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1 4. Hildegarda von Bingen (Ildegarda di Bingen, la “Sibilla del Reno”) “Con le parole, con le immagini, con la musica. Per diffondere tra gli uomini il messaggio inviatole da Dio, Ildegarda di Bingen si affida al valore razionale e speculativo delle parole, ai colori vivi e brillanti delle miniature che accompagnano i suoi scritti, ai suoni tersi e melodiosi che rendono l’anima vibrante. E mentre le parole e le immagini coinvolgono l’uomo in quanto essere sensibile e razionale, la musica si rivolge alla sua componente divina, risveglia in lui il ricordo e la nostalgia dell’armonia in cui godette prima della caduta, ed anticipa per brevi istanti la gioia ineffabile della beatitudine”. (dalla presentazione a: “Ildegarda di Bingen, Ordo virtutum. Il cammino dell‟anima verso la salvezza”. A cura di Maria Tabaglio – Il Segno dei Gabrielli Editori 1999) “A poca distanza dal Reno, non lontano da Magonza, fra distese di granturco e colline dolcissime, nella luce soffusa di un bosco, giacciono i resti del convento che ospitò Ildegarda ancora bambina…” (“Premessa”, Maria Tabaglio, op cit) Vita e opere (sintesi da Maria Tabaglio, op. cit) [Poco si sa dei primi anni di vita di Ildegarda di Bingen, “La „Sibilla del Reno‟ “, come è stata chiamata. La fonte più ricca è la Vita scritta con intenti agiografici, dai monaci benedettini Goffredo e Teoderico. Altri brevi accenni si hanno da Ildegarda stessa. Solo in età adulta, con la stesura della sua prima opera teologica, lo Scivias (“Conosci le vie”) (SCV) quando Ildegarda diviene un personaggio pubblico, i dati e le informazioni sulla “Badessa di Bingen”, vengono fedelmente e sollecitamente registrati.] Ildegarda, il cui nome significa “protettrice delle battaglie” (di fatto, della sua vita religiosa farà una battaglia per scuotere gli animi e le coscienze della sua epoca) nasce a Bermersheim sull‟ Hohe, un villaggio nell‟Assia-Renania vicino ad Alzey, ad otto ore di cammino da Magonza, nell‟estate del 1098, un anno prima che i crociati conquistino Gerusalemne. Ultima di 10 figli, trascorre i suoi primi anni con la famiglia nella vasta proprietà del padre, il nobile Ildeberto. In quanto “decima”, viene donata dai genitori alla Chiesa, secondo una pratica assai diffusa nel tempo, ed anche per la natura debole e malaticcia della piccola Ildegarda: “Soffriva di continuo, fin dall’infanzia, di malattie e di dolori atroci, tanto che solo a stento poteva camminare” (Vita).

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4. Hildegarda von Bingen (Ildegarda di Bingen, la “Sibilla del Reno”)

“Con le parole, con le immagini, con la musica. Per diffondere tra gli uomini il messaggio inviatole da Dio, Ildegarda di Bingen si affida al valore razionale e speculativo delle parole, ai colori vivi e brillanti delle miniature che accompagnano i suoi scritti, ai suoni tersi e melodiosi che rendono l’anima vibrante. E mentre le parole e le immagini coinvolgono l’uomo in quanto essere sensibile e razionale, la musica si rivolge alla sua componente divina, risveglia in lui il ricordo e la nostalgia dell’armonia in cui godette prima della caduta, ed anticipa per brevi istanti la gioia ineffabile della beatitudine”. (dalla presentazione a: “Ildegarda di Bingen, Ordo virtutum. Il cammino dell‟anima verso la salvezza”. A cura di Maria Tabaglio – Il Segno dei Gabrielli Editori 1999)

“A poca distanza dal Reno, non lontano da Magonza, fra distese di granturco e colline dolcissime, nella luce soffusa di un bosco, giacciono i resti del convento che ospitò Ildegarda ancora bambina…” (“Premessa”, Maria Tabaglio, op cit)

Vita e opere (sintesi da Maria Tabaglio, op. cit) [Poco si sa dei primi anni di vita di Ildegarda di Bingen, “La „Sibilla del Reno‟ “, come è stata chiamata. La fonte più ricca è la Vita scritta con intenti agiografici, dai monaci benedettini Goffredo e Teoderico. Altri brevi accenni si hanno da Ildegarda stessa. Solo in età adulta, con la stesura della sua prima opera teologica, lo Scivias (“Conosci le vie”) (SCV) quando Ildegarda diviene un personaggio pubblico, i dati e le informazioni sulla “Badessa di Bingen”, vengono fedelmente e sollecitamente registrati.]

Ildegarda, il cui nome significa “protettrice delle battaglie” (di fatto, della sua vita religiosa farà una battaglia per scuotere gli animi e le coscienze della sua epoca) nasce a Bermersheim sull‟ Hohe, un villaggio nell‟Assia-Renania vicino ad Alzey, ad otto ore di cammino da Magonza, nell‟estate del 1098, un anno prima che i crociati conquistino Gerusalemne. Ultima di 10 figli, trascorre i suoi primi anni con la famiglia nella vasta proprietà del padre, il nobile Ildeberto. In quanto “decima”, viene donata dai genitori alla Chiesa, secondo una pratica assai diffusa nel tempo, ed anche per la natura debole e malaticcia della piccola Ildegarda:

“Soffriva di continuo, fin dall’infanzia, di malattie e di dolori atroci, tanto che solo a stento poteva camminare” (Vita).

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“Dal giorno della sua nascita ella vive come impigliata in una rete, afflitta da malattie atroci che le tormentano le vene, il midollo e la carne” (Ildegarda, Liber divinorum operum) (LDO).

Nella decisione dei suoi genitori vale ancor più il fatto che essi sono consapevoli che la piccola possiede il dono della visione mistica, che lei stessa definirà “visione dell‟anima”.

“Nel terzo anno di vita vidi una luce talmente intensa da far tremare la mia anima, ma essendo ancora troppo piccola non la potevo esprimere” (LDO). “Fin da quando ero bambina, ossia dal quinto anno di vita, e tutt’oggi ancora, ho sempre sperimentato nel mio intimo, la forza e il mistero di quelle segrete e misteriose facoltà visive” (Ildegarda: Scivias) (SCV).

[Sulle “visioni” (e i loro vari gradi, nature e limiti) dei veggenti, dei mistici, degli yogi, dei sadhu e maestri spirituali indù e occidentali, esiste una vasta letteratura filosofico-religiosa millenaria: dai rishi del Rig-Veda e dai sapienti delle Upanishad, a Patanjali e ai vari samadhi degli yogi indù, all‟ “illuminazione intellettiva” (bodhi) del Buddha, ai Sufi, ai Buddhisti tibetani e al satori dei maestri zen, in Oriente; dalla “daimonlon photi” ed extatis di Plotino e dei neoplatonici, fino alla „visione aurea‟ degli alchimisti, ai cabbalisti, ai mistici cristiani, a Madame Blavatsky e ai teosofi moderni, in Occidente (Nota di Redazione – NDR)].

Ildegarda viene affidata alle cure di Jutta di Sponheim, una giovane aristocratica che decide di rinchiudersi in una cella annessa al monastero benedettino di Disibodenberg. Nel novembre del 1106 (o del 1108, la data è controversa) Jutta, Ildegarda e una terza fanciulla, fanno il loro ingresso negli spogli locali e da quel momento si consacrano a Dio e muoiono al mondo: una cella per trascorrevi la notte, una stanza per i lavori manuali, una latrina, una dispensa e una cucina, un piccolo cortile per coltivare le erbe medicinali, con due aperture: una nella parete della chiesa (per assistere all‟Ufficio Divino) ed una all‟esterno, per l‟introduzione delle derrate alimentari.

Sappiamo unicamente dai monaci benedettini autori della Vita che l‟educazione di Ildegarda e delle numerosissime adolescenti che affluiranno nel corso dagli anni è inizialmente opera di Jutta stessa, affiancata dal monaco Volmar, che per lunghi anni sarà amico e segretario di Ildegarda, quando la comunità si estende e si trasforma in una congregazione benedettina femminile.

