Vogliamo tutto #pertutti, privilegi per nessuno! - Piattaforma #17now

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Le nostre rivendicazioni #17now #pertutti #weareincredit

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17 novembre | Mobilitazione internazionale studentesca Diritto allo studio, reddito, democrazia Vogliamo tutto #pertutti privilegi per nessuno! Studentesse e studenti verso e oltre il #17now

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Le nostre rivendicazioni#17now#pertutti#weareincredit

Vogliamo tutto #pertuttiprivilegi per nessuno

Siamo le studentesse e gli studenti che, a partire dallo scorso anno, si sono mobilitati per un’istruzione gratuita, di qualità, realmente accessibile a tutti, e contro la Buona Scuola e la forzatura democratica che il Governo Renzi ha compiuto con l’approvazione di quella legge, così come in precedenza era avvenu-to con il Jobs Act e lo Sblocca Italia. Il 9 ottobre siamo scesi nuovamente in cento piazze in tutta Italia per il diritto allo studio, la democrazia e il reddito per garantire una vita degna a tutte e tutti, rivendicazione per la quale ci siamo mobilitati anche il 17 ottobre, in occasione della giornata internazionale per l’eradicazi-one della povertà.

Abbiamo deciso di tornare in piazza il 17 novembre, nella giornata internazionale dello studente. Per noi non è affatto una semplice celebrazione, ma un’occa-sione importante per riprendere parola sul dramma che viviamo nel nostro Paese: nessuna risorsa sul diritto allo studio, le briciole per il cosiddetto “contras-to alla povertà”, una riforma del fisco che, con l’elimi-nazione della tassa sulla prima casa finanziata con i tagli alla sanità e con la detassazione dei nuovi contratti di lavoro, favorisce i pochi privilegiati a scapi-to dei tanti che in questi anni hanno pagato il prezzo della crisi. Che credibilità hanno le tante parole spese dal Governo nel tentativo di spacciare la Buona Scuola per una riforma epocale quando la Legge di Stabilità fissa uno zero nel capitolo di spesa sul diritto allo studio, mentre nelle scuole del Paese cresce l’autoritarismo dei dirigenti scolastici e l’asservimento della formazione agli interessi dei privati? Quale riforma si appresta a varare il Governo sull’Università, se i proclami sono un mix di vecchie ricette fallimentari, come la trasformazione dei singo-li Atenei in fondazioni, o interventi spot assoluta-mente insufficienti e senza alcuna programmazione, come il sedicente piano di rientro dei ‘cervelli in fuga’, mentre il dramma di decine di migliaia di studenti esclusi dal sistema del diritto allo studio a causa del nuovo ISEE non trova ancora nessuna risposta?

Ci mobiliteremo assieme a tante e tanti nostri coeta-nei a livello internazionale perché crediamo – come affermato anche nell’appello promosso dall’Obessu al quale abbiamo aderito – che la nostra generazione debba costruire un’Europa radicalmente diversa, a partire dalla libertà di movimento, dal diritto allo studio e a una vita dignitosa. Guardiamo inoltre con interesse alla possibilità di intrecciare la nostra lotta

con quelle di altri settori della società che si mobilite-ranno contro le scelte inique di questo Governo, a partire dalla giornata nazionale indetta dalla FIOM CGIL per il 21 novembre. Infine, consideriamo la Conferenza sul clima di Parigi un’occasione fonda-mentale per riprendere parola in merito alla necessar-ia trasformazione del nostro modello di sviluppo in direzione della giustizia ambientale e sociale al fine di contrastare realmente i cambiamenti climatici, e per questa ragione saremo in piazza assieme alle associ-azioni ambientaliste e ai comitati locali nella giornata internazionale di mobilitazione sul clima del 29 novembre.

I Governi che si sono succeduti in Italia negli ultimi anni hanno sempre fatto gli interessi dei pochi che stanno in alto. La Legge di Stabilità è soltanto l’ultimo provve-dimento di una lunga serie di politiche antisociali, portate avanti nelle nostre città anche con una crescente ondata repressiva. Di fronte ai manganelli usati contro gli occupanti di casa a Bologna o alle pistole sfoderate dalle forze dell’ordine all’Università di Pisa non possiamo che ribadire una questione politi-ca fondamentale: le emergenze sociali del nostro Paese non sono una questione di ordine pubblico! Noi non ci fermeremo: alla repressione risponderemo con la partecipazione, per liberare le nostre città tenute in ostaggio dalla paura consegnandole alla speranza.

