Viola Da Gamba

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Remo Guerrini inizia un racconto sugli strumenti musicali antichi e la musica vocale. Si comincia con la “viola da gamba” Credo sia importante per chi pratica la musica vocale avere una conoscenza più ampia della musica in genere e curiosare tra i molteplici aspetti che ne fanno una tra le arti più affascinanti. Per tale ragione ritengo sia utile ricevere informazioni sugli strumenti musicali che veni- vano impiegati nel periodo rinascimentale e barocco ed evidenziarne le strette connessioni con l’esecuzione vocale. Nei prossimi numeri della nostra rivista presen- terò i più importanti strumenti dell’epoca, esaminando- ne i principali aspetti organologici e fornendo consigli pratici per il loro uso. È necessaria una piccola premes- sa che inquadra l’argomento qui trattato e varrà anche per quelli che seguiranno. Durante i secoli XV/XVI e parte del XVII la musica vocale è generalmente considerata l’espressione più alta di quest’arte e come è noto gli strumenti la accompa- gnavano spesso. Non è casuale il fatto che gli strumenti impiegati fossero articolati in “famiglie” le cui estensio- ni ottimali, vale a dire le più armoniche e risonanti, co- privano la medesima estensione delle voci CATB e va- rianti e per un lungo periodo anche per le partiture stru- mentali “autonome” venivano stampate le chiavette in armatura, tipiche della scrittura vocale. Naturalmente la musica strumentale ha avuto anche un percorso paralle- lo, nel quale si sono sviluppate e testate le potenzialità dei vari strumenti, fino ad arrivare ai limiti tecnici ed espressivi che gli stessi consentivano. Già nel XVI se- colo esistevano indicazioni in partitura riportanti “effetti speciali” che ritroveremo nella musica contemporanea, ad esempio l’uso del dorso dell’archetto sulle corde e fuori dal ponticello per ottenere suoni percussivi o stri- denti. (Christopher Simpson – The division viol) . I musicologi hanno studiato abbastanza approfondita- mente sia questo aspetto che la prassi grazie a trattati coevi (Zarlino, Zacconi, Praetorius Rognoni, per citarne alcuni), ad importanti fonti iconografiche che riportava- no fedelmente gli insiemi che producevano musica e gli strumenti impiegati, e grazie infine a partiture originali in cui venivano riportate indica- zioni su come eseguirle e sugli organici vocali/ strumentali pre- visti. (Praetorius – teatrum instru- mentorum) Si scopre così un mon- do sonoro di grande interesse, estremamente variegato, la cui fonda mentale destinazione era accrescere la piace volezza della musica. A questo proposito è utile l’ascolto di un’o- pera intitolata “Le noz- ze di Cosmo ed Eleono- ra – Firenze 1539”, edita dalla Tactus e di- retta da Gabriel Garri- do. L’opera è la parte musicale di una gran- diosa festa che si svolse a Firenze nel 1539 in occasione delle nozze tra Cosimo I dei Medici ed Eleonora da Toledo. Perché la parte musicale? Questa svolgeva una funzione di collegamento e di “stacco” durante l’esecuzione di un’opera teatrale che era il piatto forte dei festeggiamenti, per questa occasione Il Com- modo di Antonio Landi (perduta), della durata di alcune ore. Per consentire agli invitati un meritato riposo si ese- guivano tra i vari atti musiche vocali e strumentali abi- tualmente su un tema inerente la festa, in questo fran- gente si celebrava la grandezza delle case regnanti che si univano e le città appartenenti al granducato di Firenze si presentavano in musica a Eleonora di Toledo, omag- giandola attraverso la mostra delle peculiarità di ciascu- na di esse. Questa modalità di impiego della musica fu chiamata “Intermedi” e divenne ben presto una forma autonoma fino ad essere essa stessa il perno principale della nascente opera musicale. Per gli amanti della musi- ca antica credo si tratti di una delle tappe di studio basi- lari e ritengo valga la pena dedicargli specifica attenzio- ne. Di quest’opera musicale sono state ritrovate le parti- ture originali, stampate e commercializzate da Forni E- ditore, che rappresentano una summa sull’impiego di strumenti per accompagnare e valorizzare i madrigali che compongono il corpus. Le indicazioni sono scritte di pugno dal curatore degli Intermedi, Francesco Corteccia (1502-1571), maestro di cappella dei Medici e organista che, oltre ad affidare i madrigali ai musicisti di corte, come da prassi, compose i più importanti. Raffaello: Estasi di S.Cecilia 9

