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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut 1 Yemen Il Viaggio perfetto Dedicato a mia moglie Rosa e a tutti coloro che amano l’Hadramaut e la musica di Abou Baker Salem Bel Faqih

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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Yemen

Il Viaggio perfetto

Dedicato a mia moglie Rosa

e a tutti coloro che amano l’Hadramaut

e la musica di Abou Baker Salem Bel Faqih

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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Dal momento che è tramontato definitivamente l’epoca d’oro dei veri viaggiatori

britannici (uomini e donne) che descrivevano le proprie avventure con dei buoni libri,

pur non essendo un viaggiatore, anch’io ho ceduto al bisogno di descrivere quella parte

dello Yemen da me frequentata a cavallo dei due millenni. Ammetto come sia difficile

resistere alla tentazione di sparare sciochezze estemporanee sui costumi degli altri

popoli.

Sana’a - Bab El Yemen, la porta Sud del Suq (Foto di Marcello Rossini)

Decisi di approfondire la conoscenza del Paese che mi apprestavo a raggiungere per

motivi di lavoro e mi misi a sfogliare le uniche due guide turistiche pubblicate in lingua

italiana allora disponibili insieme a una copia della ristampa del libro di Renzo

Manzoni. Costui, che era anche nipote in linea diretta del grande Alessandro, era

geografo e botanico, aveva imparato la lingua araba per viaggiare in Yemen, era

vissuto a Sana’a dal 1877 al 1878, scattando moltissime fotografie. Ritornato in Italia,

senza mai più allontanarsene, aveva scritto un libro ben fatto che risulta a tutt’oggi un

testo fondamentale per la conoscenza della città di Sana’a e dei suoi abitanti del XIX

secolo. Il testo è arricchito da molte e belle illustrazioni e da un interessante rilievo

dell'attuale “centro storico” che allora costituiva di fatto l'ingombro dell'intera città di

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Sana’a. Si tratta di uno di quei libri preziosissimi che sono tuttavia veramente gustosi

solo se letti dopo essere stati negli stessi posti esotici, altrimenti, se letti prima,

risultano del tutto incomprensibili e indigesti.

Per meglio comprendere quanto da me visto e vissuto in Yemen, sulle osservazioni di

Renzo ho trascorso un tempo superiore a quello da me dedicato a suo tempo ai Promessi

Sposi. Riporterò spesso e volentieri interi brani del libro di Renzo e devo precisare da

subito che la posizione della sua punteggiatura è stata riprodotta con estrema cura da

parte mia: credo che suo nonno Alessandro si sarebbe inquietato parecchio, sia per l’uso

estemporaneo delle virgole che per l’aver sistematicamente infranto proprio la “regola

manzoniana” della “d” eufonica!

La Pianta di Sana’a realizzata da Renzo Manzoni nel 1879

A me, ogni volta che prendevo fra le mani il libro1 di Manzoni, veniva in mente sempre

la stessa frase: «Lo Yemen? Ma dove Diavolo si trova lo Yemen? avrebbe detto don

Abbondio.»

Le fotografie scattate da Renzo Manzoni furono inviate alla rivista “Il Viaggiatore” per

ricavarne i disegni che illustrano il libro e, malauguratamente, sono andate tutte

disperse. Spero che le ricerche per ritrovarle siano state effettuate con impegno, a

iniziare dalla stessa casa editrice, o da quello che ne resta. Di contro tutte le fotografie

1 Nell’edizione EDT del 1991 nella collana “Viaggi e Avventura”.

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scattate in Hadramaut da Freya Stark sono in vendita in Internet e sono state da me

acquistate.

Francesca Sanvitale, nella lunga e bella

introduzione al libro del Manzoni, definendolo un

“libero benpensante”, ha coniato un gustoso ossimoro.

La Sanvitale faceva notare che, per una strana legge

del contrappasso, a Sana’a adesso ignorano del tutto

l’esistenza del nonno Alessandro, mentre qualcuno

ricorda il nipote Renzo dal momento che il libro in

questione, rilievi e illustrazioni comprese, è una

minuziosa descrizione di Sana’a e dei suoi abitanti

della seconda metà dell’Ottocento, redatta da un

giovane geografo e botanico, con un certo talento

demo-etno-antropologico. Inoltre ricordava come

Renzo Manzoni fosse praticamente sconosciuto in

Patria, dal momento che a lei risultava che fosse

citato pochissimo e ricordava, come unico caso,

quello di Paolo Costa2.

Paolo Costa, l’archeologo che chiamai in Yemen come consulente del mio Progetto,

aveva avuto la ventura di vivere a Sana’a all’inizio degli anni Settanta del secolo

scorso, inviato dal governo italiano con il compito di aiutare gli Yemeniti ad allestire il

museo archeologico nella capitale quando l’intera città coincideva con quella rilevata

da Renzo Manzoni esattamente 100 anni prima.

Anche Farian Sabahi cita Renzo Manzoni ne “La storia dello Yemen” (Bruno

Mondadori, 2010), un ottimo libro per avvicinarsi alla conoscenza di questo Paese.

2 Il professore Paolo Costa cita Manzoni in un saggio sulla Grande Moschea di Sana’a (Annali dell’Istituto

Orientale di Napoli, 1974) con riferimento alla pianta della città di Sana’a. Parlerò del mio amico Paolo in

questa prima parte, mentre nella seconda parte utilizzerò il suo contributo per meglio descrivere l’Hadramaut

ai miei lettori.

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Le guide turistiche All’inizio del secolo le guide dello Yemen erano poche

Per quanto riguarda le malattie sarebbe bastato non mangiare roba cruda e non farsi

curare i denti (una delle mie guide turistiche suggeriva di «non farsi mai mettere dei ferri

in bocca»). Tutte le guide consigliavano, ovviamente, di bere solo acqua imbottigliata.

In Hadramaut Freya Stark 70 anni prima, aveva bevuto dalla ciotola a disposizione

di tutti l’acqua di una siqaya che ella chiese a un bel ragazzo riccioluto e, sembra di

capire, che bevesse normalmente l’acqua dei pozzi e delle siqaya. Non era un

comportamento sconsiderato: semplicemente fin a pochi anni fa si viaggiava così.

Sana’a

L’allegra insegna di un dentista nel Suq

l furto era una pratica sconosciuta in Yemen e l’autore della guida EDT, semmai,

consigliava «di guardarsi dai propri compagni di viaggio». Questa osservazione spiritosa

mi mise di buon umore e mi dispose bene verso quel popolo che mi apprestavo a

conoscere e che avrei frequentato poi assiduamente per i successivi due lunghissimi

anni. Nella stessa guida un detto popolare yemenita aveva attirato la mia attenzione:

«Uno straniero dovrebbe avere buone maniere». Decisi che, sotto questo aspetto, mai avrei

deluso i miei futuri ospiti. A quel punto mi ricordai che io, le guide turistiche e i

racconti di viaggio, riesco a leggerli solo “dopo” e non “prima”. Misi da parte le due

guide e mi misi a leggere dei fogli che avevo con me e che avevo quasi dimenticato.

La raccolta della spazzatura Ho scritto questo pezzo prima che Napoli fosse riconosciuta capitale mondiale della monnezza

Nel 1999, al tempo del mio primo viaggio in Yemen, il Paese era ancora letteralmente

sommerso dalla spazzatura e le guide mettevano sull'avviso i viaggiatori, presentando

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questo come un male atavico e quasi del tutto connaturato con il paesaggio yemenita.

Ma non è stato sempre così dal momento che nel 1877 Renzo Manzoni trovò una città

diversa: «Le larghe e le belle strade sono pulitissime». E aggiunge del tutto soddisfatto

«Quando mi trovo nel quartiere dei caffè turchi e delle botteghe greche, mi pare di essere in

una borgata europea».

Per motivi a me sconosciuti all’epoca del mio soggiorno la città era letteralmente

inondata di spazzatura. Fortunatamente le case erano collegate dall’interno alla rete

fognaria, mentre Renzo Manzoni era rimasto colpito dal fatto che «… i canali nelle case

per lo scolo delle materie liquide, le acque delle cucine, dei lavabo, ecc. sono esterni o appena

(incavati nel muro) a fior fior esso, ma sempre aperti. … Tutte le case di Sana’a hanno

delle fascie bianche che segnano i detti canali sui muri e si vede al centro dei medesimi colare

le materie liquide dall’alto particolarmente al basso, dove una specie di vasca le raccogle, per

poi, per mezzo di un piccolo condotto, eliminarle sottoterra. Non vidi mai cosa più sconcia e

nauseante, che oltre l’impestar l’aria, fa uno strano e brutto contrasto colla leggiadra

ornamentazione delle case.» E questo sistema colpiva molto «…il nuovo arrivato

Europeo…».

Nel corso del secondo viaggio io e il mio amico Ridha, l’ingegnere italo-tunisino,

prendemmo finalmente coscienza del fatto che in tutta la città non esisteva un solo

cestino e neanche un cassonetto della spazzatura. Tutti i rifiuti venivano abbandonati

per strada, immediatamente, appena prodotti dagli abitanti. Non è proprio come da

“noi altri» in Italia dove in certe aree periurbane e nell'alveo dei corsi d'acqua e su

alcune spiagge si accumulano sacchetti di plastica, copertoni ed elettrodomestici: a

Sana'a la spazzatura era distribuita omogeneamente per le strade e le piazze dell'intera

città.

Noi tuttavia non avevamo l'animo di gettare per terra le inevitabili due bottigliette

vuote d'acqua minerale e le cartacce che producevamo nel corso dell'intera giornata.

Allora, a turno, uno dei due conservava in una busta tutti i rifiuti di entrambi,

portandoli con sé in giro per tutta la città, in taxi, sino alla camera del nostro albergo.

Nel corso del secondo viaggio avevamo cambiato albergo: adesso alloggiavamo a Sud

della città. Ogni sera gettavamo nel cestino del bagno l'intero involucro che avevamo

prodotto durante il giorno. Naturalmente sapevamo bene che tutti i rifiuti dell'albergo

veniva depositati presso alcuni grossi mucchi a una certa distanza dall'ingresso sul

quale Ridha aveva riconosciuto uno dei nostri sacchetti e, tuttavia, non riuscivamo a

comportarci diversamente. Ecco la forza straordinaria delle buone abitudini: sai che

stai vivendo una situazione surreale, ma non riesci a trovare una soluzione che ti salvi

dal ridicolo…

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Shibām

Un recinto per la notte presso

la grande Moschea posta a

soli 50 metri in linea d’aria.

Alcune centinaia di animali

concimano in continuazione

le strade della splendida

cittadina dai cinquecento

grattacieli di fango.

A Shibām, in Hadramaut, da tempo immemorabile le feci delle capre e dei somari erano

depositate direttamente per le strade dagli animali che lì si aggiravano liberamente e da

dove venivano raccolte per fertilizzare i grandi palmeti contigui alla città. Anche le feci

umane prodotte all'interno dei 500 grattacieli della città di fango, non venivano

disperse, ma venivano anch'esse dconvogliate nei campi circostanti. Quindi la città

veniva in continuazione ripulita. Dentro le mura di Shibām non ho mai visto cani, ma

non perché il Profeta li abbia stimmatizzati, ma perché le loro feci sisgustose

assomigliano a quelle umane.

A Sana’a non ricordo di aver visto mai un cane per strada: di certo le automobili li

avevano prima schiacciati e poi scacciati nell’area periurbana. Manzoni a Sana’a: «Vedo

molti cani in ogni strada, e specialmente nelle piazze, accovacciati nel mezzo di esse e al

sole». Adesso mi sembra di ricordare che, appena superata Bab el Yèmen, nella vasta

piazza che non c’era ai tempi del rilievo del Manzoni, sostano tutt’ora diversi cani così

come descritti 120 anni prima e, se così non fosse, allora sono stato suggestionato dalla

lettura del libro di Renzo.

L'esistenza della spazzatura per le strade in wadi Hadramaut è certificata da Freya

Stark che ne parlava già negli anni trenta del secolo scorso. La viaggiatrice inglese non

si dilunga a descriverne la composizione, ma dobbiamo supporre che quella attuale sia

profondamente diversa: adesso ovunque galleggiano i sacchetti di plastica, i tappi, le

bottiglie, i pezzi di cartone e tutto il resto. Di Freya Stark parlerò di nuovo e a lungo

nella seconda parte di questo reportage, avendo ella realizzato negli anni Trenta un

lungo viaggio in solitudine nell’Hadramaut, viaggio narrato poi in uno splendido libro

(Le porte dell'Arabia, Guanda Editore).

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Le comunità sono state prese alla sprovvista e quindi non esiste ancora nessuna figura

che assomigli a un «operatore ecologico», fatto salvo forse nella capitale dove dal 2000

la quantità di spazzatura sembra diminuita dal giorno dei festeggiamenti del decennale

dell'unificazione del Paese. Certe innovazioni a Sana'a vengono introdotte con una

velocità enorme confrontata con la lentezza con cui mutano da noi i costumi:

esattamente nel 2000, nell'arco di pochi giorni Sana'a passò sotto i nostri occhi a in

livello di pulizia confrontabile a quello del centro storico di Firenze. All'improvviso, in

occasione dei festeggiamenti del decennale della unificazione del Paese fra Nord e Sud,

centinaia di uomini con piccolissime scope e con altri mezzi di fortuna hanno

letteralmente fatto sparire tutta la spazzatura della capitale che doveva ricevere alcune

decine di ospiti illustri (dall'Italia il presidente della camera, Luciano Violante). Da

allora e per due anni, almeno finché noi non partimmo, misteriosamente la città rimase

accettabilmente pulita.

Questo è il modo molto yemenita di rispondere alla modernità. Si raccoglie la

spazzatura nella capitale (per adesso solo lì), ma la raccolta presenta aspetti

paradossali: gli addetti si procurano per la strada fra la spazzatura un pezzo di cartone

su quale raccolgono rifiuti di qualsiasi genere, usando scope con il manico lungo una

trentina di centimetri. Questa tecnica molto elementare li condanna a una posizione

prona e a una bassissima produttività.

