VIVERE LA QUARESIMA IN FAMIGLIA · e di testimoniarlo con una degna condotta di vita. IL...
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VIVERE LA QUARESIMA
IN FAMIGLIA
O Dio, nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima,
segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli
di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita.
IL SIGNIFICATO DELLA QUARESIMA
1. LA QUARESIMA: TEMPO OPPORTUNO PER…
PER CHI?
Il contesto sociale in cui viviamo appare sempre meno contrassegnato
dalla cristianità. È diminuita drasticamente la pratica cristiana da parte di
quanti la vivevano per abitudine, per obbligo. Della quaresima è rimasto
ben poco, per non dire niente
Ora ognuno deve rispondere, con piena consapevolezza e libero da
qualsiasi tipo di condizionamento, all’istanza di conversione che la Chiesa
richiama ogni anno nel tempo forte di Quaresima.
È un’opportunità rivolta a quanti, nell’oggi della storia e in una società
altamente secolarizzata, desiderano vivere, una vita cristiana adulta, ricca
di valori, coerente con la professione di fede che proclamano.
Per questi cristiani la Quaresima, tempo strutturato dalla Chiesa
primitiva fin dal IV secolo, si presenta come una sosta nel vivere
quotidiano per scoprire quanto, durante il cammino, il fascino di tante
sirene hanno allontanato da Dio e reso sterile la novità del Vangelo, e
ritornare ad abbeverarsi alle sorgenti della vita nuova ricevuta con il
battesimo.
In particolare la quaresima è un tempo privilegiato per la famiglia, per
riscoprire la propria peculiarità, prendere coscienza di quanto di negativo

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si è insinuato nel tessuto della vita quotidiana, rinsaldare le relazioni,
rivivere la gioia dell’essere famiglia di Dio
PER CHE COSA?
Tempo di Quaresima, allora, per imparare a discernere tra tanti voci,
quella di Dio che ci parla nel tessuto della vita quotidiana, per ascoltare la
sua parola conservata nel vangelo, per confrontarci con essa, come
singoli, come coppia, come famiglia.
Tempo di Quaresima, per una conversione che raggiunga tutto il nostro
essere (mente, volontà, cuore) secondo l’invito di san Paolo: “Non
conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il
vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
Tempo di Quaresima, per farci prossimo non a parole ma con gesti
concreti di carità; in primo luogo farci prossimo con coloro che fanno parte
della famiglia. Forse si è insinuato qualcosa che si ha portato ad
distaccarci, allontanarci…
Tempo di Quaresima, come laboratorio e palestra per affinarci nella
delicata arte dell’amare, per vivere la “differenza cristiana”, consapevoli
che “si è alternativi non quando si grida, ma quando si vive nel quotidiano
la passione per ciò che si fa. È così che si diventa sale della terra, luce
nelle tenebre o pizzico di fermento nella massa” (Angelo Casati).
Tempo di Quaresima “Per superare l’indifferenza e le nostre pretese di
onnipotenza, vorrei chiedere a tutti di vivere questo tempo di Quaresima
come un percorso di formazione del cuore, come ebbe a dire Benedetto
XVI (Lett. enc. Deus caritas est, 31). Avere un cuore misericordioso non
significa avere un cuore debole. Chi vuole essere misericordioso ha
bisogno di un cuore forte, saldo, chiuso al tentatore, ma aperto a Dio. Un
cuore che si lasci compenetrare dallo Spirito e portare sulle strade
dell’amore che conducono ai fratelli e alle sorelle. In fondo, un cuore
povero, che conosce cioè le proprie povertà e si spende per l’altro”
(Francesco, Messaggio per la quaresima 2015).

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2. LE PAROLE DELLA QUARESIMA
Quali mezzi offre la comunità cristiana, in questo periodo, per
permettere ad ogni battezzato un cammino di autenticità, di liberazione, di
eventuali “correzioni di rotta”? Sono quelle pratiche penitenziali molto
care alla grande tradizione biblica, cristiana e patristica della Chiesa: il
digiuno, la preghiera, l'elemosina, il silenzio, il perdono.
Sono pratiche che racchiudono una saggezza secolare, esperienze di
vita collaudate, tesori inestimabili, frutti certi per illustrare le quali sono
stati versati fiumi di inchiostro in ogni epoca storica.
► Digiuno
Il digiuno ci prepara alla vita nuova di Cristo. Lavora il campo del nostro
corpo per la semina di Dio. La Quaresima vuole rendere il nostro fisico, la
nostra anima, la terra intera ricettivi alla vita divina che irromperà a
Pasqua e che già possediamo con il battesimo: “non di solo pane vive
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”
► Ascolto della parola di Dio e preghiera
La preghiera, come il digiuno, è una pratica comune a molte religioni e
culture, è iscritta nella stessa natura dell’uomo secondo gli insegnamenti
degli antichi: "gli uccelli volano, i pesci nuotano e… l’uomo prega”. Ma si
rivela anche l’arte più difficile da apprendere perché significa dare del tu a
Dio e chiamarlo Padre.
► Elemosina
È importante, in quaresima, riscoprire il valore dell’elemosina,
dell’intervento immediato, che non pretende di risolvere tutto, ma fa quello
che è possibile al momento.
►Silenzio, il deserto
Senza silenzio (si parla anche di deserto) non può sussistere la preghiera,
non può esistere il digiuno, che lavora il campo del nostro corpo per la
semina di Dio; non si possono compiere le opere di misericordia che
suppongono un’accoglienza incondizionata dell’altro frutto di una
profonda spoliazione di sé che allarga il cuore.

