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VIAGGIO IN VIT NAM (dal 12-09-05 al 02-10-05) di Luca Marceglia

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VIAGGIO IN VIỆT NAM

(dal 12-09-05 al 02-10-05)

di Luca Marceglia

Viaggio in Việt Nam 2005 Di Luca Marceglia  

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SOMMARIO

INTRODUZIONE................................................................................. 3 RINGRAZIAMENTI ............................................................................. 4 STORIA DEL VIỆT NAM ...................................................................... 6

LE ORIGINI E LA DOMINAZIONE CINESE........................................................ 6 LE DINASTIE VIETNAMITE E LA GUERRA CIVILE.............................................. 7 LA RIUNIFICAZIONE ED IL COLONIALISMO FRANCESE..................................... 7 LA GUERRA INDOCINESE ............................................................................. 9 LA GUERRA AMERICANA .............................................................................. 9 IL DOPOGUERRA .......................................................................................11

12-13/9: MILANO – HÀ NỘI ............................................................ 17 14/9: HÀ NỘI .................................................................................. 21 15/9: HÀ NỘI .................................................................................. 25 16/9: HÀ NỘI – BAIA DI HẠ LONG................................................... 29 17/9: CÁT BÀ – HÀ NỘI ................................................................... 31 18/9: HÀ NỘI – HUẾ ........................................................................ 33 19/9: HUẾ ....................................................................................... 35 20/9: HUẾ – ĐÀ NẴNG – MÝ SƠN – HỘI AN ..................................... 42 21/9: HỘI AN - ĐÀ NẴNG – NHA TRANG .......................................... 45 22-27/9: NHA TRANG ...................................................................... 49 28/9: NHA TRANG – SÀI GÒN (HỒ CHÍ MINH)................................. 53 29/9: SÀI GÒN ................................................................................ 55 30/9: CỦ CHI................................................................................... 60 1/2-9: SÀI GÒN – MILANO .............................................................. 64 STORIA DELLA LINGUA VIETNAMITA............................................... 67 LA FRUTTA VIETNAMITA.................................................................. 73 I RISTORANTINI VIETNAMITI ......................................................... 77 GLI HOTEL VIETNAMITI................................................................... 77 RIASSUNTO GRAFICO CRONOLOGICO ............................................. 78

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INTRODUZIONE

Questo è un resoconto di viaggio molto particolare, molto speciale, perché non si tratta di un viaggio qualunque intrapreso in un’estate qualunque: signori, qui si parla d’altro! Qui si parla del resoconto di viaggio della mia, della nostra Luna di Miele, dopo essermi felicemente sposato, il 10 settembre 2005, con Jenny. Beh, penserete, con tutti i posti “classici” e romantici da scegliere in simili circostanze, perché questo qua non se n’è andato, che ne so, alle Maldive, alle Seichelles, a Bora Bora o a Phi Phi Island? Perché proprio in Việt Nam? Cosa ci sarà mai di bello da fare? Ma non sarà pericoloso? Calma, calma… L’arcano è presto spiegato: in realtà, la mia idea di viaggio di nozze era il Sudamerica, e più esattamente Cile e Terra del Fuoco; ma mentre io già mi immaginavo nell’università intitolata a Neruda a leggermi le sue poesie, la Jenny, allo stesso tempo, si vedeva proiettata nella propria, di luna di miele: in una jeep nel cuore di un safari africano. A questo punto ci sembrava d’uopo trovare una soluzione comune che escludesse a priori entrambi i continenti, visto che nessuno dei due riusciva del tutto a convincere l’altro della propria scelta. Così, togliendo anche l’Europa perché troppo vicina (mica andremo a Parigi!), e l’Australia perché non interessa a nessuno dei due, rimane la mitica e per noi sconosciuta Asia. Passiamo qualche serata in libreria, sfogliando le varie guide della Lonely Planet ed intraprendendo viaggi virtuali in Cina (ma la difficoltà della lingua ci frena un po’), Sri Lanka (che sembra abbastanza pericolosa), Tailandia (abbastanza banale), Cambogia (il turista può però vedere pochissimi siti e non è libero di andare dove vuole), India (troppo un porcaio!), Việt Nam (mmm.. non male), ma non riusciamo del tutto a deciderci: cerchiamo un viaggio di tre settimane, dove rilassarci “facendo mare”, come dico io, e dove poter anche vedere cose interessanti. Poiché abbiamo deciso che la nostra lista di nozze sarà proprio il viaggio, ci rivolgiamo all’agenzia Fly4You, di Milano, e ci affidiamo al mitico Luigi Deli per chiedere maggiori informazioni; ci spiega che il Việt Nam è davvero un posto molto bello (“è un entrare in Asia dalla porta posteriore”, dice), senza troppi turisti e senza coppie di novelli sposi a condividere la spiaggia assieme a noi; il mare è molto bello e ci suggerisce di passare una settimana “da favola” all’Ana Mandara, un resort meraviglioso ma comunque abbastanza economico che in effetti, dalle brochures e dal sito web, ci colpisce parecchio; se già ci piaceva l’idea di andare in questo Paese, adesso siamo proprio decisi per il Việt Nam!

