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1 6. Lucrezia Borgia (sintesi da: Federica Faitelli, Maria Bellonci, Massimo Grillandi.) Parte Prima “Su Lucrezia Borgia, “ammaliatrice e seducente, perfida e senza scrupoli, avida di piacere, sfrenata avvelenatrice” – così si è accanita la storiografia, facendone ora la personificazione di ogni scandalo, indecenza e seduzione, ora la vittima invece di morbose quanto infamanti calunnie [l‟incesto col padre e/o con i fratelli]. Eppure, nessuno di quanti l‟hanno conosciuta direttamente, ha mai l‟impressione di trovarsi davanti ad un simbolo del “male”. “Ha dolce cera”; “E‟ savia e liberale”; “E‟ tutta umana” affermano quelli più vicino a lei, anche i suoi oppositori. In effetti, poche figure femminili nel Rinascimento sanno suscitare l‟ammirazione unanime di letterati e artisti, erigendola a modello di saggezza, bellezza e virtù, come Lucrezia Borgia. Eppure anche lei è trascinata nel vortice della depravazione che grava attorno alla sua famiglia. Dalla famigerata Lettera a Savelli, alle pagine del Guicciardini, poi del Gibbon e di Victor Hugo con le sue ampollosità retoriche orchestrate da Gaetano Donizetti nell‟omonima opera a lei dedicata, la leggenda nera della Lucrezia “dispensatrice di veleni” mortali, si contrappone alla sua figura storica: quella di una donna entrata suo malgrado nella storia, costretta dal gioco spietato della politica in ruoli che ha saputo interpretare a meraviglia riuscendo senza sforzo a piacere a tutti. Lucrezia è prima contessa Sforza, poi principessa d‟Aragona e ancora duchessa d‟Este, ma prima ancora una Borgia e del suo potentissimo casato condivide i fasti e le tragedie, l‟esaltazione e la condanna. La vita di Lucrezia si intreccia infatti indissolubilmente alla visione politica di suo padre Rodrigo Borgia, prima cardinale, poi salito al soglio pontificio come Alessandro VI e verso il quale Lucrezia nutrirà sempre un amore e un‟ammirazione sconfinati e, ancor più si intreccia, con la parabola di suo fratello Cesare, con il quale ha un profondissimo legame, tanto nell‟odio quanto nell‟amore. Sullo sfondo di un Italia frammentata in orgogliosi Principati (siamo nell‟epoca delle Signorie, succedute ai Comuni medievali) sui cui si riversano le mire contrastanti di Francesi e di Spagnoli la Saga dei Borgia è una complicata vicenda di costruzione tenace del potere, condotta attraverso un‟oculata quanto spregiudicata scelta di alleanze politiche e di unioni dinastiche. E Lucrezia, sebbene poco più che bambina è, da subito, la più preziosa pedina di questo gioco…”

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6. Lucrezia Borgia (sintesi da: Federica Faitelli, Maria Bellonci, Massimo Grillandi.) Parte Prima

“Su Lucrezia Borgia, “ammaliatrice e seducente, perfida e senza scrupoli, avida di piacere, sfrenata avvelenatrice” – così si è accanita la storiografia, facendone ora la personificazione di ogni scandalo, indecenza e seduzione, ora la vittima invece di morbose quanto infamanti calunnie [l‟incesto col padre e/o con i fratelli].

Eppure, nessuno di quanti l‟hanno conosciuta direttamente, ha mai l‟impressione di trovarsi davanti ad un simbolo del “male”. “Ha dolce cera”; “E‟ savia e liberale”; “E‟ tutta umana” affermano quelli più vicino a lei, anche i suoi oppositori. In effetti, poche figure femminili nel Rinascimento sanno suscitare l‟ammirazione unanime di letterati e artisti, erigendola a modello di saggezza, bellezza e virtù, come Lucrezia Borgia. Eppure anche lei è trascinata nel vortice della depravazione che grava attorno alla sua famiglia. Dalla famigerata Lettera a Savelli, alle pagine del Guicciardini, poi del Gibbon e di Victor Hugo con le sue ampollosità retoriche orchestrate da Gaetano Donizetti nell‟omonima opera a lei dedicata, la leggenda nera della Lucrezia “dispensatrice di veleni” mortali, si contrappone alla sua figura storica: quella di una donna entrata suo malgrado nella storia, costretta dal gioco spietato della politica in ruoli che ha saputo interpretare a meraviglia riuscendo senza sforzo a piacere a tutti.

Lucrezia è prima contessa Sforza, poi principessa d‟Aragona e ancora duchessa d‟Este, ma prima ancora una Borgia e del suo potentissimo casato condivide i fasti e le tragedie, l‟esaltazione e la condanna. La vita di Lucrezia si intreccia infatti indissolubilmente alla visione politica di suo padre Rodrigo Borgia, prima cardinale, poi salito al soglio pontificio come Alessandro VI e verso il quale Lucrezia nutrirà sempre un amore e un‟ammirazione sconfinati e, ancor più si intreccia, con la parabola di suo fratello Cesare, con il quale ha un profondissimo legame, tanto nell‟odio quanto nell‟amore.

Sullo sfondo di un Italia frammentata in orgogliosi Principati (siamo nell‟epoca delle Signorie, succedute ai Comuni medievali) sui cui si riversano le mire contrastanti di Francesi e di Spagnoli la Saga dei Borgia è una complicata vicenda di costruzione tenace del potere, condotta attraverso un‟oculata quanto spregiudicata scelta di alleanze politiche e di unioni dinastiche. E Lucrezia, sebbene poco più che bambina è, da subito, la più preziosa pedina di questo gioco…”

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“Nessuno fra i nostri contemporanei che si sono occupati di Lucrezia Borgia è stato paziente e perspicace come Maria Bellonci nelle ricerche storiche d‟archivio e nessuno come lei ha saputo far diventare il documento conoscenza interiore. Maria Bellonci infatti inserisce nella nostra realtà vivente la presenza della famiglia Borgia e soprattutto la presenza di Lucrezia: luminosa e a un tempo oscura, di malinconie indecifrabili e di un potente magnetismo vitale; creatura che rimane sempre, tra le più cupe tragedie del suo ambiente del tardo Quattrocento, isolata da esse, in una solitudine ancorata al centro della propria esistenza. Maria Bellonci capovolge la tradizione romantica [alla Victor Hugo] del personaggio storico di Lucrezia Borgia realizzando una percezione del tutto attuale di questa figura di donna in cui si intrecciano i destini personali degli uomini e raffigurandone la realtà storica quale è nella sua umanità vera”.

“Di fatto Lucrezia si trova ad affrontare e subire (senza implicazione di propria volontà) l‟impositiva magnificente onnipotenza di suo padre papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia) e la terribile determinazione politica del fratello Cesare, ed anche se in ultimo abbandona la famiglia per il porto sicuro di Ferrara, non cessa mai di amarla questa famiglia terribile e splendida ad un tempo, con la corrusca veemenza del suo sangue spagnolo, catalano, borgiano.

Al contrario della leggenda [invero molto negativa su di lei] Lucrezia non è una donna dai molti indiscriminati amori, ma una donna che così traduce la vita:

“Io penso che se morissi e con mio danno finissi di sperare sì grande amore morrebbe e tutto il mondo finirebbe di amare…” come scrive al suo amato poeta Pietro Bembo [futuro Cardinale], ricopiando alcune

strofe dal Canzoniere spagnolo di Lopez de Estugniga. Lucrezia ha avuto il coraggio dell‟istinto di procedere da sola in contrasto con quel suo

tempo in cui valevano solo gli ideali del potere e della gloria”

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Preludio oscuro Di notte, fra il 25 e il 26 luglio 1492 [poco più di due mesi prima che Cristobal Coluna –

Cristoforo Colombo – sbarchi a San Salvador, ignaro d‟aver scoperto un Nuovo Mondo] muore a Roma papa Innocenzo VIII Cibo, genovese. Su di lui si sono abbattuti negli anni biasimo, ironia e disprezzo degli uomini di governo, per la sua abbandonata debolezza o cedevolezza che dir si voglia, nei confronti di chi sapeva imporglisi anche solo col magnetismo della vicinanza e della risolutezza. Fra gli altri il savonese Giuliano Della Rovere, cardinale di San Pietro in Vincoli che, di fatto, ha “governato” il papa.

Tuttavia il pontificato di papa Cibo ha segnato giorni conclusivi per la storia della cristianità romana: il 2 gennaio 1492 finisce la potenza degli Arabi in Spagna che dura da ben otto secoli, distrutta a Granada dalle truppe cattoliche di Ferdinando di Aragona e di Isabella di Castiglia. Innocenzo VIII ha anche annunciato una crociata contro gli Infedeli, ma neppure la comincia, tenendo però in ostaggio, rinchiuso in Vaticano, il giovane e ricco principe turco Djem, fratello del Sultano Bajazet, fatto prigioniero e cedutogli dal Generale Cavaliere di Rodi, Pietro d‟Aubusson. [Questo principe frequenta assiduamente, fungendo da „modello‟ e come compagno di avventure, Juan Borgia, il terzogenito figlio del Cardinale Rodrigo, futuro papa].