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► Perdono
Chiedere perdono, come anche dare il perdono (per-donare), non sono
azioni spontanee e naturali; sono valori prettamente cristiani, sono gesti
creatori, innovativi che richiedono coraggio. Li possiamo vivere solo se
riusciamo a far emergere in noi la vita nuova.
IL PERCORSO DELLA QUARESIMA DI QUEST’ANNO
Quest’anno ci fanno da guida i brani di vangelo della domenica dell’anno
B. Essi ci portano a scoprire il volto di Cristo (chi è Gesù) e a vivere con
lui, cioè diventare partecipi del suo Mistero pasquale:
CHI È GESÙ?
Questa domanda se la sono fatti molti, sia i contemporanei e gli apostoli
stessi, sia quelli che sono venuti dopo. È la domanda che ci poniamo anche
noi. Quest’anno i vangeli che ascolteremo nella liturgia della domenica ci
porteranno a dire che Gesù è colui che dà la vita per noi, che morirà per la
nostra salvezza e risorgerà. Il suo vero volto è quello impresso nella
sindone, che indica la sua sofferenza e morte, ma anche la sua “assenza”,
la sua risurrezione.
CHE COS’È IL “MISTERO PASQUALE”?
Forse queste due parole “mistero pasquale” le abbiamo sentite tante volte;
capiamo che hanno una certa relazione con la pasqua, ma perché si parli di
“mistero” proprio forse non riusciamo a capirlo.
Nella liturgia “mistero” indica non una cosa sconosciuta, che non si riesce
a capire o nascosta, ma un evento storico per la nostra salvezza, nel nostro
caso, l’evento della pasqua di Gesù, cioè della sua passione, morte e
risurrezione. Il filo conduttore che lega insieme tutte le domeniche è il
mistero pasquale; Gesù stesso ci fa da maestro presentandosi come il
tempio che viene distrutto e riedificato in tre giorni, il serpente di bronzo
innalzato nel deserto che liberà dal veleno mortifero chi si volge a lui, il
chicco di grano posto nel terreno che morendo porta molto frutto.

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LE TAPPE DEL NOSTRO PERCORSO PER SCOPRIRE CHI È GESÙ E IL MISTERO
PASQUALE
I. Domenica: la scoperta del progetto del Padre – le tentazioni di
Satana perché abbandoni quel progetto.
Dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni ed essere stato proclamato
Figlio di Dio, Gesù va nel deserto dove scopre qual è il progetto del Padre
su di lui: non il messia glorioso, ma il messia sofferente. Il diavolo lo tenta
perché abbandoni quel progetto, ma Gesù rigetta ogni sollecitazione.
Appena uscito dal deserto, incomincia la sua missione
II. Domenica: la riconferma del progetto (il mistero pasquale) davanti
a testimoni prescelti che saranno testimoni della sua passione.
Dopo che Pietro ha fatto la sua professione di fede in Gesù come messia e
figlio di Dio, Gesù prende tre apostoli e sale sul Tabor. Nella sua
trasfigurazione viene riconfermato che Gesù e il figlio amato, dovrà
soffrire morire e risorgere: viene rivolto l’invito ad ascoltarlo, a credere a
questo mistero della pasqua per la salvezza degli uomini.
III. Domenica: Gesù rivela il suo mistero pasquale nel segno del tempio
distrutto e ricostruito in tre giorni
Gesù fa pulizia nel tempio da tutto ciò che sa di mercato e si rivela come il
vero tempio che sarà distrutto ma subito riedificato in tre giorni.
IV. Domenica: Gesù rivela il suo mistero pasquale nel segno del
serpente innalzato nel deserto che libera dai morsi mortiferi dei serpenti
Gli israeliti nel deserto avevano perso la fiducia in Dio e sono assaliti da
serpenti velenosi. Per ordine di Dio Mosè innalza un serpente di bronzo e
coloro che guardano a lui sono guariti.
V. Domenica. Gesù rivela il suo mistero pasquale nel segno del chicco
di grano che muore e porta molto frutto.
Ci sono molti che voglio vedere Gesù. Egli dice che è come il chicco di
grano che solo morendo nel terreno porta molto frutto
VI. Domenica delle palme: Gesù entra in Gerusalemme per portare a
compimento il mistero Pasquale

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PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA
Nel deserto Gesù scopre la sua missione
GESÙ CI PARLA: ASCOLTIAMOLO
Dal Vangelo secondo Marco (1,12-15)
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase
quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli
angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il
vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo».
CERCHIAMO DI CAPIRE CIÒ CHE GESÙ CI HA DETTO
La quaresima di Gesù:
Gesù scopre la sua missione e la difende dagli assalti di Satana
- Lo Spirito sospinse Gesù: Gesù si lascia guidare dalla forza dello
Spirito
- nel deserto: Il deserto è il luogo del silenzio, dell’ascolto di Dio,
della preghiera, del vivere dell’essenziale; è il luogo per scoprire chi sono,
che cosa vale di più.
- rimase nel deserto quaranta giorni: sotto la guida di Mosè gli ebrei
rimasero quarant’anni nel deserto: per ascoltare e scoprire il progetto di
vita e di libertà (= i comandamenti) che Dio proponeva loro, per invitarli a
scegliere lui come loro Dio, sigillare un forte patto con lui (= alleanza),
entrare nella terra promessa dove mettere in pratica quel progetto ed essere
felici. Gesù va nel deserto per fare l’esperienza del deserto: ascoltare e
scoprire il progetto del Padre e come realizzarlo. Lasciando stare tutto, in
un clima di silenzio e di preghiera, meditando quello che era scritto nella
Bibbia, Gesù scopre che egli deve essere non un messia glorioso, ma uno
che ama gli uomini fino a dare la sua vita per loro, essere “l’agnello di Dio
che toglie il peccato del mondo (= ogni male, spirituale e materiale).
- tentato da Satana: Incomincia lo scontro. Satana, che aveva tentato
gli uomini fin dall’inizio, tenta di staccarlo dall’ascoltare quello che era
scritto nella Bibbia, di distoglierlo da quel progetto, facendogli avere delle