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Remo Guerrini inizia un racconto sugli strumenti musicali antichi e la musica vocale. Si comincia con la “viola da gamba”

Credo sia importante per chi pratica la musica vocale avere una conoscenza più ampia della musica in genere e curiosare tra i molteplici aspetti che ne fanno una tra le arti più affascinanti. Per tale ragione ritengo sia utile ricevere informazioni sugli strumenti musicali che veni-vano impiegati nel periodo rinascimentale e barocco ed evidenziarne le strette connessioni con l’esecuzione vocale. Nei prossimi numeri della nostra rivista presen-terò i più importanti strumenti dell’epoca, esaminando-ne i principali aspetti organologici e fornendo consigli pratici per il loro uso. È necessaria una piccola premes-sa che inquadra l’argomento qui trattato e varrà anche per quelli che seguiranno.

Durante i secoli XV/XVI e parte del XVII la musica vocale è generalmente considerata l’espressione più alta di quest’arte e come è noto gli strumenti la accompa-gnavano spesso. Non è casuale il fatto che gli strumenti impiegati fossero articolati in “famiglie” le cui estensio-ni ottimali, vale a dire le più armoniche e risonanti, co-privano la medesima estensione delle voci CATB e va-rianti e per un lungo periodo anche per le partiture stru-mentali “autonome” venivano stampate le chiavette in armatura, tipiche della scrittura vocale. Naturalmente la musica strumentale ha avuto anche un percorso paralle-lo, nel quale si sono sviluppate e testate le potenzialità dei vari strumenti, fino ad arrivare ai limiti tecnici ed espressivi che gli stessi consentivano. Già nel XVI se-colo esistevano indicazioni in partitura riportanti “effetti speciali” che ritroveremo nella musica contemporanea, ad esempio l’uso del dorso dell’archetto sulle corde e fuori dal ponticello per ottenere suoni percussivi o stri-denti. (Christopher Simpson – The division viol) . I musicologi hanno studiato abbastanza approfondita-mente sia questo aspetto che la prassi grazie a trattati coevi (Zarlino, Zacconi, Praetorius Rognoni, per citarne alcuni), ad importanti fonti iconografiche che riportava-no fedelmente gli insiemi che producevano musica e gli strumenti impiegati, e grazie infine a partiture originali

in cui venivano riportate indica-zioni su come eseguirle e sugli organici vocali/strumentali pre-visti. (Praetorius – teatrum instru-mentorum)

Si scopre così un mon- do sonoro di grande interesse, estremamente variegato, la cui fonda mentale destinazione era accrescere la piace volezza della musica. A questo proposito è utile l’ascolto di un’o- pera intitolata “Le noz- ze di Cosmo ed Eleono- ra – Firenze 1539”, edita dalla Tactus e di- retta da Gabriel Garri- do. L’opera è la parte musicale di una gran- diosa festa che si svolse a Firenze nel 1539 in occasione delle nozze tra Cosimo I dei Medici

ed Eleonora da Toledo. Perché la parte musicale? Questa svolgeva una funzione di collegamento e di “stacco” durante l’esecuzione di un’opera teatrale che era il piatto forte dei festeggiamenti, per questa occasione Il Com-modo di Antonio Landi (perduta), della durata di alcune ore. Per consentire agli invitati un meritato riposo si ese-guivano tra i vari atti musiche vocali e strumentali abi-tualmente su un tema inerente la festa, in questo fran-gente si celebrava la grandezza delle case regnanti che si univano e le città appartenenti al granducato di Firenze si presentavano in musica a Eleonora di Toledo, omag-giandola attraverso la mostra delle peculiarità di ciascu-na di esse. Questa modalità di impiego della musica fu chiamata “Intermedi” e divenne ben presto una forma autonoma fino ad essere essa stessa il perno principale della nascente opera musicale. Per gli amanti della musi-ca antica credo si tratti di una delle tappe di studio basi-lari e ritengo valga la pena dedicargli specifica attenzio-ne. Di quest’opera musicale sono state ritrovate le parti-ture originali, stampate e commercializzate da Forni E-ditore, che rappresentano una summa sull’impiego di strumenti per accompagnare e valorizzare i madrigali che compongono il corpus. Le indicazioni sono scritte di pugno dal curatore degli Intermedi, Francesco Corteccia (1502-1571), maestro di cappella dei Medici e organista che, oltre ad affidare i madrigali ai musicisti di corte, come da prassi, compose i più importanti.

