Viktor Šklovskij L Arte Come Procedimento

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  Viktor Šklovski j L’  ARTE COME PROCEDIMENTO «L’arte è pensiero che si attua per mezzo di immagini». Questa frase la si può sentire sulla bocca di un liceale, ed è, al tempo stesso, il punto di partenza per il filologo erudito, che intenda costruire una teoria della letteratura. È un concetto radicato nella coscienza di molti; uno dei suoi creatori è in- dubbiamente Potebnja, che afferma: «senza immagine non c’è arte, e in particolare poesi a» (  Note sulla teoria della letteratu- ra, p. 83). E altrove: «la poesia, come anche la prosa, è prima di tutto e principalmente un determinato modo di pensare e di conoscere» (ibid ., p. 97). La poesia è dunque un particolare modo di pensare e preci- samente un pensiero che si attua per mezzo di immagini: que- sto modo permette una certa economia di energie mentali, crea la «sensazione di una relativa facilità del processo», e il riflesso di questa economia è il sentimento estetico. Così, mi sembra, ha inteso e riassunto questa teoria l’accademico Ov- sjaniko-Kulikovskij, il quale, senza dubbio, s’è letto attenta- mente i libri del suo maestro. Potebnja e i suoi numerosi di- scepoli considerano la poesia come una specie particolare di pensiero, un pensare mediante immagini, e vedono la funzio- ne delle immagini nel fatto che esse raggruppano eventi e azioni eterogenee, e spiegano ciò che è ignoto mediante ciò che è noto. Ov vero , per dirla con le parole di Potebnja stess o: «Il rapporto dell’immagine con ciò che viene spiegato consiste in questo: a) l’immagine è il predicato costante di soggetti va- riabili, un costante mezzo per attrarre i cangianti contenuti delle app ercezioni... b) l’immagine è qualcosa di molto più semplice e chiaro di ciò che essa spiega» ( ibid ., p. 3 1 4) , cioè, «poiché lo scopo dell’atti vità immaginativa è quello di avvici- nare il significato dell’immagine alla nostra comprensione, e poiché senza di ciò l’attività immaginativa è priva di senso, l’immagine deve esserci più familiare di quello che viene da essa spiegato» (ibid ., p . 29 1). Sarebbe interessante applicare questa legge al paragone di Tjutčev tra i lampi di caldo e i demoni sordomuti, o anche a

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L Arte Come Procedimento

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  • Viktor klovskij

    LARTE COME PROCEDIMENTO

    Larte pensiero che si attua per mezzo di immagini. Questa frase la si pu sentire sulla bocca di un liceale, ed , al tempo stesso, il punto di partenza per il filologo erudito, che intenda costruire una teoria della letteratura. un concetto radicato nella coscienza di molti; uno dei suoi creatori in-dubbiamente Potebnja, che afferma: senza immagine non c arte, e in particolare poesia (Note sulla teoria della letteratu-ra, p. 83). E altrove: la poesia, come anche la prosa, prima di tutto e principalmente un determinato modo di pensare e di conoscere (ibid., p. 97).

    La poesia dunque un particolare modo di pensare e preci-samente un pensiero che si attua per mezzo di immagini: que-sto modo permette una certa economia di energie mentali, crea la sensazione di una relativa facilit del processo, e il riflesso di questa economia il sentimento estetico. Cos, mi sembra, ha inteso e riassunto questa teoria laccademico Ov-sjaniko-Kulikovskij, il quale, senza dubbio, s letto attenta-mente i libri del suo maestro. Potebnja e i suoi numerosi di-scepoli considerano la poesia come una specie particolare di pensiero, un pensare mediante immagini, e vedono la funzio-ne delle immagini nel fatto che esse raggruppano eventi e azioni eterogenee, e spiegano ci che ignoto mediante ci che noto. Ovvero, per dirla con le parole di Potebnja stesso: Il rapporto dellimmagine con ci che viene spiegato consiste in questo: a) limmagine il predicato costante di soggetti va-riabili, un costante mezzo per attrarre i cangianti contenuti delle appercezioni... b) limmagine qualcosa di molto pi semplice e chiaro di ci che essa spiega (ibid., p. 3 14) , cio, poich lo scopo dellattivit immaginativa quello di avvici-nare il significato dellimmagine alla nostra comprensione, e poich senza di ci lattivit immaginativa priva di senso, limmagine deve esserci pi familiare di quello che viene da essa spiegato (ibid., p. 291) .

    Sarebbe interessante applicare questa legge al paragone di Tjutev tra i lampi di caldo e i demoni sordomuti, o anche a

  • quello di Gogol fra il cielo e la pianeta del Signore!Senza immagini non c arte. Larte pensiero che si at-

    tua per mezzo di immagini. In nome di queste definizioni sono state compiute deformazioni mostruose, s tentato di interpretare anche la musica, larchitettura, la lirica come pensiero che si attua per mezzo di immagini. Dopo un quarto di secolo di sforzi, laccademico Ovsjaniko-Kulikovskij ha fini-to per relegare la lirica, larchitettura e la musica in un tipo particolare di arte non-immaginale, definendole arti liri-che, che si rivolgono direttamente alla sfera delle emozioni. E cos risultato che esiste un enorme campo dellarte che non un modo di pensare; ma una delle arti che rientrereb-bero in questo campo, cio la lirica (nella accezione propria del termine), cionondimeno del tutto simile allarte imma-ginale: ricorre egualmente alle parole, sicch cosa pi im-portante si passa da unarte immaginale a unarte non-immaginale senza accorgersene, e le percezioni che ne ab-biamo sono simili.

