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INTRECCI Le reti di solidarietà nel contesto del territorio provinciale aretino ed il loro ruolo nella prevenzione La pubblicazione è stata curata da Simona Bertolino e Bruna Cantaluppi

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INTRECCI

Le reti di solidarietà nel contesto del territorio provinciale aretino ed il loro ruolo nella prevenzione

La pubblicazione è stata curata da Simona Bertolino e Bruna Cantaluppi

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Premessa

On.le Donella Mattesini

Assistente Sociale

Intrecci: un termine suggestivo ed adatto ad illustrare gli obbiettivi, gli strumenti, le attese ed i risultati del bel

lavoro che è alla base di questa pubblicazione.

Mi ha colpito nell’introduzione la frase che dice: “forse l’inganno sta nel non osservare il quotidiano scorrere della

nostra presenza sociale come una intricata trama di persone, istituzioni, eventi, emozioni, azioni e reazioni che

trasmettono a chi non si lascia tentare da pregiudizi o stereotipi, l’immagine di un groviglio”.

Ecco è qui, sul termine “groviglio” che voglio soffermarmi, sul “groviglio da sgrovigliare”. Perché, a mio avviso, è

proprio la percezione e la proposizione del groviglio il fotogramma su cui soffermarsi; un fotogramma che è indice delle

potenzialità, ma anche dei grandi limiti.

Ma potenzialità e limiti di cosa?:

a) di ognuno dei soggetti dell’intreccio pubblici o privati che siano;

b) della lettura della complessità sociale, della programmazione e della gestione degli obbiettivi da raggiungere,

nonché il loro svolgimento e sviluppo;

c)della rete quella intricata trama di persone, istituzioni, eventi, emozioni, azioni e reazioni.

Parlo di potenzialità e limiti, perché la rete, per essere tale non deve ne’ essere ne’ apparire - per nessuno - un

groviglio, ma solo una fitta trama frutto di innumerevoli intrecci.

Premetto che la mia convinzione è che solo dove c’è un forte welfare-state, dove c’è un forte governo pubblico ci

sono altrettante reti forti e consolidate. Solo dove c’è un forte e trasparente governo pubblico c’è senso di cittadinanza, di

partecipazione e quindi presenza del terzo settore motivata. Solo dove c’è Stato forte e forte governo pubblico c’è

solidarietà intesa come ottica con cui promuovere e gestire la cosa pubblica.

Vedere per credere. Basta osservare in modo oggettivo le differenze nelle Regioni italiane per presenza del terzo

settore e per risultati nel benessere di vita delle persone; la Toscana in questo ha un primato importante, così come il

territorio della provincia aretina.

Tutto bene quindi, sia in Toscana che ad Arezzo?

In questi territori ci sono moltissime buone cose, ma si può e si deve migliorare, per lasciare alle spalle i grovigli e

dar vita agli intrecci, per usare questa suggestiva immagine evocata anche nel titolo.

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Ma non compete solo ai territori; oggi facciamo i conti con un processo di indebolimento del welfare direi in modo

molto chiaro ad un attacco allo stato sociale, di cui si avvertono sempre più i profondi scricchiolii, quasi le crepe e si vede

il fondo di una involuzione pesante per quanto attiene ai diritti dei cittadini e nella impossibilità dei soggetti competenti a

dare risposte efficaci nelle soluzioni e nei tempi.

Proprio perché i tempi sono difficili ed è sempre più complesso promuovere benessere sociale, fare prevenzione,

promuovere la cittadinanza, strutturare ed erogare servizi, dobbiamo maggiormente tentare il salto di qualità. Ed il salto

di qualità, al fine della migliore espressione della vitalità istituzionale ed associativa, sta a mio avviso in una parola:

“integrazione”: integrazione istituzionale, integrazione organizzativa e professionale. Integrazione come lettura comune e

condivisa della complessità, individuazione, programmazione e gestione condivisa. Integrazione vuol dire mettere al

centro “il/la cittadino/a, con i propri bisogni, ed è ad esso/a che bisogna rivolgersi non solo con l’erogazione di servizi o la

promozione di attività ma anche con la semplificazione dell’accesso ai servizi stessi. Sono i servizi, anche delle diverse

Istituzioni a doversi correlare e non il/la cittadina/o a far la trottola tra un servizio ed un altro, a fare da collegamento

insomma!.

La semplificazione oggi, dovrebbe essere un indice della qualità dei servizi stessi.

Occorre insomma uscire dai compartimenti stagni ed occorre integrazioni intra-istituzionale, infra-istituzionale,

organizzativa e professionale, la famosa multidisciplinarietà condivisa.

Per avere “INTRECCI E NON GROVIGLI” serve un cambio di passo.

Esistono tutte le potenzialità per accettare e vincere la sfida.

Ogni soggetto della rete ha nuove responsabilità anche se il ruolo fondamentale appartiene alle Istituzioni.

Serve una comune regia, un cast ben affiatato…insomma: tanti bravi attori, senza condivisione del copione,

senza regia unica non si fa un bel film solo dei piccoli cortometraggi!! E noi abbiamo invece tutti gli ingredienti per un film

da Oscar, purché portiamo sino in fondo la sfida dell’integrazione e della sussidiarietà.

Certo non aiuta l’attuale situazione che vede gli Enti Locali in ginocchio, senza risorse economiche ed umane;

non aiuta l’abbandono di quella splendida stagione della Legge 328 del 2000 che aveva disegnato in modo preciso

percorsi, competenze ed assegnato risorse per un moderno percorso di sussidiarietà. Ma anche in presenza di un

abbandono del welfare, di fronte all’avvicinarsi di un “cannibalismo sociale” esistono ancora sedi e strumenti capaci di

respingere questo attacco e nel contempo innovare.

In Toscana, nell’aretino le esperienze delle Conferenze di Zona, dei Piani Integrati di Salute, per esempio ci

dicono che gli strumenti ci sono ed anche le “buone prassi” da valorizzare e sulla base delle quali fare un ulteriore salto

in avanti.

Anche se e, non mi stanco di dirlo senza una forte spinta nazionale di promozione e sostegno al welfare, non ci

possono essere diritti garantiti, ne’ servizi erogati, non ci può essere sussidiarietà. Il rischio è quello di tornare alla

“carità”, sentimento e valore nobile, ma noi dobbiamo puntare a diritti esigibili e pretendere dalla politica nazionale una

cosa in particolare: la definizione dei L.E.A. - Llivelli Essenziali di Assistenza che sono la base di qualunque riforma e

senza i quali siamo alla discrezionalità.

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Proprio per questo occorre che sul piano programmatico, gestionale e valutativo si scelga di agire in “modo

integrato”. Senza una cabina di regia unica, programmatica, gestionale e valutativa, esistono solo singole e buone

azioni, si perde il valore profondo delle azioni.

Il volontariato, per esempio, se è lasciato all’azione del singolo è un bel gesto di carità, ma è discrezionale e non

incide in profondità, non modifica le situazioni. E’ una bella carezza mentre potrebbe essere una cura definitiva. Se

invece l’azione, il dono prezioso del proprio tempo e professionalità carica di umanità, si inserisce dentro ad un percorso

di lettura dei bisogni e di programmazione comune delle risposte, può succedere il grande miracolo del cambiamento e

del miglioramento duraturo, che riguarderà non solo il singolo ma l’intera collettività.

Ma se si parla di grovigli e non di intrecci, vuol dire allora che occorre fare anche altro.

La rete deve essere trasparente ed efficiente, se ci sono grovigli, fili o capi del filo da cercare, se c’è confusione di

ruoli, somma indistinta di obbiettivi, vuol dire che allora non c’è programmazione, non c’è certezza dei percorsi e forse

non ci sono obbiettivi condivisi, permanenti, verificati e verificabili. Ecco la sfida è tutta qui.

Ed insisto ci sono tutte le condizioni perché le importanti esperienze sinora sviluppate possano ulteriormente

migliorare e rendere visibile agli occhi di tutti quella trama di intrecci di cui essere orgogliosi.

Se sono confusi ruoli, contesti, comportamenti, responsabilità, anche i singoli soggetti sbiadiscono e con essi le

singole persone. E se si sbiadisce c’è anche meno riconoscimento, si spegne pian piano il senso di appartenenza e di

responsabilità e forse sta anche un po’ in questo meccanismo, il lento assottigliarsi della disponibilità al volontariato.

Voglio solo condividere un’altra osservazione:

Nella pubblicazione si dà conto di un importante lavoro fatto dagli Operatori di Strada, una professionalità recente

ma preziosa, una professionalità che deve essere ulteriormente valorizzata perché consente di arrivare là dove la

normale attività professionale ed istituzionale non arriva. Un lavoro che capta i cambiamenti, che coglie le richieste che,

altrimenti, arriverebbero molto tempo dopo alle orecchie di chi deve ascoltare.

Un lavoro, quello di strada, indispensabile per attivare politiche di prevenzione, fondate non solo e non tanto

sulla erogazione di servizi od attività, ma basate sulla consapevole partecipazione dei soggetti a cui sono dirette,

soggetti che diventano essi stessi i principali protagonisti. E se si previene si fa una cosa importante: si risparmiano soldi

pubblici, s’interviene prima che si manifestino i disagi, prima che i problemi sociali esplodano.

In tal senso, il lavoro presentato in questa pubblicazione e fatto con i giovani e sui giovani è davvero prezioso per

tutta la rete, direi per tutta la comunità. Parlo di comunità perché in realtà la rete e la solidarietà sono l’humus

fondamentale per far comunità che dovrebbe essere uno dei fini principali dell’azione di tutti noi.

E l’attenzione al mondo degli adolescenti e dei giovani oggi dovrebbe essere al primo posto, il principale impegno

di tutti.

Ed invece non è così. Anzi! La politica, per esempio, tutta la politica, quella governativa, ma anche quella

istituzionale amministrativa, così come l’economia, la cultura, i media sono indietro anni luce. Almeno in Italia.

In Italia l’interesse al mondo dei giovani si accende quando si tratta di affrontare il disagio giovanile; anzi

potremmo dire che è diffusa l’equazione: giovani = disagio giovanile.

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La frase più diffusa è: “i giovani sono il nostro futuro”, frase che mi dà brividi di rabbia ed ogni volta che la sento,

giuro mi arrabbio e mi ribello!

Intanto perché si è giovani oggi e non domani ed è oggi che dobbiamo risposte anche ai giovani, e poi perché il

disagio è una condizione umana e tutte le età ne sono attraversate, ed invece il mondo degli Adulti restituisce ai giovani

una immagine parziale e fuorviante di sé stessi, ed è responsabile di una cosa grave, la chiamo “furto di futuro”, perché

non riconoscere che “i giovani sono l’adesso e non il futuro” significa condannarli ad un presente sbiadito in cui magari si

perdono, e destinarli ad un futuro lontano in cui arriveranno privi di forze, in assenza di autostima, avendo lasciato per

strada la capacità di innovazione che i giovani portano sempre con sé.

Quanti sono i giovani presenti nei Consigli Comunali o Provinciali o Regionali? O nelle Giunte? Ma qual è l’età

media dei parlamentari? Quanti giovani dirigono aziende? Quanti sono i giovani, non precari, che insegnano

all’Università? Quanti sono le Istituzioni che hanno un serio, strutturato assessorato alle politiche giovanili? Quanti sono

a preoccuparsi del fatto che oggi la disoccupazione giovanile è in Italia il 30% circa? Quanti sono a preoccuparsi

dell’assenza di luoghi d’incontro per giovani nei paesi, nelle città? Nel territorio aretino, per esempio, ci sono molti centri

anziani e devono esserci, magari nascerne di nuovi ma Centri giovani? Pochissimi, tranne i pochi CIAF a suo tempo nati

dal finanziamento nazionale e regionale.

E se poco ci occupiamo dei giovani, ancor meno ci occupiamo degli adolescenti.

Concreto esempio di ciò è anche la risposta evidenziata nella pubblicazione, là dove emerge che gli adulti non si

rendono conto che, anche nei loro paesi si consumano droga ed alcool.

Un mondo degli adulti distratto e che allontana, non volendo riconoscere il problema, anche la propria

responsabilità di adulti.

Ecco, il lavoro di strada svela ciò che sino a quel momento pur esistendo, risultava “sommerso”. Dà voce ai

problemi, alle responsabilità individuali, collettive ed istituzionali, apre insomma a nuove strade da percorrere con

coraggio e determinazione: Insieme.

Sottolineo e faccio mia la conclusione, là dove si afferma che il problema di fondo sia la quasi totale mancanza di

dialogo tra amministratori ed adolescenti; da una parte gli adolescenti che “borbottano” ma non hanno il coraggio di

esprimere liberamente le proprie idee, dall’altra gli amministratori forse sono un po’ sordi riguardo a sporadici sussulti dei

giovani.

I risultati di questa ricerca e della pubblicazione, commissionata proprio da soggetti pubblici, sarà sicuramente

uno strumento in grado di aiutare tutti ad individuare modalità, contenuti ed obbiettivi capaci di far sentire tutti ed ognuno,

al centro della propria Comunità e far diventare i luoghi pieni di relazioni e di cose e non luoghi dove “non c’è niente”

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Premessa

Laura Volpini

Docente di Psicologia Giuridica

Università di Roma “La Sapienza”

Che cosa significa parlare oggi di “rete”? Questa domanda se la son posta le Autrici di quest’interessante volume,

che - in modo originale - parlano di “intrecci”.

La rete o l’“intreccio” istituzionale, sociale e operativo che ruota intorno ad un intervento e al fare nel sociale, è

certamente sempre un tema aperto dal punto di vista dell’efficacia dei metodi e delle soluzioni.

L’interesse per la network analysis risale alla fine degli anni 60 con i lavori di Mitchell (1969), Barnes (1972),

Boissevain e Mitchell (1973).

La rete è un processo finalizzato a “legare” fra loro tre o più persone tramite connessioni e catene di significative

relazioni interpersonali.

Walcher et al.(1977) lo definiscono un insieme di contatti interpersonali per effetto dei quali l’individuo mantiene la

sua propria identità sociale, riceve sostegno emotivo, aiuti materiali, servizi, informazioni, oltre a rendere possibile lo

sviluppo di ulteriori relazioni sociali.

Per analizzare il processo di rete e la sua efficacia, gli studiosi valutano:

1) La multiplessità (multiplexity) che è il numero di ruoli o relazioni che connettono tra loro due o più persone;

2) La simmetria (simmetry) ovvero il rapporto di potere o di vantaggio che si stabilisce tra le persone o tra i gruppi;

3) L’intensità (intensity) del coinvolgimento in un legame;

4) L’ampiezza (range) del numero di attori coinvolti in un legame;

5) La densità (density) ovvero la quantità di interrelazioni fra gli attori;

6) L’interconnessione (reachability), che è il numero medio di legami necessario per connettere almeno due attori,

nel percorso più breve;

7) La settorialità (clustering), che è il grado in cui l’intera rete può essere suddivisa in distinte sottounità.

La complessità degli intrecci di legami e di rapporti attorno ad un singolo caso o ad un progetto, pone in modo

sempre più pressante l’esigenza di organizzare la rete dei professionisti (educatori, psicologi, assistenti sociali, volontari,

forze dell’ordine ecc.) nella prospettiva del case managment.

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La finalità è quella di coordinare e razionalizzare l’utilizzo delle risorse professionali esistenti in modo da evitare

sprechi e sovrapposizioni, permettendo all’utente di avere tutti gli aiuti di cui ha bisogno.

Si tratta di una scelta di metodo che consente letture multiprofessionali e la continua verifica del proprio lavoro,

attraverso il confronto e il contraddittorio costruttivo con altre visioni del problema e diverse metodologie di lavoro (De

Leo, 1995).

Il metodo del case managment consente:

a) Di verificare l’intervento attuato dal singolo;

b) Di verificare l’ intervento attuato dal servizio in termini di efficienza ed efficacia;

c) La possibilità di mettere in circolo e quindi rendere più efficaci le singole letture specialistiche;

d) La possibilità di mettere alla prova le proprie ipotesi;

e) L’incremento delle capacità revisionali nel rapporto fra condizioni attive, strategie d’intervento, risorse attivabili;

f) Il rispetto reciproco e la valorizzazione delle diversità di ruolo, di conoscenza, di metodo;

g) L’esplicitazione di tali diversità per la costruzione di codici e linguaggi condivisi;

h) La capacità di mettersi dal punto di vista (competenze, vincoli, e risorse connessi al ruolo) dell’altro, come

disponibilità ad utilizzare le informazioni e le opinioni provenienti da altre visioni professionali (De Leo, Patrizi,

2004).

Già Jacobson (1961) concepiva “la rete” come un capitale insostituibile di una città, che ogni volta che viene

perso, per qualsiasi causa, il reddito da esso prodotto scompare fino a quando un nuovo capitale viene accumulato. La

rete quindi va intesa come capitale sociale di un territorio, di una città; come risorsa e come bene per i cittadini e per i

soggetti a rischio.

Ma anche ciascun individuo, seppur in condizione di disagio, rischio o devianza è portatore di una sua propria

micro-rete sociale, che può e dovrebbe costituire per lui e per gli operatori, un capitale sociale da riattivare, potenziare,

mettere in sinergia, per il raggiungimento di obiettivi di prevenzione e integrazione.

La definizione di capitale sociale può far comprendere la portata innovativa di questa concettualizzazione sul

piano delle strategie efficaci di intervento.

Coleman J. (1988) definisce il capitale sociale come qualità di una relazione sociale che ne fa una risorsa per

l’azione razionale, individuale e assume varie forme, fra le quali le principali sono:

1) Obbligazioni ed aspettative reciproche (fiducia),

2) Canali informativi,

3) Norme sociali.

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Il capitale sociale è dunque composto da elementi riferibili al singolo attore (reti individuali, sistemi

familiari/relazionali, contatti sociali) ed elementi normativo/istituzionali (condivisione di norme comportamentali,

aspettative di ruolo, scambio di informazioni, fiducia).

Le caratteristiche del capitale sociale sono: l’intangibilità sia del suo oggetto che è la relazione sociale, ma anche

delle sue potenzialità e dei processi costitutivi, al contrario del capitale tradizionale riferibile a beni materiali ed

economici; l’azione posta a fondamento del capitale sociale ed intesa come motivazione alla crescita sociale; il valore

che si configura non come caratteristica del bene ma come attributo della persona o dell’azione che lo esprime; è

dunque insito nei rapporti stessi ed è l’espressione della sfera emozionale ed affettiva.

Il capitale sociale quindi come buona pratica, come obiettivo e come strumento di lavoro dell’operatore e

dell’esperto di intervento sociale.

Questo ricco lavoro di Simona Bertolino e della cara amica Bruna Cantaluppi, è la testimonianza dei molteplici

contesti, esperienze, progetti, intrecci, presenti nel territorio aretino, rivolte a diversi gruppi di soggetti.

In questo contesto mi sembra utile accennare allo sforzo, mostrato dalle esperienze e dai progetti presentati di

“agganciare” i giovani, attraverso significative metodologie, come il lavoro di strada ed il peer to peer .

Si parla molto di disagio giovanile. Dalla ricerca svolta sempre dalle Autrici, sembra che i giovani intervistati

sottovalutino la portata dei comportamenti di rischio, come l’uso di alcol o sostanze stupefacenti, riconducendoli alla

consuetudine di certi contesti e momenti di divertimento.

Approfondendo i significati delle risposte date dai ragazzi, emerge un bisogno dei giovani di sentirsi parte attiva di

una comunità, di avere spazi di identità in cui sentirsi protagonisti e in cui sia più facile sentirsi a proprio agio nei rapporti

con gli altri.

Le domande dei giovani sembrano essere sempre più volte ad un bisogno di contesti dove - con l’ausilio degli

adulti che siano punto di riferimento - sia possibile sviluppare e indirizzare la propria personalità e le proprie scelte.

Il premio Nobel Amartya Sen (2006) sostiene che il prodotto interno lordo di un paese dovrebbe essere misurato

non tanto in base alla ricchezza materiale prodotta, quanto alla produzione di benessere delle persone.

La realtà rappresenta in questo volume ci indica che nel territorio aretino ci sono importanti risorse istituzionali e

operative che possono potenziare la loro sinergia, il loro coordinamento, le loro strategie d’intervento, nell’ottica di offrire

maggiori opportunità; nella direzione della prevenzione del disagio, del rischio e della devianza.

Attraverso la conoscenza e la capacità di far convergere gli “intrecci” della propria realtà sociale e del proprio

territorio, e’ possibile - come operatori, professionisti e istituzioni - rendersi parte attiva, per il benessere e l’integrazione

dei giovani, degli anziani, degli stranieri, dei cittadini in genere, che debbono tornare ad essere il centro dell’azione

sociale e politico istituzionale.

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poiché la questione è sempre

come

tra possibilità e cambiamenti

selezionare

gli elementi davvero fondamentali

e fare

della confusione un mondo che duri

come ordinare simboli e segni

così che continuino

a formare nuovi disegni

sviluppandosi

in nuove tonalità armoniche

così da tenere viva la vita

con la complessità

e la complicità

di tutto ciò che esiste

Kenneth White – Lungo la costa 2005

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Introduzione

Sono i poeti a trovare le parole per descrivere la realtà esprimendo ciò che si vive e si sente, oppure le parole a

volte ingannano o come dice Calvino ne “Le città invisibili”: l’inganno non è nel discorso ma nelle cose.

Forse l’inganno sta nel non osservare il quotidiano scorrere della nostra presenza sociale come un’intricata trama

di persone, istituzioni, eventi, emozioni, azioni e reazioni che trasmettono, a chi non si lascia tentare da pregiudizi o

stereotipi, l’immagine di un groviglio.

Sappiamo tutti cos’è un groviglio, quelle cordicelle, nastri, spaghi che abbiamo conservato slegando un pacchetto

o la confezione del pasticciere; se lo mettiamo in un sacchetto e lo chiudiamo con uno spago, questa trama di fili,

disordinato e confuso non sarà sgrovigliato prima di aver individuato un percorso ragionevole e convincente, di

osservazione.

Certo avere a disposizione tante matasse e costruire una tela può sembrare più facile.

Forse ...

Per ripartire invece dal groviglio da sgrovigliare vorremmo fare riferimento alla vita quotidiana che rappresenta

l’incrocio tra previsto ed imprevisto, abitudine e cambiamento, ordine e confusione, dato che è lo spazio sociale in cui

incrociamo altre persone, con cui diventa necessario contrattare il nostro rapporto con la società e con gli eventi che ci

circondano, in un confronto spesso non ricercato.

Per questo Intrecci vuole rappresentare la realtà di un territorio vivace e attivo, indagando su solidarietà e rete,

parole che diventano fondamentali nel contesto in cui andiamo ad operare, per agire sulla qualità della vita della

comunità di cui ci occupiamo , anticipando problemi e disagi che si presentano e che la comunità stessa esprime

cercando attraverso una relazione positiva il modo di affrontare insieme.

Quanto abbiamo osservato e indagato inizia con l’approfondire le parole che abbiamo usato per ricercarne il

significato evidenziandone la matrice etimologica, cercando di recuperare il significato originale che permette di avere

più chiaro il senso della nostra indagine.

Per le definizioni delle parole abbiamo fatto riferimento al prof. Gianvittorio Pisapia, Facoltà di Psicologia -

Università di Padova, che con la sua competenza ed intelligenza è stato nostro maestro ed al suo dizionario “Le parole

di criminologia” – ed. Decembrio 2002.

La radice etimologica della nozione di “contesto”, dal latino contèxtus, stretto legame, trama (di un discorso) cum

texere richiama l’idea dell’intrecciare insieme, collegare, continuare senza interruzione, comporre un tutto in più parti:

connettere; in quanto connessione delle azioni e delle relazioni all’interno di un determinato ambiente, consente di dare

significato alle opere ed alle relazioni e, nello stesso tempo è costruito, non solo simbolicamente dalle azioni e dalle

relazioni che si originano e si sviluppano al suo interno.

