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50 MERCOLEDI 18 FEBBRAIO 2015 Le Mostre CONTATTI [email protected] WWW.REPUBBLICA.IT DI REPUBBLICA za tutta offerta alla luce, all’aria, ai cambiamenti degli stati psico- logici e a quelli, esterni, dell’at- mosfera. Rosso ha in mente la carne, non la pietra. Utilizza, ol- treché il gesso, una materia for- midabilmente docile come la ce- ra: flessibile, luminosa, morbida, capace di accogliere e di restitui- re ogni gesto dell’artista, così duttile sotto la pressione delle sue dita. E benché la cera di Ros- so avesse meno colori a disposi- zione della tavolozza impressio- nista, è come se quella sostanza fosse tanto assorbente da tratte- nere in sé, come un’ombra appe- na percepibile tra il trascorrere dei giochi di luce e delle espres- sioni fisiognomiche, l’anima del- la figura ritratta. Della plastica Rosso mostrava contempora- neamente sia il farsi che il disfar- si, sia il pieno che il vuoto. E così il Sagrestano del 1883, come ac- cartocciato su se stesso, è una scultura cava, un’invenzione os- servabile solo frontalmente. Su ciò, Rosso era rigorosissimo: uni- co a suo parere doveva essere il punto di vista da cui guardare i suoi lavori. Vietato girar loro in- torno. Contraddiceva così la cele- bre osservazione di Charles Bau- delaire circa la scultura, arte de- bole e noiosa proprio perché os- servabile da ogni sua angolazio- ne. «Quello che io voglio è far di- menticare la materia», diceva lo scultore, con ciò andando contro- mano rispetto a secoli di statua- LEA MATTARELLA LE SCULTURE Sopra, L’uomo che legge (1926) A destra, Birichino (1895-1901) La Galleria d’Arte Moderna di Milano dedica da oggi un’importante rassegna allo scultore amico e poi rivale di Rodin Il maestro che voleva scolpire l’aria e la luce Nella parte finale della sua am- mirata dichiarazione, Boccioni alludeva, come fosse un’ingiusti- zia da riparare, al mancato rico- noscimento, nell’ambiente arti- stico italiano di uno scultore che pure era apprezzato in Germa- nia, Austria, Francia, e perfino negli Stati Uniti. Nel 1909 c’era voluto Ardengo Soffici per solle- vare la questione con il “caso Ros- so”, una campagna che aveva da- to i suoi frutti tra i futuristi, ma che sarebbe rimasta abbastanza inascoltata nella nostra cultura almeno fino al 1950, anno della retrospettiva alla Biennale. Si la- mentava amaramente di ciò, non senza un fondo di ironia, lo stesso Medardo quando, in una lettera del 1910, scriveva: «mi piace render noto che malgrado la strana dimenticanza della quale sono tenuto da ventun an- ni in qua dai così detti compatrio- ti, come dai miei colleghi milane- si e torinesi, anziani e odierni, in disparte da ogni mostra, io sono oggi, come prima e sempre, a lo- ro disposizione, pronto a esporre i miei lavori». Eppure basta guardare la pri- ma opera dello scultore apparsa nelle sale di Brera nel 1882, Biri- chino, afferrare quel suo reali- smo così svelto e franco, indiffe- rente a retoriche e accademismi, per rendersi conto di quanto Boc- cioni avesse ragione. Oggi que- sta scultura è esposta, insie- me a un gruppo di altri capo- lavori eseguiti da questo radi- cale innovatore della scultura, alla mostra Medardo Rosso. La luce e la materia, curata da Paola Zatti e aperta da oggi e fino al 31 maggio alla Galleria d’Arte Moderna di Milano. L’e- sposizione è costruita in- torno all’importante nucleo di 15 opere di proprietà dello stesso museo, ed era dal 1979 che la città di adozione dell’artista (nato a Torino nel 1858, formatosi a Milano dove muore nel 1928) non gli dedi- cava un omaggio così impor- tante. Si può ammirare in questo per- corso tutta la straordinaria pro- gressione stilistica di uno scultore che nel 1889 si trasferisce a Parigi, restandovi stabilmente fino al 1914, sostando cioè al centro di quella che, con l’Impressionismo, è la grande ri- voluzione pittorica dell’Ottocento, nonché atto di nascita dell’arte mo- derna. Rosso accetta una sfida appa- rentemente impossibile: tradurre in scultura – cioè nell’arte che più cor- risponde a un desiderio umano di du- revolezza, di vittoria sullo scorrere del tempo e di un immobile e solido radicamento alla terra, desiderio sul quale sembra ghignare in mostra la Ruffiana – la fugacità di un’esisten- N EL 1912 un impaziente Umberto Boccioni scriveva che la scultura del suo tempo offriva «uno spettacolo così com- passionevole di barbarie, di goffaggine, di monotona imi- tazione» che il suo «occhio futurista se ne ritrae con profon- do disgusto». Ma riconosceva un’eccezione: «Alludo al ge- nio di Medardo Rosso, un italiano, al solo grande scultore moderno che ab- bia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto». La sua opera, se- condo uno dei maggiori protagonisti del movimento futurista e delle avanguardie europee, era «rivoluzionaria, modernissima, più profonda e necessariamente ristretta. In essa non si agitano eroi né simboli, ma il piano di una fronte di donna o di bimbo accenna a una liberazione verso lo spazio che avrà nella storia dello spirito un’importanza ben maggiore di quella che non gli abbia dato il nostro tempo». Medardo Rosso .