Arginato il pericolo orientale con la presa di Granada e l‟ostaggio turco, sopravvengono però in Italia nuovi eventi che annunciano un prossimo sovvertimento delle cose: i disordini nelle Marche e nell‟Umbria, nelle faziose Romagne, gli intrighi fiorentini dei Medici successori di Lorenzo il Magnifico (morto proprio nel 1492), le infidatezze di Venezia, le ambizioni di Milano e, soprattutto, le prepotenze, tortuosità e crudeltà di Ferrante d‟Aragona re di Napoli.

Tutto ciò angustia gli ultimi giorni di Innocenzo VIII cui Frate Egidio da Viterbo ha rimproverato di avere addirittura ostentato il nepotismo, arrivando a celebrare nel Palazzo

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Apostolico tutte le nozze dei suoi avidissimi e predaci figli (i due più celebri, su di un numero maggiore di 10: Teodorina, fatta maritare a Luigi d‟Aragona e Franceschetto fatto sposare a Maddalena figlia di Lorenzo de‟ Medici) ricoprendoli di beni, di favori e gratificandoli di fastose cerimonie a cui assiste indirettamente tutto il popolo romano.

Già poco prima della morte di papa Cibo, le rivalità belluine che si sono maturate in quegli anni tra i battaglieri cardinali per la successione al soglio pontificio, arrivano a farsi sentire fino dal morente. Tra il Vice Cancelliere della Chiesa, lo spagnolo Rodrigo Borgia (il futuro papa e il padre di Lucrezia) che chiede che il papa morente consegni Castel Sant‟Angelo al Collegio cardinalizio e Giuliano Della Rovere che ammonisce il papa di non consegnare al Borgia il Castello perché ciò avrebbe voluto dire consegnare all‟allora potenza maggiore del Collegio, “Roma e il Papato”, corrono parolacce roventi: “Si dissero marrani e mori bianchi” secondo quanto riferisce Antonello da Salerno al Marchese Gonzaga. Vince il Della Rovere e Castel Sant‟Angelo rimane al castellano che consegnerà la fortezza solo al nuovo pontefice.

IL 26 luglio muore Innocenzo VIII e si apre la successione al papato. La situazione in Italia è molto difficoltosa: piccoli Stati e Signorie si dividono la terra,

tenendosi tra di loro in una specie di pace forzosa, rotta e inquinata di continuo da guerriglia d‟armi e guerriglia diplomatica. Inoltre, verso gli ultimi anni del Quattrocento, la minaccia delle invasioni straniere sembra premere non solo dall‟Oriente, ma anche dal Nord Europa soprattutto dalla Francia. Qui Luigi XI che aveva pacificato la Francia in un regno fortissimo, non fa mistero delle sue pretese sul regno di Napoli (lo considera usurpato dagli Aragonesi alla Casà d‟Angiò) e, anche se meno palesemente, sul ducato di Milano, quale eredità di Valentina Visconti sposata ad un Orleans. Carlo VIII, successore di Luigi XI, cerca di influire sul Conclave per avere favorevole ai suoi desideri di conquista napoletana, il Cardinale Borgia e si appoggia al più forte nemico di Napoli, lo zio, tutore e faccendiere del giovane duca di Milano, Ludovico Sforza detto “il Moro”, ricco, presuntuoso, intemerato, la cui mano si fa sentire su tutti gli affari di stato della penisola. In Vaticano s‟è accampato ai suoi ordini suo fratello Ascanio Maria, cardinale, intelligente e politicamente ambiziosissimo.

Con il cardinale Ascanio Sforza, si sono uniti in un partito unico, tutti i nemici del re di Napoli Ferrante d‟Aragona alleato invece con Giuliano Della Rovere e i suoi seguaci. La fatale discordia tra Napoli e Milano che aprirà la via alle invasioni straniere e che nessuna alleanza matrimoniale, nessuna opera pacificativa ha saputo comporre, sta per risolversi in una lotta che rovinerà libertà e indipendenza degli stati italiani.

I due partiti, Milano e Napoli, radunano perciò il grosso dei cardinali attorno ai loro capi: Ascanio Sforza e Giuliano Della Rovere, grandi elettori alla fine, rispettivamente, di Rodrigo Borgia, spagnolo e Giorgio Costa, portoghese.

All‟alba dell‟11 agosto 1492 i romani che in numero assai scarso data l‟ora sono in piazza San Pietro vedono cadere i mattoni della finestra murata (a chiusura del Conclave)

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e sentono una voce che annuncia cum gaudium magnum l‟elezione del Vicecancelliere Rodrigo Borgia al trono pontificio: si chiamerà Alessandro VI.

[Al quarto scrutinio ha l‟unanimità dei voti… voti conquistati in larga parte in peccato

di simonia, con doni doviziosi alla maggior parte dei cardinali, al punto che il banchiere depositario dei Borgia sta per fallire (mille carichi d‟argento condotti dai muli dalla casa di Rodrigo a quella di Ascanio Sforza, come descritto dall‟Infessura… forse esagera? Chissà…). Il traffico simoniaco come fatto morale concorda in tutto con i precedenti di Rodrigo Borgia. “Il nostro animoso Pontefice”, scrive poco dopo l‟elezione del 31 agosto Gianandrea Boccaccio corrispondente del duca di Ferrara, “già si dimostra quello che è e che è sempre stato…”.]

[Tutte le corti cristiane, a malincuore o no, hanno mandato ambasciatori a prestare

giuramento di fedeltà e d‟obbedienza al nuovo pontefice Alessandro VI, papa Rodrigo Borgia: ci sono a Roma, cortei, processioni, archi di trionfo istoriati con distici latini, opera degli ingegni dell‟Accademia romana, grandi funzioni in Laterano e San Pietro, cerimonie affollatissime, con discorsi. Oltre le feste del Papa ci sono, non meno ricche, le feste dei cardinali, prime fra tutte quelle del cardinale Ascanio Sforza che si lascia volentieri chiamare “il vicepapa” e corteggiare di conseguenza. Perfino il cardinale Della Rovere volge a suo profitto l‟occasione di fare feste e, ovviamente, arrivando a Roma gli ambasciatori del re di Napoli Ferrante, fa rappresentare con gran lusso la commedia L‟Anfitrione di Plauto. Giuramenti, sottomissioni e discorsi forbiti sono accompagnati sempre da doni doviziosi. Ad esempio: la lontanissima Svezia manda cavalli di razza e pellicce le quali serviranno probabilmente per foderare i mantelli di broccato di Lucrezia e di Giulia Farnese, la giovane „favorita‟ del papa.

Tuttavia i capi di governo e il popolo temono, memori dell‟invasione spagnola al tempo di Callisto III, il nepotismo del nuovo pontefice e sorvegliano perciò la sua vita privata. Di fatto, a schiere i Borgia invadono il Vaticano: quelli che sono a Roma e in Italia arrivano per primi, seguiti da quelli di Spagna, uomini, donne, bambini, famiglie intere, gente tenace e avida di quella fortuna che l‟altro papato già aveva portato alla casa: un piccolo popolo che avvolge attorno al suo capo Rodrigo Borgia le spire lente della parentela.]

Alessandro VI va svelto: già subito dopo la sua elezione trasferisce il suo

arcivescovado di Valencia al figlio Cesare e il 31 agosto, in un Concistoro segreto nomina cardinale suo nipote, l‟arcivescovo di Monreale, Giovanni Borgia e per mantenere il consenso cardinalizio fa piovere sui cardinali elettori i benefici borgiani. [Il nuovo cardinale Giovanni Borgia alloggia nel Palazzo Apostolico per potere dare dunque, in qualsiasi occorrenza, “una mano al papa” zio].

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Dopo due mesi, un altro Borgia prende stanza in Vaticano: Rodrigo, cugino di Alessandro VI, chiamato al posto fino allora tenuto da Domenico Doria, di Capitano della Guardia di Palazzo.

Tanti Borgia debbono far argine alla potenza crescente del cardinale Ascanio Sforza e perciò Giuliano Della Rovere che se n‟è accorto per primo, ha a suo tempo caldeggiato l‟elezione cardinalizia di Giovanni Borgia. Anche Ascanio Sforza però abita in Vaticano presso il papa sorvegliandolo da vicino… e arriverà addirittura a cercare di legare la giovanissima Lucrezia al partito degli Sforza, in funzione anti aragonese e perciò anti re di Napoli.

La famiglia Borgia (de Borja) è originaria di Jàtiva presso Valencia in Ispagna, piccola città abitata da gente di sangue misto spagnolo ed arabo; sangue pesante, ricco, possente nella voluttà. I Borgia vengono da antica stirpe del luogo e hanno dato nei secoli uomini di guerra e di governo: sono dei grossi personaggi provinciali assai stimati nelle corti di Castiglia e di Aragona, attivi e vivaci, legati tra di loro in una tribù famigliare. Si sposano spesso tra parenti, quando non s‟imparentano nobilmente, per dare splendore al proprio nome, come hanno fatto aprendo la loro Casa a Sibilla Doms di sangue d‟Aragona.

