vota Sìlviolo!

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Un leader politico anomalo, i suoi consiglieri, i suoi parlamentari, il suo popolo. Silviolo è l'eroe di un'Italia vera ma apparentemente inverosimile, il paradosso che si fa realtà, una inesauribile miniera di gag che lasciano sempre un passo indietro anche il comico più irriverente e fantasioso

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Indice

1. Dove si narra del progetto del cavallo bianco

2. Dove si narra di alta strategia elettorale

3. Dove si narra della annunciazione ai parlamentari

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4. Dove si narra di un comizio nel lombardo-veneto 55

5. Dove si narra di un comizio in terra di Sicilia 73

6. Dove si narra dell'intervista televisiva di Giuditta Brown 91

7. Dove si narra del discorso alla nazione 107

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1.Dove si narra del progetto

del cavallo bianco

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Quel giorno a Brugherio l’alba mandava bagliori dorati.Silviolo se li godette per lunghi minuti, quasi avidamente, pas-seggiando sul terrazzino della villa dove aveva trascorso la nottea preparare il meeting del mattino. Brugherio ispirava i suoisensi fin da quando, giovanotto pieno di energie, ne aveva edifi-cato con futuristici criteri interi quartieri dormitorio. E al mee-ting delle nove avrebbe dovuto presentarsi lucido, determinato,ricco di idee, tonico come un gingerino. Da condottiero, insom-ma. Vi avrebbe incontrato i suoi più fidi collaboratori per dise-gnare la propria strategia elettorale. E sapeva benissimo che pervincere bisogna comunicare certezze e passioni anzitutto allacerchia delle persone più vicine. Aveva già deciso praticamente

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tutto: obiettivi, mosse, messaggi. Ma li avrebbe ascoltati lo stes-so con pazienza, per dare loro l’eccitante sensazione di contarequalcosa nelle sue decisioni.

Rientrò nel pensatoio, si sedette alla scrivania giocherellandocon una matita rossa e blu quando entrò Priscilla, la sua camerie-ra preferita. Silviolo le lanciò un’occhiata entusiasta. La ragazzaaveva un grembiulino azzurro leggermente aperto sopra leginocchia che la fasciava maliosamente nella polverosa luce delmattino. “Buona giornata”, fece lui con voce allegra e squisita-mente padronale, iniziando a squadrarla. “La trovo in forma”disse da consumato corteggiatore, aggiungendo dopo un secon-do “e anche in sostanza”. Scoppiò a ridere di gusto, come ognivolta che raccontava una barzelletta che evocasse le più apprez-zate virtù femminili. Priscilla fece un risolino divertito e lusinga-to di circostanza, depositò un caffè ristretto sulla mensoletta vici-no al telefono. Poi, come ogni mattina, tirò fuori uno specialefazzolettino anticerone e lo passò sulle cornette di tutti i telefo-ni. “Buon lavoro, presidente”, gli fece sorniona. Lui sorrise eriprese in mano la matita. Guardò e riguardò gli appunti stesinella notte insonne, li mandò a memoria per stupire ancora unavolta i suoi collaboratori, usi giurare al mondo che egli avesse tremarce in più di un mortale, e si ricompose i capelli.

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Alle nove in punto giunse Servio Tulliolo, il più fidato deisuoi consiglieri, il più destro dei suoi bracci destri. Paffuto, conle guance lisce come il sederino di un bebè, un dolce sorriso daprete, amava il suo principale di un amore intenso e sacrale. Alpunto che aveva rinunciato a tutti i capelli per regalargli − pereffetto del puro confronto ravvicinato − la meravigliosa sensa-zione di possederne tanti. Silviolo alla sua sola vista si entusia-smò. Godeva già al pensiero di vederlo annuire in estasi a ognisua parola durante il meeting. Giunse poi Azzimino, la capiglia-tura liscia e ben sistemata che sembrava programmata da uncomputer, nessuno mai l’aveva vista scomporsi a refolo di ventoo a uragano. Poi suonò Sulpicio, l’ambasciatore prediletto, l’uo-mo per tutte le missioni, il viaggiatore fidato per tutti i continen-ti. Solo a Torino, per via di quel nome così imbarazzante per ilvernacolo locale, Silviolo non si era mai sentito di mandarlo.Una privazione che aveva purtroppo contribuito a non fare maidecollare il feeling con la famiglia Agnelli. Quindi via via arriva-rono tutti gli altri. Giunse Giuliano, il consigliere di maggior peso,celebre per gli eccessi fisici e intellettuali. Giunse Marcello, cele-bre per gli eccessi di frequentazioni. Giunse Tarquinio Priscolo,celebre per la inimitabile deferenza con cui assentiva in silenzio aogni parola del Capo. Dopo essersi contati si recarono insieme almeeting point dove si sedettero circolarmente. Sette in tutto, comei re di Roma.

