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VIAGGIO NELLA PUGLIA DI ETÀ ROMANA Attraverso la via Traiana INTRODUZIONE Il lavoro è stato prodotto dalle classi 1B, 1D, 1E, 1G, 2B, 2C, 2D, 2E della scuola Secondaria di 1°A. VOLTA di Monopoli (Bari) in Italia, nell’ambito del Progetto Comenius 1 “Alla ricerca delle nostre origini comuni: i Romani”, a.s.2005-06. Le classi si sono recate in visita dei siti archeologici e dei musei di Egnazia, nei pressi di Monopoli, di Brindisi e di Canosa. Gli alunni hanno poi presentato agli amici stranieri del progetto i resti romani di Egnazia, di Brindisi e di Canosa. Le visite e le ricerche sono state coordinate dalla prof.ssa Muolo Colonna G., la consulenza linguistica è stata curata dai docenti Ostuni M.A., Geramo V. e Susca A., la consulenza fotografica dal prof. Renna A., i cartelloni dalla prof.ssa Palmitessa R. Ringraziamo vivamente per la collaborazione la Soprintendenza Archeologica della Puglia, la Dott.ssa Carrieri M., archeologa di Egnazia, la Sign.ra Totano del Museo Di Brindisi ed il Sig. Tongo R. guida per la visita di Canosa

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VIAGGIO NELLA PUGLIA DI ETÀ ROMANA

Attraverso la via Traiana

INTRODUZIONE

Il lavoro è stato prodotto dalle classi 1B, 1D, 1E, 1G, 2B, 2C, 2D, 2E della scuola Secondaria di 1°A. VOLTA di Monopoli (Bari) in Italia, nell’ambito del Progetto Comenius 1 “Alla ricerca delle nostre origini comuni: i Romani”, a.s.2005-06. Le classi si sono recate in visita dei siti archeologici e dei musei di Egnazia, nei pressi di Monopoli, di Brindisi e di Canosa. Gli alunni hanno poi presentato agli amici stranieri del progetto i resti romani di Egnazia, di Brindisi e di Canosa. Le visite e le ricerche sono state coordinate dalla prof.ssa Muolo Colonna G., la consulenza linguistica è stata curata dai docenti Ostuni M.A., Geramo V. e Susca A., la consulenza fotografica dal prof. Renna A., i cartelloni dalla prof.ssa Palmitessa R. Ringraziamo vivamente per la collaborazione la Soprintendenza Archeologica della Puglia, la Dott.ssa Carrieri M., archeologa di Egnazia, la Sign.ra Totano del Museo Di Brindisi ed il Sig. Tongo R. guida per la visita di Canosa