La fortuna più vasta dei Borgia comunque, comincia solo con Alonso Borgia, papa Callisto III, zio di Rodrigo,

[Alonso Borgia s‟è dato alla carriera ecclesiastica per vocazione (ultimo di quattro sorelle). Viene infatti assunto come segretario esperto di diritto canonico ed ecclesiastico dal Re Alfonso d‟Aragona e viene inviato come ambasciatore a papa Martino V, cui rende molti servigi tra i quali quello di indurre l‟antipapa Clemente VIII a rinunciare alla dignità occupata per cui ha come riconoscimento il vescovado di Valencia (che diviene di fatto un feudo ereditario borgiano). Meriti e costumi gli valgono perciò la dignità cardinalizia e finalmente l‟8 aprile 1455 a 77 anni, gottoso, ma non stanco di brigare tra lotte cupidigie, arriva al trono pontificio quasi inaspettatamente e prende il nome di Callisto III.

Questo buon sacerdote ma privo di interessi culturali (letterari ed artistici) è considerato barbaro dagli umanisti italiani che lo accusano, a ragione, di aver fatto togliere oro e argento dai codici miniati del Vaticano per servirsene come metallo di moneta nella crociata contro gli Infedeli, per l‟urgenza, sensibilissima in quel tempo, di una guerra contro la Turchia. La scimitarra del Turco e l‟amore della famiglia sono stati i pensieri dominanti della sua vita. Riguardo alla famiglia, come il futuro Innocenzo III, l‟attrazione per il nepotismo è

dominante in lui. Non ha figli, se non forse quel Francesco Borgia più tardi arcivescovo di

Cosenza, ma sorelle, nipoti, cugini, parenti di ogni grado, che invadono Roma come terra

di saccheggio, tra l‟odio del popolo. Fra i grandi, i nipoti Pedro Luis e Rodrigo, figli di una

sorella di Callisto, Isabella, sposa di un Jofrè Borgia e quindi Rodrigo è due volte Borgia (per

via materna e paterna). Rodrigo nasce nel 1431 a Jativa e si trasferisce in Italia nel 1456, ove

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si laurea in diritto ecclesiastico a Bologna. Nel 1456 viene eletto cardinale diacono e nel

1457 a soli 26 anni Commissario delle truppe pontificie in Italia. Un anno dopo diviene

Vescovo di Valencia (la curia che è già stata di suo zio Alonso) e Vicecancelliere della

Chiesa di Roma. Uno dei prelati più vicini al pontefice, in quanto redattore delle “bolle”

papali. Rodrigo manterrà questa carica per 35 anni, sotto 5 diversi pontefici che ne lodano

tutti le doti politiche ancor più esaltate dalla rapidità della sua carriera]

Rodrigo Borgia, cardinale a 25 ani con la protezione dello zio papa, salendo al posto e al titolo di Vicecancelliere della Chiesa è come se salisse a “un altro papato”. Rodigo: un prelato sontuoso, eloquente, amabilissimo, il solo della famiglia che riesce a vivere con suo vantaggio senza essere odiato, come invece suo fratello Pedro Luis che tra i molteplici uffici riuniva quello di Capitano Generale della Chiesa e Prefetto di Roma, detestato comunque da tutti. Il furore e l‟odio contro di costui crescono e a ragione.

Quando il papa Callisto III si ammala ed entra in agonia, nella città si levano i primi tumulti. Pedro Luis pensa di dover rendere i conti, per quanto gli stia vicino Rodrigo. Ma il Capitano Generale della Chiesa, il Prefetto di Roma, fugge, assistito e protetto da Rodrigo; inseguito dagli Orsini, abbandonato dai suoi stessi soldati, Pedro Luis Borgia si chiude nella Rocca di Civitavecchia tra gente fida, aspettando il momento di tornare a Roma. Là, il 26 settembre 1458, una oscura morte se lo porta con sé.

Rodrigo invece, tranquillo ed animoso in mezzo al tumulto popolare si reca in San Pietro a pregare per lo zio papa morente, protetto dalla porpora cardinalizia, ma soprattutto dal suo prestigio. Lascia che saccheggino il suo palazzo così da calmare gli spiriti più turbolenti, mentre vengono uccisi e perseguitati gli amici italiani dei Borgia, perfino i loro soldati mercenari. Quando ormai papa Callisto III, Alonso Borgia, sta per esalare l‟ultimo respiro viene abbandonato da tutti. Solo Rodrigo rimane ad assistere al trapasso solitario del vecchio zio pontefice.

Il papa successivo, Pio II, Enea Silvio Piccolomini, artista e razionale, l‟elegante umanista di Corsignano, ha buone ragioni di gratitudine per favorire la casa Borgia, tra le quali il voto decisivo di Rodrigo per la sua elezione al papato: Rodrigo Borgia “… il più carnale homo”. Eppure, proprio a quel tempo e di mani del pontefice toscano, c‟è uno di quei documenti che parlano più chiaro della vita di Rodrigo: la Lettera, in latino fluido ed elegante, di ammonizione, che nel giugno 1460, Pio II gli manda a Siena da Bagni di Petriola:

“Abbiamo udito che nei giorni or sono parecchie donne senesi si sono radunate

nei giardini di Giovanni Bichi e che tu, Rodrigo, poco curando la tua dignità, sei stato con esse dall‟una alle sei del pomeriggio, avendo per compagno un cardinale, il quale se non per il decoro dell‟apostolica sede, almeno per l‟età avrebbe dovuto tener a mente i suoi doveri. Ci hanno riferito che si ballò in modo poco onesto; nessun allettamento amoroso è mancato e tu ti sei condotto come un giovane secolare. La decenza ci vieta di precisare ciò che accadde, cose delle quali il solo nome è

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sconveniente alla tua dignità: ai mariti, padri, fratelli e altri congiunti che avevano accompagnato le giovani donne fu vietato di entrare perché voi poteste essere più liberi nei divertimenti che voi soli con pochi famigliari presenziaste ordinando e dividendo(vi) le donne. Si dice che a Siena non si parli di altro e che tutti ridono della tua leggerezza… Se il corteggiare donne, mandar loro frutta a quella che prediligi, vini delicati, tutto il giorno essere spettatore di ogni genere di divertimenti, e infine allontanare i mariti perchè ti sia possibile prenderti ogni libertà, se tutte queste cose siano tali che si addicano alla tua dignità, lasciamo giudicare a te stesso. Per cagion tua siamo biasimati e biasimata è la memoria di tuo zio Callisto per averti affidato tanti incarichi ed oneri… Rammentati la tua dignità e non voler riscuotere tra i giovani e le fanciulle fama di uomo galante…”.

“Qui a Bagni dove sono molti ecclesiastici e molti secolari tu sei diventato la favola di tutti”.

A conferma, l‟oratore mantovano Bartolomeo Bonatto manda una lettera da Siena al

Marchesi di Mantova nello stesso luglio 1460, narrando la storia della scandalosa festa, che è un battesimo! Fa il nome di quell‟attempato compagno dei piaceri borgiani, così severamente censurati da Pio II. E‟ questi monsignor di Rohan, il sessantenne ricchissimo e mondanissimo cardinale d‟Estauteville, che è stato rivale di Pio II nel Conclave del 1458. Allora, per complottare a favore del francese (libertino) alcuni cardinali s‟erano riuniti nelle latrine, luogo, che osserva poi lo stesso Pio II, sarebbe stato adattissimo a un pontefice di tal genere!

Buon cronista, svelto ed attento il Bonatto dice: “Altro non mi accade di scrivere a V. Signoria se non che essendosi oggi fatto

qui un battesimo… ad un gentiluomo di questa terra, al quale sono intervenuti compari Monsignor di Rohan e il Vicecancelliere (Rodrigo Borgia): invitati ad un orto del compare (ivi) si condussero, e lì fu portata la figliuccia ed eravi tutto quello che di buono ha questa terra, ed è stata una bella festa ma non vi è entrato nessuno che non porti chierico… Un senese piacevole che non poteva entrare, fatta ogni esperienza a cerchio, disse questa parola: „Per Dio, se quelli che nasceranno fino ad un anno venissero al mondo coi panni dei padri, sarebbero stati tutti preti e cardinali‟.

[In questo ambiente così festoso “della città nativa di Santa Caterina”, Rodrigo Borgia prova con le cose sensibili corrispondenze di simpatia vitale che, anche se non discende in profondità, muove a una calda maturazione i sensi e l‟anima. I suoi felici trent‟anni, a dire dell‟umanista Gaspare da Verano, “attiravano le donne come le api col nettare” o “come il ferro la calamita” e lo porta a farsi un codice delle regole di galanteria che significano meglio la carnalità dei sui appetiti: che cos‟e infatti, l‟invio di „frutta rare e di vini delicati‟ alle donne che gli piacciono se non il modo istintivo di uomini sensuali di partecipare anche fisicamente alla vita della creatura che li innamora?]