Lo Yemen fino a poco tempo fa non aveva praticamente spazzatura non riciclabile,

quando all'improvviso il Paese è stato invaso dalla plastica e da tutto il resto. Pensate

che praticamente ogni confezione giornaliera di qat viene avvolta in un mesto sacchetto

di plastica scura del quale ci si disfa, poco dopo, al momento del consumo. Quante

saranno le dosi giornaliere vendute in questo modo: un milione, due milioni, tre milioni?

Un’italo-americana a Sana’a Una vera viaggiatrice

Io andai in Yemen la prima volta alla fine del 1999, mentre il mio ultimo viaggio risale

all'inizio del 2003. A Sana'a ho conosciuto quasi subito Patricia che proprio all'inizio

del 1999 era arrivata da Washington, dove viveva da venticinque anni, e alla fine del

2002 sarebbe ritornata negli Stati Uniti. Il suo periodo di permanenza in Yemen

coincide praticamente con l'arco di tempo dei miei molti viaggi in quel Paese. Era la

«moglie di» Gianni Brizzi, il più alto funzionario della Banca Mondiale a Sana’a. Se non

ricordo male la Banca investiva ogni anno in Yemen circa 300 milioni di dollari, una

cifra enorme per quel Paese.

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Il ruolo del responsabile della sede della Banca Mondiale a Sana’a era equiparato a

quello di ambasciatore e questo dava a Patricia, in quanto sua moglie, una posizione in

città che le permetteva di frequentare praticamente tutte le altre “mogli di”

ambasciatori e di alti funzionari, sino alle più importanti cariche dello stato e,

contemporaneamente, questa posizione le dava l'opportunità di assistere a eventi

preclusi ad altre che non fossero del suo stesso rango. Come donna poi, in Yemen,

poteva partecipare a tutti quei riti affatto negati agli uomini e, quindi, ella ha potuto

parlare con le Yemenite a viso scoperto durante i matrimoni o masticando qat nei

mafrash riservati alle sole donne. I miei due conoscenti che col tempo sarebbero

diventati amici, vivevano nel centro della città in una bella casa con un ampio giardino,

quella che una volta era stata la residenza dell'ambasciatore inglese, e io lì ero invitato

spesso a cena.

Approfittavamo di quelle serate per parlare delle nostre impressioni sul Paese che ci

ospitava e sui suoi abitanti. Come si addiceva a degli Italiani che vivono all’estero, noi

mangiavamo quasi sempre pasta, spesso condita con il parmigiano che prima di ogni

partenza io compravo a Reggio Emilia.

Alla fine di ogni pasto, arrivava il caffè, anche questo rigorosamente italiano, benché

fossimo nel Paese del caffè che lì, però, è ricavato dalla buccia dei chicchi3 ed è sempre

corretto con un pizzico di zenzero.4

3 Essi usano il pericarpo del frutto (el ghèscier), come annotava Renzo Manzoni, mentre vendono i

chicchi (hubùb el bùn): «Nei paesi caldi si usa torrefare un pochino il ghèscier e, grossolanamente

macinata, lo si mette nell’acqua bollente …; e vi si aggiungono forti dosi di spezie (cannella, noce moscata,

chiodi di garofani, zenzero)».

4 «Facemmo il caffè, un liquido chiaro, bollito con le bucce delle bacche e con zenzero, che risulta

sgradevole finché non lo si beve nella notte fredda dello Jōl, allorché il suo calore è di enorme conforto per

gente per lo più vestita di solo indaco.» Freya Stark, Le porte dell’Arabia, Guanda Editore.

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Hadramaut Valle di profeti, di santi e della famiglia Bin Laden

In questa seconda parte del mio reportage descriverò il nostro lavoro di

documentazione del patrimonio architettonico e archeologico nel Sud dello Yemen (fine

1999 – inizio 2002). Negli otto wadi nella Regione dell’Hadramaut abbiamo ripercorso

le medesime tappe della nota viaggiatrice della prima metà del secolo scorso, Freya

Stark, la quale era alla ricerca nell’Arabia Felix di un improbabile città perduta (il sito

di Madabun a 3 km da Horeida?).

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Ho potuto confrontare i luoghi e i monumenti da me visitati settanta anni dopo con le

descrizioni e le fotografie della giovane donna inglese: ella usava la macchina

fotografica come strumento di compendio alla sua splendida penna con la quale

descriveva i paesaggi in modo magistrale (vedi in seguito: wadi Dow’an). Riporterò

inoltre le mie conversazioni serali con Badran nei vari funduq della valle che usavamo,

di volta in volta, come basi operative. Per gli argomenti spesso affrontati da noi dopo

cena, questa parte del racconto presenterà dei risvolti filosofeggianti.

I grandi viaggiatori-scrittori come Freya Stark, nei propri racconti, riescono a

procedere linearmente secondo la sequenza spazio-temporale con la quale i fatti si sono

svolti e i loro racconti, giorno per giorno, sono sempre ricchi di osservazioni intelligenti

e argute. Nel libro “Le porte dell'Arabia” la nostra viaggiatrice-scrittrice inglese descrive

il proprio viaggio realizzato proprio in Hadramaut negli anni Trenta del secolo scorso.

Ella parlava l’arabo, mentre io ho utilizzato, di volta in volta, tre tunisini, un

palestinese con passaporto giordano e un pisano che aveva studiato ad Amman. Con il

mio factotum a Sana’a parlavo direttamente in francese.

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Il viaggio di Freya Stark in Hadramaut http://www.asolo.it/ITA/schede_personaggi.php

Negli Anni Trenta del secolo scorso Freya Stark visitò la valle dell'Hadramaut,

descrivendo quell'esperienza in uno dei suoi fortunati libri di viaggi, “Le porte

dell'Arabia”. Attraversò nell'arco di qualche mese quella parte nel Sud dello Yemen,

da poco incorporato nel protettorato inglese di Aden. Freya Stark sarebbe vissuta

altri sessanta anni per spegnersi in Veneto, ad Asolo, agli inizi degli Anni Novanta del

secolo scorso alla veneranda età di 100 anni. Era la terza occidentale ad attraversare

quelle contrade, ma non era mai successo che una donna per esplorare l’area alla ricerca

di tesori archeologici ancora da scoprire venisse da sola (in realtà era accompagnata da

una specie di guardia del corpo affidatale dal governatore di Mukalla e da una guida

hadramita, ma in queste cose i locali non contano).

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Freya Stark maneggia una antica

jambiya dal manico di corno di

rinoceronte e dal fodero d’argento.

Non sono certo che anche la foto a

sinistra, ritrovata in Internet,

rappresenti una giovane Freya

Stark.

Credo che la ricerca di una misteriosa città perduta fosse solo un obbiettivo alla moda e,

nella fattispecie, fosse anche un artificio letterario per dare uno scopo al viaggio e,

quindi, al suo racconto. Ella ne accenna raramente e anch’io non mi dilungherò su

questo punto anche se credo di aver individuato il sito archeologico. Noi invece

eravamo lì in Hadramaut solo per catalogare siti e monumenti e quindi non avevamo la

fretta dei turisti o l'ansia dei viaggiatori che hanno da fare sempre molta strada e si

sforzano di descrivere ciò che vedono e ciò che sentono, piuttosto che riportare le parole

e i pensieri della gente del posto. Questo non è certo il caso della Stark che, per il fatto

di essere donna e di parlare perfettamente l'arabo, aveva il privilegio dei veri

viaggiatori di comunicare direttamente e liberamente sia con gli uomini che con le

donne. La Stark era ben attrezzata per capire gli abitanti del luogo: nei suoi racconti

c'è un perfetto equilibrio fra i paesaggi e le architetture, il contenuto delle conversazioni

con uomini e donne, le sue sensazioni e le opinioni di giovane donna inglese curiosa e

intraprendente. Ella annotava tutto con estrema precisione per poi riportare nel suo

libro tutto, ma proprio tutto, persino il prezzo pagato dal suo servo Selim per

acquistare la propria moglie: 60 talleri (4 sterline e 10) perché era vergine, altrimenti il

prezzo sarebbe crollato e avrebbe pagato soltanto 30 talleri.

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Dopo settanta anni dal viaggio di Freya Stark,

avendo noi molto tempo a disposizione e l'animo

leggero perché sgombro da pregiudizi, ai numerosi

quesiti che ogni giorno ci ponevamo sugli usi e sui

costumi del popolo che ci ospitava, in due anni e

preferibilmente a tavola, ci siamo dati anche

alcune risposte, ragionando con pacatezza per non

saltare subito alle conclusioni. Quando avevo

qualche curiosità mi intrattenevo piacevolmente

con il giovane archeologo Hussein Alaidarous,

nobile discendente del capo spirituale del X secolo,

Ahmed Bin ‘Isa, a sua volta discendente della

Figlia del Profeta (questa genealogia non è uno

scherzo). Oppure durante gli spostamenti in

Toyota chiacchieravo con Mubarak, sindaco di

Maduda, piccola e graziosa cittadina a Nord-Ovest

di Saiun e, contemporaneamente, nostro esperto

autista conoscitore di tutte le piste e da tutti

riconosciuto. Nelle mie lunghe conversazioni con

gli amici yemeniti ero aiutato dai miei

collaboratori tunisini, Ridha e Badran, a volte

anche da Mohàmmed, il restauratore palestinese

con passaporto giordano.

Il mio factotum, l’ineffabile Nabil

Poi, ogni Venerdì, Nabil - il mio navigatissimo factotum - di ritorno dalla preghiera,

con il prezioso me’waz che gli cingeva la vita, veniva a rimpinzare di dollari la cassa

della spedizione che egli svuotava sistematicamente durante la settimana con le

“piccole spese” delle quali mi portava una nota redatta diligentemente in arabo e in

inglese. Si trattava di foglietti di carta pieni di scarabocchi che io avrei poi portato con

me per consegnarli a Reggio Emilia alla sempre più esterefatta amministrazione della

mia società. Nabil si fermava a prendere il mio caffè italiano che egli trovava

disgustoso, ma che sorbiva educatamente, chiacchierando amabilmente sul fascino delle

giovani donne yemenite con i miei collaboratori arabi. Nabil, come quasi tutti i

collaboratori yemeniti, era sempre arrapato.

È cambiato l'Hadramaut dopo il governo socialista e negli ultimi dieci anni di

unificazione politica e amministrativa con il Nord del Paese? A questa domanda ho

provato a rispondere nel corso del mio viaggio negli stessi luoghi visitati dalla solitaria

viaggiatrice inglese amante della fotografia.

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Una sosta obbligata lungo la tratta in autobus Sana’a - Saiun: un gommista,

un meccanico, una rivendita di ricambi, un funduk con trattoria e con i servizi igienici.

Ho acquistato via Internet un

centinaio di sue foto scattate nel corso

del suo viaggio in Hadramaut: sto

rintracciando fra le mie foto scattate

70 anni dopo gli stessi palazzi, le stesse

moschee e persino le stesse piccole

siqaya per la distribuzione dell'acqua

ai viaggiatori. Si tratta solo di un

gioco che appassiona solo me e che non

interessa a nessuno che io conosca.

Freya Stark, in un modo o

nell’altro, ci accompagnerà per tutto il

nostro viaggio in Hadramaut.

Ogni volta che ci penso concludo come quella sia stata sicuramente un'esperienza

formidabile e irripetibile. Oggi io posso dire di essere un uomo fortunato perché ho

viaggiato a lungo e perché con gli abitanti dei vari luoghi ho potuto parlare sugli

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argomenti più disparati. In fondo Freya Stark, potendo parlare con i suoi ospiti nella

loro lingua, la sera quando metteva giù i suoi appunti lo faceva da giovane inglese colta

e curiosa, ma in solitudine. Io invece ho avuto la fortuna di avere, nei rapporti con gli

Yemeniti, la mediazione dei miei intelligenti amici arabi che sistematicamente

complicavano sia le domande che le risposte e così essi non mi hanno mai permesso di

valutare le cose da solo, ma mi hanno costretto, con la loro cultura magrebina e con il

punto di vista palestinese, ad arricchire ogni osservazione, anche la più banale, sul quel

pezzetto di Mondo arabo sorprendente e affascinante anche per loro.

A Sud il Terrorista, a Est il Profeta preislamico

Nel suo racconto Freya Stark, provenendo da Mukalla, descrive il percorso che i

viaggiatori effettuano ancora oggi. Ella penetrò in wadi Daw’an, proseguì in wadi

Hadramaut per poi spingersi a Est, verso Al Qatn, e poi verso Shibām (la città dei

grattacieli di fango), quindi verso Saiun (il vivace capoluogo della regione) e alla fine

verso Tarīm (la religiosissima città dallo stupefacente “barocco javanese”) per non

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procedere oltre, verso Est, in wadi Masila. Poi tornò indietro verso Ovest all’estremità

di wadi Hadramaut, per visitare da ultimo in wadi ‘Adm la bella città di Horeida dalle

architetture armoniose e del tutto esclusa dal modestissimo circuito turistico che

interessava allora l’Hadramaut. Io invece non ricordo neanche più quante volte ho

percorso la valle in lungo e in largo e, quindi, al solo fine di dare una trama alle mie

memorie di viaggio, ho dovuto scegliere un percorso e, quindi, il mio racconto inizierà

esattamente lì dove la Stark aveva iniziato il suo, proprio in wadi Dow’an,

provenendo dal porto di Mukalla. Se giorno per giorno in Hadramaut anch’io avessi

tenuto un diario vero e proprio, fissando con una data precisa ogni evento e le relative

emozioni suscitate in me, allora il riordino dei ricordi sarebbe durato molto meno tempo

e di sicuro avrei potuto raccontare agevolmente i fatti così come si erano effettivamente

svolti nello spazio e nel tempo. Tuttavia, alla fine, il mio sarebbe diventato il racconto

di una dozzina di viaggi effettuati in Yemen nel corso di 3 anni e il tutto avrebbe

assunto un aspetto un po’ zig-zagante che avrebbe reso piuttosto faticosa la scrittura,

la lettura e, quindi, anche la comprensione degli avvenimenti sarebbe risultata difficile.