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IL SISTEMA STRADALE IN ITALIA IN ETÀ ROMANA

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EGNAZIA Egnazia, importante città antica lungo la Via Traiana, abitata in passato da popoli diversi, oggi è un importante sito archeologico. La storia di Egnatia o di Gnathia, si è svolta nell’arco di molti secoli. La città ebbe importanza nel mondo antico per la sua posizione geografica; infatti essa fu attivo centro di traffici e commerci, che si svolgevano via terra tramite la via Traiana e per mare grazie al porto. Il primo insediamento, un villaggio di capanne, risale all’età del bronzo medio (XV sec. A. C.) , durante l’età del ferro occupata da popolazioni provenienti dall’area balcanica, gli Japigi, dall’VIII sec. A. C. dai Messapi e a partire dal III sec. A.C. , con l’occupazione di Roma entra a far parte della Repubblica e dell’Impero Romano. Di questa antica civiltà rimangono i resti della Via Traiana, della Basilica Civile con l’aula delle tre Grazie, dell’anfiteatro e del foro. Egnazia è attraversata dalla via Traiana che costituisce il tratto urbano di un’arteria di grande comunicazione. Questa via è pavimentata con basole poligonali di calcare e fornita di paracarri della stessa pietra, più numerosi in corrispondenza delle curve. La via fu sistemata dall’Imperatore Traiano rimodernando il tracciato dell’antica Via Minucia. All’interno della Basilica civile fu riportato alla luce, nel 1977, un mosaico pavimentale raffigurante le Tre Grazie, unico documento musivo figurato ritrovato ad Egnazia; il soggetto del mosaico è mitologico ed era ampiamente diffuso nelle arti figurative di età romana. La figura centrale è rappresentata di spalle mentre con le braccia distese cinge le spalle di quelle laterali prese di prospetto, ciascuna con un fiore tenuto tra le dita. Il mosaico pavimentale delle Tre Grazie, insieme a numerosi reperti scoperti ad Egnazia, è conservato nel Museo Archeologico allestito nei pressi degli scavi che noi abbiamo visitato. Come già detto, ad Egnazia sono stati rinvenuti i resti di un antico anfiteatro, tuttavia il suo nome è del tutto convenzionale infatti si tratta più che altro di un recinto con ingresso maggiore ed uno secondario su ciascuno dei lati lunghi, ed è molto probabile che si tratti di uno spazio utilizzato per celebrare riti in onore delle divinità orientali: Attis, Cibele, la dea Syria. Un altro elemento caratteristico di Egnazia è il foro, consistente in una piazza trapezoidale, pavimentata con lastre di tufo; sul lato verso l’acropoli si conservano resti di una tribuna oratoria e di una base onoraria , mentre l’originaria presenza di altri monumenti è suggerita dalle impronte riconoscibili sul basamento. Il foro si collega alla Via Traiana per mezzo di un passaggio lastricato, ad uso pedonale. L'impianto urbanistico della città romana era scandito da strade perpendicolari alla Via Appia di attraversamento nord - sud, delimitanti insulae irregolari che comprendevano, oltre alle abitazioni, anche strutture artigianali e commerciali (fornace e fullonica). Restano inoltre tracce delle terme pubbliche. Egnazia è stata citata da autori come Plinio il Vecchio nel I secolo d.C; nel I secolo a.C dal geografo Strabone e da Orazio che nelle Satire scrive: « Gnatia Lymphis iratis exstructa dedit risusque iocosque, dum flamma sine tura liquescere limine sacro persuadere cupit » ( « Egnazia, eretta contro il volere delle ninfe, ci offrì motivo di risa e di scherni, perché volevano qui farci credere che l'incenso sulla soglia del tempio si consumava senza fiamma » ) (seguono delle piantine dei resti romani più famosi di Egnazia)

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BRINDISI Brindisi è situata in una posizione privilegiata che ne fa il porto più sicuro del basso Adriatico Italiano. Sorge infatti nel fondo di una vasta insenatura a imbuto, suddivisa trasversalmente in due sezioni (avamposto e porto esterno) dall'Isola di Sant'Andrea e da un complesso di dighe.

Brindisi ha sempre avuto una storica funzione di cerniera, scalo di collegamento tra Italia, Grecia e Mediterraneo orientale. Quella di Brindisi è una storia appassionante già in epoca messapica. Gli studiosi derivano il nome di «Brindisi» dalla voce messapica brunda, brendon, testa di cervo, per la forma ramificata del suo porto già allora destinato ai commerci con la vicina Grecia. Un frontone ornato di maschere teatrali ricorda che a Brindisi nacque nel 220 a.C. Marco Pacuvio, autore di tragedie latine fra i più rinomati.

Degli altri tempi, del foro e delle terme, riferiti alla storia di Brindisi nel periodo romano, sono rimaste poche tracce: in via Casimiro, in vico Romano. Interessanti le grandi vasche Limarie che servivano per far depositare le fangosità dell'acqua utilizzata dalla Popolazione dell'epoca.

Dal II sec. a.C. Brindisi diventò il porto e la base navale di tutte le guerre con la Macedonia, la Grecia e l'Asia minore. Era collegata direttamente a Roma dalla Via Appia e dalla Via Traiana.