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La Lettera di Pio II ha colto nel giusto… ma Rodrigo risponde subito con argomenti

giustificatori tanto accorti che dispone il Pontefice a minor severità e, in fondo, a perdonarlo e ad assicurarlo che fino a che avrebbe agito bene gli sarebbe stato padre e protettore.

[Rodrigo comunque, per mostrarsi pentito, va a confinarsi nelle solitudini di

Corsignano ove fa mostra di castigarsi, guidando tra boschi, colline e i monti dell‟Appennino toscano strenue battute di caccia, per le quali i Marchesi di Mantova suoi amici, gli mandano bracchi e sparvieri addestrati…]

Rodrigo Borgia sale dunque al trono pontificio con la maestria e la sicurezza degli

eletti della Fortuna, toccando appena quei sessant‟anni, nella sua piena maturità, dunque. [Intelligente negli affari di Stato, padrone delle cose ecclesiastiche e giuridiche, rapido

e sicuro nell‟intuito politico, pur non essendo un oratore alla Cicerone, esibisce un latino o un italiano o uno spagnolo, vigoroso ed elegante, bello per varietà d‟accenti, persuasivo per i toni personali di verità. Nell‟apparire e nell‟incedere cerca e mostra effetti da teatro, quasi istrionaggio, e sempre genialmente con dignità e imponenza che porpora e gemme ridono stando su di lui, come sul luogo naturale. La sua bellezza [non forse quella che si può attribuire ad un uomo dei nostri tempi] si manifesta soprattutto in una espressione di virilità, luminosa ed insolente a un tempo, che splende in ogni suo moto, erompe dalla labbra piene e si assomma, concludendosi, nell‟ampia curva del naso. A sessant‟anni ama ancora le donne in modo potente e schietto e i suoi figli li segue con passione, si cerca e si ritrova in loro quanto più belli e vitali, li vede fiorire nel compiacimento di tutto il suo essere che farà dire a contemporanei: “mai più si vide carnale homo”]

La famiglia di Alessandro VI Borgia.

Nel 1492, il figlio primogenito di Rodrigo, per il quale il padre ha fatto creare in Ispagna il ducato di Gandia e che si è chiamato Pedro Luis, come lo zio, è morto ed è morta anche la figlia Jeronìma entrata sposa nella nobile casa dei Cesarini. Isabella, un'altra figlia, vive tranquilla sposata al nobile romano Pietro Matuzzi. Questi tre figli sono nati da tre donne sconosciute alla storia, ma i beniamini, coloro che esaltano i pensieri di Alessandro VI sono i quattro giovinetti, Cesare, Juan, Lucrezia e Jofrè. Vannozza Cattanei è la loro madre certa, la donna più a lungo amata e sempre protetta da Rodrigo Borgia; vive nell‟ombra e in apparenza non ha nessuna influenza diretta sul suo gran protettore: ha amato, è stata amata.

Nel 1492 Cesare è sui diciott‟anni, veste già abito ecclesiastico (nella mente del padre avrebbe dovuto diventare il terzo papa Borgia); Juan ha sedici anni e ha ereditato il ducato di Gandia dal fratello Pedro Louis; è destinato alle armi. Lucrezia dodicenne, viene

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confidata all‟educazione di una nipote del Papa (forse uno dei suoi altri amori) Adriana Mila Orsini; al piccolo Jofrè non si sa ancora cosa porterà l‟avvenire, mentre i suoi undici anni sostengono titolo e rendite di canonico e arcidiacono di Valencia.

La madre di Lucrezia

Vannozza Cattanei che la lunga passione del cardinale Borgia ha allietato di molte gioie e di una buona agiatezza, conforto agli anni non più giovanili, vede spesso i suoi figli, ma non vive con loro: la sua vita è regolata da obblighi sacrali di convenienza e dignità; ha sempre abitato in casa di sua proprietà ed è stata regolarmente maritata prima con Domenico d‟Arignano “Ufficiale della Chiesa” e poi con un milanese, Giorgio Della Croce, sposato da lei intorno al 1480. Con questo marito, il quale le ha dato anche un figlio, Ottaviano, è vissuta in una casa, una buona casa, vicina però a quella del cardinale Borgia. Qui Vannozza abita alcuni anni, ma morto il marito e, poco dopo, il figlio Ottaviano, si rimarita subito e va ad abitare in piazza Bianco nel rione Arenula, iniziando una nuova vita di sposa presso l‟ultimo eletto, il mantovano Carlo Casale venuto di corte cardinalizia, una piccola celebrità regionale tra un gruppetto di amici letterati tra i quali il Poliziano che gli dedica il suo silvertese Orfeo. Doni di nozze di papa Borgia che accompagnano questo terzo matrimonio di Vannozza sono una dote di 10000 ducati d‟oro e una carica per lo sposo alla corte pontificia di cui egli è ben contento e di cui si fa forte nei suoi rapporti con gli stessi marchesi di Mantova.

[Giovannozza (Vannozza), nasce nel 1442 ed è, molto probabilmente, di famiglia

bresciana. Sua madre, una certa Menica, in un documento del 1489, dice di essere in tarda età e vedova di Jacopo pittore e cugina del figlio del Maestro Antonio da Brescia, „marmoraio‟ che lavora in Palazzo Venezia fregiando alla lombarda i marmi per il palazzo e i giardini di Paolo II. Una famiglia di artisti, seppur modesti, ma di una certa dignità. Un figlio di Antonio, Giovan Battista diviene canonico di Santa Maria in via Lata. Jacopo e Antonio da Brescia, appartengono a quel nutrito nucleo di lombardi, scultori, ingegneri, capomastri, marmorari e decoratori, scesi dal nord a lavorare nei palazzi e nelle chiese della nuova città papale. Vannozza forse nasce a Roma, tuttavia alle sue origini deve il modo realistico di accettare le cose proprio delle donne lombarde, ma arioso e senza debolezze. Molto bella: alta e “in carne” capelli neri e fluidi, ovale perfetto, occhi scuri e ardenti, temperamento intraprendente, diviene l‟amante del Cardinale Rodrigo Borgia, poi papa Alessandro VI. Dalla loro venticinquennale relazione nasceranno sicuramente 4 figli: Cesare, Giovanni (Juan), Lucrezia e Goffredo (Jofrè), tutti legittimati da Rodrigo e allevati dalla stessa Vannozza tranne la piccola Lucrezia che le viene sottratta dal padre per essere affidata alle cure di una sua nipote, Adriana Mila, sposata con Ludovico Orsini, nel lussuoso palazzo di Martiniello, attiguo al Vaticano. Vannozza cura personalmente con abilità e sicurezza, la gestione delle locande, degli alberghi e delle botteghe di sua proprietà, favorita anche, oltre che dalle sue indubbie qualità, dalla benevolenza e

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sollecitudine del papa, al quale sovente si rivolge per avere l‟esenzione dalle gabelle sulle merci alimentari che acquisterà per le sue locande: quelle della “Vacca” e del “Leone” in Campo dei Fiori e quelle della “Corona” e della “Spada” che si trovano in Via del Pellegrino.

Vannozza vive appartata in un palazzo poco distante dal Vaticano e non compare quasi mai sulla scena della vita mondana e delle complicate vicende dei Borgia. Le si attribuiscono ben tre mariti di seguito, quale copertura della sua relazione con Rodrigo Borgia. Si conoscono poche notizie ufficiali di Vannozza: una di queste la vede accanto alla figlia Lucrezia, lei vestita di broccato verde, Lucrezia di velluto rosso scuro ornato di gemme, durante il Giubileo del 1500 in un giro a cavallo, per la visita delle Basiliche romane, seguite da un corteo di 100 donne tutte a cavallo, tra le quali spiccano la bella Giulia Farnese (la „favorita‟ del papa) ed Elisabetta Gonzaga. Lo spettacolo di questa processione è così suggestivo che se ne parlerà a Roma e nei paesi più lontani per molto tempo.

E‟ più frequente tuttavia, incontrare Vannozza, accompagnata dai suoi servitori, mentre contratta, con grance abilità, il prezzo del pesce nella pescheria del Portico d‟Ottavia, quello della carne nel Foro Boario, oppure, il sabato, quello della frutta e della verdura nel mercato vicino alla Madonna dei Monti. Nelle botteghe del Ghetto ebraico, Vannozza acquista stoffe per abiti, per grembiuli e per tende. Si parla ancora di Vannozza, quando la sua casa viene depredata dalle truppe mercenarie di Carlo VIII re di Francia, nel 1497, e quando il figlio cardinale Cesare Borgia la vendica con estrema crudeltà del sopruso. Viene ancora citata quando, nel giardino della sua casa di campagna organizza una cena campestre in onore del figlio Juan, presente anche il fratello Cesare (ma assente Lucrezia, in quel momento confinata dal padre in un convento in attesa dello scioglimento del suo matrimonio con Giovanni Sforza). Juan viene assassinato sulla strada del ritorno poco dopo aver lasciato la casa materna a notte fonda (è quasi certo che il mandante del crimine è il fratello Cesare). Negli ultimi anni della sua vita Vannozza si dedica ad opere di carità, lasciti e donazioni alla Chiesa; l‟ultima è fatta il 15 gennaio del 1517. Muore a 76 anni, il 25 novembre 1518, anticipando di pochi mesi la scomparsa dell‟amata Lucrezia. I funerali sono solenni e si svolgono in presenza dei rappresentanti del papa Leone X Medici, nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, ove è tumulata].