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Unico problema, la tempistica: l’agenzia ci organizzerà il volo A/R da Milano, i voli interni (impensabile l’idea di passare 28-30 ore in corriera per andare da una città all’altra, a causa delle enormi distanze e della lentezza dei mezzi su strada), ed una settimana nel resort che però, essendo costituito da poche ed esclusive villette, rischia di registrare il tutto esaurito molto presto. In pochissimo tempo, forse una settimana, ci compriamo il libro della Lonely Planet e, tra un preparativo per il matrimonio ed un altro, io e la Jenny ce lo leggiamo tutto, per capire quando fissare le date dei voli interni e da che giorno a che giorno pernottare all’Ana Mandara. In aprile consegnamo le date all’agenzia, e pochi giorni dopo otteniamo esito positivo: c’è posto sia sui voli che al resort, e dunque è fatta! Si andrà in Việt Nam per davvero. Una delle cose più buffe è stata la reazione delle persone cui comunicavamo la nostra destinazione: praticamente tutti rimanevano basiti, pensando ad un paese devastato da guerre, corruzione, ladri e prostituzione, e, chissà, forse ci prendevano per pazzi… in realtà, come scoprirete se avrete la pazienza di leggermi fino in fondo, questo paese è in pace, è abitato da gente tranquilla, simpatica e gentile, e di furti e prostituzione nemmeno l’ombra! Prima della partenza, facciamo un paio di cose importanti: le vaccinazioni contro Epatite A e B, e l’antitifica. Infine, controlliamo come sta andando il virus H5N1 dell’influenza aviaria, che proprio in quel momento sta causando una sessantina di morti tra Hà Nội e Sài Gòn, e ci rendiamo conto che, alla fine, bisogna solo cercare di non toccare polli vivi per evitare un possibile contagio.

RINGRAZIAMENTI

Questo resoconto di viaggio non esisterebbe se non ci fosse stato il generoso contributo delle seguenti persone, che desideriamo ringraziare: Abele, Agneta, Alessandra B., Alessandra F., Alfredo, Annalisa, Ante, Antonella, Antonio, Asa, Axel, Barbara, Bea, Beatriz, Carla, Carlo, Cecilia, Celso, Cristina, Cristina M, Curre, Daniela, Daniele, Eamon, Elena, Elin, Elisa, Eliseo, Emanuela, Emilio, Enrico, Enza, Eva, Ezio, Fabrizio, Fátima, Filippo M., Francesco, Franca, Franci, Franco, Gianfranco, Gianluigi, Giuliana, Giuseppe F., Giuseppe N., Giuseppe T., Giuva, Haidy, Ilaria, Inigo, Iris, Isabella, Ismaele, Iva, Ivano, Josefin, Karin, Katerina, Katya, Kerstin, Laura A., Laura R., Livia, Luca, Luigi, Luigi Vi., Luigi Ve., Mady, Manuela, Mariangela, Massimo A., Massimo C., Massimo M., Matteo B., Matteo N., Maurizio, Nicola D., Nicola D.L.,

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Ola, Olle, Paolo C., Paolo D., Raoul, Roberto, Salvatore C., Salvatore B., Salvatore F., Sara, Saverio, Simone, Stefano D., Stefano G., Tommaso, Tommaso C., Valeria, Valerio, Valle, Vito, Walter, Wanda.

Guarda il percorso

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STORIA DEL VIỆT NAM

Ogni città del Việt Nam si distingue dalle altre soprattutto per il contesto storico in cui si posiziona: Hà Nội ed il nord hanno avuto molti influssi cinesi sin dai tempi delle prime dominazioni, Huế è stata una fiorente capitale nel XIX secolo, Nha Trang proviene dal mondo Cham, Sài Gòn è stata teatro della guerra contro gli Americani; e questo solo per citare qualcuna delle città che siamo andati a vedere. Credo dunque che soprattutto per il Việt Nam, Paese abbastanza sconosciuto ai più, valga la pena scrivere un capitolo dedicato alla storia: mai come in questo viaggio abbiamo sentito la necessità di studiare cosa fosse successo nel passato per riuscire a capire un evento, un tempio, una pagoda, o anche, più semplicemente, un nome come Hồ Chí Minh, Tự Đức, Bảo Đại, o come quello della dinastia Nguyễn; tutti riferimenti che poi troverete all’interno del mio resoconto e che a noi, fino a poco tempo fa, dicevano poco o assolutamente nulla. Allora, dimentichiamoci un attimo del viaggio di nozze di Luca e Jenny e tuffiamoci nel meraviglioso mondo della storia.