Silviolo li arringò da par suo. Le sinistre, disse, sentono ilvento in poppa. E nel dire quella parola non seppe trattenere unsorriso birichino e boccaccesco. Ma noi, aggiunse, abbiamo ildovere di contrastarle fino all’ultimo. Vi dirò di più: questa è unapartita che si vince in zona Cesarini, credetemi, li sollecitò con ilsuo sempre efficace gergo calcistico. Mostrò loro i risultati di unsondaggio. Le massaie, vi si diceva, avevano il dente avvelena-to con i prezzi. L’euro, ecco, dobbiamo battere sull’euro per

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prenderci il voto delle massaie. Gli anziani, poi, avevano il pro-blema della sicurezza. Ma anche quello delle pensioni, azzardòtimidamente Azzimino. Certo, rispose lui un po’ bruscamente, enoi mettiamo tutto insieme. E gli diciamo che i delinquenti pul-lulano grazie ai clandestini protetti dalla sinistra, e che, senza ipoliziotti di quartiere che abbiamo voluto noi, gli ruberanno lepensioni all’uscita degli uffici postali. Poi annunciò raggiante: einfine gli operai. Gli altri sei si guardarono stupiti. Si dissero l’unl’altro senza parlare: e che gli racconteremo mai agli operai dopotanti anni? che li abbiamo fatti fessi senza rimedio? Silvioloinvece calò l’asso. Gli operai temono la disoccupazione. E noigli spiegheremo che perdono il lavoro per colpa della Cina, chela colpa è dei sindacati che invece di andare in Cina a chiederepiù salario per i veri sfruttati stanno qui a fare le marce e i corteipolitici per i comunisti. Servio Tulliolo lo guardò incantato. Glipercorse con una sbirciata devota tutti i capelli che portava sdra-iati sopra la fronte e pensò: ha qualcosa di geniale.

Massaie, anziani, operai. I disgraziati, le persone comuni, liaveva messi tutti insieme dalla sua parte. Tra gli imprenditori e iprofessionisti ne aveva già almeno la metà senza nemmeno biso-gno di aprir bocca. E i giovani?, azzardò Sulpicio. I giovani,Silviolo, come li porterai a votare per noi? “Giast e minut”,rispose lui nel suo inglese sprint, come diceva. Riprese in manoi fogli dei sondaggi e poi spiegò: vedete, i giovani oggi sono incerca di ideali. Qui il 52 per cento risponde che è disposto arinunciare a un po’ di benessere materiale pur di vivere in unasocietà più ricca di valori. Noi lanceremo una grande campagnadi valori, contro il materialismo della sinistra. Sentendolo parla-re così, Azzimino gongolava. Lui, il Capo, era lanciatissimo.Basta con il titolo di studio, aggiunse, come se per essere davve-ro qualcuno si debba essere laureati o diplomati. Forse che uncontadino che fa bene il suo lavoro non ha una sua grande digni-

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tà, a volte più grande di quella che abbiamo tutti noi messi assie-me? I sei fecero andare su e giù vigorosamente il mento, in segnodi libero assenso. E allora perché mai dovremmo mandarli tuttia scuola o all’università, solo per parcheggiarli a poltrire in atte-sa che facciano manifestazioni con le bandiere rosse? Sapete chevi dico? Noi proporremo un epocale ritorno al lavoro manuale.Basta con i lazzaroni, con i figli di papà.

In quel mentre bussò alla porta il giovane primogenitoGianromolo. Silviolo si alzò subito premuroso e gli chiese seavesse bisogno di qualcosa. Gianromolo gli sussurrò qualcosanelle orecchie, scusandosi a gesti con gli astanti. Il padre trassedal portafogli il libretto degli assegni, gli firmò qualcosa, e poigli chiese di rimandargli indietro l’elicottero prima di sera. Doveeravamo arrivati?, riprese. Ai figli di papà, risposero tutti in coro.Ecco, aggiunse, noi dobbiamo dare un futuro ricco di valori ainostri giovani. La religione, la patria, l’amore verso i genitori everso le istituzioni, il piacere del sacrificio. Quale legge finan-ziaria è in grado di contabilizzare questi valori? Eppure se fosse-ro diffusi e vincenti (usò esattamente questo aggettivo) il paesesarebbe enormemente più ricco e i giovani più soddisfatti. Nonvoglio fare l’utopista. Diciamo che è una questione tennica.Proprio così disse: “tennica”, come dicono i milanesi di fuori lemura, incapaci per vocazione di mettere in fila la “c” e la “n”.“Tennica”, ripeterono tutti in coro.

