 189, da noi precedentemente letto, risulta che “La rimessione investe il collegio di tutta la causa anche quando avviene a norma dell’art. 187”.

Docente: Quod abundat non vitiat.

Discente: Però forse un vizio c’é nel marchingegno ideato dal Legislatore; e mi pare che sia questo: é vero che la parte interessata può ottenere dal collegio la correzione dell’errore contenuto nell’ordinanza del giudice istruttore; però non sempre la causa, dopo la errata decisione del giudice istruttore, viene rimessa al collegio (e quindi l’errore può venire corretto). Io penso al caso in cui il giudice istruttore dichiara (erroneamente) la estinzione del processo; io penso ancora al caso in cui il giudice i. nega (erroneamente) la legitimatio ad processum dell’attore, metti, perché ritiene ch’egli per agire in qualità di tutore necessiti dell’autorizzazione del giudice tutelare. In questi casi mi pare che la parte che ha subito l’errore non abbia la possibilità di farlo correggere.

Docente: Per quel che riguarda il caso dell’ordinanza che nega la legitimatio ad processum, temo che effettivamente la parte, per una lacuna della legge, non abbia la possibilità di rimediare all’errore.Per quel che riguarda invece il caso dell’ordinanza che dichiara (erroneamente) la estinzione del processo, la parte non si può dire mancante di una valida difesa. Infatti l’articolo 308 le dà la possibilità di proporre contro tale ordinanza reclamo al collegio (o allo stesso giudice istruttore, però non più nelle vesti di istruttore ma di giudice investito dei poteri del collegio).

Discente: Capisco l’utilità di un reclamo al collegio; ma che utilità, che speranze di accoglimento può avere un reclamo che, com’é nel caso di procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, venga proposto allo stesso giudice che ha pronunciata la ordinanza errata?

Docente: Tu non tieni conto che la parte, che propone reclamo, ha la possibilità di

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esporre per iscritto le sue ragioni (v. melius il combinato disposto dell’art. 308 e 178).

Discente: E questa possibilità (di esporre per iscritto le sue ragioni) la parte non ce l’ha tutte le volte in cui il giudice istruttore prende una decisione?

Docente: No; e ciò ti risulta dall’articolo 186, che così si limita a recitare: ” Sulle domande e sulle eccezioni delle parti, il giudice istruttore, sentite le loro ragioni, dà in udienza i provvedimenti opportuni (….)”. Quindi dovere del giudice istruttore é solo di sentire (oralmente) le parti e non anche quello di dare loro un termine per depositare degli scritti difensivi.

Discente: Questo per le questioni poste dalle parti; ma per le questioni che lo stesso giudice pone? Penso alla questione se separare o no le cause proposte nello stesso processo ai sensi dell’art. 103; penso ancora alla questione sull’ammissibilità dei testi dedotti da una parte.

Docente: Per le questioni rilevate d’ufficio effettivamente il legislatore prevede la possibilità delle parti di depositare delle memorie – Infatti il capoverso dell’art. 101 recita: “Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”. Questa diversità di disciplina, delle questioni rilevate d’ufficio rispetto alle questioni proposte dalle parti, può forse spiegarsi (oltre che con una banale dimenticanza del legislatore di adeguare l’art. 186 al disposto dell’articolo 101, come modificato da una “novella”!) con la convinzione del legislatore che le parti, quando propongono una questione, siano anche preparate a una esposizione ordinata degli argomenti che confortano la soluzione che ne vogliono far derivare (cosa forse vera per chi propone la questione, ma non certamente per la sua controparte!).

Discente: Comunque sia, mi pare di capire che, non per tutte le questioni rilevate d’ufficio il giudice ha l’obbligo di dare alle parti la possibilità di depositare uno scritto: quest’obbligo sussisterebbe solo per le questioni che il giudice “ritiene di porre a fondamento della sua decisione”. Ma a quali questioni il legislatore così intende riferirsi?

Docente: Non certo alle questioni preliminari e pregiudiziali di cui al secondo e

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terzo comma dell’articolo 187; e non già perché il contraddittorio su tali questioni é garantito di meno di quanto previsto dal capoverso ora riportato dell’articolo 101, ma perché é garantito di più (essendo data alle parti la possibilità di esporre le loro tesi, non con una sola memoria, ma con lo scambio delle comparse conclusionali, delle memorie di replica e infine con una discussione orale).

Discente: E allora?

Docente: E allora non resta che pensare che il legislatore si riferisca con il capoverso dell’art.101 ai casi in cui il giudice rileva d’ufficio l’inammissibilità di una prova o il difetto di interesse ad agire nella parte (art.100), o anche un difetto di legitimatio ad causam o ad processum. Certo il rischio di tale interpretazione, me ne rendo conto, é quello di appesantire troppo la trattazione del processo; quel che però si potrebbe evitare interpretando restrittivamente il capoverso dell’art.101, cioé interpretandolo nel senso che il giudice deve concedere il termine per il deposito di scritti difensivi solo quando di ciò é espressamente richiesto dalla parte.

Discente: Abbiamo visto i casi in cui la parte può proporre reclamo contro un’ordinanza del giudice istruttore (provocandone così la revoca). Ma il giudice istruttore non può sua sponte revocare una propria ordinanza (metti perché si accorge di aver commesso un errore, metti perché tale ordinanza giusta e opportuna al momento in cui fu emessa, si sta rivelando ingiusta o inopportuna in base a elementi sopraggiunti)?

Docente: Sì, lo può – e questo per il disposto del co.2 art. 177, che recita: “Salvo quanto disposto dal seguente comma le ordinanze possono essere sempre modificate o revocate dal giudice che le ha pronunciate”.Però a tale regola generale, il Codice, come già risulta dalla stessa disposizione or ora riportata, prevede tre eccezioni nel successivo comma, che recita: “Non sono modificabili né revocabili dal giudice che le ha pronunciate:1) le ordinanze pronunciate sull’accordo delle parti, in materia della quale queste possono disporre; esse sono tuttavia revocabili dal giudice istruttore o dal collegio, quando vi sia l’accordo di tutte le parti;2) le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge;3) le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo”.

Discente: Due parole di spiegazione.

Docente: L’irrevocabilità di cui al numero 1) sembra imporsi quasi per logica;

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purché la disposizione legislativa venga interpretata – così come si deve – nel senso che sono irrevocabili le ordinanze che il giudice ha emesso e poteva emettere solo sull’accordo delle parti (e non le ordinanze che il giudice ha emesso sull’accordo delle parti, ma che avrebbe potuto emettere anche in mancanza di tale accordo): infatti, se condizione della possibilità di emettere una data ordinanza era, non solo la volontà del giudice, ma anche quella delle parti, sembra abbastanza logico ritenere che condizione per la revoca di tale ordinanza sia, non solo la volontà del giudice, ma anche quella delle parti.

Discente: Anche la immodificabilità e irrevocabilità sancita dal n.2 (per le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili) mi pare suggerita dalla logica.

Docente: Una logica un po’ traballante, dato che ci potrebbero benissimo essere delle ragioni per rendere un provvedimento, sì, non impugnabile, però pur sempre revocabile da chi l’ha emesso. Comunque é pur vero che, se si ritiene che una ordinanza, anche se viziata da errore, non fa danno (o particolarmente danno) mentre potrebbe farlo la sua modificazione (tanto che “espressamente” la si esclude), diventa piuttosto logico stabilirne anche la irrevocabilità.

Discente: Quel che però non mi pare assolutamente logica é la disposizione di cui al numero 3: perché escludere sempre e in ogni caso la revocabilità delle “ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo”?! Nulla quaestio (si, alla irrevocabilità) nel caso in cui la parte stia già utilizzando il mezzo di reclamo: infatti se già é iniziata una procedura per la correzione della ordinanza, perché troncarla, sacrificando così l’interesse del reclamante al dictum di chi, con maggiore autorevolezza del giudice che ha emessa l’ordinanza, di questa potrebbe rilevare l’errore? Lo stesso può ripetersi, mutatis mutandis, quando la procedura di reclamo, non ancora iniziata, può ancora iniziarsi. Ma perché stabilire la irrevocabilità quando il mezzo di reclamo non può più essere esperito (per decadenza dei termini stabiliti per la sua esperibilità.....)?

Docente: Evidentemente perché il legislatore ritiene che, il fatto che le parti non abbiamo fatto reclamo contro l’ordinanza, indica che questa non lede nessun loro interesse. Ma potrei essere d’accordo con te che questa non é una gran buona ragione: infatti l’ordinanza, che non lede l’interesse delle parti, potrebbe ben ledere l’interesse pubblico; e tanto ben basterebbe a giustificarne la revoca.

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Lezione 42 - Conseguenze dell’inattività delle parti

Docente: Principio basilare in subiecta materia é che l’inattività di una parte (anche se inceppa quel meccanismo del contraddittorio che dal legislatore é visto come garanzia di un effettivo accertamento della verità) non può pregiudicare la controparte.Di conseguenza, per cominciare, il fatto che tu, convenuto, non ti sia costituito, non impedisce a me, attore, di proseguire nel processo: il giudice, dopo aver controllata la regolarità della notifica dell’atto introduttivo del processo, ti dichiarerà contumace (art. 291), con la conseguenza che alcuni atti, particolarmente importanti, del processo ti verranno notificati (v. art. 292); ma tutto si limiterà a questo e il processo proseguirà fino alla sentenza.

Discente: E se il convenuto, si é costituito ma non compare alle udienze?

Docente: Anche in tal caso il processo va avanti; con la particolarità, rispetto al caso prima esaminato dell’omessa costituzione, che non sarà dovuta al convenuto nessuna delle notifiche previste dall’art. 292. Si applicherà invece il principio espresso dal capoverso dell’art. 176, secondo cui “le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi; quelle pronunciate fuori dell’udienza sono comunicate a cura del cancelliere (...)”.E’ questa una regola, va detto subito, che vale anche per l’attore: la mancata comparizione di una parte, non blocca il processo: questo va avanti. Nel caso di mancata comparizione dell’attore (regolarmente costituitosi) c’é questo di particolare: che il legislatore ritiene giusto concedere al convenuto un mezzo per ottenere l’estinzione del processo (estinzione, e non sua semplice cancellazione, quindi derivano dall’ordinanza del giudice tutte le conseguenze di cui all’art. 310).

Discente: In che consiste tale mezzo?

Docente: Consiste...nello stare zitto e tranquillo. Insomma il convenuto in caso di omessa comparizione dell’attore alla prima udienza o chiede che il processo prosegua (e allora il processo prosegue nell’assenza dell’attore) o...non chiede niente. In questo secondo caso il giudice fissa un’altra udienza (dato che l’attore avrebbe potuto benissimo non comparire per qualche buono motivo: perché malato, impegnato in altra causa più importante...) e se alla nuova udienza (della quale il cancelliere gli dà comunicazione) l’attore continua a non comparire, dichiara l’estinzione del processo. Questo risulta dal 2° comma dell’art.181, che

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recita: “Se l’attore costituito non comparisce alla prima udienza e il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, il giudice fissa una nuova udienza, della quale il cancelliere dà comunicazione all’attore. Se questi non comparisce alla nuova udienza, il giudice, se il convenuto non chiede che si proceda in assenza di lui, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo”.

Discente: Ma questo, diciamo così, “giochetto” il convenuto può farlo anche alle udienze successive alla prima: metti, l’attore (dopo essersi naturalmente costituito) compare alla prima udienza, ma non alla seconda (o alla terza...): può il convenuto comparire ma, astenendosi dal chiedere la prosecuzione del processo, provocarne la estinzione?

Docente: No, alla comparizione del convenuto alle udienze successive alla prima, viene attribuito sempre il significato (implicito) di una richiesta di prosecuzione del processo.

Discente: Per cui?....

Docente: Per cui, nella pratica il giudice (dato il notorio buonismo dei nostri giudici) rinvierà ad altra udienza (nel timore che la mancata comparizione dell’attore, o meglio del suo procuratore, sia determinata da qualche giustificato motivo), ma in teoria potrebbe proseguire subito nel processo (e non va neanche detto che se subito o alla successiva udienza procederà oltre nel processo nell’assenteismo dell’attore, questi se, come é molto probabile, mancheranno le prove a conforto della sua domanda.. se la vedrà rigettare, perderà la causa).Ma ti faccio notare che, se il convenuto volesse profittare dell’inattività dell’attore per ottenere l’estinzione del processo, ne avrebbe, dagli artt. 181 e 309, un facile mezzo: basterebbe che anch’egli non comparisse all’udienza. Infatti l’articolo 181, nel suo primo comma, recita: “Se nessuna delle parti compare alla prima udienza il giudice fissa un’udienza successiva, di cui il cancelliere dà comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo”. E l’articolo 309 a sua volta recita: “Se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all’udienza il giudice provvede a norma del primo comma dell’articolo 181”.

Discente: Abbiamo visto che cosa succede, se non si costituisce o se, dopo essersi costituito, non compare il convenuto. Vediamo ora cosa succede se non si costituisce l’attore (cosa succede se non compare, l’abbiamo or ora visto). Penso

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che, se l’attore non si costituisce, il processo si estingua.

Docente: E perché mai? Forse che il convenuto non ha diritto che gli sia tolta dal capo per sempre quella spada di Damocle costituita dal pericolo che l’attore, ripensandoci, ritorni alla carica instaurando di nuovo il processo?Proprio in considerazione di ciò il Legislatore (nel caso di mancata costituzione dell’attore) dà al convenuto questa alternativa: o di richiedere la prosecuzione del processo – e in tal caso il giudice andrà avanti nel processo (dopo aver, ai sensi dell’art. 291, dichiarata la contumacia dell’attore con la conseguenza che a questi, così come abbiamo visto avviene per il convenuto contumace, si dovranno le notifiche di cui all’art. 292) - oppure di starsene bello zitto, nel qual caso il giudice (senza necessità, a nostro modesto parere, di dover dichiarare la contumacia dell’attore) disporrà che la causa sia cancellata dal ruolo e il processo si estinguerà” (vedi sempre l’art. 291).

Discente: Senza fissare una nuova udienza com’é il caso dell’attore, che é, sì, costituito, ma non compare alla prima udienza?

Docente: E’ così, ed é logico che sia così: nel caso di un attore che non compare all’udienza, nel giorno X e all’ora Y, si può dubitare che ciò sia dovuto a qualche contrattempo, ma non si può che pensare ad una sua deliberata volontà di non coltivare più la causa, nel caso di sua mancata costituzione - dato che questa può effettuarsi in un grande lasso di tempo (non dimenticarti che se l’attore non si costituisce nei termini di cui all’art. 165, qualora il convenuto si costituisca nei termini a lui assegnati dall’art. 166, può sempre, per l’art. 171, costituirsi fino alla prima udienza senza incorrere nella dichiarazione di contumacia – e mentre il convenuto che fa questo, che cioé si costituisce solo all’udienza, viene colpito dalle decadenze di cui all’art. 167, l’attore, no, lui nessuna decadenza rischia costituendosi alla udienza).

Docente: Tu hai detto prima solo genericamente che al contumace sono dovute alcune notifiche: forse é il caso di essere più precisi.

Docente: Al contumace più precisamente vanno, per l’articolo 292, notificate “l’ordinanza che ammette l’interrogatorio o il giuramento e le comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali da chiunque proposte”. La ragione per cui vanno rese note al contumace le domande nuove o riconvenzionali é di tutta evidenza: Tizio diserta il processo nella convinzione che in questo sia “in gioco” la domanda A (che lui riconosce fondata o....gli fa poco paura).

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Se la posta in gioco cambia, se nel processo si viene a discutere, oltre che della domanda A, della domanda B, egli ben potrebbe decidere di rivedere il suo comportamento assenteista e di costituirsi (dato che, metti, per confutare la domanda B ha quelle buone ragioni che gli mancano per confutare la domanda A).Se la notifica delle domande (nuove o riconvenzionali) é nell’interesse del contumace; la notifica delle ordinanze che dispongono l’interrogatorio o il giuramento, é nell’interesse della sua controparte: infatti la mancata comparizione del contumace, per rispondere all’interrogatorio o per prestare il giuramento, perderebbe di valore probatorio, se si potesse dubitare che fosse dovuta ad un difetto di conoscenza (da parte del contumace).

Discente: A prescindere dagli atti ora menzionati, il contumace non viene informato degli avvenimenti che possono verificarsi nel processo? che so: della separazione delle cause (art. 103), della chiamata di un terzo, di eventuali eccezioni (….)?

Docente: No, lo escludono il secondo e il terzo comma sempre dell’art. 292, che recitano: “Le altre comparse si considerano comunicate con il deposito in cancelleria e con l’apposizione del visto del cancelliere sull’originale –(co.3) Tutti gli altri atti non sono soggetti a notificazione o comunicazione”.Discente: Ma questo vale anche per le sentenze?

Docente: No, le sentenze vanno senz’altro notificate; lo impone l’ultimo comma sempre dell’art. 292, che recita. “Le sentenze sono notificate alla parte personalmente”.

Discente: Ma la parte che non si é costiuita né nei termini di cui agli artt. 165, 166 né alla prima udienza può costituirsi in seguito?

Docente: Sì, ma fino al momento della precisazione delle conclusioni. Se tu, contumace, non ti costituisci neanche in tale momento – e beninteso, prima della precisazione delle conclusioni – non puoi farlo più in seguito: di conseguenza perdi il diritto di depositare la comparsa conclusionale e di discutere (oralmente) la causa.

Discente: Ma se mi costituisco prima della precisazione delle conclusioni, posso svolgere attività difensiva?

Discente: In ogni caso potrai disconoscere le scritture contro di te prodotte (vedi melius, c.3 art.293). Per quel che riguarda le altre attività difensive le potrai

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compiere solo che non sia scaduto il termine per il loro compimento (arg. ex art.294 co.1). Ad esempio, se tu ti costituisci nell’udienza dedicata all’assunzione delle prove (escussione dei testi, interpello delle parti...), non potrai dedurre dei testi e, a mio modesto parere, neanche dei documenti; però potrai partecipare all’esame dei testi (ad esempio, proponendo delle domande)

Discente: Ma io non ho diritto a compiere le attività per cui già é intervenuta una preclusione neanche nel caso che dimostri che la citazione era nulla o era nulla la sua notifica?

Docente: No, ciò non basterebbe: il co. 1 concede al contumace di superare le preclusioni contro di lui intervenute solo se “dimostra che la nullità della citazione o della sua notificazione gli ha impedito di avere conoscenza del processo o che la costituzione gli é stata impedita da causa a lui non imputabile”. Ed é giusto: infatti tu, nonostante la nullità della citazione o della sua notifica, avresti potuto avere conoscenza del processo (ad esempio tramite la notifica a te fatta in forza dell’art. 292 dell’ordinanza ammissiva del giuramento).

Discente: Ma, imponendo al contumace di provare un fatto negativo (la sua mancata conoscenza del processo), gli si viene ad accollare la classica probatio diabolica!

Docente: Ciò sarebbe se la norma dovesse interpretarsi alla lettera: in realtà, a mio modesto parere, essa va invece interpretata nel senso che, la nullità della notifica non é per il convenuto sufficiente per superare le preclusioni intervenute contro di lui, quando vi é la prova (che evidentemente dovrà essere fornita dalla controparte) di un elemento, che fa presumere la sua conoscenza del processo (ad esempio, la controparte é in grado di produrre una lettera da cui risulta la conoscenza che il convenuto ha di questo).

Discente: Ma io posso conoscere del processo, ma astenermi dal costituirmi perché l’atto di citazione (nullo!) non mi indica il petitum: solo quando so che l’attore chiede la mia condanna...a un milione, mi si rizzano i capelli e corro a costituirmi: perché in tal caso dovrei subire preclusioni nella mia attività difensiva?

Docente: E in realtà non lo dovresti: per non subirle ti basterebbe eccepire la nullità – cosa che, a mio modesto parere, potresti fare in ogni momento processuale.

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Discente: Ancora: io posso conoscere del processo, ma essere impedito a costituirmi per un più che giustificato motivo (metti, perché bloccato all’ospedale): non sarebbe giusto che in tal caso io costituendomi non incontrassi nessuna preclusione nella mia attività difensiva?

Docente: E infatti non la incontreresti – e questo sempre per il comma I art. 294 alla cui lettura ti rinvio.

Discente: Allarghiamo il discorso: infatti, non solo si può fare l’ipotesi di una parte impedita a costituirsi, ma anche si può fare l’ipotesi di una parte, già regolarmente costituita, che sia stata impedita a compiere un atto. Ad esempio, A (o meglio il difensore di A) che ha dedotto dei testi, é stato impedito a comparire all’udienza in cui questi avrebbero dovuto essere assunti: il giudice ha applicato il co.1 art. 208 e l’ha dichiarato decaduto dalla prova: é dato un rimedio ad A per superare tale decadenza?

Docente: Sì, il rimedio nel caso particolare sarebbe previsto dal co.2 dello stesso articolo 208; che però non é altro che un’applicazione del principio generale che trova la sua più completa espressione nell’art. 184bis, il quale recita.” La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini”.

Discente: Si é fatta l’ipotesi che una parte assenteista divenga parte attiva nel processo, ma si può fare anche l’ipotesi inversa, cioé quella di una parte che, dopo essere stata parte attiva nel processo (costituendosi in esso...), divenga poi assenteista, non si interessi più del processo, diserti le udienze: in tal caso, che si fa? Se ne dichiara la contumacia, le si fanno le notifiche di cui all’art. 292?

Docente: No, nel caso vale il principio “semel praesens semper praesens”: e si applica quel secondo comma dell’art.176 che abbiamo già avuto occasione di citare.

Discente: Non le si notifica neanche una nuova domanda che le controparti avessero introdotto nel processo?

Docente: No, neanche quella le si notifica.

Discente: Finora abbiamo fatto l’ipotesi che l’impedimento fatto valere dalla parte (costituita o contumace o, meglio, ex contumace) sia valutato come tale dal giudice

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istruttore, che in base a sue considerazioni più o meno soggettive, potrebbe ritenerlo o no valido ai fini di una remissione in termini (così come risulta dal secondo comma dell’art.294 da te già citato). Però ci sono degli impedimenti così evidenti, per cui sarebbe assurdo rimetterne la valutazione al giudice; penso alla parte diventata incapace di stare in giudizio o...deceduta; penso al caso in cui muore o viene radiato o sospeso dall’Albo il suo procuratore: che anche in tali ipotesi l’impedimento debba essere fatto valere secondo le procedure di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 294, a me sembra, ripeto, assurdo.

Docente: E tanto é assurdo che...non é così. In tali casi in realtà, come risulta dagli artt. 299 ss., l’impedimento opera automaticamente e dal momento in cui si verifica (salvo che la parte impedita sia rappresentata da un procuratore. v.co.2 art 300). Ma per un approfondimento sul punto ti rinviamo alla voce “Interruzione” del “Formulario

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CAPITOLO SESTO

LE PROVE

Lezione 43 - Scienza privata del giudice – Fatti notori – Prova legale

Discente: Che cos’é la prova?

Docente: E’ un fatto (factum probans) la cui esistenza rende probabile quella di un altro fatto (factum probandum): il fatto che Caio abbia testimoniato che Sempronio guidava senza tenere la destra é prova (prova classificata dagli Studiosi come “prova diretta”) da cui il giudice può inferire che probabilmente Sempronio ebbe a violare il “codice della strada”; il fatto che Sempronio abbia dormito in casa di Carmela é prova (prova classificata dagli Studiosi come “prova indiretta”) da cui il giudice può inferire che probabilmente Carmela commise adulterio.

Discente: E il giudice accoglierà o respingerà la domanda dell’attore in base a fatti (le prove) che rendono solo probabili i fatti rilevanti per la sua decisione?

Docente: Sì, la certezza non est de hoc mundo e tanto meno delle aule giudiziarie.

Discente: Ma se il fatto A cade sotto i sensi del giudice (metti, questi si trova sul luogo dell’incidente e può vedere l’auto di Sempronio che, non tenendo la destra, arrota Carmen)? in tal caso non può il giudice dirsi certo che Sempronio ha violato il codice della strada?

Docente: A rigore neanche in tal caso il giudice potrebbe dirsi certo del factum probandum (forse che i sensi non avrebbero potuto tradirlo?!). Chiaro però che in tal caso egli avrebbe il massimo di certezza sull’esistenza del factum probandum.

Discente: Quindi in tal caso il giudice, anche in mancanza di prove portate dalle parti, potrebbe, in base alla sua scienza privata, ritenere l’esistenza del factum probandum.

Docente: Assolutamente, no: il divieto per il giudice di far uso della sua scienza privata é uno dei fondamentali principi del nostro diritto processuale.

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Discente: Sarà, ma a me sembra un principio assurdo.Docente: Al contrario é giustificato da varie e ottime ragioni.La prima é che le parti hanno diritto di conoscere gli elementi di fatto su cui il giudice può essere portato a fondare la sua decisione.

Discente: Perché?

Docente: Perché solo conoscendo tali elementi le parti potranno discuterne la rilevanza giuridica. Mi spiego meglio, riferendomi all’esempio prima introdotto: il giudice, in base a quel che i suoi occhi gli hanno detto, condanna Sempronio al risarcimento dei danni: perché ciò sarebbe ingiusto e lesivo dei diritti della difesa del convenuto? Perché il difensore di questi – che avendo l’attore portato zero prove della colpa del convenuto aveva spese zero parole in difesa di questi – se mai avesse saputo che il giudice con i suoi occhi aveva visto il convenuto non tenere la destra, si sarebbe comportato in maniera ben diversa?

Discente: E come? che avrebbe potuto contrapporre a una prova così irrefutabile come quella data dalla diretta conoscenza dei fatti da parte del giudice?

Docente: Avrebbe, metti, potuto sostenere che, se era pur vero che il convenuto teneva la sinistra, la domanda dell’attore doveva lo stesso essere respinta per mancanza del nesso di causalità (perché? metti perché l’incidente si sarebbe verificato lo stesso anche se il convenuto avesse tenuta la destra).

Discente: Se é questo l’inconveniente – voglio dire, l’inconveniente che comporterebbe l’utilizzazione della scienza privata del giudice – facile sarebbe trovargli il rimedio: si permette, sì, al giudice di attingere alla conoscenza diretta che abbia dei fatti di causa, ma solo dopo averla comunicata alle parti: prima che queste decadano dal potere di dedurre delle prove, il giudice dichiara: “io, di persona, ho visto questo e quest’altro”.

Docente: Certo, in tal caso l’inconveniente prima denunciato, più non sussisterebbe, però ne sorgerebbero altri.

Discente: Quali?

Docente: Primo inconveniente: si verrebbero a cumulare nella stessa persona le funzioni di giudice e di teste; dato che, é chiaro, non si potrebbe negare alle parti il diritto di porre delle domande al giudice, se non altro per saggiare l’attendibilità del

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suo dictum (“a che distanza dal luogo dell’incidente era, quando vide?”....).Secondo inconveniente: il giudice, facendo una dichiarazione inevitabilmente favorevole a questa o a quella parte, perderebbe quella “imparzialità”, che invece deve essere il suo principale attributo.

Discente: Ma quanto tu hai detto ha un riscontro nel diritto positivo?

Docente: Sì, ce l’ha:Che il giudice non possa porre a base della sua decisione la propria, personale conoscenza dei fatti, che non abbia manifestata alle parti, risulta dall’incipit del secondo comma dell’art. 111 Cost.: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio ecc.”.Che il giudice non possa indossare le vesti del testimone, risulta, ancora dal secondo comma art.111, là dove recita: “Ogni processo si svolge.....davanti a giudice terzo e imparziale”.Che in genere il giudice non possa porre a base della sua decisione la sua personale scienza dei fatti, risulta pure dall’art. 115 del codice, che recita: “(Salvi i casi previsti dalla legge) il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e dal pubblico ministero”.

Discente: Dunque vi é nel nostro Ordinamento il divieto di utilizzare la scienza privata del giudice. Ma tale divieto non ha delle eccezioni?

Docente: Sì, e la principale di tali eccezioni é data dai cc.dd. fatti notori e dalle cc.dd. massime d’esperienza: quelli e queste possono essere posti a base di una sentenza senza bisogno di prova e solo in quanto dal giudice conosciuti. Tale eccezione é prevista nel secondo comma dell’articolo 115, che recita: “Il giudice può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.

Discente: Su che cosa si fonda tale eccezione?

Docente: Si fonda sul principio di economia processuale: i costi e i tempi già pesanti dei nostri processi aumenterebbero a dismisura se il giudice dovesse porre sul tappeto processuale un fatto o una massima d’esperienza (sia pure solo per domandare alle parti se ritengono di contestare, di tale fatto, la esistenza, e, di tale massima, la fondatezza) anche quando può dare per scontato che nessuna parte penserebbe di contestare l’esistenza di tale fatto o la fondatezza di tale massima.

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Discente: Dato che se una parte contestasse...Docente: In tal caso é ovvio la “nozione di fatto” non potrebbe più dirsi rientrare nella “comune esperienza”.

Discente: Un esempio di fatto notorio.

Docente: Pensa all’esistenza di una grave crisi edilizia nei tempi (brutti) in cui viviamo; pensa all’esistenza di una persistente svalutazione della moneta e, quindi, di un persistente fenomeno inflattivo.Quelli ora menzionati sono senza dubbio fatti di “comune esperienza”. Va però detto che la nostra Corte Suprema, nell’ansia di ottenere una semplificazione e un acceleramento dell’attività processuale, finisce per ritenere di “comune esperienza” anche fatti che a rigore tali non possono dirsi. E così, ad esempio, ritiene “notori” gli indici ISTAT: il giudice può calcolare la svalutazione di una somma in base a tali indici anche se nessuna delle parti ha prodotto in giudizio le “tabelle” che, tali indici, riportano.

Discente: Fai ora qualche esempio di massima d’esperienza (di comune conoscenza).

Docente: La massima che dice che il fumo delle sigarette provoca il cancro; la massima che dice che lo spazio di frenatura di un veicolo che va a sessanta chilometri é X.

Discente: Ma, a dir il vero, mi pare eccessivo dire di comune conoscenza la seconda massima da te citata: io ad esempio non la conosco.

Docente: E neanch’io. Però, le esigenze di economia processuale a cui ho accennato, spingono i nostri giudici a ritenere di “comune conoscenza” anche le massime la cui conoscenza é limitata agli avvocati (e ai giudici) specializzati in un dato tipo di cause (nell’ipotesi, cause di infortunistica stradale).

Discente: E se la parte ha scelto come difensore un avvocato non specializzato ella materia su cui vertre la sua causa (metti, la causa é d’infortunistica e lei ha scelto un avvocato matrimonialista)?

Docente: Peggio per lei: sconterà la scelta errata con la perdita della causa (così come sconta con la perdita della vita chi si fa curare un mal di fegato da....un cardiologo).

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Discente: Cambiamo ora completamente d’argomento: che cosa si intende per “prova legale”?

Docente: Si intende quella prova la cui valutazione é sottratta alla discrezionalità del giudice ed é operata direttamente dal legislatore.Gli Ordinamenti in cui la valutazione della prova é prevalentemente rimessa al giudice si dicono ispirati al principio del libero convincimento: quelli in cui la valutazione della prova é prevalentemente riservata al legislatore, si dicono ispirati al principio della prova legale.

Discente: Il nostro Ordinamento a quale principio é ispirato?

Docente: Al principio del libero convincimento; come risulta dal primo comma dell’articolo 116, che recita: “(Valutazione delle prove). Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”.

Discente: Mi puoi dare alcuni esempi in cui la Legge deroga al principio del libero convincimento?

Docente: Pensa alla presunzione stabilita dal comma primo dell’articolo 232 Cod. Civ. - presunzione che vuole concepito durante il matrimonio, il figlio nato quando sono trascorsi 180 giorni da questo e non sono ancora trascorsi 300 giorni dal suo scioglimento. Pensa alla presunzione stabilita dall’articolo 2700 Cod. Civ. che vuole effettivamente fatte quelle dichiarazioni che, il pubblico ufficiale rogante un atto, afferma avvenute alla sua presenza.

Discente: Quali sono i motivi che possono spingere un legislatore ad adottare il principio del libero convincimento?

Docente: La sfiducia nella propria capacità di prevedere tutte le possibili situazioni che possono presentarsi a un giudice e la volontà di evitare quei casi dolorosi in cui la valutazione legislativa della prova, rivelandosi imperfetta e lacunosa, porterebbe all’accoglimento di una domanda sicuramente infondata o al rigetto di una domanda sicuramente fondata.

Discente: E ora, quali i motivi che possono spingere un legislatore ad adottare il sistema della prova legale?

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Docente: Presto detto: la sfiducia del legislatore nella capacità del giudice di far buon uso dei poteri discrezionali rimessigli e la volontà di dare agli interessati la possibilità di valutare e, per così dire, di anticipare il futuro esito di una causa; dall’atto pubblico risulta che il compratore ha detto A e B? Inutile che egli inizi una causa per sostenere che ebbe a dire in realtà C e D (dato che per l’articolo 2700 Cod. Civ “l’atto pubblico fa piena prova ….delle dichiarazioni delle parti...che il pubblico ufficiale attesta avvenute in sua presenza”).

Discente: Chiaramente l’adozione del principio del libero convincimento, concedendo al giudice un potere discrezionale, comporta il pericolo che, di tale potere, egli abusi maliziosamente od usi superficialmente: contro tale pericolo il legislatore non appresta nessuna difesa?

Docente: Certo che l’appresta! Precisamente, come ostacolo a eventuali abusi, il legislatore impone al giudice l’obbligo di indicare i motivi della sua decisione.

Discente: A dir il vero questo mi pare un ostacolo facilmente eludibile: il giudice che avesse data ragione alla parte attrice in considerazione solo dei begli occhi con cui lo guardava, si guarderebbe bene dal dire in sentenza il vero motivo della sua decisione (sicuro dell’impunità per la sua menzogna: Solo deus est scrutator cordium).

Docente: Ma il legislatore ben sa ciò; e non pretende che il giudice indichi i motivi reali della sua decisione, ma solo che esponga quelle considerazioni in diritto e in fatto che costituirebbero “buoni motivi” per prendere tale decisione. E anche così l’obbligo della motivazione viene a costituire un freno contro eventuali abusi; se non altro perché é più facile motivare una decisione giusta che una decisione ingiusta (non sarà facile al giudice, che si é lasciato affascinare dagli occhi azzurri della bella signora, motivare perché, nonostante l’attore avesse maturati i venti anni di possesso eccetera eccetera, egli respinse la domanda di rivendica!)

Lezione 44 - La motivazione

Docente: Abbiamo visto nella lezione precedente che la “motivazione” ha una funzione di freno contro possibili arbitri del giudice: gli Studiosi definiscono questa funzione come extra-processuale, in quanto é diretta a permettere a quivis de populo un controllo sull’operato del giudice (ed é proprio questa funzione che il

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nostro Legislatore costituzionale si preoccupa di garantire stabilendo, nel sesto comma dell’art.111, che “Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati”). Gli Studiosi però attribuiscono alla “motivazione” anche quattro altre funzioni da loro definite endo-processuali (perché hanno rilievo soprattutto per chi é stato parte nel processo); e precisamente: 1) la funzione di permettere una selezione delle questioni da trattare nel grado successivo (di appello o di cassazione); 2) la funzione di aiutare il giudice dell’impugnazione nell’elaborazione della sua decisione (coll’esporgli i risultati a cui era giunto il giudice del precedente grado nello studio della materia del contendere: la sentenza di questi diventando così una specie di “memoria”, ma non scritta da una parte interessata, bensì da una parte affidabile in quanto presumibilmente disinteressata); 3) la funzione di chiarire il contenuto del “dispositivo”; 4) e, dulcis in fundo, la funzione di dissuadere la parte soccombente da una (inutile) impugnazione, facendo così risparmiare tempo e fatica alle altre parti e al giudice (funzione di economia processuale)..

Discente: Le funzioni sub 2, 3, 4 mi sono sostanzialmente chiare; spiegami meglio la funzione sub 1.

Docente: Te la spiego con un esempio. Metti che Tizio abbia domandato al giudice di primo grado di dichiararlo proprietario del fondo Corneliano. Causa petendi? l’usucapione decennale del fondo di cui all’articolo 1159. Il giudice rigetta la domanda: ora se egli non fosse obbligato a motivare il suo rigetto, Tizio non potrebbe sapere se gli é stato dato torto, perché il contratto da lui stipulato con il non domino é stato ritenuto non idoneo all’acquisto della proprietà o perché non é stato ritenuto regolarmente trascritto o perché non é stata ritenuta la sua buona fede (…). Risultato, egli sarebbe costretto nell’atto di appello a trattare, e di conseguenza il giudice di appello sarebbe costretto ad esaminare, tutte le questioni relative a tali punti (idest, la questione sull’idoneità del contratto, la questione sulla regolarità della trascrizione….). Essendo invece il giudice obbligato a motivare (metti caso, scrivendo “Rigetto la domanda perché non é stata provata la buona fede”), la parte e il giudice d’appello potranno concentrare la loro attenzione e le loro forze in quella o quelle questioni che il giudice a quo ha risolto negativamente (per il soccombente).

Discente: Se questo é tutto, non mi pare che la mancanza della motivazione determini poi un grande inconveniente. Tanto più che, immagino, il giudice di appello, anche se risultasse (dalla motivazione) che quello di primo grado ha rigettato la rivendica per il difetto di buona fede, potrebbe, ritenuta la buona fede, rigettare la rivendica per la inidoneità del contratto; cosa per cui il rivendicante-

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appellante dovrà in ogni caso essere preparato a discutere in appello la causa, sia sotto il profilo dell’esistenza della buona fede, sia sotto il profilo dell’idoneità del contratto e così via.

Docente: Tu immagini bene: é proprio così. E posso essere d’accordo con te anche nel non ritenere la omessa motivazione un grande inconveniente, un inconveniente, per intenderci, tanto grande da giustificare la nullità della sentenza. E vedremo che in effetti é così: contro la omissione della motivazione il legislatore non reagisce statuendo la nullità della decisione. Però la omissione della motivazione un inconveniente realmente lo rappresenta in quanto rende indubbiamente più difficile, e quindi menoma, quel dritto di difesa, che costituzionalmente é garantito. Cosa per cui bene ci sta nel codice l’obbligo di motivare.

Discente: Quali sono le norme che, tale obbligo, impongono?

Docente: Sono le seguenti.L’articolo 111, comma sesto, Cost. già citato, che, come ricorderai, recita: “Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati”L’art. 132 C.P.C. che recita (nel suo secondo comma): “(La sentenza) deve contenere: (…..........) (4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.L’articolo 134 C.P.C. che, nel suo primo comma, recita: “L’ordinanza é succintamente motivata”.

Discente: Questo per le sentenze e per le ordinanze; e per i decreti?

Docente: Per i decreti il legislatore, al vero, non prevede un obbligo generalizzato di motivazione, ma nel quarto comma, si limita a dire: “Il decreto non é motivato, salvo che la motivazione sia prescritta espressamente dalla legge”.

Discente: A me sembra che vi sia un evidente contrasto tra l’art. 111 della Costituzione e gli articoli del Codice da te riportati. Volendoci limitare a parlare delle sentenze, per semplificare il nostro discorso: un conto é l’obbligo di motivare tout court, imposto dalla Costituzione e un conto é l’obbligo di “concisamente” motivare, disposto dall’art. 132.

Docente: -Indubbiamente tale contrasto c’é. Sarebbe però eccessivo fare discendere da ciò l’incostituzionalità dell’art. 132. Infatti l’assolutezza del dictum

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contenuto nel sesto comma dell’articolo 111, va temperata in considerazione dell’esigenza, espressa dal secondo comma (ultima parte) sempre dello stesso art.111, di “una ragionevole durata” dei processi: se i giudici dovessero diffusamente motivare le loro sentenze, i tempi dei processi si allungherebbero inevitabilmente (dato che il giudice, capace di fare due sentenze al giorno, se tenuto solo a una concisa motivazione, una volta che fosse obbligato a motivare diffusamente, in un giorno potrebbe farne solo una).

Discente: Da quel che tu hai prima accennato, non solo la sentenza va succintamente motivata, ma la mancanza di tale (pur succinta) motivazione non é colpita dalla sanzione della nullità.

Docente: A dir il vero la cosa é discussa. Io ritengo di no, che la mancanza di motivazione non determini nessuna nullità. Molti però ritengono il contrario.

Discente: -Si baseranno su qualche norma.

Docente: Sì, si basano sull’articolo 156, che nel suo secondo comma così recita: “(La nullità) tuttavia può essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”.

Discente: Ma lo scopo della sentenza é quello di definire una controversia; e su tale scopo non influisce per nulla la esistenza o no di una motivazione!

Docente: Evidentemente, i sostenitori della nullità della sentenza non motivata, partano dal presupposto che la sentenza – dal momento che deve pur avere un senso, uno scopo, l’obbligo di fornirla dei “requisiti formali” di cui all’art.132 (indicazione del giudice, indicazione delle parti...concisa motivazione...) - abbia, oltre a quello di decidere la controversia, altri scopi, e, tra questi, quelli da noi definiti come scopi extra e endo-processuali della motivazione. E in ciò non hanno torto. Però Essi dimenticano che la nullità di un atto non é determinata dalla frustrazione di ogni e qualsiasi scopo che a tale atto é assegnato: bisogna distinguere tra suoi scopi essenziali e no. E a me sembrerebbe gratuita l’affermazione che facesse rientrare negli scopi essenziali della sentenza: il convincere la parte soccombente dell’inutilità di una sua impugnazione (se così fosse, il giudice, lungi dal concisamente motivare, dovrebbe diffusamente controbattere le argomentazioni avanzate in corso di causa dal soccombente – cosa che nessuno sostiene, anzi può dirsi pacifico che il giudice non debba perdersi a confutare le tesi avanzate dalle parti); il facilitare l’opera del giudice

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superiore (sarebbe assurdo che per facilitare tale opera si stabilissero quelle nullità il cui esame fatalmente verrebbe ad aggravare il lavoro del giudice superiore); il facilitare la impugnazione del soccombente (dato che tale facilitazione, l’abbiamo visto, é assai relativa e la sua mancanza non porta a veramente gravi inconvenienti).Peraltro va detto che, a togliere molto della sua importanza alla questione, se l’omessa (o insufficiente) motivazione determini la nullità della sentenza, interviene il dettato dell’articolo 161.

Discente: Che ci viene a dire questo articolo?

Docente: Ci viene a dire che “la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione”.

Discente: Abacadabra! Che vuol dirmi il legislatore con una formula così contorta?

Docente: Vuol dirti questo: che quando tu ti trovi davanti a una decisione che ha risolta una questione senza motivare, che tu la consideri nulla o no, nulla cambia: infatti tu potrai devolvere al giudice superiore il riesame di tale questione (idest, della questione la cui decisione manca di motivazione), solo se gli potresti devolvere tale riesame nel caso la questione fosse decisa, non immotivatamente (idest, senza motivazione), ma erroneamente.

Discente: Sto, continuando a non capirci niente. Forse capirei meglio con un esempio: mettiamoci dunque in questo caso: il tribunale, che ha rigettato la mia domanda in rivendica (mi sto ricollegando a un esempio già proposto), ha ritenuto senza un rigo di motivazione che la compravendita, da me stipulata con Caio, falso dominus, fosse “inidonea all’acquisto della proprietà”: posso chiedere il riesame della questione alla Corte di Appello?

Docente: Per saperlo non hai che da porti la domanda: se il tribunale avesse deciso motivando, sì, ma sbagliando in fatto o in diritto, potrei io devolvere tale questione alla Corte di Appello? Se rispondi (come devi rispondere) di sì, tu puoi devolvere alla Corte la questione (la cui decisione é mancante di motivazione).

Discente: Ma come motiverò la mia richiesta di riesame? con la nullità della decisione del tribunale?

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Docente: Ecco il punto: non la motiverai dicendo che la decisione del tribunale non é motivata, ma dicendo che é erronea e naturalmente indicando gli errori in cui il tribunale é caduto (ad esempio dirai “appello la sentenza del tribunale perché ha ritenuto l’inidoneità del contratto solo perché annullabile, mentre ai sensi dell’articolo 1159 deve intendersi inidoneo solo il contratto nullo”).Discente: E se io mi limito a motivare l’appello adducendo la nullità della sentenza come conseguenza della sua mancanza di motivazione (con ciò seguendo la tesi da te contestata, ma maggioritaria)?

Docente: A mio modesto parere il tuo appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile perché non motivato (vedi art. 342). Ma,debbo aggiungere, tale soluzione, non trova tutti i consensi; anche se, stranamente, é sostanzialmente pacifico che, se il giudice di appello avesse decisa a tuo sfavore una questione di diritto senza minimamente motivare, tu non potresti ricorrere in Cassazione (art. 36o) semplicemente lamentando la nullità della sentenza per omessa motivazione: dovresti indicare l’errore di diritto in cui é caduto il giudice di merito (ad esempio dovresti dire: “il giudice di merito ha errato: infatti ha ritenuta ammissibile come teste l’amministratore del condominio in spregio all’articolo 246 c.p.c.”).

Discente: E la questione dell’omessa motivazione?

Docente: Tamquam non esset.

Discente: Ho capito che davanti al giudice di appello potrò riproporre tutte le questioni già proposte al tribunale di prime cure, senza preoccuparmi di vedere se la loro decisione é bene o male motivata. Ma davanti alla Corte di Cassazione?

Docente: Qui incontrerai i limiti che per le quaestiones facti ti sono posti dal numero cinque dell’articolo 360, che recita: “Le sentenze (…..) possono essere impugnate con ricorso per cassazione (…...) (5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che é stato oggetto di discussione tra le parti”.

Discente: Quindi?

Docente: Quindi tu potrai ottenere il riesame di una quaestio facti, adendo la Corte Suprema (però non dalla Corte Suprema: questa si limiterà a cassare la decisione del giudice di merito rinviando, ad altro giudice sempre di merito; per il riesame della questione) solo se sussistono le seguenti condizioni: 1) se la questione non é stata oggetto nemmeno di esame da parte del giudice di merito; 2) se la questione

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riguarda un “fatto decisivo”; 3) se tale “fatto decisivo” é stato “oggetto di discussione tra le parti”.

Docente: E se il giudice di merito ha preso, sì, in considerazione il fatto per dirlo esistente o, al contrario, inesistente, ma senza minimamente motivare (metti, la sentenza suona “Ritenuta l’inesistenza di ogni fatto interruttivo della usucapione, ritenuto che sono maturati gli anni necessari per usucapire come risulta dalle testimonianze ecc.ecc. “)?

Docente: In tal caso a mio parere tu dovresti trovare sbarrata la strada della cassazione della sentenza. Questa mia opinione, però, può essere discutibile. Indiscutibile é invece che, la semplice insufficienza, contraddittorietà, illogicità della sua motivazione, non può più giustificare la cassazione di una decisione (lo poteva fino all’anno di grazia 2006, quando ancora il numero cinque ammetteva il ricorso in caso di “omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio” - ora tale troppo liberale disposizione fortunatamente é stata abrogata).

Discente: Ma cosa si deve intendere per “fatto decisivo”?

Docente: Si deve intendere un “fatto giuridico”.

Discente: Quindi, un fatto costitutivo, estintivo, modificativo ai sensi dell’articolo 2697 Cod. Civ.

Docente: Direi più latamente: un fatto che una norma dichiara rilevante: quindi, ad esempio, anche l’adulterio della moglie, a cui il numero tre dell’articolo 235 condiziona l’ammissione della prova di altri fatti da cui si può escludere la paternità del marito.Peraltro non manca chi addirittura sostiene che possa intendersi come “fatto decisivo” anche un “fatto semplice” (melius, secondario), se posto a base di una presunzione da cui si inferisce il “fatto giuridico” (il fatto che la moglie abbia ospitato una notte un uomo, che fa presumere il suo adulterio).

Discente: Metti che il giudice abbia rigettato una mia istanza, diretta ad ottenere la ammissione di una prova, senza minimamente motivare, potrò io ricorrere alla Corte Suprema al fine di ottenere, da Essa, la cassazione della decisione di rigetto, e, dal giudice a cui Essa rinvierà, l’ammissione della prova?

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Docente: Potrai, se sarai in grado di far valere la violazione di una norma: in tal caso potrai introdurre il tuo ricorso col mezzo offertoti dal numero tre dell’art. 360.

Discente: E se io non fossi in grado di far valere la violazione di nessuna norma di diritto?Docente: Tu potresti far valere davanti alla Corte Suprema un errore di fatto?

Discente: No.

Docente: Allora tu neanche potrai far valere l’omessa motivazione di una sentenza che può nascondere solo un errore di fatto. Infatti la omessa motivazione in definitiva acquista rilievo solo in quanto sintomo di un errore (il giudice non ha motivato? evidentemente non ha motivato perchè, commesso un errore, non sapeva raddrizzarlo o nasconderlo in motivazione!). Però, torno al discorso prima fatto, il legislatore, per procedere al riesame di una questione, non si accontenta che tu gli indichi un sintomo della erroneità della sua decisione, vuole che tu gli indichi positivamente l’errore i cui il giudice é caduto (nel prendere tale decisione). E se tale errore non potrebbe comunque essere preso in considerazione dal giudice ad quem (così com’é nel caso dell’errore di fatto per la Corte Suprema) ti chiude...le porte in faccia.

Lezione 45 - Il giudice deve decidere iuxta allegata – Il principio di disponibilità delle prove

Docente: Vige nel nostro Ordinamento il principio che il giudice deve decidere iuxta allegata. E ciò significa che un giudice non può ritenere provato un fatto A, se tale fatto A non é stato proposto da lui o, più probabilmente, da una delle parti, come factum probandum.

Discente: Perché questo?

Docente: Questo per evitare che la parte, la quale avrebbe potuto dimostrare la irrilevanza del fatto A (“E’ inutile provare il fatto A, dato che non é vero, quel che sostiene l’avversario: che cioé faccia presumere il fatto B”) oppure avrebbe potuto dedurre delle prove (sull’inesistenza del fatto A), da ciò si astenga, perché non sensibilizzata sulla rilevanza attribuita, al fatto A, nella ricostruzione della vicenda controversa.

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Discente: Da quali norme risulta il principio in questione?

Docente: In primo luogo, dall’art. 115, che recita: “(Disponibilità delle prove) Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte (bada, “proposte” e non semplicemente “dedotte”) dalle parti e dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.In secondo luogo dall’articolo 101; e infatti io ritengo che il principio in questione si possa ricavare anche dal secondo comma di tale articolo – secondo comma, che recita: “Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.

Discente: Non é un po’ troppo forzata l’argomentazione?

Docente: Io direi di no: la norma non distingue tra quaestiones facti e quaestiones iuris e ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus.

Discente: C’é però una (sottile) differenza tra il “dedurre il fatto A come factum probandum” e il porre semplicemente sul tappeto del dibattito processuale la questione “se il fatto A possa considerarsi un factum probandum”.

Docente: Questo é giusto; ma é implicito nel discorso legislativo che il giudice, una volta sentite le parti, se riterrà di porre come thema probandum il fatto A, lo dovrà dichiarare espressamente.

Discente: -Se il giudice deve fare oggetto di discussione la questione se il fatto A deve diventare, o no, un thema probandum; logica vuole che egli debba anche fare oggetto di discussione la questione se dal fatto B (la cui esistenza, metti, é pacifica tra le parti) possa inferirsi, in via di presunzione, il fatto A (la cui esistenza naturalmente non é pacifica).

Docente: Giusto: così vuole la ratio dell’articolo 101.

Discente: Ma se il giudice ha, diciamo così, l’onere di porre sul tappeto la questione se dal fatto B si può dedurre il fatto A (così sensibilizzando le parti sulla

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rilevanza sia di B che di A), anche le parti avranno l’onere di “allegare” i fatti (sia pur pacifici in causa) da cui intendono inferire in via di presunzione altri fatti.

Docente: Giusto: anche questo a mio parere vuole l’osservanza del principio di allegazione.

Discente: Ma la parte ha l’onere di allegare anche i fatti che la controparte non contesta? Faccio un esempio: Tizio dice nel suo atto di citazione che, quella tal apertura che orna la casa di Caio, non é munita di inferriate. Caio nella sua comparsa di risposta non contesta: Tizio ha l’onere di allegare il fatto che l’apertura del vicino é priva di inferriate?

Docente: Sì, se vuole giovarsi del disposto nell’ultima parte dell’articolo 115 che recita: “(Il giudice deve porre a fondamento della decisione anche) i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. Questo perché la ratio di tale disposizione é che l’inerzia della parte permette di dedurre (prova) l’esistenza del fatto. Ma perché tale deduzione sia veramente logica e fondata occorre che Caio (per rifarci all’esempio da te introdotto) sia sensibilizzato sulla rilevanza del fatto (mancanza di inferriate) dedotto dalla controparte, da Tizio. Il che può avvenire appunto - non con una semplice enunciazione che esiste il fatto A, inserita metti in una prolissa narrativa – ma con la esplicita deduzione come thema probandum del fatto A.

Discente: Ma se Tizio ha allegato il fatto A e Caio non l’ha contestato, allora, sì, che il giudice può porlo a base della sua sentenza: vero?

Docente: Io sarei più preciso: il giudice può porre a base della sua sentenza il fatto A, purché non sia stato specificatamente contestato (non basterebbe quindi una contestazione generica) e purché la parte, che non ha contestato, non sia contumace.

Discente: Ma il giudice può prendere l’iniziativa di assumere una prova? Tizio dice che l’inferriata c’é, Caio dice che non c’é, ma nessuno si muove, nessuno deduce dei testi: allora ci penso, io, giudice, e dispongo che vengano a testimoniare davanti a me il Bacciccia e la Manuela, che mi risultano vicini di Caio.

Docente: No. Il giudice non potrebbe fare questo per il principio di “disponibilità delle prove” (solo dalle parti), che risulta dalla prima parte dell’articolo 115. Ricordi cosa diceva?

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Discente: Certo che lo ricordo; ma in verità essa non dice che il giudice deve assumere solo le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, bensì che “il giudice deve porre a fondamento della sua decisione le prove proposte ecc.ecc.”.

Docente: Ciò é dovuto a un lapsus del legislatore. Del resto sarebbe assurdo che il giudice potesse assumere delle prove anche di sua iniziativa, ma, poi, non le potesse porre a fondamento della sua decisione in quanto non “proposte dalle parti o dal pubblico ministero”.

Discente: Ma il giudice non può di sua iniziativa assumere la prova di quei fatti (penso ai fatti determinanti la nullità di un contratto) che potrebbe “rilevare d’ufficio”?

Docente: No, non lo può. Certo però egli può sempre sollecitare il p.m. a che eserciti il potere di intervento nella causa concessogli dall’ultimo comma dell’art.70. E sarà il p.m. intervenuto nella causa a decidere se richiedere o no l’assunzione di questa o quella prova.

Discente: Ma una volta che una prova, come che sia, é stata acquisita, il giudice può utilizzarla, anche se non é sta proposta dalle parti? Metti, il consulente tecnico di ufficio, andato sui luoghi per misurare le distanze, ha anche visto che quella famosa apertura era munita di inferriate e l’ha scritto nella sua relazione (forse non doveva farlo, perché debordava dalle sue mansioni, ma l’ha fatto): il giudice può basarsi su quanto scritto dal consulente per ritenere l’apertura munita di inferriate (e quindi, una luce e non una veduta)?

Docente: Nonostante la lettera della legge, la risposta deve essere positiva: il giudice non può essere costretto a scrivere una sentenza contraddetta dalle prove in suo possesso.

Discente: Ma qual’é il fondamento del principio in questione?

Docente: IL principio in questione é un semplice corollario del principio di economia processuale: il legislatore presume che sia sprecata un’attività diretta all’assunzione di una prova, che, i più diretti interessati ad acquisirla, ritengono destinata a fallire: perché perdere tempo a sentire il Bacciccia e la Manuela, se le stesse parti in causa ritengono che nulla di attendibile uscirà dalle loro bocche?!

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Lezione 46 - Il principio di acquisività delle prove

Docente: Parlando di acquisizione della prova si vogliono esprimere due diversi, diciamo così, fenomeni giuridici.Uno di essi, forse il principale, consiste nel fatto che la parte, una volta che abbia indicata una prova, anche se vi rinuncia, con ciò non viene a togliere alle altre parti il potere di proseguire nell’iter che porta alla sua assunzione – questo, e il rilevarlo é importante, anche se esse (idest, le altre parti) sarebbero decadute dal potere di “indicare” tale prova. Esempio: Bianchi indica come teste Filomena, poi ci ripensa (“Filomena é una sciocca chissà cosa va a raccontare al giudice”) e rinuncia alla sua assunzione: la controparte, Rossi, ancorché sia ormai decaduta dal potere di indicare delle prove (i termini concessi a lei e alle altre parti ai sensi del numero due comma sesto art. 183 sono già passati da un bel po’!) può sostituirsi a Bianchi nel dare impulso alla procedura che porta all’assunzione della testimonianza di Filomena.

Discente: Da quali norme risulta ciò?

Docente: Risulta dal secondo comma dell’articolo 245 e dal primo comma dell’articolo 208.L’articolo 245 co.2 recita: “La rinuncia fatta da una parte all’audizione dei testimoni da essa indicati non ha effetto se le altre non vi aderiscono e se il giudice non vi consente”.L’articolo 208 co.1, recita: Se non si presenta la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova, il giudice istruttore la dichiara decaduta dal diritto di farla assumere, salvo che l’altra parte presente non ne chieda l’assunzione”.

Discente: E se le altre parti non intendono richiedere l’assunzione della prova rinunciata, il giudice può ciò nonostante assumerla? Ti chiedo questo in quanto sul punto il legislatore mi pare si esprima non chiaramente: nell’art. 245 richiede il consenso del giudice a che la rinuncia (all’audizione dei testi) abbia effetto, nell’articolo 208 sembra invece far dipendere dalla sola volontà delle parti l’audizione o meno dei testi.

Docente: Effettivamente il pensiero legislativo sul punto non é espresso con chiarezza. E tuttavia io credo che il giudice possa assumere una prova, una volta che essa sia stata “indicata”, anche se “lasciata cadere” dalle parti.

Discente: Ma il principio di “disponibilità delle prove” di cui si é parlato nel

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precedente paragrafo?!

Docente: L’osservanza di tale principio é una regola per il giudice; ma é una regola a cui il giudice può fare eccezioni, quando si accorge che, claudicando il contraddittorio tra le parti, il processo va dritto dritto a un esito fallimentare, cioé a una sentenza che contraddice la verità e la giustizia.

Discente: Ma che se ne fa il giudice, o meglio lo Stato di cui il giudice é il rappresentante, se la sentenza viene a dare a Bianchi quella ragione che invece é di Rossi?!

Docente: Tu dimentichi che la sentenza, sia pure nei ristretti limiti di cui all’articolo 2909 Cod. Civ., fa stato, non solo per le parti, ma anche per dei terzi - terzi che quindi il giudice deve pensare a tutelare: ti sei dimenticato quel che si ebbe a dire a proposito dell’istituto della chiamata iussu iudicis, art,107 c.p.c.?

Discente: Un’amnesia momentanea: può capitare a tutti. Dì l’altro “fenomeno” a cui si allude parlando di “acquisizione (al processo) della prova”?

Docente: Tale fenomeno consiste in questo, che una volta prodotta o assunta, la prova può essere utilizzata anche contro chi l’ha prodotta o ne ha chiesta l’assunzione.

Discente: La cosa mi pare piuttosto ovvia: se l’avvocato Cicero ha chiesta l’escussione come teste di Filomena, nella speranza che questa dica bianco, e invece questa dice nero, non si capisce perché mai il giudice non dovrebbe tenere conto che il teste ha detto “nero”. E così, se l’avvocato Cicero, un po’ superficialone, ha “offerto in comunicazione” il tal contratto al fine di provare A, mentre da esso risulta B, non si comprenderebbe perché mai il giudice non dovrebbe tenere conto di B.

Docente: Ma il legislatore non solo permette alla parte di utilizzare la prova contro chi l’ha dedotta, ma le dà anche i mezzi per pervenire a tale utilizzazione.

Discente: Quali sono tali mezzi?

Docente: La possibilità di consultare liberamente la documentazione inserita nel fascicolo di controparte e la possibilità di chiederne copia al cancelliere.

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Discente: Ma la parte non potrebbe ritirare il proprio fascicolo, proprio per frustrare il diritto della controparte di ricavarne elementi di prova a suo sfavore?

Docente: La legge, almeno nella sua lettera,in effetti non glielo vieta. L’articolo 169 subordina, sì, il ritiro del fascicolo a un’autorizzazione del giudice (v. melius il suo secondo comma), ma non stabilisce sanzioni per il caso di ritiro non autorizzato o di non riconsegna del fascicolo nel termine, dal giudice, imposto: l’unica conseguenza sfavorevole per la parte si ha quando il fascicolo non risulta depositato in cancelleria al momento in cui il giudice prende una decisione: in tal caso il giudice dovendo non tenere conto della documentazione inserita nel fascicolo, così come se non fosse stata mai prodotta.

Discente: Quindi l’autorizzazione del giudice al ritiro del fascicolo avrebbe solo il significato di un’autolimitazione del giudice: io, giudice, non posso prendere nessuna decisione per cui occorra la consultazione dei fascicoli di parte, se questi non sono, sì, depositati in cancelleria, ma su mia autorizzazione”.

Docente: E’ così, ed é un po’ poco. Tanto più che il timore di vedere decisa la causa a prescindere dalla documentazione prodotta nel proprio fascicolo, può trattenere la parte da un ritiro non autorizzato di tutto il fascicolo, ma non dal ritiro di un singolo documento (quello incautamente prodotto!) del fascicolo.Proprio in considerazione di ciò non manca chi riconosce al giudice il potere di rifiutare il ritiro del fascicolo, se la parte, contestualmente a tale ritiro, non lascia depositata in cancelleria copia della documentazione prodotta.

Lezione 47 - Divieto al giudice di indagini esplorative

Discente: Il giudice penale può compiere indagini (normalmente tramite la polizia giudiziaria) al fine di accertare i fatti di causa (la polizia bussa alla porta di Filomena e le chiede “Ieri sera ha per caso vista una persona che...”, la Filomena risponde “No”, la polizia bussa alla porta di Bacciccia “Lei per caso ha visto...” “Io no ma il Beppe si), allora la polizia bussa alla porta di Beppe “Lei per caso....” e così via). Il giudice civile gode dello stesso potere?

Docente: No, nel processo civile vige il divieto al giudice di compiere “indagini esplorative”. Fino al punto che il giudice non può decidere di usare un mezzo probatorio (una testimonianza, l’ordine di esibizione di un documento...) al fine di accertare l’esistenza di un qualsiasi fatto A, se una delle parti non gli ha prima

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asserito che l’uso di tale “mezzo” é in grado di provare la esistenza di tale fatto A (nel senso che la persona chiamata a testimoniare, se dirà la verità, dirà che esiste A, nel senso che dal documento di cui si chiede la esibizione, risulta A...).

Discente: Quindi chi bussa alla porta della giustizia deve essere ben sicuro di avere le prove del suo diritto.

Docente: Sì, come Pinco Pallino può rivolgersi al giudice, non perché accerti se ha quel dato diritto, ma solo per “per far valere” quel dato diritto (ricordi l’ incipit dell’articolo 99? “chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda ecc.ecc.”), così egli può rivolgersi al giudice, quando e solo quando (se del caso come risultato di ricerche a sue spese) ha le prove di quel dato suo diritto.

Discente: Tale divieto (di indagini esplorative) ha delle eccezioni?

Docente: Eccezioni nel senso dell’uso diretto di un mezzo istruttorio (dell’uso, cioé, di un mezzo istruttorio che implichi l’impiego del tempo e della attività del giudice) a scopo esplorativo, io non ne conosco

Discente: Non si potrebbe citare come esempio di attività esplorativa compiuta direttamente dal giudice il caso previsto dal primo comma dell’articolo 257? il potere del giudice di disporre “d’ufficio” la testimonianza di una persona “se alcuno dei testimoni si riferisce per la conoscenza dei fatti “a tale persona.

Docente: Effettivamente tale caso potrebbe considerarsi una mezza-eccezione al divieto di indagini esplorative, ma solo, ripeto, una mezza-eccezione, perché é pur vero che il giudice chiama a testimoniare una persona, che come teste nessuna parte gli ha indicata, ma é anche vero che tale persona gli é indicata come “persona a conoscenza dei fatti” da un teste indicato dalle parti.Più interessanti mi sembrano le deroghe al divieto di indagini esplorative che il giudice può compiere, non direttamente, ma tramite la nomina di un Consulente tecnico. Indagini (indirette) che il codice rende lecite nel suo articolo 62, che nel descrivere le attività, che possono essere affidate al consulente esplicitamente parla di “indagini”; l’incipit di tale articolo infatti suona “Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice....”.Indagini che certe volte possono anche essere laboriose e difficili come quelle previste dall’articolo 2711 Cod. Civ.

Discente: Che prevede tale articolo?

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Docente: Il potere del giudice di ordinare la “comunicazione integrale dei libri, delle scritture e della corrispondenza” di una persona (di solito un imprenditore) – questo al fine evidente di permettere al suo consulente tecnico di visionare tale documentazione e di reperire eventualmente la prova di fatti rilevanti per la causa.

Lezione 48 - Le prove “atipiche” - Il principio della prova migliore

Docente: Vedremo che il nostro legislatore, nel codice civile e nel codice di procedura civile, prende in esame, e per così dire cataloga, vari “tipi” di prova: la testimonianza, il giuramento, i documenti, la confessione ecc.ecc.Da qui nasce la questione se il giudice possa basare le sue decisioni anche su prove non rientranti nei tipi “catalogati” dal legislatore. Tu che ne pensi?

Discente: Io penso che lo possa: non abbiamo visto in una precedente lezione che il nostro Ordinamento processuale si ispira la principio del libero convincimento?

Docente: Dunque tu dici che il giudice può basarsi anche su prove “atipiche” (cioé non rientranti nei tipi di prova previsti espressamente dal Legislatore). E anch’io, in via di principio, concordo con te: non può non essere così, dato il principio del libero convincimento a cui tu ti sei giustamente richiamato. Il problema é: ma esistono veramente delle prove che non possano farsi rientrare in uno dei tipi contemplati dal legislatore? Tu sapresti farmene un esempio?

Discente: Lo scritto (non di una delle parti in causa, ma) di un terzo,il nastro i cui é registrata una conversazione telefonica: ecco alcuni degli esempi che tu mi chiedi.

Docente: Ma non sono queste pretese prove atipiche dei documenti (tale termine lato sensu inteso)? e i documenti non rientrano nelle prove contemplate espressamente dal legislatore nel codice civile e nel codice di procedura civile? Io non ritengo che esistano prove che non si possano far rientrare in un “tipo” previsto dal legislatore.

Discente: E allora la questione che si agita se una prova sia ammissibile, o no, nonostante che non sia “tipica”? é una questione basata sul nulla?

Docente: Diciamo che é una questione mal posta. Facciamo un esempio proprio riferendoci a quella prova, lo scritto di un terzo, sulla cui ammissibilità soprattutto

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verte la querelle. I dubbi sulla sua ammissibilità hanno ragione di essere, non già per il fatto che la sua ammissione contrasterebbe con un preteso principio che esclude le prove atipiche, ma perché la sua ammissione può contrastare, almeno in certi casi, col principio della “prova migliore”.

Discente: Cosa vuole tale principio?

Docente: Vuole che, se può essere acquisita al processo la prova A, migliore della prova B (nel senso che rende più probabile il factum probandum, che non la prova B, questa vada, dal giudice, rifiutata).

Discente: E perché questo?

Docente: Per costringere la parte a produrre la prova “migliore”.

Discente: D’accordo, questo lo capisco. Ma che gliene importa allo Stato se la parte fa valere, o no, la carta migliore che ha in mano? Peggio per lei se gioca carte cattive avendo quelle buone: vuol dire che perderà la partita (alias, la causa).

Docente: Eh, no. Lo Stato ha interesse che siano poste sul tappeto processuale le prove migliori. Sia perché, più chiare sono le prove, più rapida é la conclusione del processo (con conseguente risparmio di attività processuale), sia perché, come abbiamo già avuto di notare, lo Stato ha interesse a che la sentenza che chiude il processo sia una sentenza (il più possibile) giusta, aderente alla realtà dei fatti.

Discente: Torniamo all’esempio della scrittura del terzo da cui siamo partiti: perché mai il documento, che raccoglie la dichiarazione del dottor Zivago che “é vero il fatto X”, non dovrebbe essere ammesso come prova della verità del “fatto X”? dal momento che il dottor Zivago é un conosciuto e stimato professionista, dal momento che la sua dichiarazione é redatta su sua carta intestata e non c’é nessun dubbio che da lui provenga?

Docente: Perché c’é una prova migliore?

Discente: Quale?

Docente: La deposizione del dottor Zivago come teste, dopo che ha preso il solenne “impegno” di dire la verità, dopo che lo si é ben avvertito che se non la dice corre il rischio di una condanna penale – una deposizione in cui il giudice

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(direttamente) e le parti (indirettamente) possono porgli domande a chiarimento di quelle sue risposte, che riuscissero equivoche o, comunque, non chiare.

Discente: Ma se il dottor Zivago fosse seriamente impedito a comparire davanti al giudice, metti fosse addirittura morto?

Docente: Allora il suo scritto sarebbe ammissibile (e non mancano i precedenti giurisprudenziali in questo senso): data l’impossibilità a testimoniare del dottor Zivago, la sua dichiarazione scritta diventa la carta migliore che la parte ha in mano: che se la giochi, e che il Cielo gliela mandi buona!

Lezione 49 - Divieto di una pronuncia di non liquet. - Onere della prova

Discente: Non sempre le parti saranno in grado di offrire al giudice prove “buone”, voglio dire, prove in grado di permettergli di vedere chiaro nei fatti che costituiscono la materia del contendere. Che fa allora, il giudice? dice alle parti, la cosa non mi é chiara, non liquet, e quindi nulla decido?

Docente: Certamente, no; e questo per due motivi.Perché ciò farebbe sorgere il rischio che le parti risolvano la loro controversia con la forza (mentre “ante omnia, ne cives ad arma veniant”!); perché, almeno nella maggior parte dei casi, ciò sarebbe un modo ipocrita di non decidere, in quanto in realtà lascerebbe il bene conteso, e quindi la vitoria nella controversia, nelle mani di uno dei contendenti (forse di quello a cui le prove davano meno ragione): Tizio rivendica l’immobile di cui Caio ha il possesso: le prove latitano: il giudice, ragioniamo ab absurdo, pronuncia una sentenza di non liquet: é chiaro che é come se egli desse la palma della vittoria a Caio.Pertanto anche nel caso di incertezza sull’esistenza o inesistenza del fatto A, il giudice dovrà pronunciarsi, dichiarando comunque o esistente o inesistente A. Per cui se il giudice applicherà la regola secondo cui, nell’incertezza, A va ritenuto inesistente, ben si potrà dire (riferendoci all’esempio prima introdotto) che Tizio (il quale ha interesse a che A sia ritenuto esistente) correrà il rischio (di rigetto della sua pretesa) in caso di mancata prova di A, e, viceversa, se il giudice applicherà la regola contraria, secondo cui, nell’incertezza, A va ritenuto esistente, sarà Caio (che, invece, ha interesse a che A sia ritenuto inesistente) a correre il rischio (di un rigetto della sua pretesa) nel caso di mancata prova dell’inesistenza di A. Chiaro?

Discente: Abbastanza. Ma, allora, dire, che Tizio corre il rischio della mancata

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prova dell’esistenza di A, é come dire che Tizio ha l’onere di darsi da fare per far avere al giudice la prova dell’esistenza di A e lo stesso, mutatis mutandis, va ripetuto per Caio (se il rischio della mancata prova dell’inesistenza di A gioca contro di lui, egli avrà l’onere ecc.ecc.).

Docente: Hai capito benissimo: é così.

Discente: Ma se é così, il Legislatore dovrà ben dire, già all’inizio del processo, anzi prima che il processo inizi, su quale parte verrà a ricadere l’onere probatorio, di modo che questa possa ricercare con calma le prove, che le permetteranno di assolverlo. Il Legislatore fa questo? detta delle regole da cui risulta quale parte deve assolvere tale onere?

Docente: Sì, le detta o meglio cerca di dettarle, nell’articolo 2697 del Codice Civile; il quale recita: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. - Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si é modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

Da qui la distinzione tra “fatti costitutivi”, il cui onere di prova incombe all’attore (melius, a chi fa valere il diritto) e di “fatti impeditivi”, “modificativi” o “estintivi”, il cui onere di prova compete al convenuto (melius, a chi nega il diritto).

Discente: A me sembra che il criterio dato dal legislatore per determinare quale parte ha l’onere di provare un fatto, sia un criterio del tutto logico: é logico, invero, che, se si raggiunge nel processo la certezza sul fatto A (metti, stipula tra Tizio e Caio di un contratto) in ragione del quale il Legislatore riconosce il buon diritto di Tizio a X verso Caio; il permanere di un incertezza sul fatto B (metti, un incapacità di intendere e di volere di Caio, metti, una remissione del credito ….), che porterebbe a escludere tale diritto, non può impedire al giudice di dichiarare l’unico elemento certo risultante nel processo, cioé l’esistenza del diritto di Tizio.

Docente: Quel che tu dici é suggestivo, ma, a guardar bene, erroneo: sarebbe giusto se effettivamente la considerazione, che porta il Legislatore a riconoscere il diritto X a Tizio, fosse “Esistendo il fatto A, é giusto riconoscere il diritto X”; ma in realtà tale considerazione va così articolata “Esistendo il fatto A e non esistendo il fatto B é giusto riconoscere ecc., ecc.”. Per cui non si può dire che il giudice, quando ha accertato semplicemente il fatto A, abbia già accertato il fatto che costituisce (alias, dà ragione dell’esistenza de) il diritto X: in altre parole, é una

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deformazione del pensiero legislativo, dire che A (il contratto) é il fatto costitutivo del diritto X: in realtà a “costituire” (alias, a far venire ad esistenza) il diritto X sono sia l’esistenza di A (stipula del contratto) sia la non esistenza di B (metti, remissione del debito nascente dal contratto).

Discente: E allora?

Docente: E allora per stabilire su quale parte incomba l’onere probatorio, se tocchi a Tizio provare l’esistenza di A o tocchi a Caio provare l’inesistenza di A, bisogna prima domandarsi quali possano essere le considerazioni, che potrebbero portare il Legislatore a gravare Tizio dell’onere di provare A, invece di gravare Caio dell’onere di provare non-A.E queste considerazioni secondo me possono essere solo due e possono essere così formulate.Prima: io, Legislatore, gravo Tizio dell’onere di provare A in considerazione del fatto che per Tizio é più facile provare A di quel che non sia per Caio provare non-A. Infatti io, legislatore, debbo ottenere che le sentenze siano basate sulle migliori prove, ora il fallimento di Tizio nell’onere impostogli (di provare l’esistenza di A) mi darà una prova (dell’inesistenza di A) migliore della prova (dell’esistenza di A) che potrebbe darmi il fallimento nella prova (dell’inesistenza di A) che potrei chiedere a Caio (forse che tutti noi non siamo portati a dedurre con tanta più sicurezza che un fatto non esiste quanto più facile sarebbe stato darne la prova all’interessato se effettivamente fosse esistito)?

Discente: Fai un esempio.

Docente: Un esempio te lo suggerisce il brocardo “negativa non sunt probanda”: dovendo scegliere se imporre a Tizio la prova positiva di un fatto (la prova che A esiste) o a Caio la prova negativa di un fatto (A non esiste) si deve optare per la prima alternativa, infatti la prova dei fatti positivi é molto più facile di quella dei fatti negativi.

Discente: Ti sei spiegato abbastanza: passa alla seconda considerazione: quale parte porta, questa, a gravare dell’onere probatorio?

Docente: La seconda considerazione porta a gravare dell’onere della prova del fatto A la parte, che aveva la possibilità di precostituirla, quando, il fatto A (pensa a un contratto) é venuto ad esistenza.

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Discente: Perché questo?

Docente: Perché questo pungola le persone ad essere diligenti e preveggenti quando stipulano un contratto o, più generalmente, pongono in essere un atto (ad esempio, un pagamento) da cui derivano per loro degli effetti giuridici. E tale preveggenza permetterà al giudice di un futuro processo di avere dei fatti (di causa) prove più chiare e affidabili (e non abbiamo visto che é interesse dello Stato che i processi vengano definiti in base a prove chiare e non a prove incerte?).

Lezione 50 - La procedura di rendiconto: una procedura per facilitare l’onere della prova

Docente: Metti che Tizio dia a Caio il mandato di gestire un dato affare e lo rifornisca del capitale a ciò necessario, metti, gli dia cento. Chiaro che, alla cessazione del mandato, Tizio avrà diritto alla restituzione di quanto residua delle cento date, tolte le spese ed eventualmente il compenso dovuto a Caio. Ma é pure chiaro che un’applicazione (forse superficiale, ma ben possibile) dell’articolo 2697 Cod Civ, comporterebbe che Tizio fosse gravato dell’onere di dire e provare quanto é questo residuo. Cosa ben difficile per lui, che sa, sì, quanto ha dato a Caio, ma ben difficilmente può sapere quali introiti ha avuto e quali spese, questi, ha sostenuto (quanto ha speso, per notaio, quanto per viaggi e così via). Tenendo conto di ciò il legislatore agevola Tizio nell’assolvimento di tale onere.

Discente: Come?

Docente: Imponendo (in un articolo del Codice Civile, l’articolo 1713) a Caio l’obbligo del rendiconto: di dichiarare cioé quanto ha incassato e quanto ha speso nel corso della gestione. E tale discorso che ho fatto per il mandante e il mandatario può ripetersi in molte altre situazioni analoghe (pensa alle situazioni che si determinano, tra amministratore di un condominio e il condominio, tra il curatore dell’eredità giacente e gli eredi, tra il tutore e il pupillo...) - situazioni che il legislatore disciplina imponendo, a chi ha gestito un affare o un patrimonio altrui, appunto un obbligo di rendiconto (vedi gli articoli 385, 531, 1130, 709, 723 Cod. Civ.).

Discente: Non dubito che la presentazione del conto di per sé agevoli il creditore, il quale, se non altro, sarà sollevato dal provare le entrate che il gestore ammette e potrà limitarsi a provare quelle che furbescamente il gestore passa sotto silenzio.

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Certo, però, il fatto che il gestore dica di aver incassato cento dalla vendita di B, non esclude che invece di 100 abbia incassato 200, e, il fatto che dica di aver speso 200 per il notaio, non esclude che invece di 200 abbia speso solo 100.

Docente: Ma presentare un conto non significa semplicemente fare un elenco delle entrate e delle spese, significa anche portare le “pezze giustificative” dell’ammontare di quelle entrate e di quelle spese. Se tali pezze giustificative mancano, il conto é come se non fosse presentato.

Discente: Ma mettiamo che proprio questo sia il caso: il gestore non porta le pezze giustificative o addirittura non indica le entrate e le spese della sua gestione.

Discente: Se ciò accade il creditore può domandare al Giudice di ordinare la presentazione del conto.

Discente: E naturalmente tale domanda, il creditore, può farla, non solo quando il conto non é presentato, ma anche quando ha ragione di temere che non sia presentato.

Docente: Naturalmente.

Discente: La domanda al giudice deve assumere la forma di un atto di citazione?

Docente: Non necessariamente: potrebbe assumere varie forme: la forma di una domanda riconvenzionale, di una eccezione di compensazione (dove naturalmente il credito opposto in compensazione avrebbe ad oggetto il saldo della gestione), e, più semplicemente ancora, la forma di una istanza istruttoria proposta nel contesto di un procedimento già pendente: infatti la procedura disciplinata dagli articoli 263 e segg. può anche inserirsi in un altro procedimento come una sua procedura incidentale (né più né meno che, ad esempio, la procedura di verificazione di una scrittura privata - artt. 216 ss): anzi questo sembra essere considerato, dal legislatore, il caso normale, dal momento che egli disciplina la procedura di rendiconto proprio nella sezione terza (artt.191 e ss.) dedicata alla “istruzione probatoria”.

Discente: E Caio, che riceve dal giudice l’ordine di cui sopra, che deve fare?

