Walter Ferrero - Adea edizioni · 2017. 1. 15. · Il messaggio proveniva – come seppi poi –...

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Walter Ferrero

armonia,armonia

...armonia

adea edizioni

[email protected]

ISBN 978-88-86274-97-5

Proprietà letteraria riservataCopyright © 2016 Adea edizioni – Castelvetro Piacentino (PC)

Printed in Italy

I edizione: gennaio 2017

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione

scritta dell’Autore e dell’Editore.

ArmoniA, ArmoniA ...ArmoniA

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ChAt introduttivA

Capodanno. Un punto d’inizio arbitrario nel tempo, una scadenza che ci siamo dati per stabilire una fine e, allo stesso tempo, pro-curare l’opportunità di ripartire con tutti i buoni propositi possibili, puntualmente di-sillusi già dopo qualche giorno. È il nostro modo di procedere, quello di dirci che “da domani” saremo migliori di oggi; ci serve per sentirci vivi e, anche, per scansare il fatto che continuiamo a non voler vedere che l’u-nico tempo che conta – l’unico tempo reale – è quello che stiamo vivendo proprio ora, quell’“adesso” già svanito in progetti, pro-messe e lodevoli proponimenti.

Tanto per riprendermi dalle bisbocce del-la sera prima (ahi, i brindisi!...), proprio il

Armonia, armonia ... armonia

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giorno di Capodanno avevo ripreso quel bel-lissimo libro di Roland Barthes sul Giap-pone, L’impero dei segni, dedicato a quella straordinaria cultura, vera maestra di simboli e sottigliezze. Un mondo delicato e oltremo-do raffinato che arricchisce la sensibilità e aiuta a guardare ogni cosa con occhi diversi e più attenti.

Non potendo leggere direttamente (un problema visivo mi impedisce di distingue-re lettere e numeri) avevo lasciato alla voce sintetizzata e impersonale del mio iPad il compito di decifrare quel testo; così come anche ora affido a un dettato queste righe, sperando che la macchina, fedele al suo no-me francese di ordinateur, possa – almeno lei! – far appunto ordine nei miei pensieri, troppo spesso confusi.

Qualche mese prima, avevo discusso con l’autore di punta di questa casa editrice, Wal-ter Ferrero – mio coach life e, soprattutto, carissimo amico) di un eventuale testo sul te-ma dell’armonia o, meglio ancora, sull’intri-gante fenomeno degli opposti, ovvero il mo-do in cui la realtà si presenta ai nostri sensi.

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Chat introduttiva

Un’evidenza che ogni cultura e filosofia ha affrontato, traendone considerazioni diverse e assolutamente decisive nell’interpretazione del mondo e, di conseguenza, nello svolgersi degli eventi storici che ci hanno portato fin qui.

Non erano state che chiacchierate infor-mali, tra mille altri progetti, presto sommer-se dal lavoro (e altri tre-quattro libri, nel frat-tempo) così come avviene sovente quando impegni e circostanze si assommano vortico-samente, polverizzando il tempo.

Tuttavia, l’idea non si era spenta e, come succede sempre quando si mette in moto una qualche ruota, il tema dell’armonia degli op-posti mi si ripresentava continuamente, ri-chiamato anche dagli eventi di cronaca, che sembrano riportare, attraverso una visione di contrapposizione, il mondo contemporaneo al più buio e ottuso medioevo.

Con Ferrero, avevo a tratti riparlato dell’argomento, ma poi lui era partito per un viaggio, cosicché il 2016 andò a spegnersi in silenzio, lasciando in sospeso ogni progetto.

Ecco dunque che, all’alba del nuovo an-

L’armonia degli opposti

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no, mi ritrovavo a rileggere – anzi, a riascol-tare – quel vecchio libro di Barthes sulla tra-dizione giapponese, così intrisa del concetto di armonia, esplorato in diversi aspetti della vita, attraverso le suggestioni dell’influenza generata dal Buddhismo Zen.

“Armoniosamente” accomodato su un divano stavo così percorrendo le vie di Osa-ka e i suoi ristoranti, nell’abbondanza delle tavolozze cromatiche di piatti esposti, co-sì “moderni” da far invidia alle collezioni del Guggenheim di New York, quando, a un tratto, l’inequivocabile squillo di un mes-saggio via chat mi fece sobbalzare. Non mi dovetti neanche muovere: la straordinaria duttilità di un tablet fa sì che basti schiaccia-re un tasto – un unico tasto! – per passare da un mondo virtuale all’altro.

Eccomi...

Era il modo con cui il mio autore preferito – nonché impareggiabile amico – mi contat-tava abitualmente. Sapevo, per le mille volte che ciò era avvenuto, che sarebbe seguíto

aaa

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Chat introduttiva

qualcosa di importante, senza preamboli né arzigogoli, proprio come in una conversa-zione a quattr’occhi, appena interrotta giusto per prendersi un caffè...

Il messaggio proveniva – come seppi poi – direttamente da un tavolo del Café Pushkin, a Mosca, un’ambientazione per-fetta per intrigare ancora più a fondo la mia fantasia.

Come sempre, i messaggi poi si susse-guirono senza sosta, fiondandomi di colpo nel cuore di quell’argomento che sembrava ormai disperso nei residui dell’anno appena trascorso. Li riporto testualmente, così come sono arrivati, a mo’ di introduzione a que-sto libro, composto in seguito dai materiali giunti successivamente.

Ogni direzione è legittima quando si sperimenta

...ma vi è un’unica direzione per ognuno di noi. Non trovarla può essere tragico. Può voler dire gettare una vita intera...

L’armonia degli opposti

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(Feci una specie di contorsionismo sul diva-no, portandomi con la schiena diritta. Cosa voleva intendere?)

Armonia...

(Ah, ecco...! Ci siamo. La perplessità lasciò il posto a un’attenzione più nitida.)

...armonia significa vedere/sentire/trovare quella direzione unica, abbeverarsi a una precisa fonte, e non ad una qualsiasi...

Mille e più sono le “ragioni”, ma una sola conduce all’armonia...

L’armonia nasce dalla realtà!

(Mille ragioni, mille elucubrazioni della

aaa

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Chat introduttiva

mente, mille interpretazioni, tutte a infioc-chettare quel “reale” che si presenta eviden-te nella sua nudità. Azzardai una replica...)

Ecco perché spesso intellettuali, per quanto autorevoli, si mostrano così goffi e disarmonici...

Giusto... poiché l’armonia è un atto secco, immediato, come uno schiaffo... ed è pura inconsuetudine... un “livore”... fatto di verità!

È uno specchio... in grado di riflettere tutta l’inconsistenza del nostro “stare”...

(Mi stavo gustando il dipanarsi della ma-tassa. Attendevo i “beep” progressivi senza fretta e senza intromettermi per non guasta-

L’armonia degli opposti

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re il ritmo del pensiero che si stava espri-mendo. Avrei semmai messo in fila succes-sivamente quel materiale che – già così – delinea va lo scheletro del libro.)

U n principio che si esprime – una “nascita” –

è assolutamente armonico, pur nella sua tragicità!

Ma il suo processo ulteriore non lo è affatto!

...Anche se può incontrare “monía”, ovvero monos, l’Uno... (armonia è un termine composto dalla radice ar-, che ha senso di “unire”, e monos, “unico”.

“Unione con l’Uno”, quindi.)

Ma anche, visto dall’altra prospettiva del collegamento, “ciò che proviene dall’Uno”...

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Chat introduttiva

È come guardare in un obiettivo al contrario: l’io si “capovolge”, guidandoti dal soggettivo alla... vita!

L’armonia è sempre presente! Come anche la disarmonia, d’altronde! È questo il vero “segreto”...

Ma la disarmonia non dipende dalla realtà, bensì dal “fattore tempo”; anzi, dallo sfasamento del tempo (che è poi la vera essenza del nostro ego)

(Mi si aprivano nuove prospettive: avevo sempre considerato l’ego come un aspetto intrinseco della personalità – anzi l’essenza stessa della personalità – senza mai colle-garlo al tempo e allo spazio dell’esperienza. Una specie di “porta stretta” monolitica, attraverso la quale occorre passare ma da

L’armonia degli opposti

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cui è opportuno emanciparsi a tempo debi-to. Ora, il vederlo come uno “sfasamento percettivo” me lo rendeva un po’ più simpa-tico, meno “nemico da combattere” quan-to semmai quasi un vecchio amico confuso da aiutare, da riconvertire in una visione sempre meno “sfasata”. Questa suggestione legata al “tempo” mi aveva completamente cambiato le carte in tavola... Ma stavano ar-rivando altre precisazioni....)

La nostra mente genera, nostro malgrado, un “secondo tempo” che definiremmo “di lettura” – o di percezione –, trasportandoci dal mondo del reale al mondo del pensiero...

In sostanza, l’osservatore (la mente) si distacca dalla situazione, dalla cosa osservata (la realtà)...

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Chat introduttiva

E in questo processo si verifica certamente una perdita... ma si producono anche una seconda, terza, quarta, quinta... percezione – che possiamo figurarci come i “fotogrammi” del reale – generando un racconto... come un processo cognitivo: la disarmonia, appunto, la distanza dall’Uno...

...cosa che non è negativa in sé, se solo fossimo capaci di donare e non di trattenere. L’ego, infatti, ha due facce – come due “porte” –, l’io e il mio, la parte che “trattiene”.

Quindi, la disarmonia è il rovescio egoico del nostro vivere, il buio dell’animo umano, che è “schiavo delle passioni”...

L’armonia degli opposti

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(Mi sentivo affascinato dal discorso. Non avevo mai pensato all’armonia in questi ter-mini; la davo un po’ scontatamente come un principio insito nella natura. Né tanto meno avevo mai pensato al meccanismo che conduce alla disarmonia – così palese nelle nostre vite – se non come un semplice “al-lontanamento” dalle leggi naturali...

Ora ti lascio: ho finito il mio mors,1 qui al Café Pushkin, e si è fatto tardi. Ti manderò qualcos’altro per e-mail...

Grazie. Ci lavorerò sopra. Buonanotte

Ecco.1Avevo ricevuto quanto chiesto, al-meno l’inizio. E tutto era stato così fresco e intenso da costituire già in sé la perfetta

1. Il mors è una bevanda ai frutti di bosco (mirtilli, lamponi e more) che in Russia si beve in genere durante il pasto, allo scopo di ammorbidire il sa-pore secco della vodka.

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Chat introduttiva

introduzione al libro. Da qui la decisione – su suggerimento dell’autore – di mantenere la conversazione così come era avvenuta, nella forma anomala di una chat, trasmessa con uno smartphone, in un’epoca in cui non esistono più distanze. Un gioco nello spazio-tempo della realtà d’oggi.

Ora, non voglio che il pensiero introduca “sfasature percettive” e lascio quindi al let-tore il gusto e il privilegio di scoprire come, con le successive e-mail, il tema andrà a svi-lupparsi.

Buona lettura!

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L’e-mAiL deLLA Sfinge

Qualche ora più tardi, come promessomi, ri-cevetti un’e-mail dall’autore, che riporto di seguito integralmente.2

Walter FerreroA: Adea edizioni...a proposito di energia - parte 2

02 gennaio 2017 02:37

Eccomi!Ti avevo promesso un seguito: comincia-

mo dunque dall’inizio, facendo riferimento a un mito greco tanto famoso quanto male interpretato... Può essere utile per capire poi quanto seguirà (e, del resto, i miti antichi

2. Da qui in avanti, i brani in corsivo sono a cura dell’editore, voce narrante fuori campo.

Armonia, armonia ... armonia

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sono sempre preziosi se riusciamo a metterci in grado di ben interpretarli...).

Il mito racconta dunque che, alle porte della città di Tebe, nell’antica Grecia, la dea Era avesse mandato, per vendetta, un feroce demone con testa di donna, corpo di leone, coda di serpente e ali di rapace. Si trattava della Sfinge, una creatura mostruosa, figlia del demone Tifone, confinato nelle profondi-tà del vulcano Etna e responsabile delle sue eruzioni.