Ormai la strategia era chiara. Silviolo avrebbe puntato le suecarte sugli strati meno ricchi della popolazione. Li avrebbe presiper il verso giusto, avrebbe suonato le loro corde, avrebbe getta-to il peso dei suoi messaggi sulle televisioni che possedeva ingrande copia, si mormorava nell’opposizione che ne avesseaddirittura tre e mezzo e che altre due e mezzo ne controllasse invirtù della sua autorevolezza e del suo prestigio politico. Il mee-ting point ormai era tutto un surriscaldarsi di idee, di ardimenti

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intellettuali, di slanci verbali e immaginifici. Sicché quandoentrò la povera Priscilla per una tornata di caffè sul vassoio d’ar-gento, fu un rotear di mani galeotto al suo passaggio e un fiorirdi commenti a doppio senso. Silviolo, che godeva particolarmen-te nel vedere crescere a sé d’accanto un clima tra il deferente e ilgoliardico, ne approfittò per raccontare una delle sue mitichebarzellette. Ci sono un italiano, un tedesco e un cinese, incomin-ciò. Ma proprio in quel momento trillò il telefonino numerosette, quello dedicato alla linea diretta con George. Si emozionòtalmente che aggiunse subito: no, c’è anche un americano. Poiscattò in piedi, si riaggiustò anche il nodo della cravatta e salutòl’amico con trasporto, facendo plateali segni agli altri sei. Maceeertooo, esultò a non si sa quale notizia. Dopodiché si fececonfidenziale e suggerì all’amico quel che solo lui, con la suaautorevolezza, poteva suggerirgli. Io ritirerei le truppe, George,lo consigliò. Dammi retta, il mondo non capisce e noi occiden-tali, tu e io per primi, abbiamo delle grandi responsabilità versoil pianeta. Questa guerra ha sempre meno senso ogni giorno chepassa. Non è per dar corda ai pacifisti, tanto quelli lo sappiamoche sono manovrati dai comunisti, Fidel Castro in testa a tutti.

Ma dobbiamo fare questa scelta proprio per affermare lanostra funzione guida. Per far vedere che siamo lungimiranti,che sappiamo unire l’uso determinato della forza con il sensodella democrazia. Ascoltami George, recitò quasi sottovoce.Dall’altra parte vi fu qualche secondo di silenzio. Poi, dalla cor-netta di nuovo cosparsa di cerone, risuonò nel meeting point unurlo terrificante. Silviolo corse pallido verso un angolo, con lafaccia contro il muro, continuando a ripetere “Per favore, piano,ci sono qui delle persone, d’accordo George, dicevo così perdire, occhei, occhei, non preoccuparti, non lo dico più”. Poi sivoltò verso i suoi fedelissimi e disse loro: “George dice che èperfettamente d’accordo con me, e anzi mi ringrazia per l’enne-

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simo consiglio che gli ho dato. Ragazzi, davvero questi america-ni sono dei bambinoni che vanno guidati con santa pazienza. Midice solo che c’è qualche ulteriore valutazione che vorrebbeapprofondire con me nel mio prossimo viaggio a Washington”.

Se non ci fossi tu, lo vezzeggiò Servio Tulliolo, il mondoandrebbe avanti senza un disegno intelligibile. Disse questafrase, e soprattutto impiegò quell’espressione − “disegno intelli-gibile” − come se stesse argomentando di teologia. Gli altri nonebbero il coraggio di ridere, si limitarono ad annuire senza inter-venire di rinforzo com’erano soliti fare in altri casi. L’urlo lan-ciato da oltre oceano, d’altronde, era risuonato in tutta la stanza.Per fortuna l’atmosfera di imbarazzo venne rotta da un nitritopotentissimo proveniente dalle stalle. E che è?, sobbalzaronoall’unisono i consiglieri. Silviolo li rassicurò subito. È il cavallopreferito di Marcello, spiegò. Dev’essere ancora addomesticatoma abbiamo ingaggiato un domatore delle Madonie che è un’au-tentica cannonata. Delle Madonie?, chiese incredulo Azzimino.Certo, rispose Silviolo, non lo sai che sulle montagne dellaSicilia occidentale si trovano i domatori e gli stallieri più pregia-ti? Ce li invidiano anche all’estero. A quel punto Giuliano, l’ul-timo consigliere sopraggiunto, ebbe una pensata straordinaria,una pensata delle sue. Silviolo, suggerì, ma perché se abbiamo