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Terminata queste bre-ve premessa vorrei presentare ora una del-le famiglie di strumen-ti più importanti nel rinascimento e nel ba-rocco: la viola da gamba. E’ uno strumento che conosco a fondo, che suono e che amo. E’ stato fonte di dolori e di gioie e mi ha per-messo di partecipare alla vita professionale attiva della musica Antoine Forqueray antica collaborando con i direttori e musicisti europei in auge nel suo periodo più fecondo Comincerei dal nome: viola da gamba. Perché “da gam-ba”? La postura prevede che lo strumento sia sorretto nel-l’incavo formato dalle gambe normalmente aperte con punti di appoggio nei polpacci e interno coscia, ovvia-mente seduti. Non ci sono puntali o parti dello strumento che hanno contatto con il suolo ma solo una stretta rela-zione con il corpo del musicista; questo aspetto non è se-condario perché se si effettua una corretta respirazione e si sfruttano i contatti con le parti ossee (gabbia toracica) si riesce ad amplificare il suono dello strumento utilizzan-do il corpo come ulteriore cassa di risonanza, un po’ co-me cantare! Questa postura, che è decisamente naturale e semplice a dispetto di quanto descritto, come tutto ciò che è semplice viene complicata dalla nostra difficoltà a con-siderare il corpo come un elemento dinamico e flessibile. Ecco allora insorgere tensioni a non finire localizzate in varie parti del corpo e derivanti paradossalmente da con-trazioni che nulla hanno a che fare con la parte dolorante. Fino a poco tempo addietro si consigliava di studiare que-sto strumento da “adulti”, non solo per le sue dimensioni ma anche per la sua complessità. La mancanza di trattati moderni introduttivi allo studio, basati su metodologie consolidate, rendevano infatti ancor più complicata la già difficile letteratura e indispensabile una certa maturità per poterla affrontare. Oggi le cose sono cambiate e grazie a strumenti da studio, adatti anche ai giovani, alla pubblica-zione di metodi ad hoc e soprattutto all’aumento di inse-gnanti qualificati, lo strumento ha avuto una maggior dif-fusione e la soglia di età per l’apprendimento si è abbas-sata. La viola da gamba, al contrario di quanto si possa credere, non fa parte integrante delle famiglie degli stru-menti ad arco classici (violino, violoncello etc) ma nasce probabilmente come ibrido tra questa e la famiglia dei liuti. Quest’ultima attribuzione è data da due particolarità. La prima: il manico è tastato, ha dei capitasto assimilabili a quelli della chitarra, che formano una vera e propria tastiera e aiutano a trovare la giusta posizione delle dita nel produrre le altezze dei suoni; inoltre si tratta di uno strumento polifonico perché avendo sei corde (nella ver-

sione più tarda si arriva a sette corde con l’aggiun-ta di una corda grave) permette di costruire ac-cordi completi. Esiste una vasta letteratura, so-prattutto inglese, che usa la viola da gamba come strumento solista attra-verso la combinazioni di accordi e melodie allo stesso tempo.

posizione della mano sx sulla tastiera La seconda: l’accordatura è la stessa del liuto; nel caso della viola in “re” avremo la seguente accordatura parten-do dalla corda più acuta re-la-mi-do-sol-re, quindi inter-valli di 4-4-3-4-4. La tabella allegata riporta l’accordatura del liuto in “sol” ma gli intervalli sono i medesimi 4-4-3-4-4.

Anche se la produzione del suono avviene mediante un archetto, analogamente a quanto accade per il violino o cello, come ricordato la famiglia non è quella degli stru-menti ad arco. Un accenno sull’arco. Gli archi antichi si differenziano dai moderni per la curvatura che è convessa, per una pun-ta più accentuata e per la coda che è più lunga per ottene-re un miglior bilanciamento. Si noti che anche per il vio-loncello e il violino barocchi la fattura dell’arco era la medesima e lo rendeva del tutto simile a quello che si impiega oggi per la viola da gamba. L’arco moderno vie-

ne modificato nella cur-vatura, nel peso e leg-germente allungato in epoca molto più tarda per esigenze dovute alla richiesta di mag-gior volume del suono e per la necessità di ridurre il transitorio di attacco, più delicato

Antoine Forqueray

Jordy Saval

Arco antico

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con un arco barocco.