Ci hanno raccontato che la crisi ci imponeva di string-ere la cinghia, di fare dei sacrifici, mentre i soliti noti si sono arricchiti anche grazie a politiche inique che hanno garantito i loro privilegi. Ora è il momento di cambiare radicalmente rotta, ce lo impone una realtà fatta di disuguaglianze crescenti, insostenibilità sociale e ambientale del modello di sviluppo, assen-za di aspettative di vita dignitosa. Non siamo disponi-bili a rassegnarci perché i pochi che stanno in alto non aspettano altro che questo per continuare a fare profitti sulle nostre vite e sui nostri territori, salvaguardando i loro privilegi a discapito della maggioranza della popolazione. Non saremo da soli: rivendicheremo a gran voce in tutte le piazze italiane assieme alle studentesse e agli studenti di tutta Europa un cambio di rotta radicale. Vogliamo essere chiari, soprattutto nei confronti di tutti coloro che, dopo averci sottratto tutto, ci dicono di accontentarci alle miserie di questo presente: vogliamo tutto #per-tutti, privilegi per nessuno!

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Vogliamo tutto #pertutti privilegi per nessuno

Per un diritto allostudio universale

con leggi quadro che stabiliscano adeguatamente i livelli essenziali delle prestazioni e che siano realmente finanziate, in modo tale da contrastare la dispersione scolastica (17% a livello nazionale, con punte del 25% nelle Regioni meridionali) e l’espul-sione dall’università (-58.000 iscritti negli ultimi 10 anni). Studiare non può essere un lusso, un investi-mento privato delle nostre famiglie. Vogliamo l’istru-zione gratuita e di qualità per tutte e tutti.Ciò che la Buona Scuola calca,infatti, è la marginalità, l’esclu-sione ed il classismo, utilizzando di facciata una non espressa volontà di “abbattere le disuguaglianze” e “implementare la qualità dell’istruzione”.

È inaccettabile, infatti, che in un Paese che ha subito anni di tagli e distruzione della scuola pubblica statale, non si individuino prioritarie ed essenziali misure di contrasto alla povertà e sostegno del diritto allo studio. I dati ISTAT rispetto al costo della scuola secondaria di secondo grado sono infatti disarmanti, ci consegnano una situazione disastrosa che può solo aumentare la condizione di subalternità e di esclusione dai canali formativi per evidenti ostacoli socio-economici. Tale situazione rende chiara l’urgenza di agire delle politiche nella prospettiva di rendere l’istruzione completamente gratuita, senza che essa gravi sulle famiglie per sottrarre queste ultime dal ricatto economico. Vogliamo raggiungere la gratuità dell’istruzione non solo per liberarci dal ricatto, ma anche perché pensiamo possa essere un passo di civiltà per un Paese, per raggiungere la democrazia economica (decidere cosa e come produrre) e la democrazia cognitiva (raggiungere alti livelli di sapere condiviso, che automaticamente implementano la partecipazione democratica).

Abbiamo subito negli ultimi anni un irrigidimento della differenziazione tra scuole di alta formazione e scuole professionalizzanti, la scelta delle quali è legata alle condizioni di partenza degli studenti. Ripensare un nuovo modello di scuola significhereb-be, invece, non solo abbattere il muro del classismo e della marginalità economica, ma anche dare valore formativo a quelli “indirizzi” di scuole considerati di serie B: i percorsi che, dovendo esclusivamente formare alla pratica, sono svuotati dei contenuti e a pagarne le spese è la stessa formazione tecnico-pro-fessionale.

Dequalificare un sapere significa esautorarlo della sua complessità, parcellizzarlo. Oggi questo avviene negli istituti tecnici e professionali attraverso una riduzione sempre maggiore del sapere “teorico” ed una sua riduzione all’essenziale (basti guardare alle differenze dei programmi nelle differenti tipologie di scuole). Una scuola che voglia realmente combattere le disugualianze dovrebbe smantellare questa divisione gentiliana alla radice: l’idea di costruire un biennio unico ed un triennio specializzante, orientato per aree di interesse, va proprio in questo senso, posta la necessità di ridare complessità ai saperi.