La Sfinge, accovacciata presso la porta di Tebe, su una rupe alle pendici del monte Cite-rone, si ergeva minacciosa davanti a chiunque entrasse in città e poneva al malcapitato una domanda: «Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, tripede e bipede?».

Chi non forniva la risposta esatta veniva immediatamente divorato (o strangolato,3 secondo le diverse versioni).

3. La parola “sfinge” deriva dal termine in greco an-tico Σφίγξ (Sphínx; gen. Σφιγγός, Sphingòs)), che nella coscienza linguistica dei Greci viene messo in relazione col verbo σφίγγω che significa “stran-golare” e quindi col senso di “strangolatrice. [NdE]

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L’e-mail della Sfinge

Nessuno aveva mai saputo rispondere, tanto che il mostro giaceva su mucchi di os-sa e resti di visitatori di passaggio e cittadini, vittime di un enigma per tutti irrisolvibile.

Il re di Tebe, Creonte, giunto alla dispe-razione, promise il trono e la mano della so-rella Giocasta a chiunque avesse sconfitto il devastante demone alato. Edipo, venuto a sapere dell’editto del re, accettò la sfida e, recatosi a Tebe, affrontò la Sfinge.

La tradizione più conosciuta riporta che, alla consueta domanda del mostro, Edipo rispose: «l’essere che di mattina cammina con quattro zampe, a mezzogiorno con due, e la sera con tre è l’uomo, che da bambino si muove carponi; divenuto maturo cammina ritto su due piedi, e da vecchio per cammina-re deve servirsi di un bastone per sostegno».

Ma... ti sembra plausibile?Tutti – anche i più insigni studiosi –

danno per buona questa versione del mito, come se la sapienza degli antichi si riducesse a un banale indovinello da “Settimana enig-mistica” e l’intera epopea guerriera dell’in-domabile Ellade potesse venir sbertucciata

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da un giochetto, a dir poco, per bambini...

(Accidenti – riflettevo mentre leggevo la mail – in effetti anch’io me l’ero sempre bevuta in questo modo...).

Naturalmente non è così. Dietro ad ogni mi-to si nasconde un significato esoterico che, al di là della veridicità dell’evento, rivela qualcosa di più profondo.

La risposta all’enigma è certamen-te “l’uomo”, ma il riferimento non è tanto al suo invecchiamento nel corso della vita, quanto al percorso della sua comprensione.

Il “quadrupede” dell’inizio è la condi-zione dell’ essere umano limitato nell’iden-tificazione della realtà sensibile: il quattro rappresenta infatti il mondo materiale. Nella simbologia si parla dei “quattro pilastri della creazione”, tanto che gran parte delle culture riconosce fuoco, acqua, aria e terra come gli elementi da cui origina ogni cosa, ed è per lo stesso motivo che la prima figura tridimensio-nale – la prima forma che definisce lo spazio così come noi lo percepiamo, attraverso lun-

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L’e-mail della Sfinge

ghezza, larghezza e altezza – è il tetraedro (la piramide a base triangolare), formato infatti da quattro punti – quattro spigoli –, il minimo indispensabile per definire la dimensione in cui viviamo.

Possiamo considerare il quattro come lo spazio concreto dell’esperienza umana. Il punto di partenza, senza dubbio, nel percor-so della conoscenza.

(Già a questo punto la spiegazione si faceva intrigante... Ma come poteva al “quattro” seguire il “due”, come si af-ferma nel mito? Ero abituato a una in-terpretazione numerologica in progres-sione, dal cinque al nove, nel crescere della comprensione... Ero più che mai curioso di leggere il seguito....).

Ecco dunque che occorre un passaggio suc-cessivo, un passo in più verso la compren-sione dell’esperienza. Il “camminare su due piedi” simboleggia la scoperta della polarità, ovvero della legge che regola ogni manife-stazione del nostro mondo. All’interno dello

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spazio delimitato dal “quattro” ogni movi-mento deve procedere tra due estremi, due punti contenuti in quello stesso spazio. Ecco dunque il “due”, la seconda fase sottintesa nella domanda della Sfinge.

(Ma dài! Colpo di scena... Questa proprio non me l’aspettavo...).

Nel corso della sua evoluzione, l’essere u-mano deve dunque prendere coscienza di un processo di polarità insito in tutte le cose, un movimento di perenne trasformazione tra un estremo e il suo opposto.

Questa legge va compresa per non con-fondere l’essenza della polarità con un ridut-tivo concetto di dualismo.

Si tratta di un argomento apparentemen-te scontato che tuttavia, mal compreso, è stato alla base di gran parte dei problemi di questo mondo. Lo approfondiremo certa-mente più avanti perché è importante...

(Bene. Registro l’informazione: “po-larità”... Probabilmente argomento di un prossimo capitolo...).

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L’e-mail della Sfinge

Quanto alla “terza gamba” a cui si riferiva la domanda della Sfinge, il mito fa riferimento alla possibilità di un superamento della pola-rità, che – pur nella comprensione – costitu-isce comunque una legge che ci costringe nella nostra condizione umana.

Il “tre” è infatti il terzo punto che dà la possibilità di evadere dalla costrizione del movimento tra i due poli opposti. È l’usci-ta dall’empasse, dalla costante “coazione a ripetere” che sta certamente alla base della bellezza del nostro mondo, ma ne costituisce anche la sua caratteristica di “prigione”.Tutto questo ti ricorderà forse qualcosa, non è vero?...

(Ma certo! Come diavolo ho fatto a non pensarci? Sicuramente si sta par-lando qui della Legge del tre! Mai a-vrei pensato di ritrovarla nell’enigma della Sfinge!...).

Avrai di sicuro già capito che nel mito si fa riferimento alla Legge del tre. Ne ho già parlato a più riprese e ne ho anche scritto

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in diversi libri.4 Tuttavia forse vale la pena riprendere l’argomento, che ritengo essen-ziale per una comprensione del concetto di “armonia”.

Ebbene, la Legge del tre ha a che fare con l’azione; di qualunque genere di azione si tratti. Comprenderla e padroneggiarla può essere di grande aiuto nel capire in che modo passare da una vita fondata sulla casualità, a un’esistenza che possa invece basarsi mag-giormente sulla “causalità”. Ovvero, fornirci una chiave di uso pratico per poter afferrare solidamente le briglie della nostra esistenza.

Nel complesso dell’esistenza di tutte le vite, costantemente si manifesta una legge precisa che porta al mutamento delle cose: la Legge del tre. Non si tratta di una teoria, ma di una meccanica universale, tanto evidente e costante quanto lo può essere la legge di gravità nella fisica.

4. Ferrero fa qui riferimento a Padroni del vostro de-stino, Connessione umana e Humani nil a me alie-num puto (quest’ultimo scritto sotto lo pseudonimo di Anonymous), tutti pubblicati dalla Adea edizioni (vedi catalogo su www.adeaedizioni.it). [NdE]

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L’e-mail della Sfinge

Diciamo, per sintetizzare, che tre forze entrano in gioco in qualsiasi manifestazione, in qualsiasi fenomeno e in qualsiasi evento. Una presenza costante di tre campi di forza, insomma, che già esiste e non deve essere prodotta artificialmente (vale a dire che pos-siamo certamente essere inconsapevoli della terza forza, come vedremo più avanti, ma possiamo solo fare lo sforzo di identificarla, non inventarcela di sana pianta!).

Ogni cosa – ogni manifestazione, ogni fenomeno, ogni evento – può quindi com-piersi quando le tre forze formano una trian-golazione, ovvero quando tutte e tre agisco-no contemporaneamente e in maniera equili-brata fra loro.

(Sì, sì, ha già affrontato l’argomento in altri libri, ma... “repetita iuvant”, soprattutto a beneficio dei lettori che non ne hanno mai sentito parlare...).

Possiamo prendere in prestito un’immagine dalla geo metria. Un unico punto nello spazio (uno) resta fermo. Può essere posto dovun-que, ma lì resta, senza manifestare alcunché

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se non la propria immobile presenza. Non c’è dinamica né manifestazione; solo presen-za, esistenza.

Affinché possa prodursi un movimento, occorre almeno un altro punto (due). Allora si produrrà un vettore (una linea) in grado di unire i due punti e, lungo questa linea, avvie-ne finalmente un movimento. Per il momento non determiniamo di quale movimento si tratti (ovvero non consideriamo, ma sempli-cemente osserviamo): può essere di unione o di contrapposizione, non importa. Ma ora e-siste la possibilità di trasferire qualcosa nello spazio attraverso la direttrice che si è forma-ta tra i due punti.

Attenzione: non si tratta solo di astratta teoria, ma di qualcosa di estremamente prati-co. Per esempio, se abbiamo un’idea, finché resta nella nostra mente, mentre siamo da soli, quest’idea rimane qualcosa di assolu-tamente fermo, astratto e instabile. Può per-dere i contorni, modificarsi, spegnersi; pos-samo dimenticarla o tenerla lì, in stand-by, anche per una vita intera, senza che succeda niente.

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L’e-mail della Sfinge

Ma se incontriamo un amico e gliela co-munichiamo (compare quindi il due), ecco che l’idea si manifesta, prende forma nello spazio-tempo, e “si muove”. Ma si tratta so-lo – appunto – di un movimento. L’idea è espressa, già più stabile, e può muoversi lun-go questa linea (possiamo parlarne anche a lungo con l’amico e può pure diventare una cosa importante e preziosa) ma ancora non succede niente.

Siamo infatti ancora in un piano monodi-mensionale: esiste la linea, ma non ancora la superficie, per tornare alla nostra immagine geometrica. Nessuna forma, dunque, solo una direttrice.

Affinché possiamo arrivare a un piano bi-dimensionale, cioè alla forma (anche quella minima, che è il triangolo) occorre un terzo punto (tre).

Solo allora, dopo la manifestazione, ci potrà essere espressione, ovvero si potrà e-sprimere una forma, qualcosa che occupa uno spazio preciso, piccolo o immenso che sia. E ciò, finalmente, costituisce il prodotto di un’azione.

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La geometria (attenzione all’etimo: geo-metria, misura della terra, della materia, del-lo spazio disponibile) nasce solo ora, con la minima superficie descrivibile nello spazio: il triangolo. Abbiamo dunque la superficie, la forma, la seconda dimensione (lo spazio del piano, su cui è possibile ora tracciare in-finite forme).

(Magari qui, nel libro ci metto un di-segno; o forse anche no... mi pare un concetto già chiaro così...).

Come si può notare non si tratta di un con-cetto di poco conto. Anzi. Per la verità, si tratta di ciò che sta alla base di tutto.

Non è un caso che le maggiori teologie facciano riferimento a una Trinità. Indipen-dentemente dai nomi e dalle fedi, è palese che l’esigenza di manifestazione (il cosid-detto “creato”) comporti la necessità di un tre. Per questo Dio (che è l’Unità per anto-nomasia) deve essere anche trino per potersi esprimere, cioè per creare tutto l’esistente...

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L’e-mail della Sfinge

Ma torniamo alla Legge del tre... Ho detto che «tre forze entrano in qualsiasi manife-stazione, in qualsiasi fenomeno e in qualsia-si evento». Tre forze. Possiamo definire la prima forza con il termine di positiva. È una forza propulsiva che preme nella direzione della creazione, ossia della formazione di una vita, di un’idea o di un atto qualsiasi. In un seme, ad esempio, la forza positiva può essere identificata nel codice genetico conte-nente tutti i dati per lo sviluppo di un grande albero. Questa forza preme affinché il seme si sviluppi armonicamente.

La seconda forza la chiameremo negativa (senza connotazioni morali: è solo un modo per definirla) e spinge in direzione opposta a quella positiva. Non corrisponde, come si potrebbe pensare, a un principio distruttivo, ma piuttosto a un concetto di conservazione: questo è il motivo per cui è presente ovun-que in natura.

