Walter Burkert - Storia Delle Religioni - I Greci (1)

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STORIA DELLE RELIGIONI I GRECI A CURA DI WALTER BURKERT (MILANO, JACA BOOK, 1984, 1977¹) APPUNTI DI LETTURA E MATERIALI PER LA CITAZIONE Vol 1. Preistoria – Epoca Minoico/Micenea – Secoli bui (sino al sec. IX) Dalla Bibliografia Jaeger, W. La teologia dei primi pensatori greci. Firenze, 1961 (Oxford, 1947¹; Stuttgart, 1953) Jeanmaire, H. Dioniso. Religione e cultura in Grecia. Torino, 1972 (Paris, 1951¹). Kerényi, K. (1) Die Mysterien von Eleusis. Zürich, 1962. (2) Eleusis. Archetypal image of mother and daugther. London, 1967. (3) Zeus und Hera. Leiden, 1972. (4) Dionysos. Urbild des unzerstörbaren Lebens. München-Wien, 1976. Mylonas, G.E. Eleusis and the eleusinian misteries. Princeton, 1961. Rohde, E. Psiche. Bari, 1914-1916 (Freiburg, 1894¹). Zuntz, G. Persephone. Oxford, 1971. Burkert, W. Orpheus und die Vorsocratiker. In: <<Antike und Abendland>>, 14, 1968. Pagg. 93-114. Dalla Tavola Cronologica. Pag. XXIV (1) scrittura 735 a.C. (2) Protoarcaico 700-625 a.C. (3) Arcaico maturo 625-570 a.C. (4) Pisistrato tiranno ad Atene 570-552 a.C. (5) Tardo arcaico 570-500 a.C. (6) Anassimandro 547 a.C. (7) Democrazia ad Atene 510 a.C. (8) Rivolta ionica – inizio delle guerre persiane 500 a.C. Pag. XXV (9) Primo classicismo 500-450 a.C. (10) Eraclito, Parmenide dopo il 500 a.C. (11) Eschilo 472-458 a.C; Anassagora ad Atene 464-434 a.C. (12) Alto classicismo 450-420 a.C. Sofocle 450-406 a.C. Euripide 438-406 a.C. Pericle. (13) Guerra del Peloponneso 431-404 a.C. 1

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Appunti di lettura al testo di Burkert (1)

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AAPPPPUUNNTTII DDII LLEETTTTUURRAA EE MMAATTEERRIIAALLII PPEERR LLAA CCIITTAAZZIIOONNEE Vol 1. Preistoria – Epoca Minoico/Micenea – Secoli bui (sino al sec. IX) Dalla Bibliografia Jaeger, W. La teologia dei primi pensatori greci. Firenze, 1961 (Oxford, 1947¹; Stuttgart,

1953) Jeanmaire, H. Dioniso. Religione e cultura in Grecia. Torino, 1972 (Paris, 1951¹). Kerényi, K. (1) Die Mysterien von Eleusis. Zürich, 1962. (2) Eleusis. Archetypal image of mother and daugther. London, 1967. (3) Zeus und Hera. Leiden, 1972. (4) Dionysos. Urbild des unzerstörbaren Lebens. München-Wien, 1976. Mylonas, G.E. Eleusis and the eleusinian misteries. Princeton, 1961. Rohde, E. Psiche. Bari, 1914-1916 (Freiburg, 1894¹). Zuntz, G. Persephone. Oxford, 1971. Burkert, W. Orpheus und die Vorsocratiker. In: <<Antike und Abendland>>, 14, 1968.

Pagg. 93-114. Dalla Tavola Cronologica. Pag. XXIV (1) scrittura 735 a.C. (2) Protoarcaico 700-625 a.C. (3) Arcaico maturo 625-570 a.C. (4) Pisistrato tiranno ad Atene 570-552 a.C. (5) Tardo arcaico 570-500 a.C. (6) Anassimandro 547 a.C. (7) Democrazia ad Atene 510 a.C. (8) Rivolta ionica – inizio delle guerre persiane 500 a.C. Pag. XXV (9) Primo classicismo 500-450 a.C. (10) Eraclito, Parmenide dopo il 500 a.C. (11) Eschilo 472-458 a.C; Anassagora ad Atene 464-434 a.C. (12) Alto classicismo 450-420 a.C. Sofocle 450-406 a.C. Euripide 438-406 a.C. Pericle. (13) Guerra del Peloponneso 431-404 a.C.

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(14) Stile ricco 420-380 a.C. (15) Morte di Socrate 399 a.C. (16) Platone 427-347 a.C. (17) Tardo classicismo 380-325 a.C. (18) Aristotele 384-322 a.C. Alessandro Magno 336-323 a.C. Dalla Prefazione (di Giulia Sfameni Gasparro) Pagg. XXIX-XXXIV Si sottolinea l’affermazione dell’autore circa l’unitarietà della

cultura e della religione greca dal IX-VIII secolo a.C. al IV d.C. Sulla base di credenze (mito) e pratiche rituali. Religione etnica (non fondata). Non sussiste una dottrina religiosa, né alcuna ortodossia. Ricchezza mitica e diversità cultuale. Le personalità divine e le potenze sovrumane oggetto di ritualità. La prevalenza del rito sulla riflessione teologica (primitivismo). Dio e la negazione (homo necans). Il Padre e la Madre divini: il sorgere della dialettica negativa (i molti, la coppia, il vecchio e giovane). Orfismo, Pitagorismo e religione filosofica platonico-aristotelica.

Dalla Introduzione Pag. 2. F. Creuzer, Symbolik und Mithologie der alten Völker (1810): tentativo di

ricomporre ellenismo e cristianesimo, tramite l’interpretazione razionale-allegorica dei miti. Pag. 5 Francis MacDonald Cornford, From Religion to Philosophy (1912); Principium

Sapientae (1952): il “dio morente” e la cosmogonia che prepara la filosofia naturale. Pagg. 5-6 Emile Durkheim, Sigmund Freud: importanza del rito sacrificale, l’inconscio

individuale e collettivo (sulla pura potenza del pensiero). Pagg. 6-7 C. Lévi-Strauss Anthropologie structurale (1958). Pag. 7 Walter F. Otto Dionysos. Mythos und Kultus (1933); Gli Dei della Grecia

(Firenze, 1941). Citazione, pagg. 12-13. “La religione greca si presenta allo studioso di scienza della religione nella doppia veste

di rituale e mito. Mancano i fondatori della religione e testimonianze di rivelazione; mancano anche organizzazioni sacerdotali o monacali. La religione è legittimata in quanto tradizione, nel momento in cui essa stessa, incisiva forza della continuità, si conserva di generazione in generazione. Il <<rituale>>, visto dall’esterno, è un programma di azioni dimostrative - prefissato a seconda del tipo di esecuzione e spesso a seconda del luogo e del periodo -, ed è <<sacro>>, in quanto ogni omissione o disturbo suscita grande paura ed è causa di sanzioni. Comunicazione e impronta nel contempo, il rituale crea ed assicura la solidarietà del gruppo chiuso; in tale funzione esso ha accompagnato le forme della

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convivenza umana da tempi antichissimi. Inclusa nel rituale <sacro>> è l’invocazione di potenze invisibili, nominate come controparte personale: <<dei>>, theoí, così vengono chiamate sin dai primi testi di cui disponiamo. Maggiori informazioni su di loro ce le fornisce il mito: un complesso di racconti tradizionali. A quest’ultimi i greci non hanno mai attribuito carattere assolutamente impegnativo: la verità di un mito non è mai garantita e non deve necessariamente essere <<creduta>>. Ma a prescindere dal fatto che il mito in un primo tempo rappresenta l’unica forma esplicita di attività spirituale e di superamento della realtà, il mito degli dei acquista la sua rilevanza proprio dal rapporto con i rituali sacri, ai quali non di rado offre una motivazione, una eziologia, spesso esposta anche in tono scherzoso. L’arte poetica da parte sua ha poi dato forma fissa e persuasiva a dei singoli miti, e appunto la recitazione di questa poesia costituisce una componente irrinunciabile della festa divina. Complesso nella sua essenza come nei suoi effetti, il mito greco si sottrae ad ogni analisi e classificazione unidimensionale.”

Commento: storicismo hegeliano, critico delle interpretazioni marxiste, di tipo socio-economiche. Rito e mito, attraverso la tradizione, sembrano definire il processo storico dell’evoluzione religiosa della civiltà greca in forme lineari e deterministe, senza opposizioni e trasformazioni apicali, non radicali1 (come invece ipotizzo a proposito del passaggio Eleusi → Orfismo). Suggerimento: cercare sostegno nella posizione di Lévi-Strauss.

Dal Capitolo Primo: Preistoria e epoca minoico-micenea. Pag. 18. Çatal Hüyük, città preneolitica dell’Anatolia meridionale. Citazione: “Sculture di una <<Grande Dea>> con le mani sollevate e le gambe divaricate

accanto alla parete, evidentemente la madre genitrice degli animali e della vita in generale.” Commento: Forse qui si può trovare il primo segno dimostrativo di quello spirito creativo

e dialettico (X), che animerà successivamente le prime posizioni filosofiche. Ionici come Anassimandro devono qui essere ricordati e menzionati.

Pag. 18. A Sesklo (Tessaglia) sembra già essere presente una civilizzazione di tipo patriarcale.

Pag. 19. Citazione: “Tuttavia è lecito supporre una certa continuità della religione in terra greca conformemente al persistere della cultura e del costume contadino.”

Il culto a Demetra e Dioniso ha precedenti neolitici. Pag. 25 Gli Indoeuropei introducono la civiltà patriarcale.

1 Apicale o non-radicale qui significa tutto ciò che viene imposto dall’alto, secondo un’apparente rivolgimento della strutturazione originaria. Gramscianamente: equivale al sovversivismo delle classi dirigenti.

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Citazione: “Il patrimonio lessicale dell’indoeuropeo contiene in sé un mondo spirituale da cui si possono riconoscere le scale di valori, le gerarchie sociali e anche le concezioni religiose. Evidente è l’organizzazione patriarcale, il ruolo fondamentale del <<padre>> nella grande famiglia; l’agricoltura è conosciuta, ma ben maggiore importanza hanno pascolo e allevamento di bovini e equini. Ci si immagina pertanto un popolo guerriero di nomadi o seminomadi, che vivevano a margine delle civiltà superiori in via di formazione, e che appunto riuscirono poi a farsi padroni del luogo.”

Commento: La civiltà patriarcale e guerriera degli invasori indoeuropei si incontra e fonde in maniera dialettica con quella sedentaria ed agricola locale, basata sul culto della Grande Dea Madre. L’incontro e la fusione ha il riflesso prolungato di un onda sismica, che si propaga nel tempo, procedendo ad una ripresa ciclica dei medesimi temi e problemi. Sino all’invasione dei Dori. Un’eco lontana risiede nella nascita dell’Orfismo e nella trasformazione dei misteri eleusini. Un effetto ulteriore si realizza durante la prima speculazione filosofica presocratica, quando la tematizzazione dell’Uno in Eraclito e Parmenide pare trovare soluzioni apparentemente opposte (l’Uno tirannico e l’Uno aperto). Pagg. 25-26. Citazione: “permangono, con dei, culto e poesia degli dei, dei sicuri punti d’appoggio per una progredita religione degli <<indoeuropei>>. È il caso soprattutto del <<Padre Cielo>>, il maggiore degli dei presso greci e romani: Zeùs patér, Diespiter-Juppiter. Formata dalla stessa radice è una parola per i <<luminosi>> dei celesti: indiano antico dèváh, latino deus; peraltro proprio nel greco questa parola è sostituita da theós. Nessun altro nome nella cerchia degli dei olimpici è riconducibile con sicurezza a una divinità indoeuropea, anche se taluni, come Era, Poseidone, Ares, sono formati da radici indoeuropee.”

Commento: da collegare con Wikipedia (alla voce: “divinità olimpiche”). Pag. 27. A proposito del termine “ecatombe”. Nell’indoeuropeo e nel greco: l’atto

magico legato al sacrificio, con effetti moltiplicatori. I saggi di George Dumézil, tesi a paragonare la funzione triadica sociale di sacerdoti,

guerrieri e contadini e il relativo schema religioso. Citazione: “Così George Dumézil, nei suoi saggi più volte rielaborati e ampliati, ha posto in risalto il sistema delle <<tre funzioni>> di ceto sacerdotale, guerriero e contadino, come struttura fondamentale riscontrabile nel pantheon, nel rituale, nel mito e in altre forme narrative e speculative.”

I saggi indicati sono: Ouranos-Varuna (1934); Jupiter, Mars, Quirinus (Torino, 1955, 1941¹); L’héritage indoeuropéenne à Rome (1949); L’idéologie tripartite des Indo-Européens (1958); Mythe et Epopée. L’idéologie des trois fonctions dans les epopées des peuples indo-européens (1968) [Mito ed epopea, Torino, 1982].

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Commento: confronta con lo schema triadico presentato nel saggio personale sulla relazione di trasformazione Eleusi → Orfismo.

Zeus

Giove

Padre

Era

Giunone

Spirito

Athena

Minerva

Figlio

Uno necessario e d’ordine

Anima

Intelletto

Pagg. 27-28. Citazione: “Che il greco, e con esso la religione greca, sia da intendersi

come sintesi di un sostrato autoctono e di una sovrapposizione indoeuropea, rappresenta ormai da tempo una convinzione fondamentale della storiografia. Altra questione è però dove questo presupposto porti e se sia possibile verificarlo nei singoli casi. Fin troppo evidenti sono i dualismi che si impongono in primo piano, scavalcano la distinzione fra <<indoeuropeo>> e non indoeuropeo>>, e su di essa gravano: maschile e femminile, patriarcato e matriarcato, cielo e terra, olimpico e ctonio, spirito e istinto. L’interazione dei due poli si rifletterà poi nella religione greca, nell’attimo in cui i nuovi dei abbatteranno gli antichi Titani o anche quando l’indoeuropeo Padre del Cielo farà sua sposa la <<Signora>> mediterranea.

Un’analisi più attenta mostra quanto i fenomeni vengano per così dire violentati da una tal sorta di schematismo. Il mito della generazione degli dei proviene dall’antico oriente, e così pure l’immagine degli dei superiori contrapposti a quelli inferi; proprio i choaí <<ctoni>> hanno legami con l’indoeuropeo, mentre il sacrificio <<olimpico>> si affianca al semitico. Il Padre del Cielo, che certo in quanto <<padre>> non poteva non aver moglie,

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come dio della tempesta, invincibile grazie al suo fulmine, si accosta con ogni probabilità all’anatolico.”

Commento: Forse è possibile definire un quadro generale di opposizione ed unità – un quadro di evoluzione dinamica - fra civiltà socio-politica e religiosa indoeuropea e mediterranea, dove la molteplicità superiore ed inferiore delle divinità siano in collegamento e scambio reciproco proprio grazie ad una sorta di sacrificio, capace di ricomporre quell’opposizione iniziale – ricorda la sostituzione di Giacinto con Apollo (di provenienza anatolica)2 e la figura di Dioniso morente e rinato dei misteri orfici - in un’unità di potenza, che garantisca il controllo e dominio della filiazione naturale ed umana. Qui si avrebbe la territorializzazione ed astrazione della ragione (logos) come potere di definizione e determinazione. Così non vi sarebbe alcun tipo di violenza applicando quello schematismo: al contrario, questo consentirebbe l’inclusione non incoerente degli altri particolari religiosi. <<Indoeuropeo>> e <<mediterraneo>> si fonderebbero insieme grazie a provenienze semitiche (l’unità di potenza), anatoliche (il controllo ed il dominio, la successiva tirannide) e lontano-orientali (la X, capace di portare con sé il concetto di infinito, lo zero come suo opposto e di nuovo l’Uno, come continuità senza fratture).

Pagg. 29 e segg. La religione minoico-micenea. Pag. 32. Citazione: “Ancora non si è definitivamente stabilito fino a qual punto, nella

religione, si debba e possa distinguere fra minoico e miceneo.” Pag. 34. A proposito di figure umane in atto religioso. Citazione: “il gesto delle due

palme elevate contraddistingue colui che, stando in posizione centrale, attira su di sé gli sguardi di tutti: si tratta del <<gesto epifanico>> della dea.”

Commento: nota come questo gesto in realtà rappresenti l’apertura creativa ed immaginativa della ragione, centrale perché non sradicabile né obliabile, anche se profondamente invisibile nella sua origine (cfr. il significato di natura in greco, come natura naturante).

Pagg. 36-37. Il toro o il cavallo e la dea epifanica. La potenza della natura e della ragione (X). L’ascia bipenne della tradizione anatolica.

Pag. 41. Citazione: “coppie di corna ornate di spirali” Commento: come non vedere in questa immagine la raffigurazione visiva del concetto di apertura, legato alla potenza naturale e razionale. La stessa spirale sovrapposta indica il movimento infinito, aperto, di questa “epifania”. Il fuoco e l’offerta di animali vivi sono un modo per ricongiungersi alla natura naturante, che si muove come il fuoco tutto trasformando ed ha come propri parti gli

2 Ricorda che Apollo (intelletto) sostituisce insieme a Zeus (giudizio, assoluto come fulmine) Poseidone (in coppia con Demetra-Persefone), che viene prima disposto lateralmente in funzione di strumento finalizzato e controllato (mare, commerci) e poi espunto dalla terza parte della triade greca, Artemide.

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animali viventi. Le partizioni – ecco la giustificazione razionale dello smembramento - dovevano coprire lo spazio dell’apertura. Il vuoto fra le parti ricorda la forza terribile della natura. Una nascita antichissima per l’atomismo? L’altura sulla quale si praticavano i sacrifici del fuoco rappresentava a sua volta l’elevazione centrale della precedente visualizzazione legata al concetto di apertura. Cfr: pag. 42 citazione “Quale divinità si intendesse evocare con tale forma di adorazione lo possiamo solo ipotizzare.” Nota i tentativi di spiegazione seguenti. “Non è stata rinvenuta nessuna figura che potesse rappresentare una divinità [il fuoco impersona la natura, ma la natura stessa è irrafigurabile perché imprendibile]. La cima del monte fa pensare a un dio della tempesta, ma le feste del fuoco greche sottostanno a una dea [l’altura è spiegata in precedenza, l’apertura è la natura, divinità femminile]. Un sigillo rinvenuto a Cnosso mostra una dea, fra due leoni, in piedi sulla vetta di un monte, mentre protende una lancia verso una figura maschile che le rivolge lo sguardo; sull’altro verso si nota una costruzione cultuale sormontata da corna. La dea del monte porge al re il segno del suo potere – così si può intendere l’immagine; ma se ciò offra la chiave alla comprensione del culto <<d’altura>> resta ancora da vedere. [i leoni “confinano” la potenza naturale e razionale, un po’ come farà Dike con l’Essente parmenideo; una potenza elevata che avverte e minaccia l’assunzione del potere maschile dalla chiusura da esso effettuata; le corna infatti ripetono l’apertura] L’immagine è del periodo tardominoico (TM II), quando i santuari su alture già iniziavano a spopolarsi. Sicuramente però l’immagine si inserisce in una tradizione iconografica che proviene dall’Oriente. Laggiù la <<signora del monte>>, in sumerico Ninhursag, era ben nota già molto tempo prima. [l’apertura può essere legata ad un orizzonte unitario, che può esserle sovrapposto: a rappresentare - come filosoficamente successivamente si farà - l’Uno della continuità, che oppone l’infinito di una creatività ora separata ed innalzata, non più immanente (maschile? O maschilmente controllata?) all’annullamento di ogni determinazione (nella cultura vedi il senso dello zero indiano), a minacciare il mantenimento e la conservazione degli antichi miti, riti e società femminilmente organizzate: l’intelletto e la volontà precedentemente legati al culto dell’apertura infinita, ora vengono capovolti nella subordinazione del soggetto-suddito al potere maschile tirannico delle città orientali: nasce il concetto e la prassi dell’Uno necessario e d’ordine, cardine tradizionale dell’ideologia occidentale. Tutto ciò che prima valeva, ora viene annullato: e l’annullamento è la condizione dell’alienazione, che permette il passaggio al controllo maschile, organizzato e suddiviso, della società. Rappresentazione epistemologica di questo passaggio è la costituzione del concetto di mondo o universo chiuso]”

Pag. 43. Gli stessi alberi-santuario costituiscono la prima sostituzione del fuoco con la forma limitata e rinchiusa della vita, rinchiusa nel mondo unico, dove l’altare è il modello di

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quello precedente, l’altura. Nasce il concetto e la prassi della rappresentazione come chiusura all’interno di ciò che sta all’esterno. Il pilastro ed il tempio, come il fondamento in pietra, costituiscono allora la rappresentazione della rappresentazione stessa: il fatto che la potenza naturale e razionale libera della religione viene sostituita tramite l’artificiale e l’artistico dal potere del sacro, che si presenta come regolazione, in un’alternanza fra minaccia lontana ma presente e vicina e beneaugurante rassicurazione. Fatto che, finalmente, compare superficialmente nella manifestazione artigianale ed artistica degli anelli dorati votivi, una prima forma di cattura della potenza del religioso, una prima forma magica. La rappresentazione della rappresentazione nel suo momento culminante magico dà allora luogo, alla superficie, alla manifestazione, come apparenza comunque rinchiusa nei limiti sacri del mondo. In questo modo la precedente “epifania” viene sostituita da questa “apparenza”, che comparirà tradizionalmente nella successione, anche lontanissima da questa origine, delle speculazioni filosofiche di tipo idealistico (Platone, Aristotele, Cartesio, Kant, Hegel). Questa “apparenza” ha poi i tratti gerarchici della manifestazione del divino, di ciò che è lontano ma preminente e si avvicina per rassicurare e rendere felici. Un misto di maschile e femminile che dà origine ad ogni tipo di movimento, sacro perché rinchiuso entro i limiti divini, in una processionalità che si allontana per ritornare finalmente al suo punto d’origine (cfr. Coro greco danzante). Nasce in questo modo pure la sostituzione dell’immaginazione creativa e libera precedente - legata al desiderio, alla sensibilità ed alla passione, senza essere disgiunta da una razionalità infinita - con la raffigurazione dello spirituale attraverso la materia, che fa invece convergere ogni movimento produttivo umano-maschile nell’atto e nella potenza del potere (sacrale e politico).

