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Newsletter per l’aggiornamento e la formazione professionale continua degli Oculisti Dott. Mauro Cassinerio Corso accreditato presso il Ministero della Salute con il codice N. 5-114854 Percorso Formativo 2015 Responsabile Scientifico VITRECTOMIA MAGGIO 2015, N°101

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Newsletter per l’aggiornamento e la formazione professionale continua degli Oculisti

Dott. Mauro Cassinerio

Corso accreditato presso il Ministero

della Salute con il codice N. 5-114854

Percorso Formativo 2015

Responsabile Scientifico

VITRECTOMIA

MAGGIO 2015, N°101

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ANNO IX NUMERO 101 MAGGIO 2015

VITRECTOMIA

Dr. Patrizio Seidenari, Direttore della II Divisione di Oculistica - Ospedale Fatebenefratelli Oftalmico, Milano

Q uesta serie di lezioni sulla vitrectomia segue quella riguardante la chirurgia episclerale del distacco di retina ed anch’essa è destinata ad oftalmologi che desiderano approcciarsi a questa tecnica

chirurgica senza precedente esperienza in materia. Questa sequenza non è casuale: l’approccio alla vitrectomia, a mio parere, dovrebbe essere attuato solo dopo aver acquisito una solida esperienza nella chirurgia episclerale, a volte necessaria per cavarsi d’impiccio in caso di complicazioni legate a questo intervento. Cominceremo a descrivere le tecniche chirurgiche nei casi più semplici, introducendo man mano i principi base della vitrectomia e la descrizione degli strumenti di uso comune, e continueremo poi con le patologie più complesse nelle lezioni future. L’intervento di vitrectomia, cioè l’asportazione del vitreo, può essere eseguito solo dopo aver praticato uno o più accessi alla cavità vitreale (in genere tre), che di solito vengono eseguiti a livello sclerale (sclerotomie) in corrispondenza della pars plana (ove l’epitelio pigmentato è quasi sempre saldato alla retina e non v’è pericolo di provocare un distacco di retina). Il primo accesso serve per il cannello di infusione di fluidi (collegato all’inizio ad una bottiglia di soluzione

salina bilanciata - BSS) e di solito è situato infero temporalmente; il secondo serve per introdurre una fibra ottica collegata ad una sorgente luminosa, per illuminare l’interno dell’occhio; il terzo per introdurre il vitrectomo o altri strumenti. Questi ultimi due accessi sono situati superiormente (Fig. 1). Sulla linea di infusione è inserito un rubinetto che permette di commutare il tipo di fluido che deve essere introdotto nell’occhio a seconda delle necessità chirurgiche. Nella vitrectomia classica (20 gauges) è necessario scollare la congiuntiva dalla superficie sclerale (almeno nella metà superiore) prima di eseguire le sclerotomie; queste sono relativamente grandi (di 1 mm) e vanno create con un’apposita lancia. Gli strumenti vanno introdotti nella cavità vitreale attraverso le sclerotomie senza alcuna guida, il che probabilmente fa correre il rischio di generare trazioni sulla base del vitreo e quindi sulla retina (agli albori della vitrectomia venivano impiegate delle guide sclerali per il 20g, ma in seguito sono state abbandonate). A fine intervento le sclerotomie devono essere suturate e la congiuntiva va risistemata in sede. Nella vitrectomia cosiddetta mini invasiva (23-25 g), invece, non è di solito necessario scollare la congiuntiva perché sono state reintrodotte le guide sclerali, che servono contemporaneamente anche come guide attraverso la congiuntiva. Il diametro delle sclerotomie è stato ridotto fino alla metà (0.5 mm nel 25g). I vantaggi della vitrectomia mini invasiva non sono affatto secondari, anche per il confort del paziente e per l’aspetto postoperatorio dell’occhio. In primo luogo aperture così piccole non solo risparmiano la sclera, cosa importante in caso di reinterventi e nei miopi elevati, ma consentono - se le sclerotomie sono eseguite in modo adeguato - di evitare le suture. In secondo luogo la reintroduzione delle guide sclerali garantisce una maggior protezione della base del vitreo dalle trazioni, oltre a permettere l’approccio transcongiuntivale. A mio parere, perciò, anche se si è inesperti, conviene iniziare da subito con la vitrectomia mini invasiva 23 o 25 g. Nella chirurgia mini invasiva, quindi, la congiuntiva non deve essere aperta e cannello di infusione e strumenti vengono introdotti all’interno dell’occhio attraverso delle guide transcongiuntivali (cannule). Queste vengono fornite già premontate (trocar) coassialmente ad apposite lancette che servono a metterle in sede passando simultaneamente attraverso congiuntiva e sclera (Figg. 2,3,4). Le lancette devono poi esser asportate, mentre le cannule vengono lasciate in sede (Fig 1). Le cannule possono essere aperte oppure essere dotate di valvole per evitare il reflusso di liquidi all’esterno. Per evitare confusione, con il termine “cannule” ci riferiremo d’ora in poi alle guide che vengono lasciate in sede, mentre con il termine “trocar” ci riferiremo al complesso premontato guida-lancia che serve ad introdurre le guide nella sclera. Per sistemare questi