Docente: Deve..... ubbidirgli, depositando il conto “in cancelleria con i documenti giustificativi”(come dice il primo comma dell’art.263).

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Discente: E se non presenta il conto o lo presenta senza documentazione o con documentazione gravemente lacunosa?

Docente: In tal caso, come in un normale procedimento contenzioso, il creditore dovrà provare il suo credito.

Discente: Ma tale prova, penso, si ridurrà a quella delle “entrate” della gestione: solo queste infatti sono i fatti costitutivi del suo credito, mentre le uscite rappresentano solo i fatti “estintivi” di tale suo credito.Docente: Non così la pensa il legislatore, come dimostra il fatto che, quando ammette (nei casi che subito diremo), il creditore a dare la prova del suo diritto prestando giuramento, pone a oggetto di questo “le somme a lui (idest, al creditore-giurante) dovute” (vedi comma 1 art. 265) - somme che evidentemente, non possono farsi corrispondere sic et simpliciter all’ammontare delle entrate (nei casi normali almeno, in cui la gestione non può non avere comportate delle spese).

Discente: Quindi il creditore dovrà dare prova sia dell’ammontare delle entrate che delle uscite: cosa che presenterà per lui non poche difficoltà.

Docente: Difficoltà che molte volte saranno superate da una consulenza contabile; o quando neanche con una consulenza fossero superabili, ed esse nascessero, come nell’ipotesi da noi prima fatta, da ua mancata presentazione del conto, dall’applicazione del primo comma dell’articolo 265.

Discente: Che ci dice tale primo comma?

Docente: Ci dice che “il collegio può ammettere il creditore a determinare con giuramento le somme a lui dovute, se la parte tenuta al rendiconto non lo presenta o rimane contumace”.

Discente: Questa é senz’altro una notevole agevolazione per il creditore. Ma a me sembra che anche il gestore potrebbe trovarsi in difficoltà ad assolvere il suo onere probatorio; e in tale caso a me sembrerebbe giusto ammettere anche per lui il giuramento.

Docente: E in effetti il legislatore l’ammette (sia pur, non in maniera generalizzata come vorresti tu, ma con notevoli limiti) nel secondo comma dell’articolo 265, che recita: “Il collegio può altresì ordinare a chi rende il conto di asseverare con

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giuramento le partite per le quali non si può o non si suole richiedere ricevuta; ma può anche ammetterle senza giuramento, quando sono verosimili e ragionevoli” (la sottolineatura é naturalmente mia).

Lezione 51 - Obbligo del terzo di collaborare all’accertamento dei fatti

Docente: Che il giudice dia torto a chi ha veramente torto e ragione a chi ha veramente ragione, é interesse di tutti (perché, se il contrario avviene, si determinano nella società tensioni di cui soffrono tutti).Per questo il legislatore fa obbligo di collaborare all’accertamento dei fatti anche a chi non é parte in causa.

Discente: Puoi darmi qualche esempio dell’imposizione a un terzo di quest’obbligo di collaborazione?

Docente: Dovendo dare un esempio di ciò, viene naturale riferirsi, in primo luogo, all’obbligo, imposto alle persone la cui testimonianza il giudice ritiene utile, di prestarla.Le sanzioni all’inadempimento di tale obbligo risultano dall’art. 255 (direttamente) e dall’art. 256 (indirettamente). Altri esempi di obblighi di collaborazione imposti a terzi sono dati dall’articolo 118 e dall’articolo 210.L’articolo 118, nel suo primo comma, recita: “Il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti di causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo”.E l’articolo 210, a sua volta, recita: “Negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’articolo 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”.

Discente: E se la parte rifiuta l’ispezione o la esibizione?

Docente: Il suo rifiuto viene punito con una (piccola) sanzione pecuniaria.

Discente: Il giudice può procedere manu militari all’esecuzione dell’ordine di ispezione o di esibizione?

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Docente: No. Eccezion fatta, a mio parere, per l’ordine di esibizione dato nel contesto di un’ispezione o quando si tratta di superare ostacoli, che si oppongono all’accesso dei luoghi in cui va effettuata l’ispezione. In tali casi l’esecuzione manu militari degli ordini imponendosi per evitare la pubblica umiliazione e la perdita di prestigio dell’Autorità che li ha dati.

Lezione 52 - Obbligo di collaborazione della controparte

Discente: Vi é un obbligo di collaborazione, oltre che del terzo, anche della controparte?

Docente: Che il giudice possa emettere degli ordini anche nei confronti delle parti – ordini volti a permettere un accertamento dei fatti di causa – senza dubbio, sì, é vero. Ciò risulta da vari articoli del codice; e così, ad esempio: dall’articolo 210, risulta che il giudice può ordinare alla parte di esibire “un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”; dall’articolo 118, co. 1, risulta che può ordinarle di consentire “sulla sua persona o sulle cose in suo possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti di causa”; dall’articolo 219, co.1, che può ordinarle di “scrivere sotto dettatura”; dall’articolo 232, che può ordinarle di comparire per rispondere all’interrogatorio e dall’articolo 239 che può ordinarle di comparire per prestare giuramento.Però mentre, come abbiamo visto nella precedente lezione, dall’inosservanza di un ordine, possono derivare, al terzo, delle sanzioni, dall’inosservanza di un ordine, possono derivare alla parte solo degli svantaggi processuali - svantaggi che talvolta possono ridursi a poca cosa, al fatto che il giudice può trarre, dall’inosservanza del suo ordine, argomento di prova per certi fatti (vedi gli artt. 118, 210), altre volte invece possono essere assai gravi, così, ad esempio: dal rifiuto di collaborare alla scrittura di comparizione, può dedursi il riconoscimento della scrittura (art. 219); dal rifiuto di comparire per rispondere all’interrogatorio, può dedursi l’ammissione dei fatti, nell’interrogatorio, dedotti; dal rifiuto di comparire per prestare giuramento, può derivare la soccombenza nel punto oggetto del giuramento stesso (art. 239).

Discente: Mi pare di dover concludere, da quel che tu hai detto, che nel processo civile non vige il principio nemo tenetur se detegere.

Docente: Diciamo che vige, ma incontra dei limiti: la parte non viene punita se dice il falso rispondendo all’interrogatorio, però deve comparire per rispondervi.

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Discente: Questo vale per l’interrogatorio, non per il giuramento: nel caso di deferimento di questo, la parte non solo deve comparire, ma se giurando giura il falso, viene punita. E non mi pare giusto porre la parte nell’alternativa “Dico il vero e perdo la causa; dico il falso e vado in galera”.

Docente: Ma il legislatore non pone la parte di fronte a tale alternativa: essa ha la possibilità di riferire il giuramento all’avversario, che glielo ha deferito (art. 234).Discente: Il quale, però, non potrà evitare l’alternativa di cui ho detto.

Docente: Effettivamente lo “avversario” non può non prestare il giuramento (nel senso che, se non lo presta, diventa soccombente). Però é anche vero che é lui... che si é messo nei guai: se non voleva correre il rischio di essere posto nell’antipatica alternativa di cui si é detto (“Se dico il vero perdo la causa, se dico il falso ecc”) non doveva deferire il giuramento.E proprio per questo va ritenuto che la parte possa riferire il giuramento solo a quelle delle controparti che glielo ha deferito (Se Tizio e Caio sono creditori i solido e solo Tizio deferisce il giuramento al comune debitore Sempronio, 1305 Cod. Civ., questi non può riferirlo a Caio, ma solo a Tizio).Ancora questo spiega perché la parte a cui é stato deferito il giuramento, non dalla controparte, ma dall’Ufficio (il che accade nel caso del giuramento suppletorio, art. 2736 Cod.Civ.), non possa riferirlo alla controparte (art. 242).

Lezione 53 - Premessa: le principali prove “tipiche”. La testimonianza

Premessa. Come si é già accennato, il Codice prevede e disciplina nel Codice tutta una serie di prove, che pertanto vengono dagli Studiosi definite “tipiche”.Noi, in questa e nelle seguenti lezioni, passeremo in esame le principali tra tali prove: testimonianza, giuramento, confessione, scrittura privata, verbale d’ispezione, comportamento delle parti.Cominciamo a parlare della testimonianza.

Discente: In base a che cosa si può valutare l’attendibilità di un teste?

Docente: In base alla risposta che si può dare alle seguenti domande: era in grado di percepire bene i fatti? é in grado di ricordarli con precisione? é in grado di appropriatamente esporli?

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Discente: E sopratutto, direi: ha un interesse nella causa, trarrebbe qualche vantaggio o subirebbe qualche svantaggio dalla vittoria o dalla soccombenza di una delle parti?

Docente: Certamente il disinteresse nella causa del teste é un elemento importantissimo, per valutare la sua attendibilità. Con tutto ciò é bene che tu sappia che il Legislatore non esclude dalla testimonianza le persone “interessate”. E così ammette a testimoniare la moglie e i figli di una delle parti, anche se essi sono evidentemente interessati alla vittoria di chi é rispettivamente loro marito o loro padre. E se é vero che l’articolo 246 nega la capacità di testimoniare alle “persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al processo” (pensa al conduttore di un immobile che potrebbe intervenire ad adiuvandum nella causa, sulla proprietà di questo, che vede coinvolto il suo locatore), é anche vero che il Legislatore nega ciò, non in considerazione della inattendibilità del teste, ma perché non vuole costringere il teste a edere contra se.

Discente: Il Legislatore si preoccupa di stabilire delle modalità di assunzione della testimonianza che assicurino la sua massima attendibilità?

Docente: Certo che sì. Lo fa negli articoli 244 e seguenti. Da essi risulta che: 1) prima dell’udienza debbono essere indicati specificatamente “le persone da interrogare e i fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata” – questo certamente per permettere al giudice di valutare la rilevanza della prova dedotta, ma anche per permettere alla controparte (e al suo difensore!) di informarsi prima dell’udienza sia sui fatti (in modo da poter porre durante l’interrogatorio domande in chiarimento e in rettifica delle risposte del teste) sia sulle persone chiamate a testimoniare (in modo da poter fare presenti al giudice gli elementi inficianti la loro attendibilità - vedi art. 252).;2) l’interrogatorio del teste avviene solo dopo che il giudice lo ha avvertito delle conseguenze penali delle dichiarazioni false o reticenti e il teste ha preso il solenne impegno di dire la verità (vedi melius, l’articolo251) - questo nella speranza (melius, nella illusione) di controbilanciare le pulsioni del teste al mendacio;3) che la testimonianza non assume la forma di una dichiarazione unilaterale del teste, ma quella di risposte sollecitate da precise domande (rivolte dal giudice, però anche su suggerimento delle parti), vedi l’art. 253 - questo per evitare che la testimonianza si riduca all’esposizione di un racconto ben preparato e confezionato dal teste prima dell’udienza (su suggerimenti di una delle parti?);4) che in caso “di divergenze tra le deposizioni” il giudice “può disporre che essi siano messi a confronto”, vedi art. 254 – questo nella speranza che il teste

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mendace posto di fronte al teste che sa ed é veridico non osi persistere nel suo mendacio. Peraltro va detto che il giudice “su accordo delle parti,tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione, chiedendo al testimone (...) di fornire per iscritto (...) le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato”: il teste compila un modulo nella tranquillità della sua casetta, lo spedisce per raccomandata o lo consegna alla cancelleria...e ha bella che resa la sua testimonianza (vedi melius l’art. 157Bis).

Lezione 54 - La confessione

Discente: Che cos’é la confessione?

Docente: “E’ la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte” - così la definisce il Legislatore nell’art. 2730; aggiungendo poi, nell’articolo 2733, che, “se resa in giudizio”, “essa forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su diritti indisponibili” e, nell’articolo 2735, che fatta stragiudizialmente “alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia di quella giudiziale”, mentre “se fatta a un terzo o se é contenuta in un testamento, é liberamente apprezzata dal giudice”.

Discente: Ma che significa che la confessione “fa piena prova”?

Docente: Significa che la confessione del fatto A vincola il giudice a ritenere l’esistenza del fatto A, nonostante qualsiasi prova contraria (salvo il giuramento, ammesso che questo possa considerarsi una prova).

Discente: La cosa mi sembra piuttosto ovvia: é infatti regola d’esperienza che una persona non tenga un comportamento, che le provoca un danno, se non ha per ciò un buon motivo. E quale altro buon motivo ci può essere, a che una parte dichiari l’esistenza del fatto A, sfavorevole a sé e favorevole alla controparte, se non il rispetto della verità?

Docente: Le cose non sono così semplici come tu le fai: é ingenuo pensare che una parte confessi un fatto (a sè sfavorevole) solo per amore di verità: in realtà lo può fare per mille motivi, tra cui quello di eludere le norme che la privano della disponibilità di un diritto (motivo, questo, tenuto ben presente dal Legislatore quando, nell’articolo 2731, dice, e poi ancora nel secondo comma dell’articolo 2731 ribadisce, che la confessione non é efficace se “relativa a diritti non disponibili”).

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Con tutto ciò convengo di massima con quel che hai detto; purchè, però, chi fa la dichiarazione di un fatto a sé sfavorevole, sia consapevole che tale dichiarazione (non solo il fatto dichiarato in sé) gli é o può essergli sfavorevole, nociva: se gli manca tale consapevolezza, viene anche a mancare la ragione di dare speciale attendibilità alla sua dichiarazione. E proprio la necessità di questa consapevolezza di fare una dichiarazione a sé nociva, di questo animus confitenti, spiega perché: A) se Fulano “confessa” A, ma accompagna questa sua “confessione” con “quella di altro fatto o circostanza” - metti, il fatto B - “tendente a infirmare l’efficacia del fatto confessato” (“E’ vero io ti feci violenza per costringerti a firmare il contratto, ma tu, dopo, liberamente lo convalidasti”), la “confessione” perda l’efficacia di piena prova; e infatti Fulano dichiara, sì, l’esistenza di A, ma senza ritenerlo a sé sfavorevole, data l’esistenza del fatto B (e se la confessione del fatto A acquista ciò nonostante la efficacia di piena prova nel caso, Caio, la controparte, non contesti il fatto aggiunto, come detto nell’articolo 2734, tale pienezza di prova le deriva, non dalla particolare attendibilità che in sé stessa avrebbe, ma dalla confessione di Caio, che fa piena prova del fatto aggiunto B, la cui esistenza non si giustificherebbe senza quella di A: la convalida non avrebbe senso, se il contratto non fosse stato viziato dalla violenza).B) se Fulano, in sede stragiudiziale, confessa A ad un terzo, tale confessione non fa piena prova, ma é “liberamente apprezzata dal giudice” (vedi art. 2735 Cod.Civ.) - e infatti la qualità del “terzo” (parente, amico di vecchia data...) o la situazione particolare in cui la dichiarazione é fatta (una riunione conviviale...) può escludere nel confitente la consapevolezza di tenere, facendo quella dichiarazione, un comportamento a sé sfavorevole, può escludere cioé proprio quella consapevolezza, quell’animus, che é invece necessario per dare attendibilità alla dichiarazione stessa.

Discente: Ma se Fulano dichiara l’esistenza di A convinto che per la norma vattelapesca tale fatto non gli é sfavorevole (egli dichiara con sicumera “Sì, quella veduta dista solo due metri dal confine, ma questo poco importa dato che per legge una veduta é regolare purché non disti meno di un metro” - e...invece, no per legge una veduta che dista solo due metri é irregolare)? può egli revocare la sua confessione quando si accorge dell’errore di diritto in cui é caduto?

Docente: No, non potrà revocare nessuna confessione per la semplicissima ragione che nessuna confessione (in senso giuridico) ha fatta, tale non potendosi ritenere, per il difetto dell’animus confitenti (cioé della consapevolezza di dire cosa a sé sfavorevole) la dichiarazione di cui al tuo esempio. Diverso il caso in cui

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Fulano avesse fatta una vera confessione, però per errore di fatto o in seguito a violenza: in tal caso, sì, che si potrebbe parlare di un suo diritto (e di un suo onere) di revoca – diritto concessogli dall’articolo 2732, che recita: “La confessione non può essere revocata se non si prova che é stata determinata da errore di fatto o da violenza”.

Discente: Abbiamo visto quel che dice il Codice Civile sulla confessione, a quali requisiti ne subordina la efficacia, vediamo ora cosa ne dice il Codice di procedura civile.

Docente: Le norme del Codice di procedura tendono a riconoscere l’efficacia di piena prova, idest il carattere di confessione, non a qualsiasi dichiarazione (di un fatto a sè sfavorevole) che provenga dalla parte, ma solo a quelle sue dichiarazioni che, per le modalità e le circostanze in cui avvengono, possono rendere ragionevolmente sicuri che il dichiarante ha avuto agio di ben meditare su quel che dichiara e soprattutto di accertare bene i fatti che dichiara (fatti a cui si badi lui potrebbe benissimo non aver partecipato o assistito: pensa al caso che Tizio, il quale ha da poco ereditato un fondo, sia convenuto da Caio che reclama una servitù di passo su di questo: e che ne sa egli se Caio veramente passava o no sul fondo?! occorre dargli tempo a che lo accerti domandando ai vicini).Più precisamente il legislatore contempla (nell’articolo 228) due ipotesi di confessione: la confessione spontanea e la confessione provocata mediante interrogatorio formale. Ma riconosce loro l’efficacia di piena prova solo se sono compiute con particolari modalità o dietro particolari presupposti.

Discente: Quali sono i presupposti di efficacia della confessione spontanea?

Docente: Te li dice l’articolo 229, recitando: “La confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente, salvo il caso dell’art.117”.

Discente: A che si riferisce l’articolo 117?

Docente: All’interrogatorio non formale (così detto per contrapporlo all’interrogatorio formale, che é quello mirante a provocare la confessione): il giudice può sentire il bisogno di interrogare le parti “liberamente” (cioé senza prima indicare loro con precisione, come invece, lo vedremo, deve avvenire nell’interrogatorio formale, i fatti su cui vuole interrogarle e le convoca davanti a sé. Ora ben può capitare che una parte, nell’udienza ad hoc stabilita, dica cose a sé

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sfavorevoli: orbene l’articolo 229 vuole che queste sue dichiarazioni non siano considerate confessioni. E questo proprio perché non essendo dichiarazioni meditate e ponderate potrebbero essere frutto di errore.

Discente: Dunque può avere efficacia di piena prova solo la confessione risultante da un atto sottoscritto (non dal difensore, ma) dalla parte. Ma questo atto deve proprio essere un atto ad hoc, deve proprio essere destinato a raccogliere la confessione?

Docente: Io riterrei di si. Ma con ciò so di esprimere un’opinione discutibile.

Discente: Parliamo ora della confessione provocata mediante interrogatorio formale: quali sono le cautele che adotta il legislatore a che si possa essere ragionevolmente sicuri che l’interrogato dia alle domande risposte ponderate - risposte che quindi giustamente potrebbero essere fatte valere contro di lui?.Docente: Te lo dicono il comma primo e il comma terzo dell’articolo 230Il comma primo recita: “L’interrogatorio deve essere dedotto per articoli separati e specifici”Il comma terzo a sua volta recita: “Non possono farsi domande su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli, a eccezione delle domande su cui le parti concordano e che il giudice ritiene utili; ma il giudice può sempre chiedere i chiarimenti opportuni sulle risposte date”.

Lezione 55 - Il giuramento

Discente: Che cos’é il giuramento?

Docente: Il Legislatore non lo dice; si limita a definire, nell’articolo 2736 Cod. Civ., le due diverse specie di giuramento da Lui contemplate: il decisorio e il suppletorio.Però, volendo, si può definire il giuramento come l’accettazione solenne di un pena, per il caso di falsità di un’affermazione contestualmente fatta.Tale natura del giuramento risulta implicitamente dalla formula, che la parte-giurante deve pronunciare “i piedi” e “a chiara voce” - formula che così suona (vedi co.2 art. 238): “Consapevole della responsabilità che assumo, giuro”.

Discente: Quindi, mentre il testimone si limita ad assumere un “impegno”, la parte invece “giura”; però in buona sostanza, sia chi testimonia sia chi giura, se dicono il

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falso, subiscono una pena.

Docente: -Anche se diversa; e, stranamente, meno grave per il falso reso nella dichiarazione più solenne: il falso giuramento infatti é punito da sei mesi a tre anni di reclusione (art. 371 C.P.); la falsa testimonianza, da due a sei anni (art.372 C.P.).

Discente: Ma non soffermiamoci sulle stranezze del codice e vediamo piuttosto come l’articolo 2736 Cod. Civ. definisce le varie specie di giuramento.

Docente: L’articolo 2736 recita: “Il giuramento é di due specie:1) é decisorio quello che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa; 2) é suppletorio quello che é deferito d’ufficio dal giudice a una delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova, ovvero quello che é deferito al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti”.Tieni presente che mentre il Codice civile contempla solo due specie di giuramento (il decisorio e il suppletorio) il Codice di procedura, più giustamente, ne contempla tre: il decisorio (artt. 233 e segg.), il suppletorio (art. 240) e il “giuramento d’estimazione” (art. 241), che corrisponde al giuramento di cui parla il n.2 dell’articolo 2736, nella sua ultima parte.

Discente: Lo terrò presente. Ma andiamo oltre. Abbiamo visto quel che rischia la parte giurando il falso, ma cosa rischia la parte rifiutandosi di giurare o, ciò che é praticamente lo stesso, non comparendo all’udienza fissata per il giuramento?

Docente: Te lo dice l’articolo 239, che recita: “La parte alla quale il giuramento decisorio (melius, decisorio o suppletorio: il legislatore ha avuta una defaillance) é deferito, se non si presenta senza giustificato motivo all’udienza all’uopo fissata,o, comparendo, rifiuta di prestarlo o non lo riferisce all’avversario, soccombe rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento é stato ammesso; e del pari soccombe la parte avversaria, se rifiuta di prestare il giuramento che le é riferito”.

Discente: Una disposizione assai severa quella dell’articolo 239: la parte potrebbe rifiutarsi di prestare il giuramento semplicemente perché non ha una conoscenza o una conoscenza sicura dei fatti; e non potendo limitarsi a dire “Ignoro i fatti” - come invece può fare chi é chiamato a rispondere all’interrogatorio formale – si rifiuta di

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giurare. E’ vero, o no, che, la parte a cui é deferito il giuramento non può protestare la sua ignoranza dei fatti?

Docente: E’ vero. Ma é anche vero che non può protestare la sua ignoranza dei fatti per la semplicissima ragione che il legislatore, tenendo conto della situazione da te prospettata, esclude che ad oggetto del giuramento siano posti fatti non conosciuti direttamente dalla parte. Infatti l’art. 2739, nel suo secondo comma, recita: “Il giuramento non può essere deferito che sopra un fatto proprio della parte a cui si deferisce o sulla conoscenza che essa ha di un fatto altrui e non può essere riferito qualora il fatto non sia comune a entrambe le parti”.Non val la pena di dire che la seconda parte del comma riportato é chiaramente un corollario della sua prima parte: infatti non sarebbe giusto permettere il riferimento del giuramento quando il fatto “non é comune”, proprio perché l’ammetterlo comporterebbe chiamare la controparte a giurare su un fatto, di cui non é a diretta conoscenza..Discente: Ma come sarebbe ingiusto far giurare la parte su un fatto di cui non é a diretta conoscenza, così, non trovi? sarebbe ingiusto farla giurare su un proprio fatto illecito (il che la porrebbe nell’alternativa “Giuro il falso e vado in galera per falso giuramento o giuro il vero e vado in galera per il fatto illecito da me commesso”); o anche su un fatto illecito altrui - dato che in questo caso si verrebbe a concederle, non solo di dichiarare in pubblico, ma di dichiarare in pubblico con quella autorevolezza, che le deriverebbe dal suo trovarsi esposta alla sanzione penale in caso di mendacio, un fatto infamante per la altrui reputazione.

Docente: Ma anche di questo problema il legislatore si fa carico; e lo risolve, non ammettendo il giuramento nei casi da te detti, nel primo comma dell’articolo 2739, che recita: “Il giuramento non può essere deferito o riferito per la decisione di cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre, né sopra un fatto illecito o sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta, né per negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l’atto stesso”Come vedi, il legislatore fa divieto, non solo di deferire il giuramento su un fatto illecito del giurante, ma anche sul fatto illecito di un terzo, E’ poi chiaro che il divieto di deferire il giuramento per negare un fatto che da un atto pubblico ecc.ecc. non é che un corollario di questo secondo divieto.

Discente: E la proibizione di deferire o riferire il giuramento su cause relative a diritti indisponibili o su contratti per cui é richiesta la forma scritta come si spiega?

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Docente: Si spiega facilmente con l’intento del legislatore di evitare l’elusione di divieti da lui posti.

Discente: Penso che come il giuramento non può essere deferito o riferito relativamente a fatti che incidono su diritti indisponibili, così neanche possa essere deferito o riferito da chi non può disporre dei diritti su cui il giuramento, a incidere, verrebbe.

Docente: Ed é proprio così; più precisamente dispone in tal senso l’articolo 2737.

Discente: Passo a un’altra domanda: si può deferire il giuramento su qualunque fatto?Docente: No, si può deferire solo un fatto che il deferente il giuramento (giudice o parte) ritiene “decisivo” per la causa, nel senso che riconosce che l’esistenza di tale fatto comporta la decisione della causa a favore del giurante: io, Tizio, deferisco a te, Caio, il giuramento sul fatto A (metti sul fatto che “le luci della mia auto erano spente”) riconoscendo (melius, accettando) che, se luci erano spente, io dovrò essere condannato al tuo risarcimento (quindi se tu, Caio, giurerai, io non solo non potrò più contestare il fatto A, ma non potrò neanche sostenere che, nonostante il fatto A, io non sono obbligato al risarcimento per questo o quest’altro motivo, metti perché manca il nesso di causalità tra il mio comportamento colposo e il danno a te arrecato).

Discente: Ma Caio, la parte a cui é deferito il giuramento, potrebbe avere un’opinione divergente da Tizio: ritenere il fatto A non decisivo (“Anche se le luci della tua auto erano accese, tu, Tizio, sei obbligato al risarcimento, perché l’auto era mal posizionata - cosa per cui il giudice, anche se io mi rifiutassi di prestare il giuramento, non potrebbe decidere la causa a mio sfavore”).

Docente: A risolvere tale divergenza allora provvederebbe il giudice: sarebbe lui a dire se il fatto é decisivo e quindi se il giuramento é ammissibile, o no.

Discente: E se entrambe le parti fossero concordi nel ritenere decisivo il fatto, quindi nel far dipendere la decisione della causa dal giuramento?

Docente: In tale ipotesi, a mio parere, il giudice non potrebbe che dichiarare ammissibile il giuramento.

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Discente: Se la parte a cui é stato deferito (o riferito) il giuramento lo presta, che succede?

Docente: Semplice: il giudice emetterà una sentenza che parzialmente o totalmente le darà ragione (a seconda che dal giuramento é stata fatta dipendere la decisione parziale o totale della causa).

Discente: Ma la controparte soccombente potrà impugnare la sentenza così emessa?

Docente: Assolutamente, no: ciò é escluso, anche se con una formula non molto chiara e limpida, dall’articolo 2738, che recita: “Se é stato prestato il giuramento deferito o riferito, l’altra parte non é ammessa a provare il contrario, né può chiedere la revocazione della sentenza qualora il giuramento sia stato dichiarato falso. - Può tuttavia domandare il risarcimento dei danni nel caso di condanna penale per falso giuramento.(...)”

Discente: E se la parte non presta giuramento, ma lo rifiuta o semplicemente non compare?

Docente: A me pare chiaro che questa ipotesi debba essere, pur nel silenzio della legge, equiparata a una prestazione del giuramento (naturalmente della controparte).

Discente: Data la gravità delle conseguenze che derivano sia dal deferimento o dal riferimento del giuramento sia dalla sua prestazione, il legislatore, penso, adotterà precise cautele per impedire che sorgano equivoci sia sulla volontà di deferire o riferire il giuramento sia sull’oggetto di questo.

Docente: Chiaramente, sì. Per quel che riguarda il deferimento provvede l’articolo 233, che recita: “Il giuramento decisorio può essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore, con dichiarazione fatta all’udienza dalla parte o dal procuratore munito di mandato speciale o con atto sottoscritto dalla parte.- Esso deve essere formulato in articoli separati, in modo chiaro e specifico”.

Discente: Questo per quel che riguarda il deferimento del giuramento, e per quel che riguarda il suo riferimento?

Docente: Sulla forma che deve assumere il “riferimento” nulla dice il legislatore; ma

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mi pare evidente che essa debba essere la stessa di quella del deferimento.

Discente: Ma la parte a cui é deferito il giuramento può fare osservazioni sul modo con cui é formulato.

Docente: Chiaramente, sì, data la importanza che assume una chiara sua formulazione al fine di evitare equivoci sulla sua portata. E facilmente si ricava dall’articolo 236, che il giudice può, proprio per garantirne la chiarezza, modificarne la formulazione; più precisamente l’articolo 235, recita “Se nell’ammettere il giuramento decisorio il giudice modifica la formula proposta dalla parte, questa può revocarlo”.

Lezione 56 - Il comportamento delle parti. - Il verbale d’ispezione

Discente: - Il comportamento delle parti durante il processo, può costituire una fonte di prova?

Docente: Sì, ce lo dice chiaramente il Legislatore nel secondo comma dell’articolo 116, che recita. “Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in genere, dal contegno delle parti stesse nel processo”.Ma il legislatore non si limita a dire nell’art.116 che il contegno processuale delle parti può essere fonte di prova, ma di ciò ce ne dà esempio in numerosi altri articoli del codice.

Discente: Porta qualche esempio.

Docente: Un esempio te lo dà il secondo comma dell’articolo 219, da cui risulta che, se la parte, invitata a presentarsi per redigere una scrittura di comparazione, “non si presenta o rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può ritenere riconosciuta”; un altro esempio te lo dà l’articolo 232, che stabilisce che “se la parte non si presenta (all’udienza fissata per l’interrogatorio formale) o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”: un altro esempio ancora te lo dà il secondo comma dell’art. 118, per cui “se la parte rifiuta di eseguire l’ordine (di consentire un’ispezione sulla sua persona o sulle cose in suo possesso) il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti di prova a norma

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dell’art. 116 secondo comma”.

Discente: Ma il contegno processuale delle parti può da solo provare un fatto di causa?

Docente: Senz’altro. Te ne dà la dimostrazione l’articolo 219, che ti ho portato prima come esempio: il giudice, se la parte non si presenta per redigere la scrittura di comparazione, può, in base a questo solo suo comportamento, ritenere riconosciuta la scrittura (da verificare); e bada che questa scrittura potrebbe, a sua volta, provare un fatto “decisivo” della causa, e di una causa in cui fossero in ballo anche centinaia di migliaia di euro. Ciò significa che per il legislatore il contegno della parte può essere (sia pure indirettamente) prova di fatti rilevantissimi e importantissimi. E se il legislatore é disposto a riconoscere tale forza alla mancata presentazione della parte per redigere una scrittura di comparazione, non c’é ragione che tale forza anche non riconosca alla mancata comparizione della parte per rispondere all’interrogatorio formale e così via. Infatti l’unico criterio per dire “in questo caso, sì, il contegno della parte fa prova, e in quello no”, potrebbe essere l’importanza del factum probandum, mentre, dagli stessi esempi che ti ho fatto, risulta che questo criterio il legislatore non prende neanche in considerazione.

Discente: Ma allora perché il legislatore dice che dal contegno delle parti il giudice può desumere “argomenti di prova”, così come se tale contegno costituisse, non un’intera prova, ma solo una mezza-prova, efficace a dimostrare l’esistenza di un fatto solo se integrata da altre prove?

Docente: Ma il legislatore parla di argomento di prova, non perché considera il contegno processuale della parte una “mezza prova”, ma perché – al contrario di una testimonianza, di un documento (….) che sono, almeno di solito, delle prove univoche (nel senso che, se trovi scritto in un documento, “Io, Tizio, rimetto il debito”, questo non può che significare che una sola cosa: che “Tizio voleva rimettere il debito”) - il contegno di una parte può assumere, a seconda delle varie circostanze in cui si pone, i più vari significati: ad esempio, la mancata comparizione all’interrogatorio, può significare che la parte non ha il coraggio morale di negare la verità dei fatti capitolati, ma anche può significare che non vuole trovarsi faccia a faccia con quella controparte che gli é odiosa.. Ora parlando di “argomento di prova “il legislatore vuole solo mettere in guardia il giudice: sì, tu puoi ritenere il contegno della parte come prova del fatto A, ma prima devi indagare se (per poi motivare nella tua sentenza che) tale comportamento non può spiegarsi se non con l’esistenza effettiva del fatto A.

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Discente: Mi pare giustissima questa tua interpretazione dell’articolo 116. Del resto abbiamo già visto in una precedente lezione che il contegno non contestativo di un fatto dedotto dalla controparte, vincola il giudice a ritenere, di tale fatto, l’esistenza: quale migliore dimostrazione dell’efficacia probatoria del contegno delle parti?Voltiamo pagina, parliamo dell’ispezione, disciplinata nell’articolo 258 e seguenti: essa senz’altro costituisce piena prova: si discute se quell’apertura, nella facciata della casa di Caio, abbia o no le inferriate: il giudice si reca sul posto e vede che le inferriate effettivamente ci sono: quale prova migliore egli può pretendere per scrivere in sentenza: l’apertura de qua non é una veduta ma una luce?

Docente: Quel che dici é sostanzialmente giusto; ma viziato da due errori. Il primo, é che la ispezione non é una prova ma un mezzo di prova; il secondo, é che la prova non é data, come tu sembri ritenere, dal fatto che “il giudice ha visto” (la scienza privata privata del giudice, lo abbiamo visto in altra lezione, vale zero), bensì dal verbale in cui sta scritto che “recatosi il giudice sul luogo con il cancelliere e le parti, il giudice dà atto che l’apertura ecc.ecc.”. Ed é, infatti, perché il giudice “ha visto” alla presenza delle parti, che eventualmente potevano fare le loro contestazioni (“Guardi bene, giudice, non si tratta di inferriate ma...”) e del cancelliere, che nel caso poteva verbalizzarle, che il suo dictum “Si dà atto che l’apertura é munita di inferriate” acquista pregio e rilevanza di prova. Se il giudice avesse visto ma quel che ha visto non fosse stato verbalizzato, che gli abbia visto sarebbe una prova, ripeto, eguale a zero.

Lezione 57 - I documenti

Discente: Che cos’é un documento?

Docente: Il legislatore non lo dice (e fa benissimo!), però prevede (nel titolo II del libro VI artt. 2699 ss. Cod. Civ.) la prova documentale come un genus di prova da contrapporre a quelli dati da: la prova testimoniale (artt. 2721 ss), le presunzioni (art. 2727 e ss.), la confessione (art. 2730 ss.), il giuramento (art. 2736 ss.). Come sottospecie del genus “prova documentale” Egli, poi, considera: l’atto pubblico, la scrittura privata, le scritture contabili, le riproduzioni meccaniche (fotografiche, fonografiche, informatiche...), le taglie o tacche di contrassegno, le copie degli atti.

Discente: Questo nel Codice civile; e nel codice di procedura civile?

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Docente: Nel Codice di procedura civile il Legislatore si limita a dedicare (nella sezione terza del titolo I del libro II, artt. 191 e ss.) due paragrafi alla prova documentale: il paragrafo 4 (intitolato “Del riconoscimento e della verificazione della scrittura privata” e che inizia dall’articolo 214) e il paragrafo 5 (intitolato “Della querela di falso” e che inizia dall’art.221).

Discente: Questo va bene come premessa. Ora però dobbiamo affrontare quello che mi pare il problema principale in tema di prova documentale: come si prova l’autenticità di un documento. Perché, certo, la carta in cui é scritto “Io, Bianchi, debbo a Rossi tot” prova che Bianchi deve tot, ma a condizione che sia stato davvero Bianchi a scrivere nero sul bianco, e la fotografia che rappresenta priva di inferriate una certa “apertura” (art.900 ss. Cod. Civ.), certo prova che quell’apertura esistente nel fabbricato civico 21 di via ecc.ecc é priva di inferriata, ma a condizione che tale fotografia riprenda davvero la facciata del civico 21 (e non sia truccata!). Ti domando dunque: cos’é che prova l’autenticità di un documento?

Docente: Di massima la non- contestazione, l’omesso disconoscimento della controparte.Bianchi, che sostiene che la “apertura” di cui si discute é priva di inferriate, inserisce, nella documentazione da lui prodotta in giudizio, quella certa fotografia che rappresenta un’apertura priva di inferriate – e facendo ciò é come se allegasse un fatto: il fatto che la fotografia prodotta riprende proprio la facciata del caseggiato ecc.ecc..

Docente: Un’allegazione implicita.

Docente: Certo un’allegazione implicita, ma chiarissima: se Bianchi non intendesse sostenere che la fotografia riproduce quella tale facciata del civico ecc., egli neanche la produrrebbe. A questo punto scatta l’applicazione del primo comma dell’articolo 115: se la controparte non contesta il fatto (sia pur implicitamente) allegato e cioé che la fotografia rappresenta realmente quella tale facciata, il giudice - che per l’art. 115 “deve porre a fondamento della sua decisione (….) i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita” - deve ritenere la fotografia “autentica”..Tieni presente che a questo risultato a cui ora, dopo che é stato “novellato”, si giunge in base all’articolo 115, prima si giungeva (almeno in relazione ai documenti che postea ti risulteranno) in base a due articoli del codice civile (che ora, a mio modesto parere, sono diventati superflui), l’articolo 2712 e l’articolo 2719.L’articolo 2712 recita: “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o

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cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.L’articolo 2719 recita. “Le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale é attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non é espressamente disconosciuta”.

Discente: Entro quale termine deve essere effettuata la contestazione, per impedire che il documento si consideri autentico?

Docente: Il legislatore espressamente non lo dice (salvo quanto subito diremo a proposito delle scritture private); però, secondo me, tale termine (finale) va fatto coincidere con l’udienza di prima trattazione (l’udienza prevista dall’art. 183) o, se é concesso, col termine di cui al numero 1 comma sei art. 183.Discente: Questo per i documenti in genere; e per le “scritture private” di cui facevi riserva di dire?

Docente: Per le scritture private, per tali intendendosi le scritture sottoscritte dalle parti in causa o dal loro dante causa (idest, dalla persona da cui la parte ha acquistato mortis causa o inter vivos il bene controverso) valgono le regole particolari dettate negli articoli 214 e 215.Articolo 214: “Colui contro il quale é prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, é tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione.- Gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore”.Art. 215: “La scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta:1) se la parte, alla quale la scrittura é attribuita o contro la quale la scrittura é prodotta, é contumace, salva al disposizione dell’art. 293 terzo comma; 2) se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzioneQuando nei casi ammessi dalla legge la scrittura é prodotta in copia autentica, il giudice istruttore può concedere un termine per deliberare alla parte che ne fa istanza nei modi di cui al n.2”.

Discente: Vuoi chiarirmi le più significative deroghe che gli articoli da te citati fanno al disposto dell’articolo 115?

Docente: Le deroghe che tali articoli fanno al disposto dell’articolo 115 o meglio

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che fa l’articolo 215 (dato che l’articolo 214 in realtà non prevede deroghe all’art. 115) sono due. La prima, riguarda il termine in cui va fatta la contestazione dell’autenticità da parte del preteso autore della scrittura o la dichiarazione di “non conoscenza” da parte degli eredi o aventi causa di tale autore: tale termine é abbreviato rispetto a quello indicato nell’articolo 115: mentre tale termine per l’articolo 115 viene a coincidere con l’udienza di prima trattazione o con il termine di cui al n.1 comma sesto art. 183, il termine per l’articolo 215 viene a coincidere con la “prima udienza” o la “prima risposta”: ciò che significa ad esempio che, se la scrittura é stata allegata dall’attore al momento della rituale costituzione, il convenuto dovrà contestarla già nella comparsa di risposta, che depositasse costituendosi prima dell’udienza di trattazione.

Discente: Come si spiega tale abbreviazione del termine?

Docente: Si spiega col fatto che la parte contro cui la scrittura é prodotta non ha bisogno di procedere a indagini per stabilire se ne é autrice o no. Proprio in considerazione di tale ratio dell’abbreviazione del termine, è pacifico che gli articoli 214 e 215 non si applicano nel caso di scritture di cui si pretende autore, non la parte, ma un terzo, estraneo alla causa.

Discente: E quanto al perché dell’abbreviazione del termine (stabilita dal numero 2 dell’art.415) per gli eredi e aventi causa, esso é evidente: non occorre tanto tempo per decidere se dichiarare....... la propria ignoranza sulla paternità della scrittura. Passiamo alla seconda deroga (che l’articolo 215 fa all’art. 115).

Docente: Tale deroga riguarda il contumace: la mancata contestazione da parte di questo non vincola, per l’articolo 115, il giudice a ritenere il fatto allegato; mentre invece implica riconoscimento della scrittura per l’articolo 215 (salva sempre la possibilità, data al contumace dall’articolo 293, di contestare, al momento della sua costituzione tardiva, l’autenticità della scrittura).

Discente: Ma che succede se la parte contro cui é prodotto un documento ne contesta l’autenticità?

Docente: Salvo quanto diremo subito per le scritture private, se la controparte contesta l’autenticità del documento (metti della fotografia, metti della lettera del terzo...) o anche semplicemente pone in dubbio l’autenticità del documento (anche questo io riterrei, in base a un’interpretazione estensiva dell’articolo 115, che qui mi pare suggerita dal secondo comma dell’articolo 214),. alla parte che l’ha prodotto

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non resta che provarne l’autenticità. Come? Con gli stessi mezzi probatori che si utilizzano nei procedimenti che nascono da una querela di falsa (quindi, in pratica, con una consulenza tecnica).

Discente: Resta da dire delle strade che si aprano per chi ha prodotto una scrittura privata, che la controparte ha disconosciuto o (essendo essa un’erede o avente causa) non ha riconosciuto.

Docente: Tali strade sono diverse a seconda che la parte, che abbia prodotto il documento: 1) dichiari di volersi valere della scrittura; 2) dichiari di non volersene valere; 3) non dica...nulla.Nei due ultimi casi, la produzione della scrittura si intende revocata. Nel primo, “deve chiedere la verificazione della scrittura” (cioè l’accertamento della sua autenticità, naturalmente dando le prove a ciò necessarie) - verificazione che avverrà, nel contesto dello stesso processo in cui la scrittura é stata prodotta, secondo le norme di cui agli articoli 216 e ss.

Discente: Che valore avrà la sentenza che dichiarerà l’autenticità della scrittura?

Docente: Avrà un valore (melius, una efficacia) limitata alle parti in causa e al processo a conclusione del quale la sentenza é emessa. Per questo il legislatore (nel comma 2 dell’articolo 216) dà alla parte la possibilità di proporre “l’istanza per la verificazione” “in via principale con citazione quando dimostra di avervi interesse”.

Lezione 58 - Il consulente tecnico: un ausiliare del giudice nell’accertamento dei fatti

Discente: Chi é il consulente tecnico.

Docente: E’ un “ausiliario” del giudice, che ha il compito di assistere il giudice nel “compimento di singoli atti o per tutto il processo” (vedi art. 61).

Discente: Che requisiti deve avere per ricoprire tale funzione (di ausiliario del giudice)?

Docente: Deve avere una “particolare competenza tecnica” (ma la parola “tecnica” va presa in senso lato, cioé indica solo la competenza in un ramo del sapere

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oggetto di insegnamento ufficiale: quindi anche un critico d’arte può fare il consulente, metti in una causa in cui si discute di un plagio).

Discente: Da che risulta quanto da te affermato?

Docente: Dall’art. 61 (con cui inizia il capo III intitolato “Del consulente tecnico, del custode e degli altri ausiliari del giudice” e) che recita: “Quando é necessario, il giudice può farsi assistere per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica”.

Discente: Ma quando é “necessario” per il giudice farsi assistere ecc.ecc.?

Docente: Il Codice non lo dice, ma lo si può ricavare dal combinato disposto dell’articolo 61 e dell’articolo 62.

Discente: L’articolo 61 ormai lo conosco: che si ricava dall’articolo 62?

Docente: Si ricava che la “assistenza “di cui parla l’articolo 61 si sostanzia: nel compimento di indagini e nel dare chiarimenti al giudice (ma dico subito, per evitare equivoci, che l’articolo 192 a tali due attività, da considerarsi fondamentali, aggiunge un’attività di conciliazione delle parti, nelle cause che richiedono un”esame contabile” - ma di questa terza attività noi nel prosieguo non ci interesseremo per ragioni di economia espositiva).

Discente: Che cosa dice precisamente l’articolo 62?

Docente: L’articolo 62 recita: “Il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce in udienza e in camera di consiglio i chiarimenti che il giudice gli richiede (….)”.

Discente: In conclusione, che cosa si ricava dal combinato disposto degli articoli 61 e 62?

Docente: Si ricava che il giudice può nominare il consulente tecnico quando deve procedere ad accertamenti di fatti o a valutazioni di fatti, che, richiedendo una particolare competenza in materia diversa dal diritto, un normale uomo di legge non saprebbe bene compiere.

Discente: Esempio?

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Docente: Stabilire se un certo muro posto sul confine é pericolante. Stabilire se un autoveicolo marciante a cinquanta chilometri può essere arrestato davvero in tot metri.

Discente: Ma il giudice, quando dà incarico al consulente di fare un’indagine, non viene così a delegargli un’attività (giurisdizionale) vera e propria?

Docente: Così é; e il problema più difficile, che l’istituto della consulenza tecnica presenta, é stabilire appunto quando questa delega é ammissibile e quando no. Certamente é ammissibile quando é necessitata, quando cioé il giudice non sarebbe in grado di svolgere quella indagine, ma quando l’indagine non richiede particolari conoscenze (pensa ad esempio al caso che si tratti di accertare se un dato sentiero attraversa il fondo B per permettere al fondo A di accedere alla strada pubblica) e tuttavia il suo compimento da parte del consulente é suggerito dall’opportunità di risparmiare la (preziosa) attività del giudice (in definitiva da ragioni di economia processuale)? E’ difficile in casi simili dare una risposta. E la difficoltà é aumentata dal fatto che, per il primo comma dell’articolo 194, il consulente “può essere autorizzato a domandare chiarimenti alle parti, ad assumere informazioni da terzi e a eseguire piante, calchi e rilievi”. Quando ritenere ammissibile una richiesta di informazioni o di chiarimenti e quando no?!

Discente: Capisco che é una materia altamente opinabile, ma tu fammi lo stesso un esempio di domanda a chiarimento, secondo te ammissibile.

Docente: Io riterrei senz’altro ammissibile che il consulente-medico domandi, alla parte di cui deve diagnosticare la malattia, se é un accanito fumatore o se, oltre il pesce (pretesa causa del suo avvelenamento), quel giorno ebbe a mangiare il cibo x.

Discente: E un esempio di lecita richiesta a terzi di informazione?

Docente: La richiesta della distanza che secondo gli usi locali si deve rispettare dal confine nel piantare un albero (vedi art. 892 co.1).

Discente: Tu hai detto che il compito del consulente é quello di integrare le lacune cognitive che il normale uomo di legge ha di una data materia. Ma se il giudice, non é un normale uomo di legge, ma é un cervellone, che, oltre la laurea in diritto, ha quella metti in medicina e il fatto da indagare richiede appunto delle cognizioni di

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medicina? in tal caso il giudice deve, o no, nominare un consulente?

Docente: La lettera delle legge porterebbe a rispondere di no (infatti per l’articolo 61 “il giudice può farsi assistere” ecc.ecc.). Io invece riterrei che di regola il giudice debba farsi assistere da un consulente, anche se lui personalmente conosce la “materia tecnica “che rileva per la causa. E questo per il motivo che, se il giudice non nomina il suo consulente tecnico d’ufficio (nella pratica abbreviato a C.T.U), le parti non possono nominare i loro consulenti tecnici di parte (C.T.P.). Infatti il primo comma dell’articolo 201 chiaramente subordina la nomina del C.T.P a quella del C.T.U.

Discente: -Che cosa dice precisamente tale primo comma.

Docente: Il primo comma dell’articolo 201 recita. “Il giudice istruttore con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un consulente tecnico”.Discente: Tu però, dicendo che la nomina del C.T.U é la regola, fai pensare che questa regola abbia delle eccezioni. ‘

Docente: E infatti ce l’ha, e sono quelle in cui, la conoscenza extra-giuridica che ha il giudice, può essere pretesa anche nei difensori delle parti, in quanto la causa trattata é “specialistica”: presenta di regola problemi la cui soluzione richiede una speciale conoscenza di una data materia extra-giuridica. Per il che pensa a una causa di infortunistica stradale: un avvocato “generico” (cioé privo di conoscenze nella materia infortunistica: non sa qual’è lo spazio di frenatura, non sa qual’é lo spazio di arresto...) non può pensare di trattare una causa simile, così come un medico generico non può pensare di curare un malato di cuore. E giustamente quindi si può partire dal presupposto che, l’avvocato che si presenta a difendere in una causa simile, abbia le stesse conoscenze extragiuridihce del giudice. Ed é proprio questa comunanza di conoscenze, che fa pensare che il contraddittorio funzioni anche se il difensore non é assistito da un C.T.P.

Discente: Ma quali sono i poteri e le funzioni del CT.P.?

Docente: Telo dice il secondo comma dell’articolo 201, che recita: “Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione

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del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche”.

Discente: Ma il giudice deve conformarsi al parere espresso dal C.T.U.?

Docente: No di certo: il giudice é peritus peritorum.

Discente: E’ un po’ strano questo super-perito in una materia che però..si.riconosce, nominando un consulente, ignorante in questa materia!

Docente: E in effetti, in pratica, la sentenza va a rimorchio del parere del C.T.U. (salvo che, anche giovandosi, delle relazioni dei C.T.P., il giudice rilevi lacune e contraddizioni nella relazione del C.T.U.).

Discente: Quindi in pratica la decisione della causa dipenderà dal C.T.U.

Docente: E proprio perché é così, il Codice prevede che il C.T.U possa essere ricusato e possa astenersi, così come può astenersi e può essere ricusato il giudice (vedi melius, l’art. 192).

Discente: Tu, parlando di “relazione” del C.T.U, fai pensare che questi debba dare le sue risposte, ai quesiti del giudice, solo per iscritto.

Doc- Nella pratica é così. Ma il pensiero, o se vogliamo l’illusione del legislatore, era quello che il consulente, sì, potesse essere nominato per dare per iscritto il suo parere, ma anche e forse soprattutto per affiancarsi al giudice durante un interrogatorio, durante la camera di consiglio insomma durante tutto il corso del processo, per interloquire con lui senza speciali formalità (il teste ha parlato di “aneurisma” e il giudice domanda al consulente, seduto accanto a lui, “Ma che cos’é un aneurisma’?). Proprio per questo il codice non volle più parlare di “perito” ma di “consulente”.

Lezione 59 - Querela di falso

Discente: Che cos’é la querela di falso?

Docente: E’ l’atto (processuale) con cui si chiede, in forma autonoma e, quindi, con atto di citazione o in forma incidentale (idest, nel corso di un processo già pendente) e, quindi, con dichiarazione ad hoc “da unirsi al verbale di udienza” (co.2

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art. 221), che il giudice dichiari l’esistenza di un falso.

Discente: Un falso di che cosa?

Docente: Il Legislatore non lo dice; ma gli Studiosi della materia, operando una prima restrizione (della troppo lata enunciazione legislativa), limitano l’esperibilità della querela ai “documenti” (quindi, se il tuo avversario produce in giudizio un quadro per provare A, tu non hai bisogno della proposizione di una querela di falso, per provare che il quadro contiene un falso).Operando poi una seconda restrizione, gli Studiosi limitano l’esperibilità della querela a quella species di documenti, che sono gli atti pubblici e le scritture private (quindi, se il tuo avversario produce un olografo senza sottoscrizione - metti, un semplice appunto: “Io, Tizio, debbo ricordarmi di dare 100 a Caio” -, tu non hai bisogno di una querela per dimostrare, di tale olografo, la falsità).Operando, infine, una terza restrizione, gli Studiosi limitano la necessità della querela solo ai casi in cui si vogliano provare quegli elementi della scrittura o dell’atto pubblico che fanno “piena prova”.Discente: Quindi, se io, difensore di Tizio, mi vedo produrre dall’avversario un documento in cui é scritto papale papale “Io, Tizio, vendo a Caio, che accetta il fondo A” con tanto di sottoscrizione di Tizio e di Caio, e so che la firma di Tizio é falsa, debbo proporre “querela”.

Docente: Assolutamente, no: tu nella situazione ti puoi limitare - (al fine di escludere la efficacia probatoria nel processo in cui stai difendendo del documento prodotto dal tuo contraddittore) - al disconoscimento (ai sensi dell’art. 214) della sottoscrizione, lasciando al tuo contraddittore l’onere di chiedere la verificazione della sottoscrizione di Tizio e di dare, dell’autenticità di questa, la prova. (Diverso il caso in cui il tuo cliente volesse ottenere una sentenza, che dichiarasse erga omnes la falsità della sua sottoscrizione: in tal caso egli avrebbe l’onere e il diritto di proporre querela di falso).

Discente: Ma se la sottoscrizione, sì, é autentica, ma non è affatto vero quanto vi é sopra scritto, in quanto Tizio scrisse, non “vendo”, ma “dò in locazione”.?

Docente: Se tu sostieni che la firma é autentica ma ciò che vi é sovrascritto é stato “contraffatto” o “alterato” (o, in altre parole, che quel che veniva a dichiarare Tizio, al momento della sottoscrizione e apponendola, non era di vendere ma di dare in locazione) allora, sì, che dovrai proporre querela.

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Discente: E se io voglio sostenere che Tizio, sottoscrivendo, voleva, sì, dichiarare di stare vendendo, però essendo d’accordo con Caio di dissimulare, con tale dichiarazione di vendita, realmente e solamente un contratto di locazione?

Docente: In tal caso la querela non la dovrai proporre, ma per provare l’accordo simulatorio seguirai le normali procedure (dedurrai dei testi o l’interrogatorio, produrrai dei documenti e così via).: infatti, per l’articolo 2702 il c.d. “intrinseco” della dichiarazione (sovrascritta) non fa piena prova; in altre parole, la sottoscrizione fa (per l’art. 2702) solo prova che il sottoscrivente voleva che risultassero sovrascritti alla sua firma proprio quei segni grafici che attualmente vi risultano segnati, non che con ciò voleva esprimere la volontà A o B.

Discente: Ma se Tizio avesse sottoscritto, ma “in bianco”, con l’accordo che Caio avrebbe riempito il foglio scrivendovi un contratto di locazione, mentre invece Caio vi ha scritto un contratto di vendita?

Docente: In tal caso la querela ci sta bene: infatti tu vuoi provare che i segni grafici risultanti sopra la firma non sono quelli che Tizio voleva.Val la pena di notare che tutte quelle falsificazioni, che sopra abbiamo indicato come provabili solo tramite la proposizione di una querela di falso, configurano un reato – vedi gli artt. 476 ss); questa constatazione ci dà il criterio, che segue il legislatore per pretendere, o no, che la prova di un falso sia introdotta da una querela di falso e raccolta nello speciale procedimento, che tale querela instaura; e questo criterio é l’allarme sociale, che il falso provoca (allarme sociale dimostrato dal fatto stesso che ad esso il legislatore reagisce con una sanzione penale).

Discente: Ma perché, nel caso di falso, che provoca un particolare allarme sociale, é opportuno arrivare al suo accertamento in base a una particolare procedura?

Docente: Perché é bene che tale accertamento (come, lo vedremo subito, é nel procedimento introdotto da una querela di falso) faccia stato erga omnes e avvenga con la partecipazione del p.m. - così come del resto avverrebbe nel caso che il falso venisse accertato in un procedimento penale.

Discente: Ma l’accertamento erga omnes del giudice penale consegue solo a una sentenza di condanna.

Docente: Non é assolutamente vero: leggiti meglio l’articolo 537 C.P.P. nel suo ultimo comma: la sentenza penale che accerta il falso, ha efficacia erga omnes

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anche se l’imputato é prosciolto, metti, per mancanza di dolo: metti ha riempito il foglio in bianco così e non colà perché riteneva che l’accordo di riempimento prevedesse così e non colà. E certo il legislatore civile non poteva adottare una soluzione diversa da quella adottata dal legislatore penale.Sempre l’allarme sociale, che certi falsi (quelli appunto la cui prova va introdotta da una querela) provocano, spiega anche perché il legislatore dia modo, a chi é danneggiato dalla loro esistenza, di promuovere, con autonomo atto di citazione, una causa, a che siano, come tali, accertati – questo, bada, anche se l’autore del falso, non fosse perseguibile penalmente, metti per mancanza del dolo o perché deceduto.

Discente: A questo punto dovresti dire meglio quali sono le principali particolarità del procedimento di falso.

Docente: Sono, in primo luogo, gli oneri da cui é gravato l’atto introduttivo: esso deve (vedi co.2 art. 221) indicare gli elementi e i mezzi che provano il falso, deve essere sottoscritto dalla parte o da un suo procuratore speciale (e, se assume la forma di un atto di citazione, deve essere confermato nella prima udienza – vedi melius l’art. 99 disp. att.). Come abbiamo già accennato, poi, il processo necessita della partecipazione del P.M. (v. u.c. art. 221) e si conclude con una sentenza dotata di efficacia erga omnes; cosa, questa, non detta espressamente, ma che si ricava facilmente dal fatto che il giudice, nella sua sentenza, ordina quegli interventi sul documento – aggiunte, cancellazioni ecc. (vedi combinato disposto artt. 226 C.P.C. e 537 C.P.P.) - che inevitabilmente determinano una sua oggettiva modificazione.

Discente: Ma il giudice che accerta il quid falsi, deve accertare e deve dichiarare anche il quid veri? per rifarci all’esempio prima fatto: il giudice, accertato che le parole “vendo” sono frutto di un’alterazione, deve ordinarne, non solo la cancellazione, ma anche la sostituzione con le parole “do in locazione”?

Docente: Certamente, si’.

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CAPITOLO SETTIMO

LE IMPUGNAZIONI

Lezione 60 - I vari mezzi di impugnazione e i loro termini. Il giudicato formale

Discente: Se il giudice Probo I ha 50 probabilità su 100 di sbagliare decidendo la controversia tra Caio e Sempronio, il giudice Probo II, presumibilmente della stessa intelligenza e diligenza di Probo I, quante probabilità di sbagliare avrà, decidendo la stessa, identica controversia?

Docente: Ogni esperto di statistica ti risponderebbe: avrà ancora 50 probabilità su 100 di sbagliare, come Probo I.

Discente: Ma allora spiegami, perché mai il nostro Ordinamento parte dal presupposto di un interesse della parte a impugnare, cioé a provocare un secondo giudizio sulla controversia, che l’ha vista soccombente in un primo?

Docente: Perché Probo II, il secondo giudice, pur essendo di intelligenza e diligenza pari a quelle di Probo I, viene a godere di due elementi che mancavano a questo e che effettivamente aumentano, rispetto a questo, le sue chances di vedere giusto là dove questo potrebbe eventualmente aver visto sbagliato.

Discente: Quali sono questi elementi?

Docente: Primo, quello di potere concentrarsi, mettendole così bene a fuoco, solo su alcune delle tante questioni, che invece gravavano Probo I. Questo, in quanto molte di tali questioni, nell’ulteriore grado di giudizio, sono rinunciate dalle parti o, comunque, come vedremo, si presumono da esse rinunciate.Secondo, quello di poter prendere la sua decisione, sulla base di un contraddittorio, per così dire, qualificato: e con ciò mi riferisco al contraddittorio che idealmente si svolge tra il giudice Probo I, che nella sua sentenza espone i motivi della sua decisione, e la parte soccombente, che nel suo atto di impugnazione opera la critica di tali motivi.

Discente: Perché ritieni tale contraddittorio più qualificato di quello che ebbe a 277

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svolgersi nel grado precedente (tra attore e convenuto)?

Docente: Perché i soggetti di tale contraddittorio danno più affidamento, dell’attore e del convenuto nel grado precedente, di sostenere le loro tesi in buona fede: il giudice, perché disinteressato alla sorte della controversia, la parte soccombente, perché é da presumersi che, scottata dalla condanna alle spese ricevuta nel grado precedente, non si sia decisa a impugnare (col rischio di una seconda condanna alle spese), se non perché realmente convinta di aver ragione.

Discente: Se così é, se veramente un nuovo grado di giudizio diminuisce le probabilità che un diritto del cittadino venga per errore negato, penso che la nostra Costituzione imporrà al legislatore di ammetterlo sempre e per ogni tipo di controversia.

Docente: Così invece non é: la nostra Costituzione afferma, sì, solennemente nel comma settimo del Suo articolo 111, che “contro le sentenze (….) é sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge” (questo soprattutto come freno alla eventuale disubbidienza di organi del potere giudiziario ad atti normativi del potere giudiziario), ma non garantisce per nulla il diritto a un ulteriore grado di giudizio nel merito.

Discente: Chiarito questo, vediamo quali mezzi di impugnazione, il legislatore, concede al soccombente.

Docente: Ce lo dice l’articolo 323, che recita (sotto la rubrica, “Mezzi di impugnazione”): “I mezzi per impugnare le sentenze, oltre al regolamento di competenza nei casi previsti dalla legge, sono: l’appello, il ricorso per cassazione, la revocazione e l’opposizione di terzo”.

Discente: Questi mezzi (di impugnazione) possono essere esercitati senza limiti di tempo?

Docente: No, di sicuro. Infatti, se il Legislatore deve preoccuparsi di garantire alla parte soccombente un ulteriore giudizio (in cui si possano accertare eventuali errori di cui fosse rimasta vittima), deve anche preoccuparsi di dare, a un certo momento, alla parte vittoriosa la certezza che, quello che le é stato riconosciuto come suo diritto, non le verrà più contestato.

Discente: Per quale ragione?

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Docente: Per due ragioni. Per ridare ad essa (idest, alla parte vittoriosa) la serenità psicologica (“Finalmente dopo tante battaglie nelle aule giudiziarie ora posso stare tranquilla!”). Per non rischiare di porre ostacoli al rapido e proficuo svolgersi dell’attività economica (Caio esiterebbe a comprare quell’immobile, che pur serve alla sua industria, se non avesse la certezza che Sempronio, che gliene offre l’acquisto, dopo la sentenza del giudice ne é diventato l’incontestato e incontestabile proprietario).

Discente: Conclusione: il legislatore concede solo un tempo limitato per impugnare una sentenza. Domanda: da quale momento tale tempo decorre?

Docente: Ovvio: dal momento in cui la parte é a conoscenza, o comunque il legislatore può ragionevolmente presumerla a conoscenza, dei fatti che potrebbero giustificare l’impugnazione della sentenza.

Discente: Come dire dal momento in cui la sentenza le é notificata o é, comunque, pubblicata – cosa quest’ultima che si intende realizzata, se non erro, col suo deposito in cancelleria.

Docente: No, non erri per quel che riguarda il momento in cui si considera pubblicata la sentenza: esso é effettivamente (art. 133) quello in cui la sentenza viene depositata in cancelleria.Sbagli però ritenendo che tutti i fatti, che potrebbero giustificare un’impugnazione, sono conoscibili, dalla parte a cui é concesso il potere di tentare tale impugnazione, al momento in cui la sentenza le viene notificata o é pubblicata: in tale momento sono conoscibili solo gli errori commessi dal giudice nel decidere la controversia Ora senza dubbio essi sono “fatti” che giustificano un’impugnazione; però essi non sono tutti i fatti che possono giustificarla.

Discente: Quali sono quegli altri fatti che possono giustificarla, oltre agli errori del giudice rilevabili dalla lettura della sentenza.

Docente: Sono i fatti indicati nell’articolo che prevede la “opposizione di terzo”, l’art. 404 (il fatto che la sentenza é pregiudizievole per un terzo, la collusione delle parti….) e nei numeri 1,2,3,5,6 dell’articolo che prevede la “revocazione”, l’art.395 (il comportamento doloso di una delle parti, la falsità delle prove dedotte......). Ora il legislatore può presumere che la parte conosca, dal momento in cui le é notificata o depositata la sentenza, gli errori in cui é caduto il giudice, ma non può presumere che la parte e, più in genere, chi ha il potere di impugnazione, conosca già da tale

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momento, i fatti indicati negli articoli 404 e 395 (salvo che per i fatti indicati nei numeri 4 e 5 dell’articolo 395, che infatti, come subito vedremo, fanno, in materia di termini per impugnare, “storia a sé”).Proprio in considerazione di ciò, i mezzi di impugnazione si distinguono in “ordinari” e “straordinari”: ordinari, sono quelli, come l’appello e il ricorso per cassazione, che si basano su fatti conoscibili dalle parti al momento del deposito della sentenza in cancelleria (e, a maggior ragione, al momento della sua notifica, dato che questa avviene forzatamente dopo il suo deposito); straordinari, sono quelli, come l’opposizione di terzo e la revocazione (per i fatti di cui ai numeri 1,2,3,6), che possono, ma non é detto che sempre possano, essere conoscibili in tale momento (per cui non sarebbe fondata una presunzione che siano, in tale momento, conoscibili).

Discente: La presunzione che, gli errori (eventuali) del giudice, siano conoscibili al momento del deposito della sentenza, può essere valida per la parte costituita in giudizio, ma non mi sembra per nulla valida per il contumace.

Docente: Perchè no? Anche chi non si costituisce, sa che esiste un processo, che lo vede coinvolto e quindi, se diligente, può seguirne lo svolgimento, sia pure dall’esterno andando in cancelleria ogni tanto ad informarsi, di modo da potersi leggere la sentenza appena depositata.

Discente: Metti però che vi sia una nullità della citazione o della sua notifica, che renda probabile che il convenuto non si sia costituito perché nulla sapeva del processo o, anche, perché (male informato dall’atto di citazione mancante di un suo elemento essenziale, metti, del petitum) non ne ha potuto adeguatamente valutare la importanza?

Docente: Il legislatore si fa carico di tale ipotesi e per il caso, come risulterà dalla lettura che faremo del secondo comma dell’articolo 327 e del primo comma dell’articolo 326, fa decorrere il termine per impugnare dalla notifica della sentenza fatta al contumace.

Discente: Da quanto finora detto, mi pare di poter tirare una prima conclusione e cioé che i termini per impugnare possono decorrere, sia dalla notifica della sentenza sia dalla sua pubblicazione sia dalla conoscenza che, il titolare del diritto di impugnazione, ha di alcuni dei fatti indicati negli articoli 404 e 395.

Docente: Puoi aggiungere, per completare questa tua prima sintesi della

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(complicata) disciplina legislativa, che il tempus impugnandi é diverso, nel caso di termini decorrenti dalla notifica della sentenza o dalla conoscenza di uno dei fatti indicati negli articoli 395 e 404, e nel caso di termini decorrenti dal deposito della sentenza.

Discente: A questo punto però leggiamoci almeno le principali disposizioni che regolano la materia.

Docente: Giusto. Cominciamo dall’articolo 327, che recita: “Indipendentemente dalla notificazione, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei nn.4 e 5 dell’art. 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. - Questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all’art. 292”.

Discente: Quindi, per quelli che tu hai chiamati mezzi ordinari di impugnazione (ricorso in cassazione, appello, revocazione per i nn,4 e 5 art. 395), il termine, di massima, é di sei mesi e decorre dal deposito della sentenza; ma quanto é il termine per proporre un mezzo straordinario di impugnazione e da quanto decorre?

Discente: Te lo dicono gli articoli 325 e 326. Dall’articolo 325 risulta che “il termine per proporre (….) la revocazione e l’opposizione di terzo di cui all’art. 404,secondo comma, é di trenta giorni” (tieni presente che l’opposizione di cui all’art.404 primo comma non é soggetta a termine: può esercitarsi in ogni tempo). Dall’articolo 326, risulta che “nei casi previsti nei nn. 1,2,3 e 6 dell’art. 395 e negli artt. 397 e 404 secondo comma” “il termine decorre dal giorno in cui é stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o é stato recuperato il documento o é passata in giudicato la sentenza di cui al n.6 dell’art.395, o il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza)”.

Discente: Ma ritornando al termine di sei mesi previsto dall’articolo 327, non é un po’ duro costringere la parte vittoriosa - e presumibilmente desiderosa di acquisire la certezza della incontestabilità del suo diritto (“La controparte é decaduta dal diritto di impugnare: il fondo Corneliano é finalmente e incontestabilmente mio!”) - ad una così lunga attesa?

Docente: Ma la parte ha un facile mezzo per abbreviarla: basta che notifichi la sentenza alla controparte. Infatti risulta dagli articoli 325 e 326, che in tal caso il

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tempo di attesa per la parte vittoriosa (tempo di impugnazione per la parte soccombente) subisce una forte riduzione. Infatti l’articolo 325 recita “Il termine per proporre l’appello (….) é di trenta giorni. (….) Il termine per proporre il ricorso per cassazione é di giorni sessanta”. E l’articolo 326 integra tale disposto, recitando: “I termini stabiliti nell’articolo precedente sono perentori e decorrono dalla notificazione”.

Discente: Ma perché questa diversa ampiezza tra i termini decorrenti dalla notifica della sentenza e quelli decorrenti dalla pubblicazione della sentenza?

Docente: Questa diversa ampiezza in realtà si spiega facilmente: il legislatore ritiene sufficiente per la proposizione di una impugnazione il tempo di trenta giorni (di sessanta se l’impugnazione consiste in un ricorso in cassazione), purché tale termine sia fatto decorrere dalla effettiva conoscenza della sentenza da parte del soccombente. Ora, mentre ritiene di poter far coincidere tale effettiva conoscenza col momento di notifica della sentenza, non ritiene ragionevole farlo coincidere col momento del deposito della sentenza (che rende, sì, questa conoscibile, ma non dà la ragionevole sicurezza della sua effettiva conoscenza): per questo allunga in tal caso il tempo dell’impugnazione (“Si può ben pensare che nel tempo di sei mesi la parte si sia recata in cancelleria a prendere visione di quel che ha scritto il giudice!”).

Discente: Il termine per impugnare, già lungo quando si tratta di appello, ricorso per cassazione, revoca per i nn.4 e 5 art.395, diventa lunghissimo quando si tratta di opposizione di terzo e di revoca per i numeri 1,2,3 e 6: infatti in tali casi il dies a quo coincide con un evento (la scoperta del dolo, di un documento ….) che potrebbe realizzarsi anche dopo moltissimi anni dalla pronuncia della sentenza.

Docente: E’ proprio così. E questo impone al legislatore di trovare una soluzione pratica, un compromesso ragionevole cioé, al seguente problema: “Quando l’accertamento, contenuto nella sentenza del giudice Probo I, é opportuno faccia “stato” per il giudice Probo II di un altro processo (processo tra le stesse parti della causa davanti al giudice Probo I, o anche, come subito vedremo che é possibile, tra parti diverse)?”.

Discente: Ma che significa l’espressione “la sentenza del giudice Probo I fa stato per il giudice Probo II”?

Docente: Significa che Probo II deve ritenersi vincolato dall’accertamento (dei

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diritti, degli obblighi...) compiuto da Probo I.Discente: Quindi, dire che “ai sensi dell’articolo 2909, la sentenza di Probo I fa stato tra le parti” significa dire né più né meno che, se una di queste parti, mossa da incontenibile litigiosità, si rivolgesse (formulando un nuovo atto di citazione, iniziando un uovo processo...) al giudice Probo II per versi riconoscere (finalmente!) il diritto negatole da Probo I, si sentirebbe rispondere dal nuovo giudice, da Probo II: “Tu potresti anche avere ragione, ma in ogni caso io non te la potrei dare, perché sono vincolato dalla sentenza emessa da Probo I”.

Docente: E’ cosi’. Ma bada, il problema di quando la sentenza di Probo I faccia “stato” (alias, sia vincolante) per un altro giudice, per Probo II, non si presenta soltanto quando una parte della causa, definita dalla sentenza di Probo I, vuole ritentare, diciamo così, la sorte contro un’altra parte di quella stessa causa: tale problema si può presentare anche in altri casi. E vari esempi di tali possibili casi ce li dà proprio quell’articolo 395, che noi abbiamo già avuto occasione di citare più volte.

Discente: Prendiamo uno di tali esempi e approfondiamolo.

Docente: Prendiamo l’esempio datoci dal numero 6 dell’articolo 395. E poniamoci nei panni del giudice Probo II, a cui Caio si rivolge per ottenere la revocazione della sentenza del giudice Probo I, producendo una sentenza del giudice Probo III – sentenza questa che ha accertato, che Probo I si lasciò corrompere (capita!).

Discente: Una sentenza quindi del giudice penale.

Docente: Non é detto, potrebbe essere anche del giudice civile (pensa al caso che Probo I, dopo aver pronunciata la sua sentenza, preso dai rimorsi, si sia suicidato, una volta capitava). Però non é questo il punto. Il punto é che Probo II si trova nelle mani una sentenza, metti ancora ricorribile in cassazione, e si domanda: “Questa sentenza mi vincola, fa “stato” per me, per cui io, sulla sua base posso revocare la sentenza del collega Probo I, oppure no?”.

Discente: E che risposta deve dare a tale quesito il nostro bravo giudice della revocazione, Probo II?

Docente: Deve dargli la risposta, che gli risulta dall’articolo 325, che recita: sotto la rubrica (“Cosa giudicata formale”): “Si intende passata in giudicato la sentenza che

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non é più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell’art. 395”.Discente: Cosa per cui, nell’esempio fatto di una sentenza ancora soggetta a ricorso per cassazione, il giudice Probo II, non facendo stato per lui la sentenza prodotta per ottenere la “revocazione”, questa si rifiuterà di concedere.

Discente: Ma c’é una differenza tra il giudicato formale di cui all’articolo 324 e il giudicato sostanziale di cui all’articolo 2909?

Doc Volendo la si può trovare nel fatto che il giudice, il quale deve stabilire se una data sentenza fa per lui “stato”, cioé lo vincola, ai sensi dell’art.2909, non si può limitare a verificare gli elementi di cui all’art. 324 (idest, se tale sentenza é ancora soggetta ad appello e ricorso per cassazione), ma deve controllare l’esistenza di un quid pluris: il quid pluris richiesto dall’art. 2909 (se é stata pronunciata tra le stesse parti, se riguarda gli stessi diritti fatti davanti a lui valere...).Ma io non ritengo valga la pena di perdere tempo per risolvere questioni di lana caprina come quella della differenza tra giudicato sostanziale e formale; e penso anche che nessun avvocato abbia mai persa una causa per non sapere tale differenza.

Lezione 61 - L’acquiescenza. Estinzione del processo di impugnazione

Discente: Può la parte soccombente rinunciare ex ante, cioé prima di proporla, all’impugnazione?

Docente: -Sì, ciò é previsto dal primo comma dell’articolo 329, che recita: “Salvi i casi di cui ai nn. 1,2,3 e 6 dell’articolo 395, l’acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità”.

Discente: Puoi fare un esempio di un atto “incompatibile con la volontà” di impugnare?

Docente: L’esempio classico é dato dall’esecuzione spontanea della sentenza: Sempronio é stato condannato a demolire un muretto e.... lo demolisce. Naturalmente l’esecuzione spontanea, per escludere la proponibilità della impugnazione, deve essere univoca nel senso di un’accettazione della sentenza. Non sarebbe tale – non solo, ed é naturale, se fosse accompagnata da una riserva

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di impugnazione – ma anche se avvenisse in seguito ad un atto di precetto, cioè ad una minaccia di provvedere all’esecuzione manu militari.Discente: Può la parte rinunciare all’impugnazione ex post, cioé dopo averla proposta?

Docente: Può, sì; se però tutte le altre parti in causa - che avrebbero interesse a continuare nel giudizio di impugnazione, sia pure solo per vedersi riconosciuto il diritto al rimborso delle spese processuali ai sensi dell’articolo 91 - vi consentono. Cioé anche in sede di impugnazione valgono i principi espressi nell’art.306.Però con questa differenza che, chi rinuncia agli “atti del giudizio” in primo grado, non perde la possibilità di agire nuovamente per far valere il suo diritto; chi, invece, rinuncia all’impugnazione non può più riproporla, neanche se fosse ancora in termini per farlo (cosa a dir il vero, non impossibile, ma piuttosto inverosimile).

Discente: Da che risulta ciò?

Docente: Risulta dall’art. 338 che (sotto la rubrica “Effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione) recita: “L’estinzione del procedimento di appello o di revocazione nei casi previsti nei nn. 4 e 5 dell’art. 395 fa passare in giudicato la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto”.

Discente: Certo la rinuncia agli atti non é l’unica causa di estinzione del processo di impugnazione: dammene un altro esempio.

Docente: Pensa all’omessa riassunzione della causa (nel termine perentorio di legge) dopo la sua interruzione (metti, dovuta a decesso di una parte).

Discente: Quando trova applicazione l’ultima parte dell’articolo 338; quando cioé un provvedimento pronunciato nel procedimento di impugnazione può dirsi che abbia modificato gli effetti della sentenza impugnata?

Docente: Quando il provvedimento esprime una decisione non revocabile (in quanto espressa con sentenza) del giudice dell’impugnazione – decisione basata sul presupposto dell’esistenza o della probabile esistenza di un errore nella sentenza impugnata. Esempio: il giudice di primo grado aveva rigettata la domanda di risarcimento: il giudice di impugnazione ha emessa una sentenza di condanna generica al risarcimento (disponendo che il processo prosegua per la liquidazione – vedi art.

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278)Ancora un esempio: il tribunale ha rigettata la domanda ritenendo prescritto il credito; la Corte, affrontando la questione dell’estinzione del credito in sede preliminare, la risolve per l’inesistenza della prescrizione.

Discente: Fai ora un esempio di “provvedimento non modificativo”

Docente: Pensa all’ordinanza con cui la Corte dispone per l’assunzione di prove decisive, che il tribunale invece aveva ritenute inammissibili. Anche nel caso ci troviamo di fronte a un provvedimento che si basa sul presupposto di un probabile errore nella sentenza impugnata. Ciò nonostante, in caso di estinzione del procedimento di impugnazione, esso non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Questo perché essendo un’ordinanza, e non una sentenza, non dà quelle garanzie di una seria e meditata decisione, che dà invece questa.

Discente: Ma il provvedimento decisorio del giudice dell’impugnazione, incompatibile con la sentenza impugnata, impedisce semplicemente il passaggio in giudicato di questa, come sembrerebbe dalla lettera dell’articolo 338, o invece l’annulla ed eventualmente la sostituisce?

Docente: Che impedisca il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, non avrebbe nessun senso (dato che, se per assurdo lo facesse, verrebbe a crearsi un mostro giuridico: una sentenza che non fa stato, ma non é neanche impugnabile: sta lì, come in un limbo, senza essere utile a nessuno). Evidentemente il legislatore non ha misurate le sue parole e si deve ritenere che, il provvedimento incompatibile, annulli ed eventualmente sostituisca la sentenza di primo grado (interamente o solo parzialmente, a seconda che tale provvedimento sia incompatibile con tutto o solo con una parte del decisum in primo grado).

Discente: L’articolo si riferisce solo all’estinzione del procedimento di appello, ciò significa che non si applica al procedimento di cassazione?

Docente: No, si applica anche al procedimento di cassazione, se l’estinzione si verifica prima della cassazione della sentenza impugnata.

Discente: Quindi in tal caso (caso dell’estinzione prima della sentenza della Corte) passa in giudicato la sentenza impugnata. E se la causa di estinzione interviene dopo una sentenza di rigetto del ricorso?

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Docente: La tua domanda non ha senso, dato che non ha senso l’estinzione di un procedimento già concluso. Puoi chiedermi piuttosto cosa accade se la causa di estinzione interviene dopo che la Corte Suprema ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Discente: Si’, ti chiedo questo.

Docente: Nel tal caso ci troviamo di fonte a una sentenza incompatibile con quella impugnata, in quanto basata sul presupposto di un errore certo o probabile del giudice di merito.

Discente: E allora?