Una delle due colonne romane che segnavano il termine della Via Appia regge uno splendido capitello. Cesare assediò a Brindisi Pompeo, e qui giunsero in visita o di transito l'imperatore Vespasiano, Marco Aurello, Settimio Severo e Traiano che da Brindisi si racconta sia partito per la conquista della Romania. Virgilio, proveniente dalla Grecia, qui morì il 21 settembre del 19 a.C. Una lapide, collocata dinanzi ad un panorama suggestivo dell'antico e moderno porto naturale, ricorda il Poeta. La città godette di grande prosperità fino alla caduta dell'impero Romano.

Il nome della citta' deriverebbe da Brunda che nella lingua messapica significa Testa di Cervo, dalla conformazione del porto, per questo da sempre considerato tra i più sicuri sul mare Adriatico, e che ha sempre segnato il destino della città.

Ai Messapi è da attribuire la fondazione della città nel VIII secolo a.C., che divenne una località di rilevante importanza grazie alla lavorazione del bronzo: qui si fabbricavano armi, monete, e si riparavano flotte.

Brindisi ha vissuto la massima grandezza durante il periodo dell'impero romano: nel 267 a.C. i romani si impadroniscono della citta', stabilendone una colonia e prolungando la via Appia sino al porto; quest'ultimo divenne da allora uno dei

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principali dell'Italia. Vi costruirono templi, terme, l'anfiteatro e foro, caserme, accademie, la zecca e l'acquedotto.

Dal 58 al 48 a.C. Cicerone giunge e soggiorna piu' volte nella citta' dove viene accolto amichevolmente. Qui si sono vissute dure battaglie tra Pompeo e Cesare che si contendevano il primato della Repubblica.

Il 19 settembre del 19 a.C. muore a Brindisi, nella sua casa nei pressi delle colonne romane, il poeta Publio Virgilio Marone, dove scrisse alcuni versi dell'Eneide.

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LE COLONNE TERMINALI DELLA VIA APPIA - TRAIANA Sono tre le ipotesi tramandate sulle origini delle colonne romane di Brindisi. Per molti - ed è l'ipotesi più accreditata dalla tradizione - si tratta di un monumento fatto innalzare nel 110 circa d. C. dall'imperatore Traiano, per celebrare - con il potenziamento del porto - la costruzione di una deviazione della via Appia per il tratto che da Benevento conduceva a Brindisi, passando da Canosa, Ruvo, Egnazia; strada che da lui fu detta Traiana o Appia-Traiana (ma anche Egnazia). La prima parte dell'originaria via Appia era stata costruita nel 322 a. C. dal censore Appio Claudio il Cieco per unire Roma a Capua, ma qualche decennio dopo la strada fu prolungata sino a Benevento e Taranto, conquistata nel 272. Sottomessa cinque anni dopo anche Brindisi, si rese necessario il prolungamento fino al porto, realizzato molto probabilmente da Appio Claudio Pulcro, che fu console nel 213 a. C. A quei tempi Oria, attraversata dalla primitiva via Appia, svolgeva l'importante funzione di mansio, cioè di un luogo in cui, oltre a cambiare i cavalli, i viaggiatori potevano pernottare. Per altri è un monumento eretto in onore di Ercole (il libico), al cui figlio Brento i brindisini facevano risalire la rifondazione della città, e il cui culto era molto vivo a Brindisi, come in tante altre città. Ciò a somiglianza delle più famose colonne poste in Africa e in Spagna, sull'attuale stretto di Gibilterra, che indicavano la fine del mondo allora conosciuto. Per altri ancora le colonne sarebbero state volute dai Romani per premiare la lealtà dei brindisini, che nel 214 a. C. - a differenza dei tarantini - non si erano arresi ad Annibale; o del brindisino Lucio Ramnio, in particolare, che nello stesso anno fece fallire il piano del re macedone Perseo, che voleva battere i Romani facendone avvelenare i comandanti di passaggio dalla nostra città; o per premiare il contributo in denaro e soldati che Brindisi - con poche altre città - assicurò a Roma nella guerra contro i Cartaginesi anche dopo la disfatta di Canne; oppure il validissimo aiuto fornito a Silla (nell'83 a. C.), a Cesare (nel 48 a. C.) e a Ottaviano (il futuro Cesare Augusto, nel 38 a. C.), in occasione delle guerre civili che li videro vincitori rispettivamente su Mario, Pompeo e Marco Antonio. In ogni caso le colonne sarebbero servite, per un certo periodo, evidentemente prima che l'accesso al porto e la sua prima difesa fossero trasferiti dall'attuale canale Pigonati all'isola di Sant'Andrea, come faro: tra un capitello e l'altro fu posta una robusta traversa di bronzo con un fanale dorato al centro, per dare ai naviganti un punto di riferimento e la possibilità di trovare riparo anche di notte dalle furiose tempeste per le quali nell'antichità era famoso l'Adriatico. In favore dell'ipotesi che considera le colonne "terminali della via Appia", vi è la contemporanea costruzione a Benevento - l'altra città interessata dalla costruzione del nuovo tratto orientale della strada, di strategica importanza per le campagne orientali, in particolare contro i Daci - dell'arco celebrativo detto di Traiano; ed è molto probabile che Brindisi, punto di arrivo della duplice strada e base di partenza per l'Oriente, che forniva assistenza e vettovaglie alle imponenti armate romane, abbia avuto nell'occasione un proprio monumento celebrativo.