Arco moderno L’impugnatura è diversa rispetto al violoncello: il dorso della mano è rivolto verso il basso e le dita partecipano attivamente poggiandosi sulla bacchetta e sui crini per creare dei micro effetti sul suono. Impugnatura viola da gamba Impugnatura violoncello La combinazione tra questi fattori comporta una diver-sa tecnica d’attacco dell’arco sulle corde; nella viola da gamba la nota “forte” si ottiene muovendo l’arco in avanti (poussè) e la debole al contrario (tirè), mentre nel violoncello è esattamente l’opposto. Le sue pecu-liarità fanno pertanto della viola da gamba un unicum nel panorama degli strumenti ad arco. Per le caratteristiche costruttive, fondo piatto e non bombato come per il violoncello, spalle più strette e un volume d’aria della cassa armonica inferiore, il suono che ne viene fuori, sebbene più ricco in armonici, è meno forte e timbrato del violoncello. Non è un caso se la viola da gamba, nonostante in Italia abbia avuto un grande sviluppo e una vastissima letteratura nei se-coli XVI e XVII, nel mutare in ampiezza degli spazi nei quali venivano eseguiti i concerti, perse progressi-vamente il primato cedendo il posto al violoncello, più sonoro e compatibile con lo sviluppo del violino assur-to alle glorie del solismo e del virtuosismo. Essa rima-se in auge nei paesi d’oltralpe: Francia, Germania e Inghilterra non smisero di produrre capolavori per la viola da gamba fino agli inizi del XIX secolo, ma in seguito lo strumento restò in vita solo nei consessi pri-vati, in quelle famiglie del nord Europa dove vigeva l’abitudine di fare musica in casa per il puro gusto di praticare quest’arte. Il valore della viola da gamba venne riscoperto negli anni ’60 del XX secolo con il rifiorire della musica antica, in particolare nei paesi nordeuropei che tentaro-no di riprodurre il suono filologico realizzando fedeli copie degli strumenti originali in mostra nei musei mu-sicali. Dopo un periodo di gestazione abbastanza lungo la viola da gamba ritrovò dignità anche nei conservato-ri italiani, con l’apertura delle classi di musica antica e specifico diploma. Come si utilizza questo strumento nella musica rinasci-mentale e barocca? Nel periodo in questione, come accennato, gli strumenti erano spesso impiegati per

raddoppiare le voci durante l’esecuzione di musica profana, ma non si disdegnava di utilizzarli anche per le grandi opere sacre: vespri, mottetti a più cori e mes-se, in barba al divieto della chiesa cattolica che per queste composizioni prevedeva al massimo l’organo ed eventuali supporti per il basso continuo. La famiglia delle viole da gamba consta di varie taglie articolate in:

Soprano/dessus (accordatura: re",la',mi',do',sol,re estensio-ne fino a la"' strumento acuto con un diapason (corda vi-brante, quindi tra il primo capotasto e il ponticello) variabi-le tra i 30/36 cm) Alto/Tenor (accordatura sol',re',la,fa,do,SOL estensione fino a re" diapason variabile tra 50/54 cm) Tenor/Basso (accordatura re',la,mi,do,SOL,RE estensione fino a la' diapason variabile tra 65/70 cm) Violone (accordatura sol,re,LA,FA,DO,SOL/SOL estensio-ne fino al re' diapason variabile tra 87/92) Contrabbasso di viola da gamba (accordatura re,la,mi,DO,SOL/SOL,RE/RE estensione fino a la diapason variabile tra 110/120 cm).

