Volte Sottili aReticolari DelGuerra

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CAPITOLO 3 3 VOLTE SOTTILI RETICOLARI IRRIGIDITE CON SISTEMI DI FUNI: CONCETTI GENERALI ED ANALISI DI DUE ESEMPI SIGNIFICATIVI

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CAPITOLO 33

VOLTE SOTTILI RETICOLARI IRRIGIDITE CON SISTEMI DI FUNI: CONCETTI GENERALI ED ANALISI DI DUE ESEMPI SIGNIFICATIVI

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CAPITOLO 3 VOLTE SOTTILI RETICOLARI IRRIGIDITE CON SISTEMI DI FUNI: CONCETTI GENERALI E ANALISI DI DUE ESEMPI SIGNIFICATIVI

La lotta tra gravità e solidità è propriamente l’unico proposito estetico della bella architettura; metterlo variamente in piena evidenza è il suo compito. Tale compito adempie, togliendo a quelle indelebili forze la via più breve del loro soddisfacimento, trattenendole col deviarle. Arthur Schopenhauer

3.1 La fune come elemento strutturale

Le funi sono elementi strutturali a dimensione longitudinale prevalente caratterizzati dal fatto di essere dotati di sola rigidezza estensionale, attiva in stato unilaterale di sollecitazione di trazione.

A causa della mancanza di rigidezza tagliante e flessionale, la fune può trasmettere i carichi agli ancoraggi solo con cambiamenti di forma, e pertanto può essere definito un elemento ipostatico o, più precisamente, a geometria variabile [1].

Figura 1: ipostaticità: la fune assume configurazioni geometriche differenti a seconda dei carichi cui è sottoposta. La configurazione assunta corrisponde, per l’appunto, alla “funicolare” dei carichi

Nel campo dell’ingegneria civile esistono molte tipologie di strutture nelle quali le

funi assumono funzione portante, ad esempio nei ponti sospesi, nelle antenne e nei ponti strallati, nelle tensostrutture1. Pre-tese ed associate ad altri elementi strutturali esse hanno un ruolo importante anche nelle volte sottili.

1 Oltre ovviamente al ruolo che le funi hanno sotto forma di trefoli o cavi nel cemento armato precompresso.

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3.1.1 Rigidezza estensionale di una fune – trattazione di Dishinger

Il comportamento delle funi sotto carico è di tipo non lineare ed unilaterale. In un

diagramma che riporti in ordinata il tiro cui è sottoposta la fune ed in ascissa un parametro di spostamento (ad esempio lo spostamento nella direzione congiungente le estremità della fune, oppure la freccia, oppure lo spostamento orizzontale) esso è descritto da una retta coincidente con la parte negativa dell’asse delle ascisse (rigidezza nulla in compressione) e da una curva tendente ad un asintoto nel quadrante positivo (rigidezza crescente in trazione).

La rigidezza della fune dipende dunque anche dallo stato di tensione, il suo

comportamento essendo di tipo “ad incremento di rigidezza” (hardening), quasi nulla per basse tensioni e via via crescente fino ad arrivare asintoticamente alla rigidezza dell’asta tesa equivalente.

Ciò è dovuto al fatto che la fune non è in grado di assorbire le azioni ad essa trasversali (come il peso proprio se la fune è orizzontale) se non deformandosi per trasferirle sotto forma di sollecitazioni di trazione, non essendo dotata di rigidezza flessionale. Ne consegue che il comportamento di una fune è influenzato anche dalla sua inclinazione rispetto all’orizzontale.

Per descrivere quanto visto sopra occorre ricavare una espressione analitica del modulo di elasticità tangente. Una trattazione sufficientemente approssimata è quella del modulo di Dischinger.

Considerando una fune orizzontale soggetta ad un tiro ed ad un peso uniformemente distribuito g verticale, ed ammettendo che la freccia sia sufficientemente piccola, sì da poter confondere l’equazione della catenaria con quella della parabola, andiamo a imporre l’equilibrio:

0NH =

0)cos( NN =α (eq. orizzontale) gdxdN =)sin(α (eq. verticale)

che con qualche passaggio diventano: 0

21)( NyxN ′+= (1)

21 yyg

dxdN

′+

′= (2)

derivando la (1) rispetto ad x ed uguagliando

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alla (2) otteniamo l’espressione del tiro in funzione della curvatura e, con due integrazioni, l’equazione della deformata:

ygNo ′′

= )(2 0

LxxNgy −=

La deformata è una parabola a causa delle semplificazioni fatte. Scrivendo il peso proprio g come prodotto del peso specifico dell’acciaio per la sezione del cavo ss Ag γ= , ed imponendo una deformazione xd , andiamo a scrivere il teorema dei lavori virtuali:

∫∫ =≡=⋅++v ikik

LdVILELdxdygxddNN εσ....)()(

000

che, dopo qualche passaggio, porge:

))2

(611()

2(

31)( 22

000 N

gLLdNEA

dNNLdNNgLxddNN o +⋅⋅

+=−+

da cui, chiamando l’allungamento unitario della corda Lxdd D =ε ed approssimando e 00 dNNdNN +≅+ σσ dAdAdN ⋅≅⋅= 00 (ciò è lecito se la freccia è piccola):

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+= E

LLE

dd ssD3

22

122611

σγ

σγσε

da cui si ricava, attraverso la relazione , il modulo di Dischinger: DD dEd εσ =

σσγ

σγ ELL

EEss

D2

231

2611 ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛+

=

Tale modulo è pari a quello di un’asta equivalente lungo la direzione della corda della fune. Osserviamo che per tensioni molto basse la rigidezza tende ad annullarsi, mentre per tensioni alte essa tende asintoticamente al modulo del materiale:

0)0lim( =→ DEσ EE D =∞→ )lim(σL’espressione trovata rimane inalterata anche se

consideriamo una fune inclinata (con estremità a livello differente), purché come lunghezza della corda si assuma la sua proiezione sul piano orizzontale.

3.1.2 Il ruolo della pretensione

Osservando l’equazione del modulo elastico fittizio riportata nel paragrafo precedente

è facile intuire subito i vantaggi della pretensione (maggiore rigidezza e minore variabilità della stessa) legati al comportamento tipo hardening. In realtà, anche in presenza di un comportamento elastico lineare la pretensione ha un ruolo favorevole. Essa infatti è un modo per trasformare indesiderate sollecitazioni di compressione in sollecitazioni di trazione.

Consideriamo infatti una fune verticale ( ) ancorata alle due estremità e sottoposta ad una azione verticale F agente a metà altezza. Se la fune non è pretesa, a causa

EEL D =⇒= 0

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della mancata rigidezza a compressione la sola parte superiore della fune contrasterà tale forza, la parte inferiore andrà in banda.

In presenza di un certo grado di pretensione invece, non solo entrambe le parti collaboreranno a contrastare tale forza fino ad esaurire la pretensione nella parte inferiore, ma, superato tale limite, a parità di deformazione la parte superiore assorbirà una forza doppia (potremmo dire che il cavo “conserva memoria” della pretensione).

Figura 2: da sinistra verso destra: una fune in compressione non sopporta alcun carico; una fune può essere utilizzata per sospendere un carico; in assenza di pretensione, tutto il carico va sulla parte superiore; a seguito della pretensione, metà carico va sulla parte superiore, metà va a scaricare la parte inferiore; con la pretensione il carico è raddoppiato a parità di deformazione; il diagramma forza-spostamento mette in evidenza la differenza tra fune con e senza pretensione.

Nelle strutture dell’ingegneria civile le funi sono quasi sempre pre-sollecitate, a volte

la presollecitazione è imposta in modo tale che non venga mai meno neanche in condizioni ultime. Per questo spesso è possibile, con sufficiente approssimazione, utilizzare nei calcoli un modulo di rigidezza costante.

In ogni caso, occorre considerare che le funi hanno un modulo di rigidezza apparente comunque inferiore a quello del materiale di cui sono costituite, per il fatto di essere formate da più fili intrecciati a elica che, tesati, si avvicinano tra di loro determinando una quota di deformazione longitudinale aggiuntiva.

Conviene perciò rifarsi ai cataloghi delle ditte produttrici, che forniscono il valore medio del modulo di rigidezza apparente ed il valore minimo della tensione nominale di rottura. Le tipologie di cavo più utilizzate sono i trefoli spiroidali, che in genere2 hanno un modulo di rigidezza intorno ai 140 2mmkN ed una tensione nominale di rottura intorno a 1800MPa, e le funi spiroidali chiuse, dal modulo di circa 170 2mmkN .

C’è da aggiungere che le funi subiscono un cedimento anelastico all’atto della messa in tensione, ma ciò non costituisce un problema perché esse vengono collaudate con tutti gli accessori di collegamento direttamente in stabilimento, mediante cicli di pretensione della fune al 50% del carico nominale di rottura.

2 I valori variano anche in funzione delle dimensioni e del numero di fili per trefolo

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3.1.3 Le tensostrutture

Il senso stesso delle tensostrutture è quello di impiegare i materiali al massimo delle

proprie capacità di resistenza, instaurando esclusivamente sforzi di trazione, eliminando cioè le sollecitazioni flessionali, che comportano un grosso “spreco” di materiale, e le sollecitazioni di compressione, che obbligano a sovradimensionare gli elementi strutturali rispetto alle esigenze di resistenza, a causa dei fenomeni di instabilità.

Sfruttare la resistenza del materiale nella maniera più adeguata significa alleggerire al massimo la struttura, abbassando quanto più possibile il rapporto peso portante/peso portato. Le tensostrutture rappresentano le strutture leggere per eccellenza e, pur essendo state intuitivamente comprese ed utilizzate sin dai primordi della civiltà (una tenda non è che un semplice esempio di tensostruttura), esse hanno trovato una vera comprensione ed una importante evoluzione solo dopo la metà del secolo scorso, a seguito dello sviluppo scientifico e tecnologico che ha fornito, da un lato, materiali ad elevato rapporto resistenza/peso quali gli acciai ad alta resistenza, e, dall’altro, i mezzi teorici e computazionali per far fronte alle nuove problematiche strutturali che tali strutture pongono (come ad esempio l’instabilità aeroelastica).