    Ma la definizione: larte pensiero che si attua per mezzo di immagini, e quindi (e tralascio i passaggi intermedi di equazioni note a tutti) larte prima di tutto creatrice di sim-boli, ha resistito ed sopravvissuta al crollo della teoria sulla quale era stata fondata. Ed viva soprattutto nella corrente del simbolismo, e in particolare presso i suoi teorici.

    Dunque, sono ancora in molti a credere che il pensare per immagini (le vie e le ombre, i solchi e le prode) sia la-spetto principale della poesia. Perci costoro dovrebbero aspettarsi che la storia di questarte immaginale secondo le loro parole consista nella storia del mutamento dellim-magine. Risulta invece che le immagini sono quasi immobili; da un secolo allaltro, da un paese allaltro, da un poeta allal-tro, si trasmettono senza mutare. Le immagini sono di nes-suno, divine. Quanto pi comprenderete unepoca, tanto pi vi convincerete che le immagini, che voi ritenevate create da un certo poeta, vengono da lui impiegate cos come le ha prese da altri, e quasi senza variazioni. Tutto il lavoro delle scuole poetiche si riduce allaccumulazione e alla chiarifica-zione di nuovi procedimenti per disporre ed elaborare i mate-riali verbali, e in particolare molto pi alla disposizione delle immagini che alla loro creazione. Le immagini sono date, e in poesia le reminiscenze di immagini preponderano sui pensie-

  • ri attuati per mezzo di esse.Il pensare per immagini non in ogni caso ci che unifica

    tutte le forme darte, o anche solo le forme darte verbale, e le immagini non sono qualcosa il cui mutamento costituisca lessenza del movimento della poesia.

    Sappiamo che sono frequenti i casi in cui vengono percepite come qualcosa di poetico, creato per il godimento artistico, espressioni che eran state costruite senza puntare minima-mente su una simile percezione; tale, ad esempio, lopinione di Annenskij sulla particolare poeticit dello slavo antico, o anche lammirazione di Andrej Belyj per il procedimento dei poeti russi del XVIII secolo, di collocare gli aggettivi dopo i so-stantivi1. Belyj se ne entusiasma, come per qualcosa di artisti-co, o pi precisamente, ritenendolo intenzionalmente artisti-co, mentre in realt un tratto particolare di quella lingua, dovuto allinfluenza dello slavo ecclesiastico. Quindi un og-getto pu essere: 1 ) creato come prosaico e percepito come poetico; 2 ) creato come poetico e percepito come prosaico. Questo dimostra che lartisticit, il valore poetico di un ogget-to il risultato della maniera in cui lo percepiamo; chiamere-mo poetici in senso stretto gli oggetti che sono stati creati con particolari procedimenti, aventi il fine di farli percepire con la massima certezza possibile, come artistici.

    La conclusione di Potebnja, che pu essere formulata cos: poesia = attivit immaginativa, ha creato tutta una teoria sul fatto che: lattivit immaginativa uguale allattivit simboli-ca, alla capacit cio dellimmagine di farsi predicato costante di soggetti diversi (conclusione che, grazie allaffinit delle idee, ha attratto i simbolisti: Andrej Belyj, Merekovskij col suo libro Eterni compagni, e che alla base della teoria del simbolismo). Questa conclusione scaturisce in parte dal fatto che Potebnja non distingue la lingua della poesia dalla lingua della prosa. E per questo non ha rivolto lattenzione al fatto che esistono due tipi di immagine: limmagine come mezzo pratico di pensiero, strumento per riunire in gruppi gli ogget-ti, e limmagine poetica, strumento per rafforzare limpressio-ne. Chiarisco con un esempio. Vado per la strada e vedo che un uomo col cappello, che cammina davanti a me, ha lasciato

    1 [Il russo moderno, a differenza dellitaliano, suole disporre laggettivo da-vanti al sostantivo cui si riferisce].

  • cadere un pacchetto. Gli grido: Ehi, cappello, hai perso il pacchetto! Questo un esempio dimmagine-tropo puramente prosaico. Altro esempio. Alcuni soldati sono schierati in formazione. Il capoplotone, vedendo che uno di essi non sta ritto sullattenti, gli fa: Ehi, cappello2, sta dritto! Questa unimmagine-tropo poetico. (Nel primo caso la parola cappello era una metonimia, nel secondo una metafora3. Ma non ci interessa tanto questo). Limmagine poetica uno dei mezzi per creare unimpressione pi intensa. Nella sua qualit di mezzo, ha una funzione equivalente agli altri procedimenti del linguaggio poetico, al parallelismo semplice e negativo, alla comparazione, alla ripetizione, alla simmetria, alliperbole: insomma, equivale a tutti questi mezzi di rafforzamento della sensazione delloggetto (oggetti possono essere anche le parole, e perfino i valori fonici); ma solo esteriormente limmagine poetica simile a quella delle favole, dei pensieri, come per esempio (cfr. Ovsjaniko-Kulikovskij in Lingua e arte) quando una bambina chiama cocomero una palla.

    Limmagine poetica uno dei mezzi del linguaggio poetico; invece limmagine prosaica un mezzo di astrazione: dire cocomero invece di testa soltanto astrarre dalloggetto una delle sue qualit, e la proposizione cocomero = palla non differisce per nulla dallaltra testa = palla.

    Si tratta di una forma di pensiero, ma non ha niente a che fare con la poesia.