LE ORIGINI E LA DOMINAZIONE CINESE

La tradizione fa risalire la nascita del Việt Nam a circa 4000 anni fa, ma in realltà non ci sono prove concrete relativamente a questo Paese se non a partire dal 207aC. Fino a questo periodo, quindi, ci dobbiamo basare sulle leggende, secondo le quali il primo vietnamita in assoluto, Hùng Vương, fu il più vecchio dei 100 figli avuti dal drago Lạc Long Quân e da sua moglie, lo spirito fatato Âu Cơ. La storia prosegue sino a quando uno dei discendenti di questi imperatori, il re An Dương Vương, viene sconfitto dal generale Triệu Đà, a capo della dinastia cinese Qin, nel 208aC. Quest’ultimo diviene il nuovo imperatore e chiama la nuova terra 南越, in cinese “Nan Yue”, ossia Yue (la regione della Cina che ora confina con il Việt Nam) del Sud e, trasportando la pronuncia al vietnamita, “Nam Việt”. Nonostante fosse un cinese, Triệu Đà prima, e i seguaci della dinastia poi, si oppongono ad altri generali cinesi, vincendo guerre e battaglie e riuscendo a mantenere l’indipendenza dell Việt Nam fino al 111aC, quando gli Han (206aC-220dC) hanno la meglio. La dominazione cinese dura quasi 1000 anni, sino cioè al 938dC, quando Ngô Qyuền riesce a sconfiggere definitivamente gli Han.

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LE DINASTIE VIETNAMITE E LA GUERRA CIVILE

Dopo gli Ngô troviamo la dinastia dei Đinh (968-980), dei Lê (980-1009) e quella dei Lý (1010-1225), il cui fondatore, Lý Thái Tổ, cambiò il nome Nam Việt in Đại Việt (“grande Yue”), spostò la capitale alla moderna Hà Nội e la chiamò Thăng Long (“drago ascendente”). Con la dinastia dei Lý inizia un periodo d’oro per il Việt Nam: nascono le prime università (come quella del Tempio della Letteratura ad Hà Nội), basate sulla dottrina del confucianesimo (amore per la conoscenza e lo studio, così come impartita da Confucio, il primo grande filosofo cinese vissuto nel IV sec aC e portato alla conoscenza dei vietnamiti grazie proprio alla dinastia Han); viene riorganizzato il sistema amministrativo; viene promosso il buddismo. Il periodo buono prosegue con la dinastia Trấn (1225-1400), capace di bloccare l’avanzata della potentissima dinastia Ming e di sconfiggere il popolo Cham radicato nel centro del Việt Nam. Segue poi la scarsa dinastia Hồ (1400-1407), che ancora una volta cambia il nome del Paese, questa volta in Đại Ngu, e la capitale, che viene fissata all’attuale Thánh Hóa. Arriviamo così al 1407, quando le truppe Ming riescono ad entrare nel Việt Nam ed a governare il Paese fino al 1428, quando uno dei più famosi eroi nazionali, il mitico Lê Lợi, riesce a riprendere in mano la situazione. Durante la dinastia Lê, da lui fondata (1428-1527), vengono definitivamente sconfitti i cham, ed inizia la conquista dei territori del centro: il generale Lê Thánh Tổng (“Lê l’imperatore santo”) ha un grande successo e riesce a spingere le sue truppe sin quasi al sud. Nel 1527 il generale Mạc Đăng Dung uccide l’imperatore Lê e si insedia al trono; dopo due anni, però, Nguyễn Kim, un ex ufficiale appartenente alla dinastia Lê si ribella con un manipolo d’uomini, e scatta una lunga e sanguinosa guerra civile. I Mạc vengono sconfitti, ma Kim viene assassinato ed il potere si divide tra i Trinh, parenti degli Nguyễn, che vanno al potere al Nord, ei figli di Kim, che stabiliscono la dinastia Nguyễn al Sud.

