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Quando è circolata la notizia che Breivik aveva proposto un ricorso lamentando la violazione dei suoi diritti umani di detenuto, molti hanno pensato che si trattasse di una battuta di cattivo gusto. Vive in un trilocale di 30 metri quadri con stanza da letto, studio e palestra. Ha un computer (senza internet) e una playstation. Si è potuto iscrivere all’università, ha accesso a una biblioteca, gode di un’ora d’aria. E non si è per niente pentito: al processo ha accolto la corte con un saluto nazista. È scandaloso che lamenti la violazione dei diritti umani chi, uccidendo 77 persone innocenti, si è ufficialmente dimesso dalla razza umana diventando per tutti il mostro che è: nessun trattamento può essere “inumano e degradante” per chi si degradato da solo sino a raggiungere quel punto di disumana abiezione. Ma ieri la Corte di Oslo gli ha dato ragione: tenendolo in isolamento per quasi cinque anni, lo stato norvegese ha violato il divieto di trattamenti inumani e degradanti stabilito dalla CEDU. Che dire? Già si sentono le reazioni sarcastiche che una sentenza di questo tipo inevitabilmente porta con sé: buonismo di sinistra, legalismo irresponsabile, il politicamente corretto che sfiora la follia. I nostri peggiori sentimenti giustizialisti e forcaioli ci borbottano nella pancia che contro un nemico assoluto dovremmo avere il coraggio di essere “disumani e crudeli”. Chissà, può darsi. Del destino personale di Breivik, forse, potremmo tranquillamente disinteressarci. Nessuno – credo neanche il giudice di Oslo – può davvero provare un sentimento di pietà al pensiero di Breivik in isolamento per cinque anni. Ma è anche vero che, accogliendo il suo ricorso, il giudice di Oslo ha affermato un principio importante, di cui in questi tempi è facile dimenticarsi. È lo stesso principio affermato all’indomani degli attentati di Breivik dall’allora primo ministro norvegese Jens Stoltenberg: “Siamo un paese piccolo, ma siamo un paese orgoglioso, e non rinunceremo ai nostri valori. La nostra risposta sarà più democrazia, più apertura e più umanità”. Ciò vuol dire che nessuno – e certo non Breivik – può costringere lo stato norvegese a rinunciare a quelle regole fondamentali che, sulla base di una secolare e dolorosa esperienza, la Norvegia e l’Europa hanno dato a se stesse come standard irrinunciabili di decenza e di civiltà giuridica. Né Breivik né gli altri terroristi potranno convincerci che sia giusto sottoporre un detenuto a una pena inumana e degradante. Potranno, se vogliono, rinunciare alla loro umanità, ma non anche alla nostra. Immagino però che queste considerazioni non convinceranno chi qui in Italia si sente in diritto di dare lezioni di etica pubblica alla Norvegia, o di liquidare il tutto con un’alzata di spalle. Dalle nostre

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Quando è circolata la notizia che Breivik aveva proposto un ricorso lamentando la violazione dei suoi diritti umani di detenuto, molti hanno pensato che si trattasse di una battuta di cattivo gusto. Vive in un trilocale di 30 metri quadri con stanza da letto, studio e palestra. Ha un computer (senza internet) e una playstation. Si è potuto iscrivere all’università, ha accesso a una biblioteca, gode di un’ora d’aria. E non si è per niente pentito: al processo ha accolto la corte con un saluto nazista. È scandaloso che lamenti la violazione dei diritti umani chi, uccidendo 77 persone innocenti, si è ufficialmente dimesso dalla razza umana diventando per tutti il mostro che è: nessun trattamento può essere “inumano e degradante” per chi si degradato da solo sino a raggiungere quel punto di disumana abiezione.

Ma ieri la Corte di Oslo gli ha dato ragione: tenendolo in isolamento per quasi cinque anni, lo stato norvegese ha violato il divieto di trattamenti inumani e degradanti stabilito dalla CEDU. Che dire? Già si sentono le reazioni sarcastiche che una sentenza di questo tipo inevitabilmente porta con sé: buonismo di sinistra, legalismo irresponsabile, il politicamente corretto che sfiora la follia. I nostri peggiori sentimenti giustizialisti e forcaioli ci borbottano nella pancia che contro un nemico assoluto dovremmo avere il coraggio di essere “disumani e crudeli”.

Chissà, può darsi. Del destino personale di Breivik, forse, potremmo tranquillamente disinteressarci. Nessuno – credo neanche il giudice di Oslo – può davvero provare un sentimento di pietà al pensiero di Breivik in isolamento per cinque anni. Ma è anche vero che, accogliendo il suo ricorso, il giudice di Oslo ha affermato un principio importante, di cui in questi tempi è facile dimenticarsi. È lo stesso principio affermato all’indomani degli attentati di Breivik dall’allora primo ministro norvegese Jens Stoltenberg: “Siamo un paese piccolo, ma siamo un paese orgoglioso, e non rinunceremo ai nostri valori. La nostra risposta sarà più democrazia, più apertura e più umanità”.

Ciò vuol dire che nessuno – e certo non Breivik – può costringere lo stato norvegese a rinunciare a quelle regole fondamentali che, sulla base di una secolare e dolorosa esperienza, la Norvegia e l’Europa hanno dato a se stesse come standard irrinunciabili di decenza e di civiltà giuridica. Né Breivik né gli altri terroristi potranno convincerci che sia giusto sottoporre un detenuto a una pena inumana e degradante. Potranno, se vogliono, rinunciare alla loro umanità, ma non anche alla nostra.

Immagino però che queste considerazioni non convinceranno chi qui in Italia si sente in diritto di dare lezioni di etica pubblica alla Norvegia, o di liquidare il tutto con un’alzata di spalle. Dalle nostre parti la sentenza incontrerà l’accondiscendenza e il senso di superiorità di chi (in modo coerente, bisogna ammettere) non batte ciglia quando la Corte europea ci condanna per il modo in cui trattiamo i nostri detenuti – come il sig. Castaldo, di cui nessuno sa niente, e che ha dovuto tentare il suicidio due volte prima che il carcere gli garantisse adeguati trattamenti sanitari – o quando l’associazione Antigone cerca di informarli del fatto che le carceri sono sovraffollate e i detenuti in attesa di sentenza definitiva sono il 35% del totale, contro una media europea del 20%. Ma i paesi nordici, si sa, sono un altro mondo… buone maniere e ipocrisia. E poi si mangia così male.