Bella e fisicamente prestante, Vannozza ben risponde dunque alle esuberanze del

Borgia. Da lui è stata amata anche già in età avanzata per quei tempi, cioè quando ha toccato i 40 anni, e quando nasce Jofrè, l‟ultimo figlio di Rodrigo, la sua relazione col Cardinale dura da più di un decennio (quasi un matrimonio, dunque). E come una moglie morganatica Vannozza ha attorno a sè una corte poco chiassosa, ma ricca e ben fornita che la segue ovunque, anche nei castelli di proprietà del Borgia e ben fortificati, a Nepi o più volentieri, a Subiaco ove Rodrigo ha riedificato la grande rocca.

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[Secondo Alessandro Tumbolini, che compone una Storia Subiacense, anche la nascita di Cesare avviene nella rocca di Subiaco e parlando di questa nascita si scusa con i cittadini di rivelare che la loro città ha avuto il disonore di veder venire al mondo, “Cesare Borgia, quel mostro”.]

Nascita ed educazione di Lucrezia

In questa dimora aerata, ampia e sicura, Vannozza dispone la sua vita e la sua corte, attendendo le visite del cardinale. A Subiaco, pare nell‟aprile del 1480, nasce la bambina bionda che porta alla storia il nome di Lucrezia Borgia.

Con i suoi capelli chiari e gli occhi di un azzurro grigio già così dolce, la bimba intenerisce il cuore del padre cardinale. Non si sa se a Roma Lucrezia venga educata inizialmente in un monastero, ma è probabile che si ritiri in quello delle domenicane di San Sisto sulla via Appia solo per le preparazioni spirituali alle grandi feste religiose. E certo dal convento le vengono quel senso di dignità che la salva dal naufragio nei giorni di peggior smarrimento.

Figlia di un cardinale potentissimo, Lucrezia è tenuta fin da subito in grande considerazione in Vaticano, ove vede andare e venire Teodorina Cibo con le figlie Battistina e Peretta, le donne della casa papale di Innocenzo VIII, rispettate e onorate come principesse legittime; figli di cardinali incontra da ogni parte e non differiscono dai figli dei principi e Lucrezia è certo superba di appartenere a una famiglia che conta tra i suoi antenati un papa.

“Lucrezia somiglia al padre nel suo modo gioioso di aver fede in tutte le promesse del

futuro; ha come il padre la linea sfuggente del mento, ma questo difetto la ingentilisce e le da la grazia di un‟adolescenza perpetua: bionda con occhi chiari, esile di persona, porta tuttavia in sé il sangue spagnolo che le dà consistenza e calore. E spagnola si sente Lucrezia, mentre è educata da quella Adriana Mila Orsini, nipote di Rodrigo Borgia”.

Adriana Mila è nata, forse a Roma, da Pedro de Mila, venuto in Italia al tempo di Papa Callisto Borgia, sull‟ondata spagnola che ha invaso il Palazzo Apostolico. E a Roma Adriana si stabilisce, sposando Ludovico Orsini, della gran tribù orsinesca, signore del piccolo feudo di Bassanello presso Viterbo. Nel 1489 Adriana rimane vedova con un figlio giovinetto chiamato „Orsino‟ e “Monoculus Orsinus”, cioè guercio (così lo definisce il cerimoniere del Vaticano) che passa alla storia con la fama di marito ingannato, dopo le sue nozze nel 1489, con la “magnifica et onesta (sic!) fanciulla Giulia Farnese” alla presenza, naturalmente, del Vicecancelliere Cardinale Rodrigo Borgia [già intimo, pare, della „onesta fanciulla‟], di prelati, nobili e parenti delle case Orsini e Farnese…

In quel tempo la bellezza di Giulia Farnese è già leggenda. La giovane viene da una famiglia di antica nobiltà di provincia che signoreggia su terre attorno al lago di Bolsena, Capodimonte, Marta, Isola Farnese, terre belle e fertili. Angelo, uno dei suoi tre fratelli, diverrà papa Paolo III. Giulia è l‟astro della Casa, la giovane e splendente che appena

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arrivata a Roma diviene nota e chiamata col nome di “Giulia Bella”. Ovviamente di questa mitica bellezza si innamora caldissimamente l‟allora cardinale Rodrigo Borgia. Egli stesso apre perciò il suo Palazzo alle nozze della fanciulla con Orsino, palazzo famoso per il fasto dell‟arredamento, in cui lui signoreggia, drappeggiato nella sua porpora. Rodrigo Borgia ha avuto una relazione con Giulia ancor prima di essere papa dunque. Lui stesso scrive di suo pugno che la nipote “Adriana Mila mi aveva servito di Giulia” quando egli è ancora cardinale.

[La complicità dunque dura da lontano, nonostante che lei, Adriana, sia proprio la

madre dello sfortunato Orsino, il marito giovinetto della bella Giulia. Giulia comunque si fa amare e Adriana dirige lei l‟intrigo, con la sua vivace e tenebrosa intelligenza, con il suo estro sicuro degli attori. Adriana Mila ha preso speditamente la risoluzione di sacrificare il figlio, a patto che il futuro papa paghi bene, in beni materiali, il sacrificio, e in questo senso non cesserà mai di raccomandare Orsino in Vaticano.]

Comunque, nel novembre del 1493 Giulia Farnese la “Bella” è ormai la favorita quasi

“ufficiale” del papa Borgia; a lei, come ad Adriana (che si occupano dell‟educazione della bambina Lucrezia) come a Lucrezia stessa, si rivolgono oratori e principi per ottenere favori e privilegi dal papa. E tutte e tre si fanno buona compagnia nel Palazzo di Santa Maria in Portico, ceduto loro dal cardinale, Gianbattista Zeno, Palazzo contiguo al Vaticano, a sinistra dell‟entrata del Palazzo Papale: da una casa all‟altra il passo è agevole e si può „comunicare‟ anche per via di chiesa, passando dalla cappella privata del Palazzo direttamente in San Pietro per una porta che mette nella Cappella Sistina. In questa bella dimora, Giulia ha con se la figlia Laura di due anni (che si dice nata da Alessandro VI), e vive fra tutto il seguito giovanile di compagne e di ancelle, della corte femminile così cara al cuore [e non solo!] di papa Rodrigo Borgia. Là egli trova riunite le donne che muovono in lui la tenerezza paterna o l‟ardore dei sensi o quella strana „amicizia‟ [o intimità] mista di affinità e di complicità (erotica)…

[E‟ solo a metà del 1494 che la tribù delle donne del papa si prepara a lasciare Roma

per accompagnare Lucrezia pretesa dal marito nel suo dominio di Pesaro. Vi resteranno per poco… richiamate continuamente e energicamente a Roma (e persino minacciate di scomunica, secondo lo stile consueto del papa) proprio dal padre di Lucrezia, interessato soprattutto al rapido ritorno di Giulia Farnese Orsini, oltre che della figlia, ovviamente].

Come tutte le donne nobili del tempo, Lucrezia viene istruita negli studi umanistici,

impara la lingua spagnola e danza le danze del suo paese, col passo scattante delle ragazze catalane, istruita da Adriana Mila. Giusto epilogo di tutta una preparazione devono sembrarle dunque le trattative, cominciate nel 1491, di un matrimonio fra lei e un giovane nobile di casa valenciana.

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[Il 26 febbraio 1491 il notaio Camillo Beneimbene stende le tavole nuziali fra la bimba Borgia e don Cherubino Juan de Centelles signore di Val d‟Ayoira nel regno di Valencia. Lucrezia dovrà recarsi entro l‟anno a Valencia dove nel termine di sei mesi, si sarebbe concluso il matrimonio].

Tuttavia, non erano passati due mesi da quel primo contratto matrimoniale che si

stendono invece nuovi patti tra lei e don Gaspare d‟Aversa, conte di Procida, giovane di 15 anni di famiglia valenciana. E‟ quasi certo che Lucrezia non ha conosciuto né l‟uno né l‟altro dei suoi pretendenti, ma sa di essere fidanzata. Quale nome, Cherubino o Gaspare, ella ha dato ai suoi sogni infantili non si sa; forse nessuno, perchè a 11 anni, sia pure precoci, si sogna vasto e confuso, senza riferimento alle cose reali, inventando il futuro… alla ricerca comunque di un modello di vita riuscita, nel quale si esaltino, placandosi, ammirazione ed immaginazione. Se Lucrezia ha cercato un tale riferimento, le sarà venuto naturale fermarsi su una delle due donne che le vivevano da presso: Adriana Mila e Giulia Farnese.

