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POLITICA E MORALE ( 1 938)

COSCIENZA E POLITICA

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O P E R A O M N I A . D I

L U I G I S T U R Z O

P R I M A S E R I E

O P E R E

VOLUME IV

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? I S T U R Z O

POLITICA E MORALE

COSCIENZA E POLITICA

ZANICHELLI BOLOGNA

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L'EDITORE ADEMPIUTI I DOVERI

E S E R C I T E ~ 1 DIRITTI SANCITI D W E LEGGI

t Poligrafici Luigi Parma S.p.A. - Bologna - Aprile 1972

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PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTFTUTO LUIGI STURZO

PRIMA SERIE: OPERE

I - L'Italia e il fascismo (1926). II - La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928). I11 La società: sua natura e leggi (1935). IV - Politica e morale (1938). - Coscienza e poIitica. - Note e sug-

gerimenti di politica pratica (1953). V-VI - Chiesa e Stato (1939). M - La Vera vita - S o c i ~ l o ~ i a del soprannaturale (1943). V n I - L'Italia e l'ordine internazionale (194). IX - Problemi spirituali del nostro tempo (1945). X - Nazionalismo e internazionalismo (1946). XI - La Regione nella Nazione (1949). XII - Del metodo sociologico (1950). Studi e polemiche di sociolo-

gia (1933-1958).

SECONDA SERIE: SAGGI . DISCORSI - ARTICOLI

- L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni professionali - - Sintesi sociali (1900.1906). - Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915). Scritti e discorai durante la prima guerra (1915-1918). - Il partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). - Riforma - statale e indirizzi politici (1920-1922). Il partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924). - Ii partito popolare italiano: Pensiero antifascista (19241925). - La libertà in Italia (1925). Scritti critici e bibliografici (1925 1926).

- Miscellanea londinese (1926-1940). - Miscellanea americana (1940-1945). - La mia battaglia da New York (19M-1946). - Politica di questi anni. - Consensi e critiche (1946-1959).

TERZA SERIE: SCRITTI VARI

I - I1 ciclo della creazione (poema drammatico in quuttro azioni). Versi. - Scritti di letteratura e di arte.

n - Scritti religiosi e moraIi. I11 - Scritti giuridici. IV - Epistolario scelto. V - Bibliografia. - Indici.

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POLITICA E MORALE

(1938)

COSCIENZA E POLITICA

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AVVERTENZA

Nel 1938 Luigi Sturzo pubblicava il libro (c Politica e Mo- rale D , edito nello stesso anno sia in Francia (Cahier de la Nou- velle Journée n. 40, Bloud et G Q ~ ) , sia i n Gran Bretagna (Burns Oates & Washbourne).

S u questo tema la riflessione d i don Sturzo aveva già avuto modo di esprimersi i n molti saggi apparsi in anni precedenti su vari periodici, soprattutto Dublin Review, Hibbert Journal, Quarterly Review, Blackfriars, La Cité Chretienne, La V i e in- tellectuelle. Alcuni capitoli del libro sono costituiti appunto da scritti pubblicati in precedenza su tali riviste.

Di cc Politica e morale nel 1946 apparve un'edizione italiana (col titolo cc Morale e politica D, a cura di P. Valetti, coll. Cul- tura sociale, ed. Viglongo, Torino). Il testo era stato ritradotto dal francese e i l volume è da tempo esaurito.

Nella presente edizione sono stati utilizzati i manoscritti ori- ginali esistenti per molti capitoli, mentre per gli altri si è fatto ricorso alla traduzione dall'edizione francese, confrontando i l tutto anche con i'edizione inglese del volume.

Abbiamo poi raccolto nel presente volume anche il saggio cc Coscienza e politica D, pubblicato nel 1953 dalla MorcelCianu, Brescia, comprensivo di cc Note e suggerimenti di politica pra- tica D. Abbiamo invece tralasciato l'appendice che in quell'edi-

e none riproduceua alcuni discorsi di Sturzo, ricompresi in altri volumi di questa Opera Omnia.

I n appendice abbiamo infine raccolto tutti quei saggi e arti- coli che sul tema dei rapporti fra coscienza morale e politica, sia nelle formulazioni teoriche sia nelle applicazioni a concrete situazioni storiche, Sturzo ha scritto i n u n arco d i anni che va dal 1929 al 1952.

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Altre note e articoli sull'argomento sono già stati pubblicati nei volumi C( Politica di questi anni », « La vera vita », u Pro- blemi spirituali del nostro tempo », di questa stessa Opera Omnia.

La collazione degli scritti e la traduzione dei testi kancanti dell'originale italiano sono a cura di Maria Teresa Garutti Bel- lenzier.

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POLITICA E MORALE

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l - 8miu.o - Politica e morale

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Cap. I

POSSESSO E POTERE

Dati sociologici del problema della morale nella politica

Nei primi secoli del cristianesimo s'insinuò la teoria che tanto il possesso dei beni terrestri quanto il potere coercitivo dell'autorità politica fossero conseguenza del peccato di origine, e benchè non fossero in sè stessi un male (nel senso d i peccato), venivano ora riguardati come una pena della prima colpa, ora come una causa piii o meno remota di peccato.

Cosi concepiti possesso. e potere, venivano ad appartenere alla categoria del a mondo » (nel senso datovi dal Vangelo), specialmente quando il possesso si tramutava in ricchezze e i l potere in dominio. A v e s t e due cause venivano collegati gli altri mali sociali, quali la schiavitu, la poligamia, la ribellione, la guerra. L'origine psicologica di simili mali era segnata dal- le tre concupiscenze enumerate da S. Giovanni: concupiscentia oculorum, concupiscentia carnis, et superbia vitae; ma la loro origine sociale si ritrovava nel possesso e nel potere.

Questi due istituti si presentavano originariamente legati in- sieme cosi da ridursi il potere ad una conseguenza del possesso, o viceversa; il potere a sua volta diveniva sirgente di ricchezza e, titolo di proprietà. Le vicende storiche degl'istituti che ne derivano sono state molte, però il carattere patrimoniale del potere è sopravvissuto a tutte le vicende dello stato moderno fino all'avvento delle grandi democrazie. Nel medioevo feudale, il re ebbe il diritto eminente su tutta la proprietà terriera che veniva infeudata. Ai tempi di Bonifacio VI11 si discuteva se il diritto pontificio su tutto il mondo comprendesse anche un titolo -

eminente di proprietà. Lo sforzo cristiano, quando non arrivava alla completa ri- '

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nunzia delle ricchezze e del dominio, mirava a renderne mo- rale l'uso, a moderarne la cupidigia, facendo devolvere il su- p e d u o ai poveri, incanalandolo verso opere di culto e d i benefi- cenza, insistendo sul distacco morale dalle cose terrene e sulla vani& delle pompe e delle adulazioni che circondano i potenti. Cosi venivano spinti sotto l'influsso di una morale ascetica per- sonale coloro cui la fortuna aveva dato ricchezze e potere. I1 fio-

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rire dei grandi santi fra principi e dame, re e regine del me- dioevo, nel periodo delle piU violente passioni e delle grandi turbolenze sociali, si deve al cristianesimo asceticamente con- cepito.

Ciò non ostante, a ragione Gregario VI1 poteva affermare con terribili parole che ogni regno aveva alla sua origine vio- lenze, lussurie, assassinii, brigantaggi, ribellioni e guerre, che spesso l'accompagnavano come una nemesi persecutrice fino al disfacimento. Lo stesso ripetevano i grandi predicatori parlando delle ricchezze, che una sequela di colpe creavano e disfacevano. Le monete d'argento, spezzate dalle mani di S., Francesco da Paola, stillavano sangue.

Partecipando anche il clero alle ricchezze e al dominio e cadendo nelle medesime colpe dei laici, veniva a nelle varie epoche, i l problema se i possessi e il potere fossero antite- tici alla morale e allo spirito religioso della chiesa. .Tutte le volte che si affermavano le correnti riformatrici (tanto le orto- dosse che le eterodosse), queste tendevano al disimpegno piu largo possibile e quasi totale da ciò che i l mondo portava ne- cessariamente con sè, cioè ricchezze e dominio.

Però in ogni tempo, solo una frazione limitata di uomini f u chiamata a seguire i consigli evangelici di perfezione. La società ne ricava sempre grande vantaggio diretto o indiretto, nel campo religioso, sociale e culturale. Ma la società presa nel suo complesso, non poteva abolire le varie forme di possesso e d'uso dei beni terreni, nè le varie strutture del.potere sociale, senza cessare di essere una società umana. Cosi restava fonda- mentale il problema del come moralizzare il possesso dei beni e il potere sugli altri uomini, se davvero questi attributi della vita-terrena portavano con sè una sequela di colpe personali e d i mali sociali.

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I1 problema, dal piano dell'ascetica personale, sul quale solo un piccolo nucleo di uomini (piccolo in comparazione a tutto il resto del mondo) trovava la soluzione, passava al piano socio- logico, del come cioè togliere al possesso e al potere il carattere di causa di mali e di turbamenti sociali e di colpe individuali; ,

anzi come renderli strumenti di bene, cioè in una parola come renderli morali.

Ammesso che possesso e potere sono connaturali alla strut- tura della società (almeno come ci si presenta storicamente), i l primo aspetto del problema sociologico della moralizzazione di tali istituti è quello della loro limitazione. Un possesso e un potere illimitati sono perciò stesso fonti di mali. La moralità, cioè i l retto uso dell'uno e dell'altro, è un limite ideale; socio- logicamente questo limite si deve tradurre in potenzialità, va- lore, realtà. .

E possibile che riuniti insieme possesso e potere, si limitino all'interno reciprocamente? E se ciò non sarà, potranno mai essere scissi così che dall'esterno, per la loro autonomia, l'uno limiti l'altro? In realtà la prima ricerca sociologica è quella della limitazione delle forze sociali nella loro materialità per la loro specifica e ordinata funzionalità.

I1 comunismo tentato a ~erusa lemme e ad Alessandria d'Egit- to dalla chiesa apostolica, le riduzioni gesuitiche del Paraguay, sarebbero stati, sociologicamente parlando, tentativi d i distacco del possesso dal potere, per via della comunione dei beni (par- ziale o totale) e lo stabilimento di un'autorità morale, che per quanto implicata nel maneggio e destinaiione delle ricchezze della comunità, non ne avesse personalmente il possesso. Piccoli e passeggieri tentativi religioso-morali nel campo sociale, che danno un raggio di bellezza come quello di un sogno.

La società antica arrivò ad estendere la proprietà sugli stessi uomini, resi schiavi e considerati come bestiame, se non peg- gio. Per lo schiavo non esistevano piu le garanzie del potere, risiedendo nel padrone il diritto di vita e di morte. Le limita- zioni del potere alla proprietà sono nate insieme con la garan- zia della sua coesistenza fra i membri delle classi possidenti. Una giustizia commutativa elementare, sulla base del do ut d e s

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e del facio u t facias affiora insieme ad una giustizia punitiva contro le frodi, i danneggiamenti e le ruberie.

Però, tanto piu i limiti posti dal potere alla proprietà di- venivano incerti, quanto piu essa era unita o assimilata al potere ; a l contrario, se dissociata e contrastante, veniva limitata e con- trollata. I1 tipo di giustizia variava secondo le categorie delle classi (privilegiate, possidenti, lavoratrici, servili), cioè secondo la maggiore o minore unione del possesso con il potere.

La morale, riguardata come legge naturale ( e quindi razio- nale) della condotta umana, in tanto trovava posto nel tentativo pratico di regolare i rapporti della proprietà, in quanto si af- fermava il concetto di giustizia. Ma ve n'era esclusa tutte le volte (cioè sovente), che questi rapporti nel fatto ledevano i diritti d i una gran parte dell'umanità assemita alla classe privilegiata e del potere.

Nello sviluppo del diritto possessorio, delle sue garanzie e dei suoi limiti, può notarsi un orientamento più o meno marcato verso la sua moralizzazione. I1 punto,.al quale oggi si è arrivati, può precisarsi come segue: riconosciuto a tutti il diritto poten- ziale di possedere, aboliti' i privilegi politici della proprietà, aumentato il numero dei piccoli proprietari, nobilitato il lavoro e garantito da certi soprusi, angherie e ingiustizie, limitato l'eccesso delle ricchezze con la partecipazione dello stato, au- mentati i contributi alla comunità per ripartire a tutti il be- nessere culturale, morale, igienico e sociale.'

Parrebbe di essere nel periodo aureo della moralità, nel campo economico, per i limiti postivi dal potere politico; pure il rovescio della medaglia è assai grave. Al diritto potenziale d i possedere non corrisponde la possibilità di fatto, per la pres- sione del capitalismo e la tendenza a monopolizzare l'economia. All'abolizione dei privilegi politici della ricchezza è susseguito l'aumento d'influenza dell'alta banca e dei grandi tmsts sulla politica, si da aversi quasi uno stato nello stato. L'aumento del numero dei piccoli proprietari coincide con la svalutazione del- la proprietà oberata di debiti e d i tasse. La nobiltà del lavoro e la garanzia dai soprusi non toglie che la condizione del pro- letariato sia precaria, gravi e lunghe le disoccupazioni, spesso insufficienti le paghe per il mantenimento delle famiglie, che si

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disgregano, creando un'enorme crisi di moralità e dando esca alla propaganda rivoluzionaria. Infine, la maggiore partecipa- zione dello stato al capitale e ai redditi dei cittadini, ne ha au- mentato il potere fino al piU eccessivo statalismo. E il quadro clinico non può dirsi completo.

Passiamo all'altro lato: la limitazione al potere posta dal possesso dei beni.

Nel sistema feudale i vassalli, comproprietari dei feudi e compagni o consoci del re, avevano, a questo titolo, parte al potere e lo controllavano nelle assise generali del regno. Essen- do i vassalli un'aristocrazia, i limiti al potere erano piuttosto a favore della loro classe. Di qui un dualismo fra i re e 1è fami- glie potenti, che fini a vantaggio del potere monarchico assoluto.

La chiesa, ricca e potente, per molti secoli partecipò, sia a titolo religioso che a titolo feudale, alla limitazione e al con- trollo del potere sia regio che. imperiale. Altro dualismo, altre lotte che finirono a vantaggio delle monarchie assolute, sia sci- smatiche che cattoliche.

Altre lotte ancora con i comuni liberi, le municipalità eman- cipate, le borghesie cittadine: anch'esse ricche e potenti ten- nero testa ora a re e loro vassalli, ora a papi e vescovi; anche questa lotta fini a vantaggio delle monarchie assolute.

I1 trionfo del potere su ogni forma di proprietà, che avesse carattere politico e gli imponesse dei limiti, sarebbe stato com- pleto sotto l'ancien régime, se i re avessero avuto una finanza statale forte e un esercito proprio e permanente; perchè ciò fece loro difetto, dovettero di tempo in tempo piegarsi ai nobili, ai cleri, ai parlamenti, e ottenere il loro denaro e il loro con- senso. Si formò cosi un controllo di forze, non mai un'interna armonia d i rapporti, una .struttura statale instabile, pi6 che u n organismo politico-economico compatto; onde fini per cadere nel disfacimento ed esser preda dei movimenti rivoluzionari.

I1 lungo processo d'integrazione e di disintegrazione dei li- miti posti al potere dalle tre grandi forze sociali ed economiche (la nobiltà, il clero e la borghesia municipale), non fu senza grandi effetti nel complesso tenore di vita etico-sociale, sia dal punto di vista pratico che della elaborazione teorica. La grande

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discussione sui principii morali della vita collettiva, per quanto portata sui campi religioso e filosofico, non poteva disimpegnar- si dalla realtà dell'unione del possesso con il potere. Cosi l'orien- tamento che nasceva dalla crisi dell'ancien régime coincideva con l'opposta concezione, quella del disimpegno. Le limitazioni del potere verso i ceti ricchi non funzionavano perchè costoro partecipavano al potere; le limitazioni poste dai ceti ricchi al potere non funzionavano, perchè il potere tendeva ad assorbir- ne le funzioni in uno sforzo di centralizzazione e d i assolutismo.

Cosi si passò alla concezione dell'individualizzazione della proprietà e dell'universalizzazione del potere basato sulla so- vranità popolare. I1 nuovo orientamento conteneva piu elementi morali 'delI'altro, in quanto i limiti a l potere divenivano inte- riori e autonomi, e i limiti alla proprietà erano caratterizzati dalla funzione d i utilità generale e non pi6 per vantaggi parti- colari dei ceti ricchi. Ma di fatto tre fattori concorsero ad alte- rare la portata etica di simile concezione, che perciò parve aprioristica e non lo era.

I1 primo fattore fu dato dalla proprietà individualizzata, che arrivò ad una eccessiva divisione della ricchezza, e ad una sua larghissima rappresentazione a mezzo dei titoli di rendita, degli chèques, e simili, e ad una estrema facilità di credito. Ne segui la 'creazione di società anonime, di trusts industriali e commer- ciali, per affrontare i rischi delle grandi imprese. Questi enti, divenuti ultra-potenti, controllarono la politica e la finanza pub- blica, non piu in forma organica e responsabile, ma i n forma privata, irresponsabile e perciò assai piu pericolosa e dannosa.

Secondo fattore, la sovranità popolare concepita individua- listicamente. Questa restava alla mercè di agitatori e sotto l'in- fluenza del capitalismo, mancando di forme organiche, di ele- menti responsabili, basati su strutture proprie atte a dare valore morale e definitivo alle votazioni e ai plebisciti. Anzi, vi s'insi- nuò la corruzione, che per un lungo periodo, e in certi paesi specialmente, avvili ogni manifestazione popolare. I partiti che dovevano incanalare le forze elettorali furono +spesso delle cric- che borghesi e delle emanazioni di sette segrete.

I1 potere, universalizzato di nome, si centralizzava di fatto per divenire forte. Esso per fronteggiare le masse, per conso-

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lidarsi e per saldare la struttura dello stato, si appoggiava da una parte alla finanza privata, cioè alla proprietà anonima, e dall'altra all'esercito, che da temporaneo e raccogliticcio era divenuto nazionale e stabile. Le oscillazioni fra una democrazia popolare o popolaresca e uno stato borghese e nazionale, sono state le fasi del secolo scorso, nelle quali le due concezioni, quella della separazione del potere dal possesso e quella della loro unione (d i fatto se non di diritto) si sono alternate e confuse.

Terzo fattore, l'eliminazione della' chiesa, come organismo partecipante ai limiti del potere. Tale partecipazione della

.chiesa non è legata necessariamente al sistema possessivo e alla . struttura statale; essa è di natura trascendente etico-religiosa. Ciò non ostante, nelle condizioni sociali del passato ( e non solo nel cristianesimo occidentale ma presso tutti i popoli), una religione positiva e organizzata ha avuto sempre largo uso dei beni, a titoli diversi, e partecipazione al potere. Con l a rivoluzione laicista, si ebbero le prime fasi del distacco. A que- ste succedettero le forme concordatarie moderne, con più o meno convergenza verso la politica dei ceti possidenti, ma con la eliminazione organica e giuridica della chiesa da qualsiasi genere di controllo sia in politica nazionale che internazionale. I limiti ecclesiastico-morali, teoricamente soppressi, ritornarono più tardi a farsi sentire sotto forma di correnti politiche po- polari, nei parlamenti e nella stampa. L'alto e basso dei rap- porti fra chiesa e stato da un secolo ad oggi seguono l'oscil- lare del valore di queste nuove correnti ora clericali ora sociali ora reazionarie e ora democratiche, secondo gli uomini, i paesi' e le circostanze.

I limiti posti dal possesso al potere e viceversa, quando funzionano normalmente si traducono in limiti organici della struttura statale. Così fu nei secoli dello stato feudale patrimo- niale e paterno. Ma i limiti organici non sono necessariamente legati alla unione del potere con il possesso; essi possono essere concepiti diversamente, come nelle democrazie moderne, nelle quali si è tentato di disintegrare la proprietà (nobile o bor- ghese che sia) da ogni funzione e carattere politico pubblico,

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e d i burocratizzare il clero, pagandolo sul bilancio dello stato. \

In sostanza, i limiti del potere, di quale natura essi siano, se normalizzati derivano dagli organismi della struttura dello stato, che di loro natura sono subordinati o coordinati al potere centrale, e con il quale partecipano, in certo modo, diretta- mente o indirettamente, alla sovranità totale. Tale partecipa- zione, per essere veramente organica, non deve essere d'im- paccio al funzionamento governativo, non deve essere duali- stica, ma specifica e coordinata, così come per influire real- ' mente e non nominalmente deve a sua volta, nella sua funzione caratteristica, essere definitiva. Ogni potere, perchè sia effet- tivo, deve tramutarsi in autorità e questa a sua volta per es- sere tale, cioè definitiva, deve prendere i caratteri della so- vranità.

Prendiamo il tipo più caratterizzato dei limiti organici del potere in uno stato democratico. La sovranità spetta specifica- mente a cinque organi: il capo dello stato, i l popolo, i l par- ,

lamento, la magistratura, il governo. I cinque organi si limi- tano a vicenda; limitazione organica all'interno dello stato, senza immistione di potere esterno qualsiasi. Il capo dello stato ( re o presidente) rappresenta il potere nella sua. espres- sione,simbolica ed eminente, unifica gli altri poten e l i garan- tisce, sanziona le leggi e le fa eseguire in suo nome. Ma egli è limitato; perchè egli non si è costituito da sè, 'ma per con- senso tacito o espresso del popolo; egli non fa le leggi, che vengono discusse e approvate dal parlamento; egli non crea il parlamento (può concorrere a crearlo nella nomina della ca- mera alta); solo può non sanzionare le leggi (sotto date con- dizioni e formalità), disciogliere la camera dei deputati e con- vocare i comizi popolari.

Il popolo, secondo la teoria più .in voga, sarebbe il vero sovrano, ma anch'esso limitato nella sua specifica attività; no- mina i suoi rappresentanti ma senza mandato imperativo, sen- za limitazioni di poten, senza diritto a revoca. Nei paesi dove c'è il referendum, esso decide su proposte concrete a lui sot- toposte, salvo a rimettere al parlamento o al governo la con- cretizzazione della decisione referendale. I1 popolo ha illmezzo d'influenzare i poteri costituiti con la stampa, le riunioni e

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altri modi di esposizione dell'opinione pubblica; ma questo appartiene più ai limiti morali che a quelli organici.

I1 parlamento fa le leggi, ma non le fa eseguire, nè parte- cipa al governo. All'esecuzione delle leggi, alle quali tutti sono sottoposti, altre due autorità presiedono, con facoltà defini- tive, ma limitate: la magistratura per l'applicazione giuridica civile e penale; il governo per quella amministrativa e poli- tica. Un limite è posto 'alla magistratura dalle leggi ch'essa non fa ma applica; e dalla sorveglianza disciplinare e amministra- tiva da parte del potere centrale; limiti sono posti al governo sia dalle leggi, sia dal volere del capo dello stato, sia dagl'in- dirizzi politici fissati dalla maggioranza parlamentare.

Tali limiti organici mirano (fra l'altro) a tre risultati. Pri- mo, quello di non legare i l potere alle ricchezze, prese queste sia come classi ricche, sia come tutela degli interessi specifici della ricchezza, sia come mezzo di far fortuna. Secondo, quello di dare maggiore uniformità ed efficacia alla legge sopra l'arbi- trio delle persone investite di potere; difatti la periodiciti del- l'ufficio, il controllo organico, il dibattito pubblico, la rinno- vazione dei parlamenti, la responsabilità politica del governo, sono tanti mezzi per evitare l'abuso di potere. Terzo, per otte- nere un apprezzamento etico della politica, in quanto si crea nel popolo che partecipa alla vita pubblica un sentimento di valore generale, nazionale, sociale, che contiene un proprio ethos, al di sopra dei particolari interessi.

Se nel concreto la democrazia non ha dato i risultati spe- rati dai pensatori, moralisti e legislatori, ciò si deve non a l fallimento della concezione organica dei 'limiti del potere, ma alla sua difettosa attuazione, alla mancanza di sufficiente edu- cazione popolare, al sistema individualistico messo alla base. Quanto più si riducono i limiti organici del potere, tanto più si attenuano gli effetti suindicati, fino al totale annullamento; così si ricade, di tanto in tanto, bel potere assoluto più o meno tirannico. Quando i l potere si afferma come solutus a lege hominum si arriva facilmente a credersi solutus a lege Dei, cioè superiore alla morale. In tali casi il problema della mo- rale nella politica non può essere più sollevato, perchè da un lato è cessata ogni vita pubblica collettiva, e dall'altro la legge

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si trasmuta nella volontà illimitata del tiranno. Fra i due estre- mi della democrazia individualistica e dell'assolutismo tiran- nico, vi.saranno tante e svariate combinazioni di limiti orga- nici al potere, da produrre effetti diversi, secondo che vi pre- vale l'uno o l'altro elemento.

Facendo una parentesi e trasportandoci nel campo dell'eco- nomia, troviamo i medesimi fattori sociologici. Una ricchezza senza limitazioni organiche diviene presto tirannica. Fino a che gli operai non erano organizzati nei sindacati e nelle' leghe, e non avevano voce politica (diretta o indiretta), si ebbero delle fasi di oppressione da toccare i confini'della schiavitù. Non è un secolo che nelle grandi industrie gli operai erano costretti a lavori estenuanti di 16 o 18 ore a l giorno con paghe in- sufficienti, agglomerati in locali antigienici. Si ebbe il lavoro di fanciulli e di ragazze in età ancora tenera, duro, penoso e lungamente protratto, e perfino lavoro sottoterra nelle miniere, con effetti morali e fisici disastrosi. Mano mano che un controllo ,

organico si potè stabilire attraverso leghe operaie (che le leggi proibivano, ma che arrivarono a essere tollerate) si ebbero mi- glioramenti economici e sociali rispondenti alla più elemen- tare legge morale. Se oggi la scuola cristiano-sociale insiste sulla denunzia del capitalismo (iome causa di un sistema economico di sfruttamento) e sulla partecipazione operaia al capitale delle

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imprese, è ancora per creare un migliore sistema di limiti al- l'impresa della ricchezza, con a base la responsabilità personale.

Ogni pote;e, sia il politico che l'economico, o di altra na- tura, che non abbia limiti organici, diviene .facilmente potere immorale; +i limiti organici sono necessari, come preliminari alla moralizzazione del potere (indipendentemente dalla for- ma dello stato, democratico o aristocratico, repubblicano o monarchico, liberale o paterno), in quanto tali limiti creano il senso del diritto e del dovere nell'ésercizio del potere, svi- luppano il valore del controllo pubblico e della responsabilità politica, e attenuano, per quanto è possibile, la fac'ile traspo- sizione del potere nella persona investita.

I limiti organici non bastano. Occorrono dei limiti ideali accettati da . tutti per convinzione. I1 carattere etico della so- .

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cietà prevale sugli altri, e forma la sostanza di quel che noi chiamiamo civilizzazione. È questa data dal complesso di senti- menti, idee, orientamenti e convinzioni di un popolo, concre- tizzati nei suoi costumi, nei suoi istituti giuridici, nelle sue tradizioni, nella sua storia, che ne formano i l patrimonio at- tuale e la coscienza vivente.

Non tutto questo complesso è inattaccabile, dal punto di vista della morale pura; la realtà h a sempre bisogno d i ~ u r i f i - cazione; lo scarto fra ideale e reale è notevole, ma dà la spinta al moto di progresso, creando le correnti di riforma e di rinno- vamento. Ma nell'insieme ogni civilizzazione (dalle primitive alle evolute) ha un proprio contenuto etico razionale costante, del quale vive ogni società umana.

Questo contenuto etico, in quanto valore spirituale, è per sè stesso un limite al potere ( in quanto questo è forza mate- riale), perchè si fonda nella tradizione del popolo e trova la sua espressione nella coscienza collettiva. I limiti organici al potere, se non sono consolidati e divenuti valore tradizionale rispettabile e rispettato, possono essere trascurati e superati e quindi non rispondere piu alla loro funzione. Ma il limite morale che nasce dal complesso della civilizzazione, è operante al di là del semplice formalismo di procedure o dell'equilibrio degli organi sociali; è esso che produce quelle salutari rea- zioni della coscienza pubblica, che ristabiliscono l'equilibrio occasibnalmente turbato.

Un esempio tutto recente dei valori tradizionali e della co- scienza collettiva di un popolo, sul terreo0 morale, è dato dalla crisi della monarchia britannica, quando nel dicembre 1936 i l re Edoardo VIII, volendo sposare una divorziata, fu costretto 'dal parlamento e dal paese a optare fra il trono e i l matri- monio. Che un tale limite al potere del re fosse stato posto spontaneamente e quasi naturalmente, si deve al grado di ci- viltà etica e politica nel quale si trova il popolo inglese. Che ciò sia avvenuto senza scosse e con un perfetto fair play si deve al buon funzionamento degli organi costituzionali, alla rapida formazione di una coscienza collettiva sulla delicata questione, e al senso del limite della propria competenza negli attori del dramma. Certo il re, volendo, poteva infrangere

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questi limiti e turbare l'organismo costituzionale. La crisi sa- rebbe stata .più dura, ma l'esito non poteva essere cambiato.

Due fattori principali dànno al limite etico; che una civi- lizzazione pone al, potere, la sua efficacia reale e non formale, cioè una convergenza generale della coscienza pubblica e una convinzione religiosa che la sostenga; senza di ciò Il limite per- de i l valore della eticità, perchè cessa di essere interiore e ob- bligante.

Manca la convergenza generale, quando in un sistema di civilizzazione s'insinua un altro che tenta di prendere i l posto e crea il conflitto più acuto che si possa avere. Così, per ci- tarne qualcuno, il cristianesimo creò il conflitto con8 la civiltà pagana'; la riforma protestante con il cattolicesimo; la rivolu- zione liberale con I'amien régime. Nei periodi di conflitti, molti elementi etici del passato si mettono in dubbio, e poichè ogni conflitto ideale si trasforma spesso in conflitto di forze, così l'elemento potere viene per un periodo di tempo affrancato dai limiti normali che lo tengono in freno, proprio per la man- canza d i convergenza; generale nel valore morale di tali limiti.

La convergenza morale di un popolo è caratterizzata dalla sua coscienza religiosa. Coloro che han promosso con accani- mento la scristianizzazione della società moderna in nome del positivismo e del laicismo, non si sono resi conto che han ten- tato di togliere alla nostra civiltà uno dei suoi più forti soste- gni, alterando così la tradizione etica dell'occidente. Che cosa sostituirvi? L'umanitarismo? lo scientismo? l'idealismo etico? il materialismo storico? lo statalismo? il nazionalismo? il raz- zismo? il bolscevismo? Quanti tentativi e quali sforzi a creare una nuova base etica alla società! e quanta delusione!

Nel fatto si sono avute due conseguenze gravi: da una parte è stata scossa la base di una morale collettiva, che non può essere che religiosa; dall'altra parte, la coscienza' etica della nazione presa nel suo assieme è stata dispersa in tante conce- zioni particolari, perdendo così la sua propria fisionomia. I1 risultato è l'attuale mancanza di un orientamento etico comu- ne, e quindi l'indebolimento di un limite etico al potere, ad ogni potere, i n qualsiasi campo esso s'i eserciti, ma principal- mente al potere politico. Lo sforzo che si fa di uscire da que-

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sto stato è segno di una reazione salutare. Un migliore apprez- zamento della 'morale cristiana e il suo approfondimento sono una ripresa d'indubbio valore, ma ancora insufficente alla gra- vità del male.

A questa promettente ripresa oppongono una diga formida- bile le nuove concezioni sviluppatesi dopo '!a grande guerra, dai germi maturati in precedenza, quali i l bolscevismo, il fa- ' scismo, il nazismo, che tendono a risolvere l'etica nel potere. Essi cercano di annullare la vera base dell'etica, ch'è la per- sonalità umana, o meglio trasferiscono i valori etici della per- sonalità individuale nella ~ersonali tà collettiva (presa come na- zione o razza o popolo o classe), una collettività non solo uni- ficata ma ipostatizzata, come se avesse un'anima e un volere proprio. In tale personalità collettiva si dovrebbero comporre tutti i dissidi e tutte le .discrepanze, in essa unificarsi tutte le menti, le attività e gli sforzi.

Secondo simili concezioni, le persone individue non avreb- bero più diritti da far valere in confronto al tutto, avrebbero solo l'obbligo della conformità più assoluta; questa d i conse- guenza diviene per molti necessità di vita, e per via di educa- zione collettivizzata, si trasforma in convinzione indiscussa e in adesione fanatica.

Tale forzata unificazione nel tutto sociale non potrà farsi , facilmente se non c'è al centro una forte individualità a cui

sottoporsi e se questa individualità non è allo stesso tempo in- vestita di tutti i poteri divenendo l'unico potere effettivo. Se ci 'fosse un reale limite al potere del capo, di fatto ci sarebbe una specificazione di volontà, e ne sorgerebbe un altro orien- tamento etico. Ma quando ogni tentativo di limitazione, anche ideale, viene inesorabilmente represso, non si avrà più alcun mezzo possibile, per il quale le persone individue possano arri- vare ad esprimersi, con la propria coscienza, come realtà di- stinta dal tutto.

Così, l'unione e fusione dell'etica con i1 potere crea in tutta la collettività un proprio stato psicologico reale, benchè arti- ficiale, basato sul senso d i valore intrinseco, definitivo e asso- luto attribuito al tutto sociale. Questo valore è espresso dal capo, ma è sentito da un numero sempre crescente d i aderenti,

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come spirito del popolo, in un'euforia di vita, tanto più ecci- tante quanto più effimera.

Nella frase u spirito del popolo 11, Volksgeist, si concentra l'idea del bene, sì che tutto ciò che vi contrasta è il male. Ciò è affermato nell'introduzione esplicativa nel nuovo codice della Germania npzional-socialista, a l punto di scrivere che il compito del giudice non è quello di proteggere l'individuo con- tro l'arbitrio, ma di dare effetto pratico al Volksgeist; sì che ogni individuo che si oppone alla concezione di bene e di male che professa i l popolo, è punibile, anche se quel fatto non sia previsto come reato da alcuna disposizione di legge.

È evidente che la risoluzione di personalità, dallo individuo al tutto sociale, pur non sopprimendo l'individualità reale di ciascun uomo, ne altera il carattere, ne attenua il senso morale (se non lo oscura del tutto) e ne perverte la coscienza.

Di più, un potere che è concepito come etico per sè, perchè interpreta ed esprime autorevolmente.ed efficacemente l'anima del popolo, non può non essere posto come un valore religioso, come un fatto sacro. Tutto quel che vi contrasta è male e deve essere soppresso. La persecuzione degli avversari, l'uccisione dei refrattari entrano nel compito di difesa della nuova coscien- za religiosa. Se non viene creata una religione nuova (che in genere ripugna alla mentalità moderna), si farà di tut to per

l sopprimere le chiese cristiane, che si basano su principii e dogmi antitetici alla unione del potere con l'etica e alla divi- nizzazione di una tale unione.

È naturale che in siffatta struttura sociale si arrivi alla col- lettivizzazione e statizzazione della economia. Non importa stabilire quale, ne sarà i l processo. Vi si arrivi in un primo o i n un secondo tempo, con mezzi violenti o con forme subdole, in maniera totale o parzialmente progressiva, sarà questione di fatto, secondo le condizioni dei vari paesi. I1 potere divenuto etico e totale, senza limiti, non può fermarsi davanti all'eco- nomia individualista; che lo limiterebbe, non può, non avere in mano, per' disposizione autorìtativa e completa, l'economia del paese,' per subordinarla ai fini politici. ' Quando una nazione arriva a questo stadio (come oggi la Russia, la Germania e l'Italia) essa è costretta ad una difesa

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accanita della sua nuova posizione ,in contrasto al passato, per poter esistere ed evitare la corrosione del contatto con la civiltà tradizionale. Necessarie conseguenze : - l'irrigidimento all'in- terno e la propaganda conquistatrice all'estero. I1 trasporto dell'autorità nazionale sul piano esterno dipende dalla poten- zialità militare e dalle circostanze politiche. Così come avvenne alla Francia della rivoluzione.

Tutti i grandi conflitti sociali non possono restare chiusi in uno stato, debordano sul piano ìnternazionale e ne intac- cano la struttura, perchè si tende i n tutti i campi alla soppres- sione dei limiti organici e giuridici, e a sostituire la forza ai valori morali acquisiti. I1 fenomeno non è nuovo, ma è stato accentuato durante e dopo la guerra.

La forza materiale degli stati, accumulata da un secolo di relativa pace ed elevata di potenzialità per le interruzioni scien- tifiche, per le grandi trasformazioni industriali e per l'accumulo di ricchezze, fu nella grande guerra scatenata nel mondo. In essa fu fatta la triste prova della inefficacia dei limiti morali' e . giuridici del diritto internazionale e dei patti scritti. Si cercò 'di ripararvi con l'istituzione della Società delle nazioni, con il

- patto Kellogg-Briand e con altri patti internazionali limitanti gli armamenti o l'uso dei gas tossici e dei bombardamenti aerei.

. Sembrò che si fosse trovata la via per far ritornare la forza al suo posto di serva del diritto, ma appena la S.d.N. si mostrò '

oscillante, debole o partigiana cessò il rispetto dei patti scritti: delle regole del diritto internazionale, delle convenzioni di or- dine etico stipulate fra gli stati.

Alle colpe generali di debolezza, d'insincerità e di egoismo nei rapporti fra gli stati (colpe antiche in ogni periodo della storia) si è aggiunto il conflitto di concezioni etiche, che ag- gravano i l malessere internazionale. Non mancano voci salutari, luci orientatrici nell'oscurità del presente. I1 cristianesimo per quanto combattuto nel campo della cultura, della politica e del diritto, o considerato come semplice religione personale o peggio come un nemico delle rivendicazioni operaie o nazio- nali, pure è ancora vivo e capace di rinnovare la civiltà occi- dentale nei suoi valori morali, che hanno le loro radici proprio nella concezione cristiana della società.

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2 - S m - Politica e morale

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Purtroppo, le passioni politico-sociali sono oggi così acce- canti che anche un buon numero di crbtiani fedeli non vedono l'abisso che si spalanca davanti alla società; essi invocano a loro salvezza l'autorità, un'autorità forte e assoluta, e non si accorgono che il potere di cui è investita l'autorità dello stato è divenuto illimitato, senza freni, messo al di fuori di ogni responsabilità e di ogni preoccupazione etica. In tale modo l'autorità perde il suo carattere naturalmente e religiosamente paterno, altera i confini del diritto, poggiati sulla morale naturale, e contamina i l cristianesimo, sia che lo perseguiti sia che se ne serva.

L'errore di costoro è doppio: - quello di non vedere nella società altro che il potere, concepito sotto l'aspetto di autorità, confondendo i due termini e risolvendo l'autorità nel potere; - l'altro, quello di vedere il problema etico solo come inse- gnamento e precetto dottrinale, senza trasportarlo sul terreno sociologico, nella sua ooncretizzazione storica e nei suoi rap- porti intrinseci.

Questi ci si presentano come limiti interiori tra i due fat- tori della struttura sociale (possesso e potere), come limiti or- ganici del sistema politico-statale (libertà-autorità), come limiti morali posti dalla coscienza pubblica di ogni civilizzazione,

presa questa nel SUO complesso religioso, giuridico e culturale. , Per noi essa è la civilizzazione cristiana.

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Cap. I1

LO STATO TOTALITARIO

La parola è recente, ma quello che significa risale sotto certi aspetti ai tempi degli imperi assiri e babilonesi. I1 fasci- smo ha creato uno stato totalitario di cui ha dato la defini- zione: « Nulla fuori o al disopra dello stato, nulla contro lo stato; tutto nello stato, tutto per lo stato D. A parte la for- mula, simili idee sono state concepite e praticate anche nel passato: Leviathan ha due secoli e mezzo di storia..

C'è però una differenza tra il passato e i l presente, e il paragone tra stati più o meno totalitari del passato e del pre- sente offre tanti segni di diversità che siam costretti a con- cludere che l'esperienza moderna dello stato totalitario ha ca-

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ratteri propri e inconfondibili; e questo perchè il processo storico non è reversibile. Ecco perchè bisogna diffidare degli schemi astratti. Essi sono necessari come metodo didattico, come per la costruzione d'una casa o per la decorazione di vaste facciate si deve ricorrere agli steccati, a i ponti, alle im- palcature. Ma dopo essersene serviti, bisogna sbarazzarsene se ci si m01 godere la casa o la decorazione.

La realtà rifiuta gli schemi: quando oggi parliamo di stato totalitario pensiamo subito alIa Russia bolscevica, all'Italia fa- scista, alla Germania nazista, alla Turchia kemalista, a l Mes- sico mezzo socialista e mezzo brigante e non accenniamo nep- pure agli stati che ad esso si ispirano: l'Austria di ieri, il Por- togallo e la Polonia. E siccome siamo portati a generalizzare e a stabilire dei tipi anche solo per comodità di linguaggio, parliamo facilmente di totalitarismo bolscevico o fascista o na- zista. Potremo anche fare a Pilsudski l'onore di regalargli un

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u ismo e parlare di pilzudskismo. La parola è dura ma nean- che ciò che essa significa è molto dolce.

v idea di stato appartiene alla storia moderna. Nel medio- evo' non si parlava di stato, ma di regni e di re, di imperi e d i imperatori, di signori e di vassalli, di città e di repubbliche. Se si voleva specificare la natura del potere si diceva potere secolare, per distinguerlo od opporlo al potere spirituale. I popoli si chiamavano nazioni, le classi, corporazioni o gilde; il vivere sociale era detto comunità o università. Ogni gruppo sociale aveva la propria vita, le proprie libertà, i suoi privilegi, le sue immunità; il complesso sociale aveva il suo movimento come un mondo vivente di monadi alla Leibniz, in cui, certa- mente, l'armonia era prestabilita, ma non sempre effettivamente stabilita.

La base giuridica di questo mondo medievale era contrat- tuale, di carattere privato e personale. Anche i rapporti fra il popolo o la nazione e il re o l'imperatore erano concepiti come un contratto avente per oggetto il legame naturale di fedeltà e di lealtà; i l re era tenuto a rispettare le leggi comuni e i pri- vilegi dei singoli e dei gruppi; e costoro dovevano fedeltà e appoggio alla persona del re.

L'idea di stato considerato come .ente di diritto pubblico, posto al di sopra della comunità, a quell'epoca non esisteva. Bisogna giungere al rinascimento e passare per la riforma e controriforma perchè l'idea di stato si delinei e si imponga alle abitudini mentali, e perchè si possa tenerne conto come di una realtà effettiva.

In Inghilterra, dove il senso del concreto ha la meglio sulle abitudini del pensiero astratto e dove, meglio che altrove, si conservano le vestigia del passato, si parla molto meno dello ' stato e molto di più della corona, del parlamento o, più cor- rentemente, della camera dei comuni o della camera dei lords, dell'impero e del Commonwealth, come se sussistesse ancora un po' dell'anima medievale. È solo quando si parla di u chiesa e stato » che la parola u stato » ritorna correntemente; ma l'espressione « chiesa e stato » è moderna; nel medioevo si par- lava piuttosto di reame e sacerdozio, o di papato e impero, d i potere secolare e d i potere spirituale.

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Come tutte le parole create dalla carenza d i ciò che esse esprimono,,il termine « stato » è nato in Italia per esprimere l'idea di « stabilità » proprio nel eri odo del rinascimento in cui nei piccoli principati, ducati e marchesati esistenti, o an- che pseudo-repubbliche ( a d eccezione di Venezia), ciò che fa- ceva difetto era proprio la stabilità del potere, la certezza delle frontiere e la sicurezza dell'indipendenza.

Ma come si parlò di « lucus a non lucendo D, si parlò allora di « stato » in Italia.

Tutto era da fare, mentre le vecchie repubbliche cadevano, i popoli si agitavano, gli spagnoli e i francesi facevano la guerra in Lombardia, a Roma, a Napoli e in Sicilia. L'idea del potere- forza, sia contro la chiesa ben potente, sia Contro i vicini gelosi

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o gli stranieri invasori, sia contro i sudditi ribelli, si impose come i l solo mezzo suscettibile di assicurare la stabilità e allo stato e a l suo capo, specialmente se questo eka un usurpatore, i l che accadeva'spesso. La personificazione dello stato nel prin- cipe rappresentò la prima manifestazione dell'idea di stato e trovò il suo teorico in Machiavelli.

Questi inventò, i n politica, la « verità effettuale », chiamata più tardi « ragion di stato n, così come il secolo scorso si in- ventò il termine « Realpolitik » o politica realista. La realtà significata è identica. I1 fine del dominatore è la regola cui sono subordinati i fini particolari dei sudditi. I mezzi non hanno molta importanza ; meglio se sono onesti ; se non lo sono,+pur- chè siano utili non sono da escludere. La re1igione.è utile per imporre una costrizione ai popoli; così pure la morale in vista del benessere generale; ma al disopra della morale e della re- ligione c'è la politica, intesa come arte di dominare, di rima- nere forti e d i estendere la propria potenza. Machiavelli non prende gusto al crimine, ma se il crimine dà i l successo, Ma- chiavelli ne ammira gli effetti.

Ieri come oggi, molti son d'accordo con Machiavelli, ma si guardano bene dal confessarlo; al contrario, si preoccupano d i mascherare le loro attitudini immorali sotto i veli (spesso #tra- sparenti) della fatalità storica, del minor male, del vantaggio nazionale e persino dell'utilità religiosa. Machiavelli non na- scose il suo pensiero dietro questi veli ipocriti ed eresse a teoria

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il trionfo dell'utile, concepito come esigenza preponderante dello stato.

Da Machiavelli a Lutero, il salto è appena sensibile. Lutero pose tutti i poteri, anche ecclesiastici, nelle mani del principe, che divenne così esente da freni e controlli, sia da parte della chiesa sia da parte del popolo. Machiavelli aveva subordinato i fini della religione ai fini dello stato, personificato dal prin- cipe. Lutero fa ancor più: in virtù della teoria del servo arbi- trio, staccò la morale dalla fede e abbandonò tutta la vita mo- rale e l'organizzazione religiosa nelle mani dell'autorità seco- lare. I principi tedeschi furono ben felici di riunire tutti i po- teri nelle loro mani, tanto più che i poteri eccleiiastici erano allora moIto estesi e molto redditizi dal punto di vista fiscale. Tutti i principi' riformati fecero altrettanto. Gli altri, i principi rimasti fedeli a Roma, pur rispettando (fino ad un certo punto) l'autorità del papa, si attribuirono tali libertà in materia di diritto ecclesiastico i. di regime fiscale che in definitiva non fecero che rivalizzare con i principi dissidenti. Era lo spirito del tempo.

L'esperienza di quasi mezzo secolo di machiavellismo da una parte e di cesaro-papismo, riformato o no, dall'altra, fece nascere il bisogno di dare a queste tendenze un quadro teorico che non poteva accontentarsi nè dell'empirismo di Machiavelli nè del servo arbitrio di Lutero.

La teoria della sovranità fece la sua comparsa sistematica coi Six livres de la République di Giovanni Bodin (1577). Per lui la sovranità è il potere assoluto e perpetuo cl'una repubblica, qualche cosa che ha un'esistenza propria e dà propria base allo stato. È il potere d i imporre la legge senza subirne gli obblighi, contrariamente a ciò che si riteneva nel medioevo: cioè che la legge era superiore al potere e che le sue norme obbligavano sia i sovrani sia i popoli.

Non bisogna credere che la dottrina della sovranità (la si chiami così o i n altro modo) non abbia tentato legisti e canoni- sti del medioevo, e che re e imperatori, prima di Machiavelli

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e di Lutero, non si siano creduti al di sopra della legge. Che una teoria si diffonda e si adatti alle condizioni storiche e all'atmosfera del tempo è una cosa; che diventi l'interpreta- zione accettata dalla maggioranza, e la base della vita sociale, è un'altra.

Nell'epoca moderna la teoria della sovranità si generalizzò, sebbene monarcomachi e calvinisti, domenicani e gesuiti, par- tendo da diversi punti di vista, l'abbiano combattuta fin dal suo comparire. Ma nella seconda metà del secolo XVII tutti vi si avvicinarono più o meno. Rivestita di carattere divino la sovranità divenne il diritto divino dei re. Bossuet, come teologo, ne espresse la teoria in forma gallicana, i teologi protestanti e anglicani la sostennero nel suo doppio assolutismo, civile e re- ligioso. Roma si oppose agli uni e agli altri per tutelare i diritti della chiesa, erigendosi così implicitamente a guardiana dei di- ritti del popolo, quando quasi tutti l i avevano dimenticati.

Fu allora che intervenne il « giusnaturalismo D, che basava la società sulla natura astratta, piuttosto che su Dio. D'altra parte esisteva già una certa tendenza verso il naturalismo pan- teista. L'assolutismo dei re per così dire si laicizzava. I1 diritto divino, ripudiato dalla dottrina cattolica, non trovava adeguata espressione nella cultura naturalista; il giusnaturalismo arrivò in tempo a trasformarlo. Gli uomini che vivevano in epoca presociale, quasi animale, non eran capaci di formare una so- ciet.à e di darsi una legge. Così delegarono la loro sovranità ad un capo ( o questo se lo fece delegare a viva forza) in modo totale e irrevocabile. I n questo modo la sovranità assoluta dei monarchi è salva, sebbene essa emani dalla sovranità del popolo. Ce lo attesta Hobbes.

Ma l'altra corrente giusnaturalista, partendo dall'idea della natura umana presociale buona e felice, non vedeva in questa cessione totale e irrevocabile della sovranità popolare nè ragioni essenziali, nè vantaggi politici. Vi vedeva invece da parte dei monarchi un 'u~ur~azione dei diritti sovrani del popolo che, se-

\ condo Rousseau, sono inalienabili e indivisibili. Tra queste due . si formò una corrente media, quella della sovranità assoluta del popolo, che doveva dekgare a rappresentanti revocabili e rieleggibili per determinati periodi.

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L'originalità non consisteva nel tipo d i governo: anche nel- l'antichità e nel medioevo si sapeva che il potere può essere nelle mani di uno solo (monarchia), di un ristretto numero di persone (oligarchia) o del popolo (democrazia). Ciò che quali- ficava esattamente la nuova concezione politica era specialmente la non limitazione del potere: una sovranità che non aveva altri limiti che se stessa.

La sovranità monarchica di diritto .divino aveva i suoi li- miti nel rapporto personale tra il monarca e Dio; ae i1 mo- narca, credendosi un semidio, capovolgeva questo rapporto, nessuno poteva impedire tale trasposizione che per lui non era molto difficile.

La sovranità di diritto naturale doveva trovare i suoi limiti ,

nella legge naturale; ma dato che il re era il solo interprete di questa legge, il popolo (da cui si faceva discendere la so- vranità in forma di un atto unico irrevocabile) non disponeva di alcun mezzo che richiamasse il sovrano ad una interpreta- zione meno arbitraria.

La sovranità popolare, come era concepita da Rousseau, non aveva limiti all'infuori della volontà'collettiva che faceva legge da se stessa. Che essa si risolvesse in legge della maggio- ranza o in legge dei rappresentanti o delegati, secondo le varie forme pratiche adottate nell'organizzazione della democrazia, ciò non toglieva nulla al carattere assoluto d'una sovranità senza altri limiti che la volontà collettiva.

Come in tutte le concezioni di governo basate sulla sovra- nità, latebat anguis in herba: sovranità di diritto divino secondo la concezione di Bossuet e sovranità di diritto naturale secondo Hobbes o sovranità popolare secondo Rousseau, tutte nellaVloro illimitatezza supponevano, favorivano e consolidavano l'entità extrapersonale, obiettiva e dominatrice : lo stato /'

/' Dicendo così non intendiamo attaccare l',$dea di stato. Per

concepire ed esprimere le cose collettive abbiamo bisogno d i , / trasformarle in idee formali ed astratte, salvo a ritornare alle

/I cose concrete,ed a riconoscerle per, mezzo d i queste idee, nella

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loro realtà ed.unità effettiva. Ma mentre le idee di comunità, universalità, res publica, regno, mantengono la prevalenza del- l'idea di società, cioè associazione di più persone con un pro- gramma comune (così la chiesa: ecclesia, assemblea, riunione, avente all'origine il significato di società), l'idea di stato sfugge al concetto di società e si inserisce piuttosto nel concetto obiet- tivo di realtà stabile, sovrana, potente: ecco perchè si parla di sovranità e persino di potere.

Poco a poco lo stato diventò, un principio e un fine: l'ori- gine di tutti i diritti e il fine di tutta la attività pubblica. La ragione di stato ebbe i'l seguente significato; subordinare tutto alla grandezza dello stato. Gli sforzi di Botero per « cattoliciz- zare la ragion di stato non servirono che a proiettare un'om- bra sul cattolicesimo, come se accettando la ragion di stato cat- tolica si fossero voluti giustificare, per fini religiosi, i mezzi politici mondani utilitari e in fondo immorali che i sovrani cattolici solevano impiegare.

Tutti cercarono di concepire lo stato come una realtà supe- riore agli uomini e l a sovranit*à come una volontà superiore raggiungente i fini dello stato. Quando Luigi XIV diceva: « Lo stato sono io », non intendeva porsi a1 di sopra dello stato, ma riassumere nella sua persona la somma degli interessi dello stato e farli conoscere con la sua volontà.

Ecco perchè Laski scriveva con ragione nel Daily Herald, nel 450" anniversario della nascita di Lutero, che senza Lutero Luigi XIV non sarebbe stato possibile.

L'idea di stato in definitiva non può essere l'ultima; essa evoca ancora un'altra realtà sostanziale che la completa.

All'epoca del diritto divino sussisteva l'idea di Dio dietro lo stato a quest'idea implicava - almeno indirettamente - quella di popolo. I1 clero si sforzava di mettere in evidenza ora l'una ora l'altra idea, ma non vi riusciva sempre, come accadde al clero gallicano e giuseppinista.

L'Enciclopedia pose dietro lo stato le idee di natura e d i umanità, idee generose del resto, giacchè la natura e l'umanità sono creature di Dio. Tuttavia, separate da Dio, queste idee restavano astratte e prive di ogni reale consistenza.

Nella ricerca di u n punto di riferimento, tre ideologie si

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svilupparono e orientarono la politica del secolo XIX fino ai nostri giorni.