LA RIUNIFICAZIONE ED IL COLONIALISMO FRANCESE Questa situazione di divisione, guerra civile ed incertezza dura sino al 1771, quando scoppia la rivolta dei Tây Sơn; un altro mito del Việt Nam, Nguyễn Huê (che non ha alcuna parentela con gli altri Nguyễn), prima si allea con i Trinh e sconfigge gli Nguyễn al Sud, e poi, rompendo l’alleanza, riesce anche a cacciare i Trinh dal nord. Nel 1778

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il Việt Nam, finalmente, torna ad essere un’unica terra con un unico imperatore. In questo Paese, però, le cose non filano mai lisce… e così succede che Nguyễn Phúc Ánh, l’unico sopravvissuto della dinastia che prima dominava il Sud, nel frattempo stipula un accordo di aiuto militare con i francesi (che nel frattempo si trovavano là in qualità di evangelizzatori), scappa in Cina, torna, attacca Nguyễn Huê, perde, riscappa in Tailandia. Intanto muore Nguyễn Huê, a 40 anni, ed i successori non sono all’altezza della situazione. I francesi, freschi di trattato, intervengono: sbarcano in Việt Nam, sconfiggono i Tâi Sơn e rimettono al potere Nguyễn Phúc Ánh, nel 1802. Questi decide di chiamarsi Gia Long (da “Gia Định”, l’odierna Sài Gòn, e “Thăng Long”, l’odierna Hà Nội) per dare l’idea di unificazione della patria, e chiede ai cinesi se può ridare al Paese il nome di Nam Việt; i cinesi, che comunque hanno sempre da dire la loro anche in virtù di accordi siglati centinaia di anni prima, non vogliono confondere l’operato di Gia Long con quello di Triệu Đà e dunque invertono le sillabe: il nuovo stato si chiamerà, d’ora in poi, Việt Nam. Anche se salito al potere in modo burrascoso, Gia Long viene ricordato come un buon imperatore, amico dei francesi e del cattolicesimo (e te credo!). I suoi successori, invece, seguono più facilmente il più fervido confucianesimo: Tự Đức, Minh Mạng, Khải Đinh arrestano lo sviluppo del Việt Nam, e fanno nascere enormi proteste religiose in Europa. Alla fine, nel 1858 Napoleone III si ricorda di quel famoso trattato, ed interviene con le sue truppe nel porto di Tourane (l’odierna Đà Nẵng) ed inizia così la colonizzazione francese, che porta alla formazione della Cocincina (Việt Nam, Laos, Cambogia) nel 1887. La Francia resta al potere sino al 1940, quando il Giappone, a seguito dell’invasione dell’alleata Germania nei confronti della Francia, invade il Việt Nam. L’imperatore Bảo Đại, già burattino nelle mani dei francesi, si fa amabilmente pilotare anche dai giapponesi, che però, a seguito delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki ed alla successiva resa, abbandonano quasi subito questo territorio. Nel frattempo, Nguyễn Tất Thành, meglio noto come Hồ Chí Minh (Ho il portatore di luce), nato nel 1890, nel 1911 era salpato come mozzo verso la Francia; avvicinatosi al comunismo, va a vivere in Inghilterra sino al 1923 e nel 1941 ritorna in Việt Nam, fondando i Việt Minh (Lega per l’indipendenza del Việt Nam, “Việt Nam Ðộc Lập Ðồng Minh Hội”), con lo scopo di cacciare prima i giapponesi, e poi i francesi, ed ottenere pace ed indipendenza.

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In seguito ad azioni ben congeniate, Bác Hồ (“zio Ho”) inizia a farsi apprezzare sempre di più dalla gente. Riesce a convincere Bảo Đại ad abdicare (facendogli credere di essere supportato dagli americani e promettendo l’indipendenza a breve), e si insedia al trono il 25 agosto 1945. Il 2 settembre 1945, Hồ Chí Minh proclama l’indipendenza del Việt Nam del Nord (che assume il nome di “Repubblica Democratica del Việt Nam”) e fissa la capitale ad Hà Nội. Nessuno riconosce il nuovo Stato, a parte la Francia, che inizialmente accetta di considerarlo una sorta di “regione autonoma”. In ogni caso, i “francesi liberi” (cioè non quelli di Vichy), supportati dagli inglesi, poco dopo attaccano i Việt Minh e, nel frattempo, rimettono anche al potere Bảo Đại con il titolo di presidente del Việt Nam del Sud.