    Anche la legge delleconomia delle energie creative appartie-ne al gruppo di quelle leggi che vengono comunemente accet-tate. Spencer scriveva: Alla base di tutte le norme che deter-minano la scelta e luso delle parole, troviamo la stessa esigen-za fondamentale: il risparmio di attenzione... Condurre lintel-letto per il cammino pi facile al concetto desiderato in mol-ti casi lunica mta, e comunque quella principale... (Filoso-fia dello stile). Se lanima possedesse forze inesauribili, le sa-rebbe certo indifferente quanto di queste forze inesauribili andasse perduto; sarebbe importante, forse, solo il tempo ine-

    2 [La parola russa ljapa (cappello) in senso traslato vale smidollato].3 [Questa contrapposizione stata ripresa e approfondita da Roman Jakob-

    son. Cfr. Due aspetti del linguaggio e due tipi dafasia, in Fundamentals of Language, LAia 1956].

  • vitabilmente speso. Ma dal momento che le sue forze sono limitate, bisogna aspettarsi che lanima aspiri a compiere i processi di appercezione per quanto possibile razionalmente, cio col dispendio relativamente maggiore (R. Avenarius). Come rimando alla legge generale della economia delle forze psichiche, Petraickij rigetta la teoria di James, capitata sul cammino del suo pensiero, del principio fisiologico degli af-fetti. Il principio delleconomia delle energie creative, che cos seducente in particolare nellesame del ritmo, fu ricono-sciuto anche da Aleksandr Veselovskij, che complet il pensie-ro di Spencer. Il pregio dello stile consiste proprio nel fornire la maggiore quantit possibile di concetti nella minore quan-tit possibile di parole. Anche Andrej Belyj, che nelle sue pa-gine migliori ha dato tanti esempi di un ritmo impedito, e per cos dire zoppicante, e che ha mostrato la complessit degli epiteti poetici (specialmente su esempi di Baratynskij), ritiene indispensabile parlare della legge delleconomia in un suo libro che rappresenta un vero tentativo eroico di creare una teoria dellarte sulla base di fatti non verificabili, tratti da libri ormai invecchiati, e di una grande conoscenza dei proce-dimenti della creazione poetica, nonch sul manuale di fisica di Kraevi per i ginnasi.

    Il concetto delleconomia delle energie, come quelli della legge e dello scopo della creazione, sicuri (forse) nel caso par-ticolare della lingua, cio sicuri nella loro applicazione alla lingua pratica, questi concetti, per le scarse conoscenze delle differenze tra le leggi del linguaggio pratico e quelle del linguaggio poetico, erano diffusi anche recentemente. Il rile-vamento del fatto che nel linguaggio poetico giapponese ci sono suoni che non si trovano nel giapponese pratico, fu si pu dire la prima indicazione concreta della non-coinciden-za dei due linguaggi. Larticolo di L. P. Jakubinskij sullassenza della legge della dissimulazione delle liquide nel linguaggio poetico, e la tolleranza da lui rilevata nel linguaggio poetico dellaccostamento, difficilmente pronunciabile, di suoni simi-li, una delle prime indicazioni di fatto, che reggano ad una critica scientifica4, della opposizione delle leggi del linguaggio poetico nei confronti di quelle del linguaggio pratico anche

    4 Poetika. Sbornik po teorii poetieskogo jazika, fasc. I, p. 38.

  • se, diciamo per ora, solo in questo caso5.Pertanto bisogna parlare delle leggi del dispendio e delleco-

    nomia nel linguaggio poetico, non in analogia con quello pro-saico, ma in ragione delle sue leggi particolari.

    Se ci mettiamo a riflettere sulle leggi generali della percezio-ne, vediamo che diventando abituali, le azioni diventano mec-caniche. Cos, per esempio, passano nellambito dellincon-sciamente automatico tutte le nostre esperienze; se uno ri-corda la sensazione che ha provato tenendo in mano per la prima volta la penna, o parlando per la prima volta in una lin-gua straniera, e confronta questa sensazione con quella che prova ora, ripetendo lazione per la decimillesima volta, sar daccordo con noi. Col processo dellautomatizzazione si spie-gano anche le leggi del nostro linguaggio prosaico, con le sue frasi non completate, e le sue parole pronunciate a met. un processo la cui espressione ideale lalgebra, in cui gli oggetti vengono sostituiti dai simboli. Nella rapidit del linguaggio pratico le parole non vengono pronunciate fino in fondo, e nella coscienza appaiono appena appena i primi suoni della parola. Pogodin (La lingua come creazione, p. 42) porta come esempio che, quando un bambino pensa la frase Les monta-gnes de la Suisse sont belles, la pensa sotto forma della serie di lettere L, m, d, l, S, s, b.

    Questa propriet del pensiero non solo ha suggerito la via dellalgebra, ma anche la scelta dei simboli (le lettere, e preci-samente le iniziali). Con questo metodo algebrico, gli oggetti vengono considerati nel loro numero e volume, ma non ven-gono visti: li conosciamo soltanto per i loro primi tratti.

    Loggetto passamano a noi come imballato, sappiamo che cosa , per il posto che occupa, ma ne vediamo solo la superfi-cie. Per influsso di tale percezione, loggetto si inaridisce, dap-prima solo come percezione, ma poi anche nella sua riprodu-zione; e precisamente con questa percezione della parola pro-saica, si spiega la sua non-ascoltabilit totale (cfr. L. P. Jaku-binskij) e quindi la sua non-pronunciabilit totale (di qui vengono tutti i lapsus).

    Dal processo di algebrizzazione, di automatizzazione del-loggetto, risulta una pi ampia economia delle sue forze per-cettive: gli oggetti o si danno per un solo loro tratto, per es. per

    5 Ibid., fasc. II, pp. 13-21.

  • il numero; oppure si realizzano come in base ad una formula, anche senza apparire nella coscienza.