La prima è quella di Hegel: lo stato non è che la manife- stazione dello Spirito, la sua più perfetta manifestazione: lo stato è in se stesso etica-diritto-potere. Una specie d i incarna- zione divina in cui l'idea di potere si identifica con quella di Dio.

Ma quale era allora in Germania lo stato che avrebbe potuto seriamente dirsi creatura dello Spirito assoluto &l m o d o e volontà di potenza? Eccetto la Prussia, tutti gli altri stati e piccoli principati potevano essere considerati come manifesta- zioni della mediocrità dei loro tirannelli e degli intrighi e pettegolezzi delle loro corti. Ci vollero le guerre napoleoniche per far sprizzare in Germania lo spirito nazionale, di cui Fichte fu il filosofo e i l profeta. Secondo lui l'Eterno si manifesta soltanto nella nazione. La sua è una grandezza morale che aspira al regno dello spirito. Lo stato-nazione, in quanto. svi- luppo di tutta la cultura d'un popolo, è per Fichte 1' « autorap- presentazione di .Dio D.

Con Fichte non pèrdiamo il filo dell'ideologia di Hegel, ,

ma la troviamo trasportata dallo stato alla nazione. Quando Bismarck effettuò l'uniti germanica, i l Belgio aveva riacqui-

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stato la sua personalità, l'Italia poco dopo aveva compiuto la propria unità, i popoli balcanici andavano acquistando a poco a poco la loro indipendenza. I1 di nazionalità, quello d i 'indipendenza e quello di unità avevano dato così la base politica all'idea di nazione-potere-cultura di cui lo stato era lo strumento giuridico-militare.

Più che per via teorica la Francia sviluppò praticamente la idea di nazione in opposizione all'u umanitarismo dell'Enci- clopedia col suo terzo stato o borghesia, con la coscrizione mi- litare e le guerre napoleoniche, con la democrazia e le scosse reazionarie bonapartiste e clericali. Essa non rinunziò mai al- l'idea di stato perchè stato e nazione coincidevano, e dietro lo stato secondo le circostanze si pose ora il popolo ora la nazione. Ma popolo e nazione non avevan bisogno di un mito per reg- .gersi perchè in essi l'idea di patria era molto antica, e un sen- timento stabile la vivificava. Ci volle il nazionalismo mauras- siano per portarla al limite d'un misticismo positivista.

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L'Inghilterra non perdette mai il buon senso pragmatico ,neppure quando i suoi filosofi le recavano il verbo di Hegel e le esaltazioni di Fichte. Teoricamente e spesso praticamente l'utilitarismo, misto ad un moralismo che non era solo esterno, vi prevaleva. Sui mari la bandiera britannica e nelle colonie la corona bastavano: in casa ognuno si sentiva libero e padrone senza appoggiarsi allo stato, senza che fosse necessario crearsi il mito della nazione-divinità. La nazione era più viva nella sua storia e nel suo impero che nella sua teoria.

Mentre si accentuava l'affermazione dell'idea nazionale, dap- pertutto si sviluppava un'altra corrente che negava lo stato e la nazione, sostituendovi la classe: la corrente socialista, ele- vata al grado di teoria da Carlo Marx. Questa teoria propu- gnava l'avvento della classe proletaria, che con lo stabilimento di un'economia collettivista avrebbe distrutto lo stato borghese e la nazione militarista. 11 materialismo storico sostituì i l pro- cesso storico dell'idea hegeliana, la lotta di classe sostituì i l di- namismo nazionale, l'economia-lavoro organizzato sostituì lo stato-potenza. 11 movimento socialista-marxista spezzò l'unità dei sentimenti nazionali e preparò in ogni nazione il terreno all'internazionalismo.

Ecco quindi tre tedeschi: Hegel, Fichte e Marx, che sinte- tizzano lo sforzo europeo del secolo XIX per dare un signifi- cato, un contenuto, una finalità assoluta e quasi divina allo stato, alla nazione, alla classe.

Durante il secolo XIX si svilupparono due sistemi riguardo alla concezione dello stato nazionale: il sistema liberale e quello autoritario. I1 primo fu conservatore o democratico: il secondo assoluto o paternalista. Evidentemente queste qualifi- che, indicando le varie sfumature, non van prese alla lettera: non fissavano tipi assoluti, ma servivano ad indicare le ten- denze predominanti.

Ciò che ci interessa in questa inchiesta è il fatto che dietro la maschera della democrazia alla francese come dietro l'auto- ritarismo alla Bismarck e alla Guglielmo si trova sempre lo stato nazionale. L'impero austro-ungarico era il solo che, a causa delle nazionalità dissimili e divergenti che lo compone-

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vano, non poteva esser considerato come un vero stato nazio- -

nale ed aveva in sè il germe della sua disgregazione. Sotto tutte le latitudini i caratteri dello stato-nazione fu-

rono i l centralismo ognor crescente, il militarismo basato sulla coscrizione e gli eserciti permanenti, la scuola di stato come mezzo per creare un conformismo nazionale (una unità morale nazionale). Per la Francia questi caratteri furono un'eredità della rivoluzione e de1.l9impero napoleonico; per la Germania un'eredità della Prussia di Federico; per l'Italia un mezzo di difesa della recente unificazione politica e l'imitazione della Francia; per la Spagna un tentativo per vincere da una parte i l particolarismo dinastico e autonomistico e dall'altra l'influen- za della chiesa; per l'Austria un'esigenza della casa di Asburgo e del predominio delle élites tedesche e magiare nello stato. Gli altri paesi europei vivevano nello stesso ambiente anche se non avevano simili necessità. ,

L'economia liberale a l'intemazionalismo operaio avrebbero dovuto sviluppare molto più vigorosamente i l senso cosmopolita in opposizione al nazionalismo. La facilità del commercio, la comunicazione delle scoperte scientifiche, la diffusione ,della stampa e l'organizzazione del lavoro favorirono questa tendenza. I1 libero scambio segnò una fase presto sorpassata del protezio- nismo doganale, prima timido, poi molto largo a vantaggio di ciò che è chiamata economia nazionale. La stampa periodica perdette ben presto il suo carattere libero e individuale per diventare un'impresa più o meno capitalistica o per legarsi alle imprese industriali. L'« internazionale operaia fu sem- pre minata dal particolarismo locale, meno la parte estremista e pseudoanarchica che mancò di uomini e di mezzi.'E se i vari socialismi negavano lo stato perchè borghese, non avrebbero rinnegato uno stato nazionale, purchè proletario.

La Chiesa, non dissimulasse allora le sue prefe- renze per gli stati autoritari, dal punto di vista religioso non cessh di lottare contro la centralizzazione politica che implicita- mente limitava la sua missione, contro la coscrizione obbligato- ria e la corsa agli armamenti che creavano un pericolo di. guerra; soprattutto contro la scuola di stato che si presentava come un monopolio tembile q come un mezzo di scristianizza-

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zione del popolo in nome dello stato. Essa raddoppiò l'inten- sità della sua lotta contro il liberalismo per ragioni teoriche a causa delle posizioni pratiche che dov-eva difendere, ma la lotta essenziale fu quella contro lo stato nazionale, lotta in cui fu sconfitta.

La grande guerra 1915-18 fu la prova del fuoco delle con- cezioni politiche e dei sistemi del secolo XIX. imperi caddero, forme di governo furono cambiate, ma nonostante tutti gli scon- volgimenti della guerra e del dopoguerra i fattori essenziali dello stato nazionale sono sopravvissuti: accentramento, milita- rismo, scuola di stato e tariffe doganali. La Germania di Wei- mar aveva ridotto l'esercito al minimo consentito dai trattati, ma i l militarismo restò intatto e si sviluppò anche clandestina- mente fino al momento in cui comparve in piena luce. Dal Bal- tico ai Balcani la follia militarista si è impadronita di tutti e anche dove non esistevano eserciti regolari, non si vedono che agitazioni di squadre armate, evoluzioni di gioventù militariz- zata, turbolenze di milizie politiche nere, rosse, blu, gialle e verdi.

Gli stati di recente creazione per vincere la debolezza costi- tuzionale imitarono la centralizzazione dei grandi stati, che del resto a loro volta non han cessato di creare nuovi ministeri, di moltiplicare le loro circoscrizioni amministrative e d i aumen- tare le loro burocrazie centrali e le spese dei loro bilanci. Più ancora che nèll'anteguerra la scuola è diventata un obiettivo di conquista politica. Le tariffe doganali sono state elevate a limiti . insensati: perfino nell'Inghilterra, che buona ultima ha lasciato cadere il libero scambio.

Insomma, qualunque siano state le circostanze speciali in sedici anni dal 1917 al 1933, l'Europa ha visto tra tante altre dolorose esperienze una Russia bolscevica, un'Ita1ia fascista e una Germania nazista : tre grandi stati totalitari di carattere diverso, ma tutti e tre a tipo nazionale e fondati sulla centra- lizzazione amministrativa e politica, sul militarismo, sul mono- polio dell'insegnamento e sull'economia chiusa.

Quali differenze e quali rassomiglianze sostanziali ci sono

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tra questi stati totalitari e gli stati nazionali ancora esistenti? Se ci riferiamo ai quattro fattori essenziali comuni ci è possi- bile determinarne le differenze.

a) L'accentramento amministrativo nello stato totalitario è spinto all'estremo; soppressione di ogni autonomia comunale, provinciale e di qualunque altro organismo pubblico e semipub- blico, opere d i beneficienza, associazioni culturali, università. .

L'accentramento nello stato totalitario invade il terreno po- litico che è oggetto di disputa negli stati nazionalisti ancora esistenti sotto il segno della democrazia. I1 potere esecutivo è diventato, di diritto e di fatto, la sintesi suprema di tutti i po- teri, anche d i quelli che appartengono al capo dello stato ( in Russia e in Germania il capo dello stato e i l capo del governo son la stessa persona). L'indipendenza dei corpi legislativi e giudiziari è completamente scomparsa, lo stesso governo si trova ridotto ad un organismo subordinato al capo, diventato dittatore sotto i brillanti nomi di duce, maresciallo o Fuhrer. Essi detengono la forza di una polizia politica che funziona in collegamento con una potentissima organizzazione di spionag- gio, molto più grande di tutto ciò che Napoleone stesso aveva

i inventato. La Ghepeu russa e 1'Ovra italiana son assai conosciute con la loro terribile reputazione: ultimamente è nata la Gestapo tedesca.

Per azionare il meccanismo del potere centrale assoluto, il- limitato e personale, bisognava necessariamente sopprimere qua- lunque libertà politica, civile e organizzativa, individuale e collettiva di gruppi e di partiti. Mezzo adatto: i l partito unico (l'avvic'inamento di questi due termini ha qualcosa di illogico), una fazione armata dominante, comunista, fascista o nazista. Tutti gli altri partiti soppressi, tutti i movimenti indipendenti repressi, tutti gli avversari esiliati. Si soppressero in Russia l e classi aristocratiche e borghesi; in Italia i partiti d i opposi- zione, persino le razze differenti in Germania, dove diventa un delitto politico il matrimonio con un ebreo e dove u n ceppo contaminato da un solo antenato giudeo è causa di incapacità civile per tutti i discendenti. Tutta una categoria di cittadini

. senza diritti, una classe di iloti si sta costituendo. La violenza della lotta spinge all'istituzione di tribunali eccezionali, di

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campi di concentramento, di zone di internamento; le prigioni rigurgitano, ci sono centinaia di migliaia di esiliati, i deportati non si contano più, innumerevoli sono gli uccisi arbitrariamente e coloro d i cui si ignora la sorte. E non si tratta di misure ec- cezionali prese durante una crisi rivoluzionaria. Lo stato totali- tario non ammette di avere oppositori. Da vent'anni i sovieti *

C non fan che fucilare e condannare ai lavori forzati o deportare i n Siberia; così in Italia si continua a far funzionare ancora oggi i l tribunale speciale per la difesa dello stato e l'istituto del confino. La Germania è arrivata ultima e la sua purga del 30 giugno 1934 fu un episodio tipico dei metodi terroristici dei dittatori moderni per mantenersi a qualunque costo al potere contro amici e nemici.

Insomma l'accentramento amministrativo e politico negli stati totalitari per un'ineluttabile esigenza vitale si trova ne- cessariamente legato alla soppressione di tutte le autonomie, delle libertà civili e politiche e dell'habeas corpus, ai sistemi più perfezionati d i polizia e di spionaggio, alle repressioni vio- lente e sanguinose, all'eliminazione dell'avversario e del dissi- dente, all'intolleranza di qualsiasi disaccordo e all'imposizione esterna ed interna del conformismo politico.

b) Tutto questo sarà possibile se il potere dittatoriale co- manda l'esercito e la flotta e giunge a militarizzare il paese. Anche gli stati detti democratici son militarizzati nel senso che hanno la-coscrizione militare, forti eserciti e flotta potente. Ma essi l i hanno in modo normale perchè si tratta unicamente di corpi tecnici senza rapporti con la politica, che restano estranei ai partiti e che collaborano con qualunque governo in ciò Che riguarda gli interessi della difesa nazionale. Il passato offre .molti casi in cui i capi dell'esercito manifestarono tendenze , politiche: i l movimento boulangista e l'affare Dreyfus in Fran- cia, i pronunciamientm in Spagna son noti. Ma ciò restava nel quadro del libero gioco delle forze politico-sociali in contrasto.

Negli stati totalitari la posizione è diversa. I1 partito è mi- litarizzato e si mette al di sopra dell'esercito; oppure l'eser- cito si allea al potere e le due forze si associano e si fondono. La gioventù è militarizzata dal punto di vista morale e disci- plinare: la vita collettiva è concepita come una vita militare;

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ambizioni di rivincita o di dominio, lotte interne ed esterne, guerre civili agitano tutto il complesso sociale. I n Italia a sei anni si è iscritti tra i figli della lupa, e in seguito tra i balilla, le giovani italiane, avanguardisti e militi e così via fino ai cin- quantaquattro anni. I1 partito è una milizia; maestri e profes- sori hanno i loro gradi militari e le loro uniformi. L'istruzione militare dura tutta la vita: l'arma omicida è l'abituale compa- gna dell'uomo, le riviste militari, gli esercizi militari occupano buona parte del tempo dei giovani e degli adulti.

La Germania di oggi è armata fino ai denti: non solo per proclamare la sua parità di diritto e di fatto con le altre na- zioni; ma per un'esaltaziohe mistica e morbosa della forza e del destino della razza nordico-teutonica ogni tedesco è un soldato.

La Russia assimila il compito di difendere lo stato a quello di difendere la rivoluzione e l'ideologia bolscevica, e di propa- - gandarla nel mondo. I1 comunismo è il verbo della salvezza per i russi come il fascismo lo è per gli italiani e il nazismo per i tedeschi'; verbo di salvezza da diffondere nel mondo con la propaganda e con la forza come Maometto con la parola e con l a scimitarra sottomise i popoli al suo nuovo vangelo.

C) Per arrivami ci vuole un insegnamento di stato rigoro- samente monopolizzato. I1 monopolio dell'insegnamento è stato durante più di un secolo, e lo è sempre, la cura più importante per uno stato nazionale. Napoleone fu il primo ad organizzare - dall'università alle elementari - la scuola per lo stato, cioè l a scuola avente lo stato come scopo immediato. Tuttavia si è quasi sempre cercato di conciliare il monopolio dell'insegna- mento con la libertà di pensiero anche in materia politica. In generale la lotta (sia aperta, sia velata) f u condotta parti- colarmente contro la chiesa, che lottò per la libertà scolastica più ampia possibile.

Lo stato totalitario per la sua stessa natura, si capisce, è ' indotto a superare i limiti osservati fino a lui. Tutti devono

avere fede nello stato nuovo ed imparare ad amarlo. Nessuna voce contraria, nessuna voce dissidente. Dalla scuola primaria all'università non basta praticare un conformismo sentimentale, ci vuole la sottomissione intellettuale e morale completa, l'en-

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tusiasmo confidente, l'ardore mistico d'una religione. I1 bolsce- vismo o il fascismo o i l nazismo è e deve essere una religione. Per creare tale stato d'animo, la sola scuola non basta. Bisogna aggiungervi mezzi complementari: il libro di stato, il giornale statizzato e standardizzato, il cinema, la radio, lo sport, le associazioni scolastiche, i premi, il tutto non solo controllato, ma orientato verso un fine: il culto dello stato totalitario sotto l'insegna della nazione, della razza o della classe.

Per guadagnare l'unanime consenso e stimolare questo spi- rito collettivo di esaltazione, tutta la vita sociale è continua- mente mobilitata per parate; feste, cortei, plebisciti, esercizi sportivi che colpiscono l'immaginazione, la mente e il senti- mento della popolazione.

I1 culto dello stato, della classe o della razza sarebbe troppo generico: ci vuole l'uomo, l'eroe, il semidio. Lenin ha oggi un imponente mausoleo e per i russi è diventato un Maometto laico. Mussolini e Hitler ancora vivi sono protetti da un nugolo di poliziotti e guardie del corpo, agiscono e parlano in modo da colpire l'immaginazione e i sensi della folla, le loro per- sone son sacre e le loro parole sono come parole di profeti. Hitler passa tra due fitte siepi di guardie che camminano ad una notevole distanza da lui, in modo che egli solo emerga in mezzo ad esse, e prende un'aria trasognata con gli occhi levati a l cielo, le mani aperte e protese davanti a sè come un reden- tore. Mussolini ha inventato un rito quasi magico, facendosi invocare dalla folla durante un tempo più o meno lungo: Duce! duce! duce! con voci sempre più insistenti fino al parossismo per diventare poi quasi un mormorio ed elevarsi ancora pro- gressivamente fino a frementi appelli: Duce! duce! duce! Egli , si presenta finalmente alla folla in una salve di applausi.

d) Tutto questo esige da una parte una spesa enorme, una finanza di lusso e dall'altra una costrizione ad un regime 'eco- nomico sempre più rigorosamente controllato. Come tutte le energie morali devono convergere all'edificazione della potenza dello stato, così anche tutte le forze economiche. Gli stati de- mocratici hanno adottato un sistema medio: aiutare le industrie nazionali con la protezione doganale e dare ampia libertà al- l'iniziativa privata.

3 - S m - Politica e morale

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Lo stato totalitario asservisce ai propri fini il capitale pri- vato (come in Germania) o se l'associa per mantenere un certo equilibrio politico tra le classi (come in Italia) o diventa egli stesso capitalista (come in Russia). Lo stato totalitario non la- scia mai la libertà economica nè ai capitalisti nè ai lavoratori. 1 sindacati liberi degli uni e degli altri non sono tollerati. Non ci son che sindacati e corporazioni di stato privi di ogni libertà di movimento, controllati e organizzati su tutto il territorio dallo stato e per lo stato. Donde scaturisce un abbozzo di eco- nomia diretta costituente la prima'fase verso l'autarchia, cioè verso una trasformazione radicale del sistema economico.

La questione di sapere quale di questi due sistemi, l'econo- mia diretta o i l sistema chiuso, sia il più vantaggioso, si pre- senta come un problema intimamente legato a ciascun regime di stato in particolare e non può quindi esser risolto astratta-

I

mente. I1 bolscevismo si è presentato contemporaneamente come regime comunista dal lato economico, e totalitario da quello politico. I1 fascismo ha proceduto per gradi e per esperimenti tanto in politica come in economia diretta dallo stato, masche- rato d'un corporativismo apparente e verbale. La Germania, in . piena crisi finanziaria e carica di debiti, ha instaurato contem- poraneamente il regime totalitario e il socialismo di stato'.

**I

Questi aspetti dello stato totalitario ci portano a trattare due problemi di un interesse primordiale per la nostra civiltà:

1) I1 primo è quello della libertà, considerata non solo come complesso d i diritti politici e come una partecipazione del cit- tadino alla vita del proprio paese, ma soprattutto come autono- mia della persona, come sicurezza del proprio diritto, come garanzia dell'attività di ciascuna persona, sia temporale come spirituale. Gli stati totalitari sopprimono la libertà politica e diminuiscono la libertà personale con l'ingerenza itatale nel- l'atteggiamento del pensiero, nel dominio della morale e della religione.

2) Questo implica il gravissimo problema della supremazia dello spirituale su1 temporale, dei fini etici su quelli politici e per noi cristiani dei fini religiosi soprannaturali sugli scopi

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naturali dello stato. La soluzione di questo problema fu data nel 1926 da Pio XI, sviluppata poi nelle encicliche Non abbia- mo bisogno del 29 giugno 1931 e nell'enciclica Mit brennender Sorge (contro le persecuzioni in Germania, 16 marzo 1937) e finalmente a proposito dello stato totalitario fascista quando, nel concistoro pubblico, disse che il fine dell'uomo non è lo stato ma che l'uomo è il fine dello stato » (l)..

Che i rapporti tra la chiesa e lo stato siano legalmente re- golati, come avviene in Italia dall'll febbraio 1929, o che siano pieni di discordie e di lotte come in Germania, nonostante il concordato del 1933, o siano del tutto aboliti, come in Russia, questo appartiene alla fenomenologia storica politica, iniziata diciannove secoli fa con'la venuta di Gesù Cristo e i l massacro degli innocenti. A parte questo la incompatibilità tra i l cnstia- nesimo e lo stato totalitario è già manifesta se si guarda ai postulati storici della concezione dello stato che ha sempre pie- gato verso un monismo sociale-politico a danno della persona umana e delle ragioni dello spirito; ma questa incompatibilità è ancora più evidente nelle premesse logiche del totalitarismo che si traducono praticamente nell'esaltazione mistica d'un prin- cipio sovrumano: il carattere di assoluto dato alla classe, alla i

nazione, alla razza. Un simile stato di cose ci conduce allo sconvolgimento della

civiltà cristiana perchè toglie ai rapporti di giustizia (secondo una sana concezione del diritto privato e pubblico, interno ed internazionale) il fondamento della morale naturale, e mette al suo posto il principio della morale intrinseca 'dello stato o eticità dello stato. Gli individui secondo questa ideologia non son più considerati nè come cittadini nè come sudditi, ma solo come membri d i un gregge, come unità di una collettività di ferro i cui atti morali si integrano nei fini dello stato. La per-

(l) Tra le proposizioni erronee, che la congregazione dei seminari e università ha segnalato nella lettera del 13 aprile 1934, la VI11 è la se- guente: a Ogni uomo non esiste che per Io stato e per mezzo delio stato. Tutto ciò che possiede di diritto deriva unicamente da una concessione dello stato n. (N.d.A.)

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sona si perde, assorbita nella pan-collettività, designata coi no- mi simbolici d i nazione, classe o razza.

Ogni morale comporta l'esigenza di una religione: la morale soggettiva ci dà la divinizzazione dell'individuo; quella natura- lista può giungere fino alla divinizzazione del totem e al culto magico ; la morale di stato produce la divinizzazione dello stato e delle idee che nello stato si son quasi ipostatizzate, quali la razza, la nazione o la classe; solo la morale cristiana ci fa par- tecipi della divinità di Gesù.

Dopo Machiavelli e Lutero lo stato non ha cessato di cammi- nare verso la propria divinizzazione. Oggi lo stato totalitario è la forma più chiara e più esplicita dello stato panteista.

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Cap. 111 m

LA CRISI DELLA DEMOCRAZIA i

Tutti parlano della crisi della democrazia, ma sarebbe dif- ficile trovare due persone che siano d'accordo su ciò che è la democrazia e che possano dire allo stesso modo in cosa consista la crisi e come si potrebbe rimediarvi. Ciò che è più grave è che l'opinione pubblica si trova divisa tra coloro che vogliono risolvere la crisi in favore della democrazia e coloro che cre- dono che la democrazia sia morente e che bisognerebbe darle il colpo di grazia.

Non siamo di questi ultimi, ma non vogliamo neppure essere d i quei medici che al capezzale del malato vantano specifici miracolosi ed elisir di lunga vita. Siam tra quelli che vogliono capire e se, dopo tutto,'la malattia è inguaribile, che la demo- crazia muoia! Andrà al cimitero dove la storia ha già seppellito tante istituzioni come i l feudalesimo, le - monarchie, i l diritto divino, i- governi paternalisti, la Santa alleanza e molte altre.

Ma prima di parlare di morenti parliamo un po' d i ciò che vive ancora. La democrazia in quanto astrazione generica non esiste: ciò che esiste son le democrazie in concreto: inglese, francese, americana, belga, svizzera, olandese e scandinava.

Quanto alle democrazie improwisate in seguito alla guerra la cosa è diversa. Chi ha creduto alla democrazia tedesca? A quella austriaca? A quella polacca, o a quella degli stati bal- canici?

Restan la Spagna e l'Italia per completare l'elenco europeo. Nessuno h a mai contato la Spagna tra i paesi democratici, nep- pure durante l'esperimento repubblicano del secolo scorso, espe- rimento del resto di breve durata; la monarchia costituzionale

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ebbe fasi liberali e fasi reazionarie; il popolo partecipò piii a i tumulti e alle guerre civili che alla vita politica normale; la repubblica del 1931 mancò di consistenza politica ed è stata seguita dalla guerra civile.

L'Italia era liberale, ma non democratica fino al 1912. I1 suffragio universale fu usato per la prima volta nel 1913. Du- rante la guerra si sospesero le garanzie costituzionali. Dopo la guerra e le elezioni del 1919 in regime democratico si videro sorgere le fazioni armate (1920-21) fino al trionfo del fascismo dell'ottobre 1922. La democrazia italiana fu soffocata nella culla.

Ma prima di tutto che cosa intendiamo noi per democrazia? Per dire che è in crisi bisogna sapere ciò che è. Etimologi- -

camente democrazia vuol dire governo del popolo. Ma per i greci nè gli schiavi, nè gli iloti, facevan parte del demos:~ solo i cittadini, minoranza di uomini liberi organizzati nelle loro tribù, riuniti nelle città di media grandezza, formavano un'unità cosciente che si governava direttamente con le sue assemblee ...

r, quando.non cadeva nelle mani dei tiranni. I1 demos moderno s'è ampliato per include+ prima la bor-

ghesia, poi gli artigiani e i lavoratori e ' finalmente le donne. I n Inghilterra oggi ci son 30 milioni di elettori su 46 milioni di abitanti. I n Francia le donne sono sempre tenute... ad una rispettosa distanza e il corpo elettorale conta una decina di mi- lioni di elettori su 40 milioni di abitanti. Si conta la stessa proporzione negli altri paesi a regime democra'tico, Aia che le donne godano dell'eguaglianza civile, come nei paesi scandinavi, sia che non l'abbiano, come nel Belgio. La differeiza tra i 35.000 cittadini d i Atene nel gran secolo e i 30 milioni dell'In- ghilterra del 1937 non è soltanto un dato numerico, ma anche specifico. I1 clemos inglese è un'altra cosa per il suo spirito, la sua struttura, il suo valore, la sua importanza, la sua responsa- - bilità, la sua consistenza economica e la sua coesistenza di classi.

Donde la necessità di organizzare quest'enorme demos per- chè sia possibile un governo. I1 sistema rappresentativo nel senso non d i un mandato imperativo, secondo la concezione del diritto privato che dominava nel medioevo, ma d i una rappre-

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sentanza di fiducia con un'autonomia e una responsabilità pro- pria, è nata dal carattere particolare della democrazia moderna. I1 parlame'ntarismo le è talmente legato che la crisi, che è so- prattutto una crisi del parlamentarismo, si estende alla demo- crazia.

Un altro elemento della democrazia moderna è la sua base individualista. Si son stabiliti rapporti diretti tra l'individuo e lo stato. Qualsiasi organismo intermediario sul piano politico è stato abolito o distrutto al punto che non ha più importanza nè significato. In paesi come l'Inghilterra dove la tradizione, i l senso gerarchico, la differenza di classi, l'autonomia locale hanno un valore effettivo, l'individualismo democratico è atte- nuato dalla netta e costante formazione di due partiti che eser- oitano alternativamente il potere, che inquadrano le forze vive della politica militante e lasciano scarso margine ai piccoli gruppi e alle affermazioni individuali.

In Inghilterra il terzo partito è sempre stato un guastafe- 'ste. 0 si è accontentato di esercitare un compito particolare come il gruppo irlandese o si è messo a rimorchio d'un partito più importante come i primi laburisti che furono accolti dai li- berali nelle loro file. Oggi i laburisti diventati più forti han soppiantato i liberali, riducendoli a formare a loro volta il terzo partito forse in via di liquidazione. I

Un altro correttivo apportato in Inghilterra alla democra- zia individualistica è il carattere che ha la camera dei Lords, reclutata tra la nobiltà terriera e conservatrice con privilegi aboliti dappertutto altrove, e una tradizione di equilibrio che non ha impedito le più audaci conquiste laburiste. I1 laburismo organizzato dalle Trade Unions ha convogliato le classi operaie in potenti associazioni economiche che han servito di base alla formazione politica del laburismo.

In Francia l'individualismo della democrazia politica non era corretto nè da un senato di casta nè da partiti stabili nè da organizzazioni operaie solide che avessero una vera personalità. Donde la passione che anima la vita pubblica, la mobilità dei partiti, l'instabilità dei governi. Ciò non ha impedito alla de- mocrazia della terza repubblica, nata nelle sanguinose convul- sioni della Comune, in seguito alla sconfitta e alla perdita del-

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l'Alsazia e della Lorena, d i stabilizzarsi, di ricostituire uno stato forte, dotato d'un impero coloniale di e poli- ticamente in stato di affrontare la grande guerra, di riconqui- stare le provincie perdute, di aumentare le sue .colonie coi mandati e di diventare (almeno fino al 1936) la prima potenza del continente.

Tutto questo è stato ossib bile per due motivi: il primo perchè durante il secolo XIX la Francia ha mantenuto e rico- stituito nella borghesia le sue élites morali, olit ti che e religiose grazie a una rigorosa selezione intellettuale, a forti tradizioni familiari e alla sanità morale delle sue provincie. Ciò che l'In- ghilterra deve ai suoi collegi e alla selezione un po' artificiosa e aristocratica di Eton e di Harrow, alla formazione politica di Oxford e alle tradizioni di affari degli scozzesi, la Francia l'ha ottenuto non per spirito di corpo d'una classe particolaristica, ma grazie alle personalità emerse da tutti gli strati sociali e affermatesi nonostante i1 loro livello borghese col loro valore intellettuale, morale e politico.

L'altro fattore è il senso molto vivo della nazione che fa del francese non un fanatico nel senso volgare della parola (ne esi- stono in Francia come altrove, ma sono l'eccezione), ma u n

-essere che si sente superiore agli altri perchè francese e come '

tale unito ad altri francesi in una solidarietà nazionale. La de- mocrazia francese è stata individualistica, borghese, militarista ; quella dell'Inghilterra è stata più o meno organica, tradiziona- lista e sostenuta da élites.

'

La crisi. della democrazia può essere considerata sotto tre aspetti: l'aspetto sociale, quello olit tic^ e quello morale; ma sono talmente connessi e interdipendenti che le analisi partico- lari sarebbero difficili o incomplete.

L'aspetto sociale è dato principalmente dalla partecipazione delle classi operaie alla politica attiva nel quadro degli istituti democratici. Durante quasi tutto i l sec. XIX le classi operaie organizzate nel socialismo o comunismo erano orientate o verso l'anarchia o verso una politica rivoluzionaria. La borghesia che aveva creato lo stato parlamentare e 10 teneva nelle sue mani

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era obbligata a difendersi sia con repressioni sia con conces- sioni, proteggendo lo stato e la nazione dalle convulsioni della rivoluzione sociale.

Ma quando cominciarono le esperienze del socialismo legale elettorale e parlamentare, la borghesia, divisa in destra e sini- stra, si sfasciò completamente, mentre le forze operaie organiz- zate diventarono così importanti che non fu più possibile go- vernare contro o senza di esse. I partiti socialisti, sebbene si dicessero sempre rivoluzionari, entrarono ben presto o nell'op- posizione o nei partiti di coalizione governativa o anche, come partito unico di governo, si alternarono coi partiti borghesi.

Oggi i socialisti se si dicono ancora rivoluzionari, rispettano la legalità (non parlan forse in Spagna di difendere il governo legittimo?) e sostengono i principi di libertà e di democrazia (giungono fino a vantare il monopolio dell'una e dell'altra) dimenticando che preconizzano la dittatura di classi; così sono un fattore di instabilita politica negli stati democratici. I

Le condizioni economiche della guerra e del dopoguerra han dato un forte impulso alla proletarizzazione delle classi medie e han contribuito al passaggio nelle mani dello stato di una gran parte della proprietà privata svalutata o oberata di debiti. Questi fenomeni, più accentuati nei paesi di dittatura come in Germania e in Italia (lasciando da parte la Russia) Qi son estesi anche ai paesi di migliore struttura economica e di più stabile democrazia. .

Le classi dirigenti avrebbero dovuto proporre i rimedi più adatti e più rapidi, affrontando il problema monetario, quello tributario, sviluppando la piccola propri&tà, dando una forma legale all'organizzazione professionale, migliorando le condizioni di vita operaia. Esse invece se la son presa col problema poli- tico come causa principale della crisi. In molti paesi l'accusa contro il parlamento di esser incapace di risolvere seriamente un solo problema, fu il cavallo di battaglia dei reazionari co- sidetti nazionali. I n realtà essi vedevano che la macchina elet- torale era contro d i loro e volevano disfarsene o almeno, con metodi legali, assicurarsi le leve del comando o con un colpo di stato ben riuscito e forse non sanguinoso, cambiare il regime in una quasi dittatura.

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La soppressione delle organizzazioni operaie libere e la ir- reggimentazione nelle mani del potere centrale. di tutte le forze stesse del proletariato, fatta dai regimi dittatoriali, sono state vivamente approvate dagli avversari della democrazia parla- mentare. Soltanto quando la. borghesia liberale si accorse che l e dittature fasciste non tenevano in gran conto la proprietà privata e le fortune delle classi possidenti (pur non ricusando a i propri partigiani un facile arricchimento) ha guardato con benevolenza le esperienze politiche intermediarie di Vienna prima dell'Anschluss e di Lisbona, elaborate all'insega del cat- tolicesimo sociale.

Voler risolvere la crisi sociale, aggravando la crisi politica, non è soltanto una colpa da parte della borghesia cieca ed egoi- sta, è anche un errore causato dall'individualismo su cui è ba- sata la democrazia. L'individualismo delle rivoluzioni dei sec. XVIII e XIX fu una reazione contro la mancanza di libertà nell'ancien régime. Come movimento di liberazione da tutti i vincoli che univano tutte le forme di vita economica politica e religiosa, essa fu storicamente logica e naturale. L'errore fu di voler creare due soli termini nella nuova struttura sociale: i l cittadino .e lo stato.

Per il funzionamento della vita sociale ci vuole il concorso degli organismi necessari. Togliere alla proprietà il suo carat- tere organico e renderla puramente individuale, conduce da una parte al suo frazionamento sterilizzante e quindi alla, con- centrazione in poche mani sotto una forma anonima; dall'altra parte la proprietà, disintegrata da ogni funzione sociale, perde i l suo compito organico nella politica.

La famiglia, che dovrebbe trovare nell'economia domestica un mezzo di consolidamento e nella politica la propria stabi- lità, ha dovuto subire la decadenza impostale dalla proprietà individualizznta e la perdita della sua figura politico-sociale.

Le classi lavoratrici han dovuto riconquistare il diritto d i organizzarsi liberamente dopo più di mezzo secolo di lotte e cercano ancora di ottenere uno statuto legale e un'importanza politica ben definita.

I n numerosi paesi la condizione dei comuni è deplorevole, senza una autonomia, senza alcun carattere organico, corpi

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liberi senza personalità, completamente sotto il dominio del potere centrale, burocratizzati o assorbiti dallo stato. I1 livel- lamento individualistico e la centralizzazione statale han im- pedito la rinascita di qualsiasi personalità organica di gruppo.

Oggi si parla di stato corporativo come di una rivelazione e lo si opporne allo stato democratico come il mezzo ad hoc per la soluzione della crisi sociale e politica che l'ha colpito. Ma che cos'è dunque lo stato corporativo?

Quando c'erano delle corporazioni nel mehioevo, non c'era 10 stato nel senso moderno della parola. Quan'do si è comin: ciato a realizzare lo stato moderno dopo il secolo XV, le corpo- razioni decaddero . '~a allora si sono avuti stati paternalisti, co- stituzionali, a forma rapppesentativa, stati liberali e democra- tici, mai però stati corporativi. Questa qualifica applicata allo stato è un'invenzione completamente moderna. I fascisti ita- liani ne hanno parlato per i primi. I portoghesi l'han balbet- tato dopo di loro. I nazi, dopo. aver per un momento pensato d i realizzare lo stato corporativo, si son affrettati con la legge del 12 gennaio 1934 a sopprimere i sindacati professionali che sono alla base di ogni concezione corporativa moderna. L'Au- stria di Dollfuss aveva preteso che la sua ultima costituzione fosse quella di uno stato corporativo.

Astrattamente lo stato corporativo significa che lo stato è l a risultante delle corporazioni. I1 potere politico rappresen- tato' dallo stato avrebbe per base principale od esclusiva l'or- ganizzazione economica rappresentata dalle corporazioni. Que- sto sistema suppone che le corporazioni abbiano un'autonomia propria e la libera scelta dei propri capi, e che direttamente o per delega i loro rappresentanti abbiano in mano il potere legislativo ed esecutivo.

' Nè l'Italia nè i l Portogallo pensano ad un'organizzazione dello stato simile a quella di Firenze medievale. I1 principio elettivo. e rappresentativo, sia direttamente o per mandato, è escluso dalla concezione totalitaria dello stato. Un'altra ma- niera di concepire lo stato corporativo sarebbe l'opposto della concezione che abbiam esposto: invece che l'ordine economico divenga l'espressione politica dello stato, è lo stato stesso che, diventando rappresentante assoluto dell'economia nazionale, da-

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rebbe alle corporazioni un carattere ed una partecipazione poli- tica. Sembra che questa sia l'idea fascista, ma se si esaminano a fondo le cose si vede che ciò non è e non sarà mai ( l ) .

Per noi un vero stato corporativo non può esistere, sia esso dell'uno o dell'altro dei tipi sopradescritti. Il primo sarebbe il solo vero, perchè baserebbe tutta la vita di un paese sul fat- -

tore economico, i l che sarebbe un errore e un non senso. La vita politica è la sintesi dei valori familiari, economici e giuridici, culturali e morali trasportati sul terreno nazionale 'e d i là su quello internazionale: l'economia non può essere il più potente fattore sociale, nè pretendere di rappresentare tutti gli altri.

I1 secondo - il falso tipo di stato corporativo - non è altro che lo stato autoritario, centralizzatore, totalitario, che tenta di mascherare i lati antipatici del sistema creando degli .organi consultivi e facendosi plebiscitare dalle folle , con referendum senza discussione nè libertà.

Oggi che la corporazione è sempre più in auge, è interes- sante parlare di stato corporativo. Ciò suona meglio che stato totalitario, assoluto, autoritario. Ma le parole contano poco da- ,

vanti alla realtà.

Si dice che il parlamento non è più capace di compiere il suo ufficio e che ci vuole un cambiamento radicale nell'orga- nizzazione dello stato: é opinione comune in Francia, nella bor- ghesia; non ancora in Inghilterra, eccetto presso un piccolo

(l) Alle elezioni politiche italiane del 1929 e '1934 i sindacati han pre- sentato un certo numero di candidature e il gran consiglio fascista ha fatto l a scelta. I1 duce ha composto la lista dei candidati ratificata da lui e non

, dagli elettori. La camera così eletta è stata.un fantasma di camera senza potere e senza &cacia.'Si dice che domani la camera dei deputati sarà lo stesso consiglio generale delle corporazioni. Ma qualunque sia il nome, qualunque sia l'origine della camera, il rianltato sarà sempre lo stesso. Il governo fascista non si toglierà mai dalle mani il potere per accrescere i diritti della camera. I1 consiglio fascista stesso figura nelle grandi occasioni, ma è il governo che lo guida. (N.d.A.)

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gruppo di cattolici antiparlamentari. Forse lo sarà h a qualche anno. In Inghilterra le idee del continente arrivan sempre con ritardo e non è male.

Un illustre professore di diritto costituzionale italiano, Gior- gio Arcoleo, diceva che è preferibile una cattiva camera a qua- lunque anticamera. Che cosa si sostituirebbe al parlamento? O la folla, ciò che non sarebbe favorevole nè al governo nè ai go- vernanti; o un'altra, assemblea eletta in un altro modo con altri poteri ... cioè un pa'rlamento riformato. Ecco il punto essen- ziale: la riforma del parlamento.

La riforma del parlamento non si presenta nella stessa ma- niera in Francia e in Inghilterra. Paesi come il Belgio e I'Olan- da avranno anch'essi un'altra maniera di concepirla. La Sviz- zera ha il suo tipo particblare di governo parlamentare. Non c'è una ricetta universale e sarebbe una perdita di tempo fare piani teorici. Le riforme nascono dai bisogni e si sviluppano in modo naturale sotto la spinta degli avvenimenti. L'errore sarebbe .di opporsi a qualsiasi ri£orma, in nome del passato.

Di tanto in tanto si discute in Inghilterra la riforma della camera dei Lords, in Francia quella della costituzione del 1875 per rafforzare i l potere esecutivo (da qualcuno chiamato l'au- torità, come se gli altri poteri, il legislativo e il giudiziario, non fossero anch'essi autorità). In entrambi i paesi la riforma è ma- tura. La loro realizzazione è lenta e talvolta l'opinione pub- blica si impazientisce.

Bisognerebbe semplificare la procedura parlamentare e spaz- zare via molte questioni tecniche che ~ot rebbero essere vantag- . giosamente a5date a commissioni speciali. Ma sarebbe esage- rato biasimare troppo severamente la lentezza dei parlamen- tari. Sono spesso più utili per le leggi che rigettano, che diffe- riscono o rivedono che per quelle che votano a tamburo battente.

I1 pubblico d'oggi non si interessa più ai grandi discorsi ed è raro che i parlamentari l i ascoltino. I grandi discorsi, se oc- corrono, siano riservati per le grandi occasioni; che i deputati parlino-meno e ' studino di più. Ecco già una bella riforma! ... Ma le usanze non si modificano se non per effetto d'una spinta più forte, e questa spinta viene oggi dalla educazione sportiva e pratica della gioventù, dalla crisi spirituale del dopoguerra,

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dall'impazienza dei partiti e delle masse. Se i parlamenti ed i governi restano in contatto con l'animo popolare, non man-

. cheranno di effettuare le opportune riforme. Le rivoluzioni so- no i risultati del divorzio tra i l potere stabilito e il popolo. La Francia potrebbe oggi essere alla vigilia d'una rivoluzione per- chè questa separazione esiste, la stampa lo confessa e i parla- menti continuano i l loro cammino senza dar segno d i accor- gersene.

Oggi piu che mai si impongono due disposizioni. La prima sarebbe quella di proibire e reprimere con rigore i gruppi e i partiti che si armano o armano la gioventù. Le truppe armate nelle mani dei fascisti e dei nazisti han rovinato l'Italia e l a Germania. Simili truppe, siano con la camicia nera, verde, rossa o blu, rovinerebbero anche la Francia e nel caso anche 1'Inghil- terra. Le democrazie non reagiscono più quando alla libera opi- nione e al voto succedono le minacce, le violenze, l'uso confes- sato delle armi da parte dei privati. Mussolini esalta la violenza e sapeva bene ciò che diceva; oggi proibisce ai propri avversari perfino di pensare.

L'altro rimedio sarebbe una giustizia penale indipendente, pronta, rigorosa, eguale per tutti. I n Inghilterra una simile giu- stizia costituisce una gloriosa tradizione.,Tuttavia le si potrebbe portare qualche utile riforma, perchè il delitto di violenza po- litica fosse perseguito senza incertezze e punito se necessario con pene più gravi di quelle in vigore. In Francia bisognerebbe semplificare la procedura e riformare l'amministrazione giudi- ziaria perchè la magistratura non è indipendente dal governo, e nel suo complesso subisce l'influenza politica. fi questa una delle riforme più necessarie ed urgenti di cui la Francia abbia bisogno, molto più urgente di quella di togliere al senato il di-

. ritto di pronunziarsi sullo scioglimento della camera. Non ci sarebbero del resto inconvenienti a sopprimere, questa traccia delle origini monarchiche della costituzione francese, il voto del senato essendo up contrappeso al potere arbitrario del re.

Una delle più grandi difficoltà delle democrazie moderne è qriella di dare a l corpo elettorale una struttura organica che non violi la libertà ed un orientamento morale che non sia un ostacolo all'iniziativa personale. In Inghilterra la tradizione

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dei due partiti che si alternano al potere dà ad entrambi una larga base elettorale ed una sana struttura economica, dà una certa consistenza organica al corpo elettorale: tuttavia le circo- scrizioni uninominali mantengono ancora, per quanto possibile, il valore individuale per la scelta dei candidati.

Negli Stati Uniti d'America la tradizione ha affinità con la Inghilterra, quantunque l'organizzazione e l'educazione siano assai differenti. L'estensione del paese e la forma pubblicitaria delle lotte richiedono mezzi enormi, così che l'alta finanza vi ha una influenza più dominante e le stesse lotte elettorali rap- presentano spesso i l gioco dei grandi affari. È solo da poco che la classe operaia è riuscita a partecipare a simili lotte.

Le tradizioni e la stabilità elettorale si trovano più facil- mente nei piccoli paesi democratici, come la Svizzera, il Belgio, l'Olanda e gli stati scandinavi, che non in Francia in cui i par- titi di destra della terza repubblica non hanno mai avuto nè un orientamento continuo nè stabilità, oscillando tra la lealtà. verso il regime e desideri di un colpo di stato. L'unico partito borghese che ha creato in Francia una tradizione e che ha tro- vato in provincia una base economica stabile è i l partito radi- cale. Tuttavia i l suo laicismo positivistico e il suo anticlerica- ' lismo ~ o l i t i c o l'han fatto deviare dal vero lavoro costruttivo per gettarlo in una lotta pericolosa e turbolenta.

Infine i socialisti dopo l'unificazione hanno avuto una parte importante presso la classe operaia, ma il loro carattere di partito di, classe. impedisce che riescano a creare una coscienza organica di partito perchè non possono portare facilmente i problemi economici sul piano politico.

Perchè la democrazia d'una grande nazione riesca a supe- rare il vecchio individualismo elettorale, è necessario che i par- titi acquistino una forza organica. Nella democrazia i partiti sono una necessità: la loro soppressione porta alla dittatura. Ecco perchè fascismo e bolscevismo han cominciato col soppri- mere i loro rivali e dichiararsi partito unico.

I partiti che si fanno e disfanno secondo le passioni pubbli- - che o secondo la pressione dei clubs e frazioni elettorali, non solo mancano al loro scopo ma diventano elementi d i pertur- bazione e di instabilità. Perchè possano rappresentare la co-

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scienza complessa del popolo nelle sue aspirazioni e nei suoi diversi bisogni transitori o permanenti è necessario che siano veri organi stabili, fondati su interessi reali, politici, sociali, economici e che la loro espressione sia libera da influenze oc- culte tanto di sètte segrete quanto di agenti stranieri.

Certo l'educazione politica del popolo è il fondamento della vita d'un partito; popolo non significa massa o classi proleta- rie, ma tutti, comprese quell'aristocrazia, e quella borghesia fi- nanziaria che oggi, in certi paesi, son l'elemento politicamente meno educato e meno educabile.

Un altro fattore necessario perchè un partito concorra alla stabilità d'un regime democratico è che sia leale verso questo regime, accettandolo sia come fatto politico sia come chiara espressione delle riforme perseguite dal partito ; sia accettando, come unico mezzo di azione comune a tutti i partiti, il metodo legale dei regimi liberi e mai i metodi delle bande armate e delle violenze pubbliche.

I1 sistema detto della rappresentanza proporzionale contri- buisce assai a dare una consistenza organica ai partiti: esso toglie il monopolio elettorale a certi gruppi familiari o iridivi- duali che si formano facilmente nelle circoscrizioni uninomi- nali; diminuisce la corruzione elettorale, aumenta il valore dei partiti di idee, d.à una voce alla minoranza e crea una vera co- scienza di partito.

Questo sistema fu mal interpretato là dove se ne fece un mezzo di moltiplicazione dei partiti, rendendo le assemblee instabili e la formazione dei governi difficile. In questo caso il rimedio è stato peggiore del male. , e

Ogni sistema deve adattarsi al proprio ambiente e al suo grado di formazione: si debbono introdurre particolarità con- crete per vietare gli eccessi. I1 metodo usato in Irlanda, della rappresentanza proporzionale combinata col voto individuale, è la più 'adatta a mantenere la libertà dell'elettore, il suo con- tatto personale con l'eletto, e offrire tutti i vantaggi organici del sistema proporzionale.

La rappresentanza proporzionale non è certo una panacea; è un sistema che si deve provare, adattare, sviluppare per risolvere qualcuno dei , problemi dell'elettorato politico, della

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sua rispondenza alla volontà ~ o ~ o l a r e e la sua efficienza orga- nica in un regime democratico.

Ciò che è interessante a capire è che solo nell'equilibrio tra individualità e gruppo, tra la libertà e l'organizzazione, tra l'iniziativa e il controllo si può assicurare la sanità della vita politica e darle un orientamento che risponda ai bisogni e alle aspirazioni della collettività.

I * * *

L'aspetto sociale e politico della crisi della democrazia non. ne dà il senso completo e reale, e i rimedi indicati per atte- nuare la preponderanza dell'individualismo .con una organizza- zione adatta al mondo attuale, son senza valore se non si guarda in profondità il carattere morale della crisi e se non si cerca d i uscirne a costo di uno sforzo eroico.

Per crisi morale della democrazia intendiamo la crisi della autorità, la crisi dell'unità di uno spirito collettivo, la crisi di una finalità etica che trascenda le istituzioni politico-sociali.

Non si può negare la crisi dell'autorità; non quella a cui pensano gli adoratori dell'autorità-forza e dell'autorità-arbitrio, ma la vera, l'autorità morale.

In democrazia il potere è diviso in diversi organi, ma cia- scun ordine è investito dell'autorità definitiva e suprema che fa accettare e rispettare in esso l'atto del potere. Perchè non è rispettato il voto del corpo elettorale? Perchè il corpo eletto- rale non dà al suo voto i l valore morale che dovrebbe avere come atto di sovranità e d'autorità? La scelta dei propri rap- presentanti è un atto morale e deve essere guidato da ragioni morali, perchè questi rappresentanti faranno le leggi e dovran governare il paese. Nel coÌpo elettorale vien formata più la coscienza di una vittoria da riportare a qualunque costo, che quella di una scelta; più il desiderio del potere che quello della responsabilità. Questa è una colpa originaria che indebo- lisce la stessa rappresentanza popolare. E i l peggio è l'intrusione di coloro che non credono alla volontà popolare nè al suo di- ritto di rappresentanza, ma che se ne servono per sabotare le istituzioni e preparare un colpo di forza. Quanti tra gli uomini d i destra sono in questo stato d'animo? Quanti tra i cattolici

4 - S m i - Politicu e morale

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francesi hanno accettato e accettano oggi il ralliement senza sottintesi, con sincerità? Quanti tra i cattolici rexisti belgi non pensavano ad un colpo di forza dopo i l loro successo elettorale? Nello stesso stato di animo sono i socialisti che sono dei demo- cratici d'occasione, per preparare la dittatura del proletariato.

Questi' elementi malsani devono essere combattuti, non con la violenza e forza, ma con la disciplina morale e la sanità fon- damentale di una democrazia effettiva. Sul terreno morale saran combattuti nella misura in cui essi mancano vkrso la regola morale perchè questi partiti non son sinceri e abusano delle stesse istituzioni. È ciò che si rimproverava a. Veuillot attri- buendogli la celebre frase: « Io uso della libertà per Eombat- tervi in nome dei vostri principi e vi .toglierò la libertà, se giungo al potere, in nome dei miei principi 1). La frase fu llan- ciata nel calore della polemica, ma esprime un punto debole della lotta tra clericali e anticlericali, tutti e due macchiati dello stesso peccato. I1 Journal d e s d6bats non scriveva forse allora, a proposito delle leggi anticlericali scolastiche proposte dal ministro Villemain nel 1840 : « È yero che la costituzione, contempla la libertà d'insegnamento, ma la costituzione .non è stata fatta per loro (i cattolici) nè da'loio, è stata fatta contro di loro D.

Ciò che si dice del corpo elettorale vale peritutti gli organi del potere in quanto sono investiti di autorità. Ciascuno essendo l'autorità che decide nel proprio campo di azione, partecipa alla sovranità e perciò deve essere libero e responsabile. La sua auto- rità è essenzialmente morale o non è autorità, si tratti del par- lamento quando elabora le leggi, del governo quando le fa eseguire o della magistratura quando le applica nelle cause ci- vili, o criminali, del capo dello stato quando si serve.del suo diritto di intervento o di veto, tutti agiscono moralmente: altri- menti perdono ogni autorità.

Oggi in regime democratico l'autorità è abitualmente de: bole, nonaper mancanza di grandi gesti, di atti arbitrari e di forza apparente, di decisioni celeri come nei regimi dittatoriali, ma per mancanza di coraggio nell'assurnersi le proprie respolisa- bilità, e. anche ~ e r c h è è intralciata da organi stagnanti nel suo seno, da forze segrete che influiscono su di essa e giungono a

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prevalere, e perchè il senso del dovere è indebolito dalla aperta violazione delle leggi, dei patti firmati e degli impegni presi.

L'instabilità ministenale in certi paesi è prodotta da una eccessiva invadenza ,del parlamento sul potere esecutivo o del- - l'opinione pubblica sul parlamento. A questo concorrono anche la mancanza di educazione politica e una instabilità psicologica dovuta alle condizioni precarie della economia e alle preoccu- pazioni politiche del doguerra. E a causa di questa instabilità certi uomini di governo evitano di assumere responsabilità, si adattano al carattere temporaneo del loro posto e si ripiegano egoisticamente su se stessi. D'altra parte è meglio per un paese che il governo cambi di tanto in tanto, ma in modo regolare e senza gravi scosse, che essere esposto alle insurrezioni e ai colpi di stato di coloro che, avendo il potere nelle mani, non

-vogliono lasciarlo a nessun costo.