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IL MUSEO ARCHEOLOGICO DI BRINDISI Nel centro storico di Brindisi al n. 7 di piazza Duomo, attiguo all'antico porticato dell'Ospedale dei Cavalieri Gerosolimitani (sec. XII) è il Museo Archeologico Provinciale intitolato a Francesco Ribezzo, studioso di civiltà messapica. Al visitatore vengono proposti sei differenti percorsi: 1. La sezione epigrafica, 2. La sezione statuaria, 3. La sezione antiquaria, 4. La sezione preistorica, 5. La sezione numismatica, 6. La mostra subacquea: "I Bronzi di Punta del Serrone".

La raccolta epigrafica comprende in prevalenza lastre, stele, edicole di carattere funerario, provenienti in massima parte dalle aree necropolari della città di Brindisi, ubicate lungo il percorso della via Appia e Appia-Traiana.

Interessanti, anche, alcune iscrizioni di carattere onorario e altre che ricordano opere pubbliche, quale, per esempio, il miliario di Massenzio che testimonia i lavori fatti eseguire dall'imperatore nell'ultimo tratto della via Appia-Traiana.

Redatte in lingua latina (Fig. 1), le iscrizioni rappresentano un documento fondamentale per la conoscenza del tessuto socio-economico del Municipio brindisino dal I sec. a.C. al III-IV sec. d.C.

Un posto di notevole rilievo assume la collezione statuaria raffigurante togati e loricati (Fig. 2), ma anche personaggi femminili che attestano lo sviluppo della plastica figurativa dal I sec. a.C. al II sec. d.C. Si tratta in genere di opere decorative funerarie e di statue-ritratto, a volte copie di originali famosi.

Alla scultura onoraria rimanda una statua femminile di proporzioni imponenti raffigurante presumibilmente Roma Virtus.

Della sezione antiquaria fanno parte delle preziose suppellettili e vasi di importazione greca: corinzi e attici, ma soprattutto vasellame di produzione locale: trozzelle, vasi apuli a figure rosse, vasi dello stile di Egnazia, databili fra il VII e il III sec. a.C.

La visita al Museo si conclude con la sezione dedicata allo scavo subacqueo di Punta del Serrone, località a due miglia a Nord del porto di Brindisi, dove, nel 1992, furono rinvenuti reperti bronzei di notevole interesse storico artistico. Interessanti le due statue, di cui una raffigurante Lucio Emilio Paolo (Fig. 12), il console romano vincitore nel 168 a.C. della battaglia di Pidna in Macedonia, e l'altra raffigurante un civis romanus nelle vesti di togato.