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trocar bisogna spostare la congiuntiva con una pinza anteriormente o lateralmente, in modo che il foro della congiuntiva non corrisponda a quello della sclera. Il trocar va introdotto a 4 mm dal limbus se il paziente è fachico (per non danneggiare il cristallino) o a 3,5 mm se afachico o pseudofachico (non più avanti per non danneggiare i corpi ciliari). Le posizioni alle 3 e alle 9 dovrebbero essere evitate, per non danneggiare il nervo o l’arteria ciliare posteriore lunga. Il trocar va inserito inclinato rispetto alla perpendicolare al piano sclerale, in modo da creare

una sorta di tunnel autosigillante, senza esagerare per evitare di rimanere nello spazio sottocoroideale o sotto la retina (e di provocare un distacco di coroide o di retina, se ciò si verifica a livello del cannello di infusione). Io preferisco non raddrizzare il trocar nell’ultima parte del tragitto intrasclerale per evitare di stracciarne la parte interna. Il trocar che serve per il cannello di infusione deve essere sistemato per primo, appena sotto o sopra il retto laterale (temporalmente); i trocar per gli strumenti vanno sistemati supero nasalmente e supero temporalmente, abbastanza distanti tra loro da non impedire i movimenti e permettere un accesso agevole anche alla retina superiore, ma non troppo da interferire con il naso o con il bordo orbitario: ovviamente l’inclinazione delle cannule superiori deve essere verso le ore 12, in modo che il tunnel sclerale creato segua l’inclinazione naturale degli strumenti nel corso dell’intervento. La punta della lancetta del trocar solitamente viene orientata in modo da formare un taglio parallelo al limbus. Specialmente se si prevedono reinterventi, sarebbe però meglio eseguire dei tagli perpendicolari al limbus che permettono di fare sclerotomie in successione una accanto all’altra senza danneggiare eccessivamente la sclera. Per poter sistemare i trocar agevolmente ed essere abbastanza sicuri di penetrare bene nella cavità vitreale superando lo spessore della coroide e della retina, è necessario che l’occhio sia abbastanza consistente, come frequentemente è dopo l’anestesia retrobulbare. Se l’occhio invece è già in ipotono prima di iniziare l’intervento, bisogna aumentarne la consistenza con una iniezione di BSS in pars plana o in camera anteriore con un ago 30 g. Se il paziente non è stato già vitrectomizzato in precedenza, di solito l’occhio rimane in tono dopo l’introduzione del primo trocar, anche dopo aver estratto la lancetta e senza aver collegato il cannello di infusione alla cannula, tanto da permettere di sistemare in successione gli altri due. Se invece il bulbo si ipotonizza dopo aver sistemato la prima cannula, bisogna collegare subito il cannello di infusione alla cannula, spingerlo verso l’interno dell’occhio per controllare se si è entrati bene in camera vitrea superando coroide e retina, quindi aprire l’infusione, alzare la bottiglia per dare consistenza all’occhio, ed infine richiuderla per evitare che il liquido refluisca e l’occhio si ipotonizzi nuovamente quando si applica pressione per introdurre gli altri troca. Si introduce quindi il secondo trocar, si estrae la lancetta, si chiude con apposito tappo la cannula appena introdotta (se non è valvolata), si ridà tono come prima se necessario, infine si sistema l’ultimo trocar. Anche nel caso non sia stato necessario eseguire le manovre sopra descritte per introdurre i trocar, e questi sono penetrati bene senza problemi, è di fondamentale importanza assicurarsi, prima di aprire l’infusione, che il cannello e la cannula a cui esso è collegato siano penetrati interamente in camera vitrea superando coroide e retina, pena la formazione di un distacco di retina o di coroide. Come già detto, per fare ciò bisogna spingere il cannello di infusione verso il centro dell’occhio fino a visualizzarne la punta (Fig. 5). Se la punta del cannello di infusione non è visualizzabile o perché l’occhio è in ipertono e quindi non consente di spingere abbastanza il cannello verso il centro o perché il vitreo è opaco, bisogna introdurre il vitrectomo con l’infusione chiusa e asportare un po’ di vitreo a secco fino a che la punta del cannello non sia visibile mentre lo si spinge verso il centro