[Ora et labora… La regola benedettina ripartisce le ore del giorno in preghiera e lavoro. Perciò, fin dai primi anni di vita monastica probabilmente Ildegarda si dedica, sotto la guida di Jutta, al lavoro manuale, alla coltivazione e conservazione delle erbe medicinali, alla cucina, da un lato e a cantare i salmi e meditare sulla rigida regola benedettina].

Intorno ai 15 anni, tra il 1112 e il 1115, Ildegarda prende i voti dalle mani del vescovo Ottone di Bamberga, e nel 1136 alla morte di Jutta ne prende il posto alla guida del convento. Le sue visioni sono ancora confinate nel suo privato: oggetto di confessione o tutt‟al più di conversazione, con il monaco Volmar, il padre spirituale della congregazione,

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anche perché nelle sue visioni, i sensi vigili di Ildegarda registrano normalmente tutto quanto accade intorno alla sua persona, mentre la sua mente osserva immagini ed ode parole destinate a lei sola. Insomma, non c‟è estasi e non c‟è trance; c‟è solo, in rare apparizioni, quella che lei chiama Luce vivente, un‟incredibile infusione di forza e di energia.

Soltanto a 42 anni, nel 1141, Ildegarda scrive e rivela al mondo il contenuto e il significato delle sue visioni:

“... all’età di 42 anni e sette mesi, dai cieli scese una luce di fuoco col bagliore di un lampo. Essa mi attraversò velocemente la testa e mi infiammò il cuore ed il petto come una fiamma che non arde, ma riscalda, come il sole riscalda ogni oggetto su cui posa i suoi raggi. E improvvisamente mi si rivelò il senso delle Scritture, del Salterio, del Vangelo e di altri libri dell’Antico e Nuovo Testamento. Eppure non avevo studiato il significato delle parole di quei testi, neppure le regole della sillabazione, né i casi nè i tempi.” (SCV Protestificatio) “… ma all’inizio vi rinunciò per soggezione femminile, per timore delle chiacchere della gente e dei giudizi sfacciati degli uomini. Allora un forte stimolo la costrinse a non esitare oltre nel rivelare i segreti svelati. Così, costretta a letto da un’interminabile malattia, un giorno rivelò con timore e umiltà per la prima volta il motivo della sua sofferenza, a un monaco che aveva prescelto come suo maestro”. (Vita)

Ildegarda chiede consiglio all‟amico e maestro Volmar, il quale le suggerisce di mettere per iscritto le sue visioni, così da poterne indagare la natura. Ildegarda viene incitata anche dall‟Abate responsabile del convento benedettino ad obbedire alla voce che le ingiunge di rendere noto quanto Dio le manifesta. Non appena Ildegarda comincia a scrivere, svaniscono tutti i suoi dolori e si risanano le sue piaghe. Il tutto, con i suoi primi scritti, viene esposto agli alti prelati e all‟Arcivescovo di Magonza e così Ildegarda ottiene il riconoscimento dell‟origine divina di quelle immagini e di quelle parole.

[Poi, nel 1147, scrive una lettera a Bernardo di Chiaravalle richiedendo il suo aiuto ed il suo consiglio, riguardo ai dubbi a ai timori per l‟immane compito di cui si sente gravata. Bernardo, l‟abate cistercense, famoso predicatore, la cui natura teologica e mistica può fargli comprendere appieno il valore delle sue visioni. La risposta di Bernardo contiene caute parole di incoraggiamento a proseguire il cammino, a condizione che l‟umiltà e la fede le siano sempre di guida.]

Nell‟inverno del 1147-48 si tiene a Treviri il Sinodo alla presenza del pontefice Eugenio III e in quest‟occasione Bernardo di Chiaravalle si adopra affinché venga data pubblica lettura dei capitoli dello Scivias di Ildegarda redatti fino ad allora.

Ottenuta così l‟autorizzazione a proseguire la sua opera e il pieno riconoscimento del suo dono profetico e visionario, superati i timori ed esitazioni nell‟affermare la sua assoluta e incontrovertibile legittimità e verità delle parole e delle azioni che le sue visioni le suggeriscono (definisce più volte se stessa come “una piuma abbandonata al vento della

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fiducia di Dio”), Ildegarda giungerà perfino allo scontro con l‟autorità ecclesiastica e ad introdurre addirittura alcune variazioni nell‟ordine gerarchico del “Regno dei Cieli”, senza arretrare mai dalle sue posizioni né prendere le distanze (cioè „ritrattare‟) dal proprio operato.

Nel 1147, mentre prende forma il suo primo libro teologico, lo Scivias, una visione le impone di abbandonare il convento di Disibodenberg e di fondare un nuovo convento sul Rupertsbgerg, un colle posto alla confluenza del fiume Nahe con il Reno, ove già il monaco Ruperto nella II metà del VII secolo ha eretto una chiesa ed un edificio per la cura dei poveri e degli ammalati. L‟arrivo dei Normanni porta alla distruzione di quel luogo che progressivamente viene abbandonato anche dai pellegrini e dimenticato, fino a che la visione di Ildegarda, non lo destina ad accogliere il nuovo convento femminile benedettino.

Da questa decisione nasce il primo scontro con l‟autorità ecclesiastica. L‟Abate di Disibodenberg non può accettare facilmente di perdere la principale fonte di prestigio e di ricchezza del monastero e d‟altronde le famiglie delle nobili fanciulle che ora si trovano sotto la guida di Ildegarda non possono accettare che le loro figlie lascino gli agi e la sicurezza per i rischi e i disagi in un luogo in quel momento ancora diroccato.

Le critiche e i divieti scatenano in Ildegarda una violenta malattia che la costringe a letto immobile e rigida. Ritorna in piedi solo quando il distacco della comunità femminile viene accettato e immediatamente si dedica con formidabile energia ad organizzare il trasferimento delle 18 consorelle e la riedificazione del convento distrutto di Rupertsberg. Viene aiutata in ciò dalle sue visioni: le appaiono immagini di edifici, con indicate le misure, il collocamento e l‟orientamento, persino i materiali da usare e, in qualche caso, le fasi stesse della costruzione secondo un‟attenzione al benessere del corpo, che secondo Ildegarda, prelude al benessere dello spirito e fornisce la condizione ottimale all‟anima per accogliere la “parola di Dio” (vedi gli ultimi capitoli dello Scivias).

Tuttavia, le difficoltà continuano: numerose monache non sopportano le precarie condizioni di vita (mancanza d‟acqua, tempi lunghi per l‟allestimento delle strutture, etc.) perciò se ne vanno in altri conventi. A tutto ciò si aggiunge che per lungo tempo Ildegarda viene accusata di essere stata fuorviata da allucinazioni e di essere comunque stolta ed avventata. Solo intorno al 1150 le suore affidatele si trasferiranno nel nuovo convento, finalmente completato secondo le sue precise direttive. (Oggi non esiste più, in quanto nel 1857 i ruderi sono stati rimossi per far posto ad una ferrovia).

Si apre ora un capitolo particolarmente doloroso nella vita di Hildegarda, la quale ha stretto un‟amicizia particolarmente profonda, un “innamoramento spirituale” si potrebbe dire, con una di loro: Richardis von Stade che, insieme al monaco Volmar, l‟assiste nelle sue visioni (la prima con la sua assidua presenza, il secondo con la tavoletta e stilo, a prendere appunti e note).

Hildegarda parla della giovanissima Richardis con profondo affetto e, a volte con accenti commossi, ma la nobile famiglia dei von Stade ha progetti ambiziosi per la figlia

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che viene nominata ancor giovanissima badessa del convento di Bassum, presso Brema. Invano Ildegarda si oppone alla sua partenza: i suoi accorati appelli al vescovo, ai famigliari dell‟amica e lei medesima, cadono nel vuoto; perfino la minaccia che sarebbe stata punita la di lei “superbia che nasce dal desiderio di onori piuttosto che dalla volontà di servire Dio”, si rivela inutile.

A Bassum tuttavia, Richardis non resta che poche settimane: è infatti colpita da una grave malattia che la conduce alla morte…

Dopo questo “grande dolore”, Ildegarda nel 1151 conclude comunque lo Scivias e comincia la stesura del Liber vitae meritorum e poi del Liber divinorum operum. Negli stessi anni redige le opere di carattere medico-scientifico (Physica, sulle scienze naturali e Causae et curae, sulle malattie e relative terapie), una raccolta di inni e canti liturgici (Symphonia harmoniae caelestium revelationum), un dramma liturgico (Ordo virtutum), alcune agiografie (Vita sancti Disibodi: Vita sancti Ruperti:, un commento alla Regola di San Benedetto (Explanatio Regulae sancti Benedicti) ed altre opere di natura teologica (Explicatio symboli sancti Athanasii; Solutiones triginta octo questionum, ed inventa un alfabeto di una lingua ignota (De littere ignote e De lingua ignota).