Docente: E allora, come era da aspettarsi, il Legislatore per il caso dispone per la caducazione della sentenza di merito; più precisamente con l’articolo 393 Egli dispone: “Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all’articolo precedente, o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue (….)”.(Val la pena di notare – perché ciò conforta un’interpretazione restrittiva dell’ultima parte dell’articolo 338 – che, nell’ipotesi di causa di estinzione intervenuta dopo una sentenza di cassazione con rinvio, la sentenze precedenti nel merito vengono caducate, anche se a rigore non si può dire che la Corte Suprema ne abbia modificati gli effetti – infatti la Corte, quando rinvia, non modifica il dispositivo della sentenza impugnata, ma rimette tale eventuale modifica al giudice di rinvio).

Discente: Torniamo a parlare della “acquiescenza”. Mettiamoci in questo caso: il giudice Probo I, decidendo la controversia tra Caio e Sempronio, dà un colpo alla botte e l’altro al cerchio. Insomma dà in parte ragione a Caio e in parte a Tizio: “Tu, Caio, pretendevi la somma di mille e io, giudice, ti riconosco solo cento; Tu Sempronio pretendevi il rigetto totale della domanda di Caio e invece io, giudice, l’accolgo parzialmente e ti condanno a pagare cento”. Caio, non volendo impelagarsi in ulteriori spese processuali (ha già speso tanto nel giudizio di primo grado, non vuole spendere altrettanto in quello di secondo grado) fa acquiescenza alla sentenza. Che succede se però Sempronio, più di lui bellicoso, fa appello? può a sua volta Caio impugnare? Mi sembrerebbe giusto: Caio ha fatta acquiescenza per evitare le spese processuali, ora però l’appello di Sempronio lo tira per i capelli a fare tali spese e, dal momento che le deve fare, dal momento che un avvocato lo deve pagare, viene meno la ragione per cui ha fatta acquiescenza.

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Docente: Il legislatore - sia per le ragioni che tu hai ora prospettate, sia per incoraggiare a fare acquiescenza quelle parti che dal farla potrebbero astenersi per il timore di precludersi la impugnazione nel caso la proponesse il loro avversario - per così dire ristabilisce nel diritto di impugnare chi ha fatta acquiescenza nel caso il suo contraddittore impugni. Ciò con l’articolo 334, che recita: “Le parti contro le quali é stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse é decorso il termine o hanno fatta acquiescenza alla sentenza.- In tal caso se l’impugnazione é dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia”.

Lezione 62 - L’effetto estensivo dell’impugnazione

Discente: Abbiamo, nella lezione precedente, commentato il primo comma dell’articolo 329: passiamo ora a commentare il suo secondo comma, che recita: “L’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate”.

Docente: La disposizione, che tu hai ora riportata, consacra il principio: tantum devolutum quantum appellatum. Se il tribunale, con la sua decisione, ha dato due volte torto a Caio, rigettando tutte e due le domande che aveva proposto, sia la domanda A, con cui rivendicava il fondo Corneliano, sia la domanda B, con cui domandava la restituzione dei frutti percepiti dal possessore; e se Caio appella solo contro la decisione di rigetto della domanda A, la Corte di Appello non può scendere all’esame della decisione con cui é stata rigettata la domanda B (per eventualmente riformarla).

Discente: Ciò evidentemente in applicazione del principio che pone il divieto di ultrapetizione: ne eat iudex ultra petita partium.

Docente: Giustissimo.

Discente: Non ti pare, però, che il legislatore non sappia cogliere il punto della questione, quando viene a dire che, se Caio impugna solo la parte A (della sentenza), non può più impugnare la sua parte B? Infatti la questione vera (a cui il legislatore deve dare soluzione), non é se Caio possa, o no, ancora impugnare la parte B, ma se il giudice dell’impugnazione possa, o no, fare oggetto del suo

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esame la parte B (della sentenza impugnata), ancorché Caio non l’abbia fatto oggetto della sua impugnazione.

Docente: Sì, che mi pare: certamente, nel secondo comma dell’art. 329, il legislatore ha male impostata la questione (anche se il suo pensiero é chiaro ed é quello di dar consacrazione in tale comma al principio tantum devolutum quantum appellatum).Del resto – ed é proprio vero che un errore ne tira un altro – il legislatore ha male formulata anche la disposizione che comporta un’eccezione al principio espresso nel secondo comma art. 329; e con ciò mi riferisco al primo comma dell’articolo 336, che recita: “La riforma o la cassazione parziale ha effetto anche sulle parti della sentenza dipendenti dalla parte riformata o cassata”.Infatti é chiaro ed é comunque pacifico che con tale disposizione, il Legislatore voglia: 1) autorizzare il giudice dell’impugnazione anche alla riforma e alla cassazione delle “parti dipendenti”; 2)autorizzarlo a tale riforma e cassazione anche se se tali “parti dipendenti” non sono state fatte oggetto di impugnazione.Invece, così com’é formulata, la disposizione si presenta come una regola di interpretazione della sentenza (emessa dal giudice dell’impugnazione); ed é infatti come se ci dicesse: “Anche se il giudice dell’impugnazione si é dimenticato di disporre sulle “parti dipendenti”(che pur sono state impugnate) tu devi intendere che egli abbia voluto riformarle o cassarle”. Senonché attribuire all’articolo 326 una tale funzione e un tale significato sarebbe sarebbe assurdo.

Discente: Perché

Dosc. Perché é assurdo che un legislatore perda tempo a contemplare un errore così grossolano e improbabile come quello di un giudice che si dimentica di provvedere su una domanda delle parti.

Discente: D’accordo, con l’articolo 336 il legislatore, in deroga all’art. 329, autorizza il giudice dell’impugnazione a riformare e cassare anche parti della sentenza non fatte oggetto di impugnazione. E allora come andrebbe riformulato il primo comma dell’articolo 336? dillo tu, dato che tanto ci tieni ad indossare le vesti del legislatore.

Docente: IL primo comma dell’articolo 336 andrebbe così riformulato: “Nonostante che l’impugnazione si limiti ad una parte della sentenza, il giudice può fare oggetto del suo esame, per eventualmente riformarle o cassarle, anche quelle parti che dipendono dalla parte direttamente impugnata”.

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Discente: Ma perché ti pare tanto importante questa riformulazione del primo comma dell’articolo 336?

Docente: Perché, messo in chiaro che, l’impugnazione della parte A di una sentenza, apre il contraddittorio anche sulla sua parte B, dalla A dipendente, diventa anche chiaro che, l’interpretazione dell’articolo 331, va fatta in stretto collegamento con quella del primo comma dell’articolo 336.

Discente: Ma che dice l’articolo 331?

Docente: L’articolo 331, in sintesi, poi vedremo meglio, stabilisce l’inammissibilità di un’impugnazione, che non sia stata notificata a tutti coloro che hanno diritto a partecipare al contraddittorio. Da qui l’importanza di stabilire su quali parti della sentenza (impugnata) si apre il contraddittorio.

Discente: Capisco: anche se Sempronio non riceve nessun beneficio o nessun danno dalla modifica della parte A (della sentenza) direttamente impugnata, avrà lo stesso diritto di partecipare al contraddittorio davanti al giudice dell’impugnazione, se la modifica della parte A può comportare modifica della parte B (non fatta oggetto di impugnazione) e, se tale modifica della parte B, può comportargli dei vantaggi o degli svantaggi.A questo punto ti domando: quando la modifica di una parte comporta quella di un’altra parte (ancorché non impugnata)?

Docente: -Risposta: quando la modifica della parte A, melius, della decisione A (del giudice impugnato) fa venir meno il presupposto logico della decisione B, con la conseguenza che il permanere nel decisum (dall’Autorità giudiziaria) della decisione B (non modificata) e della decisione A (come modificata) verrebbe a creare una contraddizione logica.Esempio: il tribunale ha rigettato la domanda di rivendica proposta da Caio (decisione A) e lo ha condannato alle spese del processo (decisione B). Caio appella chiedendo la riforma della decisione A, ma tace sulla decisione B: la riforma della decisione A, nel senso di un accoglimento della domanda di rivendica, fa cadere il presupposto logico della decisione B (condanna alle spese) e quindi giustifica la modifica anche di B.

Discente: L’esempio da te fatto é senz’altro pertinente, ma non mi pare utile ai fini del discorso che tu vuoi introdurre sull’articolo 331: puoi fare esempi utili in questo

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senso?

Docente: Eccoli di seguito.I- Esempio: A rivendica l’immobile Corneliano da B. Questi a sua volta chiama in garanzia C (che ebbe a vendergli l’immobile – art. 1485 Cod. Civ.). Il tribunale rigetta la domanda di A contro B (idest, ritiene che A non abbia titolo per rivendicare) e di conseguenza non decide sulla domanda di garanzia proposta da B contro C (ritenendo cessata tra B e C la materia del contendere): si limita a compensare le spese tra B e C. A impugna (naturalmente) contro il solo B (“naturalmente”, perché nulla gli può importare che B, in caso di soccombenza, sia risarcito da C).In tale ipotesi la riforma della decisione sulla rivendica (proposta da A contro B) potrebbe produrre i suoi effetti sulla decisione di “non procedere” (per il venir meno della “materia del contendere”) intervenuta tra B e C; questo, però, solo qualora B rinnovi la domanda di garanzia contro C (cosa che non é detto ch’egli faccia: egli potrebbe benissimo avere un ripensamento, ritenere che quella certa clausola apposta nell’atto di vendita escluda la garanzia e quindi non insistere nel richiederla).Vedremo poi, parlando dell’articolo 331, quali oneri, la situazione sopra delineata, faccia nascere tra le parti.II- Esempio: Tutto come nel primo esempio, solo che in questo secondo esempio facciamo il caso che il tribunale abbia accolto sia la domanda di rivendica, proposta da A contro B, sia la domanda di risarcimento, proposta da B contro C.Ora mettiamo che B impugni la decisione che ha accolto la rivendica (senza “toccare” la decisione che condanna al risarcimento C, che a B, ovviamente, sta più che bene): in tal caso, la riforma della decisione presa nei riguardi di A e B (riforma che escludesse il diritto di rivendica di A) senz’altro dovrebbe estendere i suoi effetti sulla decisione presa nei riguardi di B e C (nel senso ovviamente di escludere il diritto al risarcimento di B verso C).III- Esempio: Tutto come nel secondo esempio, solo che, in questo terzo esempio, facciamo il caso che sia C a prendere l’iniziativa di chiedere la riforma della decisione intervenuta tra lui e B.Orbene, se tale richiesta di riforma fosse fondata sull’inesistenza di un diritto di A (C sostiene che egli vendette bene a B, dato che egli, e non A, é il vero proprietario del fondo Corneliano), la decisione, che accogliesse tale richiesta, senza dubbio dovrebbe estendere i suoi effetti sulla decisione intervenuta tra A e B (nel senso, naturalmente, che tale decisione verrebbe capovolta: il tribunale aveva dichiarato proprietario A, la Corte invece dichiara proprietario B).Ed é importante notare che, la riforma della decisione nei riguardi di B e C, induce

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la riforma della decisione tra A e B, non già perché il coesistere, della decisione intervenuta tra B e C (decisione presa dalla Corte in riforma di quella del tribunale) e della decisione intervenuta tra A e B (decisione presa dal tribunale e, in assurda ipotesi, non riformata dalla Corte), venga a determinare una qualche impossibilità pratica nell’esecuzione di tali decisioni (assolutamente no, tale impossibilità pratica non si verifica), ma perché il coesistere di tali due decisioni viene a determinare una incompatibilità logica, nel senso che la decisione, che nega un obbligo di risarcimento a carico di C, si basa su un presupposto (l’inesistenza del diritto di proprietà di A) che confliggerebbe in pieno con la decisione tra A e B (presa dal tribunale e lasciata, in assurda ipotesi, immodificata) che dichiara l’esistenza del diritto di proprietà di A.

Discente: E se, invece, C avesse fondato semplicemente la sua richiesta di riforma, sull’inesistenza di un suo obbligo di garanzia (metti, perché tale obbligo era escluso da una clausola dell’atto di vendita)?

Docente: -In tale ipotesi, evidentemente la decisione (della Corte), che tale richiesta accogliesse, non potrebbe produrre nessun effetto sulla decisione intervenuta tra A e B.

Discente: Mi pare che possiamo considerare esaurito l’esame del primo comma dell’articolo 336 e, riservandoci di ritornare, sugli esempi prima fatti, parlando dell’articolo 331, possiamo passare all’esame del secondo comma dell’art. 336, che recita: “La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”.Dimmi, quali sono gli atti e i provvedimenti di cui fa parola la disposizione?

Docente: Sono essenzialmente gli atti e i provvedimenti a cui può aver dato luogo la esecuzione della sentenza di primo grado: l’atto con cui la parte vittoriosa (in primo grado) aveva fatto “precetto” alla soccombente di pagare tot, il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva disposta la vendita, e così via.

Discente: Chiarito questo, penso che si possa venire a parlare di quegli articoli 331, 332, la cui interpretazione é strettamente legata a quella dell’articolo 336.

Docente: No, ancor prima dobbiamo dire qualche parola su un principio molto importante, che regola la materia dell’impugnazione – e questo perché tale principio, non meno dell’articolo 336, va tenuto presente nell’interpretazione degli

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articoli 331 e 332.Questo principio é quello della “concentrazione di tutte le impugnazioni in un unico processo”. La ratio, a cui tale principio si ispira, é evidente: impedire la contraddittorietà dei giudicati e, soprattutto, economizzare la preziosa attività giurisdizionale.

Discente: Quali sono i più importanti articoli, in cui tale principio trova espressione?

Docente: Sono gli articoli: 333,335, 332.Discente: Parliamo dell’articolo 333 che (sotto la rubrica “Impugnazioni incidentali”) recita: “Le parti alle quali sono state fatte le notificazioni previste negli articoli precedenti debbono proporre, a pena di decadenza, le loro impugnazioni in via incidentale nello stesso processo”Domanda ovvia: che cosa si deve intendere per impugnazione incidentale?

Docente: La impugnazione incidentale é una domanda di riforma della sentenza che si differenzia dalla impugnazione principale (non per la importanza, maggiore o minore, della riforma domandata, ma) semplicemente per un fatto cronologico: per il fatto che é stata proposta dopo l’impugnazione principale.E’ importate, però, che tu sappia, che, non tutte le domande proposte dopo l’impugnazione principale, vanno classificate come impugnazioni incidentali.

Discente: Fammi un esempio di impugnazione, che nasce in seguito a quella principale, ma che non può considerarsi “incidentale”.

Docente: Pensa, al caso già fatto (parlando del primo comma dell’articolo 336) della parte B (la parte, ti ricordo, convenuta in rivendica da A e che, a sua volta, chiama in garanzia C) - parte B, la quale, vittoriosa in primo grado (in quanto il tribunale ha rigettato la rivendica), può, una volta che il rivendicante A torna alla carica impugnando, domandare la riforma della decisione (di non doversi procedere per intervenuta cessazione della materia del contendere) intervenuta tra lei e C. Orbene, tale domanda (della parte B), non potrebbe essere considerata una impugnazione incidentale, in quanto l’interesse a coltivarla nasce solo dalla impugnazione della parte A, per cui, venendo meno questa impugnazione e quell’ interesse, é destinata a cadere. Questo mentre, invece, le impugnazioni incidentali sono da questo caratterizzate: che anche se nascono, per così dire, al seguito dell’impugnazione principale, non cadono, se questa cade. E questo perché l’interesse a coltivarle non viene meno, anche se viene meno l’impugnazione principale: il tribunale ha riconosciuto ad A un credito di 50, mentre egli chiedeva

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100 e B, il convenuto, negava il debito. A impugna per ottenere 100, B impugna per negare ad A anche 50: l’impugnazione di B resta, anche se viene meno quella di A.

Discente: Passiamo all’articolo 335, che (sotto la rubrica “Riunione delle impugnazioni separate”) recita: “Tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo”.

Docente: Può capitare che, nonostante quel che dispone l’articolo 333, già da noi fatto oggetto di esame, e quel che dispone l’articolo 332, al cui esame in questa stessa lezione passeremo, che siano proposte separatamente più impugnazioni principali: Tizio, Caio e Sempronio, lavoratori dipendenti, sono ciascuno titolare di un autonomo diritto di credito verso lo stesso datore di lavoro, Neridio – diritto che hanno fatto valere in un unico processo (art. 103 co.1). Soccombono, e tutti e tre, addirittura all’insaputa l’uno dell’altro, propongono impugnazione. Ecco un esempio di pluralità di impugnazioni principali, che vanno riunite. Bon grè, mal grè: mentre in primo grado, melius, al momento di decidere se agire giudizialmente, Tizio, Caio e Sempronio erano liberi di percorrere strade diverse (fuori di metafora, di adire giudici diversi), ora, in sede di impugnazione, non lo sono più.Ed ora de hoc satis. Passiamo veramente a parlare degli articoli 331 e 332.

Discente: Articoli che io di seguito riporto.Art. 331 (che porta la rubrica “Integrazione del contraddittorio in cause inscindibili”): “Se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti non é stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se é necessario, l’udienza di comparizione. - L’impugnazione é dichiarata inammissibile se nessuna delle parti provvede”.Articolo 332 (la cui rubrica recita “Notificazione dell’impugnazione relativa a cause scindibili”): “Se la impugnazione di una sentenza pronunciata in cause scindibili é stata proposta soltanto soltanto da alcua delle parti o nei confronti di alcune di esse, il giudice ne ordina la notificazione alle altre, in confronto delle quali l’impugnazione non é preclusa o esclusa, fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se é necessario, l’udienza di comparizione.- Se la notificazione ordinata dal giudice non avviene, il processo rimane sospeso fino a che non siano decorsi i termini previsti negli artt. 325 e 327 primo comma”.

Docente: Cominciamo ad osservare che i soggetti, che hanno preso parte al precedente grado di giudizio, possono essere distinti in due grandi categorie: quella

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dei soggetti (previsti dall’art. 331) che debbono essere convenuti in giudizio (e a cui, se non sono stati convenuti va notificato, a pena di inammissibilità, un “atto di integrazione”) e quelli, che non debbono essere convenuti in giudizio, ma a cui va notificato solamente l’atto di impugnazione (con la conseguenza, in caso di difetto di tale notificazione, solo di una breve battuta di arresto del processo – vedi co.2 art. 332).

Discente: Parliamo dei soggetti, che rientrano nella prima categoria: chi sono?Docente: Sono i soggetti, che hanno partecipato con os ad loquendum (idest, col potere di depositare scritti difensivi, fare istanze....), o alla controversia, la cui decisione é stata fatta direttamente oggetto di impugnazione (ponga mente il nostro paziente lettore all’esempio sub I, portato da noi a commento dell’articolo 336, e alla controversia tra A, il rivendicante la proprietà del fondo, e B, il suo possessore) oppure alla controversia, a cui si potrebbero estendere gli effetti di una riforma della prima (che, ponendo mente sempre all’esempio sub I, sarebbe la controversia tra B, il chiamante in garanzia, e C, il chiamato in garanzia).

Discente: Quando tu parli di parti delle cause (A- B) e (B- C) (chi ci legge faccia sempre riferimento all’esempio sub I introdotto a commento dell’art. 336), ti riferisci anche a chi in tale cause fosse intervenuto ai sensi dell’articolo 105?

Docente: Certamente: la partecipazione dell’interveniente, che in primo grado era facoltativa, nei gradi successivi non lo é più: egli diventa un litisconsorte necessario.

Discente: Ma le parti della causa “dipendente”, debbono essere convenute nel giudizio di impugnazione, anche quando, un’eventuale riforma della decisione sulla causa “principale”, non può avere per loro se non riflessi positivi, in quanto per loro può cambiare solo in meglio la causa “dipendente” (pensa all’esempio sub II, da te fatto in commento dell’art. 336: la modifica, in sede di appello, della decisione, che aveva accolta la domanda di rivendica di A, non può che essere favorevole per C, che, come garante, era stato condannato al risarcimento sul presupposto dell’evizione di B) -?

Docente: Certamente, sì, dato che le parti nella causa “dipendente” (con riferimento all’esempio, la parte C) hanno pur sempre interesse a svolgere un’attività volta alla riforma (a loro favore, sia pure indirettamente) della decisione sulla causa principale.

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Discente: Ritorniamo all’esempio sub I: la domanda, del rivendicante A, contro il possessore B é stata rigettata e nella causa “dipendente”, nata dalla chiamata in garanzia di C a iniziativa di B, é stata pronunciata sentenza di non doversi procedere: se il rivendicante A, insofferente della sconfitta, impugna chiedendo l’accoglimento di quella rivendica rigettata in primo grado, egli, oltre, naturalmente, all’onere di convenire in giudizio B, il possessore, ha anche l’onere di convenire in giudizio C, il garante di B? Il dubbio mi nasce dalla considerazione del fatto che, in definitiva, la esposizione di C al rischio di una reformatio in peius dipende da una decisione di B (solo se questi decide di chiedere la riforma della decisione di non doversi procedere intervenuta tra lui e C e di rinnovare la chiamata in garanzia, sorge per C il rischio di una reformatio in peius, come conseguenza della riforma della decisione della controversia principale) - ed A, al momento in cui deve decidere chi convenire in giudizio, non può sapere quale decisione prenderà B.

Docente: Il tuo dubbio é più che legittimo; ma io ritengo che ragioni di semplificazione e di economizzazione della attività processuale, impongano di gravare A dell’onere di convenire in giudizio, oltre che B, anche C. Vorrà dire che il giudice, se rileverà che, nella sua comparsa di costituzione, B non ha domandato la riforma della sentenza di non doversi procedere, estrometterà C dal processo.

Discente: Abbiamo visto chi sono le parti (nel giudizio di primo grado) che debbono essere convenute in giudizio. Vediamo ora chi sono le parti (sempre del giudizio di primo grado) a cui va solamente notificato l’atto di impugnazione.

Docente: La loro individuazione si opera molto semplicemente per esclusione: esse sono tutte quelle parti che l’impugnante non ha l’onere di convenire (in giudizio). Pensa all’esempio gia fatto in commento all’art. 335: Tizio, Caio, Sempronio, agendo in litisconsorzio facoltativo (art. 103), hanno proposto tre domande autonome contro il loro datore di lavoro, Neridio. In tutte le tre cause vi é soccombenza reciproca, in quanto tutti e tre i prestatori d’opera hanno ottenuto solo 50, mentre avevano chiesto 100. Però Neridio impugna solo contro Caio. Nonostante ciò, deve notificare il suo atto di appello anche contro, Tizio e Sempronio

Discente: Perché?

Docente: Per gravarli dell’onere di proporre la loro eventuale impugnazione incidentale nel processo da lui iniziato (art. 333 già da noi visitato – principio della concentrazione delle impugnazioni).

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Discente: E direi anche per gravarle dell’onere di proporre la loro eventuale impugnazione (incidentale) nel termine breve previsto dall’articolo 325.

Docente: Questo io lo negherei: infatti, tale termine, l’articolo 326 lo fa decorrere solo dalla notifica della sentenza, e non anche dalla notifica dell’atto di impugnazione. E ciò é giusto: la notifica dell’atto di impugnazione non dà al notificato quella piena conoscenza della sentenza voluta dal legislatore per sanzionare, la sua inerzia nell’impugnare (nel termine breve dell’art. 325), con la decadenza.

Discente: Riprendiamo l’esempio prima fatto, ma mettiamo che il giudice non abbia dato un colpo alla botte e l’altro al cerchio, ma abbia dato tutta la ragione agli attori e tutto il torto al loro datore di lavoro, Neridio. Questi vuole impugnare, ma solo contro Caio: ha l’onere di notificare il suo atto di appello anche contro Tizio e Sempronio?

Docente: Chiaramente, no: Tizio e Sempronio, essendo vittoriosi, non potrebbero impugnare, quindi nel caso non esiste quel rischio di più processi d’impugnazione pendenti davanti a giudici diversi, che il legislatore vuole evitare, da una parte, imponendo la notifica dell’atto di impugnazione, e, dall’altra, imponendo ai notificati di proporre le loro impugnazioni davanti al giudice, dal notificante, adito.

Lezione 63 - Limiti all’effetto devolutivo nel giudizio di appello

Docente: I poteri decisionali del giudice di appello sono limitati dal disposto degli articoli 345, 329,346,342.

Discente: Cominciamo a vedere quali limiti pone l’articolo 345, il quale (sotto la rubrica “Domande ed eccezioni nuove”) recita: “Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. - Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.- Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre

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deferirsi il giuramento decisorio”. A te la parola.

Docente: Domande ed eccezioni nuove (nuove rispetto a quelle avanzate nell’atto di citazione e nella comparsa di risposta) erano già interdette alle parti in primo grado (art. 183). E sarebbe assurdo che domande ed eccezioni interdette in primo grado potessero essere avanzate nel secondo grado di giudizio.Per il resto mi limito ad alcune puntualizzazioni.Prima puntualizzazione: mentre in primo grado il novum veniva dichiarato inammissibile su eccezione di parte, in secondo grado viene dichiarato inammissibile d’ufficio. (E, nonostante il silenzio della norma, la rilevabilità d’ufficio riguarda a mio parere, non solo le domande, ma anche le eccezioni).Seconda puntualizzazione: l’eccezione al divieto di introduzione del novum in appello fatta nella seconda parte del primo comma (domande aventi ad oggetto gli interessi ecc.ecc.) si giustifica con ragioni di economia processuale sia per la parte (che altrimenti per far valere le domande de quibus sarebbe costretta ad iniziare un nuovo processo) sia anche per l’ufficio (dato che altrimenti un nuovo giudice sarebbe costretto a ristudiarsi cose, che il giudice dell’appello già deve studiare). Terza puntualizzazione: non possono considerarsi “nuovi mezzi di prova”, quelli dedotti in primo grado e non ammessi.Quarta puntualizzazione: l’eccezione alla regola dell’inammissibilità di nuovi mezzi di prova e di nuovi documenti, stabilita nella seconda parte del terzo comma, é evidentemente un’applicazione del principio espresso dall’art. 184bis.Prima di passare all’esame del secondo articolo, che pone limiti ai poteri del giudice, voglio attirare la tua attenzione sull’articolo 344, in quanto esso é ispirato alla stessa ratio, che ispira il divieto del novum in appello: l’esigenza di circoscrivere al massimo la materia da decidersi dal giudice di seconde cure. Questo articolo recita: “Nel giudizio d’appello é ammesso soltanto l’intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art. 404”.L’eccezione al divieto di intervento, prevista per coloro che potrebbero proporre opposizione, si spiega facilmente con ragioni di economia processuale.

Discente: Passiamo al secondo articolo che pone limiti ai poteri del giudice di appello. E’ l’articolo 329; che però noi abbiamo già fatto oggetto di esame.

Docente: Sì, però va richiamato in questa sede perché pur sempre pone un limite al giudice di appello: quello di non poter riformare quelle decisioni del giudice di primo grado a cui le parti hanno fatto acquiescenza.

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Discente: Passiamo allora al terzo articolo che pone limiti al potere del giudice. E’ l’articolo 346, che (sotto la rubrica, “Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte”) recita: “Le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”.Fai qualche esempio di applicazione di questo articolo.

Docente: Primo esempio: Sempronio in primo grado ha sostenuto di aver pagato il debito e che, comunque, questo é prescritto. Probus I rigetta entrambe le eccezioni. Sempronio appella deducendo solo il pagamento del debito: non può più proporre l’eccezione di prescrizione.Secondo esempio: Caio ha rivendicata la proprietà del fondo Corneliano assumendo, in via principale, di averla acquistata stipulando un contratto di compravendita, in via subordinata di aver usucapito il fondo. Probus I rigetta entrambe le domande (melius, rigetta la rivendica disattendendo entrambe le causae petendi). Caio nell’atto di appello, per dimostrare il suo diritto di proprietà, deduce solo la stipula della compravendita: decade dalla possibilità di far valere, davanti al giudice di appello, la usucapione.

Discente: L’articolo parla di “domande” non riproposte, mentre nel tuo secondo esempio, a non essere riproposta, non é una domanda, ma una causa petendi (cioè, uno dei possibili fatti costitutivi del diritto di proprietà vantato da Caio).

Docente: Hai ragione, ma va ritenuto che, nell’articolo in questione, il Legislatore minus dixit quam voluit. Però che l’attore decada dalla possibilità di far valere in appello un fatto costitutivo da lui non riproposto nell’impugnazione, é imposto dalla considerazione che il convenuto é fatto decadere da un fatto modificativo o estintivo, da lui non riproposto.

Discente: Vanno riproposte solo le domande e le eccezioni di merito o anche le istanze istruttorie (metti l’istanza volta all’ammissione di un teste e rigettata) e le eccezioni di rito (metti l’eccezione volta a far dichiarare l’inammissibilità di un teste)?

Docente: Io ritengo che vadano riproposte anche le istanze istruttorie e le eccezioni di rito (ma questa mia opinione, lo riconosco, é discutibile).

Discente: Questo onere (di riproporre le eccezioni, le domande, fatte valere in primo grado) grava solo sull’impugnante?

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Docente: Io ritengo di no; io ritengo che gravi anche sulla parte che resiste all’impugnazione. Esempio: Caio rivendica contro Sempronio, che lo possiede, il fondo Corneliano, sostenendo di averlo comprato o, comunque, di averlo usucapito. Probus I gli dà ragione: é vero, Caio ha usucapito. Sempronio impugna: Caio se, nella sua comparsa di risposta, non ripropone anche la domanda (melius, la causa petendi) fondata sull’acquisto, mediante contratto, del fondo, perde la possibilità di farla valere (nel caso il giudice Probus II, accettando la tesi di Sempronio, ritenesse inesistente la usucapione).

Discente: Nel giudizio di primo grado Caio ha proposto contro Sempronio le domande A e B. Il giudice le ha rigettate entrambe. Caio appella: Sempronio ha l’onere di riproporre le difese (bada, parlo di semplici difese, non di eccezioni) avanzate in primo grado?

Docente: Io ritengo di sì (ma anche qui riconosco di esprimere un’opinione discutibile).Procedi ora alla lettura dell’ultimo degli articoli che pongono limiti ai poteri del giudice, l’articolo 342, Limitati a riportarne però solo i punti relativi alla motivazione

Discente: L’articolo 342, (sotto la rubrica “Forma dell’appello”) e limitatamente ai punti che attengono alla motivazione, recita: “L’appello deve essere motivato. La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.Però che c’entra questo articolo con l’argomento dei limiti ai poteri del giudice? E’ chiaro che, se, la motivazione essendo mancante o deficiente, l’atto di appello é inammissibile, il giudice ha l’unico potere.....di dichiarare inammissibile l’appello.

Docente: Certo, é come tu dici, nel caso la mancanza o la deficienza della motivazione sia tale da impedire di individuare la decisione contro cui la parte intende gravarsi. Però può accadere che, il tenore della motivazione, renda chiaro che la parte chiede la riforma, metti, delle decisioni, A e B, (prese dal giudice di prime cure) e che la richiesta di riforma della decisione A sia motivata, mentre quella di riforma della decisione B, non lo sia. E ciò comporterà che mentre il giudice di appello potrà riformare la decisione A, non potrà riformare la decisione B. Tutto questo dico per farti comprendere perché l’articolo 342 c’entri con

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l’argomento sui limiti dei poteri del giudice (d’appello).

Discente: Ho capito. Procedi allora a un commento, sia pur breve, anche dell’articolo 342.

Docente: Non é facile commentare tale disposizione, dato che trattasi di disposizione estremamente confusa. Farò il tentativo.Cominciamo dal primo requisito richiesto alla motivazione: la sua idoneità ad indicare “le parti del provvedimento che si intende appellare”. Il legislatore ritiene inammissibile un appello confortato da una motivazione generica, del tipo “La sentenza del tribunale di Canicattì é ingiusta, contraria alla legge e gravatoria per cui se ne chiede la riforma”. Tutto qui. No, la parte deve indicare le decisioni (alias, le “parti”) di cui chiede la riforma.Ci si aspetterebbe, a questo punto, che il legislatore imponesse alla parte di indicare anche in che senso vuole sia operata la riforma della decisione impugnata. Il legislatore non lo fa: lo fa l’interprete: se tu, convenuto, dici di volerti gravare contro la decisione, che ti ha condannato al risarcimento, devi anche chiarire in che senso vuoi riformata tale decisione (nel senso di escludere totalmente il diritto al risarcimento? di ridurlo?....).

Discente: Veniamo al secondo requisito della motivazione voluto dal legislatore: l’indicazione delle “modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado”. Che comporta tale requisito?

Docente: Comporta che tu, attore, dovrai, non solo contestare, ma correggere, quelle decisioni con cui il giudice di prime cure ha ritenuta l’inesistenza di un fatto costitutivo da te dedotto o l’esistenza di un fatto impeditivo o estintivo dedotto dal convenuto. E mutatis mutandis lo stesso deve fare il convenuto appellante.

Discente: Ma la parte deve anche preoccuparsi di contestare gli errori, in cui é caduto il giuidce ritenendo l’esistenza o l’inesistenza, non di fatti “giuridici” (idest, i fatti costitutivi, impeditivi, estintivi, modificativi di cui all’art.2697 Cod.Civ.), ma di fatti “semplici” (di fatti cioé posti a base di una presunzione)?

Docente: No, ciò é da escludersi; così com’é da escludersi che la parte abbia l’onere di argomentare sulla attendibilità delle prove.

Discente: Passiamo all’ultimo requisito preteso dal legislatore per la ritualità della motivazione: la “indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge

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e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”. Cosa comporta questo requisito?

Docente: Comporta che la parte deve indicare e correggere gli errori di diritto, che hanno condotto il giudice a ritenere un fatto, come costitutivo o impeditivo o modificativo o estintivo di un diritto, mentre tale non é; o, viceversa l’hanno condotto a ritenere un fatto, come non costitutivo, impeditivo, estintivo di un diritto, mentre tale é.c.- La parte deve preoccuparsi di censurare errori di diritto commessi dal giudice ma su altri punti (ad esempio sull’ammissibilità di una prova)?

Docente: Lo escluderei (salvo l’onere della parte, che si sia vista rigettare l’istanza istruttoria volta all’ammissione di una prova, di riproporla ai sensi dell’art. 346).

Lezione 64 - La revocazione

Discente: Che cosa si intende per revocazione?Docente: Si intende un speciale mezzo di impugnazione, esperibile nei casi indicati (tassativamente!) dal legislatore negli articoli 396, 397. Casi a dir il vero piuttosto eterogenei tra loro, ma che hanno in comune la caratteristica di rendere così probabile l’esistenza dell’errore in una sentenza, da convincere il legislatore di due cose: I- quella di ammettere - nelle ipotesi in cui un giudizio di appello non fosse praticabile (perché già celebratosi o perché già fossero scaduti i termini utili per provocarlo....) - la revoca della sentenza sospetta, a prescindere da quell’indicazione di una sua effettiva erroneità, a cui invece é subordinata la ammissibilità di un “appello” (revoca beninteso subito colmata da un nuovo esame della causa che potrebbe, o no, portare a una sentenza diversa); II- quella di attribuire la competenza alla revoca allo stesso giudice (melius, allo stesso ufficio giudiziario) che ha emesso la sentenza sospetta.Un certo numero di casi contemplati negli articoli 395 e 397 (casi di “revoca straordinaria” opposti agli altri casi di “revoca ordinaria”) sono altresì caratterizzati dal fatto che possono portare all’impugnazione della sentenza sospetta anche quando questa è passata in giudicato – ma questo lo abbiamo già visto in una precedente lezione.Alcune cose che ora ti ho detto, bada, sono discutibili, e sono in effetti discusse tra gli Studiosi. In particolare é discusso se il giudizio che segue alla revocazione si svolga in due fasi, una rescindente e una rescissoria (com’é per il giudizio di cassazione, ma con la differenza che, nel giudizio di revocazione, tali due fasi

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sarebbero, per così dire, gestite, da uno stesso giudice nello stesso giudizio).La verità é che la disciplina legislativa di questo mezzo di impugnazione é molto confusa e lascia aperte molte questioni.

Discente: Questioni che non é il caso di approfondire in un’opera istituzionale come la nostra. Per cui passiamo subito all’esame dei casi di revocazione.Cominciamo dai casi contemplati nell’articolo 395, che recita:“Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra:se si é giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;se la sentenza é l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi é questo errore quando la decisione é fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità é positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altor caso se il fatto o costituì u punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; se la sentenza é contraria ad altra precedente avente fra le parti autoirtà di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;se la sentenza é effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato”.A te il commento. Comincia naturalmente dal “caso” previsto dal numero uno: quando la sentenza può dirsi effetto del dolo di una parte in danno dell’altra? quando il difensore (o la parte) é venuto meno all’obbligo di “lealtà e probità” di cui all’articolo 88?

Docente: Alcuni lo sostengono, per concluderne che anche la semplice negazione di un fatto, che si sa veritiero, può giustificare la revocazione. E certamente non si può negare che, nel caso, un comportamento doloso ci sia e che questo possa dare luogo a una soccombenza ingiusta della controparte. Altri ritengono che per rendere possibile la revoca non basti un comportamento doloso, ma occorra che con tale comportamento la parte sia riuscita a menomare i diritti di difesa dell’avversario e quindi la funzionabilità del contraddittorio (al collega che ti richiede, in via di cortesia, la data in cui sarà l’udienza di discussione della causa, tu dai una data scientemente errata).Io aderisco a questa seconda interpretazione, ma ritengo che, oltre che nei casi di

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dolosa menomazione del contraddittorio, la revocazione sia ammissibile in altri casi; ad esempio, nel caso della corruzione di un teste, a che testimoni il falso, o della falsificazione di un verbale di causa (….).Comunque sia, va sottolineato che non basta il dolo della parte, per legittimare la revocazione: occorre che la sentenza sia l’effetto di questo dolo. Per fare riferimento a un esempio prima fatto, se il giudice, nella sua sentenza, non avesse ritenuto provato il fatto per cui erano stati dedotti i testi corrotti, la revocazione non sarebbe ammissibile.

Discente: Passiamo al secondo caso di revocazione: la revocazione ammessa quando “si é giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza”.

Docente: Anche per questo caso va ripetuta l’osservazione prima fatta: non basta che nel processo siano state dedotte prove false, occorre che la sentenza sia l’effetto di tali prove.

Discente: Basta che le prove de quibus siano dichiarate false nella motivazione di una sentenza (ovviamente di un giudice diverso da quello che se ne é lasciato convincere)?

Docente: No. Occorre che siano dichiarate false nel dispositivo (della sentenza, che conclude un processo penale per falso o anche un processo civile nato da una querela di falso).

Discente: Quando si può parlare di un “riconoscimento” della falsità, idoneo a legittimare la revocazione?

Docente: Quando tale riconoscimento ha un’efficacia probatoria pari o quasi pari alla dichiarazione di falsità da parte di un giudice; quindi deve provenire o dalla controparte o dall’autore del falso documento o da chi ha resa la falsa testimonianza.

Discente: Passiamo al caso sub 3: “(La sentenza può essere revocata se dopo di essa) sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario”.

Docente: La norma parla di “documenti decisivi”; e ciò esclude che possa

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legittimare la revocazione il reperimento di nuovi testi.Attiro ancora la tua attenzione sul fatto che non rileva (e non fa decorrere il termine per la proposizione dell’impugnazione) la semplice conoscenza che la parte abbia dell’esistenza del documento: quel che conta é l’acquisita disponibilità del documento: é dal momento in cui la parte ha acquisita la disponibilità del documento, che decorre il termine per l’impugnazione.Ciò é (abbastanza) pacifico; e ci porta a ritenere, ritornando ai numeri uno e due già visitati, che non basti a far decorrere il termine utile per la revocazione, la semplice conoscenza del “fatto” in tali numeri previsto (idest, del dolo, del riconoscimento della falsità....): occorre altresì che la parte abbia acquisita la disponibilità della prova di tale fatto.

Discente: Passiamo al motivo di revocazione sub 4: “(La sentenza può essere revocata se) è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi é questo errore quando la decisione é fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità é incontrastabilmente esclusa, oppure quando é supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità é positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.Docente: Non occorre (per giustificare la revocazione) che il “fatto” (la cui esistenza o inesistenza é supposta erroneamente dal giudice) sia stato “pacifico” tra le parti (cioé da tutte loro ammesso come vero); basta che: 1) non sia stato oggetto di contestazione; 2) la sua esistenza (o inesistenza) risulti da chiare prove.

Discente: Passiamo al motivo sub 5: (“La revocazione é ammessa anche quando) la sentenza é contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione”.

Docente: La revocazione della sentenza B sarà ammissibile solo se: 1) la sentenza A (che dispone in senso a lei contrario) sia passata in giudicato (se non lo fosse dovrebbero applicarsi gli articoli: 39, 40 oppure 273,274 oppure l’articolo 295); 2) la sentenza A sia “precedente” (ben inteso “precedente” all’eventuale passaggio in giudicato della sentenza B: se invece questa fosse passata in giudicato e questo passaggio in giudicato fosse “precedente” a quello intervenuto per la sentenza A, sarebbe questa sentenza A ad essere soggetta a revocazione);3) se il giudice della sentenza B “non ha pronunciato sulla relativa eccezione” (se avesse pronunciato sulla relativa eccezione, l’unico rimedio al suo errore sarebbe il ricorso in cassazione).

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Discente: Passiamo infine al numero sub 6: “(La revocazione é ammessa) se la sentenza é effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giuidcato”.

Docente: E’ questo il caso del giudice che dà ragione alla parte A pur essendo convinto che abbia ragione la parte B. Naturalmente – dato che Solus deus est scrutator cordium – la prova del dolo si ricaverà da fatti esterni; ad esempio, l’aver, il giudice, ricevuti dei denari.

Discente: Per completezza passiamo ora all’esame dei casi previsti dall’articolo 397; il quale recita: “Nelle cause in cui l’intervento del pubblico ministero é obbligatorio a norma dell’art. 70 primo comma, le sentenze previste nei due articoli precedenti possono essere impugnate per revocazione dal pubblico ministero: 1) quando la sentenza é stata pronunciata senza che egli sia stato sentito; 2) quando la sentenza é l’effetto della collusione posta in opera dalle parti per frodare la legge”.A te la parola.

Docente: Data la scarsa importanza dell’articolo possiamo limitarci a un commento....telegrafico.Anche per il pubblico ministero vale la regola che la revocazione é ammissibile solo quando sono chiuse le porte dell’appello.Il primo motivo di revocazione si giustifica, con le stesse ragioni con cui si giustifica l’annullamento della sentenza, che definisce un processo per cui non sia stata citata una parte: é mancato il contraddittorio, ciò giustifica il sospetto che la sentenza sia erronea.In definitiva anche il secondo motivo di revocazione si giustifica con una deficienza del contraddittorio (dovuta alla collusione delle parti).

Discente: Ma, nell’ipotesi di cui al secondo motivo, é pur vero che il pubblico ministero poteva attivarsi per rendere innocua la collusione delle parti.

Docente: Ma il legislatore ben sa quanti sono numerosi gli incombenti che impediscono al pubblico ministero di partecipare attivamente a una causa e quali difficoltà egli trovi a conoscere bene i fatti di causa. E quindi ritiene di dare a lui quella chance che rifiuta a una qualsiasi altra parte.

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Lezione 65 - Opposizione di terzo

Discente: Che si intende per opposizione di terzo?

Docente: S’intende il mezzo di impugnazione di una sentenza dato, non a chi é stato parte del processo, con tale sentenza, conclusosi, ma a chi, a tale processo, non ha partecipato, a un terzo, appunto.Esso é caratterizzato dal fatto: 1) che si propone solo “contro una sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva” (art. 404 co.1); 2) si propone “davanti allo stesso giudice che ha pronunciato tale sentenza” (art. 405 co.1);3) si introduce e si svolge con l’osservanza delle norme previste per il procedimento davanti a questo giudice (art. 405 co.1, art. 406 co.1)

Discente: Quindi, se io dovrò fare opposizione contro la sentenza del tribunale di Genova, citerò il mio avversario davanti al tribunale di Genova; se io dovrò fare opposizione contro la sentenza della Corte di Appello di Genova, citerò il mio avversario davanti alla Corte di Appello di Genova, e osserverò nel susseguente procedimento le norme dettate dal codice per il giudizio di appello. A questo punto io so come si propone l’opposizione, ma non so ancora quando si può proporla.

Docente: Né sei il solo a non saperlo, dato che si tratta di questione non facile a risolvere. Nella speranza di aiutarti a comprendere almeno i termini, in cui tale questione si pone, comincerò a dirti che il nostro codice conosce due opposizioni di terzo: l’opposizione ordinaria e la opposizione revocatoria. Entrambe sono previste dall’articolo 404.La opposizione ordinaria, é prevista nel suo primo comma, che recita: “Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti”.La opposizione revocatoria, é prevista nel suo secondo comma, che recita: “Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando é l’effetto di dolo o collusione a loro danno”.

Discente: Cominciamo a parlare della opposizione ordinaria. Quel che non capisco é come possa, una sentenza inter alios acta, pregiudicare i diritti di un terzo: non vale il principio res inter alios iudicata tertio non nocet?

Docente: Certo che vale, ma come tutti i principi, che si rispettano, ha le sue brave eccezioni. Ora anche una sentenza può eccezionalmente recare pregiudizio a un

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terzo.Te ne faccio tre esempi.Primo esempio: Cornelio conviene in un giudizio divisorio, Tizio e Sempronio. Si costituisce Tizio. Si costituisce anche Sempronio, però non direttamente, ma nella persona del procuratore Plinio. Si fa la divisione: l’immobile A, va a Cornelio, l’immobile B a Tizio, l’immobile C a Sempronio. Tutto o.k.? Di che potrebbe lamentarsi Sempronio? Di niente, se non ci fosse questo piccolo particolare: che egli non si é mai neanche sognato di nominare suo procuratore Plinio. Esistendo questo “piccolo particolare” la sentenza viene a pregiudicare Sempronio (che avrebbe voluto l’immobile A e si é visto attribuire quello C). Secondo esempio: Caio conviene in giudizio Cornelio, ritenendolo proprietario del fondo finitimo, per sentirlo condannare all’abbattimento di un certo muretto (che gli dà fastidio). Il giudice accoglie la domanda proposta da Caio: il muretto va demolito. Tutto bene? Sì, se non ci fosse il piccolo particolare che proprietario del fondo finitimo non é Cornelio ma Tizio, che rischia che da un giorno all’altro la sentenza venga eseguita e il suo bel muretto distrutto.Terzo esempio: Tizio ottiene contro Sempronio una sentenza che lo dichiara proprietario del fondo A. Tutto bene? No, perché anche qui c’é il piccolo particolare che....proprietario di A é un “terzo”, Cornelio (e non la persona convenuta in giudizio). Il quale Cornelio vorrebbe vendere tale fondo A, ma non trova compratori in quanto la gente si astiene dal comprare, perché, messa in sospetto della sentenza che dichiara Tizio proprietario, teme di comprare, comprando da Sempronio, da chi non ha il potere di vendere.

Discente: Capisco, in tutti e tre i casi fatti, il terzo ha un unico modo, per evitare il pregiudizio che gli arreca la sentenza, fare contro di essa opposizione di terzo.

Docente: Certamente così é perTizio (il “terzo” nel secondo esempio da noi fatto): se Tizio vuol salvare il suo bel muretto dalla demolizione, deve senz’altro fare opposizione e chiedere, ai sensi dell’articolo 407, che l’esecuzione della sentenza venga sospesa.A dir il vero però non é così, per il Sempronio (del primo esempio da noi fatto) e per il Cornelio (del terzo esempio). Sempronio infatti potrebbe evitare il pregiudizio, esperendo una actio nullitatis, e Cornelio, esperendo un’azione di accertamento negativo.

Discente: Ma non potrebbero alternativamente fare opposizione di terzo?

Docente: E’ questo uno dei tanti problemi che pone il mezzo di impugnazione che

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stiamo studiando.

Discente: Passiamo a esaminare l’opposizione di terzo revocatoria: possono proporla tutti coloro che per legge sono esposti ai suoi effetti negativi?

Docente: No, solo gli aventi causa e i creditori. Quindi non potrebbero fare opposizione contro la sentenza che condanna, al pagamento di una somma, una società o un condominio, il socio o il condomino, ancorché tale sentenza sia per loro senza dubbio pregiudizievole e ancorché tale sentenza sia frutto di una collusione tra l’amministratore e la controparte.

Discente: Un esempio di applicazione dell’opposizione revocatoria?

Docente: Facile. Caio oppresso dei debiti, vuole salvare dalle grinfie dei creditori almeno uno dei suoi immobili, il più prezioso. Che fa? Si mette d’accordo con Sempronio: tu sostieni di aver usucapito la mia bella villa e io....starò zitto: poi faremo a metà. Quando il creditore si accorgerà della collusione (se se ne accorgerà) potrà fare opposizione alla sentenza che ne é frutto.

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CAPITOLO OTTAVO

MOMENTI SALIENTI DEL PROCESSO

Lezione 66 - Primi passi (nell’iter processuale) dell’attore

(Attenzione le note sono in calce alla lezione)

Bussa alla porta dell’Avvocato il sig. Rossi: ha subito un torto, un grosso torto dal sig. Bianchi e questi non vuole sentire ragioni: bisogna fargli causa.Qui comincia uno dei compiti più delicati dell’avvocato: cercare di ricostruire, al di là dell’esposizione (quasi sempre confusa e caotica) del cliente, il vero svolgersi dei fatti.A questo compito (si ripete, delicatissimo) l’avvocato spesso é costretto a riservare più sedute; perché la verità spesso emerge lentamente ed é importantissimo che essa emerga prima che la causa sia radicata: poi potrebbe essere troppo tardi: tu, cliente, mi dici che possiedi da tot anni quell’immobile, e va bene; mi dici che ne hai sempre disposto come un proprietario, e va bene; ma se non mi dici che a un certo momento é intervenuto quell’atto o quel comportamento così e colà capace di interrompere la usucapione e la cosa salta fuori a processo già iniziato....allora sono guai: perdi la causa e ce ne rimetti le spese (tue e dell’avversario).L’avvocato dunque approfondisce bene le cose; poi....le approfondisce ancora, e infine si convince: sì, il cliente ha ragione, quel diritto di credito (metti), che il cliente pretende di avere, esiste davvero, se si fa la causa la si vince.Allora, sì, l’avvocato Cicero - date al cliente le dovute informative (1), esperita, se dovuta o opportuna, la procedura di mediazione (2), ottenuta la necessasia procura (3) - inizia la causa.La inizia (naturalmente) con la redazione di un atto di citazione (o, più raramente, di un ricorso).

Docente: A questo punto poni mente ai documenti 3 e seguenti (riportati nella parte terza del libro, intitolata “Documenti”) e alle freccette di cui li abbiamo costellati: riproducono un atto di citazione tratto “dal vivo” e il suo esame ci farà capire come si dà applicazione pratica all’art. 163. (4).Freccia 1 (Doc. 5): indica l’ufficio giudiziario competente a decidere la causa (il giudice non potrebbe essere indicato da chi redige l’atto di citazione per la semplicissima ragione che egli al momento non lo conosce ancora, non sa se a

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giudicare sarà chiamato il dott. Severi o il dott. Gentile). L’osservanza del disposto del n. 1 art. 163 é rafforzata dall’intestazione dell’atto al “Tribunale di Genova”; intestazione (v. Doc. 3) fatta secondo l’uso forense di indicare, proprio all’inizio di ogni atto, l’Ufficio a cui é rivolto.Freccia 2 (Doc. 3): si appunta là dove si ottempera al disposto del n.2 art.163 (che indica come le parti vanno individuate a seconda che si tratti, di attore, convenuto, persona giuridica....). Nel caso l’attore é una società: si noti come la sua sede sia individuata solo dal Comune in cui si trova (“Srl CE corrente in Genova”), senza l’indicazione della via e del numero civico. E in effetti il n.2 art.163 non impone di indicare la ubicazione di tale sede. Va anche rilevato che autorevolmente si sostiene che l’omissione della residenza dell’attore-persona fisica (la cui indicazione é invece dovuta per il numero 2 art. 163) non determina nessuna nullità.

Discente: E in effetti – mentre l’indicazione, della “residenza o del domicilio o della dimora” del convenuto, é destinata evidentemente a permettere all’ufficiale giudiziario (a cui l’atto di citazione, ai sensi dell’ultimo comma art. 163, va consegnato) di eseguire la notifica (dell’atto stesso – v. art. 139) - a che cosa mai può servire l’indicazione della residenza dell’attore? A nulla, mi pare, dato che, se il giudice o il convenuto dovessero fare all’attore delle comunicazioni e delle notifiche, le potrebbero agevolmente fare, per il disposto dell’art. 170, nella persona del suo procuratore, il cui nome va indicato nell’atto di citazione per il n 6 art. 163 e il cui domicilio (che, comunque, nel Doc. 3 vedo indicato dalla freccia 10) é facilmente reperibile mediante una facile consultazione dell’Albo professionale.

Docente: Tutto vero quello che tu dici sulla facile reperibilità del domicilio del procuratore (presso cui le notifiche vanno fatte per l’art.170). Però, anche a voler prescindere dei casi in cui l’attore si costituisce di persona, é anche vero che può capitare che l’attore non si costituisca in giudizio e allora alcune notifiche – in particolare quelle delle ordinanze che dispongono il giuramento o l’interrogatorio - vanno a lui di persona (v. melius, l’art. 292), dal convenuto, notificate; cosa per cui questi deve essere messo in grado di reperire la sua residenza. Inoltre, anche quando l’attore si é costituito, non vanno fatte al suo procuratore, ma a lui di persona alcune notifiche (di speciale importanza: ad esempio, la notifica dell’ordinanza che ammette il giuramento decisorio – v. art 237 co.2).A questo punto – dopo aver segnalato il difetto di quella indicazione del codice fiscale del’attore (al tempo in cui fu redatto l’atto non dovuta ma) ora, dal numero 2, é pretesa (sia per l’attore che per il convenuto) - passiamo all’esame del punto indicato dalle frecce 2bis e 4bis (vedi rispettivamente Doc. 3 e Doc. 5). La freccia

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2bis si appunta là dove si fa indicazione dello “organo che ha la rappresentanza in giudizio” (v. n.2 ult. Parte art.163) della società attrice. La freccia 4bis si appunta dove si fa indicazione dell’organo che rappresenta il condominio convenuto. Noterai che chi ha redatto l’atto ha indicato non solo l’organo ma anche la persona fisica che rappresenta l’attore e il convenuto. In realtà per le persone giuridiche, le associazioni e i comitati il legislatore si accontenta che sia indicato “l’organo o ufficio”. E’ invece per le persone fisiche che il legislatore pretende l’indicazione del nome, cognome, residenza (…) del loro rappresentante (v. melius, prima parte del n.2).

Discente: Come si piega tale differenza?

Docente: Si spiega con le diverse modalità di notifica. La notifica al Bianchi, tutore del Rossi, va fatta nella sua residenza (v. melius, l’art. 139), e non nella residenza del suo rappresentato, perché non é presumibile che in questa egli si rechi con frequenza. Invece, la notifica alla società INOX va eseguita nella sua sede e può essere consegnata praticamente a qualsiasi persona che in tale sede si trovi (v. melius, l’art. 145), dal momento che é presumibile che il rappresentante della società INOX in tale sede si rechi quasi diuturnamente.

Discente: Quanto tu dici vale sia per le persone giuridiche sia per le società non aventi personalità giuridica, le associazioni, i comitati?

Docente: Sostanzialmente, sì (v. melius, l’art. 145 commi I e II).

Discente: E allora perché nell’atto in esame il procuratore indica la persona fisica del rappresentante?

Docente: Perché la notifica nella residenza (o domicilio o dimora) del rappresentante-persona fisica può essere più facile che la notifica nella sede del suo rappresentato (metti la causa si fa davanti al tribunale di Arezzo e , mentre in Arezzo risiede il rappresentante, la società rappresentata ha la sede a Palermo), e questa notifica (più facile) nella residenza del rappresentante, l’art. 143 permette di farla solo se “nell’atto da notificare” questi risulti indicato (v. melius le ultime parti del I e II comma art. 143 e, altresì, il suo terzo comma).Ma proseguiamo senza perderci nei dettagli. Notiamo piuttosto che, mentre, nel caso dell’attore, va indicata la sua residenza (senza alternative), nel caso del convenuto, si può scegliere di indicare o “la residenza o il domicilio o la dimora”. Questo si spiega col fatto che – mentre chi redige la citazione non può non

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conoscere la residenza dell’attore - egli ben può avere difficoltà a individuare quella del convenuto: il legislatore, pertanto, gli facilita per l’ipotesi il compito, cosa che apparirà tanto più logica se si tiene presente come il convenuto possa essere citato alternativamente nella sua residenza o nel suo domicilio “e se questi sono sconosciuti nel luogo in cui ha dimora” (v. art. 18).Freccia 3 (Doc. 4): si appunta là dove viene determinata la “cosa oggetto della domanda”. Va però detto che di solito nella pratica il petitum viene espresso solo nelle “conclusioni” (nell’atto in esame indicate dalla freccia 6 in Doc. 5).Freccia 7 (in Doc. 3): si appunta là dove inizia la “esposizione dei fatti (…) costituenti le ragioni della domanda” (n.4 art. 163). Chi ha redatto l’atto non si é voluto soffermare a esporre gli “elementi di diritto” che giustificherebbero la domanda (e a cui si riferisce sempre il n.4 art.163). E ha fatto bene: essi sono evidenti ed é inutile scrivere cose che il giudice sa già. Tanto più che meno si scrive e più aumentano le probabilità di essere letti. Questa é una regola (veramente aurea!) di cui lo studioso farà bene a non dimenticarsi!Freccia 8 (Doc. 4) e freccia 9 (Doc. 6). L’art. 163, nel suo numero 5, vuole che l’atto di citazione contenga “l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e in particolare dei documenti che offre in comunicazione”. Orbene la freccia 8 si appunta dov’é dedotta la prova per testi e per interrogatorio formale. Noterà lo studioso il modo sbrigativo, ma ingegnoso, con cui nella pratica si indicano i “capitoli” di prova (così nel linguaggio del Foro ci si riferisce agli “articoli” di cui parla il legislatore nel codice – v. art. 230 co.1, art. 244 co.1): in cinque righe il procuratore, che ha redatto l’atto, enuncia capitoli la cui stesura occuperebbe quasi tre pagine e ciò ottiene facendo semplicemente riferimento alle “circostanze (da lui) dedotte in narrativa” - circostanze da aversi “ritrascritte con premessa la parola vero”. Quasi geniale! E passiamo alla freccia 9 (Doc. 6): essa indica i documenti che l’attore “offre in comunicazione” e che, in quanto tali, dovranno essere inseriti nel fascicolo di parte (v. art. 165).Freccia 10 (Doc. 3). L’atto di citazione deve contenere (v. n.6 art. 163) “il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura qualora questa sia già stata rilasciata”: la freccia 10 si appunta là dove si soddisfa a tale requisito. Nel caso la procura é stata rilasciata in calce all’atto di citazione (v. freccia 11 in Doc. 6). Va segnalato che, con l’avvento del processo telematico, si preferisce redigere la procura in un atto autonomo (come consente il terzo comma dell’art.83). Va ancora segnalato il difetto di indicazione (nell’atto di citazione esaminato) del codice fiscale e del fax dell’attore – indicazione che al tempo in cui fu redatto l’atto non era dovuta, mentre ora é pretssaLa freccia 11bis (in Doc. 7) indica quell’autentica della sottoscrizione che il 3°

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comma dell’art. 83 pretende. Rarissimi sono i casi in cui la procura viene “conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata” (forme previste dal co.2 art. 83).Freccia 12 (Doc. 5): indica il punto dove si ottempera ai dettati di cui al n.7 art.163 e in particolare a quello, fondamentale, di “indicare il giorno dell’udienza di comparizione”Vedremo poi le cautele adottate dal legislatore per impedire che, la scelta dell’udienza di prima comparizione davanti al giudice, permetta (all’attore) anche la scelta di questo; ciò che chiaramente sarebbe inammissibile.Qui devo renderti avvertito della delicatezza della scelta in questione. Infatti l’art. 163bis vuole che tra “il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione” debba passare un certo numero di giorni; ora, chi redige la citazione non sa quando verrà notificata, lo può solo prevedere: io prevedo che gli ufficiali giudiziari notificheranno la citazione per il 15 marzo e quindi da tale data comincio a calcolare i giorni che dovranno intercorrere tra notifica e udienza. E’ importante quindi che l’indicazione della data dell’udienza di prima comparizione sia fatta in base ad una valida esperienza professionale (che non sbagli nell’individuare i tempi che gli ufficiali giudiziari impiegano per effettuare il tipo di notifica richiesto).E con ciò terminiamo la nostra (rapida) ricognizione su un atto di citazione così come si presenta nella pratica.Riprendiamo ora il cammino verso l’udienza di comparizione iniziato insieme al nostro avvocato Cicero (chiameremo così d’ora in poi l’avvocato della nostra fantasia). L’avvocato Cicero ha dunque redatto l’atto di citazione, a questo punto che deve fare? Perbacco, deve farne dattiloscrivere tante copie quante gliene occorrono per la notifica e la costituzione in giudizio e, poi, andare (con in cartella le copie occorrenti) dagli ufficiali giudiziari per chiedere loro la notifica dell’atto stesso.Fatto questo che cosa altro dovrà fare l’avvocato Cicero? Logico, dovrà tornare dagli ufficiali giudiziari dopo qualche giorno (quanti giorni? quanti, secondo la sua esperienza, occorrono agli ufficiali g. per perfezionare la notifica) e ritirare l’atto e (ed é questo che conta!) la relazione di notifica che l’ufficiale giudiziario é obbligato per l’art. 148 ad “apporre in calce all’originale” (oltre che “alla copia dell’atto” consegnata al notificando).Andando al Doc. 7 della sezione terza lo studioso potrà vedere come si presentava la relazione (la “relata”, per usare il linguaggio del Foro) nell’esempio da noi prima introdotto. Segua ora le frecce.Freccia 13. La “relata”, che in teoria dovrebbe essere scritta integralmente dall’ufficiale giudiziario, é in realtà predisposta in parte dall’avvocato prima di chiedere la notifica: la freccia si appunta su questa “parte”.Va messo in rilievo come

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l’avvocato abbia cura di fare in essa risultare chi chiede la notifica (se infatti fosse chiesta da un qualsiasi Pinco Pallino, l’ufficiale giudiziario avrebbe il diritto, anzi il dovere, di rifiutarla: ecco perché il bravo avvocato che l’ha predisposta fa risultare che la notifica é chiesta da lui nella sua qualità procuratoria, non a titolo personale!). Naturalmente é indicato anche colui a cui la notifica va fatta. Ma come si fa la notifica a un condominio? L’avvocato potrebbe lasciare la risposta (al non facile quesito) alla scienza e all’esperienza dell’ufficiale g., ma.....se ne guarda bene, e si preoccupa invece di istradare questi sulle modalità della notifica: questa va fatta “rimettendone copia all’amministratore legale rappresentante pro tempore sig.re Ti.ne nella di lui residenza in Genova ecc.ecc.ecc.”.A questo punto lasciamo di leggere la parte della relata predisposta dall’avvocato e poniamo attenzione a quella sua parte redatta (effettivamente) dall’ufficiale giudiziario: dalla sua lettura veniamo a sapere che l’ufficiale giudiziario ha bussato alla porta della notificanda, sig.ra Ti.ne e...non gli ha risposto nessuno: nessuno era in casa. Di conseguenza l’ufficiale giudiziario ha fatto applicazione dell’art. 140: “ha depositata la copia (dell’atto notificando) nella casa del comune” (vedi freccia 14), “ha affisso avviso del deposito alla porta dell’abitazione” (v. freccia 15), “ha di ciò data notizia (al notificando) con avviso di ricevimento” (v. freccia 16). (Siccome il Doc. 7 risulta difficilmente leggibile, lo studioso farà bene a visionare anche il Doc. 8, là dove si appunta la freccia 15bis).Quindi nel caso la notifica sarebbe andata a buon fine.Può però capitare che la notifica non sia stata fatta (é il caso in cui l’avvocato trova scritto nella relata che il notificando é “sconosciuto all’indirizzo” o che “si é trasferito per luogo ignoto”) o non sia stata fatta regolarmente (l’ufficiale giudiziario, dimentico di quanto gli impone l’art. 148 co.2°, nella sua relazione non ha indicata “la persona alla quale é consegnata la copia e le sue qualità”).Nella prima ipotesi, al procuratore non resta che riprendersi l’originale (e le copie che avrebbero dovuto essere consegnate al notificando!) e, mutando quel che c’é da mutare (dopo, se del caso, essersi sobbarcato alle indagini ad hoc necessarie)….richiedere una nuova notifica (non dimenticandosi di cambiare il giorno dell’udienza di comparizione, se esso ormai cade troppo vicino e con il nuovo tentativo di notifica diventa difficile rispettarlo!).Mettiamoci ora nella seconda ipotesi: la notifica é stata fatta ma il suo controllo rivela una (insidiosa) nullità. Qui il procuratore deve scegliere: o costituirsi per, poi, ottenere dal giudice un termine per la rinnovazione della irregolare notificazione (termine che, ai sensi dell’art. 291 co.1, il giudice non può non concedere, sempre che si tratti di nullità e non di inesistenza della notifica) oppure (se ha ancora abbastanza spazio davanti a sé) richiedere una nuova notifica (ma in tal caso gli effetti processuali e sostanziali decoreranno da questa “nuova notifica”, mentre nel

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caso precedente decorrerebbero, non dalla seconda, ma dalla prima notifica).Mettiamoci però ora nell’ipotesi (fisiologica) che la notifica sia stata fatta regolarmente: quale l’ulteriore passo che deve compiere il procuratore (dell’attore)? Quello di costituirsi in giudizio o, per usare il linguaggio del Foro, di “iscrivere la causa a ruolo”. E per compierlo (tale ulteriore passo) egli dovrà “depositare in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo”, così come prescrive l’art. 165. Ma questo passo importante dell’iter processuale lo approfondiremo in una successiva lezione.

Note1) Lo studioso troverà indicate le “informative” nel “Formulario” sub I.2) Lo studioso trovera riportato l’atto iniziale di una procedura davanti a un organismo di mediazione nel “Formulario”sub III.3) Lo studioso troverà un esempio di procura nel “Formulario”sub II.4) Tenga presente lo studioso che quello che andremo a commentare è un atto “datato”: dovendo redigere un atto di citazione è meglio tenga presente la formula sub IV del “Formulario”.

Lezione 67 - Primi passi (nell’iter processuale) della parte convenuta e dell’Ufficio

Il convenuto, ricevuta la notifica dell’atto di citazione, si é rivolto, per averne tutela, all’Uomo di legge. Gli ha consegnato copia della citazione notificatigli e...si é accalorato a esporgli le sue buone ragioni (quelle che mettono dalla parte del torto più marcio chi l’ha convenuto in giudizio). L’Uomo di legge le ha soppesate (con serenità e obiettività: il primo insegnamento che si riceve nel Foro é: mai innamorarsi di una tesi, mai sposare una causa); ha visto che sono effettivamente buone e (soprattutto!) che tali probabilmente appariranno al giudice e ha deciso di esporgliele (al fine di ottenere il rigetto della domanda attrice).Qui comincia la più dura fatica del procuratore: esporre con logica e scienza giuridica le ragioni del cliente nella comparsa di risposta.Atto questo non meno importante (per le sorti di una causa) che l’atto di citazione e a cui il (buon) procuratore non dedica meno tempo e cura che a quello.Il suo contenuto, lo studioso, lo troverà descritto nell’art. 125 e soprattutto nell’art. 167. Noi di seguito faremo un breve commento di una comparsa tratta “dal vivo” (e che lo studioso trova riportata nella sezione settima, Doc. 11 e seguenti). Occhio alle frecce.Freccia 1 (Doc. 11). L’art. 125 vuole che nella comparsa si “indichi l’ufficio giudiziario”. L’incombente é stato assolto.

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Frecce 2 e 3 (Doc. 11). L’art. 125 vuole ancora che si indichino le parti. Le frecce 2 e 3 si appuntano dove tale volontà legislativa ha obbediente riscontro.Freccia 4 (Doc. 12). Si appunta là dove il convenuto espone “tutte le sue difese”, così come gli prescrive oltre che l’art. 125 anche e soprattutto l’art. 167.Freccia 5 (Doc. 12): quelle indicate dalla freccia sono le “conclusioni” di cui fanno precetto sia l’art.125 sia l’art.167.Freccia 6 (Doc. 13). Si appunta dove é apposta la sottoscrizione del procuratore in osservanza dell’art.125.Freccia 7 si appunta....nel vuoto. Ma proprio lì in quel “vuoto” il cancelliere, al momento della costituzione del convenuto, metterà con un timbro il “depositato”: la certificazione cioé che la comparsa é stata depositata in quel dato giorno. Certificazione senza dubbio molto importante, dato che già sappiamo che il convenuto - mentre ha tempo per costituirsi fino all’udienza di prima trattazione (al fine di evitare di venir dichiarato contumace) e fino all’udienza di precisazione delle conclusioni (ai fini di cui agli artt. 293 e 294) - deve in un preciso termine (quello dell’art. 166) compiere a pena di decadenza alcune deduzioni (quelle dell’art. 167).Proseguiamo nell’iter intrapreso dal procuratore del convenuto. Redatta la comparsa, egli deve costituirsi (nel termine di cui all’art. 166!). Ma per sapere le formalità da adempiere a tale scopo, bisogna che egli prima accerti se l’attore si é costituito (se ha, per usare le parole del Foro, già “iscritto la causa a ruolo”) oppure no. Infatti, a seconda che si versi nell’uno o nell’altro caso, tali formalità saranno diverse.Nel primo caso, esse si presenteranno per lui estremamente semplici (e poco costose!): basterà che egli faccia in cancelleria i depositi indicati dall’art.166. Nel secondo caso, le formalità della costituzione, sempre semplici, si complicheranno un poco per la necessità di iscrivere (lui, il convenuto) la causa a ruolo (ciò che comporterà per lui, qualche doloroso esborso e la redazione della “nota di iscrizione”).Una volta costituitosi, il procuratore del convenuto, così come il suo collega che difende l’attore, non ha altro che da....aspettare l’udienza di prima comparizione.Possiamo quindi per il momento disinteressarci di lui e por mente ai passi che compete all’Ufficio (giudice e cancelliere) di compiere per far avanzare la causa verso il suo primo traguardo: l’udienza davanti al giudice istruttore.Dunque l’attore o il convenuto si sono costituiti: é questa l’ipotesi da cui ora dobbiamo muovere (chè, se nessuna delle parti avesse osato varcare, metaforicamente, la soglia della cancelleria per costituirsi e il tutto si fosse limitato alla notifica dell’atto di citazione, l’autorità giudiziaria nulla della controversia tra di esse insorta saprebbe e quindi nulla chiaramente dovrebbe fare per risolverla).I primi incombenti dell’Ufficio toccano al suo organo minore, il cancelliere: “All’atto

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della costituzione dell’attore o, se questi non si é costituito, all’atto della costituzione del convenuto – così recita l’art. 168 – su presentazione della nota di iscrizione a ruolo, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo generale. Contemporaneamente il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio(...)”.Intuitiva la necessità dei due incombenti (che l’art. 168 così accolla al cancelliere): intuitivo che le “carte” riservate alla piena disponibilità dell’ufficio - (senza possibilità per le parti di ritirarle e riappropriarsene, né alla fine della causa né tanto meno durante la causa, come invece possono fare, nei limiti di cui all’art. 169, per gli atti e i documenti inseriti nel loro “fascicolo di parte”) – non possano essere tenute sparpagliate, una qua e l’altra là, ma debbano essere riunite insieme e racchiuse in un unico fascicolo; intuitivo ancora che, della causa, si prenda nota nei registri (ciò per permettere la rapida individuazione della sua posizione e del fascicolo stesso).Una volta preparato, il fascicolo d’ufficio comincia tutta una serie di giri (che lo studioso potrà agevolmente ricostruire leggendosi l’art. 168bis), fino a finire sulla scrivania del giudice istruttore (o del giudice di pace, se il processo rientra nella competenza di questo) a cui la causa é stata assegnata.Ma con quale criteri é stata assegnata la causa a quel tale giudice? In base a criteri prestabiliti che - é opportuno rilevarlo – prescindono completamente dalla data di prima comparizione scelta dall’attore: tu, attore, hai fissato la comparizione per il 15 ottobre? Non é detto che giudice della causa sia il dott. Gentile che tiene udienza proprio il 15 ottobre, potrebbe essere il dott. Severo che tiene udienza il 19 ottobre.Si pone quindi il problema: cosa succede se il giudice assegnato non tiene udienza il giorno indicato dall’attore per la prima comparizione?Lo dice il comma IV dell’articolo 168bis: “Se nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza, la comparizione delle parti é d’ufficio rimandata all’udienza immediatamente successiva tenuta dal giudice istruttore”: l’attore ha citato per il 15 ottobre; la causa é stata assegnata al dott. Severo che tiene udienza, non il 15, ma il 18: ciò significa che la comparizione delle parti slitta al 18. Questo si badi senza che nessuna comunicazione (dello spostamento) venga date a queste dalla cancelleria.A parte ciò il giudice “può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza (...)”.Questa facoltà il giudice la userà ovviamente nei casi in cui si accorgerà che le cause “in scadenza” ad una stessa sua udienza sono troppe per permettere la loro trattazione esauriente e serena. A differenza da ciò che abbiamo or ora visto avvenire in caso di slittamento automatico dell’udienza, nel caso che questa sia differita per decreto, il cancelliere comunicherà “alle parti costituite” la nuova data.

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Lezione 68 - Costituzione delle parti e iscrizione a ruolo

Se due litiganti, il sig. Bianchi che pretende di avere un diritto verso il sig. Rossi e questi che glielo nega, si limitassero, il primo, a notificare l’atto di citazione, il secondo, a redigere la comparsa di risposta, nulla l’Autorità Giudiziaria del loro litigio potrebbe sapere e tanto meno Essa avrebbe un qualche obbligo di decidere il litigio, di dire con sentenza se la ragione è di Bianchi o di Rossi. Perché l’Autorità Giudiziaria venga coinvolta e sorga in lei l’obbligo di decidere, occorre che almeno uno dei due litiganti, il Bianchi o il Rossi, compia un passo ulteriore: compia la così detta “costituzione in giudizio”.In che consiste questa “costituzione in giudizio”? Consiste nell’adempimento di alcuni oneri, alcuni volti a sollevare lo Stato di parte delle spese che incontra nel gestire il processo (il pagamento del c.d. “contributo unificato” e dei “diritti di cancelleria”), altri volti a permettere al giudice e alla controparte una migliore conoscenza della materia del contendere (deposito di uno scritto in cui la parte deve esporre le sue tesi difensive – scritto che per l’attore è l’atto di citazione, per il convenuto, è la comparsa di risposta -, deposito “dei documenti che la parte offre in comunicazione”….). Infatti il nostro Legislatore ha ritenuto di subordinare all’adempimento di alcuni oneri la concessione di certi diritti a chi è parte di una controversia; in particolare, la concessione: del diritto di proporre istanze a cui il giudice ha l’obbligo di rispondere, del diritto di essere ascoltato o letto dal giudice quando oralmente o per iscritto espone le sue difese, del diritto di avere dal giudice una sentenza che definisca la controversia (anche, si badi, se tutte le altre parti processuali a un certo punto volessero rinunciare al processo: anche in tal caso basterebbe che una parte se costituita dicesse “no”, perché il processo dovrebbe continuarsi a farsi – vedi co.1 art. 306). Insomma, non basta che tu, difensore, sia in grado di esibire la procura del tuo cliente per avere, come si dice, os ad loquendum nel processo: se tu non fossi (regolarmente) costituito, tu potresti anche parlare, ma il giudice avrebbe il diritto (anzi, l’obbligo) di impedirtelo, e comunque non avrebbe l’obbligo di provvedere sulle tue istanze.Con tutto ciò la parte che non si costituisce in giudizio (alias, non adempie a quei certi oneri ecc.ecc.), non è che venga ad essere priva di diritti, anzi paradossalmente viene a godere di diritti che la parte costituita non ha; ad esempio: se, tu, Bianchi, che ti sei regolarmente “cosittuito”, stanco a un certo punto di battagliare davanti al giudice, dai il ben servito al tuo procuratore, o comunque se questi a un certo punto diserta il processo, tu non hai diritto di essere avvisato del fatto, metti, che il giudice ha disposto il tuo interrogatorio o ti ha deferito il giuramento o che la controparte ha depositata una comparsa contenente

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una domanda “nuova o riconvenzionale”; questo diritto invece l’articolo 292 lo concede alla parte contumace (così si chiama la parte non costituitasi). Ho detto che la costituzione comporta degli oneri; ora debbo aggiungere che questi oneri sono molto maggiori per la parte che si costituisce per prima (parte che, bada bene, può anche non essere l’attore: questi, notificata la citazione, ha un ripensamento e non vuole andare avanti nel processo? nulla impedisce al convenuto di mandare avanti, lui, il processo fino alla sentenza). Perché gli oneri sono maggiori per chi si costituisce per primo? perché tocca a lui iscrivere la causa a ruolo e soprattutto tocca a lui pagare sia il c.d. “contributo unificato” (quel contributo alle spese del processo a cui ho accennato prima) sia i così detti “diritti di cancelleria”. Che cos’è la “iscrizione a ruolo”? Nella sostanza è una domanda che la Autorità Giudiziaria si prenda carico della causa e la decida; ma, ecco il punto, è una domanda che si presenta nella forma dimessa e implicita della presentazione di una “nota di iscrizione a ruolo”, di un documento cioè, in cui la parte costituenda dà alla cancelleria alcune indicazioni (ritenute utili per la ordinata gestione dell’ufficio): quali sono le parti nel processo, qual è l’oggetto della domanda, et similia (nei docc. 14, 15 troverai un esempio di “nota di iscrizione”).

