Walter Siti - Resistere non serve a niente

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Commodore 64

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Poppate lentissime, al punto che sua madre s’addor-mentava allattandolo; questo appartiene alla mitologia,ai racconti di zia e nonna quando non volevano farglipesare il suo essere “attrippatello”. Ma l’infanzia im-porta poco: è vero che molte cose si decidono in queglianni, però è anche vero che sono senza rimedio. L’in-fanzia non è una giustificazione né un luogo a cui volertornare: come rimpiangere quelle bestioline che erava-mo, deboli e parassite? Mamma invece non l’aveva maipreso alla leggera il suo sovrappeso («’sto regazzino nunmagna, s’abboffa»), già al tempo degli omogeneizzati edelle prime pappette; ma lei non ha mai preso niente al-la leggera, la gravidanza era stata una causa continua diricatti e lamentele. Con idee superstiziose in testa, eraandata anche da una rumena perché quel concepimen-to le pareva affatturato, partito sotto una cattiva stella –s’era fissata che il bambino fosse stato messo in cantiereproprio quella notte che il marito era tornato ubriaco(fin lì, normale amministrazione) ma bestemmiando elavandosi via del sangue al lavandino; avevano mezzoammazzato un frocio che si credeva ’stocazzo, per dar-

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gli una lezione. «Ciavevi ancora l’odio addosso, m’haiintossicato la pancia»: sentiva delle fitte che il dottorenon sapeva spiegarsi, come se il feto si storcesse e si di-fendesse dalle ombre. Mamma sudava in quell’estatetorrida e si sbrodolava di ghiaccioli, passando da unasedia all’altra nella piazza senza trovare pace; il bambi-no le arrivava in gola, tant’è vero che alla nascita pesavaquattro chili e sette.

Tommaso è nato il 2 agosto 1976 e quando è andato ascuola aveva compiuto sei anni da pochissimo ma era ilpiù alto e il più grosso di tutti: ultimo banco quindi e pri-ma lezione sull’indifferenza, col piede della sedia avevasfondato la plastica azzurra del battiscopa ma nessuno sen’era accorto. Nella marana dietro la scuola, dove anda-vano a fumare, si trovava quasi sempre da solo con Nan-do, un roscio magro come un chiodo; parlavano della bi-cicletta di Saronni che era vuota dentro e pesava un chi-lo: «si ce monti te, la sfonni», ma Nando non lo dicevamai con cattiveria. Invece la maestra sì, quella di terza,una volta che giocavano a rubabandiera speciale sullerampe della scala, l’aveva fatto scendere di due gradini,«se Tommaso salta da quell’altezza ci apre un cratere»;tutti a ridere non tanto di lui ma della parola nuova, peròpoi per un mese l’avevano soprannominato “cratere”.

Una negretta si tirava la gonna sulle ginocchia pernon far vedere che era negra dappertutto, «il Signorel’ha lasciata troppo in forno e gli è venuta bruciata»; lamaestra li strillava per battute così, però quando il ve-nerdì c’era la compravendita a lei faceva portare sem-pre le banane. La lezione del venerdì a Tommaso piace-va molto perché lui non sbagliava mai; nel cortile (o nel-l’atrio quando pioveva) si allineavano sui banchi deiprodotti alimentari, in genere frutta e verdura, per le

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esercitazioni di aritmetica pratica («s’arimedia er mine-strone auffo, mica scema ’a maestra» diceva mamma);alcuni recitavano i venditori e altri fingevano di com-prare. Le moltiplicazioni e le divisioni a Tommaso or-mai non lo divertivano più, le risolveva in due secondianche per Nando che gli regalava in cambio i buondìsupplementari per la merenda. Scommetteva sulle va-riazioni che ci sarebbero state il venerdì successivo: ave-va notato che quando la maestra arrivava vestita di scu-ro in genere i prezzi li alzava, mentre li abbassava quan-do si presentava tutta dipinta e colorata di chiaro.

Scommettere è peccato, brontolava il prete; una vol-ta il prete era arrivato accompagnato da Zibibbo, cheera stato al gabbio e davanti al Partito toccava il sederealle donne e picchiava i cani ma lì a scuola faceva tuttoil gentile; il prete ha detto bambini, pensate che quandogli uomini non sono liberi, e non possono lavorare orendersi utili, e abitano sempre insieme a gente cattiva,sono quasi costretti a commettere peccato. A Tommasoda quel momento gli era venuta voglia di andarsene vialontano, dove c’erano palazzi luccicanti e non ti potevisentire in prigione perché gli aerei ti portavano sempreda un’altra parte – ma quando si svegliava la mattina sisentiva deluso che la stanza stava ancora lì.