Figura 2

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dell’occhio (attenti al cristallino). Una volta sistemato il cannello di infusione e le cannule per le fibre ottiche e per il vitrectomo, si può aprire l’infusione, ma non si è ancora pronti per iniziare la vitrectomia: bisogna prima decidere quale sistema di osservazione convenga usare. Per eseguire la vitrectomia ed avere contemporaneamente una visione panoramica del fondo oculare sarebbe meglio impiegare fin dall’inizio un sistema a grande campo, che deve essere già stato collegato al microscopio. Prima di abbassarlo di fronte all’occhio, bisogna portare l’ingrandimento del microscopio al minimo, mettere a fuoco il segmento anteriore ed entrare con la fibra luminosa (già accesa); quindi mettere in posizione il sistema di osservazione, girare la rotella di messa a fuoco, usando la mano libera, fino ad ottenere una visione nitida del fondo ed alla fine ingrandire se necessario. Se nei primi casi ci si trova in grande difficoltà con questo sistema, si può utilizzare in alternativa una lente a contatto (Fig. 6) che limita il

campo ma dà una visione più stabile. A questo punto si può entrare con il vitrectomo ed iniziare ad asportare il vitreo. La luce delle fibre ottiche deve essere angolata obliquamente in modo da illuminare le fibre del vitreo che dovete asportare, ma anche il polo posteriore, consentendo così di poter gettare un occhio a quanto succede alla retina. Se non avete esperienza di vitrectomia ed in più siete pure da soli, il primo paziente che dovete operare non deve sicuramente avere un emovitreo, e ancor meno un emovitreo da diabete, perché in questi casi

all’inizio non si riesce a vedere bene cosa si fa e si ha anche difficoltà a vedere la periferia retinica. La cosa migliore è iniziare con un pucker maculare idiopatico, in cui la membrana epiretinica (MER) sia abbastanza spessa da essere ben visibile, meglio ancora se in paziente pseudofachico (cosi da non doversi preoccupare del cristallino) con capsula però trasparente anche in periferia, con vitreo già distaccato, con periferia ben esaminabile in preoperatorio con vetro a 3 specchi e senza rotture o altre anomalie retiniche. In un caso del genere potete limitarvi ad eseguire una vitrectomia solo centrale, avendo però cura di eliminare i corpi mobili vitreali: il non spingersi troppo in periferia con il vitrectomo riduce la difficoltà chirurgica dell’intervento ma soprattutto riduce la probabilità di danneggiare il cristallino (se fachico) e di creare rotture retiniche da trazione. Queste possono anche essere evitate se si sposta il vitrectomo lentamente nella cavità e si tende ad andare incontro al vitreo resistendo al movimento naturale di tirarlo verso il centro dell’occhio. Nei pazienti fachici, la vitrectomia deve essere eseguita rapidamente per poter passare nel minor tempo possibile alle manovre da eseguire sulla retina. Più si perde tempo e più liquido di irrigazione circola nella cavità vitreale, più è facile che il cristallino (ed eventualmente la cornea) perda trasparenza (e che la pupilla si stringa) e che il peggioramento della visione renda difficile la manovra di asportazione della membrana epiretinica. Se il vitreo non è staccato, o si ha il dubbio che non lo sia (ma non deve essere il caso del primo intervento) conviene iniettare subito del triamcinolone (o simile), che rimane intrappolato nel vitreo e lo mette in evidenza “colorandolo” in bianco. Il triamcinolone serve quindi come test per verificare se il vitreo è effettivamente staccato: in questo caso esso cade sulla retina e si sparge sulla superficie; se viceversa il vitreo è ancora attaccato, esso forma un cuscinetto simile ad un batuffolo di cotone che rimane rilevato rispetto al piano retinico (Figg. 7,8). Abbiamo già detto che nei primi interventi è meglio scegliere casi con vitreo già staccato per evitare complicazioni, ma se, contrariamente alla valutazione preoperatoria, ci si rende conto con il triamcinolone che è ancora attaccato, bisogna staccarlo dalla superficie retinica prima di procedere con l’intervento. Per fare ciò, bisogna portarsi con la bocca del vitrectomo davanti alla papilla, cercare di catturare il vitreo aspirando al massimo senza tagliare, tirando in avanti verso il