**C

\

La debolezza del1'autorit.à dipende in gran parte dalla crisi dell'unità dell'anima collettiva di ciascun paese.

La vita sociale, tutta la .vita sociale, tende verso l'unione . spirituale su un piano superiore agli interessi ed alle aspira-

zioni individuali. Questo piano superiore è simbolizzato da un nome che richiama un'idea, un valore accettato da tutti, come per esempio la parola patria o quella di nazione o, in altri tempi, quando l'unità della fede costituiva,la base del cristianesimo occidentale, la parola chiesa; o, nel secolo scorso, quella di li- bertà. Oggi quale parola potrebbe realizzare l'unità degli spi- riti? Sembra che dovrebbe essere la parola pace, ma non si è d'accordo sul significato di questa pace, ~ e r c h è la pace armata, la pace di Versailles, quella di Ginevra, la pace del disarmo, son altrettante vie diverse che non conducono alla medesima pace e di cui qualcuna, in realtà, non conduce affatto alla pace.

Lo stesso si potrebbe dire di ciascuna delle idee che restano ancora vive. Oggi la patria non la si concepisce più se non in funzione della difesa con le armi. La parola repubblica per i francesi ha due significati diversi, l'uno per la destra, l'altro per la sinistra. L'impero appare agli inglesi come una realtà, ma al di fuori e al di sopra di ogni concezione democratica o

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antidemocratica di ciascuna delle collettività che la compon- gono.

In uno stato liberale democratico, se non ci fosse un pro- gramma unificante o un'idea politica fondamentale, resterebbe sempre la fede nella libertà; nel metodo della libertà che va intesa come una specie di fair play onesto, nel rispetto delle libertà formali di riunione, di associazione, di stampa, di voto, di parlamento. Donde la responsabilità morale che la libertà impone a ciascuno.

I1 giorno in cui un partito impiega la violenza e le armi per arrivare al potere e quando è arrivato ricorre alla costrizione per mantenervisi, sopprimendo la libertà di associazione e di stampa, impedendo la formaz'ione di maggioranze e l'alternarsi dei governi, non c'è più alcun mezzo per unire un paesi col metodo della libertà.

Due vie si presentano allora: o l'istituzione di una dittatura - eufemismo moderno per designare ciò che gli antichi chia- mavano tirannia - o le rivolte sanguinose e la guerra civile. E siccome lo stato moderno dispone dei mezzi più efficaci per tener sottomessi i cittadini e dominare persin le menti, come fanno i bolscevici in Russia, i nazisti in Germania e i fasci-

' sti in Italia, una volta instaurata la dittatura è diffiGlissimo sbarazzarsene.

Dov'è il -rimedio? Si domanda da tutte le parti. È facile ri- spondere: unificate il paese, la nazione, lo stato, ma non è cosa facile il farlo. ' .

I1 fascismo incontestabile tende ad una unificazione, ina il suo metodo è più ipnotico che persuasivo, si basa più sulla paura che sulla convinzione, preferisce la costrizione' alla li- bertà e propone un'organizzazione militare più che un ideale d i vita civile. L'unificazione può esistere in apparenza su un piano inferiore in cui ogni freschezza di spontaneità è perduta, come ogni slancio di iniziativa personale.

Dal punto di vista della struttura sociologica un paese fa- scista comporta il- dominio di un gruppo ristretto, basato su un grosso numero di funzionari. I quadri sociali diventano sem- pre più rigidi, .la vita collettiva, perdendo il suo dinamismo naturale, tende a riassorbirsi nello stato. L'unificazione si fa

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a scapito di ogni elasticità e di ogni sviluppo organico. È per questo che i l fascismo, i n quanto tale, non può essere che un regime transitorio, una fase da superare.

I1 caso dei regimi democratici è ben diverso. Fino ad oggi l'unificazione democratica, dal punto di vista della struttura, è stata opera della borghesia. Questa, dopo la sua vittoria sulle classi dirigenti dell'ancien régims, l'aristocrazia, il clero e I'eser- cito, ne abolì i privilegi e mise la sua impronta, coi suoi carat- teri particolari, su tutti gli interessi delle altre classi.

La borghesia resterà l'elemento fondamentale e cederà il suo posto alla classe operaia come l'antica aristocrazia cedette il posto alla classe media del secolo XIX? E in questa eventua- lità, la classe operaia s a ~ à in grado di tentare l'unificazione delle classi o cercherà di eliminarle come in Russia? Nella pn - * ma ipotesi si vedrebbe, per naturale sviluppo, una democrazia operaia sostituirsi a una democrazia borghese; nella seconda la democrazia scomparirebbe per lasciare i l posto alla ditta- tura del proletariato. Ma siccome non sarà facile spossessare l'attuale classe dirigente, borghese e capitalista, si potrebbe ave- re un ritorno della dittatura fascista.

Le democrazie, per poter continuare a resistere alla pres- sione disfattista, devono tentare di ristabilire lo spirito di unio- ne di ogni pa'ese e quello, più ampio ma non meno importante, della civiltà europea e occidentale, sulle due sponde dell'Atlan- tico.

In ogni paese la parola d'ordine, l'idea forza, l'aspirazione comune può essere ed è di fatto diversa. I paesi che subiscono oggi una semidittatura e possono ancora in una certa misura esprimere la loro volontà, aspirino alla libertà. I popoli che non vogliono la guerra saranno più sensibili all'idea di pace; quelli che sono agitati da crisi periodiche domandino l'ordine, e così via. .

Ma poichè l'Europa, lo voglia o no, ha un'unità d i civiltà e di storia, una comunanza di interessi e di vita ed è legata poli- ticamente ed economicamente alla maggior parte del mondo, ed ha con l'America un'unità morale indissolubile, è dall'Eu- ropa che deve partire una nuova salutare aro la che orienti tutti i paesi verso una effettiva unione spirituale.

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Per fortuna Mosca, Berlino e Roma fascista non parlano nè al cuore nè alla intelligenza; la lotta anticristiana dei due pri- mi regimi, e l'adesione calcolata del fascismo alla chiesa catto- lica, tolgono alla loro propaganda la base morale della tradizione cristiana.

Contemporaneamente si dovrebbe capire che la democrazia laicista è superata. I1 laicismo ha dato i frutti che poteva dare ... ed è un anacronismo, è perfettamente sterile. Dire alla gioventu che la democrazia è fine a se stessa e che lo stato laico è i l mezzo di completamento della nostra individualità, che la scienza vin- cerà le tenebre della teologia, è dire parole vane, senza signi- ficato attuale e che non riescono a svegliare in essa alcuno slancio.

Peggio: se lo stato democratico laico pretende essere un fine ideale e reale, ripetendo oggi le parole di Comte o di Hegel, secondo le filosofie o i punti di vista, la gioventù avrebbe ra- gione di rispondere che entità collettiva per entità collettiva, stato etico per stato etico, essa preferisce lo stato fascista o quel- lo comunista (secondo i gusti) allo stato democratico laico che non ha oggi nè la forza, nè lo slancio, nè l'apparenza degli stati dittatoriali. Questi regimi del resto sgorgano logicamente e sto- ricamente dallo stato democratico laico in quanto accentratore, monopolizzatore, nazionalista, e in quanto rifiuta ai suoi avver- sari la libertà morale e religiosa in nome del laicismo.

I1 passato oggi conta poco; bisogna seguire uq'altra strada, quella che conduce alla rivalutazione dei diritti della persona umana, oltre l'individualismo che considera le persone come dei'numeri, al di là dello statismo che congloba tutti. Nel se- colo XIX si cantavan inni alla libertà individuale, perchè que- sta era negata in nome della autorità; nel secolo XX si comin- ciano a cantare e si canteranno ognor più le lodi della per- sona umana, perchè è negata in nome dello stato e di quel- l'entità collettiva - razza, nazione, classe - che ogni stato tende ad esprimere in modo sempre più violento.

Quando si dice -personalità e persona s'intende con questo

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tutto ciò che esse rappresentano: spiritualità e sensibilità, vita individuale e sociale, cultura e religione, interessi materiali e vita superiore.

I I1 laicismo aveva isolato la spiritualità, la cultura e la fina- lità dell'uomo-individuo; aveva dissociato la società moderna

, dalla sua civiltà cristiana tradizionale. Così privava anche lo stato d'una finalità che sorpassasse i semplici fini istituzionali, l'ordine, la politica, l'economia; e quando lo stato assumeva una propria finalità diventava anticristiano e anticlericale. La fina- lità della persona umana, che trascende i fini organizzativi dello stato, comincia ad essere sentita e capita da coloro che subi- scono i regimi totalitari più che da coloro che vivono in demo- crazia, perchè i regimi liberi lasciano margini di vita indivi- duale e sociale, culturale e religiosa che mancano nei regimi dittatoriali, in cui per lo meno sono strettamente controllati. Ma in realtà la sopraffazione dello stato sullo spirito e la co- scienza dei cittadini è molto seria anche negli attuali stati de- mocratici. È necessario giungere a liberare la persona umana dall'assoggettamento al gruppo, allo stato, alla nazione, a una qualunque collettività compresa e sentita come una entità che ha in sè il proprio fine. Simili entità son mezzi, non fini. I1 loro fine è la persona umana e ciò che essa comporta di imma- nente e di trascendente. Così la democrazia stessa deve avere un fine che vada oltre le proprie istituzioni e questo fine è la persona, tutta la persona.

Gli Stati Uniti han festeggiato il 150" anniversario della loro costituzione democratica. È la più antica delle democrazie mo- derne ed han ragione di essere fieri della loro anzianità e della continuità progressiva nella realizzazione dell'ideale democra- tico. L'esperienza degli americani non è simile a quella europea. Hanno, dovuto risolvere altri problemi. Prima quello della loro indipendenza di fronte all'Europa ostile, e la dottrina di Mon- roe fu la loro difesa. Poi la abolizione della schiavitù. Poi quello della coesistenza con la razza negra liberata e con gli emigrati 'europei e giapponesi, accorsi in gran numero, proble- ma questo non ancora completamente risolto. Finalmente quello dell'intervento dello stato negli affari economico-sociali (che tocca la stessa costituzione degli Stati Uniti) e quello della par-

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tecipazione della classe operaia organizzata alla vita politica; l'esperimento di Raosevelt ne è la prima fase. I

L'Inghilterra può chiamarsi democratica soltanto da un se- i

colo, dopo il 1832, data della riforma elettorale, quantunque l'allargamento del suffragio sia del 1877 e , del 1884. Si giunse . alla democrazia a poco a poco senza scosse. Gli spiriti eran maturi per essa.

La Francia non può datare la sua democrazia nè dalla prima nè dalla seconda repubblica (esse furono democrazie di breve durata a carattere rivoluzionario e terminate con dittature na~oleoniche), ma soltanto dalla terza repubblica. Questa, nata nel 1870 durante la Comune, fu resa possibile dopo la costitu- zione del 1875 che non tendeva a creare uno stato democratico, ma soltanto uno stato rappresentativo. La democrazia francese, maturata attravers0.m secolo, divenne realtà.

La democrazia svizzera ha un fondo storico e popolare tra- dizionale da secoli, ma il suo carattere moderno data dal secolo scorso, con tutte le fasi liberali e borghesi, radicali e nazionali proprie di simili esperimenti, avendo subito i contraccolpi degli avvenimenti delle altre nazioni. Lo stesso accadde al Belgio, al- l'Olanda, ai paesi icandinavi, ai dominions inglesi e, dopo la guerra 1914-18, alla Cecoslovacchia, ai paesi baltici e all'Irlanda.

In tutti i paesi a regime democratico il suffragio universale maschile è relativamente recente; più recente e non generaliz- zato il sistema proporzionale, mentre la sola Svizzera ha il referendum. I1 suffragio femminile è più recente ancora, ma non esiste in Francia e altrove.

Mentre i regimi monarchici assoluti hanno avuto una lun- ghissima esperienza millenaria, con alternative di tirannia e d i anarchia; mentre i regimi aristocratici hanno avuto grandi pe- riodi storici come quelli di Roma antica e Venezia; i regimi democratici, che del resto non hanno alcun rapporto coi regimi democratici greci e medievali, son giovani, molto giovani, la loro esperienza è recente ed incompleta, le loro difficoltà considere- voli, le crisi gravi, l e formule adottate non sempre felici e non sempre-rispondenti alla struttura sociale, perchè spesso basate su un individualismo esagerato e disorganizzante. Tuttavia i progressi dell'umanità in tutti i paesi in cui furono instaurati,

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in quella che potremmo chiamare la prima fase democratica i moderna, sono stati notevoli ed incontestabile e continuo è lo

sforzo verso un migliore avvenire. Le democrazie han costituito un clima favorevole allo sviluppo delle forze sociali, all'eleva- zione dell'operaio, alla rivalorizzazione della pubblica moralità, alla riforma del diritto e alla vita religiosa stessa, nonostante il laicismo e l'anticlericalismo ereditato dall'Enciclopedia e dal ,

liberalismo rivoluzionario. Oggi la democrazia è, per molti, condannata a perire a causa

del progredire del totalitarismo. È la grande battaglia dell'av- venire, in cui si vedrà se le forze morali della presente società

l sapran prevalere o no sulla deificazione della forza, se il per- s,onalismo fondato sui valori umani e religiosi troverà la sua futura affermazione in una>democrazia più sana e più completa.

.* . . .

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Cap. IV

MORALE E POLITICA IN CONFLITTO

Quando nel mese di dicembre 1935 la maggioranza del po- polo inglese si Sollevò contro il piano Laval-Hoare (che propo- neva di cedere all'Italia un terzo dell'Abissinia) e reagì con una tale energia che l'imprudente ministro degli esteri fu costretto a dimettersi, mentre il suo piano veniva seppellito a Ginevra, il pubblico britannico era mosso da un impulso morale o politico?

Indubbiamente da un senso di moralità. Non considerò la resistenza alle domande italiane dal punto di vista degli interessi imperialistici della Gran Bretagna, ma si rivoltò all'idea di una violazione.de1 patto della Società delle nazioni come degli altri

'

trattati firmati dall'Italia, unita all'idea di una guerra ingiusta contro un popolo male armato, e contro la Francia che pure aveva denunziato l'Italia a Ginevra.

Queste nozioni morali che si radicano nelle profondità della nostra civiltà, non si connettevano con alcuna idea politica O

imperialistica; erano messe nel loro valore assoluto, indipen- dentemente dagli interessi particolari dei paesi impegnati nel conflitto.

L'azione che seguì al piano Laval-Hoare non fu certo deter- minata da alcun imperativo d'ordine morale, ma da una preoc- cupazione politica. L'Italia guadagnava a poco a poco terreno in Abissinia fino al momento in cui la fuga del Negus e la presa d i ~ d d $ Abeba determinarono la Società delle nazioni (cioè in prima linea la Francia e l'Inghilterra) a cedere, mancando così alla leale ed integrale applicazione del patto.

Questa seconda fase può definirsi la fase politica, mentre la reazione contro il piano Laval-Hoare era la fase morale.

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Un inglese dalla mente acuta amante del paradosso, notò a questo proposito che l'Inghilterra è dalla parte di Dio (legge morale) quando Dio è dalla parte dell'rnghilterra (interessi po- litici ed economici); ma in caso di conflitto tra i due 1'Inghil- terra preferisce i suoi interessi a quelli di Dio.

Non è questo il luogo di pesare i moventi che determinarono la opinione ~ubbl ica , miscuglio di mille assensi spesso istintivi e profondi. Oggettivamente bisogna riconoscere che gli interessi britannici sarebbero stati meglio tutelati dall'accettazione del piano Laval-Hoare che dal suo rigetto. In ogni caso la questione non si presentò sotto un aspetto così utilitario all'opinione pub- blica che,'lo risolvette con l'istinto e il sentimento. Agendo sotto questo impulso l'opinione si trovò d'accordo con le esigenze della legge morale.

Che cosa è la moralità? Si può forse portare la legge morale nella vita sociale, applicarla alle relazioni internazionali? E am- mettendo che vi trovi posto, questo posto sarà il primo? Quando c'è conflitto tra la legge morale e la politica forse che la legge morale deve dire l'ultima parola? Ecco il problema.

Si è generalmente d'accordo per affermare che una azione è morale in quanto è postulata o giustificata dalla coscienza: la moralità è la condotta buona secondo la norma morale o '

etica fondata nella coscienza, mentre la rispondenza della con- dotta individuale con la legge civile o religiosa si dice conformità.

Tutto questo è esatto sotto un certo punto di vista, ma non completamente sotto un altro aspetto, perchè l'idea di moralità è incompletamente definita.

È giusto fondare la moralità sulla coscienza, nel senso che non ci può essere azione morale individuale in contrasto con la coscienza, anche se questa opposizione è frutto di errore e di pregiudizio. Un uomo non si regola moralmente se ha il sen- timento di far male; per regolarsi moralmente deve essere si- curo di agire secondo la sua coscienza, e che agisce in un modo piuttosto che in un altro per scelta morale, o almeno per una scelta che, anche utilitaria, non è in conflitto con la moralità.

La Loscienza morale di ogni individuo deve essere educata,

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' illuminata, formata affinchè possa discernere con sicurezza e con convinzione il bene dal male.

I1 carattere deve esser formato in modo *tale che l'inclina- zione al male o lo stimolo delle passioni possano esser vinti con lo spirito di sacrificio, perchè si faccia i l bene e si eviti i l male. Per raggiungere questi due fattori son necessari: .

a) La formazione collettiva o sociale del costume detto dai romani mos, donde la parola morale, perchè ammettiamo che ' l'abitudine sociale, la norma costante d'una società accettata dalla coscienza collettiva deve corrispondere a qualche cosa di conforme alla natura umana ed è quindi generalmente buona.

b) Lo sviluppo dello spirito comunitario cioè del vincolo sociale detto dai greci ethos, donde la parola etica, che sugge- risce l'idea di impulso, di vitalità, di convinzione, che, sebbene personale, trova la sua ripercussione nella coscienza collettiva. Oggi l e parole etica e moralé sono sinonimi e designano la mo- ralità d i atti 'individuali derivanti da postulati della coscienza e collettivizzati da una convinzione comune in una concezione spirituale. , b

Un esempio illustrerà ciò che .abbiam detto. In quanto uo- mini e in quanto cristiani siamo convinti che non è bene usare la forza per rivendicare i nostri diritti, ma che in caso di ne- cessità bisogna ricòrrere alla legge e che durante il conflitto dobbiamo agire verso il nostro avversario c in calma e mode- razione.

Non basta che questa convinzione sia individuale, è neces- sario che sia abituale e collettiva; altrimenti se la regola non è osservata che da un piccolo numero, questo potrà essere schiac- ciato dalla maggioranza che non la osserva. La regola che bi- sogna astenersi dalla violenza privata deve divenire costume; ma perchè essa diventi tale è necessario che un impulso, una

- convinzione, un ethos, trasformi il fatto in principio, in un valore morale comune ad un gruppo, una classe e una categoria d i uomini.

Oggi fascisti e nazisti han introdotto l'usoodella forza per abbattere gli awersan e ridurli al silenzio; davanti a questo fatto la coscienza tradizionale dei popoli civili protesta since- ramente ed istintivamente.

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Quest'istinto i nazisti e i fascisti non lo .sentono più, avendo introdotto un costume (un cattivo costume1a nostro avviso, ba-.

'

sato sopra un falso ethos, l'idea del predominio d'una nazione, 'd'un partito, d'una razza eletta) che stimola ad elaborare un nuovo codice morale, una morale fascista o nazista. Questo atteggiamento della coscienza collettiva finisce col pervertire la coscienza individuale, che si trova di fatto in un ambiente avvelenato in cui gli errori si danno per verità assolute. m

Questa perversione si compie tanto più rapidamente \quanto più la soppréssi6ne della libertà è completa, perchè la libertà è una condizione necessaria per lo sbocciare e lo sviluppo della moralità. Non può esserci vera moralità dove c'è la costrizione; la moralità si radica molto più profondamente quando una norma comune di condotta è accettata da tutti, cioè nella mi- sura in cui lo spirito ( o ethos) d'una legge morale si fa sentire.

Dove non c'è libertà troviamo coloro che in nome della co- scienza resistono ad un dominio che riguardano come immo- - rale ; tali sono i martiri. E ci son coloro che senza convinzione, per motivi di famiglia, per amore della tranquillità o dei beni materiali o semplicemente per paura cedono, e son coloro che tradiscono più o meno gravemente il loro dovere, agendo contro la loro coscienza che nell'azione deve sempre prevalere.

Perchè siam soliti parlare di politica e di moralità come se si trattasse di due nemiche che non riusciranno mai ad 'in- tendersi?

E perchè la politica è così disprezzata da diventare spesso sinonimo di frode?

Qui diamo alla parola politica il suo significato più elevato: la partecipazione al governo d'un paese per il raggiungimento del bene comune. I n quanto tale, il fine dell'attività politica è il vantaggio dello stato considerato come il bene comune. In que- sto senso la politica fa parte dell'ordine morale, perchè cercare il bene comune con mezzi adatti è certamente uno scopo morale.

I n un paese libero come l'Inghilterra, la Francia, il Belgio, la Svizzera tutti possono prender parte all'attività politica e molti vi si dedicano in vari modi; non parlo solo dei ministri,

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dei membri del parlamento, dei consiglieri provinciali o co- munali, ma anche dei giornalisti, dei membri dei vari partiti politici, degli elettori, dei soci delle unioni o leghe a scopo generale o specifico, quali l'unione della Società delle nazioni o quella per la « rappresentanza proporzionale a.

Da questa concordia discors di partiti e di associazioni, d i pubblicisti e di assemblee, nasce una mentalità politica che traduce le abitudini politiche della nazione e che si esprime da una parte con l'opinione pubblica e dall'altra col governo e col parlamento. , Queste due forze, governo ed opinione pubblica, possono . trovarsi d'accordo su una situazione etico-politica come per il progetto di matrimonio tra Edoardo VI11 e la signora Simpson; in questo caso il risultato è un atto politico che porta l'impronta dei sentimenti morali del paese. Se c'è disaccordo, o dal con- flitto la politica esce vittoriosa (cessazione delle sanzioni e ri- conoscimento de facto dell'impero italo-abissino), o invece trionfav la moralità (piano Laval-Hoare).

Siccome spesso accade, 'o sembra accadere, che la politica vinca la moralità, queste due dee della vita collettiva son rap- presentate come avversarie irreconciliabili.

In linguaggio politico la moralità vien chiamata idealismo, l a politica che fa astrazione dalla moralità è detta Realpolitik, parola coniata in Germania ai tempi di Bismarck.

Con ciò non si vuol dire che la Realpolitik non esistesse già anche prima: dal rinascimento 'era detta ragion di stato e le- gata alle teorie di Machiavelli sulla verità efettuale. Ciò che va notato è che la politica di Machiavelli, personificata da Ce- sare Borgia, la politica della ragion di stato, personificata da Luigi XIV, e la Realpolitik, proclamata da Bismarck, son tutte forme politiche assolute, d'un potere illimitato.

Siccome i l potere assoluto non trovava un freno nel forq interiore della coscienza, perchè concepisce la politica scevra da ogni mescolanza di elementi estranei, nel foro esterno que- sto potere non è limitato nè dalla stampa, nè dalla chiesa, n è dal parlamento, nè dalla opinione pubblica, perchè riunisce nel potere esecutivo tutti i poteri e tutti i diritti.

Quando nel 1914, Bethmann-Hollweg dichiarò pezzi di carta

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i trattati che garantivano l'integrità e la ne~t ra l i t~à del Belgio, non fece altro che tradurre in un gesto espressivo le esigenze della Realpolitik. Si rispettano i trattati fino a quando son van- taggiosi; si violano quando imbarazzano. Da questo punto di vista i l rispetto dei trattati non sarebbe un atto immorale, per- chè la politica non comporta di queste incomode Categorie, giac- chè tanto i l . rispetto come la rottura potrebbero essere utili. La politica pura non domanda nulla di più. .

Secondo i filosofi i l fine specifico della politica è l'utilità comune; nel medioevo la scolastica usò la formula più ricca di senso e più giusta: bonun commune, i l bene comune.

Tutto il problema consiste nel domandarsi come in materia politica si debba concepire i l bene comune. Le monarchie asso- lute dell'ancien r&girne, talune almeno, ricercavano questo bene comune e fecero del loro meglio per raggiungerlo; ma questo bene esse lo videro attraverso le lenti degli interessi della pro- pria casa reale; i diritti, la dignità e ,la gloria del monarca erano la loro grande preoccupazione e i l bene comune si misu- rava sulla base del raggiungimento d i questo fine particolare, il giudizio dell'utilità particolare doveva coincidere con quello dell'utilità generale. In caso di conflitto tra i due, novantanove volte su cento prevalsero gli interessi della casa regnante su . quelli della nazione, a meno che non esistesse un parlamento come in Inghilterra o una aristocrazia o un ,alto clero potente o che le stesse masse popolari giungessero a far prevalere i loro interessi su quelli del monarca.

L'idea di utilità è alla base della politica e forma indubbia- mente il' suo fine specifico e predominante. Questa concezione utilitaristica si trasforma a poco a poco in concezione morale quando si* passa dalla utilit,à di un solg individuo, monarca o dittatore, a quella d'un gran numero di individui, dalla consi- derazione-dell'utilità di una sola casta (nobiltà, clero, esercito) a quella di diverse classi, dalla considerazione dell'utilità d'una città O d'una regione-a quella di diversi paesi di cui si compone la nazione.

Insomma più il vantaggio ricercato è d'interesse generale, più la politica tende ad assumere i caratteri della moralità e meglio essa raggiunge il suo vero fine. .

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La ragione di questa caratterizzazione iniziale della politica come morale si trova nel fatto che mentre un vantaggio parti- colare può violare il diritto d'un gran numero, un vantaggio generale raramente viola i diritti di qualcuno.

La morale è il fondamento del diritto. Non c'è diritto che non sia morale; un diritto immorale è impossibile a concepirsi perchè dal momento che è immorale cessa di essere un diritto.

Si può parlare del diritto d'un padrone a far lavorare i suoi operai dodici o sedici ore al giorno? (Questo accade in alcuni paesi e in certe classi sociali). Certamente no. È uno sfrutta- mento, non un diritto. Anche se esiste un contratto tra il pa- drone e i l dipendente che fissa la giornata di lavoro a sedici i

ore, questo contratto è immorale e non conferisce alcun diritto come non impone alcun obbligo.

Lo stesso avviene in politica. Quando una classe sfrutta i suoi privilegi politici soltanto per il proprio vantaggio, commette un'immoralità. Così l'anckn régime in Francia, quando impo- ste schiaccianti gravanti sui contadini fornivano al re il denaro necessario per pagare le innumerevoli pensioni ai cortigiani che riempivano le anticamere di Parigi e di Versailles. O quando lettere di cachet permettevano al re di imprigionare, senza procedura, chiunque con qualunque pretesto.

Ciò che è vero dei monarchi dell'ancien régime e delle*dit- tature odierne, vale anche per i comitati rivoluzionari, antichi, e moderni. Si dice volentieri che la rivoluzione è... la rivolu- zione e,che essa non può essere tenuta all'osservanza delle leggi morali che reggono ordinariamente l'umanità. Lo stesso si dica della guerra: la guerra è guerra e dove volete inserirvi le leggi morali? E la scusa si allarga a poco a poco a coprire tutti i casi in cui l'osservanza della legge morale contrasta con gli interessi ,

d'un re o d'un dittatore, d'una casta o d'una classe, sia essa popolare o aristocratica, si tratti del proletariato o della bor- ghesia.

I

. Più il vantaggio cercato è d'interesse generale e più la po- litica diventa morale; più questo vantaggio si restringe ad un piccolo numero, e più la politica diventa immorale. E siccome quaggiù tutto è relativo, una politica che cerchi il vantaggio d'uno stato diventa particolarista rispetto alla politica che con-

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globa tutti gli stati d'un continente, d'una parte d'un continente o del mondo intero.

* * *

I1 diritto delle genti è vecchio come la civiltà stessa. Una violazione di questo diritto delle genti era considerato persino dai pagani come un atto immorale, prontamente castigato dagli dei. A Roma troviamo la massima: pacta sunt servanda, i trat- tati devono essere osservati. Un'infedeltà ai contratti tra gli stati era un atto di irreligione, perchè i trattati erano consacrati con giuramenti e sacrifici.

I1 diritto internazionale 'moderno data dalla formazione de- gli stati indipendenti quando i l papato e l'impero cessarono di essere i centri unificatori dell'Europa. Vitoria e Alberico Gentile da prima, Suarez e Grozio poi, sono i fondatori del diritto in- ternazionale moderno. Gli stati indipendenti ed autonomi non potevano regolare le loro relazioni su altri Era inte- resse dei singoli osservare le leggi che si imponevano a tutti, ,

tanto più che non esisteva più un'autorità .suprema (come il papa e l'imperatore del medioevo) che avrebbe potuto vendi- care i diritti violati. Rimanevano la buona fede e il bene mo- rale per servire da imperativo categorico e regolare le relazioni degli stati fra loro.

Un diritto internazionale non si elabora in un giorno: l'edu- cazione morale non è compito di qualche mese. Nel corso dei secoli, questo diritto è maturato nel seno di questa educazione morale che chiamiamo civiltà. Ne segue quindi che anche quan- do un governo non osserva il diritto internazionale e non ne ri- spetta più i l valore morale, . la coscienza pubblica, cosciente dell'errore, si inquieta.

Quando scoppiò la guerra del 1914 tutti videro la spropor- zione tra le responsabilità del governo serbo nell'affare di Se- rajevo e la guerra dichiarata dall'Austria-Ungheria alla Serbia; tra le responsabilità incorse dalla mobilitazione russa e quelle che incombevano alla Germania che attaccava la Francia e vio- lava la neutralità belga, che aveva essa stessa formalmente ga- rantita. Tutti questi motivi morali, formalmente difesi dagli alleati durante quattro anni di lotte crudeli, erano fondate d a

5 - SNRZO - Politica e morale

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violazione dei diritti e leggi internazionali anch'esse fondate . sulla pubblica buona fede.

Alla fine della guerra si credeva di dover creare un organo morale e legale che emanando da ciascuna nazione e indipen- dente da esse, fosse ispirato dall'idea del bene comune, identico per tutti gli stati cioè per l'umanità intera. La Società delle nazioni assunse quindi la figura politica e morale insieme, sociale e giudiziaria. Era la sintesi di molti organismi che in essa for- mavano un'unità.

I1 ramo politico era nelle mani di consiglieri e dell'assem- blea della Società; ma siccome il suo obiettivo principale era la pace, l'osservanza dei contratti, il rispetto dei diritti di tutti e degli interessi generali, questa politica era essenzialmente vincolata alla moralità. I1 ramo sociale abbracciava tutte le ini- ziative della società sul piano economico e l a ' protezione del lavoro confidata all'u5cio internazionale del lavoro (B.I.T.). I1 ramo giudiziario era di competenza della corte di 'giustizia internazionpile dell'Aja.

Costituzione splendida, cui eran legate le speranze di coloro ' che desideravano la pace e il rispetto della legge morale nella politica internazionale e particolarmente le speranze della de- mocrazia, dei democratici cristiani, dei partiti lavoratori, delle chiese e di tutte le correnti mistiche odierne.

La Società delle nazioni era l'avvenire internazionale della unione della politica e della moralità. Perchè questa unione fu rotta? t

La causa principale è espressa nelle parole rese famose da Charles Maurras e dai militanti del19Action Fran~aise: u poli- tique d'abord n.

La politica vince tutto, anche la moralità. Gesù ha detto: cercate prima il regno d i Dio e la sua giu-

stizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù. I1 regno di Dio e la sua giustizia è la legge morale che si basa sull'amore del pros- simo : amore che secondo la concezione. cristiana, la sola logica e conseguente a se stessa, non può concepirsi senza l'amore di Dio.

I1 regno d i Dio è l'amore di Dio e del prossimo qui, sulla

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terra; la sua iiustizia son le opere che esprimono questo amore di Dio e degli uomini in Dio: la sintesi ne è la moralità.

E il resto vi sarà dato per sovrappiù ... Sono i beni utili: il Vangelo parla di nutrimento e di vestito

e tutto ciò si può tradurre come vita economica. Che cos'è infatti la politica se non l'organizzazione e la garanzia della produzione della distribuzione della ricchezza; la protezione del paese, i mezzi per sviluppare l'industria, i mestieri, la col- tura, le arti? È l'ordine terreno e il benessere necessario agli uomini per vivere.

Ma questi beni utili non costituiscono tuttavia i fini del- l'uomo, della sua persona, nelle relazioni morali attraverso a cui si compie la sua elevazione spirituale. È questo il regno di Dio e la sua giustizia. La vita morale, la vita spirituale da cui deriveranno, come un dono di Dio, come un'equa possibilità di vita, come un riflesso dell'armonia delle relazioni morali nella realtà economico-politica, tutti i beni terreni.

Così questi beni cadono nella categoria dei mezzi mentre la vita morale e spirituale e. l'elevazione personale di ciascun in- dividuo (regno di Dio e la sua giustizia) costituiscono il fine.

E ne seGe che I'assioma K politique d'abord deve essere considerato da tutti come un errore e dai cristiani come un'ere- sia.' Disgraziatamente questa eresia è stata il principio che ha ispirato le decisioni d i numerosi uomini di stato, anche quelli . che si riunirono a Parigi per elaborare i trattati di pace che si misero poi ad applicare a Ginevra.

Essi dovevano fare della politica, ~ o i c h è dovevano sul piano politico proteggere gli interessi, degli stati vittoriosi. Ma non avrebbero dovuto trattare di politica pura o di politica prima di tutto. Per essi come per tutti esisteva un imperativo catego- rico, quello della giustizia e della moralità. Ogni volta che. gli uomini si sottraggono alle esigenze della giustiiia, sia nel campo della vita pubblica che in quello della vita privata, sia tra in- dividui che tra nazioni, essi devono espiare: è ineluttabile. È la vendetta che perseguita quelli che rubano ai poveri, privandoli del loro salario o rifiutando di pagarne il giusto prezzo: la farina del diavolo va in crusca. È la nemesi che perseguita l o stato oppressore. La Germania e l'Austria-Ungheria pagarono

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lo scotto della guerra che avevano iniziata senza giusto motivo: ma gli alleati anch'essi han dovuto pagare i l prezzo delle in- giustizie dei trattati di pace.

La più grande ingiustizia fu il rifiuto di fissare la somma delle riparazioni dovute dalla Germania, con l'idea, indegna di popoli civili, di imporre uno stato di schiavitù economica ad una nazione ridotta alla miseria per almeno un mezzo se- colo, togliendole quasi tutti i mezzi per ristabilire il suo com- mercio e la sua industria. Questo castello di carta non tardò a crollare. Non solo si sospesero, si annullarono le riparazioni, e le clausole. economiche ad esclusivo vantaggio dei vincitori non funzionarono più o ' furono abbandonate, ma le nazioni ricche

-

imprestarono alla Germania il denaro che non tardarono a per- dere nel congelamento dei crediti.

È giusto il proverbio che dice: Dio non paga il sabato; ma spesso il regolamento dei conti è immediato e gravoso. .

Coloro che 'a Ginevra credettero potersi prendere gioco della legge morale e del patto della Società .delle nazioni, e s e a i r e una politica equivoca ogni volta che ne ebbero l'occasione, sen- tono pesare su d i sè oggi la nemesi della guerra!

La guerra del Giappone contro la Cina per togliere la Man- ciuria, la guerra tra la Bolivia e il Paraguay per il gran Chaco, la guerra del171talia contro I'Abissinia, la guerra civile di Spa- gna, la seconda guerra fra il Giappone e la Cina, non sono che le tappe di una minaccia incombente su tutte le nazioni, che le trascina verso una nuova guerra distruttrice della intera ci- , viltà europea.

Perchè Ginevra non è intervenuta? Perchè ha lasciato sor- gere nuove cause di guerra senza provvedere? Evidentemente nessuno penserà che gli uomini di stato che agirono così l'ab- bian fatto con piena coscienza delle conseguenze dei loro atti. Mancarono nel compimento del loro dovere morale, ecco tutto. Su di essi e sulle nazioni da essi rappresentate, ricade la respon- sabilità del loro fallimento, della loro colpa. L'ignoranza e l'in- competenza possono diminuire la colpevolezza, ma la dimenti- canza e il disprezzo dei valori morali quali il rispetto dei trat- tati, la protezione dei deboli, il dovere di rendere giustizia e di resistere ad una cinica aggressione,'sono altrettante colpe la ,

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cui responsabilità non può essere cancellata e che dovranno es- sere espiate ad un dato momento; come tutte le colpe morali devono essere espiate, anche in questo mondo.

Dove e come, ognuno lo sa nel suo cuore, se riflette un mo- mento sulle vicissitudini della propria vita. Ma la storia lo sa pure, la storia che non è che una catena di cause e di effetti, in cui il d e t e ~ i n i s m o materiale ha ripercussioni minori che non il valore morale delle azioni umane, con le loro responsabilità personali e la loro influenza collettiva.

I1 marxismo ortodosso afferma che i valori morali, religiosi e culturali della società non son che riflessi del determinismo economico; una risultante delle condizioni materiali della vita. Il materialismo storico conduce all'assurdo perchè nè i ricchi sarebbero responsabili della loro moralità (quando vivono mo- - ralmente) nè viceversa, se la loro moralità o immoralità fosser.0 determinate dalle condizioni economiche delle loro azioni.

Così ci affretteremo ad assolvere la Francia di Laval, che lasciò mano libera all'Italia in Abissinia? E faremo lo stesso

- per l'Inghilterra che da gennaio a dicembre 1935 discusse sul ricorso del Negus alla Società delle nazioni, interdisse I'espor- tazione di armi in Abissinia, mentre l'Italia sbarcava truppe e munizioni in Eritrea e in Somalia; e negoziò con l'Italia la cessione di territori abissini, senza consultare l'interessato, sulla base di un accordo tripartito inconciliabile col patto della So- cietà delle nazioni che garantiva la difesa e l'integrità del ter- ritorio degli stati partecipanti? Tutti &est; atti, bisogna rico- noscerlo, erano privi di ogni più elementare equità e giustizia.

Se la tesi del determinismo storico avesse un valore dovrem- mo occuparci soltanto più delle forze materiali che sorgono dalle lotte d i classe e dei popoli e che si manifestano sia in modo civile sia con le guerre civili o internazionali. Secondo una simile teoria, Stalin, Mussolini ed Hitler avrebbero ragione.

Parliamo della guerra di Spagna. Moralità o politica? Ma- terialismo storico o guerra d'idee?

Tutti devono condannare gli orrori della guerra civile. Da entrambe le parti massacri, vittime innocenti. Gli amici di

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Franco protestano contro l'incendio delle chiese, l'assassinio dei preti, dei religiosi e delle religiose. Si dice che duemila religiosi siano stati massacrati. Erano tutti colpevoli? Tutti tra- ditori? Avevan tutti trasformato la loro chiesa ed i loro con- venti in fortezze? Dove son le prove? Quando furono giudicati? Si parla d i folie fanatizzate, di governi senza su5ciente polizia, senza esercito organizzato. Concediamo volentieri le circostanze attenuanti; ma la responsabilità resta. Nessuno oserà qualificare come morali o anche solo come politici simili atti.

Dall'altro lato gli amici del governo repubblicano spagnolo citano altri preti e altri religiosi fucilati, in piccolo numero è vero ( la maggioranza dei preti e dei religiosi si trovava dalla parte dei ribelli), i massacri di Badajoz, l'implacabile repres- sione in certi villaggi rossi in cui tutti gli uomini atti alle armi furono fucilati per paura che si rivoltassero dopo la partenza delle truppe vittoriose e finalmente il bombardamento di Madrid che devastò la capitale, sterminando senza pietà donne e bam- bini, la distruzione di Durango, di Guernica, di Grenellos ... Nes- suno qualificherà come morali simili atti, nè dirà che sono stati compiuti in servizio della religione cattolica.

Noi deploriamo in nome dei più elementari princip'ii di moralità tutti gli atti inumani della guerra civile spagnola, e soprattutto l'uccisione degli ostaggi da entrambi,i lati.

Coloro che ammettono la lotta di classe con tutti i mezzi approvarono la rivolta della Catalogna e delle Asturie nell'ot- tobre 1934, perchè erano opera della sinistra socialista, sostenuta dal proletariato e diretta contro il governo radical-clericale che rappresentava la reazione e i grandi proprietari terrieri. Ma questi stessi uomini disapprovarono la rivolta dei generali nel luglio 1936 perchè questa rivolta era diretta contro i l legittimo governo. Bisogn& che si decidano: se è proibito ribellarsi con- tro i l legittimo governo, la rivolta del 1934 è immorale come quella del 1936; ma se ritengono che la prima era giustificata, in nome di quale principio condannano la seconda? Sotto l'aspetto politico i partigiani della destra condannano l a rivolta del 1934 e approvano Quella del 1936, i partigiani della sinistra acclamano quella del 1934 e condannano quella del 1936.

Lo stesso accade per quelli che vogliono far passare la guerra

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spagnola come una guerra di ideologie: fascismo contro comu- nismo.

Qui siamo sul terreno politico e non più su quello morale. La idea d'una scelta necessaria tra i l fascismo e il comunismo guadagna terreno in Europa: attira tutti coloro che non riflet- tono sul contenuto delle parole e son dominati dai sentimenti e da idee sempliciste. Per essi le zone intermedie nell'ideologia politica non esistono, la democrazia muore di esaurimento, il socialismo è diventato una burocrazia di sindacati, d i coopera- tive, di organizzazioni laburiste, buone per il' secolo XIX, ma

:oggi ormai superate; il socialismo marxista non è che una fase del comunismo, più logico e più completo. D'altra parte il fasci- smo è prodotto concreto delle ideologie nazionaliste, imperiali- ste, razziste, che s'è sviluppato nel periodo capitalista e borghese ed ha raggiunto la piena maturità durante e dopo la guerra mondiale.

La guerra civile spagnola, si dice, non fa che inaugurare quella che sarà la guerra dell'avvenire: una lotta fra due ideo- logie. Noi rifiutiamo questa semplificazione arbitraria anche sul terreno dell'economia e della politica; non accettiamo i miti fascisti e comunisti. Son cent'anni che l'idea di libertà ha trion- .

fato dell'assolutismo degli stati della Santa Alleanza e si è adat- tata alle varie fasi della vita economica, politica, culturale d i ciascun popolo. Oggi, nella lotta delle dittature (tutte le ditta- ture, compresa quella russa) contro le democrazie, lo spirito di libertà trionferà delle ideologie di destra e di sinistra perchè si basa su valori morali permanenti.

E così, rigettando la teoria marxista della lotta d i classe, rigettiamo pure la tesi: fascismo o comunismo. Entrambi con- ducono alla guerra civile, sia sul piano economico-politico con la soppressione delle classi come in Russia o con l'eliminazione dei partiti come in Germania e in Italia, sia sul piano militare con lo schiacciamento dell'opposizione come vediamo attual- mente in Spagna.

Giacchè che altro è accaduto in Russia, Germania e Italia dopo i l trionfo dello stato totalitario, se non una guerra civile, reale sebbene mascherata?

Se i vinti non han combattuto o non han combattuto in

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I

ogni caso a mano armata, ciò non ha impedito i campi d i con- I

centramento, le espulsioni, le uccisioni dopo finti processi; nè gli assassini (Matteotti e i fratelli Rosselli in Italia, le vittime della notte del 30 giugno 1934 in Germania), i suicidi (l'epide- mia dei suicidi a Vienna dopo la conquista nazista), l e misure oppressive contro i giudei; tutti questi sono atti 'di guerra civile.

Noi rifiutiamo di approvare la guerra civile di qualunque colore sia, politica, religiosa o razzista; disapproviamo la ri- volta armata di qualunque partito o classe, perchè mettiamo la moralità al d i sopra degli interessi politici o economici di classe o di casta. È dunque assurdo qualificare la guerra dei generali spagnoli come guerra ideologica, come crociata, come guerra santa. : Ma non vogliamo neppure rinchiuderci in una torre di avorio e astrarci dalla realtà del mondo, non ci accontentiamo di un atteggiamento negativo. Tutt'altro. Vogliamo che le divergenze e i conflitti fra cittadini d'una stessa nazione siano regolati nel quadro delle libere costituzioni del suffrag'io popolare, d'una democrazia vivente e progressiva. Così pure vogliamo che le dispute tra le nazioni siano risolte con metodi di conciliazione e di arbitrato nel quadro d i una Società delle nazioni valida ed effettiva. Noi crediamo che la libertà politica è più morale che i metodi coercitivi impiegati da un governo assoluto e non controllato, da una dittatura totalitaria di destra o di sinistra, O ciò che è peggio, dall'anarchia di una folla indisciplinata, anche se essa ha motivi di ribellarsi contro l'oppressione.

Così introduciamo l'autorità della morale nel sistema della politica, i valori della coscienza della vita privata. nella vita pubblica e il rispetto del prossimo nel dominio delle relazioni politiche ed economiche.

Questa è vera democrazia.

Una delle obiezioni più forti che si sogliono formulare con- tro il predominio della moralità sulla, politica è che la scelta dettata dalla coscienza potrebbe essere spesso fatta da una parte sola . e che I'awersario poco scmpoloso ne approfitterebbe. È

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questa obiezione che produce la corsa agli armamenti, la viola- zione dei patti internazionali e, infine, la guerra.

Questo ragionamento zoppica perchè non tien conto del po- tere dei valori morali. La Germania invase i l territorio belga per schiacciare la Francia più sicuramente e raggiungere Parigi in pochi giorni. Ma la violazione della neutralità belga decise l'Inghilterra ad entrare in guerra, e i l risultato fu diametral- mente opposto a ciò che la Germania prevedeva. Essa pensò di terrificare gli alleati affondando navi da passeggeri, ma fu la

. perdita del Lusitania che fece entrare gli Stati Uniti in guerra. e questo intervento decise della vittoria degIi alleati. I valori morali trionfarono dei vantaggi materiali.

Certo i valori morali devono essere effettivamente sostenuti, se devono trionfare. Pasca1 voleva che il diritto fosse forte e la forza fosse giusta. Quando il diritto non è forte e la forza non è 'giusta, il mondo va in rovina. Bisogna dunque che le demo- crazie modeme siano forti, perchè, i dittatori siano costretti ad agire con giustizia.

C'è ancora un'altra obiezione contro il primato dei valori morali. Mentre la moralità individuale che regola le relazioni tra le diverse categorie di cittadini è definita da codici, leggi, convenzioni, tradizioni, convinzioni, è insegnata nelle scuole, predicata in chiesa, rinforzata da magistrati che puniscono le trasgressioni nel campo della vita pubblica, la moralità nel campo internazionale resta vaga e mal definita, senza sanzioni a sua difesa e senza sostrato di educazione, perchè mancano l e convinzioni.

È veramente così? Uomini d i coscienza san benissimo che certe azioni sono

illecitè, sia che concernano la vita pubblica come la vita pri- vata.

L'assassinio di S. Tommaso di Canterbury, l'assassinio del duca d'Enghien e l'assassinio di Matteotti son tutti e tre sullo stesso piano. Son delitti politici commessi per ordine di colui che detiene i l potere o per attirarsene i favori, e nel secolo XII come nel secolo XIX o XX la coscienza morale di tutti i cittadini ha protestato. Ma mentre nel secolo XII gli assassini di S. Tom- maso furono puniti ed Enrico 11 d'Inghilterra fece pubblica

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penitenza, oggi nè Napoleone, nè Mussolini sono stati nè con- dannati, nè puniti. Ecco i l progresso dei costumi!

Ma l'opinione pubblica non reagisce soltanto davanti a de- litti così rumorosi; essa non ammette neppure quei delitti meno clamorosi e più frequenti che sono le violazioni dei giuramenti, la rottura dei patti e dei trattati. Quante cose si sono scritte contro quei eovrani che, nel secolo scorso o nel secolo presente, avendo dotato i loro popoli di costituzioni ~ar lamentar i che avevan giurato di rispettare, si affrettarono poi a violarle e rin- ,

negarle, infedeli ai giuramenti più solenni! Chi può difendere i loro spergiuri ?

Oggi tra i fascisti e i nazisti non si tien più conto dei doveri morali nella vita pubblica perchè si crede che non si debbano più considerare altro che i vantaggi della nazione. Di più, si è introdotto un nuovo principio etico riguardo allo stato ed alla nazione: è morale ciò che è utilk. Così lo stato o la naiione di- ventano ciò che i filosofi chiamano i l primo etico, cioè l'entità in cui si risolve ogni eticità: lo stato o la nazione prendono i l posto della coscienza !

Noi dobbiamo reagire contro una simile perversione, pro- vando ciò che essa è: nient'altro che la vecchia massima: il fine giustifica i mezzi. Per noi i l fine non giustifica mai i mezzi; anche se il fine è i l bene del paese, questo fine non giustifica i mezzi immorali come la violazione dei trattati, l'assassinio degli avversari, il massacro di innocenti, le persecuzioni razzi- ste, la soppressione delle attiyità religiose e morali e delle li- bertà civili e politiche o la guerra ingiusta; tutte cose che le dittature di oggi trovano legittime.

La ragione fondamentale che ispira la nostra netta afferma- zione di questo principio è che ogni sistema morale deve essere fondato sul rispetto della persona umana e che ogni sistema immorale viola prima d i tutto e sopra tutto i diritti della per- sona umana.

La persona umana rappresenta un valore che i l cristiane- simo, religione personale, ha consacrato stabilendo tra Dio e l'uomo delle relazioni dirette senza intermediari d i famiglia, d i casta, di città, di regno o d'impero. È in questo senso che Gesù proclama che è venuto a separare i1 padre dal figlio, la

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nuora dalla suocera, i l marito dalla moglie e che i nostri nemici saranno i membri della nostra casa. Ciò vuol dire che se gli affetti familiari sono in conflitto con doveri della coscienza, il dovere deve prevalere sugli affetti, i legami e le forze del gmppo.

Così S. Pietro proclama davanti al einedrio che è meglio obbedire a Dio che agli uomini. E una simile affermazione della coscienza individuale non è un atto di ribellione contro l'autorità legittima ( i cristiani della chiesa primitiva pagarono tali atteggiamenti con il loro sangue).

Quest'atto della coscienza è basato sul duplice amore cri- stiano, amore di Dio e amore del prossimo, che è la fonte d i ogni moralità veramente umana e cristiana.

La propaganda hitleriana è contraria all'amor del prossimo, poichè stabilisce la razza come principio di selezione per le relazioni umane; per Hitler non c'è prossimo fuori della razza. Per lui il prossimo è spersonalizzato, è un numero, una quan- tità utile al tutto razzista che l'assorbe e lo trasforma. È una mostruosità, ma questo avviene nella Germania contemporanea.

La Russia bolscevica si specializza nella negazione di Dio e del suo amore: che fondamento avrà ancora la personalità in- dividuale? I1 materialismo invadente non può che deprezzare la persona che vien ridotta al ruolo di una macchina.

IÈ quello che ha fatto tra noi anche il capitalismo anonimo: è la piaga delle nostre democrazie occidentali. I1 sustrato im- morale ed inumano della nostra civiltà è dato dalla sua nega- zione della persona umana; più questa negazione è completa e più inumano è il sistema che ne deriva. Ecco perchè, denun- ziando i l fascismo, il nazismo e il bolscevismo come sistemi immorali e inumani, 'non dimentichiamo tutto ciò che la strut- tura delle nostre attuali democrazie nasconde di immorale e di inumano.

Ciò che è necessario è i l ritorno ai principi cristiani del ri- .spetto totale della persona umana, che viene nobilitata ed innal- zata~solo quando la moralità è a base .della vita sociale e indi- viduale, come espressione inalterabile e frutto perpetuo del- l'amor di Dio e dell'amor del prossimo.

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Cap. V

LA COLLABORAZIONE POLITICA E LA MORALE < '

Le elezioni politiche inglesi del 1931 furono talmente legate alla crisi economica che i vescovi ,cattolici non credettero op- portuno sollevare la questione delle scuole parrocchiali come avevan fatto nelle elezioni del 1929, facendo ad ogni candidato una domanda al riguardo, e traendone un elemento decisivo per la scelta dei deputati. D'altra parte non era stata fatta al- cuna dichiarazione ecclesiastica a favore d i alcun partito: i cattolici erano stati lasciati liberi di votare per i conservatori, i liberali o i laburisti, e di porre le proprie candidature nei vari partiti, come son liberi di esserne membri attivi.

I1 vescovo di Birmingham dichiarò in una adunanza del- l'azione cattolica u che la chiesa accetta facilmente tutte le'forme

,

lodevoli d i governo, sia sotto un re o in una-repubblica; un cattolico può appartenere a qualunque dei partiti attualmente esistenti nel nostro paese, salvo il partito comunista perchè il comunismo nega il diritto di proprietà privata, propugna la lotta di classe e non lascia libertà nè alla chiesa nè all'indivi- duo (The Universe, 30 ottobre 1931).

Nella camera dei comuni eletta nel 1929 su ventidue depu- tati cattolici diciassette erano laburisti. Nelle elezioni del 1931, quattordici candidati laburisti erano cattolici, ma siccome il la- burismo fu sconfitto solo tre vennero eletti.

Le polemiche sollevate in Inghilterra dopo la pubblicazione dell'enciclica Q ~ a d r a ~ e s i r n o Anno h rono facilmente sedate dal discorso che il cardinal Bourne pronunziò il 17 giugno 1931, in cui precisava la posizione dei cattolici di fronte ai tre partiti inglesi ed interpretava con autorità il pensiero del papa rispetto al laburismo.

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Dopo aver detto che C( importa molto che i. cattolici pren- dan parte alla vita pubblica D, e che a per entrare nella vita politica è necessario iscriversi ad un partito politico D, il car- dinale affermava che a la chiesa cattolica come tale è indipen- dente da qualsiasi partito politico ... La chiesa ha sempre rifiu- tato di lasciare identificare i suoi interessi coi destini neces- seriamente effimeri di un partito, qualunque esso sia ... ». *

Esaminati i tre partiti inglesi ( conservatori, liberali, laburi- sti) giungeva a questa conclusione: « considerando questi tre partiti, nessun cattolico potrà mai appartenere ad uno di essi completamente e senza riserva ... I1 cattolico deve camminare con precauzione e pur accettando nell'insieme la politica del .partito cui appartiene, deve guardarsi accuratamente da qua- lunque teoria e da qualunque azione contraria agli insegna- menti della chiesa, all'imperativo della propria coscienza ».