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la Repubblica

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MERCOLEDI 18 FEBBRAIO 2015 Le MostreCONTATTI [email protected]

DI REPUBBLICA

za tutta offerta alla luce, all’aria,ai cambiamenti degli stati psico-logici e a quelli, esterni, dell’at-mosfera. Rosso ha in mente lacarne, non la pietra. Utilizza, ol-treché il gesso, una materia for-midabilmente docile come la ce-ra: flessibile, luminosa, morbida,capace di accogliere e di restitui-re ogni gesto dell’artista, cosìduttile sotto la pressione dellesue dita. E benché la cera di Ros-so avesse meno colori a disposi-zione della tavolozza impressio-nista, è come se quella sostanzafosse tanto assorbente da tratte-nere in sé, come un’ombra appe-na percepibile tra il trascorreredei giochi di luce e delle espres-sioni fisiognomiche, l’anima del-la figura ritratta. Della plastica

Rosso mostrava contempora-neamente sia il farsi che il disfar-si, sia il pieno che il vuoto. E così ilSagrestano del 1883, come ac-cartocciato su se stesso, è unascultura cava, un’invenzione os-servabile solo frontalmente. Suciò, Rosso era rigorosissimo: uni-co a suo parere doveva essere ilpunto di vista da cui guardare isuoi lavori. Vietato girar loro in-torno. Contraddiceva così la cele-bre osservazione di Charles Bau-delaire circa la scultura, arte de-bole e noiosa proprio perché os-servabile da ogni sua angolazio-ne.

«Quello che io voglio è far di-menticare la materia», diceva loscultore, con ciò andando contro-mano rispetto a secoli di statua-

LEA MATTARELLA

LE SCULTURESopra, L’uomoche legge (1926)A destra, Birichino(1895-1901)

La Galleria d’Arte Moderna di Milanodedica da oggi un’importante rassegnaallo scultore amico e poi rivale di Rodin

Il maestro che volevascolpire l’aria e la luce

Nella parte finale della sua am-mirata dichiarazione, Boccionialludeva, come fosse un’ingiusti-zia da riparare, al mancato rico-noscimento, nell’ambiente arti-stico italiano di uno scultore chepure era apprezzato in Germa-nia, Austria, Francia, e perfinonegli Stati Uniti. Nel 1909 c’eravoluto Ardengo Soffici per solle-vare la questione con il “caso Ros-so”, una campagna che aveva da-to i suoi frutti tra i futuristi, mache sarebbe rimasta abbastanzainascoltata nella nostra culturaalmeno fino al 1950, anno dellaretrospettiva alla Biennale. Si la-mentava amaramente di ciò,non senza un fondo di ironia, lostesso Medardo quando, in unalettera del 1910, scriveva: «mipiace render noto che malgradola strana dimenticanza dellaquale sono tenuto da ventun an-ni in qua dai così detti compatrio-ti, come dai miei colleghi milane-si e torinesi, anziani e odierni, indisparte da ogni mostra, io sonooggi, come prima e sempre, a lo-ro disposizione, pronto a esporrei miei lavori».

Eppure basta guardare la pri-ma opera dello scultore apparsanelle sale di Brera nel 1882, Biri-chino, afferrare quel suo reali-smo così svelto e franco, indiffe-rente a retoriche e accademismi,per rendersi conto di quanto Boc-cioni avesse ragione. Oggi que-

sta scultura è esposta, insie-me a un gruppo di altri capo-lavori eseguiti da questo radi-cale innovatore della scultura,alla mostra Medardo Rosso. Laluce e la materia, curata da Paola

