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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma Vita somasca Anno LIV - N. 159 Anno LIV - N. 159 aprile giugno aprile giugno N. 2 - 2012 N. 2 - 2012 Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi la strada verso casa Speciale 5° Convegno Movimento Laicale Somasco

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Vita somascaAnno LIV - N. 159Anno LIV - N. 159

aprile giugnoaprile giugnoN. 2 - 2012N. 2 - 2012Vita somasca

Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

la strada verso casa

Speciale

5° ConvegnoMovimento Laicale

Somasco

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5° ConvegnoMovimento Laicale

Somasco

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Provenienti da diverse parti d’Italia e del mondo, oltre 200 laici del Movimento Laicale Somasco si sono dati appuntamento al castello di Quero (TV), proprio nel luogo dove 500 anni fa san Girolamo Emiliani ha iniziato la sua straordinaria avventura che lo avrebbe portato, più tardi, ad essere dichiarato dalla Chiesa “Patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata”.Ancora una volta, l’albero, ormai cresciuto, della “famiglia somasca” ha rivelato una molteplicità variegata di appartenenza, di lingue, culture, percorsi, esperienze e vocazioni… dove la diversità non è ostacolo all’unità di intenti, ma rappresenta una inestimabile ricchezza.Dal 28 aprile al 1° maggio, il 5° Convegno MLS, dal tema “La strada verso casa”, ha voluto essere ponte, strada, casa, piazza, spazio di incontro per favorire l’analisi, la lettura della società e del mondo attuale, nel contesto globale di profondi e inediti cambiamenti, al fine di sostenere e rafforzare il proprio impegno laicale cristiano.Il presente numero di Vita Somasca riporta la memoria di quei giorni e la testimonianza dei vari relatori che si sono succeduti. Ne è risultato un fecondo percorso di “incarnazione”, un prendere posizione (da che parte si sta), un situarsi nel mondo con uno sguardo critico, un confrontare la propria vita con i criteri del Vangelo, alla scoperta dei segni della presenza misteriosa del Signore, in ascolto solidale delle grida dei poveri (nuovi orfani, giovani a rischio, tossicodipendenti, ragazze di strada, rom, stranieri, maltrattati, marginati, esclusi, nuove fragilità, povertà culturale, solitudine…).Anche stavolta, a fare da “filo rosso”, è stato il carisma di san Girolamo, come uno dei tanti “colori” nel giardino cromatico della Chiesa, utilizzando la felice espressione di papa Giovanni: “La Chiesa è come la fontana del villaggio cui tutti si possono abbeverare”.

AperturaApertura

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Apertura

La strada di s. Girolamo

Arrivati a casa 5

La strada via da casa

Scappare per sopravvivere 8

Superare il dis - astro 13

Tutte le strade verso casa

Ci siamo sentiti a casa 15

Essere in cammino, percorrere strade 19

Serata insieme 23

Mostre

Perché non mi guardi? 24

Mi vedi fragile? 35

La strada della ricerca di casa

Lo spazio della socialità 26

Caparbietà, intransigenza e utopia 29

Mi chiamano mamma 32

La fantasia di Dio 33

Dimensione della mondialità somasca 36

Il Vangelo sul marciapiede 38

Testimoniare? puoi! 42

Memorie di un veneziano 44

La meta è importante 46

Santa Benedetta Cambiagio Frassinello 47

Anno LIV - N. 159aprile giugnoN. 2 - 2012

Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Direttore editorialep. Mario Ronchetti

Direttore responsabileMarco Nebbiai

Interventip. Franco Moscone, Carlo Alberto Caiani,Elisa Fumaroli,Barbara Brambilla,Anna Pozzi, Brizida Haznedari,Cosimo Miccoli, p. Luigi Bassetto,p. Ambrogio Pessina, p. Aurelio Navarro, Vittorio Rizzi,Mara bossi, Meri Dell’Atti, Diana Spader, Don Alessandro Santoro,Flaviana Robbiati, Andrea FerrazziDaniele Isidori, sr. Germana Marellisr. Daniela Barcella

FotografieFrancesco De Girolamo,Stefania Steri, Internet

Redazione00041 Albano Laziale Tel 06 9325042

StampaGraffiti srl - 00040 Pavona (RM)Tel. 06 9340143

Abbonamentic.c.p. 42091009 intestato: Curia Gen. Padri Somaschivia Casal Morena, 8 - 00118 Roma

Autorizzazione Tribunale di Velletri n. 14 del 08.06.2006

Vita somasca viene inviata agli exalunni, agli amici delle opere deiPadri Somaschi e a quanti espri-mono il desiderio di riceverla. Un grazie a chi contribuisce alle spese per la pubblicazione o aiuta le opere somasche nel mondo.Vita somasca è anche nel web:[email protected]

A tutela dei dati personaliI dati e le informazioni da voi tra-smessi con la procedura di abbo-namento sono da noi custoditi inarchivio elettronico. Con la sotto-scrizione di abbonamento, ai sensidelle Legge 675/98, ci autorizzatea trattare tali dati ai soli fini promo-zionali delle nostre attività. Consul-tazioni, aggiornamenti o cancella-zioni possono essere richieste a: -Ufficio abbonamenti Via Casal Morena, 8 - 00118 RomaTel 06 7233580 Fax 06 23328861

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SommarioSommario

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Arrivati a casa

Tale affermazione vale ancora di piùper il MLS che per la Congregazio-ne religiosa, perché qui Girolamoha trascorso gli anni più importan-ti e formativi della sua laicità, quiè stato, vivendo da laico ed operan-do in mansioni prettamente tipichedi laici. Da qui è partito per unanuova avventura di vita: vita da cri-stiano riformato e apostolo dellacarità sociale, portatore d’intuizioniper riformare la Chiesa e migliora-re la società civile, entrambe sem-per reformandae!.Mi piace in questo momento ripren-dere i tre slogan che ci stanno ac-

compagnando lungo l’anno giubila-re e che hanno, qui a Quero, il luo-go fisico che meglio li esprime, e col-legarli con quelli che Girolamo chia-ma i fondamenti dell’opera e dellaCompagnia: devozione, lavoro ecarità. Slogan e fondamenti sonoinoltre iscritti nello scorrere deltempo, tanto personale (di Girola-mo e di ogni suo discepolo, quindianche di ognuno di noi qui presen-te) che istituzionale della Compa-gnia (sia essa la Congregazione re-ligiosa o il MLS). Si collegano quin-di a questi il passato, come memo-ria di un evento generativo, il pre-

sente, come responsabilità dinami-ca e costruttiva e il futuro, come fi-ne ultimo e senso dell’esistere no-stro nella Chiesa e nel mondo. Infi-ne, ogni slogan, col fondamento adesso collegato, ci rimanda a precisiimpegni e responsabilità, legati alnostro essere generati nella Chiesadi Dio dallo spirito Santo come fi-gli di san Girolamo Emiliani. Traggo questa affermazione dal n. 1delle Costituzioni della Congrega-zione che disegna la figura del Fon-datore,collegandola ai suoi compa-gni: tra questi possiamo e siamochiamati a riconoscerci anche noi.

La strada di san GirolamoLa strada di san Girolamo

p. Franco Mosconep. Franco Moscone

Il V° incontro del MLS, questavolta veramente internaziona-le, ci ha portati a Castenuovo diQuero. Possiamo affermare,senza alcun dubbio, che que-st’anno siamo arrivati a casa. Il Castello ai bordi del Piave, adifesa di una strada di comuni-cazione tra l’Europa e Venezia,è la nostra prima casa, è la no-stra Casa Madre!

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Domine, dirupisti vincula mea! il fondamento

della devozione

Anche se l’affermazione del Salmo 116è al passato (dirupisti = passato remo-to di dirumpo, da tradursi letteralmen-te fare a pezzi), in realtà ci rimanda al-la situazione sempre presente nella vi-ta del credente: riconoscere l’interventomisericordioso di Dio che fa a pezzi ognimale, schiavitù e peccato. In Dio vince sempre e si conserva il be-ne, non il male, per questo il presentedi Dio raccoglie tutto il tempo: ha radi-ci nel passato e genera il futuro. Sono convinto che il fondamento delladevozione, che Girolamo mette al pri-

mo posto, perché senza la devozionemancherà ogni cosa, sia da intendersiessenzialmente come la costante presadi coscienza dell’azione potente di Dioche ci ha amato e ci ama per primo.Girolamo, nel carcere, ha fatto espe-

rienza di tale verità, e l’ha riconosciutapoi costante in tutte le situazioni dellasua vita e nelle vicende che incontravae a cui cercava di dare una risposta po-sitiva. Devozione diventa per Girolamoil riconoscere, nelle situazioni più di-verse, specie in quelle dolorose e tragi-che, il dono della presenza di Dio, ladolce occasione capace di offrire sem-pre nuove possibilità e futuro. Su tale fondamento si costruisce comepersona di speranza, per se e per i suoifratelli più piccoli, con i quali vorrà vi-vere e morire.

La strada di san GirolamoLa strada di san Girolamo

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Vita somascaaprile giugno 2012

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Nati in carcere e cresciuti in strada!

l’impegno del lavoro fondativo

I due verbi, participi passati, sono pas-sivi: rimandano all’agire di un Altro sudi noi, che però ha posto il DNA del no-stro sviluppo successivo. Senza tale agire previo e gratuito, senzaquesto potente DNA della Grazia, nonseguirebbe nessuna possibilità di cresci-ta. Si tratta di riconoscere il lavoro ge-nerativo di Dio in noi e della possibilitàdel nostro lavoro di costruttori liberi distoria e di vita. Eccoci di fronte al secondo fondamen-to dell’opera, il lavoro: dei tre fonda-menti si tratta di quello più volte richia-mato da Girolamo nelle sue lettere e pre-sentato dai testimoni come lo stile delsuo vivere quotidiano. Riconoscere que-sto passato passivodi essere nati in car-cere e cresciuti in strada, ci motiva a la-vorare con impegno e costanza per di-ventare protagonisti di una storia di sal-vezza che, partendo dal riformare sestessi, intende collaborare a riformarela Chiesa e la società, trasformandole inpopolo cristiano risplendente di santi-tà e perfezione di vita.

Liberi per servire! la carità come fine

e testimonianzaDegli slogan è l’unico che riporta il ver-bo in forma attiva e al presente (servi-re: infinito presente). L’infinito rimanda ad un’azione che siprotrae, che lascia un segno, che co-struisce il futuro.La libertà, riconosciuta come dono nelprimo passaggio e diventata impegnonel secondo, non è un contenitore vuo-to (sarebbe la vittoria del relativismoe del nichilismo), ma è pienezza di re-lazioni: è la capacità di lasciarsi ama-re e di amare, è la presenza della Cari-tà che edifica un futuro pieno di spe-

ranza per tutti. Ecco il terzo fonda-mento dell’opera: la Carità. La Carità costituisce il fine della nostramissione ed il futuro possibile per tut-ti i piccoli e poveri della storia. La Carità è per Girolamo, e deve esser-lo per noi, identificazione a Cristo edai fratelli più piccoli, da servire comeCristo Servo.

Con l’essere qui a Castelnuo-vo di Quero, riconosciamo lacasa in cui siamo nati e da cuipartiamo e ritorniamo, per es-sere, come Girolamo, discepo-li e soldati di Cristo, collabora-tori nella riforma della Chiesae della società, operatori di pa-ce e giustizia con l’essere libe-ri servi dei poveri.

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“Sui sentieri che portano via da casa, rac-conta la scelta obbligata di stranieri co-stretti a scappare dal proprio paese persopravvivere. Ancora una volta, il per-corso verso casa comincia… con la stra-da via da casa”. Così ce la presenta Carlo Alberto Caiani.L’avventura comincia prima di sbarca-re in Africa, che è diventata poi per An-na il “suo continente” da diversi anni.Poi, un incontro, dal ‘93 al ’95, con i po-poli bosniaci, ammassati nei campi pro-fughi della Slovenia.

“Eravamo un gruppo di persone, moltonumeroso e molto motivato, di Lecco,nel far sentire queste persone un pochi-no più a casa. Questo nostro tentativoha stimolato, in me e nei miei amici, ildesiderio di andare oltre: per me, si èconcretizzato nella scelta di dedicarequalche anno della mia vita a un’espe-rienza di volontariato internazionale chemi ha portato in Camerun”. Da giornalista, ha utilizzato questa pos-sibilità scrivendo su un giornale came-runese. Per la prima volta, confrontan-dosi da “emigrante” con molti giovaniche avrebbero fatto qualsiasi cosa perandarsene. Il Camerun è un paese so-stanzialmente pacifico e stabile, ma il de-siderio più grande, per loro, era questo. “Io allora non capivo, non capivo fino infondo. Più tardi, per esempio in Sudan,ho capito di più: un paese, dove c’è unapace fragile ed è stata dichiaratal’indipendenza, che ha vissuto più diventi anni di guerra”. Nel ’99, dall’ospedale regionale i mala-ti scappavano. C’erano delle medicinema niente da mangiare. Meglio torna-re a casa e morire in famiglia inveceche soli e abbandonati in ospedale. “Era veramente una situazione di tragi-cità indescrivibile. Ancora oggi, in mol-ti contesti africani, trovi delle situazio-

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Scappare per sopravvivere

“Anna Pozzi, giornalista, scrive per Popoli, Mondo e Missione, Famiglia Cristiana, Avvenire ed altre testate. È pure scrittrice: ha tradotto in parolescritte l’energia vitale di sr. Eugenia Bonetti, la suoradel “Se non ora quando?”, che è intervenutaal Convegno dello scorso anno.