    Avevo pulito in camera, e fatto il giro della stanza, mi sono avvicinato al divano, senza riuscire a ricordarmi se lavevo spolverato o no. Poich questi movimenti sono abituali ed in-consci, non potevo neppure avvertire che ormai era impossi-bile ricordarsene. Sicch, se avevo gi pulito il divano e me nero dimenticato, cio se avevo agito inconsciamente, era come se non lo avessi fatto. Se qualcuno coscientemente mi avesse visto, avrebbe potuto farmelo tornare in mente: ma se nessuno aveva visto, o aveva visto ma inconsciamente; se tutta la complessa vita di molti passa inconsciamente, allora come se non ci fosse mai stata (Appunti dal diario di Lev Tolstoj, Nikolskoe, 29 febbraio 1897 , in Letopis [Annali], dicem-bre 1915 , p. 354) 6 .

    Cos la vita scompare trasformandosi in nulla. Lautomatiz-zazione si mangia gli oggetti, il vestito, il mobile, la moglie e la paura della guerra.

    Se tutta la complessa vita di molti passa inconsciamente, allora come se non ci fosse mai stata.

    Ed ecco che per restituire il senso della vita, per sentire gli oggetti, per far si che la pietra sia di pietra, esiste ci che si chiama arte. Scopo dellarte di trasmettere limpressione del-loggetto, come visione e non come riconoscimento; pro-cedimento dellarte il procedimento dello straniamento degli oggetti e il procedimento della forma oscura che aumen-ta la difficolt e la durata della percezione, dal momento che il processo percettivo, nellarte, fine a se stesso e deve essere prolungato; larte una maniera di sentire il divenire dellog-getto, mentre il gi compiuto non ha importanza nellarte.

    La vita di unopera poetica (artistica) si muove dalla visio-ne al riconoscimento, dalla poesia alla prosa, dal concreto allastratto, dal Don Chisciotte scholasta e povero cortigiano che seminconsciamente prova umiliazione alla corte del duca , al Don Chisciotte di Turgenev, grande ma vuoto; da Carlo Magno alla parola korol (re); a misura dellagonia dellopera e dellarte, essa si estende, la favola pi simbolica del poema, e il proverbio della favola.

    Proprio per questo la teoria di Potebnja si contraddetta di

    6 [In italiano nel Diario di Leone Tolstoj (1895-99), Milano 1924, p. 90].

  • meno nellanalisi della favola, che egli studi esaurientemen-te, dal suo punto di vista. La sua teoria non arrivata fino al-lopera darte oggettuale, ed per questo che il suo libro non stato portato a termine. Com noto le Note sulla teoria della letteratura sono apparse nel 1905 , pi di tredici anni dopo la morte dellautore.

    Nel suo libro Potebnja elabor da cima a fondo solo la parte sulla favola7.

    Gli oggetti percepiti diverse volte, cominciano ad essere per-cepiti per riconoscimento: loggetto si trova dinanzi a noi, noi lo sappiamo, ma non lo vediamo8.

    Per questo noi non possiamo dirne nulla. La sottrazione del-loggetto allautomatismo della percezione si compie nellarte in vari modi: in questo saggio voglio indicarne uno, quello di cui si servi quasi costantemente L. Tolstoj, scrittore che, alme-no secondo Merekovskij, sembra rendere le cose come egli stesso le vede, fino in fondo, pur senza modificarle.

    Il procedimento dello straniamento in Tolstoj consiste nel fatto che non chiama loggetto col suo nome, ma lo descrive come se lo vedesse per la prima volta, e lavvenimento come se accadesse per la prima volta; per cui adopera nella descrizione delloggetto non le denominazioni abituali delle sue parti, bens quelle delle parti corrispondenti in altri oggetti. Porto un esempio. Nellarticolo Vergogna, L. N. Tolstoj strania il concetto di fustigazione in questo modo: ...denudare, gettare al suolo e battere con le verghe sulla schiena chi ha infranto le leggi; e alcune righe dopo: scudisciare sulle natiche denu-date.

    A questo punto osserva: E perch proprio questo stupido, selvaggio modo di causare dolore, e non un altro qualsiasi: pungere con aghi la spalla, oppure unaltra parte del corpo, o ancora, stringere con una morsa le mani o i piedi, oppure qualcosa del genere?

    Mi scuso per lesempio pesante, ma tipico della maniera di Tolstoj per toccare la coscienza. Una comune fustigazione vie-ne straniata sia con la descrizione, che con la proposta di cambiarne la forma, pur senza mutarne lessenza. Tolstoj si serve continuamente del metodo dello straniamento: in un

    7 Dalle Note sulla teoria della letteratura. La favola. Il proverbio. Il detto , Charchov 1914

    8 V. KLOVSKIJ, La resurrezione della parola, 1914.

  • caso (Cholstomer) il racconto viene condotto da un personaggio che un cavallo, e le cose vengono straniate non dalla nostra, ma dalla percezione che ne ha il cavallo. Ecco come vedeva listituto della propriet:

    Ci che essi dicevano della fustigazione e della carit cri-stiana, lo capivo bene, ma mi rimaneva del tutto oscuro il si-gnificato delle parole: il suo puledro, il proprio puledro, dalle quali apprendevo che gli uomini supponevano un legame tra me ed il palafreniere. In che consistesse questo legame, non potevo allora in nessun modo capire. Solo molto pi tardi, quando mi divisero dagli altri cavalli, compresi che cosa ci si-gnificasse. Allora non potevo assolutamente comprendere che volesse dire essere chiamato propriet di un uomo. Le parole: il mio cavallo si riferivano a me, cavallo vivo, e mi parevano altrettanto strane che le parole la mia terra, la mia aria, la mia acqua. Ma queste parole ebbero su me unenorme in-fluenza. Ci pensavo senza tregua, e solo molto dopo aver avu-to con gli uomini le pi svariate relazioni, compresi alla fine il significato attribuito dagli uomini a quelle strane parole. Il si-gnificato questo: gli uomini si fan guidare nella vita non dai fatti, ma dalle parole. Essi amano non tanto poter fare o non fare qualcosa, quanto poter dire dei diversi oggetti certe parole tra loro convenute. Le parole che essi considerano cos impor-tanti sono le parole mio, mia, che essi dicono di diverse cose, esseri e oggetti, persino della terra, degli uomini e dei cavalli. Si accordano perch di un dato oggetto, uno solo dica: mio. E colui che, per questo gioco tra loro concordato, pu dire: mio del maggior numero di oggetti, quegli stimato il pi felice di tutti. Perch sia cos non so; ma cos. Per lungo tempo mi ero sforzato di spiegarmi la cosa con qualche utilit diretta, ma vidi che ci non era esatto.

    Molti di quelli, per esempio, che mi chiamavano il loro ca-vallo, non mi cavalcarono mai, e mi cavalcarono invece degli altri. E non erano loro a nutrirmi, ma persone affatto diverse. Cos pure mi facevano del bene non quelli che mi chiamavano il loro cavallo, ma i cocchieri, i veterinari, e in genere gli estra-nei. In seguito, ampliato il cerchio delle mie osservazioni, mi convinsi che non soltanto in rapporto a noi cavalli, il concetto di mio non ha altro fondamento allinfuori del basso e anima-lesco istinto umano che essi chiamano sentimento o diritto di propriet. Luomo dice la mia casa, e non ci vive mai, ma si

  • preoccupa solo della sua costruzione e manutenzione. Il mercante dice la mia bottega, la mia bottega di stoffe, per esempio, e non ha un abito della stoffa migliore che si trovi nella sua bottega. C della gente che chiama propria la terra, ma non ha visto questa terra e non ci ha mai camminato. Ci sono uomini che chiamano propri altri uomini, e non hanno mai veduto questi uomini, e tutte le loro relazioni coi medesimi consistono nel far loro del male. Ci sono uomini che chiamano certe donne le loro donne o mogli, ma queste donne vivono con altri uomini. E gli uomini non aspirano nella vita a fare ci che stimano buono, ma a chiamare proprie il maggior numero possibile di cose. Ora sono convinto che in questo consiste lessenziale diversit degli uomini da noi.

    Alla fine del racconto il cavallo gi stato ucciso, ma la ma-niera di raccontare, il procedimento, non cambiato:

    Il cadavere di Serpuchovskij, che era andato per il mondo, mangiando e bevendo, fu messo sotterra solo molto pi tardi. N la sua pelle, n la carne, n le ossa servirono a nulla.

    E, come gi da ventanni quel corpo morto che andava per il mondo era un gran peso a tutti, cos anche il riporre quel corpo sotterra non fu per gli uomini che una fatica superflua. Gi da tempo egli non era pi necessario ad alcuno, gi da tempo era di peso a tutti; ma tuttavia i morti che seppellisco-no i morti ritennero che occorresse mettere a quel corpo gon-fio, che subito prese a disfarsi, una bella uniforme e dei buoni stivali, stenderlo in una bara nuova, con le nappine nuove ai quattro angoli, poi collocare questa bara nuova in unaltra di zinco, portarla a Mosca, e l scavare fra antiche ossa umane, e proprio l nascondere quel corpo putrescente, che formicola-va di vermi, con luniforme nuova e gli stivali lucidi, e ricoprire ogni cosa di terra.

    Cos noi vediamo che alla fine del racconto il procedimento applicato anche al di fuori della sua motivazione specifica. Con questo procedimento Tolstoj ha descritto tutte le batta-glie di Guerra e pace, che vengono rese soprattutto strane. Non riporter queste descrizioni perch essendo molto lun-ghe bisognerebbe trascrivere una parte considerevole del quarto tomo del romanzo. Allo stesso modo descrisse i saloni e il teatro:

    La scena era formata di tavole unite, e dai lati sorgevano tele dipinte che figuravano alberi; dietro cera una tela stesa su

  • tavole. Nel mezzo della scena erano delle fanciulle in corpetti rossi e gonne bianche. Una, molto grassa, in un vestito di seta bianca, sedeva in disparte su un panchetto basso, al quale era incollato dietro un cartone verde. Tutte cantavano qualche cosa. Quando ebbero finito il loro canto la fanciulla in bianco si avvicin alla cupola del suggeritore e a lei si accost un uomo, in calzoni di seta attillati su due grosse gambe, con una piuma al berretto e un pugnale, e si mise a cantare e ad agitare le braccia. Luomo in calzoni attillati cant un po di tempo solo, poi cant lei. Poi tacquero tutti e due, son la musica e luomo prese fra le sue dita la mano della fanciulla vestita di bianco, evidentemente aspettando di nuovo la battuta per ri-cominciare a cantare insieme. Ripresero a cantare in due e tutti nel teatro si misero a battere le mani e a gridare.

    Analogamente viene descritto il terzo atto: Ma ad un tratto venne la burrasca, nellorchestra si udirono delle scale croma-tiche e degli accordi di settima minore e tutti scapparono tra-scinando di nuovo una delle persone presenti dietro le quinte e cal il sipario.

    Nel quarto atto: ... cera un diavolo che cantava, agitando le braccia, finch le tavole del palcoscenico non si aprirono sotto di lui, ed egli piomb gi .