Anche per questo motivo ho cercato di dare al racconto

la veste di un unico lungo viaggio. Descriverò gli otto

wadi iniziando ogni volta dall’imbocco proprio come se

ogni volta noi partissimo dal wadi Hadramaut, il wadi

principale che da il nome a tutta la regione.

Quindi per primo wadi Daw’an, per concludere il

viaggio in wadi Masila, passando dal luogo che ricorda

maggiormente il Disordine al luogo che rappresenta

l'Armonia, dalla Discordia all’Unione, dalla Guerra alla

Pace. Infatti per una straordinaria asimmetria, ai due

estremi della valle ci sono due luoghi dai significati

metaforici opposti.

Nel villaggio posto più a Sud ha avuto le proprie origini Osama Bin Laden, colui che

oggi maggiormente si adopera per recidere per sempre queste profonde radici comuni,

mentre nell'ultimo villaggio (dove il nostro viaggio sul terreno terminerà) è sepolto il

simbolo dell'unità delle tre religioni monoteiste, il profeta preislamico Hud.

Proverbio italiano che secondo la Stark si attaglia al modo di pensare degli Hadramiti

“Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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Hadramat - Hussein Alaidarous in piedi sulla parete a strapiombo del wadi.

Questa foto mi richiama alla mente la copertina del libro di Freya Stark.

La strada è costellata da qubbe e da mausolei

Secondo Renzo Manzoni in Yemen c’erano pochissimi santi in confronto a quanti ce ne

fossero in alcuni paesi del Mondo Arabo da lui visitati precedentemente: «Differenza di

somma importanza fra questo paese e il Marocco e l’Algeria, ove sono più i santi che gli

abitanti, e più le qùbe5 seminate ovunque, che le case dei contadini». Secondo Renzo

Manzoni questo fatto ritornava a onore degli Yemeniti perché altrove le donne e gli

uomini santi, ritenuti tali per acclamazione popolare, secondo la procedura invalsa nel

mondo islamico è “indegnamente abusata” e per questo motivo “ve ne sono di

troppo.”

Tuttavia questa rappresentazione certamente esagerata, ma efficace, non viene

rispettata nel lontano Hadramaut, dove gli uomini santi (wali) sono venerati in misura

5 “Qùba” per Renzo Manzoni, mentre io scriverò “Qubba”: traslitterazione dal modo arabo di

chiamare la copertura a cupola del piccolo edificio che funziona da tomba. Si chiama invece mausoleo

se il sepolcro sorge presso una moschea.

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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maggiore che in ogni altra parte del Sud dello Yemen, dove il culto è presente in molti

siti. In Hadramaut ho potuto calcolare, con un calcolo approssimativo, una densità

pari a una tomba ogni 25 km di strada di fondovalle. Qui una moltitudine di fedeli si

reca ogni anno per onorare la memoria di questi santi uomini. I fedeli lì riescono a fare a

meno di affreschi con la rappresentazioni dei miracoli del santo, degli ex-voto, delle

medagliette e dei santini.

Per quanto possa sembrare stravagante ai nostri occhi, essi riescono a comunicare con i

loro santi senza vedere neanche un simulacro dell’oggetto della loro devozione e,

pertanto, non hanno immagini che li rappresentino.

Insomma: essi non posseggono statue di cartapesta con lunghi capelli veri! Abbiamo

visitato innumerevoli mausolei e qubbe e, cosa in qualche modo straordinaria nel mondo

islamico, almeno come lo percepivo io, abbiamo trovato persino la tomba di una santa

donna, Bint Ahmed, esposta alla venerazione dei fedeli. A fronte del mio stupore per

aver trovato delle sante in una zona dove nelle moschee le donne pregano in spazi

rigidamente separati da quello degli uomini, il mio amico Badran, consapevole della

nostra profonda ignoranza in materia di culto islamico e della sua storia, non ha perso

l’occasione per rendere edotti noi Italiani su quello che a me era sembrata una vera e

propria anomalia.

«I santi e le sante – secondo i racconti di Badran, il quale cercava, come poteva di

alleviare la nostra profonda ignoranza del mondo arabo - sono molto comuni nel mondo

musulmano: la figura più venerata nel Sahel è proprio una donna, Lalla Um Ezzine,

mentre in Egitto è Assayida Zineb. D’altro canto, solo in Yemen le donne pregano in

spazi separati e c’è da sottolineare che anche nella santa moschea di al Qa’ba non c'é

separazione fra i sessi.»

Provavo lo stesso senso di insoddisfazione per la sobrietà delle

decorazioni e della mancanza assoluta di immagini nelle qubbe e

nei mausolei. Avvertivo la mancanza nei loro bellissimi cimiteri

degli angeli in pietra a tutto tondo, dei bassorilievi, del ferro

battuto, dei lumini e delle fotografie dei defunti, per non parlare

dell’assenza delle tombe evocative (per intenderci: avete

presente la piccola piramide in ricordo dell’Aida nel cimitero di

Porta Marina a Recanati dove è tumulato Beniamino Gigli?).

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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Dunque anche l’Islam ha le proprie sante e queste, per numero, surclassano addirittura

i santi. Da non crederci! Adesso queste pillole quotidiane di notizie sull’islam distribuite

dai miei amici arabi mi mancano persino.

Nonostante la loro sobrietà, i fedeli dell’Hadramaut sono considerati alla stregua di veri

e propri pagani e oggetto di vituperazione da parte dei wahhabiti, i membri della setta

religiosa protetta dalla casa regnante saudita, e nel recente passato sono stati oggetto di

veri e propri attentati dinamitardi. Trattandosi di santi, di reliquie, di processioni e di

feste popolari naturalmente noi Italiani sentivamo istintivamente i Wahhabiti come

degli estranei e li temevamo anche noi come nostri nemici: in quanto Salentino, mi

sentivo vicinissimo agli Shafiiti e ai loro luoghi di culto, anche se li ritenevo, come ho

già detto, troppo sobri e austeri.

Contenitori di profumi dell’Hadramaut

Freya Stark aveva notato presso Saiun la tomba di Sheika Sultana e aveva chiesto al

proprio servo Selim, lo stesso che aveva pagato cara la verginità di sua moglie, per

quale motivo quella donna fosse considerata santa. Selim, parlando con una donna, non

aveva potuto dire che Sheika Sultana “era morta vergine” e aveva preferito la versione

“perché non si era mai sposata”. La nostra viaggiatrice, che proprio allora stava per

uscire da una grave indisposizione, chiese al suo servo hadramita cosa sarebbe successo

se ella stessa fosse morta e se fosse stata sepolta lì in Hadramaut. Sarebbe diventata

santa anche lei? A quel punto Selim non rispose più a tono perché incominciò a

sospettare con preoccupazione che la sua gentile metafora non fosse stata afferrata.

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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In realtà a Selim sfuggiva lo spirito autoironico della giovane donna inglese la quale

aveva voluto dire che se le cose stavano così, allora la santità era alla sua portata.

Hadramaut

Un altro animale legato al tronco di un albero

praticamente senza fogliame e quindi senza

ombra.

Solo adesso noto la presenza in alto sui rami di

qualcosa che assomiglia alla testa di un

capretto.

Il viaggio in Hadramaut inizia in wadi Daw’an

Niente paura: non vi parlerò di tutti i 300 villaggi che abbiamo visitato e dei 1.000

monumenti che abbiamo documentato, ma mi soffermerò solo su quei luoghi – e sono

tanti – dove vale la pena attardarsi almeno qualche minuto: una siqaya con l’acqua

fresca che non converrà bere, una fortezza abbandonata che si sta sgretolando sotto i

nostri occhi, un bellissimo cimitero pieno di qubbe dove non potremo entrare, una

modesta moschea socchiusa presidiata da bambine sorridenti, un suq minuscolo e

irresistibile, un funduq spartano e senza vetri alle finestre, un palmeto con l’acqua che

scorre nei minuscoli canali. Particolare attenzione dedicherò nel riconoscere tutti i

luoghi descritti da Freya Stark circa 70 anni prima, nella speranza che questo sforzo

possa interessare, almeno un pochino, a qualcuno dei miei lettori inglesi.

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Hadramaut - Hasan Eideed documenta pitture rupestri su un masso staccatosi dalla parete del wadi

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wadi Daw’an Il territorio di wadi Daw’an è

governato dalla Mudiriya di

Horeida (a Nord) e la Mudiriya di

wadi Daw’an (a Sud). Questo wadi

raccoglie nel suo lungo percorso

verso Nord, prima di confluire in

wadi Hadramaut, diversi wadi

immissari:

wadi Manwa (Sud-Nord),

wadi Hamuzha (Sud-Nord),

wadi An Naby (Ovest-Est),

wadi Tansiba (Ovest-Est),

wadi Shetna (Sud-Nord),

wadi Ligrat (Sud-Nord),

wadi Sar (Ovest-Est),

wadi Laisar (Sud-Nord),

wadi Fil (Est-Ovest),

wadi Qaydun (Ovest-Est),

wadi Labba (Est-Ovest),

wadi Al Ghabr (Ovest-Est),

wadi Mikh (Sud-Nord).

Nel wadi Daw’an e nei piccoli wadi

immissari ci sono 85 villaggi (ben 77

sono stati da noi schedati), alcuni di

notevoli dimensioni, per un totale di

circa 6.864 edifici (1977) i quali

dovrebbero corrispondere ad

altrettante unità immobiliari per

altrettante famiglie “allargate”:

anziani genitori con le figlie piccole

ancora da maritare, con tutti i figli

maschi con le loro mogli e i loro

piccoli.

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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L’insediamento in wadi Daw’an

Ci troviamo di fronte all’area più fragile di tutto il comprensorio: in realtà tutto wadi

Daw’an e gli immissari dovrebbero essere sottoposti a un unico piano di recupero e di

tutela. Si segnalano alcune aree di particolare valore:

- Il villaggio di Ribât

- 4 villaggi: Al Masna'a, Ar Rashid, Al Mashriqi, Al Qarin

- L’area dei villaggi di Buzha e di Husn Abdes Samed

- L’area dei villaggi di Sīf e di Qaydun

- L’area dei villaggi di Al Hagarayn, di Nakhula, di Al Gadfara, di Al Qizza, di Sila’

e di Kharikhar

- Il villaggio di Hîd al Gazîl, in fondo a wadi Laysar.

Moltissime sono le cose da fare nel wadi, ma ne indicheremo solo alcune, quelle ritenute

più importanti ed emblematiche:

❑ Impedire la scomparsa del villaggio di Hîd al Gazîl inserendolo nei circuiti

turistici.

❑ Incentivare il processo di risanamento dei nuclei antichi, eliminando le macerie

e aiutando le famiglie a restare mediante manutenzione straordinaria delle

abitazioni.

❑ Incentivare la costruzione di un hotel all’altezza di Buzha: si potrà dormire e il

giorno dopo si potrà visitare con la necessaria calma la parte più bella del

wadi.

❑ Incentivare il restauro del Castello di Masna'at Ba Sorra: si potrà realizzare

uno dei più bei punti panoramici della valle con una sosta per il tè.

❑ Organizzare la manutenzione permanente delle molte e belle siqaye. In tutto il

wadi sono state contate ben 39 originarie e molte ancora in discrete condizioni.

Tutti coloro che visitano wadi Daw’an provano immancabilmente fortissime emozioni

e poi, la sera in albergo o a casa, una volta in Patria, molti di loro tenteranno di

descrivere con la scrittura quello che nessun paesaggio aveva loro mai comunicato. Dal

momento che questi luoghi sono talmente fotogenici per cui è davvero difficile sbagliare

anche un solo scatto, alla fine si accontenteranno delle belle foto realizzate in

abbondanza.

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Anch’io, a distanza di molto tempo, per comunicare al meglio quello che ho visto e

sentito le molte volte che ho attraversato wadi Daw’an 6 per non misurarmi

inevitabilmente con Freya Stark, ho deciso di utilizzare le sue parole dal momento che

questa donna ha descritto in modo insuperabile ciò che ha provato e le sue sensazioni

comprendono tutte le mie. Leggete con lentezza e poi chiudete gli occhi:

«… Il Fiume delle Palme, chiuso fra pareti adamantine, tenuto, per così dire, in una

fessura dello Jōl, ha un aspetto così intrepido e prolifico, così ottimista, così pieno di ricoveri

e di ombre, come la stessa vita nelle braccia dell’eternità.»

YouTube https://www.youtube.com/watch?v=r5m18SjA9Co

Ho già accennato altrove alla situazione imbarazzante che si è venuta a creare: dopo

circa trent’anni di ricerche archeologiche su tutto il territorio, da Nord a Sud. I molti

report che le missioni di scavo o di ricognizione hanno consegnato (o che avrebbero

dovuto consegnare) al Museo Archeologico di Sana’a sono utilizzabili solo in minima

parte. I miei collaboratori hanno dovuto “ritrovare” praticamente quasi tutti i siti già

studiati dalle missioni straniere.

Ritenni che non valesse la pena collaudare il lavoro degli archeologi e quindi ci

risparmiammo la faticosa ricerca di tutti i 125 siti archeologici che poco tempo prima

6 “wadi Do’an”per Freya Stark, mentre io scriverò “wadi Daw’an”.

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erano stati già individuati dall’unità operativa che avevo predisposto allo scopo di

schedare i siti presenti negli otto wadi e già studiati dalle missioni straniere. Avremmo

visitato solo i siti prioritari.

In futuro in Hadramaut i viaggiatori interessati, se accompagnati da un funzionario del

Museo Archeologico di Saiun che dovranno ospitare nella loro Toyota, potranno

raggiungere i 7 siti archeologici presenti in wadi Daw’an, dei quali Raybun è di sicuro il

più suggestivo.