Lezione 69 – La prima udienza di trattazione

Mettiamoci nei panni dell’avvocato Cicero Primo, il procuratore dell’attore (poi ci metteremo in quelli dell’avvocato Cicero Secondo, procuratore del convenuto): egli ha regolarmente notificato l’atto di citazione, si è regolarmente costituito e, da professionista diligente qual è, qualche giorno prima dell’udienza ha controllato se il convenuto si é costituito, al fine di visionare, in caso positivo, le sue (eventuali) produzioni prima dell’udienza.Fatto questo che deve fare ancora? Deve comparire all’udienza (portandosi dietro, oltre al codice, carta e penna per redigere il verbale). Egli se ha letto il codice, ne ha colto lo spirito, ma non ha mai frequentata un’aula di giustizia, forse si immagina che alle udienze (davanti al giudice) compaiano i procuratori, espongano in contraddittorio le loro tesi, il giudice prenda le sue decisioni; il tutto, se non con una certa solennità, con un certo ordine. Così le cose dovrebbero andare, ma così non vanno. La realtà è che le udienze civili (salva qualche rara avis) si svolgono nella più grande confusione. Il giudice se ne sta seduto dietro il suo scranno (di solito il tavolo del suo studio, dato che l’udienza di solito, in questo, si svolge). I fascicoli delle cause (in cui si trovano inseriti il fascicolo d’ufficio e i fascicoli di parte) stanno appilati l’uno su l’altro (sul tavolo del giudice o in qualche altra parte del locale). I

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procuratori delle parti entrano (senza bussare, la porta essendo provvidamente lasciata spalancata), cercano nella pila dei fascicoli quello che loro interessa, si appartano, mettono a verbale quel che a loro piace e come a loro piace e, infine, si presentano al giudice perché dia una letta al verbale e provveda sulle istanze. Il giudice, se l’istanza è di un rinvio, consultata la sua agenda, subito la concede (a distanza non di qualche giorno o settimana ma di qualche mese); se, invece, l’istanza ha un diverso oggetto, “si riserva” (facendo uso generalizzato della facoltà concessagli in via eccezionale dall’art. 186 – e non va neanche detto che la “riserva” viene di solito sciolta, non dopo giorni, ma dopo mesi). E perché si riserva? Perché non conosce la causa, non l’ha studiata prima di presentarsi in udienza. E perché non l’ha studiata? Perché sa per esperienza che, se pure lui si fosse presentato preparato all’udienza, vi avrebbe incontrato probabilmente una delle parti (o entrambe!) che, lamentando la impossibilità avuta a prepararsi adeguatamente (per un sovraccarico di lavoro o per chissà cos’altro), gli avrebbe chiesto …un rinvio, rendendo così per lui tutta fatica inutile le ore spese a prepararsi! (Il rimedio? potrebbe essere il ridurre al massimo le udienze – limitandole a quella di prima comparizione e a quelle istruttorie, lasciando che la trattazione della causa avvenga tramite scambi di memorie in cancelleria la cui puntualità sia garantita da termini perentori: un avvocato può lamentare di essere impedito a fare e studiare per un dato giorno, ma non per quei trenta e più giorni che costituiscono il tempo lasciatogli a disposizione dal termine - e bisogna riconoscere che il legislatore con il disposto del comma sesto dell’art. 183 su questa strada si è avviato).Per non fare però un quadro troppo catastrofico dell’amministrazione della Giustizia nel nostro bel Paese, va però aggiunto che le udienze istruttorie (cioè riservate, alla raccolta delle prove: interrogatori delle parti, interrogatori dei testi ecc.) si svolgono di solito in un clima più serio e concentrato: si svolgono in ore diverse dalle udienze di semplice trattazione, la presenza vociante delle parti e degli avvocati non è più ammessa, il giudice non è più un semplice convitato di pietra ma diventa, così come deve essere, l’organo direttivo e propulsore dell’udienza.Dopo tanta premessa veniamo al dunque, al nostro bravo avvocato Cicero Primo. Entrato nell’aula, che fa? Si impossessa del fascicolo e comincia scrivere la intestazione del verbale. Poi? Cerca di individuare il collega avversario; trovatolo, scrive quel che ritiene opportuno e giusto verbalizzare per il suo cliente e…passa (metaforicamente) la penna al collega, il quale a sua volta verbalizza quel che ritiene più giusto e opportuno per il suo cliente. Il risultato potrebbe essere un verbale come quello che lo studioso può vedere nella parte terza “Documenti dal vivo” (docc. 17-22). Fino ad adesso ci siamo messi nell’ipotesi che tutto fili liscio per il nostro bravo avvocato Cicero Primo; ma spesso il diavolo ci mette la coda e …

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all’udienza possono sorgere per il procuratore dell’attore dei problemi. Prendiamo in esame i più frequenti.I - Il convenuto non si è costituito in cancelleria e non compare all’udienza: si lascia passare un’ora dall’apertura dell’udienza (per obbligo – vedi art. 59 disp. att – se si è davanti al Giudice di Pace e per correttezza se si è di fronte al tribunale o alla Corte) e poi si chiede al giudice di dichiarare la contumacia.II - Il convenuto si è costituito in cancelleria ma, dopo che già è trascorsa un’ora dall’inizio dell’udienza, non vi è comparso: si potrebbe andare avanti nel processo, il codice non lo impedisce, ma la correttezza vuole che si chieda rinvio al giudice (nel timore che qualche improvviso contrattempo abbia impedito al Collega di comparire).III -Il giudice rileva una nullità della citazione (ahimé abbiamo commesso un errore nella sua redazione!) o una nullità della sua notifica (ahimè, l’ufficiale giudiziario ha commesso un errore nella notificazione!): in questo caso non resta…che trangugiare il rospo: eseguire l’ordine del giudice (di rinnovare o integrare l’atto di citazione, come detto nell’art. 164, o di rinnovare la notifica, come detto nel co. 1 dell’art.291 – prendendocela con noi nel primo caso, prendendocela…con le stelle, nel secondo).Abbiamo detto come deve comportarsi Cicero Primo, il procuratore dell’attore; e per quel che riguarda Cicero Secondo, il procuratore del convenuto? Di massima le regole di comportamento che valgono per il primo valgono anche per il secondo: in particolare, se Cicero Secondo perché più lesto o più diligente giunge all’udienza prima del Collega avversario, può tranquillamente impossessarsi del fascicolo e incominciare a mettervi nero sul bianco. Sono diversi e più difficili però i problemi che Cicero Secondo potrebbe essere chiamato a risolvere. Anche qui un rapido esame dei più frequenti.I - L’attore non si è costituito nei termini di cui all’art. 165, ma - scartando la possibilità (offertagli dal primo comma dell’art. 307) di obbligare l’attore alla riassunzione nel breve termine dei tre mesi (con la speranza che la fallisca e il processo si estingua) - il convenuto si è costituito lo stesso: che fare se l’attore non compare all’udienza? qui il dilemma (che sorge dal disposto dell’art. 290) è se andare avanti nel processo oppure provocarne la immediata estinzione: la soluzione del dilemma dipenderà ovviamente dalla fiducia che il procuratore ha nelle buone ragioni del suo cliente.II - L’attore si è costituito, ma non compare all’udienza: qui l’articolo 181 apre tre possibilità al nostro avvocato Cicero Secondo: prima, costituirsi e mandare avanti il processo (il cliente ha ragione, l’avversario non si costituisce perché evidentemente si rende conto di aver torto: perché non cogliere una facile vittoria?!); seconda, costituirsi, senza chiedere la prosecuzione del processo: in tal caso il giudice

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rinvierà ad altra udienza e se l’attore non vi comparirà il giudice dichiarerà l’estinzione del processo; terza, non comparire: in tal caso però il risultato non sarà molto diverso da quello che si avrebbe se Cicero II coltivasse la seconda possibilità, infatti il giudice dovrà disporre un rinvio della causa e, se alla nuova udienza nessuna delle parti comparirà, dovrà dichiarare l’estinzione (e se a tale nuova udienza comparirà il convenuto e l’attore persisterà nella sua diserzione? secondo noi, anche in tal caso il giudice dovrebbe ordinare l’estinzione del processo). Ma questa richiesta di dichiarazione di contumacia di cui si è tanto parlato fin’ora è una cosa complicata? No è una cosa semplicissima: si scrive a verbale: “Il Giudice, dato atto della regolarità della notifica, dichiara la contumacia dell’attore (o del convenuto) Pinco pallino” e la cosa è fatta. Certamente bisogna avere l’avvertenza di porre sotto gli occhi del giudice (se la contumacia è del convenuto) la relata di notifica. E se ci si dimentica di far dichiarare la contumacia? Non succede nulla: si provvede alla prossima udienza.

Lezione 70 - Scambio di memorie ex art. 183

E’ discutibile se il Giudice istruttore abbia il potere di autorizzare in corso di causa lo scambio di memorie tra le parti (dato che ciò inevitabilmente determina una battuta di arresto di quel processo di cui invece il legislatore vuole accelerare al massimo lo svolgimento – arg. per la negativa ex art. 180). Però vi è uno scambio di memorie che il giudice non può negare alle parti se richiesto nella prima udienza di trattazione della causa: ed è lo scambio di memorie di cui fa parola il quinto comma dell’articolo 183.La richiesta di tale scambio di memorie normalmente rappresenta il primo passo dopo la costituzione in giudizio e avviene alla prima udienza in cui le parti compaiono davanti al giudice (salva la possibilità di un rinvio di questa, per permettere la rinnovazione della citazione, la regolarizzazione di un documento ex art. 182….). Lo studioso potrà vedere esempi di tali memorie visitando il “Formulario”.

Lezione 71 - La deduzione della prova testimoniale - La sua assunzione

(Avvertenza le note sono in calce al paragrafo stesso).

L’art. 244 – disponendo che “la prova per testimoni deve essere dedotta mediante

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indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata” - mira a raggiungere tre diversi scopi: I) permettere al giudice di accertare la rilevanza del thema probandum; II) non costringerlo – qualora ritenga rilevanti solo alcune delle circostanze di fatto dedotte dalla parte – a rielaborare gli “articoli” come formulati dalle parti per indicarle; III) permettere alla controparte di controdedurre.Riteniamo che il modo più pratico, per spiegare come si deve dedurre la prova per non frustrare gli anzidetti scopi (che il legislatore si é proposto), sia di fare prima alcuni esempi di possibili deduzioni di “capitoli” - così si chiamano gli “articoli” di cui parla il legislatore, nel linguaggio del Foro – e, poi, di discuterli.Dunque mettiamo che una parte in causa deduca per testi:Capitolo A: “Vero che l’investimento del deducente pedone avvenne per comportamento colpevole dell’auto investitrice”.Capitolo B: “Vero che la convenuta ebbe più volte a profferire ingiurie contro l’attore in presenza di estranei”.Capitolo C: “Vero che la convenuta tenne durante il matrimonio un contegno gravemente lesivo dell’onorabilità del marito: in occasione del Natale 86, in presenza di tutti i parenti riuniti a pranzo, gli diede dell’incapace; durante la villeggiatura al mare del 1988, prese il bagno in topless; tutti i sabati era solita uscire con uomini giovani per recarsi a ballare in locali malfamati”Capitoli A e B: essi sarebbero chiaramente inammissibili. Infatti, come potrebbe il giudice stabilire, se i fatti, su cui il deducente vuole interrogare i testi, sono rilevanti o no? forse che, il deducente del capitolo A, non potrebbe ritenere “comportamento colpevole” del conducente, il non aver egli effettuato segnalazioni acustiche, ancorché fosse in pieno centro cittadino (ciò che io, giudice, riterrei del tutto irrilevante per configurare una colpa)? forse che il deducente del capitolo B, non potrebbe qualificare come ingiuria, la mera critica alle idee politiche dell’attore (ciò che io, giudice, riterrei del tutto irrilevante per configurare un illecito)? Ancora, come potrebbe la controparte controdedurre? Essa ha delle persone, che potrebbero dire che la velocità dell’auto non era eccessiva, essa ha altre persone, che potrebbero dire che il semaforo segnalava “verde” per il conducente, ma come fa a decidere se indicare a testi le une e le altre, se non sa il tipo di comportamento colposo che l’attore, deducendo il capitolo A, le addebita? Essa, poi, per quel che riguarda il capitolo B, se sapesse le circostanze di tempo e di luogo (le “occasioni”: “mentre si era al cinema, il giorno tal dei tali” “in casa della suocera, il giorno talaltro”) in cui si pretendono avvenute le ingiurie, potrebbe ben portare a testi le persone, in tali occasioni presenti, per dimostrare che il proprio comportamento fu più che corretto, ma se non lo sa, come fa a difendersi?Capitolo C: i fatti dedotti potrebbero (da un giudice non troppo fiscale) anche

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considerarsi come specifici, però certamente non sono formulati in “articoli separati”. Ciò comporta che, se il giudice ritenesse rilevanti (in quanto ritenuti effettivamente offensivi della onorabilità del marito) i bagni in costume pressochè adamitico, ma non le folli danze del sabato sera, egli dovrebbe provvedere a riformulare, prima di ammetterlo, il “capitolo” (col relativo pericolo di tradire il pensiero di chi l’ha dedotto) e che parimenti dovrebbe provvedere a riformularlo, la controparte, se avesse dei testimoni da dedurre sul punto “bagni osceni”, e non sul punto “folli danze” (si deduce: che “Vero che la signora Rossi non prese il bagno...” e si indicano a testi....), anziché semplicemente limitarsi a un riferimento ad esso.Con ciò abbiamo cercato di spiegare le ragioni per cui i fatti da provare debbono essere dedotti per capitoli separati e specifici. Ma perché mai occorre la “indicazione specifica delle persone da interrogare”?E’ ovvio che tali persone debbano essere individuate (in modo da permettere al giudice e alla controparte di escuterle pur nel sopravvenuto disinteresse del deducente: v. art. 245 co.2°); ma perché mai tali persone dovrebbero essere indicate facendo riferimento al fatto specifico su cui dovrebbero essere interrogate (tale é il pacifico significato che si dà all’anodina espressione legislativa)?Risposta: per permettere al giudice di decidere sulla loro ammissibilità e di esercitare il potere (concessogli dall’art. 245 co.1°) di ridurre “le liste dei testimoni”. Su quest’ultimo punto va rilevato che, se egli non sapesse su che fatti i testi sono chiamati, rischierebbe di eliminare tutti i testi dedotti su un capitolo e di ammettere i testi (in eccesso) dedotti su un altro capitolo (la parte, deducendo i capitoli A e B, indica a testi, Primus, Secundus, Tertius, Quartus, Quintus: il giudice elimina Quartus e Quintus, ma, vedi caso, questi erano....gli unici testi che la parte aveva sul capitolo B).Concludiamo sul punto dando un esempio di deduzione di prova testimoniale.L’attore deduce per testi i due seguenti capitoli:1) “Vero che le lastre di marmo acquistate dalla ditta Carodil erano venate”.2) “Vero che il vizio di cui sub I fu denunciato al momento stesso della consegna delle lastreSi indicano a testi:D- Rossi Luigi, res. in via San Gerolamo 11, Genova (sul capitolo I);E- Bianchi Alberto, res. in via Redipuglia 3, Genova (sui capp. I e II). Dopo aver con ciò esaurito l’argomento della deduzione della prova testimoniale, passiamo a dare qualche cenno (soprattutto da un punto di vista pratico!) sulle modalità della sua assunzione.Dunque il giudice ha ammessa la prova per testi e ha fissata (v. art.202) l’udienza per l’espletamento dell’incombente: lunedì 20 aprile 1996, h.10.

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E lunedì 20 aprile (ma non alle 10, bensì una mezzoretta prima) l’avvocato si reca a Palazzo di Giustizia, con il suo bravo codice, il fascicolo di parte, i fogli necessari per la verbalizzazione e, soprattutto, l’atto di intimazione ai testi di cui all’art. 250 (ch’egli ha avuto cura di ritirare dagli ufficiali giudiziari nei precedenti giorni): il cliente l’aveva assicurato che tutti i testi si sarebbero presentati spontaneamente, ma...fidarsi é bene e non fidarsi é meglio: egli, nonostante tale assicurazione, ha provveduto alla notifica dell’atto di intimazione: se qualche teste (o perché fedifrago o perché effettivamente impedito) non comparirà, egli esibirà al giudice tale atto e così egli eviterà il pericolo di essere dichiarato decaduto dalla prova (v. art. 104 disp. att.) e otterrà che si fissi una nuova udienza per escutere il teste (alla prima non comparso).A Palazzo di Giustizia il procuratore incontra il cliente attorniato dai “suoi” testi: ci si apparta, si parla del più e del meno. Quando Dio vuole (sono queste le occasioni in cui bisogna armarsi di pazienza!) la porta dell’ufficio del giudice si apre per far entrare gli avvocati e i loro clienti (v. art. 206 e art. 84 c.2 disp. att.) (9).Carta e penna: si comincia a redigere il verbale: “Successivamente il 20 aprile 1996 sono comparsi i procuratori i quali insistono per lo sfogo delle prove richieste ecc.ecc.ecc.”. A scrivere materialmente il verbale di solito è uno dei procuratori, raramente il giudice, quasi mai il cancelliere.Il resto dell’udienza possiamo anche divertirci a renderlo sotto forma di sketches.Primo sketch-- Giudice (fatto entrare il teste Giobatta, fattogli assumere il c.d. “impegno”di cui all’art 251 come modificato da Sent, Corte Cost. 95/49, gli richiede gli elementi di cui all’art. 252 e detta a verbale): “A.D.R. (12) Mi chiamo Giobatta Parodi, nato il 3 marzo 1934 a Genova ed ivi res. in via Piave 1, non parente, indifferente.”Procuratore dell’attore (dopo aver parlottato col cliente) “Vuole, giudice, domandare al teste se fa parte del condominio da noi convenuto in giudizio?” (art. 253 cc. 2 e 3).Il giudice accoglie e propone la domanda e si verbalizza: “A.D.R. E’ vero, faccio parte del condominio in questione”.Procuratore dell’attore: “Sia messo a verbale che l’attore chiede l’esclusione del teste per sua incapacità ai sensi dell’art. 246”.Procuratore del convenuto: “Il collega dà all’articolo 246 un’interpretazione del tutto errata”.Giudice (dopo che i procuratori hanno esposto le loro tesi): “Mettiamo a verbale: Il Giudice, sentite le parti, visto l’art. 246, dispone l’esclusione del teste Giobatta per sua incapacità a testimoniare” (v. art. 205).Secondo Sketch-

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Giudice (dopo aver letto il capitolo di prova, rivolto al teste) “Conferma quanto da me ora letto?”Procuratore del convenuto: “Giudice, debbo oppormi alla domanda: così proposta é suggestiva” (15)Terzo Sketch-Giudice (alla vista del nuovo teste introdotto): “Ma, questo teste, l’ho già sentito!”.Procuratore dell’attore: “Sì, ma siccome nella precedente udienza ci eravamo dimenticati di fargli firmare il verbale, Lei ha disposto il rinnovo del suo esame, ai sensi del capoverso dell’articolo 257”.Chiarito il punto, si passa ad interrogare il teste.Il teste (rispondendo a una domanda): “Giudice, io non posso dire nulla su questa circostanza, ma il mio vicino Parodi, é su di essa senz’altro informato”.Giudice: “E allora rinviamo per sentire questo Giobatta” (v. co.1 art. 257)Procuratore del convenuto: “Se si deve rinviare, sentiamo anche il sig. Oneto, che, nella sua precedente ordinanza aveva ritenuto superfluo, mentre sembra essere il più informato di tutti” (v. capov. art. 257).Fine degli sketches. Note:(9) Art. 206: “Le parti possono assistere personalmente all’assunzione dei mezzi di prova”E, per l’art. 84 disp. att., possono ottenere “dal giudice, a mezzo del proprio difensore, l’autorizzazione a interloquire”. Con tutto ciò è da escludere che esse possano proporre vere e proprie istanze al giudice. Però (nonostante la lettera dell’art. 84) possono parlare con i loro procuratori per dare dei chiarimenti (metti, resi necessari dalla dichiarazione di un teste) e, anche, per suggerire loro delle domande (il teste, ad esempio, dice “Non ho mai visto l’attore passare per il sentiero in questione”, e il cliente, toccando il braccio del suo difensore: “Gli domandi un po’, avvocato, da quanto tempo abita a Bargagli? Se non é vero che vi abita da soli tre mesi”).Esclude che la parte debba assistere passiva all’interrogatorio, Satta (Commentario, II,1,1399).12) A.D.R. sta per “A domanda risponde”.15) “E’ controverso se il giudice possa limitarsi a leggere il capitolo e a chiederne conferma o meno al teste. Il pericolo è che il teste non riesca ad afferrare tutte le implicazioni della domanda e dia, quindi, una risposta (involontariamente) inesatta”. Questa osservazione è dell’Andrioli (Prova testimoniale – Diritto processuale civile, Noviss. Digesto, p. 355), il quale purtuttavia ritiene la ritualità della domanda e la validità della testimonianza resa in base ad essa.Quanto ora detto dà implicitamente risposta positiva alla questione se il giudice possa, o no, nel proporre la domanda, discostarsi dalle parole e dalla formulazione del capitolo: non solo può discostarsene, ma dimostrerebbe una ben rozza tecnica di interrogatorio se non se ne discostasse!

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Differente, però, da tale questione é quella se il giudice possa interrogare il teste su fatti diversi da quelli enunciati nel capitolo. La risposta che dà il Legislatore a tale questione é oltremodo anodina: il giudice può porre al teste, oltre le domande “sui fatti intorno ai quali é chiamato a deporre”, “tutte le domande che ritiene utili a chiarire i fatti medesimi” (v. art. 253 co.1). Quest’ultime domande, evidentemente, vertono su fatti diversi da quelli indicati nel capitolo (almeno da quelli indicati expressis verbis). Ma, se così é, come fare a distinguere tali domande a chiarimento (e pertanto lecite) da quelle (illecite) che evadono dal capitolo? E’ un busillis! Noi riterremmo che il criterio per distinguere potrebbe essere questo: la domanda é a chiarimento se verte su una circostanza di fatto che rientra nel thema porbandum del deducente il capitolo, non lo é in caso contrario. Ad esempio: se l’attore, per provare il suo possesso su un terreno, ha dedotto “Vero che l’attore era solito depositare su quel terreno della legna”, il giudice potrà domandare, per quanto tempo ve la lasciava e se, oltre la legna, vi posteggiava l’auto (tutte circostanze che vertono sul fatto costitutivo la cui prova spetta al deducente-attore), però non potrebbe domandare se ciò avveniva con la tolleranza della controparte (dato che l’onere di provare la tolleranza dell’attore spetta al convenuto).Rende meno grave la difficoltà di trovare il criterio distintivo de quo, l’orientamento giurisprudenziale che ammette il giudice a porre domande al teste su circostanze non dedotte, se non vi é opposizione della parte interessata.Si noti che nel codice di procedura civile, al contrario che nel codice di procedura penale, manca un articolo che dia regole sulle domande che si possono rivolgere ai testi. Si ritiene ciononostante: che il giudice debba evitare ogni domanda suggestiva e che comunque nuoccia alla spontaneità e alla sincerità delle risposte; che non si debbano chiedere ai testi, né permettere che essi esprimano, apprezzamenti personali; che non si debbano interrogare i testi sulle “voci correnti” intorno ai fatti di causa.

Lezione 72 - Precisazione delle conclusioni – Comparsa di risposta

Le “conclusioni” sono le richieste che le parti formulano in base ai risultati dell’istruttoria (quando c’é stata) e, comunque, in base a quello scambio dialettico di idee, tesi osservazioni, che avviene durante la trattazione della causa, tra le parti e, anche, tra le parti e il giudice.Il codice prevede che il giudice inviti le parti (art. 189) a formulare tali richieste; e il nome attribuito a queste (“conclusioni”) é indicativo del momento e del perchè tale invito viene fatto: l’invito (del giudice) viene fatto al momento in cui il processo si suppone ormai “maturo per la decisione” (v. il co. 1 art. 187 e l’art. 188), quindi ormai giunto alla sua conclusione; e si ritiene utile farlo in vista di una semplificazione dell’attività decisionale del giudice: egli, com’é noto, deve pronunciarsi in base e non oltre a quel che é stato domandato ed eccepito dalle parti (art. 112); se, pertanto, queste (in base appunto a quelle acquisizioni istruttorie

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e a quello scambio dialettico di cui si é detto) ritenessero di contenere le loro domande entro certi limiti o addirittura ritenessero di rinunciare a domande, eccezioni, istanze istruttorie pregresse, ebbene é evidente che la sua attività ne avrebbe una (auspicabile) agevolazione: tu stesso, attore, riduci la tua domanda di risarcimento da 15 a solo 10 e quindi io, giudice, non debbo motivare perché non ti ho concesso 15; tu stesso, convenuto, rinunci a quell’eccezione di prescrizione prima avanzata, quindi io, giudice, non debbo attardarmi a dimostrarne l’infondatezza; tu stesso, attore, non insisti nell’escussione del teste Bianchi, quindi, io, giudice, posso evitare di spiegare nella mia sentenza perché era un teste inammissibile.Ciononostante – nonostante cioé che la precisazione delle conclusioni sia utile alla Giustizia – la loro omissione non determina per la parte nessuna conseguenza sfavorevole e in particolare nessuna decadenza; unica conseguenza negativa (ma per il giudice, non per la parte): la sentenza dovrà dare la risposta a tutte le domande, istanze, eccezioni antecedentemente proposte.Di solito le conclusioni vengono dettate a verbale; e non raramente vengono formulate per relationem (il procuratore, cioé, si limita a mettere a verbale, ad esempio: “L’attore precisa come in atto di citazione”). Però nelle cause di particolare importanza, esse vengono formulate dal procuratore nella tranquillità del suo studio e riportate in un foglio a parte, che verrà poi allegato al verbale.Le conclusioni non debbono contenere argomentazioni: solo ciò che si chiede al giudice va in esse indicato, non il perché lo si chiede.Naturalmente però il Codice dà alle parti la possibilità di argomentare, in contraddittorio tra di loro, la fondatezza delle loro richieste e l’infondatezza delle richieste avversarie.Ciò avviene nelle comparse conclusionali, nelle memorie di replica (di cui parlano gli artt.190 e 281quinquies - e l’art 281 sexies, ma questo terzo articolo solo per dare il potere al giudice di escluderle) e, ma ben raramente, nella discussione orale (che necessaria nel caso di cui all’art. 281sexies in cui alle parti é inibito di depositare le comparse, negli altri casi é solo eventuale: se non é richiesta da almeno una parte e in un dato termine, non si fa, vedi melius, il co. 2 dell’art. 281 quinquies e il co. 2 dell’art.275).Il massimo sforzo difensivo delle parti però di solito si concentra nella redazione della comparsa conclusionale. Il buon procuratore la costruisce in modo che essa venga ad essere quasi una falsariga per la sentenza del giudice: ben s’intende, per una sentenza a sé favorevole: si parte dal presupposto che il giudice sarà portato a seguire la via più facile e pertanto si cerca di appianargli al massimo quella che porta all’accoglimento delle proprie conclusioni. Di conseguenza, nella comparsa, così come dovrà fare il giudice nella sentenza, si trascrivono le conclusioni, si

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espone lo svolgimento del processo e, naturalmente, si espongono le argomentazioni che renderebbero ben motivata una decisione che accogliesse le conclusioni stesse.Lo studioso potrà vedere un esempio di comparsa conclusionale e di memoria di replica nel “Formulario”.

Lezione 73 - Che fare dopo la sentenza di primo grado?

L’avvocato Cicero I ha discussa bravamente la sua causa o (molto più probabilmente) si é limitato a depositare la sua sua brava memoria di replica (di cui agli artt. 190 e 190bis): che deve fare ora? Niente; deve solo aspettare che dalla cencelleria gli arrivi il “biglietto”, che gli dà notizia che la sentenza é stata “pubblicata” (idest, “depositata in cancelleria”) e altresì gli comunica il suo dispositivo (v. melius, l’art. 133).Mettiamoci nell’ipotesi che per il nostro avvocato Cicero la causa si sia risolta in maniera sostanzialmente soddisfacente: il giudice gli ha dato ragione, se non al 100 per 100, al 90 per 100, e...tanto gli basta: che può e deve fare egli a questo punto?. Può, se crede, porre in esecuzione la sentenza (art. 282) e, se ha fretta di vedere consolidata la sua vittoria col suo passaggio in giudicato, deve provvedere alla sua notifica (art. 285) - notifica, si badi, all’avvocato avversario e non alla parte avversaria (v. melius, l’art. 170): perché questo? perché dal momento in cui la notifica si perfeziona cominciano a decorrere i termini per l’impugnazione – termini la cui esistenza é nota all’Uomo di legge (avversario) mentre probabilmente é sconosciuta per il suo cliente (che pertanto potrebbe attardarsi a prendere quella decisione di impugnare, che invece va presa in brevissimo termine). Poniamo invece che il nostro avvocato Cicero I non voglia....svegliare can che dorme, insomma preferisca puntare sul fatto che l’avversario per mera inerzia, rimandando di giorno in giorno la decisione (di impugnare), si lasci scadere il termine per farla (vedi art. 327): in tal caso egli, il nostro callido avvocato Cicero I, si guarderà bene, non solo di notificare la sentenza ma anche di iniziare la esecuzione (prima che siano maturati, per l’avversario, i termini per impugnare).Abbiamo visto le decisioni che incombono alla parte vittoriosa, vediamo quelle che incombono sul povero avvocato Cicero II, la parte sconfitta.L’avvocato Cicero II, ricevuto il biglietto di cancelleria, ha appresa la ferale notizia: cosa dura dirla al cliente, ma bisogna dirla: caro cliente, a questo punto bisogna prendere una decisione: o ci sottomettiamo alla ingiusta sentenza o la impugniamo. Sottomettersi? Giammai, dice il cliente: si decide pertanto per l’atto di appello. O meglio (almeno di solito) per l’atto di appello e per l’istanza di sospensione

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dell’esecuzione (purché per questa sussistano i presupposti voluti dall’art. 283).Notificato l’atto di appello, l’avvocato Cicero II dovrà costituirsi; ma come ci si costituisce in sede di appello? Più o meno, come in primo grado: depositando l’atto di appello, se si costituisce l’appellante, depositando la comparsa di risposta, se si costituisce l’appellato (e chi dei due si costituirà per primo - di solito sarà l’appellante, ma nell’inerzia di questi ben potrebbe essere l’appellato - dovrà iscrivere la causa a ruolo); e infatti l’articolo 359 dispone che “nei procedimenti di appello davanti alla corte o al tribunale si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale, se non sono incompatibili con le disposizioni del presente grado”.Operata la costituzione in giudizio il prossimo passo per entrambe le parti, appellante e appellato, sarà la comparizione davanti al collegio. Sì, perché in sede di impugnazione, le parti non interfacciano più con un solo giudice (il giudice istruttore o il giudice monocratico) ma con un collegio di giudici: intatti, per l’art. 350 “davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello é collegiale”; ciò che significa che (nei rari in cui viene decisa – v art. 356) l’assunzione di nuove prove avviene, non davanti a un giudice singolo ma davanti ai tre giudici che compongono il collegio della corte (salvo che “il presidente deleghi per l’assunzione” uno dei componenti del collegio – vedi co. 1 sempre dell’art.350– e salvo che ad essere appellata sia la sentenza di un giudice di pace, nel qual caso l’appello é deciso dal giudice monocratico e naturalmente le prove sono da lui assunte – vedi art. 341 e co, 1 ultima parte sempre art. 350).Naturalmente davanti al giudice dell’appello non vi é quello scambio di memorie che l’art. 183 autorizza in primo grado. Il giudice verifica la regolare costituzione delle parti, se del caso dispone la riunione di più appelli, decide sull’istanza di sospensione dell’esecuzione, ammette nuove prove (vedi melius gli artt. 350, 351, 356) e poi “invita le parti a precisare le conclusioni” (normalmente rinviando ad altra udienza) e “dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’art. 190”. “La sentenza (sarà poi) depositata in cancelleria entro sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito della memoria di replica”. (v. melius l’art. 352).La parte soccombente potrà ricorrere in cassazione contro la sentenza che le ha dato torto nei limiti di cui all’art.360.

Lezione 74 - Svolgimento di una causa davanti al giudice di pace

In questa lezione ci proponiamo di dare un’idea di come si svolge una procedura davanti davanti al Giudice di Pace, a tal fine riproducendo il verbale di una causa.

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Questo verbale preso come esempio, lo studioso lo troverà nella Parte terza del libro (“Documenti dal vivo” - docc23 -30). Ma siccome tale verbale, come quasi tutti quelli scritti a mano nella fretta dell’udienza, è quasi illegibile, di seguito te ne dattiloscriviamo il contenuto. In calce a questa, diciamo così, traduzione, attireremo la tua attenzione su alcuni punti (indicati da frecce poste sui “documenti”) che ti possono dare un’idea di come si svolge un processo civile: almeno un processo molto semplice qual’è quello del Giudice di Pace.

Ufficio del Giudice di Pace di GenovaVerbale di udienzaCausa civile iscritta al N. 4875/95 R.G. in data 01.11.19995Avente ad oggetto risarcimento danni da sinistro stradalePromossa da V…SandraContro illeggibile e Assitalia s.p.a. e illeggibile convenutiL’anno 1995, il giorno 11, del mese di novembre alle ore 09,45Dinanzi al Giudice di Pace Dr. OnetiAssistito dalla sottoscritta Piscitelli Cadei Sono comparsiPer l’attore è presente l’Avv. B.. in virtù di mandato a margine dell’atto di citazione.Per i convenuti nessuno compare né si è precedentemente costituito.Il Giudice di Pace, verificata al regolarità della notifica e preso atto che uno dei convenuti Po…Riccardo è stato erroneamente indicato in atto di citazione come Pi…Riccardo ma la notifica è ugualmente realizzata in modo rituale come risulta dalla cartolina a firma Po…Riccardo, dichiara la contumacia di tutti i convenuti.L’Avv.Ba…chiede rinviare la trattazione pendendo trattative con la Compagnia di assicurazione del sig. Ci, Soc. Assitalia.Visto l’art. 320 c.p.c. il Giudice di Pace invita invece l’attore ad indicare i mezzi di prova di cui chiede l’assunzione. A questo punto l’Avv. B chiede l’ammissione degli incombenti istruttori di cui all’atto di citazione.Dato atto di ciò, il Giudice di Pace, in accoglimento dell’istanza ammette le prove per interpello e testi sulle circostanze capitolate nell’atto di citazione ammettendo come testi il Sig. Ugo e il Sig. De Gro Marisa, altresì quale C.T.U. il Sig. Gioretti Roberto, Via Rossigni n.1, per la verifica dell’an e del quantum delle lesioni fissando per l’espletamento degli incombenti di cui sopra e per il giuramento del C.T.U. il giorno 11.12.1999 ore 08, 45 dando termine per la nomina del consulente di parte fino a tale udienza.Visto l’art. 292 c.p.c. dispone la notifica a cura dell’attore, della presente ordinanza agli interpellati Cru Giovanna e Po Riccardo entro il termine dell’01/12/1995.Il presente verbale viene chiuso alle ore 11,30.

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L.C.S.L’Assistente giudiziario Il giudice di paceCarla Piscitelli illeggibile

Successivamente il 11.12.95 è comparso il procuratore dell’attore nonché l’attore personalmente. Viene introdotto il dottor Roberto Gioretti il quale si dichiara disposto ad assumere l’incarico e giura secondo il rito: “Sono Roberto Gioretti nato il 27 – 3 – 1950 a Genova ed ivi residente con studio in via Polleri 8 int. 1, medico legale”Roberto GiorrettiA questo punto il Giudice pone al CTU i quesiti posti usualmente dal Tribunale che il perito dichiara di ben conoscere (sull’an e sul quantum delle lesioni). Il CTU fissa per l’inizio delle operazioni il 18 – 1 – 1996 h. 17 presso il suo studio di via Polleri 8 –1 e chiede termine di 40 gg.Dato atto di ciò il Giudice dà termine per il deposito della relazione entro il 6 marzo 1996.L’avv. Bo nomina CTP il dottor Cesare Scaragero.A questo punto l’avv. Bo deposita l’ordinanza che disponeva l’interpello e altresì due certificati di residenza di Ci e di Pi ai fini di dimostrare che la notifica è avvenuta al reale indirizzo. Si riserva di produrre avviso di ricevimento relativo alla notifica di Ci.L’avv Bo esibisce atto di intimazione al teste De Gio Ettore. Si dà atto che l’intimazione così come l’interpello risultano regolarmente notificati e in termini.A questo punto viene introdotto il teste Ugo il quale assume l’impegno come per rito e dichiara. “Sono e mi chiamo Gianna Maria Pe coniugata anzi la prego di prendere atto che il nome di Ugo non mi appartiene in quanto sono semplicemente convivente con il sig. Ugo.Sono nata il 24 – 6 – 195 a Genova ed ivi risiedo in Salita S. Maria di Castello.Come anzidetto convivo col sig. Ugo.DR Al momento dell’incidente ero trasportata nel sedile posteriore dell’auto del sig. Ugo. Eravamo in fase di rallentamento per fermarsi data l’esistenza di una coda, in un tratto di strada leggermente curvilineo ma che assolutamente non poteva impedire la nostra visuale quando l’auto dell’Ugo fu tamponata da un furgone a quattro ruote.Il tamponamento è stato particolarmente violento tanto che i vetri posteriori sono andati in frantumi e sono stati scaraventati per strada gli oggetti collocati sul lunotto.Una volta scesa dall’auto ho potuto constatare che l’autofurgone che ci aveva

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tamponati a sua volta era stato tamponato.Personalmente non ho subito danni alla persona però l’ha subiti l’Ugo”.L.C.S. Gia PeL’Avv. Bo chiede fissarsi nuova udienza per l’escussione del teste De Gro (che a lui risulta non comparso per ragioni di salute).Dato atto di ciòIl Giudicerinvia la causa all’11 – 3 - 96 h.8,45 per l’escussione del teste De Gro (riservandosi di verificare la giustificazione della sua omessa comparizione) e per eventuale precisazione delle conclusioni e discussione. Autorizza il ritiro del fascicolo di parte disponendo la sua restituzione per l’udienza del 11 – 3 – 96 (h.8,45). Ricorda all’attore che deve produrre per tale udienza anche l’avviso di ricevimento relativo alla notifica dell’interpello al Ci.Si dà atto che le fotografie dette come allegate nell’atto di citazione al momento non risultano nel fascicolo di parte

Oneti LuigiSuccessivamente il 11.3.96 h. 8,45 sono comparsi per l’attore l’avv. Bo per il convenuto costituitosi in cancelleria con l’avv. A Su istanza del convenuto si revoca la contumacia del convenuto.Il procuratore del convenuto fa istanza di essere rimesso in termini giustificando il ritardo della costituzione in relazione a trattative intercorse e in considerazione che era stata comunicata dalla controparte erroneamente l’ora di udienza (9,45 anziché 8,45).Dato atto di ciò e altresì che l’attore si rimetteIl Giudicevisto l’art. 294 ritenendo che la tardiva costituzione è imputabile al convenuto dato che questi doveva controllare in cancelleria l’effettiva data e ora dell’udienza rigetta l’istanza di rimessione.A questo punto l’attore produce fotocopia foglio complementare dal quale risulta che la vettura Fiat Uno era di proprietà al momento del fatto di Ugo Sa.Il procuratore dell’attore così quantifica il danno all’auto (producendo n. 2 bollettini):A- Valore auto ante-sinistro Lit. 1500000B- Spese immatricolazione L 600000C- Indennità sostitutiva fermo tecnico (15 gg) L 500000Il procuratore del convenuto aderisce alla valutazione sub A e sub B e si rimette alla decisione equa del giudice in ordine al fermo tecnico che ritiene eccessivo per giorni.A questo punto

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Il Giudiceinvita le parti a precisare le conclusioni.L’attore così precisa: Piaccia al Giudice di Pace previa declaratoria della colpa concorrente o esclusiva di Ci Giuseppe e/o di Pi Riccardo nella determinazione del sinistro di cui trattasi condannare Ci Giuseppe, Ci Sandro, Assitalia S.p.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, Pi Giuseppe in via tra di loro solidale, alternativa o come meglio visto a risarcire al concludente i danni tutti materiali, morali e biologico subiti, il cui ammontare viene indicativamente quantificato in L. 10 milioni o in quella diversa somma risultanda sulla base delle acquisizioni processuali, in ogni caso nell’ambito della competenza per valore del Giudice adito. Rivalutazione e interessi sulle somme liquidate a far data da quella del sinistro. Con vittoria di spese e onorari del giudizio”.Il convenuto così precisa: “Voglia il Giudice di pace dichiarare la esclusiva responsabilità del sig. Pi Riccardo assolvendo i Sigg.ri Ci Giuseppe e Sandro e l’Assitalia SpA da ogni domanda nei loro confronti proposta, Vinte le spese del giudizio e onorari.”Si invitano a questo punto le parti alla discussione. Esaurita la discussione il Giudice trattiene la causa per la sentenza.

Oneti LugiGuarda dove si appunta la freccia 1 (in Doc. 24): il cancelliere sottoscrive il verbale perché ha assistito il Giudice nell’udienza e ha redatto il relativo verbale (e bada, solo il giudice e il cancelliere sottoscrivono, non le parti e i loro procuratori - co.2 art. 130). Così sempre dovrebbe essere (per l’articolo 57) ma così quasi mai è: il cancelliere è il grande assente nelle cause civili e il verbale di solito è redatto dalle parti o (più raramente) dal giudice.Ora guarda dove si appunta la freccia 2 (in Doc. 23): il convenuto non è comparso. Quindi il giudice, verificata la regolarità della notifica, ne dichiara la contumacia (il tutto ai sensi del combinato disposto degli artt. 291, 171). Val la pena di notare anche il piccolo problema che si è posto al giudice: il convenuto era stato indicato nell’atto di citazione con il nome leggermente storpiato (metti Pe anziché Pi): la citazione doveva considerarsi nulla? Il giudice, lettosi l’art. 164 ritiene di no, che quell’errore non è tale da rendere “assolutamente incerta” l’identità del convenuto.Freccia 3 (in Doc. 23): l’attore, pendendo trattative, chiede un rinvio. Il giudice oppone un rifiuto, senza spremersi troppo le meningi per motivarlo: semplicemente si richiama all’art. 320 e “invita l’attore a indicare i mezzi di prova di cui chiede l’ammissione”. E’ chiaro che qui non ci troviamo di fronte a quella “succinta motivazione” di cui l’art.134 si accontenta per le ordinanze, ma di fronte ad una vera e propria mancanza di motivazione. Ciò determina qualche nullità? La interpretazione preferibile ritiene di no (in considerazione, da una parte, del fatto

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che nella dinamica di una trattazione orale non è difficile alle parti farsi spiegare dal giudice il perché di una sua decisione, dall’altra, che di regola le ordinanze possono essere “modificate o revocate” dal giudice – v. co.2 art.177).Freccia 4 (in Doc. 23): l’attore, fatto buon viso a cattivo gioco, deduce le sue prove: per testi e per interrogatorio formale. Le deduce così semplicemente, per relationem, facendo riferimento alla deduzione già effettuata nell’atto di citazione: “chiede l’ammissione degli incombenti istruttori di cui all’atto di citazione”. La deduzione per relationem in effetti si usa nella pratica, però solo quando i capitoli di prova sono già stati dedotti nell’atto di citazione, nella comparsa di risposta o in un precedente verbale. Altrimenti l’avvocato con santa pazienza indica a verbale per esteso e compiutamente i capitoli su cui chiede la prova. Perché? Perché, se non scrivesse lui i capitoli nel verbale, li dovrebbe scrivere il giudice nella sua ordinanza (e nel processo vige la regola non scritta ma validissima: meno l’incombente richiesto al giudice è per lui pesante, più sono le probabilità che se ne sobbarchi): infatti l’art. 102 disp. att. così recita: “Nell’ordinanza che ammette l’interrogatorio o la prova testimoniale non è necessario che siano ripetuti i capitoli relativi, se il giudice fa richiamo a quelli contenuti nell’atto di citazione e nella comparsa di risposta o nei processi verbali”.Freccia 5 (in Doc. 27): il giudice si accorge che non erano stati inseriti nel fascicolo di parte alcuni documenti (delle fotografie) che nell’atto di citazione si dichiaravano invece prodotti. E giustamente di ciò fa dar atto nel verbale. Infatti se si perde un documento prima del suo inserimento nel fascicolo (e durante il suo deposito in cancelleria), la colpa si presume della parte (che dovrà pertanto sostituire la prova con altra prova), se si perde dopo il suo inserimento nel fascicolo (e durante il deposito di questo in cancelleria), la colpa si presume dell’Ufficio (e il documento potrà essere “ricostruito”, ad esempio, in base ai brani che ne sono stati riportati in scritti difensivi). E come è importante stabilire se un documento è stato inserito nel “fascicolo”, così è importante stabilire quando un documento è stato inserito (cioè prodotto – dato che alla produzione dei documenti gli articoli 320 e 183 pongono dei termini di decadenza). Ecco perché – come abbiamo già avuto occasione di vedere – il legislatore vuole che sulla copertina (melius, nel suo retro) sia contenuto oltre all’indice degli atti anche quello dei documenti prodotti (v. co.3 art. 74 e co.4 art. 36 disp. att.). Ecco perché, il legislatore, ancora vuole che il cancelliere “sottoscriva l’indice del fascicolo ogni volta che viene inserito in esso un atto o un documento” (art. 74 co. 4° disp. att.).Freccia 6 (sempre in Doc. 27): il giudice ha autorizzato la parte al ritiro del suo fascicolo (v. l’art.169 del codice e anche l’articolo 77 disp. att. – articolo però quest’ultimo che nella pratica, così come nel caso, viene ben raramente applicato in tutta la sua macchinosità). Ma la parte ha provveduto effettivamente al ritiro del

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fascicolo? Il dubbio – che ha intuitivamente un non scarso rilievo specie se, al momento in cui il giudice deve averne la disponibilità per consultarlo e prendere le sue decisioni, il fascicolo…é latitante - non viene (dalla lettura del verbale) risolto. E invece lo doveva; e infatti nella prassi chi ritira il fascicolo, a margine del verbale scrive: “Ritirato fascicolo – Addì (metti) 11 dicembre 1995” e sotto naturalmente ci mette la sua bella firma. E il procuratore (diligente) così come fa risultare il ritiro del fascicolo così ne fa risultare il rideposito (di solito con due righe nel verbale di udienza: “Si dà atto che l’attore rideposita ecc”).Freccia 7 (Doc. 28). Sorpresa: alla terza udienza compare e si costituisce il convenuto. Di conseguenza il giudice revoca la precedente dichiarazione di contumacia. Tale revoca, a dir il vero, non è espressamente imposta dal codice (l’art. 293 tace sul punto), però rientra nella logica del sistema ed è bene quindi farla. Il convenuto (tardivamente costituitosi) “fa istanza di essere rimesso in termini” (ai sensi dell’art. 294): sostiene che la controparte, sia pure in buona fede, lo aveva tratto in errore indicandogli una sbagliata ora d’udienza. L’attore con perfetto fair play non si oppone. Il giudice, invece, disattende l’istanza. Troppa severità? Forse, sì: forse l’omissione della costituzione dovuta al comportamento doloso o anche colposo della controparte può ritenersi dovuta a “causa non imputabile” (al contumace) – arg ex art.395 n.1.Freccia 8 (in Doc. 29): l’attore (nel silenzio della controparte e nella tolleranza del giudice) produce ulteriore documentazione.Subito dopo di ciò (quindi nella stessa udienza in cui si è esaurita l’assunzione delle prove e senza dichiarare di questa la chiusura, come vorrebbe l’art. 209, ma questo è..un peccato veniale) “il giudice invita le parti a precisare le conclusioni”. Solo il Giudice di Pace (v. art. 321) può permettersi tanta celerità: il tribunale (anche in composizione monocratica) secondo prassi e secondo quella che a me pare l’interpretazione migliore (dell’art. 189, a cui rinvia, per il giudice monocratico, l’art.281bis) per la precisazione delle conclusioni rinvia ad altra udienza.Freccia 9 (Doc. 30): precisate le conclusioni, il giudice invita subito alla discussione della causa (art. 321): a dir il vero, tanta celerità (auspicabile e rientrante nello spirito dell’art. 321) non sempre sussiste nella pratica. Dopo la discussione il giudice che fa? Si “trattiene la causa per la sentenza”. Una sentenza che certo non emetterà subito: non vogliamo dare al giudice qualche giorno per schiarirsi le idee prima di scrivere nero sul bianco? Se si trattasse di qualche giorno (e non di qualche settimana come capita purtroppo certe volte, in spregio al severo disposto del secondo comma art. 321 che vorrebbe la sentenza depositata entro 15 giorni), certamente si: è bene che le sentenze escano meditate dalla penna del giudice!A questo punto, il processo è finito, non però il nostro commento al verbale di

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trattazione. E infatti ci siamo dimenticati di attirare la tua attenzione, paziente amico studioso, su un evento che, per chi come te è alle prime armi, ha un certo interesse: la nomina del CTU (Consulente tecnico di ufficio) e del CTP (consulente tecnico di parte).La nomina del CTU vien fatta dal giudice al termine della prima udienza (vedi freccia 4bis in Doc. 24): il giudice fa applicazione del vecchio art. 191 e pertanto non formula i quesiti: li formulerà all’udienza in cui assumerà il giuramento del CTU (Doc. 24, segui freccia 1bis). Per l’articolo 191 come novellato il giudice invece deve formulare i quesiti insieme alla nomina del CTU. Per quel che riguarda il CTP invece, nessuna innovazione. Anche oggi un giudice, così come fa il nostro bravo giudice Oneti del verbale (va a Doc. 24, guarda un po’ più sotto di freccia 4bis), deve dare un termine alle parti per la nomina del loro CTP al momento di nominare il CTU (vedi art.201) e queste provvedono (se vogliono), a tale nomina senza particolari formalità (di solito all’udienza, vedi freccia 1ter, in Doc. 25).Come si può facilmente calcolare, per concludere la causa di cui al sopra riportato verbale occorsero quattro mesi. Ma una causa che si conclude in 4 mesi, te lo posso assicurare giovane amico che con pazienza mi leggi, è rarissima avis nella nostra povera Italia: si calcola che in media occorrano a un giudice italiano 1500 giorni per portare a termine un processo. Com’è possibile, tu ti domanderai? é colpa del codice mal fatto? No caro amico, non fanno difetto le norme, fanno difetto gli uomini (“Faltan las cabezas”) e per convincertene ti invitiamo a rivisitare i docc. 17, 18, 19, 20, 21, 22.Il Doc. 17 ti mostrerà un verbale di udienza di prima comparizione e trattazione: leggerai che le parti in tale udienza, che, notalo bene, è datata 8 gennaio 2008, concordemente chiedono “concedersi i termini per il deposito delle memorie di cui all’art. 183”: una cosa di ordinaria amministrazione e tu ti aspetteresti che il giudice subito, nella stessa udienza, conceda tale termine. Nient’affatto: va a Doc. 22, ti apparirà il verbale (melius l’ultima parte del verbale) dell’udienza in cui il giudice accogliendo la concorde istanza delle parti concede il termine: guarda la data del verbale: 17/ 7/ 08. E pazienza se il giudice l’8 gennaio 2008 avesse rinviato direttamente al 17.7.2008: niente di tutto questo, il giudice rinviò prima al 8.4.2008 e in tale udienza adducendo difficoltà organizzative dell’Ufficio rinviò al 17.7.2008. Tu dirai, può accadere anche nei migliori ordinamenti giudiziari. Certo che sì; ma in Italia capita troppo spesso!

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PARTE SECONDA

FORMULARIO

Avvertenze

Prima avvertenza: Il formulario é stato redatto nel presupposto che la procedura si svolga davanti al tribunale o la Corte di Appello. Ciò può comportare, nel caso invece la procedura si svolga davanti a un Giudice di Pace, l’adozione di qualche formalità che la rigorosa applicazione degli artt. 316 e segg. avrebbe reso inutile. Ma ….quod abundat non nocet.

Seconda avvertenza: Lo studioso dovrà tenere presente (anche nel silenzio del “formulario) che, quando si tratta di depositare un atto, questo deposito deve essere fatto telematicamente: per tutti gli atti, nel caso di ricorso per decreto ingiuntivo;per gli atti diversi da quelli con cui ci si costituisce in giudizio, nel caso del procedimento ordinario di cui agli artt.163 e segg (quindi é solo facoltativo il deposito telematico dell’atto di citazione e della comparsa di risposta);per tutti gli atti successivi a quello (atto di pignoramento) con cui inizia il procedimento, nel caso di processo esecutivo.

I. Le informative

L’avvocato prima di iniziare una causa deve dare al cliente due “informative”: prima (informativa) sui diritti che gli concede la legge sulla privacy; seconda, sulla possibilità di adire un organismo di meidazione al fine di tentare una transazione con la controparte.Entrambe le informative debbono risultare effettuate da dichiarazione scritta del cliente.La dichiarazione (di avvenuta ricezione della informativa relativa alla privacy) di solito la si insericse nello stesso atto in cui viene data la procura; come lo studioso potrà vedere visionando la formula sub II (relativa appunto ad una procura ad litem).La dichiarazione di avvenuta ricezione della informativa sulla possibilità di adire un organismo di mediazione, di solito, non solo la si inserisce (molto sinteticamente

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nella procura (vedi sempre formula sub II) ma la si allega (più dettagliata) all’atto con cui ci si costituisce in giudizio.Di seguito riportiamo un esempio di informativa sulla possibilità di adire un organismo di mediazione.

Dichiarazione di avvenuta ricezione della informativasulla possibilità di adire un organismo di mediazione

Io sottoscritto Giobatta Parodi dichiaro di essere stato informato dall’Avv. Cicero Caio, in ossequio a quanto previsto dall’art.4, 3° comma del d.lgs 4 marzo 2010, n. 28:della facoltà di esperire il procedimento di mediazione previsto dal d.lgs n. 28/2010 per tentare la risoluzione stragiudiziale della controversia insorta tra me e Sciaccaluga Michele; nonché dell’obbligo di utilizzare il procedimento di mediazione previsto dal d.lgs. n.28/2010 (ovvero per le materie ivi contemplate, i procedimenti previsti dal d.lgs n. 179/2007 o dall’art. 128 bis del d.lgs. n. 3857/1993 e successive modificazioni), in quanto condizione di procedibilità del giudizio, nel caso che la controversia sopra descritta sia relativa a diritti disponibili in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari; della possibilità, qualora ne ricorrano le condizioni, di avvalersi del gratuito patrocinio a spese dello Stato per la gestione del procedimento;3) dei benefici fiscali connessi all’utilizzo della procedura, ed in particolare: a) della possibilità di giovarsi di un credito di imposta commisurato all’indennità corrisposta all’Organismo di mediazione fino a concorrenza di euro 500,00= in caso di successo, credito ridotto della metà in caso di insuccesso; e delle circostanze che:b) tutti gli atti, documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura;c) che il verbale di accordo é esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di euro 50.000,00= e che in caso di valore superiore l’imposta é dovuta solo per la parte eccedente.Arezzo 25.07.11(Giobatta Parodi) (Avv. Caio Cicero)

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II. Procura alle liti

Io sottoscritta Maria Bianchi, nata a Genova il 15/10/1980, residente ivi in Via San Gerolamo n.2, c.f.……….., informata ai sensi dell’art.4,3° comma, del d.lgs. n.28 / 2010 della possibilità di ricorrere al procedimento di mediazione ivi pervisto e dei benefici fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del medesimo decreto, come da atto allegato, delego a rappresentarmi ed assistermi nel procedimento contro Luisa Rossi di cui al contestuale atto, in ogni sua fase e grado, ed in quelli eventuali di esecuzione e opposizione, conferendogli ogni più ampia facoltà di legge, ivi comprese quelle di transigere,conciliare, emettere e sottoscrivere atti di quietanza, proporre domande riconvenzionali, chiamare terzi in causa, richiedere provvedimenti cautelari e resistere agli stessi, proporre reclami e resistervi, rinunziare alle domande e / o agli atti, accettare rinunzie, farsi sostiutire da altri procuratori anche per singoli atti e udienze, con espressa preventiva ratifica di ogni altro operato, l’Avv. Cicero del Foro di Genova. Eleggo domicilio presso e nel suo studio in genova, via Roma 5.Avuta la informativa di cui all’art.13 d.lgs. 196/2003 dò inoltre il mio consenso (art.23) al trattamento dei miei dati, anche sensibili (art. 26), utili alla gestione della presente pratica.Firma di Maria BianchiPer autenticaFirma dell’avvocato Cicero

Di solito la procura e le contestuali informative vengono apposte con un timbro..Naturalmente l’atto di procura può assumere una forma molto più sintetica. Sarebbe ad esempio perfettamente valido una procura ad litem redatta come segue: “Io sottoscritto Luigi Bianchi dò mandato all’avv. Cicero eleggendo domicilio presso e nel di lui studio in Genova via Roma 3 di rappresentarmi e difendermi in ogni stato e grado del presente procedimento e nell’eventuale procedura esecutiva con ogni più ampio potere di legge”.Vedi l’art. 83 (specie nella ultima parte del suo terzo comma) sulle modalità di rilascio della procura, specie in caso di processo telematico.Nel caso che la procura (come risulta possibile per l’articolo ora citato) sia redatta “a parte”(e questa é la regola trattandosi di processo telematico) é opportuno indicare nella intestazione, sia pur sinteticamente, la causa a cui si riferisce: “Procura a difendere nella causa contro Pinco Pallino”.

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III. Mediazione (atti relativi a una procedura di) Istanza all’Organismo di mediazione

On. Organismo di Mediazione Forense

Il sottoscritto Giobatta Parodi nato a Genova il 06.09.1936, C.F. LMGTR67HGFM res in Arezzo via Pitti 6 ma elett.te domiciliato in Arezzo via Lucilla 4 presso e nello Studio dell’avv.Caio Cicero del Foro di Arezzo che lo difende e assiste nella presente procedura per mandato a margine della presente istanz,

Conferisceall’Organismo di Mediazione Forense di Arezzo l’incarico di avviare la procedura di mediazione

nei confrontidi Sciaccaluga Michele nato a Genova il 06.07.56 e res. in Arezzo via Lomellini 4 per la seguente controversia: L’’esponente si è sottoposto a intervento chirurgico sul menisco presso l’Ospedale San Donato di Arezzo il 05.10.2010.L’intervento veniva eseguito dal Dott. Michele Sciaccaluga, il quale però per difetto di perizia o per negligenza………Di conseguenza l’esponente richiedeva un risarcimento al Dr. Sciaccaluga il quale però a ciò si rifiutava.L’esponente fa precisa riserva di adire l’Autorità Giudiziaria nell’ipotesi deprecata che, nonostante la mediazione di codesto onorevole Organimo, non si riesca a raggiungere una onesta e giusta definizione della controversia.L’esponente, ai sensi della Legge sulla privacy, acconsente al trattamento dei propri dati per quel che è reso necessario dallo svolgimento della presente procedura.L’esponente chiede di ricevere le comunicazioni riguardanti e conseguenti alla presente istanza nel domicilio come sopra eletto presso il suo difensore Caio Cicero e tramite il di lui fax 0575.874398 e la di lui pec…………….Il valore della controversia, determinato secondo i criteri del CPC, è di € diecimilaSi allega:Cartella clinica; Lettera racc. al dott. SciaccalugaArezzo 25.07.11(Giobatta Parod) (Avv. Caio Cicero)

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Atto di adesione alla procedura di mediazione

On Organismo di mediazione forensePresso l’Ordine Avvocati di Arezzo- Il sottoscritto Michele Sciaccaluga nato a Genova il 06.05.56 C.F. SCFRM89UGTREM res. in Arezzo Via Giotto 54 ed ivi elett. dom. presso e nello studio dell’Avv. Plinio che lo assiste e difende nella presente procedura per procura a margine- in risposta alla domanda di mediazione formulata nei propri confronti da Giobatta Parodi

accettadi partecipare all’incontro di mediazione fissato per il giorno 15 agosto 2011; ma alle contestazioni del sig.Giobatta Parodi così per intanto

replica: Nessun errore fu da lui commesso nell’esecuzione dell’operazione al menisco. …….…………………………………………….Peraltro anche l’esponente, come il sig Giobatta Parodi, spera che con la mediazione dell’onorevole Organismo, possa essere raggiunta una onesta e giusta definizione della controversia.Il valore della causa viene indicato seguendo i criteri del CPC in € diecimila.L’esponente chiede di ricevere eventuali comunicazioni nel domicilio del suo Difensore, avv. Cicero Secondo del Foro di Arezzo, il cui fax é….e la cui pec é…….L’esponente ai sensi della Legge sulla privacy consente al trattamento dei propri dati per quanto necessario allo svolgimento della procedura di mediazione.Arezzo 20 luglio 2011 (Sciaccaluga Michele)

.Avvertenze. Il procedimento di mediazione è disciplinato dal d.lgs. 28/2010 e dal d.l.. 21 giugno 2013, n 69, che hanno reso il tentativo di mediazione in alcuni casi obbligatorio, in altri facoltativoIl tentativo di mediazione è obbligatorio nelle seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia,locazione, comodato,affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.Nel caso in cui il tentativo di emdiazione è obbligatorio è anche obbligatoria l’assistenza di un avvocato.

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La domanda di mediazione deve contenere: a) i dati identificativi delle parti; b) i dati identificativi dell’eventuale rappresentante (e in tal caso occorrerà naturalmente allegare la procura); c) i dati identificativi del difensore; d) la descrizione dei fatti; e) l’indicazione del valore della controversia. Il regolamento dell’Organismo adito può pretendere altre indicazioni (ad esempio, l’impegno a versare le spese di avvio e l’indennità di mediazione). Pertanto la cosa migliore è di utilizzare per la domanda i moduli che di solito ogni Organismo predispone.

IV. Vari tipi di notifica

1 - PremessaLe principali procedure di notificazione sono le seguenti quattro: I – Procedura tramite ufficiale giudiziario (diretta o a mezzo posta);II – Procedura di notifica a mezzo posta fatta dal difensore “in proprio” (cioé facendo a meno di rivolgersi all’ufficiale giudiziario);III- Procedura di notifica al testimone ai sensi degli artt. 250 c.p.c. e 103 disp. att. c.p.c.IV – Procedura in “forma diretta”V- Notifica in via telematica;Per quest’ultimo tipo di notifica rinviamo alla “appendice “sul processo telematico. Qui ci limiteremo ad alcuni cenni sui quattro precedenti tipi di notifica.

A - Procedura tramite ufficiale giudiziarioPuò essere fatta dall’ufficiale giudiziario direttamente o a mezzo posta.

Notifica fatta direttamente dall’U.G.– Una volta predisposto lo schema di relata di notifica ti recherai nell’ufficio in cui hanno sede gli ufficiali giudiziari (di seguito, UNEP ovvero Ufficio Unico Esecuzioni e Protesti). Lì ti aspetterà probabilmente una lunga attesa (e ancora più lunga se, appena arrivato, non avrai avuta l’avvertenza di collocarti nella “lista di attesa”!). Impiegherai questo tempo (d’attesa) apponendo il c.d. “timbro di congiunzione” e predisponendo la (eventuale) “richiesta di urgenza”.L’apposizione del timbro di congiunzione va fatta sia nell’originale (dell’atto da notificare) sia nelle copie; e consiste nello squadernare l’originale e ciascuna delle copie e apporre un timbro (che gli ufficiali previdentemente mettono a disposizione del pubblico) in modo che la timbratura insista per metà nell’estremità di una pagina e per metà nell’estremità della pagina contigua (in modo che in un domani possa

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risultare una eventuale sottrazione di una di queste pagine).La “richiesta d’urgenza” (che naturalmente farà levitare il costo della notifica) si scrive di solito accanto al timbro dello studio. La formula potrebbe essere molto semplicemente: “Si notifichi con urgenza entro il 15 dicembre” + data + la tua sottoscrizione.Giunto finalmente il tuo turno, tu consegnerai originale e copie all’ufficiale giudiziario e…pagherai (in contanti) quanto ti viene richiesto. Non ti verrà rilasciata ricevuta in quanto l’effettuazione dell’esborso e il suo ammontare verrà fatto risultare dall’ufficiale giudiziario apponendo un timbro su una facciata (di solito, la prima) dell’originale (come puoi constatare andando al Doc. 2 della sez.II e guardando là dove, nel margine destro, si appunta la freccia 2).Dopo qualche tempo (che varia da caso a caso) devi tornare nei locali degli ufficiali giudiziari per ritirare l’originale dell’atto con la relata di notifica (positiva o negativa) compilata. Negli uffici meglio organizzati ti verrà evitato di far la coda, ponendo, in luogo liberamente accessibile dal pubblico, gli originali (appilati in ordine di nome dell’avvocato richiedente la notifica: ecco l’importanza di mettere il timbro dello studio sull’atto!): in tal caso tu, senza chiedere permesso a nessuno, cercherai nella pila il “tuo atto” e, sempre senza chiedere niente a nessuno, te lo porterai via.Andando al Doc. 8 della sez. II potrai farti un’idea di come si presenta nella pratica una relata di notifica.Notifica fatta dall’ufficiale giudiizario per posta.Vediamo ora come devi procedere quando chiedi agli ufficiali giudiziari una notifica tramite posta (cosa, questa, frequentissima e addirittura necessaria quando la notifica va effettuata fuori del territorio di competenza del tribunale adito).In tal caso ti recherai sempre nei locali UNEP, però non ti limiterai a portare l’originale e le copie dell’atto da notificare, come sopra detto, ma dovrai altresì procurarti tante buste e tanti “avvisi di ricevimento” quanti sono i notificandi (fino a poco tempo avresti dovuto procurarti anche altrettante ricevute di spedizione: oggi solo alcuni uffici continuano a richiederle). Le buste e gli “avvisi di ricevimento” nelle piccole città sono di solito forniti dagli stessi ufficiali giudiziari; nelle grandi città invece si acquistano da quei negozi di rivendita di valori bollati che gravitano intorno al tribunale. In questo secondo caso tu dovrai fare attenzione a richiedere al negoziante: busta e avviso di ricevimento per uso notifica. Infatti, le buste e gli avvisi di ricevimento ad uso notifica portano delle particolari diciture (vedi Doc. 9). Per prassi le buste e gli avvisi di ricevimento sono compilati dal richiedente la notifica. A parte l’aggravio di portare il “materiale”di cui sopra (busta, avviso di ricevimento…) la procedura di una notifica a mezzo posta è praticamente simile a quella della notifica fatta direttamente dall’U.G.: dovrai prenotare (nei grandi uffici) il

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tuo turno, dovrai mettere il “timbro di congiunzione”, dovrai, arrivato il tuo turno, consegnare all’ufficiale giudiziario: originale e copie da notificare e naturalmente le buste, gli avvisi di ricevimento, la ricevuta di spedizione. L’ufficiale Giudiziario dopo avere apposto i necessari timbri sulla relata di notifica (che tu, nel tuo studio già avrai avuto la diligenza di predisporre nell’originale e nelle copie) e sulle relative “cartoline”, inserirà le copie notificande (no, naturalmente, l’originale in cui avrà dato atto della notifica a mezzo posta) nelle buste e le spedirà (le spedirà lui, e non tu). L’avviso di ricevimento arriverà poi nello studio dell’avvocato richiedente la notifica; mentre per avere l’originale di notifica dovrai essere tu a recarti nella sede degli ufficiali giudiziari

B -Procedura di notifica a mezzo posta fatta “in proprio” (cioé “saltando” l’ufficiale giudiziario) dal difensore.

E’ una procedura prevista dalla L. n. 53/1994. Non tutti gli avvocati, ma solo quelli autorizzati dal Consiglio dell’Ordine (in considerazione della loro correttezza e affidabilità) vi sono ammessi e pertanto possono sostituirsi all’ufficiale giudiziario nella sua attività istituzionale di notificazione. L’avvocato come sopra autorizzato deve provvedere alla regolare tenuta di un registro cronologico – registro in cui dovrà con precisione annotare tutti gli estremi delle notificazioni da lui direttamente fatte.Tanto premesso, diamo brevi cenni su questa procedura. L’avvocato “autorizzato”: scrive nell’originale e nelle copie una relata sui generis (vedi Doc. 10 in sez. II); si procura: una busta, una ricevuta di racc., un avviso di ricevimento ad hoc (si badi, mentre ricevuta racc, e avviso di ricevimento sono eguali a quelli già visti parlando della notifica fatta a mezzo posta dall’ufficiale giudiziario, la busta invece è leggermente diversa da quella usata in questo tipo di notifica); compila, la ricevuta di racc., l’avviso di ricevimento e la busta (attenzione, in questa come mittente deve indicare l’avvocato che procede alla notifica e non si deve dimenticare di scollare dalla ricevuta di racc. il codice a barre e di incollarlo nella facciata della busta).Fatto questo all’avvocato-notificante non resta che recarsi alle poste con buste, avvisi di ricev. ecc. e naturalmente l’originale e le copie da notificare. L’ufficiale postale apporrà il suo timbro (con datario) sull’originale e le copie (il timbro sull’originale è importantissimo dato che prova la data di invio della notifica!); restituirà all’avvocato la ricevuta di racc. e procederà ad inserire le copie notificande nelle buste. Queste naturalmente vengono lasciate a mani dell’ufficiale postale mentre l’avvocato trattiene l’originale e la ricevuta di racc. (consiglio pratico: spillare questa su quello). L’avviso di ricevimento ritornerà nello studio dell’avvocato notificante il quale ormai in possesso di: originale di notifica (timbrato

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a datario, come sopra detto), di ricevuta di racc. e di “avviso di ricevimento” avrà con ciò stesso la prova dell’avvenuta notifica.

C -Procedura di notifica a testimone

Tale tipo di notifica (che, al contrario di quella prevista sub B può essere espletata da un difensore senza previa autorizzazione del Consiglio dell’Ordine) é prevista dal 3° comma dell’art. 250 c.p.c. e dall’art.103 disp, att. c.p.c. Ai sensi del terzo comma art.250 “l’intimazione al testimone ammesso su richiesta delle pareti a comparire in udienza può essere effettuata dal difensore attraverso l’invio di copia dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo telefax”.Noi qui ci limiteremo a prendere in esame solo la prima modalità di notifica indicata nell’articolo (rinviando, per quel che riguarda la seconda, alla parte del libro dedicata al processo telematico). Anche se la notifica di cui iniziamo a parlare avviene a mezzo posta; non occorre (al contrario di quanto detto per la notifica sub A) che tu, per effettuarla ti munisca di particolari buste e di particolari “avvisi di ricevimento”: basteranno le ordinarie buste semplici (per raccomandata a.r. cioè rettangolari), gli ordinari avvisi di ricevimento e le ordinarie ricevute di racc.In pratica così devi procedere: redigi l’atto di intimazione (vedi di seguito l’esemplificazione D) e ne fai tante copie (oltre all’originale) quanti sono i notificandi; compili buste, avvisi ricevimento, ricevute racc. (tante quanti sono i notificandi); imbusti le copie (non l’originale!); vai all’ufficio postale per spedire le raccomandate, ritirando naturalmente le ricevute di racc. (consiglio pratico: ricordarsi di spillare queste sull’originale). L’avviso di ricevimento tornerà naturalmente nel tuo studio: questo + la ricevuta di racc. + l’originale costituiranno prova dell’effettuata notificaD- Notifica in forma diretta

Tale tipo di notifica é prevista dall’art. 4, L. 21 gennaio 1994, n. 53; il quale ercita: “1- L’avvocato e il procuratore legale, munito della procura e dell’autorizzazione di cui all’art.1, può eseguire notificazioni in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, direttamente, mediante consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario, nel caso in cui il destinatario sia altro avvocato o procuratore legale, che abbia la qualità di domiciliatario di una parte:2 – La notifica può essere eseguita mediante consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario se questi e il notificante sono iscirtti nello stesso albo. In tal caso l’originale e la copia dell’atto devono essere previamente vidimati e datati

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dal consiglio dell’ordine nel cui albo entrambi sono iscritti”.Quindi, la cosa va posta bene in evidenza, la notifica diretta é ammessa solo:1) se chi procede alla notifica é un avvocato: 2) se tale avvocato é munito di procura ed é autorizzato a ciò dal suo Consiglio dell’Ordine; 3) se consegnatario della copia é un altro avvocato;4) se quest’altro avvocato é il domiciliatario della controparte; 5) se entrami gli avvocati sono iscritti allo stesso albo.Tanto posto in evidenza, vediamo passo dopo passo come si svolge la procedura: I - Primo passo: l’avvocato (notificante) predispone un originale dell’atto da notificare + tante copie quanti sono i notificandi. E’ anche opportuno che già predisponga in calce all’originale e alle copie una relaizone id notifica (così come si fa quando si notifica tramite UNEP.II - Secondo passo. L’avvocato presenta l’originale e le copie di cui sub I al proprio Consiglio dell’Ordine a che le vidimi e le dati.III- Passo: l’avvocato (notificante) si incontra col Collega (non necessariamente nel domicilio eletto) e gli consegna (personalmente! non potrebbe farsi sostituire) la copia (o le copie) e il registro cronologico: il Collega sottoscrive per ricevuta, l’originale, e le copie e, altresì, il registro cronologico.III – L’avvocato (notificante) applica all’originale la marca dell’importo prescritto (importo che varierà a seconda del numero dei destinatari).

D - Esemplificazione di atto di intimazione a testi

Tribunale civile di RomaCitazione a testimoniare(in forza dell’art. 250 c.p.c. e 130 disp. att. c.p.c.)

Signor Bianchi AlfredoVia Giulio Cesare n.600143 Roma

il sottoscritto Avv. Primo Cicero, con studio in Roma Via Plinio 30, nella sua qualità di procuratore ad litem del signor Rossi Mario, in forza degli artt. 250 c.p.c. e 130 disp. att. c.p.c.Vi intimadi comparire all’udienza che si terrà il giorno 06 maggio 2008 alle ore 12 e seguenti davanti al Giudice Maga nei locali soliti del Tribunale civile di Roma, posti in Roma, via Giulio Cesare 44per deporre come teste nella causa promossa dal prefato sig. Rossi Mario contro la

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sig.ra RosatiRosa – causa al momento pendente davanti al Tribunale civile di Roma, e distinta col n. 22365 nel registro Generale di detto Tribunale.E contestualmente Vi rappresenta che: la presente intimazione avviene in forza di Ordinanza emessa il 05.12.07 dal prefato Giudice Dott. Maga; per la Legge il teste intimato che senza giustificato motivo non compare è passibile di una condanna al pagamento di una pena pecuniaria non inferiore a euro 100 e non superiore a euro 100.Roma 05.04.2008 (Avv. Cicero Primo)

V. Atto di citazione

Tribunale civile di RomaAtto di citazione

Il sig. Rossi Mario nato a Genova il 08.05.70, res.in Roma, via Genova n.3, c.f……..elettivamente domiciliato, ai fini del presente giudizio sempre in Roma, via Alessandrino, 304, presso e nello studio dell’Avv. Cicero Claudio, che lo rappresenta e difende per delega a margine del presente atto,e il cui c.f., fax e pec sono indicati in perfetta osservanza dell’art.125 ma nelle ultime righe della presente

Premesso:A -che il 15 maggio 2009 alle ore 18 circa in Roma, corso Italia, la Fiat 500 tg. 681725 di proprietà dell’esponente veniva violentemente tamponata dalla Fiat. 7845329 condotta e di proprietà del sig. Bianchi Luigi; che dall’incidente all’esponente derivavano gravi danni alla persona (come da allegata documentazione medica e ospedaliera) e alle proprie cose (come da allegato preventivo dell’autocarrozzeria):che le modalità dell’incidente: l’urto avvenuto nella parte posteriore della Fiat dell’esponente, l’essere stato l’arresto di questa tutt’altro che repentino, rendono evidente la colpa esclusiva del tamponante, sig. Bianchi;che vane sono risultate le richieste e i tentativi di bonario componimento, anche con la Compagnia “Secura II” che copre le responsabilità civili della Fiat investitrice (raccomandata ricevuta il 20 giugno 2009);- tutto ciò premesso e ritenuto, l’esponente

citala “Secura II S.p.A.” con sede in Roma via Giulio Cesare 2, in persona del suo legale rappresentante pro tempore;il sig. Bianchi Luigi res. in Roma, via Nomentana 87,– a comparire davanti al davanti al Tribunale civile di Roma in composiizone

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monocratica, Giudice designando ai sensi dell’art.168bis c.p.c., locali di sue solite sedute, per l’udienza del 18 febbraio 2010 ore di rito;- con invito a costituirsi ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166 e nel termine di venti giorni prima dell’udienza come sopra indicata, ovvero di dieci giorni prima, in caso di abbreviazione dei termini: e con avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c- per ivi sentire accogliere le seguentiConclusioni“Piaccia al Tribunale ill.mo dichiarare che l’incidente di cui in premessa è avvenuto per fatto e colpa esclusiva del sig. Bianchi Luigi e, per l’effetto, condannare in solido i convenuti al risarcimento a favore del conchiudente di tutti i conseguenti danni, patrimoniali e non, alla persone e alle cose nella somma che sarà determinata in corso di causa ovvero in separata sede, computata una congrua rivalutazione, aggiunti gli interessi legali dal giorno del sinistro a quello dell’effettivo soddisfo; vittoria nelle spese, competenze ed onorari del presente giudizio da distrarsi a norma dell’art. 93 c.p.c. a favore dell’Avv. Cicero Claudio quale procuratore antistatario.Si allegano al presente atto:1) informativa ai sensi art. 4, 3° comma d.lgs.n. 28/2010-04-01(c.d informativa sulla mediazione);2) lettera racc. con avviso di ricev. diretta alla “Secura II” S.p.A.”;3) preventivo dell’Autocarrozzeria Luce;4) cartella clinica dell’Ospedale San Carlo.Ci si riserva, occorrendo, di dedurre per interpello e testi le circostanze di cui in narrativa, premessa la locuzione “E’ vero che…”;Si indicano a testi: Sig. Verdi Mario res. in Roma via San Francesco 1; Sig. Verdi Luigi res. in Roma via Ariosto 1.Con riserva di altro dedurre e produrre.Si dichiara, ai sensi dell’art. 9, 5° comma, l. 488/99, che il valore della causa non è superiore a novantamila euro e che pertanto il contributo unificato è pari ad euro…..Il difensore dichiara di essere titolare dei seguenti, c.f., fax e pec (come indicata al suo Ordine): c.f…….; fax…….;pec……….15. 09.10 (Firma dell’avv. Cicero Claudio)

Al sig. Presidente del Tribunale di RomaIl sottoscritto proc. Cicero Claudio nella qualità; poiché la causa richiede pronta spedizione dato che……………….

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Chiedea V.S. di abbreviare il termine di comparizione alla metà.Roma 16.09.10 (Firma dell’avv. Cicero Claudio)Il Presidente letta la citazione e l’istanza che precede, ritenuto che la causa richiede pronta spedizione, dato che…………………………………………………………………..Visto l’art. 163bis riduce il termine di comparizione alla metà.Roma 17.09.10 (Firma del presidente)

Relata di notificaRichiesto dal’avv. Cicero Claudio nella qualità;io sottoscritto Uff. Giudiziario addetto alla Corte di Appello di Roma ho notificato copia conforme del su esteso atto a “La Secura S.p.A.” e a Bianchi Luigi.Quanto a “La Secura S.p.A.” in persona del suo legale rappresentante pro tempore recandomi nella sua sede di Roma via G. cesare 1 e ivi consegnandone copia a………………….. Quanto a Bianchi Luigi recandomi nella sua res. in Roma via Nomentana 87 e ivi consegnandone copia a……………Avvertenze: Dal procuratore va sottoscritto, non solo l’originale, ma anche le copie da notificare (art. 125 c.p.c.). La procura può essere rilasciata non solo a margine (come nella formula esemplificata) ma anche in calce o con atto autonomo (art.83). Corrisponde ad una buona prassi ripeterla anche nelle copie (serve ad evitare contestazioni sul suo rilascio anteriore alla costituzione), ma ciò non è imposto da nessuna norma di legge (Cass. 14 dicembre 1946, n. 1359, in Foro it. 1947).Il luogo e la data di nascita delle parti è opportuno indicarlo, ma la sua indicazione non è per legge dovuta.“Qualora sia parte nel processo una persona giuridica, la persona fisica che ha conferito il mandato al difensore nella qualità di organo di detta parte, non ha l’onere di dimostrare tale veste, mentre l’eventuale inesistenza di tale rapporto organico, che è presunto, deve essere provata da chi l’eccepisce (Cass. 17 gennaio 1989, n.198)Nell’indicare il giorno dell’udienza di comparizione, l’attore deve tenere conto: che i termini che, secondo l’art. 163bis debbono intercorrere tra la notificazione dell’atto di citazione e detta udienza, sono termini “liberi” (quindi non va calcolato né il dies a quo né il dies ad quem); che nel caso in cui sia stato indicato come giorno di comparizione un giorno festivo, la comparizione si intende prorogata al primo

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giorno seguente non festivo; che la sospensione feriale dei termini si applica anche al termine a comparire de quo.L’omissione dell’indicazione del contributo unificato e della pec non determina nessuna nullità; però è sanzionata con un aumento del contributo unificato pari alla metà del suo importo..L’istanza di abbreviazione dei termini (naturalmente facoltativa) va redatta dopo l’atto di citazione e prima della relata di notifica. Essa, così come il pedissequo decreto presidenziale, va ripetuta anche nelle copie.Naturalmente una volta redatto l’atto di citazione (in tante copie quanti sono i notificandi + una per l’ufficio + una come originale da inserire a tempo opportuno nel fascicolo di parte) occorre notificarlo (il che si fa generalmente portando l’atto – originale + copie - dagli ufficiali giudiziari; quindi occorre costituirsi in giudiizo (per il che vedi il titolo ottavo della parte prima e l’appendice sul processo telematico).