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visioni di meravigliosi successi se l’avesse seguito. Gesù però non si fida
di lui, gli dice che vuole fare fino in fondo ciò che gli ha rivelato il Padre.
- Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano: sono i segni
della vittoria su Satana; le creature non gli sono più ostili e addirittura gli
angeli si fanno suoi servitori; è il ritorno al paradiso terrestre; Gesù entra
in una nuova terra promessa
Gesù incomincia a realizzare il progetto del Padre dando inizio alla
sua missione
Dopo che Giovanni fu arrestato: Giovanni aveva preparato la
immediata venuta del messia; quando viene arrestato, Gesù ha chiara la
sua missione e incomincia a realizzarla
andò nella Galilea. Incomincia dalla Galilea, il luogo dove Gesù è
vissuto, il luogo della quotidianità. Ed è significativo che le ultime righe
del Vangelo di Marco rimandino gli apostoli proprio in Galilea: “Egli vi
precede in Galilea; là vedrete” (16,7), quasi a ripetere che il luogo per
eccellenza dove incontriamo Gesù è il nostro quotidiano. Così la Galilea
non è solo un luogo geografico, ma è il simbolo della quotidianità, quella
che viviamo tutti i giorni e in cui abbiamo la possibilità di incontrare Gesù.
proclamando il vangelo di Dio: vangelo vuol dire bella-buona notizia,
una bella novità. L’evangelista Marco la sintetizza così: 1. Il tempo è
compiuto - 2. Il Regno di Dio è vicino (= è qui) - 3. Convertitevi - 4.
Credete al Vangelo.
Il Tempo è compiuto: il popolo d’Israele viveva il tempo come una
continua attesa del Messia, di colui che li avrebbe liberati da ogni male.
Ora, con Gesù, è finito il tempo dell’attesa. I profeti del passato,
predicavano il futuro, Gesù predica che il futuro è ormai qui, è presente, è
Lui la promessa tanto attesa. La possibilità concreta è offerta “ora”
all’uomo. Il presente è ciò che conta, perché in questo tempo si rende
vicino Dio. Il presente è un’opportunità, un tempo di grazia per ciascuno di
noi perché ci lasciamo incontrare da Gesù. Non ha senso attendere,
affannarsi in vane ricerche; quel che l’uomo spera è già a portata di mano.
La “perla preziosa” è qui. Questa espressione di Gesù ci porta a non
considerare inutili tanti attimi della nostra giornata e a non sprecarli perché
ogni istante può essere un’occasione per lasciarsi incontrare dal Signore.
il regno di Dio è vicino (= è qui). Il regno di Dio è il regno della
giustizia, della libertà, della pace, dell’abbondanza, della verità, della

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fedeltà e dell’amore; al contrario, il regno di Satana è fatto di ingiustizie,
di schiavitù, di povertà, di menzogne, di infedeltà e di egoismi. Con Gesù
irrompe il regno di Dio: dove? Ovunque. È la vittoria sul male, sulle
malattie, sulla sfiducia, sull’egoismo, sulla morte. Anche ognuno di noi
può rendere vicino questo regno di Dio facendo delle piccole scelte:
dicendo la verità, vivendo in pace, fidandosi di quello che dicono le
persone che ci vogliono bene, cercando di rispondere con un gesto di pace
ad un torto subito, dicendo parole di incoraggiamento verso qualche amico
poco simpatico.
convertitevi: è un volgere le spalle a tutto il passato di male,
riorientare tutta la nostra vita in una nuova direzione, mettersi sul cammino
che Gesù ha percorso e tracciato per noi; è recuperare la nostra vera
identità, riprendere a realizzare il progetto che Dio ha su ciascuno di noi
credete al Vangelo. Credere al Vangelo vuol dire affidarsi al lieto
annunzio di Gesù, fidarsi di Lui che ha vinto la morte, gettarsi nelle sue
braccia per risorgere con Lui. Non è facile credere, la persona spesso
diffida dell’amico, del familiare. Credere è aprirsi, fidarsi, rischiare,
lasciarsi coinvolgere con l’altro; concretamente, rimanere coinvolti
nell’avventura di Dio
RISPONDIAMO A GESÙ
CI IMPEGNIAMO
La nostra quaresima
Con la quaresima anche entriamo nel deserto; ci domandiamo: 1. Siamo
capaci di trovare momenti di lettura del vangelo, di preghiera; 2. cosa vuol
dire per noi essere cristiani (la nostra carta di identità); in che cosa consiste
il nostro progetto di vita cristiana; 3. quali sono le nostre tentazione; 4. in
che cosa faccio consistere il mio digiuno.
SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA
Il Padre riconferma il suo progetto e invita ad accoglierlo
GESÙ CI PARLA: ASCOLTIAMOLO
Dal Vangelo secondo Marco (9,6-10)
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li

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condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a
loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio
sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e
conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbi,
è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e
una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce:
«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente,
guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò
che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai
morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire
risorgere dai morti.
CERCHIAMO DI CAPIRE CIÒ CHE GESÙ CI HA DETTO
Sei giorni dopo cioè dopo che dopo che Pietro alla domanda di Gesù:
“Chi sono io per voi”, disse: “Tu sei il Cristo il Figlio di Dio vivo”. C’era
però il pericolo essi pensassero ad un messia glorioso Perché non si
facessero illusioni Gesù rivelò che lui avrebbe dovuto patire molto ed
essere messo a morte per poi risorgere il terzo giorno. Dopo sei giorni
porta alcuni di loro sul monte per la trasfigurazione.
Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni” Mc 9, 2. Quando Gesù
chiama solo i tre discepoli siamo di fronte a un momento importante della
sua vita. Ma ci dice anche che l’esperienza di fede non è mai solo
personale, ma è condivisa, vissuta assieme, è esperienza di famiglia,
amicizia, comunità. Quella che possiamo fare con i nostri genitori, nella
nostra parrocchia, durante questo incontro stesso.
“Li condusse su un alto monte” Mc 9, 2. Le cose importanti della vita
costano fatica. È l’esperienza della salita al monte, che fa sudare, faticare,
ma poi l’aria fresca, il paesaggio, la soddisfazione di avercela fatta
ripagano alla grande.
Il monte è il luogo in cui avvengono gli incontri più intimi con Dio.
Mosè sul monte ha ricevuto la legge; Elia ha ascoltato la voce del Signore.
“Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”. Sono motivi che
ricorrono spesso nella Bibbia. Il Signore è “rivestito di maestà e di
splendore, avvolto di luce come di un manto” (Sal 104,1-2). Sono
immagini con cui viene affermata la presenza di Dio nella persona di