Ildegarda è stata in contatto epistolare con le più alte personalità del mondo cristiano e laico (abati, vescovi, il papa, badesse, monaci e monache, teologi, pellegrini, l‟imperatore, etc. - vedi il Liber Epistolarum) ed ha intrapreso quattro viaggi di predicazione (Bamberga, 1158-59; Treviri, 1160; Colonia e Werden (1161-63) e forse anche Liegi; l‟ultimo nel 1170, quando aveva già 72 anni, a Kirchheim e poi fino a Zwiefalten.

Ildegarda si è distinta anche nell‟amministrazione di beni, prima dirimendo le questioni relative ai diritti sui lasciti e sulle donazioni in favore delle monache, contro le pretese di proprietà dei monaci di Disibodenberg, poi fondando Rupertsberg ed infine, nel 1163, un nuovo monastero, ad Ebingen, sulla riva opposta del Reno. Questo monastero è tuttora esistente ed è un floridissimo centro religioso e culturale. E‟ visitabile e nella chiesa si possono ammirare gli affreschi che ritraggono i momenti più significativi della sua vita e gli straordinari segni che hanno accompagnato il momento del suo trapasso.

Per tutta la sua vita è stata seguita da problemi e da scontri con l‟autorità: ad esempio, nel 1178 lei e il suo convento sono colpiti dall‟interdetto emanato dall‟Arcivescovado di Magonza, dovuto al fatto che lei e le monache hanno dato sepoltura, all‟interno dell‟abbazia, ad un giovane scomunicato che sapendosi in fin di vita ha chiesto di essere confessato e comunicato. I prelati di Magonza le impongono di dissotterrare il cadavere e lasciarlo sepolto fuori dalle mura del convento. Ildegarda, seguendo le sue visioni che le rivelano la volontà divina, disobbedisce all‟ordine di disseppellire il defunto e addirittura benedice la tomba e poi provvede a far scomparire la traccia del luogo della sepoltura. Poi si appella con una lunga lettera al clero di Magonza affinchè sia revocato l’interdetto, a lei e alle converse, di celebrare pubblicamente i riti.

Questa lettera e l‟intervento dell‟Arcivescovo di Colonia che ha raccolto le testimonianze di coloro che hanno assistito al pentimento dello scomunicato, valgono a far

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cadere l’interdetto, ma solo pochi mesi prima della morte di Ildegarda avvenuta il 17 settembre del 1179. Viene seppellita nel monastero di Rupertsberg ove è stato elevato un ricco mausoleo, ma, come si è detto, nel 1632 durante la Guerra dei Trent‟Anni il monastero viene distrutto e bruciato. I monaci benedettini portano via con loro le reliquie di Ildegarda nella cappella del priorato di Ebingen, ove ancor oggi si trovano.

Papa Giovanni Paolo II, in una Lettera scritta per l‟ottocentesimo anniversario della sua morte, saluta Hildegarda come “profetessa della Germania” e, nel 2012 Papa Benedetto XVI (Ratzinger) la dichiara ufficialmente “Dottore della Chiesa”.

Su di lei sono stati scritti diversi saggi, tra i quali, in italiano: “Ildegarda badessa, visionaria, esorcista” di Claudia Salvatori (MIano 2004), “Ildegarda di Bingen, mistica e scienziata” di Cristina Siccardi (Ed. Paoline, Milano 2012); alcuni articoli (tra cui quello apparso su Medioevo, Apr. 2010 pag 52 et seq, e romanzi, quali quello intitolato “La pergamena maledetta” - “Visioni della Santa e Lingua ignota” di Heike Koschyk, del 2013.

Trai i film, importante è Vision di Margarethe von Trotta, con Barbara Sukova, del 2009 e una breve performance recitativa di Sonia Bergamasco in “Niente è come sembra” di Franco Battiato.

Le opere Il Riesencodex è un manoscritto conservato presso la Landesbibliothek di Wiesbaden, compilato negli anni dal 1180 al 1190, immediatamente dopo la morte di Ildegarda (1179). Il voluminoso tomo, che pesa ben quindici chili, contiene l‟opera completa che raccoglie tutti gli scritti scaturiti dalle sue revelationes (eccetto le opere di carattere medico-naturalistico).

Come si è visto, assai vasto è l‟elenco delle sue opere, ma è ancor più vasto l‟elenco dei temi e degli argomenti trattati. Ildegarda scrive di teologia, di scienza, di medicina, di morale, compone musica, redige agiografie, ed intrattiene un fitto scambio epistolare con numerosi corrispondenti in tutt‟ Europa (perfino con l‟imperatore Federico II “Barbarossa” e con il Vaticano). Inoltre pratica l‟esorcismo con successo (ad esempio nel 1169 su di una certa Sigewize che ha ricoverato nel suo monastero), compie numerosi viaggi di predicazione, fonda altri monasteri, etc. Dalle sue opere emerge tutta la dinamica, eclettica personalità di Ildegarda che si proclama indocta e che tuttavia dimostra di possedere una vastissima cultura, arricchita da intuizioni, da una profonda sensibilità e da una notevole capacità di penetrazione psicologica.

L’epistolario Il ricco epistolario di Ildegarda raccoglie quasi trecento lettere. Il suo ruolo appare

chiaro: è quello dell‟intermediaria, di colei che parla non per propria volontà, ma per bocca della Luce Vivente, che trasfonde in lei la Sapienza. Così, questa umile monaca, con consigli ed anche, a volte, con severi ammonimenti, indica la via del ben operare a coloro che si sono persi, scioglie i dubbi di chi vacilla, soddisfa la curiosità di chi vuol sapere ed inoltre interpella le alte personalità dell‟impero e della chiesa, ricordando loro l‟origine (divina)

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del loro potere e le responsabilità cui devono adempiere di fronte agli uomini e di fronte a Dio.

A lei scrivono umili laici, basso clero poi, in scala sociale gerarchica, abati, badesse, benestanti e nobili, vescovi, arcivescovi, nobiltà titolata, su, su, fino al Papa e all‟Imperatore.

Ad esempio Eberardo di Bamberga chiede delucidazioni sulla natura trinitaria di Dio. Così gli risponde Ildegarda, rivelandogli una vera e propria gnosi. (Tra le […] la

spiegazione gnostica, e in corsivo parole e frasi suscettibili di tale interpretazione – NDR):

“Nel Padre è la chiarezza [„clarità luminosa‟, la „coscienza illuminata‟] e tale chiarezza possiede uno splendore [„luce (d‟oro) irradiante come il Sole‟], il Figlio, e in questo splendore è il fuoco [lo

Spirito Santo] e sono una sola cosa. Chi non contempla ciò nella fede [fede-conoscenza o fede

illuminata, ossia gnosi], non contempla Dio, perché è separato da ciò che è [„Essere‟, „Verità‟,

„Realtà‟]. Dio infatti non è separabile. Anche le opere create da Dio, se l’uomo le suddivide, perdono la pienezza [„plenitudo‟, ‟plèroma‟] del loro nome”. “Nel Figlio sussiste la parità [quale mediatore: simbolo, il braccio orizzontale della Croce]. In che modo? Prima del tempo, tutte le creature erano nel [pensiero intellettivo del] Padre, egli le aveva ordinate in sé [come idee, ideazione precreatrice], poi il Figlio le mise in opera [logos creatore pre-

cosmico]. Il Padre ordina, il Figlio opera [le manifesta quale impulso creatore]. Poiché il Padre ha ordinato in sé ogni cosa e il Figlio l‟ha realizzata nelle opere. Egli [il Figlio] è luce dalla luce [„luce da luce‟ = l’Anima Mundi] che era in principio, prima del tempo, nell’eternità [Il Logos

quale germe di luce-coscienza, nel seno del Padre]. Questo è il Figlio di Dio che risplende [irradia] dal Padre e tramite il quale [medium] tutti gli esseri viventi [presenti come Idea nel pensiero del