LA GUERRA INDOCINESE Finisce la seconda guerra mondiale, ed inizia la Guerra Fredda. Gli USA, vedendo nei Việt Minh un pericolo comunista, sostengono i francesi per cercare di sconfiggere Hồ Chí Minh. Scoppia così la Prima Guerra Indocinese (1946-1954) che inizialmente sembra portare ad una facile vittoria francese, ma che poi, soprattutto in seguito alla morte del bravo ed astuto generale De Lattre, non riesce ad evitare le trappole dell’altrettanto furbo generale Vietnamita Võ Nguyên Giáp. Nel 1954, i Việt Minh vincono, e con gli accordi di pace di Ginevra viene riconosciuta la Repubblica Democratica del Việt Nam, che si estende da nord sino al 17° parallelo, poco più a nord di Huế. Bảo Đại, che nel frattempo è scappato dai suoi amici in Francia, lascia il potere a Ngô Đình Diệm che, con un referendum, diventa presidente del Việt Nam del Sud.

LA GUERRA AMERICANA Nel 1956, sempre nel sud, iniziano le prime schermaglie: nasce il Fronte per la Liberazione, composto sia da vietnamiti del nord che si erano infiltrati tra la popolazione, sia da vietnamiti del sud che non volevano “invasori” stranieri, come mai li avevano voluti nel corso della loro lunga storia. Nasce il cosiddetto “sentiero di Hồ Chí Minh”, un percorso segreto, attraverso la Cambogia, che collega nord a sud e permette ai guerriglieri di avere armi e supporto logistico. Nel frattempo, gli USA, con Kennedy, sono terrorizzati dall’idea di un successo comunista che, secondo loro, sarebbe deleterio per la democrazia. Mentre stanno decidendo sul da farsi, Diệm assurge alle cronache mondiali per il suo comportamento antibuddista (Thích

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Quảng Ðức si brucerà vivo, a Sài Gòn, per protestare contro Diệm ) e, a seguito di un commento di Kennedy forse mal interpretato, viene assassinato da una rivolta popolare e sostituito da Dương Văn Minh (che a sua volta verrà destituito tre mesi dopo a seguito di un colpo di stato); tre settimane dopo, muore anche Kennedy ed il suo successore, Lyndon B. Johnson, inzia ufficiosamente la guerra contro il Việt Nam. Non ci fu mai infatti una dichiarazione ufficiale, ed in genere si fa risalire l’inizio delle ostilità al cosiddetto “incidente del golfo di Tonchino”, quando, il 27 luglio 1964, una nave da guerra americana, in missione di ricognizione, viene attaccata da siluranti vietnamiti. Questo è sufficiente perché il Senato americano approvi una risoluzione secondo la quale Johnson può iniziare un piano di escalation con ampia libertà di potere. A partire dal 1965, dunque, iniziano i primi raid aerei nel nord, che culminano con l’offensiva del Tết: i “việt cộng” (ossia i Việt Minh, rinominati dispregiativamente “comunisti vietnamiti” dagli americani: Việt Nam Cộng Sản) attaccano il sud durante la celebrazione della festa più importante del Paese, il 30 gennaio 1968, e gli americani intervengono distruggendo tutto quello che incontrano: Mỹ Sơn, Mỹ Lai, Huế… uccidendo moltissime donne e bambini. Nonostante politicamente si cerchi di sminuire l’evento (“La guerra è quasi finita!”, tuona Johnson in un discorso pubblico spalleggiato da McNamara, segretario al Dipartimento della Difesa), vengono inviate sempre più truppe americane in Việt Nam, e questo dà origine a movimenti pacifisti di protesta sempre più grandi, e sempre più diffusi a livello mondiale. La guerra sembra ingiusta, ed infinita, praticamente a tutti, soprattutto quando il Pentagono rilascia le prime cifre ufficiali sul numero dei morti americani in guerra: sono già 15.000. Il 1968 segna anche la corsa alle presidenziali e Johnson, accorgendosi che sta perdendo le primarie in favore di opponenti pacifisti, si ritira a sorpresa. Vince Nixon, e questo segna una svolta nella politica estera americana: con gli accordi di pace di Parigi del 1972, gli USA decidono dapprima di investire nell’economia vietnamita, costruendo scuole, edifici, strade ed altre infrastrutture pubbliche, e poi dando moltissimi soldi ai politici locali (che però, corrotti, li useranno solo per interessi privati, senza rafforzare la struttura sociale, tecnologica e militare del paese). Nel frattempo, però, continuano anche i bombardamenti, più di prima, per permettere alle truppe di terra di abbandonare il campo. Il 15 dicembre 1972, alla vigilia di presunti accordi di pace, salta tutto, ed il giorno dopo Nixon ordina quello che viene considerata l’azione bellica più devastante della storia: il bombardamento massiccio a Hà Nội ed Hải Phòng. Nonostante questa brillante iniziativa, il 27 gennaio

