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OLGA LUMIA W COME WOODY LE TEMATICHE DEI FILM ALLENIANI DALLA A ALLA... W

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Olga lumia

W cOme WOODYLE TEMATICHE DEI FILM ALLENIANI

DALLA A ALLA... W

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W cOme WOODYLE TEMATICHE DEI FILM ALLENIANI

DALLA A ALLA... W

2016 © Edizioni Leima

w come woodyle tematiche dei film alleniani dalla a alla... w Olga Lumia

Edizioni Leima, Milano 2017Collana Le mani, n°9Isbn: 978-88-98395-57-6

2017 Prima edizione

Realizzazione editoriale:Editing: Roberta Impallomeni, Azzurra SicheraProgetto grafico del volume: Roberta ImpallomeniIllustrazione in copertina: Olga Lumia, Victor Shlyakhin

Consci del lungo lavoro legato alla buona realizzazione di ogni volume, e sa-pendo per esperienza quanto sia difficile produrre un testo assolutamente privo di errori, saremo grati a tutti i lettori che vorranno gentilmente segnalarceli, o che vorranno darci qualsiasi suggerimento per migliorare.Scriveteci a:

[email protected]

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Capitolo primo“Adorava Woody Allen. Lo idolatrava smisuratamente”.

No, è meglio “lo mitizzava smisuratamente”, ecco.

“Per lei, in tutta la sua vita, lui era sempre stato il ge-nio che aveva coniugato sensibilità e ironia, romanticismo e passione…” .

No, fammi cominciare da capo…

Capitolo primo “Era troppo romantica riguardo ai suoi film, come lo era

riguardo a tutto il resto: trovava gioia in ogni fotogramma e in ogni dialogo e nelle musiche… per lei Woody Allen significava belle storie, amore, passione e riflessione…”.

Eh no, stantio, roba stantia, di gusto… insomma, dai, impegnati un po’ di più… da capo.

Capitolo primo“Adorava Woody Allen. Per lei era la salvezza dalla deca-

denza della cultura contemporanea: la stessa carenza di inte-

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grità morale, che porta tanta gente a vivere con superficialità, stava rapidamente trasformando la società in una…”.

Non sarà troppo predicatorio? Insomma, guardiamoci in faccia: io questo libro lo devo vendere.

Capitolo primo“Adorava Woody Allen, che per lei era la salvezza dalla de-

cadenza della cultura contemporanea. Com’era difficile esistere, in una società desensibilizzata dalla mediocrità, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia…”.

Troppo arrabbiato. Non devo essere arrabbiata.

Capitolo primo“Era dura e romantica come il regista che amava. Dietro la

sua frangia dei capelli castani, acquattata ma pronta al balzo, la potenza aggressiva di una tigre…”.

No, aspetta, ci sono:

“Woody Allen era il suo mito. E lo sarebbe sempre stato”.

Ho sempre sognato di scrivere un’introduzione a un mio libro su Woody Allen, come quella che lui ha scritto per aprire il suo film Manhattan. Adesso l’ho fatto.

Questo saggio, infatti, è una dichiarazione d’amore per lui e le sue pellicole, come Manhattan lo è per New York. E, così come il regista non può fare a meno della propria città, io non posso fare a meno dei suoi film. Del resto, l’ho sempre detto: senza i Beatles, la filosofia e Woody Allen, la mia vita sarebbe stata diversa. E peggiore.

Per trent’anni, ho citato sue battute tratte dai libri e dai film. Ho riflettuto sui personaggi e immaginato cosa avreb-be scritto Woody Allen in una determinata situazione. Poi, il 7 dicembre 2015, l’ho incontrato a New York, subito dopo la sua esibizione con la Eddy Davis New Orleans Jazz Band, in cui suona il clarinetto da trentacinque anni.

Quello che ho visto è un uomo dolce, pacato e dispo-nibile. Semplice nella sua immensità. Se ne stava seduto tranquillamente sulla sedia dorata del locale, mentre io e pochi altri fortunati eravamo a mezzo metro da lui.

Durante l’esibizione, non ha mai alzato lo sguardo. È rimasto placido e concentrato sui tasti del suo clarinetto.

Dopo l’ultimo pezzo, invece di andare subito via, è ri-masto sul piccolo palco a sistemare lo strumento e a cercare

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il maglione azzurro che si era tolto prima di suonare e che aveva appoggiato da qualche parte.

Il pubblico in sala, lento, silenzioso e determinato come magma, lo ha circondato. E lui, flemmatico e gentile, si è intrattenuto a discutere con chi era riuscito ad avvicinarlo.