Padre] sono divenuti [venuti in esistenza, cioè nel tempo]. E il Figlio che prima non aveva esistenza corporale [perché pura Idea-Archetipo, Logos-Anthropos], indossò la veste dell’uomo [Anthropos] che aveva creato dall’argilla [assunse l‟immagine dell‟Archetipo riflessa nella Madre o

„materia primordiale‟ – argilla = terra madre]. Così Dio aveva dinnanzi allo sguardo [alla propria

visione (coscienza) intellettiva] tutte le opere come “luce” [idea-energia], e quando disse “Sia!” [Fiat Lux], ogni cosa assunse la sembianza che le si confaceva [… et Lux Fuit: appare cioè nella

matrice, lo „stampo‟ o l‟immagine-riflesso dell‟Idea Archetipica,]. Nello Spirito Santo [„Madre‟] sussiste l’unità di parità e di eternità [nella Madre, è presente

insieme, sia il Figlio – l‟impulso creatore – che il Padre - l‟Essere Eterno. La “Madre”, come matrice

ricevente, accoglie in sé (comprende) entrambi]. Lo Spirito Santo è come fuoco inestinguibile [energia

inesauribile, come luce e calore della Matrice (materia) originaria], non un fuoco che ora arde e poi si spegne [“… Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, termine fisso d’etterno consilio” - Dante, Paradiso]. Poichè lo Spirito Santo attraversa e unisce [coniunctio] “eternità” [Padre] e “parità” [Figlio], in modo che siano una cosa sola [l‟energia (fuoco) della “Madre” (Spirito Santo) comprende e mantiene

unita in sé, la funzione “Padre” e la funzione “Figlio”, vale a dire, sia il pensiero ideativo, sia l‟impulso creativo che lo traduce in immagine, e tutto ciò accade proprio nella “Madre” o matrice (materia)

originaria o Spirito Santo]. Lo Spirito Santo è ciò che fortifica [dà Energia-forza, stabilità] e ciò che vivifica [dà vita-vitalità]. Senza lo Spirito Santo [la Madre, la matrice energetica] l’eternità non sarebbe tale [non potrebbe sussistere in eterno la presenza dell‟Essere–Padre] e senza lo Spirito

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Santo la parità non sarebbe parità [il Figlio non potrebbe svolgere la sua funzione mediatrice]. Lo Spirito Santo è in entrambe [e viceversa] ed è tutt’uno nella divinità, un solo Dio”.

Ricordiamo anche le 308 questioni sottoposte alla Badessa di Bingen dai monaci del monastero di Villers le cui risposte formeranno il trattatello Solutiones trigincta octo quaestionum, sull‟origine e l‟essenza della Creazione, sul rapporto che lega Dio agli uomini, sui concetti di corpo, anima, uomo e angelo. La XXVII domanda, ad esempio, riguarda la natura dell‟armonia che scaturisce dagli elementi. La risposta di Hildegarda è la seguente:

“Dalla corsa infiammata dell’Etere Supremo in seguito alla quale s‟è inarcato il firmamento [lo spazio-curvo, la curvatura spazio-temporale –NDR] risuona giubilante il suono degli elementi, così‟ com‟è dolce sentire la voice dello spirito umano, quando risuona come una sinfonia nella stagione della vita. Poiché, come prestabilito da Dio, qualsiasi elemento ha il proprio suono e tutti insieme sono nuovamente legati in unità come il suono delle corde e della cetra. Però, la musica del cielo non contribuisce all‟armonia degli elementi che è invece accordata con l’uomo, così come il sole, avendo fissa dimora nel firmamento, risplende solo per questo mondo, e non per i cieli dei cieli.

Guiberto di Gembloux, il monaco che giunge a Rupertsberg nel 1177, subentrando alla morte di Volmar (1173) quale segretario di Ildegarda, le scrive prima per avere maggiori informazioni sulla natura delle sue visioni e la risposta che riceve lo entusiasma al punto che farà di tutto per avere il permesso di trasferirsi presso di lei:

“Queste cose non si rivelano ai mie occhi [fisici] e non le odo con le mie orecchie [fisiche], non le percepisco nemmeno con le riflessioni del mio cuore [con la mente], né con l‟ausilio dei cinque sensi. Al contrario, le vedo unicamente nell’anima, gli occhi del mio corpo sono aperti e non accade mai che io cada nell‟incoscienza dell‟estasi [trance], vedo invece nella condizione della veglia, di giorno e di notte. Come il sole, la luna e le stelle si specchiano in acqua, così in essa (la Luce Vivente) [la “Luce Astrale” o akasha] parole discorsi, forze ed alcune delle opere degli uomini, riflettono verso di me una luce improvvisa. Non conosco quello che vedo perchè non sono istruita (indocta) e mi è stato insegnato solo a distinguere le diverse lettere. E quello che scrivo è ciò che vedo e sento nella visione, non aggiungo altro a quello che odo e quello rivelo in un rozzo latino, come sento nella visione. Nella visione infatti non apprendo a scrivere come i filosofi. Nella visione le parole non conservano lo stesso suono di quando vengono pronunciate dalla bocca umana, sono come una fiamma che arde, e una nuvola che si muove nel cielo limpido. Ma non ho riconosciuto l‟aspetto di questa luce, e non riesco a guardare il sole senza proteggermi”. Il re Corrado III di Hohenstaufen (1033-1152, zio di Federico Barbarossa, che fu duca di

Franconia, re d‟Italia (1128-1152), re di Germania e imperatore (1138-1152), verso la fine della sua vita, chiede con accenti accorati le preghiere di Ildegarda per la sua anima e lei lo incoraggia, ma gli invia anche severe parole di ammonimento. Ildegarda ha anche rapporti

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epistolari con Federico, suo nipote, che, alla sua morte, gli succede sul trono imperiale, e che lei incontra di persona nel 1155 presso il castello di Ingelheim. Quando questi oppone due antipapi ad Alessandro III, lo sfida con durissime parole.

Una delle lettere più importanti scritta da Ildegarda è quella che indirizza nel 1178 ai prelati della diocesi di Magonza per chiedere la revoca dell‟interdetto (di cantare, e di partecipare ai riti pubblici) che accetta per sè e per le converse, mentre si rifiuta di disseppellire il nobile defunto scomunicato, il cui corpo ha sepolto ed occultato perché non sia profanato, entro le mura del convento, seguendo in ciò, come sempre, la volontà divina che le si manifesta nelle sue visioni.

Con parole che si fanno sempre più dure ed autorevoli, invita i prelati a considerare il danno che arrecano con le loro decisioni affrettate e non sempre guidate da spirito cristiano. Descrive poi con accenti appassionati il ruolo che il canto e la musica svolgono nell‟opera divina di Redenzione:

“Affinchè (gli uomini) non vivessero in esilio nel ricordo di Adamo, ma assicurassero la memoria della beatitudine celeste e della lode di cui Adamo godeva in Dio insieme agli angeli prima della caduta, e affinchè venissero stimolati a rendere lode a Dio, i profeti istruiti dalla stesso Spirito (Santo), non solo produssero salmi e inni, ma inventarono diversi strumenti musicali per adornare i canti. Tutto ciò anche in considerazione del fatto che sia per la forma che per la particolarità di tali strumenti, che soprattutto per il senso delle parole, gli ascoltatori stimolati dell‟esterno, si ricreavano interiormente col significato dei canti. Imitando questi profeti, alcuni uomini saggi e pieni di zelo hanno ideato a loro volta vari strumenti musicali, mettendo a buon frutto la loro umana abilità, per potere cantare con cuore gioioso in modo di ricordarsi anche così di Adamo che era stato creato dalle dita di Dio, dallo Spirito Santo, e la cui voce prima del peccato originale aveva in sé la dolcezza di tutti gli strumenti musicali nella piena armonia del suono”.