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Figura 5

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centro della cavità vitreale. Se il vitreo si stacca, si vede la nuvoletta staccarsi dal polo posteriore e l’anello di Weiss staccarsi dalla papilla (Fig. 9). Se il

vitreo è molto aderente e non c’è verso di staccarlo così, bisogna circoncidere il vitreo attorno al polo posteriore in modo da separarlo da quello periferico e quindi aspirarlo sui bordi fino a staccarlo. Bisogna evitare, mentre si stacca il vitreo, di esercitare trazioni laterali, che si trasmettono alla periferia retinica e possono causare rotture anche multiple. Si asporta quindi la parte centrale del vitreo staccato (ribadisco che in caso di chirurgia maculare non è necessario andare in periferia più di tanto, così si evitano rotture periferiche). Già cosi facendo di solito la ialoide si stacca fino alla periferia. In caso contrario, si può cercare di staccarla aspirandone con il vitrectomo il bordo libero e tirando delicatamente. La manovra deve essere immediatamente interrotta se si vede che l’aderenza alla retina è eccessiva e si rischia di causare rotture. Si può passare a questo punto alla fase vera e propria della chirurgia maculare. Questa fase della chirurgia è eseguibile molto più facilmente osservando il fondo con la lente a contatto. Alcuni chirurghi preferiscono sollevare prima un bordo della mer con un ago appena piegato in punta, ma io trovo che ciò sia solo raramente necessario. Specie se la membrana è bene evidente, si può estrarla direttamente con la pinza, afferrandola dove è più spessa. È meglio evitare di afferrarla nella zona inter papillo-maculare per non

danneggiare le fibre ottiche. Con la pinza aperta, ci si appoggia delicatamente sulla retina, si chiude e quindi sempre delicatamente si tira lateralmente per controllare se il morso ha preso solo la mer o se è stata pinzata la retina. Se la presa è corretta, si comincia ad asportare la membrana esercitando solo una trazione tangenziale ed in senso centripeto rispetto alla fovea (Figg. 10,11). Se la membrana si

stacca completamente senza esercitare trazioni su quest’ultima, si completa direttamente l’operazione, altrimenti bisogna fermarsi, afferrare la membrana in altre sedi e procedere centripetamente in modo da ridurre il più possibile la trazione sulla zona centrale. Se si hanno delle difficoltà con l’asportazione della mer, conviene iniettare un colorante ed in tal caso uno di quelli in grado di colorare sia la mer che la membrana limitante interna. Il colorante può essere iniettato sia con un ago smusso, che con un ago normale, stando però attenti alla punta, avendo l’accortezza di chiudere prima l’infusione dell’acqua in modo da evitare che il colorante si disperda per la cavità vitreale e cercando di dirigere l’infusione verso il polo posteriore. Il colorante va lasciato pochi secondi e quindi lavato via (ricordarsi di riaprire l’acqua). Dopo aver estratto la membrana epiretinica, bisogna asportare anche la membrana limitante interna. Per facilitarne l’asportazione conviene usare sempre il colorante. Sicuramente il verde di indocianina è quello che colora meglio, ma conviene evitarlo per la probabile tossicità. Il blu di solito è sufficiente per dare un contrasto accettabile. A volte

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succede, spesso in caso di fori maculari e lamellari, di non riuscire a colorare niente e di non riuscire ad afferrare nulla con la pinza. Questo indica che, anche se è stato già staccato il vitreo, è rimasto comunque un sottile strato di materiale sulla superficie della retina. Questo deve quindi essere asportato, per poter procedere, massaggiando la superficie della retina con un ago protetto (cioè munito di un’appendice di plastica soffice (fig. 12), partendo dalle arcate in

senso centripeto. Il materiale che si asporta ha tipicamente un aspetto impalpabile e giallastro ed è attaccato ai bordi della fovea dalla quale va asportato molto delicatamente o trimmato con il vitrectomo. In questi casi si deve poi colorare nuovamente, questa volta con successo. Anche nel caso della limitante non è necessario nella maggior parte dei casi usare un ago per sollevare un piccolo lembo, ma è sufficiente la pinza. Il tocco della pinza deve essere un po’ più delicato rispetto a quando si stacca la membrana e bisogna subito fermarsi se si ha l’impressione di aver preso anche la retina. Dopo aver sollevato il primo lembo di limitante, il contrasto tra la limitante ancora da togliere e la retina nuda è netto (Fig. 13) e facilita la rimozione della limitante residua. Anche per la limitante la rimozione dovrebbe cominciare dalla periferia e continuare in senso centripeto. Nei miopi elevati alcuni consigliano di lasciare una piccola porzione di limitante attorno alla fovea per evitare di

indebolirla e di favorire la formazione di un foro maculare. L’asportazione della limitante provoca sempre uno sbiancamento della retina e la formazione di petecchie emorragiche multiple (Fig. 14), che sono la prova dell’effettiva asportazione