Io ero vicinissima, ma un tavolinetto mi impediva di pas-sare per parlargli. Così ho fatto la cosa più irriverente, l’ho chiamato, come si fa con un amico: “Woody! Woody!”. Lui si è girato, mi ha guardata e si è avvicinato, per sentire cosa volessi dirgli. Come se fosse la cosa più naturale da fare. Per un attimo, ho visto sul suo viso un’espressione che conoscevo già. La stessa con cui Alvy Singer, mentre sistema la borsa del tennis, guarda Annie Hall che lo saluta timidamente alla fine della loro partita, nel film Annie Hall.

Perché Woody Allen è tutto lì, nelle scene dei suoi film e quella sera davanti a me. Sempre fedele a se stesso. L’uo-mo minuto e magro, con gli occhi intensi e dolci, che avevo visto migliaia di volte sullo schermo, in quel momento con-divideva con me il tempo e lo spazio. E stavamo parlando. Per un istante, tutte le mie emozioni di celluloide, la mon-tatura dei suoi occhiali, le sue camicie a quadri, la musica di Gershwin, l’amore e il senso della vita, lo skyline della città, si sono affastellati nel mio cuore.

Woody Allen era di fronte a me. E sembrava una cosa normale. Come se ci conoscessimo da sempre e ci fossimo già visti il giorno prima. È stato allora che ho pensato fosse arrivato il momento di scrivere un libro su di lui. Perché, da quando avevo diciotto anni, mi commuovo e medito con le sue pellicole.

Nel 1988 frequentavo il primo anno della facoltà di Filosofia e cercavo di indottrinare alcuni amici ai film del

regista newyorkese, con scarsi risultati, però. Le battute che mi divertivano fino alle lacrime e i grandi interrogativi che mi facevano riflettere sull’esistenza, tanto quanto i libri del mio corso di laurea, sembravano non catturare i miei co-etanei. I film di Woody Allen erano materia per amanti della speculazione, incasellati in un preciso credo culturale e figli di una genesi cinematografica che aveva in Ingmar Bergman il suo maggiore rappresentante.

Del resto, in Italia, già negli anni Settanta, Woody Al-len era stato un fenomeno di nicchia. Nonostante il note-vole successo dei suoi primi film comici: Take the Money and Run, Bananas, Sleeper, Love and Death. Questo succes-so, infatti, era stato decretato da una cerchia di intellettuali e addetti ai lavori. La comicità fulminante e l’inarrestabile mitragliata di battute in quelle pellicole lo avevano conse-gnato a una fama mondiale che, paradossalmente, era an-cora pressoché distante dal grande pubblico.

Nel 1978, poi, la consacrazione di Woody Allen era avvenuta con i quattro Oscar assegnati ad Annie Hall. Ma ancora, per tutti gli anni Ottanta, in Italia, il regista era profondamente apprezzato soltanto da coloro i quali pote-vano comprendere le sue battute imperniate sul senso del contrario, la sua ironia yiddish, i riferimenti al grande ci-nema europeo e le sue continue citazioni letterarie. Così, anche il successo di Zelig fu decretato da studenti politica-mente impegnati, docenti avanguardisti e giornalisti d’élite.

Con The Purple Rose of Cairo, il pluripremiato agli Oscar Hannah and Her Sisters e Crimes and Misdemeanors, Woody Allen conquistò, infine, anche quella parte di pubblico che non aveva mostrato interesse per le sue precedenti pellicole. E il trionfo fu definitivo quando il regista newyorkese di-

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vertì quello stesso pubblico con le commedie del decennio successivo: Manhattan Murder Mystery, Bullets Over Broa-dway, Mighty Aphrodite, Everyone Says I Love You. Film che facevano sorridere senza, però, richiedere l’impegno logico intellettuale di quelli dei suoi esordi.

Ancora più tardi, con il capolavoro drammatico Match Point, abbiamo assistito al consolidamento dell’esaltazione universale di Woody Allen, divenuta definitiva con il film pre-mio Oscar Midnight in Paris. Due pellicole diverse tra loro, ma che hanno toccato gli spettatori allo stesso modo.

Nel 1988, quando cercavo di catechizzare i miei coeta-nei, i film del regista venivano mandati in onda in televisione molto raramente. E in terza fascia oraria. Di recente, invece, alcune reti hanno dedicato a Woody Allen un intero ciclo in prima serata, con grande entusiasmo degli telespettatori. E non si tratta di cultori del cinema di Allen, né di addetti ai lavori, ma di una fetta più ampia, ormai.