Se i vantaggi delle tensostrutture sono di per sé evidenti (ottimo sfruttamento dei materiali, possibilità di coprire grandi luci, ottimo comportamento nei confronti delle azioni sismiche e dei cedimenti vincolari, libertà formale), occorre comunque tener conto di due considerazioni importanti:

La prima è la elevata deformabilità di questa tipologia di strutture, legata essenzialmente alla sua ipostaticità o mancanza di forma propria. Tale deformabilità impone, oltre ad un attento studio, anche l’adozione di elementi di stabilizzazione, che possono andare dai carichi appesi come nei ponti sospesi, a sistemi complessi di funi pre-tese a curvature contrapposte. In ogni caso, in questa necessaria funzione di stabilizzazione si “spendono” buona parte delle risorse di resistenza dei materiali.

La seconda considerazione è che non si può parlare di “tensostruttura” isolata, ma piuttosto occorre considerare il “sistema strutturale integrale” dato da questa più le strutture di bordo e/o di ancoraggio, le quali possono influenzare notevolmente il progetto essendo spesso sottoposte a compressione e/o flessione o comunque ad azioni che necessitano di elementi di grandi dimensioni (come puntoni o complessi sistemi di ancoraggio).

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3.1.4 I metodi per la stabilizzazione e l’ irrigidimento delle tensostrutture

La intrinseca ipostaticità geometrica delle tensostrutture impone di ricorrere a dei

sistemi di stabilizzazione; essi si dividono per lo più in tre grandi famiglie (anche se non mancano dei sistemi misti):

Metodi di stabilizzazione per accoppiamento con elementi dotati di rigidezza flessionale: la tensostruttura viene connessa ad elementi flessionalmente rigidi, quali archi o travi; è il caso ad esempio dei ponti sospesi, dove l’impalcato può essere anche torsio-rigido per contrastare azioni trasversali ed instabilità flesso-torsionali; concettualmente analoghi ma con sollecitazioni invertite sono i ponti ad arco con impalcato rigido tipo Maillart.

Stabilizzazione a gravità: viene sfruttato il peso permanente di elementi connessi alla tensostruttura per contenere le deformazioni causate da carichi asimmetrici; tali elementi devono avere un peso permanente superiore ai più grandi carichi accidentali; con questo metodo sono realizzate alcune coperture, stabilizzate sia con elementi discreti, sia con elementi continui come gusci in calcestruzzo cementizio (in tal caso sfruttando anche una certa rigidezza flessionale)

Stabilizzazione a mezzo di pretensione: è il metodo in genere più economico e, quindi, più usato; consiste essenzialmente nell’introdurre una rigidezza artificiale attraverso una adeguata pretensione iniziale. In genere essa si realizza introducendo, in aggiunta alle funi portanti con curvatura rivolta verso l’alto, altre funi “stabilizzanti” o “di tensione” a curvatura rivolta verso il basso: dal mutuo contrasto di questi due ordini di funi pretese si ottiene una valida opposizione alla deformazione. Questo principio può essere applicato a sistemi piani di funi, nel qual caso si fa distinzione tra sistema “aperto” con fune portante disposta superiormente ed elementi di collegamento tesi, e sistema “chiuso” con fune portante disposta inferiormente ed elementi di collegamento compressi. Funi portanti e funi stabilizzanti possono anche essere disposte in piani distinti (in genere verticali intersecantisi ad angolo retto) a formare un sistema spaziale, ottenendo superficî a curvatura gaussiana negativa3. In ogni caso il ruolo della pretensione iniziale del sistema resta fondamentale, ed essa deve essere calcolata opportunamente in modo da garantire anche nei casi di carico più gravosi un residuo di tensione nelle funi stabilizzanti. Resta infine da osservare che in caso di combinazioni di carico con depressioni consistenti causate dal vento le funi portanti e quelle stabilizzanti possono scambiarsi di ruolo.

Figura 3: dall'alto verso il basso: sistema aperto, sistema chiuso, sistema misto, sistema spaziale

3 per la definizione di curvatura gaussiana vedi nota 1 capitolo V

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3.1.5 Form-finding: progettazione dello stato geometrico-tensionale iniziale

Una fune, che può essere considerata come una successione di nodi articolati, si

dispone automaticamente secondo il naturale flusso delle forze, identificato dalla funicolare dei carichi. Vi è dunque un chiaro rapporto tra configurazione geometrica e carichi applicati. Così, ad esempio, sottoposta ad un carico uniformemente distribuito si dispone secondo una parabola, sottoposta invece al peso proprio assume una geometria a catenaria, sotto un carico concentrato è una bilatera, etc.. Risulta pertanto necessario trovare la sua forma geometrica iniziale, lo stato “0” nel quale essa è sottoposta al solo peso proprio e ad eventuali pre-sollecitazioni. Trovata tale configurazione iniziale, si può poi procedere con l’analisi delle varie storie di carico.

Allo stesso modo di una fune isolata, anche una più complessa tensostruttura richiede la definizione della sua configurazione geometrica iniziale. E’ un modo di procedere alquanto differente dalla tradizionale impostazione di progetto, che vede la geometria strutturale come dato noto del problema.

Il metodo più immediato per ottenere una struttura sottoposta ad esclusive sollecitazioni di trazione è creare un modello in scala, costituito da elementi privi di rigidezza flessionale (reti di cavi, tessuti, etc..), dotarlo degli opportuni vincoli al contorno e lasciarlo, appeso, sottoposto al peso proprio. Una tensostruttura appesa di questo tipo però, floscia, non è ammissibile nell’ingegneria civile, in quanto per carichi diversamente distribuiti – anche di poco – rispetto al peso proprio, tenderebbe ad assumere un’altra configurazione; è necessario pertanto introdurre sistemi di irrigidimento (vedi sopra).

Non si tratta quindi più soltanto di determinare una configurazione geometrica “naturale”, bensì [1] “di determinare una configurazione geometrica associata ad uno stato coattivo di pre-trazione, che permetta di soddisfare l’equilibrio statico in ogni parte della struttura, e sia idonea a garantire la stabilità statica e dinamica nelle diverse condizioni di carico”.

Il modello in scala ridotta perciò diventa più complesso, poiché, oltre alla geometria, deve considerare lo stato tensionale imposto. In passato sono stati implementati ed utilizzati metodi che potessero tenere conto di uno stato tensionale imposto oltre a quello dato dal peso proprio: ad esempio i modelli a “bolle di sapone” con le quali, dato un certo contorno, si ottengono superficî sottoposte ad uno stato tensionale uniforme, grazie al fenomeno fisico della tensione superficiale (superficî minime a parità di perimetro spaziale chiuso); oppure i modelli in fili di acciaio armonico, che possono essere pretesi e dotati di estensimetri. Oggi però tali metodi, a causa della loro imprecisione e del loro costo, non sono più utilizzati, se non nella fase di definizione architettonica di massima.

Oggi si impiegano modelli di tipo matematico, che si dividono tra quelli con trattazione al continuo, in base alla teoria delle membrane, e quelli con trattazione agli elementi finiti, questi ultimi meglio implementabili al computer4 e più versatili.

4 In particolare, il metodo del Rilassamento Dinamico si presta molto bene ad essere impiegato in questo senso

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3.2 Le volte sottili

Le volte (e le cupole) sottili sono elementi portanti che sfruttano la loro geometria

curva (a singola o a doppia curvatura)5 per lavorare, se caricate, come intere superficî portanti, con prevalenza di tensioni e sforzi membranali, ovvero agenti nel piano medio della superficie.

Possono avere diverse forme: si hanno le cupole, o lastre di rivoluzione; le volte cilindriche o a botte; le coperture a facce piane; le lastre a doppia curvatura; le coperture ottenute per unioni di parti di volte a botte, quali ad esempio le volte a crociera e le volte a padiglione.

Di fatto le volte sottili sono delle lastre curve, nelle quali il regime membranale si accompagna a sollecitazioni perpendicolari al piano medio che non sono trascurabili. Ciononostante, il loro preliminare studio come membrane esenti da sollecitazioni di tipo flessionale permette di comprenderne il funzionamento e il flusso di forze globale.

3.2.1 Il comportamento a membrana

Le membrane [2] sono strutture laminari sottilissime, in pratica prive di rigidezza a

flessione e torsione, e perciò soggette in ogni punto soltanto a sforzi agenti nel piano tangente. Nelle membrane curve le deformazioni elastiche non hanno una sensibile influenza

sugli sforzi (a meno di casi di non linearità geometriche o materiali particolarmente deformabili), e l’equilibrio sussiste anche in assenza di deformazioni. Perciò si possono considerare in prima approssimazione inestensibili, e per calcolare gli sforzi bastano le condizioni di equilibrio, per cui il problema è staticamente internamente determinato.

Nei casi generali di forze non simmetriche e/o membrane di forma qualsiasi il problema richiede comunque la risoluzione di un sistema di equazioni alle derivate parziali, ma nel caso di membrane aventi la forma di una superficie di rivoluzione e caricate con simmetria radiale, le equazioni assumono una forma particolarmente semplice e significativa.

In ogni punto di una qualsiasi membrana si ha uno stato piano di tensione, esistono cioè le sole tensioni di membrana ),( yxxσ , ),( yxyσ , ),( yxxyτ , uniformi nello spessore e perciò sostituibili con le loro risultanti , , detti sforzi di membrana e relative all’intero spessore ed alla larghezza unitaria (dove il piano xy è quello tangente in quel punto alla superficie media della membrana).

),( yxS x ),( yxS y ),( yxTxy

Nel caso di assial-simmetria, Txy=0 e gli sforzi di membrana si riducono a S1 orientati secondo i meridiani ed S2 secondo i paralleli. Consideriamo di sezionare la membrana dotata di asse di simmetria rotazionale con una superficie conica coassiale e

5 ma anche superfici a facce piane opportunamente accostate

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normale ai meridiani. La risultante verticale Q delle azioni che agiscono sulla parte superiore è equilibrata dagli sforzi S1 distribuiti sul parallelo di raggio r in corrispondenza della sezione. Si ha perciò la seguente relazione:

)sin(21 ϑπ ⋅⋅−=

rQS (1)

dove ϑ (colatitudine) è l’angolo che la tangente al meridiano fa con l’orizzontale, ovvero il semiangolo di apertura del cono. Gli sforzi di membrana S1 sono indipendenti da S2 e distribuiti uniformemente lungo il parallelo.