della limitante (se non si formano bisogna ricolorare e controllare se la limitante è ancora in sede). La cosa più importante a cui bisogna stare attenti durante le manovre di peeling è la distanza della fibra ottica illuminata dalla superficie retinica. I principianti tendono a tenerla vicinissima per cercare di vedere meglio e conseguenza di ciò può essere una lesione attinica della fovea con effetti disastrosi sull’acutezza visiva. Per evitare questa grave complicazione, conviene, oltre a tenere la fibra lontana dalla retina, abbassare il più possibile l’intensità della sorgente luminosa e non indugiare troppo con la luce sulla fovea. La sensazione di aver completato la parte più difficile ed importante dell’intervento dopo aver eseguito con successo queste manovre è ingannevole. In realtà la parte più importante e più difficile deve essere ancora eseguita e consiste nel controllo della periferia retinica alla ricerca di eventuali rotture iatrogene. Un peeling incompleto al massimo non fa danni e può essere comunque completato successivamente, mentre rotture non trattate possono portare ad un distacco di retina (spesso in questi casi il distacco può svilupparsi lentamente ed insidiosamente e quando viene diagnosticato può essersi già sviluppata una PVR, che può anche portare ad una compromissione definitiva dell’acutezza visiva e anche a perdita funzionale e anatomica dell’occhio). L’esame, quindi di fondamentale importanza, della periferia retinica, va eseguito preferibilmente con il sistema di osservazione a grande campo (in alternativa si può utilizzare la lente a contatto angolata); l’occhio va ipotonizzato, per facilitare l’indentazione del bulbo, abbassando la bottiglia di infusione o addirittura chiudendo l’infusione di BSS ed aspirando con il vitrectomo fino a quando non comincino a comparire delle pieghe della retina. L’ipotonia non deve essere eccessiva, specialmente nei pazienti miopi e negli anziani, che possono sviluppare con facilità un distacco di coroide. La periferia va esplorata completamente, dall’ora serrata fino a dietro l’equatore. È necessario a tal fine spingere la parete sclerale verso l’interno con uno strumento smusso (indentatore), sia per mettere

Figura 14

Figura 12

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in vista le parti più periferiche, sia per esaminare la retina di profilo (più facile identificare piccole rotture e sollevamenti iniziali o schisi (Fig. 15).

Angolando opportunamente la fibra ottica e indentando è facile evidenziare il vitreo residuo ed individuare il limite posteriore della base del vitreo (cioè dove questo è attaccato indissolubilmente alla retina). Le rotture si formano sempre a quel livello ed è lì che vanno cercate. Particolare attenzione va dedicata all’esame della retina dietro le sclerotomie. Eventuali rotture possono essere su retina piana o accompagnarsi ad un distacco di retina. Vediamo di seguito cosa si deve fare a seconda delle varie situazioni Se si evidenziano delle rotture su retina piana, queste devono essere trattate con la crio o con il laser. Il criotrattamento deve limitarsi ad un solo spot se la rottura è piccola; se la rottura è grande deve essere confluente lungo tutto il contorno e deve spingersi fino all’ora serrata, ma senza esagerare. Se si preferisce impiegare l’endolaser bisogna tener presente che il trattamento è di semplice esecuzione inferiormente e lateralmente, anche se per arrivare fino all’ora serrata bisogna indentare dall’esterno. Per trattare i settori superiori è necessario invece usare un laser endoilluminato o una fonte luminosa supplementare (candeliere). Le rotture devono essere circondate da due-tre file di spot confluenti. Alla fine conviene riempire la cavità vitreale con aria (scambio aria-BSS) per tamponare le rotture. L’aria permane per circa una settimana, lasciando il tempo alla cicatrice corioretinica di formarsi ed evitando che la retina si stacchi nel post-operatorio. Se oltre alla/e rotture retiniche si è anche formato un distacco di retina, la situazione diventa più complicata. Se il distacco arriva però solo poco più posteriore della rottura stessa, per spianare la retina è sufficiente eseguire subito lo scambio aria, prima di eseguire la crio o il laser. Perché l’aria? Perché l’aria ovviamente galleggia al di sopra del liquido ed avendo una forte tensione superficiale rispetto ad esso tende a rimanere in bolla unica, a non passare attraverso la rottura e a spostare il liquido sia nella cavità vitreale, sia quello sotto la retina posteriormente (verso il polo posteriore). Se si ha l’accortezza di aspirare con un ago smusso il liquido sottoretinico attraverso la rottura mentre si introduce l’aria dal cannello di infusione, la retina si asciuga