VI. Rinnovazione della citazione

Se il convenuto non si è costituito e a un controllo dell’atto di citazione da parte del giudice (controllo che dovrebbe avvenire al momento della declaratoria della contumacia del convenuto, ma che di per sé può avvenire in tutto il corso del processo) risulta un vizio della citazione (melius, uno dei vizi indicati nell’art. 164), il giudice ordina all’attore di rinnovarla (in un termine perentorio). Se invece il convenuto si è costituito, la sua costituzione sana i vizi dell’atto (in limiti diversi a seconda del tipo di vizio, vedi melius art. 164); però, nel caso il vizio attenga a“l’inosservanza di termini a comparire o alla mancanza dell’avvertimento previsto dal numero 7 dell’art. 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini” e, nel caso il vizio derivi dal fatto che “è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito stabilito nel numero 3 dell’articolo 163 o manca l’esposizione dei fatti di cui al numero 4 dello stesso articolo”, ordina all’attore di integrare la citazione (sempre in un termine perentorio) – e tale integrazione per prassi (se non per la stretta lettera del codice) va fatta con “memoria”.La “rinnovazione” si attua così: I) si redige l’atto (vedi formula A) nel numero di copie necessarie per la notifica (numero che può essere inferiore a quello delle parti in causa, se la rinnovazione va fatta per solo uno dei convenuti, essendosi ad esempio gli altri regolarmente costituiti); II) si notifica l’atto di rinnovazione; III si deposita l’originale dell’atto inserendolo nel proprio fascicolo di parte (c’è un termine per tale deposito? l’interpretazione preferibile lo nega, e infatti il convenuto, avendo copia dell’atto di rinnovazione e potendo trovare in cancelleria gli altri

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documenti di cui all’art.165, come conseguenza della precedente costituzione dell’atto, ha anche tutti gli elementi per giudicare sulla fondatezza della domanda - l’importante è che il giudice all’udienza sia posto in grado di controllare la regolarità della rinnovazione della citazione).Per quel che riguarda la “memoria integratrice”, si può, nel redigerla seguire la falsariga della formula A (mutatis mutandis); per il suo deposito non ci dovrebbero essere problemi: si farà nel termine e con le modalità (deposito in cancelleria, deposito all’udienza…) indicate dal giudice.E’ dubbio se l’atto di rinnovazione e la memoria integratrice debbano o solo possano depositarsi telematicamente.

Atto di rinnovazione della citazione

Tribunale di GenovaAtto di citazione in rinnovazione (art.164 C.P.C.)

Luigi Bianchi in persona dell’avvocato Cicero Primo, che lo rappresenta e difende per procura a margine dell’atto di citazione già in precedenza notificato

PremessoChe l’esponente con atto di citazione notificato il 6 maggio 2003 evocava davanti al Tribunale di Genova, Michele Rossi;- che la causa veniva iscritta al n. 657438/2006 Trib Genova ed era assegnata al Dott. Pinco Pallino;- che il Tribunale rilevava la nullità del prefato atto di citazione per il motivo che “non essendo indicate le mensilità dei canoni non pagati, ne risultava assolutamente incerto il requisito di cui al n. 3 dell’art. 163”;- che di conseguenza il Tribunale, facendo applicazione dell’articolo 164 comma 5 C.P.C., dava termine all’esponente per rinnovare la citazione fino al 6 giugno 2006, fissando la nuova udienza per il 15 settembre 2006 h. 9;- tutto ciò premesso, l’esponente rinnova la citazione nella forma emendata e corretta in conformità dell’ordinanza del tribunale, così come segue: Tribunale di GenovaLuigi Bianchi c.f……res. via Roma 3 del Comune di Genova e in tale Comune elett.te domiciliato in via San Gerolamo di Quarto 11 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine dell’atto precedentemente notificato e i cui: c.f., fax e pec sono debitamente indicati nelle ultime righe del presente atto

Premesso- che nel corso del 2003 l’esponente Luigi Bianchi….(ripetere l’atto di citazione dichiarato nullo con le modifiche, naturalmente anche nella data dell’udienza, imposte dall’ordinanza del tribunale. Può essere opportuno anche nel punto della

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vera e propria vocatio in ius indicare il nominativo del giudice, cioè: non “giudice designato ai sensi ecc.”, ma “dott. Pinco Pallino della sez. II del Trib.”Dopo aver ricopiato, mutatis mutandis, l’atto precedente fino alla data e alla firma escluse, continuare come segue).Sottoscrive l’atto di citazione come sopra riformulato, nella sua qualità procuratoria l’Avv. Cicero Primo che è titolare dei seguenti c.f., fax, pec (come indicata al suo ordine): c.f….; fax…..; pec…..Genova 15 giugno 2006 (Avv. Cicero Primo)

Avvertenze“La rinnovazione di un atto di citazione nullo in quanto finalizzata alla sanatoria sia pure con efficacia ex nunc dello stesso rapporto processuale non postula un nuovo mandato, non estendendosi al mandato già rilasciato, in quanto atto autonomo, l’invalidazione della citazione cui accede” – Cass. civ. Sez. II, 13 gennaio 19993, n. 278, La Pario S.r.l..“In ipotesi di rinnovazione, il rapporto processuale si costituisce validamente e non occorre rinnovare né la costituzione in giudizio né l’iscrizione a ruolo” – Cass. civ. Sez. II, 26 maggio 1978, n. 2670.“Nel caso di citazione rinnovata ai sensi dell’art.291 c.p.c. è nullo il giudizio che ne segue in contumacia del convenuto, se, mancando il richiamo della citazione originaria, egli abbia ignorato la pendenza del giudizio” – Cass. 10 gennaio 1957 n. 38.

VII. Comparsa di risposta

Tribunale civile di RomaComparsa di costituzione e risposta, con domanda riconvenzionale e chiamata in

causa di terzonella causa r.g. 31/06 – Dott. Giaca – ud. 30.05.06

per Mario Rossi, c.f. ROSMAR33G036M, res. in via Capo Santa Chiara 21 di Genova e in Genova elettivamente domiciliato in Via San Gerolamo 11 presso e nello studio dell’avvocato Caio Cicero che lo rappresenta ed assiste in forza di mandato a margine del presente atto(e i cui: c.f..fax, pec sono indicati nelle ultime righe della presente)

- convenuto con avv. Caio Cicero contro

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Bianchi Alfredo - attore con avv. Plinio Servilio

xxxxxxxxxxxxxxxx

Per Rossi Mario si costituisce l’avvocato Cicero per resistere e domandare riconvenzionalmente come segue.

L’iniziativa avversaria – Con atto di citazione notificato il 16 agosto 2005 Alfredo Bianchi ha convenuto in giudizio l’esponente Mario Rossi per sentirlo condannare al pagamento di euro 10mila o alla somma meglio vista, assumendo: - di avergli venduto 100 barattoli di vernice – per il prezzo convenuto in euro 15mila; -di non aver ricevuto che una parte del prezzo così pattuito e precisamente euro 5mila.

Contestazioni in fatto –E’ vero che il pagamento è stato parziale ma ciò è giustificato dall’esistenza di gravi vizi nella merce venduta............................................................................................................................................................................................................................................Osservazioni in diritto –L’omesso pagamento di parte del prezzo trova la sua piena giustificazione nel disposto dell’articolo.........................................................................................................................................................................................................................................................La domanda riconvenzionale –La consegna di merce avariata ha causato danni consistenti all’esponente che possono essere quantificati in euro 20mila. Pertanto l’esponente domanda che l’attore sia condannato a pagare......................................................................................................................................................................................................................................................Chiamata in causa della ditta Verdi FabioPer la denegata ipotesi che l’attore voglia imputare a negligenza nel suo trasporto l’avaria della merce, si chiama in causa il vettore ditta Verdi Fabio corrente in Genova via Massari 6. Con contestuale richiesta di spostamento dell’udienza ai sensi dell’art. 269.

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P.Q.M.l’esponente rassegna le seguenti conclusioni: “Voglia il Tribunale ill.mo: nel merito: - rigettare ogni domanda attorea;- in via riconvenzionale condannare Mario Rossi a pagare al conchiudente la somma di euro 20mila oltre interessi legali dal 15 marzo 2005 al dì del soddisfo;- in via istruttoria: spostare ai sensi dell’art.269 la prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo chiamato in causa, ditta verdi Fabio corrente in Genova via Massari 6 nei termini dell’art. 163bis;-ammettere prova per interpello e testi sui seguenti capitoli:I –”Vero che nel marzo…………………………………………………………………”.II-”Vero che…………………………………………………………………………….”Si indicano a testi:Sul ca.I: Rosari Alfredo res. Milano via Colonna 3Sul cap. II: Marchi Lugi res in Ancona via Rebuffo 4.Si producono:1) fax diretto al Bianchi Mario e in data 23.03.05;2) lettera diretta al Rossi Mario e in data 25.04.05.Si chiede nomina di CTU per valutare i danni derivanti dai vizi delle cose vendute.Con riserva di altro produrre e dedurre.”

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxL’avv. Cicero nella sua qualità procuratoria dichiara di essere titolare dei seguenti c.f., fax, pec (come indicata all’Ordine): c.f…….; fax…….; pec………...Ai fini della determinazione del contributo unificato si dichiara che il valore della domanda riconvenzionale è di euro…………………………………………………………..Genova 15-02-07 (Avv. Caio Cicero)

AvvertenzeLa comparsa non va notificata (salva contumacia dell’attore – nel qual caso però la notifica avverrà dopo la comparizione in udienza davanti al giudice e dopo che questi avrà stabilito il termine per la notifica ai sensi dell’art.292); bensì va depositata in cancelleria o anche (in caso di costituzione tardiva) in udienza.Risulta dagli artt. 167 e 269 che nella comparsa debbono essere esplicitate: - un’eventuale domanda riconvenzionale;- eventuali eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio;- l’eventuale chiamata di un terzo.

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Ciò a pena di decadenza e tenendo presente che questa si verificherebbe anche in ipotesi di costituzione (non nei venti giorni antecedenti l’udienza – vedi melius art. 166) ma all’udienza (v. co.1 art. 171).Se si intende chiamare in causa un terzo, si dovrà: - aver l’avvertenza di intitolare l’atto non più semplicemente “Comparsa di risposta” ma “Comparsa di risposta con chiamata in causa di terzo”, questo ad evitare che l’istanza di fissazione di nuova udienza (di cui all’art. 269) sfugga all’attenzione del giudice;- dichiarare nel corpo dell’atto la volontà di chiamare il terzo contestualmente chiedendo lo spostamento dell’udienza. Il tutto come esemplificato nella sovrastante formula.N.B. Ai sensi dell’art.14 del T.U. 115/2002, come modificato dall’art. 28 della legge 183/2011, il convenuto quando propone domanda riocnvenzionale è tenuto a farne espressa dichiarazione e a procedere contestualmente al pagamento di un autonomo contributo unificato.La comparsa può, ma non deve, essere depositata telematicamente (e naturalmente in caso di deposito telematico non occorrerà fare della comparsa le copie per le parti in causa e per l’ufficio). Nel caso di deposito non telematico invece la comparsa dovrà redigersi in tante copie quante sono le parti in causa + una per l’ufficio + una come originale da inserire nel proprio fascicolo di parte. Per la costituzione in giudizio si rinvia al titolo ottavo della parte prima e all’appendice sul processo telematico.

VIII. Chiamata in causa del terzo (art. 106)

La chiamata in causa di una terza parte può avvenire su richiesta del convenuto o dell’attore.“Chiamata” su richiesta del convenuto: Il convenuto nella comparsa di risposta dichiara che intende chiamare in causa il terzo e “contestualmente chiede al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’art.163” (v. co.2 art. 269).In pratica, dopo avere nel corpo della comparsa indicate le ragioni che giustificano la chiamata del terzo ai sensi dell’art. 106, nelle “conclusioni” si inserirà la richiesta di spostamento dell’udienza. Ad esempio “Voglia il Tribunale rigettare la domanda dell’attore. Previo spostamento ai sensi dell’art. 269 della prima udienza ecc.ecc.”. Si avrà l’avvertenza, al momento della redazione dell’atto, di intitolarlo, non semplicemente “Comparsa di risposta”, ma “Comparsa di risposta con chiamata del terzo” e, al momento della costituzione, di attirare l’attenzione del cancelliere sul

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fatto che vi è una richiesta di spostamento dell’udienza.N.B.: Mentre il convenuto, secondo l’interpretazione milgiore dovrà, sì, chiedere l’autorizzazione a chiamare il terzo nella comparsa di risposta, ma potrà chiederla anche costituendosi alla prima udienza di trattazione, l’attore dovrà chiedere l’autorizzazione a chiamare il terzo ab initio (a meno naturalmente che la sua necessità sorga da difese svolte dalla controparte all’udienza)..Una volta che il cancelliere avrà effettuata comunicazione (a noi, procuratori, non al nostro rappresentato) della nuova udienza fissata dal giudice, noi dovremo provvedere alla redazione della chiamata in causa (vedi formula sotostante) e alla sua notifica. Una volta fatta la notifica, dovremo costituirci? No, sarebbe assurdo, costituiti lo siamo già: dovremo però depositare, “entro il termine previsto dall’art. 165” (v. co.4 art. 269) l’originale di notifica in cancelleria. Chiamata su richiesta dell’attore: Può essere che l’attività defensionale svolta dal convenuto (nella comparsa di risposta e, secondo l’interpretazione migliore, anche nella prima udienza) faccia sorgere in noi, attori, l’interesse a chiamare un terzo. In tal caso nella prima udienza successiva a tale attività defensionale del convenuto, noi dovremo chiedere al giudice l’autorizzazione a chiamare il terzo.Ottenuta l’autorizzazione, noi dovremo provvedere alla citazione del terzo e alla sua notifica nel termine che il giudice ci avrà fissato (v. terzo comma art.269). Effettuata la notifica dovremo depositare l’originale dell’atto in cancelleria “nel termine previsto dall’art. 165”.Il terzo chiamato in causa a sua volta dovrà costituirsi ai sensi degli artt. 166 e 167 primo comma (vedi art. 271).All’atto del deposito, la chiamata in causa deve essere iscritta a ruolo e si deve pagare il relativo contributo.La chiamata in causa può, ma non deve, essere depositata in via telematica.

Atto di chiamata in causa del terzo

Tribunale civile di RomaAtto di citazione di terzo (ex art. 106 C.P.C.)

nella causa r.g. 34/2006; Dott. Giaco; ud. 12.03.2007

Bianchi Luigi C.F.BNCLGS 33B 906M, nato il 06.09.1936 a Roma e ivi res. in Viale Alessandrino 304B e sempre in Roma elett. domiciliato in via Trieste 52 presso e nello studio dell’avvocato Cicero che lo rappresenta e difende in forza di procura a margine del presente atto e i cui c.f., fax, e pec sono indicati nelle ultime righe del presente atto

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PremessoChe con atto di citazione notificato il…..l’attore, Rossi Mario sosteneva che l’esponente Bianchi Luigi gli aveva venduto delle scatole di tonno avariate, per cui concludeva per una condanna di questi al risarcimento (vedi meglio l’atto di citazione riportato postea);che l’esponente costituendosi nei termini di cui all’art.166 si difendeva denegando l’avaria della merce e sostenendo che in ogni caso, se questa effettivamente si dovesse ritenere, essa dovrebbe essere addebitata nella negligenza del suo trasporto operato dalla ditta “Trasporti internazionali” (vedi meglio la comparsa di risposta riportata postea);che di conseguenza l’esponente chiedeva al giudice di essere autorizzato a chiamare in causa la suddetta ditta “Trasporti internazionali” a che in subordinata ipotesi fosse condannata a risarcirlo delle somme che egli fosse condannato a pagare all’attore;che il giudice designato dott. Giaco all’udienza del 15.01.15 autorizzava la chiamata in causa della ditta “Trasporti internazionali” e differiva l’udienza di comparizione alla data del 15.06.15;tanto premesso succintamente, per permettere una migliore comprensione dei termini della controversia

di seguito si riportano sia l’atto di citazione che la comparsa di risposta.(A questo punto si dovranno trascrivere l’atto di citazione e la comparsa uno di seguito all’altro oppure più semplicemente inserirne fotocopia)...................................................................................................................................................................................................................................................................................Tutto ciò premessoIl convenuto Bianchi Lugi, richiama tutte le ragioni in fatto e in diritto da lui già proposte nella comparsa di risposta per dimostrare la infondatezza della domanda attrice. Richiama altresì le ragioni in fatto e in diritto da lui già avanzate sempre nella comparsa di risposta per dimostrare la fondatezza della domanda risarcitoria verso la ditta “Trasporti internazionali”. E per completezza sempre a conforto di questa domanda espone:

In fatto..................................................................................................................................................................................................................................................................................

In diritto.....................................................................................................................................

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....

.....................................................................................................................................

....

E tanto premessoCita

La ditta “Trasporti internazionali” in persona del suo legale apresentante pro tempore a comparire davanto al Tribunale civile di Roma,in persona del Giudice dott. Giaco, all’udienza del 15.06.15 ore di rito.Invitandola a costiutirsi nel termine di venti giorni prima di tale udienza con avvertenza che la sua costituzione oltre il suddetto termine implicherebbe le decadenze di cui agli artt 38 e 167 del Cod. Proc. Civ. (l’art. 167 dovendo essere letto come modificato dalla Corte Cost. con sent. N.260 del 23 luglio 1997).Per ivi sentire accogliere le seguenti

conclusioni:“Voglia il Tribunale ill.mo rigettare.........................................................................................................................................................................................................................

Dichiarazione del valore della causaAi fini e per gli effetti del D.P.R. 115/2002, art. 14, si precisa che il valore della acusa è pari a euro…. E pertanto rientra nella lettera….della tabella

Luogo e data (Firma del difensore)

IX. Intervento volontario (art. 105 C.P.C.)

La costituzione in udienza dell’interveniente, è il sistema più semplice e più seguito: il procuratore si presenta all’udienza, mette a verbale che “il procuratore tal dei tali si è costituito in giudizio per il sig Vattelapesca depositando comparsa, procura e documentazione” e….la costituzione è bella che fatta.Quando la costituzione avviene in cancelleria, questa per il co.2 art. 267 deve darne notizia alle altre parti. Non raramente è lo stesso procuratore che, per mettersi al sicuro da eventuali noncuranze della cancelleria, notifica (per la validità di ciò, v. Cass. 19 maggio 1969, n. 1730, Giust. Civ. Rep. 1969, v. Appello n. 211) la comparsa alle altre parti.Se vi sono parti contumaci è opportuno che tu chieda al giudice termine per

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notificare loro la comparsa (dato che autorevolmente si sostiene che anche alla comparsa di intervento vada applicato l’art. 292).La parte che interviene, è tenuta a pagare il contributo integrativo, se il suo intervento determina un aumento del valore della posta in gioco nel processo. (art. 14 D.P.R. 115/2002).L’atto di intervento può, ma non deve, essere depositato telematicamente.

Comparsa di intervento

Tribunale civile di RomaComparsa di intervento volontario

nel procedimento RG5648/15; Giudice Procacci; ud. 15.10.16Gallo Luigi, C.F. SNGLGU36P06D969M, nato in Roma il 06.09.1936 e ivi res. in via GC. Cesare n.8, domiciliato sempre in Roma in via Trieste 53, presso e nello Studio dell’avv. Cicero Terzo, che lo rappresenta e difende per procura in calce al presente atto e che è titolare di: c.f…….;fax…….; pec (come dichiarata all’Ordine di appartenenza) ………….

nella causa tra:Rossi Mario – attore – avv. Cicero Primo

eBianchi Luigi – convenuto – Avv. Cicero Secondo

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxPremesso che

Rossi Mario, rappresentato dall’avv. Cicero Primo ha convenuto davanti a codesto Tribunale di Roma Bianchi Luigi per ottenerne condanna al risarcimento dei danni da questi causati all’auto targata…..;Bianchi Luigi rappresentato dall’avvocato Cicero Secondo si è costituito per contestare la domanda;Che la causa è stata iscritta al n. RGTrib 5648/04 ed è stata assegnata al Giudice Dott. Procacci che l’ha rinviata……………………;Tanto premesso Gallo Luigi come sopra rappresentato e difeso

Intervienenella causa come sopra promossa da Rossi Mario contro Bianchi Luigi per esporre quanto segue:

in fatto: proprietario dell’auto è in realtà l’esponente...........................................................................................................................................................................................................

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in diritto:..................................................................................................................................................................................................................................................................................

P.Q.M.si rassegnano le seguenti conclusioni: “Voglia l’ill.mo Tribunale, ritenuto il conchiudente Gallo unico proprietario dell’auto e la responsabilità del convenuto, per l’effetto condannare............................................................................................................................Si indicano a testi: Giobatta Parodi...............................................................................................................Oneto Alfredo...................................................................................................................

Dichiarazione del valoreSi dichiara ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. che il valore della causa è di €…….Luogo e data (Sottoscrizione dell’avvocato)

X. Memorie ex art. 183

Come si redige una memoria? come si vuole? No, anche se la “memoria” non ricade nella previsione dell’articolo125, andrà sottoscritta (anche nelle copie destinate all’ufficio e alla controparte). E a prescindere da una vera e propria sanzione giuridica è bene che la sua forma si adegui a quella tradizionalmente seguita nella prassi e anche da noi adottata nelle memorie esemplificate di seguito.Nelle memorie a contenuto vincolato come quelle di cui all’articolo 183, a rigore non dovrebbero entrare difese che esulano da quelle che, per legge, sole dovrebbero formare il loro oggetto. In realtà nella prassi tale regola è sovente trasgredita e….impunemente (che può fare l’avversario? chiedere che venga espulsa dallo scritto della controparte quella certa argomentazione? sarebbe il modo migliore…per attirare l’attenzione del giudice su di essa!).Certo però tutte le istanze che esulano dall’oggetto della memoria (ad esempio un’istanza ex art. 186 bis inserita in una memoria ex art. 183) dovrebbero ritenersi tamquam non essent (in particolare non farebbero sorgere nel giudice il dovere di provvedervi ai sensi dell’art. 186).

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Prima memoria ex art. 183

Tribunale di GenovaMemoria ex art. 183 comma sesto n.1

autorizzata all’ud. 30 maggio 2009 dal Giudice Dott. Carlini nella causa RGTrib. 54676/2007

tra le parti

Professore Bianchi Guido – attore - rappresentato dall’avvocato Cicero Primoe

l’ingegnere Rossi Mario - convenuto – rappresentato dall’avvocato Cicero Secondo

xxxxxxxxxxxxxxxxNell’interesse del professor Bianchi si chiarisce che l’atto in fraudem creditoris di cui si chiede la revoca non è la delibera assembleare della cooperativa...............................................................................................................................................................................................................................................................................................................

Ciò precisato si confermano le conclusioni di cui all’atto di citazione

Genova 30 aprile 2008 avv. Cicero Primo

Seconda memoria ex art. 183

Tribunale di Genova

Memoria ex art. 183 co. sesto n.2

autorizzata all’udienza 30 maggio 2008 dal giudice Dott. Carlini

nella causa R.G.Trib. 54676/2007

tra le parti

Prof Bianchi Guido – attore – rappresentato dall’avvocato Cicero I

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e

ingegnere Rossi – conve nuto – rappresentato dall’avvocato Cicero IIxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Il sottoscritto difensore del prof.Bianchi Guido contesta quanto dedotto e sostenuto nella prima memoria avversaria, per i seguenti motivi.Non ha pregio l’osservazione avversa che........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

In via istruttoria si chiede di ammettere prova per interpello e testi sui seguenti capitoli:cap. I. “Vero che....................................cap. II “Vero che...................................Si indicano a testi su entrambi i capitoli i sigg.ri: Oneto Giovanni res. in Genova Via Oriani 3Parodi Giuseppe res in Genova via Luccoli 4Si producono i seguenti documenti:A............................................B............................................

Genova 30 marzo 2008 Avv. CiceroPrimo

Terza memoria ex art. 183

Tribunale civile di Genovamemoria ex art. 183 co. sesto n.3

autorizzata all’ud. 30.05.2008 dal giudice Dott. Carlininella causa RGTrib. 54676/2007

tra le partiprof. Bianchi Guido --- attore - rappresentato dall’avvocato Cicero I

eIng. Rossi Mario - convenuto - rappresentato dall’avvocato Cicero Secondo

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxIl sottoscritto difensore del prof. Bianchi Guido, premesso che in sede di memoria di replica la controparte deduceva capitoli di prova volti a provare che tra le parti era intercorso un accordo………………………………………..

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Tanto premesso,contestati i fatt ex adverso affermati, per la denegata ipotesi che siano ammesse le prove ex adverso dedotte, si chiede di essere abilitato a dare la prova contraria deducendo i seguenti capitoli:A).....................................................................................................................................B).....................................................................................................................................Si indicano a testi:..................................................................................................................................................................................................................................................................................

Si insiste altresì nell’ammissione delle prove dedotte nell’atto di citazione.

Luogo e data (Avv. Cicero primo)

XI. Provvedimenti interinali (artt. 186bis, 186 ter, 186 quater)

Premessa – Tratteremo nei successivi numeri 1, 2 dell’istanza ex art. 186bis; nei numeri 3, 4, 5 dell’istanza ex art. 186 ter; nel numero 6 dell’istanza ex art186quater.

1 – L’istanza per ottenere il provvedimento interinale previsto dall’art. 186bis puoi proporla sia all’udienza che fuori dell’udienza. Se la proponi fuori d’udienza devi naturalmente redigerla per iscritto. In udienza invece la potresti anche formulare oralmente (ma è preferibile formularla anche qui per iscritto; in questa ipotesi naturalmente però dando atto del deposito dell’istanza, ad esempio mettendo a verbale: “L’avvocato Cicero Primo per l’attore chiede ai sensi dell’art. 186 bis il pagamento delle somme non contestate come da istanza che deposita insieme alla sua notula” - e correttezza vuole che nel caso tu rimetta copie dell’istanza alle altre parti). Se proponi l’istanza fuori d’udienza, dopo averla depositata (in cancelleria) dovrai provvedere ad acquisire copie del decreto con cui il giudice, così come gli impone l’ultima parte del c.1 art. 186bis, dispone la comparizione delle parti; effettuata la notifica del decreto (in pratica, della tua istanza e del pedissequo decreto) non ti resterà che comparire all’udienza (con la prova dell’avvenuta notifica e con la notula delle tue competenze).

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2 –Il dies a quo per la presentazione dell’istanza si realizza appena che la controparte-debitrice si è costituita (infatti, tu lo sai, l’ordinanza non può essere chiesta contro il contumace). Il dies ad quem, coincide con il momento in cui il giudice invita le parti a precisare le conclusioni: dopo che tale invito è stato formulato tu non puoi più presentare l’istanza (ciò che significa anche che tu non puoi formularla nelle conclusioni).

3- L’istanza ingiuntiva di cui all’art. 186 ter può essere proposta, come quella ex art. 186bis, sia in udienza (oralmente) che fuori udienza (per iscritto – vedi formula B). E mutatis mutandis sono valide per essa le osservazioni da noi svolte nei precedenti numeri 1 e 2 per l’istanza ex art. 186bis. L’istanza non va notificata alla parte contumace non contenendo, né potendo contenere, una domanda nuova (cosa per cui non vi è materia per applicare l’art. 292). Attenzione però a quanto detto nel successivo numero 4!

4 – Se la controparte è contumace tu dovrai notificarle (v. c.5 art. 186 ter) l’ordinanza che accoglie la tua istanza. Pertanto, una volta ottenuta questa, dovrai farne copie autentiche, recarti dagli ufficiali giudiziari per la notifica, depositare, una volta che questa sia perfezionata, l’originale di notifica in cancelleria, a dimostrazione che la notifica è stata regolarmente fatta. Nel caso la controparte (contumace) non si costituisca, secondo un autorevole insegnamento, l’ordinanza non diventa esecutiva automaticamente (nonostante la lettera del disposto del c.5 art. 186ter), ma deve applicarsi l’art. 647: pertanto tu dovrai fare istanza al giudice a che dichiari esecutiva l’ordinanza. (E se la controparte si costituisce? l’ordinanza non diventa esecutiva ma resta valida, a meno che la controparte non ne chieda e non ne ottenga la revoca o la modifica).

5- Da quando si può proporre l’istanza ex art. 186ter? Da quando è iniziata la causa, addirittura la si può formulare nell’atto di citazione (e secondo un autorevole insegnamento, se la controparte si è costituita nel termine di cui all’art. 166, l’interessato potrà depositare l’istanza prima dell’udienza prevista dall’art.183 ed ottenere prima di tale udienza l’ordinanza). Quando si decade dal potere di proporre l’istanza? Se la controparte non è contumace, si decade dal momento in cui viene fatto dal giudice l’invito alla precisazione delle conclusioni. Se invece la controparte è contumace, l’istanza deve essere fatta prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni e tanto prima da dare la possibilità alla controparte, una volta ricevuta la notifica dell’ordinanza, di costituirsi prima della precisazione delle conclusioni (quindi in tempo utile per richiedere, di tale ordinanza, la revoca o la modifica.)

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6 – Anche la istanza ex art. 186 quater può essere chiesta, come le istanze ex art. 186bis e 186ter, sia in udienza (oralmente) sia fuori di udienza (per iscritto – vedi terza formula riportata). E possono essere ripetute, mutatis mutandis, per tale istanza (ex art.186quater) le osservazioni fatte nei precedenti numeri. In particolare terrai presente che se l’istanza è presentata fuori udienza, tu avrai l’onere di notificare il decreto che fissa la comparizione delle parti. Il dies a quo per la presentazione dell’istanza è dato dall’essere “esaurita l’istruzione”, il che non significa necessariamente, secondo un’autorevole opinione, che tu devi aspettare l’invito per la precisazione delle conclusioni per presentare l’istanza: la puoi presentare anche prima, purchè, indipendentemente da una dichiarazione formale di chiusura dell’istruttoria (che del resto nella pratica non si usa) questa sia “esaurita” (e non manca chi addirittura sostiene che l’istanza può essere presentata anche prima dell’esaurimento dell’istruttoria, l’art. 187quater imponendo, non che l’istanza sia presentata, ma solo che l’ordinanza sia emessa dopo tale momento). Molto discusso é anche quando cada il dies ad quem: alcuni lo fanno cadere nel momento in cui il giudice rimette al collegio la causa o, se in veste di giudice monocratico, la trattiene; altri spostano tale termine fino all’udienza di discussione o al momento dello scambio delle memorie di replica. La cosa sicura è presentare l’istanza appena è stato fatto invito per la precisazione delle conclusioni.

7 – Noi abbiamo messo fino ad adesso in evidenza gli oneri che incombono alla parte intimante, ritenendo che quelli gravanti sulla parte intimata ne risultino implicitamente. Non possiamo esimerci però dall’attirare l’attenzione del giovane collega sull’onere che l’ultimo comma dell’art. 186quater addossa all’intimato: l’onere di manifestare (con ricorso notificato nei brevi termini in tale comma specificati) la volontà che, nonostante l’emissione dell’ordinanza, sia pronunciata sentenza (in caso contrario trasformandosi l’ordinanza in sentenza, sia pure impugnabile)

Istanza ex art. 186 bis

Tribunale di RomaUdienza 15.10.2009; Giudice Dottor TettamanziIstanza di anticipato pagamento ex art. 186bis

nella causa RGTrib…… traBianchi Alfredo - attore - avv. Cicero Primo

e

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Rossi Romeo - convenuto -- Avv. Cicero Secondoxxxxxxxxxxxxxxxxx

Ill.mo TribunaleIl sottoscritto Avv. Cicero Primo nella qualità

rilevato- che il convenuto dal momento della sua costituzione(avvenuta ai sensi dell’art. 166) fino ad oggi, in nessun atto della presente causa ha contestato il suo obbligo di pagare la somma di € 10mila a titolo di risarcimento……………………- visto l’art. 186bis C.P.C.

fa istanzaa che l’ill.mo Tribunale voglia ordinare al convenuto Rossi Romeo il pagamento di € 10mila a favore dell’attore Bianchi Alfredo. Liquidando nel contempo quanto dovuto fino ad oggi all’attore per onorari, diritti e spese. Si allega notula”Con osservanzaRoma 15 11 2010 (Avv. Cicero Primo)

Istanza ex art. 186 ter

Tribunale di RomaUd. 15.05.2010; Giudice Dott. Gerace; RG Trib 4536/2008

Istanza di ingiunzione ex art. 186ternella causa tra

Bianchi Alfredo - attore - Avv CiceroI Primoe

Rossi - convenuto -- contumacexxxxxxxxxxxxxxxx

Ill.moTribunale di RomaL’avv. Cicero Primo nell’inteersse di Bianchi Alfredo

premessoche la documentazione prodotta dall’attore (e in particolare la lettera in data 23.11.2007) dà chiara e sicura prova del suo buon diritto ad ottenere la consegna,……Tanto permesso, visto l’art. 186ter

chiedeche, previo l’avvertimento a costituirsi previsto dal c.6 art. 186ter, facciate ingiunzione a Rossi Romeo di consegnare il quadro del Ravegni raffigurante la natività all’attore Bianchi Alfredo. Nel contempo liquidando le competenze a questi

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dovute per onorari, diritti e spese. Si allega notula.Con osservanzaRoma 23.11.10 Avv. Cicero Primo

Istanza ex art. 186quater

Tribunale di RomaUd. 15. 05.10, Giudice Dott. Frosari

Istanza ex art. 186 quaternella causa RGTrib…… tra

Bianchi Alfredo convenuto Avv. Cicero Primoe

Rossi Mauro attore Avv. Cicero Secondoxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

Ill.mo TribunaleIl sottoscritto Avv. Cicero primo nella qualità di difensore di Bianchi Alfredo

Premessoche il convenuto Rossi Mauro con domanda riconvenzionale ha chiesto la consegna di……………..Che al termine dell’istruttoria inequivocabilmente risulta la fondatezza della domanda riconvenzionale. Infatti……Tanto premesso, visto l’art. 186 quater

Chiedeche l’ill.mo Tribunale voglia ordinare all’attore Bianchi Alfredo di consegnare il quadro di Bonolis raffigurante una natività al convenuto. Liquidando nel contempo le competenze spettanti al convenuto per onorari, diritti e spese. Si allega notula.Con osservanzaRoma 15.12.10 (Avv. Cicero Primo)

XII. Comparsa conclusionale

Abbiamo già spiegato il contenuto che va dato alla comparsa (v. titolo VIII Parte I, “Momenti salienti del processo”), la forma di cui di solito la si riveste dovrebbe risultare dalla “formula” che segue.Per i termini in cui va effettuato il deposito vedi l’art. 190.La comparsa (salvo che nel processo davanti al Giudice di Pace) va depositata telematicamente.

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Tribunale civile di RomaGiudice Dott. Maganza; R.G.Tri. 6543/09;

udienza riservata per la decisione, 16.06.2011Comparsa conclusionale

per Bianchi Guido - convenuto - Avv. Cicero Secondocontro

Rossi Mario - attore - Avv. Cicero Primo

Svolgimento del processo e conclusioniL’esponente, citato in giudizio dal sig. Rossi Mario, si è costituito nelle forme e nei termini dell’art.166.Dopo scambio delle memorie ex art.183, il G.I. ha escussi i testi hinc et inde dedotti all’udienza del 15 novembre 2010.Su istanza dell’esponente, ad essa opponendosi l’attore, il G.I. ha nominato C.T.U.; i quesiti propostigli risultano verbalizzati all’udienza del 20.12..2010.Il C.T.U. ha depositata una prima relazione il 15.01.2011 e, ad integrazione di questa, una seconda relazione il 15. 02.2011All’udienza di remissione del 15.03.2011 l’esponente ha precisato le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale ill.mo, contrariis reiectis…(si trascrivono le conclusioni)……………………………………………………………………………..

Motivi in fatto e in dirittoLe conclusioni come sopra rassegnate si giustificano per i seguenti motivi:I motivo (in fatto): è provato che l’auto dell’attore, si fermò inopinatamente e bruscamente. Il teste Verdi afferma………………………………………………II motivo (in diritto): la distanza di sicurezza tra il veicolo che segue e quello che precede non deve essere necessariamente tale da rendere in ogni caso impossibile il tamponamento. La Cassazione insegna…………………………………………

P.Q.M.Si chiede l’accoglimento delle conclusioni così come precisate all’udienza di remissione e come riportate all’inizio della presente comparsa.Roma data (Avv. Cicero Secondo)

XIII. Interruzione del processo

Se interviene uno degli eventi (tassativamente) indicati dal legislatore negli artt.299 e 301 come potenzialmente determinanti per una delle parti (attore, convenuto,

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poco importa) una diminuzione della capacità di far valere le proprie ragioni davanti al giudice, é chiaro che una rigorosa salvaguardia del principio del contraddittorio vorrebbe che dal loro verificarsi il processo si bloccasse (che il giudice e le parti non potessero compiere più alcun atto valido). Tuttavia sembra al legislatore che questa soluzione troppo penalizzi il principio di economia processuale, in quanto porta a bruciare (ritenere nulla) tutta l’attività (processuale) compiuta dal giudice dopo il verificarsi dello “evento” anche quando di questo egli non è a conoscenza (o almeno a conoscenza sicura). Pertanto il legislatore in via di principio stabilisce che l’interruzioine si verifica solo al momento in cui il giudice ha notizia sicura dell’evento menomante la difesa, a meno che la parte, colpita dall’evento menomante, (presumibilmente) non si sia trovata impossibilitata a dare questa sicura notizia al giudice. Di conseguenza si possono distinguere cinque ipotesi:I- Ipotesi prima: la parte (colpita dall’evento menomante la sua difesa) si è costituita con un difensore (art. 300 co.1 – e l’evento menomante la sua difesa non ha colpito il difensore stesso, caso che esamineremo sub IV): in tal caso, il legislatore ritiene, o che vi è stata una negligenza della parte (meglio, di chi doveva tutelare gli interessi della parte o degli eredi di questa) nell’informare il difensore o che vi è stato un difetto di correttezza di questi (e quindi una culpa in eligendo della parte nel dargli la procura): pertanto fa decorrere l’effetto interruttivo dal momento in cui il giudice ha notizia sicura dell’evento; II- Ipotesi seconda: la parte è contumace, anche in questa ipotesi il legislatore ritiene giusto far decorrere l’interruzione dalla notizia sicura dell’evento pervenuta al giudice: chi non si è costiutito nei termini ampi, che il legislatore gli concede con l’art.171, ed è pertanto privo di un difensore, che possa comunicare al giudice la notizia dell’evento handiccapante, è senza dubbio negligente, pertanto imputet sibi se il processo va avanti anche dopo che si è verificato l’evento per lui handiccapante; III - Ipotesi terza: l’evento handiccapante ha colpita la parte quando era ancora in termini per costituirsi (per cui non si può escludere che si sarebbe costituita): in tal caso nessun rimprovero di negligenza si può muovere alla parte e il processo si interrompe al momento del verificarsi dell’evento handiccapante;IV – Ipotesi quarta: l’evento handiccapante colpisce direttamente il difensore (sua morte, sua sospensione o radiazione) e quindi indirettamente la parte: anche in tal caso il legislatore ritiene senza colpa l’inerzia della parte (che può in effetti ignorare o l’impedimento del difensore o …la procedura civile) e pertanto fa avvenire l’interruzione dal momento in cui si verifica l’evento; V Ipotesi quinta: l’evento colpisce la parte che si è costituita di persona: ovviamente il legislatore adotta la stessa soluzione di cui sub IV. Il legislatore stabilito quando il processo si interrompe a salvaguardia del principio

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del contraddittorio, a salvaguardia questa volta del principio di economia processuale stabilisce che l’interruzione protratta nel tempo comporta l’estinzione del processo (v melius art 305). Naturalmente però dà alle parti la possibilità di rimuovere l’effetto interruttivo, di rimettere in marcia il processo. E sempre naturalmente subordina ciò (idest, la rimessa in marcia del processo) all’assolvimento di alcuni oneri.Vediamo quali questi sono, con riferimento, prima, alla parte, diciamo così, handiccapata (di solito, ai suoi eredi), poi, alla sua controparte.

Oneri per la parte handiccapata che vuole proseguire nel processo – Se vi è già un’udienza fissata dal giudice o sono ancora correnti i termini di cui all’art.171, la parte potrà costiutirsi molto semplicemente depositando una comparsa (ma se è convenuta e sono già decorsi i termini di cui all’art.166, subirà le decadenze previste nel primo comma art. 167? no, se l’evento interruttivo è intervenuto prima del decorso dei termini di cui all’art.166).In caso contario (salve ipotesi particolari, difficili a verificarsi e che qui non merita di considerare) la parte, facendo applicazione dell’art.302 ultima parte, dovrà chiedere con ricorso “al giudice istruttore o, in mancanza, al persidente del tribunale la fissazione dell’udienza” Quindi dovrà notificare il ricorso e il decreto alle altre parti.Oneri per la controparte- Bisogna distinguere due casi. Primo caso: l’evento handiccapante è intervenuto quando già erano maturati per la parte handiccapata i termini per costituirsi. In tal caso la controparte dovrà chiedere “al giudice istruttore o, in mancanza, al presidente del tribunale” la fissazione di una udienza (art.303) e dovrà, poi, notificare ricorso e decreto “a coloro che debbono costituirsi per proseguire” il giudiizolo”. Secondo l’interpretazione migliore il giudice potrà anche fissare termini inferiori a quelli previsti dall’art. 163bis.L’evento si è verificato quando ancora non erano decorsi per la parte handiccapata i termini per la sua costituzione (ipotesi dell’art.299).. In tal caso la sua controparte dovrà “citarla in riassunzione osservati i termini di cui all’art. 163bis.(v art. 299).

Comparsa per prosecuzione

Tribunale civile di RomaUdienza 18.07.2010; Giudice, Dott. Lattanti; RgTrib.5432/09

Comparsa per la prosecuzione del processo (art. 302 C.P.C.)Rossi Luigi nato il 06.09.1956 a Roma e ivi res. in via Ostiense 4, e sempre in Roma elettivamente domiciliato in via Arenula 14 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine dell’atto di citazione e che è titolare di: c.f…..; fax…………; pec (come indicata all’Ordine)

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…………Premesso

Che Rossi Michele, già parte in causa in qualità di attore, è deceduto il 18 novembre 2009;che l’esponente Rossi Luigi suo figlio e successore universale intende proseguire nel processo promosso dal Padre;tanto premesso e visti gli artt. 110 e 302 C.p.C. l’esponente

si costituiscenella persona dell’Avv. Cicero Primo che lo difende per mandato in calce all’atto di citazione per insistere in tutte le domande formulate dall’Attore nell’atto di citazione stesso e in corso di causa.Allega: 1) fascicolo di causa del defunto Rossi Michele (con inserito l’atto di citazione da cui risulta la procura); 2) certificato di morte; 3) stato di famiglia.Roma 15. gennaio 2011 (Avv. Cicero Primo)

Comparsa in riassunzione (art. 299)

Tribunale di RomaComparsa in riassunzione ex art. 299

Bianchi Luigi nato a Roma il 26.08.76 e ivi res. in viale Alessandrino 304B e sempre in Roma elett. domiciliato in viale Giulio Cesare 24 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo che lo difende per procura in calce alla comparsa di risposta e che è titolare di: c.f……; fax…….; pec…………………………………….

PremessoChe Rossi Carmelo lo ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Roma;Che il relativo atto di citazione è stato notificato il 22.06.2010;Che l’esponente si è costituito in giudizio nei termini di cui all’art. 166 ma che l’attore Rossi Carmelo prima di potersi costituire ai sensi dell’art. 171 è, il 22.07. 2010, deceduto;Che di seguito si riportano l’atto di citazione del Rossi Carmelo e la comparsa di risposta dell’esponente:

Testo dell’atto di citazione e della comparsa di risposta(Riportare integralmente la citazione e la comparsa)

.....................................................................................................................................

...

.....................................................................................................................................

...

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Tanto premesso l’esponente Bianchi Lugi, dovendosi la causa ritenere interrotta ai sensi dell’art. 299 a causa del decesso del Rossi e a far data da tale decessovisti gli artt. 299 e 303

citagli Eredi di Rossi Carmelo da considerarsi domiciliati ai sensi del 1° comma art. 303 in Roma, via Arenula 34, ultimo domicilio del defuntoper l’udienza del 20.04.2011 davanti a Giudice del tribunale di Roma dott. Giacometto, ora solita e locali soliti;con invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima di tale udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166;con avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167; per ivi proseguire nella causa e quindi vedere respinta la domanda attorea e accolte invece tutte le eccezioni e domande riconvenzionali dall’esponente sollevate e proposte.Data e luogo (Avv. Cicero Primo)AvvertenzeLa comparsa va redatta ai sensi dell’art. 303 C.P.C. e 125 disp. att..In particolare tenendo presente che: per l’art. 125, “nel caso dell’art. 307 primo comma del codice” occorre indicare “la data della notificazione della citazione non seguita dalla costituzione delle parti, ovvero del provvedimento che ha ordinato la cancellazione della causa dal ruolo”; per l’art. 303, “in caso di morte della parte il ricorso deve contenere gli estremi della domanda”.Non va effettuata una nuova iscrizione a ruolo e non va ripetuto il pagamento del contributo unificato. Non ocorre farsi rilasciare una nuova procura.

Ricorso in riassunzione (art.300 – 303)

Tribunale di RomaRicorso in riassunzione ex art. 303 C.p.C.

Giudice Dott. Mattanza; Rgtrib 6548/09

Ill. mo GiudiceRossi Mauro rappresentato e difeso dall’Avv. Cicero Primo per procura in calce alla comparsa di risposta

Premesso Che il fu Bianchi Alfredo con atto di citazione notificato il 25 settembre 2010 conveniva l’esponente davanti al Tribunale di Roma;che l’espoennte si costituiva regolarmente nei termini di cui all’art.166;

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che la causa veniva iscritta al numero R.G.Trb. 6548/09:che all’udienza del ……….il Giudice Istruttore Mattanza dichiarava l’interruzione del processo a causa della morte del difensore dell’attore, Avv. Cicero Primo; che l’esponente intende proseguire la causa contro il sig. Bianchi Alfredo per vedere accolte le conclusioni già formulate nella sua comparsa di risposta.;tanto premesso a norma dell’art. 303

chiedealla S.V. di volere fissare l’uidenza di comparizione delle parti per la prosecuzione del giudizio.Luogo e data (Avv. Cicero Secondo)

Avvertenza – Nel caso l’interruzione fosse dovuta a morte della controparte “il ricorso dovrebbe contenere gli estremi della domanda”: La cosa più sbrigativa allora sarebbe riportare l’atto di citazione e la comparsa nel corpo del ricorso, così come risulta, mutatis mutandis, nella precedente formula.Si richiamano le avvertenze di cui alla precedente formula.

XIV. Appello

Avuta la notizia della sentenza a noi, totalmente o parzialmente sfavorevole, si intende appellare (e, si badi, possiamo farlo anche se l’avversario non ci ha notificata la sentenza): come procedere?Prima di tutto si redige l’atto di appello seguendo la formula che segue e se ne fanno tante copie quante ne occorrono per le notifiche; quindi tante quanti sono gli appellati (tenendo presente che, secondo la interpretazione dell’art. 330 fatta dalla Corte di Cassazione, nel caso di procuratore costituito per più appellati, in deroga all’art.170, occorre consegnare a questi tante copie quanti essi sono) + una da servire da originale.Si sottoscrivono originale e copie (v. art. 125) e si portano dall’ufficiale giudiziario per la notifica; tenendo presente che (a meno che la controparte “nell’atto di notificazione della sentenza abbia dichiarata la residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata” – v. co.1 art. 330) la notifica andrà fatta nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio o presso il procuratore (ma, bada, notificare “presso il procuratore” è diverso da “notificare al procuratore”, quindi tu nella relata di notifica non scriverai “ho notificato a Caio Cicero nella sua qualità di procuratore di Pinco Pallino”, ma scriverai “ho notificato a Pinco pallino presso il suo procuratore Caio Cicero nel di lui studio in via”).Nel contempo si provvede a richiedere (recandosi all’ufficio giudiziario di primo grado)

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una copia autentica della sentenza impugnata e il fascicolo di parte (sia questo che quella andranno inseriti nel fascicolo di parte relativo al grado di appello – v. co.2 art.347). Naturalmente se l’avversario ci avrà notificata la sentenza, si potrà utilizzare la copia notificatici. Della sentenza (impugnata) se ne dovranno fare tre copie (naturalmente non autentiche): mentre l’originale come anzidetto andrà inserito nel nostro fascicolo di parte, queste tre copie saranno inserite, dal cancelliere, nel fascicolo d’ufficio (destinate, una per il presidente, le altre due per i consiglieri). Effettuata la notifica dell’atto di appello si iscrive la causa a ruolo seguendo “le forme e i termini per i procedimenti davanti al tribunale” (art. 347) e tenendo presente che una non puntuale osservanza di tali termini (come altresì la omessa comparizione alla prima udienza) sarà sanzionata con l’improcedibilità dell’appello (v. meglio l’ art. 348). -L’appellante, se non vorrà incorrere nelle decadenze previste dall’articolo 346, dovrà avere cura di riproporre la domande ed eccezioni rigettate o ritenute assorbite nella sentenza di primo grado. Ad esempio, se tu hai chiesto il rigetto di una domanda di collazione ereditaria, 1) perché caduta in prescrizione; 2) perché nessuna donazione era intervenuta tra il de cuius e il convenuto; e il giudice ha rigettata la domanda avversa per il motivo sub 2, tu dovrai riproporre in appello la eccezione sub 1.- L’appello deve essere proposto nei termini di cui all’art.325. Ma la parte può fare riserva di appello nei limiti e nei modi indicati nell’art.340.- La sentenza è immediatamente esecutiva ai sensi dell’art.282. Ma la parte con atto autonomo o contestualmente all’atto di impugnazione può chiedere la sospensione dell’esecuzione (art.283) - L’atto di appello, una volta notificato potrà essere depositato telematicamente (così come telematicamente potrà essere inserita la copia autentica della sentenza di cui sopra si è detto).

Atto di appello

Corte di Appello di RomaAtto di appello

con contestuale istanza di sospensione dell’esecuzioneper Bianchi Guido, c.f. GURNM36P06969M, nato a Genova il 06.09.1936, res. in Roma, viale Alessandrino 150 e sempre in Roma elett.dom. in viale Giulio Cesare 30 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per procura a margine del presente atto e che è titolare di: c.f……..; fax……..; pec ……

contro

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- Rossi Alfredo, c.f. ROSNM36P06D969M nato a Genova il 03.04.33, res. in Roma Via Cavour 6 ed elettivamente domiciliato sempre in Roma via Via Colonna,n.3 presso lo studio del difensore di primo grado Avv, Cicero Secondo, c.f………

e controimpresa di assicurazioni Secura s.p.a.in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma Via Trastevere 30 ed elettivamente domiciliata sempre in Roma Viale Costantino n.4 presso il suo difensore di primo grado Avv. Cicero Terzo, c.f………Oggetto: appello avverso la Sentenza n. 350 dell’anno 2009 emessa dal tribunale di Viterbo il…… nel procedimento R.G………., depositata il…………notificata il……….avente ad oggetto: risarcimento danni.

Svolgimento del procedimento Bianchi Guido con atto di citazione notificato…. ha convenuto in giudizio Rossi Alfredo in solido con la Secura S. p. A davanti al tribunale di Viterbo per ottenere il risarcimento dei danni da lui subiti nell’incidente stradale avvenuto in Roma via Cola di Rienzo il 12.12.2008 a causa e colpa esclusiva dello stesso Rossi Alfredo; il tribunale di Viterbo definiva la causa con Sent. n.350 pubblicata in data 23.novembre 2009, così disponendo: (si copia il dispositivo della sentenza).Avverso tale Sentenza, Bianchi Guido con il presente atto si appella per i seguentimotivi in fatto e in diritto:

Motivi in fattoI –Merita censura la Sentenza appellata nella parte in cui ritiene provato che l’auto del Rossi avesse le luci di posizione accese.Infatti sia il teste Rossi sia il teste Bianchi..............................................................................................................................................................................................................

Motivi in dirittoI – Merita censura la Sentenza appellata nella parte in cui applica l’art. 106 C.S.Infatti tale articolo è stato interpretato come se dicesse che..................................................................................................................................................................................2-Merita censura la Sentenza appellata per aver omesso di motivare sul ritenuto difetto del nesso di causalità E infatti il Tribunale di Vitervo non spende una parola per motivare

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perché.........................................................................................................................................................Tanto premesso il sottoscritto nella qualità di difensore del Bianchi

cita

- Rossi Alfredo elett. domiciliato in Roma, via Cavour 3 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Secondo- Secura S.p.A. nella persona del suo legale rappresentante, elett.te domiciliata in Roma, Via Cola Di Rienzo 6 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Terzo - a comparire davanti alla Corte di Appello civile di Roma, locali di sue solite sedute, per l’udienza del 09.10.2010, ore di rito- con invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza come sopra indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166- con avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica, le decadenze di cui agli artt. 167, 38, 343, 346 C.P.C.- per ivi sentir pronunciare e accogliere le seguenti

conclusioni“Piaccia alla Corte Ecc.ma, contrariis reiectis, dichiarare in accoglimento del presente atto di appello che l’incidente si è verificato per fatto e colpa esclusiva di Rossi Guido e per l’effetto condannare in solido……………………………Vittoria nelle spese e negli onorari di entrambi i gradi di giudizio”.

Istanza di sospensionedella esecuzione della sentenza impugnata

Visto l’art. 283 C.P.C. si chiede la sospensione della Sentenza impugnata per i seguenti motivi........................................................................................................................................................................................................................................................................

Dichiarazione di valore della causaSi dichiara ai sensi dell’art. 14 del D,P.R. 115/2002, che il valore della causa è di euro………..Luogo e data (Avv. Cicero)

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XV. Comparsa di risposta all’appello

Appello incidentale

L’avversario, soccombente in tutto o in parte, ci ha notificato un atto di appello: che fare? Semplice, bisogna fare una comparsa di risposta. Il contenuto della comparsa (in forza del rinvio contenuto nell’articolo 359) va modellato su quello della comparsa di risposta in primo grado. Se l’appellante si è costituito in termini tu potrai costituirti anche all’udienza (salvo quanto diremo per il caso che la comparsa contenga un appello incidentale); il tutto con le stesse modalità con cui il convenuto deve costituirsi in primo grado; l’unica particolarità sarà che tu dovrai (ma in difetto non scatterà nessuna sanzione processuale) inserire nel tuo fascicolo di parte (oltre alla comparsa, alla copia notificatati dell’atto di appello ecc.) il fascicolo di primo grado (che tu avrai avuta l’avvertenza di recuperare dalla cancelleria di primo grado in cui giaceva).Mettiamo ora che la sentenza appellata dall’avversario abbia dato in parte torto anche a noi e che noi si voglia, di tale parte, chiedere la riforma: allora dobbiamo fare un appello incidentale. Questo non richiede né formule sacramentali né la redazione di un atto ad hoc, ma solo che si faccia risultare chiaramente nella stessa comparsa di risposta la nostra domanda di riforma della sentenza (quindi in un unico atto, la comparsa appunto, ci difendiamo dall’appello avversario e a nostra volta appelliamo). Però la proposizione dell’appello (incidentale) ci impone degli oneri (che una semplice comparsa di risposta non ci imporrebbe). In primo luogo, non potremo più aspettare l’udienza per costituirci ma dovremo farlo venti giorni prima (vedi melius, l’art. 166) – questo per il preciso disposto dell’art. 343 co.1.In secondo luogo, se vogliamo impedire che l’eventuale inammissibilità dell’appello principale (metti, per rinuncia dell’appellante) travolga anche il nostro appello incidentale (v. art.334), dobbiamo: A) cercare di costituirci prima che sia decorso il termine a noi concesso per proporre appello principale (e questo può riuscirci possibile ad esempio quando noi non abbiamo notificato la sentenza all’avversario e neanche questi ce l’ha notificata, quindi ha appellato giovandosi del termine lungo dell’art. 327); B) inserire nel nostro fascicolo di parte (oltre al fascicolo di primo grado, all’atto di appello notificatoci, alla comparsa ecc.) anche copia autentica della sentenza di primo grado (v. co.2 art.347)La comparsa e l’appello incidentale possono, ma non debbono essere depositati telematicamente.

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Comparsa di risposta con appello incidentale

Corte di appello di Romaproc. n….R.G. – Consigliere Dott………; udienza del………

Comparsa di rispostacon appello incidentale

per Rossi Mario, res. in Roma, c.f. SNGRFU 06P0939M appellato - appellanteche è elett. dom.sempre in Roma viale Cesare 5 presso l’avv. Cicero Primo che lo difende per procura a margine dell’atto di citazione in primo grado e che è titolare di: c.f…..;fax….; pec……….

controBianchi Guido, res. Viterbo, c.f.NRSFGR06P089765 appellante - appellatodifeso dall’avv. Cicero Secondo c.f……..

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxL’Avv. Cicero Primo nella qualità di difensore di Rossi Mario

Premesso-- che il Rossi Mario ebbe a convenire Bianchi Guido davanti al Tribunale di Viterbo per ottenere il risarcimento dei danni da lui subiti nell’incidente stradale avvenuto il 06.08.2008 per fatto e colpa esclusiva dello stesso Bianchi Guido;- che il Tribuna di Viterbo con Sentenza n.2827/2007 pubblicata il 22.12.2007 così decideva: …..(copiare il dispositivo)……;che. Bianchi Guido con atto notificato il 06.09.2009 ha proposto appello contro la suddetta Sentenza del Tribunale di Viterbo per ottenerne la riforma con esclusione di un proprio concorso di colpa nell’incidente stradale:- che il’appellato Rossi Mario col presente atto si costituisce in giudizio per chiedere il rigetto dell’appello contro di lui proposto e per proporre a sua volta appello incidentale contro la prefata sentenza, per i seguenti motivi.

Motivi per il rigetto dell’appello

A–Bianchi Guido si duole che il Tribunale abbia riconosciuta la sua colpa nella causazione dell’incidente.Tale doglianza è del tutto infondata per i seguenti motivi: I motivo: Apparenti sono le contraddizioni in cui si pretende sia caduto il teste............II motivo:.........................................................................................................................

B) Bianchi Guido si duole che le spese siano state compensate. Anche tale doglianza è

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infondata.Infatti…........................................................................................................ Motivi per l’accoglimento dell’appello incidentale

La Sentenza ha deciso per l’esistenza di un concorso di colpa dell’infortunato Rossi Mario. In tale parte e capo la sentenza è ingiusta e gravatoria per i seguenti motivi.I motivo:.........................................................................................................................II motivo:........................................................................................................................

P.Q.M.Si chiede l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Piaccia all’Ecc.ma Corte dichiarare l’incidente de quo dovuto a colpa esclusiva del Bianchi Guido, di conseguenza rigettando l’appello del Bianchi stesso e accogliendo invece quello incidentale del conchiudente e per l’effetto condannando il Bianchi al risarcimento di tutti i danni subiti dal Rossi. Vinte le spese di entrambi i gradi del giudizio”.

Dichiarazione di valore della causaSi dichiara ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 115/2002 che il valore della causa é…..Roma 15. 100.2009 (Avv. Cicero I)

Avvertenze“(Nella comparsa di risposta) l’appellato dovrà proporre tutte le sue difese, prendendo posizione sui fatti posti dalla controparte a fondamento dell’appello, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi (in quanto ammissibili ex art. 345, c.3) e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni; eventualmente proporre le eccezioni ancora ammissibili ex art. 345 c. 2. Inoltre l’appellato dovrà, a pena di decadenza (…) proporre appello incidentale” – Codice di procedura civile commentato, a cura di Consolo e P.Luiso.- “Ove, in assenza di costituzione dell’appellante, la causa sia iscritta a ruolo su iniziativa dell’appellato impugnante incidentale, si è ritenuto che, nel termine stabilito dal giudice, l’appellato dovrà notificare all’appellante la comparsa contenente l’appello incidentale, in applicazione analogica del dettato dell’art. 292 c. 1(…) a tale notificazione si dovrà provvedere anche nei confronti della altre parti contumaci” – Codice di procedura civile commentato, cit., sub art. 343.Vedi anche le “avvertenze” apposte alla precedente formula

XVI. Primi passi verso la esecuzione della sentenza: l’atto di precetto

Punto di partenza e presupposto della procedura esecutiva è l’esistenza di un titolo esecutivo; cioè di un quid che, secondo il legislatore, fa talmente probabile

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l’esistenza di un diritto, da rendere ragionevole l’esercizio della forza (da parte dello Stato) per realizzarlo; questo quid non è detto che sia una sentenza, potrebbe essere qualche cosa d’altro: una scrittura autenticata, l’ atto ricevuto da un notaio, una cambiale (vedi l’art.474).Orbene mettiamo che il sig. Bianchi sia in possesso di un titolo esecutivo, poniamo, per metterci nel caso più frequente, di una sentenza.Non è che il sig. Bianchi, che ha ottenuto una sentenza di condanna del sig. Rossi a pagargli tot, subito possa recarsi a far eseguire manu militari tale condanna: subito possa recarsi con l’ufficiale giudiziario a bussare alla porta del Rossi per iniziare l’esecuzione forzata pignorando i suoi beni. No, il legislatore - pur nei casi in cui ritiene che l’accertamento contenuto in una sentenza dia tali garanzie di conformità al diritto e alla realtà dei fatti da consentirne l’esecuzione forzata, vuole che non si proceda ex abrupto alla sua esecuzione, ma si dia tempo al debitore di eseguire spontaneamente l’obbligo a suo carico accertato (questo salvo casi eccezionali, per cui vedi l’art. 482).Ma, per dire che si è data al debitore la possibilità di evitare la esecuzione forzata (eseguendo spontaneamente), bisogna non solo informarlo che contro di lui è stata emessa una sentenza di condanna (il che, il creditore, potrebbe avere già fatto notificando la sentenza ai fini di far decorrere il termine breve di impugnazione – vedi art.285), ma altresì bisogna informarlo che tale sentenza è subito eseguibile (è titolo esecutivo) e che è intenzione del creditore di subito eseguirla: ora a dare tali informazioni provvedono la notifica della sentenza in forma esecutiva (idest, in forma tale che risulti inequivocabilmente che è eseguibile – e vedremo subito come il legislatore ottiene questo risultato) e la notifica del precetto (idest di un atto in cui si avverte, anche qui inequivocabilmente, il debitore che, in mancanza di suo adempimento spontaneo, si procederà all’esecuzione – v. l’art. 480 c.1).Tanto premesso ora ti diremo: nel numero 1) che cosa si deve fare per procurarsi una sentenza in forma esecutiva; nel numero 2) come si effettua la redazione del precetto; nel numero 3) come si effettua la notifica del titolo esecutivo e del precetto.

1-La sentenza in forma esecutiva dovrà essere da te richiesta alla cancelleria del giudice di primo grado, se la sentenza non è stata impugnata, alla cancelleria del giudice d’appello, se lo è stata (e poco importa che il giudice d’appello abbia confermata la sentenza di primo grado). Aderendo alla tua richiesta il cancelliere (subito, se avrai chiesto la “urgenza”, dopo qualche giorno, in caso contrario) ti rilascerà le “copie autentiche” della sentenza (cioè, le copie da lui dichiarate conformi all’originale) e munite della c.d

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“formula” (la formula che puoi leggere nell’ultimo comma dell’articolo 475). L’apposizione di tale “formula” da parte del cancelliere su una copia da lui autenticata (cioè dichiarata conforme all’originale) dovrebbe, nel pensiero del legislatore, rendere chiaro, che la sentenza è subito passibile di esecuzione, a chi ne riceve copia (meglio, riceve copia di tale copia, dato che a rigore le cose vanno così: il cancelliere rilascia una copia autentica – e solo una, non due o più, vedi c. 1 art.476 - dell’originale munita di formula e poi fa, di tale copia autentica, quelle copie, naturalmente anch’esse autenticate, che a te servono per la notifica).2 -L’ottenimento della sentenza in forma esecutiva è il primo passo, il secondo è la redazione del precetto. Per il che ti rimando: all’art.480, alla “parte terza del libro” (dove, tra gli atti ex vivo, troverai riportato un atto di precetto pedissequo a sentenza) e alla prima e seconda formula che seguono.La seconda formula, come noterai, riguarda, non una sentenza, bensì delle cambiali, e io l’ho scelta sia perché la cambiale é uno dei pochi titoli esecutivi a cui non va apposta la “formula” (arg. a contrario ex co.1 art.475) sia perché il precetto su cambiali (assegni….) ha una particolarità che va segnalata e che segnaleremo nelle “avvertenze”.3 -Una volta in possesso della sentenza in forma esecutiva e del precetto devi provvedere a notificarli. Tenendo ben presenti gli artt. 477 e 479 e in particolare: che la notifica del precetto e del titolo esecutivo può essere fatta sia separatamente, sia congiuntamente inserendo in un unico atto il titolo e il precetto; che però sempre la notifica dei due atti va fatta separatamente quando i notificandi sono gli eredi (v. melius, il c.1art.477); che, se è fatta separatamente, la notifica del precetto deve essere preceduta da quella del titolo esecutivo; che, se la notifica è fatta congiuntamente, “il precetto deve essere redatto di seguito al titolo esecutivo”; che la notifica, sia separata che congiunta, va fatta “alla parte personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti” (salvo il disposto del cpv art. 477 – ma in caso di morte del debitore, da tale capoverso prevista, può essere fatta all’ultimo domicilio del defunto anche la notifica del precetto? anche la notifica congiunta del titolo e del precetto? noi, nonostante la lettera della legge, daremmo risposta positiva a tali quesiti).

Atto di precetto

Tribunale di RomaAtto di precetto con richiesta di dispensa dal

termine (art. 482 c.p.c.)

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Rossi Mario nato il 06.10.76 in Roma, ivi res. in via Volsci 4 e sempre in Roma elett.te domiciliato in via Trieste 50 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta giusta delega in calce al presente atto (c.f…….; pec......; fax.............);premessoche il Tribunale di Roma con Sentenza n…….emessa in data…………definiva la causa tra il precettante Rossi mario e il sig. Bianchi Guido così disponendo: “…… (copiare il dispositivo)………………………………………………….;che tale Sentenza munita di formula esecutiva è stata notificata il……………………..;

tanto premessoIntima e fa precetto

a Bianchi Guido res in Roma via Nomentana 15 c.f….. di pagare al precettante Rossi Mario come sopra domiciliato, entro dieci giorni dalla notifica del presente atto (e immediatamente se in calce a questo risulterà apposto decreto di immediata esecuzione) le somme di seguito indicate, oltre il costo della notifica del presente atto (come indicato a margine), oltre tutte le altre spese e competenze dovute per atti resisi necessari successivamente fino al totale soddisf, IVA e CNA compresi:

competenze liquidate in sentenza…….€….IVA 22% su dette………………………€…

altre somme liquidate in sentenza (capitale, interessi)….€…bolli precetto………………………….€….autentica firma mandato……………€…. rilascio copie, costo………………….€…compenso fase esecutiva…………….€…redazione atto precetto……………..€…complessivamente, s.e & o………….€….

diconsi €……oltre interessi fino all’effettivo saldo, IVA e CNA sui diritti del presente atto di precetto.Il tutto con preciso avvertimento che in difetto si procederà a esecuzione forata.

Avvertenza al debitore ex art.180Si avverte il debitore che egli può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi e proponendo agli stessi un piano del consumatore.Luogo e data (Avv. Cicero)

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Delego a rappresentarmi e difendermi nella presente procedura esecutiva ed eventuali giudizi di opposizione l’Avv. Cicero Primo ed eleggo domicilio presso il Suo Studio in Roma via Trieste 50.Roma 12 novembre 2016Rossi MarioPer aut.Avv Cicero

Istanza di esecuzione immediata

Sig Presidente Il sottoscritto Avv. Cicero Primo nella qualità di procuratore del precettante; rilevato il pericolo che, ritardandola, l’esecuzione riesca infruttuosa; richiamato l’art. 482 c.p.c.; chiede di esser autorizzato all’esecuzione immediata.Roma 14 dicembre 2016 (Avv. Cicero Primo)(Attenzione! Prima di apporre la relata di notifica, lasciare 5 o 6 righe per l’eventuale decreto ex art. 482 del presidente).

AvvertenzeE’ dubbio che l’intimante abbia diritto al pagamento, delle “competenze” per la redazione del precetto e di molte altre “voci” sopra indicate. Nella prassi però tale pagamento si suole chiederlo e io mi sono voluto adeguare alla prassi.La residenza dichiarata o il domicilio eletto debbono rientrare nel territorio del Comune in cui ha sede l’ufficio giudiziario competente alla procedura esecutiva che programmiamo di iniziare. (v. melius, co.3 art.480)Nel caso si sia ottenuta l’autorizzazione immediata all’esecuzione, il relativo decreto (che il giudice deve scrivere in calce all’atto di precetto – v.ult. parte art. 482) dovrebbe essere trascritto nella copia a cura dell’ufficiale giudiziario (v. sempre art. 482 luogo citato); in pratica è il procuratore del precettante che provvede a tale trascrizione: a dare la sicurezza che la trascrizione (del procuratore) sia veritiera sarà la dichiarazione di conformità fatta dall’ufficiale giudiziario nella relata di notifica - in quanto tale dichiarazione di conformità dovrà intendersi riferita sia al precetto che al decreto.Attenzione, sottoscrivere tutte le copie!

Atto di precetto su cambiali

Tribunale di RomaAtto di precetto su cambiali

Rossi Mario nato il 06.10.76 in Roma, ivi res. in via Volsci 4 e sempre in Roma

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elett. domiciliato in via Trieste 50 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo, che lo rappresenta in forza di delega in calce al presente atto;in forza delle cambiali di seguito trascritte

intima e fa precettoal sig. Bianchi Guido c.f………… res. in Roma via Felicini 5 di pagare entro e non oltre giorni dieci dalla notifica del presente atto, in favore del precettante Rossi Mario le seguenti somme:capitale,€….; interessi legali €…….;protesti e conto ritorno, €…..; compenso fase esecutiva €…., oltre le spese di notifica come risultanti a margine e successive occorrende fino al soddisfo.

Con preciso avvertimento che in difetto si procederà ad esecuzione forzata.

Avvertimento al debitore ex art.480 C.P.C.

Si avverte il debitore che può con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.

Trascrizione delle cambiali1 – Bollo €……; €…….al….pagherò per questa cambiale al…..la somma di €…..Ft Bianchi GuidoRoma, via….n….A tergo: pagate all’ordine di……………Fto……………Luogo, data Avv. Cicero PrimoLa trascrizione è conformeL’ufficiale GiudiziarioParodi G.

AvvertenzaPer l’art. 480 co.2, nel caso il legislatore richieda la trascrizione integrale del titolo, l’ufficiale giudiziario “deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale”.Gli artt. 63 del R.D. 5 dicembre 1933, n.1669 sulla cambiale e il vaglia cambiario, e 55 del R.D. 21 dicembre 1933, n.1736, sull’assegno, dispongono che il precetto relativo al pagamento di questi titoli deve contenere la trascrizione del titolo o del protesto e degli altri documenti necessari a dimostrare la somma dovuta.Tutto ciò significa in pratica che l’avvocato, che fa un precetto cambiario, dovrà, al momento di chiedere la notifica del precetto, esibire all’ufficiale giudiziario le cambiali da lui riportate nell’atto.

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XVII. Espropriazione mobiliare presso il debitore

(Le note sono in calce al paragrafo)

Premessa – Prima prenderemo in esame il caso che tu voglia promuovere una espropriazione mobiliare; poi (sub numero 8) prenderemo in esame il caso che tu voglia intervenire in una procedura da altri promossa. Tu vuoi promuovere un’espropriazione mobiliare presso il debitore. A tal fine, in ossequio al c. 1 art. 479, hai già notificato titolo esecutivo e precetto (c. 1 art.479) oppure hai ottenuto un decreto di autorizzazione all’esecuzione immediata (nel qual caso naturalmente per iniziare l’esecuzione non devi notificare né titolo né precetto dato che tale notifica frustrerebbe l’effetto sorpresa a cui, chiedendo il decreto, miravi). Che devi fare ora? Devi seguire passo passo l’iter che di seguito vengo ad indicarti.1. - Il primo passo è quello di scoprire e individuare quali beni (espropriabili) il debitore possiede e di far sì che il debitore non li sottragga alla procedura esecutiva (vendendoli, occultandoli…).Il che tu ottieni chiedendo il pignoramento; chiedendolo come? dando all’ufficiale giudiziario l’atto di precetto (meglio, l’originale con la relata di notifica dell’atto di precetto, se non hai ottenuta l’esecuzione immediata) (1) e il titolo esecutivo (cioè quella unica copia del “titolo” che il cancelliere o il notaio - vedi meglio co.3 art. 475 - ti ha dato ai sensi del co.1 art.476; e che è “unica” evidentemente per impedirti di accendere contemporaneamente più procedure presso più Uffici giudiziari).Il pignoramento – ti dice il co.1 art. 492 – “consiste in un ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’epropriazione (e solo tali beni: tu capisci che sarebbe assurdo impedire a Berlusca che ha un patrimonio miliardario e un debito di soli 100 euro di disporre di tutti i suoi beni: basta impedirgli di disporre di quel unico bene la cui espropriaizone sarà sufficiente a ricavare quei 100 euro da dare al creditore).Quindi il pignoramento è cosa più complessa di come la fa il legislatore. Precisamente consiste in due operazioni: la prima consiste nell’individuazione dei beni espropriabili; la seconda, nella loro “messa in sicurezza”.Per realizzare felicemente la prima operazione, il legislatore utilizza vari strumenti: fa pressione sul debitore a che dichiari i suoi beni (vedi quarto comma art. 492), autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare (vedi art. 492bis)(….).Per realizzare la seconda operazione, il legislatore, oltre a servirsi della minaccia di sanzioni penali per il debitore che sottragga i beni pignorati (v. meglio co.3 art.388

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C.P.), provvede alla custodia dei beni pignorati (vedi meglio art.520).Cosa importantissima: così come tu non devi essere troppo sollecito a iniziare la esecuzione – più precisamente, “non puoi iniziare la esecuzione forzata prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e in ogni caso non prima che siano decorsi dieci giorni dalla notificazione di esso” (v. meglio al’art. 492) – così tu non devi indugiare troppo a iniziarla (chiedendo il pignoramento, dato che è col pignoramento - bada, col pignoramento, non con la sua richiesta - che si inizia la esecuzione – v. art.291): infatti, per l’art.481, il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla sua notificazione non è iniziata l’esecuzione”.

2 – Richiesto il pignoramento tu hai solo da aspettare…che questo venga eseguito. Certo tu e/o il tuo cliente potreste anche presenziarvi (v. art. 165 disp. att. che però impone al creditore di dichiarare – ben s’intende anche tramite il suo procuratore – tale sua intenzione al momento della richiesta di pignoramento, altrimenti l’ufficiale giudiziario potrà, a questo procedere, senza avvisarlo). Ma raramente creditore o avvocato presenziano a un pignoramento (e, in genere, ad un’esecuzione forzata). Non perché ciò non sia utile all’esito positivo dell’esecuzione: al contrario, l’ufficiale giudiziario è sempre pungolato ad un maggior zelo dalla presenza dell’avvocato e/o del suo cliente, ma perché prende troppo tempo e la gente (specie noi avvocati) non ne abbiamo da gettar via. Non è raro, invece, che l’avvocato si dia da fare per fornire all’ufficiale giudiziario le informazioni (ad esempio, tempo e luogo in cui viene posteggiata quell’auto del debitore che si vorrebbe pignorare) utili al fruttuoso esperimento dell’esecuzione.

3. A questo punto tu mi domanderai: ” Posto che, com’è intuitivo, tra un creditore, deciso a ottenere l’esecuzione del suo dirito, e un debitore, altrettanto deciso a non lasciarsi spogliare dei suoi beni, possono ben nascere delle controversie (ad esempio perché il debitore ritiene che il valore dei beni pignorati sia eccessivo rispetto al credito da soddisfare - vedi art 496 - o perché, al contrario, il creditore lo ritiene troppo misero) non è opporuno che vi sia un giudice che risolva tali controversie?” Certo che è opportuno e tanto più che le possibili controversie non si riducono a quelle da te ipotizzate (e tu te ne renderai facilmente conto pensando all’ipotesi del debitore che lamenta che la notifica, fattagli, dell’atto di precetto è stata irrituale, o all’ipotesi del creditore che contesta il diritto di un altro creditore a intervenire nella procedura esecutiva). E chiaramente queste controversie vanno decise da un giudice (alcune volte, come nei casi di cui agli articoli 615 e segg, con un procedimento disciplinato come quelli previsti nel libro secondo del codice – procedimento che viene definito con sentenza; altre volte, come, ad esempio, nel caso dell’art.531 o dell’art.art. 512, con decreto o ordinanza – vedi meglio l’art.487).

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E il legislatore si rende perfettamente conto di ciò e prevede l’esistenza di un tale giudice. Ma la prevede solo per il periodo successivo l’effettuazione del pignoramento. Più precisamente (secondo il sesto comma art. 518) le cose vanno così. L’ufficiale giudiziario, effettuato il pignoramento “consegna senza ritardo al creditore il processo verbale (2), il titolo esecutivo e il precetto”. A sua volta “il creditore – qui fai bene attenzione! – deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi degli atti di cui al periodo precedente, entro quindici giorni dalla consegna. La conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini del presente articolo” (E, attenzione!!! “il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti di cui al primo del preesnte comma sono depositate oltre il termine di quindici giorni dalla consegna al creditore”). Una volta che la nota di iscrizione a ruolo è depositata, “il cancelliere (….) forma il fascicolo dell’esecuzione”. Su presentazione del fascicolo dell’esecuzione, il presidente del tribunale nomina il giudice dell’esecuzione (v. art 484).

4 – Se terminate tutte le operazioni indicate negli artt. 492, 518, il pignoramento avrà dato esito totalmente negativo, a te non resterà che iniziare un’altra procedura esecutiva (potendo però nel caso omettere una rinotifica del titolo esecutivo e, secondo la interpretazione migliore, anche del precetto, purché il pignoramento – non la sua richiesta! – si compia nei 90 giorni dalla notifica del precetto). E allo stesso modo potrai fare anche qualora la procedura abbia avuto esito parzialmente positivo (e infatti l’art. 483 consente al creditore di cumulare più mezzi di espropriazione: quindi tu potrai proseguire nella procedura parzialmente fruttuosa e iniziarne un’altra). Mettiamoci ora nell’ipotesi che, avendo avuto il pignoramento esito totalmente o anche parzialmente positivo, tu intenda proseguire nella procedura esecutiva mobiliare: che devi fare? Devi redigere un’istanza di vendita (vedi postea formula ad hoc) o di assegnazione o distribuzione (secondo i casi previsti dall’art. 529 – di norma però si tratterà di un’istanza di vendita) e devi depositarla in cancelleria (naturalmente nell’ufficio esecuzioni mobiliari); tenendo presente che per il deposito hai un termine a quo ( non puoi presentare l’istanza prima che siano passati dieci giorni dal pignoramento – vedi melius l’art.501) e hai un termine ad quem (non puoi presentare l’istanza passati quarantacinque giorni dal pignoramento – v. melius art. 497). Tuttavia anche se hai a disposizione quarantacinque giorni (dal pignoramento) per presentare l’istanza, se il valore dei beni staggiti (alias, pignorati) non supera i ventimila euro, ti conviene presentarla il prima possibile. Perché? perché così eviti di dividere la torta (già piuttosto piccola) con altri creditori: infatti nel caso il valore dei beni staggiti non superi 20mila euro si rientra nella

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cosiddetta p.e.m. (piccola espropriazione mobiliare) e uno dei non pochi vantaggi che tale tipo di espropriazione offre al creditore è proprio quello di poter bloccare l’entrata, diciamo così, nel processo ai creditori (potenzialmente concorrenti) presentando l’istanza di assegnazione/ vendita (vedi il c.2 art.525).