I suoi veri amici erano il budino Elah e i risotti giàpronti; la mamma a mezzogiorno rimaneva in fabbrica(la distanza era troppa per tornare a casa), papà chissàdov’era. Tommaso rientrava da scuola all’una e mezza,trovava il risotto da scaldare ma lui lo preferiva freddo– e i budini tremolanti in frigo. Poi passava da Nando,dove c’era quasi sempre ad aspettarlo una fetta di tortadi riso, o un tòrtano salato coi pezzetti di formaggio e

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prosciutto; lui comunque si augurava il dolce: anchequando rubava qualcosa al supermercato, rubava bom-boloni o cremini.

La zia diceva che era perché i cremini glieli davanoda neonato per farlo star buono; la madre negava, i cre-mini erano una mania recente e per non fargliene riem-pire le tasche gliele cuciva. Gli estranei invece ci casca-vano, lo vedevano così grosso a otto-nove anni e gli of-frivano del cibo («sai quanto ce ne vòle pe’ riempì ersacco») – non capivano che era proprio perché gli da-vano sempre tanto da mangiare che era diventato cosìgrosso. A Pietralata nell’ottantacinque non c’era unostraccio di medico che diagnosticasse una disfunzionecellulare (un eccesso di assimilazione) o addirittura ge-netica (il gene Ob che codifica la leptina, cioè l’ormoneresponsabile di un corretto metabolismo). Ridevano avedere quel ragazzino mai sazio, che ogni scusa era buo-na per sgranocchiare qualcosa – che poi “sgranocchia-re” non era il verbo, perché a Tommaso piaceva tuttociò che era morbido e andava giù senza bisogno di ma-sticare. A lui non dispiaceva fare il buffone del quartie-re; si agitava apposta saltando sulla bici per farsi ripete-re che coi suoi calzoni ci si poteva costruire una mon-golfiera.

Trangugiava e inghiottiva fin che non era pieno dascoppiare, solo quando nello stomaco non ce ne stavaproprio più si sentiva autonomo (era un inganno, forseil più perfido alle soglie della vita; in realtà a comandarenon era il pieno ma il vuoto: “nessuno mi risponde edunque mangio”). A due anni, nei racconti della zia, di-vorava il muschio e i fiori dei giardinetti – panna e gela-to dunque erano già una conquista. Non sopportarsivuoto significava non lasciare mai spazio alla fame, cioè

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all’attesa; anche di notte si teneva le brioche sotto al cu-scino. I dolci erano la sua trincea, il muro divisorio chelo separava dal mondo; lì non arrivavano più le risate,gli scherzi crudeli, lì c’era soltanto un eroe che si fortifi-cava per spingersi oltre ogni limite – quale fosse questolimite non avrebbe saputo spiegarlo, non aveva che no-ve anni; ma certamente, al di là, si stendevano le terredell’abbondanza, dell’innocenza, della gloria pubblicae dell’amore senza eccezioni. In chiesa gli avevano inse-gnato che anche mangiare troppo è peccato, un peccatodi avidità e di superbia; i santi dividevano il loro tozzodi pane coi poveri. «Ma anche noi siamo poveri» lo co-glionava Nando, e alla fattoria della Caffarella strappa-vano le uova da sotto il culo alle galline. Quella era vita,vita comune. La cerimonia del rimpinzarsi era un’altracosa, da celebrare in solitudine; una frittata di sei uova,spalmata di stracchino e di marmellata alle fragole(“seppellisco il peccato dentro di me”). La sua panciabrontola come il cielo, Tommaso è un dio gigantesco al-l’origine del mondo.

Non che non sappia muoversi con agilità: nonostan-te la mole corre piuttosto veloce e soprattutto nuotabenissimo. Solo una volta che erano in esplorazione alparco di Cecafumo e volevano ispezionare un rudere,Tommaso ha esitato davanti a un cunicolo troppo stret-to; non è riuscito a entrarci, però per opporsi a Nandoche lo incoraggiava («dài, qui ce passa chiunque») hasaputo trovare una buona replica («a bbello, io micaso’ chiunque»). Nando è carico di fiducia come un can-nolo, fiducia in se stesso e nelle relazioni umane: nonguarda mai le cose come dietro un vetro, se c’è una si-tuazione che lo disturba scatta e attacca a testa bassa

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per cambiarla; magari perde perché non riflette, peròalmeno ci prova – il calcolo astratto e la meditazionenon fanno per lui; con le bambine in corridoio allungale mani e viene rudemente respinto. Tommaso invece èil re delle strade contorte: alla più carina della classe,che l’avevano pure messa sulla copertina di «Primave-ra missionaria», prometteva durante la ricreazione cen-to lire se lei avesse indovinato sotto quale bicchiere sta-va la pallina – muoveva le mani da imbranato appostaperché lei sgamasse (“però intanto sento il suo odo-re”). Alle spose che tornavano affannate con la borsadella spesa spiavano la spaccatura tra i seni, anche aquelle brutte, ma Nando ci faceva sopra una risata e selo dimenticava subito.