Creazione e distruzione (conservazione) sono principi opposti che si muovono sul-lo stesso piano (in termini geometrici sulla stessa linea: il piano non esiste ancora), non

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perché per creare si debba necessariamente distruggere, ma perché la creazione di qual-cosa di nuovo muta per forza di cose l’ordi-ne precedente dell’ambiente in cui viene a compiersi la creazione stessa.

Ad esempio, un seme che si sviluppi in una foresta intricata, divenendo un grande albero muterà necessariamente l’ordine esi-stente nell’ambiente che lo circonda. Il seme cresce – per così dire – “a forza di gomitate”, invadendo lo spazio già occupato da altre forme vegetali. Il principio di conservazio-ne che regola l’ambiente darà origine a una resistenza nei confronti del nuovo venuto, enunciandosi nella seconda forza, la forza negativa, la quale preme in direzione oppo-sta alla forza positiva che spinge il seme alla crescita. Si tratta di quello che in natura vie-ne chiamato autoconservazione.

Possiamo osservare chiaramente questo concetto anche nel campo del pensiero u-mano e del vivere sociale. Per esempio, una società si fonda su un suo orientamento e un suo ordine interno, prodotto da vicende storiche e culturali specifiche. Tutto questo

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è retto da una meccanica di conservazione che mira alla non distruzione dell’equilibrio conseguito.

Quando nel sistema sociale vengono in-trodotte nuove idee, queste risultano dotate di una loro vita in cerca di sviluppo; ovve-ro sono sospinte dalla prima forza, o forza positiva. Questa propulsione tende natural-mente a modificare l’ordinamento delle idee preesistenti, quelle che formano le regole e la struttura della società medesima.

Ecco allora nascere una resistenza, per spirito di conservazione, che diverrà la forza negativa, o seconda forza, la quale reagirà muovendosi in direzione opposta alla forza positiva contenuta nelle sconosciute idee in arrivo. Queste ultime vedranno pertanto im-pattare la loro energia contro l’energia con-servatrice generata dall’agglomerato sociale verso cui sono dirette.

Un fenomeno che qui, in Russia, è molto palese di questi tempi: si osserva una forte spinta al rinnovamento, alla modernizzazio-ne, ma tutto ciò si scontra con una resistenza ostile dell’apparato e della burocrazia (non-

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ché degli interessi collegati alla vecchia or-ganizzazione centralizzata) che paralizza e rallenta il processo di cambiamento.

(Solo in Italia – mi vien da pensa-re – le parti non sono così definite... Non è mai ben chiaro da che parte sta l’innovazione e da quale la conser-vazione: sembrano tutti saltabeccare di continuo da un estremo all’altro, mutando sempre pelle...).

“Azione e reazione” si dice in fisica, ma an-che in chimica e biologia possiamo osserva-re il medesimo fenomeno.

D’altronde, un simile “conflitto di forze” lo possiamo anche osservare costantemente in noi stessi. Da un lato nascono un desiderio o un bisogno, con la loro energia emotiva corrispondente alla forza positiva; dall’al-tro emergono i condizionamenti, le paure e le vecchie visioni, che sviluppano l’energia corrispondente alla forza negativa.

Il desiderio – ad esempio il proponimen-to di cambiare se stessi – esprime il nuovo

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e si collega a una tendenza creativa; i con-dizionamenti e le abitudini consolidate op-pongono una resistenza che rappresenta il vecchio, il quale reagisce naturalmente e meccanicamente enunciando un principio di autoconservazione. In questo ambito, possia-mo chiamare la prima forza affermazione e la seconda forza rifiuto.

Evidentemente, la contrapposizione di questi due campi di forza porta a una con-dizione di stallo, che però va sempre a van-taggio di ciò che è già stabilizzato da tempo. Questo è facile da capire.

Per esempio: abbiamo un’abitudine che riconosciamo come malsana; ce ne rendiamo conto e ci muoviamo per crearne una nuova, sostituendola alla prima. Questa volontà si muove nella forza affermativa. Ma la vec-chia abitudine ha una sua propria energia, accumulata e consolidata nel tempo: è la for-za di rifiuto, che impedisce l’affermarsi di un nuovo modo di essere.

Nella nostra foresta, insomma, il seme cerca di crescere, ma gli alberi già adulti lo soffocano, impedendogli di germogliare.

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L’abitudine consolidata (i vecchi alberi) ri-mane, e l’energia mentale del cambiamento (il seme che tenta di svilupparsi) si indeboli-sce sempre di più, fino a soccombere.

Quindi, lo scontro delle due forze è sem-pre in favore della forza negativa, quella che “rifiuta”, corrispondente al principio di con-servazione. E, tutto sommato, anche que-sto ha un senso, altrimenti si assisterebbe a un processo velocissimo di trasformazione, privo di alcun controllo, come in certe ani-mazioni in cui forme fantastiche mutano e si trasformano in altre, in una fantasmagoria di figure e colori senz’altro affascinanti, ma che, dopo un po’, lasciano senza punti di ri-ferimento.

Dal punto di vista umano il principio del-la seconda forza si lega psicologicamente a tutte le meccanicità, ai condizionamenti e alla resistenza nei confronti di tutto ciò che può mutare lo status quo.

Non a caso, anche nel lessico politico, i soggetti meno disponibili ai rinnovamenti sociali sono denominati “conservatori”. In realtà tutti gli uomini e tutte le donne possie-

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dono una natura eminentemente conservatri-ce, perché rispondono alle naturali leggi di resistenza e autoprotezione di ciò che hanno costruito. Non è una scelta, ma la subordina-zione nei confronti di una legge naturale.

Appare evidente il motivo per cui non disponiamo di una vera capacità di “fare”. Quando infatti vogliamo compiere qualcosa di nuovo – che si muova in maniera opposta alle nostre abitudini o al ruolo sociale in cui siamo inseriti – la seconda forza, quella ne-gativa, interviene ostacolandoci. Ciò avviene sia dal nostro interno (per mezzo dei condi-zionamenti e delle paure) che dall’esterno, tramite le restrizioni, i giudizi e le reazioni del contesto sociale e di coloro che ci circondano.

Ad esempio, risulta molto difficile im-porre nuove e brillanti idee nel campo del lavoro (ammesso di averle); queste infatti rappresentano la forza positiva, ma l’energia del rinnovamento impatterà contro il sospet-to dei colleghi – o dei superiori – ai quali tali idee vengono proposte, ovvero contro la for-za negativa e conservatrice presente in loro.

Anche la saggezza popolare propende al-

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la conservazione. Per forza: è vitale per una comunità sociale perpetuare i propri sistemi di valori. È il modo in cui la tradizione po-polare e la sua cultura si è protetta nei secoli. Proverbi come «Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa cosa lascia, ma non sa cosa trova», «È meglio un uovo oggi che una gal-lina domani», «Non fare il passo più lungo della gamba» o «Non uscire dal seminato» sono abbastanza rappresentativi della ten-denza a temere il cambiamento.

La prevalenza della forza di conservazio-ne su quella propositiva spiega il motivo per cui l’essere umano è pressocché totalmente meccanico e ripetitivo. In lui la forza positi-va è sempre in stallo con quella negativa; e così non riesce a fare nulla; nulla di nuovo, nulla di veramente creativo. Tende a mesco-lare sempre le vecchie carte.

Tuttavia, in alcuni casi, avviene il mi-racolo; non sappiamo come, ma qualcosa di assolutamente imprevisto ci permette di realizzare un’idea della quale non eravamo molto convinti neppure noi stessi. Lo stesso seme – per tornare al nostro esempio – non

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L’e-mail della Sfinge

dovrebbe mai svilupparsi, a causa della con-trapposizione delle due forze... Eppure, un seme su qualche migliaio riesce a crescere e diviene una gigantesca sequoia.

Cosa è intervenuto, affinché questo mira-colo potesse compiersi? È importante capir-lo, perché forse, comprendendolo, potremo utilizzare lo stesso principio volontariamente e consapevolmente a nostro favore.

(Ecco il tre! Ci vorrebbe una bella co-lonna sonora... Magari in questo pun-to, nel libro, ci metterò una foto...).

Esiste dunque una terza forza, la responsabile del miracolo. Questa energia – che definiremo “unificante” o “conciliatrice” – opera costan-temente in natura, risolvendo il conflitto tra positivo e negativo, a vantaggio del primo, ossia a favore del cambiamento. Per questa ragione in natura esiste una costante mutazio-ne delle forme e mai nulla è immobile.

Per il nostro seme, qual è la forza unifi-cante? Il principio nutritivo, vale a dire l’inte-razione di una somma di elementi, primo fra

Armonia, armonia ... armonia

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tutti la luce! Le sostanze disciolte nel terreno, l’acqua e la luce del sole conferiscono al se-me una possibilità ulteriore, senza la quale la pressione genetica verso lo sviluppo, indotta dalla forza positiva, non sarebbe sufficiente.

Se viene a mancare la prima forza – quel-

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L’e-mail della Sfinge

la positiva che spinge alla crescita – non vi è possibilità di sviluppo, neppure ricevendo la terza forza, quella unificante. Se il seme è arido dal principio, cioè malformato, non esiste possibilità di maturazione. Se venisse a mancare la seconda forza, quella negativa, lo sviluppo sarebbe libero. Ma la mancanza del principio di conservazione non consentirebbe la salvaguardia delle forme, e quindi tale for-za non è mai assente. Mai, neppure dal punto di vista psicologico, nell’essere umano.

Ma torniamo ancora all’esempio del se-me: la forza positiva lo spinge dall’inizio verso lo sviluppo della sua forma futura. Si tratta però solo di una possibilità. La luce e le sostanze organiche disciolte nel terreno sono importantissime perché ciò si verifi-chi. Sono la terza forza, la forza unificante. Quindi, per poter crescere, il seme deve ri-cevere contemporaneamente l’energia della prima e della terza forza, affinché possa su-perare la resistenza dell’ambiente, costituita dalla seconda forza.

Questo ci riporta all’affermazione inizia-le in cui sostenevo che tutto ciò che si verifi-

Armonia, armonia ... armonia

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ca nella vita avviene per mezzo della Legge del tre. Le tre forze – la positiva di creazio-ne, la negativa di conservazione e la terza unificante – sono i fattori che determinano gli avvenimenti dell’esistenza. Ogni cosa nel mondo, tutte le manifestazioni di ener-gia, tutti i tipi di azione – sia nel mondo che nell’attività umana, internamente ed esterna-mente – sono sempre manifestazioni di que-ste tre forze che esistono in natura.

Bisogna comprendere che esse non dif-feriscono una dall’altra, così come i termini “attività” e “passività” o “positivo” e “nega-tivo” differiscono nella nostra comprensione ordinaria. La forza attiva (positiva) e quella passiva (negativa) sono entrambe attive, per-ché una forza non può essere passiva.

Ma esiste una certa differenza nella loro attività (una tende allo sviluppo, l’altra alla conservazione) e questa differenza determi-na tutta la varietà dei fenomeni.

Le tre forze lavorano assieme, ma in ogni combinazione predomina una di esse. Come pure, ogni forza che ora è attiva può dive-nire passiva o neutralizzante nel momento

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L’e-mail della Sfinge

successivo, in un’altra triade. Quando le tre forze si incontrano contemporaneamente, accadono gli eventi. Se ciò non avviene, non accade nulla.

La Legge del tre è una Legge Universale, ovvero presente in ogni aspetto della natura e assolutamente immutabile per l’essere u-mano. Nessun uomo può modificare questa Legge: è un elemento stabile, come la legge di gravità o la presenza del sole nel cielo. L’essere umano può tuttavia comprendere in quale modo utilizzarla, al fine di poter conse-guire una libertà di azione altrimenti impos-sibile.