5 – Dopo qualche tempo (diciamo, un mese) dalla presentazione dell’istanza, ti arriverà un biglietto di cancelleria (art. 136) con cui ti verrà comunicata (cpv.art. 485) l’udienza per l’audizione delle parti (art. 530 comma 1).Il giorno dell’udienza tu (tu solo: non occorre la comparizione del tuo rappresentato) ti rechi nell’aula ad essa riservata: gran folla di avvocati e di pubblico, come al solito; a differenza del solito, però, il magistrato si presenterà assistito da un cancelliere.Normalmente le cause sono chiamate (cioè non è che, come nell’udienza della fase di cognizione, il procuratore, prende il fascicolo, fa il verbale ecc.): ciò è opportuno in quanto invitato a comparire è anche il debitore, che di regola si presenta senza l’assistenza di un legale e che nulla sa degli usi del Foro. Non credere che, a tale maggiore apparato della giustizia, corrisponda una particolare vivacità della udienza. Questa, anzi, tende a ripetersi secondo un monotono cliché: il debitore non compare, o compare senza l’assistenza di un legale (ovviamente, dato che soldi da scialare non ne ha) limitandosi a chiedere “un po’ di respiro”: che la vendita sia fissata più tardi possibile. A tale richiesta di solito tu non avrai interesse ad opporti se il debitore promette di pagare a rate (infatti il risultato delle esecuzioni mobiliari è deludente, sia per il creditore che ricava, se gli va bene, solo tanto da pagare le spese legali, sia per il debitore che si vede venduto a prezzo irrisorio un suo bene). Avrai, però, l’avvertenza di richiedere un rinvio breve (“pendendo trattative”); e all’udienza di rinvio, vedrai: se il debitore non ha mantenuto le sue promesse, chiederai che si proceda alla vendita, se invece avrà pagato le rate come convenuto, chiederai un altro rinvio, e così via fino a che avrà pagato tutto (spese legali comprese). Se il debitore non compare o compare ma tu non trovi un accordo con lui, chiedi la vendita e…la udienza per te è bella che finita (può solo capitare che il cancelliere ti consegni un foglio su cui, prima di venire in udienza, con un timbro ha fatto risultare lo schema di un verbale e che ti inviti a integrarlo con il nome delle parti e la data della vendita: tu lo integri, restituisci e…te ne vai).

6 –Nel caso all’udienza venga fissata la data della vendita, tu dovrai recarti, lasciati passare alcuni giorni, in cancelleria (naturalmente, cancelleria – ufficio esecuzioni) per versare una somma a titolo di spese, per la Casa delle Aste (ci mettiamo nel

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caso più frequente che la vendita sia stata disposta all’asta pubblica). Se tu non provvedessi a questo incombente, la casa delle Aste non ritirerebbe il bene e, naturalmente, non lo metterebbe all’asta. Di conseguenza sarebbe necessario per te richiedere una nuova udienza di comparizione con apposita istanza al giudice. Attento, dunque, se non vuoi perdere tempo e denaro!

7 – Il procuratore esecutante non partecipa quasi mai all’asta, nelle procedure esecutive mobiliari (in quelle immobiliari è invece per lui buona norma parteciparvi…per far alzare il prezzo): si limita, qualche giorno dopo quello fissato per l’asta, a contattare la “casa” o la cancelleria per sapere il risultato. Se questo è stato positivo, egli fa istanza (scritta) per ottenere, se unico creditore, il pagamento, dal debitore, dovuto (art 510 c.1); se invece concorre con altri creditori, per ottenere la distribuzione amichevole (art. 541) o giudiziale (art.542) del ricavato.

8 – Due parole ora sull’intervento di un terzo (creditore) nel processo esecutivo. Evidenti sono le ragioni per ammettere un tale intervento: permettere al creditore Giobatta Parodi di intervenire nel processo esecutivo promosso da Bianchi contro Rossi col pignoramento del bene A, eviterà a Giobatta Parodi, di rimanere a…bocca asciutta, se A è l’unico bene (utilmente aggredibile) che il debitore Rossi ha, e se così non è, se Rossi ha altri beni, gli eviterà la spesa e la fatica di pignorare questi altri beni (ma se il bene A, sufficiente per soddisfare le ragioni o di Bianchi o di Parodi, fosse insufficiente a soddisfare le ragioni di entrambi? in tal caso Bianchi potrà invitare Giobatta Parodi a estendere il pignoramento agli altri beni – vedi melius, il c.4 art. 499). Evidenti quindi le ragioni che pesano sulla bilancia del legislatore, in senso positivo, per l’ammissione dell’intervento (di un terzo) nel processo esecutivo, ma evidenti anche le controindicazioni che vi pesano in senso negativo: no, all’istituto dell’intervento. Esse sono date dal pericolo di quelle complicazioni e ritardi che l’intervento può provocare: infatti l’intervento di Giobatta Parodi (per rifarci all’esempio prima introdotto) lo pone inevitabilmente in conflitto di interessi sia con il con il debitore Rossi sia con il concreditore Bianchi (quello vedendo nel Giobatta un nuovo aggressore del suo patrimonio, questo vedendo nel Giobatta un concorrente nella spartizione…della torta) – e questo conflitto di interessi può portare facilmente a controversie che il giudice poi dovrà risolvere. Risultato (inevitabilmente di compromesso), il legislatore limita la possibilità di intervento ai seguenti due casi: I- primo caso, il credito (per cui si vuole intervenire) molto difficilmente può dare luogo a contestazioni dato che risulta da un titolo esecutivo o comunque da una prova documentale evidente (“credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile”); II- secondo caso, la non ammissione dell’intervento frustrerebbe e renderebbe inutile

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le “difese” concesse dal legislatore al creditore per assicurargli il realizzo del suo credito – è questo il caso del credito garantito da un diritto di prelazione (credito ipotecario, pignoratizio…) o semplicemente “difeso” da un sequestro (per cui il creditore non ammesso all’intervento avrebbe buone ragioni per lamentarsi col legislatore: “Che senso ha che tu, legislatore, mi dica fai questo – iscrivi ipoteca, sequestra il bene, ecc - e così ti assicurerai il soddisfacimento del tuo credito, se poi mi chiudi la porta in faccia quando, essendo stato un creditore chirografario più lesto di me nell’aggredire il bene, io voglio intervenire nel processo che porterà alla sua vendita?!”).Tanto premesso, come si fa un “intervento” (quando lo si può fare)? Semplice si redige per iscritto l’atto relativo (vedi postea formula ad hoc); e lo si deposita nella cancelleria (ufficio esecuzioni mobiliari). Non occorrono esborsi né iscrizioni a ruolo. Dopo il deposito se tu sei “privo di titolo esecutivo” devi notificare “al debitore, entro dieci giorni successivi al deposito, copia dl ricorso, nonché copia dell’estratto autentico notarile attestante il credito se l’intervento nell’esecuzione avviene in forza di essa” (c.3 art. 499).E la notifica al creditore non si deve fare? No, perché già provvede il cancelliere ad avvisarlo del tuo intervento (di modo che possa invitarti alla “estensione” del pignoramento di cui abbiamo sopra parlato) – vedi il c.1 art.525.

Istanza di vendita di beni pignorati (artt. 529 e 530 C.P.C.)

Tribunale di RomaGiudice dell’esecuzione

Istanza di venditanella procedura esecutiva N. 657/2009 R.G.E, Giudice Dott…..

promossa da Bianchi Alfredo contro Rossi MauroIll.mo Tribunale di RomaIo, sottoscritto avv. Cicetro Primo del Foro di Roma,(c.f. …; fax….; pec…..) e con studio sempre in Roma, via Pausania 3, nella mia qualità di procuratore di Bianchi Alfredo per procura in calce all’atto di precetto

PremessoChe con atto notificato il 20.06.2009 Bianchi Alfredo ha fatto precetto a Rossi Mauro di pagare 30 mila euro come da Sentenza esecutiva notificatagli in pari data;che l’ufficiale Giudiziario il 20.07.2009 ha pignorato nell’abitazione dello stesso Rossi Mauro beni mobili per un valore da lui calcolato in € 40mila;visti gli artt. 529, 530 C.P.C.

instaper la fissazione di un’udienza per ivi sentir disporre la vendita dei beni come sopra

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pignorati. Con osservanzaRoma 20.09.09 (Avv. Cicero Primo)

Atto di intervento

Tribunale di RomaGiudice dell’esecuzione

Atto di interventonella procedura esecutiva n. 675/09: Giudice, Dott. Giaco

promossa da Bianchi Alfredo contro Rossi MauroIll.mo Tribunale di Roma- Nigro Luigi nato a Roma e ivi res. in via Giolitti 40, c.f……..; e sempre in Roma, in osservanza del c.2 art.499, dom.to presso e nello Studio, in via Crescenzio 20, dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende, il tutto come da procura a margine del presente atto e che è titolare di: c.f…..; fax…..; pec……;- essendo creditore di Rossi Mauro per € 30mila oltre agli interessi, alle spese e competenze in forza di Sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo in data 30.04.08 e già passata in giudicato (Doc. 1);- visti gli artt.498 ss e 525 ss

intervienenella procedura promossa da Bianchi Alfredo contro lo stesso Rossi Mauro per esercitarvi tutti i poteri che il Codice attribuisce agli intervenienti muniti di titolo esecutivo al fine di ottenere il soddisfacimento coattivo del suo credito.Con osservanzaRoma 12.09.10 (Avv. Cicero Primo)AvvertenzeSe il credito per cui si interviene è assistito da un diritto di prelazione lo si dichiarerà; ad esempio così: “premesso che l’esponente è creditore di Rossi Mauro per euro…ecc…; che l’esponente sullo stesso bene oggetto del pignoramento ha iscritta ipoteca in data ecc,…..; tanto premesso visti gli artt. 498ss e 525 ss – interviene”.

NoteE se hai ottenuta l’esecuzione immediata? In tal caso consegnerai all’ufficiale giudiziario titolo esecutivo e atto di precetto (ben s’intende con le copie neecssarie per la loro notifica – copie già preparate, così come gli originali, con relata di notifica, naturalmente in bianco). E l’ufficiale giudiziario provvederà alla notifica al momento del pignoramento. Per l’art. 518, l’ufficiale giudiziario redige delle sue operazioni processo verbale nel quale dà atto dell’ingiunzione di cui all’art. 492 e descrive le cose pignorate, noché il loro stato (determinandone approssimativamente il presumibile valore di realizzo (….)”,

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XVIII. Espropriazione presso terzi

1) Notifichi l’atto di pignoramento (calcolando che tra la notifica e il giorno dell’udienza deve intercorrere il termine di cui all’art. 543 comma 3!).2) Effettuata tale notifica, fai copia dell’originale dell’atto di citazione, del titolo esecutivo, dell’atto di precetto e, se hai tentata una ricerca con modalità telematiche dei beni del debitore ai sensi dell’art. 492bis, dei verbali di cui a questo stesso articolo (tenendo peresnte che,titolo esecutivo e atto di precetto dovrebbero essere in tuo possesso e che, se non lofossero perché consegnati all’ufficiale giudiziario per permettergli le ricerche telematiche di cui all’art. 492bis, ti verranno consegnati da questo insieme ai verbali – naturalmente, poi, l’originale di citazione ti verrà consegnato sempre dall’ufficiale giudiizario notificante – vedi il comma 4 e 5 dell’art. 543). Quindi ti costituisci depositando in cancelleria: nota di iscrizione a ruolo + le copie come da te sopra fatte e attestate conformi agli originali. Questo deposito lo devi, bada bene, fare entro il termine di trenta giorni dalla conesgna a te fatta, da parte degli ufficiali giudiziari, degli originali. Altrimenti il pignoramento perderebbe efficacia (v.quarto comma art. 543).3) Se il terzo ti avrà fatto pervenire la dichiarazione scritta di cui all’art. 547, tu la depositerai all’udienza.4) Come noterà lo studioso leggendo la formula sottostante, l’atto inquestione è redatto……a quattro mani: la citazione fatta al debitore davanti al tribunale, porta la firma del procuratore de l creditore procedente, mentre l’atto di pignoramento porta la firma del ufficiale giudiziario (anche se in pratica è redatto dal procuratore).

Atto di pignoramento presso terzi

Tribunale civile di GenovaAtto di citazione ex art. 543 C.P.C.

con pignoramento presso terziBianchi Luisa, nata il 06.09.56 a Genova,c.f…… ivi res. in via Capo Santa Chiara 33, sempre in Genova dom.ta in via Fiasella 4 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo, che la rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto e che dichiara di avere il c.f………..; il fax……………; la pec…..;

Premesso- che con Sentenza n……. del tribunale di Genova….. pubblicata il…. notificata in forma esecutiva il…..Rossi Mario veniva condannato a corrispondere € tot a titolo di alimenti all’esponente;- che allo stesso Rossi Mario veniva notificato, in base a tale Sentenza, atto di precetto in data…. per il pagamento della somma complessiva di €……..;

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- che la somma precettata non è stata pagata né in tutto né in parte;- che risulta che il Rossi Mario ha in deposito grosse somme presso il sig Verdi Enrico, res. in Genova, via Gerolamo 4;- che l’esponente intende procedere a pignoramento delle suddette somme fino alla concorrenza di quanto precettato e in più di quanto dovuto per spese, diritti, onorari in relazione alla presente procedura;tanto premesso l’esponente come sopra rappresentata

citaRossi M, res. in Genova, via Torino 10 a comparire davanti davanti al tribunale di Genova, giudice designando il……………ore di rito, per prendere atto delle dichiarazioni del sig Verdi E. e di quanto vorrà disporre ai sensi degli artt. 552 e 553 l’ill.mo Giudice dell’esecuzione.

InvitaIl sig Verdi Enrico a comunicare a norma dell’art. 543c.p.c. la dichiarazione di cui all’art.547c.p.c.al creditore procedente entro dieci giorni a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta elettronica certificata con avvertimento che in caso di mancata comunicazione della dichiarazione, la stessa dovrà essere da lui resa comparendo in un’apposita udienza e che qualora non comparisse o, sebbene comparso, non rendesse la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell’ammontare e nei termini indicati dal creditore, si considererebbero non contestati ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

Dichiarazione di valore della proceduraSi dichiara ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 115/2002 che il contributo unificato è di €…..Data e Luogo Avv. Cicero

Dichiarazione di pignoramento e relazione di notificaA richiesta dell’Avv. Cicero nella qualità di procuratore di Bianchi Luisa io sottoscritto collaboratore UNEP addetto alla C.A. di Genova; vista la sentenza n….del Tribunale di Genova munita di formula esecutiva e notificata il….; visto l’atto di precetto notificato il….; visto il sovraesteso atto di citazione ex art. 543;

dichiaro di pignorarein virtù del suddetto titolo esecutivo le somme depositate dal sig. Rossi Mario presso il sig. Verdi Enrico fino alla concorrenza di €……e faccio, al sig. Verdi E. e al sig. Rossi Mario, precisa ingiunzione di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito le somme sopra indicate e di non dispone senza ordine del giudice.A norma dell’art. 492 invito il debitore a dichiarare la residenza o a fare elezione di

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domiiclio in un comune del circondario del giudice dell’esecuzione con avvertenza che, in mancanza, le notifiche o comunicazioni saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice.Avverto inoltre il debitore che può chiedere di sostituire, a norma dell’art. 495 c.p.c. le cose e i crediti pignorati con una somma di denaro di pari importo.E tali atti di, pignoramento,ingiunzione, invito e avvertimento, contestualmente alla sovraesteso atto di citazione ex art. 543, notifico, su richiesta dell’avv. Cicero nella sua qualità procuratoria, sia al terzo sig. Verdi Enrico sia al debitore Rossi MarioQuanto al sig Verdi Enrico…..Quanto sl sig. Rossi Mario…..

XIX. Espropriazione immobiliare

La cosa più importante in una espropriazione forzata è quella di impedire al debitore di sottrarre la res alla garanzia del creditore alienandola. Orbene, nel caso che oggetto della espropriazione sia un bene trascritto nei pubblici registri (come un’auto, come un immobile) tale risultato si raggiunge facilmente trascrivendo l’atto di pignoramento negli stessi registri.Così come risulterà dalla formula sottostante relativa alla espropriazione di un immobile.Venendo a parlare propriamente di questo tipo di espropriazione, ti debbo subito dire che, dovendo ad essa procedere puoi, sì, trovare un aiuto nelle istruzioni che di seguito vengo a darti, ma soprattutto tale aiuto lo devi cercare….nell’esperienza del cancelliere addetto all’Ufficio “esecuzioni immobiliari”.

1 – Per prima cosa notifica titolo esecutivo e atto di precetto (questo naturalmente a meno che tu abbia ottenuta l’autorizzazione all’esecuzione immediata di cui all’ art. 482).

2- Redigi l’atto di pignoramento: tante copie quanti sono i debitori a cui va notificato l’atto + una (per originale di notifica) + una (per l’incombente di cui al cpv art. 555).Come potrai notare leggendo la formula sottostante, anche questo atto, così come quello di pignoramento presso terzi, é un atto.....a quattro mani.3 – Chiedi all’ufficiale giudiziario di procedere al pignoramento, consegnandogli le copie sub 2 ed esibendogli l’originale notificato del titolo esecutivo e del precetto.N.B. Nei grandi uffici giudiziari, la richiesta va fatta, non all’ufficio in cui normalmente si richiede la notifica di un atto, ma allo “ufficio esecuzioni” (degli ufficiali giudiziari).

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4 – Nel mentre l’ufficiale giudiziario si darà da fare per notificare l’atto di pignoramento, tu non starai di certo con le mani in mano: ti informerai presso la Conservatoria dei registri immobiliari su come redigere le note di trascrizione.Cosa non facile per noi uomini di legge – almeno per i “vecchi” uomini di legge com’è chi scrive – dato che per redigere le note di trascrizione, non basta conoscere gli articoli del Codice (nel caso quelli da tener presente sarebbero, mutatis mutandis, l’art.2838 e segg., che riguardano la iscrizione delle ipoteche), ma occorre soprattutto conoscere l’utilizzo di quei marchingegni introdotti nelle nostre Conservatorie per l’automatica loro redazione. Il che ripeto non è facile (chi scrive, almeno, sul punto preferisce lasciar fare ad altri).

5- In teoria tu hai la possibilità di far fare la trascrizione dell’atto di pignoramento all’ufficiale giudiziario o di provvedervi direttamente. Nel primo caso consegni all’ufficiale giudiziario le note di trascrizione da te già preparate (anche se in teoria la redazione delle note competerebbe a chi ha il compito di chiedere la trascrizione e quindi nell’ipotesi all’ufficiale giudiziario). Nel secondo caso (che è quello che in pratica si verifica quasi sempre), tu chiederai all’ufficiale giudiziario (non quello addetto alle notifiche ma quello addetto all’esecuzioni) copia autentica dell’atto di pignoramento (come risultante dopo la notifica, cioè con in calce la relata di questa: quindi l’autentica dell’ufficiale giudiziario risulterà apposta dopo la relata)..

6 – Mi metto ora nel secondo caso sopra ipotizzato: hai detto all’ufficiale giudiziario di voler provvedere direttamente alla trascrizione. In tal caso ti dovrai recare alla Conservatoria dei Registri Immobiliari e lì richiedere (all’impiegato addetto a ricevere le trascrizioni e le iscrizioni degli atti) la trascrizione dell’atto di pignoramento.Accompagnerai tale tua richiesta con la consegna: dell’ atto di pignoramento (melius, della sua copia autentica che l’ufficiale giudiziario ti ha rilasciato), delle note di trascrizione e dell’avviso di ricevimento se la notifica dell’atto di pignoramento è avvenuta tramite posta. Dovrai al momento fare un esborso pecuniario (non del tutto indifferente: le procedure esecutive immobiliari costano!). Dopo qualche giorno dovrai tornare a ritirare una delle note (da cui risulterà l’avvenuta trascrizione).

7 – Nel frattempo tu non starai con le mani in mano: forse che non si deve dare l’avviso di cui all’art. 498 ai creditori “che sui beni pignorati hanno un diritto di prelazione risultante da pubblici registri” (e al sequestrante – per questi vedi l’art. 158 disp. att.)? forse che esso non va notificato entro cinque giorni dal pignoramento (v. sempre l’art. 498 nel suo cpv)?

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Di conseguenza tu dovrai recarti nella Conservatoria dei Registri Immobiliari per individuare i creditori a cui notificare l’avviso (e, nel fare le necessarie ricerche, non dovrai limitarti ad individuare i creditori dell’esecutato, ma dovrai risalire ai suoi danti causa: chè anch’essi avrebbero potuto costituire ipoteche sull’immobile pignorato).Fatto questo avrai gli elementi per redigere l’avviso di cui all’art. 498 (vedi formula sottostante): tante copie quanti sono i creditori + 1.Redatto l’avviso, dovrai notificarlo. E se non riuscirai a notificarlo entro i cinque giorni? Poco male: “il termine di cinque giorni non è perentorio” (Andrioli, Commentario, cit., vol III, sub art. 498). Vero è, però, che la mancata notifica (melius, il mancato deposito dell’avviso notificato) “rende inammissibile la successiva domanda di vendita o di assegnazione” (così sempre Andrioli, Commentario, cit. vol III, sub art. 557).

8- Tu hai espletato gli incombenti sub 6 e sub 7 e, naturalmente, hai ritirato (dalla conservatoria) la nota e (dall’ufficio notifiche) l’avviso ai creditori. A questo punto, che devi fare? Con l’urgenza a cui ti costringe il terzo comma dell’art.557, devi fare copia del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di iscrizione e attestare, per ciascuna copia, la sua conformità all’originale; quindi (entro 15 giorni dal momento in cui hai acquisito dall’ufficiale giudiziario l’atto di pignoramento!) devi depositare le copie di cui hai attestata la conformità + la nota di iscrizione a ruolo nella cancelleria del tribunale (naturalmente, cancelleria ufficio-esecuzioni)

9 – Entro i quarantacinque giorni prescritti dall’art. 497 devi presentare la istanza di vendita. E a questo punto viene la cosa più difficile per noi avvocati: entro sessanta giorni (fortunatamente prorogabili!) dalla presentazione di tale istanza si deve provvedere (ai sensi del secondo comma art.567) “ad allegare alla stessa l’estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento; tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari).

10 –A questo punto, pongo termine al mio viaggio con te nei meandri del processo esecutivo immobiliare. Troppo complesso diventa da qui lo svolgimento della procedura immobiliare per esser in pochi tratti descritto: tu dovrai trovare la tua guida nel codice e negli (esperti) consigli del cancelliere. Atto di pignoramento immobiliare

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Tribunale di GenovaAtto di pignoramento immobiliare

Bianchi Luigi c.f. LSTRDU36P06M, nato il 09.06.1986 a Genova, ivi res. in via San Gerolamo 4 e dom.to sempre in Genova via Roma 3 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per procura in calce al presente atto (c.f.........;pec…......; fax…..........)

Premesso- che il Tribunale di Genova in data 03.10.2006 ha condannato Rossi Mauro a pagare all’esponente Bianchi Luigi la somma di € centomila oltre accessori;- che detta Sentenza in forma esecutiva è stata notificata a Rossi Mauro il 30.09.2006;- che con atto di precetto notificato il.........é stata fatta intimazione di pagare le somme indicate in detta Sentenza oltre le ulteriori occorse, il tutto per un ammontare di € centodiecimila;- che fino ad oggi il Rossi Mauro non ha ottemperato all’intimazione fattagli e nessun pagamento ha effettuato

dichiaradi voler sottoporre ad esecuzione forzata il seguente bene immobile di proprietà del Rossi Mauro che così si passa a descrivere:immobile urbano di proprietà di Rossi Mauro sito in Genova, via Trieste civ. 119 int.3 facente parte di casa edificata su area iscritta al N.C.E.U. f.2, mappali 225-226, confini: scala, muri perimetrali e appartamento int.4, salvi più precisi confini e dati catastali.Ai fini dell’art. 14 D.P.R. 30 maggio 2002 n.115 il valore della presente procedura deve ritenersi pari a € tot.Genova lì 30.11. 2006Sottocsrizione del creditoreSottoscrizione dell’avv. Cicero PrimoProcura: Il sottoscritto Bianchi Lugi nomina a rappresentarlo e difenderlo nella procedura di espropriazione immobiliare contro Rossi Mauro l’avv Cicero Primo.

Atto di pignoramento- Su istanza dell’avv. Cicero Primo nella qualità, io sottoscritto Ufficiale Giudiziario addetto all’UNEP Corte di Appello di Genova- presa visione dell’atto sovraesteso, del titolo esecutivo e del precetto in esso richiamati ingiungo ai fini e ai sensi dell’art.492 c.p.c.a Rossi Mauro di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del

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credito, per cui gli è stato notificato precetto, l’immobile sopra descritto e i suoi frutti;e nel contempo avvertolo stesso Rossi Mauro che, ai sensi dell’art. 495 c.p.c., può chiedere di sostituire ai beni come sopra pignorati una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante e agli eventuali creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese, oltre che delle spese di esecuzione, sempre che, a pena di inammissibilità, sia da lui depositata in cancelleria, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione a norma dell’articolo 569, la relativa istanza unitamente ad una somma non inferiore ad un quinto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori eventualmente intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data prova documentale;e sempre nel contempoinvitosempre lo stesso Rossi Mauro ad effettuare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione con l’avvertimento che, in mancanza ovvero in caso di irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice.E tutto ciò faccio notificando i sopraddetti atti, di ingiunzione, di avvertimento e avviso, contestualmente al presente atto contenente la dichiarazione del creditore a Rossi Mauro res.in Genova Via Garibaldi 3 ivi recandomi e consegnandone copia…………………………Avvertenza. La sottoscrizione del creditore, a modesto avviso dello scrivente, é superflua una volta che vi é la sottoscrizione del suo procuratore; ma spesso per tuziorismo la si fa apporre.

Avviso ai creditori ai sensi dell’art. 498 c.p.c.

Tribunale civile di GenovaAvviso ai creditori (art.498 c.p.c.)

nel procedimento n.765/RGE promossoda Bianchi Luigi contro Rossi Mauro

Bianchi Luigi res. in Genova ed ivi elett.te dom.to in via Fiasella 4 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine dell’atto di precetto

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in osservanza dell’art. 498 c.p.c.AvvisaI-. la Banca Commerciale Italiana nella sua sede in Genova via Garibaldi 30;II –il Credito Fondiario S.p.A. nella sua sede in Roma via Colombo 3;che con atto notificato il 30.04.2008 e trascritto il 10 maggio 2008 nei registri della Conservatoria dei Registri Immobiliari di Genova ha pignorato il seguente immobile di proprietà di Rossi Maurizio:immobile urbano sito in Genova via Trieste civ.119 int.6 facente parte di casa edificata su area iscritta al N.C.E.U., foglio 2, mappali 225-226; confini: scale, muri perimetrali, appartamento int.4.Il pignoramento si è reso necessario per il realizzo del seguente credito:credito dell’avvisante Bianchi Luigiper somma di € centomila a lui dovuta a titolo di prezzo dovuto dal Rossi M per l’acquisto di un suo appartamento.Tanto si dovevaGenova 10.05.08 Avv. Cicero Primo

AvvertenzeL’avviso può essere sottoscritto oltre che dall’avvocato anche dal creditore.

XX. Esecuzione per consegna o rilascio

1 – Si notifica titolo esecutivo e atto di precetto (attenzione alle particolarità che questo presenta – v.art. 605 e formula A).

2 – Notificati titolo esecutivo e precetto, l’ulteriore passo da compiere è diverso a seconda che si tratti di esecuzione per consegna di beni mobili o per rilascio di beni immobili. Nel primo caso vedi sub 3, nel secondo salta a sub 4.

3 –Nell’ipotesi di esecuzione per consegna di beni mobili, lasciato trascorrere il termine fissato (nel precetto) per la consegna, si chiede l’esecuzione all’ufficiale giudiziario consegnandogli atto di precetto e titolo esecutivo (ben s’intende, le copie “originali” da cui risulta la loro notifica).E’ opportuno prendere accordi con l’ufficiale giudiziario sulla necessità o meno della presenza nostra o del cliente all’esecuzione.Naturalmente quando l’ufficiale giudiziario consegnerà (a noi o al cliente) la res se ne redigerà verbale.

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4 – Nell’ipotesi di esecuzione per rilascio di bene immobile, il primo incombente per l’avvocato, una volta notificati titolo esecutivo e precetto, è la redazione del “preavviso di esecuzione”. Il “preavviso” é la comunicazione che l’ufficiale giudiziario (non l’esecutante!) deve fare all’esecutato del “giorno e ora in cui procederà” (v. art. 608 c.1). Tale comunicazione (almeno secondo alcuni Autori) potrebbe farsi anche oralmente; ma nella pratica prende la forma di un atto scritto (vedi formula sottostante) a firma dell’ufficiale giudiziario (anche se in pratica l’atto viene redatto, non da lui, ma dall’avvocato) – atto che sarà notificato all’esecutato prima di dar inizio all’esecuzione.

5 – Preparato l’avviso (in due copie, dato che va notificato) l’avvocato si reca dagli ufficiali giudiziari e chiede che si provveda all’esecuzione, accompagnando la sua richiesta con la consegna del titolo esecutivo, del precetto e del “preavviso”.

6- Se il “preavviso” non ha l’effetto di convincere a più miti consigli l’esecutato, l’avvocato qualche giorno prima dell’esecuzione deve ritornare dagli ufficiali giudiziari (quelli addetti, non alle notifiche, ma alle esecuzioni) per pagare all’ufficiale giudiziario i “diritti” che gli spettano (per ogni accesso che fa nell’immobile liberando).Nell’occasione l’avvocato, nei casi (non frequenti ma non del tutto rari) in cui ritiene opportuna la presenza sua o del suo cliente al momento e sul luogo dell’esecuzione, prende accordi con l’ufficiale giudiziario sul giorno e sull’ora di questa. Ma può essere utile la presenza dell’avvocato al momento dell’esecuzione? Non raramente, si. Infatti questo è il momento più critico di tutta la procedura: chi è nella detenzione dell’immobile le studierà tutte per ritardare la sua dipartita: si barricherà in casa, si fingerà malato (…). E l’ufficiale giudiziario avrà tutt’altro che voglia di esporsi allo stress di un’esecuzione in quelle condizioni: l’avvocato può sopperire con la sua energia e con la sua iniziativa all’abulia del pubblico ufficiale.Con tutto ciò anche il più energico degli avvocati potrà difficilmente impedire qualche rinvio dell’esecuzione: l’occupante chiede gli si dia un po’ di tempo per ultimare lo sgombero: difficile dissuadere l’ufficiale giudiziario dal darglielo scrivendo a verbale: ” il 30 marzo 2006, munito di titolo esecutivo e di precetto, mi sono recato ecc.ecc. Il conduttore sig. Aloisi G. mi fa presente ecc. Ritenuta giustificata la richiesta e non avendo mezzi per procedere coattivamente, ho rinviato l’esecuzione al 30 maggio 2006”.

Atto di precetto per rilascioTribunale di Genova

Atto di precetto per rilascio d’immobile

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- G.B. Parodi c.f. PARGI453P06D969M nato a Genova il 06.07.56, ivi res. in via Gerolamo 4, e sempre in Genova elett.te dom.to in via Fiasella 3 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato in calce al presente (cf..........; pec…....; fax….........)- in forza della Sentenza del Tribunale di Genova in data 3 maggio 2006, notificata in forma esecutiva il 3 giugno 2006- che ordina a Rossi Franco di rilasciare all’intimante G.B. Parodi- l’immobile sito in Genova via Sturla civ. 3 int.4- entro e non oltre il 3 luglio 2006

fa precetto-a Rossi Franco res in Genova via Sturla civ 3 int.4 di rilasciare libero e vuoto di persone e cose, alla libera disponibilità dell’intimante, l’immobile di cui alla premessa entro il 3 luglio 2006 o entro dieci giorni dalla notifica del presente atto- con avvertimento che, in difetto di rilascio entro i termini così indicati, si procederà ad esecuzione forzata.Genova 26 febbraio 2006 (Avv. Cicero Primo)

AvvertenzeNon dissimile da quello sopra esemplificato sarà il precetto per consegna di cosa mobile. Esso potrà essere redatto così: “GB. Parodi cf…nato…il……………in forza di Sentenza…..che ordina a Rossi Franco di consegnare all’intimante i seguenti beni mobili, e cioè un quadro raffigurante la Santa Vergine in una grotta……..fa precetto a Rossi F. res……di consegnare all’intimante i mobili come sopra descritti…..”.Naturalmente il precetto potrà essere redatto di seguito al titolo esecutivo.“Il precetto per la consegna di una cosa mobile o per il rilascio di un immobile deve contenere (…) la descrizione sommaria dei beni stessi (ma) non è da ritenere necessaria, ove si tratti di beni mobili, la menzione degli elementi di individuazione richiesti dall’art. 2826” (Andrioli, Commentario, cit., vol.III, sub art. 605)“Il secondo comma (dell’art. 605) va inteso nel senso che il termine ad adempiere deve coincidere con il termine stabilito nel titolo esecutivo” Andrioli, Commentario,cit., ibidem).

Preavviso di esecuzione

Tribunale di GenovaPreavviso di rilascio coatto

- Io sottoscritto Ufficiale Giudiziario presso la Corte di Appello di Genova- richiesto dall’avv. Cicero Primo nella sua qualità di procuratore, per delega in

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calce al precetto, di Parodi G.B nella procedura esecutiva promossa dallo stesso Parodi G.B. contro Rossi Franco

-vistiA)la Sentenza del Tribunale di Genova in data 3 maggio 2006, notificata in forma esecutiva il 3 giugno 2006;B) l’atto di precetto notificato il 22 febbraio 2006;

avvisoRossi Franco res in Genova via Sturla civ.3 int.4 che il giorno 4 luglio tra le ore 9 e le ore 11 mi recherò nell’appartamento di Genova via Sturla civ.3 int.4 al fine di immettere nel suo possesso il richiedente G.B. Parodi.E tale avviso effettuo oggi 12 giugno 2006 notificando il presente atto al sig. Rossi Franco, nella sua residenza di via Sturla civ 3 int.4 mediante consegna di copia conforme a mani di….(Firma e timbro dell’Ufficiale Giudiziario)

AvvertenzeL’atto va redatto dall’avvocato in tante copie quanti sono gli esecutati + 1.

XXI. Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare

Notificato il titolo esecutivo e l’atto di precetto (per questo vedi formula A) si deve redigere il ricorso (formula B) al giudice dell’esecuzione a che determini le modalità di esecuzione.

Formula A: atto di precettoTribunale di Genova

Atto di precetto all’esecuzione di un obbligo di fareBianchi Luigi c.f. IUEGHT56P06D969M nato il 7.3.57 a Genova, ivi res. in via Garibaldi 3 e sempre in Genova via Santa Chiara 2 elett. Dom. presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto (c.f......;pec….......; fax…...........)

Premesso- che il Tribunale di Genova con sentenza in data 3.3.06 ha condannato il sig. Giobatta Parodi a demolire……………;- che tale sentenza munita della formula esecutiva è stata notificata il 3.4.06;-tanto premesso

fa precetto

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al sig. Parodi G.B. res. In Genova via Garibaldi 43 di provvedere alla demolizione del capannone sul confine del precettante nel termine di dieci giorni dalla ricevuta notifica del presente atto, con avvertimento che in difetto si procederà ad esecuzione forzata.Genova 04.05.06 (Avv. Cicero Primo)

Formula B: ricorso al giudice dell’esecuzioneTribunale di Genova

Ricorso al Giudice dell’esecuzione (art. 612 C.P.C.)Ill.mo Giudice dell’esecuzioneIl sottoscritto avv. Cicero Primo nella qualità di procuratore di Bianchi Luigi per mandato a margine dell’atto di precetto (c.f.....;pec…....fax…....)

Premesso- che il Tribunale di Genova ha condannato con Sentenza in data 3.3.06 il sig Giobatta Parodi a demolire…….- che tale Sentenza munita della formula esecutiva è stata notificata il 3.4.06; - che il precetto notificato il 4.5.06 per intimare l’esecuzione di detta sentenza non ha sortito effetto;tanto premesso

ricorrea Voi, ill.mo Giudice dell’esecuzione presso il Tribunale di Genova, affinché, previa comparizione delle parti, vogliate, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., determinare le modalità di esecuzione dell’obbligo sopra indicato, designando l’ufficiale giudiziario e le persone che vi debbono provvedere.

Si produce copia notificata del titolo esecutivo e del precetto.Genova 6.9.06 (Avv. Cicero Primo)

XXII. Opposizione all’esecuzione (art. 615 C.P.C.)

Premessa – Se devi fare l’opposizione quando ancora l’esecuzione forzata non è iniziata, vedi sub1; se dei fare l’opposizione quando già l’esecuzione è iniziata (o devi opporti al pignoramento di qualche bene), vedi sub 2.

1. Se intendi “contestare il diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata” e questa non è ancora iniziata (c.1 art. 615), devi: A) redigere un atto di citazione (formula A): tante copie quanti sono i notificandi (e di solito questi si ridurranno a

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una persona: quella del creditore che ha promosso l’esecuzione) + 1.; B) devi notificare l’atto di opposizione così redatto; 3) devi costituirti nelle forme dell’art 165 (depositando il fascicolo, iscrivendo la causa a ruolo….)2- Se intendi contestare il diritto della parte istante a procedere all’esecuzione e questa è già iniziata o intendi contestare la pignorabilità di qualche bene (c.2 art. 615) devi: A, redigere un atto di ricorso ad hoc (formula B); B) depositare il ricorso nella cancelleria del giudice designato per l’esecuzione; C) dopo qualche tempo chiedere alla cancelleria copie autentiche del ricorso e del pedissequo decreto con cui il Giudice stabilisce l’udienza di comparizione davanti a sé (vedi c.2 art. 615); D) notificare il decreto (con naturalmente il tuo ricorso che gli risulterà soprascritto); E) se all’udienza da lui fissata il giudice dell’esecuzione si sarà ritenuto competente, dovrai nei termini di cui all’art.163bis (ridotti alla metà! Vedi però melius l’art. 616) costituirti (di norma nelle forme dell’art. 165, quindi depositando una comparsa che abbia lo stesso contenuto dell’atto di citazione di cui all’art 163, i documenti, la procura ecc.ecc. – ma vedi melius l’art.616) – questo naturalmente se vuoi proseguire nella causa (altrimenti te ne puoi astenere..sperando che il tuo avversario non prenda lui l’iniziativa di costituirsi). E se all’udienza il giudice si riterrà incompetente? Dovrai riassumere la causa dinanzi all’ufficio ritenuto competente nel termine dal giudice fissatoti.

Formula A: opposizione ex c.1 art.615

Tribunale civile di GenovaAtto di opposizione a precettoai sensi dell’art. 615 c.1 C.p.C.

Bianchi Luigi c.f. DERGTDP06D78M nato il 08.04.68 a Genova, res. in Via Luccoli 6, sempre in Genova via Fiasella 7 dom.to presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto (c.f…..pec…....; fax…........)

Premesso- che Rossi Carlo con atto notificato il 1.giugno 2006 faceva all’esponente precetto di pagare € centomila- in forza di Sentenza del Tribunale di Genova 1.02.95;- che però l’esponente ha già pagata la somma precettata (Doc. 1);- tanto premesso,visto l’art. 615 c.p.c. intende opporsi all’esecuzione e pertanto

cita- Rossi Carlo a comparire il 10.03.2007 davanti al Tribunale di Genova ore di rito giudice designando ai sensi dell’art. 168bis

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- invitandolo a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art.166- con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167- per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni:“Voglia l’ill.mo Tribunale, previa sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, dichiarare che il conchiudente Bianchi nulla deve a Rossi Mauro in forza della Sentenza azionata in quanto il credito da essa risultante è estinto per avvenuto pagamento; e per l’effetto dichiarare l’inefficacia del precetto di cui alle premesse. Vittoria nelle spese”.Offre in comunicazione e deposita in cancelleria i seguenti documenti:……………Ai fini del versamento del contributo unificato ex D.P.R. 115/2002 dichiara che il valore della causa è di € tot.Genova 10.07.06 (Avv. Cicero Primo)-

AvvertenzeTenere presente per la individuazione della competenza territoriale del giudice e per il luogo in cui effettuare le notificazioni alla parte precettante, l’art.480 nel suo comma terzo.Vedi art.618bis.

Formula B: opposizione ex art. 615 c.2Tribunale di Genova

Ricorso in opposizione (art. 615 c.2)nella procedura esecutiva RGE 6543/06- Giudice Dott. Malpensi

promossa da Rossi Mauro contro Bianchi Luigi

Bianchi Luigi c.f. FGRSOU46P06D978M, nato il 09.09.29 a Genova, ivi res. in via Roma 5, e sempre in Genova elett.dom. in Via Fiasella 5 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto (c.f......; pec…...fax….....)

si opponeall’esecuzione promossa da Rossi Mauro contro lo stesso opponente con atto di pignoramento in data 1 giugno 2006

per i seguenti motivi: l’esecuzione avviene a seguito di precetto notificato il 4.9.06 e basato su Sentenza del Tribunale di Genova in data 4.7.05 che condanna l’esponente al pagamento di € centomila. Non si contesta la Sentenza ma la persistenza dell’obbligo in quanto

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questo è stato estinto con pagamento avvenuto dopo la pubblicazione della Sentenza stessa.Tanto premesso visto l’art. 615 c.2, l’esponente

ricorrea che all’udienza che V.S. ill.ma fisserà per la comparizione delle parti ai sensi dell’art.616 c.p.c., accolga, previa sospensione dell’esecuzione, le seguenti conclusioni:“Voglia il Giudice ill.mo dichiarare che il conchiudente Bianchi Luigi nulla deve a Rossi Mauro in forza della Sentenza del Tribunale di Genova datata 4.7.2005 in quanto l’obbligazione in tale Sentenza dichiarata è stata estinta per pagamento; e per l’effetto dichiarare l’inefficacia del precetto notificato il…. E del pignoramento eseguito il….. Vittoria nelle spese”.Si offrono in comunicazione mediante deposito in cancelleria i seguenti documenti:……………Si dichiara di voler ricevere eventuali comunicazioni al numero di fax 010389205.Ai fini del versamento del contributo unificato ex D.P.R. 115/2002 si dichiara che il valore della causa è di € tot.Con osservanzaGenova 10.07.06 (Avv. Cicero primo)

AvvertenzeAll’udienza di comparizione davanti al giudice dell’esecuzione fissata sull’opposizione ai sensi del co.2 art. 615 si applicano le norme sul procedimento camerale (art. 185 disp.att.)Vedi art. 618bis.

XXIII. Opposizione agli atti esecutivi

Premessa – Devi procedere diversamente a seconda che tu proponga “prima che sia iniziata l’esecuzione” un’opposizione “relativa alla regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto” oppure che, invece, tu proponga un’opposizione sempre relativa ala regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto ma dopo che sia iniziata l’esecuzione o comunque proponga un’opposizione “relativa alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti esecutivi”: nel primo caso vedi sub 1, nel secondo salta a sub 2.

1-Se proponi opposizione prima dell’inizio dell’esecuzione, devi: A) redigere un atto di citazione (v. c.1 art. 617 e formula A): tante copie quanti sono i notificandi

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(di norma si ridurranno a uno solo: il creditore che ha fatto il precetto) + 1; B) notificare l’atto di citazione; C) costituirti (come in una normale causa: depositi il tuo fascicolo di parte, redigi la nota di iscrizione a ruolo….).

2 – Se proponi opposizione quando l’esecuzione è già iniziata (e dovrai necessariamente farlo, per il disposto del cpv art. 617, se l’opposizione è relativa alla notifica del precetto o del titolo), dovrai fare un ricorso (art.617 c.2 e formula B) e depositarlo nella cancelleria del giudice dell’esecuzione.

Formula A: opposizione prima dell’esecuzioneTribunale di Genova

Atto di opposizione agli atti esecutivi (art.617 c.1 C.P.C.)Bianchi Luigi c.f. SDERTU36P04M, nato il 09.05.47 in Genova e ivi res. in via Garibaldi 6, sempre in Genova elett.te dom. in via Fiasella 4 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto (c.f.......;pec…...; fax…....)

Premesso- che con atto di precetto notificato il 05.04.06 il sig. Giobatta Parodi gli ha intimato di pagare € centomila in forza ti cambiali pretesamente scadute e non pagate;- che tale precetto, però, è da ritenersi nullo in quanto le cambiali non vi risultano trascritte;- tanto premesso

cita- il sig. Giobatta Parodi che nell’atto di precetto ha eletto domicilio in Genova, via Roma 1- a comparire il 16.09.2006 ore di rito- davanti al Giudice istruttore designando ai sensi dell’art.168bis del Tribunale di Genova, locali di sue solite sedute, - con invito a costituirsi almeno 20 giorni prima dell’udienza ai sensi e nelle forme stabilite dall’art.166- con avvertimento che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167;- per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “Voglia il Tribunale dichiarare nullo e privo di effetto l’atto di precetto di cui alla premessa e gli atti che eventualmente ne siano seguiti. Vittoria nelle spese”.Ai fini del versamento del contributo unificato (D.P.R. 115/2002) si dichiara che il valore della causa è di euro tot.Genova 06.06.06 (Avv. Cicero Primo).

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AvvertenzeAll’udienza di comparizione si applicheranno le norme del procedimento camerale (art. 185 disp. att.)Vedi art. 618bis.

Formula B: atto di opposizione agli atti esecutivi (posteriore all’inizio dell’esecuzione)

Tribunale di GenovaRicorso

in opposizione agli atti esecutivi (c.2 art. 617)nella procedura n. 654/2006 – Giudice Dott. Assennato

promossa da Parodi G.B. contro Bianchi Luigi

Ill.mo Giudice dell’esecuzioneBianchi Luigi c. f. GVURET36P06D969M, nato il 06.01.1951 a Genova e ivi res. in via Luccoli 6, e sempre in Genova elett.te dom. in via Fiasella 31 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto (c.f.....; fax.......; pec.......)

Premesso- che con atto di precetto notificato il 03.03.06 il sig. G.B. Parodi gli ha intimato di pagare € centomila;- che successivamente in data 03.04.06 l’ufficiale giudiziario su richiesta dello stesso Parodi e per dar soddisfazione al suo atto di precetto ha pignorato vari beni mobili del ricorrente;- che però la notifica del precetto ha da ritenersi nulla e di nessun effetto perché……….- tanto premesso l’esponente, ai sensi dell’art.617 c.2 C.p.C.

ricorrealla V.S a che, previa fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti ai sensi dell’art. 618 c.p.c., voglia accogliere le seguenti conclusioni: ” Voglia il Giudice ill.mo: nell’immediato sospendere l’esecuzione, e, all’esito, dichiarare nullo e di nessun effetto l’atto di precetto del sig. Parodi G. notificato il 03.03.06. Vinte le spese”.Ai fini del versamento del contributo unificato (D.P.R. 115/2002) si dichiara che il valore della causa è di € tot.Con osservanza Genova……… (Avv. Cicero Primo)

Avvertenze

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Nell’udienza camerale si applicano le norme del procedimento camerale (art. 185 disp.att.)Vedi art. 618 bis

XXIV. Opposizione di terzo

L’opposizione di terzo per sua natura (con essa il terzo avanzando una pretesa di proprietà o di altro diritto reale sui beni pignorati) non può proporsi se non quando l’esecuzione è iniziata: quindi riveste la forma di un ricorso al giudice dell’esecuzione (formula A). Il ricorso va (naturalmente) depositato nella cancelleria delle esecuzioni. Si lascia passare qualche giorno dopo il deposito, e poi si chiedono alla cancelleria le copie autentiche del decreto (con cui il giudice dell’esecuzione fissa l’udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé); si notifica; si deposita (anche all’udienza) l’originale di notifica e la documentazione.

Formula A: atto di opposizione di terzoTribunale di Genova

Ricorso di terzo in opposizione (art. 619)nella procedura RGE n. 765/2006 – Giudice Dott. Mozzanti

promossa da Bianchi Luigi contro Rossi Mauro

Ill.mo Giudice dell’esecuzioneGiobatta Parodi c.f. PARND56P06D969M, nato a Genova il 08.04.64, ivi res. in Pzza Crovetto 3, e sempre in Genova dom.to presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta per mandato a margine (c.f......; pec…....;fax…....)

premesso- che il sig. Bianchi Luigi, per soddisfare un suo credito verso il sig. Rossi Mauro, in data o3.o3.2006 pignorava nell’abitazione di questi tra gli altri mobili: un tavolo stile rococò, tre sedie stile savonarola;- che però tali beni sono di proprietà del ricorrente in quanto da lui acquistati dalla ditta Regina con atto di riservato dominio 1 novembre 2005 registrato il 1 dicembre 2005 nell’Ufficio atti privati di Genova al. n. 1034 vol 10 (Doc. 1),visto l’art. 619 c.p.c.

chiede- di sospendere l’esecuzione ai sensi del cpv. art. 625 c.p.c. ravvisata l’urgenza di provvedere data la prossimità dell’udienza fissata per la vendita (1 aprile 2006);- di fissare l’ udienza ove i prefati Bianchi Luigi elett.te domto in Genova via Fiasella 4 presso lo studio del suo procuratore Avv. Cicero Secondo e Verdi Michele res in

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Genova via Portoria 3, possano sentire accogliere le seguenti conclusioni:-”Voglia l’ill.mo Giudice, competente per valore, contrariis reiectis, dichiarare di esclusiva proprietà dell’esponente i mobili di cui alla premessa e di conseguenza nullo e di nessun effetto il pignoramento degli stessi. Vinte le spese”.Ai fini del pagamento del contributo unificato si dichiara che il valore della presente causa è di € tot

Con osservanzaGenova 15.03.06 (Avv. Cicero Primo)

AvvertenzeIl ricorso con il pedissequo decreto del giudice va notificato, oltre che al creditore procedente, anche al debitore esecutato e, secondo la prevalente opinione, anche ai creditori intervenuti se muniti di titolo esecutivo

XXV. Opposizione in materia di lavoro

L’art. 618bis dispone nel suo primo comma che “per le materie trattate nei capi I e II del titolo IV del libro secondo (art.409 ss) le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi sono disciplinate dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro in quanto applicabili”. Ciò significa che sia l’opposizione all’esecuzione sia quella agli atti esecutivi che tu proporrai prima dell’esecuzione dovranno assumere la forma del ricorso (formula A).Sempre l’art 618 bis nel suo secondo comma recita: “Resta ferma la competenza del giudice dell’esecuzione nei casi previsti dal secondo comma dell’art. 615 e dal secondo comma dell’art. 617 nei limiti dei provvedimenti assunti con ordinanza” (la sottolineatura è nostra). Ciò significa che quando è iniziata l’esecuzione tu dovrai proporre l’opposizione (come previsto per le comuni opposizioni dagli artt. 615 e 617) con ricorso al giudice dell’esecuzione. Sempre come previsto per le comuni opposizioni negli articoli 616 e 617 il giudice dell’esecuzione prenderà all’udienza i provvedimenti ritenuti da lui opportuni; la diversità di rito si avrà quando dopo l’udienza tu dovrai introdurre (o riassumere) la causa: in tal caso il tuo atto dovrà assumere la forma prevista dagli artt. 409 ss.

Formula A: opposizione al precetto(prima dell’inizio dell’esecuzione)

Tribunale di Genova

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Ricorso in opposizione all’esecuzione (art. 618bis)Bianchi Luigi c.f. NGUREDG36P06 D 969M, nato a Genova il 06.09.36, ivi res. in via Luccoli 3, e sempre in Genova via Fiasella 4 elett.te dom. presso e nello studio dell’avv. Cicero I che lo difende e rappresenta come da mandato a margine del presente atto (c.f....... pec…....fax…...)

Premesso- che con Sentenza in data 3.5.2005 del Tribunale di Genova in funzione di Giudice del lavoro l’esponente è stato condannato a pagare tot al sig. Rossi Mauro;- che in base a tale Sentenza il sig. Rossi Mauro ha con atto notificato il 3.6.2006 fatto precetto all’esponente di pagare la somma di € tot;- che però l’esponente ha già pagato le somme indicate in Sentenza…….- tanto premesso

ricorrea Voi ill.mo Tribunale di Genova in funzione del giudice del lavoro ………..……………(continuare come in un comune ricorso introduttivo di una causa davanti al giudice del lavoro)……………………….

XXVI. Decreto ingiuntivo

Di seguito riportiamo le più importanti tappe dell’iter di un ricorso per decreto ingiuntivo. In ultimo (n.11) daremo alcuni cenni sull’atto di opposizione a decreto ingiuntivo.

I – Ci si procura la documentazione da allegare al ricorso come prova del diritto fatto valere.

2- Si redige il ricorso per decreto (v. formula A) e la notula delle spese e prestazioni.

3- Si deposita quanto sub 1 e 2 nella cancelleria civile. Il deposito va fatto naturalmente in via telematica, così come, lo si dice subito, in via telematica dovranno essere acquisite copie ecc. Per il che si rinvia alla “appendice” sul processo telematico.

4- Circa le decisioni che il giudice può prendere si possono fare tre ipotesi:Prima ipotesi: il giudice rigetta la domanda (ad esempio perché ritiene che i fatti dedotti non siano costitutivi del diritto preteso). In un tal caso non resta che seguire la procedura ordinaria.

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Seconda ipotesi: il giudice ha ritenuta insufficientemente provata la domanda. In questa seconda ipotesi tutto non è perduto, si può tornare a richiedere il decreto ingiuntivo integrando la documentazione.Terza ipotesi: il giudice accoglie il ricorso ed emette il decreto ingiuntivo.

5 – Una volta ottenuto il decreto ingiuntivo, gli ulteriori passi da compiere saranno diversi a seconda che esso sia provvisoriamente esecutivo (art. 642) oppure no.Nei seguenti numeri 6, 7, 8 vedremo il da farsi in caso di decreto ingiuntivo privo di autorizzazione all’immediata esecuzione Nel numero 9 esamineremo il caso di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ab initio (art.642); nel numero10 esamineremo il caso di decreto ingiuntivo reso provvisoriamente esecutivo in pendenza dell’opposizione (art.648).

6 – Ottenuto un decreto ingiuntivo privo di autorizzazione alla provvisoria esecuzione, per prima cosa occorre notificarlo (entro il termine perentorio e piuttosto breve stabilito dall’art. 644).A tal fine occorre: 1) creare tante copie autentiche del ricorso e pedissequo decreto quanti sono gli ingiunti +una; 2) apporre ad esse la relata di notifica; 3) portarle dagli ufficiali giudiziari per la notifica. Controllato che la notifica sia giunta a buon fine, non resta che aspettare gli eventi per poi attivarsi come detto nel successivo numero 7. E se la notifica non fosse andata a buon fine e mancasse la possibilità di fare un nuovo tentativo di notifica nei termini di legge? Il decreto ingiuntivo sarebbe diventato inefficace (art. 644) e non resterebbe che rinnovare il ricorso: quindi attenzione a ben individuare il luogo di residenza o domicilio dell’ingiunto e più in genere il luogo in cui la notifica può giungere a buon fine, prima di proporre un ricorso!

7 – Notificato il decreto ingiuntivo si può realizzare una delle due seguenti ipotesi: 1) l’ingiunto non ha fatta opposizione al decreto (art. 645) o, pur avendo fatta opposizione, non si è costituito in giudizio (art. 647); 2) l’ingiunto ha fatta opposizione e si é costituito. Vedremo nel numero seguente come ci si comporta in ciascuna di queste due ipotesi indicate.

8 – Prima ipotesi: l’ingiunto non fa opposizione o non si costituisce nei termini – In tale caso noi facciamo istanza al giudice a che renda esecutivo il suo decreto ai sensi dell’art.647., Le cose, poi, vanno così: il cancelliere prende nota che abbiamo presentata l’istanza; controlla che nessuna opposizione sia stata effettivamente fatta (ed è questo un controllo facile perché – vedi c.1 art.645 – se un’opposizione

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fosse stata proposta, l’ufficiale giudiziario ne avrebbe dovuto dare a lui avviso “perché ne prendesse nota sull’originale del decreto”); controllato che nessuna opposizione è stata fatta, il cancelliere porta il fascicolo al giudice a che prenda le decisioni di cui all’art 647. Non è detto che il giudice ci dia quel che gli abbiamo chiesto (cioè la esecutorietà): potrebbe benissimo disporre la rinnovazione della notifica (v. melius l’art. 647). Mettiamo però che le cose ci siano andate bene: il giudice ha disposto la esecutorietà (con un decreto che sarà apposto, insieme alla c.d. “formula” di cui parla l’art. 475, in calce all’originale del decreto ingiuntivo – originale rimasto naturalmente depositato in cancelleria mentre noi provvedevamo alla sua notifica in base alle sue copie autentiche). In tale caso dobbiamo recarci all’Agenzia delle Entrate (ufficio registro) per pagare il dovuto tributo al Fisco.Pagato il tributo dovuto, saremo pronti per iniziare l’esecuzione con la notifica del solo precetto. Ma la notifica del titolo esecutivo non la dovremo effettuare? No, ma dovremo stare attenti a “far menzione nel precetto del provvedimento che ha disposto la esecutorietà e dell’apposizione della formula” (oltre che naturalmente dell’emissione del decreto) – vedi melius l’art- 654. Ma l’apposizione della formula non dovremo chiederla noi? No, come anzidetto, essa è apposta di sua iniziativa dal giudice nel mentre concede la esecutorietà.Seconda ipotesi: l’ingiunto ha fatto opposizione, si è costituito e il giudice non ha concessa la provvisoria esecuzione (o perché non l’abbiamo chiesta o perché non ha ritenute fondate le ragioni per cui l’abbiamo chiesta). In tale ipotesi la causa prosegue così come se noi l’avessimo iniziata con un atto di citazione fino alla sentenza. Questa può accogliere l’opposizione oppure rigettarla totalmente o parzialmente. Nel caso si sia realizzata una di queste due ultime ipotesi come si eseguirà la sentenza?Sia nel caso di rigetto totale sia nel caso di rigetto parziale dell’opposizione, il primo passo verso la esecuzione della sentenza sarà recarsi all’Agenzia delle Entrate (ufficio registro atti giudiziari) per pagarvi il tributo dovuto al Fisco. A questo punto però il da farsi per ottenere l’esecuzione della sentenza sarà diverso a seconda che essa sia di rigetto totale o parziale dell’opposizione.Nel primo caso (rigetto totale) bisognerà chiedere la apposizione della formula; fatto questo, non occorrerà notificare il titolo esecutivo (alias, il decreto ingiuntivo), ma basterà, per il disposto del c.2 art. 654 già citato, notificare il precetto (in cui però dovrà farsi menzione dell’apposizione della formula).Nel secondo caso (sentenza di rigetto parziale), occorrendo notificare il titolo esecutivo, occorrerà acquisire le copie necessarie ad hoc (copie autentiche e munite della “formula”).

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9 - Poniamo che il giudice ci abbia concesso un decreto provvisoriamente esecutivo (e qui ci limitiamo ad esaminare il caso che la provvisoria esecuzione ci sia stata concessa ai sensi dell’art. 642, non dell’art. 648).Naturalmente anche in tal caso noi dovremo procedere alla notifica del decreto ingiuntivo (e sempre nei termini stretti dell’articolo 644). Però per ottenere le copie autentiche necessarie ad adempiere tale incombente, prima dovremo pagare il tributo dovuto al Fisco.Solo dopo aver fatto questo potremo ottenere le copie autentiche necessarie per la notifica del decreto.Però, dato che noi abbiamo ottenuta la provvisoria esecuzione, il decreto lo vogliamo eseguire e subito: come fare?Semplicemente dovremo chiedere la apposizione della “formula” (art. 475).Adempiuto tale incombente potremo iniziare l’esecuzione, senza che occorra la notifica del titolo esecutivo ma bastando la notifica del precetto (in cui però dovremo far menzione “del provvedimento che ha disposto la esecutorietà e dell’apposizione della formula “– v. co.2 art. 654).

10--L’ingiunto si è opposto e si è costituito regolarmente in termini, ma noi abbiamo fatta richiesta di esecuzione provvisoria e il giudice ce l’ha concessa (totale o parziale – v. melius l’art. 648).In tal caso noi dovremo recarci all’Agenzia delle Entrate per pagare il tributo dovuto al Fisco.Fatto questo, dovremo chiedere l’apposizione della “formula”. Ottenutala, saremo pronti per iniziare la procedura esecutiva. Non occorre fare copie autentiche nè del decreto che concede la provvisoria esecuzione e neanche del titolo esecutivo (alias, del decreto ingiuntivo): per iniziare l’esecuzione basterà la notifica del precetto (in cui però “dovrà farsi menzione del provvedimento che ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula”- v. art.654).

11 L’opposizione a decreto ingiuntivo si propone sostanzialmente come un qualsiasi atto di citazione. Redatto l’atto di opposizione (formula B), lo si notifica (qui fare attenzione, la notifica va fatta “nei luoghi di cui all’art. 638”), ci si costituisce nei modi e nei termini di cui all’art. 165. Questo per quel che riguarda l’opponente, e per quel che riguarda il ricorrente opposto? Anche questi dovrà – vedi art. 654 - costituirsi (nei termini e nei modi di cui all’art. 166); e se non lo farà dovrà essere dichiarato contumace. Prima di costituirsi, il ricorrente – opposto dovrà avere cura di recuperare il fascicolo contenente la documentazione allegata al ricorso.

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Formula A: ricorso per decreto ingiuntivo

Tribunale civile di RomaRicorso per decreto ingiuntivo

Ill.mo Tribunale di RomaRossi Mario c.f. SFVGY35P0669M nato a Roma il 7.7.56, ivi res. in Torre Pignara 4, e sempre in Roma elett. dom.to in via Giulio Cesare 48 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per delega a margine e che si dichiara titolare di: c.f.......; fax......; pec...............

Premesso-che il ricorrente il 14 febbraio 2005 ha transatto con la Secura S.p.A. l’incidente avvenuto il 14 gennaio 2004 in Roma…………………(Doc. 1)- che la somma convenuta in transazione come risarcimento é di euro.........(Doc. 2);- che nonostante numerosi solleciti tale somma non é stata pagata né in tutto né in parte;tutto ciò premesso

chiedeche l’ill.mo Tribunale, ritenuta la propria competenza, nonché la liquidità ed esigibilità del credito, voglia ingiungere alla Secura S.p.A., con sede in Roma, via Nomentana 10, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, di pagare al ricorrente Rossi Mario, per la causale di cui in premessa, la predetta somma di euro settemila, con gli interessi legali dal 14 febbraio 2005 al saldo e le spese e competenze della presente procedura e occorrende.Il valore della controversia ai fini del contributo unificato deve considerarsi di euro……Si allega:Docente: 1: atto di transazione in data 14 febbraio 2005 con sottoscrizione della Secura S.p.A.Docente: 2: racc. in data 18.06.2005 indirizzata alla Secura S.p.A.………………………………………………………………………………………………Roma 23.07.2005 (Avv. Cicero Primo)

Avvertenza- Non basta allegare la documentazione: bisogna indicarla chiaramente nel ricorso (di modo che solo leggendo questo l’ingiunto possa rendersi conto della sua fondatezza e della opportunità di fare opposizione al decreto pedissequo).

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Formula B: atto di opposizione

Atto di opposizione a decreto ingiuntivoLa Secura S.p.A. c. f. SGR68NRA, in persona del suo legale rappresentante dott. Bianchi Amedeo, con sede in Roma via Nomentana 13 ed ivi elett.te dom. in via Caio Mario 31 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Secondo che la difende e rappresenta per mandato a margine e che si dichiara titolare di: c.f.....; faz......; pec.......….........

Premesso- che il Tribunale di Roma, su ricorso del sig. Rossi Mario, con decreto 4 aprile 2005, notificato il 22 aprile 2005, ingiungeva all’opponente Secura S.p.A. di pagare al ricorrente Rossi Mario la somma di euro settemila;- che con il presente atto si contesta come captatoria e falsa la narrativa contenuta nel ricorso facendo in particolare presente:- che contrasta al vero l’affermata stipula…………………………………….- che comunque……………………………………………………………………..- tutto ciò premesso, l’opponente come sopra rappresentato

cita- Rossi Mario res in Roma ed ivi elett.te dom.to in via Trieste 50 presso e nello studio del suo difensore proc. Avv. Cicero II- a comparire all’udienza del 12.11.2005 ore di rito- davanti al Tribunale di Roma, sezione e Giudice designandi nei suoi soliti locali- con invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166- con avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167.Ai fini del contributo unificato si indica in euro…il valore della presente causaSi produce:1)Copia notificata del decreto ingiuntivo2) ricevuta di pagamento...........……………………………………………….

Roma 26.07.05 (Avv. Cicero Secondo)

Avvertenze –La notifica va fatta nei luoghi di cui all’art. 638 (v. art.645); pertanto “La opposizione è notificata al procuratore del ricorrente e, se la costituzione personale era consentita, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dal ricorrente nel comune ove ha sede il giudice dell’ingiunzione”- (Andrioli, Commentario, cit., vol IV,

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sub. Art. 645)

XXVII. Procedura per convalida di intimazione di licenza o sfratto -Esecuzione di uno sfratto

Il locatore può intimare al conduttore: una “licenza” in vista della scadenza, non ancora maturata, del contratto di locazione (c.1 art. 657); uno sfratto, in considerazione della scadenza già maturata del contratto (c.2 art. 657); uno sfratto, in considerazione della morosità del conduttore. In tutte le tre ipotesi il Codice gli dà la possibilità di ottenere la convalida della intimazione con una procedura particolarmente snella e rapida.Di seguito indicheremo l’iter di tale procedura. Sotto il numero 6 daremo alcuni cenni sul modo con cui si ottiene l’esecuzione coattiva di un provvedimento di rilascio.

1 -Si redige l’atto di citazione per convalida (nella formula A si fa l’esempio di una citazione per convalida di licenza; nella formula B si fa l’esempio di una citazione per convalida di sfratto): tante copie quanti sono gli intimati + 1 (servirà da originale di notifica) + 1 (per il fascicolo d’ufficio) + (in caso di sfratto per morosità con richiesta di decreto ingiuntivo del pagamento dei pagamenti morosi) +1 (servirà ad accogliere il decreto ingiuntivo – vedi l’art. 664 co.2).

2- Si predispone la relata di notifica alle copie dell’atto di citazione destinate alla notifica (attenzione al luogo da indicare per questa – v. co.1 art.660!), si porta a notificare dagli ufficiali giudiziari, dopo alcuni giorni si ritorna (dagli ufficiali giudiziari) per ritirare l’originale notificato. Nel caso si proceda, non solo per la convalida dell’intimazione, ma anche per ottenere l’ingiunzione al pagamento dei canoni, nel mentre si ritira l’originale di notifica si farà apporre dall’ufficiale giudiziario su una copia dell’atto di citazione – quella stessa copia che, non abbiamo utilizzata per la notifica, ma abbiamo destinata ad accogliere ex art. 664 il decreto ingiuntivo – la dichiarazione di conformità all’originale notificato.

3- L’iscrizione a ruolo si fa come in un normale processo di cognizione (e quindi anche va pagato il contributo unificato). Il co. 5 dell’art. 660 permette a entrambe le parti (intimato e intimante) di costituirsi anche all’udienza. Ma ciò non è consigliabile. Infatti non è da credere che ci si possa presentare davanti al giudice con l’atto di intimazione in mano e dire “Sono Pinco Pallino, ho fatto una citazione

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per convalida e intendo costituirmi”: no, bisogna (prima dell’udienza!) fare la iscrizione a ruolo e questa può presentare complicazioni che è meglio risolvere con calma e senza la paura di giungere nell’aula di udienza quando già il giudice se n’é andato via.

4 –Dà un’idea di come si svolga l’udienza di convalida la formula C.Attenzione, non dimenticarsi: - se la notifica dell’atto di intimazione è avvenuta tramite posta, di portare all’udienza l’avviso di ricevimento: può servire a provare la regolarità della notifica (c.1 art.663); - se si richiede l’ingiunzione al pagamento dei canoni, di portare all’udienza la copia dell’atto di citazione su cui l’ufficiale giudiziario ha apposto (come spiegato nel precedente numero 2) la dichiarazione di conformità.Non occorre invece far venire all’udienza l’intimante: infatti l’espressione (equivoca) dell’art. 662 va interpretata estensivamente e precisamente nel senso che basti la comparizione all’udienza del procuratore del locatore (forse che questi non è legittimato - dal c.3 art. 663 - ad attestare la persistenza della morosità?! e allora se può questo può anche ecc.).Vedere le altre “avvertenze” in calce alla formula C.

5 – Ottenuto il titolo esecutivo, la procedura per il rilascio coattivo segue la strada e gli schemi di tutte le altre procedure esecutive per rilascio (artt. 605 e segg.).: per cominciare occorre notificare titolo esecutivo e precetto.Come ci si procura il titolo esecutivo o meglio le sue copie autentiche necessarie per la notifica? In tre modi diversi, a seconda delle tre seguenti ipotesi: I- il titolo consiste in un’ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell’art. 663 (cioè senza che l’intimato sia comparso all’udienza o comparendo si sia opposto); II- il titolo consiste in un’ordinanza di rilascio emessa nonostante l’opposizione dell’intimato (artt. 665, 666); III- il titolo consiste nella sentenza (che definisce la causa per la convalida).Ipotesi sub I (la convalida è avvenuta ai sensi dell’art. 663). In tal caso, lasciato trascorrere un modico intervallo di tempo (diciamo, tre o quattro giorni), dovremo chiedere alla cancelleria tante copie del titolo esecutivo (idest, dell’ordinanza posta in calce all’atto di citazione) quanti sono gli intimati e dovremo in calce a tali copie (senza preoccuparci di farle autenticare) predisporre la relata di notifica. Quindi porteremo l’originale (ben s’intende l’originale del titolo esecutivo) e le copie, dall’ufficiale giudiziario, che dichiarerà la conformità di queste a quello e provvederà (naturalmente!) alla notifica.Ipotesi sub II (la convalida è avvenuta ai sensi degli artt. 665, 666). In tal caso, chiederemo alla cancelleria del giudice presso cui pende la causa tante copie

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dell’ordinanza di rilascio quanti sono gli intimati +1 (copie autentiche e da cui risulta la “formula esecutiva”). Ottenute le copie autentiche, predisporremo in calce ad esse la relata di notifica e le porteremo dagli ufficiali giudiziari.Ipotesi sub III (il titolo esecutivo è una sentenza). In tal caso chiederemo alla cancelleria tante copie della sentenza quanti sono gli intimati + 1. Naturalmente dovremo, ottenute le copie, predisporre in calce ad esse la relata di notifica ecc.ecc.Notificato il titolo esecutivo, lasciato trascorrere congruo tempo, notificheremo il precetto.Ma, domanderà lo studioso, non si può notificare titolo esecutivo e atto di precetto insieme? certo che si può, ma nella pratica si preferisce non farlo perché la notifica del precetto andrebbe eseguita in tempi prossimi alla data del rilascio (infatti l’atto di precetto perde efficacia se l’esecuzione non inizia entro 90 giorni dalla sua notifica – art. 481); ora invece è opportuno cominciare a porre il conduttore sull’avviso (appunto notificandogli il titolo!) del suo obbligo di rilasciare l’immobile molto più a monte nel tempo.

Formula A: Licenza per finita locazione e contestuale citazione per convalida

Tribunale civile di GenovaIntimazione di licenza per finita locazione

e contestuale citazione per convalidaBianchi Mario cf. SNLGFU 46P06M, nato il 6.11.46 a Genova, res. in via Roma 4, e sempre in Genova elett. dom. in via Fieschi 6 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo, che lo rappresenta e difende per mandato a margine, e che é titolare di: c.f.....;fax......; pec..........

Premesso:- che l’esponente ha dato in locazione al sig. Luigi Rossi l’appartamento di sua proprietà sito in Genova Via Campetto 6 con contratto del 1 luglio 1988 (Doc. 1);- che alla prima scadenza contrattuale del 30 giugno 1992 la locazione si è tacitamente rinnovata sino al 30 giugno 1996;- che l’esponente ha comunicato al conduttore disdetta in data 15 dicembre 1995 (Doc. 2), avendo necessità di disporre dell’immobile come abitazione del figlio;ai fini dell’art.657 e segg.

Intimaal sig. Luigi Rossi licenza per il 30 giugno 1996 o comunque per la più prossima data di scadenza del contratto locativo meglio vista, diffidandolo a riconsegnargli per tale data l’immobile locato libero e vuoto di persone e cose, e nel contempo

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cita

- il sig. Rossi Luigi, re. in Genova via Ausonia 3/5- a comparire davanti al Tribunale di Genova (Sezione e Giudici designandi) nei locali di sue solite sedute-per l’udienza del 15 aprile 1996 ore di rito- con avvertimento che se non compare o comparendo non si oppone, il Tribunale convaliderà la presente licenza ai sensi dell’art. 663 c.p.c.- per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale ill.mo, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, convalidare l’intimata licenza per finita locazione per la scadenza del 30 giugno 1996 o comunque per la più prossima scadenza meglio vista, fissando la data del rilascio ex art. 56 L.392/1978 nel più breve termine. Spese a carico della convenuta se resistente”.Si dichiara ai fini del contributo unificato che il valore della causa è di ….Si producono:1) contratto di locazione; 2) disdetta.Genova 12 marzo 1996 (Avv. Cicero Primo)

Avvertenze.- Il locatore ha sempre l’onere di dichiarare “la propria residenza o eleggere domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito”(c. 2 art. 660) poco importando che il suo procuratore possa rappresentarlo pur non avendo domicilio in tale comune.- Non occorre inserire l’avvertimento di cui al n.7 art. 163 (anzi sarebbe sbagliato l’inserirlo, dato che il convenuto in una citazione per convalida non è soggetto alle decadenze di cui agli articoli 38 e 167). Però va inserito l’avvertimento di cui al c.3 art. 660!

Formula B: intimazione di sfratto per morositàcon citazione per convalida

Tribunale civile di GenovaIntimazione di sfratto per morosità

e citazione per convalidaBianchi Luigi c.f. SNL046P09D657M, nato a Genova il 09.10.46, ivi res. in via Garibaldi 4, sempre in Genova elett.te dom. in via Fiasella 3 presso e nello studio dell’Avv. Cicero Primo che lo difende per mandato a margine e che può ricevere eventuali comunicazioni della cancelleria al n. 0107654329 di fax e all’indirizzo pec…...............

Premesso:

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- che l’esponente ha dato in locazione al sig. Rossi Luigi l’appartamento di sua proprietà sito in Genova via Ausonia 3/5;- che il relativo contratto ha data 1 aprile 1992 e il canone vi è fissato in Lit. 200mila mensili (Doc. 1);- che il sig. Rossi non ha pagato senza nessun giusto motivo né il canone relativo alla mensilità di maggio né quelli successivi;

intimaal sig. Rossi Luigi lo sfratto per morosità, diffidandolo a lasciare immediatamente l’immobile, libero e vuoto di persone e cose, e nel contempo

cita- il sig. Rossi Luigi res. In Genova via Ausonia 3/5- a comparire davanti al Tribunale di Genova (Sezione e Giudice designandi) nei locali di sue solite sedute- all’udienza del 15 aprile 1996 ore di rito- con avvertimento che se non compare o comparendo non fa opposizione il Tribunale convaliderà il presente sfratto ai sensi dell’art. 663 c.p.c.- per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “Voglia il Tribunale ill.mo: A-emettere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per i canoni scaduti e

non pagati a partire da quello relativo alla mensilità di maggio a quelli successivi fino all’udienza (il cui ammontare si indica il L. tot)e per quelli ancora successivi a scadere fino all’esecuzione dello sfratto, tutti aumentati per gli interessi di legge, e altresì per le spese e le competenze della

presente procedura; B- convalidare lo sfratto come sopra intimato e fissare la data di rilascio a

brevissimo termine ex art. 56 L. 392/78.”Si producono: contratto di locazione; lettera di sollecito.Ai fini del contributo unificato si indica il valore della causa in tot.Genova………. (Avv. Cicero Primo)

Avvertenze-Vedi quelle apposte alla precedente formula.

Formula C: verbale d’udienza

Tribunale civile di GenovaVerbale d’udienza nella causa per convalida

di intimazione per finita locazione Intimante - Giobatta Parodi - proc. Avv. Cicero Primo

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Intimato - Rossi Luigi xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

L’anno 2006 il giorno 15 aprile alle ore 9 davanti al Giudice Dott. Malfatti è comparso per l’attore il proc. Cicero Primo, il quale insiste come in atto di citazione.Per il convenuto nessuno è comparso.

Il Giudicedato atto di quanto sopra, vista la regolarità della notifica della citazione, visti i documenti allegati, convalida la licenza per finita locazione, dichiarando cessata la locazione il 30 giugno 2007 e fissando la data del rilascio coattivo non prima del 30 settembre 2007.Manda alla cancelleria di apporre la formula esecutiva in calce all’originale dell’atto di citazione.(Il Cancelliere) (Il Giudice)

Avvertenze-Quello sopra esemplificato è il verbale di un’udienza di convalida di una intimazione per finita locazione (c.1 art. 657) in cui non compare l’intimato. In un verbale di udienza (non di convalida per finita locazione, ma) di convalida di sfratto per morosità, ci si dovrà ricordare di far risultare l’attestazione (del locatore) che la morosità persiste (v.c.3 art. 663). Visitando il Doc. 45 (nella parte terza del libro) lo studioso potrà vedere l’ordinanza con cui il giudice dispone per la convalida e l’apposizione della “formula” (ben s’intende la “formula” di cui all’art. 475) Tale ordinanza di solito viene redatta nel contesto del verbale d’udienza. In tal caso il cancelliere, una volta che questa é terminata, con uno stampiglio appone l’ordinanza in calce all’atto di intimazione (che nel costituirci abbiamo dovuto depositare) e passa l’atto al giudice perché lo sottoscriva. L’atto di intimazione con la pedissequa ordinanza resterà depositato in cancelleria fino a che noi non lo ritireremo per procedere a quella esecuzione di cui costituirà il titolo. Ma perché non ritenere titolo esecutivo l’ordinanza contenuta nel verbale, perché ripeterla nell’atto di intimazione? Perché l’ordinanza a verbale potrebbe risultare priva di quella chiarezza che invece il sovrastante ricorso le può dare.In caso di sfratto per morosità, nel verbale viene riportato, oltre che l’ordinanza di convalida, anche il decreto che ingiunge il pagamento dei canoni. Anche tale decreto viene riprodotto in un altro atto, che non è, però, l’originale del ricorso (in cui come abbiamo ora visto è riportata l’ordinanza di convalida), ma quella copia del ricorso di cui l’ufficiale giudiziario ebbe a dichiarare la conformità e che noi avremo avuto cura di portare all’udienza).Fino ad adesso ci siamo messi nel caso che l’intimato non compaia o comparendo non si opponga (art. 663). E se invece l’intimato compare e comparendo si

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oppone? Si applicano gli artt. 665 e seguenti.Per l’art. 665, se l’intimato compare e oppone eccezioni non fondate su prova scritta, il giudice, se non sussistono gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto. Questo naturalmente solo su richiesta dell’intimante, in quanto questi potrebbe preferire non inoltrarsi in una procedura esecutiva che, nel caso risultasse infondata la sua domanda di convalida, lo esporrebbe a una condanna al risarcimento. Va rilevato che questa volta l’ordinanza non verrà riportata in calce al ricorso: sarà proprio essa stessa, così come risulta dal verbale, a costituire il titolo esecutivo.In ogni caso, sia che il giudice pronunci ordinanza di rilascio sia che non la pronunci, il processo prosegue secondo il rito del lavoro (artt.409 e ss.).Nel caso di sfratto per morosità l’eccezione mossa dall’intimato può riguardare (anzi, probabilmente riguarderà) proprio i canoni che si assumono da lui non pagati. E possono farsi due ipotesi. Prima ipotesi: l’intimato contesta in toto la sua morosità (“io ho pagato tutto quello che dovevo”). In tal caso si rientra nell’art.665. Seconda ipotesi: l’intimato sostiene che non tutta la somma pretesa dall’intimante è dovuta, ma solo una sua parte (che si dichiara disposto a pagare). In questa seconda ipotesi – dal momento che per una norma speciale al contratto di locazione (l’art. 55 L. 392/78) il conduttore sfrattato per morosità che paga il dovuto prima della convalida la impedisce – può risultare iniquo convalidare lo sfratto quando il conduttore non è, sì, in grado di portare prova scritta che non deve tutto quel che da lui si pretende, ma dimostra la sua buona fede pagando una parte (non esigua) dei canoni pretesi: per questo il legislatore dà al giudice il potere (non il dovere) di concedere all’intimato un termine “non superiore a venti giorni” per pagare le somme non contestate: se l’intimato non paga, l’ordinanza viene convalidata, se paga (beninteso, le somme non contestate) l’ordinanza non viene convalidata. In entrambi i casi naturalmente il processo prosegue col rito speciale.