Anna PozziAnna Pozzigiornalista, scrittrice

La strada via da casa

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ni incredibili. Penso, in particolare, al-la situazione dell’Angolasimile a quella del Congo.Gente costretta a viverecome bestie”. In alcuni villaggi dell’An-gola, la gente subiva digiorno continue incursio-ni dei ribelli e dell’eserci-to e la notte partiva condei fagotti sulla testa perandare a dormire nel fon-do della foresta. Così in Congo, regionericchissima di materieprime, strategiche perl’industria bellica, dove èin corso una guerra daquindici anni, motivatada forti interessi ben pre-cisi di sfruttamento indi-scriminato. “In questi luoghi ci sonocontinuamente sposta-menti di persone, all’in-terno dello stesso paese,della stessa regione, per-ché la gente fugge da que-

ste situazioni di guerra edi tragedia, alla ricerca disituazioni di vita migliorie dignitose, o perché, inaltri contesti di grandepovertà, si trasferisce dal-le aree rurali a quelle ur-bane”. Attualmente, in Africa,circa il 50% della popo-lazione vive in città vera-mente mostruose, un so-gno spesso “tradito”, chenon offre lavoro e stan-dard di vita appena di-gnitosa. Enormi perife-rie, accerchiate e assedia-te da bidonville dove vi-vono milioni di personein strutture di degrado edi miseria, in condizionipeggiori di quelle dei vil-laggi di origine, dove al-meno si mantiene unastruttura anche di solida-rietà familiare. “Qui, il contesto tradizio-nale di famiglia allargataafricana, l’unico welfare a

cui la gente può accedere,spesso si riduce a quellodella famiglia mononu-cleare, con la madre cheha più figli da uomini di-versi, nessuno dei quali siprende la responsabilitàdi fare da padre”. In Sudafrica, paese usci-to dalla nota situazione diregime razziale nel ’94, cisono più di 6 milioni di im-migrati africani, che pro-vengono dalle altre zonedell’Africa. Il paese vivegrossissime difficoltà egrandissima sperequa-zione di tipo economico.Ma i flussi migratori afri-cani vanno verso questipoli di attrazione. Il Sudafrica è il principa-le, perché nonostante que-ste grosse difficoltà, rap-presenta una delle econo-mie più dinamiche: piùdel 20% del PIL dell’inte-ro continente, con oppor-tunità di lavoro, che altro-

ve non esistono, e con unasituazione di pace e stabi-lità inesistente nei paesi li-mitrofi. Ancora adesso, èil luogo naturale dove imozambicani vanno acercare lavoro, spessonelle miniere.“Come da noi, gli immi-grati fanno i lavori piùumili, più duri, quelli piùpericolosi e spesso in con-dizioni di sfruttamento.Oltre ai mozambicani, cisono tante persone chevengono dall’Angola, enon sono necessariamen-te percorsi a senso unico.Da una decina d’anni,l’Angola ha conquistato lapace e molti tornano”. Tanta gente dal Senegal,dalla Somalia, paesi ap-parentemente lontanissi-mi, tutta gente in cerca diuna vita e un futuro mi-gliore per sé e per le pro-prie famiglie. Il fenomeno migratorio,in Italia, sta cambiando:c’è una presenza femmi-nile molto più significati-va a causa del ricongiun-gimento familiare. “Dall’Africa, sono spessoi giovani che emigrano dasoli e diventano un puntodi riferimento per tutta lafamiglia. Sono scelte fat-te per necessità, spinte dasituazioni di drammi e ditragedia, che poi diventa-no anche una scelta per lafamiglia. Questo è evidentissimonel caso delle donne nige-riane, tema che, con sr.Eugenia, abbiamo scan-dagliato in diversi anni.Insieme a lei e a un grup-

Vita somascaaprile giugno 2012

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po di persone che in Italia lavora-no nelle comunità di accoglienza,nel 2007, abbiamo fatto un viaggioa Lagos e a Benin City, che è un po’la capitale di questo traffico. Siamo andati a vedere i luoghi dacui vengono, per cercare di capireil perché queste donne lasciano amigliaia le loro famiglie e le loro ca-se per ritrovarsi in Italia, non in unacasa, ma sulla strada”. Benin City è una città enorme, mol-to degradata. Nei villaggi, poi,moltissime donne, bambini e an-ziani, pochissimi giovani, senzascuole, senza un minimo di centrisanitari.“Questo sogno di andarsene a tuttii costi parte da una pancia vuota,parte dalla fame vissuta proprio nelcorpo. È difficile dire “no, non ve-nite in Europa, non venite in Italia,perché c’è la crisi, perché non è ilparadiso che voi immaginate e spe-rate…”. Ma questa modalità particolared’emigrazione si traduce in unosfruttamento devastante, con del-le catene pesantissime, che biso-gnerebbe rompere all’origine. “Bisognerebbe creare le condizionisul posto perché non partano, ma è

veramente molto difficile, perché ilmito “dell’altro e dell’altrove”, delbenessere, di una possibilità di vitamigliore per sé e per la propria fa-miglia, è veramente molto forte e ra-dicato. Difficile, ma fondamentale”. Di seguito, Anna ci porta in Alge-ria, punto di approdo, ma anche diaspettativa per oltrepassare il Me-diterraneo... “L’Algeria, ma soprattutto la Libia,il Marocco, la Tunisia… tutti luoghidove migliaia di sub sahariani arri-vano, con la speranza di andare ol-tre. Si creano, spessissime volte, si-tuazioni molto difficili di “invisibi-lità”, per mancanza di documenti,disposti ai lavori più umili e degra-danti e in condizioni di pesantesfruttamento, sotto una fortissimadiscriminazione razziale. Facevo lavolontaria in un centro di ascoltoper immigrati sub sahariani: so-stanzialmente, raccoglievo i dati eli registravo. Una mattina arriva ilprimo, mi da il passaporto: nome,nazionalità, professione “calciato-re”. Poi un secondo e un terzo: no-me, nazionalità, professione? “cal-ciatore”. Ne arriva un altro: nome,nazionalità, professione “agricol-tore”. “Finalmente un agricoltore”,

esclamo io, di fronte a una profes-sione più credibile rispetto ad altre.Ma quest’ultimo, arrabbiatissimo,dice: “No, no, devo ritornare a ri-fare il passaporto”. “Ma sei impaz-zito? hai appena attraversato il de-serto del Sahara”. “Si, - risponde -debbo ritornare, perché hannoscritto agricoltore e io volevo esse-re invece calciatore”.Per finire, il Niger, uno dei paesipiù poveri al mondo, un paese de-sertico con una povertà impressio-nante. Molti andavano in Libia acercare lavoro, ma, a causa dellaguerra, più di 200.000 nigerinierano rientrati con le mani vuote.“Questo ha rappresentato un dram-ma: sono stati accusati di esseremercenari, imbarcati forzosamen-te per essere inviati in Europa (an-cora più di 30.000 sono in Italia,in questo status ancora non ben de-finito). Anche in Sud Sudan stan-no tornando a casa in moltissimi,con la prospettiva della pace e del-l’indipendenza, perché il desideriodella propria casa rimane semprefortissimo, ma le strutture esisten-ti sono limitatissime (scuole, ospe-dali ecc.) e questo è tra i più gros-si problemi attuali”.

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La strada via da casa

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Annalena Tonellitestimone laicadel dono di sé

in un’altra terra

La seconda parte dell’intervento, AnnaPozzi la dedica ad Annalena Tonelli, in-contrata nel piccolo ospedale che si oc-cupava di tubercolosi, in un posto sper-duto a nord della Somalia.Ricorda le sue prime parole: “Non hai una gonna? Perché qui le don-ne usano la gonna”. L’incontro con Annalena è stato uno diquelli che ti segnano, ti rendono un po’diverso e forse migliore. Un capo delle autorità locali disse: “Annalena sembra una persona norma-le ma non lo è”, e quella frase sintetiz-zava la grandezza di questa donna conuna vitalità incredibile, sottolineandol’eccezionalità del suo lavoro e della suatestimonianza. Nata a Forlì nel 1943, era partita nel’69 per l’Africa. Annalena scrive: “Credevo di non po-termi donare completamente rimanen-do nel mio paese. I confini della mia azione mi sembrava-no così stretti, asfittici. Compresi presto che si può servire eamare dovunque, ma ormai ero in Afri-ca e sentii che era Dio che mi ci avevaportata, lì rimasi nella gioia e nella gra-titudine. Trentatré anni dopo, grido il vangelo conla mia sola vita e brucio dal desiderio dicontinuare a gridarlo così fino alla fine.Questa è la mia motivazione di fondo,assieme a una passione invincibile dasempre per l’uomo ferito e diminuito,senza averlo meritato, al di là della raz-za, della cultura e della fede”. Annalena è sempre vissuta in un con-testo somalo, negli anni più dramma-tici (’90-’91), con una carestia che deci-mava la gente come mosche: “Per tredici mesi ho dovuto assumeredue persone solo per seppellire i mortie in poco più di due mesi oltre 1.000

bambini sono morti di fame e di tuber-colosi. In casa avevamo 600 piccoli tu-bercolotici per cercare di assisterli gior-no e notte e ogni giorno sfamare oltre3.000 persone”. Ma anche in questo contesto così diffi-cile, ostile e violento, la martire ricor-da: “C’erano con me molti bambini lacui malattia era legata alla fame. Donai il sangue per uno di loro e suppli-cai i miei studenti di fare altrettanto. Uno lo fece e dopo di lui molti altri, vin-cendo quella chiusura di un mondo cheignorava qualsiasi forma di solidarietàe pietà. Capii allora che, anche in un con-testo islamico, l’amore genera amore”. I somali sono mussulmani; un islamuna volta più tollerante, poi radicaliz-zato, in questi ultimi anni, a causa digruppi estremisti formati altrove, in Af-ganistan e nella penisola arabica. Annalena stessa è stata uccisa da unfondamentalista islamico, nell’ottobre2003. Ricordava con grande affetto edevozione soprattutto i primi 16-17 an-

Vita somascaaprile giugno 2012

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ni, vissuti in Kenia, el’incontro con i nomadisomali, una convivenzache le insegnò a pregare(cinque volte al giorno,interrompendo qualsiasicosa si stesse facendo perdare sempre spazio aDio). Lei, donna di gran-dissima fede e profondaspiritualità, diceva: “Il dono più straordinarioche ho ricevuto dai mieinomadi somali è stata lafede, di questo ringrazie-rò Dio per sempre. I mussulmani mi hannoinsegnato il valore dellafede, l’abbandono incon-dizionato, la resa a Dio,una resa che non ha nul-la di fatalistico, una resache è fiducia e amore”. E aggiungeva: “Le persone che mi vole-vano bene pregavano per-ché io diventassi mussul-mana, perché ci tenevanomolto che io andassi inparadiso… poi successeun episodio molto graveche mise a rischio la no-stra vita e la gente inco-minciò a dire che sicura-mente anche noi sarem-mo andati in paradiso”.Ricordava quanto gli dis-se un giorno un vecchiocapo che gli voleva mol-to bene:“Noi mussulmani abbia-mo la fede e voi avetel’amore”. La scelta di Annalena èstata fin dall’inizio unscelta radicale:“Scelsi di essere per gli al-tri, i poveri, i sofferenti,gli abbandonati, i nonamati”.Annalena viveva in una

casa molto semplice,spartana, ma molto “cal-da”: gli era stato conces-so il privilegio di averel’Eucaristia. Donna di grande fede e digrande spiritualità, par-tecipava alla messa unao due volte all’anno quan-do qualche prete riuscivaad arrivare lì. È stata seppellita nel vil-laggio dove cominciò lasua avventura africana,in un eremo dove lei e lesue compagne andavanoa rigenerarsi, diceva lei:“…a ritrovare la forza dicombattere la battaglia diogni giorno contro ciò checi tiene schiavi dentro,contro ciò che ci tiene nelbuio”. Innanzitutto, una batta-glia con se stessi. Anna Pozzi ci riporta unasua frase di augurio pertutti noi:“Il nostro compito sullaterra è far vivere e la vitanon è sicuramente la con-danna, l’accusa, la ven-detta, il mettere il dito nel-la piaga, il rivelare gli sba-gli, le colpe degli altri, iltenere invece nascosta lanostra colpa, l’impazien-za, l’ira, l’invidia, la gelo-sia, la mancanza di spe-ranza. La vita è sperare sempre,buttarsi alle spalle le no-stre miserie, non guarda-re quelle degli altri. Credere che Dio c’è e cheè un Dio d’amore”.Poi Anna conclude ricor-dando la “primavera ara-ba”, vissuta soprattutto inEgitto, che ha portato al-la caduta imprevedibile di

Mubarak e alla creazionedi una difficile situazionedi cambiamento, tutt’orain corso:“Mussulmani e cristianiuna sola mano”, un bel-lissimo messaggio disperanza. Quando sonotornata dall’Egitto, pen-savo: là si fa la storia, quisi fa la muffa, pensandoalle nostre situazioni co-sì stagnanti: là ci sonodifficoltà enormi, ma an-che la volontà concreta difare qualcosa di nuovo edi bello”.

Da Testimonidel tempodi Anna Pozzi

“I piccoli, i senza voce,quelli che non contanonulla agli occhi delmondo, ma tanto agliocchi di Dio, i suoi pre-diletti, hanno bisognodi noi, e noi dobbiamoessere con loro e per lo-ro e non importa nullase la nostra azione è co-me una goccia d’acquanell’oceano. Gesù Cristo non ha maiparlato di risultati. Lui ha parlato solo diamarci, di lavarci i pie-di gli uni gli altri, di per-donarci sempre... I poveri ci attendono. I modi del servizio sonoinfiniti e lasciati all’im-maginazione di ciascu-no di noi. Non aspettia-mo di essere istruiti nelcampo del servizio. Inventiamo... e vivre-mo nuovi cieli e nuovaterra ogni giorno dellanostra vita”.

La strada via da casa

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“Migrante, non sempre enon solo, significa fragi-lità che arriva in italia.Brizida Haznedari è me-diatrice, giurista, colla-bora alla Prefettura diLecco, da 17 anni è nel no-stro Paese, migrante chesi occupa di migranti”.Così ce la presenta CarloAlberto Caiani, introdu-cendo il suo intervento.E Brizida, per prima cosa,ci tiene a presentare ilproprio paese, l’Albania:“Un paese piccolo e gran-de, così lontano e così vi-cino, che basa la sua iden-tità su quattro principi:onestà, uguaglianza, cre-dibilità, ospitalità.Un’ospitalità che è fattadi pane, sale, cuore, glielementi più semplici eumili al fondo di ogni ci-viltà e cultura”. Albania che ha una storiadi grandi viaggi, grandiviaggiatori, grandi acco-glienze e grandi migrazio-ni, un crocevia di culture,eventi, personaggi.Poi, d’improvviso, conl’avvento del regime co-munista, tutto fermo.

Dal 1944, viaggi finiti, conil divieto di libera circola-zione, esterna e interna. Per 46 anni, un popolonato e morto nel medesi-mo posto, eccezion fattaper le deportazioni, i viag-gi forzati per ogni dissi-denza, vera o presunta.Ottocentomila Albanesisu una popolazione di tremilioni, spostati verso de-stinazioni remote.Anche Brizida, a 12 anni,venne deportata con lasua famiglia in una loca-lità sperduta, per uno ziodissidente.Ma gli anni più dramma-tici furono quelli dellatransizione, dalla cadutadel muro di Berlino ai pri-mi anni ’90, con i tentati-vi di migrazione verso laGrecia, attraverso la “mon-tagna dei buchi”, triste-mente nota come cimite-ro, sfidando la pena dellafucilazione. “Poi i “barconi”, da Du-razzo, sotto gli spari e leurla, le partenze tragicheverso la speranza, versol’Italia. Un esodo che siriaccende, per la popo-

lazione albanese del Ko-sovo, nel 99, a seguito delgenocidio della guerra”. Tra tanti viaggi, il suo,nel ’95, con il biglietto e ilvisto turistico: “come il90% dei viaggi di oggi,attraverso aereo, tra-ghetto, pullman, con per-messi regolari, spesso su-perpagati… ma almenosenza il rischio e perico-lo di vita di una volta”.