Da anni, inoltre, portiamo avanti con caparbietà battaglie finalizzate a rendere sostenibile il percorso universitario, dovendoci quotidianamente scontrare con i costi di molteplice natura di cui gli studenti devono farsi carico, che sono tra le cause più gravi e drammatiche di abbandono dell’università. Nel nostro mirino ci sono in particolar modo i sistemi iniqui di tassazione, con rette altissime che arrivano mediamente a 1000 € e collocano l’Italia in testa ai Paesi europei per costi dell’università (eccetto Belgio e Olanda, che tuttavia compensano con sistemi di welfare avanzatissimi). In un Paese che davvero si ponga l’obiettivo di investire in formazione, costruen-do un sistema universitario realmente aperto ed accessibile, le battaglie per conquistare le briciole non sono più sufficienti: o si persegue la gratuità dell’uni-versità o la sfida per la trasformazione del Paese è persa. Per noi, l’università gratuita oggi non rappre-senta un’utopia, ma una necessità reale a cui già molti Paesi europei, e non solo, hanno dato risposta.

All’impoverimento degli Atenei, si aggiunge infatti l’assoluta insufficienza del sistema di Diritto allo Studio del nostro Paese che, oltre a conservare un inadeguato impianto assistenzialista e familista, è l’unico a fregiarsi della figura degli idonei non benefi-ciari della borsa, che ammontano a più del 25%, a causa del mancato finanziamento complessivo da parte di Regioni e MIUR. Quest'anno la situazione si rende ancor più drammatica a causa della riforma dell'ISEE: gli indicatori della situazione economica e patrimoniale vengono calcolati secondo parametri nuovi, così da escludere - a condizioni di reddito invari-ate - tantissimi studenti dalla richiesta dei benefici del DSU.

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Vogliamo tutto #pertutti privilegi per nessuno

Per un diritto allostudio universale

A seconda delle regioni si stima che le percentuali di studenti che perderanno l'idoneità alla borsa di studio a causa di questo paradosso saranno tra il 10% e il 40%, prevedendo in generale un aumento dei costi rispetto alle tasse universitarie calcolate sulla base di questo erroneo indicatore. Per risolvere questo enorme disastro causato dal Governo, chiediamo che venga immediatamente abolito il parametro ISPE scisso dall' ISEE, che ci sia un innalzamento della soglia massima isee prevista a livello ministeriale per l’idoneità ad usufruire dei servizi del DSU e misure di tutela per coloro che quest' anno sono colpiti dagli effetti del nuovo indicatore.

Inoltre, riteniamo necessaria una ridefinizione chiara del sistema terziario nel suo complesso, includendo a pieno titolo i percorsi degli ITS e dell’AFAM, garanten-do il diritto allo studio, un adeguato finanziamento e il superamento della logica meritocratica e premiale di attribuzione dei fondi, una governance di sistema e interna pubblica, democratica e partecipata.

Le miserie del presente ci lasciano sempre più convin-ti che un’estensione universalistica del sistema di diritto allo studio (e oggi, imprescindibilmente, di tutto il sistema di welfare) sia un passo necessario da compiere anche nel nostro Paese: la formazione deve poter garantire l’uguaglianza delle opportunità, deve essere strumento di mobilità sociale e non il perimet-ro su cui si comincia e determinare l’esclusione sociale, si legittimano ed anzi rafforzano le situazioni di subaltenità che molti giovani scontano sulla propria pelle, attraverso l’espulsione dai luoghi di formazione a causa dell’insostenibilità dei loro costi.

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Per un redditodi base

universale, individuale, debolmente condizionato, declinato anche nella forma del reddito di formazione per garantire l’autonomia sociale anche a chi studia, al fine di contrastare la precarietà e le disuguaglianze, non limitandosi perciò al semplice contrasto alla povertà in forme marginali, caritatevoli e assoluta-mente funzionali alla trasformazione che sta subendo il mercato del lavoro e il mondo della produzione.