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A queste si aggiungono due teste di personaggi con barba fluente, che riprendono il tipo figurativo del filosofo, databili fra il IV e il III sec. a.C.; due teste-ritratto di personaggi maschili di età imperiale romana, l'uno appartenente alla famiglia Giulio-Claudia e l'altro che presenta forti somiglianze con l'imperatore Caracalla; due immagini femminili di III -IV sec. d.C., oltre ad un'ala pertinente ad una statua di Vittoria e a numerosi frammenti di arti inferiori e superiori e a frammenti di panneggi che dovevano costituire il ricco bottino di una delle tante navi colte, in antico, dai marosi lungo le coste brindisine.

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IL CULTO DEI MORTI NELLA CITTÀ ROMANA DI BRINDISI

Le 283 sepolture rinvenute a Brindisi nel quartiere Cappuccini, insieme a numerosi lastroni sepolcrali, a stele, a urne funerarie di varia tipologia custoditi nel Museo di Brindisi, ci informano sui rituali relativi alla sepoltura delle spoglie in età romana. A Brindisi, come in tutte le città romane, i cimiteri si svilupparono al di fuori della cinta muraria, lungo le strade di accesso alla città. Lo scavo attesta una frequentazione dell’area a necropoli, a partire dalla metà del III sec. a.C., periodo di poco precedente la fondazione della colonia latina di “BRUNDISIUM” nel 244 a.C., fino al II-IV sec.d.C. La sepolture, risalenti al II sec.a.C., documentano il rito dell’inumazione con tombe e fossa terragna, oppure ricoperte con pietre calcaree. Al periodo tardorepubblicano romano si datano le prime sepolture a cremazione che furono utilizzate fino al II sec.d.C., quindi ritroviamo le tombe ad inumazione sino al periodo tardoimperiale con tombe a cassa lignea. Dopo l’esposizione il cadavere veniva portato al cimitero accompagnato dal corteo dei parenti, dei suonatori e delle prefiche a pagamento secondo una consuetudine romana che derivava da tradizioni etrusche. Nella necropoli il cadavere veniva inumato o cremato insieme agli oggetti che costituivano il corredo funebre. La composizione del corredo funebre deposto nella sepoltura assieme al defunto quindi, di sua proprietà, dovrebbe rispecchiare il suo “STATUS” sociale. Il corredo era composto sia da oggetti d’ornamento personali, sia da suppellettile domestica usata in vita, sia da cosiddetti vasi rituali, cioè quei vasi che venivano impiegati durante le cerimonie funebri. La cremazione poteva avvenire direttamente sul luogo in cui il defunto trovava sepoltura: ossa combuste venivano raccolte in un recipiente, in un’urna in marmo, in pietra, in vetro o semplicemente in un’anfora di terracotta. Spesso dopo il funerale vero e proprio il rituale funebre prevedeva un pasto che veniva consumato presso la tomba il giorno stesso del funerale. Le cerimonie che si svolgevano in questa area di sepoltura consistevano principalmente nel preparare e offrire i pasti alle anime dei trapassati, quelle cene funebri che i romani chiamavano refrigeria. A Brindisi all’interno della necropoli di Cappuccini è stata individuata una struttura da identificare quasi sicuramente con la cucina (culina), luogo destinato a consumare le offerte di cibi al defunto. Si può affermare che la documentazione delle necropoli offre una vasta gamma di informazioni.