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Un contesto è regolato da norme, regole e procedure, appunto di contesto, ma nello stesso tempo al suo interno

si originano e si sviluppano norme, regole e procedure che riguardano le azioni dei soggetti. In questo senso un contesto

è sempre uno spazio normativo. Non è possibile concepire un individuo astratto da contesto in quanto è all’interno di

questo che egli matura esperienza.

Dal momento che il contesto non è solo il luogo nel quale si sviluppa azione sociale, ma è il campo al cui interno

è possibile costruire azione sociale, non può essere rappresentato come uno spazio interamente precostituito.

La nozione di contesto non è da assimilare a quella di ambiente con la quale si indica l’insieme delle condizioni

fisiche, sociali, culturali, politiche, ecc. che influiscono sulla vita e sul comportamento di un organismo.

Il termine “rete” indica da un lato delle realtà spaziali concrete (le reti ferroviarie, stradali, la rete delle

telecomunicazioni, ecc.) che presentano la particolarità di essere immediatamente delimitabili; dall’altro il suo utilizzo

indica in ambito sociale, gli insiemi di relazioni tra persone che non si incrociano necessariamente nello stesso

momento. Si parla, in questo caso, di “rete di relazioni” che si struttura attraverso contatti diretti tra alcuni individui che la

compongono. Una rete è, per esempio un insieme di persone che si conoscono e sono unite le une alle altre da legami

di parentela, amicizia, vicinato, lavoro.

Questa estensione del significato del termine rete rispetto a quello originario consente di arricchire la nozione con

immagini di fluidità e di complessità ma anche, inevitabilmente, di instabilità e di variabilità.

In questo senso una rete può essere intesa come una situazione mobile, nella quale ogni cambiamento introdotto

in uno dei nodi è suscettibile (anche se in pratica è raro che avvenga) di modificarne l’insieme.

E’ uno di quei termini “magici” che, ad un certo momento, acquistano una rilevanza nel lavoro sociale, in quanto

contengono la proprietà aggiuntiva di poter essere utilizzato per interpretare il comportamento sociale delle persone

coinvolte.

“Solidarietà (dal francese solidaritè e dal latino solidare come rinforzare, da solidus = saldo) è testualmente la

reciproca dipendenza delle parti in un tutto, cosicché ciò che avviene in una di esse si ripercuote sulle altre; sul piano

morale è quel sentimento che lega ogni individuo al gruppo e sta ad indicare anche il vicendevole aiuto materiale e

morale tra membri della società.

La solidarietà non è una strada a senso unico ma a due corsie, una di andata e una di ritorno.

Contrariamente all’assistenza ed alla beneficenza, la solidarietà rinvia ai vincoli condizionali delle relazioni sociali

ed alle regole del contesto.

Essa si caratterizza come un processo circolare che comporta un’assunzione di responsabilità da parte di tutte le

parti coinvolte e la salvaguardia dei diritti collettivi; il che comporta la costruzione o la ricostruzione della coscienza di

appartenere ad una comunità, condividendone le necessità.

Questo termine richiama quindi la necessità di una cultura della regolazione sociale legata non solo allo spazio

fisico del territorio, ma anche al luogo nel quale si declinano le relazioni sociali e se ne costruiscono i significati.

Richiamando il Discorso di Pericle (461 A.C.) per cui: “ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice

versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione”, possiamo dire di essere parte di una

comunità in cui dovremmo sentirci protagonisti e non comparse, per costruire insieme maggior bene-essere, maggior

tranquillità, condividendo interessi comuni, attenti a quello che ci circonda ed alla ricerca di quella “felicità pubblica” che

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ci fa essere cittadine/cittadini consapevoli e non sudditi, che crea quella relazione tra uguali cioè quel discorso

appassionato tra cittadini che a turno parlano ed ascoltano. L’oggetto di questo discorso è il bene comune e le

circostanze che possono metterlo a rischio.

“Prevenzione” come indica la sua matrice etimologica è l’anticipazione di eventi, fatti, situazioni non desiderati

o considerati dannosi.

Nell’uso tradizionale del termine significa anticipazione della devianza e del disadattamento, con implicito un

avvertimento circa le sanzioni alle quali va incontro chi sfugge alle maglie del controllo sociale.

Potrebbe risultare utile, sul piano operativo, accogliere un’accezione di prevenzione quale insieme di attività che,

basandosi su un controllo comunitario delle relazioni sociali, metta i membri di una collettività nella condizione di

osservare, interpretare e modificare le situazioni nel loro divenire.(da Parole di criminologia, Gianvittorio Pisapia, ed.

Decembrio 2002)

Queste pagine costituiscono la tappa di un viaggio, uno dei tanti che potrebbe essere intrapreso nel territorio -

ancora in buona parte inesplorato - delle relazioni che si costituiscono in una comunità che si sente impegnata ad

osservare, ricercare, confrontarsi, elaborare esperienze senza avere paura di proporre e sperimentare un cammino

comune per rendere più saldi e condivisi i valori in cui si riconosce.

Il progetto-indagine ha semplicemente l’ambizione di suggerire, alla luce di quanto emerso, altri possibili percorsi

di miglioramento della rete, ri-partendo da un ascolto attivo delle molteplici esperienze che qui sono rappresentate, per

stimolare nuove opportunità di intervento, ricercando sempre maggior relazione con tutti gli attori del territorio e

arricchendo il proprio percorso con apporti diversi.

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Il territorio

La provincia di Arezzo si estende “Intra Tevero et Arno”, per un'area di 3.231,95 kmq, in senso nord-sud dal

monte Falterona alla riva settentrionale del lago Trasimeno ed in senso ovest-est, dai monti del Chianti al versante

orientale dell'Alpe della Luna, fino all'isola amministrativa aretina di Badia Tedalda in terra marchigiana.

Entro questi limiti si distinguono alcune zone geografiche ben precise: la breve pianura aretina tra la confluenza

del Canale Maestro della Chiana nell'Arno e le colline aretine; il Casentino, che corrisponde all'alta valle dell'Arno ed è

compreso tra l'Alpe di Catenaia ad est ed il Pratomagno ad ovest; la seconda parte del Valdarno Superiore, con i suoi

fertili terreni alluvionali, che comprende il tratto di valle in cui il fiume, dopo aver aggirato il gruppo del Pratomagno,

scorre tra questo ed i monti del Chianti; la Valdichiana, fondo di un antico bacino lacustre a sud-ovest della piana di

Arezzo, oggetto di progressive bonifiche fin dall'epoca rinascimentale, che scollina nel senese la Val Tiberina nella parte

orientale della provincia, tra l'Alpe della Luna a est e l'Alpe di Catenaia a ovest, ove si snoda il corso superiore del

Tevere.

La popolazione di circa 325.000 abitanti, risiede nei 39 comuni il cui capoluogo Arezzo conta circa 100.000

abitanti ed uno dei comuni più piccoli, Montemignaio solo 620.

Le sue vallate: Valtiberina, Casentino, Valdichiana, Valdarno e zona Aretina sono territori differenti per condizione

fisica, economica, sociale, culturale, politica. La Terra di Piero, chiaramente riferito a Piero della Francesca si presenta

come un territorio ricco di cultura, di siti archeologici, di paesaggi turistici, di luoghi sacri, di artigianato e di piccole

imprese, di gente tranquilla ed ospitale.

Terra ricca di storia ne porta i segni nelle tombe etrusche del Sodo e nel museo di Cortona ricco di reperti; nel

museo archeologico di Arezzo, prima etrusca e poi romana, con l’Anfiteatro romano, la Fortezza Medicea, nelle case

coloniche della riforma Leopoldina in Valdichiana, nei santuari di Camaldoli e de la Verna, itinerario francescano per

eccellenza, nel museo paleontologico del Valdarno -.patria di Masaccio - nella chiesa romanica di Gropina, nell’affresco

della Madonna del Parto di Monterchi.

Fino ad arrivare alle pagine eroiche della Resistenza, con le stragi di Vallucciole, San Polo e Civitella; guardando

con attenzione ai tessuti di panno del Casentino, al colore blu ottenuto dal guado, alle erbe medicinali della Valtiberina,

agli ori di Arezzo, ai vetri artistici del Valdarno ed alle centinaia di ospitali agriturismo e locande dove si possono gustare

i prodotti tipici e genuini di una terra dove l’agricoltura rappresenta una valida risorsa e dove i “custodi della terra”

ricercano e proteggono le antiche colture, i semi e le piante del nostro territorio.

Questo e molto altro ancvora è il territorio della provincia aretina, dove il capitale economico ha creato ricchezza,

ma il capitale sociale, economico e culturale cerca di creare benessere.

Questo affresco pierfrancescano non è esente dalle questioni che attraversano il nostro tempo, bisogni e desideri

della gente sono le stesse in tutta Europa e quindi anche nell’aretino.

Nonché i problemi attuali legati al mondo del lavoro, della scuola, della cultura, del vivere insieme.

Ma non è questo che interessa al momento.

Abbiamo preso in prestito una definizione di Vittorio Iervese, sociologo docente all’Università di Bologna, che

parla di “geografia emozionale dei luoghi” dove i luoghi non sono utilizzati per via della loro funzione ma per via della

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frequentazione che permettono, per individuare quelle mappe di conoscenza individuale in cui i componenti di una

comunità si mettono in gioco per far crescere la qualità della vita sul proprio territorio.

Così la ricchezza numerica e qualitativa delle associazioni presenti nel territorio aretino permette di avere un

quadro degli ambiti di intervento (sociale, sanitario, culturale, sportivo,ecc) e dell’intreccio tra pubblico e privato che si è

andato a creare sul territorio stesso.

Le associazioni di volontariato iscritte all’albo provinciale sono 226 di cui:

85 nel settore sanitario

74 nel sociale

12 in ambito culturale

10 nella protezione civile

2 nella tutele/promozione dei diritti

8 nel volontariato internazionale

Sono 79 le associazioni nella zona Aretina, 59 nella zona Valdarno, 34 nella zona Valdichiana, 35 nel Casentino,

e 20 in Valtiberina.

In tutto il territorio provinciale ci sono 85.874 soci aderenti, di cui 15.613 soci volontari e 421 lavoratori. (dati al

31712/2009 Albo Regionale, sezione provinciale di Arezzo).

Le associazioni di promozione sociale sono 107 e svolgono attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi,

senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati. Il numero dice la varietà dei loro interventi

e il numero di persone che a diverso ruolo sono impiegate nelle attività di riferimento.

La rete che si va rafforzando in questo territorio che contamina le esperienze e si arricchisce nel confronto è un

utile strumento di prevenzione su quanto avviene o potrebbe avvenire.

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Il progetto di ricerca

Il progetto che presentiamo è volto ad esplorare le coordinate socio-culturali generali in cui l’azione sinergica di

enti pubblici ed associazioni di volontariato e/o promozione sociale trova attuazione nello specifico territorio regionale

toscano; più in particolare nell’ambito della prevenzione di comportamenti a rischio relativamente ai luoghi di maggiore

frequentazione e di aggregazione di fasce significative della popolazione della provincia aretina, contesto in cui

l’Associazione “D.O.G.” (Dentro l’Orizzonte Giovanile) è da anni presente ed attiva.

Partendo da un’indagine sull’esistente e sul lavoro di relazione che gioca un ruolo importante per riconoscere,

stimolare e sostenere le energie che si intrecciano sul territorio, la ricerca vuole offrire un utile punto di vista, indicando

“buone prassi” ed ulteriore sviluppo di una già forte rete di solidarietà presente nella comunità che opera nel campo della

prevenzione e del benessere della popolazione tutta, mirata al rafforzamento di una sempre migliore qualità della vita.

Negli ormai dodici anni di presenza con progettualità finalizzate all’informazione, alla prevenzione, alla formazione

ed alla ricerca nell’ambito dei luoghi informali dell’aggregazione e del divertimento ed alla promozione della cultura

dell’agio, l’Associazione “D.O.G.”, lavorando in contesti informali ed in particolare nell’ambito della “strada”, luogo fisico e

simbolico dell'incontro o dell'indifferenza, opera a diretto contatto con i target e quindi anche giovani che vivono

situazioni di marginalità, diventando il legame con il territorio, le istituzioni, insomma con “gli altri”, valorizzando con

l’ascolto, la condivisione, la capacità di capire le culture, le situazioni, le paure, le potenzialità di chi incontra.

La ricerca proposta intende indagare, attraverso una mappatura del territorio le potenzialità dei gruppi che si

formano in aggregazione spontanea su interessi comuni (musica, sport, cultura, sociale, ecc) ed offrono spunti

progettuali di avanguardia, anticipando mode, stili di vita e proponendo esperienze nuove per costituire moderni punti di

riferimento ed opportunità di risposte a bisogni emergenti (pensiamo per esempio ai writers, agli skaters ecc); ponendo

un’attenzione ed un ascolto attivi ai problemi correlati alle diversità che rappresentano anche nel territorio aretino una

“cultura esistente”.

La forte relazione che si è costruita negli anni in un territorio ricco di esperienze con associazioni di volontariato e

di promozione sociale che lavorano in tavoli comuni con gli Enti pubblici a tutti i livelli (Comuni, Provincia, Prefettura,

Zone Socio Sanitarie, Scuola, U.S.L. ecc), mostra un quadro della complessa realtà delle reti e può offrire interessanti

possibilità di scambio ed incontro per lo sviluppo di nuove strutture di relazioni.

Intendiamo così promuovere il lavoro di rete supportando relazioni esistenti, intessendo attorno alle

problematiche della prevenzione e più propriamente alle questioni un reticolo di connessioni e collegando una pluralità di

fonti.

Possiamo dire per l’esperienza maturata in tutti questi anni che nel rispetto delle competenze e dei ruoli, ogni

attore del territorio si è coinvolto sui progetti lavorando fianco a fianco su temi finalizzati alla promozione dell’agio di uno

stile di vita sano, della prevenzione/informazione circa le varie dipendenze; avvicinando il mondo dei giovani e dei

lavoratori, intervenendo con attività di diversa incidenza educativa volte al miglioramento di tutta la comunità e dei

contesti di appartenenza.

Il progetto quindi, vuole mettere in evidenza quanto attraverso la comunicazione e la relazione i soggetti pubblici

e privati interagiscano con il mondo giovanile e non, affrontando la sensibilizzazione a temi e problematiche delicate a

cui la prevenzione può dare una risposta.

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Per questo intendiamo avvalerci come strumento di lavoro di un questionario mirato ai target che costituiscono le

reti di solidarietà e di promozione sociale per essere più consapevoli delle azioni che ognuno svolge e che ognuno attua

in relazione agli altri soggetti.

Diversamente dall’impostazione prevalente delle indagini in tema di reti di solidarietà centrate sul modello di casi-

studio, vogliamo affrontare il tema in termini di rilevazione estesa, attraverso il riferimento a campioni rappresentativi.

Per questo abbiamo scelto target specifici: il pubblico attraverso tutti gli enti che sono presenti sul territorio, le

associazioni di volontariato e di promozione sociale che proprio per la loro diversità di interventi nei vari ambiti,

rappresentano una grande ricchezza ed infine tutti coloro che a diverso titolo si sono rivolti al volontariato che opera

nelle attività di prevenzione ed hanno sperimentato la differenza delle risposte.

La ricerca prevede la somministrazione di 100 interviste al target indicato e saranno divise in modo proporzionale

alla popolazione nelle cinque zone in cui è distribuito il territorio della Provincia di Arezzo e cioè: Arezzo, Valdichiana,

Valdarno, Casentino, Valtiberina; strutturalmente diverse per popolazione, condizioni socio economiche e fisicità del

territorio.

La scelta della tecnica dell’intervista qualitativa è stata adottata al fine di lasciare spazio all’intervistato, il quale

risponderà con le proprie parole ed esprimerà la propria prospettiva inerente l’argomento in questione.

Le domande saranno predefinite sulla base di una traccia o griglia di intervista, la tecnica è quella del funneling

(formulazione delle domande “ad imbuto”), cioè verranno poste prima le domande più generali e poi quelle più

specifiche.

I questionari saranno di tre tipi: uno per gli Enti pubblici (Comuni, Comunità Montane, ASL, Società della Salute,

scuole ecc) che collaborano con le Associazioni; un secondo con le stesse Associazioni di volontariato e promozione

sociale che si occupano di prevenzione ed un terzo per gli utenti che ne hanno usufruito.

Tutti e tre i questionari sono stati elaborati con impostazione semi-strutturata: i primi due attraverso un intervista

aperta rivolta a persone chiave ed esperte del settore, le quali in virtù della posizione o del ruolo di rilievo che occupano,

potranno fornire informazioni preziose e rilevanti. L’ultima intervista invece è stata elaborata con domande più generiche,

rivolte agli utenti che non da meno offriranno un punto di vista altrettanto privilegiato di chi in maniera diretta, ha vissuto

o continua a vivere la propria esperienza con i servizi e le attività di prevenzione offerti.

L’obiettivo dei questionari è quello di capire attraverso le domande come le organizzazioni che fanno parte della

rete di solidarietà si adoperano per assumere un ruolo attivo e responsabile nei diversi contesti territoriali locali e in che

modo cercano di attivare, nel più ampio contesto del territorio provinciale aretino, solidarietà, sviluppo socio-culturale e

prevenzione, requisiti indispensabili per una buona e pacifica convivenza che favorisca l’inclusione sociale di chi a

diverso titolo si avvale dei servizi o delle attività di soggetti pubblici e privati che si occupano di tematiche inerenti il

disagio, i comportamenti legati alle dipendenze e la promozione dei corretti stili di vita.

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Il Lavoro di strada

Il lavoro di strada si pone in una nuova ottica di intervento socio-educativo che porta il focus dell’azione

direttamente nella strada. In parte diviene una risposta al bisogno di trovare nuove forme di intervento sociali capaci di

superare l’insuccesso, nonostante i tentativi effettuati negli anni ’80, delle politiche socio-educative centrate sulla

costruzione di servizi e centri di accoglienza.

Infatti la percentuale del cosiddetto disagio sommerso, cioè di coloro che pur vivendo situazioni di disagio non

giungevano ai servizi (sia pubblici che privati) continuava a rimanere molto alta.

Da qui è nata l’esigenza legittima di individuare nuove modalità di relazione e d’incontro con giovani e adolescenti

in situazioni di disagio, al fine di offrire loro l’opportunità di un aiuto meno formale.

La pedagogia del lavoro di strada infatti tesse la sua trama intorno alla scelta metodologica dell’andare verso quei

bisogni che non vengono espressi e che rimangono, in un certo senso, sommersi. Proprio in virtù di questo il lavoro di

strada oggi, viene considerato dai servizi e dalle istituzioni un’opportunità per raggiungere fasce di popolazione a rischio

di emarginazione (senza fissa dimora, persone in condizione di sfruttamento), devianza (tossicodipendenti) e disagio

(popolazione in generale con particolare riferimento ai giovani) che non arrivano ai servizi.

Dunque questa recente modalità di intervento socio-educativo pensa la strada come uno spazio di azione

pedagogica, un luogo positivo nel quale è possibile attivare un processo educativo di cambiamento. Andare verso ed

incontro alle persone nei loro luoghi di vita quotidiana è pertanto ciò che caratterizza questa pratica educativa e rende il

lavoro di strada un ponte di collegamento tra ciò che è istituzionale e ciò che è privo di qualsiasi struttura.

Allo stesso tempo diviene un’opportunità per osservare da vicino i bisogni del territorio, capace di vedere prima,

divenendo promotore delle risorse locali esistenti e aprendo canali di comunicazione sinora non esplorati.

La sua figura professionale, dell’educatore di strada è quella che va in giro per il quartiere, per la strada, nei

giardini, nelle piazze e ascolta, osserva, raccoglie informazioni, non formula giudizi. E’ colui che costruisce la propria

legittimazione professionale nella strada poiché diversamente da un servizio, nessuno in strada ha richiesto la sua

presenza; sa farsi prossimo, a volte stando in silenzio, accetta e rispetta il tempo del riconoscimento della sua presenza,

costruisce nell’incontro il setting del suo lavoro. E’ un attento osservatore poiché possa essere in seguito un facilitatore

della comunicazione e un buon mediatore.

In questa prospettiva il lavoro di strada diviene quindi una prassi continuamente sperimentale, situata e sempre in

essere. Non è un caso infatti che la ri-progettazione e la rimodulazione degli obiettivi sia una scelta metodologica al fine

di accogliere l’imprevedibile.

E’ da ricordare inoltre, che l’ambito del lavoro di strada abbraccia sia quello della promozione che quello della

prevenzione tanto è vero che a seconda dell’obiettivo si può parlare di educativa territoriale o sviluppo di comunità,

animazione di strada ed infine, di riduzione del danno.

Gli interventi che riguardano l’educativa territoriale sono finalizzati ad azioni di prevenzione primaria e gli operatori

lavorano con l’obiettivo di mantenere condizioni di agio e di benessere. Si agisce intorno alla percezione del disagio per

evitare che si sviluppi e si promuovono forme di partecipazione attiva. In questo ambito l’educatore è essenzialmente un

sollecitatore e un animatore.

Il secondo filone è il lavoro di strada propriamente detto o animazione di strada. E’ orientato a favorire occasioni

di aggancio e opportunità nei confronti di forme di disagio adolescenziali o giovanili. Sono persone che non sono in

contatto o non sono contattabili, con i servizi e con le realtà associative e che possono scivolare in ruoli devianti. Si

differenzia dal primo ambito per una precisa definizione del destinatario dell’intervento e inoltre perché le azioni di

prevenzione sono di tipo secondario, volte cioè a ridurre manifestazioni di disagio e comportamenti a rischio.

Il terzo filone è quello pragmatico definito di riduzione del danno; muove da un allarme sociale o dall’urgenza di

offrire soluzioni a temi scottanti come ad esempio l’Hiv o il fenomeno della prostituzione. Le azioni sono principalmente

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tese alla riduzione del rischio connesso alla trasmissione di malattie e di infezioni attraverso l’offerta di strumenti atti a

tale tipo di prevenzione (terziaria).

Il fine è quello di stimolare, e in un certo senso educare, il target ad adottare comportamenti non a rischio per la

propria salute e quella degli altri.

Nel lavoro di strada il contesto della relazione non è definibile e tanto meno visibile.

Non vi è come si è detto, un ambiente riconosciuto e circoscritto nel quale la presenza dell’educatore sia

legittimata dall’istituzione. Per questo egli necessita di un tempo per permettere al gruppo-target di essere accolto in

modo che non sia percepito con invadenza o come un controllore. Sarà poi l’incontro e l’avvio di un dialogo con l’utenza

a dare le mura alla relazione che diventerà, dunque, il setting.

Per questo ogni intervento di strada inizia sempre da una fase di mappatura cioè di conoscenza e di esplorazione

tout-court del territorio nel quale si andrà ad intervenire.

L’educatore inizia cioè a percorrere le strade del territorio in diverse ore della giornata, con qualsiasi mezzo, per

verificare in modo attendibile la presenza effettiva del target o delle problematiche che hanno dato il via alla

progettazione.

L’educatore è attento a cogliere tutti i segnali e la modalità con le quale il target utilizza l’ambiente e osserva il

rapporto che si istaura con gli altri frequentatori della strada o con gli abitanti. In questa fase si ascoltano e si raccolgono

le percezioni e le rappresentazioni che i vari attori del contesto di intervento hanno del target. Ma oltre ad elaborare una

mappa delle caratteristiche del target e una mappa delle relazioni, in questo tempo si cercano nel territorio tutte le

risorse presenti, ossia il complesso di servizi istituzionali e di associazioni di volontariato che operano in quel territorio.

Infatti ogni intervento di strada evidenzia l’importanza di mettere in rete tutte le risorse al fine di creare una maglia

forte capace di attivarsi e di rispondere al disagio.