'

Dopo aver detto che l'enciclica Quadragesimo anno non solo non modificava, ma piuttosto confermava i l metodo seguito in Inghilterra, che permette di aderire legittimamente ai tre par- titi e quindi al laburismo, il cardinale riassunse così le sue di- rettive autorizzate : 1

Primo: in questo paese tutti, uomini e donne, son liberi di iscriversi al partito politico che preferiscono e che capiscono meglio. I

Secondo: presa la loro decisione, debbono diffidare dei prin- cipi erronei che sono più o meno operanti nei partiti, una volta che vi sono iscritti.

Terzo: non devono mai confidare ciecamente nè abbando- nare la loro coscienza ad alcun partito politico. Quando la loro fede religiosa e la loro coscienza sono in conflitto con le esi- genze del partito, debbono obbedire alla loro coscienza e resi- stere agli ordini che possano loro venire dal partito.

L'Osservatore Romano riprodusse a parecchie riprese le di- chiarazioni dei giornali cattolici inglesi e delle ~ersonali tà auto- rizzate, come il deputato cattolico Oldfield che avkva preceduto il cardinal Bourne nello spiegare la portata delle parole del- l'enciclica Quadragesimo anno, dove essa dice che « nessuno può essere contemporaneamente buon cattolico e vero sociali- sta n. I1 deputato cattolico Oldfield soggiungeva ( e L'Osserva-

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tore Romano pubblicava la dichiarazione) : u Questo non vuol dire che un buon cattolico non possa essere socialista britannico. I membri del partito laburista in Inghilterra non sono socialisti in senso stretto n. Infine Io stesso Oldfield scriveva che per tu- telare la coscienza cattolica dei deputati, bisognava introdurre nel gruppo parlamentare una mydifica alla disciplina del gruppo parlamentare, specificando che quando un deputato non può in coscienza votare una legge non solo, possa astenersi (come ne ha attualmente il diritto), ma possa votare contro.

Questa rivendicazione del deputato Oldfield corrispondeva pienamente alle istruzioni date dal cardinale Bourne.

I l così del resto che avevano agito i deputati cattolici labu- risti nella discussione e nel voto sulla legge scolastica. Dopo aver invano tentato di introdurvi emendamenti che avrebbero assi- curato alle scuole parrocchiali la parità di trattamento, di fron- te all'ostinazione del governo e della maggioranza votarono con- tro, e il deputato cattolico laburista I. Scurr fu persino i l capo dell'opposizione. La loro condotta provocò la caduta della legge e le dimissioni del ministro laburista Trevelyan. Sebbene i diri- genti del partito laburista avessero biasimato questa condotta dei loro colleghi cattolici, nessuno osò tuttavia proporre mi- sure disciplinari contro i dissidenti, perchè i cattolici avevano obbedito alla loro coscienza.

Per ben capire questo atteggiamento bisogna tener presente i l valore che in Inghilterra si d.à all'affermazione di coscienza e ai principi religiosi su cui si basa anche la vita pubblica.

Durante la grande guerra la sola Inghilterra ha rispettato i conscie@ious objectors che rifiutarono di prender le armi per convinzione morale; il governo, giudicando opportuno nella maggior parte dei casi di non obbligarli al servizio armato, accettò come testimonianza la loro dichiarazione che così agi- vano per dovere di coscienza. Questo atteggiamento del governo inglese mostra insieme con la saggezza un grande rispetto per il valore della coscienza. Questo è possibile in Inghilterra per- chè 90 volte su cento l'appello alla coscienza è veiidico e fatto per convinzione e quindi merita il credito e il rispetto della collettività; questo credito manca nel continente forse perchè ,

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l'educazione ha attenuato il valore della coscienza individuale nei riflessi della vita collettiva.

Così il cardinal Bourne poteva avere la certezza che i cat- tolici inglesi avrebbero seguito il suo consiglio che CC non bisogna mai abbandonare ad alcun partito politico la propria coscienza » e che in caso di conflitto CC i cattolici devono obbedire alla pro- pria coscienza ».

Ma si può anche esser certi che per lo stesso motivo i partiti inglesi si sforzeranno di evitare il sorgere di conflitti con la CO-

scienza dei loro aderenti, e se avverranno (come nel caso della legge scolastica) àcconsentiranno ad allentare la disciplina per evitare conflitti aperti.

La logica delle idee applicate ai fatti non è di marca inglese: c'è sempre tra le idee e la pratica quel largo margine d i libertà che rende quasi indipendenti la ragione pratica e la ragione pura!

Una nuova prova di una simile indipendenza è data dall'at- teggiamento dei laburisti nelle elezioni del 1932. Il capo del partito, cioè dopo il ritiro di MacDonald l'ex ministro Hen- derson, dichiarò in un discorso di chiusura del 31" congresso annuale a Scarborough: I1 congresso ha approvato queste pro- poste perchè vuole deliberatamente effettuare la trasformazio- ne del presente sistema economico in una società socialista D.

Lo spirito di tutto il congresso e del programma laburista allora fu proprio quello. È vero che gli inglesi (come i francesi del resto) usano la parola socialista in senso largo e non si rife- riscono ad una determinata dottrina, ma nel caso presente i la- buristi avevano cercato di precisare un minimum necessario per cominciare la loro trasformazione della società attuale nel socialismo dell'avvenire.

I punti principali del loro programma furono i seguenti: a) estendere il numero delle industrie da far diventare pro-

prietà pubblica ; b) mettere le banche e il credito sotto la proprietà e il con-

trollo della nazione; C) far passare le terre al demanio e alla pubblica p rop r i e6

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e porre la produzione alimentare sotto il controllo nazionale; d) nazionalizzare le miniere d i carbone.

Queste proposte erano intenzionalmente e formalmente pre- sentate come socialiste ed èran capite come tali dal pubblico. Ma a ciascuna di queste proposte si può dare un significato e . una portata non socialista. Se qualcuna d i queste è certamente una manifestazione socialista, altre invece esprimono una for- ma di economia associata o un sano intervento dello stato.

L'espressione i( nazionalizzazione delle miniere » spaventa. Ma pensiamo che in tutta l'Italia il sottosuolo è dominio dello stato, sia in forza di leggi antiche di certe regioni, sia per l'uni- ficazione legislativa.del 1927 che soppresse la proprietà privata del sottosuolo e lo trasformò in concessione dello stato solo nel caso di una miniera in attività. Se la nazionalizzazione delle miniere inglesi fosse stata reclamata sotto la vecchia denomi- nazione d i dominio pubblico e fosse stata fatta da un governo conservatore o come si dice nazionale, chi l'avrebbe tacciata di socialismo ?

I1 controllo delle banche a titolo di dominio pubblico è oggi più o meno esercitato da diversi stati. Che cosa erano i decreti di Briining se non un reale controllo? Quando grandi banche sono in stato di fallimento o pericolanti, come in Italia, in Austria, in Gerniania e anche in Francia, gli interventi dello stato per tutelare il credito pubblico si risolvono non solo in controllo, ma in una partecipazione diretta o indiretta nell'am- ministrazione delle banche stesse. Questo non basta; molte ban- che posseggono azioni delle grandi industrie. Lo stato che sov- venziona o controlla le banche è già uno stato che controlla le industrie e ne è partecipe. In una grande crisi, può accadere che lo stato, cioè la collettività, intervenga per salvare le in- dustrie nazionali. Siamo cosi,sulla via della trasformazione delle cose private in cose pubbliche. (Ciò che avviene oggi in Ger- mania e in Italia è più che un intervento dello stato: è il prin- cipio d i un impossessamento).

L'estensione delle industrie di carattere pubblico non ha avu- to un rapido impulso da un secolo in qua? Poste, compagnie coloniali, ferrovie, servizi di trasporti, telefoni, telegrafi ed altre ancora non son forse industrie di carattere pubblico? E i com-

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merci alimentari? Durante la guerra si son creati in molti paesi dei pubblici uffici dei consumi. Nel piano elaborato per soste- nere l'industria carbonifera inglese, presentato dalla commis- sione dei tre partiti, era prevista la vendita del carbone a cura dei municipi. ,

. Ciò che potrebbe presentare un carattere più nettamente socialista è i l passaggio della terra in proprietà pubblica. Ma se si pensa al metodo di ripartizione di cui il poeta Chesterton C caloroso promotore, o al sistema feudale della proprietà emi-

!

nente del re (ancora in vigore in Inghilterra dove le leggi si elaborano, ma non si aboliscono) non si può qualificare stretta- mente socialista la frase sull'owmrship (proprietà) e il con- trollo pubblico delle terre, tanto più che l'owmrship~può avere diversi sensi, designando la proprietà senza l'uso diretto. Del resto Pio XI, sia nell'allocuzione del 16 maggio 1936 come nel- l'enciclica Quadragesimo anno, rivendicando il diritto naturale della proprietà privata, ha fatto osservare (come la storia atte- sta) « che come gli altri elementi della vita sociale il regime della proprietà non è immutabile 1). Ha poi soggiunto: « l'auto- rità pubblica non può arbitrariamente usare di questo diritto (cioè quello di determinare i doveri sociali della proprietà) perchè è necessario che resti sempre intatto e inviolabile il di- ritto naturale di proprietà privata e quello di trasmettere le

. terre in eredità D. . Tale dovrebbe essere il limite tra il dinamismo della pro-

prietà nell'evoluzione sociale e la stabilità d'un ordine econo- mico basato sulla natura. I laburisti inglesi, mentre nel loro programma non han fatto alcuni menzione di tali limiti, hanno invece dichiarato che le suesposte proposizioni sono un mezzo iniziale di evoluzione verso una società socialista. Quale sarà il punto di arrivo? Un buon numero di inglesi e non solo laburi- sti guardano con fiducia verso la Russia. Che avverxà?

Per l'inglese non ci son limiti preventivi, limiti ideali, teo-

t , rici, metafisici ... I1 suo buon senso, i suoi interessi reali, il suo sperimentalismo sono i limiti soggettivi della sua azione. Se que- sti limiti non funzionano molto bene per un partito o per u n gruppo, funzioneranno per il complesso dell'opinione pubblica. Le affermazioni generali per la comune mentalità inglese non

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6 - STURZO - Politica e morale

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corrispondono a teorie o-costruzioni intellettuali o a deduzioni razionali; sono solo indicazioni pratiche che debbono essere verificate nella loro possibilità di attuazione.

L'opinione pubblica ha dato per tre .volte una risposta ne-' gativa al laburismo, non a causa delle sue affermazioni generali, che non hanno mai appassionato i militanti dei due campi, ma perchè la crisi economica non si presta agli esperimenti di lusso. I1 socialismo, anche temperato, è un esperimento di lusso che potrà essere tentato in un periodo di prosperità tanto reale che fittizia, non nei momenti di crisi; se domani un governo con- servatore compromettesse gli interessi generali del paese e della classe lavoratrice con la politica economica reazionaria, l'ingle- se medio saprà dove andare, domanderà ai laburisti anche se son vestiti da socialisti integrali di controbilanciare la politica dei the hards.

Dato questo spirito pragmatista e non logico, nessuno aveva chiesto ai candidati laburisti cattolici come intendevano le af- fermazioni del programma e quali limiti fissavano all'intervento dello stato per non ferire nè la giustizia nè la libertà. Questa domanda non fu neppure posta dai giornali cattolici agli elet- tori cattolici.

Per l'inglese il ~ rob lema si discute quando è posto in modo concreto. Allora quando se lo proporrà, i cattolici - e special- mente i loro centri di cultura, di cui il più conosciuto e il più autorizzato è la Catholic social guild - ne studieranno i dati dal punto di vista della dottrina sociale cattolica e contrlbui- ranno, per quanto dipenderà da loro, a giungere ad una solu- zione che non contraddica ai principi.

È vero che in una simile applicazione dei si può essere di opinione diversa e. anche contraria, ma così avviene di tutte le applicazioni- delle teorie ai fatti. Così avvenne per lo sciopero generale del 1926. I1 cardinal Bourne lo dichiarò immorale: la maggior parte dei cattolici laburisti erano per lo sciopero i cinque deputati cattolici risposero al card. Bourne che i laburisti erano in diritto di'scioperare e che nè la morale natu- rale, nè quella teologica giustificavano una così gran condanna. L'opinione della gerarchia e della stampa fu divisa e incerta in un momento così difficile per la vita inglese.

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La condizione del continente è molto diversa da quella del- l'Inghilterra. I socialismi tedesco e francese che formavano i due rami principali del socialismo generale e che in seguito son diventati marxisti ortodossi, come le loro ramificazioni in Olan- da, Austria, Belgio, Italia, Spagna e altrove, avevano una con- cezione materialistica della vita. Le correnti divergenti non fu- rono tali dal punto di vista etico, ma lo furono in generale dal punto di vista economico e politico. L'impronta caratteristica del socialismo continentale fu la teoria del materialismo storico e della lotta di classe; l'abolizione della proprietà privata fu per lunghi anni la parola d'ordine del socialismo continentale come oggi è qinella del comunismo.

Il « teoricismo » dei programmi produce in politica l'intran- sigenza dogmatica, la disciplina della logica consequenziaria e la confidenza fanatica nella propria setta. I1 materialismo sto- rico e la lotta di classe son state materia di fede socialista. I revisionisti furono trattati come eretici, avvennero scismi cla- morosi, ci furono numerosi sinodi e concilii.

I vari partiti socialisti si proclamavano rivoluzionari, quan- tunque nessuno di essi abbia mai fatto la rivoluzione. Per essi la lotta di classe si risolveva in una predicazione di odio con-

' tro la borghesia e contro la chiesa, che sosteneva 'la borghesia e il suo diritto di proprietà. Così il socialismo era l'alleato del- I'anticlericalismo borghese.'

I n Italia alla fine del secolo XIX, e altrove, i socialisti dif- fondevano tra le masse operaie l'uso di non battezzare i bam- bini, di non celebrare matrimoni e funerali religiosi. Nelle campagne questa propaganda antireligiosa non si faceva; i so- cialisti non accentuavano sempre e dappertutto la lotta antire- '

ligiosa, ma secondo i casi e le circostanze questa lotta aveva le sue fasi acute e le sue tregue. 11 contrasto era più marcato nei paesi in cui i cattolici ( e in proporzione minore i protestanti) avevano organizzato gli operai in sindacati cristiani, spezzando così il monopolio socialista, e avevano fondato partiti politici di principi democratici. La selezione tra gli operai aderenti ai sindacati socialisti e quelli aderenti ai sindacati cristiani - da principio in maniera polemica - si faceva sul terreno religioso. La lotta politica su due fronti, specialmente néll'anteguerra e

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prima dell'applicazione della rappresentanza proporzionale (che è un metodo d i tolleranza elettorale), metteva talvolta in oppo- sizione violenta gli operai tra di loro a causa della reciproca posizione. D'altra parte le lotte economiche sostenute in comune . dai sindacati socialisti e da quelli cristiani li ravvicinavano sen- za confonderli.

Tutto questo ha cdntribuito nell'Europa continentale ad impoverire il fondo religioso della massa operaia, che in gran parte ha seguito il socialismo e ha ~ r o d o t t o un dualismo radi- cale specialmente in Olanda, Belgio, Svizzera e durante un certo tempo anche nell'Austria di ieri, in cui i partiti eran più forti e incessanti. Con questa continua lotta sul terreno politico ed economico tra socialisti e cattolici nel mondo operaio, pra- ticamente incredulo e ostile al cattolicesimo, si rese quasi im- possibile qualsiasi penetrazione religiosa.

Ci vorrebbe un pericolo comune per poter operare uno d i quei rivolgimenti salutari che ristabiliscono i contatti morali e politici, in grazia dei quali a lunga scadenza riescono ad atte- *

nuarsi gli' elementi di contrasto. L'esperienza, fatta nei primi anni del dopoguerra, di con-

tatti politici tra il partito socialista e i partiti democratici di ispirazione cristiana, non basta a costituire una esperienza con- creta, perchè in Belgio fu passeggera, in Lituania e in Polonia '

avvenne nella confusione e tra le difficoltà della creazione dei nuovi stati, in Cecoslovacchia fu più lunga e più interessante, ma fu particolarmente importante in Prussia. In Belgio la dif- ficoltà morale che provò il pubblico cattolico a capire l a possi- bilità d i una collaborazione tra democrazia cristiana e socialisti (ministero Poullet) fu tale che i vescovi credettero necessario d i parlarne in una lettera pastorale collettiva. Giustificarono l'esperimento dal punto di vista del bene della nazione e segna- larono i pericoli religiosi che bisognava evitare.

Questo fu un precedente per gli esperimenti Van Zeeland. Ma lasciamo da parte ogni apprezzamento sui fatti concreti.

L'interessante di questi esperimenti è che i socialisti, posti sul terreno della realtà, vanno attenuando le loro affermazioni teo- riche e il loro atteggiamento rivoluzionario e che i cattolici ri- stabiliscono i contatti con le varie frazioni della classe operaia.

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Certamente c'è ancora una grande distanza tra il rispetto della coscienza religiosa degli aderenti del partito quale c'è nel labu- rismo inglese, e il materialismo teorico e pratico dei socialismi continentali; tra le ripetute affermazioni di eminenti laburisti inglesi che ripudiano la lotta di classe, le affermazioni teori- che e reclamistiche del socialismo continentale in favore della lotta d i classe. È per questo che molti cattolici si fanno ancora scrupolo di collaborare coi socialisti, perchè giudicano dannosa la collaborazione tanto per l'ordine sociale quanto per la co- scienza religiosa.

La maggior parte dei cattolici continentali giudica molto di- versamente la collaborazione e l'adesione ai partiti non sociali-

sti nazionali o semplicemente democratici e liberali. Sul conti- .

nente l'etichetta di conservatori non è più usata; vi si supplisce con un largo uso della parola nazionale. La dove i cattolici non hanno partiti propri organizzati come tempo fa in Germania o in Italia e come in Svizzera, Belgio e Olanda, la maggior parte di essi (anche in Francia) aderiscono ai così detti partiti na- zionali. '

Non si può dire che questi partiti non offrano principi e una pratica in contraddizione'coi principi e la pratica cristiana. Tutta la lotta condotta dalla chiesa durante i l secolo XIX è stata quasi esclusivamente contro il liberalismo laico che forma il substrato di ogni partito politico di. destra o di sinistra. E se questi partiti pretendono oggi di rappresentare il lato statico dell'ordine vigente, tempo fa ne rappresentavano il lato dina- mico e passavano persino per rivoluzionari.

Ci son ~a recch ie ragioni che spiegano l'appoggio e l'ade- sione data dai cattolici a tali partiti e l'acquiescenza generale ritenuta come naturale e legittima. La teoria del minor male ha avuto una parte decisiva, preoccupazioni di carattere econo- mico han legato i cattolici a questi pariiti detti dell'ordine, spe- ranza e. favori più o meno reali nel campo religioso compensa- vano le persecuzioni aperte o dissimulate che non son mai man- cate. Ma soprattutto ha prevalso i l fatto che i cattolici, non -

avendo actpisito una personalità politica propria, mettendosi

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sul terreno costituzionale con programma proprio dovevano cercar un appoggio in partiti, anche avversi e diffidenti verso di loro, quando potevano sperare qualche vantaggio religioso, a prezzo del loro appoggio elettorale e parlamentare.

Questa distinzione lumeggia la formazione di due correnti tra i cattolici: la democratica e la reazionaria; la prima com- batte in nome proprio, la seconda è l'ausiliaria di altri partiti.' Nei paesi in cui non esistono partiti detti cattolici, i cattolici son egualmente divisi politicamente; anche oggi nella Spagna ci sono cattolici monarchici e falangisti e cattolici repubblicani ; in Italia cattolici filofascisti e cattolici aqtifascisti, in Irlanda cattolici free state e cattolici repubblicani, come negli Stati Uniti esistevano cattolici democratici e cattolici repubblicani e così via.

In tutti questi diversi casi, qualunque sia la denominazione particolare, devono applicarsi le regole del cardinal Bourne, cioè che se i cattolici sono liberi di appartenere ai vari partiti politici, ciò non deve implicare una adesione incondizionata ai , principi su cui son basati questi partiti, e che nella pratica i1 giudizio della coscienza personale deve prevalere sulla discipli- na di partito.

Questo criterio morale è assoluto e non ammette deroghe; ne deriva quindi che è tanto più facile per un cattolico aderire ad un partito quanto più questa regola vi è riconosciuta e appli- cata, e viceversa là dove una tale regola non è riconosciuta o è difficile ad essere applicata, il cattolico deve riflettere assai prima di legarsi ad un partito politico. Si può dire che il caso classico di questo genere è quello dei cattolici italiani aderenti, volenti o nolenti, al partito fascista. La loro posizione si è rive- lata in pieno durante il conflitto tra la S. Sede e il governo ita- liano a proposito dell'azione cattolica nel 1931. Oggi in Italia non c'è che un partito: il fascista; qualunque altro partito non può esistere. Se i cattolici vogliono partecipare 'alla vita pub- blica - avendovi un posto subordinato - devono iscriversi ai fasci e subirne la disciplina.

E ciò non solo perchè la vita pubblica l i interessa ma per- chè, come ha scritto Pio XI nell'enciclica del 29 giugno 1931, a tessera e giuramento sono per moltissimi condizione per la

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, carriera, per il pane, per la vita ... 11. Non solo l'iscrizione, ma i l giuramento sono prescritti ai giovani ed alle giovani delle asso- ciazioni sportive ed educative. Si sa che il fascismo professa principi anticristiani: a Le erronee e false dottrine e massime che siamo venuti fin qua segnalando e deplorando, già piii volte Ci si presentarono nel corso di questi ultimi anni... Non siamo mai venuti meno al Nostro apostolico dovere di -rilevarle e di contrapporvi i giusti richiami alle genuine dottrine cattoliche.. . n. Così Pio X I nell'enciclica su ricordata. Si tratta della conce- zione pagana dello stato considerato come fine dei cittadini, del monopolio totale che si arroga lo stato sulla gioventù, dal- l'infanzia all'età adulta. Nello stesso documento si dice a pro- posito del giuramento fascista, che un tale giuramento così com'è non è lecito.

Tuttavia i l papa non ha voluto condannare il partito fasci- sta in quanto tale, ma: « abbiamo inteso - dice i l S. Padre - segnalare e condannare quanto nel programma e nell'azione di , esso abbiam veduto e constatato contrario alla dottrina e alla pratica cattolica e quindi inconciliabile col nome e con la pro- fessione di cattolici ».

E allora il papa, riconoscendo la difficile condizione dei cat- tolici italiani e volendo cercare un cc mezzo che ridoni tran- quillità alle coscienze riducendo al minimo f ossi bile le diffi- coltà esteriori 11, ha dichiarato che bastava ai cattolici iscritti a l partito, ~ronunziando il giuramento politico, di fare davanti a Dio ed alla loro coscienza la riserva salve le leggi ,di Dio e della chiesa I), oppure salvi i doveri di buon cristiano I), ma ben inteso « col fermo proposito di dichiarare anche esterior- mente una tale riserva, quando ne venisse il bisogno n.

Dopo i l modus vivendi tra la S. Sede e il governo italiano riguardo all'azione cattolica, l'Osservatore Romano scriveva :

Non c'è bisogno di aggiungere che in virtù dell'accordo con- cluso è ristabilita la compatibilità di appartenere all'azione cattolica e al partito nazional fascista )I (3 settembre 1931).

Queste parole non si riferiscono ad una compatibilità mo- rale e religiosa da ristabilire dopo l'accordo, ma ad una com- patibilità politica ( o meglio civile) che i l papa aveva già ri- vendicato per i membri del17AC nella lettera al cardinale Schu-

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ster, arcivescovo d i Milano (maggio 1931)' contro le affermazioni fasciste che dichiaravani incompatibile l'appartenenza all'AC e al P.N.F. Si trattava di sopprimere questa specie di squalifica- zione civile più che politica che colpiva i cattolici organizzati a l punto da far loro perdere l'uguaglianza di diritti di cittadini fin nella vita privata, nell'attività economica e professionale.

Anche dopo l'accordo resta in vigore la riserva riguardo al giuramento fascista in quanto è essenziale alla natura stessa del giuramento, come sussiste la condanna lanciata da quell'enci- clica contro i principi anticattolici contenuti nella teoria e nella pratica fascista.

Certo i l margine d i libertà lasciato ai cattolici italiani è molto stretto, se devono ricorrere alla riserva interna pronun- ziando il giuramento, e se sono esposti' a perdere i loro diritti civili quando sono in disaccordo con il P.N.F.; ma la posizione dell7Italia è speciale ed è anzi sotto certi aspetti unici, fuori del ritmo politico degli altri stati. Questo vuol dire che i cattolici italiani, messi in un cogflitto di coscienza, sapran scegliere la via che conduce a subire la persecuzione per la giustizia, e sarà questa la miglior politica per l'affermazione dei diritti della coscienza e della libertà personale.

Sotto vari aspetti tanto le teorie dell'dction Francaise ( in Francia) quanto il nazional socialismo di Hitler ( in Germania) sono imparentati col fascismo italiano. A differenza però di ciò che è awenuto col fascismo, l'autorità ecclesiastica ( i l papa per i1 primo, i vescovi locali per secondi) avevan proibito ai catto- lici, sotto gravi pene canoniche, di iscriversi a questi partiti.

La diversità di trattamento da parte del papa tra il fascismo e 1'Action Franpaise è dovuta al fatto che questa, pur basando Ia sua teoria sulla deificazione della nazione con marcato carat- tere di positivismo, prendeva in seno al cattolicesimo, con lo aperto appoggio d'una parte del clero, una posizione dottrinale propria. E l'infiltrazione dell'Action Franca'ise nel campo ec- clesiastico aumentava le preoccupazioni di Roma che conside- rava quel caso più come una setta religioso che come un partito politico. Il fatto che l'Action Franpaise non fosse al potere in Francia e oon potesse quindi identificarsi col paese, come cerca- va di fare il fascismo & Italia, permetteva alla S. Sede d i col-

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pire il male senza pericolo di complicazioni con gli interessi +

dello stato. In Germania la condanna del nazional socialismo di Hitler

fu pronunciata dai vescovi a causa delle sue teorie pagane e 'della sua pratica della violenza. I1 pericolo di una vittoria del nazismo era grave per la chiesa. I1 fattore religioso e il fattore politico concordavano per allontanare i cattolici da u n partito P il cui leader parlamentare poteva fare questa dichiarazionè, nel 1931: a Seguendo l'esempio dell'1talia fascista i nazional socia- listi, quando si impadroniranno del potere faranno radicalmen- te scomparire in ventiquattro ore il marxismo non con la poli- zia o per via legale, ma con l'esplosione della collera del popolo. Qualche decina di migliaia di capi marxisti far in le spese di questa pulizia » (Le temps, 2 novembre 1931).

I cattolici tedeschi, quando i nazisti han conquistato il po- tere, si son divisi, come si sono divisi i cattolici italiani; una '

.parte ha preferito la protesta silenziosa, la prigione o l'esilio, una parte invece ha voluto collaborare come può collaborare un subordinato col suo padrone, dato che questo padrone, in Germania come in Italia, è un padrone assoluto.

Tutto questo lo diciamo non per approvare simili atteggia- menti, che non ci piacciono, ma per lumeggiare un lato qual- che volta misconoscìuto della situazione dei cattolici come tale

. verso lo stato o i governanti. E perchè qualunque siano le con- dizioni d i fatto e l e costituzioni degli stati, anche se son basate su principi contrari alla dottrina cattolica, non si può, in nome della chiesa, impedire ai cittadini di partecipare alla vita pub- blica, purchè rispettino le leggi religiose e morali.

Chi non ricorda la campagna condotta in Francia contro l a repubblica, considerata come uno stato laico e massonico con cui i cattolici non dovevan aver nulla di comune, e quanto male fu accolta la lettera di Leone XIII nel ralliement?

Stato laico o stato fascista, stato nazìsta o stato bolscevico sono soltanto etichette che le maggioranze al potere danno alla società politica di fronte alle minoranze dissidenti; ma lo stato, in quanto entità necessaria alla vita civile, e in quanto ordine,

. autorità, società umana organizzata, è stato di diritto per tutti, tutti possono e devono parteciparvi per il bene comune della

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vita civile. Politicamente ciascuno sceglie il proprio posto d i collaborazione o di lotta verso il governo, non verso lo stato, preso come società politica. Ecco perchè Pio XI a proposito del- 1'Action Francaise non ha proibito ai cattolici di essere mo- narchici, se lo vogliono, ma ha proibito di sostenere il loro ideale monarchico in nome della chiesa. Così pure non ha im-

T pedito ai cattolici italiani di essere antifascisti, ma h a proibito d i fare dell'antifascismo, o meglio della politica qualunque essa sia, in nome dell'azione cattolica, che è una partecipazione alla missione della chiesa.

Detto questo per evitare ogni equivoco e dissipare una volta per sempre la confusione che certuni fanno tra politica e reli- gione, è necessario precisare fino a qual punto la collaborazione politica resta tale e quindi può essere considerata come legit- tima e lecita, e da che punto invece essa si trasforma moral- mente in una vera cooperazione a l male.'

* * *

Dobbiamo aver presente alla mente tre tipi diversi di col- laborazione che possono degenerare in cooperazione al male. La collaborazione che comporta l'iscrizione di cattolici a partiti come i l laburismo inglese, quella che si fa tra partiti composti d i cattolici e acattolici come la collaborazione del centro tede- sco coi socialisti in Germania; e infine , la collaborazione del cittadino col governo, come quella di certi cattolici italiani col governo fascista, di cattolici tedeschi e austriaci coi nazisti.

Ammesso com'è in realtà che si tratta di collaborazione politica con coloro che, o come individui o come gruppo, pro- fessano sul ,terreno politico principi contrari a quelli della mo- rale e della fede religiosa, si dà come presupposto che i catto- lici, collaborando, non intendono aderire in alcun modo a tali .

I principi. Questo punto di partenza sarà difficile riconoscerlo là dove si tratta di aderire ad un partito ( è il caso dell'lnghilter- ra) se, come abbiam visto più sopra, l'autorità ecclesiastica e la pratica dei cattolici non garantissero la riserva di non ade- rire ai principi che non possono essere approvati.

Questo stato di fatto corrisponde ad un metodo d i tolleranza politica che può tanto meglio esser praticato, quanto più i re-

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gimi son liberi e i partiti si limitano di più allo sperimentali- amo pratico.

Detto questo, il ~ r o b l e m a di dover separare positivamente la propria responsabilità da quella degli altri, nel campo dei

' principi, non si pone se non quando i principi che dividono vengono di fatto a cadere nella materia stessa della collabora- zione politica, cioè giungono ad esser attualizzati a l punto da implicare tutti coloro che collaborano in una determinata af- fermazione.

Per esempio, se la mentalità inglese non fosse così vaga e sì lontana dalle affermazioni precise, se rassomigliasse alla men- talità latina, i cattolici non avrebbero potuto non lumeggiare, dandole un senso ortodosso, la dichiarazione di Henderson del 1932 che il congresso laburista vuole effettuare la trasforma- zione del presente sistema economico in una società socialista )).

Così pure, se i cattolici italiani che collaboravano col fa- scismo fossero stati liberi di esprimere il loro pensiero, avreb- bero dovuto manifestare il loro disaccordo con le affermazioni di Mussolini che lo stato è i l fine dei cittadini o che 'la violenza è morale, quando queste affermazioni si traducono in un'azione concreta del governo fascista. Il silenzio dei cattolici fu rotto dalle proteste del papa. Ma ciò è sufficiente per coloro che continuano, senza riserva alcuna, la loro collaborazione politica?

A parte questi casi particolari, non si può negare che lo spinto stesso della collaborazione politica porta ciascuno ad accentuare la ,propria personalità e a mettere in rilievo i pro- pri principi, in modo che la concordanza o discordanza pratica che ne risulta contribuiscono assai alla vera educazione poli- tica. Questa affermazione di non adesione alle teorie contrarie alla morale cattolica, e questo dovere di riserva della propria responsabilità e personalità, possono applicarsi al caso delle istituzioni politiche e delle leggi già in vigore. . Per esempio la legislazione belga ammette il divorzio. Nes- suno ne ha fatto colpa ai cattolici che, sia soli sia con altri par- titi, han governato e governano sempre il loro paese da un mezzo secolo. Ciò significa che il problema del divorzio dalla sua isti- tuzione non è più venuto sul piano politico, non è più stato attualizzato. Quanto a sapere in seguito se conviene o no ai cat-

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toliii prender l'iniziativa di attualizzarlo per sopprimerlo, è questione diversa da quella che stiamo trattando.

In sostanza, mentre da una parte si deve presumere che i cattolici, collaborando con altri partiti, salvino i principi catr tolici, dall'altra parte bisogna dire che se questi principi son messi in discussione sul piano politico attuale, ai cattolici in- combe il.dovere di riaffermarli teoricamente e praticamente.

Se dai contrasti di principio passiamo a quelli dell'azione - e son nella natura stessa della politica che è in sè attività pratica - non basta fare ogni tanto riserve teoriche e dichia- razioni di disapprovazione: bisogna che in un determinato caso la cooperazione, se è per un fine cattivo, cessi.

Se un governo propone alla camera una legge sul divorzio, i cattolici non potranno mai votarla. Se un governo propone una guerra ingiusta, i cattolici non potran cooperarvi votando i fondi necessari ed effettuandone la dichiarazione. I n un con- flitto tra la morale e la pratica politica, la morale ha sempre la prevalenza.

Il problema che vien posto nella vita politica non è quello dei fini sia prossimi che remoti, che nella maggior parte dei casi sono buoni in sè e vantaggiosi alla collettività; è il proble- ma dei mezzi da usare per raggiungere il fine senza violare la legge morale.

In altre parole non c'è nessuno che non condanni il princi- pio: il fine giustifica i mezzi; ma nella pratica politica questo principio è, più spesso che non si creda, il movente delle azioni.

Le idee di patria, di stato, di nazione, sono talmente pene- trate nel pensiero moderno che son diventate qua& delle divi- nità. Lo stato moderno è concepito in modo panteistico sia dai

' filosofi come dai giuristi o da uomini politici; per loro esso è suprema espressione della realtà umana, la sola fonte del di- ritto, il solo limite della attività. I nazionalisti elevano la na- zione fino a fame uno spirito vivente, la ragione ultima degli individui. Ai loro occhi la religione e la morale passano in sot- tordine come. mezzi per la realizzazione della razza, della vita- lità della nazione, della realtà complessa dello stato.

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Che meraviglia se si subordinano a queste divinità, nuove e vecchie insieme, la coscienza e la personalità umana? La teoria secondo cui il fine (stato o nazione) giustifica i mezzi, è ine- rente alla concezione panteistica della società umana. Essa di- venta elemento di educazione, di sviluppo letterario e artistico, di formazione mentale e culturale, al punto da alterare le co- scienze più pure e da sconvolgere i valori morali.

I cattolici Gancesi circa un mezzo secolo fa hanno attraver- sato i l periodo, moralmente difficile, dell'affare Dreyfus. Era egli colpevole o innocente? I giudici erano in buona o in mala' fede? Piccoli problemi morali d i cui bisognava lasciar la solu-

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eione ai competenti e ai responsabili. Ma questi problemi mo- rali sparirono nella politica pura. La condanna di Dreyfus sal- vava l'onore dell'esercito e rinforzava la stabilità dello stato? Vada per la condanna di Dreyfus!

Certo i cattolici dreyfusisti non facevano un ragionamento così semplice, ma fecero un'applicazione incosciente e appas- sionata, sul terreno politico, dell'assioma che il fine giustifica i mezzi.

E la polemica sulla politiqw d'abord dell'Action Francaise che cos'è se non una polemica sullo stesso problema del fine e dei mezzi?

I deputati repubblicani irlandesi, che sono in maggioranza cattolici, per poter restare in parlamento ed evitare di deca- dere dalla loro carica se non prestavano giuramento d i lealismo al re d'Inghilterra, dichiararono nelle elezioni generali del 1929 che per essi il giuramento ~arlamentare era una pura vuota formalità. Un simile giuramento, prestato in questo modo, era un mezzo per raggiungere un fine, quello di portare in parla- mento la lotta repubblicana. Era lecito? qualcuno non lo con- siderò come vero giuramento; nel caso citato questi cattolici, restando deputati, avrebbero ilIegalmente e illegittimamente goduto dei vantaggi economici e politici della loro carica e per giungervi avrebbero invocato i l nome di Dio invano, in una for- mula di giuramento che non era un vero giuramento. Altri invece lo ritenevano un vero giuramento, e in questo caso i repubbli- cani avrebbero giurato il falso.

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Potrei citare molti altri esempi presi dalla vita politica con- temporanea, ma uno solo vale per tutti.

I cattolici che erano nei parlamenti e nei governi dellyAu- stria-Ungheria e della Germania hanno creduto in coscienza. che la guerra austro-serba, e quella contro la Francia poi, con la violazione della neutralità del Belgio, fossero basate sul diritto e sulla morale? Se in coscienza l'han creduto e non hanno avuto lumi sufEcienti per giudicare esattamente gli avvenimenti e i disegni dei principali responsabili, forse la loro coscienza ha potuto essere in pace. E dico forse per controbilanciare in tal caso la loro inerzia e la loro negligenza ad informarsi sugli ele- menti morali della guerra, nonchè la passione patriottica che ponevano nel credere assiomaticamente di essere nel diritto.

Ma se il dubbio è entrato nella loro coscienza, potevano con- servare la collaborazione con i rispettivi governi e le loro mag- gioranze? Se cionostante haii mantenuto la loro solidarietà in favore di una guerra ingiusta, non è stata forse una coopera- zione al male? Non è stata forse in questo secolo l'affermazione più grave all'assioma che il fine giustifica i mezzi?

I1 problema coloniale oggi ancora offre pagine nere per tutte le nazioni europee. Qual" in questo la responsabilità dei cat- tolici ?

Una simile domanda si potrebbe formulare ai cattolici d i ' tutti i paesi per tutto il vasto dominio della politica, dal mo- mento che essa non è più un dominio esclusivo di pochi (salvo nei regimi assoluti ,e dittatoriali), ma, con l'elettorato politico, l'organizzazione dei partiti, la stampa, la rappresentanza parla- mentare, è aperta a tutti i cittadini adulti. Bisogna indubbia- mente limitare, graduandolo, il concetto di corresponsabilità all'azione direttamente voluta e ai doveri pratici che la capa- cità 'e la funzione individuale impongono alla coscienza dei singoli, in modo che sia differenziata in modo evidente la re- sponsabilità dell'elettore da quella del ministro. Ma, fatta la necessaria discriminazione, e riconosciuto altresì che la vita politica odierna è così complessa e le funzioni son così laurocra-

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tizzate e specializzate che è difficile individuare dal di fuori le responsabilità morali sul piano politico, bisogna tuttavia affer- mare che ogni attività politica, quando diventa atto personale di ciascuno di noi, assume nell'interno della nostra coscienza la propria figura morale e crea in noi la nostra parte di respon- sabilità.

Spesso basta un voto, anche segreto, od una riserva espressa in Privato, per escludere la nostra ~orres~onsabil i tà da atti col- lettivi di gabinetto o di consiglio che non approviamo dal.pun- to di vista morale. Ma quando si tratta di atti pubblici che pos- sono avere nella opinione comune un carattere di immoralità e di ingiustizia (ho citato il caso della guerra e quello del lavoro forzato nelle colonie), allora non basta una sconfessione segreta, ma sorge il dovere di assumere interamente la propria respon- sabilità e d i separare la propria corresponsabilità da quella del governo, del partito o del gruppo parlamentare. Con l'educa- zione politica odierna, nei regimi di libertà numerosi e usuali sono i casi di disaccordo che occasionano dimissioni di ministri e l'abbandono di altri posti di comando, e questo è molto più facile che nei regimi assoluti e dittatoriali. I n questi ultimi, i membri che collaborano danno un mandato di fiducia, un asse- gno in bianco al principale detentore del potere, che è la, fonte reale di ogni attività pubblica. I1 silenzio circonda il dittatore, ogni critica tace, ogni disaccordo è soppresso: le voci che par- lano sono tutte quelle dei cortigiani che approvano e lodano anche gli atti che meritano biasimo.

Allora è fatale che il successo apparente o reale impedisca il giusto apprezzamento critico e si sostituisca alla valutazione morale degli atti. Così accadde in Francia sotto Napoleolie III e una parte dei cattolici e del clero furon spesso acciecati dal suc- cesso e cantarono inni al dominatore ( la lode pubblica è una forma di corresponsabilità morale); lo stesso accade ora in Ita- lia, in Germania e altrove.

Accordiamo tutte le possibile circostanze attenuanti, ma man- terremo con fermezza il principio della corresponsabilità mo- rale che è un principio vitale dell'etica cristiana.

La politica, di cui si dice così male, perchè può facilmente far dimenticare i doveri morali, è in sè un dovere civico, un

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atto di carità verso il prossimo, come l'ha definita Pio XI in un diacorso ai cattolici belgi.

Oggi nella maggior parte dei paesi civili questo dovere in- combe a tutti, anche alle donne già elettrici o in vi'a di diven- tarlo. La politica in qualunque regime è direttamente o indi- rettamente cooperazione. Dal punto di vista etico può diventare cooperazione al male o al bene. La coscienza di ciascuno debita- mente illuminata è chiamata a dire l'ultima parola.

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Cap. VI

LA CARITA' CRISTIANA E LA POLITICA

Quando ero professore di filosofia e di sociologia nel semi- nario maggiore d i Caltagirone mi occupavo nei momenti di li- bertà di opere cattoliche; riunivo giovani studenti e operai, avevo fondato delle cooperative per gli operai e i contadini e dirigevo un settimanale cattolico. La città da vent'anni circa era divisa tra due partiti, astiosi e irreconciliabili, diretti da famiglie ricche e potenti; le classi lavoratrici e gli artigiani, che avevano allora .acquistato il diritto di voto nelle elezioni comu- nali e legislative, parteggiavano accanitamente per i due con- tendenti: le risse, i disordini, gli attentati eran frequenti e inoltre la maggior parte dei voti degli operaì era comprata perchè le elezioni locali erano allora biennali per un terzo dei consiglieri' e le elezioni politiche erano quasi egualmente fre- quenti per gli scioglimenti della camera dei deputati. I n Sicilia

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, e nel mezzogiorno solo i preti (o almeno la maggioranza d i essi) e qualche ra;o laico osservava il non expedit.

Un gruppo di operai si rivolse a me. Giacchè combattevo l'usura con l e cooperative, giacchè mi occupavo della forma- zione di fanciulli e giovani, perchè non mi sarei occupato an- che dell'educazione civica dei lavoratori? Posi una condizione: si sarebbe fatta una campagna nella classe operaia per liberarla dal commercio dei voti elettorali e dagli odi di pa3dto, e si sarebbe cercato prima di dare a tutti una personalità civica e morale. Dopo qualche anno la maggioranza degli operai della mia città ed una gran parte dei contadini appartenevano al- l'organizzazione democratica cristiana. Abbandonai la mia cat- tedra per lanciarmi nel giornalismo e consacrarmi alle organiz-

7 - Siwm - Politica e morde

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zazioni civiche della Sicilia e alle lotte, locali prima e poi po- litiche, col programma di moralizzare la vita pubblica. I risul- tati furon tali che mi convinsero che le masse sono educabili e che il popolo può esercitare il potere. Più che le masse sono i piccoli gruppi, le chiesuole, le pretese élites che rifiutano di obbedire alla morale quando si tratta della vita pubblica, per- chè l'egoismo di gruppo si sviluppa più facilmente nei cenacoli ristretti che nelle assemblee numerose. Il piccolo gruppo può operare nell'ombra ; ma le masse devono lavorare in piena luce.

Dai gruppi dirigenti il male si propaga nelle masse e non vi- ceversa, e questo vale tanto per la politica come per qualunque altra forma di attività collettiva.

A poco a poco durante i miei studi l'esperienza mi convin- ceva che ogni educazione morale della vita pubblica deve ap-

- poggiarsi su una solida concezione della politica; agire diver- samente è costruire sulla sabbia. Giunsi alla conclusione che lo stato moderno, qual è concepito ordinariamente, resterà sempre un ostacolo all'affermarsi della morale cristiana nella vita pubblica, fin quando non se ne supererà la teoria e non se ne correggerà la pratica (~raxis ) . I1 ~ rob lema fondamentale è proprio quello che viene ordinariamente espresso con l a frase degli idealisti hegeliani l'eticità dello stato a e che si riflette oggi nello spirito e nelle teorie dei partiti.

Dal momento che lo'stato fu concepito come l'unico potere sovrano, non solo espressione della volontà popolare, ma pen- siero e volontà durevole della società umana e fine a sè, prese il carattere 'di primo etico. Qualunque filosofia politica prevalga, Hobbes o Rousseau, Hegel e Comte, i l fondamento etico, O pseu- do etico è sempre un potere immanente od assoluto. Quando lo stato nei paesi cristiani era concepito sottonl'aspetto confes- sionale, cattolico, protestante, ortodosso, la sua base etica era determinata da concezioni religiose; i litigi fra i due poteri riguardavwo i rispettivi limiti, l'incrociarsi delle loro compe- tenze, il dominio di un singolo personaggio investito delle fun- zioni di papa, d i re, di vescovo, di principe. Dal giorno .in cui l'etica dello stato fu separata da una religione positiva - per noi del cristianesimo cattolico - la lotta tra le due concezioni etiche fu una conseguenza logica cuir non si può più sfuggire.

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Lo stato non ha nè spirito nè volontà propria ; è la risultante politica e giuridica dello spirito e della volontà degli associati o cittadini, che in lui praticano le teorie delle classi dirigenti trionfanti in un dato momento. La formazione e la costituzione dei partiti politici sotto l'aspetto d i correnti pratiche di una, dottrina e di una prassi di stato è un carattere proprio dello stato moderno, qualunque siano le forme di governo. Gli aspetti, i caratteri, i poteri e i limiti dei partiti non contano: i veri partiti sono animati da motivi più o meno mistici e son basati su un valore trascendente, su una fede. I1 liberale del 1848 era in questo senso un mistico e come lui i l comunardo del 1870, il radicale-democratico del 1880, i l razionalista del 1914, come 10 son oggi il comunista, il fascista e il nazista.

In generale questa corrente misticizzante corrisponde ad un ideale da praticare e perciò è dinamica. Quando l'esercizio del potere e la pratica dell'amministrazione avranno infranto que- sto ideale: quando i risultati si mostreranno nella loro povertà umana, quando le speranze non saranno state realizzate, altri ideali verranno a sostituire i primi per infiammare i cuori ed eccitare le fantasie.

Fra questi due poli, dell'ideale da raggiungere e dei mezzi pratici impiegati per raggiungerlo, i partiti politici sviluppano la loro attività sul piano dello stato; lo stato moderno cerca di monopolizzare, in virtù del suo carattere etico, tutta la vita so- ciale; la famiglia, la scuola, la stessa cultura, la moralità pub- blica e privata, i l diritto, la religione, l'economia, gli interessi' generali: così pure i partiti un po' importanti si adattano a questo schema per far prevalere la loro dottrina e le loro fina- lità. Non c'è partito serio e moderno che non abbia per scopo la conquista dello stato, considerato come monopolizzatore di ogni attività sociale. Qual è quel partito che neghi allo stato il diritto di intervento nei più inviolabili domini della persona umana? Persino i liberali (se ancora ce ne sono in senso eco- nomico) non si fanno scrupolo di spingere lo stato sulla via dell'intervento i n materia religiosa o di educazione.

La Russia, la Germania e l'Italia son deliziate da un tota- litarismo confessato; ma la Francia e la stessa Inghilterra son su questa via.

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Di fronte a questa continua spinta verso la deificazione dello stato, e nei partiti verso la deificazione dei loro fini - la na- zione per i nazionalisti, la razza per i nazisti, e molte altre - di fronte al presente stato di cose, qual è il dovere dei veri cri- ,stiani che non vogliono adorare altro Dio che i l vero e unico Dio?

È questo il problema della carità quale ho compreso sempre meglio a mano a mano che penetravo nel vivo della politica e quale lo concepisco ancor oggi che ne son fuori. Perchè la ca- rità? Non solo perchè dobbiamo illuminare quelli che son nel- l'errore, ricondurre sulla retta via coloro che han deviato, aiu- tare a rialzarsi i caduti; ma perchè bisogna preparare alla po- litica i mezzi di un orientamento morale, sano e cristiano. Fin- chè lo stato moderno si considererà come un Moloch perpe- tuamente incensato da tutti, finchè i partiti si proporranno co- me fini lo stato e i suoi succedanei quali la nazione, la razza, la classe, non si potrà parlare seriamente di moralità nella vita politica e tanto meno di carità. E c'è persino per noi il pericolo di deviare dalla retta via e di andare anche noi a portare i l nostro grano d'incenso alle nuove ( e pur così vecchie) divinità.

Perciò i promotori del partito popolare italiano, lanciando il loro appello al paese i l 18 gennaio 1919 vollero affermare la loro volontà di sostituire una nuova concezione dello stato,.che, chiamarono la concezione popolare, a quella che allora regnava : « a uno stato accentratore, tendente a limitare ogni potere or- ganico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che ri- conosca i limiti della sua stessa attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali: la famiglia, le classi, i comuni, che ri- spetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative pri- vate » ( l ) .

La concezione dello stato che chiamiamo popolare in oppo- sizione a quella dello stato accentratore diventato oggi totali- '

tario, si basa sulla libertà perchè essa è non soltanto un'esigenza

(l) Vedi Luigi Stuno, Ztaliu e fascismo, Bologna, Zanichelii, 1965, p, 83.

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politica ma anche un'esigenza morale. Soltanto un regime di 'libertà è capace di resistere al pan-statismo, all'assorbimento nello stato di tutti i valori morali e sociali; soltanto esso è ca- pace di impedire che si traduca in pratica la dottrina che fa dello stato il fine dell'individuo, la dottrina del tutto per lo stato. I n regime autoritario non solo la lotta effettiva, ma persino quella teorica contro gli accaparramenti da parte dello stato sono impossibili (l'esempio della Russia, della \Germania e del- l'Italia insegna), perché in tali stati le discordanze morali sono inammissibili, lo stato è morale per essenza e la sua moralità è la fonte della moralità e il suo diritto è la fonte del diritto. Lo stato vuole la sterilizzazione, i matrimoni razzisti, l'educa- zione pagana? tutto ciò è normale, tutto è giusto poichè è lo stato che lo vuole. Quando si dice e quando si scrive che i cat- tolici,-in quanto membri della chiesa, son liberi nelle loro con- cezioni politiche personali, si dice la pura verità dal punto di vista cristiano, a condizione però che non si tratti che .della for- ma del governo e non del suo contenuto; in realtà ci si può tro- vare di fronte ad una monarchia costituzionale come nel Belgio o ad una repubblica autoritaria come in Francia all'epoca d i Combes ... e di qualche altro.

Non è questo che deve preoccupare i cattolici convinti, ma piuttosto quest'altro problema: se possono in coscienza oggi accettare e magari promuovere un regime senza libertà politica e civile che rischia di privarli un giorno delle armi necessarie per la difesa dei valori morali e religiosi nella vita pubblica. .

Uno dei più frequenti e dibattuti soggetti di polemica degli awersari del partito popolare italiano era la sincerità che por- tavamo nel difendere il nostro programma di libertà. Della li- bertà ci eravamo fatti una bandiera: ai nostri occhi dopo la guerra non esisteva più vera libertà in Italia per gli illegittimi ed esagerati interventi dello stato nella vita comunale e regio- nale e per il monopolio statale dell'insegnamento e della rap- presentanza professionale. La nostra parola d'ordine era C( Li- bertas D ricamata sulle nostre bandiere, sul nostro stemma, sulla croce guelfa dei comuni medievali. La nostra sincerità è stata provata dai fatti: davanti al fascismo abbiam mantenuto le no- stre posizioni con ardire e sacrificio. E tuttavia non mancano

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t ra ' i nostri antichi avversari coloro che van ripetendo sui gior- nali che i popoluri non erano e non sono oggi che una piccola minoranza, che non. ha nè lo spirito n& la simpatia dei cattolici, . .

i quali salvo rare eccezioni son'in tutti i paesi partigiani dello stato autoritario.

È vero che da noi i gruppi attivi son sempre pusillus grex; ma questo i nostri governi non possono intenderlo se non, cono- scono lo spirito cristiano.. . Certo non tutti i cattolici capiscono che nel regime politico moderno la scelta non è tra uno stato che si pretende cristiano (o cattolico), che non esiste, e uno stato liberale che si dice agnostico; non c'è neppure da scegliere tra lo stato borghese e quello bolscevico; bisogna scegliere tra il regime del diritto e dell'opinione e i ,regimi di dittatura, siano essi di destra o di sinistra. Intendiamoci: entrambi questi regimi son basati sul monismo dello stato che respingiamo; ma tuttavia nel primo il cittadino ha il suo compito, ha la possi- bilità di parlare. Nei regimi dittatoriali non ha più che il ge- sto, l'applauso, l'adulazione; nel primo può ancora difendere i suoi principi e organizzare nuclei di resistenza, nel secondo ciò ,è impossibile; e mentre nel primo si può arrivare attraverso i partiti a l potere a dirigere il governo, a sostenere le proprie idee, a difendere la morale cristiana, a dare allo stato una mo- ralità meno pagana, nel secondo il cittadin; non può che of- frire il proprio sacrificio per un avvenire che non vede.

Lasciamo da parte le esperienze pratiche dei cattolici sotto i regimi dittatoriali: essi non hanno possibilità di scelta. La questione riguarda invece i cattolici di Francia, di Spagna, del Belgio, dell'olanda e di altri siti, anche d'Inghilterra, dove il british fascism raccoglie notevoli simpa;ie tra i giovani catto- lici. Son conviiti questi cattolici che i fascismi dei vari paesi (comunque si chiamino) sono in netta opposizione con il fine della carità? Trovano essi nei fascismi quel minimo di mora- lità per cui iscriversi od appoggiarli non sia una cooperazione d male nel senso che i.moralisti danno a questa espressione?