Consideriamo quindi un elemento infinitesimo abcd di membrana, limitato da due meridiani ab e cd di lunghezza ϑdRdl ⋅= 11 , e da due paralleli ac e bd di lunghezza rispettivamente pari a ψdrdl ⋅=2 e

, dove R22 dlld ≅′ 1 è il raggio di curvatura del meridiano nell’intorno dell’elemento, ed R2 la distanza del parallelo dal vertice del cono coassiale di sezione. Per l’equilibrio dell’elemento abcd in direzione della normale z alla superficie media della membrana, indicando con Z la risultante delle forze esterne, si ottiene, dopo qualche passaggio, l’equazione:

1

2122 R

RSRZS −⋅= (2)

Si può osservare come le strisce disposte secondo i paralleli siano in grado di funzionare come funicolari di una forza radiale uniforme, che assorbe una quota radiale delle forze esterne. Più precisamente questa quota radiale assorbita è tale da lasciare alle strisce meridiane (qualunque sia la forma del meridiano) quelle forze delle quali esse sono la funicolare. In pratica sussiste una azione di “cerchiamento”, delle strisce disposte secondo i paralleli nei confronti delle strisce meridiane, azione che fa sì che queste ultime siano in grado di sopportare le forze esterne nonostante la loro rigidezza nulla o piccolissima. Dalla (1) e dalla (2) si può anche osservare che variazioni termiche distribuite con simmetria radiale e variabili con continuità lungo i meridiani non provocano sforzi. In generale si può dire che una membrana è sempre in equilibrio qualunque sia la sua forma e quali che siano le forze esterne, e che l’equilibrio è possibile anche coi soli sforzi di membrana, ad esclusione di eventuali sollecitazioni locali. Le sollecitazioni locali che alterano il regime di membrana possono essere date da forze concentrate o, più in generale, da tutte quelle azioni – incluse le variazioni termiche – che abbiano una distribuzione che presenta delle discontinuità. Le condizioni di vincolo poi sono molto importanti, poiché, per conservare il regime di membrana fino al bordo, occorre che quest’ultimo sia vincolato in modo da non alterare gli sforzi che si avrebbero con

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membrana estesa indefinitamente. In altre parole, le reazioni dei vincoli non devono avere componenti nella direzione z normale alla superficie della membrana, né un momento rispetto alla tangente al contorno. In ogni caso, queste sollecitazioni che alterano localmente il regime membranale non si trasmettono a notevoli distanze dal luogo di origine, smorzandosi rapidamente al crescere della distanza6, e lasciano praticamente inalterato il regime degli sforzi nella maggior parte della membrana [2]. Possono tuttavia provocare tensioni locali pericolose.

3.2.2 La ricerca della forma ottimale quale anti-funicolare dei carichi

Un metodo per individuare geometrie staticamente efficaci

per strutture spaziali che lavorano prevalentemente in compressione è quello di creare un modello “rovescio” costituito da masse distribuite su elementi flessibili – quali funi e tessuti – opportunamente vincolati, sottoposte all’azione di gravità. Si ottiene infatti una geometria che, invertita, corrisponde alla funicolare del sistema di forze relativo alla particolare combinazione di carichi introdotta nel modello attraverso le masse distribuite.

Abbiamo visto in un precedente paragrafo che non è lecito procedere in tal modo per la determinazione dello stato “0” di tensostrutture; ma nel caso di membrane resistenti anche a compressione, dotate di forma propria7, l’utilizzo di modelli “appesi” risulta uno strumento pienamente valido per guidare il progettista nella definizione di una geometria ottimale. Questo perché strutture resistenti a compressione necessitano di una certa rigidezza flessionale (conferita per geometria o per massa) per evitare fenomeni di instabilità. Questa stessa rigidezza conferisce stabilità di forma, ed è sfruttabile per assorbire quelle sollecitazioni flettenti, che inevitabilmente si producono per combinazioni di carico distinte da quella utilizzata per determinare la forma ottimale. Inoltre strutture laminari resistenti a compressione sono, seppur leggere, comunque più pesanti di tensostrutture, e l’importanza relativa dei carichi accidentali (variabili) rispetto a quelli permanenti diminuisce, diminuendo di conseguenza le differenze tra le varie possibili configurazioni della funicolare dei carichi.

6 questo vale tanto più, quanto minore è lo spessore della membrana reale e, conseguentemente, la sua rigidezza flessionale. 7 Si osservi che la pretensione iniziale delle tensostrutture è necessaria affinchè esse siano in grado di assorbire sollecitazioni di compressione, traducendole in una perdita di pretensione: in pratica in questo modo si riconduce il comportamento delle stesse a quello di membrane curve, resistenti sia a trazione che compressione, e per questo motivo dotate di forma propria e non più ipostatiche.

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Questo metodo di ricerca della forma quale anti-funicolare dei carichi è stato utilizzato con successo anche in passato (famosi sono ad esempio i complessi modelli del catalano Gaudì). Nel caso più semplice di volte a singola curvatura appoggiate lungo i lati longitudinali (volte a botte), per carichi uniformemente distribuiti lungo le generatrici, il problema si riconduce ad individuare la funicolare piana della direttrice. Ad esempio, per volte di spessore costante sottoposte al peso proprio, la direttrice ideale corrisponde ad una catenaria; se invece la distribuzione di carico è verticale uniforme, la funicolare è una parabola; nel caso di azioni distribuite uniformemente e perpendicolari al piano medio della volta (come ad esempio il vento pensato agire in maniera uniforme) la funicolare corrisponde ad un arco di cerchio.

Se la direttrice è una funicolare del carico, la volta a botte funziona come una serie di archi in parallelo indipendenti tra loro. In caso contrario, mentre in un arco isolato si istaurerebbero delle sollecitazioni flettenti, in una volta sottile ideale (ovvero con i vincoli che instaurano quel regime di sforzi che si avrebbe se la stessa fosse illimitata lateralmente) l’equilibrio è sempre assicurato dal solo regime di membrana, ma, insieme agli sforzi S2 lungdegli sforzi taglianti T

o le direttrici, si istaurano anche 12 che tendono a riportare le azioni verso i timpani (funzionamento a

trave).

Figura 4: a sin: comportamento a trave di una volta sottile con timpani rigidi; a dxt: forme ottenute con modelli pneumatici.

Si osserva infine che spesso sono le considerazioni riguardo l’instabilità locale che governano il progetto geometrico. In tal caso è importante ad esempio che tutta la superficie abbia una certa curvatura minima. Forme adeguate possono essere trovate con modelli pneumatici vincolati in maniera opportuna da cavi [3].

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3.2.3 Le volte sottili in calcestruzzo

Le volte sottili in calcestruzzo sono una

tipologia strutturale di grande suggestione. Esse hanno avuto un discreto successo nel campo dell’ingegneria strutturale – nonostante le problematiche legate al loro calcolo – fino al secondo dopoguerra, grazie alle consistenti economie di materiale che è possibile conseguire sfruttando la superficie portante e disponendo le armature nel modo più opportuno.

Sono state – purtroppo – abbandonate quando l’accresciuto costo del lavoro le ha rese anti-economiche, a causa delle complesse centine e dell’elevata cura che richiedono in fase di getto. Ciò paradossalmente è avvenuto quando lo sviluppo dell’informatica ha risolto molti dei problemi legati al loro calcolo e dimensionamento.

Per descrivere le potenzialità anche estetiche delle volte sottili, basti pensare ad uno dei capolavori assoluti dell’architettura strutturale, il Frontón Recoletos di Madrid, opera realizzata nel 1935 dal celebre ingegnere Eduardo Torroja [4], e purtroppo abbattuta a seguito di danni subiti durante la guerra civile spagnola.

Tale edificio, progettato per ospitare un campo da gara della pelota basca, era caratterizzato principalmente da una grande copertura asimmetrica formata dall’unione di due volte cilindriche di luce diversa e di lunghezza 55 metri, dallo spessore di soli 8 centimetri e prive di rinforzi o irrigidimenti intermedi.

Figura 5: sin: la volta dal profilo asimmetrico; dxt: comportamento ad archi affiancati e comportamento a trave, quest’ultimo reso possibile dalla presenza di timpani rigidi.

Il particolare profilo asimmetrico, dettato da questioni di organizzazione degli spazî e

di illuminazione, tende a negare alle forze il loro soddisfacimento più rapido attraverso un comportamento ad arco, e fa sì che la copertura scarichi essenzialmente sui muri frontali, secondo un comportamento a mega-trave, e solo in misura ridotta su quelli laterali, che possono essere così alleggeriti al massimo e dotati di aperture estese longitudinalmente.

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L’effetto di insieme, di grande semplicità ed eleganza, oltre ad essere mirabile per l’integrazione degli aspetti architettonici, funzionali e strutturali, lascia sbalordito il profano, e grandemente ammirato chiunque abbia dei rudimenti in tema di superficî portanti. Veri e propri virtuosismi sono gli enormi lucernarî longitudinali, realizzati sostituendo la superficie continua della volta con un sistema reticolare di aste in cemento armato, a maglie triangolari per meglio sopportare le consistenti azioni di taglio e trasferirle verso i muri di estremità.

Le intuizioni strutturali del progettista vennero da lui successivamente comprovate con una estesa e complessa relazione di calcolo8, e da una attenta sperimentazione eseguita su un modello in scala 1:10.

Figura 6: a sin: sezione trasversale del Frontón Recoletos, con particolari delle armature; al centro: alcune tipologie di strutture laminari; a dxt: pareti e coperture laminari in un’opera di Dieste.