L’avvio del lavoro di strada, la mappatura:

Si è detto che il lavoro di strada non ha un contesto di intervento definito a priori poiché non si può indicare un

luogo preciso nella strada dove realizzare il progetto. In realtà quando l’educatore inizia non ha informazioni sul territorio

nel quale andrà ad intervenire ne tanto meno conosce la modalità con la quale il target usa la strada. Ha dunque bisogno

di conoscere, di osservare, di raccogliere informazioni, di sostare nelle piazze, o nei giardini o nei muretti per

comprendere e sentire le problematiche ma anche le risorse possibili.

Inizialmente l’educatore è un osservatore neutro, un attento sensore di ciò che avviene (da chi viene frequentato,

se ci sono negozi, quali fasce orarie).

Inizia così la fase della mappatura, coessenziale al lavoro di strada.

“Mappare” significa conoscere e monitorare le risorse ed i comportamenti tipici di una zona. Si tratta quindi di

disegnare un'immaginaria cartina fatta di persone, associazioni, gruppi e quanto altro può caratterizzare una popolazione

e, in particolare, il target bersaglio del progetto.

L'osservatore dovrebbe idealmente mirare ad una condizione di "tabula rasa", pronto a recepire informazioni

nuove, a captare comportamenti non conosciuti per ricostruire una cultura (o subcultura) altra. Allo stesso tempo,

l’operatore è chiamato ad adattarsi al contesto in cui si trova inserito, senza modificarne il flusso.

Significa altresì conoscere una comunità in tutte le sue sfumature e nella sua vivibilità, ma anche entrarci in

contatto e soprattutto farsi conoscere. L'esplicitazione del ruolo diventa momento di primaria importanza. Si tratta di una

fase iniziatica, tipica della mappatura, che può condizionare l'esito del lavoro poiché il target può respingere la sua

presenza non avendo formulato nessuna richiesta.

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L’educatore, dunque, registra le modalità di aggregazione dell’utenza (orari, luoghi, età, sesso…) e quali risorse

offre quel territorio andando ad individuare quelle persone, chiamate in gergo testimoni privilegiati, che hanno contatto

con il target o che potrebbero divenire una risorsa per il buon esito del progetto.

Nondimeno la mappatura, oltre a fornire informazioni utili a conoscere il target secondo anche le rappresentazioni

e le percezioni locali, diviene momento importante per l’avvio del lavoro di rete. Infatti, come si è già detto, la mappatura

prevede la conoscenza delle risorse (circoli, bar, associazioni, uffici pubblici, scuole, oratori…) al fine di creare

condivisione e collaborazione. In questa prospettiva teleologica, il lavoro di strada mira a mettere le energie presenti

creando canali efficaci di comunicazione.

La conoscenza delle risorse solitamente avviene tramite la somministrazione di un’intervista alle risorse

individuate. Nella ricerca sono solitamente impegnati due operatori, caratteristica essenziale del lavoro di strada,

soprattutto per quanto riguarda i momenti di intervista.

Da un punto di vista metodologico essere in due crea vantaggi notevoli per la rilevazione di dati e di sensazioni:

mentre un operatore conduce l'intervista, l'altro può appuntare sia i contenuti delle risposte, sia i fattori ambientali rilevati

da riutilizzare poi nella ricostruzione del setting.

Inizialmente viene svolto un lavoro di contatto con le strutture, le istituzioni pubbliche, le associazioni e tutte le

realtà formali presenti nel territorio. Un contatto telefonico solitamente anticipa ogni incontro della durata di un'ora circa.

Da notare che prendere un appuntamento non sempre è facile: nessuno mai nega l'incontro stesso, ma conciliare tutte le

esigenze di orario è una delle difficoltà ricorrenti.

Contemporaneamente si svolge un lavoro di osservazione partecipata e di primi contatti con i gruppi o singoli nei

luoghi di ritrovo informali, adottando strumenti costruiti ad hoc in base a ciò che si vuole rilevare (questionari, interviste,

semplici dialoghi informali, schede di osservazione, diario di bordo ecc.).

Uno degli strumenti principali della mappatura è l'osservazione partecipata, proveniente dal paradigma

interpretativo, in cui l’osservazione è intesa come coinvolgimento diretto del ricercatore con l’oggetto studiato e la sua

interazione con gli attori sociali.

E’un tipo di approccio con il quale si entra in contatto empatico con il contesto che si vuole conoscere: se

l'obiettivo è la rilevazione di conoscenze, comportamenti e valori di un gruppo, l'osservazione partecipata è il mezzo

privilegiato per arrivare al fine. L'educatore entra in contatto con il gruppo e si mette sul suo stesso piano pur sempre con

la consapevolezza di svolgere un ruolo, in modo da ridurre il distacco tra osservatore ed osservato: la caratteristica

principale dell'osservazione partecipante è la totale assenza di giudizio morale e l'atteggiamento di accettazione di quello

che si osserva attraverso questa esperienza.

Osservare vuol dire confrontarsi facendo parlare le differenze, una inter-azione fra operatore e destinatario.

In una seconda fase, tutto ciò che è stato osservato durante le uscite nei luoghi scelti viene riportato in una

scheda di osservazione, contenente orari e luoghi, una descrizione del target, dei suoi comportamenti, spostamenti,

orari, look, ecc

L'uso di interviste semi-strutturate è un altro strumento di grande supporto per rilevare le percezioni e i modi di

pensare e di vivere il proprio ambiente, una riflessione al senso che si dà ad un dato fenomeno; esse vengono

adoperate soprattutto per i contatti con le risorse del territorio siano esse pubbliche o private.

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Si può fare, ovvero come i giovani da un'idea costruiscono un luogo di incontro

Le esperienze del territorio che qui riportiamo rappresentano i percorsi che i giovani hanno iniziato, cominciando

con l’incontrarsi in gruppi informali e discutendo insieme la possibilità e l’opportunità di costruire eventi di comune

interesse e luoghi di riferimento.

E’ la testimonianza di come essi sono in grado di organizzarsi ed è un percorso “in itinere” che continua a

crescere attraverso il confronto e la discussione che sono in grado di portare avanti.

Il lavoro sulla realtà giovanile andrebbe approfondito ed ampliato.

Infatti dovremmo conoscere più da vicino i giovani, osservarli maggiormente all’interno della loro realtà e

soprattutto interagire con loro per capirne davvero interessi, bisogni ed esigenze.

Questo porterebbe a comprendere realmente quello che desiderano e a pensare insieme idee e progetti che li

vedano protagonisti, coinvolti fin dal loro inizio, dalla fase progettuale, così che possano sentirsi veramente stimolati a

partecipare e a fare qualcosa che non sia pensato “ dagli altri per loro” ma “con loro e da loro stessi”.

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Il BETA BAR

Il Beta Bar così come lo vediamo oggi, nasce come frutto di un progetto di operativa di strada che si svolgeva nel

Comune di Terranuova nell’estate 2005. In questo periodo gli educatori operavano nelle compagnie informali di ragazzi

che “abitavano” il Parco Pubblico Attrezzato.

Il lavoro degli Operatori di strada riuscì a costituire una rete di intervento che aveva un duplice scopo: condividere

il progetto con tutti gli operatori che si occupavano a vario titolo di adolescenza e della realtà sociale e ottimizzare gli

strumenti di lavoro sviluppando canali operativi diretti.

Il lavoro con i ragazzi era mediato anche da alcuni strumenti come un questionario appositamente strutturato, il

quale permise agli educatori di sviluppare relazioni significative che presupponevano un clima di reciproca fiducia.

Nell’inverno dello stesso anno il lavoro svolto, permise ai ragazzi di formulare alcune richieste precise tra cui la

possibilità di gestire direttamente il piccolo chiosco bar presente all’interno del Parco Pubblico.

Quindi il Beta Bar partì nell’estate 2006 in maniera sperimentale, con un progetto non troppo definito, ma con

l’occhio costante di chi osserva, valuta e ripensa le proprie azioni.

A cosa si ispira

Ci sono diritti di cittadinanza importanti che le comunità locali devono saper riconoscere e promuovere con e per

l'adolescente. Tra questi il diritto a potersi esprimere, con forme e modi propri, personali punti di vista e domande, ma

anche poter ideare e contribuire alla creazione di nuove forme di comunicazione con la città (oppure nel nostro caso con

il paese) e nel rapporto con le generazioni adulte.

Il gruppo informale che si incontra agli angoli delle strade, delle piazze, negli spazi verdi o nei bar (nel nostro caso

al Parco Pubblico Attrezzato oppure al BETABAR) è pertanto luogo importante di crescita positiva, luogo di difficoltà, ma

anche di grande risorsa: "laboratorio di identità" in un momento difficile e complesso dello sviluppo personale quale

l'adolescenza e/o la gioventù.

Una condizione adolescenziale e giovanile definita a rischio non vive certamente al di fuori del contesto

territoriale: ne è parte integrante. È nel territorio che si producono e si esprimono benessere o malessere, relazioni

positive o difficili, comunicazioni più o meno significative.

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Oggi

Oggi il BB 2.0 è diventato un insieme di eventi, iniziative ed azioni fatte e gestite dai ragazzi. Ci sono due enti: il

Comune e la Cooperativa Beta che affiancano e sostengono i giovani nel gestire, programmare, e valutare l’operato.

Quello che emerge con più forza è dato dal fatto che il progetto Beta Bar produce dei modelli (buoni) di

comportamento, impegno e socializzazione che vengono fatti ed agiti dai giovani. Questi modelli toccano le tematiche

che più si avvicinano al mondo giovanile come: lo stare insieme, lo sport, l’amicizia ed anche il consumo di sostanze, le

regole e l’impegno.

Quando ai ragazzi chiediamo cos’è il Beta Bar loro rispondono così:

“…In fondo sarebbe molto più semplice descrivere cosa NON è il BB.

Il Beta Bar è un bar.

Il Beta Bar è un punto dove parlare.

Il Beta Bar è un luogo dove ascoltare. Dove attivarsi con: il ping pong, la pallavolo, il calcetto; o giocare una pigra (ma

appagante) partita ai videogames.

Il Beta Bar è un luogo dove rilassarsi. Dove si può discutere. Dove si può baciarsi. Dove mangiare un gelato. Dove

prendere un caffè perché oggi non ce la faccio. Dove prendere un cappuccino e una pasta che sennò non parte la

giornata. Dove fare due risate con le/i bariste/i, con lei/lui che ce lo trovo sempre o con qualcuno che magari nemmeno

conosci. Dove finalmente Sò dove andare, perché…ca**o! non c’era più niente per i giovani a giro.

Al Beta Bar puoi ascoltare ottima musica, scatenarti al ritmo dei concerti Rock come al ritmo dei dj set di musica

elettronica. E’ un luogo dove imparare, dove studiare. Dove comprendere a fondo le nostre iniziative, o staccare il

cervello sulle comode sedute lounge. Dove fare tutto, o assolutamente niente.

Al Beta Bar si prende una drink con chi potrebbe essere tuo nonno, e giocare una briscola con chi potrebbe essere tuo

figlio.

Al Beta Bar sarai sempre qualcuno, e con qualcuno.

Il Beta Bar è un posto…in cui si sta bene.

Il Beta Bar è il Beta Bar…”

Ti starai chiedendo, forse, probabilmente, oppure no, perché abbiamo aggiunto 2.0: ci siamo ispirati al “web 2.0”,

termine con il quale si indicava un’evoluzione della rete virtuale, nel nome dell’interattività. Per noi invece 2.0 è simbolo

sì di un’evoluzione (level_up), ma nel mondo REALE. Un Beta Bar che fisicamente si è aggiornato nel tempo, ha preso

pian piano colore. Un bar che è visibilmente nuovo, un bar in cui hai un ruolo attivo…ed interattivo.

In fondo queste sono solo parole. Dovresti venire a vivere il Beta Bar!!!

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…Inoltre

Nell’anno 2010, oltre alle attività che sono diventate “strutturate” come tornei, contesti musicali, serate a tema,

interventi di informazione e prevenzione….ecc, sono nate alcune iniziative più specifiche.

L’esigenza è nata dalla continua discussione e rimodulazione del progetto su alcune tematiche importanti quali:

A.i.s.m. durante due serate musicali è stato allestito uno spazio gestito dall’Associazione Italiana Sclerosi

Multipla per dare informazioni e raccogliere fondi;

Prevenzione: nel contesto della rete di interventi che abbiamo sviluppato quest’anno sono state organizzate

alcune serate di prevenzione all’uso di bevande alcoliche oltre che con gli Operatori di Strada anche con la

Polizia Municipale che ha dato indicazioni molto importanti ai ragazzi ed ha permesso di provare l’etilometro in

loro dotazione;

Dal mese di maggio opera nello staff del Beta Bar un ragazzo con la sindrome di Down che coadiuva i baristi

nello svolgere il lavoro. Il progetto è stato voluto e promosso dai ragazzi che hanno potuto ritrovare un loro ex

compagno di scuola in un contesto quotidiano;

Inoltre da marzo 2010 il gruppo di ragazzi del Beta Bar si è costituito in Associazione pur rimanendo supportati

dalla cooperativa Beta e dal Comune.

Terranuova Bracciolini sett 2010

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La Pancia della Balena - La Realtà Giovanile nei Comuni del Casentino

Il progetto è nato dalla volontà di far conoscere la realtà giovanile rappresentata dai ragazzi incontrati nel

percorso intrapreso dagli Operatori di Strada dell’Associazione “D.O.G.” durante la mappatura/ricerca/intervento svolta in

Casentino.

L’attuazione del progetto si è articolata in più fasi, da un’équipe multidisciplinare che ha partecipato ai vari

momenti di formazione, riunioni, supervisioni di gruppo ed incontri sia pubblici che privati con finanziatori, promotori e

cittadinanza; oltre alla realizzazione ed elaborazione di una ricerca nell’ambito delle varie manifestazioni locali rivolte ai

giovani Casentinesi.

Operativamente si è scelta la metodologia del lavoro di strada in quanto strumento privilegiato di connessione

all’interno del tessuto sociale, spendibile non solo sulla “strada”, appunto, ma in contesti che richiedono flessibilità e

informalità per il contatto diretto e privilegiato con certi gruppi difficilmente raggiungibili attraverso i classici modelli

operativi dei servizi.

La strada è uno dei luoghi privilegiati dagli adolescenti, in cui i fattori protettivi si sono persi; il nostro operare

riconosce la strada, il muretto, il bar come luoghi di incontro, di vitalità, di libera espressione, luoghi dove la voglia di fare,

l’espressività e l'eccentricità dei giovani possono essere tradotti in positivo, attraverso la formazione informale, piuttosto

che lasciare che diventino luoghi di disagio e di devianza.

Il lavoro di strada è quindi impiegato come possibile strategia per rompere la spirale delle incomprensioni,

andando ad incontrare giovani ed adulti nei "propri" luoghi di vita.

Fare prevenzione con i giovani o giovanissimi, non è solo dare informazioni, ma facilitare l’espressione, far

prendere coscienza delle proprie potenzialità, aumentare l’autostima, incoraggiare la ricerca della propria identità

attraverso modelli di riferimento sani ed alternativi a quelli proposti dal mercato del consumismo e dei mass media che

troppo spesso vengono vissuti dai giovani come irraggiungibili e creano una dimensione di sfiducia del sé.

La ricerca-intervento è nata come prosecuzione del progetto “Spazio Giovani”, la prima fase ha attivato un

corso di formazione “Attivare e sostenere gruppi e reti nel territorio per la prevenzione del disagio giovanile e dell’abuso

di sostanze” da cui si è formata un’équipe operativa a cui hanno aderito: Comunità Montana del Casentino, Ser.T zona

Casentino, i Comuni del Casentino, i CIAF del Casentino, Associazione “D.O.G. – Operatori di Strada” di Arezzo.

La realizzazione di una “mappatura” (attraverso il lavoro di strada), rivolta a giovani dai 15 ai 25 anni, negli

undici comuni che costituiscono il territorio del Casentino per conoscere i contesti di aggregazione giovanile informali,

gruppi e singoli individui ha permesso agli operatori di iniziare a preparare il campo e sensibilizzare verso il progetto.

Parallelamente, si è reso opportuno attivare sia le Istituzioni (Conferenza dei Sindaci, Forze dell’Ordine, Asl,

scuole, ecc.), sia le realtà significative del privato sociale, che inizialmente non hanno aderito al progetto,

(Informagiovani, circoli, centri di aggregazione, associazioni, parrocchie, ecc) per avviare una collaborazione nella rete

locale e promuovere una futura ed auspicabile connessione tra i vari interventi. In tal senso è stato possibile promuovere

e valorizzare le opportunità già esistenti che per vari motivi sono ad oggi ancora poco fruibili dai giovani cittadini.

Il modello di riferimento scelto si è basato non tanto sulla rimozione del disagio quanto sulla promozione

dell’agio, delle potenzialità, delle risorse, competenze e responsabilità dell’individuo per acquisire gli strumenti idonei alla

gestione dei problemi che si incontrano soprattutto nell’adolescenza.

Dai dati preliminari, raccolti attraverso il confronto e le esperienze degli aderenti al progetto, è emersa una

notevole difficoltà a comprendere quali siano gli interventi efficaci da poter realizzare nel territorio per il target sopra

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indicato. Le precedenti esperienze ci hanno insegnato come sia importante il coinvolgimento diretto della popolazione

bersaglio affinché l’opera pensata non sia soltanto il frutto di una riflessione degli addetti ai lavori ma soprattutto un

incontro con ciò che i giovani manifestano, avvalendosi della rete sociale esistente.

Tenendo conto della dislocazione degli undici comuni che interessano la zona casentinese: alcuni dislocati

lungo la valle, le grandi strade di comunicazione e la rete ferroviaria, altri nell’entroterra dove esiste una forte marginalità

con insediamenti prettamente montani, abbiamo cercato di essere il più possibile visibili e riconoscibili. Pertanto abbiamo

cercato di dare una dimensione dinamica al nostro operato andando direttamente incontro al target con una Unità Mobile

itinerante su tutto il Casentino.

L’intervento ha a visto la somministrazione di n. 405 questionari per rilevare i bisogni dei giovani, la percezione

che essi hanno sul mondo istituzionale e sulle offerte/servizi del territorio, il senso dei rischi legati al consumo di

sostanze stupefacenti ed alcol, i luoghi del divertimento e del tempo libero.

Parallelamente si sono effettuate interviste semi-strutturate e colloqui al privato sociale, ai servizi, ai testimoni

privilegiati ed operatori grezzi, cercando di comprendere le opportunità fornite dal territorio ai giovani cittadini, la

percezione che il mondo adulto e la comunità in generale ha sul mondo giovanile, ed avviare una rete di collaborazione

tra gli operatori che con i giovani lavorano. La raccolta dei dati si è concentrata su: ricostruzione topografica del territorio

che consiste nel conoscere i confini, le caratteristiche geografiche, gli insediamenti urbani ecc.; caratteristiche

demografiche: anagrafiche, distribuzione per fasce di età, flussi emigratori/immigratori, ecc.; profilo economico: attività

produttive, situazione occupazionale; dispersione scolastica.

Nel corso della mappatura (che si è svolta sia durante la settimana che nel fine settimana, in orari ogni volta

diversi, proprio per avere una visione completa), ci siamo resi conto che non ci sono gruppi ben definiti: i ragazzi

tendono a muoversi spesso e quindi per riuscire ad individuare con precisione le “compagnie” è stato necessario

prendere contatto con i ragazzi stessi, a volte dando dei veri e propri appuntamenti. Il nostro lavoro con i giovani oltre

che prevedere la ricerca ha avuto lo scopo di promuovere le offerte del territorio, informare circa servizi e iniziative, dare

indicazioni utili e strumenti per sapersi muovere tra le offerte territoriali, una sorta di formazione e orientamento sul

campo. Questo aspetto ha caratterizzato notevolmente il nostro operare, i ragazzi inizialmente non capivano bene lo

scopo:

“…ci sembra strano che degli operatori girino per le strade a dare informazioni…”

”…ma per conto di chi venite?...”

”…fate volontariato?...”

”…ma a cosa servono tutte le cose di cui parliamo?...”

Una miriade di domande ci ha accompagnato durante il nostro percorso, tante domande alle quali abbiamo

risposto con la consapevolezza di non innescare aspettative ma lasciando intravedere la possibilità di avviare un

processo di dialogo con il mondo adulto e soprattutto con le istituzioni, dalle quali la maggior parte dei giovani si sente

distante e non considerato.

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Ci siamo posti principalmente come strumenti di dialogo, di mediazione tra la strada e il servizio, tra l’adulto e

l’adolescente, per favorire il desiderio di prendere iniziative e svilupparle, senza lasciare che cadano nel vuoto per

mancanza di stimolo, ascolto, difficoltà a conoscere i percorsi giusti da attivare, diffidenza, demotivazione.

“…Ma tanto anche se si chiede qualcosa ci dicono sempre di no…”

Ad affermazioni come questa abbiamo cercato di rispondere rielaborando cognitivamente e emotivamente

l’esperienza vissuta. Il messaggio che abbiamo privilegiato è stato quello di cogliere l’occasione per raccontare con le

proprie parole di che cosa i giovani hanno bisogno. Il fatto stesso che fossimo un prolungamento dei servizi itinerante nei

luoghi della vita sociale e contestualizzato proprio in quel piccolo paese arroccato in cima alla collina, è stato uno stimolo

per abbattere quella barriera per cui si pensa che a nessuno interessa il vissuto dei ragazzi.

Spesso anche gli adulti hanno colto occasione per fare due chiacchiere informali con noi operatori, per

discutere scelte politiche fatte dagli amministratori, per dire la loro su varie situazioni della quotidianità, per elogiare o

criticare, semplicemente per il bisogno di essere ascoltati.

Anche nei confronti della cittadinanza locale, attraverso i testimoni privilegiati, la nostra opera è stata quella di

promuovere il progetto e la sensibilità che ha spinto le amministrazioni locali a fare una ricerca direttamente sul campo:

proprio per avvicinare quello spaccato che spesso delimita la zona tra l’informale ed il formale, tra la soglia a volte

ritenuta alta e difficile da varcare ed il servizio a portata di mano.

I dialoghi con i parroci delle varie località sono stati molti diversificati, c’è chi si è posto con una visione

prettamente religiosa e chi invece ha dato una lettura anche sociale ed educativa della comunità, chi ha parlato di

interazione tra i cittadini chi di distanza, chi si è reso disponibile a sostenere l’iniziativa e a rendersi facilitatore attraverso

le famiglie per il proseguimento dell’intervento, chi troppo preoccupato per il dilagante individualismo che sovrasta

l’umanità, chi rigido nel proprio ruolo di sacerdote ha ricondotto tutto ad un problema di fede religiosa. Tutti comunque

hanno accolto con piacevole sorpresa il progetto in essere.

La fase operativa, essendo iniziata nel periodo invernale, ci ha talvolta creato dei problemi, pertanto nella prima

fase ci siamo concentrati sul rapporto con le amministrazioni pubbliche e con i “testimoni privilegiati”, rimandando la

relazione con i ragazzi alla stagione primaverile.

D’inverno i giovani, durante la settimana, tra impegni scolastici e di lavoro escono nel tardo pomeriggio e di

rado dopo cena; nel fine settimana, dedicano il tempo allo svago con vere e proprie migrazioni verso i centri cittadini più

importanti. Abbiamo effettuato dei contatti e avviato relazioni con alcuni gruppi, soprattutto attraverso la nostra presenza

a momenti ricreativi e di festa quali: festa della birra a Pratovecchio, Marasmasound a San Piero, Carnevale di Stia,

concerto rock al Ciaf di Soci, festa studentesca del Liceo Scientifico di Poppi, festa estiva al Corsalone, concerto

Equalizer a Bibbiena, festa a Faltona, discoteca River Piper, festa dei Popoli a Soci.Durante queste manifestazioni sono

stati distribuiti i materiali informativi e somministrati i questionari.