XXVIII. Sequestro

Premessa: Il sequestro è contemplato negli artt. 670 ss. C.P.C. ma è sostanzialmente disciplinato dagli artt. 669bis e ss. - articoli che riguardano i provvedimenti cautelari: e infatti il sequestro viene considerato una specie del più ampio genus costituito da questi provvedimenti.Il sequestro può essere chiesto anteriormente o in corso di causa: nei numeri 1 - 8 studieremo come si chiede un sequestro anteriormente all’inizio della causa; nel numero 9, come si chiede un sequestro in corso di causa.

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1 – Per ottenere un sequestro anteriormente all’inizio della causa, il primo passo è naturalmente quello di redigere il relativo ricorso (art. 669bis - formula A).

2 -Si iscrive a ruolo il ricorso, come una qualsiasi altra causa.Iscritto il ricorso é incombente del cancelliere farlo pervenire al più presto al presidente del tribunale a che lo assegni a un giudice (oppure lo trattenga presso di sé) per la decisione (art.669 ter co.4).

3 – Depositato il ricorso si possono fare tre ipotesi:I-Il giudice si dichiara incompetente o rigetta il ricorso: nel primo caso si ripropone il ricorso al giudice indicato come competente, nel secondo caso, non resta che…..portar pazienza e ritentare “quando si verifichino mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto” (v. art.669 septies co.1).II) Il giudice ritiene opportuno sentire le parti prima di provvedere (art. 669 sexies co.1); per il da farsi nell’ipotesi, vedi sub numero 4.III) Il giudice avendo ritenuto che “la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimento” concede il sequestro inaudita altera parte (art. 669 sexies comma 2); per tale ipotesi vedi sub numero 5 e segg.

4 – Il giudice ha ritenuto opportuno sentire (entrambe) le parti. Tocca al ricorrente farsi parte diligente per notificare alla controparte il ricorso e il decreto di convocazione (decreto che risulterà steso in calce al ricorso).A tal fine la solita trafila: si chiedono alla cancelleria le necessarie copie autentiche del ricorso con pedissequo decreto. Su tali copie si appone la relata di notifica, si notificano.All’udienza, fissata dal giudice, si redige verbale come in una normale udienza istruttoria (nel caso – da noi mai visto – che fossero convocati dei testi, questi deporrebbero senza “assumere l’impegno”).Se si ha ragione (o si è fortunati) il giudice (spesso nel contesto dello stesso verbale) dispone il sequestro e ci fissa un termine (perentorio!) per l’inizio del giudizio di merito (v.art. 669 octies co.1 e la formula C).A questo punto gli incombenti che ci vengono a gravare sono dunque due: esecuzione del sequestro, inizio della causa di merito. Per assolvere il primo incombente (esecuzione del sequestro) ci procureremo una copia autentica (una, si ripete: non ne occorrono di più) del ricorso e del provvedimento di sequestro.Dopo aver avvertito che tale copia (per servire come titolo esecutivo) basta che sia autenticata, senza che occorra munirla della formula esecutiva, diamo

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appuntamento allo studioso per proseguire il discorso (sull’esecuzione del sequestro) al n.6. Per assolvere il secondo incombente (inizio della causa) occorrerà naturalmente redigere l’atto di citazione e notificarlo (tenendo presente che nel termine perentorio basta che cada la notifica e non la iscrizione a ruolo e tanto meno la prima udienza).

5 – Prendiamo ora in esame il caso che il giudice abbia concesso (come esemplificato nella formula B) il sequestro inaudita altera parte (in pratica le cose saranno andate così: il giudice a margine del ricorso, avrà messo un appunto: “Si concede”, e il cancelliere, prima, avrà redatto il decreto, e, poi, glielo avrà presentato per la firma).Meglio di così le cose non potevano andare: non resta che provvedere all’esecuzione del sequestro e alla notifica del ricorso e del decreto (quel decreto, previsto dal co. 2 art. 669sexies, con cui il giudice concede il sequestro e nello stesso tempo – cosa che qui particolarmente interessa - convoca le parti: sì, perché alla controparte, non sentita prima, ora bisogna ben permettere di far valere le sue ragioni!). Siccome per iniziare l’esecuzione del sequestro dobbiamo procurarci copia del provvedimento che lo dispone e siccome per notificare il provvedimento di convocazione dobbiamo di questo procurarci copia e siccome entrambi i provvedimenti sono espressi nel contesto dello stesso documento, il primo passo da compiere (per l’esecuzione del sequestro e per la convocazione delle parti) è unico: chiedere alla cancelleria tante copie autentiche del ricorso e pedissequo decreto quante sono le parti convocande + una (come originale di notifica) + una (che ci servirà – non per la notificazione del provvedimento di convocazione, ma – come titolo esecutivo del sequestro ottenuto; ma, si badi, non occorre munire tale copia, a che serva come titolo esecutivo, della c.d “formula”).A questo punto le strade si divaricano: per l’esecuzione del sequestro ci recheremo (portando una delle copie autentiche procuratici come or ora detto) dagli ufficiali giudiziari addetti alle esecuzioni; per la convocazione (davanti al giudice) ci recheremo (portando le altre copie in calce alle quali avremo predisposta la relata di notifica) dagli ufficiali giudiziari addetti alle notifiche.Per proseguire il discorso sull’esecuzione del sequestro diamo appuntamento allo studioso al numero 6.Vediamo ora quel che può succedere all’udienza. Ce lo dice l’art. 669sexies comma 2: all’udienza “il giudice, con ordinanza, conferma modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto”.Se revoca….allora punto e basta: la procedura lì finisce (ingloriosamente per noi).

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Se conferma o modifica, il giudice ci fissa un termine perentorio entro cui iniziare la causa. Dovremo quindi sobbarcarci all’incombente di redigere un atto di citazione e di notificarlo entro il termine così stabilito.

6 – Procuratoci il titolo, tutto è pronto per l’esecuzione del sequestro (dato che non va neanche detto che questa non va preceduta dalla notifica di un precetto).L’esecuzione, se si tratta di sequestro giudiziario, dovrà incanalarsi negli schemi degli artt. 605 e segg. (v. art. 677): consegna o rilascio, ovviamente, della res controversa o del mezzo di prova (v. art. 670).Se, invece, si tratta di sequestro conservativo, esso potrà cadere a scelta e discrezione del sequestrante (salvo il caso che l’A.G. vincoli l’esecuzione ad un dato bene o ad un dato tipo di beni): sui mobili, sui crediti, sugli immobili (del debitore).Noi qui – dopo aver attirata l’attenzione dello studioso sulle cause di perenzione di cui all’ art. 669-novies co.1 e co 3 e all’art. 675 – ci limiteremo ad esaminare nel seguente numero 7 il sequestro di beni mobili presso il debitore e, nel seguente numero 8, il sequestro di crediti.

7- Il ricorrente (che vuole o deve eseguire il sequestro su beni mobili) non ha che da consegnare all’ufficiale giudiziario il titolo esecutivo. Tutto il resto è compito di questi: è questi che deve studiare: il modo di riuscire a mettere le mani sulle cose sequestrande prima che il debitore le occulti, il modo di superare le possibili resistenze e violenze, ecc. ecc.Tutto ciò in teoria. In pratica, come già abbiamo spiegato parlando delle procedure esecutive, l’intervento ed il controllo dell’avvocato sarà più che opportuno.Operato il sequestro, l’ufficiale giudiziario ne redige verbale e fa pervenire verbale e titolo esecutivo alla cancelleria del giudice che ha disposto il sequestro (prende una busta, ci mette l’uno e l’altro atto, indirizza e spedisce per R.R.).Verbale e titolo esecutivo vengono a formare il c.d. fascicolo dell’esecuzione (del sequestro). A questo punto il sequestrante non ha che da concentrarsi nella causa di merito e cercare di vincerla. Se la vince e ottiene la condanna del sequestrato “il sequestro conservativo si converte in pignoramento” (v. art. 686). E se non la ottiene?A ciò provvede l’art. 669 novies comma 3.

8 – Il ricorrente che vuole o deve eseguire il sequestro di un credito “deve citare il terzo a comparire davanti al tribunale del luogo di residenza del terzo stesso per rendere la dichiarazione di cui all’art. 547” - così recita l’art. 678. Significa ciò che in difformità dell’art 543 il legislatore non pretende la citazione anche del debitore? La

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questione è discussa ma noi propendiamo per la tesi negativa (idest, il legislatore pretende anche la citazione del debitore). Peraltro l’atto di sequestro va redatto sulla falsariga dell’atto di pignoramento presso terzi e pertanto alla relativa formula rinviamo lo studioso.In conformità alla regola generale stabilita dall’art. 686 per ogni sequestro conservativo, anche quello sui crediti si converte in pignoramento al momento in cui viene pronunciata sentenza di condanna esecutiva.9 – Diamo ora alcuni cenni sul sequestro in corso di causa. Va naturalmente chiesto al giudice della causa stessa (v. melius l’art. 669 quater). Nell’ipotesi più semplice – che è quella in cui sia già designato il giudice istruttore (in una causa né sospesa né interrotta) – l’istanza potrà essere (almeno a nostro parere e nonostante la lettera dell’art. 669bis) formulata con dichiarazione orale messa a verbale nel corso di un’udienza. Nelle altre ipotesi l’istanza dovrà necessariamente assumere la forma del ricorso scritto (ed essere depositata in cancelleria).In ogni caso il giudice potrà pronunciarsi sia dopo aver sentite le parti ai sensi del 1° comma art. 669-sexies sia inaudita altera parte ai sensi del secondo comma dello stesso articolo 669-sexies. Nel primo caso, lo studioso seguirà le istruzioni di cui al n. 4 ss, nel secondo, quelle di cui al n.5ss.

Formula A Ricorso per sequestro

Tribunale di ArezzoRicorso per sequestro conservativo

Ill.mo TribunaleRossi Mario, c.f. RFURGU 46P06D969 M nato il 03.10.46 ad Arezzo, ivi residente in Via Giotto 6 e sempre in Arezzo domiciliato in via Crispi 7 presso lo Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per procura a margine del presente atto (c.f........;fax…...; pec….............)

Premesso - ai fini di indicare il rapporto di strumentalità tra la cautela richiesta e il diritto che si va a far valere e il fumus boni iuris,- che il ricorrente Rossi Mario intende adire il Tribunale di Arezzo per sentire condannare la Dar Metalli S.p.A. con sede in Arezzo a pagargli centomila euro per i seguenti motivi:- il ricorrente Rossi Mario ha stipulato il 24.01.2005, con la Dar Metalli S.p.A. un contratto di compravendita per l’acquisto di laminati d’acciaio (Doc. 1);- le lamine d’acciaio così acquistate dal ricorrente si sono rivelate affette da vizi che ne impediscono la lavorazione (così come risulta dalle perizie allegate – Doc. 2,

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Doc. 3);- i fatti come sopra esposti danno al ricorrente diritto, in base agli artt. 1490, 1492 Cod.Civ., di ottenere la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo convenuto in € centomila;- i documenti allegati e le prove testimoniali che all’occorrenza si è in grado di produrre danno di tali fatti la prova sicura.

Premesso ancora- ai fini del periculum in mora, - che l’unico bene, con cui la debitrice società può rispondere dei suoi obblighi, è la polizza di carico datata 03.01.2004 in oggi depositata presso l’agente di spedizioni Bianchi Andrea con sede in Genova, via Rimassa 6;- che è evidente il pericolo che tale bene divenga irreperibile appena che la debitrice società abbia sentore della domanda che il ricorrente contro di lei intende proporre- tutto ciò premesso

chiede che l’ill.mo Tribunale- visti il comma 2° dell’art. 669-sexies e l’art.669-duodecies, 677 ss., disponga con decreto il sequestro della polizza di cui in narrativa, fissando nel decreto stesso udienza di comparizione delle parti, in cui con ordinanza vorrà confermare il decreto;- visto il comma 1° dell’art. 669-sexies, e, per la denegata ipotesi che non si ritenga di applicare il citato comma 2° sempre dell’art. 669 – sexies, convocate le parti, assunti gli atti istruttori ritenuti necessari, disponga con ordinanza il sequestro della polizza di cui in narrativa;- in ogni ipotesi condannando la parte resistente al pagamento delle spese, competenze e onorari del presente procedimento, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge e fissando il termine per l’inizio del giudizio di merito ex art. 669-octies.Si producono tutti i documenti indicati in narrativa e cioè: ………………………….All’occorrenza si chiede l’ascolto come informatore del sig. Mario Oneto res. in Genova via San Lorenzo 1 che, nella sua qualità di segretario della ditta ricorrente, ben conosce i fatti e in particolare potrà dire che……………………Con riserva di altro produrre e dedurre.Si dichiara che il valore del presente procedimento è pari a €…. E, pertanto, ai sensi dell’art. 13 comma 3, del DPR n. 115/2002, il contributo dovuto è pari a €…., ½ di € …….trattandosi di procedimento cautelareArezzo 15.06.06 (Sottoscrizione dell’avv. Cicero)

Avvertenze:

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Il ricorso naturalmente deve avere i requisiti di cui all’art. 125. La procura deve essere rilasciata prima del deposito del ricorso..Nei ricorsi ante causam, “la dottrina (ritiene) la necessità che sia individuato il contenuto della causa di merito (che si intende proporre) già attraverso il ricorso” (cfr. F. Bartolini, Il nuovo codice, cit., p. 696) – questo al fine di consentire al Giudice la verifica della propria competenza, della fondatezza del ricorso e del rapporto di strumentalità tra l’invocata cautela e la domanda che si intende proporre.

Formula B – Decreto di sequestro ex art. 669 –sexies comma 2

Il giudice- letto il ricorso, visto l’art. 669-sexies- rilevato che il fumus della pretesa risarcitoria è rappresentato da alcune relazioni peritali evidenzianti vizi delle forniture; - considerato che l’urgenza e il periculum in mora si ravvisano nell’inesistenza di beni della pretesa debitrice in Italia eccezion fatta per il valore della polizza di carico indicata in ricorso, che è però facilmente trasferibile;- considerato che nel contraddittorio delle parti si potranno acquisire ulteriori elementi circa: a) l’effettiva sussistenza di vizi nella fornitura e la loro rilevanza economica;b) l’effettiva sussistenza di un danno per l’acquirente in relazione a mancata rivendita dei laminati (previa loro lavorazione);c) l’ammontare di tale danno;- che allo stato appare prudenziale accogliere la richiesta di sequestro, a contraddittorio differito, tenuto conto che: 1) il vincolo sulla polizza di carico, limitato al tempo necessario per la radicazione del contraddittorio, non potrà cagionare danni significativi al preteso debitore;2) viceversa la mancata concessione del provvedimento potrebbe definitivamente compromettere le ragioni di credito del ricorrente

P.Q.M.- autorizza Rossi Mario ad eseguire il sequestro conservativo su tutti i beni mobili, immobili, compresi i crediti, della Dear S.p. A. con sede in Sofia (Bulgaria) fino alla concorrenza di € centomila;- assegna al ricorrente termine perentorio fino al 10 ottobre c.a. per la notifica(trattandosi di notifica da eseguirsi all’estero) e fissa per la comparizione delle parti e per la conferma, la revoca o modifica del decreto l’udienza del 16 aprile 2006 ore 12,30.Si autorizza la notifica via fax.

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Arezzo 29.’03. 2005 (Firma del giudice)

Avvertenze “Se nell’emettere il provvedimento, il magistrato non si è limitato a valutare e motivare il fumus boni iuris ma si è sbilanciato a fare apprezzamenti sulla fondatezza del ricorso, all’evidenza la difesa della parte interessata non potrà che passare attraverso la ricusazione del giudicante e non potrà che dar motivo ad una dichiarazione di astensione” (così, F. Bartolini, Il nuovo codice, cit., p.700).

Formula C: Ordinanza di sequestro

Il tribunale- sciogliendo la riserva che precede;- rilevato che i danni lamentati nel ricorso risultano provati dalle stesse ammissioni fatte dal resistente all’udienza di convocazione e che il loro ammontare in base alla perizia prodotta può senz’altro valutarsi di almeno centomila euro;- rilevato che il periculum in mora è denunciato da un procedimento per la declaratoria di fallimento della parte resistente

P.Q.M.visti gli artt. 671 ss. c.p.c.

autorizza- il ricorrente Bianchi Fulvio a procedere al sequestro conservativo mobiliare anche presso terzi nei confronti della s.a.s. Computers corrente in Genova e del Guido Rossi residente in Genova- fino alla concorrenza della somma di € centomila.

Fissail termine di giorni trenta per l’inizio del giudizio di merito.

Genova 10 gennaio 2007 (Firma del giudice)

Avvertenze Circa le modalità concrete attraverso le quali il giudice può giungere a “sentire le parti” (come gli impone il comma 1 art. 669-sexies) non vi è uniformità di interpretazioni.Secondo quella per noi migliore (espressa da Proto Pisani, in Foro it., 1991, V, 66 ss.) lo strumento da privilegiare per la convocazione delle parti è la notifica (a cura del ricorrente). Ma nulla vieta al giudice di servirsi di altri strumenti di convocazione ugualmente idonei, quali il biglietto di cancelleria, il telefono, il telegramma, il fax;

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salva la necessità di disporre poi la formale notifica del decreto di convocazione ogni qualvolta una parte non compaia all’udienza e appaia probabile che ciò sia dovuto all’inidoneità del mezzo di convocazione adottato.Le parti da convocare non sono “soltanto quelle dirette destinatarie passive della misura cautelare ma anche quelle che dovranno essere soggetti processuali della causa di merito, secondo il contenuto desumibile dal ricorso 2 – così. F. Bartolini (Il nuovo codice,cit., p. 709).

XXIX. Denuncia di nuova opera e di danno temuto

I procedimenti di nuova opera e di danno temuto – i cui presupposti, com’è noto, sono indicati negli articoli 1171 e 1172 del Codice Civile - sono considerati dal Codice di procedura civile (artt. 688 ss.) una species del più ampio genus dei procedimenti cautelari: ad essi quindi si applica tutta la normativa (artt. 669bis e ss.) che riguarda in generale questi ultimi. E ciò a sua volta significa: che una denuncia di nuova opera e di danno temuto può essere proposta prima della causa o nella sua pendenza (però, si badi, in base al combinato disposto degli artt. 688 e 21, sempre al “giudice del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato” e questa è una deroga alla regola generale stabilita dall’art.669–ter che vorrebbe che i procedimenti cautelari fossero tutti proposti al “giudice competente a conoscere il merito”); che il giudice può decidere sul ricorso inaudita altera parte oppure no e così via. Pertanto possiamo rinviare lo studioso a quanto detto a proposito del sequestro (che è il tipico procedimento cautelare).Lo studioso però va avvertito che l’iter di una denuncia di nuova opera o di danno temuto è di solito più lineare di quello di un ricorso per sequestro. Infatti quando la “denuncia” é proposta ante causam (ci mettiamo quindi nell’ipotesi più complessa) si svolge di solito così:

1 -Redatto il ricorso (Formula A) si iscrive la causa a ruolo.

2- Lasciati passare alcuni giorni si controlla visitando la cancelleria qual’è stato il provvedimento del giudice. Di solito il giudice in calce al ricorso avrà fissata udienza per la comparizione delle parti ponendo a carico del ricorrente la notifica alle controparti del suo decreto.

3- All’udienza come sopra fissata (o in una successiva) il giudice, sentite le parti, vista la documentazione da queste prodotta, sentiti gli “informatori” da queste indicati, insomma, istruita la causa, prenderà le decisioni di cui agli artt. 1171, 1172

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(ad esempio imporrà al “resistente” di non proseguire nell’opera intrapresa, di rinforzare il muro pericolante e così via) e provvederà sulle spese del procedimento (vedi melius il comma 7 dell’art.669 – octies). E la procedura finirà così (senza cioè che il giudice stabilisca un termine per l’inizio della causa di merito, che infatti potrebbe non nascere mai se entrambe le parti trovano soddisfacente o si rassegnano alla decisione presa dal giudice – sul punto vedi il sesto comma art. 669 – octies). Ma, si domanderà, se “la parte alla quale è fatto divieto di compiere l’atto dannoso o di mutare lo stato di fatto contravviene all’ordine (ad esempio, invece di por termine all’opera nuova, la prosegue)? ”. Ebbene in tal caso si applicherà l’art.691 il quale stabilisce che “il giudice, su ricorso della parte interessata, può disporre con ordinanza che le cose siano rimesse al pristino stato a spese del contravventore”. E a nostro modesto parere il giudice, così come può intervenire in caso di inottemperanza ad un ordine di non fare, così può intervenire nel caso di inottemperanza ad un ordine di fare (“tu, non hai provveduto alle opere di contenimento del muro pericolante? Ebbene io, giudice, dispongo che esse siano fatte a tue spese”).

Formula A: Ricorso per denuncia di nuova opera o di danno temuto(ante causam)

Tribunale di ArezzoRicorso per denuncia di nuova opera

Rossi Mario c.f. RFULGU 27P07D969M nato ad Arezzo il 27.08.27, res. in Arezzo via Cellini 7 e sempre in Arezzo elett. Dom. in via Crispi 8 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto e che é titolare di: c.f......; fax......; pec..............

Premesso- che il ricorrente è proprietario dell’immobile sito in Arezzo via Cellini 7 censito al NCEU del suddetto Comune al foglio 8 mappale 43 particella 6 con annesso terreno;- che il sig. Bianchi Alfredo ha iniziato a costruire nel terreno finitimo di cui ha il possesso un capannone di grandi dimensioni (m quadrati 150 circa);- che tale nuova opera sarebbe lesiva di una servitù di veduta che il ricorrente ha costituita a favore del suo immobile (Doc. 1, 2);- che pertanto il ricorrente avrebbe diritto di chiederne la demolizione;- tanto premesso

ricorre all’ill.mo Tribunale a che- data l’urgenza del provvedere, ai sensi del co. 2 art.669-sexies, disponga l’interruzione dei lavori di costruzione del capannone, nel contempo fissando

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udienza per la comparizione delle parti;- nella denegata ipotesi di inapplicabilità del suddetto comma 2 dell’art.669-sexies, applichi allora il suo 1° comma e previa convocazione delle parti sempre disponga la interruzione dei lavori.In ogni ipotesi con condanna del resistente alle spese di causa.Si produce: 1) contratto in data 23.01.03; 2) perizia del Geom. Traverso.Ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 115/2002 si dichiara che il valore della causa è di €…. E, pertanto, il contributo unificato è pari a €…..Arezzo 06.09.2008 (Sottoscrizione dell’Avv. Cicero).

AvvertenzeNel caso la “denuncia” sia proposta quando già pende la causa di merito (ad esempio, Rossi Mario già ha chiesto al Tribunale una sentenza che dichiari il suo diritto di veduta sul fondo di Bianchi Alfredo) l’incipit del ricorso sarà: “Tribunale di Arezzo Ricorso per denuncia di nuova opera (RG Trib. Civ 453/2007 – Giudice, Dott Argentini – ud. 23-03.2009)Ill.mo TribunaleRossi Mario c.f…….. nato il….res……. elett. Domto in…………presso e nello Studio dell’avv. Cicero Primo in forza di mandato a margine del presente ricorso……….”E’ discutibile che occorra, ma è opportuno farsi rilasciare, mandato specifico per la procedura nunciativa.Il ricorso andrà depositato in cancelleria del Giudice che tratta la causa di merito.

XXX. Procedimenti di istruzione preventiva

Ai procedimenti di istruzione preventiva, ancorché dal Codice fatti rientrare nei procedimenti cautelari, non si applicano le disposizioni di carattere generale relative a questi (salvo quella dell’art. 669septies) – ciò risulta dal co.1 art.669 quaterdecies. Quindi essi risultano disciplinati solo dagli artt. 692 ss.Il codice prevede (espressamente) quattro atti per cui può ammettersi la assunzione preventiva: l’escussione di testimoni (art. 692); l’accertamento tecnico (art. 696); l’ispezione giudiziale (ancora art. 696); la consulenza tecnica ai fini della composizione della lite (art. 696bis).Peraltro la procedura per ottenere l’ assunzione preventiva di tali atti é sostanzialmente identica e segue questo schema:1 –La domanda, formulata in un ricorso, viene depositata insieme alla necessaria

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documentazione nella cancelleria del giudice competente per la causa (vedi melius l’art. 693).2 – Il presidente del tribunale o il Giudice di Pace “fissa con decreto l’udienza di comparizione e stabilisce il termine perentorio per la notificazione del decreto”.3- All’udienza il presidente o il Giudice di Pace decide se ammettere o no l’assunzione preventiva dell’atto. Se l’ammette, dà i provvedimenti conseguenti che sono: qualora si tratti di escutere dei testimoni, la fissazione dell’udienza per la loro assunzione e la designazione del giudice che deve procedervi (art. 695); qualora si tratti di procedere ad accertamenti tecnici o a ispezioni, la nomina del consulente (a meno che trattandosi di ispezioni non intenda procedervi personalmente il giudice) e la fissazione della data dell’inizio delle operazioni (vedi art. 696 co. 3 per i meri accertamenti tecnici e le ispezioni e l’art. 696 co.1 che rinvia però all’art 696 per le consulenze a fini conciliativi).Nella formula A noi daremo un esempio di ricorso per l’assunzione di testimoni; nella formula B noi daremo un esempio di ricorso per la nomina di un consulente a fini conciliativi.

Formula A: ricorso per assunzione preventiva di testimoni ante causam.

Tribunale di ArezzoRicorso per assunzione preventiva di testimoni (artt. 692 ss C.P.C.)

Ill.mo PresidenteRossi Mario c.f. DRELGU36P06D969 M nato a Arezzo il 06.05.45, res. in Arezzo Via Cellini 7, elett. dom. sempre in Arezzo, via Roma 6 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto (c.f.........; fax…...; pec….......)

Premesso- che il 03.05.2006 mentre percorreva a piedi la via Crispi di Arezzo veniva investito da un veicolo di proprietà di Bianchi Alfredo e assicurato dalla Secura S.p.A.;- che il ricorrente intende agire giudizialmente per ottenere il risarcimento dei danni da lui subiti nel sinistro;- che al sinistro ha assistito il Signori Giuseppe Sciaccaluga, res. in Genova via San Giorgio 3;- che però il Sig. Sciaccaluga sta per trasferirsi all’estero;- che quindi vi è fondato timore che possa venire a mancare nell’instaurando processo di risarcimento un teste essenziale per la ricostruzione fedele del sinistro;- tanto premesso, visti gli artt. 692 ss C.P.C.

chiede che la V.S. ill.ma

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- disposta la comparizione delle parti: 1) Sig. Bianchi Alfredo res. in Arezzo, via Cavour 6; 2) Secura S.p.A.(in persona del suo rappresentante pro tempor) con sede in Roma viale Alessandrino 304B;- ammetta l’escussione preventiva del Sig. Sciaccaluga Giuseppe res. in Genova via San Giorgio 3, sul seguente capitolo: “Vero che il pedone investito dalla Fiat 500 attraversava sulle strisce pedonali”;- indi fissando l’udienza per l’assunzione della prova e designando il giudice che dovrà procedervi.Si producono: 1) rapporto della Polizia Stradale; 2) fotocopia del biglietto aereo già acquistato dal sig. Sciaccaluga per il viaggio a Buenos Aires.Ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 115/2002 si dichiara che il valore della causa di merito è di €…. E, pertanto il contributo unificato è pari ad €….Arezzo 30.05.2006 (Sottoscrizione dell’Avv. Cicero)

Avvertenze In casi di assoluta urgenza la prova può anche essere disposta e assunta inaudita altera parte (v. melius l’art. 695).Nel ricorso vanno indicati: i capitoli di prova su cui si intende escutere i testimoni; le generalità dei testimoni; i motivi di urgenza che rendono necessaria l’assunzione preventiva della prova; la domanda che si intende proporre al giudice di merito.

Formula B: Ricorso per consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi

Tribunale di ArezzoRicorso per consulenza tecnica a fini conciliativi (art. 696bis)

Ill.mo PresidenteMario Rossi c.f. SNGLGU36P06D969M, nato in Genova il 06.09.36, res. in Arezzo via Cellini 7 e sempre in Arezzo via Crispi 3 elett. dom. presso lo Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende nel presente procedimento per delega a margine (c.f.......; fax….....; pec…........)

Premesso- che il ricorrente il 04.09.2005 mentre attraversava la via Roma di Arezzo veniva investito dal veicolo di proprietà del sig. Bianchi Alfredo e assicurato dalla Secura S.p.A.;- che dal sinistro il ricorrente riportava gravi danni alla gamba destra;- che invitati ai sensi di legge a risarcire i danni né il sig. Bianchi né la Secura S.p.A. hanno data positiva risposta;- che è intenzione del ricorrente di adire l’A.G. per sentire condannare in solido al risarcimento sia il Bianchi sia la Secura S.p.A.

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tanto premesso, visto l’art. 696bischiede che la S.V. ill.ma

- convocate le parti: 1) Sig. Bianchi Alfredo res.in Arezzo via Roma 3; 2) Secura S.p.A. (in persona del suo legale rappresenta pro tempore) con sede in Roma viale Alessandrino 304B;-nomini un Consulente tecnico a che ricostruisca la dinamica dell’incidente e, ove possibile, concili le parti- indi fissando la data di inizio delle operazioni.Si producono: racc. indirizzata a Secura S.p.A; racc. indrizzata al sig. Bianchi.

Arezzo 06.07.2006 (Sottoscrizione dell’Avv. Cicero)

Avvertenze Nel ricorso ricordarsi di indicare, oltre naturalmente all’oggetto della consulenza richiesta, la domanda che si intende proporre al giudice di merito.

XXXI. Provvedimenti d’urgenza

I provvedimenti d’urgenza sono disciplinati dall’art. 700 e, in quanto appartenenti al più ampio genus dei procedimenti cautelari, dagli articoli 669bis e ss (escluso l’art. 669-octies e il co.1 art. 669 – novies).Il primo passo, per chi vuole promuovere la procedura, è naturalmente la redazione del ricorso (formula A); che, insieme alla documentazione dovrà essere depositato, nella cancelleria dell’Ufficio giudiziario competente a conoscere della causa di merito, se il ricorso è ante causam, nella cancelleria del giudice che tratta la causa di merito, se il ricorso è presentato quando questa è già pendente. A nostro modesto parere va fatta l’iscrizione della causa, non solo quando il ricorso è ante causam, ma anche quando è proposto già pendente la causa. Sempre a nostro modesto parere, il difensore legittimato alla causa di merito dovrà essere anche legittimato espressamente a promuovere la (o a resistere nella) procedura cautelare.Dopo aver lasciato trascorrere qualche tempo, si controlla in cancelleria qual’è stata la decisione del giudice (ai fini di provvedere alla notifiche alle controparti, da questi, disposte).Se la decisione del giudice non accoglie il ricorso o comunque lo accoglie in modo, per noi, insoddisfacente, noi potremo riproporlo (nei limiti di cui all’art.669-septies) oppure contro di esso potremo proporre reclamo (nei termini stretti di cui al co.1 art. 669 terdecies).

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Se la decisione del giudice ci soddisfa non occorrerà, per conservarne l’efficacia nel tempo, che noi si promuova l’azione di merito (da ciò ci solleva l’art.. 669-octies co. Sesto).

Formula A: Ricorso (ante causam) per provvedimento d’urgenza

Tribunale di ArezzoRicorso per provvedimento di urgenza (art. 700 C.P.C.)

Ill.mo TribunaleRossi Mario c.f. SNGLGU36P06D969M nato il 06.09.1936 a Genova, res. in Arezzo via Cellini 7 presso e nello Studio dell’Avvocato Cicero Primo che lo difende per mandato a margine (fax…..pec…....)Premesso- che il ricorrente ha dato un appartamento di sua proprietà in uso precario al sig. Bianchi Alfredo;……(indicare i fatti che danno il fumus boni iuris e l’urgenza al ricorso)…..tutto ciò premesso, visto l’art. 700 C.P.C.chiede che Voi, ill.mo Tribunale vogliate- in forza del co.2 art. 669-sexies, subito con decreto disporre il rilascio se del caso manu militari dell’immobile de quo, contestualmente fissando udienza per la convocazione delle parti – e cioè del ricorrente stesso e del Sig. Bianchi Alfredo res. in Arezzo, via Cavour 7;- in ipotesi denegata, fissare udienza per la comparizione delle parti (come sopra residenti) e, all’esito, disporre il rilascio dell’immobile o comunque adottare i provvedimenti meglio visti a che nelle more della causa di merito il diritto del ricorrente non subisca irreparabile danno.Si chiede la condanna del resistente alle spese processuali.Si produce. 1) contratto in data 03.05.2005; 2) lettera di diffida al sig. Bianchi.Ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 115/2002 si dichiara che il valore della causa di merito è di €….. e, pertanto, il contributo unificato è pari a €……….Arezzo 15-09-2005 (Sottoscrizione dell’Avv. Cicero)

Avvertenze Nel ricorso, dato il suo carattere strumentale rispetto alla causa di merito, deve risultare il petitum e la causa petendi della domanda che si intende proporre al giudice di questa (anche se, poi, la giurisprudenza si accontenta che il contenuto di tale domanda risulti implicitamente, senza essere espresso con formule sacramentali). Oltre a ciò nel ricorso vanno evidenziati i fatti che danno il fumus

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boni iuris e l’urgenza al ricorso stesso.

XXXII. Ricorso per procedimento sommario di cognizione

Va premesso che l'esperibilità del procedimento sommario é limitata alle “cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica”.Tanto premesso,il primo passo per attivare la procedura di cui agli artt. 702bis e ss.. é la redazione del ricorso (formula A). Questo va poi depositato in cancelleria (pur nel silenzio della Legge, con la documentazione, in esso, indicata e la procura, così come si fa nel rito del lavoro, art. 415). Iscritta la causa a ruolo, si chiedono alla cancelleria copie del ricorso e pedissequo decreto del giudice e, apposta la relata di notifica, si notifica alle controparti nei termini nel decreto stesso indicati.Si compare all’udienza (naturalmente portandosi dietro l’originale del ricorso + decreto a riprova della loro regolare notifica).Per quel che riguarda la costituzione della persona contro cui il ricorso è proposto, vedi il quarto comma art. 702bis (che sostanzialmente ricalca le disposizioni dell’art. 167).

Formula A: RicorsoTribunale di Arezzo

Ricorso per procedimento sommario di cognizione (art. 702bis)Ill.mo TribunaleRossi Mario cf. SNGLGU36P06D969M, nato a Genova il 06.09.36 e res in Arezzo via Cellini 7, con domicilio eletto sempre in Arezzo Via Cavour 6 presso lo Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo difende per procura a margine e che é titolare di: c.f.....;fax.......; pec.............

Premessoche il ricorrente ha dato in comodato al Sig. Bianchi Alfredo un armadio………….…………(continuare nell’esposizione degli elementi di fatto e di diritto come in un qualsiasi atto di citazione)………………………………………………………………..- tutto ciò premesso, visto l’art. 392bis

ricorre a che la S.V. ill.ma- voglia fissare udienza di comparizione delle parti e cioè del ricorrente stesso e del sig. Bianchi Alfredo res. in Arezzo via Cavour 6- e indi accogliere le seguenti conclusioni: “Piaccia al Tribunale ill.mo condannare Alfredo Bianchi…………………..”Si indicano come persone informate dei fatti:1) Giuseppa Parodi res. in Arezzo via Crispi 3;

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2) Oneto Giacobbe res. in Genova via San Lorenzo 5Si producono i seguenti documenti: 1) Scrittura privata in data 03.07.10 2) Lettera del ricorrente al Bianchi in data 04.08.10.Con riserva di altro produrre e dedurre.

Invito alla tempestiva costituzioneSi invita la controparte a costituirsi ai sensi e nelle forme indicate dagli artt.166,702bis C.P.C. almeno dieci giorni prima dell’udienza fissata dal giudice, con avvertimento che in mancanza incorrerà nelle decadenze di cui agli artt.38,167,702bis C.P.C.

Dichiarazione di valoreAi sensi dell’art. 14 del D.P.R. 115/02 si dichiara che il valore della causa è pari ad €… per cui il contributo dovuto è di €…….Arezzo 11.12.2010 (Sottoscrizione dell’avv. Cicero)

Avvertenze Il comma 5 dell’art. 702 ter viene interpretato nel senso che il giudice possa, all’udienza, disporre per l’assunzione di prove senza le formalità previste nel libro secondo (ad esempio interpellando le parti ed escutendo i testi al di fuori dei limiti ristretti di un capitolo di prova). Questo proprio per il carattere “sommario” del procedimento – evidenziato dal fatto che questo viene definito con ordinanza e non con sentenza.

XXXIII. Procedimenti possessori

Sono disciplinati dagli artt. 703 ss e, per un richiamo fatto dal secondo comma dell’art. 703, anche “dagli articoli 669bis e seguenti, in quanto compatibili”.Sono procedimenti bifasici, in cui la seconda fase, però, é solo eventuale.Detto questo, bisogna distinguere il caso che la domanda possessoria sia proposta nel corso di un giudizio petitorio o noEsaminiamo per primo il caso che la domanda non sia proposta nel corso di un giudizio petitorio.In tal caso, la prima fase del giudizio, si attiva con ricorso (formula A) al giudice “del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato” (art. 21 a cui rimanda il comma 1 dell’art. 703).La seconda fase, come accennato, si svolge solo su iniziativa di parte; e va attivata con richiesta al giudice di “fissare dinanzi a sé l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito” - richiesta che va fatta nei termini perentori di cui al al quarto

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comma art.703. Acquisita notizia di tale udienza, va notificata (alla controparte) una “comparsa di riassunzione” (formula B).Veniamo ora al caso che la domanda sia proposta mentre pende il giudizio petitorio.In tal caso, secondo la migliore interpretazione, la parte può scegliere se presentare la domanda possessoria al giudice del petitorio oppure se presentarla al giudice e nei modi indicati dall’art. 703. In questa seconda ipotesi, però, una volta che il giudice avrà dati “i provvedimenti temporanei indispensabili” (v. co. 2 art. 704) le parti, se vorranno proseguire nel giudizio, dovranno proseguirlo davanti al giudice del petitorio “ai sensi dell’art. 703”.

Formula A: Ricorso per reintegra

Tribunale di ArezzoRicorso per reintegra (art.703 C.P.C.)

Rossi Mario c.f. SNGLGU36P06D969M nato il 06.09.36 a Genova e res. In Arezzo via Cellini 7 e sempre in Arezzo dom.to in via Roma 4 presso lo Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo difende per mandato a margine e che indica per la ricezione di eventuali comunicazioni il fax…... e l’indirizzo pec…...............

Premesso- che il sig. Bianchi Alfredo si è introdotto clandestinamente nell’appartamento del ricorrente sito in Arezzo via Cavour 3 int.6…..(continuare nell’esposizione degli elementi di fatto e di diritto)………………………………………………………………- tanto premesso, visto l’art.703 C.P.C.

ricorre a che l’ill.mo Tribunale vogliain forza del co. 2 art. 669-sexies disporre per la immediata reintegra nel possesso del ricorrente, contestualmente fissando udienza per la comparizione delle parti che sono: il ricorrente stesso e il sig. Bianchi Alfredo al momento e abusivamente abitante in Arezzo via Cavour 3 int.6- in denegata ipotesi fissare ai sensi del co. 1 art. 606sexies udienza in cui sentire le parti suindicate e prendere i provvedimenti urgenti che si chiederanno o che meglio saranno dall’ill.mo Tribunale visti e considerati- e indi accogliere nel merito le seguenti conclusioni: “Voglia il Tribunale ill.mo…..ritenuto il possesso e/o la detenzione del ricorrente, la clandestinità dello spoglio perpetrato dal Bianchi Alfredo, condannare questi al rilascio immediato e al risarcimento dei danni come saranno accertati in corso di causa. Vinte le spese”.Si producono: 1) atto pubblico di acquisto dell’appartamento de quo

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2) dichiarazioni sottoscritte di terzi informati dei fatti.Ai sensi e per gli effetti del D.P.R. 115/2003 si dichiara che il valore della causa è di €…per cui il contributo è di €….Arezzo 15.01 2009 (Sottoscrizione dell’avv. Cicero)

Formula B: comparsa in riassunzione

Tribunale di GenovaComparsa in riassunzione di causa possessoria

Giobatta Perodi c.f............res. in Genova via Roma 30 e sempre in Genova domiciliato presso e nello studio dell‘avv. Cicero Primo che lo difende e rappresenta per procura a margine del ricorso cautelare depositato in data.........e che é titolare di: c.f.....;fax......; pec........;

premessoche il comparente Giobatta Parodi con ricorso depositato in data......... chiedeva a norma dell‘art. 703 C.P.C., all‘Autorità Giudiziaria in epigrafe indicata, la reintegra nel possesso dell‘appartamento sito in Genova Via tasso 4 esponendo che:................................................................................................................................................................................................................................................................................che il Giudice adito accoglieva l‘istanza e fissava l‘udienza del.... per l‘inizio della causa di merito;che il buon diritto del comparente é fondato sui seguenti

Motivi di diritto e di fatto........................................................................................................................................tanto premesso,

citaMario Oneto elettivamente domiciliato presso lo studio dell‘Avv. Cicero II in Genova via Roma 6 (oppure,, se l’Oneto non si fosse costituito, residente in Genova......) a comparire davanti al Tribunale di Genova g.i Dott Giacobbi per l’udienza del giorno...ore di rito, per sentire accogliere le seguenti conclusioni:“Voglia l’Ill.mo Tribunale...................................................................................”Con invito al convenuto di costituirsi almeno venti giorni prima dell’udienza, a norma dell’art. 166 C.P.C. e a comparire davanti al giudice designato ai sensi dell’art. 168Bis, con avvertimento che la costituzione oltre tale termine implica le decadenze previste dagli artt. 38 e 167 C.P.C.

Dichiarazione del valore della causa

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Si dichiara ai sensi dell’art. 14 del D.P.R. 115/2002, che il valore della causa é di euro....ed il contributo unificato (ridotto alla metà) é di euro...Luogo e data Cicero Primo

XXXIV. Separazione personale giudiziale (Fase presidenziale)

Il procedimento davanti al presidente del tribunale è disciplinato dagli artt. 706 ss. C.P.C. come modificati e integrati, in forza dell’art.23 delle legge sul “divorzio” (L. 1° dicembre 1970, n.898), dal suo articolo 4: di seguito indicheremo gli incombenti a cui tale procedimento obbliga le parti. E precisamente nei numeri 1 – 8 indicheremo gli incombenti del coniuge ricorrente; nel numero 9, quelli dell’altro coniuge.

1 – Si acquisiscono i documenti da allegare al ricorso; alcuni dei quali possono essere considerati necessari (in quanto richiesti per prassi dal tribunale adito), altri solo facoltativi.Sono documenti necessari (secondo la prassi della maggior parte dei tribunali): A – l’estratto di matrimonio (che va richiesto all’ufficio anagrafe del Comune dove viene celebrato il matrimonio); B – i “certificati contestuali” (così detti perché da essi risulta sia la residenza che lo stato di famiglia) dei due coniugi (certificati che vanno richiesti all’ufficio anagrafe del Comune di residenza dei coniugi); C- le ultime dichiarazioni personali dei redditi rese dal coniuge ricorrente (e per “ultime dichiarazioni” secondo un‘opinione autorevole debbono intendersi le dichiarazioni dell’ultimo triennio).Come si vede la documentazione “necessaria” è destinata a permettere al tribunale alcuni accertamenti imprescindibili: sulla sua giurisdizione (“Ma la coppia che a me, tribunale, si rivolge è effettivamente legata da un matrimonio civile o é…una coppia di fatto?” – a tale domanda dovrebbe rispondere l’estratto di matrimonio); sulla competenza (“Ma i coniugi effettivamente risiedono in uno dei luoghi che attribuirebbero a me la competenza?” – a tale domanda dovrebbe rispondere il certificato contestuale dei due coniugi); sulla necessità di adottare, anche contro la volontà dei coniugi, provvedimenti a favore della prole (“Ma io, tribunale, sono sicuro che la coppia non abbia figli o abbia solo i figli dichiarati? – a tale domanda dovrebbero ancora rispondere i certificati contestuali); sull’entità dell’assegno di mantenimento da porre a carico di uno dei coniugi e a favore dell’altro coniuge o dei figli (“Ma quanto effettivamente guadagna il Mario Rossi che mi piange miseria?” - a questa domanda dovrebbero rispondere le dichiarazioni dei redditi).Ma se noi non riuscissimo a produrre uno dei documenti “necessari”? Il cancelliere non potrebbe rifiutare di ricevere il ricorso, ma il tribunale potrebbe adottare una

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decisione, a noi, sfavorevole (dichiarare il proprio difetto di giurisdizione, la propria incompetenza, accettare come rispondenti a verità le dichiarazioni sulla nostra situazione patrimoniale avanzate dalla controparte…).E passiamo a dire dei “documenti facoltativi” (da allegare al ricorso). Qui il discorso si fa breve: sono facoltativi tutti quegli altri documenti che mirano a provare circostanze favorevoli al ricorrente; ad esempio, la convivenza del coniuge avversario con altra persona, ciò che potrebbe giustificare una riduzione dell’assegno di mantenimento a suo favore.Avvertenza (non secondaria): nel richiedere i documenti, sia quelli “necessari” sia quelli “facoltativi”, specificare che essi sono destinati alla produzione in una causa di separazione: servirà a far sì che il loro rilascio avvenga esente da balzelli!

2 – Si redige l’atto introduttivo che ha la forma del ricorso (v. art.706 e formula A): ne servono due copie: una, come originale da noi sottoscritto e da depositare in cancelleria, l’altra, come nostro promemoria.

3 – Si fa l’iscrizione a ruolo compilando la relativa “nota” e il c.d. “modulo ISTAT” (cioè un modulo con cui, a fini statistici, si raccolgono notizie, sull’età, la professione, il grado di cultura dei separandi….). 4 – Il presidente dovrebbe, nei cinque giorni successivi al deposito del nostro ricorso, emettere il decreto per la fissazione, dell’udienza di comparizione dei coniugi e del termine entro cui noi dovremmo notificare ricorso e decreto (v.c.3 art. 706 C.P.C.): non c’è da aspettarsi che i tempi stabiliti con tanto ottimismo dal legislatore siano rispettati; però non si sa mai e c’è il pericolo che il giudice ci abbia dato, per effettuare la notifica, un termine tanto breve che, se non ci muoviamo subito, noi non si riesca a rispettarlo. Quindi senza aspettare troppi giorni verifichiamo in cancelleria; e se siamo fortunati e il decreto è stato emesso, ne chiediamo due copie autentiche (melius, chiediamo due copie autentiche del nostro ricorso e del pedissequo decreto). Predisponiamo in calce a tali copie autenticate la relata di notifica e……andiamo dagli ufficiali giudiziari a che la effettuino.5 – Ritirato dagli ufficiali giudiziari l’originale (notificato) del ricorso e pedissequo decreto (al fine di poterlo esibire al presidente e dimostrare la regolarità della notifica in caso di mancata comparizione del convenuto) potremmo anche….dedicarci ad altre cause fino all’udienza di comparizione. Però se siamo avvocati veramente coscienziosi e la separazione è di quelle toste, ancora una visitazione in cancelleria il giorno prima dell’udienza la faremo: chissà?! Il convenuto potrebbe aspettare proprio l’ultimo giorno per depositare quella memoria a cui l’ha autorizzato il presidente e, si badi, secondo un’opinione che, ancorché autorevole non ci convince, potrebbe fare ciò, potrebbe depositare la memoria,

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anche se il termine concessogli dal giudice è scaduto.

6. Giunto il giorno dell’udienza ci mettiamo in paziente coda davanti alla porta dell’aula in cui il presidente tiene udienza, portandoci dietro il ricorso e pedissequo decreto notificati e….il coniuge ricorrente: già perché, dice la legge (art.707 co.2), che se “il ricorrente” “non si presenta (o rinuncia), la domanda non ha effetto” – vero è che secondo una autorevole opinione la lettera della Legge va interpretata nel senso che basti, per salvare l’efficacia della domanda, la comparizione del difensore: in tal caso il tentativo di conciliazione, naturalmente, non si farebbe, ma il presidente potrebbe lo stesso adottare i provvedimenti urgenti e, quindi, rimettere le parti davanti al G.I.ecc.ecc.. E se non compare il convenuto? In tal caso il presidente controlla la regolarità della notifica: se questa è nulla deve ordinarne la rinnovazione, se invece è regolare può ordinarla – v. melius il 3° co. Art. 707. Giunto il nostro turno, si celebra il (logoro) rito del tentativo di conciliazione (previsto dal c.1 art.708). Un dubbio: quando il cliente è chiamato, possiamo entrare insieme a lui? La cosa è discutibile: la soluzione migliore è seguire la prassi del tribunale e fare come vuole il presidente. Del resto c’è da dire che il tentativo di conciliazione si riduce molto spesso a chiedere ai coniugi (senza sentirli separatamente) se intendono riconciliarsi: loro dicono di no, e si passa subito a trattare dei “provvedimenti temporanei e urgenti “di cui al quarto comma.Può capitare, quello, sì, che i coniugi decidano di trasformare la separazione giudiziale in separazione consensuale; in tal caso il presidente fa mettere a verbale le condizioni su cui si è formato il consenso e poi rimette per la omologa al collegio.

7 – L’udienza si è svolta, i coniugi naturalmente non si sono riconciliati, il presidente (probabilmente) ha adottato i “provvedimenti temporanei e urgenti”: a questo punto che dobbiamo fare, noi, procuratori del ricorrente? Se il convenuto non è comparso all’udienza presidenziale (e, secondo alcuni, anche se è comparso ma senza l’assistenza di un difensore) dobbiamo notificare “l’ordinanza con la quale il presidente fissa l’udienza di comparizione davanti al giudice istruttore” – questo “nel termine perentorio stabilito nell’ordinanza stessa” (v. c.1 art 709). In ogni caso dovremo (nei termini stabiliti nella stessa ordinanza presidenziale di cui sopra) depositare la “memoria integratrice” di cui al 3° co. art. 709 (formula B). In quale cancelleria dovremo depositarla questa memoria? nella cancelleria del giudice designato per la trattazione della causa (giudice che beninteso potrebbe essere lo stesso presidente). Ci dovremo costituire, compilando una nota di iscrizione a ruolo e pagando un “contributo”? No; e “no” sia perché, come già si è detto, le cause di separazione sono esenti da tributi, sia perché, almeno secondo la opinione di gran lunga prevalente, il ricorrente va considerato costituito già dal momento del

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deposito del ricorso (diretto ad ottenere la fissazione dell’udienza presidenziale).Il procedimento davanti al giudice istruttore procede poi secondo gli artt. 180 e segg.

8- Prima di parlare degli incombenti gravanti sul convenuto, è forse opportuno attirare l’attenzione dello studioso su questi tre punti riguardanti i “provvedimenti temporanei e urgenti”.Primo: Tali provvedimenti possono essere revocati e modificati dal giudice istruttore (v.c.4 art. 709); ma ancor prima possono essere modificati e revocati (su reclamo di una delle parti, e sia pure entro certi limiti su cui non ci si può qui soffermare) dalla Corte di Appello (c.4 art. 708).Secondo: Per l’articolo 189 disp.att. C.p.C. “l’ordinanza con la quale il presidente del tribunale o il giudice istruttore dà i provvedimenti di cui all’articolo 708 del codice costituisce titolo esecutivo”. E si badi “essa – come continua a recitare nel suo secondo comma l’art. 189 - conserva la sua efficacia (di titolo esecutivo) anche dopo la estinzione del processo ….)”.E non è raro che un ricorrente, soddisfatto di quel che i “provvedimenti” presidenziali gli concedono, provochi la estinzione del processo per evitare le ulteriori spese processuali e l’alea di una modifica dei provvedimenti da parte del giudice istruttore. Certo, così esponendosi al pericolo che la controparte presa l’iniziativa di fare, ora lei, ricorso per separazione, ne ottenga la modifica nel nuovo procedimento (sul punto v. melius l’ultima parte c.2 art. 189 citato).Attenzione, però, in caso di mancata comparizione del convenuto davanti al presidente (e, secondo alcuni, anche in caso di sua comparizione, ma senza l’assistenza di un difensore), l’ordinanza de qua per produrre i suoi effetti deve essere notificata (naturalmente a cura del ricorrente).Terzo: i provvedimenti presidenziali sono eseguibili non solo nelle forme dell’ordinario procedimento esecutivo ma anche con la c.d. esecuzione coattiva in forma breve.

9- Spogliamoci ora delle vesti di procuratore del ricorrente e indossiamo quelle di procuratore del convenuto.Ricevuta la notifica del decreto con cui il presidente convoca i coniugi per il tentativo di conciliazione, mettiamo che il convenuto si rivolga a noi per essere difeso: dobbiamo costituirci subito in giudizio? Se lo vogliamo, sì, lo possiamo fare, sia prima che al momento dell’udienza presidenziale. Come? Depositando una comparsa di costituzione (e naturalmente la procura, che può essere in calce o a margine della comparsa). In tale comparsa dobbiamo a pena di decadenza far valere le eccezioni processuali e di merito ecc. ecc.come detto negli artt. 167 e 38,

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in altre parole depositando tale comparsa siamo soggetti alle decadenze di cui agli artt. 38 e 167? No (almeno secondo la opinione di gran lunga prevalente): potremo ancora sollevare tali eccezioni ecc. nella “comparsa integratrice” con cui ci costituiremo (davanti al G.I.) in ottemperanza all’ordinanza presidenziale di cui al co.3 art. 709.Ma se non ci costituiamo, subiremo qualche penalizzazione, qualche inconveniente? No, non saremo penalizzati da niente (salvo che dalla perdita del potere di chiedere la prosecuzione del processo, di cui diremo postea). In particolare nessuno ci impedirà di depositare la memoria, a cui autorizza l’ordinanza presidenziale di cui al c.3 art.706 (ma, naturalmente, la memoria dovrà portare la firma del cliente, non la nostra!). Del resto il deposito di tale memoria è un optional: la sua omissione non determina nessuna decadenza (e le “ultime dichiarazioni dei redditi” che per il terzo comma dovrebbero allegarsi alla memoria? si potranno, anzi si dovranno, produrre all’udienza – ma anche qui dalla loro mancata produzione non deriveranno che le conseguenze a cui abbiamo fatto cenno prima sub 1). Naturalmente poi la mancanza di una formale costituzione in giudizio non potrà impedirci di accompagnare il cliente all’udienza davanti al presidente e di assisterlo – come advocatus e non come procuratore – durante il suo svolgimento.In buona sostanza, se vogliamo, possiamo differire la costituzione a dopo l’udienza presidenziale, ed evitando ogni decadenza se la effettuiamo nel termine indicato nell’ordinanza presidenziale (di cui all’art.709 c.3).L’unico inconveniente di non costituirsi, prima o all’udienza presidenziale, può essere questo (almeno secondo un’autorevole opinione): se non compare né il ricorrente né il suo difensore non potremo chiedere la prosecuzione della causa davanti al giudice istruttore (però – anche qui secondo opinioni autorevoli, lo studioso si sarà accorto che quasi tutto in subiecta materia é….opinabile – potremo sempre chiedere l’emissione dei provvedimenti “temporanei e urgenti”).

Formula A: ricorso per separazione giudiziale

Tribunale di GenovaRicorso per separazione personale giudiziale

Ill.mo Tribunale di GenovaRossi Maria c.f. SGRLGU56P06D969F nata il 6.9.56 a Genova, ivi res. in via Sturla 36, e sempre in Genova elett.te dom. in via Fiasella 4 presso e nello studio dell’avv. Cicero Primo c.f........ che la difende e rappresenta per mandato a margine e che può ricevere eventuali comunicazioni della cancelleria al n. 010389205 di fax e all’indirizzo pec…....

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Premesso:- che la ricorrente contrasse matrimonio di rito concordatario il 26 agosto 1978 con Luigi Bianchi nato il 6.4.56 a Genova e ivi res. in via Ausonia 12 di professione, in allora bancario, in oggi, agente di assicurazione; - che dal matrimonio è nata un figlia, a nome Sara, ora di sette mesi;- che l’esponente e il Bianchi hanno convissuto insieme fino a quando il 30.04.2006 il Bianchi ha lasciato la comune residenza sita in Genova via Sturla 36;- che la convivenza coniugale, da lungo tempo difficile, è diventata intollerabile e diseducativa per la prole, per fatti esclusivamente addebitabili al Bianchi. Infatti.- il Bianchi, di carattere rude e violento, si abbandona frequentemente a scenate contro la ricorrente, ingiuriandola, minacciandola e per scuotendola. In particolare:- il 26 gennaio 2005, presente la suocera Valli Alida, ebbe a pronunciare …omissis….Tutto ciò premesso, la ricorrente

Chiede- che l’ill.mo Presidente, nel caso di esito negativo del rituale tentativo di conciliazione, assuma in via di urgenza i seguenti provvedimenti:”….omissis….”. Fatta riserva di ogni altra richiesta meglio vista in seguito.Si producono1 – Estratto dell’atto di matrimonio;2 – Certificati contestuali della ricorrente e del marito;3 – Ultime tre dichiarazioni dei redditi;4 – Certificato medico delle lesioni subite dalla ricorrente.

Dichiarazione di valore della causaSi dichiara che il procedimento é soggetto a contributo di iscrizione a ruolo ex art.13,comma1 lett.a DPR 196/2003.Genova……. (Avv. Cicero Primo)AvvertenzeE’ discutibile che il ricorso possa essere firmato anche dalla parte. Nel caso (normale) che ciò non avvenga, il procuratore che lo sottoscrive deve munirsi di procura prima del deposito del ricorso.

Formula B: memoria integrativa

Tribunale civile di GenovaG.I. dott. Affaticato; ud. 15.10.2006

Memoria integrativa ex art. 709 C.P.C.nella causa di separazione personale

tra

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Rossi Maria ricorrente proc. Avv. Cicero Primoe

Bianchi Luigi convenutoxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx

All’udienza fissata su ricorso dell’esponente Rossi Maria, il Presidente assumeva i seguenti provvedimenti: …omissis….. E dava termine, al ricorrente, per depositare una memoria integratrice, fino al 22.10.06 e al convenuto, per costituirsi, fino al 22.11.06.A integrazione del suo precedente ricorso l’esponente fa presente quanto segue

in fatto:Fra i tanti episodi rivelatori del carattere rissoso e patologicamente geloso del Bianchi si indicano i seguenti.A –Il 6.6.2005 mentre si era al ristorante………………………….B –Il 18.10.2006 in casa della suocera………………………………….Tanto esposto in fatto, si rileva

in diritto:Privo di fondamento è l’assunto prospettato dal Bianchi all’udienza presidenziale che la casa coniugale essendo i fili maggiorenni……………….

P.Q.M.Si insiste per la addebitabilità della separazione al Bianchi e per la conferma dei provvedimenti presidenziali.Si indicano come testi sui fatti precedentemente esposti sub A e sub B (la cui narrativa è da intendersi preceduta dall’espressione “Vero che”):Filomena Maturano res. in Napoli via Posillipo 31Nigro Assunta res, in Camogli via Del Tritone 6.Con riserva di altro produrre e dedurre in risposta alla memoria avversaria.Genova 22.10.2006 (Avv. Cicero Primo)

AvvertenzaLa memoria integrativa deve avere il contenuto di cui all’art. 163, numeri 2),3),4),5) e 6). Ma naturalmente non occorre inserirvi l’avvertimento di cui al n7). A darlo già provvede il presidente con la sua ordinanza (v. c.3 art. 709).

XXXV. Separazione personale consensuale

I – Si acquisiscono i documenti già indicati nel n. 1 della precedente lezione (separazione giudiziale).

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II – Si redige il ricorso seguendo la formula A che segue. In più si adempiono gli altri incombenti di cui sub 2 della precedente lezione.III – idem come nei numeri 4 e 5 della precedente lezione. Ma se, com’è norma, il ricorso è presentato congiuntamente dai due coniugi (cioè, è sottoscritto da entrambi i coniugi oppure è sottoscritto dai due difensori di entrambi i coniugi oppure è sottoscritto da un unico difensore, che ha ricevuto la procura da entrambi i coniugi) non occorre naturalmente la notifica del ricorso e del pedissequo decreto e, quindi, non occorre procurarsi le relative copie autentiche IV- Si compare all’udienza presidenziale. Una volta che questa è finita nulla occorre che l’avvocato faccia per ottenere l’omologa del Collegio: tutto avviene su impulso d’ufficio. V – Sarà invece opportuno che, lasciato passare congruo intervallo, l’avvocato chieda alla cancelleria copia autentica dell’omologa: servirà al momento in cui si instaurerà la causa di divorzio.

Formula A: Ricorso per separazione consensuale

Tribunale civile di GenovaRicorso per separazione personale

Ill.mo Tribunale di Genova Rossi Maria nata a Genova il 06.09.1986 c.f. NGUD35GHUF e Bianchi Luigi nato a Palermo il 25.07. 85 c.f. NGSOL67RTIM entrambi residenti in Genova via Maragliano 40 ed in Genova selettivamente domiciliati presso e nello studio dell’Avv. Caio Cicero che li rappresenta e difende per mandato a margine (c.f.....; fax….; pec….....)

Premesso- che i ricorrenti contraevano matrimonio di rito concordatario il 26 agosto 2001;- che dal matrimonio è nata una figlia, di nome Sara Bianchi, ora di sette mesi;- che i ricorrenti, di comune accordo intendono separarsi: - tutto ciò premesso

chiedonoche in caso di esito negativo del rituale tentativo di conciliazione in sede di udienza presidenziale, l’ill.mo Tribunale omologhi le seguenti, dai ricorrenti concordate, condizioni della separazione: 1) I coniugi vivranno separati portandosi reciproco rispetto e stima;2) L’appartamento, già di abitazione coniugale, rimarrà in disponibilità e onere della moglie;3) La moglie permetterà che il marito ritiri……………………..”

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Si producono:1. Estratto dell’atto di matrimonio;2. Certificato contestuale di entrambi i coniugi;3. Dichiarazione dei redditi di entrambi i coniugi relativamente gli ultimi tre anni.

Dichiarazione sul valore della causaSi dichiara che il procedimento é soggetto a contributo di iscrizione a ruolo ex art. 13, comma 1,lett.a DPR 115/2003Genova 12.03. 2010 (Avv. Cicero)

XXXVI. Divorzio giudiziale

Premessa: primo diremo degli incombenti del ricorrente, poi di quelli del coniuge convenuto.

I – Il ricorrente prima di tutto deve acquisire la documentazione che è necessario allegare al ricorso; e che nell’ipotesi (più comune) in cui si fa valere l’art. 3 n2 lett.b della L. 1° dicembre 1970 n. 898, è la seguente: estratto di matrimonio;certificati contestuali di entrambi i coniugi; ricorso di separazione con omologa o sentenza di separazione secondo i casi;N.B. I documenti vanno richiesti specificando che servono ad uso produzione in causa di divorzio.N.B. L’estratto va richiesto all’ufficio anagrafe del Comune dove venne celebrato il matrimonio, i certificati contestuali, all’ufficio anagrafe del Comune in cui risiede il coniuge a cui si riferiscono.II – Il ricorrente deve redigere l’atto (di ricorso) seguendo la formula A.III – Il ricorrente deve depositare ricorso e documentazione allegata nella cancelleria ad hoc del tribunale (di solito la “cancelleria della volontaria giurisdizione”).N.B. Al momento del deposito occorrerà compilare la nota di iscrizione a ruolo e il c.d. “modulo ISTAT” (un modulo che serve all’Ufficio solo a fini statistici).IV- Lasciato passare congruo intervallo, il ricorrente dovrà visitare la cancelleria per prendere visione del decreto di convocazione del Presidente. Infatti in tale decreto vengono indicati: data dell’udienza, data in cui ricorso e decreto debbono venire notificati al coniuge convenuto, data in cui questi può depositare memoria difensiva e documenti.V – Il ricorrente acquisite le necessarie copie autentiche del ricorso e del pedissequo decreto, le notificherà all’altro coniuge. Poi non dovrà fare altro che

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comparire all’udienza.VI – Fin qui gli incombenti dell’avvocato del ricorrente; e quelli dell’avvocato del coniuge convenuto? Si riducono ai seguenti: a) acquisizione della documentazione “necessaria” (dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni) e di quell’altra che, pur non necessaria, si ritiene opportuno produrre; b) redazione (se diligente) di una memoria difensiva (da produrre in cancelleria prima dell’udienza o all’udienza stessa); c) comparizione all’udienza.VII – Conclusasi l’udienza presidenziale col fallimento del tentativo presidenziale di conciliazione, l’avvocato del ricorrente, dovrà, nel termine fissatogli dal Presidente, depositare una memoria integrativa e, l’avvocato del convenuto, sempre nel termine fissatogli dal Presidente, dovrà costituirsi in giudizio (vedi art.4 comma 10 L. 898 / 70).

Formula A: Ricorso per divorzio

Tribunale di ArezzoRicorso per cessazione effetti civili di matrimonio concordatario

Ill.mo TribunaleIl sig. Stelli Luigi nato a Roma il 21 aprile 1968, C.F. RTEVFE 68ERM, residente in Arezzo, via Della Pace 3 ed elettivamente domiciliato in Sabbiano (AR), via Martire 3 presso e nello studio dell’Avv. Cicero c.f....... che lo rappresenta e difende per procura a margine del presente atto e che dichiara di voler ricevere comunicazioni al numero di fax 0575. 87654987 e all’indirizzo pec…......

Premesso- che il ricorrente, in data 23. 06. 1992, ha contratto matrimonio concordatario con la signora Nifa Maria, nata a Stia (AR) il 08.06.67, C.F. NFA CRF 3427 R, residente in Arezzo, via Gioiosa 5;- che dall’unione è nato il 30.05.95 il figlio Gianluca;- che con ricorso in data 15.10.1999 il ricorrente consensualmente con la moglie ha chiesto la separazione personale;- che il Tribunale di Arezzo, con decreto 06.02.2000 ha omologato la separazione tra il ricorrente e la moglie;- che sono trascorsi più di sei mesi dalla comparizione dei coniugi all’udienza presidenziale senza che vi sia stata riconciliazione tra il ricorrente e il coniuge;- che ricorrono pertanto tutte le condizioni previste dalla legge per poter dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal ricorrente;- che ai fini di una giusta applicazione degli artt. 5 e 6 L.898 / 1970 il ricorrente deve far altresì presente: - che le condizioni economiche della moglie sono notevolmente migliorate rispetto a quelle che giustificavano, al momento della separazione, le pattuizioni omologate

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Infatti…………………………………………………………………………………………..- tutto ciò premesso, il ricorrente come sopra rappresentato

chiedeche nel caso di fallimento del rituale tentativo di conciliazione l’ill.mo Tribunale voglia dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 23. 06. 1992 tra il ricorrente e la signora Nifa disponendo altresì per una riduzione dell’assegno concordato in sede di separazione e per un affidamento congiunto del figlio. Con precisa riserva di altro e meglio chiedere e dedurre in sede di memoria integratrice.Si allegano:1. Estratto dell’atto di matrimonio2. Certificati contestuali dei due coniugi3. Dichiarazioni dei redditi del ricorrente per gli ultimi tre anni.4- copia autentica della omologa della separazione

Dichiarazione sul valore della causaSi dichiara che il procedimento é soggetto a contributo di iscrizione a ruolo ex art. 13,comma 1,lett.a DPR 115/2003.Arezzo 30.11.08 (Avv. Cicero)

XXXVII. Ricorso congiunto per divorzio

1 – Si acquisisce la documentazione “necessaria”, che, mettendoci nel caso più frequente statisticamente del n 2 dell’art. 3 L. 898/70, è data da: estratto dell’atto di matrimonio; certificati contestuali dei coniugi; ricorso+ omologa oppure sentenza di separazione; dichiarazioni dei redditi di entrambi i coniugi relative all’ultimo triennio.2. Si redige il ricorso seguendo la formula A.3. Si depositano ricorso e documentazione.N.B. Al momento del deposito occorrerà compilare il c.d. “modulo ISTAT” e la nota di iscrizione a ruolo. 4. Si rivisita la cancelleria dopo congruo termine per leggersi il decreto presidenziale di convocazione.5. Si compare all’udienza.

Formula A: Ricorso congiunto per divorzio

Tribunale di ArezzoRicorso congiunto per la cessazione degli effetti civili del matrimonio

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Ill.mo Tribunale- Maria Bianchi, nata in Arezzo il 23. 05.47, C.F. MAR 56 GEAFI, res.in Arezzo, via Casta Diva 3- Luigi Rossi, nato in Arezzo il 06. 09. 1937, C.F. SNGLGU 36P07, res. in Arezzo, via Trovera 4- entrambi elettivamente domiciliati in Arezzo, via Cellini 7 presso e nello studio dell’Avv. Cicero c.f....... che li rappresenta e difende per mandato a margine del presente atto e che dichiara di voler ricevere le comunicazioni della cancelleria al numero di fax 0575. 564325 e all’indirizzo pec….......

Premesso- che i ricorrenti hanno tra loro contratto matrimonio concordatario in data 16.05.1998;- che dal loro matrimonio è nato il 21. 03. 1999 il figlio Gianluca;- che in data 15. 12. 2002 entrambi i ricorrenti sono comparsi consensualmente davanti al Presidente chiedendo una separazione che è stata omologata dal Tribunale di Arezzo in data 16. 02.2000;- che dal giorno della loro comparizione all’udienza presidenziale sono trascorsi più di sei mesi senza che tra di loro si sia ricostituita quella comunione spirituale e materiale che giustificherebbe un loro ritorno alla convivenza;- tanto premesso, i ricorrenti

chiedonoche l’ill.mo Tribunale di Arezzo dichiari la cessazione degli effetti civili del matrimonio da loro contratto alle seguenti

condizioniil figlio Gianluca è affidato alla cura di entrambi i genitori ma vive con la madre con possibilità per il padre di tenerlo con sé un pomeriggio alla settimana e per 10 giorni durante le ferie estive e i giorni di Natale e San Luigi; il marito passerà alla moglie un assegno mensile di €….da rivalutarsi in base agli indici ISTAT per il mantenimento della moglie stessa e del figlio.

Dichiarazione sul valore della causaSi dichiara che il procedimento é soggetto a contributo di iscrizione a ruolo ex art.13, comma1, lett.a DPR 115/2003.Arezzo 15.07.08 (Avv. Cicero)

XXXVIII. Separazione, divorzio, modifiche alle loro condizioni in base a convenzione assistita

Premessa – Per gli artt, 6 e seguenti del decreto legge 12 settembre 2014 n. 132 456

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convertito con modificazioni dalla Legge 10 novembre 2014 n.162, i coniugi, senza necessità di rivolgersi all’autorità giudiziaria, possono separarsi, divorziare, modificare le condizioni di una loro precedente separazione o di un loro precedente divorzio, in forza di un semplice accordo – accordo che esse si erano impegnate a cercare in forza di una convenzione (per cui nella pratica nei casi si parla di separazione divorzio per convenzione assistita).Di seguito cercherò di tratteggiare l’iter che i coniugi debbono percorrere per raggiungere tale traguardo.I- Il primo passo è la stipula della convenzione di cui alla premessa Lo studioso potrà vedere nel Doc. ....(parte terza del libro) la “forma da darsi a tale convenzione secondo i suggerimenti del Consiglio Nazionale Forense.Stipulata tale convenzione e raggiunto in base ad essa felicemente un accordo per la separazione o per il divorzio, o per la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio occorre trasmettere (entro dieci giorni!) l’accordo raggiunto alla Procura della Repubblica.Quale Procura della Repubblica? Ti mi domanderai. Te lo dico in base alle “linee guida” (per l’applicazione dell’art. 6 D.L. citato) espresse dalla Procura della Repubblica di Arezzo. In base a tali “linee guida”, la procura a cui va trasmesso l’accordo é: A) se l’accordo ha per oggetto una separazione, quella ove i coniugi hanno avuto l’ultima comune residenza; se l’accordo ha avuto per oggetto un divorzio, quella in cui almeno uno dei due coniugi ha la residenza,; se infine l’accordo ha per oggetto la modifica delle condizioni di separazione, (la Procura competente) é quella del luogo di residenza del beneficiario dell’obbligazione.

II- Come si trasmette l’accordo in questione? Certo non per posta: occorrerà che qualcuno lo depositi accompagnato da una istanza (vedi formula seguente) nella segreteria della Procura. Chi é legittimato a tale deposito? Quale dev’essere il contenuto dell’istanza? Quali documenti vanno ad essa allegati?Alla prima domanda risponderò nel seguente numero III; alla seconda, nel numero IV, alla terza nel numero V.

III -Legittimato a depositare l’accordo (e poi a ritirare l’autorizzazione o il nulla osta di cui all’art.6 d.l. citato) é la persona come tale indicata nella convenzione o, in mancanza di tale indicazione, la persona che é delegata al deposito in forza di una procura scritta firmata dai due coniugi.IV L’istanza dovrà avere un contenuto parzialmente diverso a seconda che l’accordo riguardi una coppia che abbia o no figli minori, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap (vedi meglio l’art. 6 decreto citato) ovvero economicamente non autosufficienti. Nel primo caso (se cioè la coppia non ha figli minori ecc.ecc.)

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l’stanza avrà ad oggetto la richiesta di un “nulla osta”; nel secondo caso, avrà ad oggetto un’autorizzazione.

V- I documenti che si dovranno allegare alla istanza saranno diversi a seconda che si tratti di separazione, divorzio o modifica delle “condizioni” e a seconda, anche qui, che l’accordo riguardi una coppia che abbia o no figli ancora bisognosi di assistenza (figli minorenni, figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti).Sempre tenendo presenti le “linee guida” date dalla procura di Arezzo (e avvertendo lo studioso che potrebbero esservi, diversità tra Procura e Procura e....nostre omissioni, per cui la cosa migliore é pur sempre informarsi presso la segreteria della Procura competente) di seguito indicheremo i documenti da allegare all’istanza. Nel caso l’accordo abbia ad oggetto una separazione. In tal caso i documenti da allegare (in carta semplice) sono: 1) copia documento valido di identità di ciascuno dei coniugi, 2) certificato per estratto dell’atto di matrimonio, rilasciato dal Comune in cui é stato celebrato, 3) certificato contestuale di stato di famiglia e di residenza di ciascuno dei coniugi.; 5) autocertificazione che i figli maggiorenni sono autosufficienti. In più, se si tratta di coppia con figli minorenni ecc., dovranno altresì essere allegati: 6) dichiarazione dei redditi degli ultimi due anni di ciascuno dei coniugi; 7) certificazione attestante lo stato di handicap del figlio maggiorenne.Nel caso l’accordo abbia ad oggetto un divorzio. In tal caso i documenti da allegare (sempre in carta semplice) sono: 1) copia documento di identità valido di ciascuno dei coniugi; 2) certificato per estratto dell’atto di matrimonio, 3) certificato contestuale di residenza di ciascuno dei coniugi; 4) copia autentica di un documento attestante la pregressa separazione (ad esempio, copia autentica del verbale di separazione con decreto di omologa, copia autentica della sentenza anche parziale di separazione con attestazione del passaggio in giudicato insieme a copia autentica del verbale dell’udienza presidenziale, che ha autorizzato i coniugi a vivere separati …...).; 5) autocertificazione che i figli maggiorenni sono autosufficienti; 6) certificazione/ autocertificazione su quella che é stata l’ultima comune residenza delle parti (questo a meno che i coniugi continuino ad avere ancora una comune residenza come tale risultante dal certificato sub 3); 7) copia della “convenzioneIn più se si tratta di coppia con figli minorenni ecc.ecc. dovranno essere allegati: 8) dichiarazione dei redditi degli ultimi due anni di ciascuno dei due coniugi. 9) certificazione attestante l’handicap del figlio maggiorenne. Nel caso che l’accordo abbia ad oggetto modifiche delle condizioni di divorzio o

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separazione. In tal caso i documenti da allegare (in carta semplice) sono: 1) documenti di identità delle parti in corso di validità; 2) certificato per estratto dell’atto di matrimonio con le necessarie annotazioni della separazione e/o divorzio; 3) certificati contestuali di stato di famiglia e di residenza di entrambi i coniugi; 4) copia autentica di un documento attestante le condizioni della separazione o del divorzio (es. copia autentica del verbale di separazione consensuale con decreto di omologa, copia autentica della sentenza anche parziale di separazione con attestazione del passaggio in giudicato....); 5) autocertificazioni che i figli maggiorenni sono autosufficienti; 6) copia della “convenzione”.In più se si tratta di coppia con figli minorenni: 6) dichiarazione dei redditi degli ultimi due anni di ciascuno dei coniugi; 7) certificazione (eventuale, ovviamente) attestante l’handicap del figlio maggiorenne

VI – La Procura della Repubblica esaminata la documentazione prenderà una decisione, che, se l’avvocato avrà avuta l’avvertenza di comunicare la sua pec, gli sarà di solito comunicata in via telematica.Avuta notizia del deposito del provvedimento del procuratore della Repubblica, la persona a ciò delegata dai coniugi (che sarà nella normalità dei casi uno dei difensori – ma nulla vieta ovviamente che la delega sia fatta ad entrambi i difensori) si recherà alla segreteria della Procura per ritirare l’originale (non la copia) di tale provvedimento (avendo la cortesia di portarsi dietro copia di tale provvedimento per facilitare l’opera del segretario che dell’originale, prima di consegnarlo, dovrà fare copia autentica da archiviare).Attenzione a quanto sub VII.

VII -Entro dieci giorno dalla comunicazione fatta dalla Procura (e, secondo una discutibile interpretazione, dal momento, se precedente a tale comunicazione, in cui la parte ha provveduto a ritirare l’originale del provvedimento o una sua copia conforme) gli avvocati (che hanno sottoscritto la stipula dell accordo) dovranno trasmettere“all’ufficiale del comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto copia autenticata dallo stesso” (accordo)Inoltre, sempre gli avvocati che hanno sottoscritto l’accordo, dovranno far pervenire al Consiglio dell’Ordine circondariale del luogo ove l’accordo é stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell’Ordine presso cui é iscritto uno degli avvocati” copia dell’accordo e il “formulario” ISTAT (art.11 D.L. 132/2014).

,Istanza per ottenere l’autorizzazione o il nulla osta

Procura della Repubblica di...