Il fenomeno del rinnovo del patrimonio edilizio, con l’inevitabile abbandono dei vecchi

edifici, che una volta vuoti non trovano più inquilini e ben presto cadono in rovina, è

presente anche in quest’area. Qui le macerie rimangono per anni in mezzo agli altri

edifici senza che nessuna autorità o privato provveda alla loro rimozione. In molti

villaggi la situazione ha raggiunto livelli insostenibili, crediamo. Almeno così sembra a

un osservatore esterno. Solo in alcuni casi, come in wadi Laysar nel villaggio di Hûfa,

gli abitanti hanno trasformato le macerie in “resti archeologici”, lasciando in piedi le

quinte edilizie costituite dai muri portanti esterni. La popolazione che ha abbandonato

le vecchie case ha occupato nuovi edifici costruiti in aderenza al vecchio nucleo. I nuovi

edifici, nella maggior parte dei casi, ben si inseriscono nel contesto ambientale.

Nel wadi Dow’an e nei wadi immissari il cemento non ha ancora fatto la sua comparsa

in forze, se si escludono alcune preoccupanti esempi: valgano per tutti gli edifici alla

periferia del villaggio di Fil. Per adesso l’asfalto non ha procurato ancora danni

ambientali perché si è fermato poco a sud di Sif, ma la sua futura espansione verso Sud

pone enormi problemi perché per lunghi tratti l’attuale pista marcia all’interno

dell’alveo ghiaioso del wadi. Sarebbe sufficiente si arrestasse presso Buzha o al massimo

presso il villaggio di Rihâb, dove la strada poi si inerpica lungo la parete del wadi per

superare il dislivello di 300 metri per Mukalla.

A partire dall’imbocco di wadi Daw’an con wadi Hadramaut, l'asfalto si spinge verso

Sud per qualche km dopo la cittadina di Al Hagaryn, poi la strada si trasforma in una

pista e, da ultimo, occorre muoversi sul fondo del wadi, su grossi ciottoli di fiume.

Nel wadi, non essendoci alberghi con standard turistici, per pernottare si può scegliere

solo fra tre funduk: il primo a Sīf e gli altri due ad Al Khuraiba. Il wadi è inserito

obbligatoriamente i tutti i tour delle agenzie turistiche, ma benché rappresenti una

risorsa formidabile, per via della pessima ricettività, viene offerto solitamente solo per

una sola giornata e, raramente, non oltre l’altezza di Al Hagaryn (splendida cittadina

che visiteremo in seguito), quando non venga solo velocemente attraversato nel tragitto

verso Mukalla. Percorrere wadi Daw’an richiede diverse ore: questo perché, come ho già

detto, provenendo da Nord, l'asfalto si spinge solo per alcuni chilometri, poi la strada si

trasforma in una pista e, da ultimo, occorre muoversi sul fondo del wadi, su grossi

ciottoli di fiume. Questo tipo di percorso scoraggia molti viaggiatori (o, più

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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semplicemente, scoraggia gli autisti che non vogliono sfasciare le proprie preziosissime

Toyota), giacché, poco dopo essere arrivati in fondo al wadi, se non si vuole dormire in

uno dei due funduq di Al Khuraiba occorre ripartire subito per affrontare alla luce del

tramonto il lungo viaggio di ritorno che in nessun modo può essere affrontato al buio.

Nelle tre stanze disponibili a Sīf si dorme su stuoie per terra in ambienti senza alcun

arredo e l’energia elettrica viene erogata dalle 18 alle 24, non un secondo prima, non un

secondo dopo. Niente aria condizionata e piccolo bagno nel corridoio in comune. Nella

cittadina di Al Khuraiba, nell’unico funduk in qualche modo paragonabile a una

locanda “con 1 stella”, ci sono dei letti veri e propri “con 1 lenzuolo”, mentre l’energia

elettrica viene erogata dalle 18 sino alle 7 della mattina seguente. Niente aria

condizionata. Accanto al funduk sul primo edificio sulla destra compare la scritta

HOTEL, ma in quel posto si rifiutava di andare a dormire anche il nostro autista

hadramita, mentre al piano terra è in funzione una “trattoria”. È stato proprio lì, in

quel posto “non per turisti” che ho incominciato anch’io a mangiare con le mani, dopo

aver visto come e dove il gestore stava lavando la forchetta a me destinata e che io

avevo chiesto con molta insistenza.

Dormire in wadi Daw’an almeno una notte, oltre a vivere l’esperienza di un vero

funduq (molto spartano nell’arredo e nei servizi, come ho già detto), vi permetterà di

visitare con calma questa parte del comprensorio, a detta di tutti, fra i più belli in

assoluto. Qui il paesaggio naturale, il paesaggio agricolo e urbano raggiungano la

qualità più alta in tutta la regione. In realtà ne servirebbero almeno tre di giorni per

visitare con calma l’intero territorio, costituito da wadi Daw’an e dai suoi affluenti. Io

ci sono stato due settimane e ho potuto visitare tutti i villaggi, vedere e fotografare

tutte le moschee, le qubbe, le siqaya e i palazzi più importanti. Ma io sono un uomo

fortunato!

Per mangiare in tutto il wadi non ci sono problemi perché l’offerta è relativamente

abbondante. Il primo posto dove si può mangiare qualcosa è alla periferia di Al

Hagaryn, a un terzo del wadi, e poi nel villaggio di Sīf, a metà strada. Dopo pochi

chilometri si può mangiare presso il villaggio di Buzha e nei due funduq di Al

Khuraiba. Alla fine del wadi il suq di Rabat offre diverse soluzioni. Anche in wadi

Laisar, un piccolo wadi secondario, c’è un punto di ristoro ben visibile.

Per visitare tutto il wadi Daw’an utilizzammo come base d’appoggio il funduq alla

periferia di Sīf per il tratto a Nord del wadi e poi uno dei due funduq di Al Khuraiba

per il tratto a Sud.

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Consigli per i viaggiatori normali

I “viaggiatori normali” sono quelli con un tempo limitatissimo a disposizione e,

pertanto, per il “paradosso del turista”, essi, con l’aiuto delle agenzie di viaggio,

cercano nel Paese da visitare in pochi giorni (se non in poche ore), gli aspetti più belli

del paesaggio naturale, le opere architettoniche e i manufatti artistici più significativi.

Il paradosso consiste nel fatto che il turista è condannato, per definizione, a vedere solo

una parte delle emergenze del Paese e queste, a loro volta, rappresentano solo una parte

piccolissima di un Paese grande quanto la Francia e, quindi, due volte l’Italia.

Ai turisti consiglio di entrare tranquillamente dal terzo e comodo accesso, dopo aver

effettuato però una piccola incursione dal secondo ingresso per visitare un luogo caro a

Freya Stark (e anche a me): la coppia di palazzi adesso abbandonati della famiglia Âl

Buqri. Si tratta di una deviazione di soli 8 km. Sconsiglio il primo e il secondo ingresso

ai “viaggiatori normali” perché qui il paesaggio è costellato da “villaggi, oramai misere

macchie di fango” come li avrebbe definiti Freya Stark, se solo li avesse intravisti.

Finalmente in wadi Daw’an

Noi siamo entrati da Nord procedendo di villaggio in villaggio, ricordando e

commentando di volta in volta le soste e le osservazioni di Freya Stark, la quale

proveniva da Sud, da Mukalla, è arrivata in wadi Dow’an scendendo dal Jöl,

l’altopiano desertico, all’altezza del Castello di Al Masna'a quasi in fondo al wadi.

Quindi ella ha deviato verso Sud, visitando e pernottando a Ribat. Poi è risalita verso

Nord, fermandosi per un lungo periodo di malattia ospite dei Ba Surra, sempre presso il

Castello di Al Masna'a. Infine ha ripreso il viaggio, pernottando nel villaggio di Matruh

e poi a Sīf e, da ultimo, ha pernottato in uno dei due palazzi nel piccolo nucleo di Dâr

Âl Buqri.

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Nella mia narrazione io arrivo da Nord nei luoghi dove Freya Stark sta per giungere

da Sud. Io so sempre con esattezza quello penserà e che dirà la giovane inglese. Tutto

questo poteva accadere perché noi due avremmo viaggiato sulla stessa pista di

fondovalle, partendo dai due estremi posti a una distanza di 100 km, avendo iniziato

ognuno il proprio viaggio con 70 anni di differenza. Credo di aver inventato un modo di

descrivere i viaggiare del tutto originale che comporta notevoli difficoltà nella scrittura

e nella lettura.

Noi siamo entrati nel wadi da Nord e, dopo alcuni piccoli villaggi dallo scarso interesse

architettonico, abbiamo visitato prima Qa'ūzha, con alcuni imponenti palazzi di terra

dall’intonaco ormai cadente dal momento che già da tempo erano stati abbandonati.

Senza soluzione di continuità abbiamo visitato il villaggio di Azh Zhāhira, dove abbiamo

documentato il primo castello di terra abbandonato del wadi, il primo di moltissime

fortezze in disuso in tutta la regione.

Per visitare il primo dei luoghi cari a Freya Stark che s'incontrano in questo nostro

itinerario, abbiamo dovuto cercare sulla cartografia7 il piccolissimo nucleo di Dâr Âl

Buqri: il paesaggio è dominato da due alti palazzi costruiti in mezzo alla sabbia8.

Quando siamo arrivati nei pressi del sito, c’era una piccola tempesta di sabbia che ne

impediva la vista. Poi quella specie di nebbia scemò e apparvero due bellissimi palazzi

di fango, perturbanti per le grandi dimensioni nel più completo isolamento. Qui aveva

soggiornato Freya Stark nel corso nel suo viaggio in Hadramaut, quando i due

palazzi edificati dalla famiglia Âl Buqri, ricchi albergatori di Giava dove erano

emigrati in gioventù, erano pieni di vita.

Ai tempi del viaggio di Freya Stark questa famiglia era in continua lotta armata con

i vicini che abitavano un villaggio distante 3 km, posizionato sotto la parete del wadi a

meridione, mentre un villaggio posto sempre presso la parete del wadi, ma più a Nord

era alleato della famiglia Âl Buqri. Gli abitanti del primo villaggio, di tanto in tanto,

tentavano di assaltare i due palazzi fortificati, ponendovi l’assedio che risultava inutile

se non si disponeva di artiglieria. Contemporaneamente la famiglia Buqri possedeva

una torre sulla cima delle pareti del wadi da dove si poteva fare fuoco direttamente sul

villaggio nemico. Anni prima il villaggio nemico si era alleato con i beduini

7 Avevamo sempre con noi le copie delle preziosissime tavolette alla scala 1:25.000 realizzate dai

Sovietici come dono al governo della ex Repubblica democratica dello Yemen. 8 https://www.youtube.com/watch?v=H13m_EXgFGI&spfreload=10

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dell’altopiano i quali di notte versavano paraffina sulle radici delle piante, uccidendole

e contribuendo alla desertificazione della valle.

La quantità di castelli e di scontri armati faceva dire all’arguta viaggiatrice inglese: «Se

è vero che il genere umano anela così intensamente alla pace, qui deve esserci qualche cosa

che non funziona.»

Ecco una delle jatture dell’Hadramaut: dal momento che i ricchi proprietari hanno

abbandonato le loro antiche dimore dopo aver costruito nuovi palazzi da qualche altra

parte nel wadi, magari meno belli, ma sicuramente più comodi (con l’acqua corrente in

ogni piano, i servizi igienici di porcellana italiana e le docce) questi immensi palazzi,

come i castelli, sono destinati a scomparire, sciogliendosi lentamente, ritornando

materie prime: terra e paglia. Oramai nessun sconvolgimento sociale ed economico

potrà fermare il lento degrado di queste architetture.

La coppia di palazzi della

famiglia Âl Buqri.

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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Adesso, dopo 70 anni, la pace più assoluta regna su questo

pezzo di paradiso terrestre completamente abbandonato.

Mubarak, il mio autisto, davanti al portone di uno dei due palazzi.

Wadi Daw’an - La bella Moschea di Al Mashhad

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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Più a Sud ecco finalmente Al Hagarayn9, meta obbligata per tutti i turisti e anche per

noi che turisti non eravamo: qui si arriva di solito all’ora dei pasti. La sua posizione

offre allo sguardo del viaggiatore che si avvicina lungo la strada di fondovalle tutto il

fascino dell’architettura dell’Hadramaut, fatta di eleganti palazzi di fango. Il fascino di

questo villaggio è accresciuto dalla sua posizione quasi unica nella zona in quanto non è

stato edificato contro la scarpata di una delle due pareti laterali, ma su di uno sperone

di roccia rimasto isolato proprio in mezzo al wadi.

Abbiamo pranzato piacevolmente all’aperto, all’ombra di una tettoia davanti al

ristorante posto ai piedi della salita che porta in città. Badran e Mubarak hanno voluto

fare due tiri al narghilè che loro chiamavano šīša ("sciscia"). Era una cosa che facevano

ogni tanto dopo pranzo ed io mi soffermavo a guardarli annusando con sommo piacere

l’odore del fumo del tabacco, dal momento che avevo smesso di fumare da 20 anni e non

mi disturbava affatto il profumo delle prime boccate, anzi! Alla fine ci siamo inerpicati

su per la salita che porta al bellissimo villaggio di Al Hagarayn.

Lungo wadi Daw’an, provenendo da Sud, Freya Stark procedeva “in quel paesaggio

spietato” pensando “a quella fessura nella terra come a uno dei gironi danteschi”

immaginando “che sul bordo del loro Jöl, ci fossero dei beduini blu, con la forca in mano,

che danzavano con ricci e scialli svolazzanti. Si trattava solo di esibizioni letterarie per

impressionare i propri lettori: il wadi in quel punto è largo più di 3 km e la luce

dell’Hadramaut tiene lontano queste fantasie. “Il wadi divenne ancora più ampio. I suoi

campi erano terrazzati per evitare inondazioni, e qua e là si levavano alcuni alberi di ‘ilb,

meditabondi sulla propria ombra come una gallina sulle uova.”

9 Hajarain, per Freya Stark, ma si può chiamare anche: Al Hajjarayn, Al Hagrayn e Al

Hagraan. Io invece scriverò: Al Hagarayn. La cittadina aveva nel 1977 più di 2.000 abitanti.

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Ai piedi del notissimo villaggio di Al Hagarayn in wadi Daw’an, le pareti del wadi sullo

sfondo, i grandi palazzi di fango sullo sperone di roccia, la scarpata e, appoggiate al

muretto, le tre figure nere girate fra di loro a 90°, ognuna in attesa di qualcuno o di

qualcosa.