    Analogamente Tolstoj descrisse la citt ed il tribunale in Re-surrezione; e sempre a questo modo descrive, nella Sonata a Kreutzer, il matrimonio: Perch se due persone hanno unaf-finit spirituale devono andare a letto insieme?

    Ma il procedimento dello straniamento venne da lui applica-to non solo per descrivere un oggetto che vuole presentare in modo negativo:

    Pierre si alz dai suoi nuovi compagni e and in mezzo ai fal dallaltra parte della strada, dove gli dissero che cerano dei prigionieri. Desiderava parlare un po con loro: ma per strada una sentinella francese lo ferm e gli ordin di tornare indietro. Pierre torn indietro ma non verso il fal in direzio-ne dei compagni, bens verso un carro staccato dove non cera nessuno. Accovacciate le gambe e abbassata la testa, si sedette sulla terra fredda accanto ad una ruota del carro, e a lungo stette immobile e pensoso. Pass pi di unora, nessuno lo di-sturb. Allimprovviso scoppi a ridere, della sua risata grassa, bonaria, cos rumorosamente che alcuni si voltarono, da di-verse parti, con meraviglia, per guardare questo riso, evidente-

  • mente strano. Ah, ah, ah, rideva Pierre. E cominci a parlare tra di s: quel soldato non mi ha lasciato passare, mi han preso, mi han rinchiuso. Me, me, la mia anima im-mortale. Ah, ah, ah! rideva con le lagrime agli occhi. Pierre guard il cielo, la profondit delle stelle lontane, che brillava-no: e tutto questo mio, e tutto questo con me, e tutto que-sto sono io, pens Pierre. E tutto questo hanno preso, e hanno rinchiuso in una baracca recintata di tavole. Egli sorri-se e and a dormire vicino ai suoi compagni.

    Chiunque conosce bene Tolstoj, vi pu trovare centinaia di esempi di questo tipo. Questa maniera di vedere le cose, estratte dal loro contesto, lo ha condotto al punto da analizza-re i dogmi e i riti, applicando alla loro descrizione lo stesso metodo di straniamento, sostituendo cio ai termini abituali della consuetudine religiosa, il loro significato usuale; ne ri-sulta qualcosa di strano, mostruoso, che fu sentito da molti come sacrilego, e che li fer dolorosamente. Tuttavia era sem-pre lo stesso procedimento col quale Tolstoj sentiva e descri-veva lambiente circostante. La sua maniera di percepire ha scosso la sua fede, perch aveva toccato cose che a lungo non aveva voluto toccare.

    Il procedimento dello straniamento non esclusivo di Tol-stoj. Ne ho condotto una descrizione su materiale tolstojano in base a considerazioni eminentemente pratiche, semplice-mente perch lo conoscono tutti. Adesso, dopo aver chiarito il carattere di questo procedimento, cercheremo approssimati-vamente di definire i limiti del suo impiego. Personalmente, ritengo che quasi ovunque ci sia unimmagine, ci sia strania-mento.

    Cio la differenza del nostro punto di vista da quello di Po-tebnja pu venire cos formulata: limmagine non un sogget-to costante di mutevoli predicati. Scopo dellimmagine non lavvicinamento del suo significato alla nostra comprensione, ma la creazione di una particolare percezione delloggetto, la creazione della sua visione, e non del suo riconoscimen-to.

    Ma ancor pi chiaro pu essere lo scopo dellattivit imma-ginativa, verificata nellarte erotica. Qui abituale la rappre-sentazione delloggetto erotico come visto per la prima volta.

  • In Gogol, nella Notte di Natale:Qui le si fece pi accosto, tossi, sorrise, sfior con le sue

    lunghe dita il braccio nudo, grassotto di lei e con unaria che esprimeva scaltrezza e presunzione profer: E questo che co-s, magnifica Solocha? E detto ci fece un salto indietro.

    Come che cosa? Il braccio, Osip Nikiforovic! rispose So-locha.

    Uhm! il braccio! Eh, eh, eh! disse cordialmente conten-to del suo inizio il diacono, e fece un giro per la stanza.

    E questo che cos, preziosa Solocha? disse con la stessa espressione, avvicinandosi a lei di nuovo e prendendola leg-germente con la mano per il collo, e facendo allo stesso modo un salto indietro.

    Come se non lo vedeste, Osip Nikiforovic! rispose Solo-cha: il collo, e al collo un vezzo.

    Uhm! al collo un vezzo! Eh, eh, eh! e il diacono di nuo-vo fece un giro per la stanza fregandosi le mani.

    E questo che cos, impareggiabile Solocha?... non si sa che cosa avrebbe toccato adesso il sensuale diacono con le sue lunghe dita...

    Ed anche Hamsun, nel suo Fame: Due bianche meraviglie le spuntavano dalla camicetta.

    Gli oggetti erotici possono anche venire raffigurati allegori-camente, fatto che ci indica come, in realt, lo scopo non quello di avvicinare alla comprensione.

    A ci si riferisce la raffigurazione degli organi sessuali sotto forma di serratura e di chiave (per esempio negli Indovi-nelli del popolo russo, di Savodnikov, nn. 102-107) ; sotto for-ma di strumenti per la tessitura (ibid., nn. 588-91 ) , di arco e freccia, di cerchietto e bacchetta, come nella bylina di Staver (Rybnikov, n. 30) : il marito non riconosce la moglie, travestita da guerriero; ed essa domanda:

    Ti ricordi, Staver, ti ricordiCome da piccoli stavamo per la stradaE giocavamo al cerchietto9 insieme?E tu avevi la bacchetta dargento,E io avevo il cerchietto doro?E io ci riuscivo quasi sempre,Ma tu ci riuscivi ogni volta?