Come si può notare le estensioni, a parte il Contrabbas-so di viola utilizzato per il raddoppio alla ottava grave del basso, sono identiche a quelle vocali, consentendo il raddoppio di ciascuna voce con l’analogo strumento. Bisogna tener presente un altro aspetto: le corde miglio-ri, più risonanti e armoniche, sono in genere le prime quattro a partire dalla più acuta, le gravi sono più “deboli” e il loro suono rischia di essere troppo impasta-to per le basse vibrazioni. Oggi con uno strumento si cerca di fare tutto, all’epoca si sfruttavano le migliori potenzialità di ciascuno e a seconda della tessitura si cercava la migliore sonorità strumentale. Ad esempio, in un madrigale a 4 voci CA-TB/ATTB, scritto nel registro grave con l’estensione del canto che non saliva oltre il re’, era naturale impiegare un quartetto strumentale a sua volta grave, che utilizza-va le viole così: Alto Tenor Basso e Violone. In questa maniera venivano suonate le corde migliori e non le gra-vi garantendo nitidezza e brillantezza di suono. Se veni-vano suonate composizioni tendenti all’acuto con la vo-ce di canto che raggiungeva il fa"' o sol"', accadeva ov-viamente il contrario; la formazione del consort di viole si spostava anch’essa verso l’acuto nella ricerca della migliore sonorità S A A/T T/B. Altro aspetto della qualità del suono è la maniera in cui esso si genera. Molto spesso per una difficoltà tecnica nell’uso dell’arco, non risolta da parte dello strumenti-sta, si ascolta un suono che in attacco (poussè) è “privo di suono”, appunto. Il suono pieno si raggiunge poco dopo ma avviene lo stesso fenomeno nel ritorno dell’-arco (tirè). La sensazione che si ha è di un suono che si muove per sinusoidi, un po’ come soffrire di mal di mare per il beccheggio della barca, che alla lunga crea un impasto indefinito di armonici facendo perdere la linearità espressiva. Immaginate se cantassimo alla stessa maniera, cominciando con una A priva di timbro nella quale il suono è solo aria che esce, proseguendo con un suono più pieno e diminuendo di nuovo fino a

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far sentire solo aria prima di cambiare vocale e via così per tutto il brano. E’ un esempio portato agli e-stremi, solo per rendere i concetti più evidenti, ma non lontano dall’effetto “nausea”. Qualcuno la definisce messa di voce, ma non è questa la maniera di eseguire la messa di voce, che è un “effetto” e se venisse ripe-tuta ad ogni piè sospinto perderebbe la funzione di effetto per divenire “regola”. Seguire la parola. Sembra una cosa ovvia in riferimen-to alla musica vocale, ma non lo è sempre. Gli stru-menti possono e devono “cantare”, in particolare se raddoppiano parti vocali. Uno strumento ha a disposi-zione una varietà di gamme sonore e di articolazioni pari alla voce, in qualche caso, a seconda dello stru-mento, persino di più. In un vocalizzo con una tirata di semicrome, la voce tende naturalmente a “legare” i passaggi tra le note mantenendo la tensione dinamica verso l’accento tonico; se uno strumento che raddop-pia la voce articolasse separando con ritmo misurato le stesse semicrome, avremmo una sommatoria di rit-mi sfalsati, quel tanto che basta per generare una fasti-diosa confusione non solo nell’ascolto ma nella canta-bilità, in quella che viene definita come direzione del-la linea. Vale anche il contrario: scandire metronomi-camente le note con le sillabe non aiuta la cantabilità. Ma la cosa più preoccupante sarebbe suonare un’ope-ra vocale, profana o sacra, senza avere le parole del testo sotto le note; in questo caso, infatti, lo strumenti-sta tenderebbe a basare la sua articolazione e l’appog-gio degli accenti sulla scansione ritmica ordinaria sta-bilita dalla battuta o dalle pause, stravolgendo lo stret-tissimo nesso logico testo/parola/ritmo/valore della composizione. Il fenomeno è ancora più evidente se si lavora su un madrigale del primo ‘500 (ad esempio Verdelot, Festa, Willaert in parte), dove il testo, nella maggioranza dei casi, è preso da autori quali Petrarca, Guinizzelli, Cino da Pistoia, quindi preesistenti al pe-riodo nel quale viene composta la musica. Spessissi-mo si incontrano frasi musicali, specialmente su testi strofici, che mal si sposano con il testo per effetto del modello ritmico compositivo che il musicista adotta (vedi come esempio Italia mia in onore del nostro 150 su testo del Petrarca musicato da Verdelot) ed è già difficile rendere correttamente l’accentuazione testua-le cantando, figurarsi con uno strumento che non leg-ge il testo. Un’altra causa del cattivo rapporto tra gli accenti testuali e quelli musicali è dato dell’uso mo-derno del segno di battuta nelle trascrizioni della mu-sica antica. Ciò è risaputo, ma bisogna ricordarlo an-cor di più quando si impiegano gli strumenti. Per usa-re adeguatamente uno strumento musicale nel raddop-pio della voce è quindi fondamentale pretendere o fornire la partitura completa delle parole e curarne la correttezza interpretativa. Rientra nei compiti del di-rettore, ma conoscere e condividere le regole da parte di tutti contribuisce a far crescere la consapevolezza di ciò che si sta facendo, e automaticamente si fa meglio!