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1973, ulteriori accordi di pace, sempre firmati a Parigi, segnano il ritiro ufficiale degli USA dalla guerra in Việt Nam ed il prosieguo di aiuti economici al paese. Nixon infatti aveva promesso al Việt Nam del Sud sia denaro sia un intervento armato in caso di attacco da parte dei việt cộng, ma il successivo scandalo Watergate impegna il presidente più che altro nella politica interna, e ciò si ripercuote anche in quella estera, dato che, ad esempio, il Congresso, già nel 1974, blocca ogni ulteriore invio di truppe e denaro in Việt Nam. Nello stesso anno, Nixon si dimette e diventa presidente Gerald Ford. Capita la situazione, a partire dal 1975 il Việt Nam del Nord inizia ad attaccare il sud, e sfonda, con relativa facilità, le difese avversarie a Huế, a Đà Nẵng, e giù giù sino ad arrivare alla periferia di Sài Gòn. Sperando e credendo in un aiuto americano, l’esercito del sud impiega le ultime armi, le ultime munizioni e le ultime risorse in una disperata attesa di rinforzi: i việt cộng sbandano, si fermano, arretrano, ma gli americani non arrivano e così, poco dopo, la situazione si capovolge: il 21 aprile 1975, il presidente Thiệu dichiarando di sentirsi tradito dagli americani, si dimette, e lascia il posto al suo vice, Tran Văn Hương, che dopo una settimana lascia per Văn Minh, già presidente qualche anno prima e rimesso in piedi dagli americani. Il 23 aprile, Ford dichiara ufficialmente terminata la guerra americana in Việt Nam, ed il 30 aprile carri armati dell’esercito del nord sfondano il cancello del palazzo presidenziale; mentre i soldati irrompono ed issano la bandiera dei việt cộng all’ultimo piano, elicotteri americani evacuano la zona di tutta fretta.

IL DOPOGUERRA Il 2 luglio 1976, con l’unità, nasce la Repubblica Socalista del Việt Nam; la capitale rimane Hà Nội, mentre Sài Gòn viene rinominata Hồ Chí Minh in onore dell’ex presidente del nord, morto nel 1969 per diabete. Il dopoguerra segna un periodo ulteriormente drammatico per il sud, costretto a sottostare alle nuove o preesistenti leggi del nord: iniziano disastrose riforme agricole, appropriazioni indebite di terreni e persecuzioni, che lasciano la popolazione delle terre appena conquistate in uno stato di miseria inaudito; come se non bastasse, viene introdotta la riforma monetaria, con la creazione di una moneta unica (il “đồng della liberazione”): 500 ex đồng usati al sud vengono scambiati per un solo nuovo đồng, che però ha lo stesso valore di un đồng di prima! Successivamente, si crea un’altra nuova moneta unica, il đồng attuale, scambiato 1:1 a nord e 8:10 al sud. Tutto ciò porta ad

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una depressione economica mai registrata precedentemente, che quasi sfocia nella carestia. Bisogna anche tener conto del fatto che i pochi campi rimasti in mano alle popolazioni del sud sono tutti contaminati dall’agente orange, potente defoliante usato dagli americani lungo la guerra, e quindi inservibili. Giornali, riviste, documentazioni risalenti a prima del 1975 vengono distrutti, e ciò che eventualmente si salva dal rogo non può circolare, per legge, neppure oggi. Chi aveva avuto legami con il precedente regime (soprattutto uomini d’affari, intellettuali, scrittori, giornalisti, artisti) viene rinchiuso nei cosiddetti “campi di rieducazione”, in pratica una prigione con condizioni disumane, senza alcun processo. C’è chi è rimasto là per degli anni, e chi invece riesce a riacquistare la libertà dopo poco, ma a tutti vengono confiscati terreni e denaro, e quasi tutti quelli che riescono, dunque, si vedono costretti ad abbandonare Sài Gòn andando in Cambogia attraverso il Mekong, dando origine ai famosi “boat people”. Chi rimane, e chi torna in seguito, si vede negato il diritto di ottenere i propri documenti, senza i quali non è possibile alcun tipo di lavoro, e di diritto. Moltissimi vietnamiti di Sài Gòn si vedono dunque costretti a vivere da esiliati e da clandestini nella loro terra natale, adattandosi a lavori umili; ancora oggi si incontrano ex generali, ex scrittori, ex giornalisti impegnati nel ruolo di conduttori di cyclo o di motocicletta, lavoro ai margini che garantisce una minima fonte di reddito, e dunque almeno un pasto caldo al giorno per la famiglia. La pace ancora non è arrivata: nel 1979 i Khmer Rossi vanno al potere in Cambogia, dopo aver massacrato quasi 2 milioni di persone in una cruenta guerra civile; l’esercito Vietnamita invade la Cambogia, destituisce i Khmer Rossi ed istituisce un governo in favore del Việt Nam. Nel 1980 la Cina, che supporta i Khmer Rossi, invade il Việt Nam come rappresaglia; la guerra, cruenta ma breve, termina dopo 17 giorni con la vittoria del Việt Nam. Finalmente questo Paese entra in un lungo periodo di pace. Nel 1984 Gorbachov apre al mondo occidentale, e finalmente, nel 1986 il Việt Nam lo segue, alla guida di Nguyễn Văn Linh; la situazione inizia a cambiare: nuove riforme, che prendono il nome di đổi mới (rinnovamento), permettono di alleviare un po’ la situazione al sud. Viene abbandonata l’idea di una economia totalmente pianficata, inizia la liberalizzazione delle imprese e dell’educazione; il Việt Nam inoltre entra nell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico), e tutto questo inizia a dare i suoi frutti.