Dopo aver abbandonato lo sperone di roccia dove sorge questo villaggio dallo sky line

noto a tutti i visitatori dell’Hadramaut, abbiamo dedicato la nostra attenzione anche ai

villaggi meno noti che cingono la bellissima e notissima cittadina che carpisce quasi

tutta l’attenzione e il tempo che i frettolosi viaggiatori e i loro spietati autisti dedicano

a questo wadi. Abbiamo trascurato anche noi le poche case abbandonate di Al

Munhaidira, nascoste dietro lo sperone su cui sorge Al Hagarayn e Nakhula, proprio

davanti ad Al Hagarayn. Unica per la sua organizzazione urbanistica scenografica il

villaggio di Al Qizza, con i suoi palazzi piantati “a pettine” su due file parallele ben

distanziate in alto sulle rocce in fondo al piccolo wadi Al Ghabra, che incontriamo sulla

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nostra destra Questo villaggio in alto, con un suggestivo sito archeologico in basso, è

nascosto alla vista di turisti sempre con poco tempo a disposizione in escursioni

organizzate a Sana’a da agenzie di viaggio che devono far dormire i propri ospiti nei

propri alberghi vicino a Saiun e lì bisogna tornare prima del tramonto per cenare e

pernottare.

I palazzi di Al Qizza sullo sperone di roccia.

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Il sito archeologico nei pressi del villaggio di Al Qizza 15°27'24.15"N 48°18'6.60"E

Sempre all’interno del piccolo wadi Al Ghabra, abbiamo visitato per il ultimo il

villaggio di Kharīkhar10 con i due imponenti palazzi di Bin Mahfuzh (1950–h 1370).

Dopo essere rientrati in wadi Dow’an e dopo aver lasciato sulla nostra destra il villaggio

di Sila’ abbiamo proceduto sino a sino a Sīf dove avremmo potuto cenare e dormire nel

funduk di cui parlerò a lungo in seguito. Nei 20 km circa che dividono Al Hagarayn da

Sīf noi visitammo tutti gli 11 villaggi che costellano questo tratto arido e assolato del

wadi e che la nostra esperta viaggiatrice inglese non degnò neanche di una sosta: per la

verità dopo averli degnati di uno sguardo definì proprio quei poverissimi villaggi

“oramai misere macchie di fango”. Se si escludono la bella moschea del piccolo villaggio

di Nasra e il funduk con punto di ristoro a Ghar As Sudan, gli altri 8 villaggi sino a Sīf

non contengono nulla che meriti una sosta: Masna’a, Lebba, Khalifa, An Namir, Al

Habr, Al ‘Adia, An Namir e Qarat Bin Salum.

10 Altre forme per Kharīkh: Al Ghabra Kherekhar e Khuraykhir.

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Dopo aver finalmente trovato un piccolo somarello da soma nel primo pomeriggio,

abbandonando la cittadina di Sīf per dirigersi verso wadi Hadramaut, Freya Stark

riesce a scorgere sulla sinistra in lontananza il verde intorno al villaggio di Qaydūn dove

c’è la tomba del sant’uomo e si rammarica di non disporre del tempo necessario per una

visita. Mentre la nostra viaggiatrice inglese abbandona Sīf per dirigersi verso Nord, noi

arriviamo da Nord nel tardo pomeriggio, in vista della cittadina, abbiamo deviato sulla

destra per visitare il piccolissimo wadi Qaydūn nella Moschea del villaggio omonimo di

Qaydūn abbiamo visitato la tomba del walī Shaykh Sa‘īd Bin ‘Isa al-‘Amūdī[morto nel

1855 - Ziyāra: 25 rajab - 1 sha‘bān]. Per una strana empatia con la viaggiatrice inglese

adesso io non riesco a ritrovare le immagini della tomba fra tutte le foto scattate e così

ne ho perso completamente la memoria.

Siamo arrivati a Sīf giusto in tempo per cenare e dormire. Sicuramente Sīf é meta

obbligata di ogni viaggiatore per la posizione strategica che questa cittadina occupa nel

wadi. Il suo funduq mantiene ancora tutti gli aspetti originali: nelle stanze niente

mobili, solo dei materassini da campeggio – quelli alti 3 centimetri - appoggiati

direttamente sulla moquette, mentre le lenzuola sono a carico degli ospiti (infatti

appartiene alla categoria “senza lenzuola”). Io mi ero portato anche il cuscino con la

federa. È praticamente l’ultima sosta prima dell’ultimo tratto sino ad Al Kuwaira, o la

prima vera sosta, a seconda del senso di marcia. Per questo motivo il ristorante al piano

terra è un vivace andirivieni di autisti yemeniti e di turisti per lo più francesi e italiani,

sulla strada per Mukalla che si prende sul fondo di wadi Laysar i cui imbocco è posto a

4-5 km più a Sud deviando a sinistra.

Il giorno dopo abbiamo visitato la cittadina di Sīf. Qui nel nucleo antico c’è la tomba

del walī Sayyid Ibn Ahmad [Ziyāra: 9-13 rabī‘ 2ª].

La cittadina presenta tutti i servizi necessari: suq, medical point, funduk e una taverna

con ristorazione locale. Non si può non concordare con Freya Stark sull’aspetto

insignificante della cittadina di Sīf: « … un mucchietto di case compresso nella rientranza

della rupe occidentale, sotto una torre in fango; e un anfiteatro di rocce furiosamente segnate

dalle intemperie, quasi la rupe oltre la città fosse affollata di gigantesche statue

semicancellate. È un luogo misero le cui case hanno l’aspetto di fortezze.»

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Ma dove diavolo erano quelle

«gigantesche statue semicancellate»?

La giovane donna era in

convalescenza e il caldo nel wadi

può raggiungere temperature

notevoli.

Osservando le foto da noi scattate

adesso mi sembra di riconoscerle

«rocce furiosamente segnate dalle

intemperie». Certamente queste

visioni marcano la capacità della

Stark di notare dettagli banali

(rocce segnate dalle intemperie) e di

dare agli stessi un nome fantastico

(statue gigantesche semicancellate).

Noi non ci eravamo accorti di nulla: questi dettagli fanno la differenza fra i viaggiatori.

La mattina della partenza, al cambio dei somari, una piccola folla che era

assolutamente incontrollabile e che ribolliva di eccitazione, aspettava al varco la nostra

viaggiatrice. Freya Stark non si fa sfuggire di comunicare ai propri lettori che era

stato proprio a Sīf che «… von Wrede era stato depredato e i Bent erano stati quasi costretti

a tornare indietro, mentre la spedizione olandese, quattro anni prima vi aveva passato una

notte infelice.» Attenzione: frasi simili Freya Stark le ha già dette ad Al Khuraiba

dove arriveremo anche noi fra qualche giorno e le riascolteremo svelando un piccolo

segreto: la nostra viaggiatrice non ama gli abitanti di Al Khuraiba e, per questo, li

diffama alterando un pochino i fatti.

I piccoli wadi immissari sono belli e sconosciuti

Pochi chilometri a Sud di Sīf, sulla sinistra, c’è un wadi così minuscolo che è stato

possibile costruirvi solo un piccolo insediamento: il villaggio di Fil, dove molte case

erano nel 2001 in gravissimo stato di abbandono mentre era in costruzione un orribile

edificio in cemento armato (uno dei più brutti in assoluto della valle) circondato da

tradizionali edifici in mattoni di fango crudo.

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Fil – Un vecchio edificio in mattoni di fango.

Fil – Un moderno edificio in blocchetti di cemento.

Wadi Laysar

Procedendo verso Sud si trova sulla sinistra wadi Laysar11 dove sono presenti una

dozzina di insediamenti piccoli, ma quasi tutti interessanti: dalla quantità e dalla

dimensione dei palazzi si conferma la ricchezza di questo piccolo wadi che a mio parere

merita come voto complessivo 10+: non so immaginare nessuna altra valle dove

ambiente naturale, paesaggio agrario e architettura siano così intensi ed equilibrati.

Quando Freya Stark giunse a questa altezza provenendo da Sud non aveva nel suo

programma la visita a questo wadi, chiese alla sua guida notizie della guerra locale e

sulle posizioni dei “nemici”. Le fu risposto che di fronte all’imbocco di wadi Laysar, sul

lato sinistro del wadi Daw’an, c’era il villaggio di Koka12 ancora in lotta mentre,

all’interno di wadi Laysar, le lotte fra villaggi vicini non si erano ancora spente. Noi lo

abbiamo percorso per intero alla giusta velocità e non mi è mai passato per la testa che

in quel wadi lungo e stretto così ricco di vegetazione e di colture, le popolazioni di

questi piccolissimi villaggi con imponenti palazzi, avessero guerreggiato per tanto

tempo e sino a pochissimi anni fa. Freya Stark, durante il soggiorno nei due palazzi

di Dâr Âl Buqri del quale abbiamo già parlato all’inizio, dopo aver attraversato wadi

Dow’an per tutta la sua lunghezza alla fine espresse un parere tranchant come sanno

fare gli inglesi e che adesso io ripeto: «Se è vero che il genere umano anela così

intensamente alla pace, qui deve esserci qualche cosa che non funziona.»

11 Wadi al-Aissar per Freya Stark, mentre per noi è wadi Laysar. 12 Koka per Freya Stark, mentre per noi è Kūkā.

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In mezzo al verde una siqaya recente in cemento direttamente collegata alla rete idrica.

In wadi Laysar abbiamo visitato per primo il villaggio di Al 'Arsama con il Palazzo di

Al 'Arsama (1839 - h 1255, restaurato nel 1945 - 1365) e la presenza di un Madical

point. Di seguito tutti i villaggi presenteranno il piccolo centro parzialmente

abbandonato: Al Gahy, ‘Ard Bā Qār, Al Gadīda, Ad Dūfa. L’ultimo di questi villaggi è

immerso nel verde e ha un piccolo suq. Di seguito vedemmo i grandi palazzi di fango,

fuori scala rispetto ai piccolissimi villaggi di Al Garīf, di Sibākh, con le due qubbe del

cimitero e di Al Husn. A metà del wadi incontreremo il piccolissimo villaggio di Khila

caratterizzato dalla presenza di due enormi palazzi, completamente ricoperti di

intonaco, colorati e, nell’insieme, molto suggestivi nella forma che sfrutta la misteriosa

forza architettonica del “duale”.

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Un grande palazzo intonacato e dipinto nel minuscolo villaggio di Khila

Poi i villaggi di Al Mashqa', di Husn Bā Sahel, con il castello abbandonato, di Husn Bā

Sa'ed, di Dhary, di Tūlba, di Hūfa con l’omonima moschea. In fondo a wadi Laysar, su

uno sperone di roccia che costituisce una piattaforma panoramica mozzafiato

all’incrocio di tre strette valli, insiste Hîd al Gazîl con 2 qubba del cimitero (una delle

quali in rovina). Il villaggio è in completo abbandono: forse il luogo più suggestivo di

tutta l’area.

Il luogo è poco conosciuto anche dagli abitanti degli altri wadi e quindi suppongo che

pochi visitatori si siano spinti sin qui in passato, dal momento che neanche il nostro

autista, fra i più esperti della regione, lo conosceva. Su Google potrete trovare una

bellissima documentazione fotografica del prof. R.T. Mortel realizzata dall’alto, da uno

punto di vista panoramica mozzafiato.

Ci aggirammo per un un’ora fra le case abbandonate. Il luogo era animato da alcune

capre che qualcuno di tanto in tanto doveva venire a trovare per dare loro da mangiare.

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Hîd al Gazîl - Dopo una ripida salita di un centinaio di metri si deve lasciare l’automobile

e progredire a piedi lungo una scalinata che costituisce l’unico accesso al villaggio.

Da ultimo abbiamo visitato il villaggio di Khalīf Bā 'Abūd, niente in confronto a quanto

visto prima nel wadi.

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Da Sīf ad Al Khuraiba

Riprendemmo il nostro viaggio verso Sud, in wadi Dow’an, lungo la lunga strada che ci

separava dalla meta ci avrebbe riservato ancora molte prospettive fantastiche.

Appena entrati in wadi Dow’an

incontrammo il villaggio di Khidīsh 13

dove potemmo documentare la Moschea

di Khidish (1850 – h 1267), mentre sul

lato sinistro si vede il villaggio di Qarn

Māged14 in alto su uno sperone di roccia

l’omonimo castello abbandonato.

Di seguito: il villaggio di Bilād al Mā parzialmente abbandonato con la qubba del

cimitero. Procedemmo ancora verso Sud, sostando finalmente a Buzha15, dove si trova

la tomba del walī Ma‘rūf Bā Jammāl (Ziyāra:19-23 dhū’l-hijja). In questo splendido

villaggio – con un piccolo suq - che sorge dal verde e con le parti più basse immerse

nell’ombra delle palme, abbiamo ripreso con la telecamera una frenetica partita a

pallone giocata in un campo sportivo costituito da un lungo canalone largo tre metri e

profondo altrettanto: i giovanissimi giocatori delle due squadre erano distinguibili a

fatica attraverso la polvere e la sabbia che sollevavano e per di più indossavano le

maglie di almeno tre squadre: Juventus, Milan e Roma. Pasolini amava queste

partitelle e sono sicuro che ne sarebbe rimasto estasiato. Abbiamo ripreso anche un

giovane panettiere al lavoro. (YouTube Yemen - Hadramaut - Panettiere in wadi Daw'an)

13 Khidīsh, ma anche Khedesh e Khudaysh.

14 Solo Qarn per Fraya Stark. 15 Buzha, ma anche Budha

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In un piccolissimo villaggio collocato in un wadi secondario e fuori da qualsiasi

itinerario turistico, dove ci eravamo recati per documentare la piccola moschea (era

questo l’unico edificio che poteva presentare un qualche interesse), un bimbo minuto,

quando capì che eravamo Italiani, esclamò eccitato: «Scaillaci, Scaillaci, Scaillaci». Io

guardai Badran il quale, sorpreso e divertito, mi disse che quel bambino non stava

parlando in arabo, ma stava storpiando il nome di Salvatore Schillaci. Quindi nel 2001

nel Sud dello Yemen un bambino che viveva in un posto incantato aveva ricevuto da

qualche adulto del suo villaggio informazioni su di un eroe italiano le cui gesta

risalivano a quando lui non era ancora nato: ma come avranno fatto i gol di Totò a

trasformarsi in un mito in un villaggio sperduto con una piccola moschea, senza energia

elettrica? Forse il miracolo era stato realizzato da una radiolina a transistor a pile e da

qualche foglio di giornale? Avrei potuto esclamare, parafrasando Pasolini: «Ecco la

scandalosa forza rivoluzionaria del calcio italiano.»