Brizida HaznedariBrizida Haznedarimediatrice, giurista

Vita somascaaprile giugno 2012

Superare Superare il dis - astroil dis - astro

Ogni individuo fa anche un viaggio diverso, interiore, a diversa velocità,dipendendo da ciò che trova e da ciò che può mettere in campo, graziealla forza di partire e lasciare la propria terra, con tenacia e fiducia nelleproprie capacità, per metterle al servizio

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Ma le difficoltà non si fermano al viag-gio: ci sono i dolori, le sofferenze del-l’abbandono e dello sradicamento, il sen-so di disorientamento che ti accompa-gna spesso per sempre.Brizida si considera, in qualche modoprivilegiata, con la padronanza della lin-gua e gli studi di diritto, che gli hannopermesso di rapportarsi con la nuova re-altà, di difendersi e costruire la propriavita, ma, “dopo 17 anni di permanenza,da “italo - albanese”, mi rendo conto diavere due “case”, e di quella lasciata inAlbania riconosco l’abete, i miei sassi”.Per la grande maggioranza il problemaprimo è la lingua, ma superato questo,c’è quello della cultura, della diversità divisione, di conoscenze condivisibili. Il terzo è quello della “teoria del disagiointegrativo”.Esistono, infatti, etnie intere assogget-tate a pregiudizi collettivi, a seguito dieventi precedenti, accadimenti lontanio recenti che comportano la necessità dimostrare al contesto sociale supplemen-ti di positività, di “essere bravi”. Brizida racconta con ironia amara il

commento compiaciuto del suo figlio se-dicenne, cresciuto ed educato come ita-liano e albanese, perché “con l’arrivo deiRumeni, siamo passati al secondo po-sto”, nella graduatoria dei pregiudizi. A tutto questo si aggiungono “le frontie-re interne: prefetture, scuole, asl, ospe-dali, gli snodi del rapporto tra cittadi-no e istituzione”.Lei stessa, appena arrivata, non sapevache, entro 8 giorni, andava tramutato ilsuo visto in permesso di soggiorno, di-venendo così un’irregolare.Da qui la conferma, una rinnovata de-terminazione e motivazione dei propristudi di giurisprudenza, per poter tra-sformare “queste frontiere in ponti”, perdare risposta alla sete di informazione,di conoscenza dei diritti da parte dei tan-ti migranti privi di ogni strumento.Insomma,“Divenire orecchio per le isti-tuzioni e parola per i migranti e vice-versa!”. Ma è sempre difficile essere accolti co-me persone, anche con la conoscenzadella lingua, come già accennato, c’èquella della cultura, dei modi stessi di

La strada via da casa

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attribuire il significato al-le espressioni.Brizida ricorda, comeesempio, il malinteso, pernoi gustoso, nato tra unasua collega e un migran-te, alla frase da questoesclamata: “non ho paro-le!”, alla quale attribuia-mo un giudizio di negati-vità e rifiuto, interpretatodalla mediatrice come in-gratitudine, mentre l’altrointendeva meraviglia esoddisfazione per l’impe-gno ottenuto! Forse que-sto è il maggior problema,soprattutto della primaaccoglienza. Un’esperien-za da moltissimi vissutacome un “dis - astro”, pro-

prio nel senso di disorien-tamento, dal perderel’astro della propria dire-zione, nell’impreparazio-ne totale, da una parte edall’altra.L’altro esempio è il ricor-do del suo arrivo. Alla stazione centrale diMilano. Brizida rivivel’impressione della gran-dezza e… della fretta del-

le persone appena scese:“tutti correvano, inspie-gabilmente, fuori, ed an-ch’io mi misi a correreverso l’uscita, senza ca-pire il problema degliorari, del lavoro, degliappuntamenti”. L’altro ricordo inizialesono i binari, il grandenumero dei treni versoaltrettante destinazionie di altrettante velocità. Un ricordo che si collegaalla “parabola dell’emi-grante, perché ogni in-dividuo fa anche unviaggio diverso, interio-re, a diversa velocità, di-pendendo da ciò che tro-va e da ciò che può met-

tere in campo”. Tre sono i capitali che ga-rantirebbero un ingres-so senza difficoltà: quel-lo economico, quello so-ciale, quello umano. Brizida non aveva il pri-mo, ma neanche il secon-do, quella rete di riferi-menti, conoscenze eamici importantissima alprimo impatto.

“Solo il terzo, che mi haconsentito di far nasceree crescere in tutti questianni il secondo, per me eper gli altri”. Oggi Brizida si occupa di“Ricongiungimenti e La-voro”, le uniche motiva-zioni di ingresso consen-tite. “Sta diminuendo la dif-ferenza quantitativa digenere, ormai quasi inpercentuale di parità. Questo è importante,perché oltre al Pil econo-mico esiste in Italia il Pildemografico. Donne vuol dire fami-glie, figli. Quasi un milione di bam-bini di migranti nati ecresciuti in Italia. San-gue nuovo, giovani chesentono e vogliono per-correre la strada dellastoria d’Italia, senza di-menticare la propria,quella di provenienza”.

Vita somascaaprile giugno 2012

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“Ci siamo sentiti a casa”

All’ultimo Capitolo generale del 2011, vie-ne ripetuta l’esperienza della partecipazio-ne dei laici al Capitolo del 2005, dove inquell’occasione hanno partecipato per unagiornata e mezza. Nel 2011 non si è parlato di laici, mal’argomento è stato essenzialmente “i reli-giosi e la vita religiosa”, cercando anche dileggere il “disagio” all’interno della Congre-

gazione. In qualche modo, abbiamo volutometterci allo specchio, non volendo parla-re noi dei laici, ma volendo che fossero lo-ro ad ascoltare noi e a parlare di noi: Come ci vedono? Come ci sentono? Come avvertono la nostra Congregazionein rapporto con loro?Abbiamo quindi cercato di cambiare pro-spettiva. Questo ha comportato un’ulterio-

Tutte le strade verso casaTutte le strade verso casa

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p. Franco Moscone p. Franco Moscone

Laici al Capitolo generale.Esperienza di partecipazione dei laici provenienti da varie parti del mondo al Capitolo generale 2011.La dimensione della mondialità oggi, le voci dei laicisomaschi italiani e dagli altri paesi e continenti: cosa significa far parte della famiglia somasca

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re modifica: quella di par-tecipare, non solamente aduna giornata all’interno del-le tre settimane della dura-ta normale di un Capitolo,ma chiamati da subito, al-l’inizio. Sono stati cinque giorni dipartecipazione. La primasettimana ha la caratteristi-ca della presentazione del-le relazioni, quella del pa-dre Generale sul sessennioe, poi, seguono le relazionidelle diverse strutture pro-vinciali e di alcuni settori(missionario, opere ecc).Anche i laici, provenienti dadiverse nazioni, hanno inseguito elaborato e presen-tato una loro relazione. La mia convinzione è quel-la che non abbiamo nulla danascondere. È stata quindi l’esperienzadi dire: noi, come Congre-gazione, ci presentiamo an-che a voi e vi chiediamo didirci come ci sentite, nonparlando dei laici, ma del-le relazioni tra Congrega-zione e Movimento laicale,le nostre relazioni in fami-glia, nella grande famiglia,che ha come riferimento emodello san GirolamoEmiliani, di cui facciamoparte in modo diverso, inmolti, con caratteristichediverse. Senza dubbio, la Congrega-zione somasca è la custodedel carisma. Gli è stato dato non per sé,ma perché lo metta a dispo-sizione, lo diffonda e lo fac-cia trafficare come talento,lo custodisca e in qualchemodo lo partecipi, secondola differenza delle varie vo-cazioni, spiritualità, movi-

menti, possibilità di viverenella Chiesa e di testimo-niare il vangelo. Questa era fondamental-mente in parte la novità ein parte il motivo di questapresenza abbastanza lungadei laici con noi nel Capito-lo e soprattutto in quel mo-mento considerato forsequello più “privato”. L’ex superiore generale deiRedentoristi, attualmente“numero due” alla SantaSede, per quanto riguardale relazioni con la Vita reli-giosa, venuto al nostro Ca-pitolo generale, mi ha det-to: “Avete avuto coraggio,avanti!”.Nei documenti finali appa-re anche un messaggio delCapitolo 2011, indirizzatoal Movimento Laicale So-masco, che ha valore so-prattutto di relazione: ci ri-conosciamo, in qualchemodo alla pari, interessatigli uni degli altri, con den-tro un qualche cosa che ciaccomuna. Due sono i punti del mes-saggio che mi sembrano ipiù importanti: - “Il Capitolo auspica unasempre maggiore e miglio-re collaborazione tra ilMLS e la Congregazione ea tale scopo incoraggia re-ligiosi e laici ad adoperar-si nel dare continuità e con-cretezza al cammino intra-preso, anche curando larealizzazione di eventi for-mativi e fraterni, sia nazio-nali che internazionali”; - “Il Capitolo sottolineal’importanza che ci sianodei sussidi che favoriscanola vicinanza e il legame delMLS alla Congregazione,

con l’obiettivo di approfon-dire un percorso condivisodi formazione alla spiritua-lità e missione di san Giro-lamo”. L’esperienza di que-sti giorni rappresenta un“sussidio” attivo, un mo-mento concreto e qualifica-to che favorisce il legame tradi noi. Legame che ognunoconiuga come riesce, comedesidera e come può, secon-do i luoghi in cui si trova,secondo la sua propria vitada laico. Per cui, avanti.

Vi parlo con il cuore.L’esperienza del Capitolol’ho percepita profonda-mente come un dono di Dioed è stata veramente un mo-mento profondo di grazia.Un grazie al nostro padreGenerale perché in questianni ci è stato sempre vici-no e ci ha permesso di con-tinuare ad essere presenti enel modo che ci ha raccon-tato l’esperienza di intimità

con il Capitolo generale, cheabbiamo pensato essere ilcuore pulsante, momento vivo in cui la Congregazio-ne si ritrova. Ci siamo sentiti a casa, nelsenso vero della parola, cisiamo sentiti accolti in fa-miglia. Il senso di famiglianel Capitolo è cresciuto at-traverso di noi, per il Movi-mento intero e per la Con-gregazione, perché si sono

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Vita somascaaprile giugno 2012

Cosimo MiccoliCosimo Miccoli

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rinsaldati i rapporti che giàstavano crescendo. Voglio dare testimonianzadi un fatto: questo vale an-cora di più perché, quan-do ho avuto tra le mani larelazione di p. Franco, l’hodefinita fortemente corag-giosa, non solo perché fat-ta alla presenza dei laici. Il tema del disagio, del ma-lessere dei religiosi, il te-ma delle difficoltà che laCongregazione vive, co-municate nella semplicitàe nella profondità, anchealla presenza di noi laici, èstato vissuto veramentecome un atto di estremocoraggio. Personalmente, mi portodentro una nota fonda-mentale: respiro il carismadi san Girolamo da circa 30anni e sì, è vero il malesse-re di alcuni religiosi, le vo-cazioni che diminuiscono,alcune opere che chiudo-no… però io ho incontratouna Congregazione vivache sente il problema e chevuole venir fuori insieme anoi laici. Credo che da questo incon-tro ne sia venuto fuori unimput per il MLS e per laCongregazione, al fine dicostruire ulteriormente ivincoli della famiglia so-masca. Certo, dobbiamoandare avanti, nelle operee oltre le opere. Da un punto di vista teolo-gico ed ecclesiologico miha fatto ulteriormente ri-flettere il fatto che p. Fran-co, nella sua relazione alCapitolo, abbia inseritol’esperienza della Congre-gazione e del MLS all’in-terno del sentire e delle fi-nalità profonde della Chie-

sa universale. Non siamo una cellulastaccata, siamo dentro laChiesa e tutto quello che sifa anche per i poveri e nelmondo dell’emarginazio-ne attraverso san Girola-mo… è l’evangelizzazione,è Gesù Cristo. Credo che il MovimentoLaicale Somasco debbapuntare fortemente sulcarisma di san Girolamocome strumento di forma-zione e di evangelizzazio-ne. Abbiamo bisogno dirinsaldare in Italia, in Eu-ropa e nel mondo il nostroMovimento, dentro laCongregazione, per crea-re fiducia, non per chiu-dere le opere, ma peraprirne altre ed evangeliz-zare il mondo attraversol’amore dei poveri.

I punti emersi nella par-tecipazione al Capitologenerale, frutto dell’in-contro di noi laici, invi-tati e provenienti da di-verse parti del mondo, e

presentati all’assembleacapitolare come “propo-sta internazionale”, sonostati evidenziati in cinqueobiettivi:- Assicurare una comunee profonda formazionespirituale e carismatica atutto il laicato somasco.- tendere a un raccordointernazionale di tutte lerealtà laiche somasche,nel rispetto delle specifi-che fisionomie e storie diciascuna;- favorire e promuoverelo scambio di competen-ze professionali ed espe-rienze formative di vitatra le storiche realtà eu-ropee e tutte le realtàmissionarie;- coltivare la specificitàlaica dell’azione sociale epolitica sui territori, indifesa dei diritti umani;- tenere aperto il dialogo

e, laddove auspicabile, lacollaborazione fattivacon le Chiese locali e coni Movimenti cristianioperanti in comuni terri-tori.

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Tutte le strade verso casaTutte le strade verso casa

Elisa FumaroliElisa Fumaroli

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aprile giugno 2012 Vita somasca

Perché questa tua atten-zione, delicatezza e passio-ne per la famiglia?“Don Abbondio diceva: “Ilcoraggio, se uno non cel’ha, non se lo può dare…”.In questi giorni si fa ungran parlare della “resilien-za”, la capacità cioè di re-cuperare dopo una sconfit-ta. E perché non si manife-sta in tutte le occasioni?Perché non viene fuori insituazioni drammatiche,per esempio nel caso di unsuicidio? Perché non c’era,la persona non l’aveva den-tro. Io devo dire un graziea Dio grande come una ca-sa per aver ricevuto questodalla mia famiglia, non cer-to dagli educatori dei semi-nari, né dai padri soma-schi. Se ho (e ho avuto) unaqualche grande passione èperché è partita da casamia. Io ho avuto una fami-glia formidabile. Un fatto: volevo assomi-gliare a mio padre, che per

me era qualcosa di grandis-simo e forse perché è mor-to a 60 anni, mi è rimastala sua immagine bella, unuomo molto vivace. Dai miei genitori ho rice-vuto tanto e ho trascorsouna bellissima infanzia.Prima di andare in semina-rio a Corbetta (MI), ho pas-sato un periodo di tempo(aspirantato) in una casaadiacente all’Istituto Emi-liani di Treviso, e lì ho co-nosciuto un padre e quan-do ho visto come quell’uo-mo veniva accolto dai 120ragazzi orfani dell’Istituto,io, da bambino, ho stravi-sto. Perché vedevo che luiaveva un amore per queiragazzi, come un padre perloro. La mia vocazione si èrafforzata proprio quandoho capito che c’erano deiragazzi in questo mondoche avevano bisogno di fa-miglia. Più tardi, come sa-cerdote novello, i superio-ri mi hanno inviato alla co-

munità del castello di Que-ro e lì ho iniziato un’espe-rienza di preparazione digiovani coppie al matrimo-nio. La famiglia, quindi,per me è stata sempre unacosa spontanea. Nelle mie prediche, anchealla Madonna Grande, ci-tavo la famiglia, per me un

Essere in cammino percorrere stradeI sentieri personali della vita di alcuni religiosi soma-schi nel seguire le orme di san Girolamo. Diverse tracce, lasciate da un santo convertito, audace e umano, raccontante e interpretate da una polifonia di voci e di esperienze

Con nel cuore la famiglia p. Luigi Bassettop. Luigi Bassetto

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valore assoluto. La famiglia mi è en-trata dentro e, come somasco, mi sondetto: voglio lavorare perché fallisca-no i somaschi, perché non ci sia piùbisogno di loro che creano comunitàper raccogliere quelli che in famiglianon sono più amati. Che ci siano quin-di delle famiglie così preparate percui il carisma somasco non serva più.Se un domani non avessimo più bi-sogno del carisma di san Girolamointeso come “dare una famiglia aibambini”, non sarebbe un insucces-so, sarebbe quello che Dio vuole. Vivendo con le famiglie ho cercato ecerco di lasciarmi un po’ costruire dal-le famiglie, le quali mi hanno inse-gnato e mi insegnano che i figli sonopersone amate da Dio perché amatea casa loro. E spero di continuare alavorare per la famiglia proprio inquesto senso”.Oltre che appassionato della fami-glia, sappiamo anche della tua pas-sione per i libri. Al di là degli studiteologici hai deciso di continuare astudiare scegliendo alcune discipli-ne specifiche. Cosa c’entra tutto que-sto con san Girolamo?