Ecco il grave problema che si deve esaminare: dal 1919 al 1922 questo problema ha turbato in Italia i cattolici che non eran d'accordo col programma del partito popolare, ma che vedevano tutti i pericoli del fascismo. Un certo numero aderì

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al fascismo, superando questa pregiudiziale ; altri, imprenditori, proprietari terrieri, banchieri lo finanziarono; altri avrebbero ammesso il fascismo a patto che si contentasse di adoperare i l manganello per intimidire, ma non per uccidere. Ma un par- tito di azione non può ridursi al compito di spauracchio quando d'altra parte dà alla gioventù un'uniforme, un revolver, un manganello, quando organizza truppe militarizzate, insegna l'odio dell'avversario e i l disprezzo della vita (specialmente di quella degli altri).

Durante la fase più acuta della lotta in Italia le statistiche registravano mensilmente un centinaio di morti nei due campi: fascisti da una parte; comunisti, socialisti e popolari dall'altra. Non parliamo dei furti, delle cooperative bruciate, dei circoli di azione cattolica e delle case invase, saccheggiate e distrutte.

È noto i l gesto di Pio X I che inviò una forte somma di de- naro per i circoli della gioventù cattolica della Brianea (Monza e dintorni) che erano stati distrutti dai fascisti nelle elezioni generali dell'aprile 1924. Purtroppo si erano visti cattolici, preti e religiosi sfilare coi fascisti nell'ottobre 1922, quando avvenne la marcia su Roma. Ora i l famigerato evento è stato immortalato da un quadro che si può ammirare in una chiesa

. (recentemente restaurata) di Monterotondo, in cui, contraria- mente alla verità storica Mussolini è a cavallo (come fare altri- menti in un quadro?) mentre egli è sbarcato a Roma arrivando da Milano in vettura-letto.

A parecchie riprese i miei amici del Veneto m'avevan chie- sto - erano i più esposti alle rappresaglie fasciste - se non conveniva costituire organizzazioni di camice bianche a solo scopo difensivo ; mi son risolutamente. opposto. Abbiamo avuto delle vittime, ma nessuna delle nostre organizzazioni ha versato sangue altrui. La teoria della violenza è la base del fascismo; l'organizza.zione delle squadre armate è il loro mezzo d i con- quistare il potere, la concezione totalitaria dello stato è il loro fondamento: c'è posto i n tutto questo per la carità cristiana?

Questa domanda può sembrare ingenua, ma da quando il fascismo regna in Italia un certo numero d i cattolici si son do- mandati se non fosse meglio accettare l'autoritarismo totalitario e che la religione fosse rispettata (come si crede lo sia oggi in

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Italia), piuttosto che avere delle democrazie laiche spesso anti- clericali.

Un mese prima della rivolta delle Asturie e della Catalogna, avvenuta nell'ottobre 1934, amici di Spagna (non iscritti alla C.E.D.A.) mi chiesero se non era meglio lasciar fare il colpo d i mano, non tanto per restaurare la monarchia quanto per in- staurare la dittatura (civile o militare) che avrebbe impedito il predominio delle sinistre. Ho risposto loro (ho scritto in se- guito in un articolo) che non avevano la pazienza di cui Dio ci dà l'esempio. Gli uomini vogliono sempre trovare un rimedio immediato ad un male presente o di cui temono l'imminenza, donde deriva che simpatizzano naturalmente con i colpi d i forza, mentre sdegnano e disprezzano con lo stesso vigore l'or- ganizzazione, l'educazione, la persuasione sul terreno civile e politico, perchè son mezzi a lunga, molto lunga scadenza: il colpo di forza, quando riesce, dà l'impressione del successo e .

della sicurezza. Ogni volta che i.difensori di un'idea buona, onesta, morale,

pretendono imporla, la danneggiano; ciò che entra invece sono i sentimenti di reazione e di odio. Non dico che la forza nelle mani dello stato per mantenere l'ordine ~ubb l i co e castigare i

. delinquenti non sia cosa buona ; condanno la,forza (anche nelle mani dello stato, a fortiori nelle mani dei privati) come stni- mento d i profitto politico o come mezzo di persuasione.

Posto così il problema, i cattolici devono risolverlo molto più spesso che non .si creda, almeno nei paesi in cui la scelta tra il metodo di libertà e quello della forza è ancora possibile; diciamo meglio tra il metodo costituzionale e legale e quello rivoluzionario, illegale e violento. Quantunque i l più delle volte la risposta dei moralisti e degli scrittori cattolici sia, come è normale, in favore della legalità e contro l'uso della forza, c'è molta gente, tra cui preti e religiosi e monaci, che simpatizzano apertamente o nascostamente per quei partiti di destra, partiti nazionalisti, che son forti, han dalla loro la gioventù universi- taria, sempre rumorosa,.e prevedono volentieri il colpo di forza o il colpo di stato. E di queste speranze vivono certi ambienti cattolici. Dopo Bonaparte la Francia ne sa qualcosa.

Quest'atteggiamento corrisponde, pare, ad uno sdoppiamento

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morale. Persone che non prenderebbero mai parte ad un atto d i violenza, che non hanno mai forse avuto in casa loro una rivoltella, un manganello, che avrebbero rimorso a colpire un avversano politico per il solo fatto che è un avversario, che forse non ucciderebbero una mosca, non son certo loro che tenterebbero di tagliare i fili telegrafici o telefonici, la luce elettrica, le condutture' idriche. E. tuttavia costoro senza il mi- nimo scrupolo incoraggiano gli altri a farlo, in Germania,' in Italia, in Spagna, in Francia; approvano,-difendono tanto Hitler come Mussolini, Maurras come Primo de Rivera o Franco e qualche altro grande o piccolo, vero o falso condottiero che organizza depositi di armi e prepara la gioventù per il colpo opportuno. Ma pensano forse di essere senza colpa, di non aver peccato contro la carità e la morale cristiana, di aver evi- tato la collaborazione al male? O credono che il fine da rag- giungere da parte di un dato regime di governo giustifichi l'uso d i mezzi illegali e violenti di cui si servono i fascismi per arri- vare? Pensano forse che il nuovo ordine che avran aiutato ad instaurare non condurrà inevitabilmente a quella deificazione dello stato che è nello spirito del totalitarismo e che toglie ai cattolici ogni mezzo di combattere?

Scartati i partiti rivoluzionari di destra o< d i sinistra e i par- titi anticlericali, non restano per i cattolici che i vecchi partiti d i destra, per la maggior parte innocui - e che assai spesso sono gruppi di personalità imbevute d i spirito liberale e bor- ghese - o i 'part i t i del rinnovamento sociale d'ispirazione cri- stiana. Da qualche tempo si nota una strana disaffezione verso di essi: i l centro tedesco è stato oggetto di violente critiche quando è caduto e lo si è accusato d i pregiudicare gli interessi religiosi; la diffidenza va aumentando negli ambienti intellei- tuali e specialmente in quelli che non hanno mai partecipato all'attività dei partiti e delle organizzazioni sindacali ed econo- miche dei cattolici.

Per render giustizia ai partiti cosidetti cattolici - l'abitu- dine di chiamarli cattolici è deplorevole, ma ha avuto la sua ragion d'essere - bisogna ricordare quel che han fatto in di-

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fesa dei principi cattolici, dopo il 1848. Oggi un partito confes- sionale non è opportuno; il partito popolare non ha cercato d i esser confessionale e non ha mai prègiudicato nè gli interessi della S. Sede nè quelli dell'episcopato italiano. Per questo ha potuto assumere .le più grandi responsabilità politiche e affron- tare il fascismo prima di cadere sotto i suoi colpi, a proprio rischio e pericolo. Con queste parole concludeva nel dicembre 1918 il card. Gaspam, quando mi fece capire che la S. Sede non disapprovava la mia iniziativa della fondazione del partito prima ancora che fosse tolto i l non expedit, rimosso solo nel novembre 1919.

Nei paesi che hanno una costituzione i cattolici hanno tre vie: costituire un proprio partito (Belgio, Olanda, Cecoslovac- chia, Svizzera) separato dall'azione cattolica e politicamente indipendente dall'episcopato ; entrare nei partiti legali di destra, continuando ad aver gruppi di ispirazione cristiana (Francia), aderire indifferentemente a tutti i partiti della nazione (In- ghilterra e Stati Uniti).

La mia esperienza mi ha sempre provato che i cattolici che 'entrano in partiti strettamente politici, non solo perdono i l senso dell'apostolato sociale e morale che si trova nei partiti di ispirazione cristiana, ma inoltre si attaccano troppo agli aspetti materiali e utilitari della politica e non riescono più a disti? guere tra i mezzi onesti e quelli che chiameremo discutibili; questi cattolici diventano spesso una minoranza isolata e senza influenza in mezzo ad una maggioranza troppo materialista ... e realista. Un partito per i cattolici non deve essere soltanto uno strumento politico, ma deve avere un programma ideale e morale.

Nessuno dei quaranta presenti dimenticherà quella sera del dicembre 1918 in cui decidemmo la fondazione del partito po- polare. Eravamo a Roma in via dell'umiltà (che nome adatto al nostro pmillus grex!). Era mezzanotte quando ci separammo .

1 e spontaneamente, senza alcun invito, passando davanti alla chiesa dei SS. Apostoli picchiammo alla porta: c'era l'adora- zione notturna. I1 frate1 portinaio fu spaventato d i veder tanta gente: la vista della mia sottana lo rassicurò. Durante quest'ora d i adorazione rievocai tutta Ia tragedia della mia vita. Non avevo mai chiesto nulla, non cercavo nulla, ero rimasto sem-

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plice prete: per consacrarmi all'azione cattolica sociale e muni- cipale avevo rinunziato alla cattedra di filosofia; dopo venti- cinque anni, ecco che abbandonavo anche l'azione cattol'ica per dedicarmi esclusivamente alla politica. Ne vidi i pericoli e piansi. Accettavo la nuova carica di capo del partito popolare con la amarezza nel cuore, ma come un apostoIato, come un sacrificio. E perchè no? Era una eccezione (specialmente in Italia) che un prete facesse 'della politica; ce n'erano stati altri in taluni paesi d'Europa. In quel momento i cattolici rientra- vano in blocco nella vita nazionale, dopo un mezzo secolo di astensione in obbedienza al non expedit del papa. Un prete non era fuori della sua missione nell'intervenire. E questo ~ e r c h è il partito popolare, pur evitando il titolo di cattolico e restando fuori della dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica, si basava sulla morale cristiana e sulla libertà.

I * * *

I partiti di ispirazione cristiana, come gli altri, anche se si son costituiti con un nobile programma e con la sola volontà di servire il loro paese, corrono il rischio di diventare una cama- rilla e di ispirarsi a poco a poco ad uno spirito partigiano nè più nè meno di qualunque altro gruppo~umano, famiglia, classe, professione, che acquistano ordinariamente lo spirito di corpo. Bisogna uscirne appena ci si accorge di esserne prigionieri, bi- sogna che i cattolici mettano gli interessi della nazione al di- sopra di quelli del partito.

Si presenta una difficoltà: fino a qual punto l'interesse del partito è quello del paese, e in qual misura l'interesse del paese non è quello del partito avversario? In sè la regola è insuffi- ciente ed è necessario precisarne l'applicazione.

Tra le accuse che contro i l partito popolare italiano veni- vano l'amiate dai suoi avversari liberali e democratici, una era quella che noi mettevamo gli interessi del nostro partito al disopra d i quelli della nazione. I1 guaio era che quegli stessi liberali e democratici avevan la maggioranza nel ministero, metà della camera dei deputati e i nove decimi del senato; il che l i aveva abituati a identificare le loro vedute e i loro fini con quelli del paese. E noi che eravamo i collliboratori neces-

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sari per costituire una maggioranza parlamentare, eravam ,ve- nuti a turbare il loro sistema e le loro manovre. '

Per tre anni di seguito, i deputati popolari dovettero lot- tare senza soste per riuscire ad introdurre un po' di libertà nel- l'insegnamento con l'esame di stato ( l ) .

Tre furono i progetti presentati d'accordo col governo di allora: l'uno del, filosofo Croce (liberale); l'altro dallo scien- ziato Corbino (democratico); il terzo dal poeta e medico Anile (popolare); ma alla camera i democratici e- i liberali, alleatisi coi socialisti, fecero ciò che i deputati francesi han fatto ripe- tutamente con la rappresentanza proporzionale : soffocarono il progetto Anile nei meandri della procedura ~arlamentare. I po- polari minacciarono di ritirarsi dal governo, ma si rispose loro che i tempi erano difficili; c'era l'avventura di D'Annunzio a Fiume, c'era il trattato di Rapallo, c'erano gli scioperi dei so- cialisti e gli attacchi dei fascisti e noi sceilievamo proprio quel momento per fare del bizantinismo e preoccuparci della libertà d'insegnamento!

~ i o l i t t i rispose allo stesso modo in una conversazione dram- matica, l'ultima che ebbi con lui. Era i l momento dell'occupa- eione delle fabbriche in qualche città dell'alta Italia. Gli operai della corifederazione italiana dei lavoratori, sindacato bianco, - . sostenevano la tesi dell'azionariato operaio (partecipazione alle azioni industriali) mentre i socialisti erano partigiani del con- trollo operaio. Giolitti si accordò con loro su un progetto favo- revole al controllo operaio, scartando il progetto dei sindacati cristiani. Lo pregai di consentire che i due progetti fossero presentati insieme davanti alla camera, che avrebbe scelto. Me lo rifiutò e alle mie osservazioni rispose con malumore: (C Di- fendo gli interessi del paese, voi difendete quelli dei vostri sin- dacati ». Risposi che gli interessi del paese non consistevano nel mettere le industrie sotto un controllo politico nè nell'im- pedire un reale miglioramento della classe operaia e conclusi: .

a La vostra è una capitolazione di fronte al partito socialista n.

(1) L'esame di stato doveva permettere agli studenti che erano nelle scuole iibere di presentarsi alle scuole secondarie e d'università sullo stesso piede di eguaglianza degli allievi delle scuole pubbliche. (N.d.A.)

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Lo stesso rimprovero fu fatto ai popolari per aver posto come condizione della loro partecipazione al governo lyaccet- tazione del progetto di legge sulla colonizzazione interna dei latifondi e la revisione dei contratti agrari. Dopo una lunga e sfibrante procedura la legge giunse alla camera dei deputati nel luglio 1922 : era opera dei popolari. Quando Mussolini giunse al potere essa era davanti al senato:. la fece subito ritirare in odium auctoris. Se fosse stata approvata a quell'epoca si sareb- bero potuti creare dei centri di colonizzazione sufficienti per più di trecentomila contadini: la spesa sarebbe stata poco più di un miliardo; forse non sarebbe bastata; ma quanti miliardi è costata la conquista dellYEtiopia che permetterà di installarvi un numero di contadini molto inferiore ai centomila?

t L'errore pratico è sempre possibile sia quando si tratta d i un partito, sia quando sì tratta del paese. Ma quali che siano i fini dei vari partiti, ciò che resta fondamentale e decisivo per tutti è valutare prima di ogni altra cosa la moralità di un atto e di una iniziativa che vien proposta in nome del paese o d'un partito. Risolta questa pregiudiziale, si è liberi di giudicare dell'opportunità, dellyutilità e della necessità d'un provvedi- mento. È evidente che i partiti possono nuocere anche involon- tariamente al bene comune, ma è pure evidente che per gli affiliati ad un partito il bene comune coincide con la conce* zione che se ne fanno attraverso le idee del loro partito. E per questo i cattolici, quando non sono legati a partiti politici (di- versi da quelli di ispirazione cristiana) son più facilmente su- scettibili di lasciarsi guidare dalla morale e dall'amore del prossimo, che permette loro di superare lo spirito di corpo e l'egoismo partigiano nella misura del possibile.

Ho detto intenzionalmente nella misura del possibile, perchè ci son momenti in cui la passione rende questa ~ossibilità abba- . stanza debole. Chi non ricorda l'affare Dreyfus? I cattolici fran- cesi, nella loro maggioranza, non seppero far tacere i risenti- menti di corpo, nè praticare i l dovere della giustizia e della carità. Lo stesso si può dire di tutti gli antisemitismi in tutti i paesi. Credo che se i cattolici tedeschi avessero preso aperta- mente la difesa dei giudei al principio della ~ersecuzione na- zista nel 1933, avrebbero fatto il loro dovere di cristiani e con-

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temporaneamente avrebbero creato up fronte di resistenza che avrebbe avuto la sua utilità. ,

Più ancora che l'antisemitismo, la guerra è una delle cause di accecamento che impediscono .di discernere chiaramente dove sono i limiti tra la moralità e l'immoralità. Essa costituisce uno dei più gravi fenomeni che pesino sulla vita politica; i cattolici son raramente immunizzati contro la psicosi di guerra.

Non conservo un ricordo molto preciso dell'atteggiamento dei cattolici italiani durante la guerra diAfrica del 1895-96; in generale essi erano contro Crispi, anticlericale, massone e per- secutore del nazionalismo.

Io stesso feci le mie prime armi da giornalista contro Crìspi; ai motivi generali di opposizione si aggiungevano ragioni locali: Crispi era candidato del partito liberale nella mia circoscrizione d i Caltagirone. I cattolici erano, mi sembra, in maggioranza contrari a quella che allora veniva chiamata l'avventura ufrt cana; ma non ricordo se fra i motivi di opposizione si parlasse di morale e di guerra giusta.,

La questione fu sollevata a proposito della guerra libica del 1911, ma eravamo solo in pochi a sostenere che la guerra non era giusta, e non avevamo molta eco. Gli operai cattolici erano ostili solo perchè si trattava di una guerra, indipenden- temente dalla sua moralità intrinseca. Molti della boIghesia in- vece erano favorevoli all'impresa; il Banco di Roma, allora nelle mani dei clericali romani, aveva fatto delle operazioni in Libia e aveva contribuito a prepararne la conquista. I1 Corriere- d'Italia e il Corriere 'di Sicilia, tutti e due cattolici, erano molto favorevoli. I n simili condizioni e date la mia posizione di sin- daco di Caltagirone e le altre cariche pubbliche che. avevo, credetti prudente mantenermi sulla riserva.

Più grave per noi cattolici italiani fu la questione dell'en- trata in guerra nel 1914-15. Ero allora segretario generale del- l'azione cattolica italiana. Quasi tutti eran per la neutralità: non più favorevoli agli imperi centrali, la cui guerra non era nè ,nello spirito nè nella lettera della Triplice alleanza, d i quanto lo fossero per gli alleati. Inoltre si considerava giusto e morale chiedere all'Austria la cessione di Trento, Gorizia, Trieste, ma non si credeva giusto fare la guerra per il sacro egoismo. Solo

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qualche piccolo nucleo d i cattolici era favorevole all'idea d'una guerra per aiutare il Belgio e la Francia ingiustamente assalite.

I1 comitato centrale dell'azione cattolica credette opportuno nei primi giorni del maggio 1915 dare direttive generali pub- blicando un 'appello molto prudente nella forma ma nella so- stanza favorevole all'Intesa. Questo appello incontrò una viva

h

ostilità in molti cattolici e causò qualche preoccupazione in Vaticano. Fui oggetto degli attacchi dei neutralisti perchè am- mettevo i l principio dell'intervento (con la riserva d'una mi- gliore preparazione del nostro esercito) e degli interventisti, di cui non approvavo il motivo, secondo me immorale e ingiusto, del sacro ego 'asmo. '

A questo proposito ecco un ricordo personale. Mi trovavo in .Campidoglio il giorno (credo il 16 maggio 1915) in cui Salandra lesse il suo famoso discorso sul sacro egoismo: la folla applau- diva, io no, e questo fu notato. Di ritorno a Caltagirone di cui ero sindaco, un giorno o due dopo, gli studenti organizzarono una manifestazione per la guerra che terminò contro di me. I1 municipio in cui mi trovavo fu assalito, i vetri furono infranti, la luce spenta, il lastricato divelto e si commise qualche altra violenza uso quartiere Latino. Quando rimproverai i l capo della polizia locale per il suo atteggiamento quasi passivo; mi rispose che aveva fatto il suo dovere «nei limiti delle istruzioni ricevute D.

Nel 1919 si ebbe il colpo di mano d i D'Annunzio su Fiume. Nonostante le simpatie di qualche deputato popolare e d'un certo centro letterario cattolico, il partito popolare fu ostile all'awentura e approvò il governo Giolitti, sia a proposito della ratificazione del trattato di Rapa110 con la Jugoslavia, sia per l'invio di navi che avrebbero fatto partire D'Annunzio e i l suo governo con qualche colpo di cannone. I nazionalisti erano fu- ribondi contro di noi.

Colpo di mano su Corfii nel 1923. I1 partito popolare vi si era opposto. Tuttavia in un momento di incomprensione e d i eccitazione generale il nostro amico Giuseppe Donati, direttore deil'organo del partito, ZL Popolo, volle solidarizzare col go- verno in nome dell'onore nazionale. Fu uno sbaglio passeggero, e riparato -al centuplo quando Donati condusse una campagna contro l'assassinio d i Matteotti e denunziò al senato il gen.

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De Bono come complice. È morto in esilio e le.sue ceneri ripo- sano oggi in un cimitero parigino (l).

Di &onte a questa libera e cosciente collaborazione dei cat- tolici italiani (organizzati o no in partito) che illuminarono l'opinione pubblica a partire dal 1895 tutte le volte, che la guerra incombeva, è triste considerare la situazione presente. Durante il 1935 nessuno in Italia ha osato o ha potuto scrivere q

contro I'inipresa mussoliniana in Etiopia, nessuno ha potuto contestarne la moralità o la giustizia; le parole del papa agli infermieri cattolici il 28 agosto a Castelgandolfo non furono pubblicate dai giornali italiani (L'Osservatore Romano è extra- territoriale); nessun cattolico, nessun ecclesiastico ha potuto commentare le dichiarazioni del papa (del resto così prudenti) o farvi allusione a voce o per iscritto. Di più, tutti ricordavano ciò che si diceva dell'arcivescovo di Monreale in Sicilia, che avrebbe cioè messo l'oro delle chiese a disposizione dell'autorità fascista per la guerra. Era falso. Ma la smentita non potè mai essere pubblicata; ho ricevuto una lettera da persona ben in- formata che mi raccontava questa enormità. E si trovarono cat- tolici che credevano di giustificare la guerra dal punto di vista morale, ed erano non solo liberi, ma incoraggiati nella loro propaganda; ed ecclesiastici che si entusiasmarono, in nome della civiltà, dell'abolizione della schiavitù e persino d i ifna evan- gelizzazione cattolica, per giustificare questa guerra mostruosa.

Bisogna perdonare loro molto, pensando che la gu5rra crea una terribile psicosi a cui è dificile resistere quando si è isolati; ci vorrebbe l'aiuto dei gruppi e dei partiti e l'appoggio d'un ideale morale comune a varie correnti della pubblica opinione: e tutto questo è impossibile in regimi totalitari, come il fasci- smo italiano.

Ma assai meno scusabili son coloro che alimentano una tale , psicosi di guerra nei periodi di pace sviluppando l'odio e 10

. spirito d i vendetta nei popoli e nei partiti. Ancora cinque o sei anni dopo' la conclusione della pace h o incontrato in Francia giovani allievi di scuole cattoliche che parlavano di boches con un odio e un disprezzo incredibili. Ad uno d i essi (era il 1925) '

(l) Dopo la guerra le spoglie di Giuseppe Donati furono trasportate a Faenza, h a città natale.

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dissi: (( Ma i boches sono nostri fratelli e cristiani come noi n. Mi rispose duramente: <r No, non son nostri fratelli; no, non sono cristiani ».

Quest'idea orribile sta diventando in Francia un assioma. Max Hermant nel suo libro Idoli tedeschi (così interessante sotto molti aspetti) dice che i l germanesimo in senso razzista Iia i l valore d i una caratteristica fondamentale. Se fosse vero, il cristianesimo non potrebbe giungere all'anima dei' tedeschi: è assurdo! Anzi ecco ciò che scriveva i l generale Castelnau nel- 1'Echo de Paris del 15 marzo 1936: (( Questo fanatismo impru- de'nte non ~orprender~à coloro che han penetrato il sustrato della razza germanica; essa non ha rinnegato che a fior di labbra le sue origini barbare. La conversione al cristianesimo di Vitikindo non l'ha cainbiato nella sua essenza profonda n. , Come è ingiusto e arbitrario attribuire a ,tutti i tedeschi la violazione del trattato di Locarno voluta da Hitler, che indub- biamente non è discendente di Vitikindo! Si è giunti all'assur- dità di voler differenziare i l cristianesimo dei tedeschi da quello dei francesi e si rifiuta ai primi la possibilità & essere veri cristiani.

Che deve dire i l gen. Castelnau degli italiani? Poichè Mus- solini ha violato parecchi trattati e ha attaccato un popolo quasi disarmato, gli italiani son forse anch'essi mal convertiti al cristianesimo? Non dubitate: nel caso degli italiani, i barbari son dal lato dell'Abissinia, poveri negri o negroidi (C sporchi n, o come si soleva dire frequentemente all'Echo cEe Paris, razza inferiore. In questo caso si può mancare alla parola data: bom- bardare ambulanze della croce, rossa, asfissiare i civili e far massacrare ( è ciò che furon chiamate battaglie, secondo i CO-

municati italiani): da un lato mille morti e feriti e dall'altro quindici o ventimila.

C Questa insensibilità morale non è propria soltanto di qual- cuno; non è forse l'accademico cattolico Madelin che glorificò a tre riprese la rivincita di Adua sull'Echo de Paris? Si sa che dopo la disfatta di Adua nel 1896 si fece un trattato d i pace. In seguito si fecero parecchi altri trattati di amicizia o di com- mercio: l'ultimo nel 1928. Vittorio Emanuele I11 e Mussolini ricevettero allora i l negus a Roma con gli onori sovrani e dimo-

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strazioni di grande amicizia. Chi in Italia fino al 1935 pensava di prender la rivincita di Adua?

Qualc francese pensa oggi alla rivincita di Waterloo? Ma l'antica disfatta italiana diventò per Madelin e qualche altro un puntiglio d i onore nazionale. Bisognò ammucchiare i corpi di parecchie migliaia di negri come capri propiziatori sacrificati ai mani degli italiani caduti nel 1896. È questa la carità di Cristo applicata alla politica? Questi sentimenti meritano d'es- ser diffusi tra i cattolici e da cattolici?

Concludiamo. Nei regimi d i libertà il cattolico non può restar isolato od estraneo alla vita dello stato moderno. Que- . st'ultimo s'è attribuito funzioni culturali e morali che prima non aveva: ha riunito in sè tutte le forze sociali ed ha assogget- tato tutto al suo dominio. Disinteressandosi, il cattolico assume- rebbe gravi responsabilità davanti a Dio e al prossimo, lasce- rebbe la cosa pubblica nelle mani di coloro che o non sono cat- tolici o non sentono l'imperativo della morale cristiana.

Unendosi ad altri il cattolico non può, senza collaborare al male, accettare programmi antireligvsi, nè metodi immorali, nè fini' esclusivamente materiali. ,

' Non può neppure, mi sembra, iscriversi a partiti che vo- gliono instaurare forme dittatoriali di' governo e sopprimere le libertà civili e politiche; perchè così facendo lavorerebbe a fa r dello stato il padrone delle anime e dei corpi, delle persone

1 e delle cose, del dominio pubblico e di quello privato, e aiute- rebbe a stabilire una permanente discriminazione tra il partito vincit'ore e i suoi dominati.

È poi necessario che il cattolico conservi sempre la propria personalità morale ed i l suo carattere religioso per resistere agli egoismi di nazione, di classe, di categoria, di professione, non solo in nome della religione, ma anche in nome delle con- vinzioni sociali e politiche. i

I cattolici devono mostrare che non difendono soltanto i loro piccoli interessi materiali e quelli delle loro chiesuole, ma che servono i principi morali della comunità.cristiana. Agendo al-

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trimenti i cattolici continueranno ad essere confusi coi partiti reazionari ed a passare per lacchè dei governi.

L'amore del prossimo non è solo un amore dell'individuo per il suo simile, ma anche quello di un gruppo per l'altro e dell'individuo per la comunità. Nell'un caso e nell'altrò l'unica regola per i cristiani è che i vincoli materiali di parentela e i segni materiali di fraternità non contano: colui che fa la VO-

lontà di Dio - che è amore - è veramente.figlio di Dio e fratello di tutti gli uomini.

E

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Cap. VI1

GERMANESIMO, E CIVILTA' CRISTIANA

A) Fasci e croce garnmata .

L'Italia fascista ha preso l'emblema della Roma antica e la Germania nazista quello degli ariani. Questo ricorso a cose d i tempi così lontani per stabilire in qualche modo un albero ge- nealogico, vuol significare la continuità storica e ideale dell'im- pero romano per l'Italia, della razza per la Germania.

Lo storico, d'oggi, e più ancora quello d i domani, può fa- cilmente dimostrare nei due casi l'inconsistenza di questa pre- tesa continuità. Il mito fascista e quello nazista hanno un'ori- gine che non ha nulla di araldica: son fenomeni del presente e la loro vitalità non sorpassa il ciclo delle reazioni storiche. - Per la storia venti o cinquant'anni sono un breve spazio.

Non è qui il caso di fare profezie sulla durata approssimativa delle due avventure: qualche anno di più o di meno non conta. Ciò che conta è il significato degli avvenimenti che si svolgono in Germania e in Italia. Son così vicini gli uni agli altri, che sembrano quasi copiarsi a vicenda (Hitler prendendo a modello Mussolini) e così diversi che sembrano awenire in sfere lonta- nissime l'una dall'altra.

Uno dei fenomeni più caratteristici è la rassomiglianza de- gli stati d'animo degli oppositori del regime: liberali, demo- cratici, popolari, centristi e socialisti: i quali tanto in Italia che i n Germania si credevano sicuri di sbarrare la via ai movi- menti attivisti di Mussolini e di Hitler.

I tedeschi avevano sotto gli occhi l'esempio dell'Italia, ma non ne fecero tesoro; credevano che il loro caso fosse diverso e il pericolo d'una dittatura immaginario. Un mio amico che

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allora aveva avvertito uno dei capi del centro della catastrofe imminente, ricevette questa insolente risposta: « Noi non sia- mo italiani ». Non solo in Francia e in Inghilterra, ma anche

C in Germania tutti pensavano che il fascismo fosse un fenomeno buono per i soli italiani. Popolo inferiore, gli italiani non eran maturi per la libertà politica e le lotte civili, e il bastone fa- scista era proprio ciò che ci voleva con la sua disciplina magni- loquente ed autoritaria. ' Non ho sentito da molti stranieri esprimere apertamente

questo pregiudizio antiitaliano, eccetto che. dagli inglesi i quali quando hanno attraversato la Manica credono di giungere in colonia. Per gli altri la teoria del popolo^ inferiore era abba- stanza comoda, per ammirare Mussolini da lontano e approfit- tarne da vicino.

Oggi molti tedeschi, che non possono piu esprimersi ad alta voce, ripensano agli avvenimenti d i questi anni e si rendono conto di due fatti fondamentali: primo, l'errore classico, tanto in Italia che in Germania, fu di permettere ad associazioni pri- vate ed a partiti politici di aver armi; secondo, nessun partito politico può sostenersi con due tattiche, una per l'interno, l'al- tra per l'estero.

In Germania le associazioni munite di armi furono autoriz- zate da tutti i governi democratici e popolari, per scuotere in qualche modo il giogo del trattato di Versailles e preparare una gioventii guerriera. Errore politico e duplicità morale: '

nessun partito fu innocente, nè il centro nè la socialdemocrazia. Entrambi fin dal primo periodo della costituzione di Weimar subirono l'influenza dei generali, che fino ad Hitler han guidato piu o meno, sotto il velo delle associazioni, la politica tedesca verso i l riarmo e la rivincita.

Non vogliam qui discutere la situazione instaurata dal trat- tato di Versailles in Germania. L'errore politico e psicologico dell'Intesa fu enorme. Non possiam incolpare solo la Germania di quanto è accaduto in seguito: sarebbe ingiusto. Ma il centro e i socialisti che ebbero per tredici anni (1919-932) la direzione del Reich avrebbero potuto fare una politica di ricostmzione e creare la fiducia nella Germania: il loro errore è stato fatale.

In fondo esisteva un contrasto d i idee e di direttive che la

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costituzione di Weimar non aveva risolto. I socialisti erano . mamisti, avevano predicato l'avvento della classe operaia at- traverso la lotta di classe e la vittoria sul capitalismo borghese, eppure si trovavano nella necessità di dirigere una repubblica borghese nei limiti d'un regime a base liberale democratica, d'esser gli alleati del centro cattolico e d i subire l'influenza mi- litare. I socialisti tedeschi risolvettero l'antinomia della loro si- tuazione sul piano d'un regime burocratico. Del resto per la loro qualità tedesca di buoni organizzatori erano abituati a l sistema burocratico nelle loro cooperative e nei loro sindacati: cosicchè l'élite dirigente non era che una classe di impiegati a stipendio fisso. E come il partito trovò la sua soluzione nella burocrazia, cosi nella burocrazia si risolse i l governo dei singoli stati e dello stesso Reich. Per la propaganda bastavano le affer-

mazioni di principio e la ripetizione dei dogmi marxisti. ,

La maggior parte del centro sopportava malvolentieri la col- laborazione politica coi socialisti, sia per sentimento religioso sia per le differenze di organizzazione sindacale. La maggior parte dei capi del centro eran democratici e repubblicani d'oc- casione. I1 primo a staccarsi dal centro fu il prof. Ottomaro Spahn, figlio del celebre Martino Spahn, che nel 1920 si pro- clamò nazional-cattolico. L'ultimo h l'ex-colonnello Von Paperi le cui tendenze e la cui educazione erano tutt'altro che demo- cratiche e repubblicane. OItre a questi eran numerosi coloro che non simpatizzavano per la politica di Weimar, ma la ser- vivano, in mancanza di meglio, considerandola come u n dovere .- verso la patria in un momento grave e difficile.

Questo sentimento del dovere, che non mancava di nobiltà, accentuava un equivoco che non poteva risolversi se non in favore della democrazia. Coloro che si sacrificavano-per trarne tutto l'utile possibile per il Reich, come gli ex-cancellieri Mam e Briining, sono stati messi , a l bando della 'nazione e accusati di tradimento. Solo qualche membro del centro era 'veramente democratico e repubblicano, come ad esempio l'ex-cancelliere Wirth, che non riusci a risolvere l'equivoco centrista a causa degli elementi di destra del suo ministero e della debolezza della sua politica estera.

Cosi dietro il paravento socialista e cattolico del potere, e

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nonostante l'importante organizzazione sindacale dei due par- titi, si ricominciò - dopo Weimar - l'educazione militare della gioventu, si ricominciò a rinforzare i l potere dei generali e dell'esercito scosso dalla sconfitta e a sviluppare, parallela- mente all'odio contro Versailles, l'odio contro Weimar che aveva reso possibile e accettato il diktat del trattato versagliese e riconosciuto la Germania responsabile della guerra.

E se questo fu il, risultato della loro politica interna, anche la politica estera dovette risentirne. I francesi, sempre sensibi- lissimi alle oscillazioni interne della Germania, non ebbero mai molta fiducia nei democratici repubblicani perchè intravvede- vano i l loro equivoco fondamentale che, in politica estera, si traduceva in un doppio gioco di abilità e di goffaggine. La de- stra francese ingrandiva i fatti per giustificare la propria poli- tica insensata, ma i fatti erano veri.

Non è qui il caso di discutere la politica estera della Ger- mania che, dopo Wirth e Rathenau, è legata al nome d i Strese- mann. L'equivoco creato a Genova nel trattato di Rapa110 con la Russia (1922) di cui Rathenau fu l'artefice principale, con- tinuò a sussistere con Stresemann in tutti gli avvenimenti poste- riori: Locarno, l'entrata della Germania nella Società delle na- zioni, i colloqui di Thoiry, l'evacuazione della Renania, i l piano Young, l'intesa di Curtius e Schober per 1'Anschluss. Contem- poraneamente al gioco di questa politica estera si svilupparono le forze nazionalistiche ed hitleriane, le associazioni armate au- mentarono l'influenza dell'esercito nella vita della nazione e il movimento revisionista dei trattati. E quando l'onesto Briining nel 1931, a Londra, mise le carte in tavola per far capire alla Francia e all'Inghilterra che egli era sull'orlo dell'abisso, non ottenne che rinvii e rifiuti. Tardieu all'Aja e Lava1 a Londra furono responsabili di una gran parte degli avvenimenti che si svolsero dopo i l 1931. La Francia fini per cedere a Losanna sulle riparazioni e a Ginevra sulla parità degli armamenti, accordan- do a Von Papen e a Schleicher ciò che aveva rifiutato durante due anni a Briining.

La politica della Germania sembra aver avuto per scopo, durante tredici anni, di preparare contemporaneamente la ro- vina del trattato di Versailles e quella della repubblica d i Wei-

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mar. Di qui deriva che complici o no i vari governi d i sinistra e del centro, Weimar diventò il velo che nascondeva ( a chi vo- leva sollevarlo) la preparazione della nuova Germania nazional- socialista. Tutti ne furono colpevoli e furono puniti; per il so- cialismo fu un suicidio, per il centro un inutile sacrificio sul- l'altare del germanesimo.

Tutto questo può sembrare cosi lontano da ciò che è acca- duto i n Italia tra i l 1919 e il 1922, che a certuni il paragone pa r r i fittizio. Tuttavia in fondo il movimento fascista italiano presenta elementi psicologici e politici che han col nazismo tedesco molti punti di contatto, e persino delle identità.

Cosi, se i governi demockatici non avessero peFesso in Ita- lia la formazione di associazioni armate l'avventura fascista non avrebbe avuto il carattere che assunse e non avrebbe abbattuto il sistema costituzionale liberale su cui si appoggiava lo stato italiano.

Queste affermazioni, dopo il successo di Mussolini; sembrano non solo anacronistiche, ma senza reale fondamento. I1 successo,' il piU delle volte, vela le sue stesse cause e le allontana e in qualche modo le elimina. L'uomo vede il successo nel succe~so, come una luce abbagliante appare allo sguardo, come una luce e non come la lampada da cui essa emana. Quando i l successo sarà passato, se ne vedrà meglio l'origine e la natura.

Chi, come me, ha vissuto le fasi successive della riuscita fa- scista, può piu facilmente analizzare i fatti e scoprirne le cause. È ciò che ho cercato di fare, subito dopo averle vissute, nella mia opera L'Italia e il fascismo, scritta durante il primo anno del mio esilio. Quest'analisi delle cause lontane e vicine del- l'avvento fascista resiste alla piU acerba critica, e gli avveni- menti che son seguiti ne han confermato la giustezza.

Un governo normale, in un regime di opidone come quello d'Inghilterra e d i Francia, può canalizzare nella legalità dei metodi un movimento politico qualunque esso sia e reprimere con giustizia ogni violazione della legge morale e positiva. I1

'

fatto d i autorizzare l'esistenza di associazioni armate, di tolle- rarne l e violenze e i delitti individuali o collettivi, con l'acquie-

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scienza della polizia e la benevolenza della magistratura, dimo- stra che i l governo ha perduto la necessaria autorità o che im- pegna tali mezzi per servire fini illeciti e partigiani.

Sotto il governo di Giolitti le armi dei magazzini militari furono date ai fascisti. I1 governo 'favori quest'operazione, di- sposto a' rivelarne i colpevoli se la cosa fosse divenuta di pub- blico dominio e denunziata al parIamento.

Due cause avevan determinato l'orientamento della borghe- sia verso il fascismo: la paura di una coalizione dei socialisti e'dei popolari, che avrebbe dato alle masse operaie e contadine una sicura preponderanza sul terreno politico e le cui conse- guenze si sarebbero risentite sul terreno economico. Inoltre lo spirito nazionalista era in agitazione per la questione di Fiume e per la convinzione che alla conferenza della pace l'Italia era stata trattata da11'Intesa come un parente povero.

I liberali democratici, i partigiani di Giolitti, i liberali d i destra che facilitarono l'avvento fascista eran tutti rimorchiati dal Corriere della sera di Milano, diretto allora dal sen. Alber- tini, che ben presto si accorse dello sbaglio commesso - agi- rono pressappoco come Hugenberg e Von Papen verso Hitler, facilitando l'ascesa di Mussolini. Pensavano di servirsi del fa- scismo per fronteggiare socialisti e popolari separatamente (i comunisti contavan poco allora) ed esser così in grado di man- tenere a1 potere la borghesia italiana che, dopo un mezzo se- colo di governo, aveva al suo attivo torti e meriti incontestabili.

Mussolini, durante i mesi di settembre e ottobre 1922 raffor- zò questa fiducia dei liberali. Rinunziò all'idea repubblicana che lo pregiudicava e così soppresse la difficoltà che c'era per lui a diventare ministro del re d'Italia. Contemporaneamente per mezzo di fedeli intermediari trattava coi tre capi del libe- ralismo parlamentare : ' Giolitti, Orlando e Salandra, mostran- dosi disposto ad entrare come ministro in uno dei loro mini- steri; anche ,Nitti fu interpellato. Contemporaneamente prepa-

, rava l'insurrezione e la marcia su Roma. Coloro che avvertirono il pericolo furono tacciati d i esage- -

razione. Tutto sembrava portare ad un cambiamento di governo come gli altri; ce n'erano stati tanti! Uno di più aveva poca importanza; tanto più che l'ultimo governo presieduto da Facta

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s'era rivelato inetto a mantenere l'ordine pubblico contro le bande. armate che mantenevano l'agitazione nell'Italia setten- trionale e centrale.

Ma quando i fascisti insorsero e i l governo non potè ottenere dal re la firma del decreto di stato d'assedio, che del resto non era necessario per mantenere i fascisti nell'ordine, Orlando, Giolitti e Salandra compresero subito che il vecchio sistema liberale costituzionale crollava per colpa loro ; di essi che avevan sostenuto le fazioni armate dei fascisti come mezzo d i lotta po- litica.

In mezzo al crollo della vecchia classe dirigente Mussolini* poteva imporre al re la sua candidatura al posto di primo mi- nistro senza neppure andare a Roma, ma stando a Milano e mettendo come condizione che i suoi trentamila partigiani sa- rebbero sfilati armati per le vie della capitale..Questa sfilata fu il simbolo della presa di possesso di un potere acquisito non solo per i l consenso del re ma per opera d'una rivoluzione.

Noi ci siam troppo abituati alla mentalità del determinismo storico per valutare sia l'attività perionale, sia l'influenza delle piccole cause da cui dipendono i più considerevoli sconvolgi- menti. Chi ha vissuto in un periodo detto rivoluzionario sa be- nissimo che la rivoluzione ha spesso prigini molto modeste e contraddittorie.

Oggi parlando della grande guerra si 'dice che fu preparata dallo stato degli 'animi, dalla situazione economica, dall'orienta- mento politico dell'Europa c si conclude spesso: era fatale. È si- curo che - senza l'incidente di Serajevo, senza quei due o tre uomini di Vienna che ne assunsero la responsabilità e senza il movimento imprudente della Russia che, pur non volendo la guerra, mobilitò il suo esercito, o senza l'indecisione. di lord Grey che non notificò a Berlino che l'Inghilterra si sarebbe schierata contro la Germania se fosse stata violata la neutralità del Belgio e fosse stata invasa la Francia - la guerra del ,1914 non sarebbe scoppiata.

Dopo il fatto gli storici deterministi dicono che era fatale. LO stesso va detto del fascismo, dell'hitlerismo e di tutto ciò

che awiene tra gli uomini. I liberali italiani che formavano allora la maggioranza, e che detenevano la tradizione del po-

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tere fin dall'unificazione nazionale, sbagliarono il loro calcolo appoggiando i fascisti per rintuzzare i socialisti e rimettere i cattolici al vecchio ruolo di forza ausiliare (ruolo che era stato felicemente superato con la formazione del partito popolare), e perdettero la partita a favore dei nuovi arrivati.

. La gioventù borghese, smobilitata dopo la guerra,, era in buona parte disoccupata e, in cerca di avventure politiche e di posizioni sociali, si legò al fascismo. La smobilitazione del dopoguerra, che in Inghilterra fece gravare i sussidi per gli operai disoccupati, in Italia ebbe per effetto l'inquietudine de- gli scioperi popolari e la reazione antisocialista e nazionale delle classi borghesi. I1 giorno della marcia su Roma i vecchi quadri politici furono condannati alla rovina; la gioventù che aveva fatto la guerra e che aspirava a battersi ancora, s'impadronì del posto.

In Germania l'urto tra la gioventù disoccupata e fanatizzata di razzismo e nazionalismo e la vecchia struttura cattolico-socia-

'

lista-liberale fu più rapido e più violento. L'elemento canti-semita diede un colore più cupo e più evidente alla lotta per la vita. La sostituzione dei vecchi quadri fu più frettolosa e più generale . in ~ e r m a n i a che in Italia i n tutte le forme di attività: politica, economica e sociale.

I nuovi venuti, a causa della rapidità dei movimenti, della brutalità dei mezzi impiegati e dell'odio che li animava, sem- bravano un esercito di invasori. Nell'antichità i vincitori si spartivano i territori; oggi conquistano tutti i posti.

I n Germania e in Italia questi conquistatori del potere, del- l'economia, delle posizioni delle classi dirigenti, degli impie- ghi, dei posti della vha politica e sociale han saputo svegliar la simpatia ed eccitar l'immaginazione popolare.

La nazione e lo stato in Italia, il popolo e la razza in Ger- mania, son diventati oggetto d i esaltazione mistica e di culto. Ogni camicia nera o bruna è un soldato-consacrato, un crociato del partito. Le parate si moltiplicano; le assemblee di folle

I

immense con musiche, bandiere, grandi gesti e grandi grida, illuminazioni e discorsi, danno alle popolazioni una specie d i ebbrezza collettiva. È come se si realizzasse qualche cosa in que- sti stati di esagerazione, di anormalità, di frenesia collettiva.

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B) La Germania verso l'apostasia

L'orientamento della Germania è attualmente verso l'apo- stasia; non intendo parlare solo di quello governativo e politico, ma di un orientamento spirituale, che tocca l'intima fibra del popolo stesso. È vero che cattolici e protestanti resistono come possono sul piano puramente religioso; ma la loro resistenza, se in molti casi è coraggiosa e vigorosa, non si impone nell'in- sieme perchè non è totale, mentre l'offensiva anti-cristiana del nazismo è totalitaria.

Quando i nazi cominciarono a perseguitare ebrei, in no- me della razza ariana, cattolici e protestanti, giornali religiosi, associazioni e loro organi, fecero silenzio, alcuni perfino assen- tirono alla campagna per varie ragioni, sentimenti o risenti- menti non del tutto privi di fondamento, ma non opportuni e

'

in fondo non cristiani. Nè essi, nè i protestanti si accorsero che la teoria della razza,

che dava motivo o pretesto alla persecuzione contro gli ebrei, conteneva anche i motivi per una lotta contro il cristianesimo nella sua essenza. Non solo non se ne accorsero, ma alcuni stu- diosi e periìno talvolta la stampa religiosa, cominciarono a di- fendere il principio d i razza, a darvi una consistenza ideologica (come fan sempre i tedeschi), una filosofia sociologica, e a ' t rame un sistema finalistico..

L'idea di popolo eletto non è nuova in Germania; potrebbe dirsi un'idea tirata dall'odiato ebraismo e portata sul terreno bio-sociologico, intesa come una selezione che dà una specie di diritto 'di dominio sulle razze e sui popoli inferiori. Questa idea, spinta dai nazisti fino all'esasperazione, trovò cultori mo- derati fra quei cattolici e protestanti che-hanno il gustoedi tro- vare subito un accomodamento' fra la religione e gli ultimi por- tati della.:. scienza o della. .. politica. La reazione contro simili teorie è stata così debole, come debole è stata la reazione con- tro la persecuzione degli ebrei.

' Ma la logica degli avvenimenti è più forte della logica dei nostri ragionamenti. La razza'elevata a principio di superiorità reclama per sè dei diritti e tende a divenire essa stessa ragione e fonte di diritto. Donde la legislazione che distingue'i cittadini

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in categorie secondo le razze, che stabilisce i l divorzio per il caso di razza differente e impedisce i matrimoni fra individui d i razze diverse, che diversifica per razze la giustizia civile e pe- nale, e via di seguito.

I1 cammino verso la lotta al cristianesimo è fatto; . i l passo è facile a superare. La razza ci diversifica; per Cristo non c'è giudeo o greco, gentile o barbaro; tutti uguali avanti a Dio. La razza si afferma con la forza e nella lotta; per Cristo c'è solo l'amore e la pace. La razza superiore è una affermazione di su- perbia; Cristo ci vuole umili: Non può Cristo simboleggiare la razza; per questa occorrono simboli particolari, differenziati come le razze stesse. Di qui la ricerca degli dei della Germania pre-cristiana.

Nessuno pensa che i nazi neo-pagani credano alle virtù mi- racolose delle divinità che stanno esumandò dalle saghe nordi- che, e che la loro sia una fede nel senso cristiano o in quello '

dei popoli primitivi, prima di essere toccati dalla luce del Van- gelo. Essi hanno bisogno di simboli che parlino all'immagina- zione, 'che rispondano ai sentimenti destati dall'idea di razza come coscienza di superiorità fisica, orgoglio di popolo, volontà d i dominio. È una (C materialità di sangue)) nel senso di par- Secipazione biologica formante una collettività, un clan largo quanto la Germania (purificata dagli elementi estranei e dalle infiltrazioni di idee perturbatriii) che si afferma come un prin- cipio e che cerca un simbolo. A questo simbolo si dà un culto: è il.culto alla razza germanica.

Non si creda che si dica una parola grossa parlando d i apo- stasia e che si voglia estendere le stranezze di due milioni di neo-pagani ai 60 milioni almeno di cristiani battezzati, cattolici

' o protestanti. Si tratta di una corrente sempre più forte, che mescola insieme sentimenti patriottici con torbidi rigurgiti di materialismo di razza, simboli religiosi con filosofie misticiz- zanti, e che si giova della crisi economica e nazionale per tra- scinare con sè una parte notevole del popolo.

I1 tedesco non è individualista, come altri popoli europei, è d'istinto gregario, ama il collettivismo, cerca il conformismo esterno, ha bisogno d i capi da seguire e nei quali credere. Lufero fece divenire protestante tre quarti della Germania perchè gua-

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dagnò alla sua causa molti principi, felici di staccarsi da Roma e dall'impero. Lutero proclamò il libero esame e il servo arbi- trio; nella vita sociale-politica il libero esame fu accaparrato

x dai capi e il servo arbitrio toccò al popolo. I1 conformismo re- - ligioso-politico fu proclamato nella Pax augustancr del 1555,

con il noto principio: cuius regio illius et religio. Ora Hitler proclama la razza germanica come un principio

etico, come £onte di diritto, come un valore assoluto. Che manca .. n- - ..- per f a k e una divinità? Manca solo il ripudio di Gesù Cristo.

A questo tende il nazismo, sia come valore intrinseco, sia come valore che si manifesta nello zelo dei capi autorizzati. La resi- stenza si deve fare là dove è posto i l nuovo idolo: la razza germanica divinizzata. Ogni concessione a questo nuovo idolo e alle affermazioni etiche, giuridiche, sociologiche, politiche e filosofiche e religiose fatte in suo nome, porta a rinnegare i l cristianesimo.

Non è la prima volta che su un terreno politico 5 cerca di distruggere la civiltà cristiana e sopprimere la libertà; le corren- ti positiviste che han disseccato le fonti religiose e morali pre- dominano ancora su una larga parte delle classi borghesi e del proletariato organizzato. Non è neppure una novità che nel- l'Europa continentale governi e partiti pratichino I'anticleri- calismo e giungano alla persecuzione religiosa; Combes è di ,

ieri l'altro e Azafia d i ieri. Ma una gran parte dei francesi e de- gli spagnoli poterono legalmente e moralmente combattere le leggi Combes e la politica di Azaiia su vari piani (religioso, politico, economico) e nessuno poteva identificare la Francia e la Spagna con Combes e Azaiia. In Germania invece la lotta è resa quasi impossibile dalla assenza completa d i libertà legale e morale, dalla soppressione di ogni mezzo di azione legittima, ( la parola, la stampa, la propaganda, le assocjazioni), dall'iden- tificazione di Hitler e del suo partito con l'esistenza, i l carattere e l'avvenire della Germania. i ,

Questa identificazione, non solo simbolica ma pratica, rende difficile al clero cattolico ed alle associazioni protestanti la di-' fesa dei principii religiosi, della fede e della morale cristiana.

I1 pericolo primordiale è costituito dall'affermazione non solo teorica, pseudo-scientifica e anche metafisica, ma pratica,

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sentimentale, mistica, politica e legale del principio della raz- za... A noi, che non siamo tedeschi, questa divinizzazione della razza può sembrare una aberrazione infantile, ma i ted-eschi vi mettono serietà, convinzione, testardaggine, fede, entusia- smo. Han finalmente trovato la ragione della loro superiorità, dei diritti del loro popolo, della missione che gli incombe d'un nuovo multiplicemini per rifare una civiltà occidentale domi- natrice del mondo, mentre la vecchia civiltà agonizza e deve fatalmente morire. Non è il delirio febbrile di qualche agitato o ragionamento d i professori: è il nuovo verbo che si espande in tutte le classi per creare un nuovo spirito, una nuova Ger- mania, alla testa del mondo.

Francois Perroux, che conosce la Germania, presenta nel suo interessante volume « I miti hitleriani n, un'analisi profonda della attuale Germania dissipando le impressioni inesatte che si hanno in Francia, e rilevando come la concezione della razza coincida con l'idea di popolo. « I1 popolo tedesco e non la na- zione tedesca è la realtà suprema. I1 popolo è un aggregato ca- ratteristico dal punto di vista razziale, storico e psicologico. Non si' entra in un popoloee non se ne esce a piacimento. Nella nazione invece si può entrare con la naturalizzazione; se ne esce acquistando la cittadinanza straniera D. Così pensano i te- deschi. Per loro la nazione è statica e fissa nei suoi limiti sto- rici o arbitrari; il popolo è modellato dalla natura, è un tutto vivente e in perpetuo divenire.