Oggi coperture di questo tipo trovano ben rara applicazione per i motivi detti sopra, anche se alcuni validi progettisti hanno trovato soluzioni economiche per poterle riproporre in tempi recenti. Tra essi, l’ingegnere svizzero Heinz Isler, che ha perfezionato le casserature e semplificato le operazioni di getto del calcestruzzo, e l’ingegnere costruttore Eladio Dieste, il quale, utilizzando volte in laterizio armato e sfruttando la manodopera a basso costo del suo paese, l’Uruguay, ha concepito e realizzato strutture laminari di particolare interesse e bellezza. 8 E.Torroja, “Comprobacion y Comportamento de una Estructura Laminar”, Memorias de la Real Academia de Cencias Exactas, Físicas y Naturales de Madrid, Tomo III (1942), pp.10-168

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3.2.4 Le cupole Schwedler e le cupole Dywidag

All’ingegnere tedesco J.M.Schwedler si deve

l’invenzione, nella seconda metà dell’ottocento, della cupola reticolare, che consiste in pratica nell’estensione alla superficie tridimensionale del concetto della trave reticolare piana. Tale cupola è

composta da due ordini di aste, lungo i meridiani e lungo i paralleli, che intersecandosi danno luogo a maglie quadrangolari, triangolarizzate per mezzo di aste diagonali. Queste ultime hanno il ruolo di irrigidire la maglia e stabilizzare nel complesso la copertura nei confronti delle azioni prive di simmetria radiale.

La differenza rispetto ad altre cupole costituite da elementi discreti è la presa di coscienza dell’esistenza di azioni membranali di taglio, precedentemente assorbite da elementi secondarî9, qui razionalmente contrastate dalle aste diagonali.

Molti degli accorgimenti e delle soluzioni adottate da Schwedler sono poi state utilizzate successivamente, aprendo la strada alla creazione di involucri comunque curvi spazialmente e costituiti da combinazioni di aste metalliche rettilinee.

Un importante apporto allo sviluppo di coperture leggere è dovuto alla ditta Dywidag, che negli anni venti del novecento realizzò cupole estremamente sottili, con reticoli metallici destinati ad essere conglobati ed ulteriormente irrigiditi in un getto di calcestruzzo di ridottissimo spessore (6cm). Tali cupole sorpresero all’epoca i tecnici per la straordinaria stabilità di forma (vedi figura) del leggerissimo reticolo metallico ancora privo del getto di calcestruzzo di completamento.

3.2.5 Le volte sottili costituite da elementi discreti

La superficie portante continua di una volta sottile può essere sostituita con un reticolo di aste, così come una trave reticolare può sostituire una trave piena. Volte sottili reticolari possono essere in calcestruzzo armato (come i lucernarî del Frontón Recoletos), ma più frequentemente in materiali metallici.

Oggi stiamo assistendo ad un positivo ritorno all’utilizzo delle volte sottili, non più sotto forma di superfici continue in calcestruzzo armato, bensì sotto forma di reticoli spaziali di aste

9 vedi capitolo 1

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 67

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in acciaio. Tali tipologie di coperture sono indicate nella letteratura anglosassone col nome di single layer grid shells (lett. “gusci reticolari monostrato”).

Gli elementi strutturali sono le aste, collegate tra di loro attraverso dei nodi; esse possono essere curve per seguire fedelmente la superficie, oppure, più semplicemente e più comunemente, approssimarla con delle spezzate; l’insieme più piccolo di aste che, connesse, costituiscono una linea chiusa, forma una maglia; gli spazî lasciati vuoti possono essere coperti con pannelli, piani o curvi, la cui geometria dipende da quella della maglia.

I vantaggi che derivano dall’utilizzo di eleme

i divid

aglie triangolari sono più rigide e possono essere adattate a qualsiasi superficie dopp

pertanto devono avere nodi

nti discreti assemblati in opera sono dati dal risparmio sulla casseratura, dalla semplificazione delle operazioni da svolgere in cantiere, ma soprattutto dalla maggiore libertà espressiva che le strutture reticolari presentano, grazie alla possibilità ad esempio di coprire le maglie con pannelli trasparenti.

Le volte reticolari sono in base alla geometria

della maglia, che può essere triangolare o quadrangolare, ed in base alle condizioni di appoggio ed alla forma della superficie. Tutti e tre questi elementi (forma, appoggi, tipo e direzione della maglia) influenzano molto il comportamento statico. Ad esempio, all’imaglie quadrangolari, si possono individuare almeno cinque distinti casi, ciascuno con un differente comportamento sotto carico, dovuto alle diverse condizioni di appoggio: si parlerà di volta ad archi affiancati (a) qualora l’appoggio sia esclusivamente lungo i lati longitudinali; di volta a trave qualora esso sia esclusivamente in corrispondenza dei timpani, e potrà essere lunga (b) o corta (c) a seconda della distanza tra i timpani rispetto alla luce coperta; di volta a guscio appoggiata agli angoli (d) qualora il sostegno sia solo in corrispondenza dei quattro angoli; di volta a guscio appoggiata ai bordi (e) quando il sostegno è distribuito lungo tutto il contorno.

Le m

a) b) c)

d) e)

nterno della sola tipologia di volte a botte reticolari a

iamente curva. Per contro, presentano dettagli più complessi (nodi a sei bracci) e pannelli triangolari, dal comportamento staticamente meno efficace nei confronti delle azioni fuori dal piano (perciò più costosi perché necessariamente più spessi).

Le maglie quadrangolari sarebbero labili se incernierate ai nodi erigidi nel piano o, più efficacemente, essere dotate di diagonali oppure pannelli portanti

resistenti a taglio. Inoltre, non tutte le superfici sono discretizzabili con maglie quadrangolari piane poiché i quattro vertici possono non giacere nello stesso piano. I punti di forza invece sono la minore complessità dei nodi (a quattro bracci) e l’utilizzo di pannelli quadrangolari, staticamente più efficaci e meno costosi.

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 68

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Consistenti vantaggi economici si hanno perseguendo la standardizzazione dei pezzi. Uno degli obiettivi progettuali quindi è quello di ottenere un numero quanto più ridotto possibile di pezzi differenti (in particolare le aste, i nodi, i pannelli), anche se oggi, con le tecniche C.A.D./C.A.M. e le macchine a controllo numerico, è più facile produrre molti pezzi complessi diversi.

3.2.6 Il ruolo dei cavi pretesi nelle volte sottili reticolari

Funi e cavi possono avere un ruolo importante anche nelle volte sottili reticolari. In

particolare, svolgono tre funzioni principali: irrigidire la volta nel suo piano; creare un effetto di “cerchiatura” precomprimendola radialmente; irrigidire la volta fuori dal suo piano conservandone la forma.

Funzione di irrigidimento della volta nel suo piano medio. Le diagonali delle maglie quadrangolari possono essere efficacemente realizzate con cavi, passanti da maglia a maglia e opportunamente vincolati in corrispondenza dei nodi. Anche con nodi a cerniera, la presenza dei cavi disposti secondo le diagonali permette il trasferimento delle azioni di taglio. Grazie alla presollecitazione dei cavi, che mette in trazione gli stessi e precomprime le aste, entrambi i cavi collaborano al trasferimento delle azioni taglianti, e le maglie costituenti la superficie della volta risultano così più rigide.

Funzione di precompressione radiale. La curvatura dei cavi disposti lungo la

superficie della volta fa sì che, una volta tesati, essi impongano una precompressione di tipo radiale alla volta, precompressione che tende a centrare la funicolare dei carichi.

Funzione di diaframma (irrigidimento della volta fuori dal piano / conservazione della forma). I cavi possono essere disposti esternamente alla superficie della volta, in genere con la funzione di irrigidire localmente la volta stessa, in modo da creare dei

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diaframmi. Questi ultimi hanno il compito di assicurare la conservazione della forma della volta sotto l’azione dei carichi (in particolare nel caso di geometrie sviluppabili quali la volta a botte). Inoltre, hanno anche il ruolo di creare una zona più rigida verso la quale convergono le azioni taglianti, ovvero svolgono il ruolo di timpani rigidi. Tali diaframmi possono essere formati da stralli disposti spazialmente, oppure da travi di funi, o ancora da opportune disposizioni piane di cavi a ventaglio.

Figura 7: a sin: diaframmi ottenuti con stralli disposti spazialmente; al centro: diaframma costituito da funi disposte a ventaglio; a dxt: diaframma costituito da una trave di funi.

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3.2.7 L’instabilità di quarta specie o di tipo “snap through”

Il comportamento delle membrane compresse è tipicamente caratterizzato da una

diminuzione della rigidezza al crescere del carico (softening). La deformazione progressiva della struttura infatti fa sì che la sollecitazione interna cresca più rapidamente del carico interno, finché ad un certo punto questa continua a crescere spontaneamente, facendo crescere anche la deformazione, pur in assenza di carico.

Per semplicità, consideriamo [5] il caso di due puntoni inclinati, articolati tra loro e col suolo, e caricati nel vertice da una forza verticale P(vedi figura).

Lo sforzo di compressione N nei puntoni è molto maggiore di P, inoltre l’abbassamento d del vertice è molto maggiore dell’accorciamento dei puntoni; per cui questo abbassamento non è piccolissimo rispetto alla piccola freccia iniziale f0, e la fa diminuire sensibilmente. La diminuzione di f0 fa sì che N sia maggiore dello sforzo N0 che si avrebbe nei puntoni se f0 non diminuisse, e questo fa ulteriormente accorciare i puntoni e aumentare l’abbassamento d del vertice. Ne risulta in definitiva che l’abbassamento del vertice non è proporzionale a P, bensì cresce più rapidamente di P. La rigidezza del sistema va perciò diminuendo, e, nel punto 1, K1 è minore della rigidezza iniziale (K1< K0). Questa tendenza alla diminuzione della rigidezza porta ad un punto in corrispondenza del quale l’abbassamento del vertice tende a diminuire pur in assenza di un incremento della forza esterna P, ciò che significa il raggiungimento del carico critico Pcr, oltre il quale si ha il collasso della struttura. Se si potesse idealmente seguire la deformazione ulteriore della struttura decrementando istantaneamente il carico imposto, osserveremmo una inversione della struttura. Ovvero, dopo l’abbassamento della freccia fino al valore nullo (punto 2) – in corrispondenza del quale anche il carico applicato non potrebbe che essere nullo per questioni di equilibrio – la struttura tenderebbe a disporsi in una configurazione quasi simmetrica di quella iniziale (punto 3), e da qui in poi funzionerebbe in trazione, iniziando ad avere un comportamento stabile ad incremento di rigidezza.