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GIOCHI E GIOCATTOLI NELLA BRINDISI ROMANA Nel mondo latino grande importanza veniva attribuita ai giochi (ludi), spettacoli che, oltre a costituire un semplice svago, rappresentavano un momento significativo della vita della città. Altrettanta attenzione gli antichi romani dedicavano a quei divertimenti che si svolgevano nell’ambito delle mura domestiche e nelle osterie come il gioco dei dadi e quello della “tabula lusoria”. Nel gioco dei dadi venivano impiegati dadi come quelli che usiamo ancora oggi . I dadi caratterizzati da una notevole varietà di dimensioni, venivano eseguiti in osso o in avorio. Quelli in osso spesso presentano dei fori dai quali passava una cordicella presumibilmente da legare alla cintura, per portarseli appresso, prova questa della grande consuetudine di questo passatempo. Simile al gioco dei dadi era il gioco degli astragali. L’astragalo altro non era che l’osso della zampa di un animale, presumibilmente di un ovino. Il gioco consisteva nel lanciare cinque astragali e nel cercare di raccoglierne il più possibile con il dorso della mano. Astragali in terracotta venivano usati dai più piccini come giochi-sonagli che forati, venivano infilati in una cordicella da tenere stretta in vita. Simile al nostro gioco degli scacchi era la tabula fusoria (la scacchiera) dove le pedine erano i latrunculi che venivano mosse sulla tabula in modo determinato al fine di eliminare quelle dell’avversario. Le tabule erano in legno, in marmo o in pasta vitrea decorate. Nel parlare di giochi non si può prescinder dal gioco della palla molto usata presso i Romani. Ai giochi infantili i Romani assegnavano una grande importanza educatrice ma anche religiosa: giocattoli venivano regalati ai bambini durante le feste Antesterie. Quando i bambini diventavano adolescenti consacravano i loro balocchi ai Lari domestici, ma anche a Venere e ad Artemide. Se il bambino moriva da piccolo, i giocattoli lo seguivano nel sepolcro. Balocchi di ogni genere sono stati rinvenuti nelle sepolture romane anche a Brindisi, gli esemplari meglio conservati li abbiamo visti nel Museo di Brindisi. Nei corredi funerari molto comuni sono i poppatoi, contenitori in terracotta, che assumevano la funzione di vasi-biberon ma anche di veri e propri giocattoli, spesso colorati per attirare l’attenzione del bimbo ed invogliarlo a bere. Quasi sempre figure di animaletti venivano utilizzate come tintinnabula, caratteristici giocattoli in terracotta, contenenti all’interno, una pallina di coccio, così che muovendoli emettevano un suono particolare che divertiva i bimbi. In una vetrina del Museo di Brindisi abbiamo ammirato degli oggetti come quelli sopra descritti, oltre a qualche esemplare di bambola che rappresentava il gioco preferito delle bambine in epoca romana.