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questi cavalli e questi domatori non te ne vai per l’Italia in campa-gna elettorale su un cavallo purosangue? Pensaci bene. Mortadellauserà un Tir. Tu userai un cavallo. Per un istante i collaboratori diSilviolo rimasero vagamente interdetti. Ma già l’istante dopol’idea aveva conquistato la loro immaginazione. Fu tutto un tri-pudio, un trionfo di pacche sulle spalle, di previsioni − è il casodi dire − felicemente galoppanti. Vedendo l’espressione interes-sata del Capo, i sei fecero a gara per far bella mostra delle pro-prie idee. Servio Tulliolo fu immediatamente un passo avantiagli altri. Ma certo, disse, devi andare su un cavallo bianco pertutta la penisola. Solo sulla penisola?, protestò subito Marcello.Ma no, si difese lui, certo che deve andare anche in Sicilia. E inSardegna, fecero in coro gli altri. D’accordo, riprese ServioTulliolo, penisola e isole. Ma su un cavallo bianco, come l’eroedi una leggenda, come il salvatore della nazione. Come il gene-rale di un esercito coraggioso, distillò Azzimino. Silviolo eravisibilmente inorgoglito da quelle immagini favolose. Le parolepoi, “leggenda”, “eroe”, “coraggioso”, lo stuzzicavano nel suoingenuo desiderio di passare alla storia come un Liberatore. Mat’immagini, ti rendi conto della forza che avrebbe un’aperturadel telegiornale con Silviolo che entra al galoppo in una cittàfestante? E ormai con i capelli al vento, chiosò Marcello, fissan-do complice Silviolo negli occhi. Certo, con i capelli al vento,gorgogliò felice il buon Servio. E poi nessuno potrebbe più farebattute sulla sua altezza, perché la figura di lui a cavallo sarebbeimponente quanto il Colleoni. Davvero per tutti gli italiani sareb-be nel modo più plastico e autorevole il “Cavaliere”. Ma non sidice fantino?, scappò di domandare a Gianromolo, che era entra-to un attimo per chiedere al padre il numero dell’elicottero chedoveva usare. Fu subito zittito dagli altri, amorevolmente ma conleggero sussiego.

Ora ognuno trovava un ottimo motivo per perorare il giro

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d’Italia a cavallo. Vuoi mettere Mortadella? Quello se ne va inTir lasciando una scia di inquinamento dovunque. Mentre tu faiuna campagna ambientalista, ecologica, e va a finire che ti pren-di i voti di tutte le associazioni verdi; quelle non criptocomuni-ste, almeno. Sì, sì, gongolò Sulpicio, e poi Mortadella dà l’ideadi avere bisogno di una corte che viaggia con lui, e gli italianipenseranno subito che se si porta la corte dietro prima di vince-re le elezioni chissà che corte si porta al seguito quando le havinte. Tu invece te ne vai da solo, diritto in sella, affrontando iltuo destino a testa alta. Tutti ti vedranno come l’uomo di corag-gio a cui affidare le sorti dell’Italia. E non basta. Mortadella sene andrà sulle autostrade e salterà centinaia di città. Mentre tu acavallo sarai costretto ad andare per le strade statali, e così gire-rai per l’Italia della provincia, che è quella più profonda, piùcalda. Diranno che lui è un freddo e tu un italiano vero, degnodell’Italia dei comuni. A sentire quelle osservazioni, Giuliano sileccava barba e baffi. Mentre Marcello appariva inarrestabile, inogni senso. Si muoveva, girava circolarmente intorno al tavolo.Ma certo, vedo già lo slogan sui manifesti sei per sei, in tutte lecittà: la Casa delle libertà è a cavallo. Fantastico!, urlarono tuttiin coro. Silviolo vide però in quel riferimento alla Casa dellelibertà una diminuzione del suo individuale eroismo e corresse.Fantastico mica tanto, commentò. Diciamo “un presidente acavallo” o, se proprio dobbiamo fare riferimento a un’entità piùgenerale, mettiamo “l’Italia è a cavallo”. Grandioso!, esploserodi nuovo all’unisono. Brindiamo, esortò festante Silviolo.Chiamò subito Priscilla, la quale − avvertendo con sensibilitàtutta femminile l’attimo d’estasi collettivo − si sentì spinta adimenarsi leggermente entrando con la bottiglia di champagne.Gli occhi le si appiccicarono sul di dietro ben tornito, qualchemano sfiorò casualmente il grembiulino azzurro, lo sguardo diSulpicio riuscì a frugare furtivamente nel piccolo spacco sopra le