Un dato interessante emerso è la scarsa o quasi inesistente interazione tra gli abitanti del luogo e gli stranieri

residenti. In alcuni paesi, esistono delle vere e proprie comuni, che mantengono le usanze del proprio paese. Da come

percepito anche attraverso le interviste e le osservazioni degli operatori, questo fatto aumenta le distanze, mentre

potrebbe rappresentare un motivo di scambio e conoscenza reciproche attivando strategie propositive e di azione dirette

da parte della comunità.

Dalla mappatura emerge inoltre che nella maggior parte dei paesi i gruppi che creano attività e feste

(soprattutto sagre gastronomiche, eventi ludici o sociali), sono le Pro-loco che, soprattutto nel periodo estivo, si

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adoperano per promuovere il luogo nel quale vivono. Diversa è la partecipazione che i giovani dedicano a queste attività,

di solito nei paesi più piccoli il coinvolgimento attivo è maggiore, forse a causa delle minori opportunità o per il senso di

appartenenza alla comunità più vivo, mentre cala sensibilmente nei centri più ampi. Anche se il sentimento di

appartenenza è presente in ogni paese varia di intensità: nei paesi più piccoli o nelle frazioni è alto e si parla di “…noi

di…siamo..”, e gli “altri ...sono...”, nei paesi più grandi invece l’appartenenza è più labile, forse perché questi vengono

frequentati da giovani di tutto il Casentino come punti di primo contatto. Questo dato viene confermato anche dalla

nostra esperienza durante le uscite: mentre quando abbiamo attraversato i centri più grandi nessuno ci ha mai chiesto

cosa stessimo facendo o dove stessimo andando, mentre nei paesi più piccoli le persone più facilmente ci chiedevano

con curiosità chi fossimo, cosa facessimo, dove andassimo.

Il lavoro di mappatura effettuato ha evidenziato le varie peculiarità e differenze soprattutto da un punto di vista

di risorse che ogni comune ha come caratteristica imprescindibile di cultura e struttura propria.

Si è rilevata a volte la capacità degli abitanti di esprimere appartenenza ad un territorio ed ad una comunità con

espressioni di alta potenzialità di coesione, aiuto e solidarietà, a volte invece si è rilevato la difficoltà degli stessi di

confrontarsi con le offerte presenti negli altri comuni della vallata.

Questo divario è molto accentuato nei comuni più lontani dai centri maggiori (Bibbiena e Poppi), dove i cittadini,

in mancanza di servizi si sono adoperati per costruire una rete di auto-sostegno.

Navigando in questo territorio ci siamo calati spesso nella dimensione vissuta dai giovani dei piccoli centri

montani, o di insediamenti urbani vissuti come luoghi di scambio con poco senso di appartenenza, e ci siamo trovati a

fare i conti con la realtà oggettiva: mezzi di trasporto e luoghi di aggregazione inesistenti. Ciò ha fatto si che arrivare

nella piazza con la Panda con le “balene agli sportelli”, creasse interesse curiosità e desiderio di parlare con noi

operatori.

Per quanto riguarda gli atteggiamenti, compresi quelli di trasgressione che comprendono anche il consumo di

alcol e sostanze psicoattive, si è rilevata la tendenza a vivere questa dimensione all’interno del gruppo di appartenenza,

percependola come “normale trand” legato al divertimento e al tempo libero, soprattutto nel fine settimana. Il consumo è

caratterizzato dalla tendenza a sperimentare sostanze diverse ad assumere atteggiamenti proposti dai miti di riferimento

e legati a particolari “stili di vita” inseriti nella normalità.

E’ alta la percentuale di consumo di alcol legato ad un uso ricreazionale nel fine settimana, mixato con altre

sostanze, con finalità di sballo e di interazione legati al divertimento. Le motivazioni che spingono al consumo sono

molteplici: l’uso di alcol e mix con altre sostanze viene percepito come un “consumo alimentare”, utilizzato per ottenere

benessere, vicinanza con l’altro, disinibizione; è un modo di vivere il divertimento entrando in relazione con l’altro, quasi

a colmare quel senso di vuoto ed inadeguatezza che il giovane vive nei confronti di una società che richiede prestazioni

sempre più complesse e difficilmente raggiungibili. Lo stereotipo di assumere sostanze ed essere considerato “drogato”

è ben lontano: il rischio di danni psicofisici e sociali non viene percepito.

Da parte degli adulti non emerge la percezione al consumo se non da parte di poche persone che sono a più

stretto contatto con la realtà giovanile, il confronto con l’idea dei consumi problematici di droghe e alcol è respinta dalla

maggior parte della comunità, si sostiene che nel paese in cui si vive la droga non esiste e l’alcol fa parte della cultura

locale. Insomma “la droga non si vede quindi non c’è”, questo contribuisce a far insorgere il fenomeno dei consumi nel

sommerso.

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Per noi operatori questo progetto, come tanti altri la cui caratteristica principale è quella di scambi di vissuto, di

interazione tra ricercatore e ricercato, di immersione in contesti a volte lontani, è stata un’ esperienza sia personale che

professionale: una crescita interiore fatta di emozioni, di sensazioni, di percezioni che difficilmente potremo scordare.

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Conclusioni.

Il lavoro di mappatura del territorio casentinese è stato lungo e faticoso perché i comuni erano tanti e il territorio

estremamente vasto. Va però detto che la percezione dei giovani riguardo all’ambiente in cui vivono è pressoché

omogenea: “…in Casentino non c’è niente…”.

Crediamo che il problema di fondo sia la quasi assoluta mancanza di dialogo fra Amministratori ed adolescenti:

da una parte gli adolescenti “borbottano” ma non hanno il coraggio di esprimere liberamente le proprie idee, dall’altra gli

amministratori forse sono un po’ sordi riguardo a sporadici sussulti dei giovani.

Il lavoro sulla realtà giovanile andrebbe approfondito ed ampliato. Infatti si dovrebbero conoscere i ragazzi più

da vicino, osservarli maggiormente all’interno della loro realtà e soprattutto, interagire con loro per capirne davvero

interessi, bisogni, esigenze. Questo potrebbe portare a comprendere realmente quello che desiderano ed a pensare

insieme idee e progetti che li coinvolgano fin dal loro inizio, dalla fase progettuale, così che possano sentirsi veramente

stimolati a partecipare e a fare qualcosa che non sia pensato “ dagli altri per loro” ma “ da loro stessi per loro”.

La realizzazione di questo potrebbe partire dalla creazione di spazi di ascolto reale e reciproco tra adulti e

giovani, per poter realmente condividere visioni ed idee; ma anche dalla possibilità che i ragazzi abbiano un contatto

maggiore e diretto con le istituzioni. Quindi sarebbe auspicabile un lavoro di mediazione tra questi due poli, a volte

distanti, ma che hanno l’interesse e il desiderio reciproco di conoscersi in modo più approfondito.

Le realtà associative presenti sul territorio sono una risorsa fondamentale. Anche qui però, la scarsa

collaborazione che a volte viene denunciata, porta ad una minor progettualità rispetto a quella che ci potrebbe essere, e

ad avere dei desideri di “ fare” che non sempre hanno la possibilità di concretizzarsi.

I luoghi di aggregazione, così come abbiamo visto sia durante la mappatura sia dalla rilevazione dei dati della

ricerca, sono rappresentati dai bar, che si caratterizzano come luoghi multifunzionali a seconda della fascia oraria e dalla

suddivisione degli spazi: sono luoghi delle prime colazioni, ma anche della pausa pranzo; dello svago pomeridiano per

adulti e ragazzi, fino a diventare, nel dopo cena, veri e propri luoghi di ritrovo, di incontro e di socializzazione, anzi i

luoghi per eccellenza, visto che i pub presenti rappresentano già una successiva tappa che segue la prima, quella al bar

appunto, degli spostamenti notturni.

Non è presente in Casentino un’industria del divertimento notturno in senso stretto; l’unica discoteca della zona

è il River Piper, luogo bello strutturalmente ma non frequentato perché “…ci và tutta gente piccina…”.

I ragazzi per andare a ballare si spostano principalmente verso Arezzo. Oggi più che mai, associato al

divertimento e allo svago, vi è il consumo di sostanze e naturalmente anche il contesto casentinese, non è immune da

questo aspetto. Emerge un enorme uso di alcol che accompagna i momenti di svago.

Il comportamento che emerge da parte dei ragazzi è quello di consumare alcol a cena; al bar o al pub, prima di

entrare in discoteca dove, infatti i prezzi degli alcolici sono un po’ alti e quindi conviene “organizzarsi“ prima. La

differenza che c’è nell’uso di sostanze fra la settimana e il fine settimana è netto: fra settimana si studia o si lavora, dal

venerdì sera parte il fine settimana e il consumo di alcolici si impenna.

Abbiamo chiesto ai ragazzi perché bevono così tanto; molti hanno risposto che bevono perché altrimenti non si

divertirebbero.

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Il Casentino è una valle ad altissima immigrazione straniera; nelle nostre uscite è stato più che sporadico

l’incontro con queste persone. Oltre al malessere che i giovani esprimono e dimostrano con comportamenti chiusi verso

tal parte di popolazione, possiamo dire che gli immigrati stranieri non partecipano affatto alla vita comunitaria.

Il nostro lavoro è una riflessione su una realtà vasta ed eterogenea del mondo casentinese; una popolazione

giovanile che crediamo sia doveroso da parte delle istituzioni locali ascoltare perché solamente con l’ascolto si possono

anticipare o evitare quelle situazioni di disagio e di devianza che troppo spesso rimangono l’unica via d’uscita per un

mondo inascoltato.

Prevenire è soprattutto dar voce alle proprie potenzialità affinché si tramutino in una fase costruttiva

per il ben-essere personale e della collettività.

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Immagini del Presente

Tutto è nato come una sorta di ripicca contro un sistema di gestione delle politiche giovanili calato dall’alto, la cui

gestione operativa era affidata, in sostanza, ad una sola persona.

Qualche anno fa era stata messa in piedi dal Comune anche una sorta di consulta giovanile che però ha avuto

vita breve, proprio perché le poche cose che venivano organizzate non rispecchiavano le esigenze dei giovani del paese

e nemmeno ne prevedevano il coinvolgimento attivo nell’organizzazione.

Non contenti di “cosa” e di “come” ci veniva proposto, io ed altri ragazzi che avevano preso parte alla consulta ci

siamo ritrovati e abbiamo deciso di fare qualcosa “di nostro” che potesse coinvolgere anche gli altri ragazzi di Subbiano

e Capolona. Ci siamo costituiti come gruppo informale nel giugno 2007 e il nostro battesimo è stato un evento sulle arti

visive, che appunto ha preso il nome di “Immagini del presente”, finanziato con le risorse del bando “Giovani Attivi” della

Provincia di Arezzo e che ha visto protagonisti tutti coloro che si sono impegnati e che hanno voluto dire la loro!

E’ stata realizzata così, una mostra sulle arti visive in una piazza centrale del paese, accompagnata dalla musica

dei gruppi locali. Abbiamo organizzato l’evento con entusiasmo ed impegno che è stato ampiamente ripagato dal

successo ottenuto sia tra i giovani che vi hanno partecipato che dalle istituzioni che sono venute a “controllare” la

situazione, pure il sindaco prese il microfono per farci i complimenti!

L’anno successivo, abbiamo organizzato una festa di Halloween, di cui vedete il volantino, che è stata il

panico....ci siamo divertiti da morire!!!!

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Per realizzare la festa abbiamo ricevuto il sostegno economico da parte del

Comune di Subbiano e la disponibilità del centro polivalente, uno spazio enorme e

bellissimo, ideale per organizzare delle feste.

Anche questa serata ha riscosso un gran successo, richiamando anche

ragazzi da Arezzo e da altri paesi, questo grazie anche al “battage pubblicitario”, fatto di

distribuzione di volantini e locandine e, soprattutto, il passaparola.

Forti di queste bellissime esperienze, abbiamo deciso di trasformare il nostro

gruppo in un'associazione vera e propria, per cercare di fare sentire la nostra voce e

quindi di far vedere che ci siamo e che anche i giovani hanno delle idee e non sono solo

musica e festini, ma anche impegno e volontà di fare per migliorare e rendere a misura di giovani le strutture che ci

circondano.

E’ stata una scelta dettata anche dalle difficoltà burocratiche che abbiamo incontrato per l’organizzazione degli

eventi, ci siamo resi conto, infatti, che le cose potevano essere gestite in modo più semplice con un legale

rappresentante che potesse firmare le varie richieste di autorizzazione!

L’ultimo evento, dal titolo “MUSICupARTE”, risale al 27 dicembre 2009, promosso nell'ambito del progetto

‘“Incontriamoci per partecipare” dei Comuni di Subbiano e Capolona e in collaborazione con l’Associazione Pratika e il

progetto Punto Giovani Itinerante.

La serata, ospitata sempre nei locali del centro polivalente di Subbiano, si è aperta con una mostra fotografica a

cura di Sebastian Bidini e i giovani residenti a Subbiano e Capolona, che tra foto e proiezioni hanno presentato i loro

scatti, ambientati tra Arezzo, il Casentino e affascinanti scenari da tutto il mondo. E’ seguito un buffet gratuito, concerti

dal vivo e DJ set. Erano presenti anche stand con materiale informativo e libri in consultazione.

Bisogna dire che stavolta la realizzazione di questo evento ha comportato più difficoltà del previsto e tempi

piuttosto lunghi, dovuti anche al cambio di giunta comunale in seguito alle elezioni del giugno 2009. Adesso sembra tutto

risolto e siamo pronti per ripartire con un progetto che preveda la realizzazione di più iniziative nel corso dell’anno.

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Quindi se ciò che vi abbiamo raccontato vi è piaciuto, contattateci e saremo ben felici di farvi entrare nella nostra

Associazione!

...LE COSE SI POSSONO FARE, BASTA SOLO VOLERLO!!!!!!!...

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Terontola di Sera

Terontola è una frazione di 1.560 abitanti sita nel Comune di Cortona e più precisamente ai piedi della collina

cortonese, al confine con il Lago Trasimeno e la Regione Umbria.

Non presenta particolari caratteristiche, non ci sono aziende importanti, né particolari attrattive. E’ un centro

abitato a ridosso della strada statale che porta ad Arezzo e a Perugia, a secondo la direzione che si sceglie.

Girando per il paese si individuano due luoghi dove gruppi informali di ragazzi e ragazze si ritrovano: il campino e

la piazzetta rossa.

Da qui è iniziato un lavoro di mappatura per “agganciare” i giovani.

La comunicazione diretta degli operatori di strada e l’ascolto attivo e partecipativo hanno fatto si che il gruppo di

ragazze e ragazzi, circa una ventina tra cui diversi stranieri, si sentisse coinvolto in un progetto ampio e strutturato.

Il trovarsi il lunedì sera è diventato un appuntamento da non mancare.

All’inizio è stato il gruppo degli operatori di strada a radunare i ragazzi, poi sono stati i ragazzi stessi attraverso un

tamtam a darsi conferma dell’appuntamento e del luogo in cui ritrovarsi. Il luogo è il centro sociale, un locale con

un’ampia sala utilizzata dai soci adulti del centro per varie attività.

Gli operatori di strada hanno proposto una serie di incontri a tema. Alcol e sostanze, affettività/sessualità, norme

e regole, argomenti che il gruppo ha accettato, rigettando subito una controproposta:

“…Si, ci va bene di discutere queste cose ma noi vogliamo parlare di quello che ci piacerebbe fare qui e poi ci

sono dei problemi da risolvere al campino…”

Di fatto le proposte tematiche sono state una provocazione per stimolare i ragazzi a una controposta che partisse

dai loro bisogni e dai loro desideri.

Così molte serate sono passate a discutere ed a tradurre in disegni e parole, proposte scritte su grandi fogli,

utilizzando pennarelli colorati e fantasia.

Cosa vogliono i ragazzi di Terontola?

Intanto utilizzare il campino con una buona illuminazione, con il taglio dell’erba troppo alta, più cestini per lo

sporco.

E avere un luogo dove trovarsi e stare insieme:

“…Un centro come lo ZAK di Camucia, dove possiamo stare tra noi, navigare gratis su internet, giocare a ping

pong ed a biliardino o anche solo stare seduti a fare due chiacchiere…”

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Per lavorare a questo progetto i ragazzi e le ragazze si sono divisi in tre sottogruppi, dopo aver discusso e scelto

su cosa lavorare:

gruppo che discute su fare musica e organizzare eventi musicali con i gruppi locali;

gruppo che vuole uno spazio per fare movimento, soprattutto fare pugilato

gruppo che discute come organizzare l’ambiente.

Questo schema semplice è il prodotto di animate discussioni su come si vuole gestire il centro, orari, presenze,

regole di comportamento, cosa serve per l’arredamento.

La possibilità di usare lo spazio per fare il pugilato senza invadere lo spazio di chi vuole solo ritrovarsi e stare

insieme, di chi vuole stare al computer. E poi si dice che i ragazzi sono apatici e non hanno idee!

Alla fine dell’estate, individuato il luogo fisico del centro in una parte del centro sociale che ci ha ospitato, e che è

in via di ristrutturazione, il gruppo informale che a questo punto è diventato coeso e solidale, ha incontrato gli Assessori

e i funzionari del Comune di Cortona, naturali interlocutori per poter di fatto trattare la destinazione del locale e l’apertura

di un centro giovani.

Il confronto con l’Istituzione ha permesso al gruppo di giovani di esprimere le proprie idee, di essere ascoltato e di

capire come funziona il pubblico, quali regole e procedure bisogna seguire per attuare un progetto.

Per il Comune di Cortona è stata l’occasione di conoscere da vicino la realtà dei giovani di “periferia”, di recepire

istanze di miglioramento di alcuni servizi e l’opportunità di costruirne nuovi, dando risposte di accoglienza dei bisogni e

desideri e prevenire su un territorio più povero di occasioni rispetto ad altri quel disagio che spesso nei giovani va a

creare azioni di disturbo e di trasgressione.

“…Intanto l’erba del campino viene tagliata sistematicamente e si può giocare al calcio…”

I lavori di ristrutturazione del Centro giovani sono quasi terminati ed i ragazzi e le ragazze stanno discutendo il

nome in modo da essere pronti per l’inaugurazione. Il passaggio da gruppo sciolto a gruppo strutturato, aiutato dalla

presenza degli operatori di strada dell’associazione D.O.G. che opera da anni sul territorio provinciale in educativa di

strada e interventi sull’agio giovanile, ha permesso la crescita dei giovani nella comunità di appartenenza e ha rafforzato

il lavoro di rete tra Ente, associazione e cittadini.

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Punto Giovani Itinerante

Il progetto “Punto Giovani Itinerante” nasce da un’idea dei ragazzi

partecipanti al Forum Giovani della Zona Aretina con l’obiettivo di creare una serie

di azioni ed eventi a favore dei giovani di tutto il territorio della Zona

Sociosanitaria Aretina, allo scopo di portare informazioni, creare

collegamenti, promuovere incontri e recepire istanze.

Il “Punto Giovani Itinerante” più che uno strumento è una serie di opportunità

che un gruppo di operatori sta cercando di realizzare per e con i giovani che vengono

incontrati. Il progetto sta tentando di ramificare il più possibile ogni genere di azione, coinvolgendo nel percorso oltre agli

enti pubblici e alle scuole, il mondo dell’associazionismo, i luoghi di aggregazione giovanile e i gruppi informali.

I suoi destinatari sono i giovani dei comuni della Zona Sociosanitaria Aretina (Arezzo, Capolona, Subbiano,

Castiglion Fibocchi, Civitella in Val di Chiana, Monte S.Savino) di età prevalente dai 14 ai 25 anni.

Intende perseguire le seguenti finalità:

Promuovere la conoscenza dei servizi e delle opportunità che il territorio offre alla popolazione giovanile ed alle

famiglie;

Favorire l’accesso e la fruibilità dei servizi esistenti, facilitandone l’accesso anche attraverso la presenza di figure

professionali che facciano da “ponte”, in grado di indirizzare e di accompagnare;

Ascoltare e monitorare il mondo giovanile, in modo da rilevarne necessità ed aspirazioni, che possano poi tradursi

in progettualità;

Realizzare azioni educative, attraverso momenti strutturati e non, che promuovano l’affermazione della cultura

della legalità, della salute, della partecipazione;

Promuovere all’interno dei comuni della zona sociosanitaria aretina un maggiore scambio, in grado di favorire

nuove sinergie sia progettuali che operative.

Gli obiettivi specifici sono:

Aiutare i giovani ad orientarsi all’interno delle opportunità che la zona offre, riguardanti sia il tempo libero che i

servizi offerti alla persona;

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Creare dei momenti di relazione all’interno dei quali essere di supporto ai ragazzi nei momenti delle loro scelte e

del perseguimento dei propri obiettivi e progetti;

Creare dei meccanismi di accompagnamento affinché i giovani si sentano supportati nei percorsi prescelti ed

aiutati nei momenti di verifica e di valutazione;

Promuovere la creatività giovanile, il senso di responsabilità, la disponibilità alla partecipazione e al

coinvolgimento attivo all’interno del tessuto sociale.

Le diverse fasi di intervento che caratterizzano il progetto “Punto Giovani Itinerante” sono:

Mappatura dei servizi e dei luoghi di frequentazione giovanile:

Si tratta di un’indagine sul territorio della Zona Sociosanitaria (Comuni di Arezzo, Subbiano, Capolona, Castiglion

Fibocchi, Civitella in Val di Chiana e Monte San Savino) che ha per obiettivo la conoscenza e la promozione di quei

servizi presenti nel territorio in oggetto. Il lavoro di “ricerca” vuole focalizzare l’attenzione su tutti quei luoghi, formali,

informali ed iniziative che abbiano a cuore gli interessi dei giovani.

Banca Dati dei “Servizi Giovani”:

I dati rilevati durante la fase di mappatura, vengono elaborati e integrati con le altre banche dati esistenti

(Informagiovani, Sportello Unico). L’obiettivo è disporre di uno strumento in grado di rispondere a richieste diversificate

provenienti dal mondo giovanile. La banca dati diventa strumento di opportunità, di accesso ai servizi e momento di

confronto tra ciò che esiste e ciò che si desidererebbe.

Questionari ed Interviste:

L’utilizzo di questionari e interviste hanno l’obiettivo monitorare la conoscenza da parte dei giovani dei servizi a

loro dedicati, il relativo grado di soddisfacimento e dar spazio a proposte e idee.

In questo ambito di intervento, le proposte dei giovani rappresentano il valore aggiunto al progetto e legittimano

un’attenzione privilegiata da parte dell’equipe di lavoro.

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La possibilità di aver voce ed essere ascoltati può rappresentare un punto di svolta in cui le giovani generazioni

possano proporre ipotesi di miglioramento dei servizi presenti e contribuire a far emergere i diversi bisogni dei territori

della Zona.

La raccolta di proposte, nuove idee avviene con l’ausilio di “linguaggi” giovanili (filmati, video box, facebook, etc.)

InformaOrienta Itinerante:

Questa attività desidera integrare il lavoro svolto dagli Informagiovani dei Comuni della Zona Sociosanitaria

facendo da “ponte” tra la strada e i servizi per il giovane cittadino.

Questa fase progettuale, denominata “InformaOrienta Itinerante”, si pone l’obiettivo di diventare un punto di

raccolta e divulgazione di informazioni, servizi e iniziative per i giovani durante tutta la durata del progetto.

Postazioni informative mobili (stands) saranno presenti in quei luoghi di frequentazione giovanile formali (Scuole,

Università) e informali (iniziative rivolte ai giovani e presso le associazioni sportive, religiose, ricreative).