Pagg. 43-46. I santuari familiari sono poi la forma domestica, addomesticata e cittadina, riprodotta e riproducibile, di questa forma di riduzione in cattività della religiosità libera, naturale e razionale, precedente. Si assiste ora alla trasformazione del quadro religioso generale: i culti del fuoco immanente vengono affiancati e/o sostituiti dai culti dell’acqua, con un chiaro intento oppositivo. La magia immaginativa, permessa dall’inserzione dell’artificiale e dell’artistico, e tramite la quale l’apparenza divina compare all’interno dei limiti sacri ed insuperabili del mondo unico, consente la fissazione di un’ambiguità fondamentale, costruita attorno all’apparente duplicità direzionale dell’elemento acqua (evaporazione, condensazione). La presenza alta e minacciosa del potere punitivo (il pilastro in pietra, raffigurazione del maschile), a fianco della forma accogliente e rassicurante (il tempio, raffigurazione del femminile), la loro composizione e fusione, stabiliscono una diagonalizzazione che fissa un punto elevato, che innalza una fonte vitale originaria capace di organizzare attorno a sé l’intero mondo dei viventi, naturali ed umani. L’immagine della fonte elevata sostituisce allora l’immagine libera e creativa del fuoco immanente e centrale,

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stabilendo il principio (arché) di una linearità determinativa e gerarchica, che giustifica come maschera sovrastrutturale il potere patriarcale sulla famiglia e la società politica del tempo. È in questo modo che, infatti, si dà fondamento alla trasmissione maschile del patrimonio precedentemente accumulato, alienato e separato, predisponendo conseguentemente tutti quegli strumenti ideologici che apriranno successivamente il mondo alla dominazione dell’astratto e del convergente, dell’ordinato. Questa dominazione si costituirà, quando si procederà ad un passaggio ulteriore: quando l’elemento acqua – capace di spingere in avanti la fase di trasformazione orfica del pensiero teologico-politico e naturale greco, predisponendo il passaggio alla luminosità superiore - verrà sostituito da una verticalizzazione immaginativa ancora più spinta, con un processo di rotazione ulteriore che indicherà allo zenith razionale la figura di un astro di fuoco – il sole – capace di riprodurre e ridurre a sé (organizzare tirannicamente) ogni forma produttiva, ogni natura umanamente soggetta. Presente in ambiente egizio - Akhenaton (l’Uno ed il suo orizzonte produttivo felice) - questo culto troverà espressione futura anche nel contesto religioso-politico e speculativo greco – con Eraclito e, in forma nascosta, con lo stesso Aristotele – quando le pulsioni “asiatiche” cercheranno e troveranno vittoria sulle componenti oligarchiche della politica greca e greco-ellenistica.

Il caricamento e la pressione psico-sociologica progressivamente costituita da questa torsione trovano il proprio svolgimento nella contro-rotazione che istituisce lo schema triadico della potenza e dell’atto. Qui vale lo schema immaginativo presentato in precedenza, legato all’Uno necessario e d’ordine. Qui la religiosità greca olimpica e classica offrirà la propria sistemazione definitiva all’impostazione teologico-politica e naturale presentata dalla speculazione greca nella sua corrente alla fine dominante, quella platonico-aristotelica.

Ben prima di giungere però a questa fase, che potremmo definire illuministica classica, il sistema teologico-politico e d’interpretazione naturale greco dovette attraversare la fase del potere religioso-politico ed economico nascosto e latente, ben rappresentata dal periodo architettonico-sacrale dei Palazzi minoici. Qui l’acqua dei <<bagni lustrali>> ed il buio delle cripte sotterranee si compongono con una luminosità progressiva, splendidamente espressa attraverso gli affreschi murari di stile movimentato e contenuto marino ed acquatico. La potenza nascosta ed irrefrenabile del potere religioso, politico ed economico – il simbolo del toro e la leggenda del Minotauro – si mischia con l’apertura della relazione fondata sullo scambio commerciale marino, ampliando la dimensione dello spazio e del movimento. La caoticità oscura della prima si fonde con la patente difficoltà di quest’ultima, originando l’immagine razionale dell’apparentemente irrazionale ed incontrollato, nella sua parte maschile e femminile: il labirinto e la <<dea delle serpi>>.

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Pagg. 46-49. Templi minoico-micenei. La facciata templare simmetrica e tripartita raffigurata sugli affreschi murari dei palazzi cretesi potrebbe così dimostrare l’applicazione visiva della costruzione immaginativa stabilita attraverso il concetto dell’Uno necessario e d’ordine (vedi lo stesso schema), che è capace di ricomporre a sé – e sotto di sé – sia la parte labirintica maschile, che quella generativa femminile, dando una prima raffigurazione dell’unità superiore di due principi opposti, anche se equivalenti nella loro comune libertà espressiva. Tempio della libertà e della pace nelle relazioni, la civiltà cretese divenne un termine di confronto ideale per la stessa rivisitazione e riutilizzazione platonica dei miti religiosi antichi. La triangolazione fra Demetra, Poseidone e Dioniso (vedi Wikipedia, alla voce Poseidone) in questo caso costituirebbe il trait d’union, che permetterebbe di delineare il passaggio dalla forma triadica cretese a quella olimpica tradizionale greca (vedi il tempio di Aya Irini, nell’isola di Ceo), affermatasi per sostituzione progressiva grazie alla triade Zeus, Hera, Athena.

Zeus

Era

Demetra

Athena

Uno necessario e d’ordine

Anima

Poseidone

Dioniso / Persefone

Nello schema sopra delineato è da notare che la funzione di Poseidone – quella del potere

e del giudizio assoluto su un determinato territorio, del quale Demetra rappresenta la vitalità creativa in vegetazione, animali ed uomini – verrà svolta successivamente dalla triade Zeus-Apollo-Artemide, mentre Poseidone stesso verrà prima subordinato in epoca post-omerica a difensore della sagacia commerciale navale delle poleis greche ed infine delocalizzato a strumento laterale delle finalità egemoniche ateniesi.

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Lo stesso centro cultuale di Micene - la <<casa di Tsountas>> - e la cosiddetta Porta dei Leoni possono rientrare nella medesima spiegazione religioso-politica, fondata sulla rappresentazione ideologica iniziale tesa alla formazione del concetto e della prassi dell’Uno, necessario e d’ordine. Nella civiltà micenea, la necessaria funzione d’ordine dell’Uno raccoglie ed indirizza la molteplicità delle potenze guerriere aristocratiche maschili, mentre la pluralità delle attività femminili rimane in posizione subordinata, a garanzia della conservazione della base materiale-economica della società politica micenea.

Pagg. 51-58. Rituali e simboli. Processioni di donne alla dea e danze. Il caricamento e lo svolgimento del movimento circolare attraverso le stazioni del fuoco immanente, dell’acqua trasversale ed elevata, del fuoco trascendente mostrano lo spazio della manifestazione divina. In questo spazio il movimento combinato della processione e della danza dimostra rispettivamente la circuizione umana della divinità e la corrispondente penetrazione del divino stesso nell’umanità, come atto di risposta positiva dello stesso, con l’atto di esaltazione collettiva della danza vorticosa (ridda). L’uomo sostituisce la donna nell’atto epifanico, nel momento in cui vi è il trapasso verso l’adorazione dell’albero sacro, primo passo verso la successiva stilizzazione in pietra della fonte maschile e femminile della vita (la stele ed il tempio). L’uomo in forma animale (il demone minoico e miceneo) rappresenta il possesso selvaggio del dio: circuito e penetrante, domina la vita rivolgendola tutta a sé: signore e padrone assetato, esso diviene la prima figura di ciò che essendo altro domina e governa da una posizione superiore. Il dio che si fa uomo e nella sua animalità irrefrenabile indica una potenza illimitata superiore. Il rapporto con questa consente il mantenimento del favore propizio nell’esistenza: il dono reale (libagione) o in immagine permette così lo scambio fra umano e divino, sviluppando una disposizione per il futuro, una prima forma di causalità e di finalità combinate. Nasce l’immagine della disposizione divina, giunta sino alla nostra modernità tramite il rapporto problematico fra grazia e opere. Nasce soprattutto lo spazio innalzato dell’immagine reale, lo spazio della mente oggettiva, che si curva e comprende fra causa e scopo. Lo spazio della possibile alienazione e trasformazione o dell’atto di conservazione e mantenimento nella continuità. Come si sosteneva in precedenza: lo spazio della potenza e dell’atto. Lo spazio del tempo come divenire, come provenienza da un primo ente principiale, sia esso profondo o assiso in alto in trono (il principe). La combustione (ed il relativo svaporamento ed incenerimento) delle offerte animali – il rapporto fra il fuoco immanente e quello trascendente – consentiva il mantenimento e la conservazione del rapporto istituito: il rapporto della potenza e del potere. Il sangue della vittima sacrificale (il toro della potenza), offerto come vita alla vita stessa di questo rapporto, stipulava un accordo di scambio e di rappresentanza: il divino,

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riconosciuto dall’atto sacrificale come fonte primigenia della vita, ricambiava con l’aiuto ed il favore della propria volontà nella moltiplicazione dei doni offerti.

Corna di toro ed ascia bipenne rappresentano in parallelo il riconoscimento dell’apertura d’immagine superiore, con la sua connessa potenza ed atto divini, e la dialetticità verticale presente nell’atto sacrificale, fra astante umano e presenza divina (X). Con il procedere del dominio patriarcale lo strumento sacrificale passa da mani femminili, più vicine ad una rappresentazione immediata della divinità matriarcale, a mani maschili, più vicine a forme di rappresentazione che hanno nel tempo costruito lo spazio astratto dell’Uno necessario e d’ordine, nella sua funzione di vincolo religioso e sociale. Il principe, la figura regia maschile, viene pertanto a costituire la rappresentazione visibile del divino invisibile: come nella religione egizia, il figlio del padre celeste, il faraone, conservando il rapporto verticale della potenza e del potere, consente la felice diffusione della grazia divina e della sua volontà propiziatoria sui territori e le popolazioni abitanti.

Citazione: “Le incisioni su sigilli ed anelli mostrano più volte, accanto alla grande dea, una più piccola figura maschile; la dea sembra in colloquio con quest’ultima e le consegna un bastone o una lancia.”

Pagg. 58-65. Le divinità minoiche. Citazione: “ … si scopriva in apparenza la religione pregreca. Si cercò e subito si trovò

l’antitesi al mondo <<olimpico>>, antropomorfo e politeistico, degli dei omerici: predominio di potenze ctonie, matriarcato, divinità dall’aspetto non umano oppure un’unica figura divina al posto del pantheon. Ma queste tesi e queste aspettative si sono rivelate solo parzialmente esatte.” Commento: rispetto alle critiche successive, rivolte alla tesi proposta da Sir Arthur Evans del <<culto minoico dell’albero e del pilastro>>, preferisco ritornare alle origini della tesi stessa, approvandone l’intento reale, ma aggiungendovi uno sfondo ed un orizzonte di spiegazione allegorico di tipo immaginativo-razionale, che potrebbe svelare il meccanismo processuale di costituzione e di sviluppo – il meccanismo genetico-evolutivo – della religiosità iniziale pregreca e la sua influenza sulle composizioni eleusino-dionisiache opposte alla successiva formazione orfica e della religiosità olimpica. Citazione: “Era naturale si assegnasse agli indoeuropei la religione <<olimpica>>, patriarcale, e ai protogreci il regno <<ctonio>> delle madri.” Commento: ctonio è la potenza vitale della terra, non semplicemente ed in modo riduttivo il contenitore dei morti inumati. Citazione: “L’aspetto più caratteristico e significativo nell’esperienza divina minoica è piuttosto l’epifania dall’alto della divinità durante la danza.” Commento: il movimento e l’eccitazione sentimentale e passionale, del desiderio stesso, che accompagna l’apertura dal basso accoglie la divinità nella sua grandezza superiore. In caso contrario assisteremmo ad un’interpretazione che schiaccerebbe in anticipo la religione minoica su forme di

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illuminazione pre-olimpiche. La divinità, quando appare, appare piccola – è questa la fonte originaria dell’idolo? Come, ancora, rappresentazione all’interno di una rappresentazione? - all’interno del suo spazio superiore. Ponendo – è vero – in relazione l’alto con il basso, dunque implicando quella forma di rotazione e di sovradeterminazione fuoco-acqua-Fuoco che si è già descritta in precedenza, ma senza togliere il primato iniziale ed originario del luogo centrale posto in basso, il luogo del fuoco immanente (la potenza e l’atto creativo terrestre e naturale). E – come si è potuto capire in precedenza – la relazione basso-alto è tenuta ed occupata realmente e allegoricamente – dal punto di vista immaginativo-razionale - dal volo degli uccelli. La linea Sole-Luna-stella (Isthar-Afrodite-Venere?) potrebbe riempire dal punto di vista iconico lo spazio trasversale dell’apertura, mostrando una prima forma di linearità determinatrice, cara alla di molto successiva tradizione speculativa pitagorica (cfr. lavoro personale su Metafisica, A)? La linea Sole-Luna-stella potrebbe essere decifrata come linea di raccordo fra causa e fine o scopo: la determinazione iniziale, il suo riflesso (questo sì di tipo illuministico-superiore), si rifrange come capovolto o rovesciato nella terminalità di un orizzonte di senso e di significato costruito attorno all’idea ed alla pratica della bellezza e dell’amore, senza distinzione fra Venere terrestre e celeste (stante che la seconda muove la prima). Così dalla rappresentazione immediata della divinità nella sua grandezza – grandezza dell’idolo – si passa alla sua piccolezza – piccolezza dell’idolo – come rappresentazione del divino all’interno della rappresentazione umana della forma apparente (la circolarità fuoco-acqua-Fuoco). Così dall’immediatamente realistico si passerebbe ad una prima forma di rappresentazione (rappresentazione all’interno di una rappresentazione). Stimo ed ipotizzo – in attesa di conferme esterne a queste sin qui presentate, di tipo logico-razionale - che questo passaggio possa essere stato influenzato da provenienze orientali (egizie ed anatoliche), per l’influenza della figura sopraelevata e accentratrice del Fuoco (il fuoco del Sole, il fuoco dei metalli). Questa avrebbe acconsentito che si costituisse per la prima volta una forma di illuminazione trasversale e superiore, diagonale. Una forma determinatrice con funzione centrale irrevocabile e sacra, inquestionabile ed indiscutibile, priva di qualsiasi forma di opposizione o di resistenza. Essa avrebbe poi trovato la sua regolazione e giustificazione in una pratica generale dell’amore reciproco (società), che consentisse la trasmissione ereditaria delle sostanze patrimoniali, così contribuendo a fondare l’orientamento patriarcale dell’organizzazione sociale stessa. Non sarebbe difficile mostrare come il sorgere dell’idea e della pratica della sostanza – come rappresentazione divina all’interno della rappresentazione umana – confluisca rapidamente entro l’orizzonte speculativo greco della tarda classicità (cfr. ancora il lavoro personale su Metafisica, A). Nello stesso tempo la determinazione pragmatica principale dell’immutata (eterna) trasmissione della sostanza

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divina – il patrimonio paterno (ora il capitale) – trova nell’amore di mantenimento e di conservazione della medesima immagine una figura, che compone in sé la propria autonoma bellezza e la bontà precedente: che, anzi, stabilisce sulla base della bontà precedente la propria bellezza, apparentemente autonoma, in realtà determinata. Non è allora difficile riscontrare in questo procedimento costruttivo, quale sarà l’influenza sociologica di questa formazione nella edificazione – oltre la triade greca classica e le speculazioni platoniche relative al rapporto fra il primo ed il secondo Dio - della stessa struttura teologica cristiana trinitaria (cfr. il rapporto fra il Padre ed il Figlio). Il termine amoroso del Figlio – ed amoroso in quanto figura ad immagine del Padre – diviene motore del movimento sociale, nella sua intenzione prima di mantenimento e conservazione (Spirito) dell’unità divina. La tenuta dell’unità divina viene infatti garantita dall’assolutezza dell’identità, con la riesumazione definitiva di quella figura centrale ed elevata del Fuoco, che nella storia della civilizzazione occidentale ha rappresentato la sorgente prima via via delle tirannidi greche, ellenistiche, romano-imperiali, medievali e delle dittature moderne o contemporanee.

Tutta questa rotazione si regge però sulla base, originaria ed iniziale, del fuoco immanente, a sua volta rappresentante reale e allegorico della fonte creativa centrale ed abissale, della Dea-madre, naturale e nel contempo razionale, con il suo corredo di slanci passionali ed erotici individuali e collettivi. Qui ha sede la potenza e l’atto del moltiplicativo, senza che vi sia necessità di un rapporto dialettico verticale di scambio, fra divinità e umano (subordinazione maschile). O senza che vi sia la necessità di un ritorno nella nascita e ricomparsa della vita (prima vegetale e successivamente animale), come potrebbe invece richiedere, in un determinato contesto agricolo, l’ausilio essenziale dell’acqua. Qui può sorgere allora la fonte primigenia della successiva tradizione speculativa orfico-greca, basata sulla circolarità del ritorno delle parvenze all’interno del mondo unico e chiuso, sulla trasformazione dello strumento necessario (l’acqua) in essenza predeterminante o principio (arché) e sulla schematizzazione del rapporto che consente la conservazione della vita collettiva, tramite quella diagonalizzazione che fonda il governo patriarcale dei beni incamerati e di quelli riproducibili (agricoli e pecuari): la trasmissione paterna del bene e del buono, del materiale e della virtù del costume.

Per consentire una forma di controllo, di regolazione e di dominio nei casi eccezionali su questa forza vitale primigenia femminile nasce appunto, prima, il richiamo alla forma circolare delle parvenze, poi la sua subordinazione ad una specie di determinazione assoluta maschile, che si fa carico della disposizione ed organizzazione di tutte le finalità sociali del lavoro (ragione) e della riproduzione (natura). Per questo tale specie – che troverà infine, al termine della prima fase della speculazione classica (Aristotele), codificazione linguistica nella categorizzazione che la rete nominale appoggia sull’emergenza delle azioni collettive

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– dispone a specchio ed immagine della propria origine separata (alienata) la necessaria convergenza dei prodotti naturali spontanei inferiori e la superiore forza regolata degli strumenti atti a guidarli e – se, nel caso – correggerli o reprimerli. In questo modo questa specie dà luogo ad una formazione molto particolare, perché deputata a raccogliere l’incontro ed il possibile scontro fra natura e ragione. Qui, per la prima volta, il mezzo si sovrappone al fine e lo determina, offrendogli uno scopo ed un contenuto. La spinta soggettiva trova, in tal modo, la propria regolazione e giustificazione oggettiva, creando le premesse di quasi tutta la tradizione filosofico-ideologica occidentale successiva.