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Nel 1990, finalmente, arrivano anche i primi investimenti esteri, con la conseguente creazione di migliaia di nuovi posti di lavoro. Gli investimenti sono sì americani (vedi la Coca Cola), ma anche e soprattutto asiatici: nasce l’industria della distribuzione cinematografica, con la presenza massiccia di film di azione cinesi e cartoni animati giapponesi, mentre a livello tecnologico prevalgono ditte come Daewoo, LG, Panasonic; non si trovano quasi mai DVD, ma VCD e SVCD di chiara matrice cinese. Caduta l’URSS nel 1991, il Việt Nam inizia a cercare aiuto proprio in direzione dei suoi ex nemici, ed il primo a riprendere i contatti è Bill Clinton; nel 1995, un anno dopo la fine dell’embargo americano iniziato nel 1964, viene anche istituita la prima ambasciata americana in Việt Nam dopo 20 anni di assenza. Nel 2000 è stata aperta la prima Borsa; a partire dal 2001 è iniziata la ristrutturazione e l’ammodernamento delle strutture turistiche vietnamite, in base al “National Tourism Action Program”. Oggi il Việt Nam è un Paese di 83 milioni di abitanti. Il 28% (circa 24 milioni) ha meno di 14 anni, e l’età media è di 25 anni (in Italia è di 43!). La vita media è di 70 anni, e l’analfabetismo sfiora il 10% (uno dei più bassi di tutta l’Asia). La religione dichiarata dall’80% della popolazione è “nessuna”, seguita dal Buddismo (10%) e dal Cattolicesimo (6%). La forza lavoro è di 42 milioni di persone (il 50% della popolazione), il 63% dei quali è dedito all’agricoltura. Il Việt Nam occupa la posizione numero 160 nell’indice dei Paesi ricchi, subito dopo la Guinea Equatoriale e subito prima della Bolivia. L’indice di sviluppo, però, inteso come percentuale di PIL per persona, lo vede tra i primi dieci paesi al mondo, sia come investimenti (ottavo, come le Seychelles), sia come produzione industriale (decimo, al pari della Turchia): segno di una enorme crescita in atto, che potrebbe portare questo Paese molto lontano. Bene, dopo questo breve sguardo sulla storia del Vietnam, torniamo al viaggio di nozze di Luca e Jenny!

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Nguyễn Phúc Ánh (Gia Long) L'imperatore Tự Đức

L'imperatore Minh Mạng

Hồ Chí Minh Il presidente Bảo Đại

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Il generale De Lattre Il generale Võ Nguyên Giáp

I presidenti Kennedy e Johnson Il presidente Diệm

Il presidente Nixon (a destra) Robert McNamara,

Dipartimento della Difesa Americana

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Il presidente Thiệu Il presidente Dương Văn Minh