“Mi sono appassionato di libri pro-prio quando sono stato trasferito aQuero (1974). Oltre al lavoro di pa-storale ho incontrato del tempo an-che per me, e riflettendo sulla figuradi san Girolamo e i suoi scritti mi so-no accorto della sua modalità educa-tiva, della sua passione e com-passio-ne (empatia) per le persone. Ho pensato che per aiutare questi ra-gazzi occorreva anche com-petenza,oltre che compassione (stare vicino,stare con…). Infatti san Girolamo ave-va maestri d’arte per i suoi ragazzi,perché voleva preparare dei lavora-tori competenti, con capacità di es-sere dignitosi. Mi sono detto allora:vado a studiare! e mi sono iscritto al-l’università di Padova in pedagogiacon indirizzo psicologico. Non ho avuto moltissimo dall’univer-sità, però, grazie ad alcuni insegnan-ti, ho assimilato alcuni criteri indi-spensabili per porsi di fronte a unapersona, accogliere le sue esigenze eportare avanti quei valori importan-ti per poter essere significativo con iragazzi. Dopo un periodo trascorso alnostro collegio di Bellinzona (Svizze-

ra), sono stato inviato a Como a la-vorare nelle comunità alloggio. Lo studio fatto mi è servito molto coni ragazzi, ma anche con le famigliesensibili alla promozione per l’affidoe le adozioni, e poi con la realtà at-tuale della Sorgente. Adesso mi sento chiamato a metter-mi a disposizione dei laici per la for-mazione pedagogico-spirituale deglioperatori delle nostre opere.Tra i libri che non troppo distrat-tamente leggi e utilizzi, c’è anche ilVangelo.San Girolamo si è convertito a Que-ro, ed è proprio là che ho trovato deimomenti di silenzio dove ho potutolaurearmi, studiare e pregare. Ma sono pure andato a Spello doveconobbi Carlo Carretto. E anche a Bo-se, nel momento in cui Enzo Bianchiapriva le comunità. Lì ho aperto la te-sta e il cuore sulla Scrittura. Poi, leg-gendo san Girolamo mi son detto:“questo qui sapeva a memoria la Bib-bia”, perché intercalava alcune no-zioni pedagogiche con frasi colte dalvangelo. Lui era un uomo attivo, nonintellettuale, un uomo con un cuoregrandissimo e una forza fisica infini-ta, ma illuminato dal vangelo. Da più di 20 anni faccio corsi di pre-parazione al matrimonio per coppieche vogliono aprirsi all’amore comel’ha insegnato Cristo, partendo ap-punto dalla Bibbia (ad esempio, librodel Genesi) e da alcuni passi del van-gelo, perché la Parola di Dio è formi-dabile. Penso che, nel matrimonio cristiano,non si è predicato abbastanza che lacoppia è immagine della Trinità, chenell’amore la misericordia è un pun-to fondamentale. A quelli che si sposano dico che: “unoche non sa perdonare gratuitamen-te, col cuore, fino in fondo… non èadatto al matrimonio”. Ma anche: “uno che non sa essere mi-sericordioso, con tutti, fino in fon-do… non può essere cristiano”.

Tutte le strade verso casaTutte le strade verso casa

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aprile giugno 2012 Vita somasca

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La famiglia somasca, fino al 1977-78, sioccupava in mille posti del mondo di bam-bini e di minori. A partire da quegli annie dalla tua insofferenza a vivere la tran-quillità, che cos’è che non bastava nellafamiglia somasca per spingerti altrove?“Premetto che questo non è il mio posto eil mio stile. Quando mi è arrivato il pro-gramma provvisorio di queste giornate so-no stato fortemente tentato di rifiutare, poiho modificato la mia prima reazione, gra-zie ad un confratello che mi ha dato unaspiegazione teologica, ricordando le paro-le dette da Gesù a san Pietro: “Quando erigiovane facevi quello che volevi, quandosarai vecchio ti porteranno dove non vor-rai…”. Come p. Luigi Bassetto, anch’io hoavuto un’ottima famiglia, dai miei ho im-parato tante cose. Ho imparato sicuramente tante cose daipadri somaschi, ma mi permetto di direche anche dai tossici prima e poi dalle co-siddette prostitute ho imparato molte al-tre cose in una maniera più libera e con-creta, in termini di religiosità e di pudore.Mi sono fatto somasco, vuoi perché miofratello era già dai somaschi e vuoi per al-tri motivi anche sconosciuti. Il pallino degli orfani e della gioventù ab-bandonata è sempre stato presente in me,e pestando un po’ i piedi a destra e a sini-stra abbiamo incominciato ad occuparcidi categorie di poveri che, allora (anni 70),non erano considerati poveri, ma “fuori ditesta”, gente da mettere al bando o in car-cere… Parlandone, si capiva che anche lo-ro facevano parte della categoria de pove-ri… Quando poi ho iniziato la nostra pre-senza con le ragazze di strada, avevo chie-sto ad un nostro illustre storico se questacategoria poteva rientrare nello spirito so-masco, e questi mi ha mostrato tutta unadocumentazione che attestava che anchesan Girolamo si è occupato delle ragazzedi strada, allora chiamate “convertite”.Oramai sono parecchi decenni che ci oc-cupiamo di queste cose, io sono felicissi-

mo, perché mi sembra che siamo in per-fetta linea con il carisma somasco. Una delle fortune del nostro mondo soma-sco è quella di avere scoperto un partico-lare non insignificante della vita e dell’at-tività di san Girolamo, che aveva a che fa-re con i laici. In questi ultimi anni, mi pa-re che si è fatto e si sta facendo tanta stra-da in questo filone di attività. Tutto quello che si sta facendo per i tossi-ci e per le ragazze di strada è grazie ai lai-ci, tenendo conto che, attualmente, sonosolamente due i religiosi somaschi impe-gnati in questo campo. Ritengo importante aver contribuito aspolverare questo aspetto presente in sanGirolamo e nei suoi compagni. Spero che il Signore mi conceda ancora unpo’ di anni per continuare a vivere in que-ste realtà, convinto della provvidenza e del-le parole di Gesù che garantiscono il cen-tuplo, non solamente nella vita eterna, maanche in questa. La mia esperienza mi porta a dire che ho

“Stare con”la cosa più importante

p. Ambrogio Pessina

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ricevuto e sto ricevendo il “centuplo”anche su questa terra”.Dopo quarant’anni in cui hai accol-to ragazzi minori, tossici e ragazzedi strada, qual è quell’ingredientenella tua giornata a cui non rinun-ceresti mai?“Ultimamente, mi capita molto spes-so di affermare un principio: “Ogniofelè al fa el so mestè” (a ciascuno ilsuo mestiere). Io non rinuncerei maia stare con qualcuno, oggi sto con leragazze, con le quali materialmentesono presente. Lo “stare con” ritengo sia la cosa piùimportante. Non bisogna pensare di essere capa-ci di fare tutto e poi non credo che i

ruoli dei religiosi somaschi siano tan-ti… Non è certo quello, ad esempio,di fare i conti (c’è qualcheduno piùbravo di noi a farli). Penso che il ruo-lo del somasco, nei limiti del possibi-le, è quello di essere “presente” nellenostre realtà, per contribuire a man-tenere, stimolare e far crescere lo spi-rito somasco. Nella maggior parte delle opere, i no-stri operatori e responsabili ci chie-dono con urgenza questa presenza.In questa nostra più che decennaleesperienza mi sento in dovere di ri-cordare e dire “grazie” a un personag-gio, nostro superiore, padre CesareArrigoni (morto nel 2006) , grazie alquale si è potuto iniziare questa lun-

ga serie di opere rivolte inizialmenteai tossicodipendenti.Finalmente, visto che abbiamo sco-perto, in un modo forse più organicoe massiccio, il ruolo dei laici nella fa-miglia somasca, suggerisco di nonperdere tempo e di proseguire con ce-lerità. Non ci devono assolutamentespaventare le differenze e le varietàdei doni, che rappresentano una ri-sorsa e non certo un limite. A partire da una premessa: quella divolerci bene. Se cresce questa pre-messa basilare e fondamentale tra dinoi, ben vengano le differenze e i pro-blemi, che non potranno che stimo-larci a costruire qualcosa di semprenuovo e sempre bello”.

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Perché con i somaschi e consan Girolamo?“Lo dico sinceramente econ sano orgoglio: sono de-bitore verso tutti i religiosisomaschi che ho incontra-to lungo il mio cammino, apartire dall’età di cinque-

sei anni, quando ho inco-minciato a frequentare lascuola di Aranjuez (Spa-gna), diretta dai somaschigià dal 1960. In tutti i religiosi che si so-no succeduti lungo il pas-sare degli anni, ho semprevisto in loro grande impe-gno, forte spirito di acco-glienza e attenzione amo-revole. Ho incontrato neireligiosi tenerezza e vici-nanza: non solamente tiascoltavano ma si impe-gnavano con te a tracciareun cammino orientandotinella vita. A 15 anni, quan-do ho manifestato a p. Bru-no Luppi il desiderio di en-trare in seminario, mi ri-cordo la sua risposta:“Aspetta, hai 15 anni, pen-saci bene… comincia qual-che studio universitario epoi ne riparleremo”. Inco-minciando l’università, miricordo che alcuni religiosicommentavano tra loro:

questo giovane incontreràuna bella ragazza e non ri-tornerà più da noi. Ma nonè successo così”.Come vivi la tua paterni-tà, oggi?“Mi ricordo quando ungiorno la polizia ci portòuna bambina abbandona-ta, di 3 mesi. Accoglierla eproteggerla è stato per mecapire, sperimentare e vi-vere concretamente la te-nerezza e la paternità di sanGirolamo. È uno dei tantis-simi esempi che porto aigiovani quando mi chiedo-no: “Come puoi tu vivere lapaternità se non hai avutouna moglie, una famiglia,dei figli? Come ci puoi par-lare della paternità versoi bambini?”. In questo spi-rito, auguro a tutti, laici ereligiosi, di proseguire inquesto cammino di tene-rezza e paternità, tracciatoda san Girolamo, per il be-ne del mondo.

Tenerezza e paternità

p. Aurelio Navarrop. Aurelio Navarro

Tutte le strade verso casaTutte le strade verso casa

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Serata insieme

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Perché non mi guardi?

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Mi vedi fragile?

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Precedentemente a Vene-zia, dal 2004 a Milano, Vit-torio Rizzi è il capo dellasquadra mobile di Romadal luglio 2007, che sta perlasciare per altro impor-tante incarico. Anche lui è una “vecchia”conoscenza somasca...Valerio Pedroni riallacciail filo di questo cammino dicollaborazione e compren-sione reciproca, tra Opera-tori del sociale e Polizia,percorso negli anni mila-nesi, sollecitandolo ad in-dicare il ruolo che con que-st’ultima ha cercato, anche

nelle difficoltà, di ricopri-re.Rizzi inizia la sua narrazio-ne facendo riferimento al-la propria esperienza, par-tita dal ’97 a Mestre, in unclima di volontà politica da“caccia alle streghe e difiaccolate per la strada”,che alimentava al massimola conflittualità e la tensio-ne sociale contro la piagadella prostituzione, po-nendo le forze dell’ordinenel “cul de sac” della re-pressione. La parola nondesta nessun effetto discandalo in lui, che sotto-linea come questo sia uffi-cialmente il compito dellaPolizia, chiamata a contra-stare e a reprimere qual-siasi fenomeno di devian-za e reato. “A Venezia si trovò un’al-ternativa alla classica so-luzione del “pattuglione”,con la tipica inefficacia del“cellulare” (che provoca ilfenomeno dei “vasi comu-nicanti” e lo spostamentoincontrollato del fenome-no); la si trovò al limitedella “clandestinità, in un“patto di zonizzazione” pi-lotata, in un percorso diobiettivo comune, con leorganizzazioni sociali e

l’istituzione di un numeroverde cui dare il massimodella pubblicità, mirandoper prima cosa alla pro-mozione sociale, e supe-rando i limiti e le difficol-tà, per andare oltre la me-ra assistenza. Proprio dalla sinergia tralegalità e socialità può na-scere la chiave di approc-cio più opportuna per uncontrasto efficace a feno-meni come la tossicodi-pendenza, lo sfruttamen-to, l’abuso sessuale”.Se la legalità pretende il ri-spetto delle regole e la de-nuncia del reato, e nessunfine può giustificare l’usodi mezzi illeciti, per via diun principio invalicabile,c’è pur sempre lo spaziodella socialità, della prepa-razione delle forze di Poli-zia a tali denunce, in un cli-ma di dialogo, di momentidi incontro e collaborazio-ne con le Associazioni so-ciali: magari pochi giornidi accoglienza propedeuti-ca possono consentire unpiù consapevole prosieguodi percorsi e progetti di re-cupero.Sollecitato da Pedroni,Rizzi rileva che proprio suquesto punto nascono le

La strada della ricerca di casaLa strada della ricerca di casa

Vittorio RizziVittorio RizziCapo Squadra Mobile

Roma

Lo spazio della socialitàIl coraggio di cambiare le cose, coniugando la legalità

con l’attenzione alle fragilità umane. La sensibilità di tenere gli occhi (e il cuore)aperti ai drammi di chi va accolto…

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aprile giugno 2012 Vita somasca

maggiori difficoltà sul ter-ritorio, perché ogni realtàdifferisce dall’altra. Così, se Milano, pur diver-samente da Venezia, harappresentato in questosenso un periodo di relati-va positività grazie a strut-ture pubbliche e associa-zioni private, religiose elaiche, con cui dialogare,ben differente è, oggi, la si-tuazione romana. Il dato più rilevante sono i“volumi” che la caratteriz-zano, che moltiplicano ladimensione di ogni feno-meno e, se “rispetto allosfruttamento delle donne,esistono numerose asso-ciazioni che in qualchemodo conducono dei pro-getti di promozione, nonaltrettanto si vive riguar-do all’abuso di minori: c’èsolo la grande realtà diTelefono azzurro che, perle proprie dimensioni eper quelle del territorio,non riesce a fornire quelsupporto capillare che la

problematica comporte-rebbe”. L’indignazione diRizzi è dovuta alla derivadegli ultimi tempi, con lamancanza assoluta diqualsiasi struttura pubbli-ca adeguata, spesso ac-compagnata anche daquella di qualsiasi proget-tualità di promozione, maanche di trasparenza, neglieventuali finanziamenti, aquelle private.Nel mondo della tossicodi-pendenza, ad esempio, la“denuncia tout court” delproprio figlio alle forze dipolizia, da parte di un ge-nitore, comporta il grandedifetto di far iniziare un in-tervento, ancorché di recu-pero, di tipo coattivo, co-stringendola, cioè, allasurroga di un più opportu-no interlocutore mirato aldialogo, ad un rapportovolontario, attraverso unafase di “riduzione del dan-no”. “Il problema si ponein maniera evidente anchenel caso di abuso sessuale,

sia di genere che verso iminori: dal momento chela vittima entra in contat-to con la Polizia, entra im-mediatamente in un per-corso di denuncia che pro-voca tipicamente il feno-meno di “vittimazione se-condaria” rivivendo perintero e analiticamentel’evento traumetico”. Fondamentalmente diver-so l’impatto con strutturecome “Differenza donna”,dotate di legali e psicologi,per ridurre il danno.Secondo un Protocollo delgiugno 2011, la Polizia èriuscita a compiere un“passo indietro” (presen-ziando in “maniera protet-ta”) stabilendo che il mino-re possa venir intervistatosolo dallo psicologo. “Purtroppo, mentre per ledonne c’è la possibilità dipercorsi d’affidamentomirati all’abbattimentodella vittimazione secon-daria, non altrettanto ac-cade, per mancanza di

fondi, per quanto riguar-da il minore. Utilizziamo,per questo scopo, stagisti,giovani psicologi, legali,costituiti in cooperativa,ai quali forniamo sede,fax, telefono: insomma,una minima struttura dipartenza verso il progettodi uno “Sportello” internospecializzato”.Sollecitato da Pedroni, chelamenta, per Milano, uncerto ritardo verso il digi-tale, un approccio ancoratroppo basato sulla fisicità,Rizzi conferma l’investi-mento nella struttura spe-cializzata di Polizia delletelecomunicazioni “Ascol-ta sempre”, ma offre, subi-to dopo, un “quadretto”,che susciterebbe solo ilari-tà, se non fosse accompa-gnato dall’amarezza: nes-suna assunzione da diecianni, con conseguente etàmedia, in polizia, di 46 an-ni; assenza di nativi digita-li, con una evidente diver-sità di approccio alla rete e

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palese riconoscibilità d’intervento; proi-bizione dell’uso e dell’accesso a facebooke ai social network in generale!Arrivando alle conclusioni, Ricci affrontail problema, a Roma particolarmente sen-tito, di sicurezza effettiva e percepita, sot-tolineandone il condizionamento agli“aspetti politici e mediatici”. “Negli ultimidieci anni gli omicidi si sono ridotti da 42a 33, ma questo è un dato praticamenteignorato, come ignorato è lo sforzo di su-peramento del rapporto basato sul “con-fronto di forza” nel tentativo di una con-tinua mediazione, teso al “tenere basso ilconflitto”, in un’opera di tolleranza e ras-sicurazione delle persone, facendo levasul dialogo con i rappresentanti delle ca-tegorie più coinvolte, commercianti, as-sociazioni di strada. Un compito difficile,quando il dibattito sulla sicurezza si in-centra sulla “banda della Magliana” (etàmedia 60 - 70 anni, da circolo di bocce)!”.Dibattito che oscura, nei fatti, il grandeproblema delle continue nuove realtà diperiferie degradate, dove la geografia del-le municipalità che ricoprono un impor-tante ruolo nelle problematiche del disa-gio, non arriva, così come la stessa geogra-

fia dei Commissariati, (a Roma 49) stori-camente dislocati in cerchi concentrici amaglie diradate. “Sorgono nuove aree, quartieri, che po-trebbero essere città: basti pensare, a Ro-ma, al “Torrino 2, dove in un anno e mez-zo sono stati costruiti 7.000 appartamen-ti e manca qualsiasi presidio istituziona-le”. Tutto questo riconduce Rizzi all’espe-rienza milanese delle periferie, con il lorohumus di criminalità e devianze, e la pre-senza di comunità emarginate e bandegiovanili, come quella dei “Latinos”:“Donne, lavoratrici come “domestiche”,uomini disoccupati, due insegnanti di so-stegno per migliaia di studenti, che solonel gruppo possono ritrovare la propriaidentità”.È solo un esempio, spesso presente in ognirealtà territoriale, di comunità con la pro-pria intera scala di valori, di codici cultu-rali ribaltati ed equilibri sociali invertiti(composizione e ruoli nella famiglia, man-canza di prospettive per le generazioninuove, difficoltà di inserimento scolasti-co), dove imprescindibile diventa, anchequi, l’urgenza e la necessità di “interventia bassa soglia”.