Nei casi reali però il carico non diminuisce in funzione della deformazione, e perciò si assiste ad un passaggio repentino dalla configurazione critica alla configurazione “ribaltata” (secondo la retta tratteggiata nel grafico in figura). Questo fenomeno è definito nella letteratura tecnica anglosassone “snap through” ed è caratterizzato da un rilascio repentino

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dell’energia elastica accumulata. Tale rilascio di energia porta nella generalità dei casi10, al collasso degli elementi coinvolti nel fenomeno, ma può anche coinvolgere gli elementi adiacenti, fino a portare al collasso globale dell’intera struttura o di una larga parte di essa.

Lo studio del fenomeno è dunque di primaria importanza nella progettazione di membrane sollecitate a compressione, specialmente per geometrie fortemente ribassate. D’altra parte, la complessità del fenomeno, e la sua evidente non linearità, obbligano a svolgere analisi di instabilità con softwares specifici, in grado di tener conto dei fenomeni di non linearità geometrica. L’instabilità della struttura è individuata dalla mancata convergenza numerica del calcolo.

3.2.8 L’influenza della rigidezza dei nodi sui fenomeni di instabilità Nel caso di superficî a doppia

curvatura l’equilibrio può essere soddisfatto anche con una struttura monostrato costituita da aste connesse per mezzo di cerniere sferiche. Questo grazie al comportamento a membrana, che prevede più percorsi di trasmissione delle forze secondo sforzi assiali e non richiede perciò l’ausilio della rigidezza

flessionale (come invece nel caso piano o a semplice curvatura, dove strutture incernierate nei nodi sono labili).

Una struttura composta da aste perfettamente incernierate nei nodi non ha però un buon comportamento nei confronti dei fenomeni di instabilità tipo snapping. Per migliorare anche sensibilmente la stabilità di una struttura di questo tipo è pertanto opportuno cercare di ottenere nodi rigidi. In questo modo si ottengono carichi critici più elevati, ed anche un diverso comportamento post-buckling [6], caratterizzato da una diminuzione dell’energia cinetica liberata a seguito dell’instabilità locale (come nel diagramma in figura, nel quale è rappresentato il comportamento della struttura al variare del parametro di rigidezza relativa)11. L’energia associata con il fenomeno di snap-through, misurata dall’area W, è un parametro importante perché omeno: più essa è elevata, più è accentuato l’effetto dinamico

che coinvolge i nodi adiacenti, trasformando l’instabilità locale in una più pericolosa instabilità globale.

determina la pericolosità del fen

10 esistono infatti casi in cui il fenomeno è opportunamente sfruttato e guidato, senza collasso, ma non nel campo di interesse dell’ingegneria civile 11 Per l’esattezza, il diagramma fa riferimento ad una rigidezza k di tipo estensionale, non rotazionale. Ma essa può essere considerata come l’apporto delle altre aste afferenti al nodo di una generica struttura reticolare spaziale. Incrementando la rigidezza flessionale del nodo, aumenta anche la rigidezza nei confronti di una azione verticale e, pertanto, la k del diagramma.

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Sono stati sviluppati negli ultimi anni svariate tipologie di nodo dotate di una certa resistenza e rigidezza nei confronti delle azioni flettenti; una buona panoramica delle soluzioni esistenti (sia bullonate che saldate) è fornita in [7].

3.2.9 L’influenza delle imperfezioni iniziali sui fenomeni di instabilità I gusci reticolari sono strutture molto sensibili alle imperfezioni iniziali. Il carico

critico calcolato su un modello ideale perfetto è sempre consistentemente più grande di quello della struttura reale. Per una sua stima accurata è perciò essenziale mettere in conto le inevitabili imperfezioni iniziali, che possono essere di tipo geometrico, oppure consistere in stati di tensione iniziali o disomogeneità del materiale.

Le imperfezioni geometriche possono riguardare i singoli elementi (mancanza di rettilineità delle aste, tolleranze nella lavorazione dei pezzi, etc..), oppure possono essere dovute al montaggio. Stati di tensione iniziali sono causati dalla lavorazione (laminazione, formatura a freddo, saldature, etc..) oppure diretta conseguenza di distorsioni involontariamente imposte nella fase esecutiva [8,9].

Tener conto di tutti i possibili fattori di imperfezione non è ovviamente possibile, perciò in genere12, per le analisi di instabilità globali, vengono considerate le sole imperfezioni geometriche, sotto forma di campi di spostamento iniziali applicati alle coordinate dei nodi della struttura ideale.

Per una certa entità della imperfezione massima, c’è una forma della distribuzione di imperfezioni iniziali che corrisponde al carico critico. Per trovarla, si può seguire (per ogni combinazione di carico) un processo iterativo di questo tipo [9]: a)calcolare la forma di instabilità della struttura priva di imperfezioni; b)calcolare una geometria iniziale della struttura sommando, alle coordinate dei nodi, gli spostamenti proporzionali alla forma di instabilità trovata; c)calcolare la nuova forma di instabilità ed il nuovo carico critico; d)reiterare il procedimento tra b) e c) finché la differenza del carico critico tra due iterazioni successive risulti sufficientemente piccola.

In realtà questo modo di procedere, molto conservativo, non porta a sostanziali vantaggi, e non è nemmeno corretto in termini di analisi probabilistica (una distribuzione di imperfezioni tale è estremamente improbabile).

Buone approssimazioni, comunque cautelative, si possono ottenere in due modi: Svolgendo prima una analisi modale per trovare la forma dei principali modi di vibrare

della struttura (almeno i primi due), per poi utilizzarla come distribuzione delle imperfezioni iniziali.

Oppure utilizzare come campo di imperfezioni iniziali una distribuzione proporzionale alla deformata della struttura priva di imperfezioni. Questo secondo metodo ha una valenza più generale ed è quello seguito in questo lavoro.

12 Anche nell’Eurocodice 3

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3.3 La copertura del museo di storia della città di Amburgo

Per comprendere meglio il comportamento di una struttura tipo “grid shell” abbiamo

scelto di analizzarne una particolarmente significativa, la copertura del cortile del Museum für Hamburgische Geschichte di Amburgo.

La copertura in questione, già descritta nel capitolo 1, ha una forma ad L ed è costituita da due volte a botte, di cui quella più corta di luce 13.70m e quella più lunga di luce 17.55m, connesse da una zona di transizione a doppia curvatura di forma libera.

3.3.1 La geometria della copertura Per avere dei risultati attendibili, abbiamo ricavato la geometria della struttura dalle

tabelle e dalle sezioni riportate nell’articolo [10] del numero 2-90 della rivista Glasforum.

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Per semplicità, abbiamo considerato solo una parte della copertura, ovvero una sezione della volta a botte di luce maggiore, quella compresa tra due diaframmi di irrigidimento. La geometria della direttrice della volta è data da una spezzata che interpola una curva intermedia

tra una parabola ed una catenaria. La luce L è di 17,55 metri e la freccia f è pari a 5,15 metri, per un rapporto di ribassamento dell’arco pari a f/L=0,293. La lunghezza delle aste, letta come distanza tra due nodi successivi, è pari a 1171 mm. L’arco direttrice della volta è composto da 18 aste, ed il numero di archi considerato è pari a 14, per un totale di 18x13 maglie quadrate che coprono la superficie della volta per una lunghezza complessiva tra i due diaframmi pari a 15,22 metri.

I diaframmi sono costituiti da cavi (cavi di diaframma) disposti a ventaglio a partire dal punto di mezzo della corda degli archi di estremità, verso tutti i nodi dell’arco (19 cavi) con lunghezze variabili da 8,77 metri a 5,15. Due ulteriori cavi connettono il punto centrale del ventaglio ad opportuni ancoraggi disposti più in basso nella muratura. Le maglie quadrangolari hanno diagonali composte da funi (cavi di parete), che non giacciono esattamente nel piano medio delle maglie, bensì ne sono discoste di circa 4 cm, dal lato interno. Gli archi, incernierati alle imposte, appoggiano su una trave corrente lungo tutto il bordo della volta.

3.3.2 Il modello agli elementi finiti Dalla geometria

descritta sopra abbiamo ricavato un modello agli elementi finiti, prestando particolare attenzione alla modellazione dei nodi ed a quella dei vincoli al contorno, utilizzando il programma di calcolo GSA 8.0 della Oasys ed il relativo solutore GSRelax (vedi capitolo 2).

Le aste, costituite da barre piene 40x60 di acciaio Fe 510, sono state modellate con elementi tipo trave (beam). Abbiamo inserito un nodo intermedio per leggere meglio

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 75

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il comportamento deformativo e per avere un modello più preciso per le analisi di instabilità. I cavi di parete, una coppia di trefoli in acciaio inossidabile dal diametro di 6mm, sono

stati sostituiti nel modello da un unico cavo equivalente di area 43mm^2. Abbiamo utilizzato elementi resistenti esclusivamente a sforzi unilaterali di trazione (tie) per descriverne il comportamento, e la funzione pre-stress force per applicare le pretensioni iniziali.

Elementi rigidi (rigid link) connettono nei nodi delle maglie queste ultime con i cavi di parete, simulando l’eccentricità tra i nodi e i baricentri dei morsetti che serrano i cavi.

I cavi di diaframma sono stati modellati con elementi tipo tie, e la pretensione è stata simulata con un accorciamento imposto (lack of fit).

Infine, abbiamo modellato con elementi beam la trave HE160B corrente lungo il bordo e le aste CHS 127/10 che collegano quest’ultima, una ogni 2.5m circa, a travi HE180A che a loro volta scaricano il peso della copertura sui solai dell’edificio.