Frattanto Ascanio Sforza mette in atto il suo proposito di legare Lucrezia Borgia al partito degli Sforza in funzione anti regno di Napoli. Passa subito in rassegna la sua famiglia nei rami diretti e in quelli collaterali e sceglie uno Sforza di II grado, Giovanni, conte di Codignola, signore di Pesaro, piccolo feudo papale al confine tra la Marca e la Romagna, giovane di 28 anni, vedovo di una Gonzaga, Maddalena, educato umanisticamente ma di aspetto quasi insignificante, tuttavia sensibilissimo alle suggestioni della vanità e soprattutto dell‟interesse e dedito, quasi prono, alla sfarzosa prepotenza dei suoi parenti di Milano. Il matrimonio con Lucrezia Borgia va perciò benissimo agli interessi della famiglia del cardinale Ascanio Sforza. In gran segreto chiama dunque Giovanni Sforza a Roma, il quale è ricevuto dal papa (e forse anche visto da Lucrezia), tutto però in grandissimo segreto, per cominciare ad accordarsi per il futuro matrimonio con Lucrezia, in barba ai suoi vari fidanzati (almeno due, come abbiamo visto) ormai non tenuti più in conto dal papa che vede già i suoi figli insigniti di poteri, imparentarsi con case principesche e fondatori di dinastie…

[Nei suoi maneggiamenti, il cardinale Ascanio Sforza sì avvale dell‟approvazione e

dell‟aiuto di una donna ambiziosissima, Beatrice d‟Este, della casa ducale di Ferrara, che ha sposato Ludovico il Moro, tutore e zio di Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano, erede diretto della famiglia Sforza, giovane però logorato dai piaceri libertini concessigli, se non procuratigli, dallo zio Ludovico. Beatrice d‟Este è ancor più ambiziosa di Ludovico, suo marito. Non ancora ventenne quando Alessandro VI sale al trono papale, Beatrice è già certa delle proprie mete e delle strade da percorrere per arrivare fino in fondo. Donna di gran capricci, di grazie rare, di raffinatezze intellettuali, odia su tutto il mondo colei che le ruba, a suo parere, il primo posto di principessa a Milano, la generosa Isabella d‟Aragona, moglie del debosciato Gian Galeazzo.

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Nessuna più di lei forse, odia la dinastia Aragonese regnante a Napoli e non esiterebbe certo a spingere suo marito Ludovico a chiamare gli stranierei in Italia per schiacciare e disperdere tale dinastia. Beatrice è l‟anima indemoniata della lotta che gli Sforza hanno ingegnato contro il regno napoletano e perciò consente pienamente al progetto di Ascanio di non lasciarsi sfuggire la figlia del papa].

Tacitato l‟ultimo fidanzato di Lucrezia, don Gaspare d‟Aversa, con tremila ducati e con

un rinvio di almeno un anno del già sottoscritto matrimonio, Ascanio ottiene infine che don Gaspare lasci completamente libera Lucrezia e stringe accordi col papa per il matrimonio di lei con Giovanni Sforza. Il destino della giovanissima Lucrezia è ormai segnato: sarebbe divenuta contessa di Pesaro.

[Per il vecchio re di Napoli, Ferrante d‟Aragona, questa nuova prova della potenza

milanese in Vaticano è un duro colpo. Tenta di farvi fronte inviando a Roma il suo secondogenito Federico, principe di Altamura, uno dei più stimati personaggi di casa d‟Aragona che deve prestare ubbidienza a nome del re e gettare cautamente le basi di un‟alleanza matrimoniale che bilanci quella sforzesca. Il giovane principe, colto, amico di letterati, giunge a Roma ove alloggia in casa del cardinale Della Rovere, il grande alleato del re di Napoli. E‟ ricevuto con grandi onori da Alessandro VI, piace al papa ma non tanto da fargli mutare i propri piani e i propri interessi. Perciò, la missione dell‟aragonese fallisce e il giovane principe Federico torna a casa carico d‟onore e di … disillusioni.]

[In quegli stessi giorni il grande alleato del re di Napoli, il cardinale Della Rovere ha fatto il tiro di favorire l‟acquisto da parte di Virginio Orsini di alcuni possedimenti importanti per la sicurezza del papato (Cerveteri e Aguillara) e Orsini è Capitano Generale delle truppe del re Ferrante di Napoli. Tutto parla dunque di guerra attorno ad Alessandro VI Borgia ed ogni giorno avvengono disordini ai confini dello Stato pontificio. Per prevenire il tutto il papa pensa ad una Lega difensiva dello Stato della Chiesa, maneggiata, nemmeno a dirsi, da Ascanio Sforza e che comprenda Milano, Ferrara, Siena e Mantova: fine dichiarato la difesa del papa da ogni tentativo probabile di invasione napoletana. La pubblicazione della Lega avviene il 25 aprile 1493 e re Ferrante scrive al re di Spagna Ferdinando, suo cugino, una lettera di appello disperato di aiuto e insieme un atto di accusa contro la condotta pubblica e privata del pontefice, del quale si denunciano ignominie e libertinaggi. In seguito cerca però di conquistarsi l‟avversario con l‟offerta di magnifiche alleanze matrimoniali legando a doppio filo il papa, dando moglie e stato a due dei suoi figli: a Cesare il primogenito (che avendo ricevuto solo i primi ordini ecclesiastici - arcivescovo di Valencia - avrebbe potuto lasciare senza scandalo l‟abito) una principessa aragonese Carlotta, che porta in dote il principato di Salerno; a Jofrè, il minore, Sancia altra principessa della stessa casa e stessa dote. Ma il progetto su Cesare Borgia cade per l‟ostacolo frapposto da Ascanio Sforza e quello di Jofrè viene solo differito. Nel frattempo si sta portando avanti attivamente il matrimonio sforzesco (e sfarzesco) di Lucrezia].

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“Il conte di Pesaro, Giovanni Sforza, è ormai in preparativi nuziali: si sente un

personaggio importante, ha avuto per mezzo del papa una condotta ed un alto grado nell‟esercito milanese con un buonissimo stipendio; è invidiato per questa sposa giovinetta che gli hanno conteso in tanti, nuova nuova, anzi addirittura acerba e che ha nelle mani adolescenti il cuore del padre. Sa che Lucrezia possiede vestiti e gioielli da strabiliare (la sola veste da sposa costerebbe 15000 ducati!), che le saranno fatti gran doni e che gioielli magnifici sfoggerà il fratello di lei, Juan, duca di Gandia che è il più elegante e fastoso giovane di Roma.

[Giovanni per essere all‟altezza della sposa, non possedendo un forziere tanto

cospicuo, decide di chiedere una favolosa collana d‟oro lavorato a cesello e a sbalzo, opera mirabile degli orafi rinascimentali, al Marchese di Mantova, fratello della sua prima moglie; e al Gonzaga non pare vero di mandare alcuni dei più raffinati gioielli della sua collezione per rendersi grato colui che è destinato a diventare il “figliolo caro, vivente Alessandro VI”.]

“A Roma, intanto, mentre il notaio Niccolò da Salano sposa per procura Lucrezia, il 2

febbraio 1493 e sottoscrive a nome del suo signore, i patti nuziali, la sposa comincia a ricevere gli invitati e gli oratori delle varie case principesche in visita augurale, assistita dal Salano e, naturalmente, da Adriana Mila (e da Giulia Farnese, la “Bella”, favorita del padre). Adriana Mila in questi colloqui spiega la sua magniloquenza spagnolesca e il suo genio d‟intrigo parlando tranquillamente a nome del papa per dispensare, investiture cardinalizie richieste, con frasi del tipo: “ad ogni modo lo faremo cardinale” [mentre, presumibilmente, Giulia “Bella” esibisce la propria bellezza, come d‟altronde anche Lucrezia].

Si comprende come i 13 anni di Lucrezia spariscano sotto queste brillanti tutele… [Per sviare chi poneva ostacoli al matrimonio sforzesco, si è fatta addirittura circolare

per un po‟, in tutta Italia, la notizia che il papa sta trattando in Spagna le nozze di Lucrezia con il Conte di Prada… In una lettera da poco ritrovata, Gianandrea Boccaccio informa il duca di Ferrara di una confidenza avuta dal cardinale Ascanio Sforza “sub sigillo confessionis”: “A buon fine, e per molti ragionevoli rispetti si passa questa cosa segreta (il matrimonio con Giovanni Sforza) mentre si è mostrata pratica di maritarla in Ispagna”].

Alla fine, dopo aver fissato le nozze per il 23 aprile, giorno di San Giorgio, e averle

rimandate a maggio, si fissa la data per il 12 giugno 1493…

La cavalcata nuziale dello sposo Giovanni Sforza

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“La mattina di Domenica 9 giugno, giunge alle mura di Roma il corteo dello sposo che deve apparire davvero degno del genero di un gran principe. L‟aprono i palafrenieri in gonnella di broccato, lo continuano schiere di fanciulli vestiti di seta a colori, lo allietano con spensieratezza e brio le facezie di un buffone, prete Mambrino, vestito di velluto con berretta d‟oro. In gran numero i familiari dei cardinali sono andati fuori di Porta del Popolo ad incontrare lo sposo… Poi tutti si mettono in cammino fra lo strepito giocoso dei pifferi e dei trombetti: il vivace corteo giunge infine a sfilare sotto il Palazzo della sposa.