Tutto questo, proprio mentre Woody Allen, quasi ottantaduenne, non soltanto continua a sfornare un film all’anno, ma ha di recente scritto, diretto e interpretato una serie in sei puntate andata in onda su Amazon tv. Un colpo di scena nella sua attività da regista. Un regalo inaspettato da parte del genio indiscusso del cinema contemporaneo.

Forse non tutti i recenti spettatori delle pellicole di Woody Allen, sono consapevoli di come lui, nella propria carriera, abbia portato avanti un sistema filosofico. Un’o-pera di pensiero profonda e consistente, che riguarda tutti i suoi lavori, senza alcuna eccezione. In ciascuna delle sto-rie che racconta, infatti, è presente un dinamismo logico, e persino i film definiti “leggeri” contengono, sempre vive e attuali, le tematiche che preordinano le nostre esistenze.

Woody Allen, da profondo pensatore, esplora i sentimen-ti umani. Da sceneggiatore e regista, li racconta con onestà e sensibilità. Da attore li interpreta in maniera eccellente. At-traverso i suoi film, ci fa conoscere le insidie della vita. Senza mezze misure, ci mette di fronte ai grandi drammi dell’esisten-za. Ma, nello stesso tempo, ci dà gli strumenti per continuare a stare nel mondo. Ci aiuta ad accettare il dolore e a vivere. E lo fa parlandoci d’amore e di ironia, e dandoci la speranza delle illusioni, a cui si richiama sempre in ogni sua pellicola.

Woody Allen arriva dove nessun altro pensatore è mai ri-uscito. Perché non si ferma alla parola scritta, ma le dà forma e afflato vitale attraverso le storie e i volti dei suoi personaggi. Che siamo tutti noi.

In questo libro, vengono presi in analisi i temi fondamen-tali dei 47 film scritti e diretti da Woody Allen, escluse quindi le pellicole di cui ha firmato solo la sceneggiatura.

Sono presenti i riferimenti filosofici e letterari a cui il re-gista newyorkese attinge, oltre che i film che lo hanno ispirato.

In maniera metodica, viene snocciolato l’alfabeto alleniano dei temi che ritornano in tutti i film del cineasta newyorkese, per arrivare alla W di Woody, un capitolo dedicato allo stesso regista e al suo modo di trasparire dietro diversi protagonisti delle storie che racconta.

Alla fine del volume, una sinossi di ciascun film aiuterà il lettore a orientarsi con trama e personaggi: i nomi di questi ultimi vengono riportati secondo la versione originale che, in alcuni casi, è difforme da quella italiana. Non accenniamo alle numerose e splendide musiche che Woody Allen stesso sceglie meticolosamente per i suoi film perché meriterebbero una ri-flessione a parte.

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In questo testo i film di Woody Allen non vengono recensiti, ma sezionati e spiegati con semplicità, per dimo-strare come le tematiche a lui care siano sempre presen-ti. Fare una critica dei suoi lavori non è necessario. Vanno amati così come sono. E per il solo fatto di esserci.

Jean-Paul Sartre aveva scritto, a proposito delle storie di William Faulkner: “I buoni romanzi finiscono per somi-gliare moltissimo ai fenomeni naturali. Si dimentica il loro autore, li si accetta come pietre o alberi, perché ci sono, perché esistono”.

Così si dovrebbe guardare ai film di Woody Allen, come a qualcosa di imprescindibile dalla nostra società, dalla nostra cultura. Dalla nostra quotidianità.

Ci si deve abbandonare al dialogo che il regista, dal secolo scorso, ha iniziato con il proprio pubblico e cerca-re di penetrare nel tessuto connettivo della sua realtà. Una realtà raccontata da quell’irresistibile, geniale, ragazzo coi capelli rossi che ha saputo assorbire e trasmettere i drammi dell’esistenza. Continuando, però, a farci ridere, sempre. E coniugando se stesso all’infinito, senza spazio, né tempo. Perché il suo sentire e la sua ricerca vibrano in tutti i tempi e in tutti i luoghi. A Parigi negli anni Trenta, come a New York negli anni Venti e Settanta, nell’Ottocento della cam-pagna napoleonica e nel futuro di Sleeper.

Woody Allen non vuole invecchiare. Non vuole morire e, per riuscirci, insiste nel voler parlare con noi. Di lui e di noi. Così come il personaggio di Sandy, in Stardust Memo-ries, continua a cercare uno scopo.

E la corsa di Ike per raggiungere Tracy, alla fine del film Manhattan, è la corsa che Woody Allen continua a fare, ancora e ancora, per afferrare il senso della vita.