Erano diventati indivisibili e facevano ridere, unopiccolino e secco l’altro tipo balenottero, come Stanlioe Ollio; ma non era igienico ridere troppo perché pote-vano diventare una discreta macchina da guerra. ANando gli partiva la ciavatta come niente, ti coglievaimpreparato e dovevi stare attento a non cascare – per-ché una volta a terra quell’altro ti si stendeva sopra eper rialzarsi erano cazzi.

Le memorie d’infanzia sono bucherellate, si ricorda-no più gli incidenti che la normalità; le liti in famigliascoppiavano per un’osservazione di troppo, quando lamadre diceva «a Sà, ma che me frega der rispetto? mecedono er posto, sì, però poi me guardeno che me scan-nerebbero» – il padre sbatteva il pugno sul tavolo «Iré,ma che te credi che me piace, a me?». Ogni tanto in ca-sa capitavano personaggi fuori misura, che stonavanocome se fosse entrata una giraffa: Tommaso si ricordadel proprietario di mezzo Pigneto che aveva lasciato di

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sotto il macchinone con l’autista, e di un prete senza to-naca col collarino bianco che parlava fitto fitto col capodegli zingari della Maranella. Dopo queste riunioni ilpadre restava muto e concentrato, a distrarlo volavanole sberle. «Cuidado che questo nun è a bordo»; a Tom-maso era parsa una frase fichissima che avrebbe potutoripetere al bar di Pancino, ma non aveva capito bene laprima parola: «papà, che vuol dire qui-dado?».

Il padre gli aveva messo in mano due bignè che ave-va comprato per il piccolo ricevimento: «tàppate la boc-ca, va’».

Quando il padre è stato condotto in prigione, Tom-maso aveva undici anni e s’era appena iscritto in primamedia; mamma Irene non gli aveva fornito molti chiari-menti («la corda prima se tira poi se spezza»), ma a scuo-la sapevano tutto e Nando glielo aveva riassunto antici-pando gli altri: Sante Aricò raccoglieva le offerte dei ne-gozianti per conto di una società segreta, “una specied’assicurazione” – solo che non era riconosciuta dalloStato, anzi era proprio vietata. Gli amici di papà, forseperché si sentivano in colpa, mollavano ogni tanto qual-che regalo; la casa del capo era piena di marmi decoratie i divani a strisce d’oro erano così alti che mamma Ire-ne quando ci si sedeva poi non riusciva più ad alzarsi –arrossiva afferrando la mano che le porgevano. Per lapromozione in seconda gli avevano regalato un compu-ter; lì per lì era stata una delusione perché tutti ormaiavevano il Commodore 64 mentre a lui gli avevano rifi-lato un MSX, uno standard giapponese meno potente,sicché non poteva scambiarsi i giochi coi compagni. Allalunga però s’era rivelata una fortuna: non potendoci gio-care, per lui il divertimento era diventato programmare

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il pc, “fargli fare delle cose”. Per costringerlo a disegna-re un cerchio, per esempio, Tommaso doveva scriverel’equazione della circonferenza; la geometria piana sosti-tuiva il tennis da tavolo e le corse automobilistiche, il chelo conduceva molto al di là delle miserie su cui quellascema della professoressa pretendeva di interrogare.

Ristrettasi di colpo la famiglia, rimasti soli lui e la ma-dre, a Tommaso era sembrato di essersi trasformato inun adulto; le difficoltà economiche gli erano diventatepiù evidenti, la madre il sabato e la domenica andava afare le pulizie in un blocco di uffici sulla Togliatti. Ufficidi vetro e acciaio con decine di computer, agli ultimi pia-ni da cui si dominava tutta Roma. Mamma tornava chestrascicava i piedi («ja’a faremo, ranocchié»), quandostavano verso il venti del mese si arrabattava su calcolisempre più puntigliosi prima di avventurarsi al mercato,altro che le esercitazioni pratiche delle elementari, la bu-sta paga non arrivava mai («me stanno a spuntà ’e bran-chie»); ora all’inizio della settimana lasciava a lui un pic-colo budget e per il pranzo si arrangiava da solo.