Nel tratto ancora iniziale della manipolazione del culto originario della Dea-madre l’edificazione di quel sistema, che progressivamente ne priverà e spoglierà – o si autopersuaderà di poterlo intieramente fare – la potenza attuale, procede con la fissazione – nel luogo superiore occupato dalla figura del Fuoco trascendente – della figura e della funzione del potere folgorante, immediato, maschile, esercitato dalla personificazione realizzata dall’immagine divina di Poseidone, compagno inseparabile di Demetra. Tanto quanto questa – prima svalorizzazione e diminuzione della figura della Dea-madre – presiede alla toalità delle nascite naturali, altrettanto il suo compagno Poseidone deve rappresentarne la controparte maschile, di controllo, indirizzamento e – nel caso - dominio. È Poseidone, infatti, a suddividere le terre ed a governarle, dopo la distribuzione effettuata da Demetra. La figlia di Demetra Persefone – prima della successiva versione eleusina raffigurata da Dioniso – deve così a questo punto rappresentare la riuscita di questo accoppiamento, pericoloso oramai solo nel caso in cui la potenza vitale rimanga a livello infero. La paura nei confronti dell’infero si allaccia allora alla sublimazione ed elevazione della potenza, che abbandona i recessi misteriosi della terra, per salire nel cielo delle entità luminose ed eteree. La stessa potenza irrefrenabile del toro (religione cretese) viene diminuita ed addomesticata in quella del cavallo (religione micenea), prima di salire e depotenziarsi o neutralizzarsi ulteriormente tramite la serie delle figure celesti. Non è però un caso che, insieme a questo apparente depotenziamento o neutralizzazione delle libere forze naturali, l’assoggettamento della civiltà protogreca a forme di dominio prevalentemente patriarcale e guerresco comporti – proprio con quella già citata forma di rotazione e di caricamento – l’accumulo di forze superiori terribili, addirittura polivocamente evocabili, da indirizzare secondo una nuova logica, separata. La logica del controllo totale e del relativo dominio. Ecco allora che l’apparente fuga dal timore naturale sfocia nel terrore della guerra, continua e costante, ineliminabile strumento di subordinazione delle violenze dei guerrieri nomadi e del loro assoggettamento alla costruzione della nuova entità statuale: il regno aristocratico (nota il possibile paragone con l’età medievale in Occidente o con la formazione dell’assolutismo moderno).

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L’Uno necessario e d’ordine si erge, ora, come potenza invisibile ed indivisibile, alla quale è demandato ogni atto: vita, libertà, proprietà ricadono nel suo intiero e illimitato dominio, senza fratture o soluzioni di continuità. Il molteplice – pericoloso se libero – viene assoggettato ed ordinato (neutralizzato e pacificato) secondo la sua guida e giudizio. Perciò sembra addirittura scomparire alla vista, non indicando più alcuna soluzione diversamente divergente al problema del potere e del governo.

Pagg. 65-71. I nomi degli dei micenei. Il sistema politeistico miceneo (Zeus, Era, Poseidone) pare confermare lo schema triadico precedentemente delineato, accostando a Zeus Era e aggiungendo lateralmente un loro figlio Drimios. La composizione fra maschile dominante e femminile assoggettato dà luogo alla formazione della filiazione naturale e razionale, secondo una molteplicità di significati concreti, legati alla diversità dei luoghi e delle città (Peana-Apollo, Ares, Artemide, Dioniso). La composizione stessa dà luogo al movimento, come penetrazione reciproca – prima forma di dialettica teologico-naturale – o scambio delle caratteristiche individuali. La determinazione e l’accoglimento diventano in una sorta di capovolgimento apertura e acutezza definitoria, prima forma di un orizzonte di comprensione e di giudizio d’esistenza e di contenuto. La speculazione platonico-aristotelica riprenderà questa formazione, adattandola dal punto di vista linguistico (predicazione). In tal modo la predicazione – l’esser-P di un soggetto - sostituirà con la propria linearità le difficoltà di definizione e determinazione legate alla libertà espressiva del molteplice (caos o materia). Si afferma il primato della sistemazione linguistica.

Pagg. 71-80. I <<secoli bui>> e il problema della continuità. Discontinuità. Riprese a Tirinto ed Atene. La triade altare, tempio e immagine cultuale potrebbe rappresentare la base materiale che accompagna lo schema “rotatorio” indicato in precedenza. L’elevazione del fuoco sull’altare (l’influenza del semitico occidentale, con la funzione teologica del Fuoco superiore), la funzione diagonalizzante dell’immagine cultuale, la collocazione all’interno del tempio come rappresentazione materiale della rappresentazione religiosa di tipo immaginativo-razionale (l’apparizione della divinità). Il Basileús in funzione vicariante.

Apollo e Afrodite a Cipro. Il valore intelligente del movimento erotico. Dioniso? Era a Samo (X-IX sec. a.C.): influenza anatolica. Scompare e ricompare dal mare. Colonie greche in Siria (IX-VIII sec. a.C.). 700 a.C. moda orientale, 660 a.C. influenza egizia. Inversione Grecia-Oriente. La comunità dei mortali nel sacrificio di fronte agli immortali, gli dei. Rottura dell’ordine gerarchico precedente: divinità, re, sacerdoti, popolo (miceneo). Nasce la tensione egualitaria e democratica.

Dal Capitolo Secondo: Rituale e santuario.

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L’accentuazione esclusiva del criterio del cosiddetto <<sopra-umano>> rischia di trasferire nella propria impostazione di ricerca il riflesso di una particolare corrente religiosa successivamente realizzatasi, quella orfico-olimpica e quella che ne ha preparato l’accesso nel mondo e nella civilizzazione greca. Accanto al sovra-umano – coincidente con lo schema di rotazione-compressione precedentemente analizzato e commentato – dovrebbe essere posto – ed anzi, prima di esso, sia in senso cronologico che logico-ontologico – l’infra-umano: il ricordo ed il richiamo alla potenza naturale abissale, legata alla terra ed alle divinità ctonie. Altrimenti si rischia di non riconoscerne a priori l’esistenza e l’essenziale capacità di sussistenza. Così termini come <<forza>> e <<sacro>> dovrebbero essere preceduti da espressioni, che individuano una potenza immanente, invece che trascendente ed inquestionabile. Queste espressioni dovrebbero essere capaci di riconoscere le forme di fratellanza umano-naturale, poi esibite dalle forme misteriche legate ai culti agricoli (per esempio i misteri eleusini). In caso contrario queste ultime rischiano di venire trascinate ed integrate in forme religiose, che ne sono il tentativo di annullamento e superamento.

Così diventa evidente la ragione nascosta e motrice dei riti che impiegano lo scorrimento del sangue, in presenza di un Fuoco che viene esibito su di un altare elevato, mentre le armi vengono sacralizzate quali strumenti divini, nell’intento di far coerire il gruppo sociale dei guerrieri e dei proprietari. La ragione è infatti quella già analizzata tramite lo schema della rotazione-compressione. Al contrario può invece ancora comparire la ragione nascosta dei riti che si oppongono a questa trasformazione cruenta, qualora si apponga la propria attenzione alla presentazione religiosa di cibi e offerte solamente e semplicemente vegetali. Strumento di passaggio da questa ritualità (e dai relativi miti) alla prima (sempre con i relativi miti) è la loro composizione in successione: prima la ritualità con offerte vegetali, poi quella con sacrifici animali, in un medesimo rito religioso. Avviene qui ciò che accadrà con il capovolgimento della religione eleusina tramite l’orfismo:3 gli stessi elementi presenti nella fase religiosa precedente vengono riassunti, ma capovolti di senso e di significato, nella nuova forma religiosa, che in questo modo tenta una pratica di totale egemonia.

Non è difficile, così, osservare come lo scambio fra offerta e moltiplicazione delle future riserve alimentari o la proposta di una liberazione e realizzazione moltiplicata del desiderio psico-biologico trovino superamento – proprio in senso hegeliano (ma dal punto di vista personale, in senso negativo) – nella accettazione di un destino provvidenziale aggressivo e spoliatore, fatto di decisioni guerresche e di delimitazione rigida dei generi della riproduzione sociale. Con l’applicazione dello schema di rotazione-compressione, infatti, si costituisce l’orizzonte comune della successiva tradizione psico-sociologica occidentale

3 Vedi lavoro su Eleusi e Orfismo.

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(cfr. M. Klein), dove la diagonalizzazione che impone un contenuto di verità nascosto e separato, precedente e prioritario (logico ed etico), si accompagna alla continua necessità di un ritorno che ne risveli continuamente la forma e la realtà, in una composizione di fissità e movimento, effettuata tramite la negazione della diversità alternativa e la sua riduzione e cooptazione entro la comparsa di un’apparente limitazione: conservare la sostanza dei rapporti sociali instaurati e la loro relazione gerarchica, attraverso la funzionalizzazione all’identico dell’altro, creando il terrore della negazione assoluta, rappresentata dalla potenza alternativa (figura ed immagine della precedente fase religiosa). Tutto ciò che nella precedente fase religiosa – la potenza e l’atto libero del desiderio, la pianificazione di una società di liberi ed eguali, che mettono in comune tutti i mezzi per la loro sopravvivenza, mantenendo l’apertura del divino e la sua libera moltiplicazione, senza una rigida divisione sociale del lavoro - viene tabuizzato nel momento in cui avviene la forzata composizione fra la società dei guerrieri che provengono dal Nord della penisola ellenica e la stanziale società agraria delle piccole comunità locali, più o meno federate. Allora la libera potenza della natura e della ragione diventa il nemico da abbattere, perché impedisce con i suoi riti e miti il coordinamento gerarchico dei ruoli e delle funzioni sociali, economiche e politiche, secondo il nuovo paradigma della separazione positiva e della correlata negazione. Sarà proprio contro tale paradigma che la speculazione di Parmenide eserciterà la propria posizione critica, ravvisando negli sviluppi dell’orfismo una duplicità intollerabile dal punto di vista dell’Essente. Se la creazione funzionale del sentimento della paura si accompagna infatti alla delimitazione di un orizzonte di angoscia sociale, per l’apparente ma indotta perdita del senso e del significato della vita precedente, la doppia negazione che viene agita dalla nuova sistemazione sociale – la paura presente, l’angoscia del futuro – viene a sua volta collocata all’interno di un prospetto di miglioramento e di progresso, che richiede il superamento per fasi delle precedenti situazioni, considerate come negative. Qui la sensazione ed il sentimento generalizzato della crisi, della rottura universale dei rapporti (naturali e razionali), diventa la condizione necessaria per la possibilità evocata di una fase totale di benessere individuale e collettivo, da realizzarsi attraverso un processo lineare e determinato, determinante in senso oggettivo nella definizione delle cause e nella delimitazione degli scopi. È in questo modo che si crea lo spazio e si ripete la necessità dello Stato, dalla polis greca sino alle più moderne forme di globale orientamento neoliberista. E, all’interno dello spazio dello Stato, il tempo dell’educazione, per imitazione ed apprendimento. In tal modo l’azione costruttiva dello e nello Stato – il lavoro e l’educazione gerarchicamente organizzati - sostituisce la connessione interna con la stabilità della potenza naturale e razionale, che non necessita di alcuna forma di alienazione astratta, di ritagliare alcuna triangolazione – ecco di nuovo la forma precedentemente delineata della

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triade aperta – finalizzata al superamento definitivo dello stato cosiddetto di natura. Per questo, se l’apparizione del divino si dà all’interno di una cornice, che costituisce lo spazio della continua presentazione dell’eterno all’interno della rappresentazione del tempo come forma ciclica del divenire dallo stesso, l’opera umana non può non riflettersi se non come forma e realtà di riproduzione magica di questa relazione e di questo rapporto, come più avanti nella speculazione platonica si vedrà appunto nel rapporto fra il primo ed il secondo Dio. Plasmare e riprodurre le finalità originarie diventerà allora il prerequisito dell’azione educativa dello e nello Stato, della e nella civiltà.

Qui non può non subentrare il tema, il concetto e la prassi, legati all’infinito. Se, infatti, la civilizzazione assume di fatto una forma di limitazione inferiore, dalla quale si costringe ad allontanarsi – è, ancora, il cosiddetto stato di natura – essa non assume alcuna forma di limitazione superiore, nel momento in cui traccia la linea di superamento definitivo di tale stato. Allora apre l’orizzonte dell’infinito. È questo orizzonte a costituirsi come termine di volontà, intelligenza e intendimento. Esso edifica il mondo nuovo tramite le ritualità per la pioggia, l’amore, la fertilità (vegetale, animale ed umana) e l’amore ed i gesti apotropaici contro la sterilità in generale e la morte definitiva. Ecco dunque ricomparire la funzione essenziale dell’acqua, come elemento della vita e del suo mantenimento e conservazione.

Magia, religione civile e filosofia sono dunque strettamente intrecciati, qualora si considerino le forme ideologiche poi prevalenti all’interno della polis greca. Restano – e resteranno – degli spazi e degli interstizi di diversità, all’interno dei quali le forme speculative, che soccomberanno apparentemente nella lotta per l’egemonia all’interno della tradizione storica occidentale, tendono a ripresentare le antiche formazioni intellettuali di tipo e di stile insieme naturale e razionale. Il concetto e la prassi dell’infinito creativo e doppiamente dialettico (Anassimandro, Anassagora, Empedocle, Giordano Bruno), l’eleusismo di Parmenide, l’atomismo di Democrito, Epicuro e Lucrezio, sono solo piccoli e limitati esempi di una possibile contro-storia della filosofia, capace di rievocare e porre di nuovo in campo aperto il problema di un diverso assetto del rapporto e della relazione fra natura e ragione.

Pagg. 83-98. 1. <<Sacro agire>>: il sacrificio animale. 1.1. Svolgimento e interpretazione. Il sacro viene definito e delimitato superiormente come potenza ed atto, che assicura la

continuazione della vita, solamente secondo lo schema della rotazione-compressione, che dà luogo – come avevamo visto – alla costituzione dello spazio astratto e separato del potere univocamente determinante. Qui l’offerta ed il sacrificio animale al Dio realizzano e spediscono l’efficacia dello scambio dialettico: prima che dal punto di vista apparentemente neutralizzato del linguaggio – vedi la costituzione, già schematizzata, dell’orizzonte

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linguistico nella scuola filosofica platonico-aristotelica – il sacrificio animale sta per – rappresenta drammaticamente – la risoluzione festosa del pericolo mortale dell’umanità (della collettività locale, del clan, della famiglia e dell’individuo). Il sangue versato e la carne offerta fanno ricircolare la vita nello spazio dell’astratto e separato e rassicurano la potenza materiale della natura nella sua ripresa e ricostituzione (formale e reale), grazie al sangue stesso versato. Per questo la vittima sacrificale offre se stessa spontaneamente, di sua propria volontà, assumendo su di sé la responsabilità della conservazione (e del trapasso o trasposizione civile) della vita dell’intera collettività. Non è difficile osservare come questa interpretazione sia poi passata a spiegare tradizionalmente ed in senso reale ed allegorico lo stesso sacrificio del Cristo, quando invece una posizione non affetta da influenze semitico-ellenizzanti avrebbe facilmente riconosciuto nella croce il simbolo non della salvezza, ma del ripetuto ed unico peccato dell’umanità: il tentativo di uccisione dell’amore infinito ed universale, la fissazione ed il blocco della rivoluzione, una e sempiterna. Ma questa capacità di riconoscimento avrebbe potuto risiedere solamente entro quella capacità di visione e di prassi immaginativo-razionale, che assumesse l’infinito naturale e razionale della creatività come infinito non-alienato e non-separato. In questo senso Uno, secondo gli insegnamenti del gigante speculativo di Nola, Giordano Bruno. Solamente tale infinito avrebbe consentito la giustificazione razionale del movimento di alterazione e trasformazione universale nella propria pluralità determinativa e nella propria interna ed equilibrata (dialettica) correlazione. In tal modo rievocando una ben diversa tradizione magico-religioso-filosofica: quella dei Misteri eleusini e di tutte le forme agrarie successive di palingenesi pacifica e non-violenta. Il sacro tradizionale, invece, utilizza l’innocenza del veicolo femminile, irrigidito nella neutralizzazione e negazione della sessualità (la vergine-guida), come nascondimento della logica del sacrificio stesso, che in tanto trasporta la collettività in uno spazio e tempo diversi (iniziazione collettiva), in quanto la collettività stessa avesse già obbedito a quelle forme di deprivazione ed ordinamento sessuale, che avevano negato le comuni libertà della fase della vita collettiva, comunitaria, precedente. L’acqua, le fumigazioni e la musica hanno l’unico effetto di accompagnare e mimetizzare la cruenza del rito sacrificale, nascondendone gli effetti sull’uomo: durante, con la mimetizzazione (e lo stordimento) sonori od olfattivi, prima e dopo attraverso la purificazione preventiva e l’oblio totale della colpa commessa. Non manca l’offerta rituale alla vittima stessa, tramite gli elementi simbolici della esaltazione collettiva precedente (i cereali). Si inizia con l’offerta al Fuoco, il sangue viene versato, la morte della vittima è infine la vita nuova dell’intera collettività. Il suo corpo viene assaggiato preliminarmente nelle sue parti essenziali, cotto sul Fuoco, mangiato ed assimilato come garanzia di trasporto e di rinascita in un altro luogo separato (banchetto sacrificale). Qui non è forse inutile

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ricordare l’uso rituale e religioso precedente di alimenti con finalità psichedeliche (il papavero od equivalenti), atti a trasportare il fedele nell’altro mondo, il cui accesso è preparato e permesso dall’obbedienza ai riti cerimoniali.

Che cosa comporterà l’assunzione dei nuovi e successivi riti filosofico-razionali da parte del processo di civilizzazione ellenico? Nulla di nuovo, nell’impostazione generale, tranne una molto più accentuata forma di neutralizzazione e mimetizzazione del procedimento di transito e passaggio nell’altro mondo, astratto e separato: allora sarà lo spirito a transitare, mentre il corpo apparentemente permarrà all’interno dei vincoli oggettivi della materia. È solo in tempi recenti, che la progressiva restrizione della base materiale si accompagna alla contrapposta assolutizzazione dello spazio artificiale, tesa alla sublimazione definitiva del naturale in un razionale astratto e separato. Qui la potenza del desiderio si irrigidisce definitivamente, aprendo ad un atto nientificante assoluto. Nella storia della civilizzazione occidentale, invece, il progresso delle forze materiali e produttive accompagna la trasvalutazione spirituale della loro potenza, soprattutto a partire dalla fase borghese e precapitalistica, premoderna e tardomedievale. Per non dire di quella successiva, moderna e pienamente capitalistica, ancorché inizialmente ed apparentemente frenata dalla forma assolutistica del potere, che non ne depotenzia le tensioni e le pulsioni, ma le arricchisce comprimendole al di sotto di un orizzonte di civiltà universale (mondiale) vicino alla sua completa ed integrale realizzazione (inizio moderno della globalizzazione commerciale, fase imperialistica, globalizzazione contemporanea). Le sotto-fasi successive – quella produttiva e quella finanziaria – permettono, invece, una sorta di progressivo avvitamento spiraliforme, non appena la finalità della riproduzione sociale viene collocata nella quasi automatica funzione mondiale di massimizzazione del profitto delle corporazioni multinazionali.

Così, all’inizio di questo tragitto è lo spirito della materia ad elevarsi, attraverso il medio rappresentato dalla funzione veicolare, che deve garantire il passaggio ed il necessario capovolgimento della situazione iniziale. Compare qui quella invenzione dell’anima, che sarà poi identificata come reperto filosofico tradizionale nella versione orfica, platonica, aristotelica e cristiana della speculazione religiosa. Da questo momento in poi la concezione dell’anima oscillerà fra spiritualizzazione estrema e riconferma di una forma qualsiasi di antropomorfismo. In ogni caso, ancora, il movimento e la potenza del sangue si interporrà all’interno del movimento e della potenza – crescita, maturazione e raccolta – dei frutti migliori della terra (cereali, olive, vino), fissando in tal modo il primato dell’animale sul vegetale. Di chi si muove per sé e liberamente, rispetto a chi invece resta legato e vincolato in sé alle necessità naturali. L’anima così riesce ad integrare la libertà dei primi alla sicurezza dei secondi, capovolgendo questa nella prima. Rovesciando l’atto di devozione alla natura nell’affermazione totale della ragione.

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1.2. Riti cruenti. Il capovolgimento è dato dal passaggio cruento, dalla forzatura e dalla conseguente

rottura irreversibile, dall’uccisione sacrificale che dà inizio al tempo come tempo nuovo. Penetrare e fuoriuscire all’aperto del nuovo spazio squadernato dalla ragione – oltre la precedente occlusione e prigionia delle necessità corporee naturali (nota come ciò sia la fonte della successiva posizione orfico-platonica) - non consente comunque di dimenticare la relazione di necessità, che lega il sacrificio di sangue alla conquistata libertà. Ogni celebrazione dell’avvenuta conquista deve quindi rammemorare la drammaticità dell’evento originario, rinverdendone continuamente i fasti emotivi collettivi. Di qui l’accostamento delle feste collettive, quale scansione determinatrice dello scorrere del tempo nuovo.