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LE COLONNE TERMINALI DELLA VIA APPIA - TRAIANA Sono tre le ipotesi tramandate sulle origini delle colonne romane di Brindisi. Per molti - ed è l'ipotesi più accreditata dalla tradizione - si tratta di un monumento fatto innalzare nel 110 circa d. C. dall'imperatore Traiano, per celebrare - con il potenziamento del porto - la costruzione di una deviazione della via Appia per il tratto che da Benevento conduceva a Brindisi, passando da Canosa, Ruvo, Egnazia; strada che da lui fu detta Traiana o Appia-Traiana (ma anche Egnazia). La prima parte dell'originaria via Appia era stata costruita nel 322 a. C. dal censore Appio Claudio il Cieco per unire Roma a Capua, ma qualche decennio dopo la strada fu prolungata sino a Benevento e Taranto, conquistata nel 272. Sottomessa cinque anni dopo anche Brindisi, si rese necessario il prolungamento fino al porto, realizzato molto probabilmente da Appio Claudio Pulcro, che fu console nel 213 a. C. A quei tempi Oria, attraversata dalla primitiva via Appia, svolgeva l'importante funzione di mansio, cioè di un luogo in cui, oltre a cambiare i cavalli, i viaggiatori potevano pernottare. Per altri è un monumento eretto in onore di Ercole (il libico), al cui figlio Brento i brindisini facevano risalire la rifondazione della città, e il cui culto era molto vivo a Brindisi, come in tante altre città. Ciò a somiglianza delle più famose colonne poste in Africa e in Spagna, sull'attuale stretto di Gibilterra, che indicavano la fine del mondo allora conosciuto. Per altri ancora le colonne sarebbero state volute dai Romani per premiare la lealtà dei brindisini, che nel 214 a. C. - a differenza dei tarantini - non si erano arresi ad Annibale; o del brindisino Lucio Ramnio, in particolare, che nello stesso anno fece fallire il piano del re macedone Perseo, che voleva battere i Romani facendone avvelenare i comandanti di passaggio dalla nostra città; o per premiare il contributo in denaro e soldati che Brindisi - con poche altre città - assicurò a Roma nella guerra contro i Cartaginesi anche dopo la disfatta di Canne; oppure il validissimo aiuto fornito a Silla (nell'83 a. C.), a Cesare (nel 48 a. C.) e a Ottaviano (il futuro Cesare Augusto, nel 38 a. C.), in occasione delle guerre civili che li videro vincitori rispettivamente su Mario, Pompeo e Marco Antonio. In ogni caso le colonne sarebbero servite, per un certo periodo, evidentemente prima che l'accesso al porto e la sua prima difesa fossero trasferiti dall'attuale canale Pigonati all'isola di Sant'Andrea, come faro: tra un capitello e l'altro fu posta una robusta traversa di bronzo con un fanale dorato al centro, per dare ai naviganti un punto di riferimento e la possibilità di trovare riparo anche di notte dalle furiose tempeste per le quali nell'antichità era famoso l'Adriatico. In favore dell'ipotesi che considera le colonne "terminali della via Appia", vi è la contemporanea costruzione a Benevento - l'altra città interessata dalla costruzione del nuovo tratto orientale della strada, di strategica importanza per le campagne orientali, in particolare contro i Daci - dell'arco celebrativo detto di Traiano; ed è molto probabile che Brindisi, punto di arrivo della duplice strada e base di partenza per l'Oriente, che forniva assistenza e vettovaglie alle imponenti armate romane, abbia avuto nell'occasione un proprio monumento celebrativo.

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CANOSA ROMANA

L'inesorabile processo di 'romanizzazione' del territorio pugliese, si interrompe all'inizio della seconda guerra punica (218a.C.-201a.C.). Tuttavia, la fedeltà che Canosa dimostra a Roma all'indomani dell'epico scontro del 2 agosto 216 a.C., lungo le rive del fiume Ofanto nei pressi di Canne, vicus di Canosa, sarà, al termine delle ostilità, ampiamente ripagata. Proprio a Canosa, dalla famiglia della leggendaria matrona Busa, troverà ospitalità parte dell'esercito romano sconfitto. La definitiva vittoria sui Cartaginesi e sui loro alleati, grazie alla quale Roma sarà al centro del Mediterraneo, rappresenta per Canosa una nuova fase di splendore e potenza. Nell'ambito della successiva sistemazione delle popolazioni italiche nelle tribù romane, Canosa e il suo territorio sono inseriti nella tribus oufentina. I buoni rapporti tra le due città si rompono tra il 90 e 88 a.C. quando le comunità apule e la stessa Canosa insorgono schierandosi dalla parte dei soci italici nella guerra sociale. Roma, pur vittoriosa, cede la cittadinanza romana agli sconfitti, i cui centri più importanti, dalla metà dello stesso secolo, vengono organizzati in municipii, comunità di cittadini romani autonome nella giurisdizione amministrativa e penale inferiore, ma totalmente dipendenti da Roma. La città è affidata ad un quattuorvirato scelto da un ordo decurionum composto a sua volta da magistrati locali in pensione, su esemplificazione del governo di Roma. L'omologazione al modello romano influenza ovviamente lo stile di vita indigeno pressoché ellenizzato; ne sono eloquente testimonianza i rituali funerari che, almeno inizialmente continuano a prediligere l'uso degli ipogei; è il caso della nobile fanciulla Metella, figlia di Dasmus, le cui ceneri, deposte in un'urna, secondo un'usanza tipicamente romana, vennero lasciate nell'ipogeo Lagrasta. L'affermazione dei costumi romani determina, in seguito, l'edificazione di monumenti funebri in laterizi, in alcuni casi di notevoli dimensioni, costruiti agli ingressi della città. Durante l'età di Antonino Pio (seconda metà II secolo d.C.), l'intervento di Erode Attico, legato imperiale, ricco cittadino ateniese con possedimenti in questa zona, segna la trasformazione di Canosa da municipium a colonia con il nome di Colonia Aurelia Augusta Pia Canusium. Il nuovo status s'accompagna ad una vasto rinnovamento urbanistico con la realizzazione dell'anfiteatro, di un acquedotto, di complessi termali, dell'enorme tempio dedicato a Giove e di un Foro fiancheggiato da botteghe, il ponte sul fiume Ofanto. Agli inizi del III secolo la città, pur scossa dalla crisi politico-amministrativa che investe tutto l'impero, continua ad essere centro di primaria importanza nella regio secunda come documenta innegabilmente la rara tavola bronzea dei decurioni che oltre ai magistrati locali in carica nell'anno 223 d.C. cita un copioso elenco di patroni, cittadini canosini non residenti nel territorio che, per meriti e interessamento verso la città, avevano nel senatus municipale il diritto di partecipare alle sedute plenarie.