È così che si forma una vitalità: la nazione predestinata; &'unità razziale: il popolo sorto dallo stesso sangue ; una fina- lità: la purezza della razza sviluppantesi come per determinismo naturale.

Nell'idea germanica esiste un'immanenza che sopprime ogni volontà che si diriga verso un altro oggetto che non sia essa: la razza è il tutto, è l'immanente; gli individui si muovono nella razza come greggi, come spinti da una determinazione in- teriore, fissata dal sangue nella natura. La sola condizione d i vita e quindi la sola legge morale e sociale è che i l sangue sia puro, che i l corpo in cui circola sia sano, che questo complesso . razziale sia potente.

In Germania come presso gli altri popoli ci son sempre va-

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rie correnti, maniere diverse di sentire, una diveriità di centri in tutti i campi, religioso, politico, culturale, artistico, econo- mico e familiare. E benchè queste correnti, queste forme orga- nizzatrici si esprimano in tutti i paesi in un linguaggio diverso, non possono esser ridotte ad un denominatore comune come ,

limite invalicabile e condizione sociologica insormontabile. Non si è tedeschi per effetto di un determinismo, allo stesso modo che non si è latini o anglo-sassoni per la stessa ragione. Se fosse così i l cristianesimo non potrebbe essere la religione di tutti gli uomini, ma solo di qualche popolo,' .e certamente non po- trebbe esser quella della Germania. y..

Ora l'attuale conflitto, e non solo in Germania, avviene tra la concezione cristiana, dualistica e trascendente, della vita, e la concezione anticristiana, monistica e immanentistica. A questo conflitto 'coscientemente o incoscientemente partecipia- mo tutti; e in tutti i paesi, anche nella'stessa Germania, le cor-

I

renti son divise e si scontrano, e molte anime son turbate per il conflitto stesso e per la impossibilità di fissarlo e risolverlo in termini realisticì. I1 motivo è che la corrente monista e im- manentista tenta incatenare gli uomini ad un ente collettivo, sia lo stato, la nazione, la classe o la razza. Ecco perchè tutte

*

le correnti statolatriche, nazionaliste, di clas. (socialisti, bol- scevichi, comunisti) e razziste negano la libertà, ogni libertà, tutte le libertà, non solo quella politica, che lia un &;re di metodo, ma anche la libertà che si traduce in autonomia per- sonale, in rispetto per la personalità umana, in rispetto della , . coscienza individuale, in rispetto della vita morale, culturale

- e religiosa di ciascuno e di tutti. , Si vuole fare .presa sulle anime in nome dello stato, della

classe, della nazione, della razza. Perciò si monopolizza tutto: il potere, la scuola, l'economia, la religione, la cultura. Perciò ai sopprime ogni libertà. Ma questo non basta: c'è nel segreto di ogni anima un posto libero per adorare Dio e salvaguardare (anche con la morte) i diritti della propria coscienza. I1 nazi- smo. in Germania vuole occupare anche questo posto, presen- tandosi come una religione, una mistica, un panteismo collet- tivo, i l cui idolo concreto è la Germania, i cui riti e simboli son

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'presi dall'antico paganesimo, per negare Cristo, la fede, la mo- rale e la civiltà cristiana.

Ma forse può essere un bene che si sia giunti a questo stadio, perchè i veri cristiani - cattolici e protestanti - trovino in ciò un profondo motivo di combattere e rifare, sia pure col loro sangue, una nazione cristiana, impedendo l'apostasia e riaffer- mando i valori imperituri del Vangelo.

L'urto tra il nazismo-e gli ebrei non ha dato alcun risultato pratico e tangibile perchè gli ebrei hanno male impostato la difesa; essi hanno invocato la loro nazionalità tedesca proprio quando i nazisti facevano valere la differenza di razza; hanno invocato la libertà personale quando i nazisti affermavano l'in- teresse superiore della collettività; non potevano far valere un proprio principio religioso perehè molti avevano abbandonato l a religione e perchè il giudaismo è 'soltanto una religione par- ticolare, non universale.

I cristiani - cattolici e protestanti - avrebbero dovuto invocare per gli ebrei il principio della fratellanza cristiana e quello della giustizia distributiva, opponendo così una prima resistenza alla teoria della razza. Mancò loro i l coraggio, perchè la difesa degli ebrei appariva antipatica ai commercianti, im- pacciati dai loro metodi di co'ncorrenza, e ai disoccupati, che vedevano nella partenza degli ebrei un modo vantaggioso di trovare con facilità lavoro, e ai timidi che temevano l'ostilità dei nazisti.

La battaglia fu perduta dagli uni e dagli altri, dagli ebrei e dai cristiani. Ma subito dopo fu la volta dei cristiani. Per i protestanti il governo di Hitler si preoccupava di trovare una unità organica, che riunisse le varie chiese di Germania distinte secondo il territorio e secondo' le tendenze, unificazione non solo burocratica ma legata al nuovo regime. Per i cattolici si affrettò a negoziare con Roma un concordato, unificando i concordati con la -Baviera, il Baden e la Prussia. Hitler pro- metteva aiuto e' sostegno nella reciproca lealtà.

Coloro che credettero alla possibilità di un simile atteggia- mento non tennero conto della teoria fondamentale della razza germanica e pensarono di poter sacrificare ogni libertà per ottenere- una tranquillità religiosa che diventava insieme con-

9 - STuz7.0 - Politica e morale

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formismo di stato. U calcolo non fu vantaggioso nè ai cattolici nè ai protestanti.

Coloro che credettero alla possibilità di un simile atteggiii- mento non tennero conto della teoria fondamentale della razza germanica e pensarono di poter sacrificare ogni libertà per ot- tenere una tranquillità religiosa che diventava insieme confor- mismo di stato. I1 calcolo non fu vantaggioso nè ai cattolici nè ai protestanti.

L'antitesi teorica e pratica 6 evidente. Si perdevan così i mezzi della resistenza forniti dalla libertà e si restringeva la azione alla pura difesa religiosa. La situazione sta peggiorando sempre più. La lotta contro il nazismo deve partire dalla ne- gazione della teoria della razza in nome di due principi, l'uno umano e l'altro religioso, cristiano; col primo dobbiamo affer- mare l'universalità della umanità e il valore della persona umana; col secondo l'uguaglianza nell'amore di Dio e del pros- - simo. Libertà, che vuol dire diritto umano personale; cristia- nesimo, che vuol dire dovere d'amore fraterno perchè siamo figli dello stesso Padre che è nei cieli.

-L'errore moderno è consistito nel separare e contrapporre umanesimo e cristianesimo: dell'umanesimo si è fatto un'entità divina; della religione cristiana un affare privato, un affare di coscienza o anche una setta, una chiesuola di cui si occupano solo i preti e i bigotti. Bisogna ristabilire l'unione e la sintesi dell'umano e del cristiano; il cristiano è nel mondo e deve tra- sformare tutto ciò che è nel mondo secondo i valori religiosi; l'umano deve essere penetrato di cristianesimo. Ecco perchè è un errore combattere il nazismo soltanto in nome della relìgio- ne cristiana. Bisogna contemporaneamente combatterlo in nome dei valori umani contenuti nella libertà integrale e in nome della religione cristiana che regola questi valori e li santifica per dei fini più alti.

Non è questa una lotta esclusivamente tedesca, è di tutti i paesi, specialmente dei paesi di civiltà occidentale, perchè dap- pertutto si vede l'apostasia (più o meno aperta) dal cristiane- simo e il culto della divinità dell'essere collettivo (stato, na- zione; classe) che sostituisce il Dio che è nel cielo, dopo il fal-

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limento del culto dell'individuo, che secondo la scienza positiva doveva procurare la felicità col progresso.

La 1ibert.à che i popoli stanno perdendo sotto le dittature è la più sensibile e la più plastica; ma tanta libertà si è per- duta sotto il dominio delle democrazie moderne sia nell'orga- nizzazione sociale, sia nella vita individuale, sia nella fonte stessa della libertà, che è il nostro spirito che deve dappertutto animare la riconquista, la lotta per la libertà.

Lotta e riconquista che non si possono condurre efficace- mente se non con lo spirito cristiano e coi suoi valori morali (').

(e) Pio XI nell'enciclica Mit brennender Sorge (14 marzo 1937) ha con- dannato esplicitamente il principio della razza su cui si basa il temo Reich hitleriano. Ora che questo principio, dopo aver guadagnato Viexma con la occupazione tedesca (marzo 1938), ha passato le Alpi col favore del governo fascista, l'autorità ecclesiastica di Roma ha fatto d g g e r e alle porte delle chiese parrocchiali un awiso che dice: «La chiesa desidera che i fedeli siano informati che la nuova specie di idolatria minaccia di portare lfEuropa cristiana all'estremo limite della barbarie e dell'apostasia. Per i cristiani l'uomo ha un valore non solo perchè è alto o biondo, forte o bello, ma per la nobiltà dell'anima. La nuova religione del sangue può solo seminare l'odio, la guerra e la persecuzione n. (N.d.A.) -

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Cap. VIII

POPOLI OPPRESSI

A) Nazionalità, minoranze, razze

La storia politica non è in fondo che la storia della lotta tra ,

popoli oppressori e popoli oppressi, in cui i popoli oppressi diventano a loro volta oppressori.

Un esempio tipico di questo ci è dato dalla Polonia: vittima per un secolo e mezzo dei russi, dei prussiani e degli austriaci, (che in fondo erano i meno duri), ridivenuta libera e padrona d i sè, sta opprimendo ora gli uomini della Galizia, i giudei e i cattolici di rito greco. L'Italia durante la sua storia h a cono- sciuto molti popoli stranieri oppressori: spagnoli, francesi, au- striaci; essa opprime oggi i tedeschi del Tirolo e gli slavi del- 191stria. Oggi sono i baschi vinti ad essere le vittime del furore nazionalista; domani forse saranno i catalani.

Le potenze riunite a Parigi dopo la grande guerra per ela- borare i trattati di pace si preoccuparono della sorte delle mino- ranze etniche e religiose incluse nei nuovi stati o in quelli il cui territorio era stato ingrandito. Un trattato addizionale fu quindi concluso prima con la Polonia (28 giugno 1919) quindi con altri quindici stati oltre Danzica e Memel, alcuni dei quali furono sostituiti da semplici dichiarazioni. Queste minoranze era- no garantite nei loro diritti e poste sotto la tutela della Società delle nazioni. La Turchia modificò il suo statuto, fissato il 10 agosto 1920 col trattato di Losanna del 1923.

Sebbene incerta e insufficiente, la sorveglianza della Società delle nazioni serviva a stabilire un principio etico e a fornire uno sbocco ai reclami delle minoranze. Ma quando la Polonia per prima dichiarò unilateralmente che non si considerava le-

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gata dai termini del trattato, la reazione degli stati firmatari e della S.d.N. non è stata che debole e indecisa.

Questo sistema di garanzia internazionale rispondeva a due sentimenti: la preoccupazione di dare assicurazioni alle popo- lazioni annesse, col loro consenso più o meno spontaneo, agli stati formati con la guerra o ingranditi da essa, che la loro per- sonalità collettiva e i loro diritti non sarebbero stati violati; e poi il desiderio di creare con l'aiuto morale della lega una mutua fiducia e una feconda collaborazione tra i vari gruppi etnici e religiosi d i uno stesso stato.

I tentativi di assimilare le minoranze straniere alla nazione sono anche antichi e vani. Le minoranze, possedendo fin dal principio una coscienza collettiva, una tradizione familiare re- ligiosa e culturale, non si lasciano assimilare. È facile ster- minare una popolazione che assorbirla. I1 ricorrere alla costri- zione e alla violenza non fa che accentuare la resistenza. I nu- clei dispersi su un vasto territorio si stringono di più. Solo il tempo e i contatti volontari o imposti da necessità naturali pos- sono attenuare i contrasti e mescolare le popolazioni: ma dove la differenza è più accentuata da leggi eccezionali o da misure vessatorie l'anima collettiva si ritempra a prezzo di più gravi sacrifici. La storia dell'Irlanda ne è un luminoso esempio.

Dal punto di vista della moralità si può parlare di un vero diritto del nucleo etnico, religioso o storico, che differisce dallo stato come una persona collettiva che abbia i suoi diritti e im- ponga i suoi doveri? È così che va posto il problema etico della nazionalità, delle minoranze, della razza.

Cominciamo col precisare i termini. Per nazionalità dob- biamo intendere la personalità di un popolo, sia esso indipen- dente o soggetto, o unito ad un altro popolo in un solo stato in condizioni di eguaglianza. Lo stato svizzero, per esempio, ha quattro nazionalità diverse (tedesca, francese, italiana e roman- za); lo stato belga ne ha due (fiamminga e vallone); in Spagna ci son castigliani, baschi, catalani, andalusi e altri ancora. Dal punto di vista storico la parola è stata riservata alIe nazionalità

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oppresse : greci, romeni, bulgari, dalla Turchia ; cechi, italiani, croati, sloveni, polacchi dall'Austria-Ungheria.

Quando le nazionalità costituiscono di fatto nuclei di un nu- mero limitato e su un territorio ristretto in uno stato governato da un popolo leading e ruling (come l'austriaco, il prussiano, il magiaro, il turco), si chiamano minoranze. Infine la parola razza (specialmente nel caso degli ebrei) dà l'idea di una dif- ferenza etnica senza che comporti necessariamente l'idea di rap- porto con uno statuto politico, mentre la parola minoranza im- plica sempre questo rapporto. Gli ebrei in Francia e In Inghil- terra sono una razza diversa, ma son completamente assimilati dal punto'di vista politico, mentre in Polonia e in Ungheria for- mano una minoranza e in Palestina sono una nazionalità.

A cominciare dalla rivoluzione francese, la concezione indi- vidualistica, distruggendo sul piano politico tutti i gruppi par- ticolari, pose l'individuo di fronte allo stato. Ma siccome la di- struzione del gruppo non era cosa naturale nè dal punto d i vista storico nè da quello morale, essi resistettero o si ricostruirono secondo l e affinità, le necessità, le possibilità. I1 clima della li- bertà diede impulso alla aspirazione delle nazionalità verso l'in- dipendenza e l'unità, agli appelli delle minoranze di frontiera per la liberazione, fece sbocciare il desiderio dell'autonomia e sorgere contemporaneamente sul piano economico i gruppi sin- dacali. I1 principio della personalità d i un popolo, d'una nazio- nalità, d'una minoranza, d'una razza rinasce, cresce, s'impone secondo le circostanze storiche.

L'individualismo di un secolo fa si basava su un principio etico: l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Non ci dovevan più essere nè classi privilegiate nè classi oppresse. L'applica- zione di questo principio comportava tanto le garanzie civili come le libertà politiche senza cui l'eguaglianza individuale non è più che una privazione di diritti. Non essendo state estese le garanzie civili a l piano sociale, si giunse all'individualismo che

. opprime l'operaio isolato; d'altra parte le libertà politiche, es- sendo state rifiutate in parte o del tutto agli avversari dello stato, cioè agli avversari del partito dominante e della classe di governo, si videro talvolta persecuzioni religiose e anticlericali

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in nome del laicismo e persecuzioni politiche in nome del n;- zionalismo. ,

Questi fatti han dimostrato che l'omogeneità, necessaria in regime individualista, mancava ancora; questa omogeneità non può formarsi che lentamente, attraverso dure esperienze su un piano in cui, al di sopra della politica pura, è possibile trovare un sentimento che sintetizzi l'omogeneità fondamentale d'un po- polo veramente unito.

Scegliamo come esempio tre popoli che han realizzato questa verità in forme differenti e caratteristiche: la Svizzera, l d Fran- cia e la Gran Bretagna.'

La Svizzera, pur essendo un paese di lingue, nazionalità e cor~j i politici diversi, può essere considerata non solo come uno stato, ma, nel senso più ampio della parola, come una nazione, cioè un'unità di sentimenti, di civiltà, di politica e di interessi. Questa unità non è da un'omogenità .dovuta al'livel- lamento e all'oppressione; essa è anzi l'effetto della liberazione da tutti i vincoli eccessivi in ciò che è veramente essenziale alla vita d'un popolo. Vi si è giunti grazie ad un'azione equilibrata tra la libertà, la vita locale autonoma, il legame federale .e unitario, il rispetto delle tradizioni culturali, religiose e lingui- stiche di ciascun gruppo. Se c'è un popolo unito, composto d i minoranze, che 'attraverso lotte interne di religione e di politica ha potuto trovare l'omogeneità nella mutua lealtà e nella lealtà verso lo stato federale,,è proprio il popolo svizzero.

La Francia ha raggiunto la sua omogenità nell'uniformità e nella centralizzazione. La cultura generalizzò la lingua francese ad eccezione dell'Alsazia e della Sane, di carattere renano. Pa- rigi - quella della monarchia dei secoli XVII e XVIII, della rivoluzione e dell'impero - diventò naturalmente ,il centro me- tropolitano della nazione : l'accentramento statale, la scuola uni- tìcata, l'uniformità legale fecero i l resto. Gli ebrei si assimila- rono facilmente perchè non eran numerosi e appartenevano quasi tutti alla borghesia. L'antisemitismo d'occasione non fu che un sottoprodotto politico.

L'omogeneità repubblicana era più difficile da raggiungere, ma dopo gli esperimenti della restaurazione e del secondo im- pero, la Francia ha superato il vecchio monarchismo e il bona-

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partismo di circostanza, in modo che oggi questa omogeneità '

non è più un problema istituzionale e nazionale, ma un pro- blema politico e di partito. Se l'Alsazia e la Lorena hanno una altra lingua e talune istituzioni diverse - ciò che urta lo spi- rito leguleio e logico di molti £rancesi - nessuno può dubitare del patriottico attaccamento alla Francia repubblicana di que- ste popolazioni che ringraziano Dio di non essere legate al terzo Reich, come lo è disgraziatamente la Sarre.

La Gran Bretagna ha saputo conservare le tradizioni locali e corporative antiche, con le loro particolarità spesso eccentri- che ma sempre simpatiche, e contemporaneamente ha dato il massimo sviluppo possibile alla libertà personale e al senso col- lettivo dell'opinione pubblica: essa ha così assicurato il valore effettivo e permanente della lealtà britannica attraverso le varie istituzioni. Tuttavia, mentre superò il proprio antipapismo ac- cordando ai cattolici la libertà religiosa e l'uguaglianza civile, eliminando le tradizioni protestanti offensive per la coscienza cattolica come l'antica formula del giuramento reale,-non seppe mai decidersi a rendere giustizia all'Irlanda oppressa da secoli e perciò inassimilabile. La questione dell'Home Rule si trascinò per piia di cin,pant'anni .fino alla grande guerra e alla rivolta degli irlandesi, terminata poi col compromesso dello stato li- bero per le provincie del sud, le quali or? aspirano a diventare una repubblicf autonoma e a conglobare in un solo stato anche l e provincie del nord.

La storia è inesorabile: l'omogeneità nazionale in uno stato unico non riesce a sopprimere i nuclei che hanno o si conqui-

. stano una vita propria. Quando esistono come tali acquistano una personalità con diritti e doveri verso il resto della comunità e reciprocamente. La violazione dei diritti, l'inadempienza dei doveri nel campo politico, religioso ed economico, provocano quelle crisi che arrivano sempre alla scissione, alla lotta, alla rivolta, alla guerra.

Bisogna distinguere due casi; quello dell'esistenza reale d'un gruppo avente una personalità distinta, creante una reciprocità

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di rapporti col resto della comunità, e il caso d'una semplice tendenza a formare una personalità di gruppo che non esiste ancora.

La personalità manca ai nuclei etnici religiosi e familiari quando rapporti distinti non si son potuti basare su una tradi- zione, un fatto storico, un centro concreto (territorio, villaggio, chiesa). I1 tempo e avvenimenti fortunati possono aiutare que- sti nuclei a formare uno stato d'animo collettivo: e quindi una

. tradizione che lasci prevedere la nascita o la rinascita d'una per- sonalità di gruppo. La personalità in via di formazione è un fermento religioso, culturale e politico molto importante per lo sviluppo della civiltà e che produce periodi storici interes- 'santi. Le popolazioni servili ( in maggioranza pastori, agricd- tori e artigiani) affiorano e f a i sbocciare forme significative di arte, di letteratura e di economia associativa.

Disgraziatamente appena si profila una nuova personalità di gruppo e comincia a reclamare qualche diritto elementare - scuola, chiesa, municipalit,à, uso della propria lingua - il popolo dominatore si inalbera. Teme che queste famiglie agri- cole, queste zone di frontiera, questi miseri servi riescano a tur- bare l'ordine, cioè quella specie di ordine che è costituito da1 suo dominio. La persona che afferma nuovi diritti diventa col- pevole del delitto di lesa patria. Per reazione il castigo di questo delitto è causa di malcontento e di rivolta. La rivolta provoca la repressione; questa fortifica la coscienza del gmppo, accen- tuando la differenza di nazionalità e la loro opposizione sul piano politico.

Nel caso dell'esistenza reale della personalità d'un popolo avente una propria storia, proprie tradizioni, è necessario dar- gli la parità con le altre nazionalità dello stato. La Jugoslavia attraversa gravi difficoltà interne perchè si è resa conto che per vivere in pace e progredire, le tre principali nazionalità che la compongono (serbi, croati e sloveni) devono esser messe sullo stesso piede d i eguaglianza amministrativa e politica. Nel Bel- . gio si rilevano ancora le conseguenze delle(diffico1tà provocate dalla questione linguistica, più o meno ben risolta. La Cecoslo- vacchia ha tardato a mettere tutte le sue minoranze sullo stesso piano ~ o l i t i c o ed economico. E oggi queste questioni di mino-

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ranza son entrate nel dominio della politica internazionale e han fornito alla Germania i l pretesto di intervento in nome della razza.

Le cose di Spagna presentano difficoltà più grandi. I catalani hanno una lingua, una letteratura, un'arte, una economia pro- pria, una storia di resistenza, di rivolta, di vittorie, d i disfatte, una vera nazionalità nei quadri dell'unità (ma non dell'unifor- mità) spagnola. Si può dir lo stesso dei baschi che hanno la loro costituzione storica, il loro spirito democratico, la loro vitalità religiosa, la loro lingua caratteristica. Ora han sugellato la loro personalità politica col loro sangue. La Navarra, le Asturie, la Galizia, I'Andalusia, lYEstremadura, quali caratteri diversi ! Una Spagna unitaria, uniforme, centralizzata come la Francia, ha po- tuto nascere dagli sforzi della monarchia, ma essa non corri- sponde al carattere personalistico degli spagnoli e delle loro regioni.

In nome di qual principio etico si potrà negare alle varie nazionalità, alle minoranze etniche e religiose, alle varie razze i l riconoscimento dei loro diritti particolari nel quadro della vita politica e dello stato? E con qual diritto una razza può pre- tendere di esercitare a detrimento delle altre il monopolio poli- tico come già i magiari e gli austriaci nell'impero degli Asbur- go, come i serbi in Jugoslavia, gli inglesi nell'Irlanda, i casti- gliani nella Spagna, i pnissiani in Germania, e così via?

Per mettere il problema della nazionalità sul terreno della eguaglianza dei diritti e dei doveri tra l& varie popolazioni che compongono uno stato è indispensabile una condizione: la leal- tà verso lo stato. Quasi tutte le questioni tra le due parti, il rancore degli oppressi, le violenze degli oppressori, derivano dalla reciproca incomprensione, dal timore che la minoranza mini la sicurezza dello stato e scuota il giogo del gruppo diri- gente, dal sospetto che l'altra parte abusi della propria supe- riorità per violare i diritti della minoranza.

I1 caso dell'irredentismo è quello delle popolazioni di fron- tiera che desiderano appartenere allo stato vicino che conside- rano come Ioro madre patria per ragioni di lingua, d i storia e d i affinità politiche. È così che Trento e Trieste sognarono per cinquant'anni l'unione con l'Italia realizzata poi con la guerra. ,

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Spesso son ragioni politiche, economiche e storiche che formano zone di frontiera separate dal resto della popolazione analoga. Ma l'irredentismo non è che un effetto, mai una causa; non esi- ste in Svizzera come non esisteva nell'antica repubblica d i Vene- zia : esisteva invece nelle zone italiane dell'impero degli Asburgo. ,

E'irredentismo può essere artificioso e demagogico come può avere reali e profondi motivi storici, religiosi ed economici: la lingua non è, nè potrebbe essere l'unico indice d'una identica nazionalità. L'Austria parla tedesco ma non è germanica nel senso unitario, così le popolaz'ioni dei sudeti appartengono alla Cecoslovacchia e i tirolesi all'Italia; lo stesso Reich non è omo- geneo, i renani ed i bavaresi non rassomigliano ai prussiani: l'uniformità imposta dal terzo Reich è contraria alle vere tra- dizioni germaniche.

Non meno grave è i l problema della razza. Ci son oggi due problemi di questa natura, nei paesi civili, quello degli ebrei nell'Europa centro-orientale e quello dei negri negli Stati Uniti d'America. Questo problema non esiste là dove la coabitazione delle razze è stata raggiunta come un fatto storico (gli ebrei in Italia prima dell'introduzione ufficiale dell'antisemitismo fatta dal fascismo nel luglio 1938, in Francia, in Gran Bretagna e al- trove) o per i l loro numero limitato ( i negri in Europa); gli ebrei e i negri son cittadini come gli altri, soggetti alle stesse leggi. Ma là dove il problema è posto bisogna risolverlo con cura, con leggi serie, prudenti, eque, in uno spirito di carità; aItrimenti si produce quell'odio sordo, quel disprezzo incurabile, quella differenza incolmabile che si insinua persino negli am- bienti religiosi dello stesso cristianesimo che pure è la religione della fraternità e dell'amore.

Le misure prese in Germania e in Austria contro gli ebrei sono contrarie alla civiltà e al cristianesimo, lo stesso spirito antisemita si propaga in Polonia, in Romania, e altrove. Ci son indubbiamente torti da ambe le parti, ma non si otterrà mai la pacifica coabitazione degli ebrei con le altre popolazioni a colpi di leggi eccezionali, di persecuzioni e di lotte.

In America, dato lo spirito individualista molto accentuato,

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la coabitazione coi negri è una questione di educazione, morale e cristiana. I1 linciaggio è un residuo di barbarie che deve esser combattuto: la condizione servile dei negri potrà essere cor- retta dalla formazione in corso di classi professionali e commer- ciali. L'aJvicinamento si farà a mano a mano che p e s t e classi occuperanno il ruolo sociale che saran riuscite a conquistare.

Ciò che manca quasi sempre nei rapporti tra i gruppi di popolazioni diverse è la mutua comprensione e l'amore reci- proco. I1 valore etico dei rapporti umani è vinto dalle preoccu- pazioni politiche, dallo sfruttamento economico, dagli odii tra- dizionali, dalle dispute religiose, dallo spiritb d i dominio. È . . così che i popoli oppressori non giungono a rendersi conto che è immorale violare i diritti della personalità dei popoli oppressi, che a lor volta non capiscono che è immorale mancar di lealtà ,

verso la comunità di cui fan parte e contro cui fomentano l'odio A .- e lo spirito di rivolta.

Tra popoli diversi, costretti a coabitare in un medesimo stato, gli obblighi morali reciproci non potranno essere osser- vati che con leggi giuste e un ' epa politica di governo. Bisogna rompere il cerchio chiuso dell'ingiustizia in alto e della rivolta in basso. ]E: il governo che deve per il primo imporsi una linea di moralità. Non c'è nè moralità umana nè cristiana se la persona non conserva il proprio valore, la propria responsabilità e se non è libera di dare la sua cosciente adesione alla legge. La per- sonalità è strettamente individuale, ma, come non ci son indivi- dui senza società, nè società senza individui, ogni formazione sociale non è che un prolungamento della personalità: si va dalla famiglia domestica a quella dei popoli.

L'ideale uniano e cristiano per un7Europa abitata da popo- lazioni diverse, la cui mescolanza e i cui stati sono stati fattori di civiltà, è proprio di arrivare a fare una famiglia di stati, una federazione che abbracci le nazionalità, le minoranze, le razze, unite in una cooperazione pacifica.

B) IL problema delte colonie

La discussione sui reclami coloniali'della Germania è aperta '

da molto tempo: l'opinione pubblica dei paesi mandatari è tur-

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bata, incerta, divisa. Alcuni pensano che occorra dare qualche soddisfazione alla Germania. Si parla di intese dirette, d i con- cessioni parziali, si formulano ipotesi senza fondamento. Sembra che si dimentichi facilmente un punto capitale, cioè che le anti- che colonie tedesche sono state affidate alla Società delle na- zioni, di cui gli stati che la governano non son che i mandatari.

'

Non ne hanno nè la sovranità nè la disponibilità. La Germania e i suoi alleati odierni dichiarano che questi

dati di diritto non sono che sottigliezze cavillose. Nessuna mera- viglia in questo. La Germania ha denunziato unilateralmente molti altri articoli del trattato di Versailles, ha abbandonato la Società delle nazioni, reclama al completo le proprie colonie di cui pretende esser stata spogliata e si rivolge, anche in nome del diritto, alle C( principali potenze alleate ed associate » in favore delle quali, per l'articolo 119 del trattato di Versailles, essa rinunziò a tutti i diritti e titoli sui suoi possedimenti d'oltremare D.

Ma nello stesso trattato, l'art. 22 del patto della Società delle nazioni stabilisce nettamente il carattere di questa ces- sione. Gli stati membri non possono nè dimenticare i loro do- veri nè cambiare il mandato coloniale in possesso. Non è una questione di forma giuridica, ma è una questione essenziale perchè la Società delle nazioni afferma che la cura di assicurare i l benessere e lo sviluppo dei popoli coloniali posti sotto l'alta sua tutela costituisce una missione sacra.

La creazione dei mandati ABC secondo i gradi di sviluppo dei popoli sottoposti a mandato, s'è ispirata alla preoccupazione di contribuire alla formazione delle personalità amministrative, giuridiche e politiche di ciascuna colonia. Così i mandati A saranno quanto prima terminati. L'Irak (che allora si chiamava Mesopotamia) è già diventato uno stato sovrano, membro della Società delle nazioni. La Palestina sta per diventarlo, sebbene il progetto più recente di farne due stati, l'uno arabo e l'altro ebreo con una zona cuscinetto, incontri una viva opposizione che bisognerà superare. Dopo verranno la Siria e la repubblica del Libano. I1 compito della Francia e della Gran Bretagna, come stati mandatari in questo periodo, è stato d'una reale utilità, nonostante alcuni errori nei particolari e di prospettiva ; ha

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servito a dare ai mandatari stessi il senso del limite e della cooperazione con le popolazioni locali cui deve toccare l'intera ,

sovranità del loro paese. I vantaggi che la Francia e la Gran Bretagna avrebbero dovuto ricavarne eran minori delle noie; lo stesso loro prestigio di grandi potenze è stato spesso com- promesso.

I1 mandato B è quello che interessa oggi l'opinione pubblica ; comprende le antiche colonie tedesche del Togo, del Camerun o dell'Africa orientale, mentre l'Africa del sud-ovest è classifi- cata tra i mandati C.

La differenza tra i mandati B e.quelli C è quasi essenziale. La potenza mandataria di tipo B non ha che l'amministrazione e la protezione della colonia: non può nè annetterne il territo- rio, nè farvi fortificazioni o basi navali, nè istruire militarmente gli indigeni, all'infuori del contingente necessario per le forze di polizia locale e la difesa della colonia, nè limitare il com- mercio degli altri membri della Società delle nazioni nè arro- garsi diritti preferenziali.

I1 mandato C invece permette di- incorporare il territorio della colonia nello stato mandatario sotto certe condizioni, co- muni al mandato B, che garantiscono le popolazioni indigene, quali la soppressione della schiavitù, la proibizione del traffico delle navi, la proibizione della vendita di alcoolici, la conces- sione della libertà di coscienza e di religione ad eccezione delle pratiche immorali.

I1 ritorno'alla Germania delle colonie del mandato C non può avvenire che col consenso sia della Società delle nazioni nella sua qualità di mandante, sia degli stati mandatari, perchè si tratta di una cessione reale. A nostro parere le colonie del mandato B potrebbero invece esser restituite alla Germania con una deliberazione della Socieià delle nazioni senza uno speciale consenso dello stato mandatario, salvo il suo diritto d i voto come membro della lega e con riserva delle indennità e compensi dovutigli.

Certi giuristi credono che anche .il mandato 3 costituisca una cessione mascherata ma, sia detto con tutto il rispetto do- vuto alla loro autorità, questo non corrisponde nè alla lettera nè allo spirito del patto. È vero che la cessione delle colonie

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fatta dalla Germania alle principali potenze alleate e associate le fu imposta a titolo di vittoria: poichè la Società delle na- zioni non esisteva ancora, non poteva occuparsene. Ovviamente i l consiglio supremo delle potenze ~rocedette alla divisione delle colonie il 7 maggio 1919, ma si trattò di mandati, non di ces- sione. L'aspetto giuridico del mandato e i suoi limiti furono stabiliti dal patto della Società delle nazioni. Fu durante il pri- mo consiglio della lega riunita a San Sebastiano nel 1920 che si cercò di conciliare l'attribuzione' dei mandati fatta-dal consi-

. glio supremo delle potenze vittoriose con l'esercizio. del mandato in nome della Società delle nazioni. Questo spiega l'origine del fatto e non crea un diritto permanente di un organo transitorio come, il consiglio supremo delle. potenze che ha cessato di esi- stere. Non resta che un diritto potenziale e solidale delle prin- cipali potenze alleate ed associate indicate nell'articolo 119 de l , trattato, diritto complementare di quello che ora appartiene alla Società delle nazioni considerata come mandante o come rappresentante il diritto originario e inalienabile delle popo- lazioni colonizzate.

La creazione del mandato coloniale è stata ispirata dalla preoccupazione di far acquistare alle colonie la personalità giuridica, economica e politica. Questa intenzione'è stata con- sacrata in gran parte col patto della Società delle nazioni. È questa un'idea fondamentale nella concezione moderna della colonia.

Il continente americano fu in passato una rete di colonie europee. L'indipendenza, conquistata con la rivolta e la guerra, era già matura alla fine del sec. XVIII; sarebbe stato meglio che gli stati possessori non avessero contrariato i l desiderio d i libertà e di autonomia delle colonie, che avrebbero dovuto in- vece incoraggiare e soddisfare. Ma la mentalità dell'ancien ré- gime era contraria.

- Un secolo dopo la Gran Bretagna è stata molto più saggia, concedendo ai propri dominions dapprima la personalità com- pleta e poi l'uguaglianza col Regno Unito, che solo moralmente

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resta lo stato metropolitano. L'India sta per diventare. un do- minion o acquisterà la sua completa indipendenza.

La Francia con altri metodi (non sempre felici) ha dato alle sue colonie più evolute una personalità politica e ammini- strativa come pure una partecipazione elettorale al parlamento. Le formazioni militari indigene fan parte dell'esercito francese. Le diversità di razza sono più attenuate in Francia che altrove. La colonia francese condivide i sentimenti della madre patria più che le colonie degli altri paesi.

L'antica idea di sudditanza e di sfruttamento della colonia da parte del paese colonizzatore è stata sostituita, almeno come principio, dall'idea più umanitaria e più cristiana dell'educa- zione, dell'evoluzione progressiva, della conquista della per- .

sonalità. Dire che siamo in un mondo fortunato, sarebbe chiudere gli

occhi davanti a tutte le deficienze, le colpe, i crimini della co- lonizzaziane europea. LI: Società delle nazioni avrebbe dovuto

,.impegnarsi a stimolare, controllare, coordinare gli sforzi, assi- curare la cooperazione: è i l solo mezzo di riuscire, con la co- munanza degli sforzi e una direttiva unica là dove uno stato non può riuscire da'solo o un'iniziativa isolata è destinata a fallire.

La proibizione della schiavitù, dello sfruttamento della mano d'opera, della vendita delle armi, dell'alcool e degli stupefa- centi non è possibile se non quando gli stati interessati collabo- rano sotto il controllo d'un organismo comune e centrale. La colpa delle nazioni colonizzatrici è stata di non aver mostrato nè generosità, nè previdenza, nè fiducia nella Società delle na- zioni. Fin da principio si cominciò a litigare sul carattere, la estensione e i poteri del mandato. Non si cercò di applicare le caratteristiche dei mandati B e C alle colonie che si trovavano nelle stesse condizioni di quelle tedesche. Vennero accettate come membri della Società delle nazioni la Liberia e l'Etiopia; che in realtà praticavano ancora la schiavitù. Questi due stati avrebbero dovuto esser sottoposti ad un periodo di prova e ob- bligati ad accettar la sorveglianza della Società delle nazioni prima di esser ammessi a fame parte.

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Si commise lo stesso sbaglio in ciò che concerne i l disarmo, non applicando a tempo dovuto la riduzione prevista dall'art. 8 del patto. I1 disarmo dei paesi vinti ebbe così l'aspetto .di una diminuzione delle loro sovranità, d'uno stato di perpetua infe- riorità. Dei malevoli potrebbero dire che le principali potenze, eccetto l'Italia, hanno inventato il mandato della Società delle nazioni per impadronirsi delle colonie tedesche su cui non ave- vano uno stretto diritto 'giuridico. Nei quattordici ,punti di Wil- son, base morale dell'armistizio, i termini impiegati per le co-

l lonie eran così larghi che lasciavan prevedere che qualche colo-

- nia, se non tutte, sarebbe rimasta alla Germania. Se il problema fosse oggi esclusivamente coloniale nel senso

dell'anteguerra, cioè nel senso del possesso o non di una colonia e del diritto sovrano del paese colonizzatore, non ci dovrebbe esser difficoltà a trattare con la Germania per la retrocessione

1 di qualcuna o di tutte le sue colonie. Sarebbe una questione di . accordi, di salvaguardia di interessi, di tutela di diritti. Un . buon trattato terminerebbe una controversia che potrebbe pren-

dere una svolta pericolosa. Ma i l problema deve essere esaminato nel quadro etico giu-

ridico dove è stato posto dal patto della Lega, dandogli un ca- rattere specifico, incancellabile. I1 mandato coloniale fa parte del complesso sistema societario che, pur non essendo ancora stabilizzato, non potrebbe esser sostituito che da un altro si- stema. La Germania si comporta manifestamente come chi è completamente fuori di qualsiasi sistema giuridico internazio- nale che non si fondi sui del nazismo. Non fa parte della Società delle nazioni; crede di poter denunziare unilate- ralmente tutti i trattati che non le piacciono, ivi compreso LO- carno che aveva liberamente accettato e che Hitler stesso aveva liberamente confermato. Non accetterebbe mai le proprie co-

, lonie a titolo di mandato. Se le accettasse, non si considererebbe vincolata dal mandato verso la Società delle nazioni; basterebbe in seguito una denunzia unilaterale.

La questione di forma non è priva di valore, ma la sostanza conta più ancora. La Germania non può accettare limiti alla propria sovranità, neanche quelii, che concernono la tutela de- gli indigeni o la ~ersonali tà politica e giuridica delle colonie.

10 - Srvm - Politica e morale

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Si dica che queste son ipotesi perchè fin qui il problema non è stato posto che dal punto di vista d'un reclamo nazionale e d'una necessità economica. Ma l'orientamento della Germania è chiaro. Inoltre oggi, tra i popoli civili, nel campo internazio- nale, non c'è una concezione; una struttura unitaria. Ce ne son tre diverse che si urtano: la concezione tradizionale e demo- cratica ancora legata alla Società delle nazioni, la concezione comunista russa e quella totalitaria fascista o nazista.

L'unità giuridica internazionale è necessaria alla struttura politica. È la forma del suo contenuto etico, e assicura la sta- bilità delle forme e degli scopi.

Quest'unità è spezzata: 'bisogna ricostruirla. Non si torna indietro. L'ideologia democratica e societaria è ancora quella che ha i l contenuto etico-giuridico più stabile. Le ideolog'ie to- talitarie non sono basate che sulla volontà d'un solo, senza li- miti morali nè politici, e stanno creando sistemi misti basati (

sulla forza delle armi e l'uso della violenza. Che questo possa . sboccare in un nuovo ordine sociale di qui a cinquanta o cento anni è una cosa che ci interessa solo come... profeti. Ciò che oggi è necessario è che l'ordine costituito possa rinforzarsi, svi- lupparsi, seguire la sua linea logica, che non sia oggetto di con- tinue trasgressioiii, d i sconfessioni, di tradimenti.

Restituire le colonie alla Germania senza conservare loro lo stretto carattere di mandati sarebbe tradire i l sistema giuridico attuale, aumentare le cause di disorientamento e di disordine internazionale, violare il diritto riconosciuto alle popolazioni indigene di esser protette da un organismo come la Società delle nazioni contro le vessazioni della potenza mandataria. Mentre sta sorgendo debolmente un sistema di tutela dei popoli colo- nizzati (che sono stati e sono ancora in certe regioni'e sotto certi aspetti popoli oppressi), nel momento in cui i l mondo civile deve nuovamente affermare la sua volontà di voler dare alle colonie una personalità politica, il ritorno all'antico siste- ma, segnato visibilmente dalla retrocessione delle colonie alla

.Germania nazista, sarebbe non solo un nuovo atto d i viltà, ma più ancora un terribile strappo all'attuale sistema internazio- nale, un altro passo verso il caos futuro.

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Cap. IX

IL DIRITTO DEL CITTADINO IN CASO DI GUERRA

Si parla più spesso del dovere del cittadino in caso di guerra che del suo diritto, e fino ad un certo punto questa differenza sembra molto naturale poichè salus publica suprema lex esto. È tuttavia impossibile che esista una concezione logica e com- pleta del diritto che ammetta dei doveri senza i corrispondenti diritti. Se l'operaio deve eseguire il lavoro assegnatogli, ha in cambio diritto al salario: e da parte sua il padrone se ha di- ritto al lavoro compiuto, ha il dovere di corrispondere il salario. L'autorità politica ha il diritto di far osservare le leggi, ma ha il dovere di fare buone leggi. ,

Abbiamo scelto questi due esempi, l'uno di giustizia commu- .

tativa e l'altro di etica sociale, solo per indicare l'elemento di simultaneità del diritto e del dovere in tutti i soggetti e non per indicare la natura della correlazione tra i l diritto e i l do- vere, c h ~ nei due casi è diverso; c'è correlatività e simultaneità di diritto e di dovere in ogni soggetto e contemporaneamente ciascuno ha- un diritto e un dovere correlativo al diritto e al dovere dell'altro.

Ecco la ragione per cui ogni sistema giuridico nel suo carat- tere naturale e fondamentale può esser definito: la coesistenza dei diritti nella reciprocità dei doveri. Naturalmente è impos-l sibile trovare un essere umano che abbia diritti senza doveri, o doveri senza diritti, se non nella mostruosa ineguaglianza di una società contro natura. Lo stesso si può dire degli enti collet- tivi e morali, e anzitutto dello stato. .

È difficile sul piano sociologico distinguere tra lo stato .e i cit- tadini, perchè non c'è stato senza cittadini come non ci sono cit-

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tadini senza stato. Giuridicamente tuttavia possiamo servirci del- l'astrazione e guardare lo stato - che in questo caso sarà l'ente morale politico rappresentato da coloro che sono investiti del potere - come un soggetto di diritto distinto dai cittadini, presi individualmente o collettivamente, in quanto son posti sotto il potere e sotto le leggi dello stato.

Questa premessa ci è sembrata necessaria per fissare fin da principio e senza equivoci la concezione giuridica da cui partia- mo per riconoscere, il più largamente possibile, un diritto fon- damentale del cittadino in quanto tale di fronte allo stato rap- presentato dal potere supremo.

I1 dovere del cittadino in caso di guerra è evidente e nes- suno può contestarlo: potrebbe definirsi (secondo le possibilità di ciascuno e le pubbliche necessità) così: dovere d i solidarietà civile, d i obbedienza ai capi civili e militari, di contribuzione finanziaria, deUa difesa armata, del sacrificio della vita.

La guerra esige una preparazione generica e specifica: pro- clamazione, esecuzione fino al suo termine naturale che è la pace. Nelle diverse tappe di questo tragico processo il cittadino, avendo dei doveri, non può non avere anche dei diritti, che deve esser in grado di esercitare. La di5coltà consiste nel rico- noscerli, nel precisarli, nell'armonizzarli con gli interessi pub- blici e infine nel garantirli.

Vediamo la preparazione generica e puramente ipotetica . d'una guerra. Questa preparazione coincide ~ 8 1 carattere e la struttura economica, e militare dello stato. I1 cittadino può avere o no diritti politici riconosciuti: potrà reclamare quelli che non ha e migliorare quelli che ha secondo le possi- bilità di una partecipazione diretta o indiretta, formale o so- stanziale, parziale o completa alla vita pubblica. ,

I1 problema non riguarderebbe specificamente il caso d i guerra, ma genericamente il modo in cui un cittadino possa essere garantito da pesanti imposte destinate al bilancio bellico e possa controllare tali spese, se non fosse stata introdotta la coscrizione come sistema d i militarizzazione preventiva.

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La coscrizione militare obbligatoria per tutti i cittadini ma- schi, abili e in età richiesta (per lo più vent'anni), con l'obbli- go di richiami periodici e del servizio militare in caso di guerra, fu introdotto nella stessa atmosfera, se non nello stesso momento, del diritto elettorale (divenuto poi suffragio univeisale) e della proclamazione della sovranità popolare. Se la coscrizione è stata rafforzata da una tendenza ancor più militarista sotto le ditta- ture, a cominciare da Napoleone per arrivare fino a Hitler, tut- tavia essa è caratteristica degli stati nazionali a sovranità po- polare: sarebbe inconcepibile sotto l'ancien régime di tipo ari- stocratico. Le dittature danno alla loro autorità una base popo- lare e demagogica con plebisciti, grandi adunate e manipola- zioni di folle: la coscrizione obbligatoria, così come la milita- rizzazione della gioventù, rientra nel loro ingranaggio.

Nel medioevo e nei primi secoli dell'evo moderno, quando non c'era ancora un vero tesoro pubblico, nè un bilancio, nè una solida struttura finanziaria nè rapporti diretti tra debito e credito, le spese per la preparazione della guerra erano decise ad una ad una per uno scopo indicato, e ciascuna con una pro- pria gestione. P cittadini in ciascuno stato, ordine o corpora- zione, consentivano alle imposte straordinarie volontariamente o per forza: corporazioni, municipi, provincie, nobiltà e clero corrispondevano le imposte secondo le loro possibilità. I1 clero era protetto, dall'immunità ecclesiastica, e per il prelevamento delle decime di guerra ci voleva, in molti casi, il consenso del papa. Le città libere decidevano d i propria autorità. Così in forme varie il cittadino esercitava un controllo sulle imposte del bilancio di guerra e con esso, da un certo punto di vista, indirettamente sullo scopo e le possibilità di guerra.

Per ciò che riguarda la preparazione militare i cittadini non avevano obblighi diretti, ma secondo i regimi, gli usi e le epoche, i signori o vassalli eran militari nati e dovevano ser- vire con un dato numero di armati. Questi erano di solito mi- litari di professione, spesso per tradizione di padre in figlio, e quindi legati dal vincolo feudale. Più tardi, specialmente dopo l'invenzione delle armi da fuoco, si svilupparono le compagnie di mercenari, come gli svizzeri.

Prima della coscrizione obbligatoria, di regola generale i

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cittadini e i contadini non eran tenuti a servire in guerra, se non in caso di assedio della città, perchè allora tutti dovevano contribuire alla difesa; nelle guerre comunali le città arma- vano la borghesia e il popolo, ma allora il consenso popolare, . . i n questi regimi repubblicani e democratico-corporativi, era alla base di tali guerre.

In complesso. la preparazione generica della guerra, dal di vista finanziario, fiscale e militare, si confonde col

sistema costituzionale di ciascun paese e ,con la sua volontà - generica ma presunta - di mettersi in condizione d i difen- dere il proprio territorio e la propria personalità politica con- tro attacchi esterni non prevedibili ma possibili. I n questo si- stema i l cittadino normalmente ha il diritto - implicito o esplicito - di consentire alle contribuzioni fiscali e alla par- tecipazione richiestagli - diretta o indiretta - ai preparativi militari.

Un regime che tolga ai cittadini i loro diritti o li renda inef- ficaci sia con misure politiche sia con eccesso di militarizza- zione permanente, arbitraria e tirannica, viola i loro diritti fon- damentali e altera i rapporti normali tra essi ed i l potere poli- tico dello stato.

* * * , t

I1 periodo più delicato è quello in cui le cause di guerra maturano e si prepara l'apertura delle ostilità sul piano tecnico e su quello politico.

Riteniamo difficile fissare anticipatamente le responsabilità morali e giuridiche d'una guerra; accettiamo come dato prov- visorio, adatto alle nostre ricerche, che una guerra è preparata da entrambe le parti per la reciproca paura di un'aggressione

,

e che i cittadini partecipano a questa paura con una vaga cono- scenza delle ragioni e maggiore o minore convinzione.

I1 dovere dei due capi di stato, indipendentemente dai par- ticolari patti fra di loro o da vincoli societari con altri stati o leghe d i stati - di cui parleremo in seguito - sarà, secondo le idee tradizionali, quello di verificare la realtà del pericolo ' e cercare di allontanarlo con mezzi pacifici. Quando ogni mezzo

B 50

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pacifièo si rivelasse insufficiente o se una più lunga attesa com- portasse un danno immediato, reale, grave, di fronte alla minac- cia avversaria, il dovere ,sarebbe anche di organizzare la resi- stenza e aprire le ostilità, se fosse necessario.

Fermiamoci su questa ipotesi, la più grave, e vediamo quali possono essere i diritti dei cittadini in questa seconda fase.

Dalla rivoluzione francese i l diritto d i far la pace o la guerra fu trasferito nel 1790 dal re al popolo. Le costituzioni più de- mocratiche dei sec. XIX e XX han fissato i l diritto popolare. In realtà, qualunque fossero le costituzioni, furono i governi e gli stati maggiori che han preparato le guerre; i parlamenti a cose fatte ( e non sempre) sono stati chiamati a ratificare i loro atti, a legalizzare la guerra già moralmente e spesso effet- tivamente cominciata.

Tuttavia, qualunque sia stata la maniera di agire dei governi nel passato, non c'è dubbio che i cittadini nella maggior parte dei casi abbiano potuto esercitare i loro diritti politici, valutare le cause di guerra e prevenire ogni intrusione del potere esecu- tivo o regale nel potere del parlamento. Se non l'han fatto o l'han fatto solo parzialmente, la colpa ricade su di loro perchè vigilantibus iura succurrunt. La stampa, le assemblee, le riu- nioni pubbliche, le associazioni permanenti, la costituzione dei partiti, l'esistenza e i l buon funzionamento del parlamento, son altrettanti mezzi atti e convenienti per assicurare una kgittima e . armoniosa partecipazione del cittadino al potere dello stato e costituiscono soprattutto la migliore garanzia dei suoi diritti. Se il regime costituzionale funziona male, i diritti del cittadino - diritti che (sotto certi aspetti) si possono anche chiamare doveri - che si riferiscono alla preparazione 'e alla dichiara- zione della guerra, non possono esser ben esercitati. Importa in questi casi migliorare e correggere il meccanismo costituzionale. La questione particolare diventa allora generale e, da giuridica, politica.

* * *

Dobbiamo prima di tutto rispondere a qualche domanda: 1) Possiamo realmente affermare che c'è incompatibilità

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fra gli interessi dello stato e il diritto del cittadino di dire q a 1 - cosa nella fase preparatoria e di dichiarazione di guerra?

2) Se tale diritto non è compatibile con questi interessi, deve esser completamente negato o ridotto a pura formalità (salvo lasciare, secondo i regimi, una certa libertà di valutazione), in modo che i poteri dello stato non siano legati 'nel loro libero gioco, nè siano ritardate le decisioni?

Per meglio rispondere a queste domande facciamo una breve digressione storica. Nel medioevo, panda a condizioni eguali le armi e i mezzi difensivi eran superiori alle armi e ai mezzi offensivi, la preparazione e la dichiarazione di guerra non erano fatte soltanto dall'autorità regia, perchè questa autorità si eser- citava con l'appoggio di tutti i suoi vassalli laici ed ecclesiastici e i l consenso degli ordini, delle gilde e delle città che vi pren- devan parte. Era l'aristocrazia feudale che decideva ( i l re era spesso un primus inter pares) d'accordo con gli organismi auto- nomi. Solo così era possibile riunire gli eserciti ed i fondi. La struttura politica imponeva questo sistema. I1 diritto, più che personale, era allora corporativo. I1 soggetto del diritto non parlava per sè ma per tutti i suoi coassociati. I borghesi o gli artigiani che abitavano in una città avevano la loro garanzia nella stessa città o nelle proprie gilde: se la città era libera e sovrana i cittadini decidevano sovranamente. In breve, nelle fasi preparatorie, secondo .un sistema più o meno pratico e or- ganizzato, quale quello del medioevo, il cittadino in genere partecipava alla preparazione e alla dichiarazione di una guerra.

Mano a mano che i poteri e l'organizzazione dello stato si ' vennero concentrando maggiormente nelle mani del principe,

e che baroni e vassalli,.lasciando feudi e castelli, vennero alla corte - persino i vescovi lasciarono le loro diocesi - e che le città libere furono assoggettate e le corporazioni si trasforma- rono in corpi privilegiati chiusi e sterili, le guerre diventarono di iniziativa sovrana e la partecipazione dei corpi costituiti (stati generali, parlamenti e organismi militari) diminuì fino a diventare nulla. Quando arriviamo ai sovrani di diritto divino, la teoria e la pratica concentrarono tutto nella volontà del so- vrano. I teologi si limitarono a fare obbligo al sovrano di con- sultare i corpi dello stato e le persone capaci di dargli consigli

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onesti, spassionati, illuminati, sulla giustizia e l'opportunità della guerra: essi escludevano qualunque diritto, di qualunque corpo o persona, che potesse limitare le decisioni del re.