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ginocchia. Fu un coro: brinda con noi Priscilla. La ragazza siprotestò astemia e riprese la porta con andatura maliziosa, sapen-dosi osservata. Gli altri alzarono i calici per brindare al presiden-te a cavallo. Ma mentre le braccia erano già lanciate verso l’altoSilviolo bloccò tutti con un gesto imperioso e fece “aspettate,prima vi racconto una barzelletta”. Gli altri si fermarono sorri-denti. Poi prese la parola lui. Dunque, iniziò, io muoio (e neldirlo fece un ampio gesto delle corna rivolte verso il pavimento)e vado all’inferno. Qui vedo i diavoli girovagare senza mansio-ni precise battendo la fiacca e allora dico a Satana: ma voi all’in-ferno siete disorganizzati. Lui allora si arrabbia e mi dice: ah sì?,e allora se qui non ti piace vattene pure in paradiso. Così, dopoessermela spassata sulla terra, sono arrivato gratis in paradiso. Equi ristette in silenzio. Gli altri restarono a loro volta muti eincerti in attesa della continuazione, della battuta folgorante.Silviolo comunicò: è finita. Allora i sei scoppiarono a ridere,dandosi grandi manate sulle spalle, di vero gusto. È proprio ilcaso di dire che ne sai una più del diavolo, commentò al colmodel divertimento Azzimino. E giù di nuovo una fragorosa risatacollettiva.

Si lasciarono con la convinzione di avere partorito un’ideageniale, in grado di stritolare senza problemi le ambizioni dirivincita del centrosinistra. Venne subito commissionato un son-daggio da fare in giornata. Scientifico, si raccomandò Silviolo, ilpiù scientifico possibile. E aggiunse l’ordine di “attenzionare”,come diceva lui con linguaggio d’appuntato, tutti i posti dellegrandi città in cui si potevano affiggere in modo visibile i mega-manifesti di se medesimo cavaliere sul quadrupede immacolato.Marcello gli annunciò che sarebbe andato a trovare il domatoredelle Madonie, in fin dei conti era partito tutto dal nitrito del suocavallo. E gli chiese devotamente se aveva ordini da trasmetter-gli. Il Capo fece cenno di no. Licenziò i fedelissimi, diede loro

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appuntamento per il giorno dopo, annunciando che sarebbe rima-sto lì a Brugherio e che si sarebbero visti alle nove in punto.

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Poi si ritirò nel thinking point, una stanza allestita per le deci-sioni strategiche, nella quale aveva riunito, per ispirarlo, leimmagini dei suoi pensatori e artisti preferiti. Tra un Apicelladella scuola napoletana, un Tony Renis del secondo Novecento,un Licio Gelli di data incerta, un giocondo Bush jr del Duemilae un caravaggesco Putin con colbacco, si sistemò sulla poltronasdraiando le gambe su una sediola. Il cavallo bianco, rimugina-va. Io su un cavallo bianco. L’immagine gli era piaciuta da mori-re, ma ora iniziava a valutarne tutte le conseguenze. Chissà per-ché, ma c’era qualcosa che, in fondo in fondo, non lo convince-va. Anzitutto perché a cavallo non ci sapeva andare. Certamentenon ci avrebbe messo molto tempo a imparare. Non era egli forsedotato di qualità sovrannaturali, tanto da potere impadronirsi infretta dei mestieri e delle professioni, compresa quella del regi-sta televisivo, dell’allenatore o del politico, che agli altri richie-

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dono normalmente anni e anni di duro apprendistato? E poi, sesapeva andare a cavallo perfino Giuliano (che pur ne era cadutouna volta), anche lui avrebbe imparato ad andarci in pochi gior-ni. Semmai il problema era quello di trovare un cavallo bianco,ma bianco, ossia candido, per davvero. Se ne sarebbe trovato unopienamente fotogenico e telegenico, in grado di non sfiguraresotto di lui sui manifesti di tutta Italia? Un cavallo con una bellacriniera che potesse fare degno pendant con la sua, visto che quelriferimento di Marcello ai capelli al vento lo aveva mandato let-teralmente in sollucchero? Ci pensò e ripensò, scrutando circo-larmente i ritratti solenni dei suoi maestri lungo le pareti del thin-king point. Alla fine decise, come nei momenti cruciali, di ascol-tare il parere dei suoi due figli, Gianremolo e Gianromolo.Telefonò al secondo e gli disse di tornare presto con l’elicottero.Poi chiamò il primo e gli chiese di interrompere per un pomerig-gio le impegnative attività di corteggiamento di ballerine che loassorbivano senza sosta. All’ora del tè i due gioielli arrivarono aBrugherio. Toccarono lievemente anche loro, a distanza di mez-z’ora l’uno dall’altro, le rotondità della povera Priscilla e si sedet-tero davanti al potentissimo padre incartato nelle sue incertezze.