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Gesù. Identico è il significato della nube luminosa che avvolge tutti con la
sua ombra (v. 7). Quando Mosè ricevette la legge, il monte fu avvolto da
una nube (Es 24,15-16) e anch’egli discese con il volto splendente (Es
39,29-35).
“E apparve loro Elia con Mosè”. Sono due persone che avevano
incontrato Signore, l’uno nel fuoco del roveto, l’altro nella brezza leggera
del vento; due persone che avevano incontrato l’ostilità: Mosè del popolo,
Elia del re Acab. Elia rappresenta i profeti, Mosè la Legge; Gesù è il
compimento di tutto, colui che mi rivela Dio.
Conversavano tra di loro. Di che cosa conversavano? Dagli altri
evangelisti sappiamo che parlavano della passione, morte e risurrezione di
Gesù; cioè cercavano di far capire a loro che quello che aveva detto Gesù
sei giorni prima era vero.
Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati” Di fronte a
esperienze grandi rimaniamo senza parole, non riusciamo a capire tutto...
Dio non è mai totalmente afferrabile, c’è un mistero che ci supera. Forse
anche nella nostra vita ci sono esperienze che facciamo fatica a spiegare
anche se crediamo.
“Ascoltatelo”, cioè cercate di capire bene quello che lui vi ha detto: egli
è colui che patirà e morirà per voi come hanno preannunciato i profeti.
Nella Bibbia il verbo «ascoltare» non significa soltanto «udire», ma anche
«mettere in pratica». È un invito per ciascuno di noi a vivere un
atteggiamento di profonda accoglienza verso la parola che Gesù ci dona, a
tradurla nei fatti.
“Mentre scendevano dal monte” (Mc 9, 9). L’esperienza di Dio non è
fine a se stessa, è fondamentale scendere dal monte, vivere la fede in
parole e opere nella vita di ogni giorno, nella quotidianità, nelle piccole
cose che dicono la grandezza della nostra risposta al Signore. Andare in
ufficio, a scuola e fare i compiti... che fatica!!! Invece Gesù invitando i tre
discepoli a scendere dal monte, invita anche noi, ad affrontare i doveri e le
fatiche della vita, anzi, sarà proprio la bella esperienza fatta con Lui che ci
aiuterà ad affrontare con maggior coraggio la vita di tutti i giorni.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno
ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai
morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire
risorgere dai morti”: ciò che avevano visto non doveva essere
dimenticato; quando le cose sarebbero successe avrebbero capito che lui
aveva predetto la verità: il mistero pasquale era la sua carta di identità.

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RISPONDIAMO A GESÙ
CI IMPEGNIAMO
TERZA DOMENICA DI QUARESIMA
Gesù, “il tempio” distrutto e ricostruito in tre giorni
GESÙ CI PARLA: ASCOLTIAMOLO
Dal Vangelo secondo (2,13-20
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel
tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i
cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del
tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e
ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui
queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi
discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi
divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci
mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo
tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei:
«Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo
farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che
aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i
segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si
fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno
desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che ce nel
cuore di ogni uomo.
CERCHIAMO DI CAPIRE CIÒ CHE GESÙ CI HA DETTO
Gesù rivela che non bisogna più andare al tempio di Gerusalemme per
incontrare Dio, fare i sacrifici….: è lui il vero tempio in cui abita Dio.
Attraverso la sua morte e risurrezione egli diviene il vero tempio in cui si
offre il vero e unico sacrificio.
In questo brano possiamo distinguere tre parti o momenti:

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Primo momento: purificazione del tempio
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Per i Giudei Dio dimorava solo nel Tempio e solo lì poteva avvenire il
vero culto. Infatti, al centro del Tempio, in una particolare stanza (“Il santo
dei santi”), era conservata l’Arca dell’Alleanza, che conteneva i segni
visibili della presenza di Dio in mezzo al suo popolo.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là
seduti, i cambiamonete.
I pellegrini che provenivano da ogni parte, non solo dalla Giudea,
dovevano procurarsi gli animali da offrire in sacrificio e pagare la tassa di
mezzo siclo al Tempio. Spesso però essi disponevano solo di denaro
romano o di altri paesi, monete non ammesse al Tempio perché coniate
con effigi pagane; dovevano quindi cambiarle
Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con
le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i
banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e
non fate della casa del Padre mio un mercato!»
Perché Gesù se la prende tanto con i mercanti del Tempio? Perché non si
può ridurre la religione ad un mercanteggiare: voler comprare dei favori da
Dio; per convincere Dio ad ascoltarmi, gli offro qualcosa che lo possa
piegare alla mia volontà.
I giudei stanno usando una casa, dimenticandosi che quella casa è del
Padre, è il luogo attraverso cui si entra in una relazione d’amore con il
Padre.
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa
mi divorerà».
I discepoli non hanno capito subito il senso di quello che Gesù aveva fatto;
dopo la risurrezione capiscono che lo fece perché animato da un grande
amore, quasi da una grande gelosia, per tutto ciò che riguarda il Padre.
Secondo momento: Gesù vero tempio
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri
per fare queste cose?».
I giudei non dicono che Gesù ha fatto male, ma gli domandano dare un
segno (dimostri concretamente, magari con un miracolo) che ha l’autorità
di fare così. Allora Gesù dà un segno: quello della ricostruzione del
tempio.