Un cenno merita anche l’intonazione per le viole da gamba, che avendo i tasti mobili (fatti di minugia, det-ta più volgarmente budello, come le corde) può muo-verli per soddisfare le esigenze dei filologi più spinti che intendono eseguire la musica con il temperamento “mesotonico”. Senza addentrarci nella teoria dei tem-peramenti, argomento di particolare complessità, è sufficiente sapere che il temperamento “mesotonico” prevede che i rapporti tra le varie note tendano quanto più possibile al loro valore naturale o pitagorico, in particolare per gli intervalli di 3° maggiore (es. do/mi). Per fare questo è necessario intervenire sugli in-tervalli delle 5 e 4 alzando o abbassando di qualche “comma” il loro valore naturale. L’effetto che si ottie-ne, sempre che si suoni con al massimo 1/2 bemolli o diesis in chiave, è molto gradevole perché gli armoni-ci si sommano e il suono risulta più cristallino e am-plificato di quanto non si abbia con temperamento equabile; quest’ultimo infatti, come si evince dal ter-mine che lo qualifica, rende tutti uguali i rapporti tra le note. Molto probabilmente per i musicisti antichi il temperamento equabile doveva risultare terribilmente “stonato”. C’è da dire che questo temperamento, man mano che si affinava la tecnica compositiva e si mi-grava pian piano dalla modalità pura verso la tonalità, cadde in disuso per lasciare spazio a temperamenti che permettevano di suonare partiture con più alterazioni in chiave. Vallotti, Kirberger e Werckmeister furono i più noti fra teorici e musicisti che si dedicarono allo studio del problema e ancora oggi questi temperamen-ti (codificati con il loro nome) vengono impiegati dai musicisti che eseguono filologicamente le esecuzioni specialmente per strumenti a tastiera risalenti ai diffe-renti ambiti geografici e stilistici. La viola da gamba non suonava solo in consort, esiste una compagine strumentale detta “broken consort” letteralmente “insieme rotto” che si è sviluppata in particolare in Inghilterra durante il regno della regina Elisabetta ed era impiegata per accompagnare le voci. La composi-zione dell’organico era prevalentemente questa: 3 strumenti a pizzico – liuto, cittern e bandora 2 strumenti ad arco – violino e viola da gamba 1 flauto – a becco o traversiere

broken consort

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Le sonorità prodotte da questo insieme sono molto particolari con un’ottima combinazione tra suoni per-cussivi (pizzichi, per la bandora e il cittern corde di metallo) e suoni più “legati” (archi e fiati) per collega-re il tutto. La viola da gamba e la bandora erano utiliz-zate per raddoppiare i suoni gravi (basso-baritono), il liuto e il cittern per gli intermedi (tenore-alto) e il vio-lino e il flauto per le voci acute (alto-soprano). Questo tipo di consort fu attivo soprattutto in Inghilterra dove nacque la bandora e il cittern ebbe la massima diffu-sione. Di questi e di altri pizzichi tratterò nei prossimi nume-ri di Lazio in Coro. In altre zone europee non esisteva una denominazione di tali organici, ma era spesso pre-sente un insieme formato da viola da gamba, liuto (come strumento armonico), trombone, dulciana e cor-netto, con una prevalenza evidente di fiati la cui sono-rità squillante era adatta ad accompagnare musiche più “energiche” come le battaglie o similari. In area vene-ziana, con i Gabrieli, Merulo e coevi si usa molto que-sta combinazione anche nelle composizioni sacre vo-cali, ne sono esempio le Sacrae symphoniae che arri-vano fino a 16 voci e dove almeno un coro è solo stru-mentale. La viola solista nel periodo rinascimentale e primo barocco ha una letteratura solista da far impalli-dire strumenti ben più blasonati e attuali. La maggior parte delle composizioni soliste continua a basarsi sulla musica vocale impiegando la tecnica del-le “diminu-zioni”. Cosa si intende per diminuzioni? È l’arte di scomporre una linea melodica, costruita con valori ritmici larghi, in figure ritmico/melodiche più brevi, normalmente crome, semicrome e semibiscro-me. L’effetto che si vuole ottenere è l’abbellimento della linea con ornamentazioni virtuosistiche che met-tono in primo piano l’abilità dell’esecutore. Tale tecni-ca è stata codificata da importanti teorici e musicisti tra i quali spiccano Sylvestro Ganassi che scrive nel 1542-43 la Regola Rubertina, Diego Ortiz con il suo Tratado de glossa overo Glose sopra le cadenze et altre sorte de punti in la musica del violone del 1553 edito a Roma (glosas è il termine spagnolo che traduce la parola “diminuzioni”), Girolamo della Casa, Il Vero Modo di Diminuir con tutte le sorti di stromenti (1584), Francesco Rognoni, Selva di Varij Passaggi del 1620, e ancora Bassano, Bassani, Bonizzi, Virgiliano e Selma y Salaverde. Si può notare che quasi tutti i nomi elencati sono italiani e anche quando non lo sono, come nel caso di Ortiz, si riferiscono ad autori che vivono ed operano in Italia. Ciò sta a dimostrare quanto fosse elevato il livello tec-nico della viola da gamba e come fosse importante nel panorama musicale italiano. Un’idea chiara ce la offre proprio Rognoni nel suo trattato parlando della viola da gamba: «La viola da gamba è instrumento delicato, in particolar se vien suonata con bella arcata accentata con i suoi tremoli, con passaggi regolati che siano ben