Devo precisare che tutto quello che è sta-to descritto fino ad ora è, nella realtà, mol-to più complesso e soggetto ad un enorme numero di variabili. Ma non voglio andare oltre. Per il nostro argomento questo basta e avanza...

(Non so se quest’ultima frase fa parte del testo... Magari la metto lo stesso, per non snaturare lo stile particolare della conversazione...).

Armonia, armonia ... armonia

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In ogni caso, se è pur vero che le varie leggi regolano e condizionano gli eventi, è altret-tanto vero che conoscerle può portare non solo a non subirle, ma addirittura a utiliz-zarle in direzione degli scopi che ci siamo proposti.

Riconoscere l’espressione della Legge del tre in ogni azione è un elemento di quel-la conoscenza fondamentale nello studio di sé che può condurci finalmente a gestire la nostra esistenza, dribblando sapientemente e consapevolmente la Legge di Casualità (la quale – sia ben inteso – ignorata o conosciu-ta che sia, prosegue indefessamente ad agire nella vita di tutti gli esseri umani).

Ecco dunque ciò che “sta sotto” l’enigma della Sfinge... Non un banale indovinello, ma una conoscenza occultata in un mito.

La Sfinge, emanazione di un mondo divi-no, chiedeva la comprensione di un cammi-no verso l’emancipazione. Chiedeva un pas-so oltre l’ignoranza, superato il quale essa stessa non aveva più motivo di esistere.

Edipo – l’eroe, l’individuo risvegliato –

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L’e-mail della Sfinge

diede quella risposta, così da costringere il mostro dell’ignoranza ad autodistruggersi, divorando se stesso e mostrando, con questo, la sua natura illusoria di fronte alla verità.

Ciò che è stato tramandato del mito è poco più di una favoletta per bambini, ma dobbiamo sempre imparare a “leggere tra le righe”, applicando intelligenza, intuizione e sensibilità a tutto ciò che ci proviene dall’e-sperienza umana, che da sempre si interroga sulle questioni essenziali nelle quali anche noi ci dibattiamo, convinti di essere soli e senza tracce da seguire.

La realtà, invece, mostra un cammino trac-ciato da innumerevoli punti di luce, commo-venti segnali lasciati da chi ci ha preceduto, punteggiando la via di preziose pietre miliari che hanno fatto grande la storia di questa umanità...

Buonanotte, caro amico. È molto tardi e ho bisogno di riposare. Tra poche ore mi aspetta il Moskovsky Kreml!

W.

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ChAt, doCCiA CALdA e zAkuSki

Eccomi...

Non avevo ancora elaborato il testo della mail ricevuto da poche ore, allorché il fami-liare beep dell’ iPhone mi fece sobbalzare.

Hai ricevuto? Te gusta?

Certo, Walter. Mi sembra ottimo. Mi ha colpito molto il mito di Edipo...

Secondo Freud, siamo tutti un po’ colpiti da Edipo...

Armonia, armonia ... armonia

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Ahahah, vero! Ma in questo caso, con la Sfinge di mezzo, era un po’ più impegnativo... Comunque sto procedendo...

Bene, allora posso mandarti qualcos’altro... Qui fa un discreto freddo e, ogni tanto, non è male ritirarsi in albergo a scrivere un po’...

(mi ero abituato, negli anni, a un certo tipo di ritmo, con lui; e anche a metodi di lavoro inconsueti. Una volta, avevo registrato con il cellulare il testo di un intero libro a viva voce, mentre insieme andavamo in macchina da qualche parte... Un discorso cominciato quasi per caso che, qualche giorno dopo, era già stampato, rilegato e pronto per la distribuzione. Dovevo battere il ferro men-tre era caldo, prima che si raffreddasse nei mea ndri del Cremlino...

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Chat, doccia calda e zakuski

Manda pure. Sono pronto ad aggiungerlo al resto!

Più avanti, prenderemo in esame il concetto di “polarità”, ma prima, sempre in tema di armonia, vorrei precisare qualcosa sul phi...

Il phi? Il numero aureo?

Sì, il numero aureo – o meglio, la sezione aurea – non può essere ignorata quando si parla del principio dell’armonia. Solo qualche appunto, per ampliare la visione...

Benissimo! Intanto vado avanti sul resto e rimango in attesa...

Armonia, armonia ... armonia

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Perfetto. Dammi il tempo di una doccia calda e mi metto. Ti spedirò quando posso: dopo tutto anche l’appetito, prima o poi, si farà sentire... ;-)

Mmmmh! Assaggia qualche Zakuski 5 anche per me!... Ci aggiorniamo più tardi. Ciao!

(Mi stava5già pigliando la frenesia tipica – almeno in me – di quando un libro entra nel vivo. Vedevo già i capitoli, il susseguirsi delle pagine, fino all’indice finale. Come al solito, non vedevo affatto, però, tutto il lun-go lavoro che ancora restava da fare...).

5. Gli zakuski sono antipasti freddi, fatti con caviale nero e rosso, serviti su pane nero con burro op-pure sopra delle crepe lievitate

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LA mAgiA deL phi

Non era passata che qualche ora (e ancora stavo impaginando il materiale precedente) quando, puntualmente, mi arrivò la mail an-nunciata. Eccola di seguito.

Walter FerreroA: Adea edizioni...a proposito di energia - parte 3

02 gennaio 2017 19:25

Eccomi...Torniamo dunque al principio di armonia, che è il nostro argomento.

Immagino ti sia chiaro che quando siamo di fronte a uno scenario armonico – mettia-mo una vallata alpina, con un lago coronato

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da boschi e cime innevate – abbiamo la sen-sazione che tutto sia immobile e statico: un bel quadro idilliaco.

La realtà, invece è che tutto si trasforma continuamente: cadono foglie dagli alberi, altre marciscono, nuovi arbusti crescono im-percettibilmente, milioni di insetti nascono e muoiono e, anche sotto le acque del placido laghetto tutto brulica di vita e mutamento. Cambia la luce, l’aria si modifica, ogni ato-mo trova nuove combinazioni, nuove attra-zioni e repulsioni... E tutto in base alla Legge del tre, sospinto da una forza che afferma, una che si oppone e una che riconcilia il conflitto... Triadi, “triangoli di azione”, uno causa dell’altro, e altri ancora, insieme e suc-cessivi, formati dai miliardi di combinazioni sempre in atto...

A partire da un punto centrale di origine, in ogni frazione infinitesimali di quello che noi chiamiamo “tempo”, la realtà si genera di continuo, mutando in ogni forma possibi-le, attraverso infinite possibilità combinato-rie, secondo la Legge del tre.

Immagino che questo immenso schema

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La magia del phi

ti ricordi qualcosa... Una figura che ben co-nosci...

(Eccome se mi ricorda qualcosa! Il disegno mi si era formato in mente fin dalle prime parole...

Bene. Quella figura che hai visualizzato (magari aggiungila, nel libro: non tutti sanno cos’è lo Sri Yantra...) non è che una sempli-ficazione, il “promemoria”, come per dire, di

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uno sviluppo che è immenso, semplicemente maestoso, e coinvolge interi universi. E non solo sul piano bidimensionale, come è ne-cessariamente reso nel simbolo, ma su più piani, in una metamorfosi continua di triadi su triadi, minori e maggiori, all’infinito.

D’altronde lo yantra (perché quella fi-gura rappresenta esattamente uno yantra di origine tantrica) è una simbologia tipicamen-te indiana e costituisce in sostanza il con-traltare del mandala tibetano. Entrambi rap-presentano la raffigurazione di un “viaggio spirituale”, esposto come la mappa di una “città”, uno spazio da percorrere che tutta-via, proprio come in una cartina, è disegnato su un piano bidimensionale (una pergamena, un supporto di legno, pietra o stoffa) ma va sapientemente sviluppato “all’interno” in tridimensionalità.

Bisogna anche tener conto del fatto che i buddhisti sostengono che i “veri mandala” possono essere solamente mentali. Le imma-gini simboliche dipinte, quindi, servono per costruire il vero mandala, che si forma solo nella mente.

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La magia del phi

Lo yantra, rispetto al mandala, è molto più schematico, e usa figure geometriche e lettere in sanscrito, mentre nel mandala sono rappresentati anche – in maniera spesso par-ticolareggiata – luoghi, figure e oggetti.

Tornando alle Leggi, quella del tre non è la sola legge che si esprime, ma ai nostri fini, per ora, ci fermiamo a questa.

Tuttavia, quel paesaggio armonico che stavamo osservando (il lago di montagna, ricordi?) non solo vive di questo dinamismo continuo, ma si è formato – e ancora cresce e si trasforma – attraverso un ordine, uno schema equilibrato e non caotico che, alla fine, contribuisce non poco a quella sensa-zione armonica che emana.

Ebbene, quell’equilibrio che puoi recepi-re nella natura è per lo più frutto di un rap-porto matematico che regola la crescita e la disposizione delle forme. Si tratta del rap-porto aureo – o proporzione divina – basato appunto sul numero aureo, o phi.

Era una nozione nota già agli Egizi e ai Greci, e fu citato da Euclide nei suoi Ele-

Armonia, armonia ... armonia

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menti. È il rapporto fra due lunghezze disu-guali, delle quali la maggiore è medio pro-porzionale tra la minore e la somma delle due. Corrisponde anche al rapporto tra il lato esterno di un pentagramma (o pentacolo) e il lato del pentagono interno; per questo fu studiato dai pitagorici, che consideravano il pentacolo una figura fondamentale.

Nel Medioevo assunse il nome di “pro-porzione divina” comparendo indirettamente negli studi di Fibonacci e di Leonardo da Vinci, per le sue proprietà aritmetiche e geo-metriche. Anche Keplero ed Eulero, nei loro studi, lo ricollegarono alla successione di Fibonacci.

(Certo, anche la successione di Fibo-nacci sarebbe un argomento interes-sante e, tra l’altro, piuttosto collega-to... Magari ne parla più avanti...).

Come ho detto, è un rapporto ricorrente in natura e utilizzato da architetti, scultori o pit-tori nelle loro opere;. Viene anche chiamato, infatti, “costante di Fidia” in quanto fu utiliz-

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La magia del phi

zato dallo scultore greco in molte sue opere, come il Partenone di Atene.

Per spiegarlo in termini semplici, possiamo fare un esempio attraverso la composizione fotografica, una forma d’arte più consona ai nostri tempi e un genere di esperienza co-mune a molti (poi, nel libro, mettila un po’ come vuoi).

In generale, la nostra mente tende a sempli-ficare la percezione di un equilibrio nella di-sposizione delle forme attraverso la simme-tria. Ma, come è del tutto palese, in natura, sostanzialmente, la simmetria non esiste,

Armonia, armonia ... armonia

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Allorché ci accingiamo a comporre un’immagine attraverso la nostra immagi-nazione (disegnando, dipingendo un quadro, progettando una costruzione o – esperienza appunto più comune – scegliendo l’inqua-dratura di una foto) ecco che tendiamo a cer-care istintivamente un ordine simmetrico. Puntiamo, cioè, a un equilibrio in tutto ciò che vediamo.

Questo senso di equilibrio innato influen-za profondamente le nostre valutazioni visi-ve. Questo ci porterà, per esempio, a porre il soggetto al centro dell’inquadratura, do-ve abbiamo l’impressione che risulti più ar-moniosamente disposto. Il motivo risiede nel fatto che i nostri occhi puntano al cuore dell’immagine e lì si fermano (tralascerei noiose spiegazioni anatomiche sulla confor-mazione della retina, ma vedi tu...).

(Certo. Magari metterò una nota, ma forse anche no...).

Naturalmente, capita sovente che certi foto-grafi specializzati nel “ritratto” facciano uso

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La magia del phi

di questo genere di inquadratura centrale, perché vogliono che chi guarderà poi la foto sia indirizzato al viso e, soprattutto, agli oc-chi del soggetto.

Tuttavia, benché l’occhio tenda naturalmen-te al centro, allo stesso tempo si “annoia” facilmente e tende a passare oltre, a cercare altri punti di interesse.