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A catechismo, dalle suore,mi insegnano un Dio barbu-to e invadente, che si na-sconde tra le nuvole e spiatutto quello che faccio colsuo occhio immenso e trian-golare, così mi sento guar-data, continuamente, daqualcuno che aspetta di tro-varmi in castagna. In chiesa le bambine stan-no alla sinistra della navata,rigorosamente con il capocoperto, segno di umiltà, disottomissione. I maschi stanno nella nava-ta di destra, con il capo ri-gorosamente scoperto. C'è un bambino che si chia-ma Maurizio, che mi man-da piccoli regali, bigliettinid'amore e mi cerca conti-nuamente con gli occhi,mandandomi furtivamentebaci a distanza. Mi fa piacere, mi sento im-portante, ma so di commet-tere peccato. Mi devo confessare (la miaprima confessione) e non soda che parte cominciare.Non ho molti peccati, qual-che bugia, qualche piccolaribellione, ma questo... è unpeccato come si deve!

Lo confesso tremante a DonFrancesco, convinta che nonmi ammetterà alla prima co-munione, e lui mi rispondecosì: “tutto quello che faraiper amore non sarà maipeccato agli occhi di Dio”.Tre pater, ave e gloria. Sono salva, non solo, ho unmio piccolo comandamen-to personale, un salvacon-dotto... Quell'occhio trian-golare si è fatto più benevo-lo, non ho più paura.Sono ammalata. Passo i miei 14 e 15 anni inun andirivieni dall'ospeda-le. Mi operano di scoliosi.Tutto dura 18 mesi; perdoun anno di scuola e perdo lemie amiche. Le ore e le giornate alletta-ta sono lente e scopro i clas-sici della letteratura, la poe-sia, i Vangeli, tutte lettureche mi entrano nel profon-do e contribuiscono a fare dime quella che poi sono di-ventata. Mi innamoro, let-teralmente, dei Vangeli, diun uomo semplice, che par-la per metafore che possocapire, che parla al cuore inun modo che fa bene e cheindica una strada.

Mi trasmette valori che an-dranno bene sempre, quan-do sarò arrabbiata, delusa,e quando sarò peccatrice,quando sarò lontana, quan-do mi ribellerò, quando tut-to mi sembrerà uno schifo.Quando gli dirò di lasciarmiin pace, che si è fatto imbro-gliare, che era un illuso, chehanno vinto gli altri... Lui, o meglio, le sue parole,saranno sempre lì, freschecome la prima volta, a con-solarmi, o a torturarmi, o a

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Caparbietà, intransigenza e utopiaL’esperienza biografica e la testimonianza di tre donne che hannoseguito l’esempio di san Girolamo, con convinzione e dedizione

Mara BossiMara Bossi

Responsabile Comunità

per tossicodipendenti

“Cascina Mazzucchelli”

San Zenone al Lambro - MI

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aprile giugno 2012 Vita somasca

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sorridermi. Ma sono testarda, e sono intran-sigente, tendo alla perfezione e tutto quel-lo che mi circonda mi sembra corrotto. Finalmente libera dai gessi e da un alletta-mento forzato non voglio e non devo per-dere tempo. Il mondo attorno a me gira vor-ticosamente, ed è pieno di maestri. Ne cito alcuni: Nelson Mandela, Martin Lu-ther King, Angela Davis, Gandhi, Don Mi-lani, Papa Giovanni e il Concilio, Che Gue-vara, Fidel Castro, i Beatles, Woodstock, TheDoors, Joan Beaz, Bob Dylan, Fabrizio deAndrè.C'è la guerra in Vietnam e Mirafiori e poi,più vicino a me, il Movimento studentesco,Franco Basaglia, l'obiezione di coscienza, icontraccettivi. Non voglio legarmi a nessuno, voglio pren-dere il meglio da ogni situazione. Passo dai Focolarini ai collettivi (il mio erail collettivo Gramsci), a Lotta Continua, aimovimenti anarchici. Conosco l'ipocrisia di qualcosa che si chia-ma libero amore, che di amore ha poco oniente, se non l'aspirazione a qualcosa diuniversale, di trasversale, di liberatorio. Parco Lambro segna la fine di un'epoca. Mi sento usata e sfruttata. Alla fine non è questo quello che cercavo.Me ne vado, il mio amico Gianni è diventa-to eroinomane: si suicida con il gas di sca-rico della renault 4. Fine di un'avventura. Fine, davvero fine, di un'epoca.Ci “ritiriamo nel privato”. Provo a costruire una coppia. Lui è normale, molto normale, studia leggeed è incuriosito da questa ragazza troppomagra, troppo selvatica, troppo ribelle, trop-po indomabile che ti fa capire che non vuo-le legarsi...o forse si. È stato bello, lo ammetto. La mia voglia di normalità, di pace, di quie-te, di intimità, alla fine, ha la meglio. Staremo insieme per 15 lunghi anni. Lui nel frattempo cambia, e cambia talmen-te tanto che non lo riconosco quasi più, di-venta la sua carriera, lo shopping in via Mon-tenapoleone, il tennis nei circoli più esclu-sivi. Io non riesco a cambiare, vivo con lamia tuta da ginnastica e le mie scarpe da

tennis, curo le mie piante, leggo, imparo acucinare, a curare la casa, curo il mio lavo-ro. Non andrò mai a fare shopping, né, al-la fine, a fare con lui le vacanze. Rischio la depressione, devo assolutamen-te fare qualcosa. E qualcosa la faccio. Sonoincinta. Nascerà Caterina, la mia meravi-gliosa bambina, il mio arcobaleno lanciatosul futuro, il luogo della pentola con le mo-nete d'oro, il mio terribile peccato di egoi-smo, il senso di una ricerca mai finita. Soche sto firmando una cambiale in bianco,un'ipoteca sulla mia vita, ma è quello chevoglio, ed è anche quello che vuole lei. Unalunga, lunga pausa nel caos della mia vita:divento mamma, e nulla sarà mai più comeprima. Stavolta, per davvero, c'è un pezzodi futuro sul quale ho messo la mia firma enon posso più tirarmi indietro. Il papà di Caterina non c'è.“Sei tu che l'hai voluta, io ho altro da fare”.Oggi è un pezzo grosso, un professionistaaffermato, con un'altra famiglia, altri figli.È stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. Caterina ha i suoi occhi, quelli non si pos-sono cancellare. Io sono invecchiata, maquando guardo lei guardo me stessa alla suaetà, vedo i mie sbagli, le mie aspirazioni, imiei ideali. Non so come mai, ma lei è mi-gliore di me, e so che ho fatto un buon ser-vizio al mondo. Mano a mano che cresceva,mi ritrovavo stranamente ancora vitale, an-cora uguale a quella donna caparbia, intran-sigente, sognatrice e contraddittoria cheavevo lasciato una ventina di anni prima,ancora figlia e mamma, ma anche qualco-sa di più, con un sacco di posto nel mio cuo-re. Voglio cambiare lavoro, ma ormai ho 47anni, non è facile. Mi sono tenuta in tascaun numero di telefono per sei mesi; alla fi-ne, l’ho fatto e mi ha risposto padre Vincen-zo. Qualche giorno di volontariato, poi laproposta, per niente allettante: un contrat-to a tempo determinato in sostituzione dimaternità. Nessuna certezza, ma l'intuizione che lì erail mio posto. Ripartire da zero, ma con qualcuno che inme voleva credere e in cui voler credere. Qui ho l'occasione di ringraziare padre Vin-cenzo, Barbara, che ha condiviso con me en-

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tusiasmo e fiducia nel prossimo, Delia, che ha avuto conme tanta pazienza, Carlo Alberto, al quale ho imparato avoler bene, nonostante le sue spigolosità, i padri Ambro-gio e Tarcisio che, tra una sigaretta e l'altra, mi hanno per-messo di avvicinarli e per i quali ho un'ammirazione gran-de, padre Ferrante che mi ha aiutata e continua a farlo e,poi, tutte le persone che lavorano nei Centri Accoglienza,che fanno ormai parte della mia vita. Oggi lavoro in unacomunità terapeutica dove passano circa 90 persone ognianno. Il mio gruppo di lavoro è fatto da una decina di per-sone, quasi sempre più assennate di me. Sono ancora unpo' indisciplinata, faccio fatica a dire a qualcuno che ha bi-sogno “qui è tutto pieno, provate più avanti”.È così che, invece di trenta, al centro siamo trentuno, tren-tacinque, trentasette. Carlo Alberto si dispera, ma alla finechiude un occhio, e quando viene l'ispezione, non si sa be-ne come, fino ad oggi l'abbiamo passata. Sento molto for-te la responsabilità di portare avanti un'opera che è statainiziata da p. Ambrogio, che ci ha lavorato per tanti anni.San Zenone porta tuttora i segni del suo passaggio. La vera ricchezza della comunità sono tutti i poveri che cisono passati e che si rivolgono lì ogni giorno. Il mio lavoro mi piace e sono fortunata a poterlo fare.

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aprile giugno 2012 Vita somasca

C'è un filo rosso che legagli anni e le ore della mia vitail bagliore rosso di una gonna che gira,la gonna fiorita di mia madrein un valzer improbabile e improvvisatosu un paio di ciabatte e una pentola da cucina tra le mani

C'è un filo rosso che legai miei anni alla scoperta di chi sono, di chi eroe di chi non sono mai statai pantaloni sgualciti di mio padreche guarda severo il mio farmi grandee la sua immagine che si allontana, la sacca della trasfusione,e la sua mano nella mia, prima della partenza,di quella vera, quella definitiva,quella che è un arrivederci serenose ci siamo tanto amati prima.

C'è un filo rosso di bandiere a segnarei miei anni arrabbiati

di risate, di sogni, di idealiperché lo so che il mondo che faremosarà più bello, più giusto, più ugualee lo faremo, lo stiamo facendo, lo facciamo...ma dove sono gli amici, i compagni, gli ideali,qualcuno in banca, mio Dio,qualcuno in galera, qualcuno in pantofole, qualcuno... qualcuno che ha messo giudizio.Io no, io per fortuna non ci sto:ho un sogno bello e giusto e ugualeche mi divora il cuore. E non ho ancora voglia di mettere giudizio.

C'è un bacio rosso di passioneche crea l'illusione di un amore.Ma io lo sapevo che non era così,e che dovevo fare qualcosa di più grande, di più perfetto, di più pulito:le piccole labbra rosse della mia bambinae i frammenti di stelle nei suoi occhie la fatica di rinnovare ogni giorno me stessaper non perdere il passo, per non perderla di vista.

E poi gli anni di fatica quieta, di silenzio e di sacrificio io figlia, io madre, io amante, io solacomunque e sempre sola,con quel tormento terribile nel cuoredi bello e di giusto e di amore.

A volte una febbre, un vento impetuoso, un mare in tempesta,uno stupore sgomento,lo struggimento di sentirmi troppo piccola, la gratitudine per essere donna,la certezza di avere le ali,e finalmente il mio volto, uguale al volto di tutti,bello come sono belli i giovani e i vecchi,giusto, perché così capace di sbagliare,e uguale, così uguale agli Angeli a cui tutticerchiamo di assomigliare.

C'è il mio filo rosso che segnala trama della vita, di quella mia e di tutti quelli che incontrotutti i giorni, mio Dio, tutti quanti i giorni della mia vita,un filo rosso che tesse una telache ancora non so decodificarema non lo voglio, chi se ne frega, ho imparato che vivere significa sognare.

La certezza di avere le ali

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La strada della ricerca di casaLa strada della ricerca di casa

Per caso conobbi, in unacooperativa per ragazzi di-soccupati, due ragazzi chefacevano parte della Comu-nità di Cellino (BR), seguitada un religioso somasco, p.Giovanni Martina. Inco-minciarono a invitarmi agliincontri che facevano il sa-bato sulla Parola. Una seraci andai, iniziando a parte-cipare agli incontri ed anchead un campo scuola, ad Al-bano Laziale, sul tema “le or-me dei cristiani”: una espe-rienza bellissima, animatadai religiosi di MartinaFranca, accompagnati dairagazzi che accoglievano.Una esperienza che ha scon-volto e travolto la mia vita.Nel frattempo, aumentava-no sempre più il contatto ela mia conoscenza del “Vil-laggio del Fanciullo”. I due amici si sono poi spo-sati ricevendo, come regalodi matrimonio, un gruppet-to di bambini e incomin-ciando, in tal modo,

l’esperienza dell’affido fami-liare. La decisione di acco-gliere dei ragazzi in affidoera maturata anche in me,lentamente, grazie anche al-la testimonianza di miamamma che, frequentandola comunità di MartinaFranca, ogni tanto accoglie-va dei ragazzi in casa. Col passar del tempo, sonostata chiamata ad aiutareun’amica del “Villaggio delFanciullo” che aveva parto-rito da poco. Uno dei religio-si mi dice: “Senti, ci sono trebambini che dobbiamo ac-cogliere. Se mi dici di no nonpossiamo fare questa acco-glienza”. Ho percepito, inquel momento, una “chia-mata” e ho risposto sì, inco-minciando l’esperienza. In quel primo anno, il Signo-re richiese tantissime prove.Una fu che mia sorella ave-va partorito e diceva: “Tu ac-cogli i figli degli altri e nonmi aiuti a crescere il nipoti-no?”.Percepivo che il Signo-re mi chiamava ad una scel-ta diversa e capivo che que-sti bambini avevano più bi-sogno. E sono andata avan-ti. Vedevo però che facevotroppo la Marta e poco laMaria. Un giorno, uno dei religiosimi dice: “La vita non è solofatta di questo donarti ai ra-gazzi… devi crescere anchespiritualmente”. È nata co-sì l’esigenza di un camminoparallelo: stare accanto airagazzi e affidarmi a Dio. Uncammino particolare, piùspirituale, dedicando alcu-

ne giornate alla preghiera.Nel frattempo, aumentava-no i bambini, sei, ai quali de-dicare il mio tempo come“mamma” e non come edu-catrice. Mi sono sentita mamma epoi zia dei figli di questi ra-gazzi che ho cresciuto. Bam-bini piccolissimi che michiamavano “mamma”. Un bambino è arrivato al-l’età di 3 anni e mezzo, ades-so ne ha 20 anni e lo consi-dero figlio. In questo contesto, dal lon-tano 1994, è nata l’idea di vi-vere meglio i consigli evan-gelici ed emettere i voti (ob-bedienza, castità e povertà),che rinnovo ogni anno il 29aprile (natale dell’Ordine). È stata una chiamata fortealla quale non ho saputo di-re di no. Lungo questa espe-rienza e in questi anni ho ca-pito che il Signore nella miavita si è servito di strumen-ti molto semplici: la comu-nità, innanzitutto, e poi di-verse persone. Prima di arrivare al “Villag-gio del Fanciullo”, non sa-pevo che strada prendere emi ricordo d’aver detto al Si-gnore: “Aiutami. Aiutamiad uscirne fuori”. Lui prendendomi per i ca-pelli mi ha detto: “Vieni qui”. Il Signore mi ha illuminata,scelta, salvata e mi ha aiuta-to a trovare “la strada ver-so casa”. In fondo, sono imiei bambini che mi hannoaiutata a migliorare, a diven-tare più semplice e anche piùbuona.