Lucrezia è pronta da un pezzo, acconciata dalle pronube mani di Adriana, certo inebriata e confusa così al centro di tutti gli sguardi e delle piume delle gentildonne che sono venute a farle gli auguri e a congratularsi. Appena s‟odono lontani i primi squilli dei trombettieri, le donne e le fanciulle prendono posto alle finestre lasciando la sposa sola sulla loggia al posto d‟onore.

In un momento la piazza si popola, vengono avanti gli staffieri, i famigliari dei cardinali, gli ambasciatori e in mezzo a questi lo sposo: gli sguardi di tutti gli uomini, dal minimo paggio al più severo ambasciatore, si volgono al palazzo di Santa Maria in Portico; là, nel gineceo papale, Giulia Farnese, “la Bella” “de qua est tantus sermo” (“della quale è tanto sussurro”), là le parenti di Innocenzo VIII, le Orsini, le Colonna, le altre gentildonne famose; e là Lucrezia che il papa “ama in superlativo grado”, si mostra al sole con i suoi lunghissimi capelli biondi che dalle spalle così tenere sotto il pesante broccato le scendono come sinuosi serpentelli d‟oro fino ai fianchi di bimba.”

“Giovanni Sforza frena il cavallo, si ferma sotto la loggia, il suo sguardo incrocia quello di Lucrezia, per il momento il loro incontro è quello da uomo a donna, da donna a uomo.

Ecco poi il gesto cortigiano dell‟inchino dello sposo verso la finestra ove splende quella testa ingemmata; di lassù Lucrezia risponde con la sua riverenza d‟etichetta, e la comitiva riprende il cammino, passa in Vaticano dove il papa attende circondato da cinque Cardinali. Il conte di Pesaro entra, s‟inginocchia alla maestà di quel suocero straordinario e gli offre se stesso e lo stato (con un breve discorsetto in latino). Terminato il ricevimento il giovane e il suo seguito prendono alloggio nel palazzo del cardinale di Alesia, presso Castel Sant‟Angelo.

Il Burcardo – in realtà Giovanni Burckard, tedesco di Strasburgo – che ha comperato

per 400 ducati d‟oro la carica di Cerimoniere della corte pontificia e che vive tra le camere e le anticamere del Vaticano, annota con scrupolosa e attenta precisione teutonica, in un diario in latino grossus, tutte le cose importanti che mentre esercita il suo uffizio gli passano sotto gli occhi (Liber Notarum, più di mille fogli!). Tra le altre minuzie di cerimoniere e di ordinamenti di etichetta, si ritrovano pagine magre e rare, ma di fuoco, che testimoniano le più gravi cose contro i Borgia, compresa Lucrezia. „Castigatissime‟ descrizioni d‟oscenità cui da cerimoniere aveva forse anche assistito…

Nel mese di giugno 1493 è lui, Giovanni Burckard, il cerimoniere di Strasburgo, che entra in scena quale ordinatore di cortei e ricevimenti, e quale vero regista nel disciplinare soprattutto la cerimonia nuziale della figlia del papa.

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Nelle camere nuove del Vaticano si elevano i due troni del papa: uno nella sala grande ove si terranno le rappresentazioni teatrali; l‟altro in una sala più piccola ove si svolgerà la vera e propria cerimonia nuziale.

Al duca di Gandia (Juan Borgia) tocca di andare a prendere la sorella sposa: indossa una straordinaria “turca alla francese” lunga fino a terra, di panno d‟oro riccio, con le maniche del giubbone ricamate fitte di perle grossissime e ornato di una collana di rubini e perle e di un berretto con un gioiello raggiante.

La mattina del 12 giugno è l‟ora della cerimonia. Annota il Burcardo: per primo arrivano le gentildonne invitate, eccitate e con tanto impeto che in molte si dimenticano di inginocchiarsi davanti al pontefice (con scandalo del Burcardo). Otto cardinali già attendono attorno al Papa l‟arrivo dello sposo, mandato a prendere “con tutta baronia” da uno stuolo di prelati. Arriva vestito anch‟egli con una turca alla francese d‟oro riccio con sul petto la collana prestatagli dal duca di Mantova. Subito dopo lo Sforza compaiono, scivolando in sala da una porticina segreta tra muro e muro, i due figli maggiori del papa, Juan e Cesare, quest‟ultimo nella sua semplice veste vescovile (vescovo di Valencia). Sull‟abito del duca di Gandia brillano, dice il Burcardo, gemme del valore di 50000 ducati (1 miliardo di vecchie lire)! Sono presenti anche grandi cariche civili e militari, accorrono uomini celebri, si odono voci varie e curiosità ardentissime…

Si annuncia la sposa che appare vestita ed ingioiellata, bella e forse più che bella, commovente per quel suo modo di giocare ad essere donna che la rivela candidamente bambina. Una fanciulletta negra, guizzante come una lucertolina, le sorregge lo strascico sontuoso. A fianco di Lucrezia sono da un lato Giulia Farnese, sulla quale gli occhi di tutti si fermano avidamente abbagliati e dall‟altro Lella Orsini (figlia del conte di Pitigliano che per aver sposato il fratello maggiore di Giulia, Angelo, è entrata nella famiglia Farnese). Seguono: la nipote di Innocenzo VIII, Battistina d‟Aragona, marchesa di Gerace (tanto elegante da essere chiamata “inventrice di tutte le mode femminili” del suo tempo) anche lei con la sua negretta a reggerle lo strascico, e le altre nobili dame, in tutto centocinquanta!

Le sale colme, ora straripano: ci sono tutti i Borgia e Ascanio Sforza che trionfa, col suo Sanseverino a lato, e cardinali e spagnoli e oratori, il Capitano della Chiesa, il Capitano del Palazzo, ufficiali e guardie…

Lucrezia si avanza col suo passo leggero: “porta la persona sì soavemente che par non si mova”. Anche Giovanni Sforza si fa avanti. I due sposi si inginocchiano sui cuscini ai piedi del papa … s‟ode la voce del Notaio che porge loro le domande rituali e le risposte “Voglio e di buona voglia” – Giovanni; “Voglio”- fa eco Lucrezia. Il Vescovo di Concordia infila gli anelli, mentre il conte di Pitigliano, tiene alto sulle teste la spada snudata. Tocca allo stesso Vescovo fare un bel discorsetto sulla “santità del matrimonio”.

Ed ora, una rappresentazione teatrale! I Menecmi di Plauto, una commedia nell‟originaria lingua latina che in quell‟atmosfera quasi di complicità e di licenza amorosa risulta noiosa a tutti quanti, soprattutto ai focosi temperamenti della gente borgiana, tanto che lo stesso papa interrompe a metà la recitazione. Invece viene ascoltato molto volentieri una ecloga in onore deli sposi, composta da Serafino Aquilano, favorito delle corti dell‟ultimo

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Quattrocento, “molto polita” (cioè ornata classicamente di riferimenti simbolici e mitologici).

Infine il rinfresco, ricco di cibi, ma non pomposi. Si passano dolci, marzapani, confetti, tra le risa delle donne contente di dare spettacolo di se stesse e si segue l‟etichetta che vuole serviti prima il papa e i cardinali, poi gli sposi, le donne, i prelati e gli altri invitati. Ciò che resta, viene gettato dalle finestre al popolo che gridando applaude. “Così si perdono più di cento libbre di dolci” annota il Burcardo con un sospiro…

Alla sera, il convito segreto che il papa dà in onore degli sposi: intimo, per una ventina

di persone scelte. La cena si dà nell‟aula pontificia, parata a cerimonia e alle vesti cardinalizie si alternano le vesti e le famose spalle femminili di Teodorina Cibo, di sua figlia Battistina, marchesa di Gerace, di Giulia Farnese, di Lella Orsini, di Adriana Mila. V‟è poi il cardinale Ascanio Sforza, il Sanseverino, il nuovo cardinale Giovanni Borgia, Giulio Orsini signore di Monterotondo, il cardinale Colonna col fratello giovinetto, il conte di Pitigliano, i fratelli di Lucrezia, più naturalmente, gli sposi.

Verso mezzanotte la cena che è stata “gagliarda” (sempre secondo il Burcardo) finisce e subito si avanzano i camerieri con i doni di nozze: pezze di quei boccati milanesi famosi in tutto il mondo, più due anelli magnifici, mandati dagli Sforza di Milano alla nuova parente; il cardinale Ascanio dona un completo “apparecchio di credenza”, un servizio da tavola in argento massiccio (tazze, scodelle, piatti, bacili, boccali, una caffettiera e due coppe, tutto dorato o no, di “sottil lavoro”); altri doni da parte dei fratelli di Lucrezia, del duca di Ferrara, del Cardinale Borgia e del protonotaio Lunati.