L’Italia è un Paese sempre più diseguale. La tragedia sociale impostaci dall’alto in questi anni è riassumibile in alcuni dati: 10 milioni di persone in condizioni di povertà relativa (16,6% della popolazione), 6 milioni in povertà assoluta (9,9%), 3,2 milioni di disoccupati, 3,5 milioni di inattivi, 3,3 milioni di precari, disoccu-pazione al 12% (20% al Sud), disoccupazione giovani-le al 44,2%. A fronte di questi dati non si può tornare indietro, non ha senso rivendicare un sistema di welfare tarato su un modello sociale non più riproduc-ibile: è necessario aprire strade nuove, definire nuovi modelli sociali solidali, emancipatori, collettivi, a partire dalla rivendicazione centrale del reddito.

Per questo rivendichiamo con assoluta urgenza l’introduzione di una legge che istituisca un reddito universale. Consideriamo il Reddito di Dignità propos-to da Libera nell'ambito della campagna Miseria Ladra una misura non più rimandabile, per rendere illegale la povertà, rompere il ricatto al lavoro coercitivo e sottopagato, restituire dignità al lavoro, alla formazione, alle competenze di milioni di persone. Un reddito pienamente universale, individu-ale ed emancipatorio rispetto alle condizioni familiar-i,economiche e sociali di partenza.

Un reddito necessario a colmare le diseguaglianze sociali del Paese, ad aggredire le enormi ricchezze illecitamente accumulatesi, restituendo dignità e potere decisionale ai milioni di cittadini a cui sono stati negati. Un reddito a tutela della democrazia che necessariamente dovrà finanziarsi attraverso delle misure redistributive della ricchezza e quindi anche attraverso un intervento sulla fiscalità generale. Vogliamo una forma di reddito che rompa completa-mente con una visione del welfare legata esclusiva-mente al lavoro fordista e che non si pone il tema di garantire universalmente l’accesso ai saperi. Voglia-mo un reddito di formazione individuale, che consenta a tutti di poter studiare indipendentemente

dai condizionamenti economici e familiari.

Immaginarsi un nuovo welfare significa anche rivendi-care una riforma della tassazione in senso davvero progressivo: crediamo che l’intervento sulla fiscalità generale (riducendo la pressione fiscale sui redditi medio-bassi, sulla formazione e sulle tasse indirette) sia oggi necessario, ma che questo non possa finan-ziarsi con un ulteriore innalzamento dei costi sociali per la maggior parte della popolazione. Se ripensare il fisco significa imprimere un nuovo modello sociale, crediamo che quello che il Governo Renzi ha in mente sia un Paese in cui non possiamo credere: una vuota e superficiale tutela dello status quo e degli attuali livelli di disuguaglianza, una manovra regressiva che sposterà ulteriore ricchezza dal basso verso l’alto.

C’è urgenza di intervenire sulla fiscalità ma puntando alla redistribuzione e al ridimensionamento della forbice sociale, uno spostamento di risorse dalla parte più ricca a quella più povera, dalle zone industri-alizzate e i centri finanziari alle parti del paese a rischio di “sottosviluppo permanente” (Svimez) o depresse dalla crisi economica e i tagli al welfare, dalle rendite e dai patrimoni a chi ha di meno.

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Contro Autoritarismoe repressione

Per farla finita con la sospensione della democrazia che questo Governo sta operando, in perfetta compati-bilità con in quadro europeo delle politiche di austerità, approvando lo Sblocca Italia, il Jobs Act e la Buona Scuola attraverso l’abuso della questione di fiducia, dei decreti legge e delle deleghe in bianco. Vanno utilizzati tutti gli strumenti di mobilitazione, incluso anche l’utiliz-zo degli strumenti referendari, per restituire sovranità al popolo e ricostruire il significato complessivo della parola ‘democrazia’, anche al di là del semplice esercizio del voto ogni cinque anni;

Nella società della crisi economica e finanziaria gli spazi di democrazia e partecipazione sono in via d’estinzione. Il ricatto del debito non è soltanto quel meccanismo che ha redistribuito risorse dal basso verso l’alto nel corso degli ultimi anni, ma è anche quello strumento retorico con il quale, a livello locale così come a livello nazionale e internazionale, è stato operato un enorme trasferimento verso l’alto della capacità di decidere delle vite di tutti.

L’utilizzo parossistico del tema dell’emergenzialità da parte del Governo Renzi per promuovere misure necessarie a “far ripartire il Paese” ha di fatto sospe-so il nostro ordinamento democratico, esautorato il Parlamento dal suo legittimo potere legislativo e fatto passare tutti i provvedimenti più importanti come Sblocca Italia, Jobs Act e Buona Scuola attraver-so l’abuso di voti di fiducia, decreti legge e deleghe in bianco al governo.