E‟ un‟umanità varia ed eterogenea quella che si rivolge ad Ildegarda, afflitta dalle malattie e dal peccato, in cerca di risposte e di conforto, avida di santità e di segni miracolosi … Le risposte di Ildegarda, per quanto cariche di umanità e di compassione, riproducono il tono severo ed autoritario di chi queste miserie e questi affanni ben conosce e possiede gli strumenti per porvi fine. La volontà di Dio risuona con forza e vigore nelle orecchie (interiori) di Ildegarda, gli altri devono accontentarsi di udirla tramite la mediazione della monaca ed assimilarla quotidianamente da quel miracolo che è la Creazione, come indica loro, di continuo, la veggente …

Il creato al sevizio dell’uomo: le opere medico-naturalistiche (1151-1158) In realtà Ildegarda scrive solo il Liber subtilitatum diversarum naturam creaturarum

(“Libro delle sottigliezze delle diverse nature delle cose create”) che dopo la sua morte viene smembrato in due testi: Liber de simplicis medicine e Liber de composite medicine,

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ulteriormente modificati in: Physica, sulle scienze naturali, e in: Cause et cure (“Le cause e i rimedi”).

Queste due opere in realtà non vengono presentate come frutto della rivelazione, cioè come loro possibile origine divina. Sono pertanto da considerarsi il risultato della conoscenze e dell‟esperienza di Ildegarda; tuttavia la loro tradizione manoscritta è piuttosto tarda, per cui si ritiene possibile delle interpolazioni avutesi nel corso dei secoli, alcune tali da falsarne a tratti il contenuto. Inoltre si tratta di testi con struttura chiaramente enciclopedica, che ben si inseriscono nel ricchissimo filone dell‟enciclopedismo medievale.

Nella Physica (9 libri o capitoli) ogni essere naturale dell‟intero creato è posto in relazione con l‟uomo (per comprendere come può danneggiare o favorire la salute dell‟essere umano e come deve essere usato). E‟ un invito ad indagare il mondo della natura al fine di individuare in essa le tracce dell‟attività creatrice di Dio e della sua volontà salvifica.

Grandissima attenzione è dedicata alle erbe, poi seguono gli elementi, gli alberi, le pietre, i pesci, uccelli, animali selvatici, rettili ed infine i metalli. L‟essere umano è rappresentato come un microcosmo che rispecchia fedelmente la struttura dell‟universo (macrocosmo) per cui può interagire, nel bene e nel male, con tutti gli elementi del creato.

La medesima concezione si ritrova nelle cinque sezioni del Cause et cure. Il corpo merita attenzione e cura, e Ildegarda analizza in questa ottica, tutti i momenti della vita di un essere umano: nascita, crescita, alimentazione, igiene, sessualità, personalità, parto, ciclo mestruale, malattia e morte. Ogni trasformazione biologica del corpo trova un suo corrispettivo nelle trasformazioni che avvengono nella natura. Prendersi cura del proprio corpo, significa dunque prendersi cura di tutto il creato e di ossequiare l‟agire di Dio, il giudice supremo comunque, della guarigione o meno del malato.

I Libri teologici (Scivias, Liber vitae meritorum, Liber divinorum operum) Dalla salute del corpo alla salvezza dell‟anima il passo è breve e le visioni di Ildegarda

descritte nei libri teologici hanno la funzione di indicare all‟umanità la via alla beatitudine. Scivias (“Conosci le vie” - 1141-1151) è dunque la prima delle sue tre opere teologiche

cui sarà affidata la sua fama di mistica e visionaria. E‟ articolata in tre parti, ciascuna costituita da un diverso numero di visioni (6, 7, 13, rispettivamente). Ciascuna visione viene descritta minuziosamente da Ildegarda (da cui scaturiscono le preziose miniature dei codici ildegardiani), quindi vengono riportare le parole esplicative che la voce divina interiore rivolge alla Badessa. I titolo stesso contiene già l‟esortazione a conoscere, a percorrere, a seguire le infinite vie che conducono a Dio, che si rivelano ampie e luminose per quanti accettano senza esitazioni la Parola e l‟autorità di Dio.

Nella prima parte (6 visioni) Ildegarda vede la Luce Vivente e il regno di Dio, l‟origine del male, il peccato originale, e le sue nefaste conseguenze, e le schiere angeliche. La seconda (7 visioni) tratta della Redenzione, iniziando dall‟evento infinito e misterioso

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dell‟Incarnazione, poi con la celebrazione della Trinità e del suo operare, del divenire della Chiesa e del suo contributo alla salvezza dell‟universo creato e dei sacramenti.

La terza parte (13 visioni) ripercorre le vicende dell‟umanità a partire da Adamo fino al momento della Salvezza, la quale è il frutto della storia, vale a dire dell‟Incarnazione, della Passione, della Redenzione e dell‟Ascensione, ma è anche una vicenda individuale, legata al rapporto del singolo con il peccato e le virtù. La tredicesima e ultima visione che fa seguito alla devastante visione che narra della fine del mondo e del Giudizio Universale, contiene quello che è considerato essere il nucleo originario della Symphonia harmoniae celestium revelationum e il primo abbozzo dell‟Ordo virtutum: il creato ha ritrovato il proprio ordine, il male è stato punito e allontanato e resta spazio solo per la gioia e il canto…

Gli altri due libri teologici, per quanto diversi nella struttura e nell‟impostazione, non contengono nulla di nuovo rispetto alle posizioni teologiche espresse nello Scivias. Cambia semmai l‟accento posto nel Liber vite meritorum sul rapporto vizio-virtù, e nel Liber divinorum operum, sul ruolo dell‟uomo, opus Dei, all‟interno del creato. Il primo è redatto tra il 1158 e il 1163 nella forma di un continuo rapporto dialettico fra i vizi, che si presentano in tutta la loro effimera falsità, e le virtù che sono loro contrapposte, le quali smascherano l‟inganno. I temi affrontati sono molteplici: la famiglia, il matrimonio, la sessualità, gli ornamenti esteriori, i beni materiali, il valore della vita terrena, l‟appagamento dei desideri, la realizzazione della propria umanità. Ecco, ad esempio, il dialogo antagonistico tra il vizio del dolore universale e la virtù della gioia celeste:

“Così parla il dolore universale: “Me misero che esisto! Ahimè! Che ne sarà di me? Chi starà al mio fianco, chi mi salverà? Se Dio sapesse di me, non mi coglierebbe un travaglio simile. A nulla mi serve riporre fiducia in Dio. Se anche gioissi delle cose divine ciò non mi gioverebbe comunque per allontanare questo tormento. Certo ho sempre udito i filosofi parlare di tutti i pregi che sono in Dio, ad ogni modo a me Dio non ha mostrato niente di buono, né in grande né in piccolo. Ma se Dio è davvero il mio Dio perché mi nasconde la sua grazia? Se almeno mi mostrasse qualche buona cosa, avrei perlomeno una dimostrazione della sua esistenza. Non so neppure chi sia io stesso. Creato per disgrazia e per disgrazia nato, tiro avanti senza conforto. Oh, a che serve la vita senza gioia? Perché mi trovo sulla terra dove comunque non può esserci per me alcun bene?” “Così risponde la gioia celeste: “Oh quanto sei cieco e stolto! Non sai proprio quel che dici! Dio creò l‟uomo come un essere luminoso, ma a causa della sua infedeltà il serpente l‟ha trascinato in un lago di miseria. Ora alza per un momento lo sguardo al sole, alla luna e alle stelle, contempla la magnificenza della terra rigogliosa e pensa solo a quanti beni Dio ha dato all‟uomo con tutte queste cose, mentre l‟uomo nella sua temerarietà, pecca contro Dio. Tu sei, fondamentalmente, scaltro e perfido, non hai timore reverenziale, al posto della fiducia hai sempre e solo cattivi pensieri, perché non vedi e non riconosci i luoghi in cui Dio semina la salvezza. Chi altri ti dona beni tanto magnifici e stupendi se non Dio solo? Se ti corre incontro il giorno, dici che viene

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notte. Se fuori dalla porta ti aspetta la buona sorte, parli di maledizione. E se tutte le tue faccende vanno bene, affermi che vanno male. Sei un essere di natura infernale. Io, invece, possiedo già qui la dimora celeste perché vedo col giusto sguardo ciò che Dio ha creato, mentre tu parli solo di cose brutte. Io mi prendo teneramente a cuore la fioritura delle rose e ogni verdezza [viriditas], cantando lode a tutte le opere di Dio, mentre tu accumuli solo pene su pene. Ogni tuo agire, infatti, è accompagnato da un animo fondamentalmente triste! In questo somigli agli spiriti infernali che con le loro azioni non fanno altro che negare continuamente Dio. Ma io no! Io piuttosto offro ogni azione a Dio. Per me, anche nella tristezza s‟annida una sorta di gioia e in ogni gioia riposa la buona sorte. Tu vedi solo la parte priva di valore. Orsù, rifletti una buona volta quant‟è folle e cieco quello che dici!”