In questa struttura, che si ripete immutata nella storia sociale occidentale, la fase iniziale greca sovrappone e colloca il veicolo sacerdotale individuale in quello stesso spazio, che successivamente verrà occupato dalla nozione astratta e separata dell’anima. È solo la frammentazione politica ad impedire così la formazione di una chiesa universale. Quando questa sarà stata superata dall’istituzione imperiale romana, immediatamente la necesssità concomitante della fondazione ed organizzazione del corpo religioso dei cittadini o dei sudditi si farà richiesta immediata della ragione politico-sociale.

È per questo motivo che il veicolo sacerdotale insieme al circolo definito dal sacrificio viene tabuizzato e ne viene impedita qualsiasi critica, sollevazione o rovesciamento (la speculazione filosofica di Anassagora e di Socrate ne subirà le dolorose conseguenze). Rovesciare il sacro è, infatti, il primo compito dei conquistatori. In tal modo il sangue animale importa quello umano: quello versato come punizione divina dai contestatori, o quello della stessa città per effetto delle invasioni straniere. Il sacrificio attraverso il sangue animale fonda la civiltà del sangue e del territorio umano. Lo stesso procedimento sacrificale poteva poi utilizzare vittime sacrificali umane (prigioneri di guerra, non-uomini in quanto di altro sangue e territorio, o vergini innocenti come Ifigenia di Aulide). Il sangue versato poi, come potenza di vita, risvegliava alla coscienza le anime dei morti, intrappolate nel mondo infero dell’Ade.

1.3. Rituali del fuoco. Se il sangue intingeva e rimpinguava dall’interno ogni movimento vitale della nuova

collettività, nel nuovo tempo segnato dalla rottura sacrificale l’organizzazione comune ed ordinata della vita civile deve seguire la traccia trascendente offerta dal movimento del Fuoco. Potente a salvare è egualmente potente ad annichilire e punire (rammenta l’ambiguità del maschile-femminile, in precedenza rappresentato concretamente ed architettonicamente dal pilastro e dal tempio): esso dunque forgia immediatamente l’archetipo individuale e sociale del potere (a partire dalla famiglia: il focolare, Hestía).

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Templi del fuoco sono il tempio di Apollo a Delfi, quello di Apollo Liceo ad Argo e quello di Apollo Carneo a Cirene; come pure degno di nota è il culto di Artemide Lafria da Calidone (ricorda la funzione di Apollo e quella gemella di Artemide, nello schema che delinea la visualizzazione dell’Uno necessario e d’ordine). Il profumo divino, che si diffonde e che sale, indica concretamente l’invisibilità del movimento dello spirito buono, mentre quello cattivo resta confinato nella notte oscura, al di fuori della città. Portare il fuoco all’esterno, nei boschi, è dunque una forma di recupero delle divinità della fase naturale precedente (vedi i rituali delle feste notturne dionisiache). Così i vecchi riti naturali legati alla divinità materna femminile si ricompongono con i nuovi riti a predominanza maschile o pseudo-femminile, per attestare il definitivo superamento della precedente forma di civilizzazione agraria, quando la proprietà aristocratica e guerresca della terra sostituisce le forme collettive di godimento pacifico dei frutti della stessa. Questi culti resteranno però sotto traccia durante lo sviluppo della civilizzazione greca, rispuntando nelle forme religiose legate a Demetra (riti e miti eleusini) o a Dioniso (riti e miti pre-orfici).

L’influenza ebraica, fenicia ed anatolica ricorda la funzione cuspidale del Fuoco ed il suo potere assoluto, di trasformazione e di mutamento – passaggio – sostanziale. Attraverso il sacrificio del fuoco il nuovo corpo sociale assume su di sé le virtù intoccabili del Dio: diviene rappresentante della sua stessa potenza e della sua stessa volontà, positiva e misericordiosa (per i morti, nel rogo funebre) quanto violentemente distruttiva ed annichilente (per i vivi, colpevoli di qualche grave reato, con il rogo). In questo modo la concezione dell’Uno necessario e d’ordine, edificata nell’immaginazione razionale e civile greca assorbe in sé le caratteristiche tiranniche della nuova forma di divinità, accentuando gli orientamenti e le determinazioni apertamente violente e guerresche portate dai diversi popoli invasori del Nord. Una miscela esplosiva per qualsiasi civiltà … i secoli bui ellenici potrebbero dunque essere stati l’effetto prolungato di questa ferale composizione mitico-rituale, mentre la rinascita sorta a partire dall’VIII secolo a.C. potrebbe essere stata dovuta ad una sorta di neutralizzazione laica e di riapertura di forme relativamente pacifiche (Esiodo, Omero) di convivenza civile, fondata su forme aperte di religiosità e di prassi economico-politiche (accentuazione del politeismo e composizione nel motore economico agricolo-proprietario dei movimenti trasformativi legati al commercio via mare).

1.4. Animale e dio. La potenza della Natura, dell’animale e del Dio. Attraverso questa scala e successione la

religione greca si approssima a quella cristiana, che addirittura ne importa il rito sacrificale (quando non le medesime strutture, sotto diverse apparenze: vedi schema triadico). L’uso della mascheratura animale, poi, definisce la consapevolezza di un livello rappresentativo primitivo presente nell’atto religioso: dalla semplice rappresentazione concreta della

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potenza divina presente nell’animale sulla superficie del volto del celebrante, che impersona la prima forma di arte religiosa mimetica, si passa alla piccola apparenza del divino all’interno della rappresentazione magica del manufatto artistico, che dà rappresentazione della rappresentazione divina nella figura o nell’immagine di un albero o di un animale. Se il primo modo della rappresentazione mantiene tutta la potenza della raffigurazione realistica, il secondo distacca il mondo, che su quella rappresentazione veniva inizialmente costruito. Lo distacca grazie alle virtù umane della riproduzione artificiale. In questo distacco, allora, si situa il passaggio a forme religiose maggiormente antropomorfe, più vicine a quel successivo allargamento della visione politeistica, che consentirà il superamento dei cosiddetti “secoli bui”. È al ricordo di questa trasformazione che si deve – io credo – la consapevole ed esplicita rivalutazione della tradizione religiosa arcaica, quando la speculazione platonica del periodo conclusivo rammenta la possibilità di leggere in senso allegorico e dialettico, ciò che in precedenza aveva trattato in modo diagonalizzante e realistico (le idee). La stessa critica al concetto di persona (maschera) esibito da S.Agostino - o dallo stesso Giordano Bruno - in ambiente cristiano può dare adito alla valutazione della presenza di questi due modi diversi di intendere: due modi che possono anche svincolarsi reciprocamente e combattersi, a seconda che si privilegi l’andamento diagonalizzante della tradizione metafisica dominante in Occidente (e lo si assolutizzi), oppure ci sia apra ad una versione creativa e doppiamente dialettica del concetto e della prassi dello Spirito (Infinito).

Pagg. 98-108. Sacrificio di doni e libagione. 2.1. Sacrificio di primizie. Il sistema ideologico costruito attorno al sacrificio di sangue si compone con una base

materiale precedente, che prevedeva la semplice offerta incruenta di doni vegetali, risultato della produzione agricola collettiva. All’interno di questo precedente sistema l’offerta rappresentava direttamente la fusione con lo spirito creativo naturale, con le potenze della terra. L’alleanza pacifica terra-uomo poteva consentire la salvezza comune delle collettività agrarie della Grecia pre-arcaica, tramite l’immedesimazione dell’opera collettiva con l’azione naturale. Qui lo sfondo e l’orizzonte razionale entro il quale pareva muoversi la Natura costituisce la prima formazione di un’azione intenzionale fondamentale, tesa alla produzione e conservazione di ciò che viene alla vita, si sviluppa crescendo e muore, ritornando nel grembo della grande Dea madre naturale e ricostituendo la materia per nuove nascite e produzioni. Se la forma sembra, dunque, appartenere alla volontà razionale della Natura, anche la materia pare costituire come il serbatoio concreto e fluido della sua continua produzione di forme e di viventi. Non è difficile osservare l’esatto parallelismo fra quell’azione fondamentale, la sua forma razionale e la sua materia naturale e i concetti filosofici successivamente sviluppati presso il naturalismo greco di finalità o scopo, di

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forma e materia. La stessa speculazione aristotelica pescherà in questo medesimo ambiente la struttura della propria articolazione filosofica (cfr. lavoro su Metafisica, A).

L’azione di finalità o di scopo della grande Dea madre Natura – produrre e conservare all’esistenza, secondo un processo determinato (necessità fatale) costituito da nascite, sviluppi e morti – trova riconoscimento e fissazione religiosa nelle forme di sacralizzazione contadina e agraria, dove la potenza della terra (Demetra) viene regolata da una volontà superiore (Poseidone), che deve presiedere alla razionalizzazione dei prodotti naturali. Entrare in questo circolo dialettico – dove la potenza si trasforma in volontà e la volontà determina la potenza - significa per la collettività agricola e contadina dare forma, sostanza e materia al proprio intento creativo di conservazione. Stabilire una rete sociale di scambi e di funzioni interrelate, capaci di organizzare e mantenere in vita il proprio corpo politico. In ciò stanno già le premesse delle successive costituzioni cittadine formali.

Anche il dono vegetale, allora, è una forma di sacrificio? La struttura ideologica presupposta dal sacrificio di sangue è la stessa, oppure è diversa, rispetto alla struttura ideologica implicita nella fase religiosa precedente, sulla quale quella relativa al sacrificio animale si innesta e radica? Se la prima rimane, infatti a livello immanente, l’altra pare accedere per la prima volta al piano trascendente. Certamente la dialettica verticale ed orizzontale della prima – cfr. Anassimandro - costituisce una valida premessa per l’elevazione e l’approfondimento, la trasformazione sostanziale consentite dalla seconda. Ma il passaggio ed il capovolgimento consentito da quest’ultima certamente non è consentito – ed anzi pare essere esplicitamente vietato – cfr. Parmenide e la sua negazione della negazione (vedi lavoro d’interpretazione personale su Parmenide) - dalla prima. Allora il sacrificio di sangue deve essere considerato come la negazione ed il superamento della fase naturale-vegetale precedente, magari facilitata dalla tradizione legata alla libagione di vino o d’olio. Per converso la fase precedente deve essere considerata come incomunicabile rispetto alla volontà della fase successiva, che invece la userà per impiantare un progetto d’egemonia totalmente trasformativo, completamente in opposizione con le forme di collettivismo libero ed egualitario delle comunità agricole greche arcaiche (cfr. il lavoro di Edward Carpenter). Su questo progetto si innesteranno poi le forme ideologiche dell’orfismo, del pitagorismo e della successiva tradizione aristocratica platonico-aristotelica.

Il dono delle primizie – apparchaí – ha dunque un significato diverso nei due contesti di significazione: nel primo - più antico, legato alla Dea madre Natura – esso vale come offerta spontanea e gratuita di un inizio che non appartiene alla comunità degli uomini, perché questa ne è in realtà dipendente; nel secondo, successivo, esso vale all’opposto come inizio umano, come potenza legata all’umano, che è capace di trasformare secondo i propri fini

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l’ambiente naturale e di sovrapporre le proprie ragioni secondo uno sfondo ed un orizzonte razionale completamente nuovo e cambiato, rivoluzionario. Qui assume valenza centrale il procedimento della trasformazione sostanziale, giunto sino a noi attraverso la procedura teologica della transustanziazione cristiana (nelle sue diverse versioni, cattoliche o protestanti). Ora il termine divino della trasformazione si è laicizzato completamente nella separazione astratta ma reale del modo della riproduzione sociale capitalistica (la massimizzazione del profitto come fondamento della vita sociale: un modo di rappresentazione magico-artificiale, all’interno di una dialettica verticale ed orizzontale di tipo ancora religioso, ma ora in forma neo-naturalistica). Nel momento rappresentato dalla fase pre-arcaica della civilizzazione greca, invece, il procedimento della trasformazione sostanziale indicava l’importanza fondamentale, che era venuto assumendo il controllo della produzione dei nuovi metalli in ferro. Questa nuova forma di produzione portava con sé, infatti, una riorganizzazione socio-politica della vita delle comunità agricole greche, maggiormente concentrata sulla capacità della collettività stessa di mantenere la continuità della propria vita e del proprio benessere materiale, grazie ad una potenza resasi oramai quasi autonoma dalla Natura, basata sulla possibile predazione guerriera nei casi di insufficienza alimentare prolungata. Questa riorganizzazione doveva però comportare una forma di verticalizzazione e di concentrazione del potere ed una forma di subordinazione e di ordinamento gerarchico, che sarebbe stato all’origine della stratificazione sociale poi tradizionale (re – aristocratici/guerrieri – artigiani - contadini). È qui che si inserisce la prospettiva rivoluzionaria di cambiamento ideologico offerta dall’inserzione rituale del sacrificio animale, di sangue (con tutte le implicazioni strutturali già descritte).

La stessa semplicità devozionale decantata dall’Odissea omerica – come, del resto, la pietas romana esibita esemplarmente da Enea nell’Eneide virgiliana – si inserisce in questa forma di subordinazione predestinata, predeterminata. Fondamento della pacificazione sociale e dell’annullamento delle reciproche forme di combattimento e aggressività sociale, essa costituisce la fusione fra potere religioso e potere politico. Il principio dell’ordine e della pace sociale (in un contesto economico esterno ed interno sempre più aperto ed aggressivo). La neutralizzazione dei rapporti socio-politici interni – e la relativa pacificazione più o meno forzata delle relazioni all’interno della vita collettiva – porta nell’ambiente imperiale romano, insieme all’annullamento ed alla cancellazione delle forme di opposizione sociale e politica, il necessario sradicamento della libertà creativa ed artistica, orale o scritta (cfr. Ovidio, Petronio). Questo orizzonte e determinazione di negazione è, significativamente, la conclusione storica di un processo evolutivo iniziato proprio nel periodo o fase del passaggio in ambiente greco pre-arcaico dalla tradizione culturale orale a quella scritta.

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Nella trasmissione culturale orale, infatti, l’azione legata alla parola, al desiderio, al voto ed alla viva memoria collettiva conserva il rapporto dialettico sussistente fra la versione umana della materia naturale (il deposito delle precedenti azioni collettive) e l’edificazione di una forma espressiva totalmente creativa, non assorbita in alcuna linearità determinativa o in alcun calcolo dei mezzi per fini prestabiliti. La conservazione diretta ed immediata della relazione che regge la collettività – il rapporto fra liberi ed eguali delle comunità agresti greche pre-arcaiche – non rischia di forgiare alcuna forma di mimesi realistica od oggettiva di una supposta realtà (naturale e sociale, o politica). Solamente l’avvento della necessità di trasmettere delle finalità e degli strumenti di riconoscimento collettivi (simboli) stabilirà la priorità di uno spazio oggettivo per il sapere, segnato e determinato da una realtà perfettamente delimitata e visibile (mondo umano del vero). Solo la predeterminazione della conservazione dell’esistenza immutata di una vita collettiva organizzata darà il via alla ricerca delle modalità culturali capaci di garantire questa prosecuzione nella continuità. Allora nascerà la forma simbolica per eccellenza: il linguaggio scritto e tutte le collegate forme di rappresentazione diretta (geometria, calcolo numerico). Solo la linearità determinativa finalizzata che sorge all’interno dell’orizzonte aperto dal concetto dell’Uno come fonte di continuità – cfr. l’Uno egizio (Aton) e l’Uno delle tradizioni speculative filosofiche presocratiche – sarà capace nella sua trasversalità di costituire una fonte di assorbimento delle energie collettive. La viva e profonda memoria connessa con l’abissalità della grande Dea madre Natura si trasformerà, allora, da materia viva e collettivamente creativa in selezione e passaggio essenziale, mentre l’eroticità che ne animava lo spirito vitale si cambierà e neutralizzerà nel rispecchiamento consentito dall’anima razionale. Ora solo ciò che viene riconosciuto dall’intelletto può consentire la trasmissione immutata del vero, l’apertura fondamentale che ha per termine Dio stesso ed il suo riflesso nella realtà sociale e politica. Lo scopo ed il fine conservativo impongono una sapienza (teoretica, teologica e pratica) oggettiva.

È, conclusivamente, la negazione che sorge con il processo di diagonalizzazione – la rotazione-compressione in precedenza analizzata e descritta – ad imporre il piano di validità universale della scrittura e dell’oggettività. Ma, come negazione, essa deve sradicare dalla coscienza collettiva lo sguardo nell’abisso, la consapevolezza della presenza della grande Dea Madre Natura – Demetra - e delle nostra possibilità di intrecciarsi ad essa, tramite la libertà del desiderio. L’offerta realmente religiosa nel desiderio e tramite il prolungamento del desiderio stesso nella sua filiazione – Persefone – stabilisce nelle comunità pre-arcaiche ed arcaiche greche, prima del sopraggiungere e sovrapporsi delle strutture ideologiche dell’astratto e del separato, l’unico orizzonte di senso e di significato umano accettabile e razionalmente comprensibile, l’unico scopo da perseguire. Poi, con il sovrapporsi

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dell’organizzazione terminale, sarà il tempo dell’alluvione progressiva dei riti e dei miti sacrificali e di passaggio. Della devozione ordinata e collettiva. Solo nell’epoca successiva – dell’astratto e del separato – alcuni pensatori cercheranno di rievocare e riportare in vita l’antica sapienza, in un nuovo schematismo, fondato sulla concezione creativa e doppiamente dialettica dell’infinito (Anassimandro, Anassagora, Empedocle, Giordano Bruno), oppure semplicemente creativa (Parmenide, Nietzsche).

La trasversalità lineare-determinativa e finalizzata, imposta grazie alla combinazione e composizione del processo astrattivo e di quello separativo, costituisce, allora, il nuovo piano universale del discorso e della riflessione linguistica articolata, dove la relazione soggetto-verbo-predicato sostituisce con la rete estesa ed aperta delle nominalizzazioni il precedente orizzonte indefinito della manifestazione epifanica della Dea. I determinati-separati (le idee, gli atomi) sostituiscono le divine potenze discrete, mentre le sacralizzazioni retoriche delle nuove classi colte delle società aristocratiche greche prendono il posto delle offerte sacrificali religiose, contribuendo a rimpiazzare la fluidità degli scambi fra i mortali e gli immortali con la rigidità di un culto sempre più dogmatico ed immutabile. La civilizzazione greca si avvia in tal modo a porre le basi per la considerazione dell’Essere come stabilità, immutabilità e unità: stabilità della base materiale, immutabilità dell’orizzonte di determinazione, unità come continuità senza fratture e trasformazioni socio-politiche. Poste in tal modo le premesse per l’orizzonte di riferimento dell’intera successiva civiltà occidentale (attraverso il cristianesimo e la globalizzazione capitalistica moderna sino ai nostri giorni), l’ideologizzazione realizzata attraverso la stabilità e la permanenza, sia del termine divino che della sua realizzazione terrena, fissa la convergenza assoluta del Divenire. Come medio ruotante fra gli estremi dell’idea e della realtà.

Nel panorama della realtà greca, che precede la fase arcaica, questo è perfettamente visibile nel tentativo di retrodatare l’inizio della successiva rivoluzione ideologica su base sacrificale, da parte di Omero, Senofonte e dello stesso Platone. Proprio per coprire i sempre risorgenti culti religiosi di tipo materiale-naturale, che hanno nel culto della grande Dea madre il proprio archetipo di riferimento. Questo riceve la sovraimpressione del culto maschile e patriarcale, per effetto del quale l’offerta diviene sacrificio e questo si capitalizza – come nel caso del santuario di Eleusi attorno al 420 a.C. - in sostanza capace di garantire la sopravvivenza ideale della comunità ellenica (il denaro dell’elemosina sarà thesaurós).

Citazione: “In alcuni casi particolari l’offerta di primizie è cosa a sé stante, senza sacrificio animale o anzi proprio in contrasto con esso. Così ad esempio a Figalia in Arcadia: <<Frutti d’alberi domestici, e fra gli altri, quello della vite, cera delle api, velli non

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ancora purgati al lanificio (…) posano il tutto su l’altare (…) e ci versano dell’olio>>.4 In questo caso, attraverso il mito di Demetra e attraverso il rituale, è possibile stabilire un collegamento con l’Anatolia dell’età del bronzo. A Delo l’altare di Apollo Genetor, il <<genitore>>, non servì mai per il sacrificio cruento, un altro altare non macchiato di sangue, consacrato a Zeus Ipato, il <<sommo>>, era eretto davanti all’Eretteo ad Atene: qui, come a Pafo, potrebbe essersi conservata una tradizione dell’età del bronzo: l’altare come <<Table of offerings>> di stile minoico-miceneo.”