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Tempio di Giove Toro (metà del II secolo d.C.)

Noto agli studiosi dal XVIII secolo, il sito fu sottoposto a indagine archeologica dal 1978. Si accertò così che al centro della città moderna si conservavano i resti di un tempio periptero con sei colonne sui lati corti e dieci sui lati lunghi, con alto podio, paramenti in laterizio e una ampia scalinata d'accesso rivolta ad est verso l'attuale Via Imbriani. Il nome del monumento è dato dal ritrovamento nell'area di una statua di Giove; l'attributo Toro, invece, identificava, in epoca medievale, una zona sopraelevata. Il tempio s'inserisce sicuramente nel quadro delle ristrutturazioni urbane di età antonina.

Terme Lomuscio (metà del II secolo d.C.)

Oggetto di parziali scavi negli anni 1957-58, il sito è un interessante esempio di terme private, costituite da una serie di ambienti absidati, realizzati in opus vittatum, un praefurnium e una latrina circolare, al cui interno sono presenti canali per la raccolta dei liquami. L'approvvigionamento idrico del complesso era assicurato dal contemporaneo acquedotto realizzato da Erode Attico che, a poche centinaia di metri, alimentava anche le grandiose terme pubbliche, scoperte negli anni '50 e definitivamente occultate sotto anonimi condomini di sei piani, nell'attuale p.zza Terme. Via Traiana (inizi II secolo d.C.)

Arco Traiano (metà del II sec. d.C. )

L'arco Traiano, detto anche di Varrone, è un monumento onorario posto a circa un chilometro dall'abitato moderno. La Via Traiana entrava in città passando al di sotto dell'arco, che costituiva così l'ingresso monumentale alla città e un elemento divisorio tra la città dei vivi e quella dei morti. E' ad un solo fornice, rivestito da una cortina in opus lateritium molto rimaneggiata.

Torre Casieri (inizi del II sec.d.C. )

Il suo stato di conservazione può definirsi soddisfacente e non si discosta di molto dalle descrizioni del 1783 dell'abate di Saint-Non e dalla relativa raffigurazione del Desprez. Il monumento sepolcrale, in conglomerato cementizio rivestito da laterizi, è costituito dalla sovrapposizione di tre corpi: un basamento, un corpo centrale e un piccolo tamburo cilindrico. All'interno della tomba vi è una camera rettangolare, voltata a botte; le pareti sono rivestite di mattoni ed una cornice ne sottolinea l'imposta della volta cementizia. Torre Casieri rientra nella tipologia delle tombe a dado.

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