Come se ciò non bastasse, il Governo Renzi, dopo aver approvato una legge elettorale paradossalmente in grado di garantire la maggioranza assoluta anche ad una minoranza del paese attraverso l’introduzione del doppio turno e di un premio di maggioranza enorme, ha messo il piede sull’acceleratore sul tema delle “riforme istituzionali”: il cosiddetto ddl Boschi.

Il metodo in cui si è svolta la discussione sul disegno di legge da questo punto di vista è già indicativo dei suoi contenuti: una discussione a tappe forzate, chiusa dentro i tatticismi delle stanze dei palazzi e dei partiti, completamente esterno alle capacità di costru-ire un dibattito reale nel Paese, tutto incentrato sul principio della “governabilità” e della “palude”, una discussione che avrà una ricaduta in un referendum dai caratteri sempre più “plebiscitari” di giudizio sul

Governo.

Questa riforma, con questo metodo, è per noi comple-tamente irricevibile. Non possiamo accettare delle forzature democratiche nelle tempistiche di modifica della carta fondamentale del nostro Paese. Il supera-mento del bicameralismo attraverso un senato non elettivo, e quindi del sistema dei contrappesi demo-cratici, nell’ottica di un presidenzialismo di fatto (garantito attraverso il combinato disposto con la legge elettorale), l’introduzione di sempre maggiori dispositivi di urgenza, e del relativo snaturamento del dibattito parlamentare, nell’approvazione delle leggi è il segno più evidente della trasformazione accentratrice della governance del nostro Paese che dal piano materiale del sempre maggiore isolamento delle parti sociali e della partecipazione popolare all’indirizzamento del Paese, che per noi non si può ridurre all’esercizio del diritto di voto, si trasforma in una sostanziale revisione del piano formale del nostro ordinamento democratico.

Una revisione che si concretizza ulteriormente nella durissima stretta repressiva che abbiamo vissuto negli ultimi mesi sui nostri territori. Le città che viviamo hanno subito un commissariamento di fatto da parte di prefetti e questori, il cui pugno duro ha colpito qualsiasi forma di opposizione sociale: una vera e propria guerra dall’alto che ci fa interrogare su quale sia oggi a livello locale il ruolo residuo della politica. Laddove si moltiplicano le iniziative xenofobe e neofasciste, espressioni di un’inaccettabile violenza fisica e ideologica, viene tolta l’agibilità a chi invece propone un’alternativa solidale nel basso della società, rifiutando quella guerra tra poveri perfetta-mente compatibile con l’attuale politica del governo Renzi.

Vogliamo tutto #pertutti: perchè con chi trova l’unica sua forma di interlocuzione nei manganelli e nelle pistole estratte dentro le università non siamo disposti a mediare. Vogliamo continuare a praticare percorsi di protagonismo di quelli che hanno dovuto subire le politiche antisociali degli ultimi governi, per costruire un grido contro chi pensa che accetteremo in silenzio questo attacco!

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Per una realecittadinanza studentesca

a partire dai contesti locali, per il diritto a partecipare attivamente alle scelte di governo delle comunità locali, per il diritto alla socialità e per l’apertura di spazi di socialità fuori dalle logiche del consumo; per l’acces-so gratuito alla cultura.

Come soggetti in formazione, infatti viviamo e abitia-mo quotidianamente luoghi inospitali e ostili, nei quali gli enti locali non prendono in minima considerazione il tema della cittadinanza studentesca e più in gener-ale del diritto alla città per tutte e tutti. Noi studenti non vogliamo più essere una parte viva della cittadi-nanza, cui viene impedito di incidere politicamente, socialmente, culturalmente nei nostri spazi vitali. Siamo invisibili, perchè viviamo in città mai pensate sulla base delle nostre esigenze, perchè viviamo senza possibilità di accedere a servizi di welfare ad erogazione diretta ed indiretta, senza la possibilità di poter incidere e partecipare sulla scena pubblica e collettiva delle nostre città. Gli studenti sono una categoria su cui si specula per un’idea di sviluppo cittadino in favore dei soliti noti, degli affitti alle stelle, dei consumi. Oggi nelle città si gioca un’importantissi-ma partita, uno scontro, spesso impari, tra i grandi interessi privati e speculativi e la volontà collettiva di partecipazione democratica dal basso.