Tuttavia bisogna ricordare che a quest'epoca la coscrizione obbligatoria non esisteva; le guerre erano limitate, le grandi calamità eran piiì le epidemie, le carestie .e la mancanza di denaro, che non la guerra. Bisogna però anche aggiungere che in certe epoche e in certi casi determinati la guerra prendeva , un andamento popolare, nazionale e volontario, come le guerre , contro i mori in Spagna, le crociate, le guerre dei comuni ita- liani e le guerre di religione.

,' * * Q

Quest'ultimo punto ci permette di distinguere le guerre dette reali - oggi si direbbe di stato, per esempio le guerre colo- niali - da quelle che si potrebbero chiamare popolari, nazio- nali e religiose. Nelle prime la volontà del popolo non può ritenersi implicitamente acquisita come nelle seconde. Questa distinzione ci riconduce alla domanda che abbiamo fatta sul di- ritto del cittadino nella seconda fase: preparazione e dichiara- zione di guerra.

I1 diritto politico che affida al popolo, e attraverso lui al parlamento, la decisione della guerra può esistere o n;; questo dipende dal regime d'uno stato: i cittadini che hanno acqui- sito questo diritto faranno bene a conservarlo. Ma tuttavia cre- diamo esista un diritto primordiale e naturale dei cittadini presi insieme, - nella loro espressione organica costituzionale, quale si è affermata attraverso i secoli - di partecipare alla prepa- razione e alla dichiarazione della guerra.

Questa partecipazione deve essere armonizzata e coordinata con quella dei dirigenti dello stato, in modo da evitare il 'peri- colo dell'anarchia in momenti così delicati; perciò questa par- tecipazione deve essere regolata dalle tradizioni e dalle costi- tuzioni adattate ai tempi; ma non si potrebbe sopprimere senza violare il diritto naturale inerente alla persona umana. Si de- vono mettere i cittadini in grado di consentire agli oneri e ai sacrifici di una guerra ; essi devono anche poterli rifiutare. Con- cepire l'autorità suprema come sola giudice della guerra, senza

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alcun obbligo di conoscere ed apprezzare i veri sentimenti dei veri interessati, è concepire uno stato mostruoso e contro natura. D'altra parte se l'opinione dei cittadini è in generale contro la guerra e se fino alla fine quest'opinione non cambia, è ingiusto che un capo l i costringa a combattere a qualunque costo. Se scoppiasse un conflitto tra i cittadini e il monarca.0 i l dittatore, sarebbe il monarca o i l dittatore che avrebbe perduto la base morale della propria autorità.

Se i cittadini non hanno la possibilità di esprimere la loro volontà riguardo alla guerra perchè i l regime assoluto è pro- tetto da partigiani armati, da una polizia onnipotente o da uno spionaggio ben organizzato, ciò significa che in questo, stato non è violato soltanto questo diritto, ma che tutti gli a l t s di- ritti dei cittadini sono violati e falsati da una tirannia e biso- gnerebbe quindi studiare questo caso patologico nella sua com-

I plessità. . Ciò che dal punto di vista'giuridico e politico si oppone alla I nostra affermitzione non 6 il caso patologico, ma una-data con-

cezione dello stato e della sua autorità. Così la teoria del diritto divino del re, oggi senza importanza, può spiegare certe aber- razioni storiche. La maggior parte delle teorie giuridiche e po- litiche, eccetto quella democratica liberale, han .cercato di raf- forzare l'autorità dello stato, supponendola scossa dal parla- mentarismo del secolo scorso.

Nel diritto di guerra si cerca d i giustificare il' concentra- mento di tutti i diritti nelle mani del governo e del capo dello stato, col timore di indebolire la difesa nazionale, consideran- dolo i l mezzo più rapido e più efficace di preparare e decidere la guerra. Più che un misconoscimento del diritto del cittadino - spesso riconosciuto nominalmente - una preo+ccupazione politica ha sminuito la precisione giuridica; in realtà qualun- que diritto reale dei cittadini è stato quasi sempre inefficiente. Diciamo quasi sempre, perchè nel caso di guerre nazionali e popolari i governi han riconosciuto in modo esagerato il diritto

' di consenso dei cittadini e l'hanno sfruttato per giustificare la loro azione, specialmente se era giuridicamente contestabile; in questo caso l'opinione dei cittadini serviva di pretesto per coprire una violazione del diritto internazionale. . *

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I1 problema diventa delicato quando tra il governo e il po- polo, tra il monarca ed i cittadini, c'è una divisione irriduci- bile sulla preparazione e sulla dichiarazione d i guerra. Dal lato giuridico, in un paese a regime democratico è il popolo che vince: in un paese a regime autoritario vince il governo. Ma sociologicamente questa guerra - se vien decisa - sarà moral- mente svalutata.

Da tutto questo deriva che, qualunque sia il regime di uno stato, i l consenso presunto effettivo del popolo ad una guerra è la condizione preventiva necessaria perchè la guerra possa realmente cominciare. La mancanza di consenso popolare può esser mascherata, la ragione può essere sviata dalla passione: invece di responsabili si avranno folle eccitate: perversioni del- la morale, della politica e del diritto: ma in mezzo a questa perversione si vede ancor più chiaramente che la natura ha posto nei cittadini un diritto fondamentale che non può esser impunemente violato.

La terza fase del processo della guerra è il suo svolgimento fino alla conclusione della È innegabile che una volta co- minciata la guerra, la necessità politica impone un maggior con- centramento dei poteri nel governo, nell'autorità militare, e i cittadini devono far credito ai loro capi. Per parlar solo del- 1'epoca.presente possiam notare durante la grande guerra due metodi applicati da paesi democratici: quello che ha permesso al regime di continuare a funzionare regolarmente e in cui le leggi restrittive in materia costituzionale sono state brevi e giu- stificabili eccezioni, e quello che ha limitato o sospeso i diritti normali del parlamento, della stampa e delle riunioni.

Tutto questo dipende dalla maturità politica del popolo, dalla reciproca concordia dei cittadini, dal loro spirito d i auto- limitazione di ciò che potrebbe esser nocivo allo stato. Non possiamo rifiutare che durante la guerra e nelle forme legali i governi abbiano i mezzi sufficienti per evitare al popolo ogni brusca scossa, i facili scoraggiamenti e la mancanza di resi- stenza. Ma i l diritto del cittadino resta intero, sebbene limitato

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nelle sue manifestazioni, che potrebbero esser dannose ai com- battenti o alla condotta della guerra.

Quanto ai trattati di pace col nemico, sia direttamente sia per mezzo di intermediari, in caso di vittoria o di definitiva sconfitta o anche di compromesso, il diritto che prevale è quello del governo o dell'autorità militare, secondo i casi. I1 cittadino può esprimere le proprie vedute nella maniera più prudente ed opportuna, i l parlamento può dare le sue direttive al governo e, se le leggi della nazione lo permettono, può farlo cadere, ma il diritto di proporre i termini della pace resta sempre acqui- sito ai plenipotenziari, con la riserva della ratifica o del rigetto da parte degli organi parlamentari o altri organi competenti della rappresentanza popolare.

Tutto questo non ci sembra discutibile; crediamo soltanto che nella realtà ogni popolo può trovare mezzi ad hoc per con- ciliare i diritti dello stato a guidare una guerra, di cui gli organi dirigenti sono i primi e principali responsabili, e i diritti dei cittadini ad un certo controllo morale e politico, tanto nello svolgimento delle operazioni come sull'opportunità e sulle con- dizioni della pace.

I

Noi possiamo fin da ora precisare due punti che ci sembrano acquisiti per una più chiara teoria giuridico-politica dei diritti dei cittadini in caso d i guerra:

a) il cittadino possiede un diritto fondamentale - si po- trebbe dire naturale - derivante dalla sua persona umana e dal suo carattere di civis a partecipare alla preparazione, alla dichiarazione e alla esecuzione della guerra e della pace che ne deriva;

b) Questa partecipazione, in tempo normale, corrisponde al tipo di regime giuridico-politico dillo stato, e per quanto auto- ritario questo regime possa essere, il diritto del cittadino dal 'fato morale resta intatto, salvo a poter manifestarsi o meno nelle forme giuridico-politiche previste.

Dal 1919 con la costituzione della Società delle nazioni e dal 1928 col patto Kellog, è nata una nuova sitiiazione giuri-

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dica nel mondo, concernente i diritti sovrani dello stato in ma- teria' di guerra, e per ripercussione i diritti dei cittadini quali li abbiamo esposti nei paragrafi precedenti. Gli stati membri della Lega si sono impegnati a non ricorrere alla guerra che in dati casi e solo secondo una procedura determinata e fissata dal Covenant. Col patto Kellog si sono impegnati a non ricor- rere alla guerra per motivi di politica nazionale. Secondo i due testi combinati, la sola guerra ammessa è quella difensiva nel caso di un'aggressione. Se ne potrebbe prevedere una seconda, , che giuridicamente non sarebbe una guerra, ma un atto d i po- '

lizia internazionale: quella che potrebbe esser provocata dal- l'impiego di sanzioni militari decise dalla S.d.N. contro uno stato violatore del patto, nel caso in cui questo stato si rivol- -

tasse e tentasse di resistere con le armi. I1 patto della Lega obbliga lo stato che avesse una contro-

versia con altri stati o a risolverla amichevolmente, o per via di arbitrato, o a portarla davanti al consiglio della Lega e a dar corso alla procedura prevista a questo scopo. È chiaro che in regim'e societario nessuno stato può di suo arbitrio comin- ciare la guerra (non si tratta qui, ben inteso, del caso in cui bisognasse respingere un'improvvisa aggressione). I cittadini non possono quindi esser legittimamente costretti a subire gli oneri ed i sacrifici d'una guerra prima che siano esaurite le proce- dure societarie. Queste lasciano lo stato libero di ricorrere alla guerra se il voto del consiglio che stabilisce i termini della so- luzione del conflitto non è unanime - gli interessati sono esclusi dal voto - e se son passati tre mesi dal giorno del voto, o se uno dei due stati, violando i l patto e rifiutando d i sottomettersi alla soluzione, ricorre alle armi. In questo caso lo stato attac- cato ha il diritto di difendersi e può esser aiutato dagli stati della Lega.

I cittadini sono in grado di far valere i loro diritti contro il proprio governo che vorrebbe ricorrere alla guerra senza tener conto del patto e della procedura societaria? È una questione di fatto che non attenua i diritti dei cittadini, così come una qualsiasi violazione del patto da parte di uno stato non dimi- nuisce per questo i l diritto degli'altri stati associati. I cittadini che si oppongono hanno due vie da seguire: sopportare le in-

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giunzioni del governo o al co.ntrario resistere e rifiutare il loro concorso.

Questa seconda ipotesi, il rifiuto di una parte dei cittadini o anche di un solo cittadino - perchè il ,numero non conta, ma importa solo il riconoscimento del diritto - è molto deli- cata e merita un esame tanto dal punto di vista etico che giu- ridico.

Gli antichi teologi ponevano il problema così: quali sono i doveri del suddito e specialmente del soldato i'n una guerre ingiusta? Affrontavano il problema dal punto di vista della coscienza individuale: l'aspetto giuridico politico li interessava, ma in modo secondario, perchè non potevano astrarre completa- mente dall'ambiente in cui vivevano.

Riferendoci ai più celebri teologi spagnoli dei sec. XVI e XVII - tra gli altri Vitoria, Suarez e Vasquez - non dobbia- mo dimenticare che i loro tempi erano quelli delle monarchie assolute, in qualche modo limitate dall'aristocraziro, e che non esisteva la coscrizione militare.

A parte qualche differenza nei particolari, dovuta a sotti- gliezze casuistiche, il loro parere è che:

a) la guerra decisa dal sovrano - dopo aver sentiti i grandi del regno e questo non obbligatoriamente - si deve presumere giusta. È per questo che imponevano ai sudditi l'obbligo di se- guire il sovrano e ai soldati quello di battersi;

b) se la guerra era evidentemente e notoriamente ingiusta, era proibito ai sudditi sostenere il principe e ai soldati bat- tersi e uccidere i nemici;

C) 'siccome la guerra non poteva esser giusta dalle due parti, era necessario che i dirigenti e responsabili moralmente, per esempio le autorità ecclesiasticlie e i grandi del regno, si accer- tassero della giustizia della guerra e cercassero di impedirla, se essa era ,ingiusta o sproporzionata. Ma questo, secondo Sua- rez, era un dovere di carità che non si poteva cambiare in di- ritto limitativo di quello del sovrano.

Questi principi han servito di base, durante i sec. XVII e XVIII, alla teologia morale, secondo la quale si son formate le coscienze dei dirigenti; ma non son mai stati messi in pratica , dai sudditi e dai soldati. Gli ecclesiastici che avrebbero dovuta

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predicarli e farli valere, quasi sempre accettavano e tollera- - -

. vano la tesi della presunzione per le due parti della ,giustizia della guerra; e, data la quasi impossibilità di erigersi a giudici di guerre, che avevano cause. complesse e motivi segreti, e dato che non c'era alcun sistema giuridico internazionale - come

. quello del medioevo - preferivano lasciare i sudditi e i soldati nella buona fede della moralità e della legittimità della loro azione.

Ma se, in virtù della sola legge interiore dell'impero della coscienza sui nostri atti in caso di guerra si trova qualcuno '

- molti o pochi non importa, fosse anche uno solo - che sia convinto, in qualsiasi modo, dell'ingiustizia della guerra, costui non può favorirla, nè votarne i crediti, nè andarla a combattere ed uccidere gli avversari. Finchè dura la sua convinzione è le- gato da un obbligo di coscienza da cui nessuno può scioglierlo: È il compimento del dovere della morale cristiana e il sacrificio che essa richiede. In questo caso il dovere del cristiano si tra- sforma in un diritto personale inalienabile di fronte a quello dello stato.

Se questa legge etica della coscienza vale per tutti i tempi senza distinzione di sistemi giuridici, ci possono essere dei pe- riodi e dei regimi che ne paralizzano l'esecuzione e altri che rendono persino di5cile l'enunziarla. Oggi, con lo sviluppo d i una struttura giuridica internazionale che deriva dalla forma- zione della Società delle nazioni, e nella convinzione generaliz- zata che solo la guerra difensiva può esser detta legittima e morale, si è formato un clima propizio alla discussione pub- blica delle cause e della giustizia della guerra. Ciò che i teologi del sec. XVII credevano impenetrabile al profano - le ragioni della guerra -- si discute oggi alla luce del sole, e ciò che po- teva esser dubbio nell'apprezzamento dei grandi dello stato, cioè se una guerra è giusta dai due lati o da un solo o da nes- suno, è oggi una teoria tradotta in un patto - il patto Kel- logg - in cui ogni motivo nazionale è nettamente indicato come una causa ingiusta di guerra. Una procedura complicata - quella della Società delle nazioni - toglie ogni possibilità d'un improvviso moto di passione, fissando a tre mesi compiuti

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dalla data d'un verdetto non unanime l'inizio eventuale e facol- tativo delle ostilità.

I1 cittadino ( e non solo chi appartiene ad un'élite) può così, se lo vuole e se è all'altezza di sentir la voce della coscienza più d i quella della passione, rendersi conto della giustizia d'una guerra. È oggi in uno stato d'animo diverso dal suddito dei .monarchi dei sec. XVII e XVIII ; allora i teologi presume- vano giusta ogni guerra, salvo l'evidenza notoria di ingiustizia; oggi ogni guerra può presumersi ingiusta, salvo i l caso di difesa contro un'aggressione non provocata. E si capisce il perchè: la prima condizione di qualsiasi guerra giusta è il caso d i ne- cessità: un tal caso oggi con una organizzazione societaria tra gli stati ed una procedura giuridica fissata da un patto non può esser concepibile fuori del caso di aggressione. Ecco perchè le posizioni son in certo modo capovolte. Saranno tanto più com- pletamente capovolte canto più la Società d e l l ~ ,nazinni e h legge internazionale ridurranno ancora più il diritto degli stati di ricorrere alla guerra.

Per questo è necessario rafforzare la Società delle nazioni ' e rendere più efficace la legge internazionale con l'adesione e l'appoggio della coscienza morale del mondo cristiano e civile.

Quali sono oggi le conseguenze pratiche del diritto morale del cittadino a rifiutare la propria cooperazione ad -una guerra che crede ingiusta? Un tal diritto può esser codificato e rico- nosciuto?

Sul piano individuale di coscienza il diritto del cittadino derivante dalla sua convinzione privata che una guerra è ingiu- sta non può essere giuridicamente concretizzato, ma resta nel campo etico in cui si creano conflitti tra due doveri. I1 citta- dino che affronta un tale' conflitto nella sua coscienza deve se- guirne la voce. Lo stato può colpirlo con le sue leggi, ma in questo caso commette la stessa ingiustizia - cosciente o inco- sciente - che commetteva l'impero romano contro i cristiani. Dal sacrificio di questi cittadini può nascere una futura legge d i tolleranza.

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Un fatto simile si è avuto nell'hghilterra durante la guerra. I quaccheri, per convinzione etico-religiosa, non ammettevano nè le guerre nè il servizio militare. I n u n paese in cul non esiste la coscrizione obbligatoria, dato i l numero limitato dei quaccheri, l'effetto non fu notevole. Ma quando si sentì la necessità di obbli- gare tutti gli uomini validi ad andare al fronte, il governo inglese non riuscì ad obbligare. i quaccheri che opponevano la loro coscienza, e dovette finire col regolare con leggi i l loro rifiuto di arruolarsi. Da questa tolleranza è scaturito in Inghilterra un

giuridico che 6 sufficiente a creare un diritto. Un secondo aspetto della questione posta è invece tanto'po-

litico che giuridico. Diventa politicamente abbastanza forte la posizione del cittadino che, convinto dell'ingiustizia d'una guer- ra, si basa su1 giudizio della Società delle nazioni e la susse- guente applicazione delle sanzioni. Ha i l dovere di far valere la sua convinzione con i mezzi morali e legali di cui dispone per impedire la guerra; e se la guerra è già cominciata, ha i l diritto di far valere le ragioni militanti a favore della sospen- sione e perchè siano prese in considerazione le proposte della Lega. Ma se l'esercizio di questo d i ~ i t t o è impedito dalla forza del potere dello stato con mezzi d i cui esso dispone - e oggi contro il cittadino lo stato è, in disprezzo' di ogni diritto, onni- potente - allora i l cittadino, come nelle ipotesi suesposte, non può esercitarlo politicamente e non gli resta che il giudizio della propria coscienza.

In ciò che concerne i l lato giuridico della questione non è impossibile che, generalizzandosi, i movimenti pacifisti spin- gano gli stati democratici ad imitare i l regime d i tolleranza dell'Inghilterra verso i quaccheri. Ma oggi non è prevedibile che il conflitto tra la Società delle nazioni ed uno stato dichia- rato violatore del patto possa produrre disposizioni giuridiche che garantiscano il diritto dei cittadini che volessero astenersi dal partecipare alla guerra. Forse dopo una certa esperienza si giungerà a creare disposizione di favore verso i cittadini che abbandonino i l loro paese per questo motivo e forse potranno ottenere un passaporto tipo Nansen, esser accolti come emi- grati, nei paesi in cui l'emigrazione è limitata, al di là dei li- miti 'abituali, e beneficiare ancora di altre misure internazio-

11 - S m - Politica e morale

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nali che ~otrebbero esser loro applicate. Questo costituirebbe il riconoscimento indiretto d'un diritto in formazione che oggi ha solo un semplice valore etico.

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Cap. X

IL DIRITTO DI RIVOLTA E I SUOI LIMITI (l)

Dai documenti pontifici del secolo passato, sembra a prima vista che sia stato' negato ogni diritto di rivolta contro la tiran- nide. Gregorio XVI nella sua celebre enciclica Miran vos (15 agosto 1832) parla con orrore contro le dottrine « che scuotono la fedeltà, la sottomissione dovuta ai principi, e che accendono ovunque la fiaccola della sedizione » e anche contro gli uomini sediziosi dove dice: (C I diritti divini e umani si levano dunque contro gli uomini che, con le più oscure manovre della rivolta e della sedizione, si sforza116 di distruggere la fedeltà dovuta ai principi, e di rovesciarli dal trono 1).

Gregorio XVI continua nel citare l'esempio dei primi cri- stiani che furono fedeli e valorosi soldati dell'impero e, in quel che non era contrario alla religione, furono sottomessi agl'im- peratori malgrado le più violente persecuzioni n. Gregorio non era dell'opinione di Bellarmino ( e più tardi neppure Leone XIII nell'Enciclica Diuturnum illud del 29 giugno 1881). Bellarmino, nella Controversia 111 De Romano Pontifice (L. V. C. 7) scriveva: Quod si Christiani olim non deposuerunt Nero- nem et Diocletianum, Zulianum apostatum et Valentem arianum et similes, id fuit quia deereunt v i r a temporales Chrìstianis. Noi dal punto di vista storico non siamo d'accordo con Bellar- mino, ma questi voleva provare i l diritto, in astratto, che han- no in tali casi i cittadini a deporre il tiranno, e quindi tendeva,

(l) In appendice riportiamo un saggio su questo stesso argomento pnb- blicato alcuni anni prima della stesura del presente capitolo (v. pag. 248 sgg.).

163

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con una ipotesi storica, a svalutare l'obiezione portata contro la sua tesi per la condotta dei primi cristiani. Al contrario Gre- gorio XVI ( e poi Leone XIII) da tale condotta traevano argo- mento per inculcare l'obbedienza ai sovrani, anche se tiranni e persecutori quali furono molti degli imperatori romani.

I1 gesuita P. Luigi Taparelli, che pubblicava nel 1848 il suo celebrato Saggio teoretico d i diritto naturale, nella « nota sul diritto nel propagar la religione (vol. I1 cap. 111) arriva a negare la possibilità di rivolta dei primi cristiani come illicita per se. Ecco le sue parole: « Teniamo dunque fermo Con Ter- tulliano che i l cristiano sotto i Cesari moriva perchè doveva morire, e 'potendo ribellarsi e difendersi, aborriva una difesa illecita per sè, e non per i pericoli i quali non avrebbero atter- rita la loro costanza armata perchè non l'atterrivano inerme D. (Le parole in corsivo sono dell'autore).

Pio IX, succeduto a Gregorio XVI, mantiene la stessa linea fin dall'Allocuzione del 9 novembre 1846, riportata poi, nel 1864, alla 63ma proposizione del Sillabo nel quale è condan- nato l'errore contrario, cioè: È permesso rifiutare l'obbedienza

- e i sovrani legittimi, e anche rivoltarsi contro d i loro. Leone XIII in diverse occasioni si occupa di questo pro-

blema, anche allora di attualità. Nella Enciclica Quod Aposto- ' lici del 28 Dicembre 1878 (nel suo primo anno di pontificato)

egli non solo conferma in tutta la sua estensione i l precetto di ubbidienza ai poteri legittimi, ma guarda in faccia il caso di abuso" dell'autorità e di oppressione dei sudditi ( in altri ter- mini della tirannia), caso non menzionato esplicitamente da Gregario XVI nè da Pio IX. Leone XIII scriveva allora: « Tut- tavia se accada talvolta che la pubblica potestà venga dai prin- cipi esercitata a capriccio ed oltre misura, la dottrina. della chiesa cattolica non consente ai privati di insorgere a proprio talento contro di essi, affinchè non sia ancor più sconvolta la tranquillità dell'ordine, e non derivi perciò alla società mag- gior danno. E quando le cose sian giunte a tal punto che non sorrida alcun'altra speranza di salvezza, vuole che si affretti il rimedio coi meriti della pazienza cristiana e con istanti pre- ghiere al Signore D.

Tale rigida e stretta teoria fu quella che Leone mantenne

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nella enciclica Diuturnum illud (1881) e in quella fondamen- tale Immortale Dei del lo novembre 1885, dove, mentre ricorda ai capi di stato la punizione di Dio « se si lasceranno andare ad un ingiusto dominio »... ricorda ai sudditi che « i l disobbe- dire al potere legittimo, qualunque sia la persona che ne è ri- vestita, non è lecito »... e conchiude i l paragrafo con la nota frase: « Quindi scuotere il freno della soggezione, e turbare per via di sedizioni lo stato, è delitto di lesa maestà, non pure umana, ma ancora divina 1).

Mai i papi del secolo scorso approvarono le rivolte delll'Ir- landa, della Polonia e dell'America latina, anzi in casi parti- colari le biasimarono e condannarono. A tale rigidità si erano già orientati i moralisti cattolici fin dalla seconda metà del se-

, colo XVII (quando era prevalsa la teoria del diritto divino dei re, sostenuta da gallicani, febroniani e regalisti in genere con- tro i teologi di curia). Ma dopo la rivoluzione francese e la restaurazione, anche i teologi di curia fecero cadere il residuo dell'origine popolare del potere che ancora restava nelle loro teorie, e si orientarono verso la negazione o quasi di ogni legit- timità di rivolta. Di fronte alle rivoluzioni nazionali e libe- rali la preoccupazione di fare una qualsiasi concessione allo spirito del tempo, li condusse, in nome del potere legittimo, a mettere perfino in dubbio il diritto dei greci a ribellarsi a l giogo dei turchi. I1 citato Taparelli scriveva che la Turchia, dopo Lepanto, era divenuta una potenza europea legittima >i

e che (C cessò nel cristiano la necessità di difesa » e aggiungeva: « Quindi ci sembra molto incerto il diritto c o i cui venne ai nostri giorni bandita la insurrezione dei greci a nome della croce di Cristo D. (Vol. 11. C. 111. nota). h

Non solo i moralisti della prima metà del secolo XIX, ma . anche quelli dell'epoca leoniana mantengono la stessa rigidità

di fronte al, diritto di rivolta. Se le rivoluzioni liberali erano finite, se quelle di nazionalità interessavano solo .qualche po- polazione balcanica e qualche minoranza oppressa ( a parte Irlanda e Polonia), le agitazioni operaie fomentate da socialisti anarchici e comunisti facevano temere fin da allora dell'ordine sociale.

Il gesuita Victor Cathrein nella sua ben nota Filosofia mo-

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rale ( l ) fissa le due seguenti tesi: a) non è mai lecito ad un privato per qualsiasi motivo sindacare, punire, offendere O uc- ,cidere d i propria autorità il legittimo sovrano; b) neppure al popolo nella sua collettività è lecito dichiarare guerra al so- vrano legittimo e detronizzarlo col pretesto della tirannia ».

Riguardo il caso di tirannia u veramente eccessiva » V. Ca- threin ammette, con il cardinal Zigliara, che il popolo può ricorrere alla resistenza attiva, ma difensiva. 11 Zigliara distin- gue la resistenza attiva. in u difensiva » e (C offensiva 1). La pri- ma è quella che si limita alla difesa contro un'aggrcessiona in atto. Nel qual caso, scrive Zigliara, non « si resiste all'autorità , ma alla violenza, non al diritto ma all'abuso del .diritto, non al principe ma all'ingiusto aggressore del proprio diritto nello stesso atto dell'aggressione ». La limitazione « in actu aggres- s i o n i ~ » è sostanziale; solo in questo caso, secondo il Cathrein, la teoria della resistenza attiva ma difensiva non contraddice al Sillabo. Egli sembra fare un enorme sforzo nell'accedere alla tesi d i Zigliara, perchè circonda il suo testo di frasi piene di

, cautela. I1 caso unico, per lui, è quello di una tirannia «vera- mente eccessiva »; la resistenza è solo lecita « in date circo- stanze » anzi « nel caso di nec-eessità estrema ». Dopo di che Cathrein si affretta a' dichiarare che tale tirannia « veramente eccessiva » oggi è rarissima, e che per giunta, se la tirannia è

- veramente tale, ogni resistenza è destinata a fallire. I1 che si- gnifica che per ciò stesso la resistenza diverrebbe illecita anche nel caso d i necessità estrema.

A proposito della resistenza personale all'aggressione di un * sovrano o altro capo di stato, lo stesso autore, pur ammetten-

done la legittimità, esclude che possa dirsi lecita nel caso che da tale difesa possa nascerne scandalo « potendosi temere un grave turbamento nell'ordine D. Egli si appoggia ad un testo di S. Tomaso della Summa Teologica (1-11, q. 26 a. 4): nisi forte propter scandalum vitandum cum ex Itoc aliqua grandis tur-

(l) Traduzione italiana, Firenze 1913-20 sul testo tedesco nell'Edizione Va Herdersche Verlashandlung Freiburg im Breislau 1911 (vol. 11, 11, libro 11, IV).

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batio timeretur. Che un privato qualsiasi, aggredito da un prin- cipe o da un dittatore (ricordare Hitler nella notte del 30 giu- gno 1934) debba nell'atto dell'aggressione esaminare se la sua difesa potrà portare turbamento all'ordine pubblico, e in que- sto caso preferire d i farsi ammazzare, è un'ipotesi troppo poco psicologica per essere verosimile. Solo per un'idea religiosa o per un grande ideale umano, una persona, spiritualmente cri- stiana, può dominare l'animo in quel momento e fare sacrifi- cio di sè.

I1

\ La posizione attuale del cittadino nei confronti dell'auto-

rità dello stato è ben diversa da quella del secolo scorso. Sono cadute tutte le monarchie assolute e che mantenevano in qual- che modo le tradizioni dell'ancien régime. Le monarchie che sopravvivono sono tutte costituzionali, riconoscono ai ~ o p o l i il diritto di partecipazione al potere e di controllo del capo dello stato. Le dittature che si sono instaurate dopo la grande guerra, pur basandosi sopra un preteso diritto della rivoluzione (come ripetono sovente i fascisti italiani), ricorrono per la loro legittimazione e consolidazione al leb bis cito, poco importa co- me manipolato, per avere il risultato più clamoroso.

A differenza del passato, i moralisti di oggi trovano sgombro i l terreno di quegl'impacci di diritti storici, di poteri assoluti, di monarchi indiscutibili e incontrollabili, di possesso del pote- re, di diritti personali sui territori stranieri, che nel passato fa- cevano confondere le teorie morali con quelle politiche, e per timore di una violazione di diritto, inducevano molti a favorire '. in tutti i modi i regimi assoluti anche tirannici.

Quando Pio VI1 a Notre-Dame di Parigi incoronò Napoleone imperatore, diede un primo e grande colpo alla teoria legitti- mista e riconobbe in modo solenne i l governo di fatto come régime établi. Qualche cosa di simile di quel che avvenne nel 751, quando i l papa san Zaccaria autorizzò Pipino il Breve a prendere il potere quale re senza essere considerato un usur- patore.

Leone XIII nella celebre enciclica del 14 febbraio 1892 Au milieu cles sollicitudes scriveva : (C Quant aux sociétés humaines,

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c'est un fait gravé cent fois dans l'histoire que le temps, ce grand transformateur de tout ici-bas, opere dans leurs institu- tions politiques de profonds changements ... 11s succèdent par- fois à des crises violentes trop souvent sanglantes, au milieu desquelles les gouvernements préexistants disparaissent en fait ; voilà l'anarchie qui domine; bientot l'ordre public est boule- versé jusque dans ses fondements. Dès lors, une nécessité so- ciale s'impose à la nation; elle doit sans retard pourvoir à elle meme. Comment n'aurait-elle pas le droit et plus encore le devoir de se défendre contre un, état de choses qui la trouble si pro£ondément et de rétablir la paix publique dans la tran- quillité de l'ordre? Or cette nécessité sociale justifie la création et l'existence des nouveaux gouvernements, quelque forme qu'ils prennent ... D. Leone XIII continua col dire che le nuove forme di regime (le costituzionali e democratiche) possono' ave- re di nuovo il modo .come si esercita e come si trasmette i l potere, non mai la sostanza del potere in sè stesso che per la sua natura deriva da Dio. « Par conséquent, egli aggiunge,

. lorque les nouveaux gouvernements qui représentent cet im- muable pouvoir sont constitués, les accepter n'est pas seulement permis, mais réclamé, voire meme imposé par la nécessité du bien social qui les a faits et les maintient. D'autant plus que l'insurrection attire la haine entre les citoyens, provoque les guerres civiles et peut rejeter la nation dans le chaos et l'anarchie a.

La stessa teoria sosteneva Benedetto XV nella sua lettera ai - vescovi del Portogallo del 18 dicembre 1919, dopo che la nuo-

va repubblica succeduta alla vecchia monarchia di Braganza poteva, non ostante tutto, essere considerata come un régime établi.

I n quel primo anno dopo l'armistizio (1918-19) erano cadu- te le monarchie degl'imperi centrali, si formavano nuovi stati

- e si costituivano in democrazia con l'aiuto dei cattolici; già - la Santa Sede iniziava con i nuovi governi le trattative per

concordati e modus vivendi. Verso le successive rivolte e colpi di stato, quali in Irlanda -

(stato libero 1919-21), in Italia (marcia su Roma 1922), in Spa- gna (dittatura militare di Primo de Rivera 1923 e poi repub-

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blica 1931), in Polonia (dittatura militare di Pilsudski 1930), in Austria (regime autoritario di Dollfuss 1933), in Germania (dittatura di Hitler 1933-34), per non parlare di altri minori cambiamenti, la chiesa osservò sempre un prudente riserbo, fatto ora di una certa confidenza verso i nuovi regimi autori- tari, e ora di diffidenza senza opposizione verso i regimi di si- nistra. Nessuna voce dei vescovi si è mai levata contro tali cam- biamenti. I1 cardinal Segura, primate della Spagna, dconobbe opportuno dar le dimissioni per aver preso un atteggiamento favorevole ad Alfonso XIII e alla monarchia al momento del- l'avvento della repubblica.

T I1 governo di fatto, pur venendo stabilito da una rivoluzione o da u n colpo d i stato o dai due insieme, è sempre guardato dalla chiesa come quello che ristabilendo l'ordine o almeno fissando i poteri in mano responsabili, può riportare nel paese la calma, l'ordine, la pace; beni questi che meritano ogni ap- poggio al disopra degl'interessi di case regnanti decadute o d i partiti politici vinti; perchè l'ordine e la pace sono beni ine- stimabili e perchè sono concomitanti con i l migliore sviluppo della religione e del culto. Sotto questo aspetto l'atteggiamento della Santa Sede verso la monarchia di Spagna all'avvento della repubblica è lo stesso di quello tenuto verso il partito popolare in Italia e verso il centro' in Germania all'avvento delle due dittature, la fascista e la nazista. Basta ricordare che con la loro dissoluzione veniva tolto un ostacolo per la intesa diretta della Santa Sede con i due governi.

Così oramai da un pezzo le régime étabti ha preso il posto di potere legittimo, sol che venga superato il periodo rivoluzio- nario che contiene la figura giuridica dell'usurpazione del po- tere; basta a ciò un qualsiasi metodo di legittimazione data o da parte del capo dello stato ancora in funzione ( la monarchia in Italia, la presidenza del Reich in Germania e in Austria), o un plebiscito o un'elezione generale (come in Spagna), o in qualsiasi altra espressione formale.

I1 governo di Germania non solo non ha tenuto fede al con- cordato con la Santa Sede, ma ha organizzato.una persecuzione

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che tende alla distruzione del cattolicesimo e allo sviluppo di , . un misticismo di razza completamente anticnstiano e ad una

tirannia senza limiti. Si può quello di Hitler caratterizzare co- me régime gtabli, dove ci sia ordine e pace, quale viene indi- cato dai documenti pontifici già citati?

Vi è nella lettera di Leone XIII ai vescovi francesi del 16 . febbraio 1892 un passaggio che va pesato. Dopo aver detto, come abbiamo visto, che accettare i nuovi governi « n'est pas seulement permis, mais réclamé, voire meme imposé par la .

. necessité du bien social qui les a faits et les maintient » ag- giunge: « Et ce grand devoir de respect et de dépendance per- sévérera tant que les exigences du bien commun l e demande- ront, puisque ce bien est, après Dieu, dans la société la loi première et dernière ». Ecco dunque ben posto il problema del diritto di rivolta: in quale caso e panda les exigences du bien commun cesseranno di domandare l'adesione dei cittadini al governo stabilito?

Nel 1925 fu aperta in Francia una discussione' sul diritto d i resistenza alle leggi qualora credute ingiuste o anche al regime statale qualora creduto dannoso alla collettività.. Que- ste due ipotesi corrispondevano a due correnti di pensiero e d i azione, tendenti verso la disintegrazione dello stato parla- mentare. Esse facevano capo, da un lato i certa frazione di cat- tolici che si agitava per l'abolizione delle leggi laiche rese intollerabili dall~anticlericalismo del Carte1 rles Gauches vittò- rioso alle elezioni del 1924; e dall'altro lato all'dction frarqaise che spingeva verso un colpo di stato per . i l cambiamento di regime. La discussione ebbe ripercussioni notevoli sull'opinio- ne pubblica a proposito del processo giudiziario contro Maurras per la nota lettera scritta a Schrameck, allora ministro dell'in- temo, minacciando di ucciderlo. Jacques Maritain, citato come testimonio tecnico, svolse la tesi che la minaccia di Maurras doveva intendersi come i l mezzo estremo e legittimo della di- fesa dell'ordine.

Fu in proposito promossa un'inchiesta da Etudes, ch'ebbe un notevole numero di risposte da giuristi, filosofi e teologi. le m a l i furono raccolte dal P. Miche1 Riquet in un opuscolo col titolo: E n q k t e sur les droits du droit et Sa Majesté la Loi D.

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I1 punto che c'interessa di tale inchiesta è il seguente: « Se la legge è ingiusta e non se ne può ottenere la riforma per vie legali, si può e si deve resistere? è ammessa la ribellione? e fino a qual punto? ». I1 P. Riquet dopo una serie di richiami e citazioni concludeva la parte espositiva con il seguente periodo « Ainsi de Duguit à Saint Thomas, de Locke à Bellarmin, phi- losophes, juristes et théologiens s'accordent pour a5rmer et démontrer qu'en droit strict on .peut s'opposer par la violence à l'exéciition d'une loi injuste; les restrictions et les limitations d'un te1 principe se mesurent aux exigences du bien commun, aux possibilités de désordre ou de scandale, à la gravité du dom- mage spirituel et temporel infligé aux victimes de la loi, enfin aux résultats heureux qu'on peut sérieusement attendre d'une résistence défensive » (p. 64). C

I1 P. Garrigou-Lagrange andò piii avanti e approvando il pensiero del decano Gény egli, facendosi forte del testo di San Tomaso, aggiungeva: Cela ne veut pas dire qu'il (Saint Tho- mas) considère comme irréel et chimérique le cas où le ca- ractère de 1'oppression.et des garanties sérieuses de succès légi- timeront la résistence, voir l'insurrection; au c.ontraire, i l cite comme exemple de révolution heureuse celle qui renversa les Tarquins ». E verso la fine della risposta egli scriveva riferen- dosi alla situazione dei cattolici di Francia nel 1925: « Bien sur, si les catholiques sont conduits, malgré eux, jusqu'à cette rési- stence non seulement passive, mais défensive, ils doivent aupa- ravant se recueillir, prier, s'unir pour que le Seigneur leur donne sa force à Lui pour sécouer le joug du despotisme. 11s empecheront ainsi bien de véxations odieuses. 1Et si, pour un temps, ils devaient &tre écrasés, ils le seraient pour la défense énergique des droits de Dieu, et cette résistance sera toujours surnaturellement féconde ... D.

A considerare a distanza di dodici anni la situazione dei cattolici francesi del 1925 e 1926, panda si svolgeva questa inchiesta, che sembrava preludere ad un colpo di stato (era i l periodo più effervescente dell'dction Francaise prima della condanna), noi che abbiamo le tristi esperienze delle persecu- zioni in Germania, crediamo che quei cattolici francesi esage- rassero un poco.

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I1 P. Riquet, conchiudendo la sua relazione riassuntiva di quell'inchiesta, scriveva: u Nous pouvons, nous devons savoir ce que nos chefs, autorités sociales et autorités religieuses, peuvent . Iégitimement nous conseiller ou nous prescrire; à eux de pren- dre les décisions et de lancer les mots d'ordre 1).

Nello stesso tempo il cardinal Gasparri (25 novembre 1926) affermava che l'obbligo d'una adesione leale al potere stabilito, quale indicato da Leone XIII nel 1892, non era venuto meno; che Pio X non aveva mai (come dicevano alcuni francesi) de- clinato dalla linea del suo predecessore. « Et de fait, il (Pio X) ne suggérait nulle part l'idée que la défense de la religion dfit se faire sur un terrain qui ne fiìt pas celui des institutions . existantes, comme Léon XIII I'avait déjà déclaré: accepter sans arrière-pensée, avec cette loyauté parfaite qui convient au chré- tien, le pouvoir civil dans la forme où de fait il existe (l).

Questa norma della chiesa - ripetuta in Francia nel perio- do d i una crescente agitazione, in cui i motivi *religiosi erano sfruttati dal17Action Fraqaise a scopo politico e che finì con '

l a condanna pontificia per quest'ultima - è stata quella tenuta dai vescovi tedeschi fino ad oggi nei confronti di una ben più grave persecuzione. La stessa norma indusse i cattolici spagnoli a fondare, dopo l'avvento della repubblica, l'Acci6n Popular, mettendosi sul terreno costituzionale legale. E avesse voluto Dio che l'accettazione del potere civile « dans le forme où de fait i l existe » fosse stata - come diceva Leone XIII - « sans ar- rière-pensée, avec cette loyauté parfaite qui convient au chré- tien »; forse si sarebbero evitate le rivolte del 1934 e 1936 e la conseguente guerra civile.

Nel Messico le fasi della resistenza dei cattolici alle leggi antireligiose e alle persecuzioni ora aperte ora lawate, in circa

i venti anni, sono state diverse, non sempre uniformi nè sempre chiare. Ci furono tentativi di rivolta; quella sul piano econo- mico, con il ritiro del denaro dalle banche e con i l boicottaggio, fallì presto. La resistenza armata promossa da laici cattolici, .

fiancheggiata da una frazione di clero regolare e secolare, non

I (l) Documentation Catholique, XVII, p. 142.

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ebbe l'adesione di tutto l'episcopato; il, quale fu diviso e, visti i pericoli che comportava tale tipo di rivolta e sentita la Santa Sede, fini per sconsigliarla; anzi sconfessò più o meno aperta- mente secondo i casi e i luoghi, un movimento che prendeva le guise di resistenza offensiva o d i brigantaggio di montagna. Roma intanto arrivò con il governo messicano ad un modus vivendi (1931), che per quanto fosse sfavorevole alla chiesa, non fu neppure osservato. L'enciclica di Pio XI del 29 settem- bre 1932 segna l'inizio della fase attuale, che arrivata di nuovo ad una condizione di estrema difficoltà ha dato luogo ad una nuova e più forte enciclica Nos es muy, del 23 marzo 1937.

Per i l nostro studio occorre fermarci sopra un tratto assai m

significativo di quest'ultima enciclica, là dove tratteggia i ca- ratteri e i limiti della resistenza ai poteri costituiti. I1 tratto è

'

lungo, ma occorre tenerlo presente per poterne bene appro- fondire gli insegnamenti.

« ... Voi avete più di una volta ricordato ai vostri fedeli che la chiesa è fautrìce di ordine e di pace, anche a costo di gravi sacrifici, e che condanna ogni ingiusta insurrezione e violenza contro i poteri costituiti. D'altra parte fra di voi si è pure detto che, qualora questi poteri insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell'autorità, non si vedrebbe come dover condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti ed idonei sè stessi e la nazione, contro chi si vale del potere pubblico per trarla a rovina.

Se la soIuzione pratica dipende dalle circostanze concrete, dobbiamo tuttavia da parte nostra ricordarvi alcuni principii generali, da tener sempre presenti, e cioè:

1) che queste rivendicazioni hanno ragione di mezzo, o di fine relativo, non di fine ultimo ed assoluto;

2) che, in ragione di mezzo, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente cattive ;

3) che, se vogliono essere mezzi proporzionati al fine, devo- no usarsi solo nella misura in cui servono ad ottenere o ren-

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dere possibile in tutto o in parte, il fine, ed in modo da non recare alla comunità danni maggiori di quelli che si vorrebbero riparare ;

4) che l'uso di tali mezzi e l'esercizio dei diritti civici e politici nella loro pienezza, abbracciando anche problemi di ordine puramente materiale e. tecnico, o di difesa violenta, non entra in alcun modo nei compiti del clero e d'ell'azione catto- lica come tali, benchè ad essi appartenga preparare i cattolici a far retto uso dei loro diritti ed a propugnarli per tutte le vie legittime, secondo l'esigenza del bene comune;

5) il clero e l'azione cattolica - essendo per la loro mis- sione di pace e di amore consacrati ad unire tutti gli uomini in vinculo pacis - devono contribuire alla prosperità della nazione, specialmente fomentando l'unione dei cittadini e delle classi e collaborando a tutte le iniziative sociali, che non siano in contrasto con il dogma o la legge morale cristiana. m

Del resto, questa stessa attività civile dei cattolici messicani svolta con uno spirito così nobile ed elevato; otterrà risultati tanto più efficaci quanto più i cattolici stessi avranno quella

' visione soprannaturale della vita, quella educazione religiosa e morale e quello zelo ardente per la dilatazione del Regno di N. S. Gesù Cristo, che l'azione cattolica si propone di dare n.

È la prima volta che un papa moderno fa distinzione fra insurrezione ingiusta e quell'altra non ingiusta. Aggiungendo la parola ingiusta, egli esclude dalla condanna quelle insurre- zioni o quelle violenze che possono avere il carattere di giusti- zia. Infatti prosegue che nel caso che « poteri insorges- sero contro la giustizia e la ve'rità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell'autorità », chi potrebbe condannare i cittadini che si uniscono « per difendere se stessi e la nazione? n. Il papa però limita la difesa con mezzi leciti ed idonei e più sotto al n. 2 insiste dicendo che sono giustificate dal carattere' della difesa solo « azioni lecite e non intrinsecamente cattive >I.

Infine domanda che i mezzi siano proporzionati a1 fine e usati nella misura in cui essi servono al' fine di evitare alla co- munità danni maggiori di quelli' che si vogliono evitare (n. 3).

Tutta questa precisazione deriva dalla cura di caratterizzare e limitaie la resistenza legittima, che secondo la migliore for-

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mulazione teologica, deve appellarsi difensiva attiva. Infatti non sarebbe pura resistenza difensiva (come la chiama P. Garrigou-

a Lagrange nel passo citato sopra) che può essere tanto passiva che attiva, ma resistenza difensiva attiva, cioè sollevamento armato contro i poteri costituiti, a scopo difensivo, limitato nei mezzi leciti, proporzionati al fine e usati solo nella misura che valgano a ottenerlo, in parte o in tutto, evitando alla co-

. munità danni superiori a quelli che si volevano evitare. Se in questo tipo di rivolte fatte sotto le regole della morale

cristiana, si usassero mezzi intrinsecamente mali si cadrebbe nella condanna del « non sunt facenda mala ut eveniant bona D e dell'altra quicumque totam legem servaverit, o@ena?at autem in uno, factus est omnium reus D. Se si usassero mezzi spropor- zionati (quali una guerra civile a fondo) si perderebbe il carat- tere di resistenza attiva difensiva e si cadrebbe in quella che i teologi condannano senza riserva cioè la resistenza attiva offen- siva. Se i danni causati con la resistenza fossero maggiori di quelli ai quali si voleva rimediare, allora tutti i teologi ( e Pio X I lo ripete autorevolmente) non possono dire lecita una' resistenza così qualificata.

Ma chi può prevedere i l futuro? Gl'irlandesi, quando dopo la grande guerra si ribellarono non prevedevano che avrebbero. avuta l'autonomia e l'indipendenza a un prezzo relativamente poco elevato, sì che i danni potevano (secondo un certo ap- prezzamento mondano non spirituale) valutarsi meno che i vantaggi.

Invece è da credere che i generali spagnoli che promossero il pronunciamento del 18 luglio 1936 pensavano di passarsela come in altri casi consimili, con qualche scambio di fucilate, o anche di cannonate; invece ne è venuta la guerra civile alla quale assistiamo, inorriditi della distruzione selvaggia del paese e della decimazione della popolazione e per giunta col timore di una guerra internazionale come sua tragica conclusione.

Perchè i l pensiero del papa sia ben compreso, bisogna rile- vare anzitutto una frase caratteristica, cioè che la resistenza attiva difensiva, con i limiti e i caratteri susseguenti, può es- sere promossa nel caso che « questi poteri insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta

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stesse dell'autorità n. Questo è il caso estremo di quel che i moralisti dicono circa la perdita della 1egitti)mità da parte del potere; essi ammettono due casi, l'abuso e la incapacità.

Circa l'abuso o tirannia, I'abbè Magnin nel suo libro ( l ) sul- lo stato, enuncia le cinque condizioni per una rivolta legittima: u 1) tyrannie habituelle et non transitoire ; 2) tyrannie grave, qui met en péril les biens essentiels de la nation;, 3) tyrannie évi- dente de l'aveu général des honnetes gens; 4) impossibilité de

. recounr à un autre moyen; 5) succès sérieusement probable D. Noi non abbiamo che a sottoscrivere a queste cinque condizioni; è perciò che a noi non sembrò legittima (anche se storicamente giustificata) la rivolta armata dell'Irlanda del' 1919-21, benchè tutte le nostre simpatie di cattolici e di uomini liberi fossero per le sue rivendicazioni. I vescovi stessi d'Irlanda ( a differenza d i qualche vescovo irlandese d'America o di Australia) furono prudenti e cercarono di fare opera di pacificazione, e la Santa .Sede si mantenne neutrale. Per la stessa ragione i vescovi del Belgio, nel 1925, dichiararono che non poteva riconoscersi ai separatisti fiamminghi il diritto di rivoltarsi.

I1 caso di incapacità è più difficile da precisare. Noi non sap- piamo bene in quali condizioni fece la rivolta di palazzo Pipino il Breve, il quale però si garantì la posizione ottenendo I'ap- provazione del papa. Nel caso della u marcia su Roma n fu il r e a cedere senza opporre resistenza, assumendosi egli solo la responsabilità del fatto che poi fu ratificato dal parlamento, sia pure sotto la pressione di 30 mila fascisti armati e accampati a Roma. Chi scrive non crede affatto che la incapacità di un mini- stero quale quello di Luigi Facta fosse la prova di un'incapacità del regime parlamentare, incapacità che i moralisti esigono sia « diìment constatée, permanente, irrévocable » (a), tanto , più che i fascisti da due anni non facevano che creare essi stessi i l disordine nel paese, con le loro squadre armate, che assalivano citt,à e ville, uccidendo e incendiando, e così pretendevano re. staurare l'ordine. Se popolari e socialisti avessero anch'essi or-

(l) E. Magnin, L'Etat, conception paienne, conception chrètienne. (a) Abbé J . Leclercq, Lepm & droit nahcrel, 11, p. 189.

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ganizzato le loro squadre armate e l'esercito fosse sceso in campo dall'una o dall'altra parte, in Italia si sarebbe avuto nel 1921-22 un primo saggio di guerra civile.

Così è avvenuto in Spagna, dove il Frente Popular arrivato al potere nel febbraio 1936 si mostrò incapace a mantenere l'ordine, ma dal lato opposto si faceva lo stesso per distrug- gerlo; formati i due fronti, si arrivò alla guerra civile.

Quel che nei due casi, uno ipotetico (l'italiano) l'altro reale (lo spagnolo) è da notare come nuovo, si è che la lotta non si presentava (come spesso ipotizzano i moralisti o i politici) fra il popolo e il tiranno, o fra una nazionalità o minoranza etnica e uno stato straniero e oppressore; ma' fra due parti di un popolo, fra due fazioni, animate ambedue da spirito belli- , coso e dalla volontà ferma 'di resistere fino all'estremo contro l'altra parte. Allora non è più il potere legittimo che ha per- duto il suo titolo di autorità, ma sono due partiti, che invece di affrontarsi con la scheda elettorale nei quadri dell'organiz- zazione civile, si affrontano nelle strade con le squadre armate e nei campi d i battaglia con le mitragliatrici, i carri armati e gli aeroplani.

Torniamo così alle fazioni medievali con la differenza che allora quelle erano fazioni di comuni, per il predominio di fa- miglie, armate di spade e lance; oggi sarebbero fazioni nazio- nali, per i l predominio di partiti, di regimi e d'ideologie, ar- mate con i m e z ~ i ' ~ i ù terribili di distruzione.

Di fronte a questa prospettiva, che oggi è una tragica realtà, I

tornano efficaci le parole di Pio XI se vogliono essere mezzi proporzionati al fine, devono usarsi solo nella misura in cui servono ad ottenere o rendere possibile in tutto' o in parte il fine, ed in modo da non recare alla comunità danni maggiori di quelli che si vorrebbero riparare D.

Ma chi può mantenersi così saggio, in una lotta armata, da avere presente i limiti e le misure dei mezzi proporzionati ai fini? E chi può prevedere quali mezzi adopererà41a' parte av- versa ( in ipotesi quella che ha torto) per poterla fronteggiare? E chi potrà frenare ia bestia umana quanclo è scatenata?

I1 P. Garrigou-Lagrange sembra inclinare, nel caso d i op- pressione religiosa, ad affrontare i rischi della rivolta anche se

12 - S m - Politica e morale

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i cattolici saranno écrasés. Ils le seraient pour la défence éner- gique des droits de Dieu, et cette résistence sera toujours sur- naturellement féconde D.

A noi sembra che anche in questo caso, che sarebbe oggi il caso della Russia, della Germania e del Messico (lasciando i l caso della Spagna a parte), la rivolta armata dei fedeli (catto- lici e ortodossi) porterebbe o ad un écrasement total, ovvero alla guerra civile. ~ e i due casi, preferisco quel che fecero i primi cristiani; il loro olocausto, surnaturellement fécond, £u puro e immune da sangue fraterno.