Il Liber divinorum operum, iniziato nel 1163 e concluso intorno al 1174, nel ms. più antico è intitolato De operatione Dei ed è costituito da 10 visioni ripartite in tre. In esso vengono mirabilmente sintetizzati i concetti teologici, le conoscenze scientifiche, le speculazioni relative al funzionamento della mente umana ed alla struttura del cosmo, già presenti nelle opere precedenti. L‟aspetto cosmologico e quello antropologico (tra le figure-visioni è rappresentato l‟Uomo Macrocosmico, proprio come l‟Adam Kadmon della Qabbalah) sono particolarmente sviluppati e il punto di partenza è l‟attività creatrice di Dio. Nella prima delle quattro visioni della prima parte, Ildegarda vede la splendente immagine del Figlio di Dio [il Logos creatore]:

“Io suprema forza di Fuoco che accese ogni scintilla di vita, da cui nulla uscì di mortale [confronta con il mito di Prometeo], io decido di tutto ciò che è. Al cerchio dell’universo, con le mie ali, cioè volandogli intorno con la mia sapienza, [il Logos, quale Spirito di Sapienza] ho dato il giusto ordine. E di nuovo io, infiammata vita [lo Spirito del Fuoco, l‟essenza luminosa] del divino essere originario, scintillo [illumino, m‟irradio] sulla bellezza dei terreni dei campi [l‟elemento terra], brillo nelle acque [elemento acqua], ardo nel Sole [elemento fuoco], nella luna [anima] e nelle stelle [gli spiriti: elemento aria ed etere (il cielo o firmamento)]. Con un soffio di vento [l‟alito, pnèuma, del Logos quale „Spirito di Vita‟], invisibile vita che dona pienezza [plenitudo, plèroma, la totalità della dimensione divina], tutto trasformo in vita. Sì l’aria [aere, alito, soffio di vento] vive nella forza rigogliosa [viriditas, energia di crescita, sviluppo] e nei fiori [simbolo del „fiorire‟ della vita], le acque scorrono come se fossero vive; anche il sole vive nella Sua luce [il Figlio quale Cristo-Sole Spirituale] e la luna si è ritirata per vivere di nuovo accesa dalla luce del sole [l‟anima che vive la vita nova, illuminata della luce dello Spirito, riflessa in sé]. Anche le stelle [gli spiriti interiori, i Sé] risplendono nella loro luce vivente. Le colonne che reggono la terra intera Io le ho innalzate insieme alle forze dei venti, miti e forti [rigenerazione in armonia della creazione]. Perciò, Io sono la forza di Fuoco che segretamente riposa in tutto questo, tutto arde grazie a me, come il respiro tiene incessantemente in vita l’uomo e come nel fuoco si leva una fiamma accesa. Tutto ciò vive nel proprio essere, in questo non vi è morte, perchè Io sono la vita. Io sono anche la ragione [logos-vita, uno dei modi di essere del Figlio,

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secondo la gnosi] che dispone del soffio del Verbo tonante, da cui ogni creatura venne creata e ogni cosa. Io ho destato il soffio di vita [lo spirito nell‟anima] affinchè nulla fosse prigioniero della mortalità, poiché Io sono la Vita. Ora, se Dio è ragione [logos] come potrebbe non creare le opere dal momento che le fa fiorire nell’essere umano creato a sua immagine e somiglianza e nel quale ha tracciato la misura [ratio] di tutte le creature?

La quinta visione, coincidente con la seconda parte, elabora il tema della trascendenza: nel bene e nel male tutte le cose visibili preludono ad una prospettiva diversa, invisibile e che trascende i limiti spazio-temporali dell‟umana percezione. In ogni oggetto o essere vivente è visibile come un riflesso della luce eterna, ma le insidie del Maligno la possono trasformare in un buio eterno.

La terza ed ultima parte, celebra i segni tangibili della volontà creatrice di Dio, e della sua attiva partecipazione alle vicende umane per attuare il suo progetto salvifico.

La lingua ignota Ildegarda è anche autrice di una delle prime lingue artificiali di cui abbiamo notizie: la Lingua ignota (“Lingua sconosciuta”) da lei utilizzata probabilmente per fini mistici. Si serve di un alfabeto di 23 lettere (come nella Qabbalah ebraica), definite le “ignotae literae”. Ha in parte descritto questa lingua in un‟opera intitolata Lingua ignota per hominem simplicem Hildegardem prolata, della quale ci sono rimasti solo due mm.ss. risalenti al 1200: il codice di Wiesbaden e il manoscritto di Berlino. Il testo, in realtà è un Glossario di 1011 parole in Lingua ignota con la translitterazione per la maggior parte in latino e in tedesco medievale, per lo più nomi, con qualche aggettivo. E‟ opinione comune degli studiosi che la Lingua ignota sia stata concepita come un linguaggio segreto, come la sua “musica inaudita”, delle quali avrebbe avuto conoscenza per “ispirazione divina”.

Le composizioni liturgiche. (Symphonia harmoniae caelestium revelationum. Ordo virtutum)

L‟opera di Ildegarda è imperniata su di un tema, quello della salute nella sua duplice accezione di benessere fisico e di salvezza dell‟anima. Essa è la condizione per cui l‟uomo può aspirare alla beatitudine e all‟armonia. Armonia derivante da un corpo sano e perfettamente inserito nei ritmi e nelle vicende del macrocosmo e questa è l‟armonia che viene perseguita nei libri naturalistici, mentre nei libri teologici è l‟armonia spirituale che viene considerata, e perciò Ildegarda si sofferma insistentemente sul significato e sul ruolo della musica, come espressione di questa armonia. In quanto musica caelestis è piena espressione della gioia degli eletti, i quali si uniscono alle voci ineffabili degli angeli per cantare la lode di Dio. In quanto musica humana è lo strumento attivo tramite il quale evocare nell’uomo la nostalgia [reminescenza] per la sua perduta condizione edenica.

E‟ essenzialmente questo il significato e lo scopo delle opere liturgiche di Ildegarda: celebrare la creazione e stimolare l‟uomo a ben operare.

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“Si dice che tu, trasportata nei cieli, vedi e narri, tramite la scrittura, infinite cose, e che componi canti con una melodia nuova sebbene in questo tu non sia mai stata istruita” (da una Lettera di Oddone di Parigi nel 1148) La Symphonia harmoniae caelestium revelationum (“Sinfonia dell‟armonia delle

rivelazioni celesti”) è una delle opere portate a termine tra il 1151 e il 1158 e raccoglie 77 composizioni liturgiche, ripartite tra antifone, inni, responsori e sequenze. L‟uso liturgico di questi canti è testimoniato in una Lettera da Wiberto di Gembloux, ultimo segretario di Ildegarda:

“(questi canti) composti per la lode di Dio e per la gloria dei santi, vengono recitati pubblicamente all‟interno della Chiesa. Chi ha mai udito qualcosa di simile di una donna?”

I canti sono disposti in un ordine strettamente gerarchico: prima quelli a Dio, che é sommo Creatore, Saggezza infinita, prescentia e Pastore magnanimo. Seguono il folto gruppo di canti in onore di Maria, la cui collocazione al secondo ordine gerarchico indica l‟importanza della Vergine nella gerarchia celeste, in quanto la sua azione precede il dono dello Spirito santo e la fondazione della Chiesa, invertendo quindi la successione laudativa tradizionale di Padre, Spirito Santo, Madre (Maria). Maria è una figura chiave nella teologia mistica di Ildegarda: appare sempre come Madre, la sua verginità ed umiltà vengono costantemente esaltate ed il suo ruolo salvifico è però contrapposto al male causato da Eva.

Dopo Maria, vengono celebrati lo Spirito Santo e la Trinità, quindi le schiere angeliche, i patriarchi e i profeti, gli apostoli e i martiri. Diverse composizioni sono dedicate a Sant‟Orsola e al suo esercito di 11.000 vergini, e poi ancora ad Ecclesia, alle vedove e agli innocenti.