Meri Dell’Atti

Educatrice

al Villaggio del Fanciullo

Martina Franca - Taranto

Mi chiamano mamma

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Vi racconto il mio viaggioper arrivare a casa, viaggiofatto in luoghi diversi e se-gnato da tanti incontri signi-ficativi. Tutto è iniziato con la deci-sione di concretizzare il miosogno di bambina e poi diadolescente innamorata diideali, proposti da testimo-ni come Martin LutherKing, Ghandi, Schweizer,don Milani. Personaggi dav-vero fecondi. Per concretizzare il mio so-gno decisi di frequentarestudi rispondenti ai bisognidi un’umanità povera e sof-ferente: mi ritrovai assisten-te sanitaria. Non avevo possibilità eco-nomiche per frequentaremedicina. La mia famiglia non posse-deva beni materiali, ma, ingran misura, i valori chedavvero contano nella vita. I miei genitori hanno dona-to la vita a cinque figli, io so-no la maggiore. Mia madreaveva 44 anni quando gli fu-rono diagnosticati, nellostesso giorno, la quinta gra-vidanza e un grosso fibromanell’utero. Per tutta la vita,mi ha accompagnato la ri-sposta che mia madre die-de senza esitazione: “Comeci sono stati 4 figli c’è postoanche per il quinto”.Senza tante prediche macon i fatti, i miei genitorihanno saputo trasmettere ailoro figli la forza e la perse-veranza per superare le dif-ficoltà nella vita e, pur nonessendo molto praticanti, la

fiducia in Dio. Non è stato per me facile la-sciare questa mia famiglia,ma il desiderio di realizzareil sogno di andare in Africa,con il tempo, non diminui-va, diventavando semprepiù chiaro che avrebbe da-to senso al mio vivere. Ho iniziato a cercare un’as-sociazione che mi permet-tesse di partire. Non esisteva allora Internet,ma attivai il motore di ricer-ca per eccellenza, il cuore,per trovare tutto quello cherealmente è importante. Il cuore mi ha fatto scopri-re l’esistenza del “CUAMM- medici con l’Africa” (Col-legio universitario aspiran-ti e medici missionari), di-retto da don Luigi Mazzuca-to, primo di una lunga seriedi persone importanti per lamia vita. Lui ha avuto fidu-cia in me che, appena ven-tenne, mi ero presentata di-cendo: “Voglio andare inAfrica ma non in una mis-sione”. E don Luigi, uomosaggio, capace di guardarelontano, fidandosi della fan-tasia di Dio, mi ha accoltanella grande famiglia delCUAMM, fra le prime infer-miere partite in missionecon i medici. Nel novembre 1972, non an-cora venticinquenne, arrivail tempo di partire perl’Uganda. Il dittatore di quei tempi, IdiAmin, non ci ha permessodi avere un contratto di la-voro in un ospedale del suogoverno.

Tutti dicevano che fosse uncannibale, e penso che lofosse davvero.Il Signore, attraverso le vi-cende umane, si serve an-che di queste persone percambiare la tua vita. Abbiamo dovuto, per duemesi, peregrinare da unamissione all’altra. Un periodo davvero interes-sante, seppur sofferto, per-ché mi ha fatto conoscere di-verse realtà che vivono gliafricani: popolo verso il qua-le provo grande gratitudine. Queste vicende mi hannopreparata ad accettare lasuccessiva proposta di donLuigi: una missione dei pa-dri della Consolata. Lì è iniziata la mia storia conil Signore, per il Signore, nelSignore. In questo cammino di inizioverso casa, mi ha aiutata unpadre della Consolata. Dopo un anno di servizio inun villaggio (antichi taglia-tori di teste), negli ambula-

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Diana Spader

Promotrice delle attività

di educazione all’affettività

al Castello di Quero

La fantasia di Dio

aprile giugno 2012 Vita somasca

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tori esterni della missione, ho contratto una forma impor-tante di parassitosi. Dopo quella vissuta in Uganda, anche quest’altra delusio-ne da metabolizzare. È molto triste ammalarsi nel luogodove hai sognato di andare come salvatrice. Ma come Girolamo, al tempo del suo arrivo al Castello, ave-vo bisogno di capire che, prima di salvare gli altri, si devecominciare col salvare sé stessi, dalle proprie catene. Un giorno di forzato riposo ho trovato, nella biblioteca del-la missione in cui mi trovavo per curarmi, il libro “Il castel-lo interiore” di santa Teresa D’Avila. Questa grande testimone dell’amore di Dio, chiusa in unaclausura, mi ha aperto nuovi orizzonti: sono tornata a la-vorare nell’ospedale della missione interiormente trasfor-mata, anche se non del tutto guarita nel corpo. L’amministrazione dell’ospedale in cui lavoravo in Italia mi

aveva concesso un tempo di aspettativa per tornare com-pletamente guarita dall’amebiasi, perché in quel periodonon sapevano curare bene queste forme di malattie tropi-cali. Tre mesi prima di rientrare in Italia sono stata consi-gliata di andare in una delle missioni del Nord del Kenya,in zona desertica, dove l’ameba non attecchisce. Quello che all’apparenza poteva essere visto debolezza e li-mite si è rivelato provvidenziale. La cura della malattia mi aveva preparata ad affrontareun’altra esperienza forte: il deserto. “Ti porterò nel deserto e proverò il tuo cuore”. Il mio percorso per trovare la strada verso casa è prosegui-to, facendomi immergere nel vuoto e nel pieno che solo ildeserto, sia in senso fisico che spirituale, sa concedere ad

un’anima che desidera incontrare se stessa in Dio ed io hodavvero vissuto quell’esperienza come il luogo in cui Dioattende la sua creatura, per incontrarsi con lei e parlare alsuo cuore. Dio non usa maniere dolci quando vuole tem-prare, sovente usa il fuoco che brucia e il buio della solitu-dine più tremenda. Ho trovato le modalità per rispondereall’amore di Dio osservando p. Francesco, persona orantee contemplativa nell’azione, ma anche quelle di Annalenae delle sue ragazze, quella di Teresanna e di Francesca, cheancora ricordo tutte con tenerezza e gratitudine. Ricordo Annalena: alta, bionda, brillante, giovane: si è con-sumata nel darsi agli altri. Già da allora dimostrava la tempra di cui era fatta e nonperdeva di vista il vero scopo per cui era lì: i poveri da ser-vire per amore di Dio. Ricordo ancora la stanza piena di luce in cui ci trovavamo,

mentre diceva con gli occhi lucidi e la voce ferma, come chisa di dire cose che riguardano la propria vita, in profondi-tà: “Io desidero adorare Dio in spirito e verità, e questa èla nostra Chiesa”. L’amore per Dio in Teresanna e France-sca si concretizzava nell’accoglienza delle bambine, figliedi donne musulmane, e nel vivere con loro giorno e notte. In seguito, la frase di san Girolamo: “Con questi voglio vi-vere e morire” avrebbe trovato vasta eco nel mio cuore.Queste bambine, una volta accolte, sempre nel rispetto del-l’appartenenza alla loro religione, imparavano a leggere, ascrivere e a cucire affinché potessero un domani vivere inautonomia e con dignità. Le mamme le abbandonavano ai lati della strada che dallamissione portava alla città perché sapevano che di lì sareb-

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bero passate le sisters che le avrebbero rac-colte. Mi ha colpito profondamente questotipo di abbandono forzato, questo strappodalle viscere, motivato dall’amore. Il senso di ingiustizia sofferto stava scavan-do un solco dentro la mia anima, ed ero ar-rivata a pensare, sbrigate le pratiche conl’ospedale in Italia, di tornare ancora in Afri-ca. Ma il Signore aveva altri progetti per me. Ora posso dire che quel periodo africano èstato semplicemente una preparazione delterreno sul quale sarebbe attecchita la pian-ta del carisma somasco. Nell’ottobre del 1974, pochi giorni dal miorientro in Italia, ho incontrato il Castello diQuero e ho incominciato a frequentarlo. Dal primo giorno in cui sono entrata in quel-la cappella… ho percepito qualcosa di stra-no e mi sono detta: “Io qui torno”. La conoscenza graduale di san Girolamo,della sua attenzione paterna e materna peri bambini mi ha fatto recedere dal ritorna-re in Africa. La capacità di Girolamo di vi-vere in pienezza la sua paternità, pur nonavendo figli propri, mi ha fatto intravvede-re che anche per me poteva essere possibi-le tale maternità spirituale. Il primo religioso somasco che ho conosciu-to è stato p. Luigi Bassetto, arrivato solo daqualche mese al Castello, nominato primosuperiore della casa di preghiera. In tutti questi anni mi ha accompagnata nelmio percorso sulla strada verso casa con sa-pienza, prudenza, profonda umiltà e incrol-labile fiducia in Dio. Dopo due anni di assenza, avevo trovatoun’Italia molto diversa da come l’avevo la-sciata. Era stata nel frattempo approvata lalegge per il divorzio e si stava preparandoquella sull’aborto. Stavo scoprendo nuovepovertà causate da un materialismo sfrena-to dentro il quale i bambini diventavano vit-time. Al Castello avevano già iniziato ad ac-cogliere i primi tossici, dalle comunità aper-te da p. Ambrogio Pessina. Nel frattempo, p. Luigi aveva cominciato alavorare con e per le famiglie, per arginareil disastro che si stava prospettando. Contemporaneamente, anche nell’ambitolavorativo c’erano novità: i dirigenti dell’ASLmi avevano chiesto di andare a lavorare nei

consultori familiari pubblici, aperti con lalegge 194. Questo mi ha permesso di met-termi in contatto con una realtà per me fi-nora sconosciuta: la famiglia, la coppia, larelazione, la sessualità come dono di Dio,l’uomo e la donna creati a sua immagine esomiglianza: un grande lavoro da fare perla dignità, secondo il sogno del Creatore. Lo studio e l’esperienza mi metteva a con-tatto con tante coppie che, a volte, portava-no solo tristezza, superficialità, egoismo. Con l’aiuto della preghiera mi chinavo suqueste persone per aiutarle a risollevarsi emettersi in piedi. Esperienza che anch’io, continuamente, fa-cevo: lasciarmi risollevare da Dio. L’8 settembre 1998, su invito del provincia-le, ho assunto la responsabilità della Casa dipreghiera e dell’attività educativa e forma-tiva che si svolge. Attività rivolta soprattut-to ai bambini, al fine di prevenire prima checurare i mali della famiglia. Lì sono inco-minciate ad arrivare tante persone per chie-dere aiuto e poi per aiutare, affascinate an-che loro dal carisma di san Girolamo, peroffrire amicizia, affetto e comprensione. Non è stato facile farsi accettare dal vesco-vo della diocesi, dai preti e dalla gente: es-sere donna, non sposata, non consacrata,che parla di sessualità… Certamente, anche nel mio caso, Dio dimo-stra di non avere limiti nell’esprimere tuttala sua fantasia e originalità, nell’affidare ilsuo progetto, unico e irripetibile, alle suecreature uniche e irripetibili e preziose aisuoi occhi. Credo che non mi abituerò maialla commozione che mi sorprende quandovedo frotte di bambini e adolescenti porta-re luce, donare vita e riempire con il loro vo-ciare queste stanze buie e austere, circon-date da mura possenti, che ricordano un pas-sato di battaglie e di morte. In questi 13 anni, con l’aiuto di san Girola-mo e di Maria, madre silenziosa e pur cosìpresente, è stato possibile trasformare que-sto luogo, così carico di anni e di storia, inun luogo in cui si parla di amore, di vita, diprogetto di vita, di come fare qualcosa di bel-lo della propria vita. Come il Signore, nella sua misericordia, havoluto che capitasse a me.

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SpagnaMaximina Patiño (Aranjuez)Insegno nella scuola somasca “Apóstol San-tiago” di Aranjuez, un collegio speciale cheoltre ad impartire un’educazione generaleaccoglie anche ragazzi con necessità educa-tive speciali e ragazzi che provengono da al-tri paesi che inizialmente debbono impara-re la lingua spagnola. Tra le diverse attivi-tà programmate si cerca di sensibilizzare etrasmettere i valori e lo spirito di san Giro-lamo durante tutto l’anno, specialmente nelmese di febbraio, grazie all’equipe di pasto-rale. I nostri alunni, che provengono da fa-miglie di classe media, partecipano pure neifine settimana ad attività scolastiche paral-lele, stile volontariato, in vista di eventi so-ciali, attività culturali e sportive, campeggi,ecc. Abbiamo pure una ONG (Emiliani) cheopera pure nel contesto familiare stimolan-do la collaborazione e la solidarietà deglialunni più grandi in attività benefiche a so-stegno di progetti missionari, per esempiola missione somasca in Mozambico. È una modalità questa che favorisce la par-tecipazione e l’impegno delle famiglie sti-molando il volontariato e l’utilizzo solida-rio del tempo libero.

José Manuel Carretero (Teiá)Vivo con la comunità somasca da 14 annicollaborando nel lavoro pedagogico educa-tivo. Ho avuto la fortuna di incontrare nel-la mia vita una di quelle persone che ti col-piscono per il loro sguardo, la loro testimo-nianza, lo stimolo a non avere paura e ti tra-smettono sicurezza. Questa persona è p.Marcello Losio, con il quale ho lavorato pri-ma nella comunità di Aranjuez e attualmen-te, da sette anni, nella comunità “Llar San-ta Rosalía” di Teiá. Ci occupiamo educati-vamente di 27 bambini compresi nell’età da0 a 18 anni. C’è anche un ragazzo di 19 an-ni che a motivo di una incapacità continuaa vivere con noi. L’aver accolto bambini pic-coli è risultata una scelta molto positiva perla comunità che ha portato un supplemen-to di allegria. La nostra casa è grande, con

diversi moduli e si respira un’aria familia-re grazie a un ottimo gruppo di educatoriprofessionisti con i quali si può contare inqualunque momento, disponibili di giornoe di notte. Ci percepiamo e siamo in realtàuna grande famiglia. Il lavoro non è facileanche per la problematica che portano consé i ragazzi. Nei momenti di tensione e didifficoltà è sufficiente scendere al modulodei piccoli di 5 anni per recuperare energiae ritrovare serenità. Non mi resta che rin-graziare i religiosi con i quali ho condivisoparte della mia vita per il regalo della loropresenza e testimonianza.