Dopo la sfilata di quelle dovizie, verso l‟una di notte, comincia il grosso del divertimento, si riproducono brevi brani di commedie, alternate da musiche e balli (forse anche quelle del più gran musico del tempo, Josquin de Prés, fiammingo, che è al servizio di Alessandro VI). L‟ “allegria” cresce, si alza il tono e passa la licenza: tutti i relatori contemporanei testimoniano della mondanità di questa festa: una vera “notte di gaudioso piacere”, con le confetture versate nel petto delle donne: “in sinu multarum mulierum” secondo il cronista romano Stefano Infessura”. [Maria Bellonci]

Una “divertita allegria” oppure „licenza sfrenata‟?

“Prima che si dia l‟inizio ai balli veri e propri Alessandro VI ordina: “siano distribuiti i confetti”. Dalle porte vengono avanti allora 50 camerieri ciascuno recante una coppa d‟argento colma di confetture. Il papa è il primo a immergere le mani in uno dei recipienti e scaglia verso gli sposi una candida pioggia di confetti. L‟esempio papale è subito seguito da tutti gli altri. Mani gentili di dame e robuste di cavalieri, sottili mani di paggi si tuffano nelle coppe e in breve la vasta sala è preda di un‟allegria sfrenata. Lucrezia si vede inondata da quelle bianche chicche matrimoniali che le piovono addosso da ogni lato. Invano, con gesto ridente si schermisce. E‟ impossibile sottrarsi a quella gioiosa furia che tutti ha conquistato, forse come rivalsa alle lunghe ore di composta attesa, alle noiose

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complicazioni del cerimoniale. I porporati medesimi si uniscono a quel lietissimo gioco, il grave Sanseverino è anzi uno dei più accaniti, e nella foga del lanciare pone una mano sulla scollatura di Giulia Farnese, la “Bella”, lì nel seno sodo che la ginnastica folle ha all‟improvviso denudato.

Giulia, scherzosa si volge e gli dice: “Eminenza, questi non sono confetti da gettare”, e accenna alle due perfette coppe di carne. “No, davvero, son da carezzare” replica il porporato, ormai preda della eccitazione

generale. Alessandro VI, il quale è sceso dal suo alto scranno e domina la scena essendone oltre

tutto parte, sembra avere un‟idea subitanea e, come riferisce un cronista, impone il silenzio, poi dice:

“Che non si sprechi più questa grazia di Dio, non un confetto debba più cadere in terra, chè mi parrebbe mal fatto”.

“Santità” domanda allora il contegnoso cardinale Ascanio Sforza “che dobbiamo noi fare affinchè da un lato le coppe ricolme si vuotino, chè altrimenti se restasse in esse una sola confettura porterebbe male, e raccogliere insieme il vostro ambito suggerimento di non far cadere sui tappeti nemmeno uno dei tanti confetti?”

Alessandro VI sorride e affonda la mano destra nel bacile che un paggio coppiere gli ha appena porto e la trae colma di confetti, poi chinandosi verso Giulia Farnese, che s‟è un attimo seduta, depone le confetture entro il suo seno.

Questo è il segnale che dà inizio a una licenza sfrenata. Ciascuno si sente autorizzato a ripetere il gesto con le altre dame, le quali prima ritrose, infine si offrono alla singolare donazione. Poi, anche tale allusivo gioco sembra non appagare più gli astanti chè l‟atmosfera s‟è fatta più che sensuale, rovente, e il caldo alito dell‟estate romana sembra pervadere il salone, eccitando gli animi a ogni eccesso. Juan Borgia, il giovane duca di Gandia, sempre stando a un memorialista, propone:

“Ora sono le dame che debbono prendere esse medesime i confetti, ma non con le mani né con la bocca”.

“E come mai li debbono prendere?” domanda il cardinale Colonna. Il figlio di Alessandro VI, mentre Lucrezia lo fissa stupita e il conte di Pesaro anch‟egli

meravigliato tace, risponde: “Col seno li debbono prendere e non con altro”. Giulia Farnese, più che mai bella ed eccitante è subito disposta alla prova, ma prima di

darvi inizio domanda: “Che darete voi, duca, a colei che trarrà maggior numero di confetture? Che premio avrà ella? Don Juan sorride: “Un bacile d‟argento come quello” e indica il dono del protonotaio Cesarini “della

medesima fattura e dello stesso valore, ecco cosa riceverà.” Giulia allora, in linea con la carnalità che a quel tempo è propria di ogni festa di nozze,

trae dalla scollatura il seno stupendo e dopo averlo divaricato con le mani si china sulla coppa, che subito un paggio le offre, e così si immerge in quel piccolo lago di confetture,

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quindi stringendo la sua propria carne trae il seno dal recipiente e poi, abbandonata su di uno dei tavoli, lascia cadere allargandolo, i confetti che ha saputo conquistare.

Il Sanseverino, rosso in viso più assai della porpora che indossa, li conta: “Son diciotto” esclama “madonna, sarà difficile superarvi”. A lungo, le altre dame a eccezione di Lucrezia fanno la prova; la medesima Giulia non

riesce a far meglio di quanto di primo acchito ha fatto, e dopo un‟ora, quando l‟eccitazione è all‟acme, Alessandro VI ordina al figlio Juan:

“Ecco, colei che è degna del vostro dono” indicandola con divertita e complice malizia. Giulia, sempre a seno nudo, s‟inchina profondamente allo sguardo del suo signore”. [Massimo Grillandi]

“Uno scherzare libero, anzi liberissimo, certo non un‟orgia sfrenata, tuttavia… Tenuto

conto dell‟ora tarda, dei vini, della musica che alle nature voluttuose (come quelle dei Borgia e della maggior parte dei convitati), apre i mondi sensitivi più che i mondi spirituali… e, soprattutto, che nelle feste di sposalizio sono di regola le arditezze, perché non appaiano “fredde”, non è possibile fissare i limiti nei quali possono essersi tenuti i convitati.” [M Bellonci]

“Su tutto ciò “qui se ne fa un cantar di Rolando” conclude Gianandrea Boccaccio, dopo

aver descritto nozze e cena conviviale, vale a dire: “un poema di commenti”. “Possiamo immaginare Lucrezia mentre guarda intorno con i suoi occhi incantati e

ridenti di sposa ancora fanciulla, magari divertita. Tra la scioltezza arguta e fin troppo disinvolta di Giulia Farnese, la favorita del papa, vera trionfatrice della serata, la superba vitalità del padre papa Borgia, la bellezza e l‟eleganza del fratello Juan, la potenza oscura ma affascinante dell‟altro fratello Cesare, ha di che ammirare Lucrezia… Ma cosa pensa di quel marito per il quale le si fanno così tante e nutrite feste? E di se stessa? Come la sua vita propria può accordarsi in lei con la vita rappresentata? Il papa stesso informa poco dopo che i due sposi non saranno tali che di nome almeno fino a metà novembre del 1493 (forse per l‟acerbità fisica della sposa bambina?) per cui, quali idee e quali commozioni germogliano in quell‟adolescente, all‟alba del 13 giugno, quando lei torna, dopo quasi 24 ore di eccitazioni, nel suo letto di bimba svestendosi dell‟abito di sposa? E nei giorni seguenti, quale tremore di emozioni, nel scoprirsi un‟importanza nuova, nel ricevere omaggi, riverenze, suppliche, inchini, nel trovarsi nelle piccole mani questo inaspettato dono, il potere?

Forse, proprio per l‟affannoso seguirsi di queste sorprese e per la trepidazione di tener bene il suo posto, Lucrezia non ha il tempo di maturare in se stessa; e sposa prima di avere la coscienza di essere donna, messa a vivere nel Palazzo di Santa Maria in Portici la parodia di una vita matrimoniale non ancora consumata carnalmente, deve sentire anche lei il disagio morale e fisico che Giovanni Sforza non arriva e non arriverà invece a moderare. Da queste nozze bianche che solo una ragione politica aveva precipitate,

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comincia l‟esistenza oscillante di Lucrezia quale è imposta a lei dalle circostanze e dalle ambizioni dei suoi famigliari, ma quale lei accetta e andrà sempre meglio accettando.

Non nella sua debolezza morale, ma nella fatalità intima dei suoi assensi, ognuno dei quali è una capitolazione, sta il vero dramma di Lucrezia.

Innalzarsi tanto da giudicare il padre e i fratelli non lo potrà mai, meno per incapacità di giudizio o per tenerezza di cuore, che per una verità più violenta ed elementare: perché anche lei è una Borgia e sente anche lei la forza di quel sangue che le fa impeto e che si dà ragione da sé, fuori da ogni morale, brutalmente e splendidamente”.

“Solo in tempi più tardi, nel disordine della sua anima, che sta tra la religione e la sensualità, tra la volontà di una vita disciplinata e l‟ardente anarchia dei desideri, saprà elevarsi a intraprendere contro il padre, contro il fratello o contro il suocero duca di Ferrara, quelle sue ribellioni che la condurranno, sola fra i Borgia, a salvarsi”.

“Ora invece, a tredici anni, bambina che si piega a tutte le potenze maschili della sua casa, si piace tanto della sua vita qual è, da non sentire nemmeno il gravame e la falsità del nome e del titolo “Contessa di Pesaro”…”.

(Fine Prima Parte)