Ho accennato nella prima parte di questo reportage del nostro primo incontro

all’Impruneta, presso Firenze, con l’unica famiglia proveniente da wadi Daw’an e

residente a Firenze da dove, allora, vagheggiavano di ritornare in Yemen. Alla fine i

nostri amici tosco-yemeniti si erano arresi e avevano deciso di rimanere in Italia e così

la seconda volta ci vedemmo a Reggio Emilia. Haifa ci disse che però più in là sarebbe

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ritornata volentieri in wadi Daw’an per realizzare con i suoi risparmi un albergo per

aiutare il turismo in Hadramaut. Nel mio report finale per la Banca Mondiale io avevo

concluso che l’Hadramaut aveva bisogno di un hotel per turisti occidentali proprio in

wadi Daw’an. Lì, nel lunghissimo e stupefacente wadi pieno di palme come un immensa

Oasi, c’erano gli unici due funduq adatti al massimo ai gusti dei turisti francesi, ma non

certamente alle aspettative delle comitive italiane. Per la verità gli italiani che si recano

in Yemen sono un po’ diversi dallo stereotipo del turista italiano.

Nel report per la Banca Mondiale avevo individuato il villaggio di Bhuza quale sito

ideale per costruire l’albergo, esattamente a metà strada fra Sīf e Al Khuraiba.

Grandissima fu la mia sorpresa quando Haifa disse che aveva scelto anche lei il

villaggio di Bhuza per costruire il suo albergo. La mia stima per l’intelligenza di quella

donna raddoppiò, mentre anche alla mia autostima assegnai una mezza dozzina di

punti.

La cittadina di Buzha contro la parete del wadi

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Il conte Federico Ranuzzi, che quel giorno era con noi ed era addetto alle riprese con la

telecamera digitale, fu avvicinato per le strade di Buzha da un signore piuttosto

anziano che, avendo intuito la sua nazionalità, gli disse, in italiano, di essere stato un

Ascaro al servizio dell’esercito italiano in Eritrea (o in Etiopia?). Federico rimase

alquanto sorpreso perché, come la quasi totalità degli Italiani, ignorava anche lui come

il nostro esercito avesse fatto affidamento su questi combattenti yemeniti per

conquistare le sue colonie in Africa: anch’egli pensava che gli Ascari fossero tutti

Eritrei.

La tomba del profeta Hadūn nell’omonimo villaggio.

In sequenza: i palazzi del

villaggio di Husn Abdes

Samede del villaggio di Al

Gabīl16 [Gebel]; il villaggio di

Matrūh; i piccoli centri

parzialmente abbandonati dei

villaggi di Gheil Belkheir, di

Husn al Gubūb e di Khusūfar.

Visitammo poi il villaggio che

prende il nome da Hadūn, figlio

del profeta Hūd, dove si trova

la sua bianca e austera tomba

(Ziyāra: 17-18 sha‘bān).

Fra noi e la nostra meta serale c’erano diversi luoghi che meritavano una sosta:

Rihāb17 oltre a presentare un punto panoramico sulla strada di collegamento per

Mukalla, il villaggio risulta avere un suq, un funduq, una ristorazione locale e un

Medical point.

Allontanandosi da Buzha si incontra il minuscolo villaggio di Huwaira, completamente

abbandonato con la bella e solitaria Moschea di Huwaira edificata dal Gran Visir Al

Mehdhar (1902 - h 1321) accanto a un grande masso staccatosi dalla parete del canyon.

Incastrata sul fianco Nord Palaces la siqaya della moschea, realizzata in un’unica

16 Al Gabīl, ma anche Gebel. 17 Rihāb, maanche Shetna, oppure Ruhab.

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soluzione. Nel villaggio: la Moschea di Ahmed Mehdhar e la Moschea di Ash Sheikh

Fares, un suq q un Medical Point.

Poi attraversammo il villaggio di Al Qarīn18 con Al Game' Mosque e i soliti splendidi ai

quali non ci si abitua mai. Sul villaggio di Al Masna'a19 e il castello Masna'at Ba Sorra,

la cui terrazza fungeva anche da punto panoramico mi intratterrò un pochino in onore

di Freya Stark. Arrivati al Castello di Al Masna'a, poiché è abbandonato, mi dissi

che forse non sarebbe stato impossibile entrare per visitarlo e per poter osservare

dall’alto uno dei panorami più incantevoli con i quattro villaggi intorno al vastissimo

palmeto. Sarebbe stato come alzarsi in volo sul wadi. Io volevo visitare il castello e

prendemmo contatto con i proprietari: si mostrarono gentilissimi e disponibilissimi.

La bella Moschea di Huwaira

18 Al Qarīn, ma anche Al Qurayn.

19 Al Masna'a, ma anche 'Orra.

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Freya Stark, la viaggiatrice solitaria, si era ammalata (sette giorni di febbre con le

prime tre notti in delirio, in tutto 12 giorni) all’inizio del suo viaggio dopo aver messo

piede in wadi Daw’an. La Stark fu infettata dal morbillo e nella bella fortezza di

Masna’a rimase sino alla guarigione, assistita amorevolmente da tutti i membri della

nobile famiglia dei due fratelli Ba Surra.

Io non fui colpito dal morbillo, ma da due peperoncini lavati con l’acqua del funduk

dove pernottavamo e anch’io mi ammalai nel wadi lontano da casa e in quelle

condizioni mi sentii molto vicino alla giovane viaggiatrice. Poche settimane prima di

ammalarmi mi ero trattenuto a lungo con i discendenti dei due fratelli che avevano

ospitato la Stark nella fortezza di Masna’a: essi mi avevano fatto visitare e fotografare

il castello con tutti gli ambienti descritti minuziosamente settant’anni prima dalla

viaggiatrice inglese ne “Le porte dell’Arabia” e adesso in completo stato di abbandono.

Riconobbi la stanza descritta dalla Stark con le finestre al livello del pavimento e con i

fori alle pareti, sempre a livello del pavimento, dove inserire le canne dei fucili per poter

sparare sugli assalitori. In altre stanze era ancora presente l’arredo di legno intarsiato

originale.

La fortezza di Masna’a dei Ba Surra

I miei due Ba Surra non erano fratelli, come i loro antenati che si erano preso cura della

viaggiatrice inglese ammalata, ma erano cugini e adesso non sapevano cosa farsene di

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quello stupendo edificio costruito con grandi mattoni di fango piantato in mezzo al

wadi e circondato da alte palme. I due ricchi cugini Ba Surra erano arrivati

all’appuntamento sulla solita Toyota 4x4 – nuovissima e pulitissima - perché adesso

abitavano altrove nel wadi in un palazzo nuovo. Abbiamo parlato a lungo su come

avrebbero potuto utilizzare quell’edificio prima che l’acqua lo avesse sciolto

letteralmente. A nessuno dei presenti veniva in mente qualche cosa che alla fine non

assomigliasse a una specie di Bed & Breakfast: il luogo, molto romantico, sarebbe stato

frequentato da coppie, eterosessuali e non, di francesi con le physique du rôle di veri

viaggiatori e da comitive di Italiani senza le physique du rôle. Niente da fare: se voi non

vi sbrigate ad affrontare il viaggio della vostra vita, rischiate di non vedere mai più il

castello di Masna’a dalla vista sul palmeto sottostante delimitato dalle ripide pareti del

wadi.

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Wadi Daw’an - Questa bambina dopo poco avrebbe coperto il viso, le braccia,

le mani e i piedi, ma avrebbe continuato a dipingersi il corpo con l’hennè.

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Di questa visita, malauguratamente, ho smarrito tutta la documentazione fotografica

insieme a moltissime altre immagini digitali (o meglio le immagini mi furono rubate a

Milano davanti alla sede del Touring Club mentre realizzavamo l’Atlante culturale

dell’Hadramaut). Le preziosissime foto erano conservate in un HD all’interno di una

valigetta nell’automobile da me dimenticata aperta (si trattò di un furto senza scasso).

Mi immagino che il ladro abbia tentato inutilmente di vendere l’HD e che alla fine lo

abbia dimenticato su di uno scaffale in cantina con dentro le mie preziosissime

immagini. Se il ladro leggesse questo reportage è pregato di rintracciarmi: sono disposto

a riscattare il mio vecchio HD esterno. Trattiamo!

Vestita di rosso e con l’hennè potrà finalmente coprirsi

con il velo nero, come la mamma e le zie.

Abbandonata la fortezza attraversammo i villaggi di Ar Rashīd 20 e di Al Mashriqī.

Dunque, finalmente, siamo arrivati in quella che potremo considerare una piccola

cittadina per la sua storia, i suoi palazzi, il suq, i due funduq e i due ristoranti locali.

Procedendo verso Sud si incontra, infatti, Al Khuraiba21 dai bei palazzi di fango qui

20 Ar Rashīd, ma anche Rashid. 21 Al Khuraiba, ma anche Al Khuraybah.

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organizzati anche dal punto di vista urbanistico: altrove ogni palazzo mostra la propria

bellezza legata alle dimensioni, all’armonia dei vuoti e dei pieni, alle decorazioni. Ma

l’esibizione finisce qui dal momento che raramente le singole architetture cercano di

approfittare della bellezza che si sprigiona dalla somma di edifici armoniosi e della forza

che si moltiplica quando edifici armoniosi si organizzano in strade e piazze, allineandosi

in orizzontale e in verticale.

Gli Hadramiti hanno certamente compreso e sfruttato la bellezza del duale, vale a dire

delle coppie di palazzi e, in seguito, mostrerò alcuni fra gli esempi più belli. Ricordando

la spiacevole disavventura accorsa alla Stark proprio qui, ho percorso a lungo da solo

le vie semivuote di Al Khuraiba che come molti insediamenti in Hadramaut si

inerpicano lungo la ripida scarpata ai piedi della parete verticale dei wadi. Notai con

sorpresa come questa cittadina, particolare che avevo notato anche a Buzha, offriva al

visitatore vicoli, slarghi, piazzette e persino androni passanti, da farmi ricordare

piacevolmente l’ambiente urbano dei nostri centri storici. Per meglio comprendere

quanto sostengo sull’edilizia urbana di Al Khuraiba, basterà osservare la foto

successiva. Nel corso della mia permanenza in Yemen mi sono recato almeno tre volte

nella cittadina di Al Khuraiba e ricordo che la seconda volta accadde qualcosa che mi

procurò una profonda delusione nei confronti di uno degli abitanti della cittadina di Al

Kuraiba. Per via del fatto che mi sono imposto di amare sempre e comunque questo

popolo e non volendo mai mettere in cattiva luce neanche uno di loro, sorvolerò su

alcuni particolari, descrivendo quella disavventura come avrebbe fatto Jerome K.

Jerome, se solo io ne fossi capace.

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Al Khuraiba – La serie di bei palazzi di mattoni di fango visti dal terrazzo del nostro funduq.

Quando arrivammo in vista delle prime case della cittadina che si trova praticamente in

fondo a wadi Daw’an, eravamo al tramonto e quindi non potevamo più tornare indietro

lungo la pista impraticabile con il buio della notte, ma tramite Nabil, il mio factum a

Saiun, avevo prenotato per tempo un paio di stanze nell’unico dei due funduk dove era

possibile pernottare. Fu allora che incrociammo un'altra Toyota il cui autista, collega

del nostro Mubarak, si fermò pochi istanti chiedendogli che cosa facessimo lì a quell’ora

e dove avevamo l’intenzione di pernottare. Mubarak gli rispose che avevamo due stanze

che ci aspettavano nel funduk. L’espressione sardonica e fuori luogo del nostro amico

mise addosso a tutti noi una forte apprensione. Avremmo scoperto di lì a pochi minuti

che l’autista che avevamo incrociato aveva assistito poco prima sul terrazzo del

funduk, dove si prendevano tutti i pasti all’aperto, a un vero e proprio crimine: era

successo quello che in fondo al wadi non era mai successo prima. Dal momento che noi

tardavamo ad arrivare l’oste della malora – per pura avidità – aveva ceduto la stanza a

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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un gruppo di Italiani (per la precisione si trattava di padani, di quelli che popolano i

boschi e le pianure a Nord del Fiume Po), tutti maschi, che si era aggregato quel

pomeriggio a una comitiva di Francesi dove c’erano un paio di ragazze carine. Oppure

erano carini i quattro ragazzi francesi? Ero furioso e impotente. Mi recai nell’unico

posto dove c’era un telefono pubblico infestato da zanzare per protestare con Nabil, che

mi aveva prenotato le stanze da Saiun, perché intervenisse in qualche modo. La

telefonata, se così la vogliamo chiamare, non ebbe alcun esito: Nabil dall’altra parte del

filo faceva il pesce in barile. Decisi allora che il giorno dopo avrei trattato a lungo, fino

allo sfinimento dell’oste, sul prezzo delle due stanze che alla fine quella sera riuscimmo

a ottenere. La prima stanza era il dormitorio degli autisti locali che al buio, e senza

tante spiegazioni, furono estratti letteralmente dai loro giacigli dall’oste infame aiutato

dall’inserviente effeminato. La seconda stanza era una specie di sgabuzzino. Per farla

breve, io ho dormito su di un materasso gettato per terra.