completamente. Come si esegue lo scambio aria ? Nella maggior parte dei sistemi per vitrectomia, il cannello di infusione è collegato ad un rubinetto a tre vie, le cui due entrare sono collegate una al liquido di irrigazione e l’altra alla pompa dell’aria. L’aria quindi può essere introdotta attraverso lo stesso cannello di infusione del BSS, girando il rubinetto (escludendo quindi l’infusione di liquido). Per poter fare entrare l’aria ed eseguire lo scambio, bisogna però aspirare il liquido che riempie la cavità vitreale introducendo, sempre sotto osservazione, un ago a punta smussa, aperto verso l’esterno (ago di Charles) o collegato ad una aspirazione attiva, o lo stesso vitrectomo (solo aspirazione). L’ago deve essere mantenuto all’inizio, al centro della cavità vitreale. Mentre il liquido esce dall’ago, l’aria, dopo aver riempito la linea di infusione, comincia a fluire dal cannello e a riempire la parte alta della cavità vitreale (il liquido, più pesante, ovviamente rimane nella parte bassa della cavità ). La messa a fuoco del grande campo va aggiustata a questo punto per adattarsi al nuovo mezzo. L’ago va mantenuto nel liquido, sotto la bolla d’aria, e spostato poi in corrispondenza della rottura retinica in modo da aspirare il liquido sottoretinico man mano che questo viene spostato dall’aria posteriormente. Una volta asciugata la retina il più possibile, si riempie tutta la cavità vitreale aspirando con l’ago davanti alla papilla (per evitare di aspirare la retina). A questo punto si esegue il laser o il criotrattamento della rottura. Se la retina si è sollevata molto posteriormente rispetto alla rottura, il gioco non funziona più e l’aria da sola può non essere sufficiente. Difatti, quando il menisco dell’aria, che sta scendendo verso il polo superiore, supera il livello della rottura, questa viene sigillata ed il liquido sottoretinico rimane sequestrato posteriormente. Se il liquido è poco, esso può essere lasciato in sede, perché sarà riassorbito dall’epitelio pigmentato rapidamente nel postoperatorio. È sufficiente completare lo scambio aria e posizionare il paziente come specificato sotto. Altrimenti, se dopo aver riempito la parte alta della cavità vitreale con l’aria e aver spianato la rottura, il liquido sottoretinico residuo è tanto ed esiste il rischio di sollevare la macula se si procede con lo scambio aria, bisogna fermarsi ed iniettare un fluido più pesante dell’acqua (perfluorocarbonato pfcl). Questo si deposita sulla superficie retinica posteriore e spinge il liquido sottoretinico anteriormente, ove può fuoriuscire dalla rottura. Come si inietta il pfcl? La siringa che lo contiene viene collegata ad un ago smusso che viene posizionato dietro al livello dell’ aria fin in prossimità della papilla. Si riesce così (dato che il liquido pesante cade in basso) ad iniettare in bolla unica ed evitare che si formino piccole bollicine. Queste sono poi difficili da asportare e possono passare anche sotto la retina attraverso la rottura. Mentre si inietta il pfcl, l’aria fuoriesce dal cannello di infusione e la pompa dell’aria regola automaticamente la pressione intraoculare. Se il cannello è ostruito dal vitreo, la pressione sale invece eccessivamente. Per rendersi conto del problema, basta controllare la papilla: se questa comincia a diventare pallida e inizia a pulsare l’arteria centrale della retina, bisogna fermare immediatamente l’iniezione e far uscire l’aria da uno degli altri cannelli. Se invece procede tutto regolarmente, ci si trova a questo punto con ben tre diversi fluidi nella cavità vitreale: il pfcl sotto (più pesante), il BSS in mezzo e l’aria sopra (più leggera).