[Il culto di Sant‟Orsola e delle vergini che l‟accompagnarono nel suo viaggio a Roma e condivisero con lei il martorio ad opera degli Unni, ha ricevuto nuovo impulso, grazie alle visioni di Elisabetta di Schonau. Ildegarda è particolarmente colpita da questa figura e ne celebra la verginità, la purezza, l‟umiltà, il carisma e la fermezza, quasi riconosca in queste virtù i tratti del proprio carattere.]

La gerarchia, sia terrena, sia celeste, è voluta da Dio e la Symphonia di Ildegarda è espressione dell‟armonia che può nascere solo dal divino ordine gerarchico, introiettato e rispettato. Ogni ordine di creature, ogni grado d‟essere è chiamato a realizzare pienamente la propria natura, obbedendo alle leggi fisiche ed a quelle, assai più vincolanti, emanate da Dio. Dalla spontanea adesione all‟ordine dell‟universo nasce la Symphonia nella quale il canto di lode che sgorga dall‟anima di ogni creatura si fonde con quello di tutti gli esseri terreni e divini in un inno che mantiene ben distinte per quanto armoniosamente amalgamate le voci in rapporto al loro grado di beatitudine.

La costante esperienza dell‟armonia che regola la natura deve necessariamente esortare l‟uomo a riprodurla anche nel proprio corpo, nel proprio organismo e nella propria anima.

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L‟intera opera di Ildegarda è finalizzata a questo, alla cura dell‟uomo, al suo benessere fisico ed a quello spirituale, al ristabilimento dell‟armonia tra microcosmo e macrocosmo, unica via per il ricongiungimento della Creazione con il Creatore.

Ecco quindi che Ildegarda nelle sue opere principali affronta il tema della salute da prospettive diverse: nello Scivias è la salute spirituale, conseguibile tramite la fede [consapevole], i sacramenti e l‟adesione agli insegnamenti della Chiesa; nel Liber vitae meritorum, la salute-salvezza viene dall‟impostare la propria esistenza secondo i precetti della morale cristiana; nel Liber divinorum operum è esemplificata l‟armonia che deve regnare tra l‟uomo e l‟universo. Alla Physica e al Cause et cure è affidato il compito di rendere edotto l‟uomo circa le malattie dell‟organismo e i relativi rimedi.

Al termine del lungo e faticoso percorso di purificazione dalla malattia e dal male si colloca la Symphonia, le cui melodie dolcissime sono l‟eco della gioia infinita con cui i beati celebrano il progetto magnifico della Creazione e della Redenzione del creato. Un insegnamento di natura musicale ed armonica, perchè la musica [suono armonico] è la verità ultima cui l‟uomo può attingere, il livello più alto di conoscenza e soprattutto di fusione con Dio, di armonia con la sua mente e con la sua volontà.

L‟Ordo Virtutum, in quanto destinato al canto, condivide in parte quanto attribuito qui alla Symphonia. Va ricordato però che si tratta di un dramma, destinato quindi, presumibilmente, alla rappresentazione. E‟, di fatto, uno dei primi drammi liturgici pervenutici, uno tra i rarissimi composti e musicati da figure femminili, un‟opera di alto valore artistico e teologico. L‟eventuale rappresentazione del dramma da parte di Ildegarda e delle sue consorelle in ambito monastico e dunque di fatto limitato, nulla toglie all‟importanza e al valore di questo dramma liturgico, il contenuto del quale, esulando dal contesto prettamente contingente della sua rappresentazione, assume carattere di universalità, di verità divina e di dogma assoluto.

Il periodo nel quale l‟Ordo virtutum prende forma, può essere il decennio compreso tra il 1141 e il 1151, ossia gli anni occorsi per la stesura della sua prima opera, lo Scivias. Poi, è opinione comune che l‟Ordo virtutum debba essere considerato parte integrante della Symphonia e quindi la sua formazione non possa essere disgiunta da quella delle raccolta dei carmina. Il dramma è presente nel Riesencodex, insieme a cinquantasette carmina della Symphonia, nella sua forma definitiva e completa di notazione musicale.

L‟ Ordo virtutum si presenta come un‟opera compatta ed organica in cui si possono individuare alcune situazioni corrispondenti a scene che segnano l‟evolvere dell‟azione, la comparsa o la ricomparsa di alcuni personaggi e, in definitiva, le tappe del faticoso cammino dell‟anima verso la beatitudine.

I primi personaggi in ordine di apparizione sono i Patriarchi ed i Profeti che osservano e commentano l‟avanzare in scena delle Virtù.

Nella prima scena le anime, prigioniere della carne, si lamentano della loro misera condizione. Ad esse risponde Anima che è felice e pregusta le gioie della beatitudine,

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esortata dalle parole delle Virtù: Conoscenza di Dio, la prima a parlare con Anima, poi Umiltà, Amore, Timor di Dio, Obbedienza, Fede, Speranza, Castità, Innocenza, Disprezzo del mondo, Amore Celeste, Disciplina, Verecondia, Misericordia, Vittoria, Temperanza, Pazienza. Ma il peso del peccato originale grava su Anima che perde la sua serenità e, per quanto invochi aiuto e soccorso e per quanto questo sia porto dalle Virtù, si ritrova ben presto preda del Diavolo che è comparso col suo strepito a distoglierla dalla via della salvezza.

Nella seconda scena, in risposta alle beffarde parole del Diavolo che le accusa di non sapere nemmeno chi siano, le Virtù, guidate da Umiltà, si presentano in tutto il fulgore della loro gloria, ed una a una descrivono il loro potere.

La terza scena riprende il dramma di Anima, che riconosciuto il proprio peccato anela a ricongiungersi alle Virtù, senza averne però la forza. E‟ Umiltà, che infine tende la mano alla peccatrice, scatenando così, nella quarta scena, l‟ira del Diavolo. Ma la sua ira è completamente sterile poiché Anima è salva e l‟antico serpente, legato e sconfitto, assiste impotente al trionfo del bene e al tripudio della salvezza.

Un „Anima che da peccatrice si trasforma in penitente e quindi riconquista l‟armonia perduta… questo è il nucleo centrale del dramma. Un ruolo determinante è anche quello delle Virtù nel consigliare, esortare, ammonire ed elogiare l‟anima umana, nel fornirle tutti gli strumenti, le armi necessarie a combattere il Diavolo; costui assume un rilievo particolare nell‟economia del dramma, non limitandosi a corrompere e a lusingare, ma attaccando il dogma stesso dell‟Incarnazione e della Rivelazione, insinuando dubbi sull‟identità e sulla coscienza di sè di personaggi luminosi come le Virtù, rifiutandosi di convincersi che la beatitudine celeste sia assai più remunerativa dell‟abbraccio del mondo, dell‟appagamento della carne.

Un‟analisi solo letteraria o solo musicale o anche solo teologica non consente di cogliere appieno, il significato profondo e il valore intrinseco dell‟Ordo virtutum. E‟ nella rappresentazione che il dramma assume le sue piene dimensioni e che la molteplicità dei livelli interpretativi si fonde in un equilibrio armonico in cui le verità teologiche, la musica e la poesia non sono più disgiungibili dal momento che Ildegarda ha scelto di celebrare con la rappresentazione. L‟opinione più diffusa è che il dramma venga rappresentato in occasione della consacrazione del neo fondato monastero di Rupertsberg o in particolari occasioni, come in quella propedeutica alla liturgia celebrata nel monastero in occasione della consacrazione delle vergini, nel cerimoniale della velatio (che comprende diverse stazioni che paiono collimare con lo svolgimento dell‟Ordo virtutum e con le parole di volta in volta pronunciate dalle Virtù).

Tutte le Virtù, senza eccezioni, sono personificazioni femminili e la loro femminilità viene ripetutamente ribadita e sottolineata anche dal Diavolo, che le accusa di non voler procreare pur essendo state conformate per farlo. Inoltre appare assai curiosa l‟esclusione dei Vizi, in genere contrapposti alle Virtù. In effetti i nomi di molti vizi sono femminili e le loro figure verrebbero assimilate dagli ascoltatori o spettatori, come presenze femminili,

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sminuendo di conseguenza il valore assoluto della femminilità delle Virtù. E‟ un mondo femminile dunque quello raffigurato nell‟Ordo virtutum nel quale le Virtù sono le membra attive del Corpo di Cristo, e il Diavolo, unico essere maschile, accentua la diversità tra i due generi. Anima, d‟altro canto, non cade preda di alcun vizio specifico, solo non riconosce il valore della verginità insita nel corpo donatole da Dio, la veste radiosa che potrebbe indossare: “Io non so cosa fare o dove fuggire. Ahimè, io non posso rendere perfetto l’abito che ho indossato. Davvero me ne vorrei liberare!”