    9 [Il gioco del cerchietto consisteva nel centrare, con un cerchietto, una bacchetta infissa nel suolo ad una data distanza].

  • Dice Staver figlio di Godin: Ma io con te non ho mai giocato al cerchietto! - Dice Vasilisa Mikulina: Ti ricordi, Staver, ti ricordi, Quando imparavamo a scrivere insieme, E io avevo il calamaio dargento,E tu avevi la penna doro?E io ci intingevo quasi sempre,E tu ci intingevi ogni volta?

    In una seconda variante della bylina viene data anche la so-luzione:

    Allora minaccioso il messo Vasiljuska Sollev le vesti fino allombelico, Ed ecco il giovane Staver figlio di Godin Riconobbe il cerchietto doro...

    (Rybnikov, p. 171)

    Ma lo straniamento non soltanto il procedimento dellin-dovinello erotico, delleufemismo, la base e lunico senso di tutti gli indovinelli. Ogni indovinello o una esposizione delloggetto con parole che lo definiscono e lo delineano, ma che di solito non si applicano alla sua descrizione (del tipo due capi, due anelli, ed in mezzo un chiodino), oppure un singolare straniamento fonico, quasi uno scimmiottamento: ton da totonok per Pol i potolok (pavimento e soffitto) (D. Sa-dovnikov, n. 5 1 ), o slon da kondrik per zaslon i konnik (pedo-ne e cavaliere) (ibid., p. 177).

    Straniamento sono anche le immagini erotiche non in-dovinelli, per esempio tutte le mazze da crickett, gli aero-plani, le bambolette, i fratellini, ecc., delle canzonette.

    Queste espressioni sono come le immagini popolari di cal-pestar lerba o spezzare gli arbusti.

    Chiarissimo il procedimento dello straniamento nellim-magine largamente diffusa del motivo della posa erotica, in cui lorso e gli altri animali, oppure il diavolo (altra motivazio-ne del non-riconoscimento) non riconoscono luomo (Il pa-drone impavido, nelle favole grandi-russe: Note della Societ geografica russa imperiale, voi. 42 , n. 52 ; Raccolta della Russia Bianca di Romanov, n. 84 : Il soldato giusto, p. 344) .

    Molto tipico il non-riconoscimento nella favola n. 70 delle Favole grandi-russe del governatorato di Perm (raccolte da Ze-

  • lenin):Un muik arava un campo su una giumenta pezzata. Arriva

    da lui un orso e gli domanda: Zietto, chi ti ha pezzato la giu-menta?

    Io stesso lho pezzata. E come? Vuoi che te lo faccia anche a te? Lorso fu daccordo. Il muik gli leg le gambe con una corda, tolse dallaratro il vomere, lo fece scaldare sul fuoco e, dai!, a metterglielo sui fianchi: col vomere ardente gli bruci il pelo fino alla carne, rendendolo pezzato. Visto come si faceva, lorso se ne and. Si allontan un poco e si sdrai sotto un albero. Una gazza vol allora dal muik per beccargli la carne nel paniere. Il muik lacchiapp e le ruppe una zam-pa. La gazza vol sullo stesso albero sotto il quale era sdraiato lorso... Dopo la gazza, vol dal muik una grossa mosca nera, e posatasi sulla giumenta, cominci a punzecchiarla. Il muik lacchiapp, le ficc uno zeppetto nel sedere, e la lasci anda-re. La mosca vol e si pos sullo stesso albero dove stavano lorso e la gazza. Stanno li tutti e tre. Arriva dal muik sua mo-glie a portargli il pranzo nei campi. Il marito e la moglie pran-zarono allaria aperta, e poi lui cominci a rovesciarla per ter-ra. Vedendoli, lorso disse alla gazza: Padri miei! il muik vuole di nuovo pezzare qualcuno! La gazza dice: No, vuole rompergli una gamba! E la mosca: Macch! vuole ficcarle uno zeppo nel sedere!

    Lidentit del procedimento di questo brano con quello di Cholstomer evidente; lo straniamento dello stesso atto ses-suale sincontra molto spesso nella letteratura: per esempio nel Decameron raschiare la botte, la caccia allusignuolo, lallegro lavoro del feltraiuolo, ma questa ultima immagine non viene poi sviluppata in intreccio.

    Altrettanto spesso lo straniamento viene applicato alla raffi-gurazione degli organi sessuali. Una intera sfilza di intrecci basata sul loro non-riconoscimento, per esempio Afanasev, Favole intime: La donna pudica: tuttala fiaba basata sul fatto che loggetto non viene mai designato col suo nome, cio sul gioco del non-riconoscimento. Anche in Onukov, La mac-chia della donna (favola 525) , come nelle Favole intime, lorso e la lepre sanano la piaga. Al procedimento dello strania-mento appartengono anche le immagini del tipo pestello e mortaio, oppure lo diavolo e il ninferno (Decameron). Dello straniamento nel parallelismo psicologico scriver a

  • proposito della composizione dellintreccio. Qui torno a ripetere che nel parallelismo importante la sensazione della non-coincidenza in una rassomiglianza. Scopo del parallelismo, come in generale dellattivit immaginativa, la trasposizione delloggetto dalla sua percezione abituale nella sfera di una nuova percezione, cio una originale variazione semantica.