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Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò
risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in
quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava
del tempio del suo corpo.
I giudei avevano appena appena finito di ricostruire il tempio e avevano
impiegato non uno ma 46 anni per ricostruirlo dopo la sua distruzione:
come avrebbe potuto Gesù impiegare solo tre giorni per ricostruirlo?
Gesù però non si riferisce al tempio fatto di pietre, ma è al suo: i giudei
lo “distruggeranno” ma lui lo ricostruirà, lo risusciterà il terzo giorno
Gesù dirà della Samaritana che “è giunto il momento in cui né su
questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre". (Gv 4,21). Iddio non
abita in templi costruiti da mano d'uomo. Egli abita, cioè si è reso presente
in Gesù, in cui "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col
2.9). Venendo Cristo, il vero tempio di Dio, il segno del tempio cede il
posto alla realtà. Non senza ragione Mt 27,51 scrive che alla morte di
Gesù, "il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo", perché ormai
non aveva più nulla da nascondere. La presenza di Dio era in quel corpo
che dopo tre giorni sarebbe stato risuscitato e glorificato. Il Cristo glorioso,
l'Agnello sgozzato ma vivente sarà ormai il tempio della celeste
Gerusalemme (Apoc 21,22).
Da allora i cristiani non hanno bisogno di templi, perché “ovunque
sono due o tre riuniti nel mio nome (ad esempio quando si prega in
famiglia), io sono in mezzo a loro". Quando noi ci riuniamo per la messa,
l’assemblea cristiana, gode della presenza del Signore, è il tempio di Dio.
Ecco perché Pietro può parlare della Chiesa (quella delle persone) come di
un "edificio spirituale": "Stringendovi a lui (Gesù), pietra viva... anche voi
venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio
spirituale, per un sacerdozio santo...". (1 Pt 2,4-5).
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che
aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Solo dopo la risurrezione i discepoli capiscono quello che Gesù ha
detto: è Gesù è il vero tempio, è ciascuno di noi. «Ti cercavo fuori, ma tu
eri dentro di me», diceva già sant’Agostino.
Di qui il rispetto che dobbiamo avere per ogni persona, qualunque sia
la sua situazione, fisica o morale.
Terzo momento: la reazione della gente: fede sincera e fede finta
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti,

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vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù,
non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che
alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che ce
nel cuore di ogni uomo.
C’è chi crede per i segni, per i miracoli; Gesù non si fida di questi. Gesù
conosce ciò che c’è nel nostro cuore, se lo amiamo davvero, se crediamo.
RISPONDIAMO A GESÙ
Cosa significa per noi essere il tempio di Dio? Che ne abbiamo fatto di
questo tempio?
La quaresima è il tempo che Gesù ci dà per fare “pulizia”: da che cosa?
Come?
Gesù ci conosce profondamente conosce ciò che c’è nel nostro cuore: le
cose belle e quelle meno belle.
Anche la nostra casa è tempio di Dio quando ci vogliamo bene, ci
riuniamo a pregare: adesso in questa nostro incontro siamo il tempio di
Dio.
CI IMPEGNIAMO
QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA
Gesù innalzato sulla croce è il vero “serpente” che libera dal peccato.
GESÙ CI PARLA: ASCOLTIAMOLO
Dal Vangelo secondo Giovanni (3,14-21)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente
nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché
chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché
chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio,
infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è
condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha
creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la

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luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la
luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia
la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate.
Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che
le sue opere sono state fatte in Dio».
CERCHIAMO DI CAPIRE CIÒ CHE GESÙ CI HA DETTO
Nicodemo era un fariseo e un membro del sinedrio; con altri settanta
ebrei aveva il compito di far rispettare la legge di Mosé. Stupito dai segni
che accompagnavano la predicazione di Gesù, egli andò a cercarlo nel
cuore della notte. Sentiva il bisogno di comprendere meglio chi fosse
Gesù. Ma la vera notte, Nicodemo ce l’ha nel suo cuore e Gesù gli propone
la necessità di ricominciare, di trovare la luce, di una profonda
conversione: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non
può vedere il regno di Dio». Chissà quante volte Nicodemo avrà pensato
che bisognerebbe nascere un’altra volta, fatti in modo diverso, ma sapeva
che questo non è possibile. Per Gesù, invece, non è così impossibile come
sembra: per questo racconta quello che era capitato quando il popolo di
Dio, diretto alla terra promessa e aveva perso la fiducia in Dio.
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia
innalzato il Figlio dell’uomo».
Attraversando il deserto molte persone del popolo avevano perso la
fiducia in Dio e di conseguenza si erano trovate in mezzo ai serpenti
velenosi, in quell’occasione Dio aveva prontamente dato a Mosè un
rimedio: costruire un serpente di rame e metterlo in alto. Il serpente è
simbolo del tentatore, del peccato, della sfiducia; si pensi al serpente del
paradiso terrestre; inchiodarlo ad un palo significa ammazzarlo Chi lo
avrebbe guardato a questo segno, si sarebbe salvato. Nicodemo sapeva
bene che quel serpente di rame non aveva capacità magiche: non era esso a
guarire, ma era l’occasione per rinnovare, fa rivivere la forza della fede di
quel popolo. Era un richiamo alla fiducia nelle parole di Dio; senza quella
fiducia, Dio non avrebbe potuto continuare a condurlo alla fine del
percorso che aveva solo incominciato facendolo uscire dall’Egitto. Era un
richiamo ad alzare gli occhi sopra le difficoltà contingenti, quotidiane, a
cercare un respiro più alto e più profondo per andare avanti, per andare
oltre, per non fermarsi.
Gesù si paragona proprio a quel serpente innalzato. Anche lui sarà
innalzato, posto sopra la croce alla vista di tanti, e chi saprà scorgere