L’InformaOrienta Itinerante si caratterizza come servizio di prossimità, presente nei luoghi in cui i giovani sono

protagonisti. Gli operatori diventano dei facilitatori di relazioni, promotori di una comunicazione attiva efficace. Il

coinvolgimento attivo dei giovani prevede di sostenerli nell’orientamento ai servizi e opportunità a loro dedicati. In

quest’ottica sono previste e auspicate attività di affiancamento-consulenza volte alla realizzazione di percorsi di

cittadinanza attiva, nuove forme di aggregazione e associazionismo.

Percorsi ed Incontri:

Queste attività si differenziano da quelle dell’InformaOrienta Itinerante per i contenuti proposti e per un diverso

approccio con l’utenza giovanile.

Nei percorsi ed incontri da svolgersi negli Istituti Scolastici, Università, Centri di Aggregazione Giovanile,

Associazioni Sportive e Religiose, le attività sono progettate per avviare riflessioni e confronti su temi quali l’educazione

alla salute, sicurezza, legalità, prevenzione e promozione di stili di vita sani.

Le tecniche utilizzate (role-playing, circle-time, giochi formativi, etc.) diventano strumento per avviare percorsi di

riflessione e confronto sui temi in oggetto.

L’obiettivo è proporre occasioni di riflessione in cui i destinatari diventino protagonisti del percorso in atto, così da

poter sperimentare modalità nuove di comunicazione e di partecipazione.

La partecipazione democratica ed attiva, può diventare accattivante se vissuta in maniera “libera”, attraverso il

gioco o lo scambio di ruoli e attivare riflessioni su temi spesso considerati patrimonio del mondo adulto.

Esperienze stimolanti, divertenti e riflessive possono contribuire a promuovere aperture sociali ed emozionali che

rendano i giovani protagonisti della comunità.

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Azioni di restituzione finale

Sono previsti dei momenti di restituzione dei dati e di tutto ciò che apparirà significativo. Si prevedono incontri con

le varie amministrazioni, con le quali poi concordare la presentazione al territorio dei risultati del lavoro svolto, attraverso

relazioni, report e documenti vari anche in formato elettronico (foto, filmati di interviste ecc.).

Scopo di questa fase finale sarà il tentativo di dare voce a quanto ascoltato e raccolto durante le fasi operative,

affinché sia condiviso, elaborato e possa essere utilizzato nella stesura dei programmi territoriali.

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L’intervista qualitativa e la scelta del questionario

L’intervista nella ricerca sociale, viene utilizzata per la raccolta informazioni di prima mano, situazioni,

comportamenti,testimonianze, opinioni, che riguardano il fenomeno o la questione che si intende indagare.

Non è certo l’unico strumento, basti pensare all’osservazione partecipata o no, allo studio di documenti, all’analisi

della conversazione, alla sociologia visuale con cui spesso agisce in sinergia.

Rappresenta quindi uno degli strumenti per raccogliere le informazioni che sono utili a fondare empiricamente le

nostre riflessioni è cioè uno dei modi che abbiamo a disposizione per guardare ciò che si intende studiare.

L’intervista è dunque uno dei principali “attrezzi” che abbiamo a disposizione ed è un termine-concetto non privo

di ambiguità semantico e carico di una complessità tipologica interna non sempre esplicitata.

Il termine “intervista” rimanda nell’immediato all’atto dell’interrogazione, all’azione del chiedere qualcosa a

qualcuno.

Nella nostra indagine il tipo di intervista che abbiamo scelto di utilizzare e che presenta il grado minimo di

strutturazione è l’intervista semistrutturata, la cui traccia si limita a definire una serie di domande aperte, sempre nello

stesso ordine per tutti, che lanciano uno stimolo al quale l’intervistato è libero di rispondere come crede.

In pratica è un’intervista che prevede un insieme fisso e ordinato di domande aperte.

Con l’intervista semistrutturata siamo nell’ambito non-standard, dove seppure sia presente una traccia fissa che

prevede le stesse domande per tutti gli intervistati, la conduzione dell’intervista può pretendere variazioni dipendenti

dalle risposte date e dunque dalla singola situazione, dal singolo soggetto intervistato.

Dunque in questo tipo di intervista entrano in gioco le peculiarità di ciascuna situazione di intervista. Ogni

intervistato, lasciato relativamente libero di esprimere le proprie opinioni, atteggiamenti, è abilitato a dirigere, insieme a

chi l’interroga, l’intervista.

Alcune precisazioni in merito alle modalità di conduzione.

La standardizzazione e la direttività, sono caratteristiche la cui declinazione contribuisce a costruire la situazione

di intervista e sono anche in una relazione circolare tra l’impianto teorico-epistemologico dal quale l’intero disegno di

ricerca parte e i fini conoscitivi che ne discendono.

Così, un’intervista sarà pensata e messa in opera in modo più o meno standardizzato, più o meno direttivo in

funzione sia del paradigma di riferimento al quale si lega sia del tipo di conoscenza che in relazione a questo s’intende

acquisire.

Conosciamo come un’intervista può essere condotta, attraverso un’interazione faccia a faccia ( quando

intervistato e intervistatore si incontrano di persona) per via telefonica, per via postale e come più recentemente in uso,

per via telematica.

Ciascuna modalità presenta caratteristiche e problematiche del tutto peculiari, che non intendiamo prendere in

esame, abbiamo scelto comunque di avvalerci del faccia a faccia, che dal punto di vista del metodo garantisce il

massimo grado di fiducia rispetto alle informazioni raccolte.

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Quindi l’intervista qualitativa è una conversazione in cui un ricercatore guida gentilmente un partner

conversazionale in una discussione estesa.

Durante la conversazione, il ricercatore cerca di ottenere informazioni approfondite e dettagliate sul tema

proposto chiedendo all’intervistato di precisare le sue risposte.

L’obiettivo delle interviste è elaborare una spiegazione coerente mettendo insieme ciò che persone diverse hanno

detto, riconoscendo allo stesso tempo che ogni intervistato può avere una versione diversa degli eventi.

Le interpretazioni individuali non sono considerate giuste o sbagliate in se stesse, ma sono viste come modi di

analizzare da angoli diversi il tema proposto.

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Il questionario

Il questionario, quale strumento direttivo e standardizzato per eccellenza, è la griglia di intervista che presenta,

dal punto di vista della classificazione, il minor grado di ambiguità.

L’utilizzo di questo termine, infatti, rimanda a un insieme di domande, in prevalenza e più spesso esclusivamente

chiuse, in cui è stabilito un ordine fisso delle interrogazioni e che esaurisce in sé i contenuti della rilevazione e dunque gli

ambiti conoscitivi della ricerca.

Inserito in un disegno della ricerca costruito ex ante, lavora dentro una relazione strutturata tra il quadro teorico di

partenza e il percorso di ricerca. Nel nostro caso abbiamo scelto di proporre solo domande aperte, partendo da una

prima domanda uguale per ogni target, per continuare con domande ad hoc che ci possono permettere attraverso

“parole chiave” di avere un quadro del tema proposto, letto da diverse angolazioni.

L’individuazione dell’universo di riferimento, ossia tutte le persone che teoricamente si vorrebbero intervistare, ci

ha imposto una scelta non facile, considerato l’alto numero di associazioni di riferimento presenti sul territorio e il numero

ugualmente alto di enti pubblici comunque rappresentativi.

In questo caso abbiamo selezionato per l’intervista individui particolarmente ricchi di informazioni sul tema di

studio, centrali rispetto al problema esaminato, critici per gli scopi della nostra indagine.

Abbiamo chiamato queste persone testimoni o informatori chiave. L’espressione ne descrive la duplice funzione:

fornire a chiave per entrare nel mondo sociale che si vuole esplorare, e vista la loro centralità rispetto al tema, fornire

importanti informazioni per la comprensione del tema stesso.

Nel vasto mondo delle Associazioni abbiamo individuato e preferito quelle che si sono formate sul territorio in

relazione ad eventi e problematiche particolari e che si sono poi strutturate e rafforzate , e continuano ad essere

riferimento nella comunità.

Per quanto riguarda gli Enti pubblici abbiamo contattato sia i politici che i funzionari degli enti locali, la ASL 8 di

Arezzo, la scuola, e altre realtà interessanti come il CSSA del Ministero di Giustizia, la Polizia provinciale, i Carabinieri.

Gli utenti disponibili sono stati indicati da alcune Associazioni, con la garanzia dell’anonimato considerato che

molti di essi hanno raccontato momenti di una particolare esperienza della loro vita.

Le cento interviste sono

state così suddivise:Percentuale degli intervistati

Associazioni40%

Enti 40%

Utenti 20%

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40%

20% 20%

10% 10%

Arezzo Valdarno Valdichiana Valtiberina Casentino

Divisione intervistati nelle varie Zone Provinciali

Sesso degli intervistati

Uomini46%

Donne54%

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Tra le variabili è sembrato interessante tener conto della diversità delle risposte tra uomini e donne intervistati

considerato che la differenza di genere fornisce sullo stesso tema punti di vista diversi per linguaggio, sensibilità e

vissuto, a volte meno politicamente ideologico ma più concreto, poiché mette in evidenza come i percorsi di crescita e di

socializzazione degli uomini e delle donne all’interno di un determinato contesto sociale, avvengono in modo diverso

strutturando di conseguenza valori, motivazioni, atteggiamenti e comportamenti diversi.

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I risultati della ricerca

Nell’avvio dell’analisi delle interviste realizzate si è provato per prima cosa a ricomporre una definizione di

solidarietà unanime. In realtà si è rivelato subito compito assai difficile. Infatti appaiono, come vedremo, interpretazioni

che partono sostanzialmente da angolature diverse (perché diverse le esperienze delle persone) ma che prese tutte

insieme dipingono un interessante quadro, seppur complesso, della solidarietà e del ruolo della stessa nello specifico del

contesto del territorio provinciale aretino.

Nella lettura delle risposte si è ritenuto di procedere iniziando dall’elaborare complessivamente quelle relative agli

enti, di seguito le associazioni e infine gli utenti.

Abbiamo quindi ritenuto interessante intrecciare e mettere a confronto, alcune domande attinenti al punto di vista

degli enti e delle associazioni (in che modo e con quali strategie la vostra Associazione/Enti si “intreccia” crea cioè una

rete di lavoro con i Servizi pubblici e le altre Associazioni?; quali sono le maggiori problematiche e le relative soluzioni

affinché si possa migliorare la collaborazione attiva tra Enti pubblici ed Associazionismo del territorio provinciale

aretino?).

Il tentativo è stato quello di indagare la qualità del rapporto tra Ente pubblico e associazionismo al fine di fare

emergere criticità ma anche possibili proposte tese a promuovere la solidarietà come sentimento comune e a trovare

maggiori sinergie tra gli attori coinvolti.

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Il punto di vista degli Enti

Che cosa è per lei la solidarietà?

Ad un orecchio e ad un occhio attento è difficile sottrarsi al fascino di quella miscela di accessori della

comunicazione non verbale che accompagnano le parole pronunciate. Anzi, proprio queste estensioni sono ritenute

fondamentali e necessarie poiché aggiungono colore, sapore e significato al dialogo ed aiutano al contempo, a palesare

con maggiore chiarezza l’interesse rivolto per ciò che si va argomentando.

Così si è avuto spesso la sensazione che, in particolar modo, questa prima domanda abbia quasi infuso

nell’intervistato una certa difficoltà e imbarazzo che ha accompagnato l’ascolto, sovente, con un sospiro, con un attimo di

silenzio, come se fosse difficile rispondere o dare una definizione che lasciasse soddisfatto chi la esprimeva.

Cogliendo queste sfumature ha così preso a formarsi un pensiero secondo il quale la solidarietà possa darsi, a

tutti gli effetti, come una grande aspirazione delle istituzioni, un ambito particolare e delicato e forse, non del tutto agita

secondo le aspettative proprio per la complessità alla quale attiene.

Ciò che emerge, nell’immediato come elemento comune a tutte le risposte, è che nell’Istituzione la solidarietà è

un impegno politico principalmente visibile che favorisce l’incontro con la comunità, con i cittadini, con il mondo del

volontariato e con le persone in situazioni di difficoltà.

In genere vengono associate a questa parola termini come atteggiamento, motivazione, gratuità, comprensione,

sentimento, dovere, valore, morale, responsabilità, aiuto.

Secondo il Presidente della Circoscrizione II Fiorentina, la solidarietà è tutto, se mancasse non ci sarebbe niente.

Ed in certo senso questa espressione invita ad intuire che la solidarietà sia pensabile come parte integrante del fare

politica (significato polis) poiché la solidarietà stessa è quella parte che unisce tutte le persone (Ibidem).

D’altra parte:

…La solidarietà è un atteggiamento culturale rispetto al quale gli Enti pubblici devono collocarsi in prima linea per

favorirne lo sviluppo e la diffusione.

E’ anche importante sottolineare che è un valore Costituzionale (art. 2), quindi la sua promozione non rientra solo nella

sfera del volontariato o della religione, come spesso si crede, ma è un diritto/dovere…

(Docente dell’ I.T.C Signorelli - Cortona)

La solidarietà è dunque un diritto di tutti; quest’affermazione sposta l’attenzione sulla persona che si trova in

situazione di bisogno e che deve necessariamente trovare nella comunità forme di aiuto e di sostegno.

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E’ un diritto che è anche dovere per l’istituzione ma anche per il cittadino chiamato a partecipare attivamente al

bene comune. Insomma la solidarietà è questione di tutti e forse in queste parole si può cogliere l’invito delle istituzioni ai

singoli cittadini poiché investano parte del tempo libero in azioni solidali.

Ma è un dovere che non può fare a meno di essere accompagnato dal sentimento:

…La solidarietà non è altro che la dimostrazione dell’esistenza dell’empatia…

(Assessore alle Politiche Sociali - Comune di Pratovecchio)

ed infatti:

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…E’ un non pensare solo a se stessi. E’ una non forma di egoismo…

(Responsabile area socio-culturale - Comune di Bucine)

…La solidarietà è un atto volontario che qualcuno fa per aiutare gli altri. Si fa un atto di solidarietà per dare un poco di

felicità ha chi ne ha bisogno, non per ricevere o guadagnare niente di materiale…

(Infermiere professionale Usl8 A.S-R - Servizi Scudo)

Non solo, porre la solidarietà come diritto dell’uomo, per se stesso e per l’altro, invita a superare tutte le distanze

di ordine religioso, politico, di cultura, di nazionalità e di sesso:

…Credo che la solidarietà sia un concetto molto personale. Da Assessore devo dire che la solidarietà è anche un

concetto che può e deve essere della politica e delle istituzioni. Personalmente, spero e credo di essere solidale, con la

mia famiglia, con gli amici, con la gente che mi trovo a frequentare, ma anche con la cittadinanza tutta, non facendo

distinzioni, di religione, culturali e politiche, lavorando per stare in un insieme...

(Assessore alla Cultura e Turismo - Comune di Castel San Niccolò)

Si attribuisce dunque alla solidarietà la capacità di rendersi strumento di interazione di integrazione sociale:

…Un modo di stare vicino alle persone, un modo per integrarsi e integrare, capire il mondo e chi siamo…

(Presidente Istituzione Le Fornaci - Terranuova Bracciolini)

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Ma anche espresso in modo suggestivo così:

…La solidarietà è una risorsa relazionale…

(Vice comandante Polizia Provinciale di Arezzo)

Poiché ogni relazione, perché possa dirsi gratificante e appagante, deve necessariamente essere collocata

nell’orizzonte della solidarietà.

Probabilmente nella difficoltà, nella malattia o nella povertà, si riconosce e si condivide l’appartenenza comune al

genere umano e si partecipa alla stessa dignità.

…Solidarietà vuol dire sentire ognuno come un fratello…

(Vice Sindaco - Comune di Montevarchi)

E sia le Istituzioni che i cittadini hanno il dovere di promuovere la solidarietà poiché:

…La solidarietà è un’istanza di responsabilità sociale…

(Assistente sociale del Ser.T Valdichiana)

E la solidarietà:

…E’ di fondo un atteggiamento, un assunzione di responsabilità verso gli altri…

(Responsabile Centro P.O. - Provincia di Arezzo)

Si evince che la solidarietà richiede un fare insieme che è proprio della politica e ancora di più diviene

l’espressione pratica e vissuta della cittadinanza attiva:

…E’ il senso di appartenenza a una società e contribuire ognuno per i propri compiti e per le proprie competenze al

miglioramento di essa. E’ l’unione di più forse per raggiungere un obiettivo certamente utile e positivo...

(Assessore ai Servizi Sociali - Comune di Castiglion Fiorentino)

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Si potrebbe così riassumere, quanto fino ad adesso esposto, in un’idea generale. Dunque la solidarietà è pensata

come un dovere istituzionale che rappresenta un impegno responsabile, pensato, progettato e realizzato, verso l’altro e

verso la comunità.

Esprime in sé l’interesse e la cura per il destino umano e appartiene, anche come sentimento, alla categoria della

morale personale e della morale sociale:

…Solidarietà personale interessa i rapporti parentali, amicali, per cui ci fa sentire che non siamo soli. Poi c’è la

solidarietà che l’Ente deve avere nella rete sociale. L’ente che pensa l’insieme, che cerca la partecipazione della

collettività tutta...

(Responsabile Servizi Sociali - Comunità Montana del Casentino)

C’è anche chi invece la descrive come competenza necessaria alla funzione istituzionale:

…Significa esercitare capacità di ascolto, azioni di sostegno ai diritti di cittadinanza e per l’accesso ai servizi e attenzione

alle fasce più deboli…

(Funzionaria responsabile area servizi sociali, pubblica istruzione, cultura e turismo - Comune di Lucignano)

Ma attraverso politiche solidali si promuove e si favorisce l’avvicinamento della gente comune alle istituzioni.

Diviene dunque strada per l’incontro tra cittadini e enti:

…Per me la solidarietà, soprattutto ora che ricopro il ruolo di Assessore, ha ampliato il suo significato. Mentre prima

interessava l’impegno a favore delle persone a me vicine e per chi in generale aveva bisogno, ora riguarda anche

l’impegno, come valore aggiunto, a fare le cose per bene e senza favoritismi. Essere solidali nell’accogliere le istanze

degli altri, dei cittadini, dei giovani, che vado a rappresentare, è sì un obbligo istituzionale, ma anche e soprattutto un

obbligo morale. Quando più si ascolta chi chiede, tanto più posso rispondere alle esigenze e più il cittadino si sente

vicino alle istituzioni e alla comunità…

E così promossa:

…La solidarietà è comprendere le necessità, i bisogni e i problemi altrui e cercare di superare queste difficoltà attraverso

l’aiuto concreto, il sostegno psicologico e la collaborazione…

(Assessore Politiche Sociali e Sanità - Comune di Cortona)

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Suggestive sono invece le parole del Comandante di Polizia Municipale del Comune di Bibbiena che pone

attenzione intorno alla solidarietà come elemento che umanizza l’istituzione e la rende a misura del cittadino:

…La solidarietà, soprattutto per chi come me riveste un ruolo importante e di riferimento per la comunità, è e deve

essere un punto essenziale, per il proprio operato. Essere solidale è si un modo di aiutare e porsi alle persone, ma per

me è ancora di più uno strumento, un mezzo che aiuta ad umanizzare il mio ruolo. La comunità mi deve percepire per il

ruolo istituzionale che rivesto, ma deve sapere che dietro questa divisa c’è un essere umano, con tutta una voglia e

capacità di relazionarsi e di sentirsi parte attiva della comunità…

Giova cogliere anche l’attenzione posta ai rischi, come elemento critici, legati al disinteresse o alla superficialità

che spesso si nasconde dietro ad interventi estemporanei e svincolati dalle reali necessità poiché la solidarietà ha

bisogno di essere continuamente promossa:

…Nella quotidianità si è un po’ persa…

(Presidente Circoscrizione Giotto)

…E non deve divenire e ridursi a sola carità…

(Responsabile Centro P.O. - Provincia di Arezzo)

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Quali sono le vostre esperienze di collaborazione con le Associazioni di volontariato e promozione sociale sul

territorio?

Giova fare una distinzione che emerge con evidenza da una prima lettura delle risposte. Alcuni testimoni, infatti,

preferiscono elencare, in modo più o meno articolato e dettagliato, le attività che realizzano in collaborazione con le

associazioni. Altri invece forniscono informazioni importanti di ordine qualitativo che arricchiscono il confronto con il

mondo del volontariato e sollecitano la ricerca a nuove riflessioni utili alla conoscenza degli intrecci possibili.

Nella prima direzione dunque, alcune risposte sono essenzialmente descrittive e denunciano la vivacità delle

esperienze che possono realizzarsi proprio grazie al dialogo che si apre tra istituzioni e mondo del volontariato.

Emerge infatti che gli ambiti di interesse che sollecitano la collaborazione sono molteplici e rispondono a bisogni

reali della comunità.

Si promuovono progettazioni per realizzare interventi ludici e ricreativi per tutte le età e per il tempo libero; attività

sportive, ricreative, culturali, animazioni (mostre, forum, spettacoli, ecc.).

Molte sono le collaborazioni che si realizzano per la persona nell’ambito socio-educativo, riabilitativo e anche

sanitario. In questo senso le azioni principali possono essere così sintetizzate: trasporto e accompagnamento degli

anziani, mediazione linguistica e culturale, formazione, prevenzione, attività estive, ricreative e ludiche, attività di

doposcuola, aiuto per handicap e minori.

Ma si attivano sinergie anche con le proloco, le polisportive, i circoli parrocchiali, l’Avis, l’A.C.A.T., l’Aasp, l’Auser,

Croce Rossa, Misericordia, Fratres, Ucodep, Enpa, ecc.

Attraverso la seconda prospettiva che emerge dalle risposte si apre la possibilità di descrive la collaborazione con

il mondo del volontariato anche da un punto di vista più operativo e se si vuole, qualitativo.

Per il Presidente della Circoscrizione Fiorentina descrivere la collaborazione richiederebbe molto tempo. Con il

volontariato la Circoscrizione costruisce la propria vita per tutte le iniziative promosse e con il volontariato si abbattono i

costi e si coinvolgono più persone.

In queste parole si colgono alcuni descrittori importanti. Per primo emerge che il volontariato è ritenuto

indispensabile alla vita stessa dell’ente che senza non potrebbe agire. Si potrebbe persino giungere ad affermare la

coessenzialità della collaborazione e in un certo senso, l’uno senza l’altro sembrerebbe perdere la propria legittimazione.

…In alcuni casi e sempre più frequentemente a causa delle condizioni economiche in cui versano gli enti locali, il

contributo della associazioni risulta essenziale per mantenere un servizio…

(Assessore Politiche Sociali e Sanità - Comune di Cortona)

…La collaborazione è stretta per sostenere servizi e attività che altrimenti il nostro ufficio non potrebbe fare…

(Responsabile Pari Opportunità - Provincia di Arezzo)

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Nell’incontro tra i due mondi avviene la soddisfazione della mission istituzionale e della stessa associazione. La

prima è chiamata ad agire politicamente per il bene della comunità, quindi a pensare e progettare, e la seconda è

chiamata, spinta dalla solidarietà che l’ha generata, ad agire e pertanto, insieme formano una circolarità perfetta.

Ma la risposta del Presidente della Circoscrizione Fiorentina di Arezzo ci sollecita a soffermare l’attenzione su un

altro grande attributo proprio del volontariato. Con esso infatti l’istituzione abbatte i costi riuscendo, allo stesso tempo, a

raggiungere più persone.

Dunque il volontariato aumenta l’efficacia e l’efficienza dell’istituzione che ed è lapalissiano dirlo, è troppo spesso

rallentata dalla burocrazia.