2.2 Sacrifici votivi. Il rapporto dialettico di scambio verticale-orizzontale, permesso dalla sovraimpressione

della terminazione divina (anàthema; akrothínia è la parte superiore del mucchio che costituisce il bottino di guerra, parte dedicata al Dio), consente la trasformazione del desiderio del singolo nell’opera di riconoscimento divino dell’azione e della finalità del soggetto medesimo, garantendo la liceità del rapporto fra motivazione personale e sua realizzazione. Se il Dio non interferisce, l’azione risulta possibile e viene realizzata (esposta e/o conclusa: di qui la perfezione dell’azione conclusa e la consacrazione degli strumenti di lavoro, al termine della propria vita lavorativa). Lo stesso discorso linguistico della speculazione più recente sulle condizioni di possibilità di un enunciato o di una proposizione rievoca strutture similmente organizzate, con una terminalità operativa ed una significazione semantica quasi ad essa subordinata, nelle sue diverse stratificazioni. Segno e prova della ciclicità delle fasi a predominanza linguistica nella civiltà occidentale, nei momenti di massima neutralizzazione ideologica. La benedizione dell’anatema si capovolge, allora, nella sua versione poi tradizionale, negativa, nel momento in cui si cercasse in qualche modo di riportare in auge e di rivitalizzare le divinità opposte alla terminazione divina celeste, le cosiddette divinità infernali (in realtà materiali-naturali, ctonie).

2.3. Libagione. Se il voto era soprattutto il ringraziamento per la grazia del superamento di situazioni di

crisi individuali o collettive (malattie, epidemie, carestie, guerre), la libagione veniva esercitata nei tempi antichi prevalentemente in situazioni di pace e di reale o vera giustizia. Era il tempo d’oro della vita libera da bisogni o necessità e, dunque, perfetta. Per questo la libagione si accosta maggiormente a quella parte della divinità che, successivamente, darà adito alla nascita del mito dell’età dell’oro:5 il tempo di Crono, prima del regno di Zeus e

4 Pausania, La periegesi della Grecia 8, 42, 11. 5 Esiodo, Le opere e i giorni. Platone, Il Politico 271d e segg. “Allora il dio [Cronos] guidava innanzitutto la stessa rotazione, prendendosene totalmente cura, e - cosa che avviene allo stesso modo anche adesso in alcuni luoghi - tutte le parti del cosmo venivano ripartite dagli dèi che le governavano: e dei demoni divini come fossero pastori avevano ripartito anche gli animali viventi secondo i generi e i gruppi, e ciascuno bastava in tutto a ciascun gruppo essendo esso

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della subordinazione dei culti agrari e popolari di Demetra, Poseidone, Persefone, Dioniso. Nell’età omerica successiva – quando il sacrificio del sangue e del fuoco (Prometeo) aveva oramai preso il sopravvento, nell’età del ferro - essa rientra nello schema triadico precedentemente delineato, costruito attorno ad una prima quadratura – Zeus superiore e Zeus laterale, adempitore – attraversata diagonalmente dalla tensione eroica alla realizzazione. Ma se, nella prima fase, la libagione non costituisce alcuno spazio e tempo sottratto alla volontà che accomuna dei ed uomini, nella seconda fase compare invece il tempo sottratto agli uomini e concesso agli (o dagli) dei. Il tempo alienato.

È attraverso il concetto di perdita definitiva di ciò che viene offerto e versato, infatti, che tale cessione (alienazione) si realizza. Ed il versamento del vino, dell’acqua con miele o dell’olio precede e conclude – racchiude - il sacrificio con il sangue. Così l’atto conclusivo della libagione vale la costituzione di un patto o testamento, individuale o collettivo. Mostra come fine determinato e determinante ciò che in precedenza costituiva un presente di felicità intoccabile. Soprattutto delimita superiormente la fascia del tempo altro, del tempo futuro in mano agli dei o del tempo nel quale ricompaiono le anime passate (rievocazione e necromanzia). Il libare alla terra, invece, ricorda l’origine del rito stesso, la sua aderenza ed intreccio con la potenza materiale-naturale della grande Dea madre terra. Il segno con l’olio (o con il sangue), invece, rappresenta l’ordinamento gerarchico successivo. Anche l’acqua versata sulle tombe o nelle fenditure della terra rappresenta la ricongiunzione con la potenza che può dare o ridare la vita, eliminando ogni forma di eccesso dannoso alla vita stessa. L’atto conclusivo dei misteri eleusini stessi – il versamento ad oriente, occidente; il

stesso pastore, sicché non vi era nessun essere selvatico e nessuno procurava cibo all'altro, e non esisteva affatto guerra né rivolta. Ma vi sarebbe molto altro da dire riguardo a quel che segue a tale assetto dell'universo. Quanto si dice degli uomini e della loro vita in cui tutto si generava spontaneamente, si è detto per questo motivo. Il dio li guidava ed era loro capo, come adesso gli uomini, che sono animali più vicini alla natura divina, portano al pascolo le altre specie a loro inferiori: quando il dio li portava al pascolo non vi erano forme di governo, né acquisti di donne e di figli. Tutti ritornavano in vita dalla terra, e non vi era alcun ricordo della situazione precedente: questi beni allora mancavano, però avevano abbondanza di frutti dagli alberi e da molta altra vegetazione, senza esser generati mediante l'agricoltura, ma offerti spontaneamente dalla terra. Nudi e senza coperte vivevano trascorrendo la maggior parte del tempo all'aria aperta: le stagioni erano temperate perché non provassero dolore, e avevano confortevoli letti costituiti dall'erba abbondante che cresceva di continuo dalla terra. La vita di cui stai ascoltando il racconto, Socrate, è quella di coloro che vissero al tempo di Cronos: questa di adesso, invece, che il discorso indica come del tempo di Zeus, tu stesso la stai sperimentando di persona [...]. Privati della cura di quel dio che ci possedeva e che ci guidava al pascolo, tutti gli altri numerosi animali che avevano natura feroce diventarono selvatici, mentre gli uomini stessi, deboli e senza protezione, venivano sbranati da quelli, e in quei tempi primitivi erano ancora senza mezzi né risorse, poiché era mancata l'alimentazione spontanea, e non sapevano procurarsela, per il fatto che in precedenza non erano stati costretti da necessità alcuna. Per tutti questi motivi erano venuti a trovarsi in difficoltà enormi. Di qui provengono i doni, come anticamente si narra, donati a noi dagli dèi insieme al necessario insegnamento ed educazione: il fuoco da Prometeo, e le arti da Efesto e dalla sua compagna d'arte, i semi e le piante da altri. E tutto quanto è servito a stabilire la vita umana è provenuto da questi doni, dal momento che, come si è appena finito di dire, gli dèi smisero di occuparsi degli uomini, e questi dovevano da soli guidare se stessi e aver cura di sé, come tutto il cosmo, a imitazione del quale e nella cui compagnia viviamo e siamo per tutto il tempo generati, ora in questo modo, un tempo in quell'altro. Abbia così termine il mito, e noi lo useremo per vedere quanto abbiamo sbagliato mostrando nel discorso precedente l'uomo regale e quello politico.”

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richiamo alla pioggia e l’offerta alla terra - dà il segno della quadratura totale (la dialettica verticale ed orizzontale), entro la quale si muove la vita stessa della potenza terrestre.

3. Preghiera. Il tempo diviso, separato, alienato, in mano agli dei per la realizzazione delle opere

umane e per la scansione delle attività della comunità viene sancito, segnato e delimitato dalla parola sacra, dalla euphemía (contrapposta alla blasphemía). Essa offre il senso performativo del linguaggio, stabilendo l’isolamento e la chiusura dello spazio collettivo all’opera disintegratrice dell’oppositore, del ribelle, di chi ancora si attarda all’obbedienza dovuta ai vecchi riti entusiastico-egualitari. La parola sacra – la preghiera (eúchesthai) – tabouizza la precedente osservanza nei confronti della diversità e della creatività naturale, innalzando il senso di rispetto e di devozione dovuto alla divinità che si sovraimpone. Essendo poi che l’atto di sovraimposizione comporta l’adesione allo schema totalitario imposto dalla posizione della negazione - negazione dell’immediatamente e spontaneamente positivo – l’inizio della parola sacra è il silenzio collettivo, l’annullamento della diversità locutoria ed espressiva della collettività e l’adesione tramite invocazione al termine divino superiore (di solito Apollo o Artemide, che ricevono i contributi umani in grazia di Zeus). È questo contatto - stabilito attraverso e grazie al celebrante - a dare progresso all’azione sacra di delimitazione, a condurla verso i successivi sentieri della precisazione e delimitazione ulteriore. È all’interno dello spazio esterno all’uomo così segnato, che si dà luogo a tutte le forme di scambio religioso e sacrificale.

Il processo di distinzione, esclusione, eliminazione progressiva e tendenzialmente totale della libera potenza del diverso – lo spirito aperto della viva materia creativa - si attua attraverso la sua neutralizzazione: il suo spirito viene infatti sradicato e piegato in una prima forma di astrazione e separazione, di alienazione. L’atto ordinato – eterodeterminato - di generazione. È solamente attraverso il controllo eugenetico della espressione sessuale umana, che la stessa libera e profonda libertà d’espressione naturale ed umana viene coartata verso la direzione diagonale stabilita dalla preventiva suddivisione in classi della società greca prearcaica (i proprietari terrieri, garantiti dalla figura reale; i contadini e gli artigiani soggetti). La stessa espressione dei rapporti omoerotici viene piegata a forme di plagio giovanile (cooptazione alla classe superiore). Qui le forme di costituzione e costruzione della società patriarcale liberano i maschi dal pericolo rappresentato dalla libertà sessuale femminile, per assogettare le donne al dominio esclusivo maschile, secondo la principale necessità della trasmissione maschile del patrimonio. Ora il possesso, stabilito in assoluto (quindi separato dalle proprie effettive condizioni di realizzazione), sostituisce la vita, nella propria libera potenza.

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Il silenzio e l’ascolto, la soggezione e la benedizione – o, all’opposto, la caoticità espressiva e la maledizione gettata sull’altro (a coprire ed occultare6 l’ordine razionale della libera potenza materiale e naturale) – sono figure comportamentali dell’immaginario collettivo, che stabiliscono la possibilità dell’edificazione, costruzione ed educazione dell’identità collettiva. Ben prima della formalizzazione dei principi logico-ontologici aristotelici (identità, non-contraddizione, terzo escluso) il quadro e l’orizzonte di senso e di significazione della civiltà greca si era formato con questa impostazione. Aristotele ne avrebbe reso l’estrema neutralizzazione schematica, quale fondamento scheletrico della successiva tradizione ideologica occidentale (sino alla speculazione hegeliana).

Musica, danza, poesia celebrativa entrano e si compongono con il nuovo processo rituale religioso greco prearcaico, mostrando senza soluzione di continuità la costituzione e l’organizzazione di uno spazio, che viene costantemente ripreso per edificare una nuova immaginazione razionale collettiva: ora l’astratto si separa, emotivamente e fisicamente, in una nuova forma di esaltazione e determinazione collettiva. L’Uno necessario e d’ordine (prima Poseidone, poi Zeus) coordina l’apparizione delle divinità che ne stanno a corollario (da Apollo ed Artemide, ad Athena, a tutte le dodici successive divinità olimpiche), sovraimponendosi a ciò che si viene progressivamente trasformando in base materiale neutralizzata per l’intervento artificiale umano. Per questa ragione il procedimento di neutralizzazione della libera e razionale potenza naturale deve assumere le caratteristiche sacrali e religiose del mascheramento e della diversificazione, dell’occultamento e della trasformazione. Gli istinti naturali spontanei - che in una società organizzata orizzontalmente, nelle piccole comunità contadine, vengono riconosciuti ed organizzati secondo un principio ed una causa legati alla libera ed eguale espressività – vengono ora controllati e repressi attraverso il proprio uso capovolto: ciò che in precedenza consentiva l’apertura senza limiti della propria potenza espressiva ora diviene termine divino della sua regolazione e subordinazione, della sua determinazione. Grido ed estasi sono la nuova

6 La funzione musicale di accompagnamento rituale, con andamento ripetitivo e cantilenante, può dare adito ad una finalità di mascheramento ed occultamento, di neutralizzazione e pacificazione, con finalità mimetiche e percettivamente gerarchiche (cfr. musica tonale e modi musicali). Analogamente accade alla creazione poetica. Musica e poesia greca possono infatti trovare le proprie origini nel rito religioso, come strumenti di accompagnamento e di realizzazione del movimento di convergenza ed elevazione. Del resto la stessa tragedia greca pare vedere – secondo Aristotele - le proprie origini nei ditirambo dedicati a Dioniso. Il movimento del pensiero classico, che edifica nell’immaginazione razionale, secondo una terminazione d’orizzonte e di scopo superiore, occupa lo stesso spazio ed impegna la stessa potenza di movimento mobilitata e nobilitata dalla musica, dalla poesia e dalla ritualità religiosa. Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Ancient_Greek_music (qui si ricorda che la regolazione “etica” dei modi musicali e delle relative formazioni emotive viene utilizzata per finalità educative o guerresche) e http://www.thinkingapplied.com/tonality_folder/tonality.pdf (qui la musica tonale viene definita come fenomeno gerarchico; quella atonale come continua dissonanza, che segna una differenza ed un’apertura “incomprensibile”, che a sua volta impedisce la formazione di una direzione e di un senso per la melodia: tanto la prima verticalizza, assecondando la formazione del motivo dalla frase musicale, quanto la seconda mantiene una relazione orizzontale di apertura, senza fondo o principio visibile e senza termine superiore o causa d’orientamento).

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materia naturale di una forma che comprende ogni cosa che vive (quale persona globale e totale), a sua volta fondamento del riconoscimento intellettuale ed espressivo (linguistico) collettivo, quando nome ed epiteto definiscono con piena chiarezza la sua sostanza animata, poi collocandola nel suo luogo di provenienza (delocalizzazione). L’invocazione ed il richiamo alle passate esperienze religiose trasferiscono ed alienano in tal modo a tale personalità divina quella potenza che, inizialmente, veniva riconosciuta in capo alla ragione naturale: il passo successivo, realizzato dalla dogmatica cristiana, sarà quello dell’imitazione consentita dalla creazione ad immagine e somiglianza, attraverso la quale l’uomo occidentale si appropria definitivamente ed in maniera assolutamente regolata e controllata della potenza (funzionalità strumentale del divino, che viene alla fine esautorato).7 Come la potenza positiva viene in tal modo fissata, così pure quella negativa viene riflessa a specchio (katádesis, defixio), occupando quel medesimo spazio – ora inferiore e soggetto, prima aperto superiormente - che in precedenza costituiva l’immediata ed inalienabile positività della potenza naturale e razionale.

4. Purificazione. 4.1. Funzione e metodi. Che cos’è la purificazione? Perché vi è la necessità di una purificazione? Rispetto a che

cosa ci si deve purificare? Rispondere a queste domande avrebbe significato, nel mondo greco che si stava accingendo ad entrare nella fase da noi definita arcaica, prima di tutto indicare la presenza di una nuova necessità: la necessità della conformazione collettiva, la volontà comune di sottostare ad un’identità che non poteva – e non doveva – essere messa in discussione, o tanto meno poteva essere criticata od addirittura abbattuta. L’idolo ed il feticcio dell’identità compare così all’interno della civiltà occidentale insieme all’esclusione e dannazione – se necessario, persecuzione ed eliminazione – dell’altro e del diverso. L’altro-e-diverso (interno ed esterno) rappresenta il nemico da combattere ed eliminare, per consentire la conservazione della propria sicurezza e libertà. In un mondo in cui l’apertura delle relazioni di scambio commerciale ed ideologico poteva significare la perdita definitiva di entrambe (cfr. le migrazioni greche), un vissuto di inferiorità e di pericolo si trasforma e capovolge in un’azione ideologica improntata alla dominazione preventiva e all’uso definitivo della violenza. Il criterio assoluto della superiorità civile delle successive polis greche comincia ad affacciarsi all’interno della vita collettiva, stabilendo un grado ulteriore di dominio ed egemonia, grazie alle forme esoteriche di religiosità e di speculazione. Questa stratificazione sociale all’interno della vita delle comunità greche del tempo trova riscontro, riflesso e giustificazione sovrastrutturale nelle forme religiose, artistiche e poetiche e nella

7 Inserire un richiamo all’opera filosofica di Feuerbach e Nietzsche.

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costituzione di prime linee di tendenza speculativa, che successivamente sfocieranno nelle impostazioni orfico-platoniche. Per queste linee di tendenza speculativa la precedente distinzione-divaricazione fra potenza positiva e potenza negativa costituiva la base per una successiva opera di chiarificazione e definizione: ora il luogo dei “puri” doveva essere separato da quello degli “impuri”, perché mentre i primi potevano e dovevano raggiungere ed acquisire solamente per sé il governo e la direzione (autarchia) di una vita migliore, piena e completa, felice e priva di sofferenze o confusioni emotivo-passionali, i secondi dovevano rimanere a costituire il serbatorio delle energie da dirigere e determinare, rappresentando il pericolo sempre incombente ed attuale di un volgo sovversivo ed iconoclasta, in preda alla più caotica delle confusioni passionali. Re (intellettuali e sacerdoti), aristocratici (proprietari terrieri e guerrieri a difesa dell’ordine costituito), contadini, artigiani e commercianti, schiavi (strumenti più o meno liberi della conservazione della vita collettiva, ordinatamente organizzata) sono la struttura reale di quella divisione e gerarchizzazione sovrastrutturale, progressivamente orientata verso un dominio sempre più stringente.

È questa diagonalizzazione-compressione a trovare – come è già stato espressamente indicato – figura ed immagine rappresentativa nell’elemento acqua, inteso nella sua forza e tendenza appunto purificatrice (nota il valore reale e metaforico delle fonti/origini montane, termini del pellegrinaggio religioso e cultuale).8 L’orizzonte toccato dalle fumigazioni cultuali resta invece aperto ed imprevedibile, una forma di autoassegnazione totale alla libertà superiore (di accettazione/rifuto) degli dei, potenze imperscrutabili, nella loro versione più antica anche inferiori (daímones). Il male viene così riferito e delimitato, proprio attraverso la negazione permessa da quella diagonalizzazione. Per quanto, però, questo taglio consenta l’eliminazione in definitiva del nemico esterno ed interno, la violenza esercitata ed espressa in maniera incontrollata ed ingiustificata all’interno della collettività e dovuta alla stessa origine psico-sociale della nuova sistemazione teologico-politica trova risarcimento e risoluzione nella costituzione di un fondamento giuridico formale di tipo religioso, facilmente riconoscibile, per esempio, nei casi di omicidio dall’appello all’oracolo di Delfi ed alla divinità olimpica di Apollo. Insieme alla diagonale negativa potenza maligna → contaminazione sociale → evento disastroso si sviluppa allora una tendenza risolutrice, intrecciata alla prima, che attraverso la sofferenza dell’espiazione scioglie le colpe individuali o collettive e capovolge gli esiti apparentemente infausti in eventi di prova, di giudizio e di intervento divino. Ristabilire e ricostituire allora la situazione di equilibrio deve essere l’effetto provvidenziale e buono della divinità stessa, che in tal modo manifesta la propria esistenza e la propria funzione umanamente positiva, acconsentendo alla

8 Cfr. Fons Castalia a Delfi, in onore di Apollo. Vedi: http://en.wikipedia.org/wiki/Delphi.

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manifesta riorganizzazione di una forma perfetta di vita civile. La morte, poi, in stato di colpa inespiata, resta quale morte definitiva, irresolubile.

4.2. Sacro e puro. Questo intreccio fra potenza positiva e determinazione negativa costituisce l’orizzonte di

riferimento della civiltà e dell’ideologia occidentale. Limitare la potenza del negativo – l’incontrollato esprimersi del naturale e razionale – attraverso l’utilizzazione delle sue forme estreme – accidenti climatici, epidemie, rivolte – diventa il leit motiv del potere governativo che si va costituendo, nella sua forma archetipa. L’estremo diviene, infatti, il luogo collettivo grazie al quale il giudizio e l’intervento di un’autorità superiore può installarsi e dirigere l’annullamento di quelle pulsioni naturali e razionali, la cui libera espressione ne costituirebbe – per il sistema ora in edificazione – il sommovimento e la “sovversione”. Rimane però un punto essenziale e irrinunciabile, ineliminabile: quella potenza naturale e razionale non si lascia rinchiudere nello specchio ed immagine del negativo. Essa stessa capovolge la propria immagine riflessa nello specchio del potere, per indicare e mostrare una via alternativa alla strada dell’alienazione e della violenza istituzionalizzata.