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l’amore che lo ha innalzato, potrà vedere con i suoi occhi il nuovo
sconcertante orizzonte dell’amore infinito di Dio. Quella croce sarà
un’esperienza così forte che sarà come tornare nel grembo della mamma,
dove tutto è rivestito di amore.
Con Gesù, innalzato sulla croce, viene crocifisso il peccato e la morte,
e con la sua resurrezione viene vinto il peccato e la morte; chi guarda, chi
ripone la fiducia in lui viene salvato
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il
mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Perché Gesù morto in croce e risorto? Per dirci quando ci ama il Padre,
per dirci che lui non è venuto per condannarci, per mandarci all’inferno,
ma per salvarci;
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato
condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di
Dio».
Per liberarci ha preso su di sé ogni condanna, ogni peccato, ogni male;
si è lasciato condannare, castigare, mettere a morte al posto nostro. In
questo modo ci ha fatto vedere quanto Dio ci ama. Chi crede in lui è salvo.
Chi non crede in lui, si autocondanna a rimanere nel suo peccato.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno
amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue
opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce,
perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Siamo un po’ testoni; siamo coloro che voglio camminare ad oggi
chiusi, nel buio, quando invece c’è la luce; non vogliamo credere
all’amore di Dio, pur avendo tante prove di questo amore, la più
importante è quella che Gesù, la vera luce, ha speso tutta la sua vita per
noi: Preferiamo guazzare nel peccato, nell’infelicità. Abbiamo paura di
manifestarci per quello che siamo, cioè peccatori e bisognosi di perdono
A chi non vede, non serve altro giudizio: aver perso l’occasione di
vivere in una “terra nuova” è già abbastanza pesante. Non è Dio che passa
al setaccio l’umanità e “scarta” quelli che non credono, non è questo il suo
intento! Chi non sa accogliere la propria debolezza e il rimedio, chi non sa
alzare lo sguardo verso Gesù innalzato sulla croce per ciascuno di noi, si
tiene fuori da solo dall’esperienza dell’amore. Scegliere di guardare in
faccia la verità di se stessi costa così tanto che non tutti lo fanno. Molti
sono quelli che si nascondono dietro ad una facciata di cose “meritevoli”,

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ingannando prima di tutto se stessi. Per questi, dove non c’è sete non ci
sarà acqua, non ci sarà nuova vita.
Come è andato a finire l’incontro di Nicodemo con Gesù
Dopo questa notte passata con Gesù, Nicodemo, non subito, ma pian
piano, acquistò coraggio, tanto da difenderlo davanti al sinedrio nei giorni
bui del suo arresto, chiedendo che venisse almeno ascoltato; il giorno della
sepoltura aiutò i suoi discepoli e mise a disposizione i suoi costosi oli
aromatici. La Chiesa lo venera come un santo e questo significa che
Nicodemo è riuscito a riconoscere l’immenso amore di Dio mostrato in
Gesù innalzato sulla croce, l’unico che fa rinascere l’uomo nella pace e
nella felicità. È uscito dalla notte.
RISPONDIAMO A GESÙ
Anche per noi e per i nostri figli non è facile riconoscere l’Amore. Per
essere visto, l’Amore ha bisogno di uno sguardo capace, sia di scrutare
senza paura le “oscure” profondità dell’egoismo, sia di andare oltre a
questo, alla ricerca del rimedio che Dio ha offerto in Gesù: la fiducia di
essere sempre accolti.
Non fa bene chiudere gli occhi su se stessi e credersi quelli che non si
è. Se questo succede, anche l’amore viene solo consumato e tutto diventa
diritto, addirittura sorgente di tristezza, perché motivo di richieste sempre
più alte. Mai come oggi i nostri ragazzi sono nel benessere e, per la
maggior parte, oggetto di attenzioni e premure, ma questo sembra non
bastare mai.
Il Vangelo suggerisce l’importanza di scoprire che l’amore che si
riceve non è un diritto, ma un dono che produce felicità solo se è percepito
come tale e se va ridonato agli altri.
CI IMPEGNIAMO
QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA
Gesù è come il chicco di grano che muore e porta molto frutto.
GESÙ CI PARLA: ASCOLTIAMOLO
Dal Vangelo secondo Giovanni (12,20-33)

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quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa cerano
anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di
Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a
Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia
glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in
terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi
ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la
conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove
sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo
onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da
quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica
il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò
ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono.
Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non
è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il
principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da
terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva
morire.
CERCHIAMO DI CAPIRE CIÒ CHE GESÙ CI HA DETTO
Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa cerano anche
alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di
Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo
andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
È l’ultima settimana di vita di Gesù. Egli si trova a Gerusalemme.
Persino un gruppo di pellegrini Greci, pagani, ma simpatizzanti per la
religione ebraica, giunti a Gerusalemme per assistere alle feste pasquali,
cambiano il loro interesse: «Vogliamo vedere Gesù». Conoscono la ritrosia
degli ebrei nell’intrattenersi con i pagani, soprattutto nelle immediate
vicinanze della festa e per questo non si rivolgono direttamente a Gesù, ma
fanno tale richiesta a Filippo, forse incoraggiati dal suo nome greco, il
quale investe a sua volta Andrea. Filippo e Andrea riferiscono questo a
Gesù

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Gesù non incontra il gruppo di “pellegrini”: preferisce cogliere
l’occasione per parlare ai suoi discepoli di come di lì a poco sarebbe stato
possibile vederlo, conoscerlo, a tutti, a tutti i popoli del mondo. Egli
dunque annuncia loro di essere arrivato alla meta della sua vita: è arrivata
quell’ora verso la quale tutto era orientato, l’ora in cui si sarebbe mostrato
completamente, l’ora del compimento di quel progetto di Dio che lo aveva
portato in terra.
È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato.
Per Gesù la vera gloria di Dio, la sua vera potenza e la sua forza, va
ricercata nel gesto supremo del suo amore, quello della sua prossima morte
e risurrezione. Per questo Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo, per
questo Gesù è nato ed è vissuto. Lui è il figlio unico di Dio, sceso nella
nostra storia per mostrare proprio il vero volto di Dio: un volto di Padre.
Se il chicco di grano caduto in terra non muore rimane da solo».
Volevano vedere Gesù e Gesù fa vedere il suo vero volto, lo si vedrà tra
poco sul Calvario quando si consegnerà alla croce e sarà poi sepolto come
un grano pieno di vita, per far guadagnare al Padre una grande moltitudine
di fratelli, per mostrare il suo amore a tutti.
Chi ama la propria vita la perde e chi la odia la conserverà.
È un terremoto che si abbatte sull’uso consueto delle parole “odio” e
“amore”. Amore in noi richiama il desiderio di unione, mentre l’odio, il
distacco. Ci aspetteremmo sempre cose buone dal primo e cose orribili dal
secondo, invece qui, dove il centro è “la propria vita”, le conseguenze sono
capovolte, invertite: chi la odia la possiede, chi la ama la perde: è questa la
legge della vita per Gesù e per i cristiani. Dopo gli eventi della Pasqua di
Gesù sarà tutto più chiaro.
L’ “attaccamento” a se stessi non può che essere “perdente”: si lotta, si
fatica inutilmente in una realtà dove tutto passa, dove nulla si può
trattenere. Quel “distacco” da sé stessi invece consente di abbandonarsi al
flusso della vita, permette che ci si doni e non si venga derubati, che non ci
si consumi: consente di mettere in circolo e condividere quello che si è
trovato di buono in sé. In- somma, permette proprio l’amore.
Se uno mi vuole servire, mi segua
Ecco tracciata anche la via del discepolo che Gesù indica ai discepoli.
Il vero esodo va da se stessi al dono della vita agli altri, dall’egoismo
all’amore. È vero, non è una strada naturale.
Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da
quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre,