Secondo l’operatrice del centro per l’impiego:

...Il ruolo delle associazioni è fondamentale perché riesce a prendere in carico la persona in modo globale non essendo

legata a vincoli di ruoli e di competenze che invece l’ente deve rispettare per giustificare l’impiego sia di operatori che di

fondi…

Vi è poi da dire che il rapporto dell’ente con l’associazionismo ha caratteristiche temporali precise che dipendono

genericamente dai bisogni delle persona alle quali l’associazione stessa si volge il suo operato. In altre parole, il tempo

del volontariato è riconosciuto essere quello ordinario, della quotidianità, dell’ora e dell’oggi, un tempo che, ed è bene

ricordarlo, necessita di risposte immediate. Per l’ente dunque la collaborazione è necessariamente quotidiana come

testimoniano alcune risposte:

…La nostra attività di collaborazione è quotidiana e molte sono le iniziative alle quali cerchiamo di partecipare...

(Assessore alla Cultura ed al Turismo - Comune di Castel San Niccolò)

…Le nostre esperienze sono quasi sempre quotidiane perché partecipiamo ad una serie consistente di iniziative che ci

vengono proposte dalle varie associazioni presenti nel territorio…

(Presidente Circoscrizione Giotto)

Spesso si fa riferimento ad una collaborazione anche sul piano della concertazione, della progettazione non

ridotta quindi alla sola operatività o alla mera esecuzione funzionale.

…Le nostre collaborazioni sono ampie e varie. Valorizziamo le associazioni coordinandoci non solo nell’operatività, ma

anche nella progettazione e nella rilevazione dei bisogni…

(Responsabile area socio culturale - Comune di Bucine)

Oppure:

…Il lavoro con il volontariato si basa sulla condivisione di responsabilità e di partecipazione verso coloro che hanno

bisogno…

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(Responsabile Pari Opportunità - Provincia di Arezzo)

Ma il lato umanizzante della collaborazione torna anche in questa risposta:

…La collaborazione è poi rafforzata dal sincero rapporto di amicizia con alcune persone che lavorano all’interno delle

associazioni con le quali operiamo. Con queste persone parliamo di problematiche che riguardano altre persone

particolarmente bisognose di aiuto spesso oltre le cure mediche ma in relazione ai rapporti umani che in alcuni casi sono

più importanti dei farmaci…

(Medico di base Asl 8)

A questo punto ci è difficile non immaginare il mondo del volontariato come un osservatore e un lettore attento dei

bisogni e delle domande che vengono dalla comunità capace di accorciare la distanza tra cittadino e istituzione. Dunque

diviene, al contempo, ponte di collegamento a doppio senso di marcia dove transitano bisogni, attese, speranze e

doveri.

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In che modo e con quali strategie il vostro servizio si intreccia, crea cioè una rete di lavoro con le Associazioni?

Anche attraverso le risposte che sono state date a questa domanda è stato possibile individuare alcuni descrittori

interessanti, generalmente riconosciuti e condivisi dagli intervistati, del rapporto e dell’intreccio tra ente ed associazione.

Emerge che la collaborazione richiede per lo più l’erogazione di un contributo economico a favore

dell’associazione:

…Il nostro servizio si intreccia principalmente attraverso piccoli contributi che noi riconosciamo a queste associazioni

ogni qualvolta ci presentano un progetto meritevole…

(Presidente Circoscrizione Giotto)

Tuttavia si evidenzia che tale contributo non è solo a favore delle associazioni bensì può accadere anche il

contrario e cioè che sia l’associazione stessa a sostenere economicamente l’ente poiché:

…Alcune associazioni fanno solo da supporto alle attività dell’Amministrazione raccogliendo fondi (per esempio per

comprare macchinari o mezzi di trasporto) attraverso iniziative benefiche o creando momenti di svago per le persone più

bisognose…

(Assessore alle Politiche Sociali e Sanità - Comune di Cortona)

Sembrerebbe dunque che il criterio della circolarità, dall’ente all’associazione per arrivare al cittadino e

dall’associazione all’ente per giungere nuovamente alla persona, sia di nuovo rispettato. E’ indubbio che ciò solleciti a

pensare a questo dinamismo come realizzazione piena della solidarietà e dell’umanità.

A questo punto non si può più sostenere l’idea che le forme di aiuto passino solo attraverso le associazioni verso i

cittadini ma anche dalle associazioni stesse verso l’ente che è così più capace di rispondere idoneamente e

prontamente alle richieste di aiuto dei cittadini. Anche in questo caso l’associazione è un ponte di collegamento più

immediato e veloce tra persona e istituzione.

Un altro descrittore importante, che suggella di nuovo la circolarità, è dato dal fatto che in molte risposte si ritrova

l’idea che l’intreccio avviene attraverso la concertazione e dunque inizia dalla condivisione:

…La condivisione e la comunicazione sono gli assiomi imprescindibili dell’azione comune: le riunioni, i seminari, le news

letters sono gli strumenti di lavoro per il raggiungimento di tali obiettivi…

(Dirigente area servizi al cittadino - Comune di Cortona)

…Ci intrecciamo soprattutto con tavoli di concertazione e riunioni ad hoc su argomenti specifici…

(Presidente zona socio-sanitaria aretina)…

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Di più:

…Attraversando varie fasi, in primis dalla concertazione e dalla condivisione, che sono le più importanti, prima ancora

della stesura dei progetti…

(Responsabile area socio-culturale - Comune di Bucine)

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…Alcune relazioni nascono a partire da collaborazioni relative ai programmi terapeutico/riabilitativi. Altre connessioni si

stabiliscono grazie alla partecipazione del nostro servizio ai tavoli di lavoro inter-istituzionali, in particolare nelle aree

della prevenzione e promozione del benessere di comunità…

(Assistente sociale Asl 8 Valdichiana)

Ma qualcuno osserva anche che la partecipazione:

…A tavoli d’incontro ed a riunioni periodiche ci aiuta a conoscerci meglio e a collaborare più efficacemente…

(Assessore alle Politiche Sociali - Comune di Pratovecchio)

Giova infatti palesare che la concertazione diviene opportunità per abbattere le distanze che spesso la non

conoscenza reciproca e la diffidenza, creano. Incontrarsi ad un tavolo permette infatti di confrontare le attese, di

sollecitare alleanze e sinergie e di promuovere il lavoro di rete.

A tale proposito:

…Creare una rete significa creare coinvolgimento, un po’ come è successo per il progetto Stasera cucino io: ragazzi

down, hanno imparato a cucinare e hanno servito in alcune serate la cena e le loro creazioni. In questo progetto c’era

un’Amministrazione comunale, un ristorante, le televisioni e tante persone che hanno apprezzato quello che è stato

fatto…

(Presidente Le Fornaci - Comune di Terranova Bracciolini)

Interessante osservare come l’attenzione al mondo del volontariato abbia trovato espressioni significative e

importanti come quella nata nel Comune di Castel San Niccolò dove è stato creato un assessorato specifico:

…Infatti su quattro assessorati presenti, uno è dedicato alle associazioni del territorio. Il secondo passaggio che ci siamo

dati, è stata la creazione di una Consulta delle associazioni, dove chi aderisce deve attenersi a regole, per quanto

riguarda la presentazione di proposte, tempi e modi di realizzazione dell’eventuale iniziativa…

(Assessore alla Cultura e Turismo - Comune Castel San Niccolò)

C’è chi invece ha proposto, nel proprio territorio, un censimento delle associazioni:

…La prima cosa che ho notato, quando sono arrivato a svolgere il mio ruolo, è stata la mancanza di un censimento delle

associazioni del territorio…

(Assessore Sport, Spettacolo, Turismo e Tempo Libero - Comune di Bibbiena)

Si può perfino arrivare a fare una distinzione tra intreccio formale e intreccio pratico:

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…Il nostro servizio si intreccia grazie alle azioni che promuovono le associazioni di volontariato. Ma una ulteriore rete per

la collaborazione si intreccia a livello formale attraverso le convenzioni che si siglano tra ente e pubblico e associazione.

Tuttavia c’è anche il livello di intreccio pratico che è dato dal momento, e dai momenti, in cui ente pubblico e volontariato

si incontrano per la realizzazione del servizio: si può così condividere e confrontare e si decidono insieme le azioni

principali da perseguire. In genere nel primo incontro può emergere la difficoltà di trovare, e poi condividere, un chiaro

canale di comunicazione perché si parte da ruoli e funzioni diverse.

(Responsabile Centro Pari Opportunità - Provincia di Arezzo)

Ma dalla stessa risposta, emerge anche che:

…Il lavoro delle associazioni riesce a realizzare e completare i nostri servizi. Queste associazioni, rispetto all’ente

pubblico, hanno più libertà di azione e sono meno irrigidite dalla burocrazia. Sono essenziali per creare la rete stessa

poiché diventano il ponte tra pubblico, privato e utenti…

In questa visione si opera un ulteriore riflessione intorno alla sinergia che le associazioni sono in grado di

sollecitare poiché favoriscono il superamento stesso del limite dell’ente dato dalla burocrazia.

Per concludere ci sembra opportuno riportare quanto afferma il Presidente della Circoscrizione Giotto che si

sofferma sul valore dell’intreccio come occasione di impegno e di aggregazione per la cittadinanza, per cui quello tra

ente e associazione è:

…Un modo di lavorare che favorisce la vita sociale e crea aggregazione. Teniamo infatti a far si che la nostra comunità

sia impegnata per la collettività. Questo è il fine principale…

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Quali sono le maggiori problematiche e le relative soluzioni affinché si possa migliorare la collaborazione tra

Enti pubblici ed Associazionismo del territorio provinciale aretino?

Le risposte a questo interrogativo consentono di portare alla conoscenza gli elementi di criticità ed al contempo,

le possibili soluzioni e proposte per superarle. Molte affermazioni risultano simili nelle problematicità individuate e nelle

relative soluzioni. Insomma, sembrerebbe che l’ente sia consapevole dei limiti della collaborazione della quale

comunque necessita e propone quasi all’unanimità soluzioni similari. In sincerità vi è da dire che non mancano

sfumature polemiche.

Si ritiene che le problematiche siano relative a più elementi che possono essere considerate, da una parte, come

intrinseche al mondo delle associazioni e intrinseche al mondo delle istituzioni e, dall’altra, si ritiene che ci siano invece

motivazioni estrinseche interindipendenti tra due mondi.

Per quanto attiene alle motivazioni intrinseche ipotizzate, qualcuno sostiene che:

…Molte di queste associazioni sono gelose della propria identità quindi può essere difficile, in alcune occasioni, creare

una collaborazione e una condivisione tra realtà che magari hanno la stessa mission…

(Assessore alle Politiche Sociali - Comune di Capolona

e Vice Presidente zona socio-sanitaria aretina)

Qualcuno si spinge oltre e afferma che:

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…Molte persone che rappresentano delle associazioni, non sempre fanno l’interesse degli associati e della comunità

tanto è che si spingono fino a boicottare iniziative di altre associazioni…

(Assessore Cultura e Turismo – Comune di Castel San Niccolò)

Secondo il punto di vista dell’ente, dunque, una delle difficoltà emerse che rendono il rapporto tra associazione ed

ente talvolta problematico è legata alla competizione che si crea tra quelle che condividono le stesse finalità.

E secondo un’altra opinione:

…Tutte le associazioni dovrebbero avere un coordinamento nel quale programmare insieme. Spesso ci sono

contraddizioni interne alle associazioni e tra associazioni. Insomma una sorta di concorrenza che però può avere anche i

suoi lati, un miglioramento della qualità…

(Presidente Circoscrizione Fiorentina)

Ma viene proposta anche una possibile soluzione:

…Credo che la concertazione e il confronto siano gli strumenti più importanti per consolidare la conoscenza e rendere

questo sistema di collaborazione più efficace in modo tale da non disperdere energie umane, strutturali e finanziarie…

(Assessore alle Politiche Sociali - Comune di Capolona

e Vice Presidente zona socio-sanitaria aretina)

Qualcuno invece riflette intorno al fatto che spesso, nelle associazioni di volontariato viene meno la formazione

degli operatori:

…La scarsa qualifica e precarietà degli educatori di alcune associazioni pone un altro problema. Molti di questi infatti

sono studenti e fanno queste azioni di volontariato in attesa di occupazioni migliori e questo porta anche a cambiamenti

improvvisi. La precarietà è inammissibile se ci occupa di disagio e disabilità…

(Insegnante di sostegno - scuola primaria)

Oppure:

…La rotazione delle persone è un problema, infatti le persone si susseguono e se ne vanno una volta che hanno

acquisito competenze…

(Responsabile area socio-culturale - Comune di Bucine)

…E’ indispensabile anzitutto che all’interno delle associazioni si crei un sistema efficace di collaborazione-formazione tra

personale dipendente e volontariato, che costituiscono il sistema portante delle associazioni...

(Medico di base ASL8)

Qualcuno ammette invece a questo proposito che:

…Per l’ente è importante la professionalità e, invece, per le associazioni è più importante il coinvolgimento…

(Psicologo dirigente Dipartimento dipendenze ASL 8, responsabile del Centro Documentazione e ricerca del Ser.T

Arezzo)

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Ma tuttavia, nei limiti evidenziati non manca il riconoscimento del valore del volontariato per cui:

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…Il lavoro svolto dal mondo del volontariato e dalle associazioni vale moltissimo in quanto nasce per colmare le

carenze degli stessi enti nei servizi e nelle attività rivolte ai propri cittadini…

…Molto spesso ci si rivolge al volontariato per le problematiche economiche-finanziarie degli Enti…

(Responsabile area socio-culturale - Comune di Bucine)

L’associazione è dunque ritenuta fondamentale poiché supera e integra i limiti stessi dell’ente troppo spesso

rallentato dalla burocrazia. Le pratiche amministrative rappresentano pertanto le problematiche intrinseche all’ente

stesso il quale tuttavia, le riconosce come proprie.

Più volte infatti si fa riferimento alla burocrazia per cui:

…Credo che per migliorare il rapporto la cosa più importante è diminuire la burocrazia…

(Assessore alle Politiche Sociali - Comune di Pratovecchio)

…Il lavoro di rete può migliorare riducendo i processi di burocratizzazione…

(Assistente sociale ASL8 Ser.T Valdichiana)

…Si potrebbero accorciare i tempi tra le richieste delle associazioni e le risposte dell’ente, a volte troppo burocratizzato...

(Assessore allo Sport Spettacolo, Politiche Giovanili e Tempo libero

Comune di Bibbiena)

…Il problema più grosso è la burocrazia. Il collaborare con le associazioni significa dedicare una grossa fetta di tempo

alle procedure, al reperimento dei fondi e di finanziamenti ma soprattutto a trovare le modalità perché le risorse

economiche vengano realmente utilizzate e trasformate in azioni…

(Psicologo dirigente dipartimento dipendenze ASL 8, responsabile del Centro Documentazione e ricerca del Ser.T

Arezzo)

…Non ho nulla da eccepire se non la difficoltà di superare i vincoli dati dalla burocrazia e dalla formalità delle pratiche.

Per la pubblica amministrazione è un arricchimento la collaborazione con il mondo del volontariato poiché loro hanno il

contatto diretto con gli utenti (contatto che manca al servizio pubblico). Gli operatori del mondo del volontariato hanno

inoltre una facilità maggiore di relazionarsi con le persone che sono il target dei nostri progetti. Ho imparato molto da

questa collaborazione..

(Responsabile Centro Pari Opportunità - Arezzo)

La problematica che invece sembra non dipendere ne dalle associazioni ne dagli enti è la mancanza di fondi da

destinare al volontariato. Questa è una denuncia che si ritrova in molte testimonianze di politici o funzionari degli enti

intervistati:

…Collaborare vuol dire avere più fondi da destinare, avere più risorse, quindi ampliare tutto quello che riguarda i

contributi attraverso l’istituzione di bandi pubblici in modo che possiamo essere propositivi rispetto alle associazioni.

Oggi possiamo dare una risposta solo a ciò che viene richiesto dalle associazioni, siamo in un certo senso da supporto.

Si dovrebbe essere invece più propositivi attraverso la promozione di progetti che partono da noi. Con più risorse

potremmo fare entrambi i percorsi che riteniamo importanti...

(Presidente Circoscrizione Giotto)

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…Altro fattore molto problematico che c’è stato è sicuramente la riduzione delle risorse finanziarie che c’è stata; fino al

200 esisteva un Fondo Nazionale Lotta Contro la droga poi questo fondo è stato incluso nei finanziamenti dati al

comparto sociale, quindi la quota totale è diminuita e l’uso di queste risorse dipende dalla volontà dell’amministrazione…(Responsabile Ser.T Valtiberina)

Ma se da un lato la pochezza dei fondi che ha disposizione l’ente è un limite importante c’è chi invece trova il lato positivo che prepara la strada alla collaborazione con l’associazione:

…Se c’è la volontà da entrambe le parti di collaborare, problematiche insormontabili non ne vedo. Vedo invece un grosso ostacolo da superare: fondi sempre più risicati agli enti locali che sono l’interfaccia con il territorio e con i suoi bisogni. Da qui il grande e indispensabile aiuto che le associazioni possono dare. Fanno la differenza tra realizzare un progetto utile per la società oppure che quello stesso progetto rimanga un’idea o un pezzo di carta…

(Assessore alle Politiche Sociali - Comune di Castiglion Fiorentino)

Promuovere la collaborazione, il dialogo, l’incontro tra le associazioni sembra essere la proposta quasi unanime degli enti per cui:

…Il coordinamento avrebbe anche la funzione di avere più forza nel chiedere finanziamenti…

(Presidente Circoscrizione Fiorentina)

Ma in breve sintesi:

…Il volontariato è un tesoro da tenere con cura che alleggerisce la vita di ognuno…

(Presidente Circoscrizione Giotto)

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Il punto di vista delle Associazioni

Il punto di vista delle associazioni evidenzia da parte di uomini e donne la scelta di occuparsi di una tematica, sia

essa sociale, culturale, sportiva, sanitaria in modo volontario privilegiando la propria personale e concreta esperienza e

tenendo conto nella motivazione della propria idealità, competenza, desiderio di rendersi utile nonché dell’appartenenza

alla comunità in cui si vive.

…Solidarietà è soprattutto un modo di osservare, ascoltare e relazionarsi con l’altro, comprenderne i bisogni e dare la

possibilità di esprimersi secondo le proprie possibilità e potenzialità. In secondo luogo è fornire strumenti e mezzi

concreti per permettere ad ognuno di realizzarsi, ma è anche sentirsi parte di un comune progetto più grande e per

questo una predisposizione a creare legami…

Questa definizione proposta da un giovane scout dell’AGESCI, esprime riflessioni che si riferiscono non solo alla

comprensione dei bisogni ma sposta l’ottica sul piano educativo, per cui osservare, ascoltare e creare relazione sono il

punto principale del ruolo della propria associazione che per altro proprio di educazione dei giovani si occupa, unendo la

componente cattolica in cui si inserisce il concetto di “servizio al prossimo” il dare all’altro quello che si è ricevuto, il farsi

ultimi per i fratelli.

Più esplicita la mission dell’associazione stessa:

…Lo scoutismo è un gioco da non giocare mai da soli. La comunità è luogo di crescita, di confronto, un ambiente in cui

si instaurano rapporti significativi: ma è anche il luogo dove ognuno si sente libero di esprimersi e maturare una propria

personalità, dove sviluppa un atteggiamento verso l’altro e un’apertura alle altrui diversità. Per questo non è una

comunità chiusa ma si apre all’esterno, alle altre realtà con cui entra in contatto, secondo una logica della conoscenza

senza pregiudizi e alla disponibilità a rendersi utili…

Per la presidente di “Famiglie insieme”, associazione che si occupa di minori e di promozione della cultura della

famiglia:

…Solidarietà significa vivere e condividere momenti di crescita ed esperienze, cercare di migliorare per poi entrare nella

vita delle persone che hanno bisogno. Solidarietà non come atto di compassione ma come accoglienza e sostegno nei

confronti del prossimo…

E anche per la presidente di Ideazione, associazione che in Valdarno si occupa di giovani:

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…La solidarietà è pensare a se stessi come parte di un tutto , e quindi agire sempre tenendo a mente questo…

Per un associato del CALCIT (Comitato Autonomo Lotta Contro I Tumori):

…E’ un dovere morale di aiutare chi è in difficoltà, perché noi non essendo colpiti da malattia possiamo dare aiuto. C’è

chi se la sente di più e chi lo sente meno, dipende dalla motivazione. E’ un dovere morale anche perché molta gente

ripone speranza su chi si occupa di volontariato. Interrompere sarebbe come venir meno alla fiducia dei queste persone,

come un tradimento…

Il presidente dell’A.A.SP, Associazione Aiuto Sieropositivi che si occupa di informazione e prevenzione su HIV e

AIDS, interpreta la solidarietà come:

…Un modo di vita, un qualcosa da cui una persona, facendola, trae benefici anche per se stesso. Non è un’azione fatta

esclusivamente per gli altri, l’azione che uno fa di aiuto la fa parallelamente anche per se stesso. La soddisfazione che si

prende nell’aiutare qualcuno viaggia di pari passo con la crescita personale. Nella solidarietà c’è confronto, dialogo,

scambio di esperienze ed emozioni…

…La solidarietà è un gesto concreto o una serie di gesti concreti con cui si riconosce la dignità dell’altro e si cerca di

promuoverla. E’ l’idea che siamo uguali e che oggi io aiuto te perché sei in difficoltà e domani, se mi vedrai in difficoltà,

tu aiuterai me…

(Responsabile settore giovani dell’Associazione I CARE)

Possiamo qui chiaramente riprendere la definizione riportata da Pisapia nel suo “Parole di criminologia” per cui la

solidarietà non è una strada a senso unico ma a due corsie, una di andata e una di ritorno per cui la reciprocità diventa il

coinvolgimento in un progetto di interesse comune.

Per tutti e tutte è fondamentale e diremmo basilare il riferimento al soddisfacimento del bisogno dell’altro, lo stare

vicino alla persona in modo concreto, essere disponibili, rispetto e attenzione,condivisione, accorciare le distanze con

l’altro, dare qualcosa del proprio tempo,empatia, riconoscere la dignità dell’altro.

Molti di questi punti di vista si sono trovati anche nelle definizioni dateci dai rappresentanti degli enti pubblici.

La solidarietà risulta nella semplicità del donare essere un’azione molto complicata che riguarda il nostro essere

ed il nostro essere è stare in rapporto con gli altri. E’ un grande contenitore di idee, conoscenze, emozioni, è un mettersi

in gioco apertamente , confrontandosi con le proprie capacità, messe al servizio del prossimo e con i propri limiti,

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consapevoli che non tutto è possibile fare e soprattutto che nel lavoro verso le persone bisogna essere attenti a non

invadere la sfera personale di ognuno.

Nel rispondere alla domanda “in che modo la vostra associazione si occupa di solidarietà?”, le persone

intervistate raccontano, attraverso esempi concreti, la mission che troviamo definita nello Statuto di ogni associazione.

In questo la differenza con la visione degli Enti pubblici, a qualunque livello, è sostanziale.

Molte risposte dei rappresentanti delle istituzioni hanno una specifica sul “dover fare solidarietà”, cioè nel loro

lavoro sia come rappresentanti politici (assessori, dirigenti scolastici, presidenti di circoscrizione) che come funzionari

(docenti, funzionari di enti locali, comandanti di P.M., CC, funzionari di ministeri) è contemplato l’aspetto solidale,

vincolato da scelte di natura politica, da procedure burocratico/amministrative da disponibilità finanziarie.