Per quanto riguarda i vincoli al contorno, occorre fare una distinzione tra l’arco 1 e l’arco 14, i due archi che delimitano la nostra sezione di struttura. Le aste di entrambi gli archi sono state modellate con metà area rispetto alle altre. Lungo l’arco 1, quello lato volta a botte, ai nodi sono stati applicati dei vincoli alla rotazione rispetto all’asse dell’arco (per simmetria) ed intorno alla normale a questo nel piano dell’arco. Lungo l’arco 14, quello dal lato della cupola di forma libera, abbiamo applicato dei vincoli elastici ricavati da un apposito studio di deformabilità della cupola a forma

libera sotto carichi unitarî diversamente orientati (vedi figura). Per l’acciaio ordinario abbiamo assunto nei calcoli un modulo di rigidezza pari a

205GPa, per i cavi invece abbiamo adottato un modulo di rigidezza equivalente medio pari a 130GPa. Il comportamento dei materiali è stato supposto linearmente elastico fino a rottura.

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3.3.3 La scelta del modello del nodo

La modellazione del nodo della

maglia è un aspetto importante perché influenza i risultati del calcolo. Nel nodo convergono quattro aste, e, con una certa eccentricità, i cavi diagonali. Per consentire la connessione, le aste hanno le estremità di sezione ridotta e perciò meno rigide (e a rigore esiste anche una piccola eccentricità). E’ possibile definire il modello del nodo in modo che tenga conto o meno di questi aspetti. Ovviamente, con un modello più complesso si approssima meglio la realtà, ma si hanno maggiori oneri di calcolo.

Nella fase di definizione del modello, abbiamo testato tre soluzioni alternative: il modello 1, il più semplice, non prevede l’eccentricità dei cavi rispetto al nodo né la diminuzione di rigidezza; il modello 2 tiene conto dell’eccentricità inserendo un elemento rigido; il modello 3 infine tiene conto anche della variazione di sezione inserendo altri quattro elementi di rigidezza ridotta in corrispondenza del nodo. Modelli più complessi che tengano conto anche dell’estensione dei morsetti serra-cavo o dell’eccentricità tra i due piani di funi [11] non portano sensibili variazioni, a fronte invece di grossi oneri di calcolo.

Abbiamo infine scelto il modello 2 perché sufficientemente prossimo alla realtà e buon compromesso tra accuratezza ed esigenze di calcolo, il modello 1

risultando troppo semplificato (benché a favore di sicurezza), ed il modello 3 risultando comunque approssimato data la difficoltà di stabilire la lunghezza dei tratti meno rigidi (dipendente anche dall’attrito sviluppato tra le superfici per mezzo dei bulloni). 3.3.4 L’analisi dei carichi

L’analisi dei carichi è stata svolta secondo le indicazioni dell’Eurocodice 1, con

riferimento ai DAN (Documento di Applicazione Nazionale) della Germania, e con l’aggiunta di alcune distribuzioni di carico previste dalle norme DIN tedesche ed NV francesi.

Carichi permanenti: (XP ENV 1991-2-1) I pesi proprî delle aste sono automaticamente calcolati integrando le aree dei profili in

carichi lineari, considerando un peso specifico γs=78.5kN/m^3. Il peso degli elementi secondarî (bulloneria, piastrame, morsetti, elementi di appoggio in neoprene) è calcolato forfetariamente pari al 5% del peso delle aste. Il peso dei vetri (laminati temprati 6+4+0.76PVB), calcolato facendo riferimento ad un peso specifico γv=25kN/m^3, è pari ad un carico gv=0.245kN/m^2, ovvero Pv=0.369kN per ciascun vetro.

Carichi di esercizio: (XP ENV 1991-2-2)

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La copertura non è accessibile che per la manutenzione. I carichi di esercizio previsti, ovvero i carichi dovuti alle operazioni di pulizia dei vetri e sostituzione dei vetri, non sono stati presi in considerazione nei calcoli poiché anche localmente inferiori ai carichi massimi da neve.

Carichi climatici: carico neve (XP ENV 1991-2-3) Il carico neve è supposto agire come carico verticale sulla proiezione orizzontale della

copertura, ed è definito in base al carico neve al suolo, che, per Amburgo (Germania zona III <200m) è pari a Sk=1,13kN/m^2. Il carico neve in copertura è proporzionale al carico neve al suolo secondo il coefficiente di forma µ che dipende dalla distribuzione di carico considerata (avendo preso i coefficienti di esposizione e termico unitarî). Abbiamo considerato i seguenti casi:

1. carico neve uniforme S1=0,9kN/m^2. 2. ridistribuzione triangolare dovuta al vento prevista dall’Eurocodice per coperture

cilindriche: distribuito sulla copertura secondo due triangoli asimmetrici, con due picchi in corrispondenza del primo e del terzo quarto, pari rispettivamente a S2x=2,26kN/m^2 ed S2xx=1,13kN/m^2.

3. ridistribuzione rettangolare prevista dall’Eurocodice per coperture a due falde: lato sovraccaricato S3x=1.24kN/m^2, lato meno caricato S3xx=0,9kN/m^2.

4. ridistribuzione rettangolare prevista dal regolamento francese NV65 per coperture a due falde: zona centrale sovraccaricata S5x=0,9kN/m^2, zone laterali S4xx=0,45kN/m^2.

5. ridistribuzione trapezoidale dovuta ad accumulo da zone più elevate prevista dall’Eurocodice: distribuito secondo due trapezî simmetrici, con minimo al centro S5x=0,9kN/m^2 e massimo alla base S6x=1kN/m^2.

6. ridistribuzione rettangolare dovuta al vento prevista dal regolamento tedesco DIN 1055 (versione antecedente al recepimento degli Eurocodici): carico distribuito uniformemente su metà copertura S6=0,45kN/m^2.

Di queste distribuzioni di carico, sono poi state utilizzate nelle combinazioni le S1 (simmetrica, uniforme), S2, S6 (asimmetriche).

Carichi climatici: carico vento (XP ENV 1991-2-4) Il carico vento è supposto agire perpendicolarmente alla superficie esterna, ed è

definito in base alla pressione di riferimento del vento qvref=0,47kN/m^2 (funzione della massa volumica dell’aria e della velocità di riferimento del vento, quest’ultima per Amburgo, Germania, zona II, pari a 27,6m/s). La copertura è insensibile all’azione dinamica esercitata dal vento, si può quindi adottare una analisi statica equivalente ed un coefficiente dinamico unitario. La pressione totale del vento è data dalla somma algebrica della pressione interna e di quella esterna. Il coefficiente di pressione interna è calcolato nell’ipotesi di distribuzione omogenea di aperture ed è pari a Cpi=-0,25. Per quanto riguarda la distribuzione dei coefficienti di pressione esterna, abbiamo considerato due direzioni di provenienza del vento, quella longitudinale e quella trasversale. Per quella longitudinale abbiamo utilizzato la distribuzione indicata dall’Eurocodice per coperture piane mansardate (per tener conto dell’insieme della copertura dell’edificio), ottenendo per la porzione di copertura considerata un coefficiente di pressione dovunque positivo e pari a Cpe1=0,2. Per vento agente trasversalmente si individuano lungo la superficie della copertura tre zone: il primo quarto, esposto al vento, con coefficiente di pressione pari a Cpe2x=0,25; il secondo e terzo quarto, in depressione, Cpe2xx=-0,93, l’ultimo quarto, in depressione, Cpe2xxx=-0,4. Sommando

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algebricamente la pressione interna e quella esterna e tenendo conto dei vari coefficienti (di rugosità del terreno, topografico, etc..) si ottengono in definitiva due distribuzioni di carico significative:

1. vento agente longitudinalmente: carico uniforme W1=0,36kN/m^2. 2. vento agente trasversalmente: carico asimmetrico distribuito su tre zone, di cui una

esposta al vento W2x=0,4kN/m^2, e due in depressione, W2xx=-0.57kN/m^2 la centrale e W2xxx=-0.13kN/m^2 la laterale.

Queste distribuzioni di carico sono poi state entrambe utilizzate nelle combinazioni di carico. Carichi climatici: variazioni di temperatura (XP ENV 1991-2-5) Abbiamo considerato esclusivamente variazioni di temperatura uniformi nello

spessore degli elementi, date le piccole dimensioni e l’alta conducibilità termica degli stessi. Si possono presentare due scenarî distinti, quello di massimo innalzamento di temperatura rispetto alla temperatura di costruzione, T+=+45°C, e lo scenario di massimo abbassamento della temperatura, T-=-33°C. Nel transitorio può anche avvenire che, esposti all’irraggiamento solare, i cavi si dilatino maggiormente rispetto alle aste, perdendo una quota di pretensione. Ne abbiamo tenuto conto all’interno del coefficiente di combinazione della pretensione.

Pretensione iniziale dei cavi. Abbiamo supposto una pretensione iniziale dei cavi di parete pari a 5kN. Ai cavi di

diaframma abbiamo imposto una pretensione per mezzo di un accorciamento pari a 10mm dei cavi di ancoraggio. Abbiamo tenuto conto di due coefficienti di combinazione della pretensione, di valore rispettivamente 0,8 se favorevole e 1,2 se sfavorevole. 3.3.5 Calcoli di resistenza e di stabilità locale delle aste

Abbiamo svolto analisi di tipo geometricamente non lineare per varie combinazioni di

carico, tra le quali in particolare la combinazione simmetrica (1.5S1+1W1)13 e le combinazioni asimmetriche (1.5S2+1W1) e (1.5S6+1W1).

Figura 8: deformazioni (a sin) e momenti flettenti (a dxt) molto ridotti nella combinazione di carico uniforme.

Le verifiche sono state svolte in corrispondenza dei nodi (modulo di resistenza ridotto), ed a metà delle aste per tener conto anche dei fenomeni di instabilità dei singoli elementi, attraverso la formula fornita dall’Eurocodice 3 (ENV 1993_1 par.5.5.1) (formula che include sia lo sforzo normale che i momenti flettenti, nonché le imperfezioni delle aste e gli eventuali

13 più – ovviamente – le azioni permanenti, inclusa la pretensione, qui non indicate per semplicità.