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Man mano che il livello del pfcl si alza, l’aria continua ad uscire dal cannello, il BSS della cavità viene spinto in alto e, come già detto, contemporaneamente il liquido sottoretinico fuoriesce dalla rottura e la retina si spiana. Quando il livello del BSS raggiunge il livello del cannello di infusione e l’aria è uscita quasi tutta, bisogna staccare il cannello stesso dalla cannula per consentire la fuoriuscita di quanto più BSS possibile dall’occhio mentre si inietta ancora pfcl fino a livello del cristallino. A questo punto si esce con l’ago del perfluoro, si ricollega il cannello di infusione (collegato all’aria e svuotato dal BSS eventualmente residuo) e si rientra con un ago di Charles o con un ago collegato ad un aspirazione attiva. Mentre la pompa dell’aria riempie di nuovo tutta la cavità vitreale, si aspira sull’interfaccia tra aria e pfcl (per essere sicuri che non ci sia proprio più BSS), si aspira quindi dalla rottura l’eventuale liquido sottoretinico residuo, si posiziona infine l’ago in centro della cavità dietro la bolla d’aria e si aspira il perfluoro. Man mano che il pfcl viene aspirato e si riducono le dimensioni della bolla, bisogna spostarsi progressivamente più vicino alla papilla per aspirare l’ultima bollicina davanti ad essa e non davanti alla retina, per evitare di danneggiare quest’ultima. Non ci si deve dimenticare di eseguire a questo punto il criotrattamento o il laser sulle rotture. Queste manovre non sono affatto facili, perché la visione sotto aria può essere compromessa e le rotture una volta spianate devono essere messe in evidenza con l’indentazione. Bisogna quindi avere una certa dimestichezza con le manovre bimanuali e con l’osservazione a grande campo. Se ci si trova in difficoltà, e non si riesce ad evacuare tutto il liquido sottoretinico, conviene evitare di iniettare il pfcl, o asportare il pfcl eventualmente già iniettato, eventualmente sotto acqua se la visione sotto aria è insufficiente, quindi riempire tutta la cavità vitreale con aria, e fare successivamente uno scambio con gas, che rimane nell’occhio più a lungo dell’aria. I gas più usati sono il SF6 ed C3F8, che permangono rispettivamente circa 15 gg ed 1 mese, e lasciano quindi più tempo alla retina per formare la cicatrice attorno alla rottura. In questi casi il gas non va mai iniettato puro, perché altrimenti tende ad espandersi fino a 3-4 volte con gravissime conseguenze. La cosa più semplice è usare bombolette di gas già diluito.

Bisogna riempire due siringhe grosse (in genere 60 cc) con il gas. Una va tenuta di scorta, l’altra va collegata al rubinetto a tre vie al posto della linea di infusione del BSS (che era già stata esclusa per l’iniezione di aria). Il rubinetto va di nuovo girato ed un assistente spinge sullo stantuffo della siringa per fare entrare il gas nella cavità vitreale. L’aria viene lavata via dal notevole flusso di gas che circola nella cavità ed esce dalle cannule. Se sono state usate delle cannule valvolate bisogna far uscire il gas introducendo un ago aperto verso l’esterno (di Charles ) in una di esse. Il paziente andrà poi posizionato in modo che il gas galleggiando spinga contro la rottura, quindi seduto o in piedi se la rottura è in alto, sul lato opposto alla rottura se essa è laterale, supino senza cuscino se inferiore. Se il liquido sottoretinico aveva già sollevato la macula, per qualche ora dopo l’intervento il paziente dovrà stare a faccia in giù in modo che il gas possa spingere il liquido sottoretinico lontano dalla macula ed evitare anche una translocazione maculare. Una volta completato il controllo della periferia retinica, ed eseguite le altre eventuali manovre, si asportano le cannule superiori con una pinza, dopo aver abbassato la pressione di infusione a circa 20 mmHg, lasciando in sede quella per il cannello di infusione e si controlla se le sclerotomie non perdono. Se perdono, bisogna cercare di suturarle attraverso la congiuntiva, cosa semplice se questa è sottile, impossibile se molto spessa e chemotica. In tal caso conviene praticare una piccola apertura della congiuntiva al limbus e scollare posteriormente fino al livello della sclerotomie, eventualmente praticando uno scarico radiale e diatermizzando i vasi episclerali se il sanguinamento impedisce la visione. La sutura può essere eseguita con nylon 10-0, infossando il nodo, o con vicryl 7-0. Se si deve aprire la congiuntiva, conviene estendere l’apertura fino alla cannula per l’infusione, in modo da poter suturare senza difficoltà anche questa se necessario. Alla fine si toglie la cannula del cannello di infusione e nel caso la sclerotomia non tenesse, si sutura anche questa. Se l’occhio è in ipotono, si può eseguire un’iniezione di BSS in camera anteriore o in camera vitrea con un ago 30 g.in pars plana. Si pratica quindi un’iniezione sottocongiuntivale di antibiotico e cortisone e l’intervento è finito.