P. Luis García Alcocer (Santiago)A Santiago de Compostela nella nostra co-munità assistenziale Casa Miani abbiamola possibilità di accogliere 10 ragazzi (da 0a 18 anni). Attualmente sono presenti 5 ra-gazzi. Nel lavoro educativo siamo affianca-ti da alcuni laici educatori e noi religiosi of-friamo pure un servizio pastorale parroc-chiale nel settore. Voglio sottolineare il se-guente aspetto importante: risulta positivoed estremamente arricchente il fatto che ilaici educatori che operano nelle nostre co-munità, oltre alla loro specifica professio-nalità si lascino pure permeare dalla peda-gogia somasca e sensibilizzare dalla spiri-tualità di san Girolamo.

El SalvadorJosé Andrés Campos Roque (S. Salvador)Rappresento un gruppo di 15 laici non di-rettamente impegnati in un lavoro educa-tivo. Diamo il nostro contributo ai ragazzidell’Hogar Infantil Emiliani e ai seminari-sti somaschi de La Ceiba de Guadalupe (in-contri formativi, conferenze, ritiri ecc.). Unavolta al mese e in circostante speciali il no-stro gruppo prepara e offre un incontro e ilpranzo a una settantina di indigenti. Perso-nalmente da dieci anni sono in contatto conla famiglia somasca, di cui gli ultimi 3 annia tempo pieno, e offro ai seminaristi corsidi storia, approccio alla realtà sociale, ma-tematica, economia e informatica.

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RomaniaIlutiu Bogdan (Baia Mare)Fin dall’inizio, anche se da noi non è pre-sente una comunità religiosa, abbiamo per-cepito un legame forte con la Congregazio-ne somasca. La nostra avventura è incomin-ciata tempo fa (anni 1994-95) quando p. Al-bano Allocco, a Baia Mare, ha proposto ognianno dei campi speciali di formazione a di-versi gruppi di volontari. Si è incominciatoad operare con i giovani, le famiglie, i cam-pi rom a motivo anche dell’indifferenza edel vuoto sociale esistente. E’ nata quindiin Romania la “Fundatia de voluntari” so-maschi di Baia Mare. La scintilla che ha ani-mato tutti questi anni è partita sempre nonda un discorso ideale o dalle belle parole mada un invito-proposta molto concreto: “C’èmolto bene da fare, in tutti i campi, vuoidarci una mano?, vieni”. Da sempre, findall’inizio, ci ha colpito l’esempio visibile etangibile di qualcuno che davanti a te fa del-le cose, fa del bene, si impegna nel concre-to, con uno stile evangelico.

AlbaniaDonika Dona (Rreshen)Lavoriamo con i giovani (15 – 21 anni). Come 500 anni fa, san Girolamo andava perle strade di Venezia raccogliendo bambini,ragazzi orfani, abbandonati e quelli che chie-devano l’elemosina per le strade e offrivaloro una casa e gli insegnava un mestiere,in vista del loro presente e futuro, così 500anni dopo, la famiglia somasca di Rreshenaccoglie ragazzi e giovani dai villaggi sper-duti, dalle vallate e dal nord dell’Albaniadando loro una casa e la possibilità di im-parare un mestiere e costruire il loro futu-ro. Questa comunità è stata aperta nel 2004e da allora più di 1000 giovani hanno im-parato un mestiere e attualmente vivono diquesto. È da sottolineare che in campo pro-fessionale i religiosi somaschi hanno datovita ad un equipe molto ben preparato ecomposto da personale educativo, ingenie-ri e tecnici abili in diversi campi (elettrici-tà, meccanica, idraulica). I nostri ragazzi

che frequentano i corsi sono in grado di gua-dagnarsi la vita. Tra i tanti esempi, un ra-gazzo molto bravo come elettricista ha rea-lizzato tutto l’impianto elettrico di una ca-sa che recentemente io ho acquistato. Terminato il lavoro ha voluto far vederel’opera realizzata al suo professore-istrut-tore il quale, a sua volta, ha chiamato glialunni per complimentare il ragazzo e pre-sentarlo come esempio di superazione per-sonale. Voglio infine sottolineare che il Cen-tro professionale “Sh. Jozefi Punetor” aiu-ta tanti giovani a crescere non solo profes-sionalmente ma anche spiritualmente nel-la vita cristiana. Infine, nella casa di acco-glienza attualmente sono ospiti 25 ragazziprovenienti da famiglie che vivono in luo-ghi molto distanti da Rreshen. Questi, oltread una formazione integrale, ricevono dal-la comunità religiosa un esempio di vita cheè e sarà di grande aiuto per il futuro. All’inizio i nostri ragazzi manifestavano co-stantemente il vivo desiderio di “andare via”,andare altrove, in Italia. Adesso, invece,hanno capito che anche in Albania, nella no-stra terra, si può imparare un mestiere, tro-vare un lavoro e lavorare bene.

IndiaPeter Christopher Raj, Anne Christina Aro-kiamary, Maria ArockiadhasonProvenienti dall’India, ricordano con vivagratitudine il sorgere nel 2001 della comu-nità somasca di Chennay, con una prima ca-sa di accoglienza per bambini orfani (Uda-ya Vasal Boys Centre). Dall’inizio, sono ri-masti affascinati dalla modalità di presen-za e dallo stile di lavoro dei primi religiosi,in particolare di p. Giovanni Fontana e p.Pierluigi Vajra. Hanno conosciuto e assimi-lato lo spirito di san Girolamo perché attrat-ti e colpiti dal loro esempio di vita e dal mo-do di accogliere ed educare i bambini, noncon la disciplina del bastone in mano, se-condo lo stile di tanti educatori, ma perché“li prendevano per mano” con affetto di pa-dre. Oggi, diverse altre persone fanno par-te del gruppo laici, nato nel 2003.

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Certo, don Alessandro Santoro, che iniziasottolineando la difficoltà di superare la“barriera” con la platea, non può cono-scerci tutti, ma molti di noi lo conoscono. Non tanto per gli ultimi accadimenti chelo riguardano (ce li racconterà più avanti,in questo incontro), quanto perché la suastoria (fino al 2009) è riportata con inten-so affetto in “Pretacci”, il libro di CandidoCannavò che (alla sua quarta edizione inmeno di un anno dalla sua prima uscita)è stato recensito sul secondo numero diVita Somasca di quell’anno.Il libro sembra quasi un percorso con lestorie degli ospiti religiosi di questi incon-tri annuali, effettivi, potenziali o evocati:da don Ciotti a don Benzi, da don Gallo ap. Zanotelli, passando, appunto per donSantoro, tutti incontrati sul... marciapie-de, riconoscendovi ogni volta, come Can-navò, la “Chiesa vera”, da amare, “che nonesclude e si integra con la Chiesa, altret-tanto autentica, dei sacramenti. Purchéalla fine arrivi al cuore della gente l’unicaChiesa santa, quella che realizza la veri-tà nella carità”. Con queste parole p. Luigi Amigoni con-cludeva la sua recensione. Ci sembrano la premessa più giusta per in-trodurre quelle di don Alessandro, chefanno pensare a s. Girolamo e alle sue at-tività verso gli ultimi, in grado di scaval-

La strada della ricerca di casaLa strada della ricerca di casa

Il Vangelo sul marciapiede

Don Alessandro SantoroDon Alessandro Santoro

Parroco di strada e fondatore della comunità di base Le Piagge di Firenze, studioso ed esperto di don Milani,racconta il suo cammino con gli uomini, in un quartieredegradato e lasciato a se stesso. Uscire dalle verità di Gerusalemme, dagli assoluti, dalle certezze, per andare a Gerico, il luogo del commercio e delle contraddizioni

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care, a quei tempi, gli iden-tici contrasti e contraddi-zioni di oggi.Ieri come adesso, è la sto-ria dei veri riformatori. Don Santoro si presenta(perché è importante co-noscersi per relazionarsi): “Ho 46 anni, prete da 20,e, da prete diocesano, do-po tre anni di parrocchia,chiesi e ottenni di trasfe-rirmi nella periferia urba-na, difficile, di Firenze”. Poi, presenta le Piagge, ilterritorio in cui si è inserito. “Una fetta di quattrocentometri di terreno a rischioidrogeologico, venuta su30 anni fa, chiusa tra Ar-no, strada pistoiese e pon-te dell’A1. 3.000 apparta-menti in cinque anni,9.000 persone più 5.000cinesi e 150 baraccati”. Ricorda lo sforzo, duratoalcuni mesi, per integrarsinel ghetto (o riserva chepossa considerarsi, masempre socialmente peri-colosa).Ricorda che, per farlo, gli è

venuta in soccorso la para-bola del “Buon samarita-no” e ne è bastato l’inizio:“Un uomo scendeva da Ge-rusalemme a Gerico...”. Per lui, Gerusalemme eragià la parrocchia di prove-nienza che, ora, risultavacosì lontana dal “sogno diDio per gli esseri umani:quello di offrire una spal-la a cui appoggiarsi e rial-zarsi. Ho capito l’impor-tanza del verbo scendere,che è usato anche perl’incarnazione di Gesù,quella di abbassarsi, spo-gliarsi in un nuovo oriz-zonte, in un rapporto oriz-zontale, privo del filtroverticale, quello che ge-rarchizza, compromet-tendola, ogni relazione. Vuol dire uscire dalle veri-tà di Gerusalemme, dagliassoluti, dalle certezze (i“vezzi” di ogni religione)per andare a Gerico, il luo-go del commercio, dellecontraddizioni, la Babilo-nia dei marciapiedi degliumani”.

Imparare a scendere dun-que, spogliandosi di ogniruolo che potesse inficiareil rapporto con l’altro è sta-to il primo compito chedon Alessandro ha affron-tato, diciassette anni fa,andando alle Piagge, nellacasa popolare di 40 mq, ri-fiutata da molti per il pes-simo stato.“Quando le persone sco-privano che ero prete, siaprivano due possibilità:o la domanda di quale fos-se la mia colpa (droga,stupro, danno economi-co...) per essere stato pu-nito così severamente, o laconvinzione che, da prete,possedessi chissà qualinascoste possibilità: soldi,lavoro, parole...”. Alessandro cominciò il suocammino di uomo tra gliuomini, in un “quartiere”,nel 1994, composto da7.000 famiglie, nessunservizio (negozi, collega-menti, scuole...): “6 nume-ri civici per 1.000 persone/170 famiglie”.

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Così, iniziò la prima attivi-tà, un censimento, per sco-prire che solo 1 bambino su10 arriva alle scuole supe-riori, 6 su 10 ragazzi in tos-sicodipendenza, 3 donnesu 10, sotto i 30 anni, al-cooliste, 12 persone al-l’università.“Dentro questa comunitànon ho portato niente, hoinvece trovato. Prima di tutto due senti-menti: il primo, il più pe-ricoloso, la rassegnazione,l’ineluttabilità di comevanno le cose, l’incapacitàdi progettarsi, l’esclusivafinalità di sopravvivere; per secondo, l’ignoranza,meglio, l’inconsapevolezzadel proprio potenziale, dipoter tirar fuori le propriepossibilità. Allora, è fondamentale ca-pire che bisogna cercare di“essere con” il prossimo,mai “essere per”. Possia-mo, al più, sollecitare il bi-sogno di “essere insieme”.Insieme sono nate tantecose: seguendo le tracce diqueste esperienze, ritrovola scuola (iniziata nei 40mq di casa), ritrovo“l’Altracittà”, giornale diperiferia, cui collaboraro-no con determinazioneSandra Bonsanti e Capon-netto, in un garage che harichiamato in redazionetanti giovani redattori“squinternati” ed oggi, online, è divenuto punto di ri-ferimento importante del-la zona”.Alessandro conclude ri-cordando don Milani, cheinvitava a domandarsil’importanza di “esserescuola più che fare scuola”.

Approssimarsi, vivere lavita scelta, il più possibilesenza differenze dall’uma-no, per far emergere le ric-chezze dei rapporti, le ve-rità che ognuno porta in sé,e insieme “costruire utopieconcrete”. Poi, iniziano ledomande di Barbara Bram-billa, operatrice di Segna-via, organizzazione che af-fronta molte delle stesseproblematiche in Lombar-dia. Sono altrettante provo-cazioni, alle quali don San-toro non si sottrae minima-mente, nella sincerità e fe-deltà alle proprie scelte.La prima chiede di rivive-re insieme la vicenda del“matrimonio” tra un uomoe una donna, Fortunato eSandra, tanti anni primanata in un corpo di uomo,che è costato, a lui, l’accusadi scandalo e mesi di allon-tanamento dalla comuni-tà. Alessandro ne porta an-cora, profondamente, nel-l’animo, i segni. Solo da pochi giorni (il 25aprile) è terminato il perio-do di “precarietà sacerdo-tale”. Per il rientro, doposei mesi di isolamento in“riflessione”, privato diogni rapporto con il “suo”prossimo, ha dovuto rigiu-rare davanti all’arcivesco-vo di Firenze la propria fe-deltà e obbedienza, per ri-condurre la propria “operadi maturazione ecclesialedella comunità”. Se obbedire ed essere fede-li vuol dire non tradirel’amore e la verità che cia-scuno di noi porta nel cuo-re, se vuol dire ascoltare“l’humus” delle personecon cui vivi, anche sul mar-

ciapiede, Santoro lo ha fat-to e intende seguitare a far-lo. Fino in fondo, e pagan-done il “prezzo”. Sandra e Fortunato aveva-no trentanni di vita comu-ne, ventisei di matrimoniocivile. Hanno avuto il bisogno disposarsi in Cristo, di esse-re ministri del loro sacra-mento. Don Alessandro ha saputoascoltare e accertare il loroimpegno, e ha obbedito al-la loro verità: “in nome del-la “parresia” (il doveremorale, il coraggio di direla verità) la franchezza ela fedeltà all’amore perl’umano, all’amore dellaverità del Vangelo. Si chiama radicalitàevangelica, quella stessache ha portato Gesù sullacroce, con le braccia in-chiodate, ma aperte, cheabbracciano”.Poi, di nuovo da don Mila-ni, riprende lo spunto perricordare la necessità delsuperamento di quel mec-canismo perverso per cui ilpovero, l’oppresso, unavolta abbattuto il ricco, neprenda il posto. Questo comporta che “va-lori come la casa, il lavo-ro, le tante opere possibilinon bastino, non debbanomai essere fini a se stesse,perché nostro compito èaccompagnare a divenirenuovo prossimo, perché siimpari a vivere la propriacoscienza, la propria veri-tà, disimparando, con-temporaneamente, a tra-sformarsi, divenendonuovo oppressore”.La seconda domanda lo

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porta a ripercorrere avve-nimenti seguiti all’indi-gnazione.Indignazione davanti al“decreto sicurezza”, vissu-to come “uno schiaffo allaCostituzione e al Vange-lo”, dalla quale scaturì la“Marcia della convivenza”,a cui partecipò anche donGallo, organizzata dallacomunità nel luglio 2008,a Firenze, percorrendo intantissimi le vie cittadine.La stessa indignazione su-scitata l’anno prima daldecreto “lavavetri”, ema-nato da due Comuni “le-ghisti” e da quello di Firen-ze, in risposta al quale unastaffetta di protesta di 40giorni portò don Santoro ela comunità a presidiare ilComune; o l’esperienza deldigiuno di cinque giorni,per accompagnare l’idealetraversata del terribile“mare nostrum” su ungommone... in piazzaleMichelangelo, dell’attore eamico Saverio Tommasi,per protestare control’apertura di nuovi cpt ecie. Un altro argomentoproposto ha riguardato le“assonanze” con la visionesomasca. Don Alessandro le coglienel “prendere per mano”,ricordando il primo gestocompiuto in Comunità,verso una bambina, checercava solo di fargli com-pagnia nei primi momentidella sua presenza in casa,nei famosi 40 mq di incro-stazioni e muffe. Ricorda così anche l’arrivodi una prima mamma acui, insieme alla sua bam-bina, prese a far scuola.