Tommy arrotonda passando qualche compito di ma-tematica ai due ebeti della classe che hanno i padri alministero, ma la nuova responsabilità aggrava la buli-mia: sentendosi libero, evita i cibi sani e si imbottisce disnack, di pizze, di supplì. Mangia perché si annoia(Nando di pomeriggio fa il cameriere in una bisca) e lanoia non merita niente di costoso: c’è un indiano in viadel Peperino che gli cede a metà prezzo le merendinescadute. Qualche volta arriva all’abiezione di buttaredirettamente nel secchio della spazzatura un po’ di sal-sa di pomodoro e qualche foglia mezza marcia raccatta-ta per strada, per far credere alla madre che ha mangia-

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to spaghetti e insalata. Più spesso sparge in giro propriogli involucri incriminati, le plastiche dei gelati e i carto-ni dei sofficini, per testare la madre verificando se al-meno lo strilla; ma lei è così stanca che non ci fa più ca-so, ormai s’è abituata a un figlio mostro.

Tommaso invece recalcitra, si pente e fa propositi:“da domani mi cuocio un po’ di pesce con le verdure,poi vado a dà du’ calci ar campetto”. In fondo gradi-rebbe essere come tutti, non doversi sempre distingue-re; urlare insieme le soddisfazioni collettive, con canzo-ni di rabbia o di vittoria. Ma il cibo sta lì, perché aspet-tare? Mangia soprattutto dopo che ha mangiato, per in-seguire un piacere irraggiungibile; si aggomitola sul let-to e si tiene compagnia con le puzze, le cataloga al suo-no e secondo la durata. Conversa a lungo con le propriefeci, le accusa come se fossero in tribunale, lì impauritesulla ceramica bianca in attesa dello sciacquone. “Levittorie sono merda e io in merda le riduco.” Finisco ilfritto prima che mi sale la nausea, tanto il pallone nonme lo passano comunque. Incerto se stare in casa ouscire – il cielo tra gli alberi, nella discesa che porta allacanonica, è un grande calamaro che lo soffoca.

Alle elezioni per il rappresentante di classe è risulta-to secondo, che è il piazzamento degli stronzi; quelgiorno avrebbe voluto picchiare Gesù Cristo, tranquilloed emaciato sulla sua croce. Ha venduto una giacca chetanto non s’allacciava più e si è finalmente permesso discialare allo Zio d’America, sprecando e sputacchiandosalmone, caviale, pasticcio di fegato d’oca (quello sì chel’ha vomitato perché il sapore era schifoso). “In ogni ca-so, meglio essere in credito che in debito di calorie; finche mangio sono in attivo, incorporo energie che si tra-mutano in fosforo e quindi in intelligenza; la matemati-

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ca non delude mai.” Gli iscritti al club di Topolino rice-vono fascicoli con problemi di grado superiore; Tom-maso ne risolve alcuni destinati ai sedicenni e li spedi-sce, spera d’essere invitato a Bressanone dove si svol-gerà la gara finale.

Problema dell’ubriaco. Un ubriaco arriva alla portad’una città a pianta quadrata; superata la porta, situata inuno dei vertici della cinta muraria, si incammina tra gliisolati (indicati da quadratini) procedendo a caso senzamai tornare indietro. A ogni bivio la sua scelta è aleato-ria. Quale probabilità ha l’ubriaco di imboccare la viagiusta e di giungere al quadratino indicato con la letteraO, che rappresenta casa sua?

Soluzione. Ogni isolato ha una certa probabilità X diessere raggiunto e X è uguale al rapporto tra il numero deipercorsi che conducono a quell’isolato e il numero deipercorsi possibili in ogni riga del triangolo (quello che vadal vertice della porta fino a metà quadrato, dove appun-to si trova la casa O). La probabilità di giungere in B, peresempio, è 1/2, quella di giungere in D è 1/4, in H 3/8 ec-cetera. Se rappresentiamo con istogrammi questa serie diprobabilità, otteniamo una scala ascendente e poi discen-dente; al sommo della scala c’è proprio la casa O, posta ametà dell’ipotenusa, con 6/16 di probabilità.

Sul computer, massimizzando il numero dei bivi edegli isolati, la campana di Gauss si disegnava nettissi-ma; è stato a quel punto, mentre pensava che allora for-se il Signore lo voleva il ritorno di papà, che Tommaso èscoppiato a piangere.

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