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Cap. X I

ROMA E ANTI-ROMA

Quando fu pubblicato i l trattato del Laterano, che pose fine alla questione romana, fu detto che con quell'atto Roma si riduceva a capitale di un regno e la Città del Vaticano pren- deva il ruolo di ccuput mundi. La battuta traduceva un certo qual sentimento che Roma e Città del Vaticano fossero due cose diverse e potessero indicare, sotto certi aspetti, un'antitesi latente; sì che da allora in poi Roma non avesse più i l signifi- cato della tradizione cristiana, ma, ridivenuta terrena, e potente, si riallacciasse all'idea imperiale pagana, mentre tutto il signifi- cato cristiano si sarebbe riversato sulla nuova città-stato del

Papa- Nel periodo liberale, dalla breccia di Porta Pia in poi, si

era introdotta la frase di « terza Roma D: la prima repubbli- cana e imperiale, la seconda cristiana e papale; la terza ita- liana e liberale. Già da prima della presa di Roma, nel linguag- gio comune Vaticano significava l'amministrazione e il potere ecclesiastico, mentre il potere civile del papa-re si designava, secondo i casi, col nome di altri palazzi: Quirinale o Cancelle- ria o Montecitorio. Dopo il 1870 Quirinale significò il potere regio, in Roma capitale d'Italia, e Vaticano il potere papale, in Roma, sulla chiesa cattolica. Ciò non ostante, come centro della cattolicità si indicava sempre Roma, fosse o no capitale d'Italia, sia essa sotto un governo ecclesiastico o sotto un go- verno secolare.

Ora che il Vaticano è stato .politicamente e giuridicamente distaccato dal territorio di Roma per formare una città-stato sui generis e per dare al papa una forma palese di sovranità

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territoriale in appoggio alla sua naturale e inalienabile indi- pendenza - si è avuta una nuova spinta a confinare Roma so- lamente nel suo ruolo terreno. Questa impressione è rafforzata dall'ambizione, che ebbero anzitutto i governi liberali, di dare una impronta propria e nuova allo sviluppo edilizio della città, con la messa in evidenza ancor più di prima dei ruderi antichi, fori e basiliche, e con l'architettura vuota e pretenziosa di pa- lazzi e monumenti, quali quello a Vittorio Emanuele 11, il palazzo di giustizia, il nuovo Montecitorio. e altri di minore importanza. Tale ambizione è stata amplificata dall'attuale go- verno, che vorrebbe dare a Roma un'impronta più simile ai suoi ideali di forza e di comando. La Roma borghese dei libe- rali è oggi sorpassata dalla Roma fascista impregnata d i reto- rica imperiale.

Nella tradizione dell'antica Roma, le superbe costruzioni, gli archi di trionfo, gli stadi e le basiliche davano l'idea della grandezza e della gloria di un'autorità mondiale. I papi della rinascenza non sfuggirono a questa impronta terrena,' quando trasformarono Roma dalla vecchia città medievale d i torri, muri e fortezze, nella prima città moderna e nel primo museo del mondo, quando la nuova basilica di S. Pietro poteva dirsi simboleggiare il fasto mondano posto a servizio della religione. I secoli ne hanno purificato lamondanità e la devozione dei popoli sempre crescente ha isolato il S. Pietro da Roma per farne il simbolo della fede, nel suo carattere di tomba dell'apo- stolo, avendo la meglio sulla tradizione del Laterano, la catte- drale di Roma. La cupola di Michelangelo torreggia non più ,su Roma, ma sul mondo e simboleggia la cattolicità e la chiesa.

I1 distacco ideale del Vaticano, prima dallo Stato Pontificio, (originariamente patrimonio d i S. Pietro), poi da Roma stessa, città sempre più popolosa .ed esigente, divenuta capitale di un gran regno, deve essere nei diseghi della provvidenza 1)inizio d i un'altra era, nella quale l'appoggio delle ricchezze e del po- tere al papato è ridotto al minimo, il territorio da reale si è fatto simbolico, il regno terreno da effettivo a puramente giu- ridico; mentre nello stesso tempo i l potere spirituale, dalla definizione dell'infallibilità pontificia ad oggi, si è accresciuto

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in intensità ed estensione, tanto nella coscienza del mondo in- tiero quanto nella mistica realtà della chiesa visibile.

Nel pensiero dei padri, come nella tradizione cristiana, Roma era stata preparata dalla Provvidenza per essere centro della chiesa e per agevolare; con l'unificazione politica del mondo conosciuto, la predicazione del Vangelo. Una missione inferiore a quella ebraica, dal punto di vista spirituale, supe- riore dal punto d i vista terreno. È vero che la religione (come comunicazione deIl'uomo' con Dio) può sussistere senza sussidi terreni (sed vsnit hora, et nunc est, quando veri adoratores . adirabunt Patrern in spiritu et veritate), ma è anche vero che il tempio di Genisalemme fu per secoli il simbolo e il centro ,

del monoteismo, l'attrazione di popoli e genti per la piepara- zione messianica.

Variano, con i l tempo e lo spazio, i presidi terreni della religione, come variano i modi d i pensare, di vestire e di vi- vere in società; come variano i dati del processo storico e i modi di comunicazione di Dio a noi. Ma sia la grotta d i Beth- lehem, sia il portico di Salomone, o i l cenacolo o il Calvario o il monte degli ulivi, era necessario che Gesù si manifestasse, parlasse, morisse, risuscitasse e salisse al cielo, nelle forme di una vita temporale, in un dato ambiente storico, con date mo- -

dalità che colpiscono sensi e fantasia, per arrivare alla mente e a l cuore.

Poteva Dio scegliere altro tempo, altri centri, altri popoli, altri uomini, per l'epifania del Suo Figlio Gesù e per la propa- gazione del Vangelo. Chi fu mai suo consigliere? Genisalemme e Roma furono scelte; può negarsi che siano state preparate anche storicamente a così alta funzione? può mettersi in dub- bio che a tale funzione abbiano corrisposto, volenti o no, fa- cendo il bene e facendo il male, osannando e crocifiggendo Gesù, mettendo a morte Pietro e Paolo, ed esaltando Silvestro o Leone, ora cacciando i papi ora ricevendoli con gioia ed onore ?

La storia guardata dal punto di vista umano e individuale

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è una risultante di atti liberi e volontari, condizionati dai dati fisici, storici, sodali ch'essi presuppongono, e condizionanti, a loro volta, gli atti liberi e volontari che susseguiranno. Un mi- sto di libero e d i condizionato, di individuale e di sociale, in continuo processo: così vediamo la storia. Ma dal punto d i vi- sta provvidenziale, sotto tutto questo formicolio umano, chiuso nel suo ciclo di condizionamento e di volizioni, di pensieri e d i atti, si celano fini superiori, siano o no conosciuti, i quali si manifestano nella loro maturità oggettiva e nella nostra maturità soggettiva, come voluti da Dio. Allora la storia viene solcata da fasci di luce, che ne mettono in evidenza i misteri in essa nascosti, e che per contrasto rendono quasi più impene- trabili altri misteri lasciati nell'ombra per il giorno ( a noi non noto) della loro manifestazione.

Quando si capì che Roma aveva più che una gloria terrena una funzione superiore, e che tale gloria si trasmutava per un fine attribuitole, allora i l passato fu visto come un contrasto, una negazione da doversi cancellare, pe r~hè~per i s se quel che era inferiore e risorgesse quel che era superiore: Roma quae' eras magistra erroris facta es discipula veritutis, diceva S. Leone Bfagno nel sermone per la festa dei SS. Pietro e Paolo; ed ag-

. giungeva: « Disposito divinitus operi maxime congruebat, et « multa regna uno confaederarentur imperi0 et cito p e ~ i o s a haberet populos praedicatio generalis quos unius teneret re- « gimen civitatis. Haec autem civitas ignorans verae provec-

: « tionis auctorem, cum pene omnibus dominaretur gentibus u omnium gentium serviebat erroribus; et magnam sibi vide- « batur assumpsisse religionem, quia nullam respuebat £abita- « tem. Unde, quantum erat per diabolum tenacius illigata tan- u tum per Christum est mirabilius absoluta n.

Trasformata da pagana a cristiana, nobilitata nel fine, Roma

, aveva un nuovo compito permanente e quasi ad essa connatu- rato, essere centro della cattolicità, sede de1,papato. Gli uomini agiscono per i propri fini, la storia attua i fini di Dio. Costan- tino va a Bisanzio, l'impero si divide, Roma non è più sede degli imperatori che preferiscono Milano o Ravenna, l'impero d'occidente cessa di esistere, l'oriente sempre più si distacca, Roma sembra andare in rovina e perire. La sua vecchia destina-

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zione imperiale, la sua funzione di dominatrice terrena cadeva, perchè finita era quella funzione spirituale alla quale tale po- tenza era destinata ; il cristianesimo non poteva essere legato ad una concezione terrena, nè ad un presidio umano quale l'im- pero (che tendeva a servirsene ai suoi fini); nè pertanto, essere creduto dagli altri popoli non cristiani come un prodotto della Roma imperiale.

Questo svolgimento del piano provvidenziale non poteva es- sere compreso dai romani e romanizzati dell'impero, perchè nascosto nel mistero dei fatti umani, che contrastavano alla usuale concezione di unione della chiesa con l'impero; ma essi s'ingannavano : et sicut opertorium mutabis eos et mutabuntur, tu autem i&m ipse es. La ~ o m a ' medievale, la Roma papale e creatrice di un nuovo impero e di una cristianità storica sor- geva da Gregorio Magno in poi, si affermava con Leone 111, cul- minava con Gregorio VII, con Alessandro 111, con Innocenzo 111 e IV.

Troppo potere, troppe ricchezze, troppe agitazioni di guerre e di terreni interessi intrecciati a i grandi interessi della reli- gione: Homa e i romani sono così descritti da san Bernardo nella De Consideratione, scritta al suo discepolo Paganelli, no- minato papa: « Quid de populo loquar? Populus Romanus est. « Nec brevius potui, nec expressius tamen aperire de tuis pa- « rochianis quod sentio. Quid tam notum saeculis quam pro- « tervia e.t fastus Romanorum? Gens insueta paci, tumultui ,

assueta ; gens immitis et intractabilis usque adhuc, subi nescia, « nisi cum non valet resistere. En plaga: tibi incumbit cura « haec, dissimulare non licet. Rides me forsitan, fore incura- « bilem persuasus. Noli diffidere; curam exegesis, non curatio- « nem: Denique audisti: cura& illius habe (Luc. X, 55); et « non cura, ve1 sana illucl. Verum dixit quidam: Noin est in . « medico semper relettetur ut aeger (Ovid. De ponto, 1. 10) 1).

Anche il sacro romano impero si disfa; il papato medievale riceve il suo sacrilego sfregio ad Anagni; la cristianità è mi- nata fuori dall'Islam, dentro dalle nazionalità nascenti. Avi- h o n e soppianta Koma; io scisma s~razia la chiesa; Xuma si paganizza, l'eresia invade il mondo. È allora. che il vecchio si- stema cade e ne sorge uno nuovo: Roma cessa di essere impe-

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Gale, perchè cessa di. esservi un impero e una cristianità, ma diviene. più strettamente cattolica e papale, la Roma degli or- dini della controriforma, delle congregazioni romane, del col- legio d i Propaganda Fide, del Santo Uffizio, della visibile mo- narchia papale.

Questa è presidiata da uno stato secondo la concezione mo- derna, autonomo, indipendente, assoluto, sufficiente a se stesso e chiuso politicamente ed economicamente. Alla piccolezza dello stato viene supplito con lo splendore delle arti e delle scienze, delle costruzioni moderne; all'autoritarismo si accoppia il pa- ternalismo. Una funzione particolare ha questa Roma moderna : quella di circondare il papa di un suo mondo di cultura e di i

spirito internazionale e .universale, di fronte ai par'ticolarismi religiosi non solo delle chiese dissidenti, ma delle chiese dei diversi paesi cattolici ; e ai particolarismi nazionali e dinastici delle varie corti; e quella di serbare, nel frazionamento euro- -

peo, la visibilità di un centro potenziale e morale .del mondo cristiano. Formarsi un clero specializzato e. indipendente da al- tre potenze politiche e da interessi nazionali, e poter temperare le correnti contrastanti dei cattolici dei vari stati e creare il centro d i resistenza alla dissoluzione del cattolicesimo nel galli- canesimo, regalismo, febronianismo, episcopalismo di .tutto il resto dell'Europa Cattolica,. fu certo una grande funzione alla quale fu chiamata la Roma ridotta a piccolo stato e considerata come un museo o una pinacoteca internazionale.

Anche questo mantello del papato doveva reputarsi sciupato o per lo meno inadatto al nuovo periodo che si apriva con la bolla Dominus nc Redemptor d i Clemente XIV che sopprimeva i gesuiti, 'e arrivava, un secolo dopo, alla breccia di Porta Pia. Tutte le fasi storiche dall'occupazione francese di Roma, la re- staurazione dello Stato Pontificio al 1814, le successive guerre,

( rivolte, occupazione di provincie, fino alla caduta del potere temporale, segnano la trasformazione del potere politico degli stati europei da dinastico a popolare, da assoluto a democratico, da legittimo a rivoluzionario. Lo stato temporale sarebbe di- venuto per il papa o un potere assoluto da difendere all'interno con la tirannia e all'esterno con gli eserciti stranieri; ovvero

'

un potere costituzionale e nominale, per i l quale sarebbe stato

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obbligato a tollerare le esperienze politiche moderne, basate sulle libertà di coscienza, di culto, di parola e di associazione.

La Provvidenza, permettendo la caduta del potere tempo- rale, il regime di barentigie, la soluzione lateranense, ha di- simpegnato i l papato dall'ultimo residuo di presidio politico terreno caratterizzato da una successione di eventi storici che vanno dall'impero romano fino al potere temporale del secolo

' XIX.

Lo schema prosinodale del concilio Vaticano circa il potere temporale del papa, precisava in termini chiari la ragion d'es- sere di questo e di simili altri presidi terreni. cc Ut autem ro- « manus pontifex primatus sibi divinìtus collati munus ut i pa r « est adimpleret, iis indigebat praesidiis quae temporum con- (( ditioni et necessitati congrueret n.

La soluzione lateranense risponde a questo stesso criterio teologico, come secondo i tempi vi rispondevano, con più o meno efficacia, le altre forme di dominio,morale, feudale, poli- tico che i papi ebbero su Roma e per Roma, cioè quali presidi adatti alla condizione e necessità dei tempi. Ciò è confermato - -. dalla dichiarazione fatta dalla Santa Sede con l'articolo 26 del trattato del Laterano.

Quale potrà essere la funzione di Roma, riguardo al papato, oggi ch'essa è disimpegnata da quella classica e tradizionale d i resid dio terreno all'esercizio dell'ufficio 'del piimato pontificale della chiesa inerente al papa? Certo, esistono ancora dei legami fra Vaticano e Roma, legami religiosi e legami civili, ma l a funzione di Roma - nel campo del potere - è quella ormai di essere capitale del regno d'Italia. A poco a poco, congrega- zioni romane e centri di ordini religiosi prendono posto nella Città del Vaticano: restano in Roma palazzi e chiese pontificie extraterritoriali, quali i l Laterano, e la Cancelleria, ma queste possono considerarsi (da un punto di vista politico e non stret- tamente giuridico) come le ambasciate estere e come gli istituti internazionali. .

Una disposizione è consacrata all'articolo I del concordato

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che integra il trattato del Laterano, dove è detto: In conside- razione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che essere in contrasto col detto carattere D. Tutto il concordato mira non solo (come gli altri del genere) a salvaguardare i diritti della chiesa cattolica, ma a mantenere l'Italia e specialmente Roma, per quanto è possibile, moral- mente e religiosamente legate alla Santa Sede, in una superiore e cooperante armonia.

Sarebbe antistorico pensare che tutto andrà, sempre come nel migliore dei modi possibili, e che siano stati tolti una volta per sempre le difficoltà di convivenza, i motivi di contrasto, le .

eventualità di lotte e i periodi di persecuzioni. Mai la chiesa militante, e specialmente il papato, ebbe simili assicurazioni terrene, nè nell'antichità, nè nel medioevo, nè nel periodo mo- derno ; perchè dovrebbe averle oggi? La barca di S. Pietro voga sul mare: oggi sereno e domaqi tempesta.

Quel che interessa notare - per comprendere per quali vie la Provvidenza ci guida - si è che, per quanta'buona- volontà possano mettere i governi a impedire in Roma u tutto ciò che possa essere in contrasto col carattere di centro. del mondo cattolico, Roma è sotto un potere laico, che persegue i suoi fini temporali, siano o no morali, con mezzi morali o immorali, -

secondo i casi. I1 papato non ha altro modo di intervenire, sul piano de117attività temporale, che come capo della cattolicità (allo stesso modo che per ogni altro paese cattolico), consi- gliando, ammonendo, insegnando, condannando, in nome della fede e morale cattolica' e per l'autorità di cui è investito, anche in quelle materie che sono di per sè prevalentemente civili.

Un caso moderno del17esercizio di tale potere fu quello del non expedit, riguardo la partecipazione dei cattolici alle ele- zioni politiche del nuovo regno d'Italia. La disposizione ebbe

'

forma direttiva, un parere della Penitenzieria su domanda dei vescovi, che precisava l'inopportunità di tale partecipazione '

(non expedit). I n seguito (1895) Leone XIII dichiarò pubbli- camente e autorevolmente : non expedit prohibitionem importat. Pio X attenuò la portata (1905) riseAandosi la dispensa caso

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per caso. Benedetto XV ordinò alla Penitenzieria di ritirarlo (1919). \

Questo caso, nella sua caratteristica politica, prende un si- gnificato storico assai importante. Non ostante che il sistema giuridico pubblico attuale non dia al papa la possibilità di eser- citare un potere riconosciuto nelle questioni civili connesse con le religiose, come avveniva nel passato, oggi tale potere, nel suo carattere etico e religioso, si esprime in maniera adatta alla nuova concezione politica. Perciò tale' potere, se non ha pi8 sanzioni civili, nè internazionali, non ha neppure il braccio secolare che ne esegua le decisioni: esso fa appello alla ' co- scienza dei fedeli. Così, nel caso dell'Action Franpaise, la proi- bizione 'di far parte di un associazione di carattere politico, ri- mane efficace nel foro della coscienza, senza poter passare (co- me ai tempi dell'amien régirne) nel campo del diritto, quale legge di stato con la pubblicazione nelle forme tradizionali e per ordine del re della bolla papale di condanna.

Quel che fu detto, e fu realmente, potere diretto dei papi in temporalibus ( e come tale contrastato); quel che fu poi at- tenuato nella formulazione teologica come potere indiretto ( e

anche così contrastato); oggi si presenta come potere direttivo, sempre in temporalibus, sempre r a t i~ne~pecca t i (anche questo contrastato.come nel caso del non expedit.e.in.quello.dell'Action. Franpaise); ma è lo stesso e identico potere allora e oggi. Sono cambiate solo le condizioni esterne, civili, giuridiche e politi- che, statali e internazionali, dell'esercizio e dell'effettuazione del potere, non la natura, non la ragion d'essere, non la por- tata morale e religiosa.

La perdita dello Stato Pontificio e di Roma, di ogni vero potere civile, in quanto tale .legato ad una società scom- parsa e ad un regime pubblico sorpassato, fu un fatto storico ineluttabile. Il riconoscimento di questo fatto storico, impli- cato nel trattato del Laterano, fu il segno del passaggio da una situazione storica ad un'altra: i l papa non segnò nè la perdita del diritto alla libertà e indipendenza sovrana, nè la diminu- zione del suo potere in temporalibus, ma diede atto che erano divenute diverse le condizioni per garantire la sua libertà e per esercitare un tale potere.

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Roma, perciò, sarà da ora in poi civilmente di un potere laico, riconosciuto dalla Santa Sede come legittimo ( e non più come usurpatore). Allo stesso tempo e per quanto possibile, Roma sarà, nel suo decoro civile e morale, rispondente « al ca-' rattere di Città eterna, centro del cattolicesimo, meta di pellegri- naggi 1); ma ciò a cura esclusiva del governo italiano (adattan- do al caso il fraseggio di Bonifacio VIII), non più ad nutum et e

patientiam sacerdotis.

Si può dare la qualifica di Anti-Roma a quei centri antago- nisti del ~attolicesimo e del papato, per lo' più capeggiati da governi o re o imperatori. Riferendosi ai tempi moderni poteva dirsi Anti-Roma la Parigi d i Napoleone ai tempi del conflitto con Pio VII. Pietroburgo degli zar del secolo XVIPI-XIX, po- teva dare l'idea, fino a un certo punto, di essere anch'essa un'Anti-Roma.

Non bisogna insistere troppo nelle immagini mal, definite, retoriche e confusionarie. Oggi vengono segnalate due Anti- Roma, Mosca e Ginevra. Non si tratta più di una personalità come Napoleone, nè di un capo secolare di chiesa dissidente, come lo zar delle Russie o un Kaiser dell'impero germanico quale Guglielmo 11, ma di due simboli della lotta contro il cat- tolicesimo : il comunismo bolscevico sotto l';spetto materialista ed empio dei senza-Dio, e la Società delle nazioni fatta passare .per prodotto laico-massonico del pacifismo umanitario.

È; evidente che qui non si esce dal simbolo più o meno for- zato, costruito arbitrariamente con immagini retoriche. Dal pun- to d i vista religioso, tutto quel che non è ortodosso è contrario a l cattolicesimo; sia il comun,ismo di Mosca, o il nazismo di Berlino, o il laicismo di Parigi o il fascismo di Roma e via via, nella misura in cui si oppongono, praticamente e idealmente, , al dogma e alla morale cattolica, sono, se così piace chiamarle, anti-Roma, anti-Vaticano, in sostanza anti-cristianesimo.

Non è questa l'idèa che si suole avere dell'Anti-Roma; que- sta diviene immagine concreta quando quel ch)è contrario al cattolicesim~ viene trasportato ( in quanto tale) nel camp'o del-

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l'organizzazione internazionale dei paesi cristiani. Roma è così il simbolo di quella struttura esterna della società cristiana o cristianità che è servita e serve all'affermazione e al progresso della chiesa cattolica, perchè Roma è servita ai piani prowi- denziali come centro e sede del papato, attraverso le vicende storiche della sua esistenza, grandezza, decadenza, trasforma- zione. Tutto ciò, adunque, che può sembrare ed è opposto al piano provvidenziale di Roma, può reputarsi antiromano, con- trario alla missione di Roma cattolica e papale.

Qui siamo sopra un concetto storico (non piu simbolico O

generico ma specifico), che c'interessa da vicino, in quanto oggi, come abbiamo visto, i l ruolo di Roma cattolica e papale si è attenuato a causa del suo passaggio al ruolo di capitale del regno d'Italia.

Escludiamo subito che, da questo punto di vista, Ginevra sia un'Anti-Roma. Non c'importa se nel pensiero di Wilson e nella scelta della città d i Calvino ci sia stata intenzionalità; nè guar- diamo al fatto del mancato invito al papa (nella costituzione) come di uno sfregio voluto fargli, dopo la celebre lettera di Benedetto XV sulla pace ( 1 agosto 1917). Fra i promotori vi furono massoni e non massoni; vi furono anche cattolici, fra i quali eminente per carattere e virtù il re del Belgio.

Se i l papato avesse oggi il-compito-internazionale'.del me- .. - dioevo, Ginevra senza il papa sarebbe certo eretica e,scomuni- cata: sarebbe un'Anti-Roma. Non si lagnò Gregorio IX con il vescovo Giacomo di Capua per avere questi collaborato alla formazione del Liber Augustalis di Federico 11, raccolta di leggi che sembrò allora creare un -antagonismo (un'anti-Roma) d i fronte alla collezione dei canoni e decretali? Forse in un'altra cristianità futura potrà i l papato essere chiamato ad adempiere un ruolo internazionale politico e giuridico maggiore di quello del medioevo. Non sappiamo nulla di quel che sarà di qui a cento o mille o duemila anni; solo sappiamo che il papato so- pravviverà a tutti i possibili cataclismi umani.

Oggi la Società delle nazioni (questa o altra non importa) ha la sua ragion d'essere come società di stati, basata sul diritto internazionale in formazione, a carattere etico-naturale. 11 pa- pato può collaborarvi e tenervi rappresentanti ufficiali o uffi-

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ciosi, secondo i casi, così come collabora con ogni stato mo- derno, con il quale è in relazione occasionale o permanente. Nessuno dirà che gli Stati Uniti d'America siano Anti-Roma perchè non hanno ambasciatore presso i l Vaticano e non c'è il nunzio a Washington, o perchè sono ilno stato laico, nel senso non religioso della parola, o perchè il presidente o parte dei . senatori siano framassoni. Fino a che .la Società delle nazioni non ha principi immorali nella sua costituzione e non perse- gue fini antireligiosi (quel che si dice per la Società delle na- zioni vale per l'unione pan-americana o per altra società di stati sia generale che particolare), i l papato non ha ragione di vedervi un antagonista, nè ha ragione di rigettarne le buone iniziative, nè di ostacolarne lo sviluppo, nè di minarne aperta- mente o segretamente l'esistenza. È quello che han fatto Bene- detto XV e Pio XI.

Una delle più recenti manifestazioni, che è doveroso rilevare, per mettere a tacere coloro che vogliono far passare i l Vaticano come se fosse contrario a Ginevra ( e questa fosse un'Anti-Roma) - e ce ne sono anche in Inghilterra - è il messaggio inviato da mons. Besso, vescovo di Ginevra Losanna e Friburgo, il 20 settembre ultimo, in occasione del pontificale celebrato nella chiesa di Notre-Dame a Ginevra alla vigilia dell'assemblea della Società delle nazioni; messaggio riprodotto dallo Osservatore Romano del 28-29 settembre. Vi si legge:

I1 14 novembre 1920, in occasione dell'apertura delle prime sedute della Società delle nazioni, vi esprimevamo, con un en- tusiasmo che gli avvenimenti non hanno forse giustificato, l6 speranze di cui il nostro cuore era riempito. ~a lu i i amo la So- cietà delle nazioni, dicevamo allora, siamo felici e fieri che essa abbia la sua sede nel nostro paese. Forse l'avvenire proverà . che abbiamo peccato di ottimismo; temeremmo molto di piit di peccare contro la speranza. l

.N Riteniamo di seguire lo spirito del Divino Maestro ten- dendo lealmente la mano a coloro che lavorano per la pace. È solo da Lui, in definitiva, che prendiamo la nostra parola d'ordine, e non temiamo che ci rimproveri mai di avere fatto quel che dipende da noi affinchè le fosse che separano i popoli

I siano colmate e gli ostacoli spianati ».*

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(C Ecco quello che dicevamo, sedici anni or sono. Abbiamo perciò, da un lato fatto credito, fin'dalle prime ore, alla Società delle nazioni, e dall'altra parte affermato nettamente la nostra fermissima volontà di collaborare alla grande opera della pace.

C( Questo duplice sentimento non l'abbiamo mai ritrattato. Persistiamo nel credere che la Società delle nazioni, nonostante che essa abbia bisogno di una seria riforma, conservi tuttavia la sua ragione di esistere e non rifiuteremo mai la nostra colla- borazione, non ai sabotatori della pace, più o meno camuffati, ma a tutti gli uomini di buona fede, risoluti ad unirsi sincera- mente per impedire l'orribile flagello della guerra, messo dalla chiesa cattolica sullo stesso piede che la peste e la fame. A peste, fame et bello libera nos, Domine.

(C Restiamo pertanto pienamente conseguenti a noi stessi do- mandando a quelli dei nostri diocesani o dei nostri correligio- nari che si interessano direttamente o indirettamente ai lavori della Società delle nazioni, che non perdano coraggio e che

, non indietreggino davanti a nessuno sforzo per allontanare la guerra e stabilizzare la pace n.

Ciò non toglie che vi possano essere cattolici ai quali l'at- tuale Società delle nazioni risulti antipatica e altri ai quali sia simpatica; purchè i loro sentimenti particolari non vengano fatti passare come orientamento cattolico-e-papale, -potranno - avere ragioni pro o contro; ma non è legittimo parlare di Gi- nevra come Anti-Roma, anche quando i l papa non vi è ufficial- mente riconosciuto (come fu Leone XIII per le riunioni dell'Aja, non ostante l'opposizione del governo italiano); poichè i papi non han subordinata la loro attività religiosa alle sconvenienze dei governi e dei re, anche di quelli di un tempo, come i re cattolici di Spagna e i cristianissimi di Francia e gli apostolici di Austria. Se a Ginevra cyera da fare il bene, nè Benedetto XV nè Pio XI han mancato di essere in certo modo presenti con i loro documenti, con i loro nunzi o con le in'iziative cattoliche da essi benedette e incoraggiate. Se c'è da correggere, orientare, riprendere, spingere, essi interverranno sempre a Ginevra, co- me a Parigi o a Roma o in capo al mondo, nelle forme più '

adatte, più evangeliche, sul terreno dottrinale e morale, oppor- tune, importune.

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A ben comprendere certi stati d'animo in Italia e fuori, presso caftolici convinti e presso cattolici occasionali, sembra che in fondo al loro pensiero vi sia una concezione, non ancora bene sbozzata, di una nuova Santa Alleanza, nella quale i l Va- i

ticano entrerebbe per l'apporto di ordine, disciplina, spirito gerarchico che dà il cattolicesimo, al fine di un migliore assetto europeo autoritario e corporativo. I .

Questa idea deriva dalla concezione politica dell'Action Fran- caise, quella di prima della condanna, con la sua preferenza per un cattolicesimo alla maniera di Augusto Comte, con un suo speciale tomismo di seconda qualità, con la sua adesione senza convinzione al Sillabo di Pio IX, e con un corporativismo pa- ternalistico. Ma 1'Action Francaise non era internazionale, se non perchè cercava*il'pr~dominio della Francia, nè era cattolica che come utilizzazione politica della religione. La condanna le tolse la possibilità di creare una mistica fra i cattolici francesi per servire di attrazione a quelli degli altri paesi; e la mancata conquista del potere le ha tolto la possibilità d i una purifica- zione alla Hitler, che prima di divenire cancelliere provò in varie diocesi tedesche i rigori canonici che prova in Francia 1'Action Francaise. .

L'appello di Hitler ad una crociata contro il comunismo russo, gli avvenimenti spagnoli, che per Quanto specifici a quel- l'ambiente sociale storico hanno subito indubbie influenze da Mosca, i l fronte popolare francese, dove i comunisti giocano u n molo importante (che domani potrebbe essere decisivo), -hanno dato motivi all'idea di un blocco apticomunista, 'sul ter- ' , . reno politico, con l'apporto del papato, anch'esso preoccupato del male che il comunismo recherebbe ad un'Europa bolsce- vizzata.

Questo piano soffre, anzitutto, del difetto ch'ebbe l'appello della Santa Alleanza; allora Pio VI1 non volle, sia pure in un documento che si richiamava al Vangelo, alla giustizia e alla ca- rità, apporre la sua firma a fianco dei capi di chiese protestanti e ortodossa quali 'il re di Pmssia e lo zar di Russia; mentre la Gran Bretagna si rifiutò dall'altro lato, perchè pensava che i

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l +

governi degli stati debbono tutelare interessi, non proclamare crociate di principi. Oggi, mentre l'Inghilterra si rifiuterebbe di nuovo di dare alla sua politica un carattere di lotta di.prin-

,cipi (Eden lo ha dichiarato a Ginevra, quasi in risposta ai di- scorsi di Norimberga), Pio X I non potrebbe, nella lotta reli- giosa al comunismo, unirsi alla lotta politica e germanica che ha iriiziato Hitler per combattere il patto franco-msso. I due piani non possono essere confusi.

Per giunta, nel periodo della Santa Alleanza i papi, come capi di uno stato italiano, erano legati all'indirizzo politico d i Vienna e agli interessi della restaurazione; oggi il papa, disim- pegnato da una politica determinata come re di uno stato, ha solo la cura di dare al problema religioso tutta la sua luce, senza impacci nè preoccupazioni politiche. Oggi neppure i ma- levoli potrebbero identificare la politica anti-russa di Berlino o di Varsavia, di Roma fascista o del Portogallo, con quella del Vaticano. Le direttive pontificie potranno incontrarsi con quelle politiche delle varie dittature, ma non potranno mai identificarsi, nè confondersi, nè subordinarsi le une alle altre. In questo senso una santa alleanza non è oggi possibile; Roma papale non può essere presa, come simbolo di una politica an- tirussa degli stati o dei partiti europei, attuata nei vari loro -- paesi a scopi particolari. - - - * -

Per dare un'idea dell'arrière pensée della campagna hitle- riana, basta leggere l'articolo di Pertinax sull'Echo cle Poris del 15 settembre, dove è ricordato che Hitler si era sempre pro- nunziato per una stretta cooperazione fra la Germania e la Russia; egli il 5 maggio 1933 rinnovò i l trattato germano-russo dell'aprile 1926, già spirato nel 1931 senza che Briining o al- tri'l'avesse rinnovato; il 27 marzo 1934 Hitler conchiuse un protocollo finanziario ed economico con la Russia. Altro ac- cordo nell'aprile 1935. Possibile che Hitler si sia accorto del pericolo msso solo dopo l'accordo che la Russia ha stipulato con la Francia?

L'Italia fascista è stata ancora piìi fedele a Mosca; essa fu la prima a riconoscere i1 governo di fatto, e a mantenere con esso rapporti amichevoli. La Russia è stata la prima a sostenere il ritiro delle sanzioni dopo la presa di Addis-Abeba. Lo scac-

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I3 - STCIRZO - Politica e morale

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chiere europeo è così mobile, da non far meraviglia che gli stati cambino posizione secondo lo svolgersi e spostarsi d'inte- ressi politici e economici. Se nell'ambiente arroventato d i una Europa armata fino ai denti, e pronta alla zuffa, si trasporta l'urto delle ideologie dittatoriali, rosse, nere e brune, sia nel- l'interno di ogni paese (come in Spagna) sia nella 'lotta inter- nazionale, non si farebbe altro che affrettare la catastrofe che si teme, catastrofe materiale e morale senza precedenti e tale da segnare la fine della povera Europa.

'

' Tutto quel che abbiamo detto circa una pretesa e 'irrealiz- - zabile seconda Santa Alleanza, dovrebbe rendere più cauti quei cattolici che oggi tentano identificare gli interessi della .chiesa con un determinato regime politico. Questo fu l'errore, circa quarant'anni fa, di una frazione di democratici cristiani; que- '

sto piace oggi ripetere ai clerico-fascisti di qua e di là delle Alpi. I1 regime autoritario li seduce, il corporativismo, nella parola se non nella sostanza, riecheggia le teorie sociali della Rerum Novarum. Austria e Portogallo sono fatte passare per tipi di stati cattolici; si spera che la Polonia vi diventi. L'Italia si spera che offra i l tipo di compromessi del fascismo con il cattolicesimo. Si potrebbe arrivare ad una maggiore compene- trazione dell'idea fascista nel cattolicesimo (pensano i fascisti cattolici) ovvero dell'idea cattolica nel fascismo (pensano i cattolici-fascisti). Allora la Roma capitale d'Italia diventerebbe la Roma centro del fascismo cattolico e l'organo politico del .

-

cattolicesimo nel mondo. Una nuova cristianità si verrebbe a formare, cristallizzata in un impero fascista e cattolico .medi- terraneo, irradiantesi al di là del mondo latino, forte nucleo per una nuova e autoritaria Società delle nazioni.

Coloro che pensano così hanno l'idea che le democrazie siano lì per crollare, che il dilemma u comunismo-fascismo n s'imponà a tutti, che contro i l comunismo la chiesa dovrà adempiere' il ruolo ch'ebbe contro l'islamismo, cosa che solo potrà fare efficacemente a mezzo del fascismo, divenuto il pro- lungamento mondano e militare dell'organismo della chiesa. A simile concezione manca un elemento essenziale: la fede cristiana che animò tutte le istituzioni storiche del medioevo; allora il potere secolqre non era fuori della chiesa ma nella

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chiesa perchè era cristiano; la chiesa non-era fuori della strut- tura sociale, ma, pur unificandola in un piano superiore, era essa stessa partecipe della medesima struttura economico-feudale.

Oggi lo stato è essenzialmente laico, sulla base originaria della sovranità popolare, di tendenza totalitaria, di carattere irresponsabile, concepito immanentisticamente come fine a sè stesso. Non solo non è dentro la chiesa, ma tenta assorbire la chiesa ai suoi fini e nella sua stessa immanenza. I1 fascismo ha reso più evidente i l totalitarismo e l'immanentismo, dello stato, ha accentuato il carattere di fine dell'uomo, ha eliminato, sop- presso, conculcato i diritti della personalità umana. Manca, pertanto, dei titoli necessari e intrinseci per essere l'amplia- mento temporale del potere spirituale del papato, e per dare alla Roma capitale d'Italia i l ruolo ch'ebbe nell'impero caro- lingio e nell'impero romano-germanico.

Quell'unificazione culturale ed etico-sociale cristiana, che fu a base della grande esperienza storica dell'occidente medie- vale, manca all'Europa moderna. La divisione di fascismo e antifascismo che trascina oggi le masse verso una lotta sociale, non deve trasportarsi dal dominio politico ed economico a quello religioso, nel seno della chiesa. Ogni paese ha le sue esperienze e i suoi .atteggiamenti : l'unità religiosa come l'unità politica dell'Europa non sono oggianella-possibilità umana.

Dio prepara il futuro: l'avere Egli permesso che la . chiesa non abbia più alcun potere civile; che i presidi storici o re- putati tali, quali l'impero austriaco e la monarchia spagnola, siano caduti; che Roma stessa sia stata distaccata politicamente dal Vaticano, non può nè deve essere senza una ragione prov- videnziale.

Nè i nazionalismi e particolarismi politici, nè le divisioni e lotte sociali di classe, nè le democrazie laiche, nè le dittature totalitarie saranno quelle che potranno unificare l'Europa e preparare la nuova cristianità, ma sòlo un rinnovato spirito cristiano, che dai nuclei fedeli e disciplinati si diffonderà nella vita sociale e politica di domani. Allora molti degli avvenimenti presenti saranno più chiari e comprensibili agli uomini di fede, che sapranno meglio di noi valutare quali furono nei nostri giorni la vera Roma e la vera anti-Roma.

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Che ci siano rapporti fra coscienza e poIitica non può met- tersi in dubbio; che tali rapporti siano, nella pratica, costanti e sereni non può affermarsi; che si debba cercare d i migliorarli è aspjrazione comune, più o meno sentita secondo gli stati d'animo di coloro che fanno la politica, di coloro che dicono d i non farla e degli altri che la subiscono.

Per fissare di quali rapporti si parla, occorre precisare i termini d i coscienza e di politica usati in questo scritto, evi- tando l'equivoco che' può derivare dalla molteplicità dei signifl-

- cati che i vocaboli esprimono. Coscienza è presa come piena conoscenza di quel che si desi-

dera ottenere e la relativa determinazione per ottenerlo, for- mando la sintesi che precede l'atto umano personale. Si esclu- dono quindi gli atti impulsivi e quelli fatti per errore; in una parola, si escludono quegli stati d'animo nei quali resta incom- pleta la sintesi di coscienza e decisione.

Politica è presa ad indicare le finalità, personali o collettive, riguardanti la gestione della cosa pubblica, tanto dei singoli cittadini (voto, pagamento delle imposte, servizio militare, pub- . blico impiego) quanto di coloro che hanno cariche rappresen- tative, amministrative e di governo.

La valutazione dei rapporti fra coscienza e politica può es- sere fatta sotto due aspetti: il soggettivo e l'obiettivo. Dell'uno e dell'altro facciamo oggetto del presente studio. Non ci occu- piamo, nell'esame dell'aspetto soggettivo, d i ciò che in maniera implicita o esplicita possa alterare la moralità dell'atto umano, specialmente le cosidette intenzionalità secondarie. Fare l'ele- mosina per esser &o, fare un favore per averne un altro, mo- strare di voler servire per irretire, sono elementi di un'involu- zione morale che inficiano tutti i rapporti umani; qualsiasi azione, anche la più sacra, ne esce macchiata, non ostante che il fine primario, una volta raggiunto, possa recare vantaggio individuale o collettivo. Non si tratta, in questo caso, d i rap- porti caratterizzanti la politica, benchè questa ne sia assai spesso alterata, ma tutta l'attività umana anche la più elevata, come la cultura, l'insegnamento, la religione.

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COSCIENZA E POLITICA

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Cap. I

DEI FINI E DEI MEZZI

I1 fine della società civile organizzata in stato e in enti ter- ritoriali locali - naturali quali i comuni e altri centri abitati o circoscrizionali quali le provincie e le regioni - è quello generico del bene comune sotto l'aspetto temporale, relativa- mente ai compiti di ciascun organo politico, centrale o locale. "

Le autorità ad essi preposte, e i cittadini che direttamente o indirettamente vi cooperano, non possono volere altro fine.

È però ovvio che i fini particolari sono da riguardarsi come mezzi al fine generale, e la ricerca dei mezzi idonei per il rag- giungimento dei fini particolari è anch'essa una specificazione di fini voluti come mezzi, e così di seguito, arrivandosi al primo passo che è l'atto voluto e ordinato a tutta una serie d i fini che si .trasformano in mezzi. È questa la vita umana:-il-bambino studia per imparare ( è un fine); impara per procedere d i classe in classe per ottenere un diploma ( è un fine); ottenuto il primo diploma ne cerca altri e così via fino a che avrà un titolo pro- fessionale, e poi un posto, così la vita di ogni giorno, tutta la vita; i fini raggiunti divengono mezzi per fini ulteriori, con un continuo intreccio di fini particolari per arrivare al fine ge- nerale e al vero fine dell'uomo: il bene, i l bene goduto che chiama altri beni i n indefinito.

L'attività dei singoli diretta al bene della comunità porta lo stesso intreccio d i fini che divengon mezzi per un fine ulte- riore, prendendo luce dal fine generale: il benessere; è questa la lampada di -;uida, più o meno chiara nella foschia del pro- cesso umano, verso un futuro non conosciuto, per i l quale il passato diviene il condizionamento alla nostra attività ; futuro

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pieno di speranza maturata nell'atto presente che è la nostra azione irrevocabile nella sua entità e nei suoi effetti.

La coscienza di chi agisce è conoscenza, o meglio presenza, del fine generale e del fine o dei fini particolari voluti in una stretta e vicendevole connessione. Se manca tale conoscenza, se il fine non è presente e non urge, alterato da altri fini secon- dari più o meno divergenti, l'azione non può dirsi perfetta- mente cosciente, manca di quella impronta che la fa operativa ed efficace.

I1 finalismo umano si risolve nella stessa volontà di operare, perchè per natura non è nè può essere incoerente; ma questa volontà se non è illuminata dalla conoscenza del fine che si vuole ottenere, non può concretizzarsi in realtà creativa. L'uo- mo indeciso, vacillante, manca di chiarezza del fine che vuole raggiungere, di sufficiente valutazione nella scelta dei mezzi; ovvero non sa affrontare le difficoltà interne o esterne che vi si frappongono, il cui superamento è fine immediato per sgom-. brare la via al raggiungimento del fine principale.

I1 lavorio, breve o lungo non importa, .che precede la deci- sione .della scelta dei fini e dei mezzi e quindi la specificazione, graduazione, concatenazione dei fini immediati, è opera della coscienza, cioè della intelligenza e della volontà unite insieme in sintesi ope;ativa diretta alla realizzazione politica.

La valutazione del fine è fatta sotto vari aspetti, alcuni pre- giudizicili, altri diretti, altri infine concomitanti. È pregiudi- ziale l'esame della propria competenza ad agire sul piano po- litico, o del diritto o meno di invadere i l campo altrui, e i n questo secondo caso, se si possano superare f limiti imposti al- l'azione dalla legge o dagli accordi fra gli interessati.

È anche pregiudiziale la valutazione della rispondenza o meno ai principi etici di quanto si ha in animo di fare. +Que- st'ultimo esame, posto qui come valutazione pregiudiziale, ci porta ad un punto interessante del presente studio, che sarà esaminato a suo luogo: precisare quale valore abbia l'impera- ,

tivo etico nella attività politica; per il momento basta l'accenno alla pregiudiziale sollevata dalla coscienza di chi rende una halsias'i ihiziativa nel settore politico, per rendersi conto an- che dei riflessi morali: riflessi che accettati, come le altre pre-

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giudiziali della incompetenza e dei limiti del proprio potere, possono fare ostacolo all'azione. Ma ciascuno può procedere oltre ritenendole superabili o perchè non chiare o non valevoli al caso, ovvero perchè urgono altri elementi più importanti che spingono ad operare.

Superate le due pregiudiziali riguardanti il fine da raggiun- gere, e ritenuto che questo sia oggettivamente un bene degno di essere perseguito, si passa alla valutazione dei mezzi riguardo i quali vengono a presentarsi varie pregiudiziali da risolvere, comprese quelle della competenza, possibilità, adeguatezza, mo- ralità: ciascuna pregiudizìale presenta problemi da risolvere, nei quali si esercita la coscienza operante dell'uomo politico, fino ad arrivare alla decisione concreta.

I1 processo del quale abbiamo schizzato le linee può essere intuitivo e rapido; può essere invece analitico, lungo e faticoso; può essere fermato a metà e ripreso in condizioni più adatte; ovvero portato a conclusione senza soste. In ogni caso, l'uomo di governo o il cittadino che tende a organizzare 1'opposiz~ne, i l dirigente di partito o l'antagonista che vuole cambiare « l'or- dine costituito », non operano da soli; anche il monarca asso- luto, il dittatore o il tiranno, non operano da soli, hanno biso! gno dell'altrui cooperazione (non importa se libera o coartata), per influire nel campo delle attività pubbliche. Questa coope- - razione di uomini associati anch'essa è un-fi-do'si tende a formarla e a mantenerla, ma è un mezzo al momento di ope- rare per realizzare quel che si è deciso; appartiene quindi alle stesse categorie dei fini e dei mezzi e della valutazione di pos- sibilità, legittimità, moralità e utilità, tutte indispensabili nel settore delle realizzazioni politiche.

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Cap. I1

DEL CONDIZIONAMENTO

L'azione umana, individuale o associata, è sempre condi- zionata, e se non fosse tale non potrebbe svilupparsi. I1 condi- zionamento è interno ed esterno, fisico e spirituale, storico e sociale; serve allo stesso tempo da impedimento e da spinta ad , operare. I nostri stessi bisogni, le nostre sofferenze, le nostre limitatezze condizionano l'azione, che pertanto pur non essendo esclusivamente libera, è sempre libera anche se condizionata.

Non è solo l'azione umana a essere condizionata; sono con- dizionati la conoscenza e il volere e quindi anche la coscienza nella sua sintesi di conoscenza e volere diretta all'azione. Chi non ha piena conoscenza dei fini propostisi o dei mezzi da sce- gliere, è condizionato dalla sua ignoranza, sia pure relativa al- l'oggetto dell'azione; si dirige con incertezza in mezzo a diffi- coltà create dalla propria condizione e non dissipate dai con- sigli avuti se questi non sono stati atti a illuminarlo. Per rim- balzo la mancanza di piena conoscenza dei fini e dei mezzi rende

, la volontà indecisa, oscillante, debole. Altri condizionamenti della coscienza pratica, tra i più dif- .

ficili a superare, sono il pregiudizio comune, il complesso di inferiorità, lo spirito di corpo, e quello che gli asceti chiamano rispetto umano. La coscienza in tali casi per così dire si contrae, rendendo difficile la sintesi di conoscenza e volizione che dà la spinta all'azione ; la siintilla creativa non arriva ad accendersi, perchè il pregiudizio e l'esterno influsso dell'opinione dei più, ingigantiscono nella mente le difficoltà da superare, ~ o r t a n d o a d una specie d i paralisi della volontà. Al contrario, se per poco entra in funzione il sentimento del dovere, la pressione

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di elementi esterni autorevoli, il conforto della solidarietà d i compagni od amici, allora si ridestano le forze psichiche mor- tificate e si superano quelle incertezze che ostacolano l'azione.

È bene intendere il significato sociologico del « condiziona- mento ». Questo non è inteso come un puro impedimento al- l'azione, una necessità fatale che s b a m il passo; il condiziona- mento è tutt'altro: concorre ad affrettare l'azione come a ri- tardarla, a favorirla come ad ostacolarla, a renderla facile O

difficile, a farla fruttificare, come a sterilizzarla. Tanto il con- dizionamento esterno che quello interno esistono sempre ed in- fluiscono sempre, senza per questo impedire l'attività umana.

Così il condizionamento nel campo della politica va inteso come naturale limite di attività associata, anche quando si tratti di iniziativa e di attua,zione personale e ~ e r f i n o individualistica, dovendo l'individuo trovare sempre e dappertutto consenso e cooperazione per attuare i propositi anche più reconditi. I1 for-

P marsi di gruppi, fazioni, partiti, associazioni generiche e specifi- che, sette e società segrete e tutto quel complesso di enuclea- zione che risponde alle condizioni di tempo luogo e avveni- menti, condiziona qualsiasi attività

È naturale che l'aggruppamento quale esso sia, con i propri statuti, premesse teoriche, finalità specifiche, uso di mezzi ap-

-- propriati, influisca a formare la coscienza individuale di ciascun associato, e si rifletta positiyamente o negaiivamznte nei nuclei -"

affini ed opposti. Da ciò derivano i consolidamenti o l e devia- zioni di coscienza (secondo il tipo e gli scopi del gruppo), e quello spirito gregario che un gruppo strettamente organizzato forma fra i propri associati. Ne deriva anche la formazione di correnti antagoniste o divergenti che nel campo della politica vengon classificate come partiti, e che nell'ardore della lotta dicono bianco perchè l'avversario dice nero, o viceversa, creando volutamente un'alterazionq collettiva allo spirito di verità, as- sumendo così posizioni irrazionali e immorali.

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Cap. 111

DEL CONVINCIMENTO

Quali che possano essere gli effetti pratici della ricerca dei fini e dei mezzi diretti all'azione politica e quelli positivi O

negativi del condizionamento, uno solo è il decisivo: il convin- cimento del soggetto operante, che attraverso una via lunghis- sima fatta d i tutti i giorni e con esperienze diverse, giunge alla conclusione che sia quella e non altra la via da prendere.

I1 convincimento per essere tale deve essere diretto, cioè , - maturato dall'agente per suo proprio sforzo intellettivo e spe-

rimentale, teoretico e pratico. Ma l'uomo è limitato; sia esso l'uomo politico più veysato e tenga posti di grave responsabilità. È impossibile che su tutte le materie nelle quali deve intervenire il suo atto decisivo e pratico possa egli avere una convinzione diretta; in molte cose sarà una convinzione di riflesso, per fidu- cia verso i propri collaboratori ed esecutori, per abitudine tra- dizionale, per consenso di corpi collettivi ai quali è assegnata una parte cospicua di responsabilità (consigli di stato, consigli superiori e simili). Infine vi può essere un convincimento di carattere secondario e complementare, limitato a una determi- nata utilità pratica, pur non mancando la convinzione della utilità o necessità generica o teorica. A questa categoria di con- vincimento secondario e complementare si può assegnare la legge delle guarentigie trovata come un ripiego atto a prowe- - dere ad alcuni lati della situazione del tempo, senza per questo essere ritenuta risolutiva di un conflitto della cui importanza e durata non potevan farsi serie

È evidente che quanto è più forte e radicato il convinci- mento, tanto più efficace ne deriva l'azione comspondente, non

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importa se vi si impieghino anni di lavoro, di conflitti e di sa- crifici. Questo fa la forza degli uomini e dei gruppi politici, arrivando ad imitare, nel campo naturale, quella fede che muove le montagne. Non è detto che il conv'incimento coincida con la utilità o con la necessità pubblica, che sia sorretto da tutte le qualità più elevate dello spirito umano: giustizia, moralità; l'uomo convinto, anche sbagliando, è quello che può convin- cere gli altri e oreare quello spirito di cooperazione, avventura, fanatismo che suole trascinare alle più ardue imprese.

Per esservi vero .convincimento la coscienza deve esservi impegnata in toto: è impossibile un convincimento senza l'in- flusso della coscienza come funzione sintetica delle facoltà in- terne dell'uomo. Non si tratta della pura apprensione di una verità speculativa, che basta all'intelletto e lo soddisfa nella contemplazione della verità appresa, quale potrebbe essere l'esi- stenza dell'Everest per tanti miliardi di uomini che non pen- sano punto di andarlo a scalare. Si tratta della convinzione pra- tica che tocca l'uomo d'azione, e per,giunta nel campo politico che è fatto di ipotesi e approssimazioni; come quel gruppo di uomini che erano convinti della possibilità, uti- lità e imprescindibilità della unificazione dell'rtalia allora di- visa in vari stati.

Per arrivare a creare tale stato d'animo- comunicab bile a molti altri e reso effettivo, il convincimento non può essere di- sgiunto da una valutazione etica fondamentale, che sia alla base della giustificazione 'dell'impresa politica; altrimenti non sarà vero convincimento mancando del pathos che ogni ,vero convincimento comunica agli altri.

A questo punto viene ad imporsi il problema più grave che si possa affrontare in politica: quello del rapporto del convin- cimento con i principi morali. Riserviamo ad altra parte di que- sto scritto l'esame della'problematica che solleva l'ordine mo- rale nella pratica politica; qui notiamo solo, come elemento indispensabile per la formazione di un saldo convincimento po- litico, oltre all'utilità, al vantaggio, alla necessità dell'azione, anche il suo valore etico, comunque sia stato rilevato, anche sbagliando per passionalità o per visione incompleta dei rap- porti morali o per sopravvalutazione di alcuni degli elementi

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a danno di altri. Questo fatto è di ogni giorno, in tutte le valu- tazioni che precedono la determinazione dell'atto. Deve un av- vocato accettare una causa che presenti lati negativi tali da farla caratterizzare ingiusta? avrà la causa altri lati per i quali si possa rilevare qualche lato giustificabile? e così via fino alla decisione: accettare o non accettare la difesa. Così è tutta la vita; la valutazione morale può non essere la decisiva, ma è talmente significativa che solo per gli amorali non conta; l'uo- mo amorale non può considerarsi uomo normale. Questi, pur seguendo una morale larga, accomodante e condiscendente, nella formazione del suo convincimento, sente la differenza che passa fra la decisione presa se il fine è morale e ne sono morali i mezzi e quella mossa da secondi fini. E se prende una decisione immorale, la copre, cerca di non farla conoscere, di dimenti- carla, di giustificare se stesso perchè altri motivi premono: utilità, vantaggio, punto -d'onore, favoritismo e simili. Di tali atti si suole dire per scusa : infine l'ho fatto senza convincimento.