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istanza per ottenere il nulla-ostaex art.6 D.L. 132/2014

Ill.mo Procuratore della Repubblicail sottoscritto avv. Cicero I del Foro di.....titolare di PEC........., in forza di delega, apposta in calce alla presente istanza, dei coniugi sigg.ri Maria Rossi res. in........c.f....... e Luigi Bianchi res. in.....c.f.............

chiede che V.S. ai sensi dell’art. 6 D.L.12-09-2014 n.132 convertito da Legge 10.11.2014, n.162 dia il Suo nulla osta all’accordo raggiunto per una separazione legale dai suddetti coniugi in data 15.07.16, con l’assistenza del sottocsritto Avv. Cicero I del Foro di...c.f.....e dell’avv. Cicero II del Foro di....c.f........in forza della Convenzione stipulata il....di cui si allega copia.Faccio presente che i coniugi non hanno figli.Allego: 1-originale dell’accordo;2- copia della “convenzione”3-copia documento valido di identità di entrambi i coniugi4 -.............................................................................................Con osservanzaLuogo e data (Avv. Cicero

I sottoscritti Maria Rossi e Luigi Bianchi delegano l’avv.Cicero I a trasmettere alla Procura Repubblica competente l’accordo tra di loro raggiunto sula separazione legale e a ritirare copia autentica dello stesso all’esito positivo della sovraestesa istanza

XXXIX. Controversia individuale di lavoro

Premessa: prima vedremo gli incombenti del ricorrente e poi (a cominciare da sub 8) quelli del convenuto.1) (Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione di cui agli artt. 410 ss. –formula A) si redige la domanda sotto forma di ricorso (formula B).2) Si prepara la documentazione che si intende produrre. N.B. per evitare di incorrere in decadenze tutta la documentazione deve essere prodotta al momento della costituzione (arg. ex comma 3 art. 416).3) Si depositano ricorso + procura + documentazione, nella cancelleria della sezione–lavoro. Penserà il cancelliere a presentare il ricorso al giudice a che questi

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vi apponga in calce il decreto di fissazione dell’udienza (co. 2 art. 415).4) Lasciati passare alcuni giorni (non troppi, per non rischiare di non riuscire a ottemperare al termine di cui al co. 4 art. 415, non troppo pochi per non rischiare di…fare il viaggio a vuoto, dato che il termine di cinque giorni dato al giudice dal co.2 art. 415, spesso non viene osservato) si rivisita la cancelleria per vedere se il decreto è stato emesso.5) Nel caso il decreto sia stato emesso, si chiedono alla cancelleria tante copie autentiche del ricorso e pedissequo decreto quante sono le controparti + 1 6) Si appone la “relata di notifica” in calce alle copie come sopra autenticate e si va dagli ufficiali giudiziari per la notifica. Lasciato passare congruo tempo si ritira l’originale notificato.7) Dieci giorni prima dell’udienza, si rivisita la cancelleria per controllare se la controparte si è costituita o no (co.1 art. 416) e, nel caso positivo, per ritirare copia della sua memoria.Fatto questo, non resta per il ricorrente che aspettare l’udienza…studiandosi la causa Vediamo ora gli incombenti della parte che, ricevuta la notifica del ricorso, voglia resistervi.8) La parte che, ricevuto il ricorso, vuole resistervi deve prima di tutto redigere una memoria in cui esporre le sue difese (formula C).N.B. Se la memoria contiene una domanda riconvenzionale, il convenuto deve fare istanza (nel contesto della memoria stessa!) per un nuovo decreto di fissazione dell’udienza (v. melius il co. 1 art. 418). 9) Fatto quanto sub 8, il “resistente” depositerà: memoria + procura + documentazione nella cancelleria. Se la memoria contiene una domanda riconvenzionale è bene attirare sul punto l’attenzione del cancelliere.Con ciò sono finite le fatiche del “resistente”ed anch’egli può….rilassarsi in attesa dell’udienza (dato che alla notifica della sua memoria e del nuovo decreto di fissazione di altra udienza dovrà, per il disposto del co.3 art. 418, provvedere l’ufficio).

Formula A: Istanza per il tentativo di conciliazione

Ministero del lavoro, della salute e delle politiche socialiDirezione provinciale del lavoro di Arezzo

Richiesta tentativo di conciliazione ex art. 410 C.P.C.

On. Commissione Provinciale di conciliazione- Il sottoscritto Avv. Cicero primo del Foro di Arezzo con Studio in Arezzo via Cellini 7

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- in nome e conto del proprio assistito Mario Rossi c.f. SNGLGU36P06D969M nato in Arezzo e ivi res. In via Roma 4

Vi chiededi espletare il tentativo di conciliazione rituale nella controversia insorta tra il suo assistito sig. Rossi Mario e la ditta Pesce Lorenza per il fatto che il primo vanta e la seconda gli nega i seguenti diritti:diritto alla revoca del licenziamento; diritto al pagamento…………(esporre le pretese del proprio assistito)….Sottoscrive per conferma anche il sig. Mario Rossi.Con osservanzaArezzo 20.01.2010 (Sottoscrizione dell’Avv. Cicero Primo)

(Sottoscrizione di Mario Rossi).

Formula B: Ricorso introduttivo del giudizio

Tribunale di Arezzo – Sezione lavoroRicorso ex art. 409 C.P.C.

Luigi Bianchi c.f. SNGLGU36P06D969M nato il 06.09.36 a Genova, res. in Arezzo via Cellini 7, sempre in Arezzo elett. dom. in via Roma 3 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Primo che lo rappresenta e difende per delega in calce (c.f.....; fax….pec…..)

Premessoche ha prestata la sua opera come lavoratore subordinato del sig. Bianchi Alfredo ….(indicare gli elementi di fatto e di diritto che confortano il ricorso)……..- tanto premesso, riuscito vano il tentativo di conciliazione imposto dall’art. 410 C.P.C. (Doc. 3), l’esponente

ricorrea Voi, ill.mo Giudice, a che vogliate:- fissare udienza di comparizione dell’esponente stesso e della controparte sig. Bianchi Alfredo res. in Arezzo via Cavour 8;- e, ogni contraria istanza rigettata: A) dichiarare l’illegittimità della sospensione del sevizio (….); B) accertare il corretto adempimento (….); C) condannare il datore di lavoro a spese, onorari e diritti del presente procedimento.Si producono.Copia CCNL copia conteggio differenze contributive; istanza per il tentativo obbligatorioverbale DPL di mancato accordo………………..

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Si chiede ammettersi per interpello e testi i seguenti capitoli:A-“Vero che……………….”B- “Vero che…………….Si indicano a testi: 1) sig. Testa Carlo res. in Roma Via Valadier 8: 2) sig. Resti Antonio res. in Roma via Grevi 6.

Dichiarazione sul valore della causaAi sensi dell’art.14 DPR 115/2002 si dichiara che il valore della causa é di euro......Arezzo 25.07.2010 (Avv. Cicero Primo)

Avvertenze Ricordarsi di produrre conteggi e CCNL: secondo un orientamento giurisprudenziale la loro mancata produzione determina la nullità del ricorso.Ricordarsi di produrre la documentazione: secondo un orientamento giurisprudenziale se non la si produce al momento della costituzione, si decade dal diritto di produrla

Formula C- Memoria difensiva di costituzione in giudizio

Tribunale di Arezzo – Sezione lavoro(RG.453/10; ric. Rossi M.; dott. Giocosa L.; ud.15.05.10)

Memoria difensiva ex art. 416 C.P.C. con domanda riconvenzionaleper

Bianchi Alfredo c.f. RGUSNG36P06D969M nato il 08.1956 in Arezzo ivi res. in Via Cavour 6 e sempre in Arezzo elett. dom.to in Via Camillini 4 presso e nello Studio dell’Avv. Cicero Secondo che lo difende per mandato a margine del presente (c.f......fax….;pec…....).

nella causa controMario Rossi ricorrente Avv. Cicero Primo

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxCon ricorso depositato il 15.01.2010 Rossi Mario conveniva in giudizio l’esponente chiedendo l’accoglimento delle seguenti domande:………………………..Con la presente memoria si costituisce in giudizio l’esponente Bianchi Alfredo per contestare come infondate in fatto e in diritto le pretese avversarie e per proporre a sua volta domanda riconvenzionale di condanna del ricorrente al risarcimento dei danni.

L’infondatezza delle pretese avverse.............................................................................................................................................................................................................................................................................

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...La fondatezza della domanda riconvenzionale

.....................................................................................................................................

.....................................................................................................................................

......P.Q.M.

.Si chiede che il Tribunale ill.mo, fissata ai sensi dell’art.418 C.P.C. altra udienza di discussione, voglia accogliere le seguenti conclusioni: “Rigettata ogni contraria pretesa condannare il ricorrente……………………………………….”Si producono in giudizio:Lettera in data 3.04.2009Lettera……………Si chiede l’ammissione per interpello e testi dei seguenti capitoli:........................................................................................................................................Arezzo 22.10.10 (Avv. Cicero Secondo)

Avvertenze Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente la procedibilità per la domanda riconvenzionale non è subordinata al tentativo di conciliazione.Nella memoria si debbono proporre a pena di decadenza le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio. Non ci si può limitare a contestare genericamente i fatti dedotti dal ricorrente e si debbono indicare i mezzi di prova di cui ci si intende avvalere.

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PARTE TERZA

DOCUMENTI DAL VIVO

GUIDA ALLA LETTURA DEGLI “ATTI EX VIVO”

I. Atto di citazione (Doc. 3, Doc. 4, Doc. 5, Doc. 6, Doc. 7)

Per tali “Documenti” si rinvia al loro commento fatto nella “Lezione 66” (“Primi passi dell’attore nell’iter processuale”).

II. Relazione di notifica (Doc. 7, Doc. 8)

Per tali “Documenti” si rinvia sempre alla “Lezione 66”(“Primi passi dell’attore nell’iter processuale ”).

III. Comparsa di risposta (Doc. 11- Doc. 13)

Per il commento a tali “Documenti” si rinvia alla “Lezione 67” (“Primi passi della parte convenuta e dell’ufficio”).

IV. Nota di iscrizione a ruolo (Doc. 14)

La “nota” che lo studioso vede riportata nei “Documenti” può servire allo studioso per avere un’idea più chiara di che cos’é una iscrizione a ruolo.A parte questo va considerata....un residuo antidiluviano. Infatti nel processo telematico (come vedremo nella parte dedicata a tale processo) la “nota” viene creata automaticamente dal “redattore” al momento del deposito (in via telematica) dell’atto in cancelleria.Lo studioso, poi, non faccia gran conto delle freccette: esse servono solo ad attirare la sua attenzione su punti di particolare importanza.

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V. Ordinanza (Doc. 15, Doc. 16)

Freccia 1: Nell’ordinanza riprodotta nei “Documenti” (che é un’ordinanza di “ammissione testi”) il giudice si limita a indicare il numero dei capitoli dedotti dalle parti e che egli ammette, senza riportarli, dato che egli evidentemente ritiene che da ciò l’esima l’essere, tali capitoli, indicati “nella memoria istruttoria ex art. 184 c.p.c.”. In realtà l’art. 102 disp. att. solleva il giudice dal peso di riportare integralmente il contenuto dei capitoli su cui verterà l’interrogatorio, solo se egli fa richiamo ai capitoli “contenuti nell’atto di citazione e nella comparsa di risposta o nel processo verbale di causa”. Il riferimento, poi, all’art. 184 (invece che all’art. 183 co.6 n.2) é chiaramente un lapsus.Freccia 2: Per l’art. 133 l’ordinanza deve “essere succintamente motivata”. Il giudice (del documento in oggetto) si limita (con buon senso) a motivare solo là dove esclude due capitoli di prova.Freccia 3: L’ordinanza va comunicata (art. 136) dal cancelliere (senza che occorra un ordine ad hoc del giudice; il quale, però..... fa bene a darlo, per ovviare a eventuali dimenticanze del cancelliere). La redazione dell’ordinanza su “foglio separato” (invece che in calce al processo verbale, come consentirebbe il co.1 art. 134)é adottata dal giudice evidentemente per facilitare al cancelliere l’incombente della sua comunicazione.

VI. Verbale d’udienza per l’assunzione del giuramento del Consulente tecnico d’ufficio (Doc. 16 A, Doc. 16 B)

Nominato un Consulente tecnico d’ufficio (C.T.U.) e formulati i quesiti, il giudice fissa l’udienza in cui tale C.T.U. deve prestare il suo giuramento (art. 191). E proprio a tale udienza si riferisce il verbale in oggetto. (freccia 2).La freccia 3 si appunta là dove le parti provvedono alla nomina dei loro Consulenti tecnici di parte (C.T. P.) (vedi l’art. 201, per il termine utile per compiere tale incombente – termine che non raramente va oltre l’udienza in cui il C.T.U. giura). Freccia 1: L’avvocato Ro “compare in sostituzione dell’avvocato Gia”; ma, com’é prassi, non documenta per iscritto la delega ricevuta alla sostituzione. Presumibilmente si sarà limitato a dire “Sono l’avvocato Ro: vengo in sostituzione del collega Gia”).

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VII. Verbale dell’udienza di escussione testi (Doc. 16 C, Doc. 16 D)

I “documenti” 16 C e 16 D riportano le prime due pagine di un’udienza dedicata all’escussione dei testimoni. Per agevolarne la comprensione ne ….traduciamo in più chiare lettere le prime righe:“….sono comparsi l’avv. G.Gia per l’attore e l’avv. Ago per i convenuti.Viene introdotto il primo teste che ammonito ai sensi di legge pronuncia il giuramento di rito (sic: evidente lapsus, in realtà il teste non giura, ma “assume l’impegno) e dichiara: Sono e mi chiamo Pier, nato a Stia il.7.98, indifferente.Sul cap.3) memoria 184 parte attrice risponde. “Sì, é vero”.Sul cap. 4 della medesima memoria, risponde: “Sì. É vero”.(…................................................................)Viene introdotto l’altro teste il quale ammonito ai sensi di legge presta l’impegno di rito e dichiara: “Sono e mi chiamo Letti nato a Castel il 11 marzo residente in Pratovecchio (AR) località San Paolo 2/9.Sentito sul capitolo 1, della memoria istruttoria di parte convenuta risponde: “E’ vero”.Sul capitolo n.2: “Non so dire il numero delle particelle. E’ vero”. (omissis)”.

VIII. Sentenza (Doc. 16 E, Doc. 16 F, Doc. 16 G, Doc. 16 H, Doc. 16 I, Doc. 16 L)

Tenendo presente l’articolo 132, vediamo come sono state osservate le sue prescrizioni.Freccia 1 (posta nel Doc. 16 E) – Indica il punto dove si é ottemperato al dettato del primo comma art. 132, che recita: “La sentenza reca l’intestazione. “Repubblica Italiana”, ed é pronunciata “In nome del popolo italiano”.Freccia 2 (posta nel Doc. 16 E): Indica il punto dove si ottempera al dettato del 2° comma n.1, che recita: “(La sentenza deve contenere) l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata”.Freccia 3 (posta nel Doc. 16 E): “Indica il punto dove si é ottemperato al dettato del 2° comma n. 2: “(La sentenza deve contenere) l’indicazione delle parti e dei loro difensori”.Freccia 4 (posta nel Doc 16 G)): Per il n.3 co.2 la sentenza dovrebbe contenere “le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti”. La Corte di Appello ritiene di poter sostituire tale indicazione con quella dei motivi di appello.Freccia 5 (posta nel Doc. 16 A): Indica il punto dove si ottempera al dettato del n.5 co.2, che recita: “(La sentenza deve contenere) la concisa esposizione delle ragioni

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di fatto e di diritto della decisione”.Freccia 6, freccia 7 (poste rispettivamente nel Doc. 16 I e nel Doc. 13): Indicano il punto dove si ottempera al dettato, del n.5 co.2, che recita: “(La sentenza deve contenere) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice” e dell’incipit del co.3, che recita: “La sentenza emessa dal giudice collegiale é sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore”.Infine la freccia 8 (posta nel Doc. 16 L) indica dov’é data attuazione al primo e secondo comma art. 133, che recitano: “La sentenza é resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata – Il cancelliere dà atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma ed entro cinque giorni mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza, ne dà notizia alle parti che si sono costituite”.

IX. Processo verbale di una causa davanti al tribunale (Doc. 17, Doc. 18, Doc. 19, Doc. 20, Doc. 21, Doc. 22)

Riportiamo di seguito il contenuto del verbale di prima comparizione, data la illeggibilità dello scritto a mano:“Tribunale di Genova – Sez. I civile – Verbale di udienza nella causa R.G. n. 10438/207 tra Giovanni – attore – avv. G.P., avv. A contro Cooperativa - convenuta e Isabella – convenuta avv. L.M. Sang.All’udienza del 8 gennaio 2008 é presente per parte attrice l’avv. Do il quale insiste come in atto di citazione e di costituzione e risposta. Per i convenuti é comparso l’avv. Sang il quale insiste come in comparsa. I procuratori delle parti chiedono i termini per il deposito delle memorie di cui all’art. 183, 6° comma c.p.c. - il G.I. dato atto”A questo punto il verbale della prima udienza prosegue come risulta dal Doc. 18 (evidentemente il giudice aveva già preparata la sua ordinanza prima dell’udienza e non ha fatto altro che aggiungerla a quanto scritto dalle parti e questo giochetto, come vedrà lo studioso, continuerà nell’udienza successiva).Per alcune succinte osservazioni sul verbale in oggetto rinviamo al parag. 2 della lezione 69” (“La prima udienza id trattazione”).

X. Processo verbale di una causa davanti al Giudice di Pace. (Doc. 23, Doc. 24, Doc. 25, Doc. 26, Doc. 27, Doc. 28, Doc. 29, Doc. 30)

Per un ampio commento a tale processo verbale rinviamo al parag. 2 della 469

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“Lezione 69” (“La prima udienza di trattazione”).

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APPENDICE

A) Introduzione al processo telematico

Cenni sul processo telematico

I -Premessa: il processo telematico in estrema sintesi.Gli strumenti necessari all’avvocato per agire nel processo telematico.

Il processo telematico é caratterizzato dal fatto che l’operatore effettua le comunicazioni dovute (in primis, dall’avvocato alla cancelleria) e spedisce i dovuti atti (citazioni, ricorsi...avvisi di cancelleria....) e documenti (ad esempio, un contratto) in via telematica: in parole semplici, usando il computer e internet - così come se spedisse una e.mail. La cosa più semplice, penserà lo studioso che ci legge (chi non sa al giorno d’oggi spedire una e.mail?). E semplice effettivamente sarebbe la cosa se il Legislatore non ritenesse necessario soddisfare le seguenti cinque esigenze.1) Esigenza che il destinatario (dell’invio telematico) riceva dal mittente certe comunicazioni (ad esempio, la cancelleria riceva, in caso di invio dell’atto introduttivo di una causa, il codice fiscale del difensore);2)Esigenza che gli atti e i documenti siano inviati in un ordine atto ad agevolare il lavoro del destinatario (ordine atto, ad esempio, ad agevolare il cancelliere nella composizione del fascicolo d’ufficio);3)Esigenza che gli atti e i documenti siano inviati tutti insieme, e, non, metti l’atto A alle ore 14, il documento B alle ore 18 e così via. - questo sempre per agevolare il lavoro del destinatario dell’invio telematico e anche per impedire la perdita di qualche atto o documento (l’atto A va a finire nel fascicolo I e il documento B, che sarebbe un suo allegato, va a finire nel fascicolo II);4) Esigenza che gli atti e documenti, una volta inviati, non subiscano modificazioni (ad esempio la “ammissione”, contenuta nella comparsa di risposta del convenuto, “debbo cento” non venga falsificata in “debbo mille”);5) Esigenza che sia raggiunta la sicurezza che, colui che appare essere l’autore dell’invio di un atto o di un documento, sia effettivamente l’autore di tale invio, sia, in altre parole, veramente colui che ha dato l’input a tale invio (dato che ben potrebbe essere che l’avvocato Cicero, dopo aver firmato un atto di citazione,

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voglia tenerselo ancora un po’ nel cassetto, mentre invece Pinco Pallino, desideroso di rompere ogni indugio, voglia invece subito spedirlo, nolente o volente l’avvocato Cicero);.Ora il legislatore pensa di soddisfare: le esigenze, sub 1, 2, 3 imponendo all’operatore (nel processo telematico) di utilizzare nell’operazione di “invio”, un “redattore atti” (vedi voce, “redattore atti”, del “Dizionario”, in “Appendice”); l’ esigenza, sub 4), l’esigenza cioé di impedire l’alterazione degli atti e documenti inviati, imponendo all’operatore di trasformare gli atti e i documenti da inviare (prima in file e poi) in p.d.f. (vedi voce “PDF, del Dizionario,in “Appendice”); infine, l’esigenza sub 5), l’esigenza cioé di dar la sicurezza che colui che fa l’invio (dell’atto...) é effettivamente colui che é legittimato a farlo, imponendo di accompagnare l’invio con la c.d. “firma digitale” (vedi voce “Firma digitale”, di Dizionario, in “Appendice”).La soddisfazione di tutte queste esigenze, forse necessaria, fa sì che l’invio di un atto nel processo telematico non sia più una cosa così semplice com’é l’invio di una email, ma venga ad essere un’operazione decisamente piena di complicazioni. Complicazioni che noi nei seguenti paragrafi cercheremo nel limite del possibile di appianare.Ad evitare però che il nostro discorso divenga a sua volta...troppo complicato, noi opereremo una semplificazione: partiremo dal presupposto che Tu, gentile studioso, sia provvisto di.1) un personal computer di ultima generazione, e pertanto capace di trasformare un file in pdf (e se non lo fosse? poco male, leggi la voce, PDF del “Dizionario” e vi troverai la maniera per rimediare a tale difetto); 2) una stampante;3) uno scanner (vedi voce, “Scanner” del “Dizionario”);4) un “redattore atti” (vedi voce “redattore atti” nel “Dizionario”;5) un antivirus;6) una casella di posta elettronica certificata (vedi voce “PEC”, nel “Dizionario”);7) un collegamento a internet.

2- Reperimento delle PEC necessarie per interagire nel P.C.T.

Abbiamo visto che nei casi (sempre più numerosi) in cui si seguono le regole del “processo telematico”, il difensore non deve scomodarsi per andare in un ufficio o in una cancelleria al fine di far pervenire, al loro destinatario, le “carte” (ad esempio, il ricorso per decreto ingiuntivo che vuole depositare in cancelleria): le può inviare dal suo studio, così come se inviasse una e.mail. Però per far questo gli occorre conoscere la PEC (vedi la voce”PEC” del Dizionario, in “Appendice”) del

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destinatario dell’atto (così come gli occorrerebbe se dovesse inviare una e.mail qualsiasi).Come può procurarsi questa PEC?Nel caso che il destinatario dell’atto sia un ufficio giudiziario (metti, il Tribunale di Genova) la sua pec, il difensore, la ricaverà molto semplicemente nel corso della procedura di invio dell’atto (come vedremo in un successivo paragrafo).Nel caso, invece, la pec che gli occorre, riguardi un collega o una impresa, o un altro soggetto il difensore é costretto a visitare il PAD (vedi voce “PAD” del “Dizionario”, sez. V) che conserva, annotata in un “registro” la pec cercata (vedi voci “PAD” e “Reginde” del Dizionario, in “Appendice”).

3- Attività preparatoria a un deposito telematico.

Gli atti che invieremo per via telematica, chiaramente non li invieremo in cartaceo, ma dopo averli trasformati in file, scannerizzandoli (se già, in file, non sono “nati” com’é il caso ad esempio, dell’atto di ricorso, dell’atto di citazione...). Inoltre, per quanto detto nella “premessa”, tutti i file dovranno essere p.d.f. Sarà poi opportuno riunire in una “cartella”tutti i file da inviare, in modo da essere facilitati al momento in cui li dovremo“riversare” nella “busta telematica”.Naturalmente prima di inviare un atto con cui ci costituiamo in giudizio (ricorso per decreto ingiuntivo, atto di citazione....) noi dovremo aver acquisita la prova di aver fatti i pagamenti connessi alla costituzione (modulo F23, marche lottomatiche....)Questo in via generale. Di seguito prenderemo in esame particolarmente l’attività preparatoria al deposito: di un ricorso, di un atto di citazione, di una memoria.

I- Attività preparatoria al deposito di un ricorso Di seguito diremo come si “preparano”: il ricorso, la procura, i documenti comprovanti i pagamenti connessi alla “costituzione”,gli allegati al ricorso.A- Preparazione dell’atto di ricorso - Redigiamo il ricorso sotto forma di documento informatico evitando, se possibile, di inserirvi in calce o a margine la procura (che potremo fare con atto autonomo). Distinguiamo il file-ricorso con un nome (ad esempio, il nome del ricorrente). Quindi, lo trasformiamo in pdf (vedi voce “pdf “del “Dizionario, in “Appendice”) e lo trasferiamo nella “cartella” di cui abbiamo detto all’inizio. B- Preparazione dell’atto di procura – Nel caso in cui accortamente noi si abbia redatta la procura a parte del ricorso, facciamo sottoscrivere la procura (che si presenterà naturalmente in cartaceo) dal ricorrente e autentichiamo la sua firma.

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Quindi scannerizziamo l’atto così formato e trasformiamo il file ricavato dalla scannerizzazione in pdf. Diamo un nome al file. Trasferiamo il file nella cartella dove già stà il ricorso. Se la procura fosse stata apposta in calce o margine del ricorso, dovremmo fotocopiare la pagina in cui risulta la procura, scannerizzare tale pagina, trasformare il relativo file in p.d.f. e...trasferirlo nella cartella.C- Preparazione delle marche lottomatiche e delle ricevute del pagamento del c.u. -Se abbiamo pagato il c.u. (contributo unificato) con un bollettino postale o con un F3 o con l’acquisto di marche lottomatiche, scannerizziamo e trasformiamo in pdf la ricevuta nei primi due casi, nel terzo caso, scriviamo in un foglio bianco “Marche lottomatiche a titolo pagamento c.u e diritti cancelleria relativamente al ricorso di Bianchi contro Verdi” e sullo sfondo di tale foglio scannerizziamo le marche, trasformando poi il file così ottenuto in pdf. Indi trasferiamo il file ottenuto nella cartella dove già stà il ricorso.E se abbiamo pagato il c.u. telematicamente? In tal caso non dobbiamo fare altro che trasferire la ricevuta-file nella cartella.D -Preparazione dei documenti allegati al ricorso. Scannerizziamo i documenti che costituiscono gli allegati del ricorso (uno distintamente dagli altri); trasformiamo i file così ottenuti in pdf.; diamo a ciascun file il nome- si badi, lo stesso nome con cui abbiamo contraddistinto il documento nel ricorso: se, ad esempio, nel ricorso abbiamo indicato l’allegato come “Fattura Parodi in data 03.05.16” al file dobbiamo dare il nome “Fattura Parodi in data 03 05 16”.

II- Attività preparatoria al deposito di un atto di citazione Ci mettiamo qui nel caso che, dopo aver notificato l’atto di citazione, noi si voglia usare della facoltà (non, dell’obbligo) di costituirci telematicamente.In tal caso, per prima cosa noi dobbiamo scomporre il documento che contiene l’atto di citazione nei suoi elementi; i quali saranno (nel caso più semplice, che é quello in cui la notifica non é stata fatta a mezzo posta): l’atto di citazione, la relata di notifica, e la procura (se non é stata fatta autonomamente). Ciò si otterrà facendo fotocopia della pagina che contiene la procura e della pagina che contiene la relata di notifica. Avremo così tre “docuemnti”: A) un documento relativo all’atto di citazione (documento contenente: atto di citazione, relata e, eventualmente, procura)B) un documento (la fotocopia di cui prima) contenente la relata;C) un documento contenente la procura.Si scannerizza il documento sub A), si trasforma il file così ottenuto in pdf, e lo si trasferisce nella “cartella”.Si scannerizza il documento sub B),si trasforma il file così ottenuto in pdf e lo si trasferisce nella “cartella” dove già sta il file-atto di citazione. Va detto subito che questo file (idest, il file – relata di notifica) sarà inviato come se fosse un allegato e

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nel momento, quindi, in cui si inviano gli altri allegati.Si scannerizza il documento sub C), si trasforma il file così ottenuto in pdf e lo si trasferisce nella “cartella”. Se la procura risultasse già da un atto autonomo, si trasformerà tale atto in file, si trasformerà il file così ottenuto in pdf e lo si trasferirà nella cartella.Per quel che riguarda i documenti comprovanti i pagamenti (Modulo F23....) e gli allegati all’atto di citazione si rinvia a quanto detto al proposito parlando del ricorso.

III- Attività preparatoria del deposito di una memoriaL’attività preparatoria di una memoria (o di una comparsa) é semplicissima: se la memoira (o la comparsa) non é nata già in file, la si scannerizza. Il file che contiene la memoria (o la comparsa) lo sitrasforma in pdf e lo si trasferisce nella cartella.Per quel che riguarda eventuali documenti allegati si rinvia a quanto detto a loro proposito parlando del ricorso.

Preparati gli atti e i documenti per l’inserimento nella busta telematica, possiamo fare un altro passo avanti e procedere al loro invio, come spiegato nel paragrafo che segue.

4- Il deposito di un atto nella cancelleria (telematica) -

Contestualmente e prima dell’invio di un atto, si é obbligati a dare alcune informazioni alla cancelleria, il che avviene con l’utilizzo di uno software ad hoc, il c.d. “redattore” (vedi voce “redattore”del Dizionario, in “Appendice”)Come redattore noi utilizzeremo SLPCT (che é un redattore open source ciò che significa che lo puoi scaricare gratis da Google). Ogni redattore ha le sue particolarità, ma sono minime (forse che le informazioni che richiede la cancelleria cambiano da redattore a redattore?) e noi pensiamo che lo studioso, una volta imparato il meccanismo della redazione, sarà in grado di utilizzare, per eseguirla, un qualsiasi redattore.Cominciamo.Prima cosa, inserisci il lettore” nella USB del computer (vedi fig.2) e inserisci la tua smart card nel lettore (per nozioni sulla la smart card, vedi la voce “Smart card, del “Dizionario”, in “Appendice”)Fatto questo, dovrai cliccare sull’icona SLPCT, che avrai previdentemente messo in evidenza nel tuo desktop (se avessi usato una pennettetta, come la Lextel, invece non avresti dovuto fare altro che inserire la pennetta, dato che in questa é già presente un redattore).A questo punto incominciamo a vederci insieme la serie di schermate, che il

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redattore fa scorrere sullo schermo del tuo computer. Alle domande che il redattore implicitamente ci pone noi risponderemo in base alla fictio che l’atto da depositare sia un ricorso con cui un certo avvocato Cicero Primo, in rappresentanza di certa Maria Caterina Creditori, chiede al tribunale di Arezzo di ingiungere a un certo Mario Rossi di pagare 70mila euro.

Schermata della figura 11 – E’ la prima che ti appare dopo aver cliccato su LSPCT.Clicca su file (in alto a sinistra per chi guarda) e, poi, su “professionisti” indicato nella tendina che appare: apparirà, sovrapposta a quella della figura 11, una piccola schermata, chiamiamola “,schermata A”. Se tu sei conosciuto già dal redattore (per avervi già “lavorato”) apparirà il tuo nominativo nella schermata. E in tal caso clicca “esci”. Se il tuo nome non appare, clicca “nuovo”.Se clicchi “nuovo”, ti apparirà una nuova schermata (anche questa sovrapposta alla schermata 11): tu spunta il quadrattino con accanto la scritta “Mittente di busta per via telematica” e compila la scheda con, cognome, nome, codice fiscale. Fatto questo clicca “conferma”Cliccato “conferma” riapparirà la piccola “schermata A “, completa dei tuoi dati. Clicca “esci”: con ciò ritorni alla “schermata 11”Nella schermata 11, clicca su freccetta inserita nella stringa più in alto contraddistinta dalla scritta “codice fiscale del mittente”: apparirà un tendina con vari “codici”, tu clicca sul tuo codice fiscale. Salta (perché irrilevante) la casella “Cartella”. Completa la casella “identificativo” dando un nome alla busta – nome che potrebbe essere anche di fantasia, ma che é meglio corrisponda a quello della parte in causa; nel nostro caso, mettiamo: Maria Caterina Creditori. Non cliccare sulla casella “apri”. Clicca sulla freccetta della casella “Registro”. Tra le varie opzioni che ti offre la ca tendina che si apre, in un caso come il nostro (di ricorso per decreto i.) scegli “contenzioso civile” (attenzione, da ora in poi, senza ulteriori chiarimenti, faremo le scelte sempre riferendoci all’esempio prescelto all’inizio, ricorso di certa Maria Caterina Creditori ecc.ecc.). Clicca sulla freccetta della casella “Ruolo”: tra le varie opzioni che propone la tendina, scegliamo “Procedimenti speciali sommari”. Clicca sulla freccetta della casella “Grado” e, poi, nella tendina, scegli “Primo” e cliccaci sopra. Clicca sulla freccetta della casella “Tipo parte” e, nella tendina, scegli “Ricorso” cliccandoci sopra. Nell’ampio riquadro, che troviamo nella seconda parte della schermata, tra le varie situazioni processuali che vi appaiono elencate, scegliamo, come la più adatta alla procedura da noi scelta: “Fase introduttiva – ricorso per decreto ingiuntivo”. Fatto tutto questo, clicchiamo su “Avanti”. Ci appare la “Schermata 12” (a meno che noi ci si fosse dimenticati di completare una casella necessaria: in tal caso il redattore non ci farebbe andare avanti e apparirebbe una scritta del tipo “L’identificazione della

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busta é un campo necessario” e noi, per andare avanti, dovremmo completare la casella relativa).Schermata della figura 12 - Saltiamo la casella “Rito”. Saltiamo la casella “Ruolo2 (che peraltro troviamo già riempita con la parola “Speciale”. Clicchiamo invece sulla freccetta della casella “Ufficio”: ci appare un elenco di uffici giudiziari: dobbiamo scegliere quello competente per la procedura da noi scelta: noi scegliamo, “Tribunale di Arezzo”. Clicchiamo sulla freccetta della casella “Oggetto”: tra i vari “oggetti” che vengono proposti, noi scegliamo “Procediemnto di ingiunzione ante causam”.Siamo così arrivati alla casella “Valore” (in cui dovrebbe essere indicato il valore della causa ai fini della determinazione del contributo unificato) noi, fingendo che si tratti di una causa esente da contributo, indichiamo come valore “zero”. Poi clicchiamo “Avanti”.Ci appare una schermata che, se noi avessimo indicato per la causa un valore superiore a “zero”, avremmo dovuto riempire con, l’indicazione del contributo unificato, degli estremi del pagamento, con l’indicazione delle marche utilizzate per il pagamento ecc.ecc.Siccome la procedura da noi scelta é esente da contributo, clicchiamo subito “Avanti”: ci appare la “Schermata della figura 13”.Schermata della figura 13 - Clicchiamo su “Nuovo”, che si trova sotto la casella “Parte – soggetto che introduce”: appare una nuova schermata, chiamiamola “schermata 13bis”. In tale schermata clicchiamo la freccetta della stringa “Parte. Natura giuridica”: tra le varie opzioni, scegliamo “Persona fisica” e vi clicchiamo sopra. Nella stringa “Cognome o denominazione” scriviamo “Creditori” (che é il cognome che abbiamo dato alla ricorrente). Nella casella “Nome”, scriviamo “Maria Caterina”. Nella casella “Codice fiscale”, scriviamo SNGMCT43L55A923K (il fasullo codice che abbiamo attribuito alla ricorrente). A questo punto clicchiamo sul quadrattino “Indirizzo” e nelle seguenti caselle scriviamo l’indirizzo da noi attribuito alla ricorrente (Via San Gerolamo 123 – 52100 Arezzo). Clicchiamo su “Conferma”. Con ciò ritorniamo alla “Schermata della figura 13”. Questa volta clicchiamo il bottone “Nuovo” che é sottostante la casella “Controparte”. Ci appare una nuova schermata, chiamiamola, “schermata 13 ter”. Noi operiamo come fatto con la precedente “schermata 13bis” mutatis mutandis (in particolare, il codice fiscale possiamo ometterlo). Clicchiamo su “Conferma”. Riappare la “schermata figura 13”, però questa volta, poste l’una sotto “Parte” e l’altra, sotto “Controparte” appaiono le anagrafiche rispettivamente della parte e della controparte. Clicchiamo su “Avanti”Cliccando su “Avanti” appare una schermata che ha per intestazione “Ricorso per decreto ingiuntivo – Anagrafica – Procedimento – Soggetti – Avvocato”. Sotto l’intestazione vi é la scritta “Avvocato (avvocato coinvolto nel procedimento). Gli

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avvocati qui definiti riferenziano i partecipanti al procedimento”. Sotto la casella relativa a tale scritta vi é un bottone “Nuovo” e noi vi clicchiamo. Appare una schermata, chiamiamola “Schermata 13 quater”. Scriviamo, cognome, nome, codice fiscale dell’avvocato del ricorrente (che normalmente coincide con il professionista “mittente” della busta) Fatto ciò dobbiamo cliccare su “Avanti”: appare la schermata della figura 14.Schermata della figura 14 La schermata ha come intestazione “Ricorso decreto ingiuntivo – Anagrafica procedimento - soggetti - avvocato – domicilio”.Dopo aver cliccato su quadrettino “Domicilio”, scriviamo nelle apposite caselle: via, cap. località, provincia, nazione dell’avvocato. Poi clicchiamo su “Nuovo” sottostante a “Indirizzo (indirizzo del legale)” Tale indirizzo potrebbe coincidere con il domicilio ma noi fingendo che sia diverso, clicchiamo su “Nuovo” e poi indichiamo nella schermata che appare il diverso indirizzo (Via Muratori 7 – 52100 Arezzo); e clicchiamo “Conferma”.Ritornati nella “Schermata della figura 14”, clicchiamo su “Nuovo” sottostante alla scritta “Parte rappresentata. (Riferimenti ecc.)”. Appare una schermata in cui si vede una stringa con accanto una freccetta. Clicchiamo su questa e appare una tendina, che ci offre due opzioni: quella della “parte” (Maria Caterina ecc) e quella della controparte “Mario Rossi”). Noi clicchiamo sul nome della “parte”; e poi clicchiamo “Conferma”. Appare una una schermata in cui vi é una stringa che riporta la anagrafica della parte (“Maria Caterina ecc”). Clicchiamo conferma. Con ciò ritorniamo nella schermata della figura 14. Non essendoci altri avvocati da indicare, clicchiamo “Avanti”. Appare una schermata che ha per intestazione ““Ricorso decreto ingiuntivo – Tipo decreto”. Se nel ricorso noi chiediamo che sia data la sua esecutività, noi clicchiamo sul quadrettino “Esecutivo”. In relazione alla casella “Tipo decreto” ci sono offerte varie opzioni, noi scegliamo la opzione “Somma”; e nella casella “Somma” indichiamo la somma, di cui chiediamo sia ingiunto il pagamento, in 70.000. Clicchiamo, “Avanti”: appare la schermata di cui alla figura 15.Schermata di cui alla figura 15. Nella schermata 15, noi vediamo indicati, prima,: il tipo della procedura, il codice fiscale del mittente, l’identificativo della busta, l’ufficio destinatario, e, poi, sotto una striscia riportante il codice fiscale del mittente e l’identificativo della busta, vediamo, incolonnati: Dati atto, Impostare l’atto principale, nota di iscrizione a ruolo.Dati atto e nota di iscrizione a ruolo, nono due elementi che sono stati formati automaticamente dal redattore in base alle indicazioni che prima gli abbiamo fornito.Il secondo elemento (nellordine di cui alla colonna), ci invita a “impostare” l’atto principale (nel nostro caso il ricorso per decreto i). Ciò che facciamo cliccando sul

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bottone “imposta” (vedi in basso della schermata): appare, sovrapposta alla schermata 15, la schermata della figura 16.Schermata della figura 16 - Siccome noi, prima di iniziare la procedura di deposito della busta, abbiamo avuta la avvertenza di archiviare in “Documenti”: l’atto principale (idest, il ricorso), la procura alla lite, il “riconoscimento di debito”, che intendiamo allegare, noi ora clicchiamo, prima su “Documenti” e ciò fa apparire, tra gli altri file, quello relativo al atto di ricorso, e poi, due volte, su questo file. Come risultato, al posto della scritta “Importare atto principale” (torna a vedere la “schermata di figura 15”), appare l’indicazione “Ricorso prova telematica” (che é l’identificativo che, prima di iniziare la procedura di invio della busta, avevo dato al ricorso). A questo punto clicchiamo sul bottone “Allegati”. Ci appare una schermata in cui vi sono due stringhe: una ha scritto sopra “Tipo allegato”, l’altra, “Tipo conformità”. Clicchiamo sulla freccetta relativa alla prima stringa (“Tipo allegato”): si apre una tendina, in cui sono elencate varie opzioni: allegato semplice, procura alle liti, nota di iscrizione a ruolo, ricevuta pagamento contributo unificato, ricevuta di pagamento telematico....). Noi clicchiamo su “Allegato semplice”. Per semplificarci la vita, non scegliamo tra i vari tipi di conformità. Quindi clicchiamo “Conferma”: ci appare una schermata simile a quella della schermata della figura 16 e, mutatis mutandis, operiamo come abbiamo fatto a proposito di questa schermata: clicchiamo su “Documenti” e, poi, sul file “Riconoscimento di debito”: come risultato si apre la schermata della figura 17Schermata della figura 17, Guardando tale schermata possiamo vedere l’allegato “Riconoscimento di debito” incolonnato insieme all’atto principale. Torniamo a cliccare su “Allegati”. Riappare la schermata già vista in cui ci si invita a indicare il “Tipo di allegato”: clicchiamo sulla freccetta, ma questa volta scegliamo, non allegato semplice, ma “procura alle liti”. Ci appare una schermata simile a quella della figura 16, e noi tra i tanti file scegliamo quello che é relativo alla procura: vi clicchiamo sopra due volte e la procura si incolonna insieme all’atto principale e all’allegato semplice (ciò, però, al paziente lettore non risulterà dalla schermata 17, per un nostro errore).Caricati l’atto principale e gli “allegati” dobbiamo firmare la busta. Clicchiamo pertanto il bottone “firma busta”: appare una schermata simile a quella della figura 15, solo che, invece del bottone “Firma e crea busta” appaiono tre altri bottoni, “Firma tutto” “Firma” “Firma esterna”. Noi clicchiamo su “Firma tutto”; così facendo firmeremo anche atti e documenti che non andrebbero firmati, ma che importa? Quod abundat non vitiat. Cliccando “Firma tutto” ci appare una schermata che ci interroga: “firma tutto” o “firma il neecssario”? Noi insistiamo a cliccare su “Firma

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tutto”: appare la schermata della figura 18.Schermata della figura 18 In questa schermata siamo invitati a confrontare quel che risulta nell’atto principale (nel nostro caso, nel ricorso) con quel che risulta negli “atti strutturati”. Noi, ubbidienti, clicchiamo su “Visualizza confronto”: appare la schermata della figura 19.Schermata della figura 19. In tale schermata, alla sinistra di chi guarda, appare il contenuto dell’atto principale (che naturalmente, nel nostro caso, é un atto molto schematico e imperfetto) e, alla destra di chi guarda, appaiono i “dati” risultanti dagli “atti strutturati”.Verifichiamo la conformità tra i “dati strutturati” e quelli da noi indicati nell’atto principale.A questo punto lasciamo la parola all’ottimo Collega Luca Sileni del Foro Grossetano e al Suo utilissimo libro “Guida Galattica per Giuristi Telematici” edito a cura della Camera Civile degli Avvocati della Provincia di Grosseto e scaricabile dal web).“Qualora vi sia corrispondenza fra i dati inseriti nei due file non dovremo far altro che chiudere la finestra del confronto, collegare il nostro Kit di firma digitale al computer, spuntare la casella “conformità verificata” e poi inserire il PIN. Una volta firmati i file dovremo cliccare nuovamente su “crea busta”, avviando così il processo di crittografazione del documento informatico da inviare alla cancelleria del tribunale.Conclusa la fase di crittografazione, il programma restituirà il file “Atto.enc” che altro non é se non la nostra busta telematica.A questo punto il software ci permetterà di salvare la busta sul computer (ad esempio per inviarla tramite un client webmail, o attraverso un PDA) o anche di inviarla direttamente (scelta che vi consiglio caldamente) attraverso il vostro client e-mail predefinito.In quest’ultimo caso non dovremo far altro che cliccare sul bottone “invia deposito” (….) ed il programma provvederà a creare automaticamente un nuovo messaggio attraverso il vostro client di posta elettronica, che recherà già – quale allegato – il file “atto.enc”, nonché le giuste indicazioni del destinatario e dell’oggetto del messaggio, che vi raccomando di non modificare.Non dovrete quindi far altro che selezionare il mittente (ossia il vostro indirizzo PEC che avrete già configurato con il client di posta elettronica) e premere invio, lasciando in bianco il corpo della mail”.Con un grazie sentito al Collega che ci ha sostenuto mentre alla fine della descrizione dell ‘iter di descrizione di un deposito telematico....... le forze ci venivano a mancare, chiudiamo il presente paragrafo.

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5- Attività successiva al deposito telematico.

Una volta fatto un deposito telematico, che cosa bisogna fare?Bisogna controllare se tale invio ha avuto buon fine. Nel caso di deposito di un atto in cancelleria, tale controllo avviene visionando quattro messaggi: il primo é il “messaggio di accettazione” da parte del nostro gestore PEC (v. fig.....) il secondo é il “messaggio di avvenuta consegna” da parte del gestore della PEC della cancelleria, il terzo é il “messaggio di esito dei controlli automatici (fig......), messaggio che ha un allegato (fig.....), il quarto é il “messaggio di accettazione del cancelliere (fig.....).I primi tre messaggi arrivano molto rapidamente (questione di minuti).; il quarto può tardare qualche ora.A partire dal secondo messaggio, il deposito di un atto in cancelleria s considera effettuato, a meno che il terzo messaggio non rechi indicazione di errori.Dal quarto messaggio (se annunciante il buon fine del deposito) i documenti inviati sono visionabili dal giudice e dalle parti.Con il felice esito del suo deposito non sempre la parte non può considerare ultimate le sue fatiche. Infatti se ha iscritta a ruolo la procedura dovrà ocmpiere un’attività ulteriore (prima dell’udienza). Infatti qualora, qualora abbia pagato il contributo unificato e i diritti di cancelleria con marca Lotto matica, dovrà provvedere al deposito delle marche in cancelleria. Inoltre dovrà depositare le cc.dd. “Copie di cortesia”, cioé le fotocopie (naturalmente in cartaceo) degli atti che secondo gli artt. 165,167 avrebbe dovuto produrre se non si fosse costituita telematicamente (e naturalmente tali atti non li depositerà sparpagliati ma ben riuniti in un fascicolo).

6- Accesso alla cancelleria telematica- Acquisizione copie ad uso studio

Mettiamo che tu voglia leggere la comparsa conclusionale depositata da controparte nella causa di separazione tra Maria e Giuseppe. Devi accedere alla cancelleria telematica. Ecco come si fa.Inserisci la chiavetta USB nel tuo computer.Appare una schermata che ti mostra un elenco di nomi: tu clicca su “Autorun” (ma, attenzione, ci sono due scritte “Autorun”: tu scegli quella tipo “applicazione”).Ti appare una schermata, che ti offre tre opzioni: 1) firma digitale; 2) internet; 3)applicazioni. Tu clicca su “Internet”Appare una schermata con tre icone: 1) banca dati lextel; 2) accesso alla giustizia; 3) configurazione di rete per l’accesso ad internet. Tu clicca su “Accesso ad internet”.

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A questo punto appare la schermata di cui alla figura 21: é il PAD della lextel (il gestore della tua pennetta). Clicca su “accedi” (in basso a destra per chi guarda). A sinistra della schermata che ti appare, ti si invita a digitare username e password; a destra, é rappresentata una chiavetta: clicca su questa.Appare una schermata a cui sovrapposta ce n’é un’altra piccola, che ti invita a digitare la tua password: lo fai, e, poi, clicchi su “OK”. Nella schermata che ti appare ti vengono offerte sei opzioni: tu clicca su Poliswed.L’ apparizione della schermata di cui alla figura 22, ti dice che sei entrato in Poliswed. In tale schermata vedrai messe in evidenza due scritte: “Poliswed SICID e, più sotto, Poliswed SIECID. Entrando in Poliswed SICID si possono consultare i fascicoli attinenti alle cause di cognizione. Entrando in Poliwed SIECID si possono consultare i fascicoli relativi alle procedure esecutive. Nel tuo caso devi cliccare l’icona “entra” relativa a SICID.Entrato in SICID per prima cosa devi selezionare l’ufficio giudiziario che ti interessa: come fare? Semplice, essendo tale ufficio il tribunale di Roma, prima, selezioni, nella casella che si trova sotto la scritta “Uffici giudiziari” “Corte di Appello di Roma” (figura 25). E poi, nell’ambito dei tribunali che rientrano nel circolo della C.A. Roma, selezioni “tribunale Roma” (figura 26).Una volta che hai selezionato “Tribunale Roma”, per acquisire il fascicolo che ti interessa, va alla schermata di cui alla figura 30. Poi, sotto la scritta “Servizi”, che si trova alla sinistra di chi guarda, seleziona “Fascicoli personali”. Poi clicca nella freccetta della casella, “Selezione del registro”: ti viene offerta la scelta tra tre cancellerie a cui accedere: cancelleria civile, cancelleria lavoro, cancelleria volontaria giurisdizione. Dovendo consultare il fascicolo di una causa di separazione, tu selezioni, cancelleria civile. Fatto questo inserisci nelle caselle sottostanti più dati che puoi, in primis il numero di ruolo generale della causa. Clicchi “Ricerca”.Guarda la schermata di cui alla figura 31: la ricerca ha avuto esito positivo e ti vengono dati: il numero di ruolo generale della causa, il nome delle parti (nella figura non li vedi, come non vedi i dati che seguono, per tutela della privacy) la prossima udienza, il giudice. Guardando alla estremità della stringa sovrastante noterai un “P D S”. Che significano queste tre lettere? La prima, sta per “parti in causa”, la seconda per “Documenti”, la terza per “Storico”.Se clicchi sulla “P”, si apre la schermata di cui alla figura 32: da cui puoi trarre informazioni su: atto costitutivo in giudizio, costituzione in giudizio, ruolo, materia (….).Se clicchi su “D” si apre la schermata di cui alla figura 34, che ti informa sui documenti inseriti nel fascicolo.Se clicchi su “S”, si apre la schermata di cui alla figura 33 che ti dà il c.d “storico”,

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cioé ti informa su tutti gli eventi che hanno interessato la procedura fin dal momento della sua iscrizione a ruoloA questo punto, se tu vorrai leggere un dato documento (la comparsa conclusionale), non avrai che da cliccare sul file relativo a tale documento: ti si aprirà una schermata e a te basterà cliccare su “copia informatica” per acquisire nel tuo computer il file cliccato.

Note a paragrafo 6.

1) Infatti per dare allo studioso un’idea di un programma diverso da quello offerto dalla carta nazionale servizi, in questo paragrafo utilizzeremo il programma dato dalla lextel. 7- La preparazione della copia di un atto ai fini della sua notifica. Un’importante eccezione, la notifica della copia di un titolo esecutivo.

Poniamo che noi si voglia notificare un atto, metti una sentenza: come dobbiamo operare?Prima di tutto dobbiamo scaricare dalla cancelleria telematica l’atto (e questo lo possiamo fare a costo zero, dato che in materia telematica non si pagano i “diritti di copia”).Fatto questo, dobbiamo decidere se notificarlo via PEC oppure via UNEP (o posta raccomandata ex L. 53/94)Se vogliamo notificarlo via UNEP dobbiamo farne tante copie in cartaceo quanti sono i notificandi più una e dobbiamo autenticarle con una formula del tipo della seguente: “Attestazione di conformità – Io sottoscritto avv. Cicero Primo, ai sensi dell’art. 16bis, comma 9 bis, D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012, introdotto dall’art. 52 D.L. n.90 del 24/ 6 / 2014 attesto che il soprascritto atto – di pagine sei esclusa la presente - é copia perfettamente conforme della Sentenza emessa in data..... ed esistente in forma digitale nel fascicolo informatico 5638/2014 R.G. Tribunale di Arezzo.. Data e luogo – Firma dell’avvocatoNaturalmente la relata di notifica a firma dell’ufficiale giudiziario seguirà l’attestazione di conformità a nostra firma.Se invece vogliamo notificare l’atto via pec, naturalmente lo dobbiamo conservare in formato digitale e l’autentica – che secondo opinione autorevole va inserita nella relazione di notifica - va fatta adottando una formula del tipo di quella che segue: “Attestazione di conformità – Io sottoscritto avv. Cicero Primo, ai sensi dell’art.16bis, comma 9bis, D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012, introdotto dall’art.

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52 D.L. n.90 del 24/6/2014, attesto che l’antescritto atto – di pagine sei esclusa la presente - é copia perfettamente conforme della Sentenza emessa in data.....ed esistente nel fascicolo informatico n..../----R.G. Tribunale di Arezzo Luogo e data - firma dell’avvocato

Dunque l’avvocato può autenticare le copie degli atti e la sua dichiarazione di autentica ha lo stesso valore di quella proveniente da un pubblico ufficiale (anzi, l’avvocato é un pubblico ufficiale nel momento in cui autentica la copia di un atto).Ma tale regola ha una importante eccezione: l’avvocato non può autenticare una copia in forma esecutiva. Pertanto quando egli necessita di una tale copia deve (con istanza inviata telematicamente) rihciederla al cancelliere. (e poi naturalmente deve andare a ritirare tale copia rilasciata in cartaceo nella cancelleria – non gli viene spedita telematicamente).

8 – La notifica

La Legge conferisce il potere di notificare un atto all’avvocato (all’avvocato munito di procura, se l’atto riguarda, non personalmente l’avvocato, ma un terzo). Lo conferisce, bada, a tutti gli avocati, e non solo a quelli autorizzati dal Consiglio dell’Ordine. Tale potere la legge lo conferisce per la notifica di tutti i tipi di atto? Sì, per tutti i tipi di atto. Invece tale potere di notifica non può essere esercitato nei confronti di tutte le persone; ma solo nei confronti delle persone (non importa se si tratti di persone fisiche o giuridiche, si tratti di avvocati, imprenditori o....chicchessia) le quali, non solo siano titolari di un indirizzo PEC, ma siano titolari di un indirizzo PEC censito in un pubblico registro (cosa che tu avrai la prudenza di verificare nei modi detti in un precedente paragrafo).Ora mettiamo che tu, avvocato Cicero I (tale il nome che mi piace attribuirti), voglia notificare un atto (metti, un decreto ingiuntivo con pedissequo decreto) in via informatica alla ditta Webstart di Sinalunga.A tal fine non ti occorre un redattore, però non puoi fare a meno di risultare (nel ReGindE) titolare di un indirizzo PEC e di avere un dispositivo di firma elettronica.A questo punto cominciamo, passo dopo passo, a vedere la procedura che occorre seguire per effettuare una notifica.Nella prima schermata vedi, quasi alla fine della colonna di nomi che ti appare quello di” Autorun” Tu vi clicchi sopra (ma attenzione vi sono due “Autorun” tu clicca su “Autorun” tipo “applicazione”.La secoda schermata ti propone tre opzioni: Firma digitale” “Internet” “Applicazioni”: tu clicca su “Internet”La treza schermata; ti propone di scegliere tra: 1) Banca dati lextel; 2)Accesso alla

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giustizia 3)oonfigurazione di rete per l’accesso ad internet: tu clicca su “Accesso alla giustizia”Ti appare poi la schermata di cui alla figura 21: é il PAD di lextel. Clicca su accedi (vedi in basso a destra).Ti appare una schermata che ti offre due opzioni: la prima ti invita a digitare i username e password; la seconda (a destra per chi guarda) contiene l’immagine di una chiavetta: tu clicca sulla seconda (quella con la chiavetta).Ti appare una schermata, sovrapposta alla quale ce n’é un’altra più piccola che ti invita a digitare la tua password: lo fai e, poi, clicchi su “OK”.Appare una schermata che ti propone sei opzioni: tu clicca su quella contraddistinta dal nome “Polisweb”.Con la schermata che ti appare (schermata della figura n.22) tu sei finalmente entrato in Polisweb. Vedrai che nella schermata prima é posto in evidenza ““Polisweb SICID” e più sotto, “PoliswebSIECID”. Entrando in Polisweb SICID” tu hai la possibilità id consultare i registri e i fascicoli attinenti processi di cognizione, entrando in “Polisweb SIECID “tu hai la possibilità di consultare i registri e i fascicoli delle procedure esecutive. Tu, dovendo consultare una memoria attinente un processo di cognizione, entri in “Polisweb SICID” (cliccando su “Entra”). prima schermata Primo passo. Devi preparare (in formato PEC) il “Messaggio” da inviare. Sì, perché, l’atto notificando, così come la relativa relazione di notifica e la procura, si presenteranno come degli allegati a una PEC inviata al destinatario della notifica.. Cosa dovrà risultare scritto nel “messaggio”? Semplicemente: “Notificazione ai sensi della Legge n. 53 del 1994”. Tutto qua.

Secondo passo. – Si “prepara” l’atto principale (la citazione, la sentenza...) per la notifica. A tale proposito bisogna distinguere il caso che l’atto notificando sia da te creato (un atto di citazione, una “intimazione a testi”...) e il caso in cui, invece, l’atto non sia da te creato (sentenza, decreto ingiuntivo pedissequo a tuo ricorso …..).In tutti e due i casi tu devi trasformare, scansionandolo, l’atto in forma digitale (naturalmente se non é già in forma digitale e se l’atto é stato da te creato si ha da pensare che già lo sia); in tutti e due i casi lo devi trasformare in pdf; in tutti e due i casi lo devi firmare digitalmente; però, nel secondo caso, ti dovrai ricordare di inserire nella relata di notifica (di cui parleremo) l’attestazione di conformità (di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo).

Terzo passo. Preparazione della procura per la notifica. Questo, naturalmente, se la procura va notificata telematicamente (problema che tu risolverai molto semplicemente ponendoti la domanda: se chiedessi la notifica tramite UNEP, la

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procura la dovrei notificare oppure no? solo se rispondi a tale domanda positivamente, devi procedere alla notifica telematica della procura).Dovendo provvedere alla notifica della procura, devi: 1- redigere la procura in un documento separato; 2- far firmare dal cliente e firmare tu come al solito la procura; 3-scansionare il documento (a meno che, rara avis, possedendo, il cliente, la firma elettronica, tu non abbia creato già in forma digitale la procura e in tale forma l’abbia firmata tu e il cliente); 4- trasformare il documento in pdf; 5-, firmare digitalmente tale documento.

Quarto passo. Preparare gli allegati eventuali per la notifica. Questo é molto semplice: li trasformi in forma digitale e in pdf; li firmi digitalmente (può talvolta non essere necessario, ma quod abundad non vitiat).

Quinto passo. Prepari la relazione di notifica in documento separato.A tale proposito devi tenere presente che il comma 5 art. 3bis Legge 53 del 1994, impone precisi contenuti alla relazione, così recitando: “L’avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata. La relazione deve contenere: a) il nome, cognome ed il codice fiscale dell’avvocato notificante, b) (abrogato); c) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti; d) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario, e) l’indirizzo di posta elettronica certificata a cui l’atto viene notificato, f) l’indicazione dell’elenco da cui il predetto indirizzo é stato estratto; g) l’attestazione di conformità di cui al comma 2”.La relazione quindi potrebbe assumere la seguente forma:

Relazione di notificaIo sottoscritto avv. Cicero Primo c.f.............; difensore di Mario Bianchi, c.f...........per procura in calce al ricorso per decreto ingiuntivo

attestoai sensi dell’art.22 comma 2 D.Lgs, 7.03.2005, n.82 la perfetta conformità dell’allegato decreto ingiuntivo pedissequo a ricorso al decreto ingiuntivo in data....esistente nel fascicolo informatico …./...R.G. Tribunale di.......E nella qualità sopradetta, tale decreto

notificoa Mario Rossi all’indirizzo di posta elettronica certificata.......come ricavato da......(indicazione del pubblico elenco dal quale é stata tratta la PEC del destinatario).(Nel caso di notificazione effettuata nel corso del procedimento, va aggiunto:)L’atto come sopra notificato attiene al giudizio pendente davanti al Tribunale di …..

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R.G. n....../........Luogo e dataDevi trasformare la relata in pdf e, dopo, devi firmarla.

Sesto passo. Invia il “messaggio”,allegando l’atto notificando e eventualmente la procura e altri documenti. L’invio si effettua né più né meno come si inviasse una qualsiasi PEC con allegati.In caso di problemi nella consegna del “messaggio” nella casella PEC del destinatario, ti arriverà un “avviso di mancata consegna” (con l’indicazione dei motivi di ciò). Altrimenti, come al solito, ti vedrai arrivare (entro brevissimo tempo) le due solite “ricevute”: quella di accettazione del tuo gestore e quella di avvenuta consegna del gestore del destinatario.

Anche per le notifiche via PEC vige il principio della c.d. “doppia decorrenza”; e pertanto la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la prima “ricevuta” e, per il destinatario della notifica, nel momento in cui viene generata la seconda ricevuta.Come si dà la prova dell’avvenuta notifica di un atto? La risposta la dà l’art. 9, l. 21 gennaio 1994,n.53, che recita: (Omissis. Qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’articolo 3bis, l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell’art.23,comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005,n 82”. Quindi, per dare la prova della notifica, nella quasi generalità dei casi depositerai telematicamente la ricevuta di accettazione (del tuo gestore) e la ricevuta di avvenuta consegna del gestore del destinatario (tieni presente che quest’ultima ricevuta contiene copia del “messaggio” e degli allegati, quindi anche dell’atto notificando). Nel caso non ti fosse possibile effettuare il deposito telematico (metti, perché il deposito andrebbe effettuato davanti al Giudice di Pace) dovresti: A) Stampare: 1) il “messaggio”; 2) l’atto notificato, tutti gli altri allegati, la relazione di notifica; 3) la ricevuta di accettazione; 4) la ricevuta di avvenuta consegna.B) Attestare l’autenticità dei sopraddetti atti; il che potresti fare adottando la formula seguente.

Attestazione di conformità delle copie cartaceeall’atto notificato in via telematica

Io sottoscritto avv................ nella qualità di difensore di Mario Bianchivisto il comma 1bis, art.9 legge 53/94;

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ai fini di dare la prova dell’avvenuta notifica da me fatta in via telematica, in data...... a Mario Rossi del decreto ingiuntivo in data....e della procura ad litem a me rilasciata da Mario Bianchi

attestoche gli allegati atti e documenti:1) Atto di citazione; 2) procura ad litem; 3) relata di notifica; 4) messaggio pec di invio, sono perfettamente conformi ai correlativi atti che io (dove averli digitalmente sottoscritti quando occorreva e cioé nel caso dell’atto di citazione, della procura e della relata di notifica) ho notificato a Mario Rossi mediante invio in data...alle ore...dalla casella di posta certificata.....alla casella di posta certificata............... e che le due allegate ricevute di accettazione e di avvenuta consegna sono perfettamente conformi a quelle rilasciate dai gestori Pec in relazione a tale invio.

C) depositare la “attestazione di conformità” con gli allegati in cancelleria.

dal ndal il sovraesteso decreto ingiuntivo é copia perfettamente conforme al decreto ingiuntivo in data.....allegato insieme alla procura al messaggio ad hoc inviato per posta elettronica certificata in data.....alle ore...... dalla acsella p.e.c …...alla casella p.c.e....

B) Minidizionario del processo telematico

Firma digitale - Fino a ieri la sicurezza (sempre relativa, dato che in questo basso mondo tutto é relativo) sulla paternità di un atto era data (nella stragrande maggioranza dei casi) dall’apposizione, a chiusura di uno scritto, dell’autografia del nome di chi si pretendeva “padre” di tale scritto.. Per convenzione, infatti, a tale autografia del nome si attribuiva il significato: “Sono io, Pinco Pallino, la persona a cui vanno riferite le dichiarazioni sopra scritte”.Oggigiorno, con la diffusione dei documenti informatici (in parole più semplici, dei documenti ottenuti, sotto forma di file, digitando su un computer), per rendere certa la propria paternità di un documento informatico (di un file), non è più ovviamente possibile usare la procedura di apporre la firma autografa, e si segue pertanto un’altra procedura che implica l’utilizzo di strumenti informatici – procedura destinata ad essere per un uomo di legge del tutto misteriosa; ma questo poco importa, forse non vive bene l’uomo di legge anche se non sa per quali vie misteriose, girando un interruttore, appare la luce a illuminare la stanza in cui lavora?! Così egli può continuare tranquillamente a vivere anche se sa solo che, seguendo la procedura che subito verremo a dire, con soddisfazione del legislatore

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il documento elettronico si intende “firmato”.Prima di dire, però, come si firma elettronicamente, dobbiamo dire che la procedura informatica a scopo di firma (cioé a scopo di individuare l’autore di un documento) o di autenticazione (cioé a scopo di individuare chi chiede un quid, ad esempio di accedere a certe informazioni o a certi servizi) può dare, secondo i casi, un diverso grado di certezza. Cerco di farmi capire. Se viene inserita in un bancomat la “carta” rilasciata dalla banca a Pinco Pallino e subito dopo viene digitato il pin rilasciato dalla banca sempre a Pinco Pallino, la banca acquisisce, sì, una ragionevole certezza che chi usa della carta e del pin é Pinco Pallino, ma una certezza in fondo relativa (forse che sia la carta che il bancomat non potrebbero essere stati sottratti illegittimamente a Pinco Pallino?). Per questo si dice che la procedura in tal caso dà una certezza “debole”.Tutto questo discorso l’ho fatto, per far capire che ci possono essere “firme deboli” e “firme forti”. Tra queste si ritiene che meriti di essere collocata, la firma che per precisa volontà legislativa va usata nel processo telematico, che pertanto viene definita come “firma elettronica avanzata” (anche, se a dir il vero il dispositivo per farla e il pin connesso possono essere sottratti non meno che un bancomat e il pin al bancomat connesso).Comunque sia, veniamo al punto che a noi “pratici” soprattutto interessa: come si fa tale “firma elettronica avanzata”? Per darti una prima idea di come tale firma si fa, mettiamoci nel caso che tu voglia depositare un ricorso per decreto ingiuntivo: ti siedi davanti al tuo computer, lo accendi, inserisci il tuo dispositivo di firma nel computer e seguendo gli input che ti dà il tuo redattore (vedi la voce “Redattore”), tranquillamente ti metti a completare le varie caselle, che, schermata dopo schermata, vengono a cadere sotto i tuoi occhi (come meglio é detto nel paragrafo 4 di “Cenni sul processo telematico”). A un certo punto ti si presenta una casella che implicitamente ti invita a indicare il tuo pin: tu lo fai, e prosegui a completare le successive caselle. A un certo altro punto ti appare una schermata in cui appare la icona “Firma”: tu clicchi su tale icona e...la firma é fatta. Quindi per fare la firma hai dovuto eseguire solo tre semplicissime operazioni: inserire la pennetta, indicare nella casella ad hoc il tuo pin, cliccare su un bottone con su scritto “firma”. A questo punto, facciamo un passo avanti. Ti ho detto che nella nostra materia si distingue tra “firma debole” e “firma digitale”; ora debbo aggiungere che, sempre nella nostra materia si fa un’altra distinzione: quella tra “firma formato CADES” e “firma formato PADES”. E il legislatore vuole che nel processo telematico si facciano solo “firme formato CADES”. Che cosa debbo fare, tu mi domanderai, per obbedire a tale volontà del Legislatore? Non devi fare un bel niente. Infatti la “smart card” e la “pennetta USB” che hai acquistate, sono già predisposte per fare “firme formato CADES”. Quindi é solo per soddisfare la tua curiosità che ti dirò il perché il

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Legislatore impone l’uso della “firma formato CADES”. Il legislatore impone l’uso di tale firma perché gli apparati elettronici di cui sono dotati i PAD (vedi voce “PAD”) e le cancellerie degli uffici giudiziari, sono capaci di “aprire” (idest, di permettere di leggere il contenuto di) solo i file con una certa “estensione” (da che cosa é data una “estensione? é data dai tre ultimi caratteri alfanumerici che contraddistinguono un file: dunque, ad esempio, in “atto.pdf.p7m” l’estensione é data da “p7 m”). Più precisamente sono capaci di “aprire” solo i file con estensione “p7m”, che, ecco il punto, é l’estensione dei file firmati col sistema CADES.Per quel che riguarda lo studioso del processo telematico quanto ora detto basta. Però siccome questo libro é destinato ad avvocati, che potrebbero avere interesse a firmare documenti da spendere fuori del processo telematico. Sento la necessità di aggiungere due parole sul “formato firma PADES”. E infatti é proprio la “firma formato PADES” che é la più usata al di fuori del processo telematico (ad esempio, per la corrispondenza tra Professionisti). Questo perché? Perché è quella di più facile utilizzo: infatti firmando col la firma PADES si viene a creare una icona sul documento firmato, e chi lo riceve basta che faccia un doppio clic su tale icona per poter aprire e quindi leggere tale documento.Mi domanderai: volendo fare la firma PADES posso utilizzare la smart card (vedi, voce smart card) e la pennetta USB che mi sono procurato per interagire nel processo telematico? Per quel che riguarda la smart card la risposta é senz’altro negativa; per quel che riguarda la pennetta USB, la risposta é positiva purché tu operi certe modifiche nella pennetta.Altra domanda che mi potresti fare: posso mettere la “firma digitale” solo utilizzando il mio computer o utilizzando anche un altro computer (metti, il computer di una copisteria)? Certamente sì, puoi “firmare” anche utilizzando un altro computer (e, del resto, chi ti ha venduto la smart card o la pennetta, forse che Ti ha chiesto su quale computer andavi a usarla?).PAD – Il “punto di accesso”, (il cui acronimo é appunto PAD) si presenta come un sito, che, come qualsiasi altro sito, si può visitare andando in Google. Visitando un PAD, si può conoscere la pec di certi soggetti - ad esempio, visitando il PAD gestito dal Consiglio Nazionale del Notariato si può conoscere la pec dei notai di tutta Italia, visitando il PAD gestito dalle Camere di Commercio, si può conoscere la pec di tutte le imprese iscritte a una Camera di Commercio, visitando il PAD del Ministero della Giustizia, si può consultare il “ReGInDE” (che a sua volta permette di conoscere la pec di tutti i professionisti obbligatoriamente iscritti in un Albo....). Ma oltre a questo servizio certi PAD, e questo é molto importante per noi avvocati, permettono di interagire nel processo telematico. Questo é il caso del PAD della Regione Toscana, (ma naturalmente, tale PAD permette di interagire nel p.t solo previa installazione della relativa smart card – vedi voce “smart card”). Questo é

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ancora il caso del PAD della “Lextel S.p.A. “(che, però, permette di interagire nel p.c solo a chi ha acquistato una pennetta “Lextel”). Per altre informazioni rinviamo alla voce ReGInDE.

Pennetta USB – Vedi voce, “Smart card e pennetta USB”.

PEC – E’ l’acronimo di “Posta elettronica certificata”. La legge prevede che certi privati (i così detti “gestori di posta pec) abbiano il potere di rilasciare certificazioni (che obbligano chi ne contesta la veridicità a dare la prova contraria) su: 1) la spedizione di una certa e.mail dal soggetto A al soggetto B; 2) l’arrivo della e,mail al soggetto B; 3) la data in cui la e. mail é stata spedita.Naturalmente tali “gestori” non provvedono a tale loro funzione gratuitamente: bisogna pagar loro un abbonamento annuale (di solito inferiore ai cinque euro)(1). E’ questo un esborso fastidioso, ma a cui comunque noi avvocati non possiamo sottrarci, dato che la Legge ci impone di avere una casella pec. Che cos’é una casella pec? É, per esprimerci in parole semplici, una schermata, che noi possiamo vedere e gestire dopo essere entrati (cliccando il suo indirizzo in google) nel sito del nostro gestore. Ad esempio, per me, che ho come gestore Arruba, le cose vanno così: clicco (andando in Google) “arruba”: mi si apre il sito “Arruba: clicco webmail; poi clicco ancora webmailpec: a questo punto mi si chiede il mio username (che per me, come per tutti gli utenti pec, é impostato in base al mio nome: “[email protected]”) e la password, soddisfo tale richiesta e...mi trovo nella mia casella pec - da dove posso mandare delle e.mail (meglio detto, delle pec) e leggere e scaricare le pec ricevute.E’ importante sapere che quando inviamo una pec, la ditta che gestisce la nostra posta pec (e che ben può essere diversa dalla ditta che gestisce la posta pec della persona con cui vogliamo corrispondere) ci fa avere una ricevuta (c.d. ricevuta RdA, l’acronimo sta per “ricevuta di accettazione”) e che un’altra ricevuta (c.d. RdAC, acronimo per “ricevuta di avvenuta consegna) ci viene fatta avere, questa volta dal gestore del nostro corrispondente, quando la nostra pec viene depositata nella casella di questi.Da tali certificazioni, come ho detto all’inizio, risulta solo che tu hai spedito il giorno tal dei tali una mail all’indirizzo tal dei tali (salvo quanto diremo in altra sede a proposito delle notifiche via pec). Cioé tali certificazioni ti danno né più né meno la stessa prova che ti darebbe la spedizione di una raccomandata con ricevuta di ritorno (però, e non é poco, praticamente senza spesa, senza doverti scomodare per andare all’ufficio postale e, soprattutto, facendo arrivare la posta in tempo reale). Però tu, sobbarcandoti a una spesa ulteriore (rispetto a quella dell’abbonamento al gestione pec) potresti ottenere anche la certificazione del

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contenuto delle pec da te spedite.Mi domanderai: ma io posso spedire una pec a chi non ha una casella pec? Certo lo puoi, ma in tal caso otterrai solo la certificazione di aver spedita la pec, non la certificazione che questa é arrivata a destinazione.

Nota alla voce PEC – 1) E il costo dell’abbonamento é così basso in quanto ciascun Ordine Avvocati ha l’avvertenza di stipulare una convenzione con un gestore pec. Quindi il Collega che vuole, anzi deve, stipulare un abbonamento con un gestore pec, la prima cosa che ha da fare é recarsi alla segreteria dell’Ordine per informarsi con quale gestore il Consiglio dell’Ordine ha stipulata una convenzione.

P.D.F. - Il pericolo, quando si manda un file, é che chi lo riceve, lo modifichi arbitrariamente: abbiamo scritto nella nostra “memoria”: “L’annello della signora Doviziosa vale mille” e quanto da noi scritto viene modificato in “L’anello....vale cento”. Dobbiamo quindi impedire che ciò avvenga; e lo impediamo appunto trasformando quanto da noi scritto in p.d.f. (che é l’acronimo di portable document format)Questa trasformazione non é per nulla difficile: ogni computer niente niente evoluto ti permette di ottenere ciò in tre o quattro clic. Io, che ho open office, clicco su “file”, nella colonna di nomi che si apre, clicco su “esporta nel formato pdf”....e la cosa é praticamente fatta. (dato che gli altri passaggi sono intuitivi).

Polisweb – Chi vuol spedire una pec ha l’esigenza di conoscere l’indirizzo del suo destinatario e l’avvocato ha l’esigenza di consultare il fascicolo telematico (per leggersi gli atti in tali fascicolo depositati, per estrarne copia...).A tali esigenze e ad altre ancora, dà soddisfazione lo Stato organizzando un’infrastruttura, il poliweb, il cui portale di accesso é http://pst.giustizia.it.Alcuni servizi e alcune informazioni lo Stato li dà a quivis de populo (c.d. “Area pubblica” del Polisweb); altri invece li riserva a solo certe categorie di persone, e tra queste, gli avvocati (c.d. “Area riservata” del Polisweb).In particolare, accedendo all’area privata, tu, avvocato, puoi, come del resto tutti i cittadini, consultare le raccolte giurisprudenziali e soprattutto avere sui procedimenti pendenti le informazioni essenziali (quindi, non puoi conoscere i nomi delle parti e consultare le carte processuali). Tuttavia, ancorchè solo “essenziali”, le notizie che puoi ricavare con un accesso all’area pubblica, possono esserti molto utili in certi casi (come nel caso in cui tu voglia intervenire in una causa tra terzi); esse infatti riguardano la sezione e il giudice assegnati e, il c.d. “storico”, cioé l’elenco degli eventi relativi alla causa: le udienze fatte e quella da fare, l’eventuale

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nomina di un CTU ecc. Anche per avere tali notizie però dovrai almeno sapere il numero di ruolo generale della causa.

Redattore atti” - E’ un software (quindi non un quid che puoi vedere e toccare) che ha al funzione di guidare l’operatore nella redazione di un atto, costringendolo (così come i binari costringono il treno ad un dato percorso) a dare, e a dare in un dato ordine, tutte le informazioni che il legislatore ritiene necessario siano date. Esistono in commercio diversi tipi di redattori. Noi qui ti segnaliamo il redattore SL-PCT, che é “open source” cioé aperto a tutti, grauito.Il redattore SL – PCT lo si può scaricare facilmente da Google.

ReGInDE _ Il Registro generale degli indirizzi Elettronici (di cui ReGIndE é l’acronimo) si può consultare visitando il PAD del Ministero della Giustizia. La sua consultazione permette di conoscere la pec di tutti i professionisti la cui iscrizione in un Albo é obbligatoria. (mentre, se si vuole conoscere la pec di quelle imprese la cui iscrizione é obbligatoria presso una Camera di Commercio, occorre visitare il PAD della Camere di Commercio e consultare il relativo registro).Come si consulta il ReGindE? A tal fine bisogna, prima di tutto inserire la propria smart o chiavetta USB nel computer (infatti la consultazione del ReGIndE non é permessa a tutti), poi andare in Google digitando “Ministero della Giustizia”. Nella schermata che si apre, cliccare “Portale dei servizi telematici” (il cui acronimo, é PST); quindi cliccare “Area Riservata ad accesso controllato” (e infatti il PST, ha un’area aperta al pubblico e un’area riservata); indi cliccare su ReGInde. A questo punto, é necessario inserire il cognome e il nome della persona cercata (se non si conosce il nome,é possibile sostituirlo con asterisco – ad esempio Giobatta Parodi oppure anche Giobatta*).Fatto ciò si ottiene la scheda relativa al nominativo inserito. Da tale scheda risultano le seguenti informazioni (relative alla persona cercata): Ordine di appartenenza; cognome e nome; domicilio legale (ma questo non sempre); codice fiscale; indirizzo PEC; stato professionale (se abilitato, radiato, sospeso).E’ importante sapere che gli uffici giudiziari, quando ricevono da un difensore un atto (meglio, una “busta telematica” contenente un atto o un insieme di atti e documenti), oppure quando fanno una comunicazione o notifica a un difensore, controllano (in base al codice fiscale prelevato dal fascicolo informatico) se il difensore in questione ha un indirizzo pec censito nel ReGIndE. E se tale indirizzo pec non risulta (nel ReGIndE) respingono l’atto inviato o effettuano la notifica in cancelleria.Pertanto é importante che l’avvocato periodicamente controlli la esistenza e la correttezza della propria scheda nel ReGIndE.

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Lo studioso a questo punto vorrà sapere: ma devo essere io a fornire al ReGIndE la mia pec eccetera? No, a questo provvede l’Ordine a cui sei iscritto.

Scanner. Il nostro computer può trasmettere solo dei file (alias, dei documenti informatici). Ciò non crea nessun problema quando vogliamo trasmettere uno scritto (una citazione, una memoria, una lettera...) da noi elaborato digitando sul nostro computer. Ma che fare quando dobbiamo trasmettere un documento (uno scritto o un disegno o una fotografia....) che é in formato analogico (alias, é su carta)? Chiaro dobbiamo trasformare il documento analogico in un file. Tale risultato ci é permesso da un marchingegno che si chiama “scanner”. Procurarsi e usare uno scanner é facilissimo. Per quel che mi riguarda ho fatto così, o meglio ha fatto così un mio amico (io sono totalmente sprovveduto in materia informatica): é andato in Google, vi ha cercata l’applicazione “Solution”, me l’ha scaricata sul mio desktop e ora io, quando voglio scannerizzare qualche cosa, colloco il foglio cartaceo nella mia stampante (così’ come faccio quando voglio fotocopiare), poi clicco sull’icona “Solution” e...seguo le istruzioni intuitive che mi vengono date.

Smart card e “pennetta USB”– Cominciamo a parlare della smart card. Di smart card esistono vari tipi. Ma quella che a noi qui interessa é la smart card che le regioni rilasciano alle persone residenti nel loro territorio per accedere ai servizi sanitari (lo studioso ne può vedere un esemplare in figura 1 della “Appendice”). Infatti tali smart card permettono anche di accedere al Processo civile telematico. Però per servire a tale scopo una smart card deve prima essere attivata e installata. Per l’attivazione occorre recarsi alla USL del Comune in cui si risiede e lì chiedere appunto la attivazione della propria smart card esibendola. Il funzionario addetto al momento dell’attivazione rilascerà un pin.Dopo l’attivazione la carta va installata – e installata naturalmente nel sito di una Regione che permette l’accesso al processo telematico. Noi consigliamo di compiere la installazione nel sito della Regione Toscana. A tal fine si va in Google si individua il sito “Regione toscana – Giustizia in Toscana”, vi si entra e (con un po’ di fortuna) si individua “Cancelleria telematica”. Seguendo le istruzioni date in tale sito si installa la smart card. Il vantaggio della smart card é che é praticamente gratuita. Tale invece non é la pennetta USB (di cui lo studioso può vedere un esemplare nella parte della appendice intitolata “Le figure”). Purtroppo, dato che offre senz’altro più servizi che la smart card ed è di questa più affidabile.

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C) Figure e fotografie

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