Proprio in quella cittadina Freya Stark era incappata nell’unica avventura

veramente sgradevole accadutale nel corso dell’intero viaggio, per non dire che si era

trattato di un episodio addirittura pericoloso per la sua incolumità. La quasi-tragedia

era iniziata quando il maggiorente della cittadina che doveva ospitarla risultò assente

(ella aveva per sayyid22 al-Bar di Al Kuraiba una lettera di presentazione) e Freya

Stark fu respinta dai figli e dalla moglie che non amavano i cristiani. La folla che

l’accompagnava da vicino con atteggiamento fino a quel momento amichevole,

incominciò a rumoreggiare: fu allora che l’accompagnatore della nostra viaggiatrice

iniziò ad arretrare e, sempre più velocemente, si precipitò lungo le strette stradine in

discesa, portandosi dietro la povera Ferangi.23 Arrivati nella parte più bassa della città,

la giovane donna inglese decise di smettere di fuggire e, per riprendere in mano la

situazione, si mise a scattare fotografie ai suoi inseguitori, chiedendo loro di mettersi in

posa. Di lì a poco poté abbandonare questa cittadina e i suoi odiosi abitanti, non senza

aver annotato che tutto era iniziato con uno spregio alle leggi dell’ospitalità, cosa che

non era mai capitata prima in Hadramaut e che non sarebbe mai più capitata in futuro

per tutta la durata del suo viaggio. Con arguzia la Stark nota come la vita dei

viaggiatori fosse completamente nelle mani di questi signori feudali, dal momento che

la sacralità dell’ospitalità poteva essere messa in discussione dai sottomessi che finivano

per imitare questi signori, sino all’esagerazione, come nel caso della mancata ospitalità

da parte della famiglia di un maggiorente a causa di un piccolo incidente (il sayyid era

22 I sayyid erano tutti discindenti dei primi missionari islamici provenienti dall’Iraq e che si

stabilirono in Hadramaut: non portavano armi e godevano il rispetto di tutti. 23 Ferangi era la parola utilizzata per chiamare gli occidentali.

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semplicemente assente momentaneamente). Mi sono dilungato su quest’unico episodio

accaduto alla Freya Stark da lei giudicato grave perché lì era stato infranto lo spirito

dell’accoglienza. Anche a me era accaduto un episodio simile, quando l’oste della

malora aveva dato via le due stanze che avevo prenotato per tempo nel suo funduq. E

tutti e due gli episodi erano accaduti nella stessa cittadina a distanza di circa settanta

anni! Ma Freya Stark non ci sta e la vuol far pagare cara a tutti gli abitanti di Al

Kuraiba ricorrendo all’Etimologia (il nome della cittadina significa “rovina”) e

rovistando nella Storia: essendo la città più importante dell’alto wadi, potrebbe essere

la Do’an citata da Tolomeo e anche da Hamdani, la capitale della Trami di Plinio.

«Comunque sia - conclude senza appello Freya Stark – si tratta di una vecchia città

compiaciuta di sé stessa, che vanta una purezza religiosa tendente alla violenza: fu infatti lo

sceicco di Khuraiba, nel 1843, a rimandare alla costa von Wrede, dopo averlo depredato sino

all’ultimo centesimo, e cinquant’anni dopo i Bent la evitarono in quanto sconsigliati dalle

loro guide».

Fatto! Ecco come si consegna alla Storia in via definitiva la fama di un’intera cittadina,

di tutti i suoi abitanti e dei suoi maggiorenti!

Ripreso il viaggio “con l’animo esacerbato”, Freya Stark raggiunse dopo una ventina

di minuti la vicina cittadina di Ribāt24 dove trascorrerà momenti di distensione, se non

proprio di felicità e la disavventura di Al Khuraiba fu presto dimenticata. Secondo i

miei calcoli fu proprio in quel periodo che Bin Laden padre aveva deciso di emigrare

verso Nord, in Arabia Saudita. In quello sperduto villaggio, Freya Stark apprese da

un vecchio signore che gli Italiani, che stavano preparando l’avventura in Abissinia,

non godevano di molte simpatie. A Massaua – ricordava il vecchio signore – tutti

dovevano salutare e cedere il passo agli Italiani che s’incontravano per strada, mentre

con gli Inglesi era possibile parlare da uomo a uomo. Ricordò che quando arrivò il Re

d’Italia e fu emanato l’ordine di prostrarsi d’avanti a lui per strada, quel giorno tutti gli

uomini liberi rimasero in casa. Uno dei presenti aggiunse all’elenco un’altra nefandezza

degli Italiani: issavano la loro bandiera anche sulle moschee!

A Ribāt la viaggiatrice inglese fu ricoperta di attenzioni e di regalie ne rimase

completamente conquistata. Freya Stark, in preda ai primi sentori di una grave

malattia che l’avrebbe afflitta di lì a poco, si mise in viaggio per raggiungere la fortezza

di Masna’a, distante 5 km più a Nord, di proprietà dei fratelli Ba Surra, grandi e

riconosciuti signori della valle. In quella fortezza, adesso completamente abbandonata,

io e Badran qualche giorno prima avevamo trascorso un paio d’ore in piacevole

24 Robãt, per Freya Stark, ma io scriverò Ribāt.

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compagnia dei discendenti dei fratelli Ba Surra che avevano ospitato la nostra

viaggiatrice inglese nel corso della lunga malattia.

A cena Freya Stark si era lamentata dei ragazzini di Al Khuraiba con i fratelli Ba

Surra i quali si mostrarono preoccupati e uno dei due promise che l’indomani avrebbe

dato loro una lezione, mettendone qualcuno in prigione. La nostra giovane viaggiatrice

inglese chiude il diario della faticosissima giornata con la speranza che il suo ospite il

giorno dopo realizzasse davvero quanto promessole.

Anche i grandi viaggiatori, a volte, si fanno prendere la mano aggiustando il resoconto

delle loro giornate tanto quanto basta per modificarne gli effetti a proprio vantaggio:

credo che in questo peccato veniale sia incorsa anche la nostra viaggiatrice.

Sulla strada per uscire da wadi Daw’an, proprio a Sīf, ella ci dirà più o meno le stesse

cose e occorrerà leggere e rileggere le due versioni per poterle salvare entrambe:

Al Khuraiba Sīf - qui si erano fermati anche gli Ingram

battendo il record del luogo per quanto

concerne l’ostilità nei confronti degli

stranieri;

- fu lo sceicco di Khuraiba, nel 1843, a

rimandare alla costa von Wrede, dopo

averlo depredato sino all’ultimo

centesimo;

- qui von Wrede era stato depredato;

- cinquant’anni dopo i Bent la evitarono

in quanto sconsigliati dalle loro guide;

- i Bent erano stati quasi costretti a tornare

indietro;

- la spedizione olandese, quattro anni prima vi

aveva passato una notte infelice.

Sembra certo che von Wrede sia stato depredato dallo sceicco nel 1843, ma il

deprecabile episodio avvenne a Sīf e non ad Al Khuraiba, come lascerebbe intendere

una prima lettura (che aveva tratto in inganno anche me). Da ultimo: per quanto

riguarda i Bent ad Al Khuraiba, non accadde proprio nulla perché i due non ci misero

mai piede, sconsigliati dalle loro guide. Conclusione: Freya Stark ha mescolato con

nonchalance e distrattamente più episodi accaduti in città diverse per vendicarsi della

popolazione di Al Khuraiba, quando in realtà era stato lo sceicco di questa città a

comportarsi malissimo e non la sua popolazione. Si tratta di cose molti diverse! Gli

Ingram e gli Olandesi ebbero dei problemi, non a Sīf, ma ad Al Khuraiba dove tutto

sommato le cose andarono bene alla Stark! Insomma: la Storia sembrerebbe assolvere

Al Khuraiba e i suoi abitanti, nonostante gli sforzi della giovane inglese …

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La cittadina di Ribât La patria della famiglia Bin Laden

La mattina seguente, dopo un’abbondante colazione di tè, pane fresco e marmellata con

burro danese miracolosamente presente anche in quell’ultimo avamposto nel wadi,

iniziammo la documentazione della cittadina a partire proprio dalla qubba del cimitero

situato sotto il nostro albergo. Abbandonata Al Khuraiba ci arrampicammo su per le

stradine ripidissime del piccolo villaggio Qarn Ba Hakim. Mi smarrii fra quelle strade

senza vita (non un essere vivente: un bambino, un vecchio, un cane o un gatto …),

perdendo di vista i miei due compagni.

Ribât - La cittadina che diede i natali al padre di Bin Laden

Ebbi la certezza che nessun viaggiatore fosse salito fin lassù e che nessuno sarebbe

salito fin là dopo di noi: quello che stavo facendo aveva di sicuro uno scopo, ma il caldo

e la stanchezza mi impediva di vederne il senso. Il mio scoramento durò solo qualche

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minuto, poi prese il sopravvento il mio buon carattere in grado di vedere il lato positivo

in quasi ogni situazione.

A metà mattinata, percorrendo faticosamente il fondo ghiaioso di wadi Daw’an fra le

palme, in certi punti a non più di 5 km all’ora, entrammo nella cittadina di Ribât.

Proprio qui, alla fine della strada di fondovalle, c’è la casa della famiglia di Osama. Da

qui partì Bin Laden padre per fare fortuna in Arabia Saudita, cosa che avvenne

puntualmente come a moltissimi altri Hadramiti sparsi nel Medio e nell’Estremo

Oriente.

Non riesco a togliermi dalla testa quella specie di asimmetria che domina l’intera valle:

ad Est, in wadi Masila, in un bel mausoleo che visiteremo alla fine del nostro viaggio, è

sepolto il profeta Hud che per primo nella regione aveva testimoniato la fede in un Dio

Unico, il Dio di Abramo, dalla quale nasceranno poi l’ebraismo, il cristianesimo e

l’islam. Mentre a Sud, in wadi Daw’an, incontriamo il villaggio di Ribât: il luogo dove

nasce il padre di Osama, il profeta del terrorismo che persegue nei fatti il progetto di

portare alle estreme conseguenze il percorso tragico di separazione delle tre religioni,

sino al punto di non ritorno.

L’attentato alla nave militare americana nel porto di Aden era già accaduto da alcuni

mesi e nessuno né qui né altrove (a Washington, per esempio) aveva capito la gravità di

quel segnale che adesso sembra così chiaro. Come tutti gli immigrati di successo anche

la famiglia Bin Laden, che di fortuna ne ha fatto davvero tanta in Arabia, ha

gratificato i propri concittadini con opere pubbliche: una parte della grande casa in

mattoni di fango ricoperti di intonaco bianco, adesso chiusa, è stata trasformata in

scuola; un acquedotto in costruzione porterà l'acqua in quella parte di wadi Daw'an

(per la verità metà dell’acquedotto che correva a mezza costa era crollata); una

moschea nuova è stata costruita al posto di quella vecchia (si tratta di un brutto edifico

in cemento e pietra a vista in sostituzione di quello costruito con tecniche tradizionali).

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Ribât – Il piccolo e piacevole suq

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Non so adesso – cioè dopo l’11 Settembre 2001 - ma allora nel raggio di diversi

chilometri tutti parlavano volentieri di questo loro famoso concittadino e la cosa era

più che comprensibile. Erano gli stessi abitanti a portare il discorso sulla famiglia Bin

Laden e, sorridendo sotto i baffi, sostenevano seriosamente che Osama più di una volta

si era recato in visita (sempre di notte) al villaggio che aveva dato i natali al padre.

Non ho altro da aggiungere su Ribât, ma voglio solo riportare quello che pensai

quando, sbucando dal fitto del palmeto, ebbi la visione di quei palazzi di fango

inerpicati sulla ripida parete del canyon: «Nella valle più bella dell’Hadramaut, questo di

sicuro è il villaggio più suggestivo.»

Ribât - La moschea moderna, costruita con il finanziamento dalla famiglia Bin Laden,

che ha sostituito la moschea della quale presto si perderà completamente la memoria.

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Ribât - Il palazzo che non avrebbe attratto la nostra attenzione se

non fosse appartenuto ai Bin Laden.

Una parte della casa trasformata in

scuola i bambini del villaggio.

Freya Stark, qui giunta, pensò erroneamente che si trattasse dell’ultimo

insediamento in fondo a wadi Daw’an. Noi procedemmo oltre Ribât per raggiungere il

villaggio di Al Qorha. Noi ci andammo – siamo andati in tutti i villaggi – e quando lo

raggiungemmo la temperatura era molto alta (era il mese di Marzo del 2001) e, dopo

aver documentato la fortezza abbandonata che domina dall’alto le case e i palazzi di

fango ricoperto di intonaco bianco, accettammo volentieri l’invito di un giovane

conosciuto vicino ad un pozzo, incuriosito a sua volta dalla nostra presenza. Dopo

averci spiegato come il villaggio si rifornisse di acqua potabile attraverso pozzi urbani

molto profondi, ci invitò nella sua bella casa per un tè ristoratore, mentre io ne

fotografavo la struttura in legno.

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Il villaggio di Al Qorha La stanza con le 4 colonne

Lasciando sulla destra il villaggio di Al Qorha raggiungemmo il villaggio di Gheil Ba

Hakum, ancora più minuscolo, nello strettissimo wadi Hamuzha, immissario di wadi

Daw’an, dove le pareti del canyon si restringono sino a pochi metri di larghezza e dove

difficilmente si spingono i visitatori. Qui le case del villaggio sembrano conficcate nelle

ripide pareti del canyon.

Adesso si poteva tornare indietro perché non ci sono più villaggi a Sud oltre Gheil Ba

Hakum: a questa altezza il wadi è in grado di sostenere solo qualche capra. Si poteva

procedere a piedi per raggiungere una vecchia moschea abbandonata, ma non ricordo

perché vi abbiamo rinunciato e così adesso mi rimane la voglia di ritornare in quel

posto per riprendere la strada interrotta quel giorno senza un vero motivo. A quel

punto ci dirigemmo verso Nord, avendo come meta il funduq di Sīf e, avendo tutto il

pomeriggio a disposizione, potevamo così visitare i villaggi collocati sull’altro versante

del wadi e che avevamo necessariamente saltato provenendo da Nord: Husn Bāsem con

la fortezza e i bei palazzi parzialmente abbandonati e Qarn Bā Hakīm [Garn Ba Hakim]

con l’Al Game' Moschea; Al Bassa [Al Hasuusah Tansiba] con i bei palazzi di fango; bei

palazzi anche a Ida con la Moschea Ash Sheikh Ahmed e la Qubba del cimitero e nel

villaggio di Sharq.