Armonia, armonia ... armonia

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Come raggiungere, allora, un equilibrio senza disporre il soggetto al centro dell’in-quadratura?

In fotografia si ricorre alla “regola dei terzi”, ovvero uno schema che descrive quat-tro assi lungo i quali è possibile organizzare elementi della composizione.

La regola dei terzi si realizza creando una griglia che divide l’immagine in tre parti, sia orizzontalmente che verticalmente.

Utilizzare questa regola per organizza-re gli elementi di un’immagine, lungo un

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La magia del phi

asse, aiuta a creare equilibrio, permettendo di realizzare composizioni maggiormente dinamiche e in grado di creare interesse per l’occhio

Armonia, armonia ... armonia

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(In un paesaggio, per esempio, la linea dell’o-rizzonte non va posta in mezzo, ma su una delle due linee orizzontali, a seconda che si voglia enfatizzare il cielo o il territorio/mare, ecc. Ovviamente, si tratta sempre di una scel-ta: a volte la staticità può essere voluta...)

Tuttavia, la “regola dei terzi” è in realtà la semplificazione di un’altra regola, che è quello che qui davvero ci interessa e di cui ho già accennato: la sezione aurea.

Come già detto, si tratta di una propor-zione geometrica basata su un rapporto spe-cifico, in cui la parte maggiore sta alla parte minore come l’intera sta alla parte maggiore (AB : BC = AC : AB).

In sostanza, un rettangolo aureo è un qual-siasi rettangolo i cui lati stanno nel rapporto

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La magia del phi

aureo, e può essere facilmente costruito a partire da un quadrato inscritto.

Ecco così che i nostri “quattro assi” di com-posizione sono mutati, e si trovano più rav-vicinati tra loro, verso il centro...

Ora, sommando ad un rettangolo aureo il quadrato costruito sul suo lato maggiore si

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ottiene un altro rettangolo aureo. Le due o-perazioni possono essere ripetute più volte, ottenendo una successione di quadrati e ret-tangoli aurei che vanno a formare una spira-le, la spirale aurea.

Senza andare troppo oltre nelle spiegazioni tecniche, vorrei solo sottolineare una legge di armonia che va oltre la semplice statici-tà di un equilibrio simmetrico. Si tratta, in sostanza di uno degli schemi principali che la natura utilizza per “disporre” e costruire gran parte delle sue forme.

Gli esempi in natura della spirale aurea sono innumerevoli, dal guscio di una con-

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La magia del phi

chiglia alla testa del girasole e di molte altre piante, dagli uragani ai mulinelli, fino ad ar-rivare alle galassie.

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Si tratta di un genere di proporzione armo-nica di carattere universale, una vera e pro-pria Legge, presente in moltissime forme ed

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entra – non ultimo – a far parte anche delle meravigliose proporzioni del corpo umano.

In tutti noi c’è un istinto naturale verso l’ar-monia delle forme, perché il rapporto aureo (phi) è intrinseco al nostro cervello, inciso

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– è il caso di dirlo – a caratteri d’oro nel no-stro dna (altra spirale da indagare). Quando siamo di fronte a una scena naturale – o a un’opera dell’uomo concepita secondo que-sta proporzione – si produce una relazione di maggior impatto sul nostro cervello, ciò che viene definito come la “risposta phi”.

Nulla, nell’esistente, è affidato al caso; tutto è regolato in un flusso collegato a una perfetta matrice geometrica, a una legge u-niversale. che segue un ordine preciso, in un equilibrio armonico.6

È geometria sacra in azione, quell’“...atto secco, immediato, come uno schiaffo...” di cui ti dicevo via chat. È il principio della bellezza, quella percezione immediata del momento presente che ferma la mente e in-nesta il cuore, la passione, la commozione.

Non c’è un processo logico, un percorso

6. Per chi volesse approfondire l’argomento, sug-geriamo di leggere qualcosa sulla sequenza di Fibonacci (in cui ogni numero è la somma dei due che lo precedono). La spirale di Fibonacci prodotta dalla sequenza, è un’approssimazione della spirale aurea, che è logaritmica.

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mentale, tutto avviene nell’attimo stesso in cui si coglie la bellezza di una visione armo-nica, che si tratti di un paesaggio, di un fiore, di un animale, di un altro essere umano, di un’opera d’arte o ...di uno scatto fotografico.

Molti pensatori si sono soffermati sul concetto di armonia. Secondo la tradizione, fu Pitagora a scoprire la progressione armo-nica delle note musicali, notando come la divisione di una corda tesa, in base a numeri interi consecutivi, desse luogo a suoni con-sonanti, cioè “piacevoli”.

Egli concepiva i corpi celesti reciproca-mente separati da intervalli, corrispondenti alle lunghezze armoniche delle corde e ri-teneva che il movimento delle sfere produ-cesse un suono, chiamato “l’armonia delle sfere”, una sorta di “musica celeste”.

Secondo lui, cioè, la distanza tra i pianeti e la loro diversa velocità di rotazione deter-minano diversi suoni, non percepibili dall’o-recchio umano.

Eraclito aggiunge alcune considerazioni sul concetto di armonia, postulando l’unifi-

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cazione della diversità attraverso la concor-danza di elementi in sé discordanti, cioè dal-la contrapposizione di elementi contrari (ed è quello di cui ci occuperemo più avanti...).

Dall’integrazione di queste teorie – dall’idea, cioè, di simmetria armonica e da quella di proporzionalità tra parti differenti – prende forma quell’equilibrio che è alla base dell’arte greca classica (con la sezione aurea, abbiamo visto).

Anche la medicina greca si inserisce in un naturalismo filosofico che regola il ma-crocosmo (universo) e il microcosmo (corpo umano). Così per Ippocrate, come per Gale-no, la malattia, in quanto squilibrio tra l’am-biente e il corpo – e, nel corpo, tra gli umori – si cura ristabilendo l’armonia.

Dal punto di vista strettamente filosofico, sarà Platone a riprendere le riflessioni pita-goriche costruendo – nel Timeo – una nuova cosmogonia basata sull’anima del mondo, intesa come principio del movimento ordi-nato dell’Universo. Anche in questo caso sono i rapporti numerici, elemento fondante dell’anima del mondo e dell’uomo, che ga-

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La magia del phi

rantiscono la bellezza, l’ordine e la misura del cosmo.

Non voglio andare oltre, perché la vastità delle argomentazioni filosofiche fino ai gior-ni nostri ci porterebbe troppo lontano e, tutto sommato, non farebbe che aggiungere solo dettagli o semplici interpretazioni.

Vorrei solo ricordarti lo splendido e pre-zioso capitolo delle Enneadi di Plotino (ri-portato da Porfirio) sulla bellezza.7 E, an-cora, l’eclettico Leon Battista Alberti («La bellezza è accordo e armonia tra le parti in modo tale che non sia possibile aggiunge-re, togliere e cambiare qualsiasi cosa senza compromettere il tutto») e, insieme a lui, tut-ti i neoplatonici rinascimentali – in primis Giordano Bruno –, così come Spinoza, Gali-leo («Le cose sono unite da legami invisibi-li. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella»), fino a... Carl Gustav Jung («La nostra psiche è costituita in armonia con la

7. Vedi Enneade I, 6., per esempio nella versione curata da: G. Reale e tradotta da R. Radice, pub-blicata per i tipi di Mondadori [NdE]

struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infi-nitesimi e più soggettivi recessi dell’anima».

Si tratta di semplici spunti, che possiamo anche lasciare così, alla curiosità esploratrice dei lettori che hanno apprezzato fin qui que-ste righe...

Sì, facciamo i bravi e non appesantiamo troppo la mente: in fondo, diceva Pitagora, «La virtù è armonia»,

Ciao!

W.

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SmArtphone e teLegrAmmi

Ero al lavoro da un po’, quando si fece senti-re il familiare beep della chat.

Eccomi...

Hai ricevuto la seconda mail? Ti è piaciuto il numero aureo?

Certo! Tutto ciò che è d’oro mi piace! A partire dal silenzio… comunque ci sto lavorando... inserirò qualche immagine esplicativa e - magari - qualche nota...

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(...Ma che battuta stupida! Perché non faccio che pensare tutto il giorno e, quando devo scrivere a qualcuno, non penso affatto e mi escono ‘ste fra-si insulse?...).

No problem, fai come credi, ma non renderlo troppo complesso...

No, no, anzi! Sto pensando di mantenere la freschezza di questa nostra corrispondenza... quasi come una conversazione dei vecchi radioamatori del dopoguerra, che comunicavano attraverso la “cortina di ferro” e poi si mandavano le cartoline...

Mi sembra una buona idea. Procedi pure.

Intanto preparo qualcos’altro.

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Smartphone e telegrammi

Credo che valga la pena di approfondire l’argomento, esaminando un altro aspetto che sta a priori...

Ho intenzione di fare una sorta di “passo indietro” (si fa per dire), prendendo sempre a pretesto l’enigma della Sfinge...

Sì. Una spiegazione già molto interessante...

Vorrei tornare alla questione delle “due gambe”, ovvero all’incontro con l’esperienza della polarità.

Ricordo bene. Tra l’altro ne avevi accennato anche a proposito di Eraclito...

Armonia, armonia ... armonia

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Sì, infatti, e non è certo stato l’unico... Si tratta di una questione sulla quale si sono formate intere civiltà e visioni morali e religiose... Un tema fondamentale, insomma!

(Un po’ me lo aspettavo. Si era subito passati alla “soluzione” dell’enigma, senza aver approfondito i vari pas-saggi... Soprattutto il secondo, infatti, che corrisponde in sostanza a tutta la vita dell’uomo nella sua problematici-tà. Mi ero, in effetti, già riproposto di chiedergli di ritornarci...).

Procediamo come al solito, allora, se ti va bene.

Appena posso preparo qualche pagina che ti invio per e-mail. Mi sembra che in questo modo stiamo “funzionando” molto bene... A più tardi.

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Smartphone e telegrammi

Benissimo, intanto vado avanti sull’impaginazione.

Buon lavoro!

Non gli avevo ancora detto quanto il libro stesse venendo bene, nello stile molto “quo-tidiano” di una conversazione a distanza. In fondo, un segno dei nostri tempi, così con-vulsi e in buona parte impegnati nel tenere a bada il flusso di informazioni che arriva con ogni mezzo.

In quest’occasione, non ci eravamo fat-ti mancare niente: avevamo cominciato a parlare del libro a voce, poi ne avevamo di-scusso al telefono. Io avevo cominciato a raccogliere materiale su Internet e, infine, il lavoro si stava svolgendo attraverso chat e e-mail... E tutto questo per stampare poi un libro su carta, come sempre...

Magari, alla fine gli manderò un tele-gramma, tanto per chiudere il cerchio...

Immagino già il testo:

libro finito. stop.

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L’ArmoniA degLi oppoSti

Questa volta dovetti attendere qualche ora in più. Poi, finalmente, controllando la po-sta, trovai la fatidica e-mail che stavo aspet-tando...

Walter FerreroA: Adea edizioni...a proposito di energia - parte 4

03 gennaio 2017 14:10

Eccomi...Partiamo subito da un concetto. Un postulato incontrovertibile:

La Verità è una.

Lo è per sua natura, perché se pure esistesse un’altra sola verità, quest’ultima contraddi-

Armonia, armonia ... armonia

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rebbe inevitabilmente la prima, vanificando-la del tutto.

Questo concetto (al di là di millenni di dispute filosofiche sul “come” stabilire il ve-ro, questione gnoseologica, legata cioè allo strumento della conoscenza umana) è stato chiaro per tutti fin dall’inizio dei tempi.

Per tutti, la Verità è “una senza secondo”. Nelle Upanisad si dice esattamente: «Bra-haman è il solo e senza secondo, è silenzio assoluto».