compartiti, con arco ben serrato alla viola, discernen-do ben le corde. [ ... ] Al violino da gamba il diminuir con gratia e sopra al tutto bell' arcata». Le diminuzio-ni sono generalmente praticate sui madrigali e in forme diverse. La prima è trattare, attraverso questa tecnica, una voce sola, generalmente il soprano alla quale spes-so viene destinata la melodia più bella, mentre le altre vengono suonate da strumenti quali il liuto o il cemba-lo. A questi ultimi è richiesto di non suonare la voce che si sta diminuendo, per non creare effetti di ridon-danza, mentre nella eventualità di esecuzione con le voci si può cantare la voce diminuita dallo strumento, poiché questo forma una sorta di intreccio nel quale il testo mantiene la sua valenza. La seconda tecnica è detta alla “bastarda”. Questo termine non ha evidente-mente nulla di dispregiativo, ma sta ad indicare il pas-sare, attraverso le diminuzioni, in tutte le quattro voci che compongono il madrigale. Questo grazie alla parti-colarità dello strumento che ha una estensione in grado di coprire perfettamente le altezze delle voci, dall’acuto al grave. Nel seicento nasce anche una taglia di viola da gamba che viene detta appunto “bastarda” e sempre Rognoni ci dice: «La viola bastarda, qual è Regina delli altri instromenti, per paseggiare (termine analogo al diminuire n.d.r.), è un instrumento, qual non è, ne tenore, ne basso de Viola, ma è tra l'uno, e l'altro di grandezza, si chiama Bastarda, perche hora và nell'a-cuto, hora nel grave, hora nel sopra acuta, hora fa una parte, hora un'altra, hora con nuovi contraponti, hora con pasaggi d'imitationi, ma bisogna avertire, che le imitationi non habbino più di sei, o sette risposte al piu, perche farebbe poi tedioso, e di disgusto, il mede-simo s'intende ancora de tutte le sorti d'instrumenti, perche le scole de valenti suonatori, non lo permetto-no, prohibiscono ancora nei pasaggi, far due ottave, e due quinte, con alcuna de l'altri parti, se non s' è più che sforzato, per seguitar qualche imitationi; si vedon' hoggidí molti che suonano ò il Cornetto, à Violino, ò altro instromento, che non fanno altro che paseggiare, ò sia buono, ò cativo, pur che sempre faccino pasaggi, rompendo la testa a chi sà del mestiero, ruvinando tut-to il canto, pensando che nei concerti, non sapendo che val più saper tener una nota con gratia, over un'arcata dolce e soave; che far tanti pasaggi fuori del suo do-ve» (Selva de varij passaggi secondo l'uso moderno per cantar e sonar con ogni sorte de strumenti, Milano, 1620). Da ciò che si legge risulta fondamentale, anche nell’ar-te di diminuire, una spasmodica attenzione a seguire la voce, il testo e le implicazioni ritmiche che esso com-porta, e a non esagerare nel dimostrare; per il puro gu-sto di autocompiacimento, la propria bravura. Questo insegnamento è alla base della musica d’insieme, sia essa strumentale o vocale/corale. Sempre a tali musici-sti e nello stesso periodo, sono dovute le diminuzioni scritte anche per le voci.