Con la loro ingenuità giovanile Gianromolo e Gianremolorestarono di stucco quando sentirono che cosa era stato escogita-to nel meeting point di Brugherio. Gianromolo, che pure avevaun carattere assai quieto, si inalberò. E quei sei, chiese, ti hannosuggerito seriamente la strategia del cavallo bianco? Papà, incal-zò, tu mi stai dicendo che dei tuoi consiglieri più fidati neancheuno si è alzato a raccomandare di non dire fesserie? Silviolo, chepure era incerto su quel progetto, fu percorso da un fremito diimpermalimento a sentire il figlio maggiore parlare con quellaintolleranza da no global. Tutto sommato l’idea era piaciutaanche a lui. Anzi, senza il tutto sommato. Lo aveva invece pro-prio entusiasmato. E dunque gli intimò spazientito di non esage-

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rare. Ma Gianromolo andò avanti senza troppi riguardi. Anzi-tutto non sai andare a cavallo. Questo lo so, ma non è un proble-ma, gli replicò il padre. Lo è, lo è. Ma siccome non lo ammette-rai mai, ti chiedo un’altra cosa. Ma ti rendi conto? Prova un po’a immaginare la scena. Tu vai con il cavallo a un comizio, tuttiti si fanno intorno per festeggiarti, viene un sindaco di ForzaItalia a riceverti con tanto di fascia tricolore, tu scendi gloriosa-mente dalla sella mentre una elegante signora sempre di ForzaItalia ti regala una rosa davanti alle tivù e, giusto in quel momen-to, magari mentre lei ti bacia, plaff, il cavallo lascia cadere lesue, diciamo così, frittate in mezzo alla folla. Così i bambiniscoppiano a ridere e il primo cretino di passaggio esclama “ecco,si vede che è arrivato”. E il giorno dopo chi passa lì sul postodice “ecco le sue tracce”. Ma ti rendi conto delle battute alvetriolo dei tuoi nemici, dei commenti acidi dei giornalisti, eanche delle arrabbiature dei negozianti che dovranno puliredavanti al marciapiede? Non solo: ma se il cavallo imbizzarrisce,magari davanti a una bandiera rossa, e tu inizi a correre in grop-pa a lui per la piazza gridando aiuto, e non sai quando ti fermi?Ma dico, papà, ma che consiglieri hai? In effetti il film mentale didovere chiedere aiuto tra le risate della piazza, proprio lui onni-potente, un po’ lo urticava. E poi l’idea di vedere associato il suoarrivo con le produzioni maleodoranti dell’equino, per quantobianco e immacolato potesse essere, be’, questa lo inquietavaveramente.

Gianremolo diede man forte al fratello senza tuttavia smette-re di parlottare più o meno segretamente al cellulare con le sueballerine. Poiché coglieva in ogni caso il senso delle obiezioni diGianromolo, e vedeva le rughe paterne accentuarsi ogni minutodi più in una smorfia di resa, non gli riuscì difficile sintonizzar-si con il clima morale del momento. Papà, aggiunse, ma poi seisicuro che gli animalisti non ti facciano una campagna contro,

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che non diranno che per una tua vanità elettorale stai spremendoogni goccia di fatica e di sudore da un povero cavallo, costrin-gendolo a girare per tutta l’Italia con gli speroni ficcati nei fian-chi? E ci pensi poi agli slogan che potrebbero inventarsi? Lesinistre sono spietate, lo sai. Direbbero “L’Italia è rimasta senzabenzina”. Oppure, peggio, “Finalmente si è dato all’ippica”. Leobiezioni dei figli erano diventate ormai incalzanti. Silviolo nonriusciva proprio a superarle, benché solo il Signore sapesse quan-to, ma davvero quanto, gli aveva fatto piacere sognarsi a cavallodi un cavallo bianco nella sua eroica lotta contro il Tir diMortadella. Re Artù, Che Guevara, Garibaldi: chi gli sarebbeassomigliato di più?