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glorifica il tuo nome».
La via o “la legge della vita” (dalla morte la vita) non è facile nemmeno
per Gesù. Anche Gesù è turbato e cita un salmo della Bibbia, il sesto:
«Adesso l’anima mia è turbata». Come è stato difficile per l’antico popolo
d’Israele uscire dall’Egitto dove aveva casa, sicurezze, mangiare e bere,
anche uscire da sé comporta fatica e paure. Le alternative a questo esodo
però sono la solitudine e l’inutilità della propria vita.
«Che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo
sono giunto a quest’ora!»
Gesù non chiede di essere sottratto da questa sua “ora”, anche se
davanti ha la croce, ma chiede a Dio che si compia l’unico disegno che sa
dare significato alla vita, chiede di dare ancora fiducia all’amore.
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò
ancora!».
Qui, nell’ora della prova si sente la voce del Padre: mai Dio ha lasciato
la storia dell’uomo senza una sua parola, senza la sua voce. «L’ho
glorificato e lo glorificherò ancora!». Quella voce richiama sia il battesimo
di Gesù, quando lo Spirito di Dio si posò su di lui, sia le tante “opere”,
segni e miracoli, in cui Dio aveva voluto far sentire a tutti che era con lui.
Quella voce dice che sarà con lui ancora, anche se quello che gli sta
davanti non è più desiderabile: la croce. Eppure sarà solo allora che tutti,
ebrei e greci, potranno conoscere Gesù e la verità di Dio.
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono.
Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato».
L’evangelista racconta che qualcuno pensò di quella voce che fosse
stato un tuono, immagine del Dio terribile e temibile che mette paura. Altri
invece pensarono che a parlare fosse stato un angelo, immagine di un Dio
lontanissimo dall’uomo e inavvicinabile.
Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il
giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato
fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva
questo per indicare di quale morte doveva morire.
Quando Dio parla, gli uomini purtroppo non lo capiscono mai! Gesù
dice: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di
questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori».
Quando Gesù salirà sulla croce, quella voce diventerà un’immagine, le
parole si vedranno e allora la menzogna, che infiltrandosi in ogni realtà,
compresa la religione, da sempre insidia anche la voce di Dio, potrà essere

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annientata. Una è la verità: quell'uomo sofferente e sconfitto diviene icona
vivente dell'amore del Padre; Amore è Dio, Amore è il Figlio che l’ha
manifestato e l’amore è la strada che ha percorso e che ci indica per
seguirlo. L’amore è la vita e il vero morire è non conoscere tutto questo!
RISPONDIAMO A GESÙ
Tutti abbiamo delle mete nella nostra vita, realizzarci e, come genitori,
portare i nostri figli a diventare qualcuno. Chissà come interpretano questo
nostro sforzo i nostri figli! Sicuramente sanno che li vorremmo più
“buoni” e “obbedienti”, ma avranno compreso che questo si realizza
“guardando fuori” da se stessi? Tanto più le mete della vita li
concentreranno su loro stessi (diventare un calciatore solo per fare soldi o
una “velina” solo per apparire in tv), tanto più li porteranno lontani da un
percorso vero rispettoso della loro vita.
Il Vangelo insegna che si può essere felici solo se si vive nell’amore,
spostando le nostre attenzioni da noi stessi a quel Dio che ci dà la gioia di
sentirci Figli e di non essere dei pellegrini senza meta nel divenire del
cosmo, da noi stessi agli altri che ci circondano, grazie ai quali ogni nostra
qualità diventerà un dono (carisma) e ogni nostra ricchezza una semina che
porterà frutto. Il percorso può sembrare difficile, perché richiama l’idea,
oggi paurosa, del sacrificio, ma il vero sacrificio, la vera privazione, si ha
sulla strada del vivere per se stessi, dove ogni giorno ci si consegna al
nulla.
CI IMPEGNIAMO
Ciascuno prende dei semi (le nostre doti-carismi) e li semina in una
vasetto di terra umida, come segno del suo volere di uscire da se stesso
per darsi agli altri.
In concreto: come posso realizzare questo?
DOMENICA DELLE PALME
Gesù dà inizio al suo mistero pasquale
• PREPARIAMOCI ALL’INCONTRO CON GESÙ
GESÙ CI PARLA: ASCOLTIAMOLO