L’associazionismo pur intrecciandosi con il pubblico ed utilizzando i finanziamenti previsti per alcuni servizi, parte

dall’impegno di cittadini/e che sentono di far parte di una comunità e si fanno carico di temi e problemi esistenti ed

evidenti, in modo molto concreto. Ed è proprio la concretezza cioè il “che cosa si fa” che viene ampiamente descritto e

non ha bisogno di molti commenti:

…Facciamo azioni di volontariato destinando i proventi alle associazioni che per Statuto hanno scopi sociali,

prevalentemente per i bambini bisognosi di una scuola di Santo Domingo e di Betlemme…

(Rettore del Quartiere Sant’Andrea, uno dei quartieri storici della Città di Arezzo che partecipa alla Giostra del Saracino)

…L’associazione si occupa di accoglienza, sostegno educativo e pedagogico a minori in stato di difficoltà, provenienti

dal circuito civile e penale. Nonostante gli ostacoli incontrati, di varia natura e soluzione, rimaniamo fermi nella

convinzione che le realtà difficili e problematiche abbiano diritto all’assistenza, aiuto e solidarietà, anche se i risultati

sono talvolta esigui e non direttamente proporzionali agli intenti…

(Operatore Associazione La Provvidenza)

…Il metodo con cui si aiuta la persona con problemi di alcool si basa sulla partecipazione della famiglia alla

risoluzione del problema, in quanto questo tipo di problema non riguarda solo il singolo soggetto “che beve” ma tutto il

contesto sociale in cui questo vive ed opera. All’interno del club oltre alla garanzia della privacy, si ascolta, si

condividono i problemi e si è solidali gli uni con gli altri…

(Presidente dell’ A.C.A.T. - associazione club alcolisti in trattamento)

…La nostra Associazione che si occupa di solidarietà dal 1995, principalmente attraverso una serie di servizi e progetti

destinati alle donne in difficoltà, migranti ma anche italiane; case di accoglienza, sportelli di ascolto e aiuto nel disbrigo di

pratiche legate ai permessi di soggiorno e al contatto con i servizi del territorio (scuola, salute, servizi per l’impiego, ecc)

corsi gratuiti di italiano, piccoli progetti di formazione e lavoro accessibili al di là della scolarizzazione e della lingua e che

valorizzino i saperi tradizionali delle donne (cucina multietnica, cucito, ecc)…

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(Responsabile Associazione Donne Insieme)

…L’Associazione I CARE offre spazi ed opportunità per bambini e adolescenti, in particolare per il tempo pomeridiano.

Cerchiamo di capire i loro bisogni, offrire amicizia, e vicinanza , con attenzione ai casi delle famiglie più in difficoltà. La

solidarietà è uno stile con cui avviciniamo gli altri. I risultati non sono immediati, a volte di alcuni non si viene a sapere

mai com’è andata.

Quando non possiamo contribuire con mezzi materiali contribuiamo con il nostro servizio, con il tempo messo a

disposizione . I nostri servizi sono tutti gratuiti (corsi di chitarra, cene sociali, ecc) animazione e organizzazione i feste

per i più piccoli. Il nostro è un gruppo interparrocchiale che opera anche negli oratori, con l’accompagnamento alla

crescita e allo sviluppo spirituale e cristiano dei giovani.

(Direttrice Associazione Diamo gusto alla vita)

…La nostra Associazione si occupa di solidarietà in tre modi: facendo spettacoli teatrali che promossi da associazioni di

volontariato, mettendo in scena spettacoli che sensibilizzano su tematiche sociali, gestendo con un’altra associazione

del territorio, il Centro di aggregazione di Camucia, luogo che promuove la cultura dell’agio adolescenziale...

(Presidente Associazione culturale Gotama)

…La nostra associazione è nata nel 1989, con lo scopo di gestire il servizio di pronta accoglienza minori. Eravamo un

gruppo di famiglie con alle spalle esperienze di affido di minori part-time. Il Centro Accoglienza Minori (CAM) ancor oggi

rappresenta la nostra principale attività. Il centro è condotto da una coppia di coniugi che vive in modo stabile e accoglie

8 ragazzi/e affidati dal servizio sociale del comune. Oltre alla presenza di un educatore professionale e di un

collaboratore per la gestione quotidiana, intorno al centro si è costituito un gruppo di giovani volontari che trascorrono

parte del loro tempo libero con i ragazzi. Promuoviamo inoltre cicli di incontri di educazione e supporto alla genitorialità e

collaboriamo con l’associazione Azione per un Mondo Unito (AMU) onlus di Roma per il sostegno delle adozioni a

distanza.

Sosteniamo ed accogliamo le famiglie che si trovano ad affrontare un lungo percorso riabilitativo, organizzando diverse

attività per le persone traumatizzate, permettendo un loro inserimento sociale, costruiamo percorsi d’incontro tra le

persone, sosteniamo gruppi di auto aiuto. Interveniamo nelle scuole per percorsi di informazione, sensibilizzazione e

prevenzione sui rischi degli incidenti, soprattutto stradali…

(Presidente Associazione A.TRA.C.To - Associazione traumi cranici Toscani)

…La nostra associazione, occupandosi di AIDS e Sieropositività, ha negli anni modificato i propri interventi, così come è

cambiato il decorso della malattia .Insomma si è adattata, prima ci occupavamo molto di emergenze, ora che i farmaci

salva-vita hanno fatto decrescere le situazioni tragiche e calare l’attenzione dell’opinione pubblica, riusciamo a lavorare

sulla prevenzione nelle scuole in particolare, e organizziamo eventi pubblici per il 1 dicembre, gi0ornata mondiale di lotta

all’Aids e a maggio per il Candleligh. Abbiamo comperato una tenda da mettere su un terrazzo delle malattie infettive per

rendere vivibile uno spazio che si utilizzava con difficoltà perché in estate era a tutto sole e in inverno gelido e ventoso…

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(Presidente dell’A.A.SP.)

…Un esempio del nostro lavoro è il tessuto che compone Mae Revolutionae stessa: siamo un gruppo eterogeneo e negli

ultimi tempi è motivo di grande soddisfazione vedere quanti ragazzi/ragazze giovanissimi partecipano. L’associazione si

muove prevalentemente per organizzare eventi musicali e non solo a quello che succede intorno, a scapito delle

relazioni sociali che stanno alla base di ogni società. Cerchiamo di creare con i giovani momenti di aggregazione e

soprattutto momenti di condivisione di progetti e interventi, occasioni per smuovere i giovani. Il “non c’è niente da fare” è

spesso una scusa che favorisce l’apatia, l’indifferenza offrendo un’alternativa a chi non vuol fare sempre le stesse cose,

per scoprire realtà diverse e conoscere gente nuova.

(Volontaria di MAE REVOLUTINAE - associazione culturale ed interventi nel mondo giovanile)

Se pur non apertamente esplicitato il tema della prevenzione è molto presente nella mission delle associazioni di

volontariato. Ogni atto ha nel suo insieme il compito di poter anticipare disagi che potrebbero presentarsi. Così chi lavora

rispondendo direttamente alle richieste, lavora anche ad ampio raggio con la cittadinanza e le scuole in particolare,

trattando argomenti per maggior informazione e sensibilizzazione con gli stessi: incidenti stradali, rischi delle

dipendenze, malattie sessualmente trasmissibili, incidendo in particolare sui comportamenti dei giovani.

…La nostra associazione lavora con il sociale, sottolineo lavora, quindi la gratuità è relativa ma sempre di solidarietà si

tratta. Gestiamo l’Informagiovani di Sansepolcro, organizziamo campi estivi e collaboriamo con il Sert della Valtiberina,

trattando quindi con giovani e con giovani con forte disagio…

(Presidente de La Rua,Valtiberina - Associazione di educativa di strada)

…Il nostro impegno è soprattutto su iniziative rivolte ai giovani. La partecipazione dei giovani nel territorio, la capacità di

capire le loro esigenze è un punto di partenza ma anche un obiettivo .Abbiamo molti contatti con i ragazzi che fanno

musica…

(Responsabile Associazione Il rifugio di Francesco)

Molto esplicita e concreta la mission del CALCIT che rappresenta un’esperienza molto particolare del territorio

aretini che si pone in modo assolutamente sussidiario nei confronti del pubblico, con un esplicito obiettivo politico che è

quello di migliorare la qualità della salute pubblica:

…Noi raccogliamo fondi per acquistare strumenti o finanziare servizi come il progetto SCUDO (assistenza domiciliare di

malati terminali), ma anche la formazione di medici, con l’obiettivo di migliorare la Sanità pubblica nel suo insieme. I

risultati si possono sintetizzare in cifre: in 30 anni di vita è stato donato alla sanità aretina oltre 20 milioni di euro nei modi

descritti. Ciò che è sorprendente è la capacità di coinvolgimento della popolazione, dall’organizzazione dei mercatini, alle

donazioni personali…

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(Volontario responsabile del Calcit)

…Innanzitutto la formazione. Attraverso incontri su temi di approfondimento per quanto riguarda la parte medico-

scientifica, etica, antropologica e psicologica si cerca di percepire chi dei volontari sarà veramente in grado di svolgere il

compito prefissato, considerando che dall’inizio dei corsi, solo il 25% degli iscritti giunge alla fine…

(Infermiere professionale del Progetto SCUDO - assistenza ai malati terminali)

Le ultime due domande sono state poste sia agli enti che alle associazioni e riguardano proprio la relazione di

rete, le strategie, i punti di forze e di debolezza e le possibili soluzioni.

Ancora una volta le associazioni si raccontano attraverso i servizi, le attività di cui sono protagoniste attive

sottolineando con chiarezza il loro ruolo.

…Le modalità di collaborazione sono molteplici e si possono così elencare: partecipazione ai tavoli istituzionali e agli

organi di consultazione, lettura di siti internet e periodici, realizzazione e partecipazione a progetti condivisi, affinità di

scopi tra associazioni…

(Socialnet - Associazione legata alla CNA che si occupa di artigiana e pensionati)

…In maniera pratica lavoriamo con convenzioni con enti pubblici quindi questo ci mette materialmente in relazione

quotidiana con loro. Con le altre associazioni in un territorio piccolo come il nostro il contatto è inevitabile e

indispensabile…

(Ideazione - Associazione del Valdarno che si occupa di giovani)

…La collaborazione è una necessità, è un fattore indispensabile. Cerchiamo di essere presenti in occasioni che aiutino

la promozione della collaborazione, di scambiarci risorse, quando si può…

(C.S.A - Associazione che interviene sulle dipendenze)

La rete è luogo di incontro, confronto, di ottimizzazione delle esperienze e delle risorse.

…Siamo inseriti in una rete molto fitta e consolidata di associazioni culturali e di volontariato. Collaboriamo con il nostro

comune e con i vari servizi sociali com-partecipando alla realizzazione di eventi comuni...

(Gotama - Associazione culturale)

Page 70: · Web viewUn bar che è visibilmente nuovo, un bar in cui hai un ruolo attivoed interattivo. In fondo queste sono solo parole. Dovresti venire a vivere il Beta Bar!!! Inoltre Nell’anno

…Non abbiamo “una strategia” se non quella dell’incontro, del dialogo, della conoscenza reciproca e della passione che

mettiamo nel portare avanti le nostre attività. La nostra rete è con i servizi pubblici con cui abbiamo convenzioni ,

assistenti sociali del comune, comitato di solidarietà, CRI, Caritas diocesana e con le associazioni che si occupano della

stessa tematica, codice ADAF, Cif sulla genitorialità e on tutti i volontari e cittadini che quotidianamente ci danno il loro

aiuto…

(Associazione Famiglie insieme)

Spesso l’associazione stessa è nata all’interno della struttura pubblica, cogliendo i bisogni delle persone e la

difficoltà dell’ente a la risposta.

…La stessa associazione è frutto dell’interazione del Comune di Anghiari che ci ha dato fiducia e ha investito nella

nostra attività, collaborazione che si è dimostrata produttiva e soddisfacente. Siamo inoltre in contatto con enti privati e

non del territorio. Il continuo rinnovarsi all’interno dell’associazione fa in modo che non manchi mai la voglia di fare e le

novità proposte accendono dibattiti e stimolano il confronto. L’unica strategia di cui possiamo parlare è il dinamismo che

cerchiamo di preservare, un’associazione chiusa nella propria sede e che si crogiola nei successi ottenuti, non aprendo

le porte a gente nuova è una associazione inutile…

(MAE REVOLUTIONAE - Associazione culturale)

…Collaboriamo con la USL con l’obiettivo di completare quello che il servizio pubblico non può dare. Collaboriamo

anche con associazioni che si occupano della stessa tematica, la Lega contro i tumori e la Fondazione Cesalpino

soprattutto per promuovere la cultura della formazione medica. La formazione infatti è importante per sensibilizzare e

migliorare la comunità scientifica, per creare tra i medici collaborazione e condivisione. Il CALCIT raccoglie i bisogni e le

necessità sia di strumenti che di formazione. Insieme si fa meglio per evitare che ognuno coltivi il proprio orticello. I nostri

principali interlocutori pubblici sono la Provincia e il comune. C’è da aggiungere una cosa importante, la nostra

associazione è nata in collaborazione con il reparto malattie infettive dell’ospedale aretino con cui continuiamo a

collaborare.

(A.A.S.P.)

…Nel corso degli anni la nostra associazione è cresciuta molto e i nostri servizi ne hanno beneficiato in termini di qualità

e quantità. Questa maturazione è frutto anche del tessuto che abbiamo intrecciata con le altre associazioni e cooperative

presenti nel territorio. Utile la costituzione di una rete informatica – virtuale, ma indispensabile e costruttivo la rete di enti,

persone, idee sempre a confronto e pronte alla relazione dare/avere, necessaria per crescere...

(Il Sorriso - Associazione socio-educativa)

Page 71: · Web viewUn bar che è visibilmente nuovo, un bar in cui hai un ruolo attivoed interattivo. In fondo queste sono solo parole. Dovresti venire a vivere il Beta Bar!!! Inoltre Nell’anno

…Collaboriamo con i servizi pubblici e siamo di stimolo per sviluppare nuove attività. Con le altre associazioni esiste un

rapporto di relazione e rispetto reciproco…

(A.U.S.E.R.)

…Abbiamo un rapporto diretto con la USL perché suppliamo ad una mancanza di servizi e di personale sul territorio.

Praticamente lavoriamo sulla possibilità che un diritto di ogni cittadino venga messo in atto, grazie ad un lavoro

professionale che mette d’accordo pubblico e volontariato. I nostri interventi sono strutturati e concordati con gli stessi

enti…

(Aassociazione Misericordia di Soci)

…Collaboriamo da sempre con la Provincia di Arezzo, (Assessorato alle Politiche Sociali ed alle Pari opportunità), con il

Comune di Arezzo e con i Comuni della Valdichiana Aretina, tramite convenzioni per la gestione di servizi di accoglienza

e ascolto ed in occasione di progetti particolari…

(Associazione Donne Insieme)

Sembra così che l’intreccio sul territorio si sia sviluppato con una collaborazione tale da far pensare ad una

situazione di “piccolo paradiso”.

Le criticità infatti vengono esplicitate in modo chiaro e raramente in modo polemico, c’è piuttosto la ricerca di una

strategia di collaborazione mirata al rispetto dei ruoli e alla semplificazione delle difficoltà. Le possibili soluzioni proposte

sono mettono in evidenza la conoscenza del proprio lavoro e la consapevolezza di quanto potrebbe funzionare e ha

difficoltà invece a farlo.

…Le problematiche più evidenti? La non comprensione dei rispettivi “doveri” e “ campi di azione”…

(Associazione Ideazione)

…I problemi nascono quando si interrompe la fiducia, quando qualcuno pensa che siano sempre gli altri a sbagliare e a

non valere niente. Ogni tentativo di collaborazione rimane bloccato e primo o poi si troverà una scusa per allontanarsi.

Secondo noi la soluzione sta nel promuovere la fiducia che è data dal conoscere gli altri non superficialmente, utilizzare

le occasioni di incontro e di scambio, fare qualcosa insieme...

(Associazione I CARE)

La mancanza di comunicazione ed informazione sono una delle criticità evidenziate.

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…Forse il problema è la scarsa informazione e conoscenza reciproca dei vari servizi che ci sono nel territorio, enti e

associazioni si occupano a volte della stessa utenza e non comunicano e interagiscono tra loro. Una buona prassi

potrebbe essere il ritrovarsi periodicamente attorno ad un tavolo con i vari rappresentanti per fare il punto della

situazione e comunicare le azioni da intraprendere in futuro insieme ma anche singolarmente. Selezionare le

informazioni per migliorare la relazione…

(Associazione Diamo gusto alla vita)

…Abbattere il più possibile la macchina burocratica che rallenta e spaventa, creare un humus fertile per la promozione di

eventi culturali e sociali, l’abitudine crea facilità di approccio, altrimenti tali eventi passano inosservati e non suscitano

interesse…

(Associazione Gotama)

…La problematica maggiore riguarda la mancanza di fondi che gli Enti pubblici possono destinare alle attività sociali, a

fronte di una crescita esponenziale dei bisogni, dovuta anche alla grave crisi economica degli ultimi tempi. A volte questi

problemi fanno sì che il mondo del volontariato debba sostituirsi in maniera impropria ai servizi o che si faccia carico dal

punto di vista economico . Per un’associazione che non ha fini di lucro e quindi neanche risorse per far fronte a

particolari difficoltà il problema è molto grave. Per esempio a volte si è costrette ad anticipare somme chiedendo alle

banche con garanzie personali o attingendo a risorse personali a causa della lentezza dei rimborsi della Pubblica

Amministrazione o dei limiti posti dal Patto di stabilità.

La soluzione a questo problema è difficile perché dipende solo in minima parte dal livello territoriale, si può solo chiedere

una maggiore attenzione e sensibilità e possibilmente uno snellimento delle procedure…

(Associazione Donne Insieme)

…La maggiore problematica è riuscire, nonostante le diversità, a trovare punti in comune per comunicare in modo unitari

quali necessità si rilevano. Una soluzione potrebbe essere, come associazioni, di mettere insieme le proprie forze e

proporre agli enti percorsi e progetti che vadano a beneficio della popolazione…

(Associazione A.Tra.C.To)

…Per risolvere il problema della non comunicazione si deve avere il coraggio di dire le cose, nel bene e nel male...

(Associazione AUSER Valdarno)

…Smettere di pensare a interessi privati e iniziare a pensare in un’ottica globale, più allargata...

(Associazione APS ARKADIA)

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…Il nostro rapporto non è conflittuale ma si potrebbe lavorare migliorando la comunicazione…

(Associazione Misericordia - Terranuova Bracciolini)

Non mancano accenni alla competizione come valore negativo, difficoltà resa più problematica dalle scelte

dell’ente pubblico.

…E’ capitato che per sopravvivere le associazioni agiscano in competizione e non in collaborazione. Questo crea

problemi, conflitti, difficoltà nella soluzione del problema. Recentemente abbiamo notato come la Provincia di Arezzo

nella valutazione di un grosso progetto, abbia preferito aspetti burocratici ed economici rispetto a quelli meritocratici. Non

ci sembra facile spiegare alle istituzioni che tra il risparmio di qualche migliaia di euro e la continuità di un percorso

educativo. Non dovrebbero esserci nessun dubbio sulla strada da seguire.

(Associazione il Sorriso)

…I problemi stanno nella burocrazia e nella molteplicità delle figure referenziali. Forse una soluzione potrebbe essere in

una maggiore semplicità ed una reciproca fiducia, nel rispetto delle proprie competenze…

(Associazione Valdarnese di Solidarietà)

Leggiamo in alcuni una disillusione dell’esperienza con gli enti, l’amarezza di non essere ascoltati e compresi nel

proprio ruolo. La mancanza e al tempo stesso la necessità di un incontro come occasione mancata.

…Il problema più grande è la mancanza di tavoli di incontro, di concertazione. Sarebbe necessaria una

calendarizzazione degli interventi in modo da non avere sovrapposizioni o doppioni. Capisco che gli enti sono più lenti

nel dare risposte, l’immediatezza , il pronto intervento è una peculiarità del volontariato, ma credo che se si incontrano le

persone giuste, impegnate e volitive, questa collaborazione aiuterebbe tutti. Ci sono ancora negli enti troppi burocrati,

che non percepiscono le esigenze anche economiche del volontariato, che si impegna nella propria comunità.

(Associazione Misericordia)

…Sarò esplicita, dopo tanti incontri con i comuni del territorio, anche nel “percorso partecipato” non credo nella rete

sociale e nei tavoli di concertazione. Le associazioni lavorano con impegno per rispondere alle esigenze dei cittadini, di

quelli che ci sono intorno e rispetto agli obiettivi che ci hanno permesso di formarci come gruppo organizzato. Gli enti

sono spesso lenti e burocrati, non credo abbiano nel loro DNA la solidarietà. Rispetto alle altre associazioni credo che

forse un passo in più sarebbe avere delle persone che si occupano di scovare più opportunità di progetti...

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(Associazione Agnese con Noi)

…Uno dei problemi che riscontriamo è la non limpidezza di alcuni enti o meglio di alcune persone che hanno ruoli

importanti negli Enti. Per esempio l’uscita dei bandi per le associazioni ha spesso una scadenza breve, e non si riesce a

starci dietro. Le associazioni hanno un motore diverso, il pubblico no spesso sono lenti, burocrati e non vivono il concetto

di solidarietà…

(Associazione Il rifugio di Francesco)

…Le problematiche derivano dal disinteresse reale che molti Enti hanno verso le Associazioni e dei pregiudizi che si

creano.

Bollare un’associazione sotto una bandiera politica in maniera radicale solo per un nome, senza parlare direttamente

con le persone che la rappresentano è un modo vile di chiudere le porte e vivere nel proprio orticello di casa. Il modo in

cui si discute, l’apertura mentale e la disponibilità all’ascolto sono alla base di qualsiasi tipo di collaborazione. La

soluzione sta nell’abbattere la diffidenza generale, dal punto di vista pratico nel voler “rischiare” qualcosa sul piano

sociale, politico, e anche economico nel confronti di qualcuno: dare fiducia…

(Associazione MAE REVOLUTIONAE)

…Le problematiche sono legate ad uno scarso interesse sia da parte di molte Amministrazioni pubbliche che da parte di

molte realtà associative. Sono inoltre carenti i momenti di incontro e scambio che siano facilmente fruibili incontri in

giorni ed orari impossibili per chi lavora, questo ostacola il coinvolgimento di chi già fatica a ritagliarsi il tempo per fare

“volontariato”. C’è uno scarso interesse da parte di molte realtà che non hanno l’esigenza di intrecciare ma pensano solo

di procacciare qualcosa Infine, credo manchi un chiaro “punto di riferimento” in grado di censire, ascoltare, categorizzare

le esigenze/interessi e promuovere iniziative tematiche. Spesso si tende a mescolare cose poco miscibili, mentre

servirebbe un minimo di selezione positiva, preventiva in modo che si crei maggior interesse verso argomenti in grado di

coinvolgere i soggetti sensibili a quel determinato argomento. A volte sembra che alcuni soggetti cerchino consensi e

quindi tendono ad allargarsi troppo, ciò rischia di alimentare collaborazioni falsate e unicamente mirate al piccolo

interesse. La nostra Associazione è nata con lo scopo di recuperare spazi pubblici non utilizzati per destinarli ai fini

sociali che gli sono propri promuovendo cultura, arte ed aggregazione.

(Associazione Salcotto)

Sintetica e lineare la valutazione, proposta come breve decalogo su problematiche e soluzioni:

…Efficace programmazione che significa lettura condivisa dei bisogni, monitoraggio e valutazione dei risultati raggiunti in

funzione degli obiettivi. Scarsa responsabilità dei funzionari degli Enti, più impegnati ad auto tutelarsi che a trovare

soluzioni più rapide ed efficaci.

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Clientelismo da parte delle associazioni spesso subalterne e poco indipendenti, perciò non critiche nei confronti degli

Enti pubblici…

(Associazione Socialnet)

Così possono diventare patrimonio di tutti e tutte, non le risposte sulle possibili opportunità di risoluzione ma la

semplice domanda di un volontario di un’associazione aretina.

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What do you going?

Dove chiedersi e non già sapere, cosa si sta facendo o meglio dove si sta andando, è il mettersi continuamente in

discussione per capire il senso interiore e la validità di quello che si è scelto di intraprendere, come cammino orizzontale

che ha come obiettivo la qualità della vita della comunità a cui si appartiene e in senso verticale alla propria crescita

personale, un viaggio che non si fa da soli e che non è di sola andata.