L’insediamento in wadi Al’Ain

Il wadi nel complesso presenta una notevole vivacità, sia nel tratto a Nord dove si

sentono sicuramente gli effetti del traffico che proviene dalla capitale, sia nel tratto a

Sud posto sulla direttrice per Mukalla, con la strada asfaltata di recente. Pertanto

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l’abbandono dei nuclei antichi non è stato rilevato all’inizio del 2001 come un fenomeno

particolarmente accentuato, salvo alcuni casi come i tre villaggi a sud di Haura: ad Al

Bilad, As Sureig e Ard Bu Zeid i nuclei antichi, posti sulle pendici del canyon, sono

stati quasi completamente abbandonati. Nel resto del wadi, soprattutto a Sud, il

fenomeno è riconducibile a quanto si è verificato altrove: gli antichi edifici vengono

abbandonati per i nuovi più grandi e più confortevoli. Il caso più grave dal punto di

vista del presidio umano del patrimonio architettonico rimane tuttavia il nucleo antico

di Al 'Aglaniya, con il castello, i palazzi e le case che costituiscono un insieme di estremo

interesse architettonico, dove sono stati contati ormai non più di tre nuclei famigliari. Anche la cementificazione non è ancora un fenomeno evidente, a esclusione della zona

circostante il villaggio di Al 'Aglaniya, dove è sorta una lunga cortina di nuovi edifici

lungo la strada. Qui la situazione è molto grave e la cementificazione, oltre a disturbare

la vista del castello, tende a estendersi lungo la strada sia ad Est che ad Ovest. A pochi

metri dal castello, a Sud, lo scheletro di una costruzione in cemento armato dovrebbe

essere demolito. Tutto il territorio che si estende da Al Qatn sino ad Haura costituisce

uno dei comprensori ambientali e architettonici più interessanti dell’Hadramaut:

provenendo da Al Qatn e proseguendo verso Ovest lungo il tracciato della vecchia

strada per molti km il paesaggio sembra non abbia subito alcun disturbo. Le aree

interessate sono molto vaste: la tutela dovrebbe essere di tipo “rispetto stradale”, vale a

dire che bisognerebbe edificare solo alle spalle dei nuclei esistenti, il cui profilo non

costituisce in questo caso un bene a rischio, mentre dovrebbe essere inibita la

costruzione fra i villaggi e la strada. Segnalo di seguito le zone da non perdere:

• Il territorio circostante il Castello di Al 'Aglaniya in quanto territorio da tutelare

integralmente. Occorrerebbe salvare la prospettiva chiusa dal castello, sia che si

provenga da Sud (un recente ristorante in blocchetti di cemento ne minaccia la

visuale), sia che si provenga da Est dove sorgono decine di piccoli nuovi edifici,

modestissimi e molto brutti.

• Un altro territorio di indubbio fascino è stata individuata più a Sud intorno a

villaggi immersi nel verde dei palmeti e ricchi di splendidi palazzi: Al Khashab,

An Naq'a, Bâ Suweid, Bâ Qarn.

• E ancora più a Sud, i villaggi di Al Batina, Mankhub e Ghurab compongono un

territorio da proteggere integralmente.

Sono assolutamente da salvare: il Castello di Al 'Aglaniya (insieme al nucleo di edifici

che lo circondano) e il Castello di Haura. Per essi non è prevedibile alcuna destinazione

d’uso: è possibile pensare a un intervento di “imbalsamazione” delle strutture per

evitare il loro rapido degrado e poi l’inevitabile crollo con la totale scomparsa di questi

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importanti esempio dell’insediamento fortificato in Hadramaut. Almeno una dozzina

dei più bei palazzi avrebbero bisogno di interventi di manutenzione straordinaria,

iniziando dal palazzo nel villaggio di An Naq'a e alcuni edifici nella cittadina di Haura.

Qui l’intervento dovrebbe insistere sul quartiere a Sud del Castello.

A partire da Sud, nel primo tratto, fino a poco prima del villaggio di Kei’an, non è stata

rilevata alcuna siqaya originale in quanto sono state tutte ricostruite in tempi recenti.

Si contano in tutto sette siqaya, per lo più in buone condizioni e solo sei necessitano di

interventi di manutenzione.

All’incrocio con la strada asfaltata che da Al Alaglāniya, in wadi Al’Ain, porta a Sana’a,

la Fulgida, da dove arrivano pochi turisti e molto qat. L’apertura di questa strada

asfaltata per Sana’a ha permesso l’arrivo del qat fresco ogni giorno da Nord,

favorendone la diffusione anche nel Sud. È questo forse il luogo più vivace di tutta la

regione, insieme al suq di Saiun e il centro di Al Qatn, con il mercato del pesce secco il

cui olezzo impregna tutta l’area urbana e oltre

Wadi Al ‘Ain si può visitare in una giornata piena: l’accesso si raggiunge facilmente da

Shibām e il fondovalle è servito da una strada completamente asfaltata in quanto

costituisce uno dei collegamenti fra Mukalla e l’Hadramaut. Non è possibile pernottare,

ma si può mangiare in più punti e rifornirsi di carburante. Se si proviene da Est, poco

dopo il villaggio di Al Aglaniya, all’altezza della deviazione per Sana’a, si può fare

rifornimento di carburante e avere un buon pasto yemenita potendo scegliere fra una

mezza dozzina di trattorie lì concentrate. Una volta entrati in wadi Al ’Ain bisognerà

arrivare sino all'altezza del piccolo wadi Tabqul, molto più a Sud, per trovare un altro

posto di ristoro.

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.

.

L’inserviente della locanda presso il

castello di Al Aglania, ha anche la

faccia del tifoso juventino, oltre alla

maglia. In realtà egli possedeva

anche le maglie del Milan e

dell’Inter.

.

All’ingresso del wadi Al ‘Ain, provenendo da Nord, il Castello di Al Aglaniya

rappresenta un buon sito da esplorare in santa pace per cercare di afferrare il fascino di

queste grandi architetture di fango che costellano gli otto wadi.25

Collocato in posizione strategica all’imbocco del wadi, è uno degli esempi più

interessanti di insediamento difensivo ancora visitabile, benché da tempo in completo

abbandono e in lenta agonia. Noi in tutti gli otto wadi abbiamo contato più di 80

castelli, quasi tutti abbandonati. Per secoli, sino alla prima metà del secolo scorso, qui

ci si sparava spesso e volentieri fra vicini dall’alto di castelli e di palazzi fortificati.

Come ho già ricordato in wadi Daw’an, questo comportamento fece esclamare a Freya

Stark: «Se è vero che il genere umano anela così intensamente alla pace, qui deve esserci

qualche cosa che non funziona.» Dall’alto del castello di Al 'Aglāniya si può vedere wadi

Al ’Ain che diventa wadi Hadramaut: dall’alto dei bastioni si può osservare il paesaggio

25 YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=K26D-Kwh3dg

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che in questo tratto è particolarmente ampio. In questa zona dove la valle si dilata,

tutto cambia in modo radicale, tanto che nel descrivere wadi Al ‘Ain si deve parlare di

due aree ben distinte dal punto di vista del paesaggio e dell’insediamento per villaggi.

wadi Al ‘Ain - Il Castello di Al 'Aglāniya

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Wadi ‘Amd

è percorso da una strada asfaltata che si

spinge per soli 5 km oltre Horeida [nel

2001 erano in corso i lavori di

prolungamento] poi si utilizza la vecchia

strada acciottolata che spesso si

trasforma in pista. In questo wadi si

penetra venendo da Nord-Est,

percorrendolo interamente in poche ore,

ma l’imbocco si trova a diverse ore da

Saiun. Non esiste nessuna possibilità di

pernottamento e si può prendere un

pasto solo a Horeida, il centro principale.

Si può visitare il suq, ma oggi però la

città è fuori dai circuiti turistici.

L’insediamento in wadi ‘Amd

Nel wadi principale e nei wadi immissari, oltre alla bella e suggestiva cittadina di

Horeida ci sono 35 villaggi, quasi tutti di modeste dimensioni, per un totale di

circa 1.000 edifici nella metà degli anni Settanta. Sono stati da noi visitati tutti i

centri e fra questi sono stati documentati 20 villaggi e la cittadina di Horeida,

perché stimati di interesse vernacolare con alcune emergenze di interesse

artistico.

Se si escludono Shâmekh e Al Qarn, nuclei fortificati costruiti per ragioni

difensive sulle pendici scoscese del canyon e dove l’abbandono della parte antica è

quasi totale, nel resto dell’area, come negli altri wadi, praticamente tutti i

villaggi hanno subito il processo di rinnovo del vecchio patrimonio edilizio con il

relativo abbandono di molti edifici antichi. Sono stati censiti solo due siti

archeologico, fra cui quello di Madabum presso Horeida.

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Wadi ‘Amd e i suoi immissari sono stati studiati a partire dall’imbocco, a Nord,

sino al villaggio di Sharg Al Ali Bin Salim, a Sud. A partire da Sud, wadi 'Amd

raccoglie nel suo percorso verso Nord solo 3 immissari:

• Wadi Tabra‘a (da Ovest verso Est),

• Wadi Al Hamus (da Sud verso Nord),

• Wadi Nisim (da Sud verso Nord).

La tratta a Sud del wadi si trova nella Mudiriya di Horeida e, a Est, nella

Mudiriya di Haura e di wadi Al ‘Ain.

Anche in questo wadi (come in wadi Sar, nell’interno di wadi Bin’Ali e in molte

parti di wadi Daw’an) il cemento non è ancora comparso, se non in alcuni

sporadici episodi. Anche l’asfalto non rappresenta qui una presenza devastante.

Il wadi principale, con i suoi affluenti, presenta ampie aree desertiche e aree

agricole di rara armonia ancora incontaminate da salvaguardare con la politica

del “rispetto stradale” dove si suggerisce di costruire “contro” il villaggio, se non

“alle spalle”. Tuttavia l’attenzione si concentra in particolare in due punti della

valle dove operare con politiche più severe.

La cittadina di Horeida,26 con le sue case e i suoi monumenti posti a ventaglio

lungo le pendici del canyon, chiude la prospettiva a chi proviene da Nord lungo la

strada asfaltata. Per diversi chilometri verso Nord quest’area deve essere

salvaguardata.

Il nucleo antico di Al Qarn, ormai in abbandono, rappresenta secondo la

definizione della legge yemenita per le antichità, una vera e propria area

archeologica di notevole fascino dal punto di vista della documentazione del tipo

di insediamento fortificato: austere case-torri lungo un ripido pendio, ingentilite

da serramenti tinteggiati d’azzurro.

Ritengo che si debba operare in tre direzioni:

1 – il patrimonio dell’architettura monumentale di Horeida,

2 – le case-torri del villaggio di Al Qarn,

3 – il sistema delle siqaya.

Il wadi a Nord presenta dei piccoli villaggi inseriti nel paesaggio agricolo e

naturale. Armonia e tranquillità traspaiono dalle architetture e dagli abitanti nei

villaggi di As Safula, Al Lawsat e Dar Kurda. All'altezza del villaggio di Al Bid'a

26 Per Freya Stark: Huraidha

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Il Viaggio Perfetto in Hadramaut

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si attraversa l'alveo e si passa sul lato sinistro del wadi, sabbioso e assolato per

visitare il villaggio di Oneibat con torri e case fortificate. Qui un tempo non

lontano tutto era difeso da mura e anche i semplici pozzi assumevano l'aspetto di

fortini.

La cittadina di Horeida, risulta essere fra i centri più interessanti non solo di

wadi ‘Amd, ma certamente di tutto il comprensorio dell'Hadramaut, per gli

innumerevoli monumenti e per l'effetto d'insieme accentuato dal digradare degli

edifici a ridosso delle pendici del canyon. In questo modo Horeida, più di

qualsiasi altro centro di quest'area, si propone al visitatore con una "scenografia"

realizzata con successo.

A Sud di Horeida, dopo il luogo fortificato di Diyar Ba Muzahim, il wadi cambia

velocemente aspetto e bisogna giungere nei villaggi di Al Qarn e di Shamekh per

ritrovare nella valle due esempi interessanti di antichi insediamenti fortificati,

costruiti su rocce in forte pendenza. Queste parti più antiche dei due villaggi,

venuta meno la necessità di difendersi, oggi sono in abbandono. Solo qui, nel

villaggio di Al Qarn, sono state notate alcune originali soluzioni architettoniche

addossate al prospetto principale di alcuni edifici: si tratta di ingressi

monumentali realizzati con vivaci decorazioni plastiche e pittoriche che tendono

indubbiamente a stupire il visitatore, arricchendo in questo modo edifici per il

resto abbastanza modesti anche nelle dimensioni. A pochi km da Horeida, il sito

archeologico del Tempio.

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Freya Stak racconta che qui in Horeida il signore locale del quale era ospite si

mise a sedere accanto a lei per verificare che i piatti e le posate che le donne le

passavano fossero pulite, dopo di che mandò a prendere dell’acqua in una ciotola

in cui era stato spruzzato dell’incenso per renderla pura. Anche qui, come in wadi

Dow’an, Freya Stak ebbe qualche problema di salute. A pensarci bene se

avessimo mangiato e bevuto come lei, tutta la mia équipe sarebbe stata

sterminata dalla dissenteria nel giro di un mese. Ella, dopo aver consultato il

libricino Hints to Travellers (Consigli ai viaggiatori) attribuì quegli attacchi

fortissimi di brividi alla malaria e sperò che fosse quella “semplice” che non era

mai fatale (sempre secondo il suo manualetto). Poi notò che “i canaletti di scolo si

protendevano riversando il loro contenuto sulla scarpata sottostante, uno sotto

ogni finestra, per cui poté gettare l’acqua del bagno fuori del salotto senza

preoccuparsi di aprire le imposte”. Era stanca e addolorata di non poter visitare

un sito archeologico a soli 3 km da Horeida. Credo si trattasse del sito di

MADABUN dove avrebbe visto ben poco oltre alle rovine del tempio.