La scelta stessa delle Virtù è guidata da intenti ben precisi. In ordine di apparizione Ildegarda pone Conoscenza di Dio [Gnosi], Umiltà (la Regina delle Virtù), poi Carità, Timore di Dio, Obbedienza, Fede, Speranza, Castità, Innocenza, Disprezzo del mondo, Amore celeste, Disciplina, Verecondia, Misericordia, Vittoria, Temperanza e Pazienza. Si tratta dunque di Virtù da sempre riferite alla componente femminile, ed in modo particolare di Virtù che devono essere il degno corredo di quante si vogliono dedicare alla vita del chiostro.

Di grandissima importanza è il ruolo svolto da Castità che nel dramma celebra con un appassionato discorso la lode della verginità. Quello della verginità è un argomento che affascina Ildegarda al massimo grado, divenendo, specie la verginità di Maria, fonte costante di ispirazione. Nella verginità Ildegarda ravvisa la perfezione della Creazione di Dio, prima che il peccato la corrompesse. In questo modo il dramma, con la celebrazione di questa Virtù, esemplifica il tipo di vita che una monaca dovrebbe seguire e preannuncia, nell‟abbraccio dello Sposo divino, il premio che si otterrà in virtù di questa perseveranza.

Una concezione del mondo spirituale fortemente segnata dall‟elemento femminile, dunque, è quella che trapela dall‟Ordo virtutum, in cui la vergine, la Sposa dell‟Agnello, proprio in virtù della sua purezza, non partecipa alla penitenza del genere umano e soprattutto del sesso femminile. Ildegarda e le sue consorelle si vestono con ricchi abiti, si adornano con pietre preziose e monili, impersonano le stesse Virtù nella messa in scena del dramma, per ricordare così che la loro scelta pone la loro femminilità ad un livello superiore; esse sperimentano l‟abbraccio del Padre nelle nozze mistiche e la condizione di Maria allorquando fu destinata ad essere madre, e sono quindi immuni dal peccato originale che ha condannato le donne a soffrire le pene della procreazione.

Il tema del dramma è la trasformabilità, il miglioramento, l‟innalzamento dell‟Anima, le sue potenzialità di rinuncia al contingente per volgersi all‟incommensurabilità paradisiaca (tema universale). Questo è il significato del dramma, la cui esecuzione resta sì un avvenimento interno alle mura del monastero, celebrato dinnanzi alla sola presenza delle monache, delle vergini da consacrare, del vescovo, del clero chiamato ad officiare e dei parenti, ma non per questo perde il suo valore universale, poichè nel testo e nelle situazioni che lo accompagnano riecheggiano i medesimi principi teologici e morali che improntano tutta l‟opera ildegardiana.

Dell‟ Ordo vitutum presentiamo due letture: l‟inizio del dramma e la scena I; dalla scena II: l‟elogio della Virtù Castità alla verginità e il finale della scena IV in cui la Virtù Castità si identifica con Maria Vergine, dichiarando la sua vittoria sul Diavolo. Si deve tener

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presente tuttavia che nella rappresentazione reale, il testo, in latino, non è parlato (se non nel caso del Diavolo), ma cantato a cappella.

[INTROITO]

PATRIARCHI E PROFETI Chi sono costoro che avanzano come le nubi?

VIRTU‟ Oh santi venerandi, perché vi meravigliate di noi? La Parola di Dio splende luminosa nella forma dell‟Uomo, e per questo noi risplendiamo con Lui, costituendo le membra del Suo bel Corpo.

PATRIARCHI E PROFETI Noi siamo le radici e voi, Virtù, i rami, i frutti dell‟Occhio Vivente. In esso noi fummo solo ombre.

(SCENA I)

LAMENTO DELLE ANIME INCARNATE Ben misere noi siamo! Che cosa abbiamo fatto! Abbandonato abbiamo il nostro cammino, al male ci siamo rivolte! Figlie di Re saremmo state, ma ci gettammo nell‟ombra del peccato. O Sole Vivente, portaci sulle tue spalle nella giusta eredità che perduta abbiamo in Adamo! O Re dei Re, nella tua battaglia noi combattiamo.

ANIMA FELICE O dolce deità, o vita soave, in cui indosserò radiosa veste, riavendo quella che persi nella mia pima apparizione, per te sospiro e tutte le Virtù invoco!

VIRTU‟ O Anima felice, o dolce creatura di Dio, tu che generata fosti nella profonda altezza della Sapienza di Dio, grande è l‟amore (per te).

ANIMA FELICE O che io venga a voi piena di gioia, affinchè mi diate il bacio del vostro Cuore.

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VIRTU‟ Noi dobbiamo combattere al tuo fianco, o Figlia di Re.

ANIMA DEPRESSA CHE SI LAMENTA O dura fatica, o greve fardello che devo portarmi indosso in questa vita, poiché è gran pena combattere contro la mia carne.

VIRTU‟ O Anima, che fosti costituita per volontà di Dio, strumento felice, perchè sei così debole di fronte a colui che Dio ha sgominato nella verginale natura? Unita in noi, tu devi superare il Diavolo.

ANIMA Soccorretemi, aiutatemi a star ritta e stabile!

VIRTU: CONOSCENZA DIVINA [Gnosi] Sii consapevole dell‟abito che indossi, Figlia della Salvezza, sii stabile e mai cadrai.

ANIMA INFELICE Io non so cosa devo fare o dove fuggire. Ahimè, io non posso rendere perfetto l‟abito di cui mi sono vestita. Davvero me ne vorrei liberare.

VIRTU‟ O coscienza infelice, o misera anima, perché nascondi il tuo volto dinnanzi al tuo Creatore?

VIRTU‟: CONOSCENZA DIVINA Tu non conosci, né vedi, né comprendi Colui che ti ha costituita!

ANIMA Dio creò il mondo, ed io non gli reco offesa se voglio goderne.

DIAVOLO GRIDANDO ALL‟ANIMA Sciocca! Sciocca! A che ti giova il duro sforzo? Volgiti al mondo ed esso ti abbraccerà con grande onore.

VIRTU‟ O voce che piangi gran sventura e dolore.

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Ah! Che mirabile vittoria sorse in quell‟anima, nel suo mirabile desiderio di Dio! Eppure in essa si nascose il diletto dei piaceri carnali, quando la volontà non conosceva ancor colpa e il desiderio fuggiva la lascivia umana. Piangi e disperati, innocenza, tu che non perdesti l‟integrità nel nobile tuo pudore e non divorasti avidamente con la gola dell‟antico serpente.

DIAVOLO Che potenza è mai questa, per cui nessuno vale se non Dio? Io invece dico: a chiunque mi voglia seguire e fare la mia volontà io darò qualsiasi cosa. In verità, tu, Umiltà, nulla hai da dare a chi ti segue: voi tutte non sapete chi siete!

VIRTU‟ UMILTA‟ Io con le mie compagne sappiamo molto bene che tu sei l‟antico drago che volle volare al di sopra del Sommo Cielo, ma Dio stesso ti scagliò nell‟abisso. VIRTU‟ Noi, invece, abitiamo in quel Cielo.

(SCENA II) …… …… ……

VIRTU‟: CASTITA‟ O verginità, tu stai nel talamo reale!

O quanto dolcemente ardi nell‟amplesso del Re, quando il Sole ti illumina, e mai affloscia il tuo fiore radioso. O nobile Vergine, mai la scura notte sorprenderà appassito il tuo fiore. …… …… ……

(SCENA IV) …… …… ……

VIRTU‟: CASTITA‟ Nella Mente dell‟Altissimo, o Satana, schiacciai il tuo capo, ed in una virginea forma io compii un dolce miracolo, allorchè il Figlio di Dio venne al mondo; per questo tu sei posto nell‟Abisso con tutte le tue prede. Che ora tutti in cielo si rallegrino, perché la tua brama è stata sconfitta!