Il punto di vista degli utenti

Un aspetto interessante da tener conto nell’elaborazione sono le risposte dateci da coloro che hanno utilizzato i

servizi delle associazioni ed enti, gli utenti che si sono rivolti in situazioni particolari della loro vita alla rete di solidarietà

presente nel territorio.

Abbiamo ritenuto opportuno utilizzare le parole degli intervistati stessi, in modo che non ci siano equivoci di

interpretazione. Sono la testimonianza della solidarietà come atto concreto agito, contengono le storie, le emozioni, il

vissuto quotidiano e le critiche di uomini e donne che hanno vissuto o vivono un’esperienza dove la richiesta di aiuto o la

risposta ad un bisogno ha trovato accoglienza.

Dobbiamo tenere conto che le domande rivolte agli utenti, escluso “cos’è per lei la solidarietà”, che è stata rivolta

a tutti/e gli intervistati, sono assolutamente differenti dalle altre poiché quello che vogliamo mettere in evidenza è il modo

in cui sono venuti a conoscenza dei servizi offerti dalle associazioni, le proprie esperienze e quanto queste sono

migliorate rispetto al servizio offerto.

Così la solidarietà, per una donna che si è rivolta alla Misericordia di Anghiari è:

…Non sentire mai di essere sole ed avere quasi la certezza che in qualsiasi momento puoi sempre trovare qualcuno

pronto ad aiutarti…

Il tema dell’aiuto e dell’accoglienza ritorna nelle parole di molte/i intervistati così come il tema della solitudine,

indicativo per chi si trova in una situazione di disagio e bisogno e non ha una rete parentale o amicale a cui appoggiarsi,

o per chi viene da un paese straniero:

…Per me solidarietà è condivisione è sentirsi vicino alle altre persone ed in particolare alle altre donne, al di là di ogni

barriera culturale; è cercare le ragioni per cui siamo uguali piuttosto quelle per cui siamo diversi; è impegnarsi insieme

perché tutte si possa vivere una vita migliore…

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…La solidarietà è sapere che di un problema se ne può portare un pezzettino per uno…

…E’ cercare aiuto e trovare persone che ti aiutino a risolvere il tuo problema di quel momento. E’ anche la

consapevolezza di non essere soli e di essere considerato come persona. La solidarietà ti fa sentire bene, ti senti

accolto e ascoltato…

Questa è l’idea di solidarietà che ci ha espresso un uomo e che non differisce da quanto è stato precedentemente

detto dalla donna di cui sopra.

…Saper chiedere senza pensare di dover dare qualcosa in cambio e non vergognarsi di chiedere aiuto. E’ dare risposta

ai problemi senza chiedere niente…

Viene sottolineato in più risposte il tema della gratuità indipendentemente dal genere, un tema a cui si riferisce

una donna che si è appoggiata all’A.U.S.E.R, associazione che si occupa principalmente di anziani e che ha trovato

nell’associazione: amicizia, mutualità, attenzione agli altri, organizzazione nell’aiuto. La gratuità è per altro un valore

relativo dato che è chiaro che alcuni servizi sono realizzati proprio grazie al contributo pubblico e di questo c’è

consapevolezza negli utenti.

…Come ho già detto i “viaggi” di cui ho usufruito sono stati rimborsati alla Misericordia dalla A.S.L, quindi come lavoro di

rete credo che funzioni…

Importante per tutti è il “prendersi cura”.

Cura nella nostra cultura significa proprio attenzione, premura, curare, aiutare a crescere ed è radice di un

termine importante quale “sicurezza”, il sine cura (senza preoccupazione dei latini) quella sicurezza che conduce a

riflettere ed a guardare a una qualità della vita dove serenità e tranquillità fanno sentire parte di una comunità

accogliente.

La conoscenza dei servizi offerti dalle associazioni sul territorio è avvenuta in modi diversi, da informazioni

direttamente dai servizi sociali, da amici, dai volontari delle associazioni stesse, dal medico di base, per conoscenza

diretta, dalla rete di amicizie personali.

Riferiamo l’interessante risposta di un uomo di 55 anni , che ha utilizzato i servizi della Caritas aretina.

…Sono venuto a conoscenza della rete di associazioni dal dialogo intercorso con alcuni volontari, non solo mi sono

venuti incontro su alcuni problemi che avevo ma mi hanno fatto aprire gli occhi sul tanto disagio che c’è sul nostro

territorio….

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Al contrario di quello che si può pensare, chi cerca aiuto non sempre vede solo il proprio bisogno ma attraverso la

risposta data riesce a vedere oltre il proprio disagio.

Spesso chi è entrato in contatto con un’associazione di volontariato, superato il proprio disagio ed appagato il

proprio bisogno, continua a restare in contatto con l’associazione e ne diventa volontario.

E’ questo della condivisione e della formazione un ruolo importante che le associazioni hanno anche riguardo il

tema della prevenzione.

…Mi sono rivolta all’Associazione Donne Insieme e dopo sono rimasta a dare una mano, ho partecipato alla gestione

degli sportelli di ascolto e accoglienza e ad alcuni progetti di intercultura, l’esperienza del contatto con altre donne con i

miei stessi problemi mi ha fatto crescere come persona anche se a volte è difficile non soccombere alla frustrazione

quando ci si accorge della difficoltà di riuscire a fare quello che si vorrebbe o che necessario…

Così il focus group con le ragazze del Casentino che hanno partecipato ad un corso di “Peer Education”

organizzato da un’associazione di promozione sociale (Associazione D.O.G. - Operatori di Strada), parlano

dell’importanza di avere strumenti per capire le problematiche in particolare dei giovani e quindi la possibilità di

impegnarsi diventando esse stesse parte di un’associazione del territorio.

…Un’esperienza che ti apre la mente, ti fa conoscere tante cose in più! Un progetto che consiglierei a tutti. Oggi so che

sul territorio in cui abito ci sono persone che si impegnano e con esse posso esprimere i miei bisogni.

Credo che mi sia servito perché ho imparato cose che prima non sapevo e che forse trattavo con troppa superficialità e

poi mi sono anche divertita…

La domanda sulle proprie esperienze e benefici apre il lungo racconto del vissuto, spesso doloroso di ognuno e la

valutazione dei servizi offerti.

…Per quanto la necessità di dovermi sottoporre a terapie quasi tutti i giorni non sia proprio un’esperienza positiva, il fatto

di aver conosciuto da vicino una realtà come la Misericordia è stato bello. Mi sono resa conto che ci sono molte persone

(volontari) che aiutano il prossimo in modo disinteressato, senza ricevere nessun compenso ma solo per il gusto di farlo,

e questa la trovo una cosa bellissima, considerato il fatto che spesso sono ragazzi giovani…

Nelle parole della madre di una ragazza disabile, la consapevolezza dello stare insieme nella condivisione della

stessa problematica.

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…La conoscenza delle associazioni di volontariato c’è sempre stata, fin da giovane, ma solo dopo la nascita di mia figlia

c’è stato un avvicinamento ed una ricerca di maggiori informazioni. I benefici riscontrati sono stati molti, soprattutto la

crescita della mia famiglia nella socializzazione con gli altri.

Partecipo ai laboratori che l’associazione organizza e ritengo che siano esperienze positive sia per lo stare insieme che

per le piccole cose che imparo…

Più esplicite le valutazioni di una coppia che nell’esperienza della malattia terminale della figlia, ha trovato nelle

associazioni ascolto, sostegno, condivisione.

…Avendo fatto parte di un’associazione di volontariato conoscevamo molte esperienze, ma passando dalla parte

dell’utente ci si sente un po’ spiazzati. Così alcune informazioni specifiche le abbiamo avute dai servizi socio sanitari e

dal nostro medico di base.

Le associazioni a cui ci siamo rivolte sono state lo Scudo e A.V.A.D., tutte e due si occupano di assistenza domiciliare ai

malati terminali, sia per l’aspetto sanitario che sociale. Le persone con cui abbiamo condiviso questa esperienza sono

molto competenti.

Lo Scudo, dal punto di vista sanitario, ha aumentato la sicurezza e la competenza che avevamo, rafforzando le nostre

conoscenze sul piano sanitario e avendo con noi un rapporto molto aperto e chiaro.

Le volontarie e volontari dell’A.V.A.D. hanno permesso che noi avessimo un po’ di tempo per fare alcune cose

garantendo la loro presenza e creando con nostra figlia un’amicizia che è durata fino al suo ultimo giorno.

Sono grata a loro che sono entrati in punta di piedi nella nostra vita e ci hanno alleggerito la fatica e il dolore con la loro

presenza discreta…

Le esperienze ed i benefici sono anche la risoluzione di problemi concreti quali il trasporto da casa a centri

protetti o all’ospedale per terapie e visite, il pranzo sociale, la partecipazione a momenti collettivi (il coro della parrocchia,

il corso di formazione), la preparazione di momenti di svago (la tombola della Befana, il mercatino del Calcit).

L’esperienza personale di ognuno e la valutazione del lavoro di rete ha dato una varietà di risposte che

permettono di avere la percezione di come viene vissuta, sul territorio, la collaborazione tra enti ed associazioni, e anche

alcuni suggerimenti e proposte di cui enti e associazioni potrebbero avvalersi.

…La collaborazione tra servizi formali e associazioni mi dà fiducia verso le istituzioni, perché si dice spesso con facilità

che i servizi lasciano soli i cittadini…

…La mia esperienza ha migliorato la conoscenza di come funziona sia il pubblico che il volontariato. Certo le risposte del

volontariato sono immediate e concrete, il pubblico ha molti ostacoli di procedure burocratiche, di tempi di attesa. Se la

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professionalità del pubblico e delle associazioni riesce a mettersi insieme, ognuno nel suo ruolo e senza delegare come

spesso avviene, forse possiamo fidarci di più e le cose si risolvono più velocemente…

…E’ attraverso la collaborazione tra loro che sono venuta a conoscenza dei servizi offerti. A volte non si conosce quello

che c’è a disposizione, quando affronti un momento difficile, sapere di poter contare su qualcuno che ti aiuta è di grande

sostegno. Se l’ospedale non ci avesse informato di alcuni servizi, probabilmente non lo avremmo saputo…

…Mi piacerebbe che gli Enti pubblici potessero potenziare questi interventi riconoscendo al volontariato un ruolo

importante che non deve sostituire ma affiancare il ruolo del pubblico.

Inoltre il volontariato competente e formato, perché non basta la buona volontà,ma occorre anche sapere e saper fare,

ha regole meno rigide del pubblico ed è molto più vicino ai bisogni e a problemi della gente. Può essere il braccio

operativo del pubblico….

…Mi sono molto chiarito sui ruoli sia del pubblico che delle associazioni, perché bisogna distinguere quello che può fare

uno e quello che può fare l’altro e quello che non possono fare. Questo mi ha permesso di capire meglio a chi devo

rivolgermi, come e quando senza fare confusione o sovrapposizione di ruoli. In questo il ruolo dell’associazione è stato

fondamentale, soprattutto quando si può vedere la collaborazione tra pubblico e associazioni, allora non c’è concorrenza

o voglia di primeggiare tra loro, ma solo l’interesse della persona nel soddisfacimento dei bisogni, problemi e difficoltà…

…E’ molto importante capire quali servizi ci sono sul territorio, cosa si può fare, a chi rivolgersi. La possibilità di accedere

alle informazioni è decisiva dal punto di vista delle opportunità che si possono cogliere, così come è importante

sviluppare interconnessioni tra tutti gli attori del territorio perché capita che non si conoscano le iniziative che vengono

attuate…

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Conclusioni

I risultati del progetto/indagine mostrano una fotografia iridata e variopinta del contesto provinciale aretino, che ha

sollecitato interessanti letture e aperto a nuove riflessioni.

E’ certo che la ricchezza e la vivacità di situazioni ed interventi in un territorio così vasto stimola ad una

interpretazione utile al fine di individuare come e dove rendere migliore la rete e l’intreccio attivo che esistono tra enti ed

associazioni.

Colpisce nell’immediato, il forte radicamento delle associazioni nel territorio. Di fatto troviamo in ogni comune la

presenza di diversi gruppi volontari che a diverso titolo e con varie mission, intervengono nella comunità.

Essi agiscono, potremmo dire, un ‘controllo sociale’ poiché operano a stretto contatto con le persone. Non sono,

pertanto, solo in grado di monitorare i bisogni e poi di soddisfarli, ma riescono a prevenire disagi e difficoltà proprio

perché hanno una conoscenza del contesto in cui operano assolutamente diretta.

Sono in molti casi, un osservatorio della vita della comunità ed in particolare del mondo giovanile. Alle

associazioni spesso i cittadini si rivolgono perché le sentono più vicine, hanno fiducia, sono interlocutori diretti e

funzionano da collegamento con gli enti pubblici.

Per questo il lavoro di rete tra ente ed associazione è fondamentale per intervenire con maggior efficacia, per

rendere più fruibili i servizi e migliorare le relazioni. Il tema della comunicazione ed informazione, sottolineato da tutte le

categorie intervistate è la base del lavoro di rete perché sottintende ad una relazione di confronto e scambio.

Potremmo dire che la positività delle esperienze, pur con qualche punto di criticità, indica la via da seguire

insieme, con la volontà di continuare a costruire un percorso comune, con la possibilità di una formazione comune che

sia opportunità di accrescimento di saperi professionali, con un rispetto dei ruoli che comunque riconosca la pari dignità.

La filosofia della rete è, secondo la nostra opinione, quella di promuovere la condivisione sia nella fase

progettuale che nella fase esecutiva, di migliorare l’organizzazione del lavoro attraverso una cultura dei modi a favore

del benessere organizzativo e della comunità mirando ad aumentare la qualità dell’intervento e, quindi, la qualità della

vita.

In sintesi non si può ‘nulla aggiungere e nulla togliere’ all’intreccio che sostiene la solidarietà nella provincia di

Arezzo. Ma al contempo, si è chiamati, ognuno per propria competenza e sensibilità, a favorire le migliori condizioni per

facilitare intrecci senza nodi, a promuovere quindi la cultura della solidarietà e la conoscenza reciproca. Nondimeno

infatti, si è convinti, come suggeriscono anche molti degli intervistati, che l’informazione sia l’antidoto dell’indifferenza.

Ultima nota. Il viaggio intrapreso, che ha voluto cogliere la sfumatura dei colori che dipinge il mondo del

volontariato, ha trovato più di quello che avrebbe sperato.

La prospettiva con la quale si è guardato a questo dinamismo circolare e relazionale, ente/associazione/utente, si

è di volta in volta allargata e approfondita attraverso le parole di ogni intervistato che con la propria esperienza

aggiungeva tono e personalità.

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Le aspettative degli operatori che hanno realizzato le interviste erano alte ma i risultati sono stati di gran lunga

superiori caricando sovente di meraviglia per quanto si andava scoprendo circa la vivacità delle forme in cui la solidarietà

si manifesta.

Questo lavoro di ricerca è andato pian piano prendendo la forma di un viaggio nell’umano, dove c’è chi dà e chi

prende e dove chi prende a sua volta dà…Come del resto la solidarietà autentica vuole.

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ALLEGATO 1

I questionari

QUESTIONARIO

Modulo A

Unità di analisi: Associazioni di volontariato/promozione sociale

Proprietà: La solidarietà

Stato della proprietà: Reti di solidarietà nel contesto del territorio provinciale aretino

Caso: Associazione

DOMANDE

1) Che cos’è per lei la solidarietà?

2) In che modo e con quali risultati la vostra Associazione si occupa di solidarietà?

3) In che modo e con quali strategie la vostra Associazione si “intreccia” crea cioè una rete di lavoro con i Servizi

pubblici e le altre Associazioni?

4) Quali sono le maggiori problematiche e le relative soluzioni affinché si possa migliorare la collaborazione attiva tra

Enti pubblici ed Associazionismo del territorio provinciale aretino?

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QUESTIONARIO

Modulo B

Unità di analisi: Enti Pubblici

Proprietà: La solidarietà

Stato della proprietà: Reti di solidarietà nel contesto del territorio provinciale aretino

Caso: Enti

DOMANDE

1) Che cos’è per lei la solidarietà?

2) Quali sono le vostre esperienze di collaborazione con le Associazioni di volontariato e promozione sociale sul

territorio?

3) In che modo e con quali strategie il vostro servizio si “intreccia” crea cioè una rete di lavoro con le Associazioni?

4) Quali sono le maggiori problematiche e le relative soluzioni affinché si possa migliorare la collaborazione attiva tra

Enti pubblici ed Associazionismo del territorio provinciale aretino?

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QUESTIONARIO

Modulo C

Unità di analisi: Utenti

Proprietà: La solidarietà

Stato della proprietà: Reti di solidarietà nel contesto del territorio provinciale aretino

Caso: Associazione/i di riferimento, zona d’appartenenza

DOMANDE

1) Che cos’è per lei la solidarietà?

2) In che modo è venuto a conoscenza dei servizi offerti dalle associazioni di volontariato/promozione sociale sul

territorio?

3) Quali sono state le sue esperienze ed i suoi benefici a riguardo?

4) La collaborazione tra Servizi formali ed Associazionismo ed il lavoro di rete offerto dall’associazione/i di cui ha

usufruito, hanno migliorato la sua esperienza a riguardo?

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Chi siamo

L’Associazione “D.O.G. – Dentro l’Orizzonte Giovanile”, nasce nel marzo 1998, a seguito di un corso di formazione

professionale per Operatori di Strada della durata di 600 ore promosso dalla Provincia di Arezzo – FSE Ob. 3.

Secondo quanto riportato dalla descrizione regionale di tale figura:

Operatore di Strada si definisce una figura professionale appartenente all’area socio-educativa che opera in attività di

prevenzione, i cui interventi possono riguardare un target comprendente la popolazione giovanile,

i frequentatori di eventi musicali, persone con comportamenti a rischio o devianti, senza fissa

dimora, donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale.

Inoltre, è da ricordare che il lavoro di strada nasce dalla necessità di comprendere sia la cultura della strada che quella

istituzionale, per poter svolgere un’azione di riconnessione e mediazione relazionale tra le due. Rappresenta quindi, un

“punto di vista privilegiato” attraverso il quale analizzare e poi affrontare le situazioni, un sensore sociale che occupa uno

spazio intermedio agendo sulla quotidianità.

L’Associazione opera con queste finalità:

Promuovere la qualità della vita, la tutela della salute, il benessere sociale, le opportunità educative e quelle di

inserimento sociale e lavorativo;

Ridurre il rischio del disagio sociale, emarginazione, marginalità e devianza, ove sia rilevata e riconosciuta

l’esistenza di situazioni definite a rischio;

Rendere i diversi attori sociali competenti nella elaborazione di strategie adeguate al contesto di riferimento ed

efficaci per lo sviluppo di comunità.

Così l’operatore di strada svolge diverse funzioni che si possono sintetizzare in sei punti:

Osservazione e analisi del territorio preso in esame, inteso come sistema complesso e come popolazione nel suo

insieme, le sue risorse, i bisogni espressi e quelli che rimangono inespressi;

Osservazione e analisi delle domande espresse a livello individuale o di piccolo gruppo;

Contatto con associazioni spontanee, agenzie educative e servizi, presenti nel territorio;

Facilitazione della comunicazione e della circolazione delle informazioni tra gli attori del contesto di intervento;

Microprogettualità, ovvero organizzazione di attività ed animazione a partire dalle esigenze dei ragazzi contattati;

Elaborazione, realizzazione e valutazione dell’intervento in collaborazione con la rete istituzionale e informale dei

servizi.

Attualmente fanno parte dell’Associazione anche educatori professionali, criminologi, sociologi, psicologi, educatori ed

animatori.

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Sono in atto collaborazioni con Provincia di Arezzo, con i Comuni, A.S.L.8 Arezzo e Regione Toscana con progetti

relativi a “Peer Education”, interventi nelle scuole su alcool, dispersione scolastica, droghe, sicurezza e legalità e

responsabilità sociale d’impresa.

Gestisce per conto della Regione Toscana in comodato d’uso, il “Gioco dell’Oca di Fabrica Ethica”.

L’Associazione “D.O.G. – Dentro l’Orizzonte Giovanile” aderisce a:

Coordinamento Nazionale “Nuove Droghe”;

CNCA - Coordinamento Nazionale e Regionale “Case Accoglienza”;

“Trame” organismo di carattere Regionale che conta al suo interno 10 tra Associazioni e Cooperative operanti nei

programmi di assistenza ed integrazione sociale a favore di persone oggetto di tratta a scopo di sfruttamento

sessuale;

Forum Aretino del Terzo Settore.

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Ringraziamenti

Ringraziamo per la disponibilità di tempo e attenzione gli Enti e le Associazioni che hanno collaborato per le interviste:

CSSA di Arezzo - Ministero di Giustizia, Carabinieri, ASL8 Arezzo e Sert di zona, Provincia di Arezzo, Centro Provinciale

per l’Impiego, Comune di Anghiari, Comune di Arezzo, Comune di Bibbiena, Comune di Bucine, Comune di Castel San

Niccolò, Comune di Castiglion Fiorentino,Comune di Cortona, Comune di Lucignano, Comune di Montevarchi, Comune

di Pratovecchio, Comune di Terranuova Bracciolini, Comunità Montana del Casentino, Scuole primarie e superiori della

provincia, Zona Socio-sanitaria Aretina.

Associazione Aiuto Sieropositivi, Ass. Donne Insieme, A.C.A.T – Club Acoolisti in trattamento, Ass. La Rua, I CARE,

Ass. culturale Gotama, Confraternita della Misericordia, CALCIT, Progetto Scudo, AGESCI, Quartiere Porta S.Andrea,

MAE REVOLUTIONAE, La Provvidenza, IDEAZIONE, Diamo gusto alla vita, Famiglie Insieme, A.Tra.C.To – Ass. Traumi

Cranici Toscani, Il Sorriso, Aps Arkadia, AUSER, Ass. Valdarnese di Solidarietà, Il Rifugio di Francesco, Agnese con noi,

Salcotto, Socialnet, Ass. Immagini dal presente, Beta Bar, A.V.A.D., Caritas, Ass. D.O.G.

INDICE

Premessa pag. 1

Presentazione pag. 8

PARTE PRIMA

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Intrecci: il progetto ed il lavoro di strada

1.0 Introduzione pag. 14

1.1 Il territorio provinciale aretino pag. 19

2.0 Intrecci, il progetto di ricerca pag. 22

3.0 Il lavoro di strada pag. 26

3.1 L’avvio del lavoro di strada, la mappatura pag. 30

PARTE SECONDA

Tracce di avanguardie che diventano intrecci - Alcune esperienze

1.0 Si può fare, ovvero come i giovani da un’idea costruiscono

un luogo di incontro pag. 34

1.1 Il “BETA BAR” - Terranuova Bracciolini pag. 35

1.2 “La Pancia della Balena” - la realtà giovanile nei comuni

del Casentino pag. 40

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1.3 Immagini del Presente, Subbiano e Capolona pag. 52

1.4 Terontola di sera pag. 55

1.5 Punto Giovani Itinerante, Arezzo e dintorni pag. 58

PARTE TERZA

Intrecci e riflessioni, analisi delle interviste

1.0 L’intervista qualitativa e la scelta del questionario pag. 65

2.0 Il questionario pag. 68

3.0 I risultati della ricerca pag. 72

3.1 Il punto di vista degli enti pag. 73

3.2 Il punto di vista delle associazioni pag. 96

3.3 Il punti di vista degli utenti pag. 114

4.0 Conclusioni pag. 122

ALLEGATI

Questionario, modulo A pag. 125

Questionario, modulo B pag. 126

Questionario, modulo C pag. 127

Associazione D.O.G., chi siamo pag. 128

Ringraziamenti