Anche tra i Greci, in Occidente, Parme-nide afferma: «Essendo ingenerato è anche imperituro, tutt’intero, unico, immobile, sen-za fine. Non mai era né sarà perché è ora tutto insieme, uno, continuo». E, allo stesso modo, affermeranno la medesima cosa Pla-tone, Eraclito, Plotino, Giordano Bruno, e tanti, tanti, tanti altri.

Ora, questa Verità – se vogliamo, possia-mo chiamarla Dio – per potersi esprimere, per manifestarsi, si proietta oltre se stessa, creando uno spazio e, necessariamente, un tempo, via via più dilatato quanto più si al-lontana dall’Origine.

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L’armonia degli opposti

All’interno di questi spazio e tempo si generano, sempre in numero maggiore lungo il percorso, i Princípi e le Leggi che, a loro volta, andranno a dare forma ad altre molte-plicità.8

Possiamo chiamare tutto ciò “Espressio-ne della coscienza universale”, “Creazione”, “Evoluzione”, o come vogliamo ma, alla base di ogni definizione, rimane sempre solo quell’unica Verità.

All’interno di questo spazio-tempo in espan-sione di cui abbiamo detto, esiste movimen-to e, questo movimento, si traduce nell’al-

8. Abbiamo visto, nei capitoli precedenti, almeno due di queste Leggi, collegate al concetto di ar-monia, ma ve ne sono innumerevoli altre, fino a quelle, più conosciute, della fisica della materia, che abbiamo studiato a scuola. In realtà, lo sfor-zo della fisica quantistica di arrivare alla cosid-detta “Teoria del tutto” (la riunificazione delle leggi fisiche conosciute in una sola) si può con-siderare il tentativo di “risalire” verso l’origine – almeno sul piano fisico denso – nella gerarchia delle varie Leggi che si moltiplicano man mano che si esprimono verso “il basso”.

Armonia, armonia ... armonia

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ternarsi ritmico e armonico tra due polarità opposte. Lo abbiamo già accennato parlan-do della “direttrice che si è formata tra i due punti” [vedi pag. 30. NdE]. Ma, al di là del modo duplice – o, meglio, “polare” – con cui si esprime, la Verità che sottende a quel movimento è sempre e soltanto una.

Per capirci: se andiamo a fare una pas-seggiata su una strada che sale verso una montagna, il nostro movimento ci porterà ad andare prima in salita e poi in discesa e, per continuare a muoverci dovremo di nuovo sa-lire e poi discendere, e così via. Ma la strada rimane sempre quella, la stessa, sia che noi la risaliamo o la ridiscendiamo. La strada – la Via – è una.

I due poli opposti di un fenomeno sono due facce di una stessa medaglia (due fac-ce, una medaglia, appunto... Il passaggio da una faccia all’altra comporta un movimento) e costituiscono l’esperienza sensibile della rea ltà che viviamo. Salita-discesa, alto-bas-so, luce-oscurità, giorno-notte, caldo-freddo, maschile-femminile, ecc. sono solo alcune delle polarità che costituiscono la manife-

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L’armonia degli opposti

stazione di ogni fenomeno nel mondo. Quel movimento, appunto, che è la vita stessa.

Ovviamente esistono innumerevoli sfu-mature – progressivi stadi intermedi – all’in-terno del movimento tra un polo e l’altro. Pensa alla gamma dei grigi possibili tra un bianco e un nero assoluti, o il trascolorare impercettibile del cielo nel passaggio tra il giorno e la notte o viceversa.

Possiamo dire, anche, che esistono varia-zioni che i nostri sensi non sono neppure in grado di registrare (vedi per esempio i raggi ultravioletti, gli infrarossi o gli ultrasuoni).

Vi sono addirittura gradi di variazione che neppure i più sofisticati strumenti scien-tifici di misurazione sono in grado di regi-strare (pensa, per esempio, alle variazioni emotive che possono intercorrere tra uno scatto d’ira e la calma, o alle impalpabili mutazioni del pensiero e così via...).

Sta di fatto che viviamo in un mondo in cui tutto si esprime attraverso una polarità, che noi lo vogliamo o meno. A nulla valgono i nostri tentativi di negare psicologicamente questo fatto (perché non vogliamo accettare

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la morte, per esempio, se amiamo tanto la vita? E come mai, ancora, rifiutiamo il fatto che, al nostro interno possano esistere pul-sioni che giudichiamo “negative”, quando ci piace considerarci sempre così bravi, belli e buoni?).

Tutto ciò che l’uomo trova nel mondo manifesto e ogni concetto che egli riesce a immaginare gli si presenta sempre sotto for-ma di due poli. È impossibile farsi l’idea di un’unità al di fuori della polarità. Espresso nel linguaggio simbolico dei numeri, questo significa che il numero uno non è concepi-bile fintanto che non compare il due; l’uno presuppone il due.

Forse, attraverso la geometria, quest’af-fermazione è più facilmente comprensibile: il simbolo geometrico dell’uno è il punto. Un punto non ha dimensione né nello spazio, né sul piano, altrimenti sarebbe una sfera o un disco... Non ha quindi dimensioni. La mente, però, riesce a concepirlo, perché quando si immagina un punto se lo figura sempre con una estensione, per quanto piccola essa pos-sa essere.

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L’armonia degli opposti

Questa unità, però, non è pensabile (e qui si potrebbe anche fare un certo discorso sulla concezione dell’Unità che sta all’Origine – il concetto di Dio – ma non è il caso. Andrem-mo “fuori tema”...).

La coscienza umana obbedisce alla con-cezione della polarità. Soggiace al due. Co-sì distinguiamo più e meno, uomo e donna, bello e brutto, buono e cattivo, tono mag-giore e minore, luce e tenebre. E si potrebbe continuare a lungo, dato che ogni idea si svi-luppa lungo una dinamica – un movimento, sia pure della mente – che presuppone due polarità, un secondo punto di riferimento (non possiamo insomma concepire la luce, per esempio, se non abbiamo introiettato la nozione di buio. Percepiamo per differenza).

Queste coppie di concetti le definiamo “opposti”, e siamo abituati a porci, nei ca-si concreti, l’alternativa “o/o”. Cerchiamo costantemente di creare coppie di concetti. Una cosa è grande o piccola, chiara o scu-ra, buona o cattiva. Il problema è che siamo convinti che questi “opposti” si escludano l’un l’altro, ma non è affatto così...

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Prendiamo ad esempio il “vaso di Rubin”,9 riprodotto qui sotto: i due elementi figurativi rappresentati (vaso/volti) sono pre-senti entrambi contemporaneamente nell’im-magine, ma costringono chi osserva a una decisione nel senso di o/o: o vediamo il va-so, o vediamo i volti.

Nel migliore dei casi, possiamo percepire i due aspetti di questa immagine uno dopo l’altro, ma è molto difficile percepirli en-trambi contemporaneamente.

9. Il vaso di Rubin è una famosa serie di ambigue figure bidimensionali sviluppate intorno al 1915 dallo psicologo danese Edgar Rubin. [NdE]

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Questo “scherzo” ottico costituisce un buon esempio per capire come si comporta la nostra mente in termini di polarità: se si elimina dall’immagine un polo – indifferen-temente quello bianco o quello nero – spari-sce tutta l’immagine coi suoi due aspetti.

Risulta qui palese che il nero trae vita dal bianco, il primo piano nasce dallo sfondo, proprio come l’inspirazione deriva dall’espi-razione (e viceversa).

L’esperienza umana fondamentale delle polarità è proprio il respiro. In esso possia-mo studiare le leggi della polarità, che è poi possibile trasferire a tutto l’universo. Perché «come sotto, così sopra».10 Quando noi in-spiriamo, ne deriva con assoluta certezza, come polo opposto, l’espirazione. A questa segue, con altrettanta certezza, di nuovo l’in-

10. Celebre frase attribuita a Ermete Trismegisto. Nella “Tavola smeraldina” (testo anch’esso a lui attribuito) il concetto è espresso in questi termi-ni: «Ciò che è sotto è identico a ciò che è sopra e ciò che è sopra è identico a ciò che è sotto; que-sto permette di penetrare le meraviglie dell’uni-tà». [NdE]

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spirazione. Lo scambio continuo di questi due poli produce il ritmo.

Il ritmo è il modello di base di tutta la vita. Se lo si arresta, si interrompe la vita. Il ritmo consiste sempre di due poli, e quindi non è un “o/o”, ma un “e/e”, un’inspirazione e un’espirazione, non un inspiro o un espiro. Chi rifiutasse di espirare, non potrebbe poi più inspirare, e viceversa. Perché un polo vi-ve dell’esistenza dell’altro. Se accantono un polo, sparisce anche l’altro. Un polo produce l’altro.

Ciò che nella respirazione appare ovvio non viene però riconosciuto in quasi tutti gli altri ambiti, cosa che ha sempre creato non pochi problemi.

Se qualcuno è “contro” qualcosa, signi-fica in genere che è favorevole al suo con-trario. Così, per esempio, si è per la pace e contro la guerra, per la salute e contro la ma-lattia, per la felicità e contro il dolore, per il bene e contro il male. E ci si dimentica che tutti questi concetti sono coppie che costitui-scono una indissolubile unità, che l’uomo non può dissolvere. Se mi rifiuto di espirare,

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L’armonia degli opposti

non posso più inspirare. Se tolgo il polo ne-gativo della corrente elettrica, sparisce anche quello positivo. Allo stesso modo, la pace condiziona la guerra, il bene è tale in quanto esiste il male e il male è il !fertilizzante! del bene. Così Mefistofele, nel Faust di Goethe, dice: «...io sono una parte di quella forza che vuole costantemente il male e produce costantemente il bene».

Vorrei qui fare un inciso sul concetto gan-dhiano di non-violenza. Per quanto non si possa approvare la violenza, non possiamo pensare di poterla eliminare del tutto. Pro-prio per via della legge di polarità, l’idea di un mondo privo di violenza, anche se sen-timentalmente desiderabile, è assolutamente al di fuori di ogni possibilità.

Possiamo auspicarlo in un pensiero uto-pico, ma la realtà è che la violenza esiste (e solo la sua esistenza dà luogo all’impegno non-violento) così come – per estensione – anche la pace sussiste solo se, da qualche altra parte, c’è la guerra. So che è davvero dura da accettare, ma questa è la realtà. La

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concretezza del movimento e del ritmo che si manifesta nella vita.

Individualmente, possiamo certamente fare delle scelte, possiamo – e dobbiamo –condurre azioni che siano il più possibile i-spirate a una convivenza pacifica, cercando di dare sempre più forza alla costituzione di un equilibrio (Legge del tre) che si stabilisca su livelli di coscienza sempre più elevati. Ma non possiamo pensare di poter eliminare davvero del tutto uno degli aspetti che costi-tuiscono la realtà.

Persino una semplice onda del mare è costituita da una fase ascendente e da una discendente, da un flusso e da un riflusso, altrimenti non esiste e basta. Così è la realtà del mondo sensibile, che ci piaccia o meno.

La realtà consiste di unità – di principi, leggi, concetti e fenomeni che hanno una so-stanza univoca – che però si manifestano alla coscienza umana solo in termini di polarità.

Allo stesso modo, noi siamo anche in grado di percepire l’unità come tale, il che però non ci autorizza a dedurne che questa

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L’armonia degli opposti

unità non esiste. La percezione della polarità presuppone per forza l’esistenza di una uni-tà. Il due non può essere che la conseguenza dell’uno. Il fatto è che noi vediamo l’unità sempre e soltanto sotto forma di due aspetti, che ci sembrano opposti. Ma sono proprio gli opposti che, insieme, formano una unità e nella loro esistenza sono dipendenti uno dall’altro.