La sofferenza (individuale o collettiva) diviene infatti il segno di una colpa, la dimostrazione di una mancanza che deve essere rovesciata, attraverso l’accettazione di un’espiazione (ancora individuale o collettiva) ed il riconoscimento delle capacità di intercessione del soggetto che media fra divino ed umano, riuscendo in tal modo per fede comune a ricomporre l’unità del secondo con il primo. Ecco comparire, allora, la funzione essenziale e necessaria dell’elemento sacerdotale: puro e semplice trasmettitore della grazia superiore e divina – sia in ambiente greco, romano e cristiano – esso diventa fondamento ineliminabile e termine di riferimento imprescindibile per l’atto di coesione con quella grazia stessa. Senza la propria funzione imprescindibile di mediazione la stessa potenza civile non può instaurarsi e dirigersi. In queste società di tipo teocratico il divino viene, allora, ristretto nella sua funzione esclusivamente punitiva e risarcitoria: la colpa, accettata e riconosciuta (individualmente o collettivamente), una volta sia stata giudicata ed espiata, risolve e scioglie il negativo, capovolgendone gli esiti finali ed allargandoli all’intero panorama civile, come atti di determinazione collettiva positiva. Convenzione, positività del diritto e legge nascono allora proprio in questo momento, come forma di opposizione estrema alla libera naturalità di una ragione, che lasciata nella sua potenza incontrollata si definisce determini una rottura dei limiti e delle stesse aspettative sociali di felicità e comune benessere. Si comprende bene, allora, perché ed in che modo il sacro fondi l’appartenenza politica, per il tramite della delimitazione di uno spazio superiore di intangibilità ed immodificabilità (l’eternità metafisica), in relazione al quale ed all’esterno del quale possa essere stabilito come sua proiezione l’asse e fondamento di una rigida e

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coerente politica comunitaria. In questo senso il profano sta sì al di fuori del sacro, ma viene da esso comunque delimitato e giustificato nella sua esistenza e sussistenza.

Ma in che cosa la libera potenza del naturale e razionale quasi sembra costringere verso l’imposizione della nuova visione ideologica? Qual è l’insoddisfazione che ne origina il superamento tentato, a tutt’oggi ancora sospeso? Forse il problema, che ne è stato all’origine e che ha richiesto apparentemente una tale soluzione, deve essere identificato con il tentativo di “toccare il cielo degli dei” e di godere della loro stessa felicità. Un tentativo “titanico” di giustizia. Far coerire l’uno della collettività con l’Uno superiore infinito. Far permanere la libera espressione creativa dei singoli con la relazione che ne assicurasse il comune equilibrio: qui nasce l’aspirazione tutta determinatrice ad un termine di riferimento collettivo e superiore, che sia capace di inverare e realizzare nella sua forma e contenuto – nota qui i termini come verità, realtà, forma e oggettività – la sintesi unitaria del molteplice, la possibilità di mantenere i molti nell’uno. Per fare questo i Greci – forse per primi (ma non mancano le influenze dall’Oriente, vicino e lontano) – hanno pensato di far trascendere attraverso una mediazione assoluta la vita delle proprie collettività in uno spazio del tutto immaginario, astratto e separato, ma con tutte le caratterizzazioni e gli strumenti istituzionali necessari a farlo sembrare vero e reale: un mondo capovolto – il mondo di qui, messo lassù - nel quale la forza, la violenza e la costrizione allo scopo, della mente e dell’azione collettiva, possano essere definiti e determinati come la manifestazione unitaria ed organica – ecco l’origine del logico come ontologico - del divino.

Il mondo greco si completa così con il pensiero di Aristotele, per poter cedere poi a quello romano-cristiano la propria impostazione imperiale, attuata e ripresa oltre la fase medievale nella costituzione materiale (commerciale e finanziaria) delle premesse nazionali dell’età moderna, e nel finale e definitivo accentramento formale permesso dalla globalizzazione attuale. In questo tragitto “fatale” della civiltà ideologica occidentale non è difficile scorgere i momenti nei quali questo sentiero rischia di venire interrotto e/o rovesciato: nella fase del pensiero pre-socratico, quando alcuni pensatori – Anassimandro, Parmenide, Anassagora, Empedocle – denunciano con la loro speculazione la valenza alienante e violenta della versione egemonica e riduttiva dell’intelletto; nella fase di crisi e di passaggio verso la composizione fra la versione istituzionale dell’Impero Romano e la sorgente di legittimazione cristiana (all’inizio del IV secolo d.C.), quando Plotino ricorda preventivamente la valenza moltiplicativa dell’Infinito; quando Giustiniano chiude nel VI secolo d.C. la scuola filosofica di Atene; quando durante la fase della più stringente e combattuta ricerca di una forma di convergenza assoluta Impero e Papato nel Medioevo si trovano a scontrarsi e a debellare insieme – come peste della fede e della ragione politica – le forme “ereticali” cataro-albigiesi; quando all’inizio dell’età moderna il pensiero di

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Giordano Bruno ricorda la valenza creativa e doppiamente dialettica dell’Infinito (Spirito e Materia), oppure quando Baruch Spinoza, i libertini e i giusnaturalisti europei sottolineano la valenza positiva del diritto naturale, mentre Descartes recupera proprio attraverso l’estremizzazione del dubbio (bruniano? Protestante?) l’orizzonte di determinazione classico (il Dio che universalmente chiarifica e definisce nella scienza, o che determina oltre la morale provvisoria ed a fondamento di questa). Oppure quando nel XIX secolo la filosofia d’impianto kantiano-hegeliana viene contestata dalle riflessioni ed argomentazioni proposte da Feuerbach, Marx e Nietzsche. Oppure quando ancora, nella crisi finale della globalizzazione, a partire dagli inizi del XX secolo sino alla fase attuale della globalizzazione stessa, l’assoluto del Capitale induce forme dittatoriali o di guerra preventiva terroristica quali estremi ripari alle rivoluzioni proletarie e/o semplicemente democratiche nell’intero orizzonte di vita del pianeta. In tutti questi momenti rispunta il frutto – terrestre e celeste nel contempo - della libera potenza naturale e razionale, oltre ogni coltre di maligna e violenta repressione o censura, oltre ogni tentata reideologizzazione sacro-temporale. In tutti questi momenti rifiorisce il tentativo di mantenere aperto l’orizzonte infinito del liberamente creativo, insieme alla consapevolezza della presenza di un motore dialettico, che vincola con il più leggero dei nodi e appesantisce con il più lieve dei pesi: l’unità naturale e razionale infinita dell’infinito d’amore, nella spontaneità di manifestazione dei soggetti e nella loro reciproca, amorosa, eguale libertà (nella natura e nella ragione). Pace e giustizia, allora, non rappresentano più il termine di sicurezza di un ordine costituito, quale garanzia nei confronti dell’aumento della complessità economico-sociale, quanto invece il potere costituente di una potenza democratica ed inalienabile, che rinnova i fasti delle antiche forme religiose e sapienziali (collettivamente contadine ed agrarie), senza procedere alla costituzione di alcun nefasto, di alcuna negazione in forma di tabù, proprio in quanto qui ed ora il negativo semplicemente non compare. Né nella forma del soggetto (naturale o razionale) che debba essere subordinato, controllato e dominato nei suoi fini e scopi (preventivamente giudicati potenzialmente dannosi se liberi); né nella realtà e verità di un ordine oggettivo – nel senso sia dell’oggetto (soggetto) ordinante, che in quello dello scopo oggettivo (universalmente soggettivo) - che debba restare limitato, confinato, separato ed altro, in modo superiore, nella propria potenza rispetto alla necessità prioritaria di quella subordinazione, controllo e dominio (resi reali con un giudizio ed atto negativo preventivo).

Il giudizio e l’atto negativo preventivo gettano, infatti, sia la natura che la ragione rispettivamente: 1) nell’abisso senza fondo di un potere infernale e dannoso, potenzialmente esiziale; 2) in una forma di esaltazione collettiva od individuale superiore (con sacrilegio del divino) egualmente negativa, perché indirizzata e guidata da finalità e scopi di sovversione

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ed eversione dell’ordinamento costituito. Queste due caratterizzazioni del naturale e del razionale trovano in ambiente greco prearcaico le proprie identificazioni immediate, forse sotto l’influsso di impostazioni care alle civiltà mesopotamiche e mediorientali, in “ciò di negativo e mortale, che può provenire dal di sotto, dal mondo ctonio (acque e arie avvelenate)” e in “ciò che può provenire dal mondo celeste (influssi negativi astrali).” Due, allora, saranno le contromisure allestite dal sistema ideologico occidentale in via di formazione, per contrastare questi pericoli e così giustificare la propria presenza, il proprio valore e capacità e – se necessario – la propria forza e violenza statuale: 1) l’aspersione sacra di acqua e aria “benedette”, con virtù purificatrici e positive (vedi l’uso di profumi come l’incenso e la mirra, con virtù disinfettanti, farmacologiche o conservanti);9 2) la costruzione di un elaborato sistema di previsioni astrologiche (e di correlati, necessari, comportamenti umani).

La necessità stringente di obbedire a pratiche religioso-superstiziose, del resto, accomuna molte fasi della storia umana (cfr. il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro), anche delle più recenti (cfr. le attuali forme di idolatria personale, in ambito religioso od anche laico e profano), quando la sistemazione organizzata dei poteri religiosi e politici, economici e sociali, che governano e guidano le collettività umane rischiano di entrare in crisi per il prorompere o sopraggiungere di “potenze”, che moltiplicano la diversità naturale e razionale, riaprendo la possibilità di manifestazione dell’infinito creativo e dialettico.

Il sangue del sacrificio deve pertanto allontanare il celebrante dal sangue e dalla morte presenti in vita, per consentirgli di elevarsi in una condizione di superiorità, nella quale e dalla quale potrà sporgersi, per trattenere e salvare la comunità dei fedeli dai rischi sempre incombenti delle potenze negative. In questa situazione di mezzo, fra divino ed umano, il celebrante interrompe (o regola in modo diverso ed alternativo) il flusso vitale e dialettico delle forze elementari concrete - legate all’alimentazione, alla sessualità ed alla morte – per risorgere a nuova vita, ad una vita separata, senza più pericolo di morte e con un circuito di energie separato (ecstasi), che gli consente di rimanere a contatto con il divino. Verginità ed immersione in acqua consentono il mantenimento di questo contatto, con la facile e popolare figura della sospensione o con le molto più difficili ed elitarie tecniche di concentrazione e rilassamento (cfr. le influenze semitiche ed indiane). Entrambe operano il distacco, che viene segnato dall’accompagnamento di una nuova corporeità apparente (da una nuova “vestizione”): qui anche gli altri elementi concreti aiutano nell’opera di sfoliazione o disincarnazione. Il fuoco aiuta a distruggere il corpo mortale, per poter

9 Il negativo del míasma (della contaminazione attraverso l’aria) poteva comprendere tutti gli atti più vitali: nascere; avere rapporti sessuali per una positiva generazione; conservarsi in equilibrio senza entrare nelle logiche che conducono alla follia ed all’omicidio; morire allontanando da sé il pericolo definitivo di una colpa inespiata.

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mostrare al di là del velo costituito dall’immagine immediata e sensibile l’acquisizione di quello immortale (cfr. i miti di Eracle; Demetra e Demofonte). L’aria del vento e la terra argillosa spalmata sul viso e poi frizionata via rappresentano altrettanti usi tesi all’eliminazione allegorica dei componenti materiali, per mostrare la pienezza della potenza dello spirito rinato. Il contatto con il ciclo reale della vita terrestre – il ciclo annuale – impone, però, che una vera e reale ripetibilità della rinascita stessa possa avvenire solamente dopo un’annullamento totale delle forme concrete di devozione precedenti: solo l’annullamento del passato del rito consente la sua presenza nel futuro, in un senso sempre nuovo e gioioso.

4.3. Morte, malattia, follia. Lo spirito positivo che si è astratto e separato combatte dunque contro lo spirito negativo,

che rimane prigioniero del corpo mortale. In questa logica e mondo capovolti – rispetto alla pienezza della vita continuamente creativa e dialettica – l’adesione convinta e tenace alle potenze corporali diventa la spiegazione di quella paura della morte, che si trasforma in angoscia, e che dà origine a tutte le forme deviate e reattive di autoaffermazione assoluta: nella logica della “malattia” del corpo e della mente l’assenza di relazione aperta – il distoglimento dalla relazione creativa e doppiamente dialettica (verticale ed orizzontale) - viene capovolta in una decretata impossibilità di movimento e trasformazione, rivoluzione. La negazione dell’originario, che porta a sofferenza (interna ed esterna), diventa quella negatività che può e deve essere superata e risolta, a patto di essere riconosciuta ed accettata, come progresso ad una condizione di salute e di sicurezza. La vita diventa malattia originaria dalla quale sfuggire via, secondo l’apparenza e la manifestazione di un divino, che mostra il sacrificio di sé come somma beatitudine. Ma da questa vera e reale malattia e follia non v’è via di scampo: essa, infatti, aliena la propria potenza e la cumula insieme a quella di ogni altro essere esistente, la potenzia e la moltiplica all’inverosimile, sino alla propria definitiva scomparsa. L’originario, al contrario, si apre ad una nuova logica ed a un nuovo diritto: ora il movimento creativo e doppiamente dialettico (verticale ed orizzontale) consente che il passato della sensazione, il presente dell’emozione e del sentimento, il futuro della passione possano conservare umanamente la loro articolazione ed il loro mutuo dispiegamento, conservando ed esprimento la propria apertura. L’edificazione della mentalità negativa, all’opposto, usa l’evento negativo della morte per segnare una momentanea esclusione dei soggetti familiari colpiti dal destino fatale, che devono e possono essere reintegrati a pieno titolo nella comunità solo a seguito delle opportune e tecnicizzate purificazioni rituali. Quando la morte segna e delimita la vita al negativo, la negazione del negativo ristabilisce la vita nella sua condizione originaria tramite un riorientamento della vita familiare, che deve essere riallineata al termine comune che

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stabilizza la vita associata: la presenza attraverso il focolare acceso – il fuoco – dell’apparenza di un potere maschile, viene conservata dalla divinità femminile ad esso deputata (Hestía). In tal modo il negativo negato per alienazione ristabilisce l’andamento e lo scambio consueto fra divino ed umano. L’individualizzazione o la generalizzazione causale negativa legata al corpo – la malattia o l’epidemia – definisce poi un ambito ed un orizzonte minore di “contaminazione” soggetta a “purificazione”. Ora il tratto o l’orizzonte negativo deve e può essere superato, prima che attraverso la conoscenza causale del fenomeno comparso, dalle tecniche empiriche della sua riduzione e scomparsa (cfr. il peana dedicato ad Apollo). La follia, poi, viene purificata riportando la mente del soggetto al termine divino, dal quale si era colpevolmente allontanato.

4.4. Purificazione con il sangue. L’eliminazione colpevole di una vita umana – l’omicidio - deve essere purificata con il

sangue rituale, dotato di una potenza ben superiore all’acqua. L’esclusione in origine capovolta del reo dalla comunità – il termine divino è nell’alienazione il capovolgimento speculare dell’originario - viene così a definire la futura e necessaria reintegrazione del reietto, per il tramite di un atto di purificazione compiuto grazie ad un purificatore e protettore straniero (cfr. il mito di Oreste e il santuario di Apollo a Delfi). La vendetta, che avrebbe sì richiesto la morte del colpevole per mano di un parente offeso, ma che avrebbe poi scatenato un circolo infinito di controvendette e quindi la rottura della pace e dell’ordine sociale comunitario, viene in tal modo superata e soddisfatta. Il sangue sacrificale versato, poi, ripara preventivamente dalle offese eventualmente compiute nei luoghi pubblici della politica (l’assemblea popolare) e del teatro (prima delle rappresentazioni). Anche dalle offese naturali ci si difende allo stesso modo, circuendo e proteggendo l’area interessata con l’offerta sacrificale del sangue di un animale. Le offese della guerra stessa possono essere preventivamente superate – per garantire la vittoria degli armati – grazie alle medesime modalità sacrificali.

4.5. Pharmakós. L’elemento perturbatore dell’ordine costituito – la fame, la povertà, le epidemie

(katharmós) - viene espulso dalla comunità e donato, dopo la morte rituale di un capro espiatorio suo rappresentante, al termine divino. Il sacrificio umano o l’allontanamento definitivo dalla comunità (che non si allontanava di troppo, del resto, dalla punizione definitiva), qui, assume la valenza di sacralizzazione estrema dello stesso termine, come principio di vita e di morte per l’intera collettività. La vittima sacrificale stessa si trasforma e capovolge da causa negativa scatenante in principio e strumento positivo e di salvezza per l’intera comunità. In questo modo l’originario conclude il proprio capovolgimento schematico ed ideologico, fissandosi come radice celeste dell’organizzazione ad albero alla

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quale viene assoggettata la comunità civile, come premessa della successiva stratificazione in classi della società politica greca.

5. Il santuario. 5.1. Temenos. Come l’incrocio e la fusione della potenza di Hera e la forma o l’atto determinativo e

direttivo di Poseidone garantivano, tramite la figura realizzatrice di Persefone, la composizione fra la creatività naturale della terra e la giusta distribuzione delle terre e dei campi, con l’annessa regolazione comunitaria dei frutti risultanti, così la suddivisione (impartizione) della benedizione divina che procede dall’alto del termine divino (nei diversi

santuari di Apollo, Artemide, Athena, o Zeus che tappezzano il territorio greco) rappresenta la possibilità e la necessità che la massa popolare delle diverse comunità greche ascenda, trascenda e trasfiguri (purifichi) la propria potenza collettiva, giungendo al termine positivo e definitivo della propria

vita sociale. Questo punto rappresenterà senza soluzione di continuità il principio costante della ripresa e dello svolgimento annuale della vita comunitaria, o delle sue fasi più importanti (semina-vegetazione-raccolto). In tal modo è questo schema ideologico a riconoscere al paesaggio destinato alla sacralizzazione di un santuario posto in un luogo sopraelevato la forma corretta ed adeguata, giusta, per la molteplicità delle funzioni che deve svolgere, espletare e portare a compimento (elevare accogliendo, ristorare il corpo e la mente, guidarle e dirigerle nel momento della rivelazione misterica od oracolare, favorendo la memoria nella ridiscesa al mondo usuale e quotidiano). Diversamente i luoghi campestri o palustri ameni, lontani o strani (Cfr. Dioniso), potevano rappresentare la persistenza degli antichi schemi religiosi, più vicini alla forma di estraniazione collettiva collegata ai riti della

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Grande Madre (poi De-meter; il culto delle pietre10 e degli alberi11 posti al centro del santuario).

5.2. Altare. Lo spazio definito dal sacro, sia esso esteso in senso verticale (secondo il tendenziale

sviluppo olimpico-orfico), oppure allargato in direzione orizzontale (secondo la permanenza sotterranea del culto dell’originario), consente alla mente umana di fornire a se stessa una prima forma di rappresentazione del mondo. All’interno di questa, poi, il centro e l’elemento essenziale, che deve costituire il fondamento per l’edificazione cultuale e religiosa – l’altare – viene a raffigurare una fase ulteriore della rappresentazione stessa: come si diceva in precedenza, una rappresentazione all’interno della rappresentazione. Una rappresentazione che concentra e focalizza la mente in un luogo elevato, ad di sopra del quale disporre il segno concreto ed allegorico del fuoco trascendente ed accanto al quale accostare e comporre la figura e l’immagine del divino, la sua controfigura: il celebrante. Oppure una rappresentazione che fa esplodere la creatività collettiva nel rito orgiastico, quando la sessualità collettiva imita la furia creativa del principio originario. Tanto la prima, quanto la seconda serie autorappresentativa forniscono alla mente umana un modo per penetrare nel mistero della vita in generale e della sua conduzione, regolata ad ogni passo oppure libera ed apparentemente disordinata. Nel primo caso diventa necessario identificare materialmente e formalmente l’elemento e lo strumento essenziale – la pietra, l’albero ed il celebrante – nel secondo caso, invece, non si può, né tantomeno si deve isolare e dislocare in posizione visibile alcun rapporto (elemento-strumento) essenziale: a pena di perdere il contatto con ciò che rimane abissalmente lontano dalla vista, perché vicino al cieco ed intimo desiderio (eros). Nel primo caso si crea la sussistenza di un perno di rotazione, di trasvalorazione e modificazione della vita collettiva; nel secondo caso, invece, non pare possibile sospendere alcun gesto edificatorio, edificante una forma educativa separata ed astratta. Il cieco desiderio resta muto nel grido espressivo immediato. Non v’è sviluppo lineare e determinativo, manca la finalità di un discorso o di un calcolo preventivo e predittivo. Non esiste alcuna modulazione linguistica capace di entrare in rapporto con l’altro e di ricevere dall’altro un contenuto oggettivato (identificato e distinto). Salta la comunicazione fra pari, che viene sostituita dall’uso reciproco e feroce. Il richiamo alla libertà eguale non ha il sostegno del rispetto e della stima reciproca. L’animalità pare fare da preda l’uno all’altro.