Quando i due giovanotti se ne furono andati, ciascuno inde-fessamente impegnato nelle proprie meritorie attività, Silviolo siconcentrò nelle proprie riflessioni. Invano guardò i volti pene-tranti ed evocativi di Tony Renis e di Putin per trarne qualchesuggestione. Chiamò Priscilla, pronta in queste occasioni a sen-tirsi rifilare qualche barzelletta scaldaumore. In effetti il padronepensò sulle prime di raccontare quella dell’italiano, del brasilia-no e del tedesco; poi, dopo avere leggermente sfiorato il di leigrembiulino all’altezza dei fianchi, le chiese di portargli un tècaldo. Un tii, le disse con un inglese intonato al thinking point.Le aggiunse di attenzionare bene la temperatura, che non fossebollente. Poi telefonò all’amica prediletta, una platonica passio-ne che coltivava dagli anni dei fasti immobiliari. Lei risposesubito. Numa Pompilia, le disse, mi daresti un tuo consiglio suuna questione che mi sta molto a cuore? Mi vorrebbero far fareuna campagna elettorale in groppa a un cavallo bianco, come uneroe leggendario. Tu che ne dici? I miei consiglieri più fidatispingono molto su questa idea, ci sto facendo fare anche un son-daggio. Ma Gianromolo e Gianremolo sono contrari. Ostili addi-rittura, direi. Numa Pompilia cercava di non contraddirlo mai. E

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anche stavolta, avendone intuito le perplessità, lo assecondòamorevolmente. Mi sembra che i tuoi splendidi figli abbianoragione, sussurrò al telefono. Ma in che condizioni si troverebbela tua schiena dopo avere percorso tutta l’Italia a cavallo? Dovefinirebbe, per mesi e mesi, il mio tombeur de femmes? Me lo tro-verei imbalsamato in una cintura Gibaud? Fu un attimo. L’osser-vazione di lei stroncò definitivamente, senza più appello, l’ideadel cavallo bianco. Quel senso pratico tipicamente femminileebbe il sopravvento su tutte le immaginazioni politiche e le stra-tegie di marketing elettorale dei consiglieri più fidati. Silvioloandò a dormire ben determinato a scartare il progetto che tantoaveva entusiasmato il suo staff nel meeting point. Curò che nonci fossero capelli sul cuscino e si addormentò del sonno del giu-sto. Il mattino dopo alle nove i sei giunsero tutti insieme. Allegri,tonici, evidentemente rafforzatisi vicendevolmente nella convin-zione di avere davvero partorito il giorno prima un’idea geniale.Silviolo li accolse con un pizzico di freddezza, seppure con leconsuete pacche sulle spalle e offrendo loro il celebre caffè diPriscilla (caffè corretto, suggeriva lui sogghignando; dove il“corretto” stava per il palpeggiamento clandestino che gli ospitidi casa solevano concedersi all’arrivo della tazzina). E allora?,esordì Sulpicio. A Brugherio si chiedeva sempre così, quando siincontrava una persona. Era un modo automatico di intavolare ladiscussione anche se si sapeva che l’interlocutore non era dibuon umore, o addirittura aveva patito un lutto. Un modo cosìcontagioso che anche nella vicina Milano l’avevano adottato,specie dopo i matrimoni e i funerali. E allora?, fece dunqueSulpicio. E allora niente, rispose Silviolo un po’ infastidito. Glialtri si scambiarono sguardi di sorpresa. Lui si aggiustò il nerociuffo e partì subito in quarta. Ma ci avete riflettuto? Ma davve-ro vi sembra una buona idea? Ma sapete quante controindicazio-ni ha questa pensata? Gliele enumerò tutte. La schiena, gli

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imbizzarrimenti del cavallo, i micidiali “plaff” all’arrivo nellepiazze, i problemi di telegenia dell’equino bianco. Gli altri sulleprime rimasero interdetti; poi, un po’ feriti nel loro orgoglio distrateghi, cercarono di riconvertirlo agli originari entusiasmi. Macome, fece Servio Tulliolo, ma pensa anche al messaggio chepotresti mandare. Ne abbiamo parlato tutto ieri con Marcello,vero Marcello? Marcello assentì. Senti qua che roba: la destra suldestriero! È fantastico! Avresti un vantaggio, una vera rendita diposizione semantica rispetto alla sinistra, che non potrebbe mailanciare uno slogan simile dall’altra parte. Gli altri facevano disì con la testa. Ma Marcello, intuendo la contrarietà del Capo,corresse subito: anche se, a ben vedere, noi non siamo la destra,noi dobbiamo dire che siamo il centro. Nemmeno, si inserìGiuliano. Noi dobbiamo dire che siamo i riformisti contro icomunisti. A sentir questo, Silviolo, che di riforme ne avevaobiettivamente fatte tante e tutte clamorose, si ringalluzzì. Certo,riformisti, aggiunse; e senza cavallo bianco. Servio Tulliolo, chesentiva i suoi sodali sfilarsi dalle originarie posizioni, si aggrap-pò alla speranza che il Capo potesse essere nuovamente convin-to dallo strumento di persuasione per lui più potente: i sondaggi.E proprio in quel momento bussò Priscilla con una grande bustasu un vassoio: lo manda la “Data Champions”, disse. Silviolo laaprì, la guardò con attenzione corrucciata, poi sbatté i fogli sultavolo e comunicò secco ai suoi fedelissimi: avevo ragione io,non se ne fa niente. Con squisita educazione Azzimino chiese dipoter sapere i risultati. Erano inequivoci. Alla domanda su qualeanimale fosse simbolicamente più adatto a portare in groppaSilviolo in giro per l’Italia, il 48 per cento rispondeva “un asino”,il 23 per cento “un mulo”, e solo il 14 per cento rispondeva “uncavallo bianco”, al quale forse si potevano aggiungere un 8 percento che rispondeva “una tigre” e un 4 per cento che risponde-va “un toro”. Servio Tulliolo fece l’ultimo disperato tentativo.