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effetti torsionali). La verifiche non sono state soddisfatte per la combinazione (1.5S2+1W1). Come già detto nel capitolo 2, il carico neve S2 previsto dagli Eurocodici risulta particolarmente gravoso, e non era stato ancora recepito dalla normativa tedesca al momento della progettazione della struttura in esame, normativa che invece prevedeva un carico (S6) sotto il quale le verifiche sono soddisfatte. D’altra parte, la combinazione (1.5S2+1W1) è effettivamente molto cautelativa, e studi in galleria del vento potrebbero averne consentito la sostituzione con un’altra ottenuta da valori sperimentali.

Figura 9: comportamento della struttura sotto carichi dissimetrici: nel caso della combinazione di carico (1.5S2+1W1) le verifiche di resistenza non sono verificate a causa dei momenti flettenti elevati (a sin). Una indicazione della gravosità di questa combinazione, per la struttura in questione, è fornita anche dal fatto che, già al 50% dei carichi totali, alcuni cavi si detensionino completamente (a dxt).

3.3.6 Analisi parametrica al variare della pretensione iniziale

Per verificare la correttezza delle

assunzioni fatte, in particolare a riguardo del valore delle pretensioni iniziali, abbiamo svolto una analisi parametrica, variando l’entità e la modalità di pretensione dei cavi di diaframma. La struttura è risultata molto sensibile nei confronti di questo parametro, poiché valori più alti di pretensione determinano una maggiore rigidezza del diaframma e di conseguenza un più spiccato comportamento a membrana (quadruplicando la pretensione si riducono del 50% i momenti flettenti massimi). In particolare, un aumento consistente della pretrazione dei cavi porterebbe la combinazione di carico (1.5S2+1W1) più prossima ad essere verificata: rimarrebbero però in tal caso dei dubbi sulla possibilità di ancorare efficacemente i cavi così fortemente tesati nella muratura del vecchio edificio sottostante.

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3.3.7 Calcoli di stabilità globale con imperfezioni iniziali

Nelle analisi di stabilità globale della struttura abbiamo tenuto conto delle imperfezioni a mezzo di un campo di imperfezioni geometriche iniziali. Il procedimento che abbiamo adottato per determinare la sicurezza della struttura nei confronti dei fenomeni di instabilità è il seguente:

1. Calcolo dell’entità della massima imperfezione (eo,d) (utilizzando l’ipotesi di barra equivalente, secondo le indicazioni dell’Eurocodice 3, ed in funzione della forma della deformata).

2. Determinazione della deformata allo stato limite ultimo della struttura priva di imperfezioni.

3. Scalatura della deformata in base al rapporto tra la massima imperfezione e la norma della deformazione massima max, der do= .

4. Applicazione delle variazioni di coordinate così ottenute alle coordinate della struttura perfetta (a questo punto abbiamo la struttura affetta da imperfezioni iniziali).

5. Analisi (non lineare) ad incremento di carico del modello così ottenuto (diagrammando lo spostamento di un punto significativo all’aumentare del moltiplicatore di carico).

6. Proseguimento dell’analisi incrementando ogni volta i carichi di un fattore detto moltiplicatore di carico, fino alla perdita di stabilità (rigidezza), corrispondente sul piano analitico all’instabilità numerica del calcolo.

Abbiamo infine ricavato dei diagrammi deformazione-moltiplicatore di carico per più forme di instabilità (approssimate ciascuna da una diversa combinazione di carico). Tali diagrammi risultano molto significativi perché il moltiplicatore di carico (collasso) è quello scalare per cui occorre aumentare omoteticamente tutti i carichi rispetto alla combinazione di stato limite ultimo affinché si produca una perdita di stabilità. E’ in pratica un ulteriore coefficiente di sicurezza, che moltiplica quello relativo alle resistenze.

Un'altra indicazione è fornita dalla derivata del diagramma in corrispondenza del moltiplicatore unitario, perché descrive la sensibilità della struttura nei confronti di variazioni dei carichi intorno ai valori della combinazione di stato limite ultimo. E’ importante per la sicurezza della struttura che la sensibilità alla variazione di sollecitazioni sia bassa. E’ infine opportuno ripetere il procedimento per diversi valori di imperfezione geometrica iniziale, per verificare la sensibilità della struttura alle variazioni di entità delle imperfezioni intorno al valore di progetto eo,d.

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 81

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3.4 La copertura del chiostro dell’abbazia di Neumünster

Una struttura tipo “grid shell” molto particolare ed interessante è la copertura vetrata dell’Abbazia di Neumünster, in Lussemburgo, già descritta nel capitolo 1. Tale struttura, che copre una corte interna rettangolare di 31.8x15.6m, è una suggestiva evoluzione – nella direzione della massima trasparenza – della tipologia di volta sottile reticolare a maglie triangolari equilatere [12, 13]. 3.4.1 La concezione geometrica: il guscio “ibrido”

L’idea di base consiste nell’utilizzo di una particolare maglia triangolare, nella quale lungo due direzioni le aste sono sostituite da cavi pretesi, ottenendo in questo modo una trasparenza ai limiti delle possibilità tecnologiche.

Figura 10: a sin: il reticolo triangolare equilatero è composto da una famiglia di archi e da due famiglie di cavi; a dxt: il sistema di pretensione dei cavi trasversali.

Le tre direzioni della maglia sono

quella longitudinale e le due trasversali inclinate di +30° e -30° rispetto al lato corto del cortile. Lungo una delle due direzioni trasversali sono disposti gli unici elementi resistenti a compressione, degli archi in acciaio a sezione piena di 80mm di diametro, disposti in obliquo, approssimatamente uno ogni metro, di luce pari a 19 metri, e freccia di 3 metri. Lungo l’altra direzione trasversale le aste sono sostituite da dei cavi di 16mm di diametro, presollecitati per mezzo di un accorciamentaccorciamento che, avvenendo radialmente rispetto alla direzione delle funi, induce uno stato di pretensione nelle funi e di precompressione negli archi. L’entità della pretensione – circa 15 kN – è tale da non essere annullata per nessuna combinazione di carico, consentendo

o degli elementi di connessione con gli archi,

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 83

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sempre quindi il trasferimento degli sforzi di compressione sotto forma di diminuzione della pretrazione. Gli altri cavi sono disposti infine lungo la direzione longitudinale, ed hanno il ruolo di assicurare la continuità strutturale e collaborare alla stabilità degli archi. Data la loro grande curvatura – sono quasi rettilinei – essi non assorbono grandi sollecitazioni, ed è per essi sufficiente una pretrazione di soli 5kN.

Il guscio reticolare che si ottiene può essere definito “ibrido” (coque résille hybride), in quan

.4.2 La concezione geometrica: form-finding anisotropo

La diversità di rigidezza tra gli archi e i cavi permette, in un sistema iperstatico, di control

to composto sia da archi, dotati di rigidezza flessionale, che da cavi, che ne sono privi. La sostituzione di elementi resistenti a flessione con altri che non lo sono, non porta ad eccessive diminuzioni della rigidezza della struttura se la geometria adottata è prossima alla funicolare dei carichi. Gli archi, più rigidi anche nei confronti degli sforzi assiali, costituiscono la via preferenziale di trasferimento dei carichi; i cavi hanno il ruolo essenziale di trasferire gli sforzi membranali di taglio da arco ad arco, e la loro rigidezza governa i fenomeni di instabilità (sono infatti dimensionati in base ad un criterio di rigidezza, essendo sfruttati solo al 50% della loro resistenza).

3

lare il cammino degli sforzi, e di privilegiare una direzione rispetto all’altra. Rispetto ad un guscio reticolare tradizionale, che ha un comportamento isotropo, e nel quale gli sforzi si ripartiscono esclusivamente in funzione della geometria, il guscio reticolare “ibrido” ha un marcato comportamento anisotropo, con i cavi che – a parità di geometria – assorbono sollecitazioni minori rispetto a quelle degli archi, e richiedono – affinché non si detensionino – un livello di pretensione relativamente basso. Questo permette di adottare i cavi pretesi in una struttura filigranale come questa, che non potrebbe sostenere sforzi dovuti a presollecitazioni eccessive.

Figura 11: a sin: il form-fiinding in una volta re isotropa fornisce una geometria cosidetta “pillo

Nelle volte a doppia curvatura e pianta rettangolare, la ricerca di una geometria quanto più prossima alla funicolare dei carichi più gravosi (“form finding”) porta tipicamente a forme del tipo “a cuscino” (“pillow shapes”).

ticolare w shaped”; a dxt: se la maglia reticolare ha delle direzioni prevalenti in termini di rigidezza, la geometria funicolare è ben approssimabile con degli archi lungo tali direzioni. (form-finding anisotropo)

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Tale forma, ottimale da un punto di vista delle resistenze, poiché limita ad un minimo le sollecitazioni flettenti, non è però altrettanto valida nei confronti delle instabilità locali, perché si hanno consistenti riduzioni del raggio di curvatura all’approssimarsi dei lati corti, per cu

imili a volte dai raggi di curvatura variabili, profon

definiz

stata su una se

plificazione, perché è facilmente ottenibile per o, privo delle connessioni intermedie che in un reticolo

odellazione Il modello agli elementi finiti è stato sviluppato in modo che tenesse conto di tutti i

il comportamento della struttura nei confronti della resistenza e dell’ins bilità, quali: le imperfezioni geometriche dell’arco, la riduzione di rigidezza degli stessi i

i è spesso necessario irrigidire e stabilizzare queste zone. Inoltre non sono forme descrivibili per mezzo di geometrie semplici, e portano quindi ad adottare elementi strutturali di dimensioni irregolari (e perciò costosi).

Tutto questo però nel caso in cui la maglia reticolare sia isotropa. Nel caso in cui essa non lo sia, ovvero quando ha un carattere marcatamente ortotropo o anisotropo, il form-finding individua delle conformazioni s

damente influenzate nella loro forma dalla rigidezza “orientata” della maglia. La geometria “ideale” di un guscio reticolare anisotropo è pertanto ben approssimabile

con archi di raggio costante lungo la direzione più rigida, mentre la

ione geometrica nelle altre direzioni è relativamente più libera.