Così alla ferocia reciproca dei primi riti religiosi – gli atti sessuali collettivi, con furia

10 Come al centro dei santuari eleusini. Ricorda la pietra a forma di ombelico di Delfi (omphalós). 11 L’olivo caro ad Athena sull’Acropoli ateniese; la palma dedicata ad Apollo e ad Artemide a Delo; il salice di Hera a Samo; la quercia di Dodona; i diversi boschi sacri (p.es. ad Olimpia).

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quasi antropofaga (cfr. i miti dei Centauri e la Centauromachia, i miti delle Amazzoni e la Amazzonomachia, i miti relativi ai Giganti ed ai Titani con la relativa Gigantomachia)12 – la progressiva civilizzazione umana ha ritenuto di ingraziare ed ingentilire la relazione orizzontale fra i soggetti umani, impedendo la reciproca ferocia dell’appropriazione esclusiva e donando alla vista interna dell’immaginazione razionale una forma ed una materia mimetica, un nuovo oggetto e specchio per la propria riflessione ed autodeterminazione. La coscienza infinita ed universale: il riconoscimento della presenza in se stessi di un movimento dialettico verticale (dover-essere-per-sé) ed orizzontale (dover-essere-per-l’altro). Solamente questa nuova ragione consente all’umano la sostituzione del precedente negativo con un opposto totalmente positivo, aprendo alla forma di una rivelazione epifanica completamente benefica, nei suoi atti creativi (generazione) e nella reciprocità delle sue relazioni (etica). Solo l’atto che distoglie da questa libertà eguale ed amorosa, concentrandone e soprattutto selezionandone e graduandone il possesso, consente quel passaggio ulteriore di civiltà, che si pretende continuamente come superamento (la tendenza orfico-platonica, ancora presente e dominante ai nostri tempi). Prima della graduazione progressiva della società greca in classi (al tempo di Platone e di Aristotele), il rapporto di concentrazione verteva fra la controparte divina e la comunità dei fedeli, guidata e diretta dalla mediazione sacra rappresentata dal celebrante, strana figura di passaggio ad unire due mondi opposti, mezza divina e mezza umana (cfr. l’ironia aristocratica nei confronti dei satiri, mezzo umani e mezzo animali, maschere sarcastiche dei riti e dei culti di antica tradizione naturalistica). Con la diagonalizzazione e l’elevazione al termine divino proposta dalla religione olimpico-orfica si dà atto quindi alla separazione ed all’astrazione dalla primigenia fonte primitiva, dall’originario naturale e razionale: si dà atto al distacco – definitivo per l’ideologia occidentale – dall’eguaglianza naturale, per la determinazione di un’eguaglianza formale sotto la potenza e le ali dello Stato (l’aquila, immagine di Zeus).

12 Da http://it.wikipedia.org/wiki/Partenone. “Il Partenone è un Tempio dorico ottastilo e periptero con caratteristiche strutturali ioniche. Le novantadue metope doriche (realizzate da Fidia e da suoi allievi) furono scolpite come bassorilievi. Le metope, concordando con i registri degli edifici, sono datate come degli anni 446-440 a.C.. La loro progettazione è attribuita allo scultore Kalamis. Le metope del lato est del Partenone, sopra l'entrata principale, raffigurano la Gigantomachia (la lotta degli dei dell'Olimpo contro i Giganti). Sul lato ovest, le metope mostrano l'Amazzonomachia (la mitica battaglia degli Ateniesi contro le Amazzoni). Le metope del lato sud — con l'eccezione di 13-20 metope piuttosto problematiche, ormai perdute — mostrano la Centauromachia Tessala. Sul lato nord del Partenone, le metope sono poco conservate, ma l'argomento sembra essere la Guerra di Troia.” La costruzione del Partenone sull’Acropoli ateniese pare obbedire proprio allo schema visivo della diagonalizzazione-elevazione, con il punto di visione sulla collina di Pnice ad ovest e la disposizione elevata verso est dell’intero santuario dedicato ad Atena; la porta ad est era poi la porta d’ingresso, rivolta al sorgere del sole e all’entrata del divino (ad est era pure disposto l’altare esterno). Coincidenza ulteriore, non certamente causale, il fatto che le metope accolgono la rappresentazione delle vittorie della civiltà ateniese su Giganti, Centauri ed Amazzoni: divinità, semidivinità/semibestialità, popolazioni eroiche femminili legate essenzialmente al culto della Grande Madre, quindi a quella formazione religiosa di tipo epifanico, che la successiva fase classica greca cercherà di superare ed estinguere. In questo modo l’edificio del Partenone diventa lo snodo essenziale per l’appropriazione culturale del territorio ateniese, secondo la quattro proiettate direttrici geografiche (verso est, verso ovest, verso il nord più vicino e verso il nord più lontano).

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L’altare (bomós) nel santuario (temenós), insieme all’immagine sacra del dio (hédos inamovibile – cfr. la platonica ed aristotelica éidos – il dio-guerriero negli xóana) conservata nel tempio (naós), dà concretezza materiale ed architettonica a questo schema diagonalizzante e di elevazione-trasfigurazione. Costituisce la fase finale del processo di autorappresentazione di una ben precisa forma culturale: esso è lo schema ideologico generale, che farà da sfondo al presupposto teologico, politico e naturale della civiltà occidentale, sino ai nostri giorni. Con un passaggio in più: dalla fase di celebrazione all’aperto, naturalistica, si passa a quella all’interno, più vicina a forme di rappresentazione astratte, separate. Consapevolmente rappresentative e distaccate: soprattutto dalla propria origine. Così, da un lato, si può avere la nascita del teatro, dalle gradinate disposte attorno all’altare; dall’altro, la formazione di una modalità di culto più privata ed individuale, più intima e riservata. Quasi come in una diversa speciazione evolutiva animale.

5.3. Tempio e immagine sacra. L’immagine sacra del dio nel tempio dà dunque rappresentazione ad una fase ulteriore

nel processo di ideologizzazione greca: quella nella quale il termine divino non è più all’esterno, ma viene al contrario chiuso all’interno di un orizzonte limitato, a costituire quel perno determinante che facilmente preparerà la strada ad una trasfigurazione politica in senso autoritario. Ora le figure del dio (Apollo, Artemide, Athena), del sacerdote e del re si avvicinano e compenetrano a tal punto da non lasciare che un limitato movimento di continuo ritorno al rapporto od alla triangolazione da loro stessi instaurata. Non è un caso allora che Poseidone e Zeus13 non si lasciassero completamente ingabbiare in questa forma di autorappresentazione del potere assoluto umano, conservando e riaprendo l’orizzonte di libertà caro alla determinazione degli dei olimpici ed invero sottoponendo a critica la tentata espropriazione umana (hybris titanica) di quelle potenze, che dovevano rimanere in mano solamente agli dei. Di qui quella critica iconoclasta che ogni tanto prorompe nella storia della religione occidentale, orientale, mediorientale ed arabica (ebraismo, islamismo). Nel contesto storico rappresentato dal periodo di passaggio all’età arcaica greca non è forse disdicevole rammentare che la critica all’impossessamento umano della potenza potrebbe identificarsi non solo con il voluto depotenziamento aristocratico della figura assolutistica del re (d’influsso orientale: vedi Egitto, Mesopotamia, Fenici, Ittiti), quanto pure con la desiderata e tenace conservazione di quelle forme rituali e mitiche, che volevano rifarsi ad un culto aperto della Grande Madre, secondo una concezione immanente che valorizzava le

13 Pag. 136: “Come l’architettura templare raggiunge il suo apice, e in certo senso un epilogo, con il tempio di Zeus ad Olimpia – verso il 460 – e con il Partenone nell’Acropoli di Atene, consacrato nel 438, così le due sculture crisoelefantine di Fidia, l’Atena Partenos dell’Acropoli e lo Zeus di Olimpia, erano già anticamente considerate l’apogeo di tutta l’arte eligiosa greca. Lo Zeus di Fidia in particolare ha improntato per secoli la concezione scultorea del dio; perfino un comandante romano rimase atterrito di fronte alla sua maestà.”

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forme cultuali collettive di tipo larvatamente democratico (culti agrari, poi in onore di Demetra, Hera e Dioniso).

Lo sguardo dal punto diagonale ed elevato forgerà di sé la futura posizione religioso-speculativa orfico-pitagorica e platonico-aristotelica, quando l’orizzonte del divino si riaprirà verso l’apparente limitazione misurante dell’ordine e della proporzione, dell’accostamento limitato e determinato, allorquando “i molti” saranno comunque retti e governati unitariamente, tramite una particolare convergenza di poteri (di iniziativa legislativa, approvazione legislativa, applicazione legislativa). La rievocazione dell’abissalità nella natura e dell’infinito del pensiero – cfr. gli Ionici, le coppie Eraclito-Parmenide e Anassagora-Empedocle - era in quel momento già stata superata, occultata e sovraimpressa dal nuovo schema immaginativo e razionale, destinato a fare la fortuna della civiltà ideologica occidentale. Prova concreta e dimostrazione dell’applicazione di questo schema è, del resto, come già osservato, il modo con il quale è stata disposta l’edificazione del Partenone sull’Acropoli di Atene, con il suo punto di vista ad ovest sulla collina di Pnice. A sottolineare, poi, come e quanto questo schema volesse fortemente superare, occultare e nascondere, proprio tutti i possibili culti fondati sull’osservanza della grande Dea Madre, stanno i racconti in bassorilievo esposti tramite le metope dello stesso santuario ateniese, dove vengono celebrate le vittorie ateniesi su Giganti, Amazzoni e Centauri.

Il nuovo potere democratico ateniese dell’età di Pericle separerà e capovolgerà lo spazio di rappresentazione del potere tirannico-popolare del secolo precedente (cfr. i Pisistratidi), garantendo l’unità politica tramite una triade aperta (iniziativa, approvazione e controllo dell’applicazione legislativa), e conservando tramite la loro astratta fissazione istituzionale il distacco da

forme di convergenza immediata dei tre poteri. In questa forma rappresentativa di secondo livello viene, pertanto, demolita la precedente convergenza autoritaria, mentre resta sempre sullo sfondo la possibilità di forme democratiche più radicali, sospinte dalla riesumazione degli antichi riti agrari collettivi.

Acropoli di Atene: Propilei, Tempio di Atena Nike, Partenone

5.4. Anathémata. Le offerte e le esposizioni. Celebrante, strumenti sacrificali e doni vengono assunti al

divino e separati da questo mondo, per entrare nell’immortalità. Lo spirito, l’anima e la

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materia di questi viene come sdoppiata, come se la loro immagine interna e nascosta, ripiegata, potesse effettivamente aprirsi, svolgersi e raggiungere il divino e piegarne in qualche modo la misericordia, la pietà. Così il rapporto fra l’immaginazione umana, che ha termine nello stesso divino innalzato, e queste immagini diviene lo schema di relazione e di movimento di tutti gli esseri e gli oggetti esistenti. Anzi, di più: nulla può essere detto esistente a meno che non riesca ad entrare nello spazio di relazione e di movimento così decretato, definito e determinato. Nasce in questo modo la prima figura dell’Uno necessario e d’ordine, che per l’appunto costituisce quell’alto fondamento necessario al quale riferire e far ordinare tutte le relazioni e tutti i movimenti degli esseri. Nasce lo spazio separato dell’astratto, di ciò che viene estratto dalla realtà naturale per essere di nuovo riaperto e riordinato in modo semplice e chiaro, con tutte le relazioni bene in vista e tutti i possibili movimenti ben regolabili. Come si può facilmente osservare esso costituisce il lontano sfondo e fondamento operativo delle scienze moderne, quando queste toglieranno dalla consapevolezza l’apporto dell’immaginazione soggettiva, o la neutralizzeranno nella stessa visione oggettiva che preparano (cfr. la fisica geometrica e la fisiologia delle passioni di Cartesio). L’antico dio, nascosto ed obliato, però si vendicherà, per il tramite del sempre risorgente dogmatismo scientifico, o per la contropartita della sua riesumazione teologica originaria.

Quale che sia la ripresa classica e moderna dell’antico impianto d’ordine della speculazione religioso-ideologica occidentale, l’offerta votiva greca mantiene la caratteristica della concretezza, conservando appieno nello stesso tempo la propria capacità simbolica: l’offerta votiva si fa strumento essenziale e fondamentale del trasferimento e della possibile trasformazione della realtà del fedele devoto, costituendosi come anticipo della cessione-alienazione del soggetto medesimo. L’offerta del tripode conserva nella sua forma visibile il segno della triplice convergenza attorno alla semisfera della potenza e del fuoco elevato, identificandosi pertanto come simbolo e segno visivo fondamentale. L’offerta delle immagini di animali, invece, elabora un primo passo verso l’astrazione, grazie alle capacità mimetiche della riproduzione artistica: ora grazie all’arte è possibile trasferire e trasformare solo secondo l’immaginazione, nella più profonda immaginazione panica. È il contatto umano con tale immaginazione panica che consente anche l’offerta di immagini antropomorfe, fondamento di tutte le successive forme di autocelebrazione (monumentale o meno). Il passaggio cristiano verso una ulteriore forma di astrazione toglierà valore alle forme autocelebrative, spostandole e trasferendole ulteriormente verso il panorama “etereo” delle potenze “celesti”, nella loro organizzazione metafisico-dogmatica. La laicizzazione moderna recupera, invece, lo stile autocelebrativo, attraverso l’esemplarità delle virtù richieste dal contesto storico-politico e culturale. Il patrimonio del tempio diventa allo

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stesso modo l’emblema del capitale di Stato moderno, quando la forma statuale moderna riassumerà la veste del potere assoluto.

6. Sacerdoti. Nelle società orientali (Persia, Egitto) l’elemento di snodo, di accesso al divino, e nel

contempo lo strumento posto nelle mani e nelle eventuali decisioni antropomorfiche della divinità, è il soggetto sacrificante. Egli amministra il culto e ne governa le azioni in nome della collettività, per ricevere quella trasformazione reale della vita collettiva, che la preghiera induce solo potenzialmente. Egli, dunque, è un coadiuvante necessario ed essenziale – insieme alla pietà popolare – perché il dio accolga e senta su di sé favorevolmente le richieste dei mortali. Egli incarna e trasmette il divino, come veicolo e strumento assoluto della volontà della divinità stessa: perciò è mago, in quanto riesce in quella trasformazione.

Nella Grecia prearcaica non si è ancora giunti né alla trasmissione in senso lineare e determinativo di una dottrina mitologica universale (per il tramite di un testo sacro), né alla costituzione di un corpo speciale ed organizzato che rappresenti una mediazione assoluta al e dal divino (Chiesa gerarchica). Non pertanto manca il senso generale di una dialettica verticale – come abbiamo già osservato – come pure il senso di una necessità orizzontalmente condivisa (nómos): l’inizio, il mezzo ed il fine dell’esercizio cultuale resta in mano a chi ha già dimostrato laicamente di possedere una speciale potenza sociale e/o economica. Ma la proprietà del santuario resta in mani divine: come l’atto e la potenza del dio non dipendono in alcun modo dalle volontà o dai desideri e richieste dell’uomo, così la sua stessa manifestazione si deve realizzare in un luogo, che non possa dipendere dalle volontà direttive e di finalizzazione umane. Il guardiano di questa delimitazione, senza alcun interesse personale o di casta in questo servizio, è lo hiereús (o la hiéreia): il sacerdote o la sacerdotessa (che può essere carica trasmissibile, soprattutto nelle più antiche famiglie aristocratiche).14 Una certa forma di elevazione e di trasfigurazione sarà però poi un tratto dell’evoluzione della cultura religiosa greca, da Omero sino all’età classica, quando il sacerdote verrà considerato con il rispetto e l’onore dovuti ad un “dio fra la gente”.15

7. Manifestazioni festive. 7.1. Pompé. La linearità determinativa che manca ad una eventuale trasmissione dottrinale religiosa è

invece ben presente a scandire il passaggio del tempo annuale, che viene organizzato dalla celebrazione delle feste religiose, a loro volta capaci di segnare in modo emotivamente e razionalmente significativo l’andamento ciclico delle stagioni naturali o lo sviluppo degli

14 Pagg. 142-143. 15 Omero, Iliade, 16, 605.

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esseri umani. Nell’esaltazione la gioia e l’orrifico costituiscono i due estremi opposti del movimento emotivo dei singoli e della collettività, i termini fra i quali oscilla continuamente l’animo dei concelebranti. Il termine indisponibile e quello al contrario favorevole costituiscono insieme l’atto di un processo – cfr. il movimento concreto della processione (pompé), poi via sacra - dialettico, nel quale ciò da cui ci si sottrae continuamente spinge verso uno scopo opposto e rasserenante, chiaro e razionale, riconoscibile ed attendibile da tutti e per tutti.

È in questo modo che nasce e si forma, si afferma, la mentalità progressiva: il soggetto collettivo, attraverso il superamento di prove di difficoltà crescente, riesce a raggiungere un grado di stabilità maggiore, un ambito vitale di felicità più grande e migliore. Nasce l’immagine aperta di una potenza collettiva capace di assicurare la felicità ed il benessere, quando l’atto finale religioso può compiersi (il sacrificio). Ecco allora formato lo spazio e la struttura mentale, che si esprimeranno nella futura definizione dei concetti fondamentali aristotelici: quello di potenza, e quello superiore di atto, nella sua realizzazione finale. Attenzione pure al peso del fatto strumentale iniziale e finale, rappresentato operativamente rispettivamente dal sacerdote e dalla vittima sacrificale, poi adottati, importati e trasfigurati nella logica determinista del primo pensiero cristiano, che vedeva nel sacrificio del Cristo la via necessaria per la salvezza dell’umanità.

Le Panatenee ad Atene, in onore di Atena. La Dafneforia a Tebe, in onore di Apollo. 7.2. Agermós. L’offerta obbligata è legata al terrore. Nasce l’obbligazione psicologica al potere

religioso, propedeutica a quella rivolta al potere politico. Il terrore fonda in tal modo la vita emotiva e razionale della collettività nei confronti dello Stato, secondo una tradizione tuttora presente nella civiltà occidentale. La paura della morte assoluta, dell’annichilimento di ogni potenza generativa (naturale od umana) diventa il motore principale e la causa del movimento eterodeterminato del popolo e delle masse cittadine e contadine.

7.3. Danza e canto. Come il santuario definisce spazialmente all’interno della rappresentazione religiosa

emergente il termine sacro di riferimento (essenziale ed elevato) e la processione religiosa il necessario procedere temporale verso di esso, dimostrando la necessità di allontanarsi da un luogo e da una potenza nei cui confronti viene esercitato il sacro potere del terrore e della maledizione, così le nuove danze (chorós), i nuovi canti e le nuove musiche, approntate grazie a nuovi strumenti musicali (aulós, kithára, lyra), definiscono il corredo necessario allo sviluppo del loro intreccio, alla congiunzione fra la dimensione spaziale e quella temporale. Bandito l’uso delle percussioni, troppo vicine al modo antico di immedesimarsi con il divino, alla penetrazione nella stessa potenza terrestre ed ai relativi culti della Grande

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Madre, la nuova danza, la nuova musica, il nuovo canto e la nuova poesia religiosa esprimono progressivamente il distacco dall’antica e terribile potenza naturale, costruendo degli spazi culturali astratti, nei quali la felicità immediata del contatto movimentato con il divino trova espressione corporea collettiva nella danza, mostrando un’apertura emotiva e razionale comune, all’interno della quale l’espressione musicale svolge la funzione della direzione del ritmo e della ripetizione finalizzata, mentre il canto unisce l’azione verbale come accompagnamento dell’umano, in una sua prima versione razionale, oltre l’espressione immediata della corporeità, laddove la successiva poesia religiosa compone musica e canto nella definizione dell’orizzonte di determinazione comune, nella determinazione dell’ideologia religiosa di riferimento. In tal modo l’orizzonte delle nuove potenze olimpiche riesce a sovrapporre la virtù della propria determinazione ideologica, tramite la rotazione progressiva ottenuta dall’inserzione dei nuovi schemi di movimento – la danza e la musica secondo il concetto di una finalità operativa – e di astrazione – il canto e la poesia – occultando, appunto per sovrapposizione, lo spazio ed il tempo organizzati dalla precedente determinazione religiosa. Lo spazio inamovibile dell’origine ed il tempo eternamente presente della creatività naturale, che utilizzavano modalità espressivo-cultuali completamente aperte, innestando la propria giustificazione razionale nell’atto della liberazione comune (la sessualità orgiastica e l’immedesimazione con le potenze creative della terra), capace a sua volta di dare sostegno ad una potenza d’orizzonte – ad un cielo luminosamente e celestialmente aperto – che costituisce l’unico principio e l’unica causa motrice del pensiero e dell’azione dell’uomo.