Come soggetti in formazione vogliamo essere protag-onisti fino in fondo di questa partita, per costruire un welfare e una modalità di gestione dei beni comuni capace di favorire percorsi di vita rispettosi dell'au-tonomia del singolo nella propria progettazione umana, lavorativa e formativa. Oggi quindi vogliamo osare per riprendere il controllo sulla gestione dei nostri territori, costruire nuove prospettive di vivibil-ità della città e di sviluppo che ci permettano di super-are il binomio centro-periferie: l’isolamento delle periferie metropolitane, così come quello delle prov-ince periferiche del Paese, mettendo la formazione e la promozione di diritti al centro dello sviluppo delle nostre città. Alla guerra tra poveri ed alla ordinanze repressive emesse nelle nostre città rispondiamo aggredendone le contraddizioni e rivendicando una idea diversa di tessuto sociale, che riparta dalle piazze e dalle strade, che punti all’inclusione e non alla demonizzazione di parti della società per ricondu-rre tutto ad un modello definito di status quo. Voglia-mo gratuità dei trasporti, la possibilità di accedere gratuitamente alla cultura, un pieno diritto all’abitare

senza essere vittima delle speculazioni, spazi di socialità all’interno delle nostre città.

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contro la devastazionedei territori

Per il ritiro dello Sblocca Italia e la riconversione del sistema produttivo e dell’approvigionamento energeti-co che guardi alla sostenibilità attraverso lo sviluppo delle energie rinnovabili e al risparmio delle risorse; perché l’Italia prenda una posizione decisa, in ambito europeo e internazionale, nel contrasto ai cambiamenti climatici e nella costruzione di un altro modello di sviluppo in vista della Conferenza sul clima di Parigi.

Guardando quello che è successo nelle ultime settimane nel Paese, dove una settimana di maltem-po ha fatto emergere tutte le fragilità idrogeologico di un sistema di sviluppo basato sulla cementificazi-one dei territori risulta evidente la subordinazione che esiste tra capitale e ambiente e lavoro. Da oltre vent’anni le politiche neoliberiste applicate a livello globale hanno mostrato come qualsiasi azione fosse contemplata con il solo fine di accumulare ricchezza: dalla distruzione di territori ed ecosistemi, alla selvag-gia estrazione e privatizzazione delle risorse, passan-do inevitabilmente per il peggioramento delle condizioni di salute delle popolazioni.

I provvedimenti politici attuati nel nostro paese seguono in maniera lineare il modello neoliberista: l’ultimo Decreto Sblocca Italia (2014), così come il precedente Decreto Sviluppo (2012) sono due esempi lampanti ai quali continuiamo ad opporci. Attraverso queste due leggi, infatti, si autorizza la ricerca e l’estrazione di fonti fossili, tramite trivellazio-ni marine e terrestri. Si promuove dunque l’utilizzo di fonti energetiche obsolete, con tecnologie assai pericolose e dannose per l’ecosistema, nonché volte alla produzione di un materiale non degradabile ed altamente inquinante come la plastica. A guadagnarci in termini economici, sono le grandi lobby multinazi-onali petrolifere, a perdere ( in molti casi anche la vita) le migliaia di cittadini che stanno in basso, i senza voce, quelli a cui è stato impedito di incidere e decidere per lo sviluppo dei proprio territori.

Sul nostro territorio i casi che mostrano il conflitto tra capitale, ambiente e lavoro, sono molteplici. Spesso poi, in questi stessi luoghi, scuole ed universi-tà risultano assenti o al più assoggettate alle stesse aziende che li distruggono. L’offerta formativa, ancor più con la presenza dei privati nei Consigli di Amminis-trazione, è organizzata secondo le necessità degli interessi industriali anzichè secondo le esigenze del

territorio. È così anche che il rapporto tra universi-tà/scuole e territorio viene stravolto.La conoscenza non è considerata uno strumento di emancipazione e cambiamento, ma di riproduzione del modello produt-tivo attuale.