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Dal Vangelo secondo Marco (11,1-11)
Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il
monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel
villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro
legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se
qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: "Il Signore ne ha
bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un puledro
legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei
presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero
loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. Portarono il puledro da
Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti
stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate
nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che
viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».
CERCHIAMO DI CAPIRE CIÒ CHE GESÙ CI HA DETTO
Alcune premesse
Gesù è il Messia. L’evangelista Marco in questo racconto inserisce una
serie di rimandi all’attesa del Messia che non si possono ignorare.
“Messia” significa «unto con l’olio» e indica un’indelebile benedizione
speciale da parte di Dio e l’affidamento di una missione speciale a favore
di tutto il popolo. Molte sono le pagine della Bibbia che raccolgono la
speranza di un intervento salvifico da parte di Dio nella storia: qualche
volta, a causa di una profezia che Natan fece a Re Davide (2 Sam. 7), il
Messia è atteso come un re discendente di Davide; altre volte come un
profeta, un altro Mosé che sa parlare al popolo con le parole di Dio e
condurlo a lui; altre volte ancora, nelle profezie del profeta Daniele, come
un “figlio dell’uomo” che viene sulle nubi, uomo al di sopra dell’umanità,
che ha un potere cosmico che userà per ristabilire sulla terra la volontà di
Dio. Marco tesse così la trama di questo racconto mostrando come Gesù
sia sì il Messia atteso, che porterà a termine il mandato per cui Dio lo ha
mandato e benedetto, ma precisando che la strada che percorrerà non sarà
quella che in tanti si aspettavano.
Domenica delle palme o di passione Così è soliti chiamare l’odierna

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celebrazione; entrambi i termini “centrano” il significato. Infatti subito
dopo la processione, giunti in chiesa, viene letto il racconto della passione:
Gesù entra in Gerusalemme per farle dono della sua vita ...
Le palme. Perché si parla di palme? Il vangelo di Marco non parla di
palme; gli altri evangelisti parlano semplicemente di “rami degli alberi”.
Le palme evocano la passione che avrà inizio qualche giorno dopo.
Quando, nell’antica Grecia, gli atleti superavano una gara nelle Olimpiadi,
affermavano la loro vittoria stringendo nelle mani una palma. Dal termine
testimonianza (in greco “marturia”) proviene l’espressione del nostro
“martire”. A motivo di ciò l’iconografia cristiana presenta i martiri,
testimoni di Cristo, con la palma. Dall’altro canto l’espressione “passione”
rimanda alla forza con la quale si vive una realtà: un lavoro, un amore, una
vita. Con la stessa potenza e maestà Gesù si è sottoposto alla morte e ha
trionfato dalla morte. L’ingresso di Gesù in Gerusalemme è l’espressione
dell’amore di Cristo.
Entriamo nel racconto
Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso
il monte degli Ulivi. Gesù entra in Gerusalemme: è il cuore della vita di
Israele. Secondo la linea narrativa propria di Marco, questa è la prima
volta che Gesù entra in questa città, e vi accederà dalla parte del Monte
degli Ulivi. Oltre al fatto che l’ulivo richiama l’unzione messianica, tale
monte si trova ad oriente di Gerusalemme da dove le profezie avevano
predetto sarebbe arrivato il Messia.
mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di
fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul
quale nessuno è ancora salito
Anche quello strano invito di Gesù ad andare a prendere «un puledro»
richiama un’altra profezia messianica riportata dal libro di Zaccaria (9,9):
«Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un
asino, un puledro figlio d’asina». Per questo profeta, il Messia sarebbe
stato un re di pace, non violento, non un dominatore, ma avrebbe fatto
scomparire da Gerusalemme ogni ingiustizia. Gesù ordina di «slegare»
quel puledro e più volte appare in questo breve brano l’accenno a questa
azione: tale sottolineatura sembra dirci che Gesù libera questa profezia di
un Messia portatore di pace, prima «legata», coperta e censurata dal
desiderio di risolvere ogni cosa nella potenza e nella forza.

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E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: "Il Signore
ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Andarono e trovarono un
puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono.
Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed
essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Quella domanda fatta nel villaggio, «Perché slegate questo puledro?»,
mette in luce che per il popolo non sarà facile comprendere questo modo
di essere di Gesù: ogni volta che nel Vangelo Marco usa come
ambientazione il “villaggio”, luogo della routine e del “si è sempre fatto
cosi”», è un anticipo di incomprensione, di ostilità e di conflitto.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli
vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece
delle fronde, tagliate nei campi.
I suoi discepoli «gettano i mantelli» su quel puledro: gettare il mantello
significa mettere la propria fiducia, e caricarli su quell’animale è come dire
che i suoi discepoli erano disposti ad accettare una tale via di pace, non
violenta.
Gesù vi si «siede», non sale, come a dipingere la presa di possesso da
parte del re del suo trono. Inizia il regno di pace che Dio aveva promesso,
basato non sulla potenza e sulla forza, ma sull’amore.
La folla invece, corrotta da chi ha «legato» queste profezie per anni,
stende i tappeti a terra; è un segno di sottomissione, di un popolo che non
si aspetta niente di più di quello che aveva sempre ricevuto: ancora una
dominazione.
Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che
viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».
Gesù si trova in mezzo tra «quelli che precedono e quelli che lo
seguono», che gridano “osanna” (=salvaci!) ad un Messia che pensano sia
come il re Davide, ma non corrisponde alla verità; non hanno compreso
chi stanno accompagnando; per questo saranno delusi e qualche giorno
dopo fuggiranno e grideranno «crocifiggilo».
RISPONDIAMO A GESÙ
Anche noi spesso siamo tentati di dare fiducia a ciò che riteniamo sia forte
e potente e a volte vorremmo che anche la nostra fede avesse una chiara
ricaduta di benefici concreti nella nostra vita. Per riconoscere Gesù c’è

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bisogno che abbandoniamo la via della potenza e della forza. Il nostro Dio
non chiede di sottometterci, ma di riconoscere e rispondere al suo amore;
se ci pensiamo bene, questo è molto di più di una “potente protezione”: ci
chiama ad essere amici e non servi. Se mettiamo come i suoi discepoli la
nostra fiducia in lui, Messia di pace e di amore, Gesù fa parte con noi della
sua unzione, quella della benedizione e della missione: ciascuno di noi,
con i propri doni e con la propria personalità, sarà una parte importante del
Regno di pace, di giustizia e di amore
CI IMPEGNIAMO