Mamma che è divenuta og-gi, a sua volta, educatrice,esempio di “superamentodel meccanismo della de-lega”, che ci fa sempre pen-sare che ad altri spetti oc-cuparsi di noi. Poi, a domanda specifica,don Santoro esprime unariflessione sulla Chiesa,quella Chiesa che si è ma-nifestata, per lui, nella for-

ma di gerarchia, di verti-calità e di potere, che fini-sce per suscitare, nell’As-semblea, diverse reazioni,perlessità e contrasti. Succede quando donAlessandro, per noi sor-prendentemente, operaun immediato abbina-mento tra la Chiesa e il ri-cordo dei propri genitori,

per mille motivi orientatialla mancanza di speran-za e di futuro; genitori cheama, pur provando per lo-ro un sentimento di dolo-rosa tristezza. Vuole e lot-ta per una Chiesa che ab-bia coraggio, che non sivergogni di scegliere e diessere sempre dalla partedei più deboli. Come lo scorso anno don

Ciotti, cita in finale, il giu-dice Livatino, ucciso dal-la mafia, che nel suo dia-rio ha lasciato scritto: “…non ci verrà chiesto seeravamo credenti, ma seeravamo credibili…”. Se parresia significa “di-re quello che si pensa”qui, bisogna fare quelloche si dice”.

aprile giugno 2012 Vita somasca

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Per noi di Vita somasca, anche FlavianaRobbiati è una vecchia conoscenza. Nella rubrica “Il punto” del numero di gen-naio 2010, Carlo Alberto Caiani ci propo-neva la lettera che le maestre di Segrateavevano scritto ai “loro” scolari, dopol’ennesimo sgombero, che così conclude-va: “...Vi insegneremo mille parole, cen-tomila parole perché nessuno possa piùcercare di annientare chi come voi non havoce... A presto bambini”. La sua storia comincia nel 2008, quandoinsieme ad altre maestre, mamme e papà,“inciampa” nei Rom. Erano state poco

tempo prima “avvisate da Valerio che sa-rebbero arrivati”.Semplicemente, i bambini arrivano. E per Flaviana inizia un anno meraviglio-so, “che ti cambia la vita, con le sue sce-ne, normali, di tutti i giorni, ma comple-tamente diverse: feste di compleanno, iprimi inviti, gite, un anno per conoscersie frequentarsi; poi, scene di sgombero,una, due, tre, una raffica”. È il novembre 2009, l’anno di Rubattino. Le maestre lanciano l’iniziativa “contro-tendenza”: la raccolta di firme, non perscacciare, ma per “tenere gli zingari”, i lo-ro 36 bambini, creando un movimento dipensiero e di solidarietà, nel quartiere perprimo.Avevano assistito allo sgombero, con i po-liziotti in tenuta antisommossa e masche-ra antigas e le operatrici sociali con la ma-scherina di protezione. Davanti a loro donne, bambini, uomini,con le loro buste di plastica.Allora si cercano parrocchie, cascine, ca-se. Qualche gruppo viene sistemato. Poi, la decisione, il coraggio dell’accoglien-za vera, individuale, delle famiglie alle fa-miglie:“Abbiamo iniziato a conoscerci, a chia-marli per nome. Fame, freddo, inverno,a Milano sono duri e uguali per tutti, sen-za distinzioni di appartenenza politica oreligiosa. Il gruppo di ospitalità è cresciu-to, si è allargato, si è tramutato in inna-moramento”.Un’esperienza di crescita fatta di cono-scenza, stima, fiducia nelle persone, rico-noscendo loro tale dignità.“Un’esperienza di cose piccole, normali,

La strada della ricerca di casaLa strada della ricerca di casa

Testimoniare? puoi!

L’esempio di una società civile che prende posizione e smuove le coscienze

Flaviana RobbiatiFlaviana Robbiati

Maestra a Segrate (MI)

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non ponendoci la doman-da su che cosa era più giu-sto fare, ma fare.Ognunocon la propria “lettura” evissuto. Per me è stato unregalo della provvidenza,Ho vissuto il “Magnificat,... grandi cose ha fatto... Altre mani hanno tenutovivo l’insieme, quasi unastrategia”.Così questa decina di fami-glie ha cambiato la propriavisione e quella degli altri,scoprendo che si trattasempre di chiedere e dare,reciprocamente.Scoprendo che il grandenemico, l’ostacolo più im-portante è la povertà cul-turale, che tiene fermi in séstessi: la mancanza di co-noscenza e di consapevo-lezza dei diritti, come per-sone incapaci di vedere unfuturo di dignità.“Così è iniziata la secondafase, dopo l’innamora-mento,l’amore, che è piùdifficile. È di supporto lacollaborazione con Sante-gidio, con i somaschi..., perandare oltre l’emergenza,iniziando percorsi verso lacasa, la salute, le vaccina-zioni. Percorsi per gli anal-fabeti, non più in età sco-lare, corsi pomeridiani diitaliano, con tenacia, sen-za farsi prendere dalle fru-strazioni”.Frustrazioni che spesso sipresentano, nel “tempodell’amore”, perché se iRom cambiano lentamen-te, le istituzioni lo fanno intempi biblici. Se è difficoltoso perdonaree superare quell’atteggia-mento di totale dipenden-za, così radicato non per

malafede, quanto per “ca-varsela e campare”, piùdifficile è perdere centina-ia di ore rispetto a una do-manda, un visto, una ri-chiesta di residenza, di ca-sa popolare, nella oppres-sione e soppressione diogni dignità, pur in presen-za di ogni requisito e dirit-to acquisito, da parte di po-litici, educatori, funziona-ri, assessori. “Il nostro è so-lo un piccolo tratto di per-corso che ci auguriamopossano compiere forse ifigli, ma più probabilmen-te i nipoti dei nostri Rom”. Di una cosa Flaviana è cer-

ta: “la fiducia funziona,funziona sempre, anche sespesso occorrono tempilunghi e difficoltà, operan-do sempre su due fronti:con le famiglie e con gliamministratori, consape-voli che il percorso deve es-sere tra viaggiatori che vo-gliono incontrarsi a metà:cambiare i Rom e cambia-re noi”.Comunque, la conclusioneè che, nella scelta, non cipossano essere zone grige:“da Gerusalemme a Geri-co, si deve “scendere”. Prima la scelta, poi il ra-gionamento”.

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“Sono qui molto volentieriper l’amicizia e la fratel-lanza che mio padre ha vis-suto con i somaschi, poiperché sono nato in una co-munità somasca nel con-testo della parrocchia delCuore Immacolato di Ma-ria di Altobello (Mestre).Con i somaschi ci sono cre-sciuto e ho innanzitutto undebito di riconoscenza per-ché i primi passi nella fedee nella vita comunitaria enella chiesa locale li ho vis-suti all’interno della comu-nità somasca. Per me è stata una fortu-na inimmaginabile”. Così esordisce Andrea Fer-razzi, assessore del Comu-

ne di Venezia alle politicheeducative, sport, cultura efamiglia. Ci è grato ricordare suo pa-dre Giovanni, cattolico fer-vente, che per tanti anni hapreso a cuore le missionisomasche della Colombia,in particolare a Bucara-manga, dando vita ad un la-boratorio di falegnameriaper l’apprendi-stato di tan-ti ragazzi a rischio e in se-guito al “Centro Primave-ra”, un programma in favo-re delle ragazze-madri ado-lescenti.La famiglia somasca ha ra-dici veneziane. San Girolamo dapprimaopera in città, poi sentel’esigenza di andare per co-sì dire all’estero… al di fuo-ri dello Stato della Repub-blica Veneziana, mosso daun fortissimo desiderio dicarità. Dopo 500 anni, cosa è cam-biato in Venezia?“Venezia è una città dallegrandissime tradizioni diopere di misericordia, ca-rità e di assistenza. Moltisono stati i santi e le santeche vi hanno operato. Nelsentire comune del cittadi-no veneziano esiste il pri-mato della solidarietà eanche una grandissima at-

tenzione. Per esempio il si-stema del welfare che ab-biamo costruito nella no-stra città è assolutamenteall’avanguardia a livellonazionale. Gli investimen-ti che ogni anno facciamoa livello cittadino sono agliindici massimi rispettoagli altri comuni. Il tessuto cittadino è me-tropolitano e mondiale(passaggio di 35 milioni dituristi ogni anno), ma è an-che quello delle brevissimerelazioni, della vicinanzaintima, di un sistema di re-lazioni che rappresentauna grandissima ricchez-za nel campo della solida-rietà. È quello che stiamocercando di fare: riuscirea mantenerlo in piedi, co-sa non facile, perché la cri-si della fiscalità generale,il taglio netto dei trasferi-menti dal livello statale allivello locale, la crescitadella domanda e il decom-porsi del modello storico difamiglia sta generandouna crisi radicale. Il problema attuale è comerivedere tutto il concetto diwelfare attorno alla modi-ficazione strutturale del te-ma della famiglia”.Nelle politiche educative edella famiglia, quali sono le

Memorie di un veneziano

Nato in una comunità somasca dove muove i primi passi nella fede e nella vita comunitaria

Andrea FerrazziAndrea Ferrazzi

Assessore

Comune di Venezia

alle politiche educative, sport,

cultura e famiglia

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problematiche di Venezia che hanno a chevedere con il tema del Convegno?“Stiamo costruendo il bilancio 2012 e do-vremo operare nell’area servizi e politi-che un taglio molto forte. Nonostante questo abbiamo deciso, e co-sì abbiamo fatto negli anni precedenti, dinon toccare il servizio del settore delle po-litiche educative. Alcuni dati: si è toccatoil welfare non nella riduzione dei servizima nell’estensione dei pagamenti;l’incidenza degli asili nido comunali in Ve-nezia è otto volte maggiore rispetto ai co-muni della Regione Veneto; le tariffazio-ni di accesso alle scuole materne e comu-nali sono le più basse d’Italia (il 20% del-le famiglie è esente). Perché facciamo que-sto? Perché riteniamo che la qualità del-la democrazia di una città la si legge apartire dai servizi che si fanno nei con-fronti di coloro che non hanno voce. È questa la forza di un buon governo e diuna buona amministrazione. Dunque, avantaggio dei bambini. Per noi questa at-tenzione è assolutamente primaria. La co-sa più sciocca da fare è quella di incideresulle politiche dell’infanzia e sulle politi-che dei ragazzi e sulle politiche dei giova-ni. Il sistema del welfare del nostro Pae-se è un sistema sbilanciato clamorosa-mente verso gli anziani e in particolaresul sistema pensionistico. Garantisce al-cune fasce e tipologie di persone, ma staimpoverendo in maniera drammatica ilnostro futuro che sono i bambini e i ra-gazzi. Occorre rivedere assolutamentequesto sistema, che è disperato e non dàsperanza alle nuove generazioni. Su que-sto san Girolamo avrebbe da dirci tanto”.Venezia è una città tollerante, accoglie, nonemargina, non discrimina?“Per definizione, Venezia è stata la cittàdell’accoglienza del diverso. Fu il primoStato che con legge propria eliminò la pe-na di morte anticipando di secoli gli at-tuali ordinamenti. Venezia è il luogo incui tutte le minoranze ideologiche, cultu-rali e religiose hanno trovato casa. La grandezza di Venezia è stata la capa-cità di assimilare la diversità generandouna cultura della differenza: accogliere

quello che le altre culture apportavano. Questo oggi c’è, assolutamente. Il vene-ziano è contrario per definizione ad ognitipo di ideologismo e settarismo rigido. Quello che attualmente succede dal pun-to di vista della tolleranza nelle altre par-ti del Veneto è un po’ a macchia di leopar-do. Ci sono fenomeni e movimenti che han-no cercato negli ultimi tempi di utilizza-re il tema dell’altro dal punto di vista delpericolo, del richiamo “identitario” usa-to contro, ma a Venezia non hanno maiavuto radici perché da noi si è sempre usa-to una cultura non di difesa ma di attac-co (di “aggressione”): abbiamo posto i te-mi, li abbiamo affrontati, sviscerati... In fondo, è la paura che lascia spazio adaltre strade pericolose”. Cosa ti suggerisce il “veneziano” san Giro-lamo?“Ammiro lo stile di san Girolamo, che sot-tolinea il valore della persona innanzitut-to, il suo spendersi radicalmente fino al-la morte: “vivere e morire con i poveri”.Per cui la scelta di vivere la relazione fi-no alle estreme conseguenze, fino in fon-do. È la forza meravigliosa, la cosa piùbella e potente che ci possa essere oggi ein futuro. In san Girolamo tutto questonon era filantropia generica ma qualco-sa di intimamente legato alla propria fe-de, in rapporto con il Crocifisso. E la bel-lezza di questo fatto, anche nei piccoli nu-meri, è quello che fa la differenza”.

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Partendo dallo slogan “lastrada verso casa”, credoche la meta abbia senso sela meta è importante, se lacasa è importante ha sen-so percorrere la strada.

E la meta è importanteprobabilmente per duemotivi: o perché ho già fat-to esperienza di quel luo-go (denso e pieno di affet-ti) oppure perché è unameta sognata, desiderata,sperata… in cui pongo lasperanza in un luogo di pa-ce, un luogo di affetti che

però non ho già sperimen-tato. “Mia sorella non mi invi-ta a casa sua perché hapaura che io le possa mo-rire in casa”: era la frase

detta da una delle nostreospiti. C’è la solitudine di chi nonha amici, familiari, paren-ti… e c’è la solitudine di chiper le scelte che ha fatto,per la vita che ha vissuto…ha rotto tutti i ponti e di-strutte tutte le relazioni. In “Sorgente” viviamo af-

fetti e relazioni che posso-no diventare importanti ela “casa” che vorremmo èuna tappa. Vorremmo che fosse unatappa e non una meta.

Vorrei che dalla casa “Sor-gente” possano partiretante strade, percorse daospiti un po’ meno soli, unpo’ più capaci di cammina-re autonomamente e re-sponsabilmente, ai qualiospiti auguro di incontra-re persone con meno pre-giudizi.

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La strada della ricerca di casaLa strada della ricerca di casa

La meta è importante

Daniele Isidori

Responsabile

della Casa alloggio

per malati di AIDS

“La Sorgente” - Como

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La madre generale delle Benedettine, sr.Germana Marelli, e sr. Daniela Barcella,hanno presentato la figura della loro fon-datrice santa Benedetta Cambiagio Fras-sinello: “Figlia di contadini, nacque il 2ottobre 1791, nell’entroterra genovese. Nel 1804 si trasferì a Pavia. Pur sentendosi votata alla vita religiosa,accettò, per esigenze familiari, di sposa-re Giovan Battista Frassinello, operaio efervente cristiano, originario di RoncoScrivia. Non ebbero figli. Allora Benedetta, con il consenso del ma-rito, cercò di realizzare il desiderio di con-sacrarsi interamente a Dio. Accolta dalle suore Orsoline di Caprio-

glio, nel bresciano, dovette lasciare permotivi di salute. Rifugiatasi nella preghiera, ebbe la visio-ne di san Girolamo Emiliani che la guarì.Il marito entrò come fratello laico tra iSomaschi, lei avviò un’opera di assisten-za per le fanciulle povere. Nel 1827 fondò a Pavia la prima scuola po-polare. Dalle ragazze che la frequentava-no prese avvio la Congregazione delle Suo-re di Nostra Signora della Provvidenza.Dodici anni dopo a Ronco Scrivia nasce-rà la Casa della Provvidenza. Morì a Ronco Scrivia il 21 marzo 1858. È stata canonizzata da Giovanni Paolo IIil 19 maggio 2002”.

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Santa BenedettaCambiagio Frassinello

Molto gradita è stata la presenza al Convegno di due Congregazioni sorelle, così chiamate perché si ispirano al carisma di san Girolamo: le Suore Missionarie Figlie di San Girolamo, rappresentate da sr. Giusi Cogoni e le Suore Benedettine della Provvidenza

sr. Germana Marelli

sr. Daniela Barcella

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Arrivederci al 6°

Convegno

* In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per restituzione al mittente previo pagamento resi