In base a queste considerazioni, la copertura di Neumünster è stata impo

rie di archi di cerchio di raggio costante, disposti con un angolo di 60° rispetto alla direzione di traslazione. Tali archi mantengono inalterato il raggio di curvatura anche nelle zone di estremità, diminuendo procurvatura costante significa una notevole sempiegatura. Inoltre l’arco è continutradizionale indeboliscono la struttura ad ogni nodo. D’altra parte, la curvatura continua dell’arco non permette di appoggiarvi direttamente sopra i vetri, che pertanto sono sostenuti da rotules. 3.4.3 La m

gressivamente la lunghezza della corda. Il raggio di

parametri che influenzano tan corrispondenza delle connessioni a saldatura parziale, i momenti nodali dovuti alla

eccentricità dei carichi (punti di attacco dei vetri) rispetto ai nodi (intersezioni tra gli archi ed i cavi), l’eccentricità della superficie dei cavi rispetto a quella degli archi, (modellata con l’introduzione di elementi rigidi), la rigidezza dei cordoli in calcestruzzo sui quali appoggia la struttura, le tolleranze nella disposizione degli appoggi (modellati con spostamenti imposti di 5 mm). Il modello globale della struttura è composto da 1930 nodi e 2678 elementi.

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 85

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L’analisi svolta è del tipo geometricamente non lineare, con elementi resistenti esclusivamente a trazione (ties) per simulare i cavi. Il programma di calcolo adottato, Fablon, svilupp

realizzata una sim

3.4.4 l calcolo non lineare

ruttura sensibile agli effetti della deformazione, ai sensi dell’Eurocodice 3, parte 1.1, §5.2, dal momento che il moltiplicatore di collasso per instabilità globale

ta ottenuta a partire dalla deformata della struttura per il primo ed il se

deciso di utilizzare le prescrizioni dell’Eurocodice 3 parte 2

ato dalla Oasys, è un solutore basato sul metodo del rilassamento dinamico. Particolare attenzione è stata posta nella modellazione della presollecitazione radiale,

ottenuta simulando l’accorciamento delle connessioni tra archi e cavi. Inoltre è stataulazione completa della sequenza di montaggio, ivi inclusa la messa in tensione dei

cavi e la messa in opera dei vetri.

I

Il guscio ibrido è una st

(αcr) è inferiore a 10. I calcoli sono stati realizzati a partire da due modelli dotati di imperfezioni iniziali, la

distribuzione delle quali è stacondo modo di instabilità globale. L’Eurocodice 3 parte 1.1 non specifica il valore dell’imperfezione iniziale da prendere

in conto per le barre curve, per cui è stato , appendice H per i ponti ad arco. Il valore massimo dell’imperfezione così calcolata è

risultato pari a 36mm, ma è stato aumentato a 50mm per tener conto del coefficiente di combinazione agli stati limite ultimi (1.35), considerando le imperfezioni alla stregua di azioni permanenti.

Figura 12: a sin: gli sforzi assiali indicano chiaramente il comportamento a direzione di rigidezza prevalente; a

i momenti flettenti.

elle sezioni è stata cautelativamente svolta in campo elastico, per oerenza con l’analisi di instabilità. I momenti flettenti negli archi sono stati calcolati tenendo

conto d

i fissi), avendo già

dxt:

La verifica d

ci tutti i possibili fattori di influenza (eccentricità degli archi, eccentricità degli appoggi

dei vetri, tolleranze di montaggio), ed ulteriormente incrementati del 20%. La verifica nei confronti dell’instabilità locale è stata svolta considerando lunghezze

libere di inflessione pari alle distanze comprese tra i nodi del modello (nod

Gabriele Del Guerra CAPITOLO III 86

Page 35: Volte Sottili aReticolari DelGuerra

tenuto

3.4.5 nalisi globale della struttura

licitamente richiesto dagli Eurocodici ma è portante in una struttura di questo tipo. E’ stato svolto pertanto sotto forma di analisi ad

increm

conto degli effetti degli spostamenti per mezzo dell’analisi non lineare con imperfezione iniziale.

A

Lo studio dell'instabilità globale non è espim

ento progressivo di carico, fino al raggiungimento dell’instabilità numerica del calcolo. Il rapporto tra il carico corrispondente alla perdita di stabilità ed il carico iniziale applicato alla struttura (combinazione di SLU) fornisce il valore del moltiplicatore di collasso per instabilità globale (coefficient d’eloignement):

Ed

crcr F

F=α (prEN 1993-1-1 (2003) §5.2.1)

Tale rapporto è r ul mbinazione di carico più sfavorevole. Oltre che da tale valore, la sicurezza dipende anche dalla non-sensibilità della struttura nei

econda del modo di instabilità relativo alla combin

is tato pari almeno a 1.9, nella co

confronti di variazioni del carico, in particolare in prossimità dei valori da SLU. Il controllo di questo parametro è ottenibile dalla derivata del diagramma deformazioni (δ)-moltiplicatore di collasso (α) in corrispondenza del valore α=1.

La misura delle deformazioni è stata presa in corrispondenza di un punto dell’arco centrale (il punto di mezzo o un punto laterale a s

azione di carico considerata). In funzione di αcr variabile da 0.8 a 1.9 sono stati rilevati anche gli sforzi normali ed i momenti flettenti in corrispondenza di tale punto, ottenendo perciò tre diagrammi per ogni combinazione di carico: (δ(αcr); N(αcr); M(αcr)).

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3.5 Riferimenti bibliografici del capitolo 3 [1] M.Majowiecki: “Tensostrutture”, Manuale di ingegneria civile, vol.2, cap.XIII, Zanichelli/ESAC, Bologna 2001 [2] O.Belluzzi: “Scienza delle costruzioni”, vol.3 , Zanichelli, Bologna 1996 [3] A.Holgate: “The Art of Structural Engineering – the work of Jörg Schlaich and his team”, Edition Axel Menges, Stuttgart 1997 [4] E.Torroja: “La concezione strutturale – Razón y ser de los tipos estructurales”, CittàStudiEdizioni, Torino 2002 [5] O.Belluzzi: “Scienza delle costruzioni”, vol.4 , Zanichelli, Bologna 1998 [6] V.Gioncu, P.Lenza: “Propagation of local buckling in reticulated shells”, Space Structures 4, Thomas Telford, London 1993 [7] A.Stephan, J.Sánchez-Alvarez, K.Knebel: “Reticulated structures on free-form surfaces”, Mero GmbH & Co., Würzburg 2005 [8] O.Bacco, C.Borri: “Post-buckling behaviour of perfect and randomly imperfect grid shell structures”, Space Structures 4, Thomas Telford, London 1993 [9] H.L.Zhao, W.M.Huang, C.Q.Zhao: “A method to calculate the critical loads of single layer shallow lattice domes with initial imperfections”, Space Structures 4, Thomas Telford, London 1993 [10] V.Marg, J.Schlaich: “Museum für Hamburgische Geschichte”, Glasforum 2-90, April 1990 [11] M.Zanchin (candidato), C.Amadio, O.De Luca, C.Fedrigo (relatori): “Analisi di coperture in vetro-acciaio resistenti per forma”, Tesi di Laurea, Università di Trieste, Dipartimento di Ingegneria Civile sezione Scienza delle Costruzioni, A.A.2002-03 [12] N.Baldassini, S.Menerat: “La couverture vitrée de la cour principale de l’Abbaye de Neumünster”, Construction Métallique 2/2004 [13] N.Baldassini, J.Raynaud: “Structural behaviour Vs. skin geometry, in grid shell design”, IASS Symposium 2004, Montpellier

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CAPITOLO 3 VOLTE SOTTILI RETICOLARI IRRIGIDITE CON SISTEMI DI FUNI: CONCETTI GENERALI E ANALISI DI DUE ESEMPI SIGNIFICATIVI 3.1 La fune come elemento strutturale ...........................................................................54

3.1.1 Rigidezza estensionale di una fune – trattazione di Dishinger ............................55 3.1.2 Il ruolo della pretensione .....................................................................................56 3.1.3 Le tensostrutture ...................................................................................................58 3.1.4 I metodi per la stabilizzazione e l’ irrigidimento delle tensostrutture .................59 3.1.5 Form-finding: progettazione dello stato geometrico-tensionale iniziale .............60

3.2 Le volte sottili ..............................................................................................................61 3.2.1 Il comportamento a membrana ............................................................................61 3.2.2 La ricerca della forma ottimale quale anti-funicolare dei carichi.......................63 3.2.3 Le volte sottili in calcestruzzo ..............................................................................65 3.2.4 Le cupole Schwedler e le cupole Dywidag ...........................................................67 3.2.5 Le volte sottili costituite da elementi discreti .......................................................67 3.2.6 Il ruolo dei cavi pretesi nelle volte sottili reticolari .............................................69 3.2.7 L’instabilità di quarta specie o di tipo “snap through”.......................................71 3.2.8 L’influenza della rigidezza dei nodi sui fenomeni di instabilità...........................72 3.2.9 L’influenza delle imperfezioni iniziali sui fenomeni di instabilità .......................73

3.3 La copertura del museo di storia della città di Amburgo .......................................74 3.3.1 La geometria della copertura ...............................................................................74 3.3.2 Il modello agli elementi finiti ...............................................................................75 3.3.3 La scelta del modello del nodo .............................................................................77 3.3.4 L’analisi dei carichi .............................................................................................77 3.3.5 Calcoli di resistenza e di stabilità locale delle aste ............................................79 3.3.6 Analisi parametrica al variare della pretensione iniziale....................................80 3.3.7 Calcoli di stabilità globale con imperfezioni iniziali ...........................................81

3.4 La copertura del chiostro dell’abbazia di Neumünster ..........................................83 3.4.1 La concezione geometrica: il guscio “ibrido” .....................................................83 3.4.2 La concezione geometrica: form-finding anisotropo ...........................................84 3.4.3 La modellazione....................................................................................................85 3.4.4 Il calcolo non lineare............................................................................................86 3.4.5 Analisi globale della struttura..............................................................................87

3.5 Riferimenti bibliografici del capitolo 3 .....................................................................88

INDICE III