Diceva Eraclito:11 «Ecco i congiungimen-ti: intero non - intero, concorde - discorde, armonico - disarmonico: e da tutte le cose l’uno e dall’uno tutte le cose». Un’osserva-zione della realtà che sintetizza perfettamen-te il concetto. D’altronde, la saggezza degli antichi ha da sempre affrontato la questione. Addirittura qualche migliaio di anni prima di Eraclito, nella Bhagavad Gita, si chiarisce meravigliosamente la “soluzione” del pro-

11. Eraclito riteneva che tutte le trasformazioni nel mondo nascessero dall’azione reciproca dinami-ca e ciclica dei contrari e pensava ogni coppia di contrari come un’unità. A questa unità, che contiene e trascende tutte le forze opposte, dava il nome di Logos. [NdE]

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blema: «Sii al di là dei tre attributi, o Arju-na. Libera te stesso dalle coppie di opposti e rimani sempre nella qualità di sattva e, libero dal pensiero di acquisizione e conser-vazione, rimani stabilito nel Sé».

Al di là della “soluzione” – che comporta uno stato realizzativo non comune – esiste la possibilità di “sfruttare” la polarità per arri-vare al voluto compimento di un’azione.

Chi ha compreso che ci muoviamo in una realtà fatta di opposti complementari sa che ogni meta è raggiungibile soltanto attraverso il polo opposto e non per via diretta, come la maggior parte della gente tenta inutilmente di fare. Se si vuole gettare una pietra il più lontano possibile non ci si protende certo in avanti, ma all’indietro, nella direzione oppo-sta a quella del lancio, così come per spicca-re un balzo si piegano le ginocchia, andando verso il basso, per poter saltare verso l’alto.

Il libro tibetano dei morti insegna che «chi non ha imparato a morire non può im-parare a vivere» e ciò sottolinea lo stesso principio, mirabilmente sintetizzato dal tao-ista Lao Tse con queste parole: «La via per

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l’illuminazione appare oscura. La via che avanza sembra regredire. La via che è faci-le appare difficile. La più alta virtù sembra vuota. La più pura bontà sembra sudicia. La più profonda creatività sembra inutile. Il più forte potere sembra debole. La cosa più naturale sembra irreale. Il più vasto spazio non ha angoli. Il più grande talento matura lentamente. La miglior voce non può essere udita. La più grande immagine non può es-sere vista».

Tutti i sistemi di saggezza, in sostanza, insegnano che solo subordinandosi alla leg-ge si diviene liberi. L’uomo però sembra non volerlo capire. In tutti i campi si ricerca la via diretta e gli insuccessi ben difficilmente insegnano qualcosa.

Si potrebbe dire che in fondo tutte le grandi leggi spirituali e cosmiche derivino, in effet-ti, dalla Legge di polarità, perché tutte rego-late dal ritmo di flusso e riflusso di energie che scorrono fra due poli complementari.

Questi “estremi” sono chiamati con mol-ti nomi: Yin e Yang, Ishvara e Shakti, Pu-

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ruscha e Prakriti, Eros e Logos, Conscio e Inconscio, Maschile e Femminile, Attivo e Passivo, etc. che si dividono per poi riunirsi di nuovo. Tutti concordano, insomma, sul fatto che le azioni di un essere umano siano costituite da una continua interazione tra po-larità opposte.

Il punto fondamentale, e ciò su cui tutti concordano, è che si tratta di una relazio-ne che lega due elementi senza per questo produrre un dualismo in modo che entrambi siano sullo stesso piano e nessuno dei due possa strutturalmente far a meno dell’altro per esplicare la propria funzione.

Se tutta la tradizione orientale, dall’Iran al Giappone, non fa che parlare del principio polare, anche da noi, in Occidente, a comin-ciare dai Greci, si è osservata la stessa cosa. Ne parlano Parmenide, Eraclito, e poi, a lun-go, Socrate, Platone, Aristotele, benché con sfumature diverse, comunque alla ricerca della spiegazione della polarità e della sua ragione d’essere.

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Il concetto di armonia, come delicato gioco di opposti esprime una visione tipica-mente greca della realtà, con il significato di “connessione”, “congiuntura”, ma soprattut-to di “ordine”, “legge”. In pratica, la realtà è “consenso delle parti”, armonia di contrari, proprio perché questa è la legge che la pre-siede. L’armonia dei contrari produce ordi-ne: da qui il termine greco “cosmo”, ovvero ciò che è ordinato, razionale, armonico.

Per tutti valgano, ancora una volta, le parole del filosofo Eraclito: «Ciò che è op-posizione si concilia e dalle cose differenti nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via di contrasto».

Persino nel campo della medicina il gre-co Ippocrate, insegnava che la salute é un’ar-monia o equilibrio tra diverse forze o ele-menti, e la malattia è il risultato del raffor-zamento dell’una o dell’altro. Il legame fra due polarità opposte crea energia, lo scorrere dell’energia dall’uno all’altro le unifica.

Più di cinquecento anni dopo, nel mon-do romano, anche Plotino insiste sul prin-cipio di polarità: Le Enneadi descrivono il

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passaggio dalla materia all’Uno e il ritorno dell’Uno alla materia, mettendo l’accento sul concetto di polarità dentro l’unità.

Nella tradizione occidentale, la visione che ha però più insistito su questo genere di conoscenza è certamente quella ermetica. L’ermetismo,12 infatti, pone la Legge di po-larità alla base della propria dottrina, cui si ispirarono, molto tempo dopo, gran parte dei pensatori e filosofi neoplatonici del periodo rinascimentale.

Tema centrale dei testi ermetici è il rap-porto tra l’uomo e un Dio che sfugge nella sua totale trascendenza all’intelletto umano. L’uomo può cogliere l’essenza divina trami-te la gnosi, un processo di natura sovrarazio-nale dovuto all’illuminazione proveniente da Dio che conduce l’uomo all’estasi e al ritor-no dell’anima al suo creatore.

12. Dottrina mistico-filosofica tardo-ellenistica de-rivata da diciassette scritti (il cosiddetto Corpus hermeticum, probabilmente di Ermete Trismegi-sto) redatti in greco, un diciottesimo trattato in latino dal titolo Asclepius attribuito erroneamen-te ad Apuleio, e infine una serie di sunti inseriti nelle opere di Stobeo (V secolo). [NdE]

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Tornando però in Oriente, culla di tut-te le più antiche filosofie, la tradizione che più sottolinea questo principio è sicuramente quella taoista. Secondo Lao Tse, infatti, co-me abbiamo già accennato, ogni aspetto del mondo è costituito da una coppia di opposti, di cui uno viene considerato “attivo” e l’altro “passivo”. I poli costituiscono i due estremi opposti complementari di una medesima re-altà, essendo connessi inestricabilmente tra loro in una Unità: sono cioè interdipendenti.

Anche la filosofia indiana ribadisce con-tinuamente questo principio: nelle Upani-sad, per esempio, leggiamo: «Dal non es-sere fammi andare all’Essere, dalla tenebra fammi andare alla luce, dalla morte fammi andare all’immortalità».13

Nel Tantra yoga, che ha fornito le basi al Buddismo tantrico tibetano, ricordiamo, per esempio, lo yab-yum, quell’immagine sim-bolica dell’unione sessuale tra uomo e don-na che rappresenta la compassione e quindi l’armonia degli opposti. In particolare la po-

13. Brhadaranyaka Upanisad. [NdE]

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sizione di abbraccio delle due divinità rap-presenta la potenza della creazione.

Tuttavia esiste una differenza tra la visio-ne taoista cinese e quella induista, non tan-

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to nell’aspirazione al raggiungimento della verità ultima, cui entrambe aspirano, quanto nel cammino da intraprendere. Se in India, infatti, il mondo è visto come “relativo”, il-lusorio – e per questo è considerato poco im-portante – e il lavoro per emanciparsi passa attraverso lo sforzo, la disciplina e l’ascesi, nel Taoismo, al contrario, si supera il conflit-to generato dal duale seguendo la “via della debolezza”, senza opporsi, con leggerezza.

Per questo motivo, il Taoismo si mostra estremamente pratico, più adatto ad affron-tare la vita così com’è, suggerendo il metodo per armonizzarla all’interno delle sue con-traddizioni.

Il Taoismo considera la visione del mon-do come un fiume da attraversare, un flusso nel quale le nostre naturali tendenze (ciò che possiamo definire “spontaneità”) vengono a essere riconvertite attraverso la conciliazione degli opposti.

Anche nel Taoismo, quindi, proprio come nello yoga, nella Grande Visione – la meta finale – l’essere riconoscerà un’unica realtà, senza alcuna distinzione.

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L’adepto dovrà essenzialmente prima tro-vare se stesso e soltanto dopo potrà cogliere i verdi prati dell’“oltre il dualismo formale”, al di là della polarità, affrancato dalle leggi, finalmente libero.

Prima di lasciarti (ho intenzione di uscire, ora) vorrei aggiungere un’ultima cosa, più per amore di poesia che altro.

Visto che ho tanto parlato di Taoismo, mi piacerebbe sottolineare un aspetto legato al termine “Tao”.

La lingua cinese è costuita da un insieme di simboli – ideogrammi – e molto significa-tivo il fatto che l’ideogramma che indica la parola tao sia composto da tre simboli ben precisi:

1 - La Via

2 - La testa del discepolo

3 - Il piede del Maestro

Seguire quindi chi ci indica la via per trovar-ci è il profondo insegnamento del Taoismo. L’Antica Via dei Maestri.

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L’armonia degli opposti

Tutto questo è potentemente tantrico. Seguire le orme del Maestro, senza alcuna resistenza, abbandonati al flusso della vita, verso la Fusione.

Ecco l’ideogramma in allegato: scopri tu i tre simboli da cui è composto.

Alla prossima!

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miSCeLLAneA

Mi misi subito al lavoro e, dopo pranzo, di-menticai di ripristinare la suoneria del tele-fono (lo silenzio sempre quando sono a tavo-la). Così non mi accorsi di alcuni messaggi che, nel frattempo, erano arrivati.

Li riporto, per completezza, così come sono, senza inserirli nel testo.

Eccomi...

Ti mando qualche contributo, che potrai utilizzare, qua e là, dove ti può servire...

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Tutto è a due facce, tutto ha due poli, tutto ha la sua coppia di opposti, uguale e disuguale sono la stessa cosa. Gli opposti sono identici in natura, solo diversi di grado; gli estremi si toccano; tutte le verità sono soltanto mezze verità; tutte le contraddizioni possono essere composte.

Kybalion

È il destino inevitabile del sentimentale. Tutte le sue opinioni mutano e si trasformano in quelle opposte al primo tocco della realtà.

George Orwell

L’attrazione più eccitante è tra due opposti che non si incontreranno mai.

Andy Warhol

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Miscellanea

Solo la scissione e il contrasto rendono ricca e fiorente una vita. Che sarebbero la ragione e la temperanza senza la conoscenza dell’ebbrezza, che sarebbe il piacere dei sensi, se dietro di esso non stesse la morte, e che sarebbe l’amore senza l’eterna mortale ostilità dei sessi?

Hermann Hesse

Non si tratta di scegliere quale esperienza sia buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma di riconoscere che le idee di inferno e paradiso prendono forma nel corso di un processo ininterrotto che chiamiamo “io”.

Banana Yoshimoto

(scrittrice giapponese)

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Ci sono due tipi di verità: le verità semplici, dove gli opposti sono chiaramente assurdi, e le verità profonde, riconoscibili dal fatto che l’opposto è a sua volta una profonda verità.

Niels Bohr

La stessa cosa è il vivente e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio, perché queste cose mutandosi sono quelle e quelle a loro volta mutandosi sono queste

Eraclito

Senza l’esperienza vissuta degli opposti, non ci può essere l’esperienza della totalità.

(Ernst Jùnger)

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Miscellanea

Ecco qua...

Vedi tu se servono...

Ovviamente ce ne sono molti altri, ma non esagererei...

Ore dopo, mi accorsi dei messaggi. Mi ver-gognavo un po’ a rispondere così fuori tem-po... Pronunciai quindi semplicemente un “grazie” mentalmente e li copiai diligente-mente per decidere in seguito che farne.