Zatti e aperta da oggi e fino al 31maggio alla Galleria d’Arte

Moderna di Milano. L’e-sposizione è costruita in-

torno all’importantenucleo di 15 opere diproprietà dello stessomuseo, ed era dal1979 che la città di

adozione dell’artista(nato a Torino nel 1858,

formatosi a Milano dovemuore nel 1928) non gli dedi-

cava un omaggio così impor-tante. Si può ammirare in questo per-

corso tutta la straordinaria pro-gressione stilistica di uno scultore

che nel 1889 si trasferisce a Parigi,restandovi stabilmente fino al 1914,sostando cioè al centro di quella che,con l’Impressionismo, è la grande ri-voluzione pittorica dell’Ottocento,nonché atto di nascita dell’arte mo-derna. Rosso accetta una sfida appa-rentemente impossibile: tradurre inscultura – cioè nell’arte che più cor-risponde a un desiderio umano di du-revolezza, di vittoria sullo scorreredel tempo e di un immobile e solidoradicamento alla terra, desiderio sulquale sembra ghignare in mostra laRuffiana – la fugacità di un’esisten-

NEL 1912 un impaziente Umberto Boccioni scriveva che lascultura del suo tempo offriva «uno spettacolo così com-

passionevole di barbarie, di goffaggine, di monotona imi-

tazione» che il suo «occhio futurista se ne ritrae con profon-

do disgusto». Ma riconosceva un’eccezione: «Alludo al ge-

nio di Medardo Rosso, un italiano, al solo grande scultore moderno che ab-

bia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto». La sua opera, se-

condo uno dei maggiori protagonisti del movimento futurista e delle

avanguardie europee, era «rivoluzionaria, modernissima, più profonda

e necessariamente ristretta. In essa non si agitano eroi né simboli, ma

il piano di una fronte di donna o di bimbo accenna a una liberazione

verso lo spazio che avrà nella storia dello spirito un’importanza ben

maggiore di quella che non gli abbia dato il nostro tempo».

MedardoRosso

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La sua battagliacontro i fotografi“traditori” dell’artePreferiva realizzare da solo gli scattidelle proprie opere. Negli archivisono stati ritrovati centinaia di negativi

MA CHE brutte persone, quei delinquenticon la fotocamera. «Mai conosciuto gen-te più legalmente assassini dei fotogra-fi» scrive nel 1927 un anziano Medardo

Rosso ad un amico. Dopo aver passato decenni a fo-tografare e rifotografare le proprie sculture. Neisuoi archivi ci sono centinaia di negativi, stampe,collage. Rosso è legittimamente un fotografo, tantoquanto è un maestro della scultura mondiale. Ma sirende conto, come e più di altri artisti, che la foto-grafia non è l’umile servetta che Baudelaire voleva.«La fotografia come invenzione è cosa enorme»,scrive ancora, «ma per il vedere è il più terribile ma-le». Le sue fotografie, forse, sono una contromisura,un misto di autodifesa (via dal mio studio, me le fac-cio da solo!), di pedagogico sberleffo (vi faccio ve-dere io come si fa!) e di irresistibile fascino per le ar-mi del nemico.

Che sia uno scultore, e non un pittore, a scatenarequesta tempesta di odio-amore per la fotografia, non èun caso. I pittori con la fotografia flirtano, intreccianorelazioni pericolose (è la loro concorrente ma spessoanche una collaboratrice segreta...). Gli scultori inve-ce sembrerebbero al riparo da una rivalità diretta: la-vorano nelle tre dimensioni, loro, non nel piatto dellatela. E invece le affinità tra scultura e fotografia sonosorprendenti. E non perché, come sostiene Jean Clair,«la fotografia somiglia alla scultura in bronzo: en-trambe non consentono ripensamenti» (ne consente

anche troppi, la fotografia, e ben da prima di Photo-shop...). Ma perché la fotografia è ambiziosa, imperti-nente e invadente, non sa stare al suo posto. Fin dai pri-mi decenni di vita ha cercato di uscire dai propri limiti,di conquistare le virtù che le sembravano negate, il co-lore, il movimento, la profondità, e il bello è che c’è riu-scita. La profondità, l’ha acchiappata con l’olografia,ma prima ancora con il 3D della stereoscopia, che fu unsuccesso mondiale, la tivù dell’Ottocento, arredo diogni salotto. Ma prima ancora, nel 1859, un genialefrancese, François Willème, inventò la “fotoscultura”,un sistema di fotocamere che riprendevano un model-lo da tutti i lati, e sommando i profili consentiva a unamacchina di ricavarne un busto ben modellato. Orroredegli scultori dell’epoca, che si sentirono pugnalati al-le spalle dalla “scultura meccanica” proprio come i col-leghi pittori vent’anni prima erano stati sconvolti dal-la pittura meccanica.