E’ prioritario quindi rovesciare questo rapporto, ridare ai saperi la propria funzione, per risolvere le contraddizioni del sistema anche a partire dal campo ambientale.

In quest’ottica la Conferenza sul clima di Parigi 2015 (COP21) è uno spazio in cui sarà possibile portare alcune rivendicazioni, nazionali ma anche globali, rispetto alla necessità di modificare questo modello di sviluppo e smascherare l’ipocrisia delle scelte politiche dei governi europei e non, in materia energeti-ca e di sviluppo, a partire da quello italiano.

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Per la libertàdi movimento

e il diritto all’accoglienza dei migranti, garantendo realmente i diritti sociali a partire dal diritto allo studio; per favorire la contaminazione culturale attraverso una revisione generale dei programmi e dei metodi di studio nelle scuole e nelle università.

Le drammatiche vicende degli ultimi mesi, che hanno riportato la questione dell’immigrazione al centro del dibattito pubblico, dovrebbero indurre tutti ad una presa di posizione decisa. Le stragi in mare e adesso anche sul continente continuano senza sosta e la risposta dell’Europa è spesso affidata a soluzioni di polizia: i manganelli come unica risposta ai migranti che a Ventimiglia, come al confine serbo, chiedevano libertà e dignità, l’erezione di muri e filo spinato come quello ungherese e infine il comportamento agghiac-chiante della polizia e dell’esercito sui confini dell’Eu-ropa orientale. Tutto questo mentre il regolamento di Dublino non viene messo mai in discussione a partire dalle sue radici che ne suggerirebbero l’abolizione più che la modifica. Quelle radici che pongono le fonda-menta di una Fortezza Europa che somiglia sempre più ad una terra di apartheid tra i “nativi” del vecchio continente e coloro che fuggono dalle guerre, dai regimi, dalla fame, da un neocolonialismo di ritorno fondato sullo strapotere delle multinazionali e sulla devastazione del lavoro e dell’ambiente e di cui l’Occi-dente e l’ Europa hanno enormi responsabilità e colpe.

E’ assolutamente necessario quindi riaprire il dibattito su quale sia la risposta che come Europa vogliamo dare alla questione. Non possiamo pensare di lasciare che singoli Stati come la Germania, dall’alto della loro forza economica costruita sacrificando sull’altare dell’austerità i Paesi del Sud Europa, prendano l’inizia-tiva e si facciano carico solo di una parte dei richieden-ti asilo. E’ necessario costruire una risposta comuni-taria fondata sulla solidarietà e l’affermazione dell’in-alienabile diritto di muoversi liberamente per il piane-ta.

Per questo abbiamo lanciato la proposta “Scuole ed università #senzaconfini”, intendiamo promuovere come studenti esperienze di mutualismo capaci di dare strumenti di integrazione a chi intende restare, attraverso lezioni peer-to-peer per insegnare ai migranti l’italiano ed agli italiani le loro lingue, arric-chendo la comunità con eventi multiculturali.

Riteniamo che scuole ed università siano i luoghi più adatti per costruire comunità attorno ai migranti, immaginare iniziative sociali e studentesche, costruire un modello di accoglienza che non sia di mera gestione dell’emergenza in termini numerici, ma speri-mentazione di processi collettivi di apertura delle comunità.

Vogliamo un’Europa della solidarietà che rifiuti austerità, vincoli di bilancio, egoismi nazionali; voglia-mo un’accoglienza rispettosa dei diritti dei migranti, contro il modello di Mafia Capitale con cui profittatori senza scrupoli hanno fatto affari sulla pelle dei migranti e delle risorse pubbliche; vogliamo un’inclu-sione sociale vera dei migranti nella scuola, nel lavoro, nel welfare, contro leggi razziste come la Bossi-Fini che favoriscono la marginalizzazione e lo sfruttamento nelle nicchie subalterne di un mercato del lavoro neoliberale sempre più ingiusto; chiediamo con forza un corridoio umanitario che salvi vite; rifiutiamo la militarizzazione delle frontiere; rivendichi-amo canali di accesso legale e sicuro in Europa contro il proibizionismo che arricchisce i trafficanti. Sostenia-mo quindi con forza il diritto di ogni essere umano di muoversi e migrare attraverso i confini: è la circolazi-one di capitali che deve subire dei limiti per garantire un welfare dignitoso per tutti.

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