    Esaminando il linguaggio poetico nella sua dimensione fo-netica e lessicale, come nella modalit di collocazione delle parole e delle costruzioni semantiche costituite dalle parole stesse, troviamo dappertutto lo stesso segno della artisticit: il fatto che esso viene creato intenzionalmente per una perce-zione estratta dallautomatismo, e che la sua visione lo scopo stesso dellautore, e viene creata artificiosamente in maniera che la percezione vi indugi, e raggiunga la sua forza e durata pi alte possibili, per cui loggetto recepito non nella sua spazialit, ma, diciamo cos, nella sua continuit. A queste condizioni soddisfa anche il linguaggio poetico. Il linguaggio poetico secondo Aristotile deve avere il carattere dello stra-niero e del sorprendente; e in pratica risulta spesso straniero: sumerico per gli assiri, latino per lEuropa medievale, arabo per i persiani, vetero-bulgaro come fondamento del russo let-terario, o lingua inconsueta come lingua delle canzoni popo-lari, lingua corrente per quella letteraria.

    A questo possiamo ricondurre gli arcaismi largamente diffu-si nella lingua poetica, le difficolt della lingua del dolce stil novo (XIII secolo), la lingua di Arnaud Daniel col suo stile oscuro e le sue forme difficoltose (harte) che confidano nella difficolt della pronuncia (Diez, Leben und Werke der Troba-dour, p. 2 13) . L. Jakubinskij in un suo saggio ha mostrato le leggi della difficolt per quanto riguarda la fonetica della lin-gua poetica, nel caso particolare della ripetizione di suoni si-mili. Sicch la lingua della poesia una lingua difficile, diffi-coltosa, impedita. In alcuni casi particolari la lingua della poesia si avvicina alla lingua della prosa, ma ci non inficia le leggi della difficolt.

    Sua sorella si chiamava Tatjana: Per la prima volta con questo nome

  • Le tenere pagine del romanzo Con ritegno illuminiamo

    scrisse Pukin. Per i suoi contemporanei la lingua poetica usuale era lalto stile di Deravin, e lo stile di Pukin per la sua trivialit (di allora) appariva loro insolitamente difficile. Ri-cordiamo lorrore dei suoi contemporanei per il fatto che le sue espressioni erano cos da piazza: Pukin impieg il lin-guaggio popolare come un procedimento particolare per ri-chiamare lattenzione, precisamente come i suoi contempora-nei avevano usato in genere parole russe nel loro abituale par-lar francese (cfr. gli esempi in Guerra e pace di Tolstoj).

    Ma oggi capita un fenomeno ancora pi caratteristico. La lingua letteraria russa, che di origine straniera, tanto pene-trata nella massa del popolo che ha innalzato al suo livello molti elementi del linguaggio popolare, mentre in compenso la letteratura ha cominciato a mostrare una predilezione per i dialetti (Remizov, Kljuev, Esenin e altri ancora, tanto ineguali per talento poetico, e tanto vicini per la lingua, intenzional-mente provinciale); nonch per i barbarismi (la possibilit della comparizione di una scuola di Severjanin). Dal linguag-gio letterario alla parlata alla Leskov, passa adesso anche Maksim Gorkij. E cos la parlata popolare e il linguaggio lette-rario si sono scambiati di posto (Vjaeslav Ivanov e molti altri). Infine apparsa una forte tendenza verso la creazione di un linguaggio nuovo e specificamente poetico; capo di que-sta tendenza stato, come si sa, Chlebnikov. cos arriviamo alla definizione della poesia come linguaggio impedito, tortuoso. Il linguaggio poetico un linguaggio-costruzio-ne. La prosa linguaggio consueto: economica, regolare, fa-cile (dea-prorsa dea dei parti regolari, della giusta posizione del bambino). Parler pi particolareggiatamente dellimpedimento dellindugio, come legge generale dellarte, a proposito delle composizioni dellintreccio.

    Ma la posizione di coloro che propongono il concetto delle-conomia delle energie come di qualcosa esistente nel linguag-gio poetico e che addirittura lo definisce, sembra a prima vista motivata nella questione del ritmo. Sembra del tutto indiscu-tibile la spiegazione della funzione del ritmo che diede Spen-cer: Le battute dateci ad intervalli irregolari ci costringono a

  • trattenere i muscoli in una tensione eccessiva, talora inutile, perch non prevediamo la ripetizione della battuta; con la regolarit delle battute noi economizziamo energie. Questa che potrebbe parere unosservazione convincente, soffre di un difetto comune: la confusione delle leggi del linguaggio poetico con quelle del linguaggio prosaico.

    Spencer nella sua Filosofia dello stile non li distingue, men-tre invece ben possibile che esistano due tipi di ritmo. Il rit-mo prosaico, il ritmo della canzone di lavoro, della dubinu-ka10, da una parte sostituisce il comando: Su! avanti al mo-mento giusto, dallaltra alleggerisce il lavoro automatizzando-lo. Ed effettivamente marciare a tempo di musica pi legge-ro che senza, ma ugualmente pi leggero camminare con-versando animatamente, quando latto del camminare esce dalla nostra coscienza. Pertanto il ritmo prosaico importan-te come fattore di automatizzazione: mentre non cos il rit-mo della poesia. Nellarte c un order, ma neppure la colonna di un tempio greco attua con esattezza il suo order; il ritmo ar-tistico consiste nellinfrazione del ritmo prosaico. Tentativi di sistematizzazione di queste infrazioni sono gi stati intrapre-si: rappresentano il compito odierno della teoria del ritmo. Si pu pensare che questa sistematizzazione non riuscir: in realt, il fatto che si tratta non di un ritmo complesso, ma della infrazione del ritmo, e di uninfrazione tale da non poter essere prevista. Se questa infrazione entrasse in un canone, perderebbe la sua forza di procedimento impediente. Ma toccher le questioni del ritmo in maniera pi particolare, quando dedicher loro un libro specifico.

    1917 .

    10 [Canzone russa cantata durante un pesante lavoro fisico].