Ma la vera minaccia non era la fotoscultura (difatti,fu presto dimenticata). Il fotografo spodesta davverolo scultore quando, semplicemente, fotografa le suesculture. Perché, se perfino riprodurre un quadro bidi-mensionale significa interpretarlo (luce, colori...), fo-tografare una scultura significa decidere da che puntod’osservazione dev’essere vista, con quali chiaroscurie ombre, significa imporre una lettura ed escluderetutte le altre, compresa magari quella desiderata dal-lo scultore. Per questo, anche Brancusi scelse di foto-grafare da solo il proprio lavoro. Ma se n’era già accor-to nientemeno che Heinrich Wölfflin, grande storicodell’arte svizzero, che nel 1896 tentò di suggerire qual-che criterio accettabile in un libro, Come si fotografa lascultura. Quasi tutti i suoi colleghi invece, da Focillona Fielder a Hildebrand, diffidarono fino alla fine dellosguardo che la lente getta sul modellato d’autore. Machi può impedirglielo? Quando ancora balbettava, lafotografia ebbe nelle sculture i suoi primi modelli idea-li: gli angioletti di gesso stavano fermissimi davanti al-l’obiettivo di Talbot durante le lunghissime pose allo-ra necessarie. E dunque, battaglia persa: la fotografiaè poi diventata anche un materiale per la scultura (unagrande mostra al MoMA, Photography into Sculpture,lo dimostrò nel 1970) fino a rimpiazzarla del tuttoquando alla Biennale veneziana del 1992 il primo pre-mio per la scultura fu assegnato ai coniugi Becher perle loro fotografie seriali di impianti industriali. Medar-do aveva ragione, vatti a fidare dei fotografi.

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MICHELE SMARGIASSI

Ritrarre una statua significaimporre una sola parziale lettura

IL RITRATTOHenri Rouart(1890)

LE STATUEDa sinistra in senso orario,Bambina ridente; Ecce puer(1906); Bambino malato(1903-1904)

ria classica, e poi rinascimentalee barocca, ma rivendicando unaqualità, quella della leggerezza,e il valore di una lotta, di una ri-bellione contro l’evidenza, l’ap-parente inevitabilità della mate-ria. Tutte cose che anticipanotanta scultura contemporanea.Basti pensare a Lucio Fontana.

Questa posizione lo vedeva amodo suo vincente anche nelmatch col più grande di tutti, al-lora: Auguste Rodin. Si sa che, pri-ma che rompessero i loro rappor-ti, furono amici, Rodin andavaspesso nello studio di Rosso perascoltarne i consigli. Ma quantodiversi erano. Per Rodin la scul-tura era un corpo che gesticolan-do eroicamente imponeva la pro-pria energia sull’ambiente. Per

Rosso era l’ambiente che si dove-va imprimere sulla figura, questaassottigliandosi come fosse nonun corpo ma una sensibile, fragi-lissima epidermide.

È da una tensione simile chenascono capolavori indimentica-bili come Aetas aurea, Bambinaridente, Grande Rieuse e il mera-viglioso, struggente Ecce puer:immagini essenziali fino all’eva-nescenza, sulle quali agisconoforze che proprio mentre sem-brano animarle le velano; sassi le-vigati dalla corrente dell’acqua.Ma l’opera più impressionanteresta la spettrale Madame X, ac-costabile, per concezione rivolu-zionaria e distanza siderale dallascultura tradizionale, alle operedi Costantin Brancusi. Solo che ilrumeno credeva che il gesto delvero scultore fosse quello di rag-giungere l’assoluta purezza dellaforma universale tagliando, scol-pendo materie dure, ostili. Rossoera un modellatore, e con qualedelicatezza offuscò ogni detta-glio di quel volto come spolpan-dolo, cancellandone i particolari,creando una perfetta forma ovoi-dale, temporanea condensazio-ne dell’aria, transitoria solidifi-cazione di un sentimento,forse di un ricordo, visibileora, per un at-timo, a un pas-so dal nulla.

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LA DONNAMadame X(1896)

LA FOTOMedardo Rosso: Dopouna scappata - Gavroche

INFORMAZIONI UTILIMedardo Rosso, la luce e la materia, Gam di Milano fino al 30 maggio.Orari: lun 14.30–19.30; mar, mer, ven, sab, dom 9.30– 19.30; gio 9.30–22.30. Info e prenotazioni 02 54914; www.mostramedardorosso.it.Ingresso: 12 euro intero (audioguida inclusa); 10 ridotto. Bigliettomostra + collezioni GAM: intero 14 euro (audioguida inclusa); ridotto 11(audioguida inclusa). Catalogo: 24 ORE Cultura

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