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Ma vedi, disse, l’asino, l’asinello, è il simbolo di Mortadella. Sele gente immagina te che lo cavalchi vuol dire che tu gli sei supe-riore, che ci monti addirittura sopra e lo porti dove vuoi.Insomma, ti vede come il dominatore, è chiarissimo. E il mulo,scusa, il mulo − aggiunse Sulpicio − è il simbolo della fatica, del-l’umiltà. Se tanti lo indicano, associandolo a te, vuol dire che nellagente ha sfondato l’immagine del presidente operaio.

Silviolo ebbe la poderosa tentazione di prendere tutti a calcinel sedere. Ma che fesserie state dicendo!, li apostrofò scrutan-doli circolarmente negli occhi, con l’esclusione di Marcello, conil quale non se lo sarebbe mai potuto permettere per via di anti-che gratitudini. Giuliano per la paura inghiottì di corsa un supplìche aveva appena estratto dal taschino della giacca. Ma di checianciate sulla mia pelle, continuò lui quasi sprezzante, che poisono io che pagherei per tutti, io che pagherei il prezzo dellevostre minchionerie. Abbassarono tutti il viso come chierichetticontriti, in attesa di sentirsi annunciare subito, lì nel meetingpoint, la strategia alternativa. Silviolo lo capì. E anche se nonaveva ancora messo a punto una vera strategia, la annunciò lostesso, come il suo ruolo di capo gli richiedeva. “Farò il girod’Italia in elicottero” disse di colpo.

Fu un trionfo immediato. “Grandioso”, disse uno. “Sublime”squittì un altro. “Geniale”, decretò un altro ancora, in un turbinioindistinto di lodi e assensi. Altro che Mortadella con il suo Tir,costretto a viaggiare terra terra. Tu, lo lusingò Servio Tulliolo, tiinnalzerai sopra tutti e dall’alto tutto vedrai. Nessuno, aggiunsebofonchiando come quando si faceva spiritoso, potrà dire chenon vedi oltre il tuo naso. A quella battuta risero tutti, chi più chimeno esageratamente. Bisognerà attenzionare bene tutte le piaz-zole di atterraggio, consigliò Azzimino, che aveva ormai assimi-lato il linguaggio del suo Capo. E dove non ce ne sono bisogne-rà cantierare gli spiazzi più adatti, aggiunse Silviolo sempre più

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operativo. Giuliano lanciò anche lo slogan che avrebbe conqui-stato gli italiani: “lassù qualcuno ti ama” propose entusiasta.“L’Italia vola”, lanciò Marcello. Servio Tulliolo, piccato peressersi fatto superare in fantasia dagli altri, rilanciò ricordando lavittoria di George in America. Un messaggio religioso ci vuole,disse, un messaggio religioso. Sentite questo: “Padre nostro chesei nei cieli”. Silviolo si inorgoglì, si pavoneggiò alla sola ideadi vedere quella frase stampata sui manifesti sei per sei in tuttaItalia, poi con finta modestia rispose “forse è troppo, sentirò ilparere di Benedetto”. Accompagnò tutti alla porta che dava sulgiardino, la celebre garden door di Brugherio. La richiuse men-tre dietro di lui passava Priscilla. Alla vista del grembiulinoazzurro la sua mano non si tenne. La sai l’ultima sugli incontinen-ti?, le disse complice muovendole due passi dietro. Lei accennòuno stuzzicante gesto di insofferenza e lui riprese. Allora, ci sonoun incontinente tedesco, un incontinente americano e un inconti-nente comunista... In quel momento suonò il telefono. Era NumaPompilia. Come è andata? Bene, mia cara. Farò il giro d’Italia inelicottero. La schiena anzitutto! E risero di gusto. Certo che pas-serò a trovarti, aggiunse. Anzi, promise, già la prossima settima-na farò cantierare una piazzola d’atterraggio vicino a casa tua.

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