È facile osservare di conseguenza come, nel momento in cui comincerà a sorgere quella particolare e specialissima arte dialettica successivamente definita - da Pitagora – come filosofia, le prime correnti speculative si collegheranno alla trasmissione – si potrebbe dire, in forma quasi laicizzata – delle prime forme creativo-dialettiche religiose: Talete, Anassimandro, Anassimene appoggeranno e renderanno comprensibili le proprie riflessioni all’interno dell’orizzonte di senso edificato da quelle forme religiose. Al contrario, il prorompere dall’oriente dell’Orfismo e la sua influenza sulla filosofia pitagorica, oltre a modificare e capovolgere di senso e di significato i precedenti culti dionisiaci ed eleuisini, costituirà il nuovo orizzonte di riferimento per la speculazione successiva di Platone ed Aristotele, che dovranno infatti scontrarsi con tutti i problemi logico-ontologici presenti nel loro tentativo di superamento delle speculazioni della coppia Eraclito-Parmenide, venendo a loro volta contrastati prima dai lasciti delle speculazioni di Anassagora ed Empedocle, poi dai contenuti coevi espressi dagli atomisti: Leucippo, soprattutto Democrito, al quale Platone plagia i riferimenti intellettuali, censurandone poi la stessa esistenza; per non dire di

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Epicuro e della successiva trasmissione latina delle sue teorie, tramite Tito Lucrezio Caro ed il suo De rerum Natura.

Come si vede, questa opposizione fondamentale non può non rappresentare una facile premessa per la successiva evoluzione della storia del pensiero in Occidente, quando il nuovo pensiero cristiano utilizzerà proprio l’impostazione e la proposta platonica per combattere la propria battaglia culturale contro le residue posizioni immanentiste, riuscendo poi grazie a Tommaso d’Aquino, alla fine del periodo aureo del Medioevo, a reintegrare lo stesso Aristotele in una visione neoplatonica, estendendo in tal modo almeno potenzialmente il dominio della propria egemonia culturale su tutti i principali centri europei di produzione della conoscenza (Parigi, Oxford) ed accostandosi ad un utile confronto con la speculazione araba. La stessa successiva divisione in campo cristiano fra cattolici e protestanti pare essere legata all’accentuazione della prospettiva determinista, contro quella legata alla valorizzazione delle finalità e degli scopi operativi, in uno scontro fra due corni di un dilemma che può nascere comunque solo all’interno del predominio del punto di vista della trascendenza su quello dell’immanenza. L’immanenza verrà riscoperta dalla speculazione di Giordano Bruno e trasmessa attraverso Spinoza a tutta l’evoluzione moderna del pensiero e dell’azione occidentale, mentre Cartesio e lo stesso Leibniz cercheranno di non uscire dal presupposto teologico-politico tradizionale. La corrente idealistica tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel) si scontrerà proprio su questo piano di battaglia con la successiva speculazione marxista, mentre una più approfondita ricerca e scoperta dei temi cari alle filosofie presocratiche ed alle religioni dionisiache porterà dopo Nietzsche – ancora ancorato alla preziosità della forma espressiva apollinea - ad una successiva rivalutazione del primitivo e dell’espressione spontanea, ad di fuori dei canoni culturali tradizionali. L’avventura coloniale europea, la scoperta di popolazioni e culture diverse da quelle occidentali, il prorompere del primo conflitto mondiale, la reazione delle successive costituzioni totalitarie e il secondo scontro europeo e mondiale per il controllo egemonico ed imperiale sulle risorse del pianeta, sono il modo attraverso il quale la civiltà ideologica occidentale stringe le fila di un ordine assoluto, fondato sul primato indiscutibile del Capitale (economico e finanziario, oppure sociale), mentre dalla realtà storica, geografica e persino scientifica riemerge con forza la possibilità del creativo e del dialettico, in ambito sia naturale che razionale, con le scoperte evoluzionistiche in campo biologico, con la rottura dell’unità del soggetto conoscente e la moltiplicazione delle prospettive di ricerca non corpuscolari nella micro e macrofisica, con l’emergere delle avanguardie artistiche e politiche rivoluzionarie. Dopo la contesa fra Capitale sociale e finanziario, l’ultima fase del processo ideologico occidentale, la globalizzazione, si serve delle linee guida conclusive elaborate sull’uomo e sulla natura dalla scienza positivista e a-dialettica

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contemporanea (quando non dalla teologia dogmatica tradizionale), mentre il creativo e dialettico riemergono a livello planetario sia a livello teoretico, sia a livello pratico, con impostazioni scientifiche che fanno largo uso del concetto di relazione e tolgono l’antico ordine attuale e finalistico di matrice aristotelica (in ambito fisico, biologico, psicologico e sociale), e con impostazioni (teologico)politiche che fanno riguadagnare alle collettività oramai planetarie il senso ed il gusto della vita libera, fraterna ed eguale.

Agli inizi di questo lunghissimo tragitto la trasformazione in senso olimpico della religiosità greca cerca di occultare il senso religioso precedente, legato alla terra ed alla sua potenza naturale, sostituendo alla visione ed attenzione immediata l’autocircolarità naturale con lo sviluppo lineare determinato, diviso e scandito da fasi e finalizzato. Qui il canto (o la poesia sempre nuova – la lirica corale - del poietés) e la danza si restringono a commento del tragitto verso il sacro: il canto segna il procedere delle fasi, mentre la danza finale celebra l’apoteosi del dio. Qui salti e movimenti concentrici o frontali, organizzati ed ordinati, sostituiscono l’agitazione e la frenesia dei movimenti istintuali, sublimandoli. Non è allora difficile collegare questa razionalizzazione e finalizzazione del movimento con le feste atletiche di Olimpia (la prima Olimpiade è del 776 a.C.; l’imperatore Teodosio le vieta nel 394 d.C., quando le feste religiose cristiane diventeranno la norma politico-culturale dell’Impero romano). Allo stesso modo non è difficile comprendere la ragione per la quale la competizione entri nella rappresentazione della stessa funzione religiosa.

7.4. Maschere, falli, aischrología. Penetrare nella potenza naturale, nelle sue diverse manifestazioni, immedesimandosi con

esse ed assumendone l’identità: questa è forse la ragione dell’uso di maschere animali nelle antiche celebrazioni religiose greche, che mostrano in tal modo una ulteriore e primitiva forma di contatto e possesso con e della divinità. Un possesso che non poteva non essere totale, immediato e completo, senza residui e pieno di libertà espressiva: per questa ragione la liberazione delle pulsioni sessuali consentiva a uomini e donne di entrare, attraverso lo strumento espressivo privilegiato dal dio (l’atto o lo strumento stesso della generazione), nella potenza stessa del dio. Questa molteplicità direzionata in ogni dove doveva però essere superata e sradicata – cfr. il mito di Perseo e della Medusa (e di Pegaso) – se si voleva percorrere

il sentiero ideologico, che attraverso il linearmente determinativo, conduceva all’atto finale. Per questa ragione il movimento dialettico, che diede origine allo sviluppo dell’anima

Firenze, Uffizi, Caravaggio. Scudo di Atena con la testa della Medusa, 1590.

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separata, venne fatto coincidere con il termine divino superiore, originando in tal modo l’immagine e la figura superiore della determinazione assoluta, dell’intelletto teorico e pratico (Apollo ed Artemide, figli di Zeus, come Athena, che esce per riflesso ed armata dalla sua testa). Ora l’anima e l’intelletto sono separati dalla potenza naturale e definiscono insieme l’orizzonte superiore del razionale.

7.5. Agone. La competizione nella corsa per l’acquisizione del termine finale deve essere nei diversi

ambiti della civiltà greca la realizzazione dell’atto sacrale: la potenza del dio viene verificata nell’atto di benedizione associato al vincitore,16 che vince non per sé, ma per il dio stesso. In questo modo si realizza la selezione del migliore, del più adatto a rappresentare umanamente le qualità stesse del dio. L’intelletto teorico non è quindi mai disgiunto da quello pratico (Apollo ed Artemide sono gemelli), mentre la finalizzazione (Athena) emerge su tutto. Nello stesso tempo la vittoria viene vissuta come vittoria sulla potenza della morte, come capacità di riemergere dal mondo degli inferi, per distaccare un piano di perfezione umana, garantita nelle sue finalizzazioni e realizzazioni dal dio superiore. Si costruisce qui, ora, lo spazio per l’intervento divino, garante del fine e della realtà. Nell’epoca successiva del pensiero cristiano questo spazio sarà occupato dalla questione problematica della grazia e delle opere, mentre nella fase moderna a noi vicina la laicizzazione della competizione religiosa svolgerà il ruolo della gara dei capitali finanziari, finalizzata alla realizzazione del massimo profitto possibile per le nuove “potenze celesti” delle corporazioni.

7.6. Banchetto degli dei. L’alimentazione svolge quindi nell’atto sacrale la realizzazione prima e concreta della

fuoriuscita dalla potenza della morte e l’innalzamento consapevole della forza vitale. Di qui l’uso di accostare all’esaltazione naturale dei banchetti l’esaltazione per il defunto e per il dio. Musica e poesia inventano gli strumenti di valorizzazione e di riconoscimento dell’onore personale e di quello divino.

7.7. Nozze sacre. Coronamento dell’esaltazione alimentare era, prima dell’uso dell’espressione musicale o

poetica, l’esaltazione sessuale e l’accoppiamento rituale (hieròs gámos). Padrone di casa, re, sacerdoti, sacerdotesse o lo stesso Zeus si accoppiavano con la Grande Dea Madre, o con Afrodite, per interposta persona (sacra prostituzione maschile o femminile). L’espressione sessuale mantiene gran peso nei riti di Samotracia, Eleusi e nei misteri di Dioniso (cfr. mito di Teseo ed Arianna).

8. Estasi e mantica.

16 Feste Olimpiche, Pitiche a Delfi, Nemee per Zeus, Giochi istmici a Corinto per Poseidone.

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8.1. Enthusiasmós. L’impossessamento del dio (éntheos) è la penetrazione all’interno della sua potenza

libera, priva di legami e di relazioni esteriori: è il congiungimento con l’originario creativo, con la fonte sotterranea di ogni manifestazione e produzione, naturale ed umana. Per questo motivo ogni atto che circoscrive la potenza divina ripiomba nella sua stessa capacità espressiva e determinativa immanente. Ogni atto di corteggiamento della potenza divina diviene suscitazione – resuscitazione – del suo atto aperto di potenza, della sua capacità espressiva e creativa. Ciò comporta inevitabilmente la necessità di una dilatazione del proprio stato d’animo, per potersi inserire in tale apertura in divenire come strumento dell’elevazione stessa del divino. Figlia delle capacità umane, questa elevazione sopporta il divino, come potenza separata. È nel momento in cui si dà atto a questa separazione, che la precedente potenza viene estratta ed astratta: come posta in una delimitazione d’orizzonte superiore, determinante. Restare fuori (ékstasis) è allora cercare di rimanere dentro questo nuovo spazio, che è stato immaginato e creato: lo spazio nel quale il divino compare e dà manifestazione di sé e della propria presenza come determinazione superiore, ineliminabile ed assoluta (katéchei). Evoluzione, fondamento ed elevazione, estraniazione – essere altro a se stesso, in balia di un Altro enormente più grande e potente, schiacciando il furore con la follia (manía) - diventano conseguentemente le fasi di un processo attraverso il quale l’iniziale potenza materiale prende vita e si aliena, grazie alla autostrumentalizzazione dell’umano. In questo procedimento di autostrumentalizzazione l’umano costruisce l’orizzonte della propria comprensione (teorica, artistica e pratica): facendosi misura misurata, costituisce il principio della eterodeterminazione e muove la propria ricerca all’apprensione della forma determinativa divina. È in questo modo che la terminazione divina emerge quale anello e gancio di una disposizione diagonale, grazie alla quale la predeterminazione divina si svolge inferiormente come movimento causale.

Non è, allora, difficile vedere in questo processo il modo attraverso il quale l’impostazione orfico-pitagorica, poi platonica ed aristotelica, ha preso possesso delle precedenti forme di esaltazione religiosa, costituendo il principio di una presa di possesso del mondo nella sua interezza, grazie all’alienazione ed alla restrizione normante – il primato della legge e della sovranità divina – dell’umano intimo desiderio. Elementi teologico-politici e filosofici essenziali come determinazione e causa entrano in questo momento a costituire l’orizzonte di riferimento di quella successiva riformulazione teorica che si occuperà del modo attraverso il quale determinazione e causa, combinati insieme, producano gli elementi e la loro organizzazione (cosmogonia divina). È a questa diagonalizzazione essenziale che si riferirà poi, del resto, la stessa speculazione cristiana delle origini, successivamente ripresa ed ampliata in modo speciale dalle categorizzazioni

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dei primi concili ecumenici – Nicea (325 d.C.), Costantinopoli (381 d.C.), Efeso (431 d.C.) e Calcedonia (451 d.C.) – e dalla ulteriore ripresa e risistematizzazione operata da S.Agostino (con effetti futuri sulla Riforma protestante e sulla nascita del mondo moderno).

Ma come si esprimeva la divina mania, prima di questa particolare forma di razionalizzazione? La collettività apriva il proprio furore orgiastico senza distaccare ed alienare alcun desiderio: nessun dio superiore interveniva a reprimere con punizioni l’autodeterminazione collettiva; nessun senso di colpa doveva essere espiato attraverso il sacrificio dell’elemento spirituale, dello strumento rivoluzionario. Lo spirito e la sua rivoluzione continuavano a muovere dal basso tutte le forme creative, naturali ed umane, senza alcun bisogno di una loro restrizione, ma al contrario lasciandole nella loro più completa ed integrale libertà espressiva. Buona non era la negazione, ma la libera posizione di sé: la liberazione comune. L’orizzonte non chiudeva, ma apriva (ecco la funzione creativa dell’infinito, poi nell’essente parmenideo). Per questo la follia delle donne non viene rinchiusa e purificata dal sacerdote maschile o dal femminile mascolinizzato (Artemide). Nulla deve essere riportato ad equilibrio, perché la determinazione originaria della Grande Madre Terra, per esprimersi, deve lacerare apparentemente ogni forma costrittiva, per generare l’intero universo e tutte le parti in esso contenute. Le deve aprire e non rinchiudere. La follia non viene suscitata per essere, poi, neutralizzata. Orientandola verso forme determinatrici maschili, secondo il canone del dominio e del controllo di ogni forma vivente. Per questo musica, canto e danza tendono progressivamente ad ingabbiare le forme esplosive di creatività, distaccando, separando ed innalzando l’espressione verso una terminazione divina capace di accogliere e produrre (riprodurre) tutti i suoni e tutti i movimenti di accompagnamento alla superiore manifestazione spirituale del divino. In questo modo il distacco e la relativa neutralizzazione vengono compiute: qui prende senso l’allegoria del volo,17 che avrà un valore fondamentale nel generare lo schema generale del possesso da un punto di vista superiore ed elevato – di nuovo la terminazione divina - dello spazio e del tempo (profezia, vaticinio, previsione). Allora, da questo punto di vista elevato, si potranno far concorrere – come fa Platone (Fedro, 265b) – dal lato superiore Apollo e da quello inferiore Dioniso, l’intelletto e la finalità produttiva.

8.2. L’arte degli indovini. La convergenza fra giudizio e capacità produttiva fa dell’azione finalizzata un segno

della possibile determinazione divina. Il primo luogo di una sua comprensione per contenimento: la volontà divina diventa causa della determinazione della quale si ha e si fa

17 L’indovino guarda il volo degli uccelli disponendosi verso il quadrante superiore, il polo settentrionale, valorizzando nel contempo il movimento che copre il quadrante legato all’incontro fra giudizio e finalizzazione, il quadrante destro (orientale).

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esperienza. La ripetizione innesca ed innesta la relazione effettuale. La pratica rituale la conferma e la sacralizza, la rende immodificabile, escludendo possibili e dannose interferenze e deviazioni. Nasce il principio dell’inclusione comunitaria e l’opposto principio dell’esclusione dell’elemento deviante, oggettivo o soggettivo (diabolico od eretico). Quando lo strumento per la decodificazione della volontà divina si farà corpo collettivo e coeso, un insieme di segni orientati ed ordinati, retto e corretto da una dottrina trasferita per rivelazione divina piena e completa, allora si darà istituzione e costituzione alla forma della mediazione assoluta, alla rappresentazione definitiva dell’ideologia occidentale: la partizione universale. Essa si muove e si determina da sé, in sé e per sé (cfr. Scoto Eriugena). In tal modo mostrando i luoghi teoretici e pratici della causa sui, del trasferimento e della completa e definitiva alienazione.

L’inizio di questo movimento nella Grecia prearcaica si concretizzava nella persona che incarnava l’ispirazione, il futuro dono carismatico della fede nella grazia superiore: l’indovino (mántis). Così come Apollo veniva giustificato da Zeus, Cristo sarebbe stato giustificato in eterno dal Padre, in tal modo instaurando quella relazione di subordinazione che troverà traccia ed effetto esplosivo nel primo concilio ecumenico di Nicea (cfr. la disputa fra Ario e Atanasio). Altra sarà la soluzione apprestata da Costantino I, quando la relazione di subordinazione verrà sovrapposta ad una linea orizzontale, a segnare sì la dipendenza del Figlio dal Padre, ma nel contempo a determinare l’asse orizzontale dello Spirito Santo, quale luogo principale ed esclusivo – l’immagine statica della Croce – della mediazione divina, fondamento della potenza e dell’atto divino e, per somiglianza, del governo imperiale ed ecclesiatico (cesaropapismo). La trasmissione familiare delle virtù profetiche nell’antica Grecia doveva allora precedere la sacra trasmissione ecclesiastica, nello spirito e nella lettera (canone interpretativo), della dottrina nell’età cristiana. L’attività legata all’ispirazione ed alla profezia viene pertanto sottoposta ad un processo di graduale razionalizzazione, quando i segni si trasformano in immagini operative (magia) attraverso il capovolgimento e rovesciamento dell’avvenimento fortuito ed occasionale – l’accadimento involontario (oggettivo, fisico o soggettivo, come per esempio il sogno) – in organismo logico-deduttivo e finalizzato (discorso teo-cosmologico orientato e pianificato). In questo modo la trasformazione legata al sacrificio rituale deve saper incontrare e fondere insieme, da un lato la divina sapienza (Logos), dall’altro l’aspirazione umana alla positiva realizzazione del comune desiderio. Non è difficile osservare come le fasi processuali che vengono incardinate in questo processo di fusione, come suo successivo svolgimento, trovino manifestazione in epoca cristiana in una problematica particolare - la diversità o l’unicità delle nature di Cristo – ed una soluzione tradizionalmente accettata, a partire dalle stesse religioni precristiane – il trasferimento e l’astrazione completa della Madre generante

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nel cielo della divina potenza ed atto finalizzato (cfr. Concilio di Efeso, 431 d.C.). Allora le interiora dell’animale saranno finalmente sostituite dalla parte più interna e nello stesso tempo più elevata del corpo e del sangue di Cristo: dalla vita ordinata nello Spirito della Chiesa. Come complesse ed intricate erano le interiora degli animali sacrificati, così difficile e non immediatamente evidente compariva la soluzione cercata alla battaglia ed alla sua conduzione vittoriosa; in modo altrettanto complicato si sarebbero poi svolte le risistemazioni dogmatiche cattoliche, piene di riscritture e di diversi orientamenti.

8.3. Oracoli. Seguire la mano e la conduzione del dio – la sua volontà causale – predispone l’umanità

alla necessità della subordinazione e all’accettazione della sua volontà mediata e trasmessa (chrestérion, oraculum, oracolo). Il fatto stesso che essa sia trasmessa è il segno e la prova della sua origine divina. Esso imporrà in tal modo l’eteronomia del divino (la sua superiore eternità contro l’inferiorità dei mortali). L’oblio di ciò che viene trasmesso da parte dell’oracolo è poi la prova della sua neutralità e della sua effettiva funzione di semplice e puro veicolo del messaggio divino. Questo stesso oblio del resto giustificherà la dottrina platonica dell’anamnesi e del ricordo delle idee nell’iperuranio, come pure la salvezza ad opera della imperscrutabile grazia divina e non delle opere dell’uomo nella religione cristiana. Tutte le impostazioni invece rivoluzionarie si richiameranno alla potenza dinamica della Natura madre o della Ragione padre, al movimento inesausto dello Spirito: si tratti del richiamo a forme preorfiche di culto immanente e materiale, di stile agricolo, o di forme filosofiche materialiste (Anassagora), oppure cristiane attente alla moralità iniziale degli insegnamenti del Cristo (Marcione), ovvero di forme altamente e concretamente spiritualizzate (Circumcellioni e Donatisti, Montanisti, sino agli Anabattisti moderni ed alla teologia di Thomas Müntzer o di Giordano Bruno).

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