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9. Eisner G. Biomicroscopy of peripheral fundus . Springer – Verlag 1973

10. Kreissig I. Minimal surgery for retinal detachment . Thieme 2000

11. Ducournau D. Scleral buckling procedure for retinal detachment, dehiscence sealing. Eyetube.net 2009

BIBLIOGRAFIA

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ANNO IX NUMERO 101 MAGGIO 2015

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Edizione

Anno 9, Numero 101, Maggio 2015. Periodico mensile. Editore Medical Evidence Div. M&T. Strada della Moia, 1 Arese (MI) Tel. 02380731 Fax 0238073208

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QUESTIONARIO DI AGGIORNAMENTO

La compilazione va fatta on-line selezionando la voce “Questionario - VITRECTOMIA ”

1. L’intervento di vitrectomia, cioè l’asportazione del vitreo, può essere eseguito solo dopo aver praticato uno o più accessi alla cavità vitreale (in genere tre): a. Il primo accesso serve per

il cannello di infusione di fluidi (collegato all’inizio ad una bottiglia di soluzione salina bilanciata - BSS) e di soli to è situato infero temporalmente; il secondo serve per introdurre una fibra ottica collegata ad una sorgente luminosa, per i l l u m i n a r e l ’ i n t e r n o dell’occhio; il terzo per introdurre il vitrectomo o altri strumenti

b. Due accessi servono per l’infusione

c. Due accessi servono per le fibre ottiche

d. Due accessi servono per il vitrectomo

2. Nella vitrectomi mini invasiva (23-25 g): a. La congiuntiva non deve

essere aperta e cannello di infusione e strumenti vengono i n t r o d o t t i a l l ’ i n t e r n o dell’occhio attraverso delle guide transcongiuntiva li (cannule)

b. La congiuntiva deve essere aperta sempre

c. Gli strumenti vengono introdotti senza guide

d. Le sclerotomie sono 20 g 3. Il trocar va introdotto: a. A 4 mm dal limbus se il

paziente è fachico, (per non danneggiare il cristallino) o a 3,5 mm se afachico o pseudofachico (non più avanti per non danneggiare i corpi ciliari). Le posizioni alle 3 e alle 9 dovrebbero essere

evitate,per non danneggiare il nervo o l’arteria ciliare posteriore lunga

b. A 2 mm dal limbus c. A 3 mm dal limbus d. A 5 mm dal limbus 4 . È d i f o n d a me n t a l e importanza assicurarsi, prima di aprire l’infusione, che: a. Il cannello e la cannula a cui

esso è collegato siano penetrati interamente in camera vitrea superando coroide e retina, pena la formazione di un distacco di retina o di coroide

b. La fibra ottica sia accesa c. Il Vitrectomo sia collegato d. Il microscopio sia acceso 5. Se la punta del cannello di infusione non è visualizzabile o perché l’occhio è in ipertono e quindi non consente di spingere abbastanza il cannello verso il centro o perché il vitreo è opaco: a. Bisogna introdurre il

vitrectomo con l’infusione chiusa e asportare un po’ di vitreo a secco fino a che la punta del cannello non sia visibile mentre lo si spinge verso il centro dell’occhio

b. Bisogna aprire l’infusione c. Bisogna non fare la

vitrectomia d. Bisogna fare la vitrectomia

con l’infusione aperta 6. Per eseguire la vitrectomia ed avere contemporaneamente una visione panoramica del fondo oculare: a. Sarebbe meglio impiegare

fin dall’inizio un sistema a grande campo

b. Mai usare un sistema a grande campo

c. Usare solo le lenti a contatto d. Usare solo il microscopio

7. La cosa migliore è iniziare con: a. Un pucker maculare

idiopatico, in cui la membrana epiretinica sia abbastanza spessa da essere ben visibile, meglio ancora se in paziente pseudofachico (cosi da non doversi preoccupare del cristallino) con capsula però trasparente anche in periferia, con vitreo già distaccato, con periferia ben esaminabile in preoperatorio con vetro a 3 specchi e senza rotture o altre anomalie retiniche

b. Un pucker maculare senza distacco di vitreo

c. Un emovitreo d. Una retinopatia diabetica 8. Il non spingersi troppo in periferia con il vitrectomo: a. Riduce la difficoltà

chirurgica dell’intervento ma soprattutto riduce la probabilità di danneggiare il cristallino (se fachico) e di creare rotture retiniche da trazione

b. Aumenta la difficoltà chirurgica

c. Aumenta le probabilità di danneggiare il cristallino

d. Aumenta le probabilità di creare rotture retiniche

9. Il triamcinolone serve quindi: a. Come test per verificare se il

vi treo è effet t ivamente staccato: in questo caso esso cade sulla retina e si sparge sulla superficie; se viceversa il vitreo è ancora attaccato, esso forma un cuscinetto simile ad un batuffolo di cotone che rimane rilevato rispetto al piano retinico

b. Per vedere attraverso il vitreo opaco

c. Per evidenziare il cristallino d. Per evidenziare la retina