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È molto interessante rilevare, attraverso la compara-zione delle tecniche nei due ambiti e sugli stessi ma-drigali, quanto siano affini le clausole che compongo-no le diminuzioni e come sia necessario avere la me-desima sintonia e cantabilità per la loro esecuzione, segno sempre più evidente e rafforzante dello strettis-simo legame tra voci e strumenti che si instaura nel rinascimento e barocco. Per terminare questo breve escursus non si deve di-menticare che la viola da gamba è uno strumento fon-damentale per il basso continuo. La migliore combina-zione è certamente con il cembalo o la tiorba (sorta di grande liuto con lungo manico e bassi profondi impie-gato come strumento di basso continuo), proprio per la differenziazione dei timbri sonori e la capacità di inte-grarsi nella diversità. La viola da gamba lega il suono percussivo del cembalo che svolge anche la funzione essenziale di accentuare la struttura ritmica, resa più evidente dal suono secco dei plettri. Ancora più bello è il connubio con la tiorba per le affinità timbriche e costruttive che li accomuna. Quando il registro della parte del basso continuo non supera il Do fuori rigo della chiave del basso è più interessante l’impiego del violone accordato in Sol che, come accennato, impie-gando le corde centrali, evita il sovrapporsi di frequen-ze gravi prodotte dalla vibrazione “lenta” della corda. L’esecuzione del basso continuo non si deve limitare alla sola funzione di supporto armonico, come troppo spesso accade. Anche il basso continuo può e deve svolgere la sua parte melodica, cogliendo la stretta relazione con la parte del canto. Accentuare le note coincidenti all’accento tonico, legare con articolazioni adatte i passaggi più veloci o seguire i moti espressivi aiuta la libertà di conduzione delle linee soliste e rende il continuo parte fondamentale dell’opera. Di seguito un piccolo elenco di pubblicazioni disco-grafiche che possono aiutare a capire meglio lo stru-mento nella sua storia e nel suo impiego:.

Francesco Corteccia: Firenze 1539 - Musiche fatte nelle nozze di Cosimo et Leonora Dir. Gabriel Garrido, esecutori Schola "Jacopo da Bo-logna",Palermo Studio for Renaissance Music Centre de Musique Ancienne di Ginevra, Studio di Musica Rinascimentale di Palermo Ed. Tactus

Io canterei d’amor Madrigali diminuiti per consort di viole da gamba Ensemble Labyrinto direzione Paolo Pandolfo Ed Harmonia Mundi

Diego Ortiz, Recercadas dal Trattado de glosas Sil-vestro Ganassi, Ricercari e Madrigale dalla Regola Rubertina e Lettione seconda Bettina Hoffmann, viola da gamba soprano e basso Modo Antiquo CD Tactus, 1998 Ristampa: Brilliant, 2002

Lessons for the Lyra-violl - 1600 inglese Corkine, Ferrabosco, Anon. Jordi Savall Astrée (Auvidis) E 7750 [CD]

Tobias Hume – 1569-1645 Musicall Humors Jordi Savall Rec.: 02/1982 Astrée AS 77

Tobias Hume: Poeticall musicke (1605/07) Figueras / Hillier / Hespèrion XX - Jordi Savall Rec.: 02, 03 & 05/1983 Deutsche Harmonia Mundi 065 169 533 1

Ortiz: Recercadas del Trattado de Glosas Jordi Savall / Ton Koopman / Lorenz Duftschmid / Rolf Lislevand / Paolo Pandolfo / Andrew Lawrence-King Rec.: 04/1989 Astrée (Auvidis) E 8717

Marin Marais - 1656-1728 Le Labyrinth et autres Histoires Paolo Pandolfo (ed. Glossa)

J. S. Bach – 1685-1750 Sonatas for Viola da Gamba and harpsichord Paolo Pandolfo (ed. Harmonia Mundi)

Antoine Forqueray – 1671-1745 Pièces de viole avec la basse continuë Paolo Pandolfo (ed. Glossa; 2 CDs)

Se qualcuno volesse maggiori informazioni non esiti a scrivermi all’indirizzo [email protected] non garanti-sco la tempestività ma certamente una risposta! Grazie a tutti e alla prossima! Remo Guerrini

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