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iL duALiSmo

Nel tardo pomeriggio, controllai la posta e, tra le consuete venti o trenta e-mail del tutto inutili, trovai quello che aspettavo. Era pro-babilmente l’ultima missiva, a conclusione di un lavoro che aveva suscitato tutto il mio interesse.

Walter FerreroA: Adea edizioni...a proposito di energia - parte 5

03 gennaio 2017 19:43

Eccomi!

Come hai visto, abbiamo dipanato per intero l’enigma della Sfinge. Da una condizione identificata nelle strette maglie della realtà fisica (rappresentata dal quattro), l’essere

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umano si trova a sperimentare la realtà degli opposti, il flusso ininterrotto di un movimen-to tra due polarità, che si presentano in ogni aspetto della vita e in ogni azione. È que-sta, nel mito della Sfinge, la metafora delle “due gambe”, che rappresenta la necessità di muoversi nell’azione costante di due forze contrapposte.

Identificarsi via via in una sola di queste forze conduce alla sofferenza, ad un’azione sempre debole e, il più delle volte, priva di successo.

Nel corso della vita di un individuo, il cammino verso la comprensione della realtà dovrebbe procedere attraverso la realizza-zione del movimento proprio a questa dina-mica. Nel porsi di fronte ad ogni fenomeno – sia esso di natura fisica, emotiva o mentale –, egli dovrebbe imparare in primo luogo a utilizzare armonicamente queste polari-tà, lasciando che l’una generi naturalmente l’altra, in un continuum di trasformazioni e mutamenti, che costituisce l’espressione armonica della vita tutta.

È, questo, l’insegnamento più prezioso

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Il dualismo

del Taoismo, perfettamente rappresentato nel simbolo del Tai Chi, in cui le polarità si alternano e fondono circolarmente, conser-vando, alla propria radice, un seme di segno contrario che richiama il mutamento a venire nella polarità opposta.

È la via dell’uomo saggio che, dopo aver imparato ad utilizzare la dinamica dell’alter-nanza, arriva finalmente a riconciliare gli op-posti, facendo del proprio vivere un procede-re armonico, fino alla fine, allorché la morte non gli apparirà come un’incongruenza –

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vissuta con paura e disperazione – ma come una naturale trasformazione in qualcos’altro; un’avventura della coscienza piena di curio-sità – piuttosto che un trauma –, un ultimo viaggio da affrontare lasciandosi alle spalle la serenità di una vita vissuta nella comple-tezza e nell’armonia.

Le parole-chiave sono dunque afferma-zione – negazione – riconciLiazione, quella capacità cioè di risolvere la nostra percezio-ne duale in quell’unità che è poi la sola Ve-rità esistente. La “cifra” – e a un tempo il segreto – dell’armonia.

Occorre però dire – ed è la constatazione triste nel vedere questo nostro mondo così confuso – che la condizione umana, che spe-rimenta gli opposti, priva di una conoscenza, porta continuamente a credere all’esistenza di due entità contrapposte, dando l’illusione della necessità di una scelta.

La tendenza dell’individuo a identificarsi in qualcosa fa il resto: ci si convince che esi-stono due diversi percorsi, due vie, e quindi, due verità.

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Il dualismo

Ovviamente, poiché ci si identifica in una delle due, quella scelta è percepita come giu-sta, e quindi “buona” e l’altra come sbagliata e quindi “cattiva”.

Questo tipo di visione si chiama “duali-smo”. Possiamo definire quindi il dualismo come una concezione filosofica o teologica che vede la presenza di due essenze o princi-pi opposti ed inconciliabili.

Si tratta, sostanzialmente, di una errata “lettura” della realtà polare dei fenomeni, che induce a privilegiare un polo piuttosto che l’altro, seguendo umori, convinzioni, identificazioni, regole moralistiche o idee preconcette. La predominanza di un polo (peraltro illusoria, visto che la realtà se ne frega di come noi interpretiamo, e continua imperterrita per la sua strada) non fa che in-terrompere ritmo e movimento, elementi indispensabili, come abbiamo visto, per l’e-sprimersi della vita in armonia e con tutte le sue sfumature.

Se ci pensi, questo genere di fraintendi-mento sta alla base della maggior parte dei problemi di questo mondo, tanto nell’espe-

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rienza individuale, quanto in quella colletti-va, fino a costituire il “fertilizzante” di ogni conflitto politico, ideologico e religioso.

Così, si sviluppano convinzioni che por-tano ad affermazioni del tipo: «la mia visio-ne delle cose è quella giusta; tutti gli altri sbagliano...», «il mio dio è l’unico dio, la mia fede l’unica vera fede, e chi non ci crede è un infedele...», «la mia razza è la migliore, la più civile, quella che merita di predomi-nare sulle altre...», «le donne (o gli uomini) non capiscono proprio niente!...», «non vedo come gli altri non possono essere d’accor-do con me: io ho ragione!...», «per risolvere questo problema sociale non si può agire che così: possibile che quegli idioti non se ne rendano conto?...», e così via...

In questo genere di meccanismo trova-no nutrimento i semi dell’insofferenza, del sessismo, dell’intransigenza, del razzismo, dell’intolleranza, del fanatismo e del setta-rismo. Alla fine, però, non si tratta che della solita, immensa ignoranza in cui si dibatte da sempre l’essere umano, vittima inconsa-pevole di se stesso più che delle circostanze.

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Ciò che si verifica psicologicamente nella visione distorta individuale ha naturalmente fatto presa anche nello sviluppo del pensiero in ogni tempo e luogo.

La visione dualistica attraversa infatti trasversalmente tutte le filosofie e le idee religiose del mondo. Abbiamo concezioni dualiste nella filosofia indiana, nelle antiche religioni iraniche (Manicheismo, Mazdei-smo, Zoroastrismo), nel pensiero greco e nello sviluppo della filosofia occidentale, fino ad arrivare alle grandi religioni mono-teiste, come il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islamismo.

Nel Cristianesimo, per esempio, si con-tano a centinaia di gruppi, sette, confessioni che si rifanno a concezioni dualiste, in parti-colare alla contrapposizione tra bene e male.

Anche nella visione popolare si distingue tra Dio e Satana, quasi che quest’ultimo sia un principio contrapposto e alternativo al Creatore. Invece, così come il buio è solo mancanza di luce, nello stesso modo il “ma-le” è non “bene”, cioè mancanza di cono-scenza: ignoranza.

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Non voglio qui entrare nei dettagli, visto che su questo argomento sono stati redatti interi trattati. E poi, quello che mi interes-sa non è tanto esporre una dotta relazione sul pensiero dualistico, quanto completare il quadro e fornire qualche spunto sul tema dell’armonia.

Non faccio, da anni, che gettare sassi nel-lo stagno, avvilito dalla sofferenza che vedo ogni giorno negli occhi della gente, nei loro stati d’animo, nella confusione dei loro pen-sieri, così come negli eventi che si verificano nel mondo, tanto proditoriamente cavalcati dai media a caccia di sensazione.

Eppure, la soluzione ci sarebbe... E non è certo quella di passare da una visione all’al-tra – da una supposta “verità” ad un’altra – né quella di irrigidirsi e difendere una presa di posizione a tutti i costi, convinti di essere sempre nel vero, senza mai mettersi in di-scussione e lasciarsi trasportare dalla bel-lezza che sta nello scoprire altre idee, altre aspirazioni, altri modi di affrontare le vicis-situdini della vita.

Cogliere l’armonia va di pari passo con

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Il dualismo

la comprensione che è una condizione rag-giungibile, non una vuota aspirazione uto-pica. Il segreto sta nell’accettazione di ciò che è, assecondando il movimento e il ritmo spontanei – e assolutamente armonici – della vita nelle sue infinite espressioni.

Occorre solo guardare, ascoltare, lasciar-si cullare dal flusso del respiro che anima il Tutto, che non ha mai smesso di accompa-gnarci nella nostra avventura umana.

Allora, vivendo il presente, disciplinan-do l’ego, in un attimo magico di improvvisa lucidità, potremo cogliere quell’atto secco, immediato e inconsueto che è l’armonia.

Di colpo, proprio come uno schiaffo che, finalmente, ci risveglia.

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epiLogo

Eccomi...

Sono in aeroporto, in attesa del volo...

Si torna verso le care sponde del Mediterraneo...

Tutto bene?

Sì, certo, tutto bene.

“In libro est” e... ti aspettiamo presto ad ovest!...

Armonia, armonia ... armonia

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Arrivo...

Nient’altro. Sapevo che non avrei più rice-vuto nulla. L’ultima e-mail era già stata più che significativa.

Il libro era sostanzialmente finito (solo qualche limatura e le correzioni) e, con es-so, era ormai definitiva la mia intenzione di pubblicarlo così, con le chat e le e-mail, senza altro aggiungere.

Mi piaceva così. Lo trovavo – direi – piuttosto... armonico.

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BiBLiogrAfiA

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Raffaele Torella, Il pensiero dell’India, Carocci, Roma, 2008.

Raimon Panikkar, I Veda. Mantramanjari, Mila-no, BUR, 2001.

Giuliano Kremmerz, La Porta Ermetica, Ed. Mediterranee, 2000.

Giuliano Kremmerz, La scienza dei magi, 3 vo-lumi, Ed. Mediterranee, 1975.

I tre iniziati, Il Kybalion, Roma, Venezia, 2000.Bhinavagupta, Luce delle scritture (Tantraloka),

a cura di Raniero Gnoli, UTET.

indiCe

Chat introduttiva ............................. pag. 7

L’e-mail della Sfinge ........................ ” 21

Chat, doccia calda e zakuski ............ ” 49

La magia del phi ............................... ” 53

Smartphone e telegrammi ................ ” 75

L’armonia degli opposti .................... ” 81

Miscellanea ....................................... ” 105

Il dualismo ........................................ ” 111

Epilogo .............................................. ” 121

Bibliografia ....................................... ” 123

€ 18,00

Walter Ferrero

Studioso, saggista, esperto in scien-ze umane e filosofia orientale, Wal-ter Ferrero è un profondo conoscitore dei testi antichi classici, sia orienta-li che occidentali. appassionato viag-giatore, ha percorso per studio e lavo-ro il lontano e vicino oriente, nonché i Paesi del Vecchio continente, allo sco-po di approfondire la conoscenza del-le diverse culture e metterne in risalto i valori e la matrice comune.Consulente editoriale, collabora da anni con la adea edizioni, per i cui ti-pi ha pubblicato nel tempo numero-si volumi.attento osservatore del pensiero e del comportamento contemporaneo, opera da venticinque anni come li-fe coach e consulente aziendale, nel campo della formazione umana e del coaching individuale.Ha ideato e creato il sistema Parsifal (www.parsifal-yoga.it) e, con Marta residori, è fondatore del sistema for-mativo Humantek (www.humantek.it).

Walter Ferrero

ArmoniA, ArmoniA, ...ArmoniA

Un libro strano. Strano per come è nato, strano per come è stato realizzato.

Un lavoro che ha percorso tutti i mezzi della comunicazione moderni, per parlare di un’argomento antico più del nostro mondo, un tema che ha a che fare con l’essenza stessa dell’Universo.

Un piccolo scrigno prezioso che percorre le leggi del sensibile, svelando alcuni misteri e, spesso, ribaltando il punto di osservazione.

Un libro che parla ancora della vita, come sempre ha fatto l’autore, e che della vita dipana a poco a poco i fili più mascosti, per proporre, con semplicità e chiarezza, qualche risposta tra le troppe saccenze alle quali più non crediamo.

Un libro fresco, vivo e... armonico, come non ne vedevamo più da molto tempo.

allora, vivendo il presente, disciplinando l’ego, in un attimo magico

di improvvisa lucidità, potremo cogliere quell’ atto secco,

immediato e inconsueto che è l’armonia.

Di colpo, proprio come uno schiaffo che,

finalmente, ci risveglia.

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