Il Tank 390 sfonda il cancello

del Palazzo Presidenziale di Sài Gòn

L'evacuazione americana da Sài Gòn

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12-13/9: MILANO – HÀ NỘI

Ci alziamo alle 5.50 del mattino per prendere, a Malpensa, l’aereo della Lufthansa delle 09.35, con destinazione Francoforte; da là, alle 12.30 un secondo aereo, questa volta della Malaysian Airlines, ci porterà a Kuala Lumpur da dove, infine, un terzo aereo della stessa compagnia ci farà atterrare, attorno alle 12.30, ad Hà Nội, la capitale, a nord del Paese: un viaggio lungo circa 12.500 chlometri e di 21h55m effettive, che però, tra attese agli aeroporti ed il fuso orario (GMT +6), ci tiene in ballo per 27 ore. Arrivati all’aeroporto Nội Bài, siamo pronti a fronteggiare il serissimo “plotone d’esecuzione” composto da militari che controllano i documenti. Vado io per primo, con in mano il foglio del visto (procuratoci dall’agenzia di viaggi italiana) scritto in inglese e vietnamita, che non riesco a consegnare perché chi mi sta di fronte guarda solo il passaporto e, sfoglia che ti risfoglia, ovviamente non trova quello che cerca; finalmente mi guarda e mi chiede “visa?”, e quando (alleluia!) capisce che è un po’ che sto cercando di dargli il foglio che cerca, ecco che scatta il colpo di scena: bisogna fare un’altra fila da un’altra parte per farsi rilasciare un adesivo da attaccare al passaporto, e poi ritornare a fare la fila da lui. Due code e circa 40 minuti dopo, riusciamo a mettere ufficialmente piede in suolo vietamita, e subito siamo accolti da quattro persone con due cartelli recanti in grande i nostri nomi. Le prime tre sono le ragazze dell’agenzia “Amo l’Oriente”, che, parlando una specie di anglo-francese (“ici you have the réservations”), ci consegnano i biglietti dei voli interni ridacchiando in maniera molto divertente ogni trenta secondi; la quarta è il tassista che, come richiesto via mail prima di partire, ci è venuto a prendere all’aeroporto per portarci al nostro primo hotel, il Prince Hotel 1, situato in Lương Ngọc Quyến 51, nel centro storico di Hà Nội. I 35 chilometri che ci separano dalla nostra meta sono sensazionali: a parte un caldo umido micidiale che ci avvolge appena ci affacciamo sulla strada (36 gradi con umidità all’80%), quello che ci colpisce è lo strano traffico cittadino: si vedono solo motorini, con a bordo tre, quattro, anche sei persone, mentre trasportano qualunque tipo di materiale: dalla verdura, a taniche e taniche di benzina; da intere porte a secchi pieni di vernice; da decine di sacchi di patate a centinaia di mazzi di fiori. I motorini sono così carichi che spesso neppure si riesce a vedere il conducente, e questi, quando (spesso, peraltro)

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perde la merce per la strada, non si fa alcuna remora: parcheggia la moto ovunque si trovi (anche se completamente in mezzo alla carreggiata), scende, rimette il carico al suo posto e via, riparte come se nulla fosse. Tutti vanno pianissimo, direi a 30Km/h al massimo, e tutti, ma proprio tutti, suonano il clacson non tanto per farsi largo, quanto per far sapere agli altri della propria presenza. Ogni tanto passano anche delle automobili, che paiono gigantesche di fronte a tutte queste moto, e come lieto contorno troviamo anche una marea di biciclette, che quasi sempre sono guidate da studenti e studentesse, quest’ultime vestite nel loro tradizionale abito, l’áo dài. Le bici sono tante, perché, come saprete se avete letto la storia del Việt Nam, quasi il 30% della popolazione vietnamita, che è di circa 82 milioni di abitanti, ha meno di 14 anni! Un’ora di viaggio ed arriviamo, finalmente, per scoprire che l’hotel è davvero perfetto: con $18 a notte abbiamo una doppia con bagno interno, TV satellitare, aria condizionata e colazione inclusa. Piccolo dettaglio, il rapporto tra dollaro americano e đồng Vietnamita è fisso (1 US$ = 15800 đồng) e poiché, praticamente anche lui con cambio fisso, 19300 đồng fanno un euro, ne consegue che il cambio euro-dollaro ci è sempre abbastanza favorevole (vale infatti 1,22) e che si può ragionare nelle care e vecchie lire: basta dividere il valore della valuta locale per dieci. Questo vuol dire, ad esempio, che i 18 dollari che spendiamo per dormire qui ad Hà Nội, sono circa 28.000 lire, o, se volete, €14! Stanchi morti, ci buttiamo a letto in modo da ricaricarci un po’ prima di lanciarci nel caos della capitale, e quando siamo pronti per uscire, verso le 18, è già notte fonda. I marciapiedi praticamente sono “marciamoto” perché vengono usati quasi esclusivamente come parcheggio, e così siamo costretti a camminare lungo la carreggiata, tra i mezzi che ci sfiorano suonando; il tutto viene reso un po’ più complicato dalla scarsità dell’illuminazione, che ci obbliga a percorrere dei tratti quasi al buio, ma il bello è che non abbiamo mai la sensazione di trovarci in pericolo. Arrivati in prossimità del lago Hoàn Kiếm (“spada recuperata”, dal nome di una leggenda vietnamita), affrontiamo anche noi la famosa “prova” descritta dalla guida e da altri viaggiatori: attraversare la strada. Si può dire che i semafori non esistano, perché, anche quando ci sono, non vengono rispettati da nessuno, e quindi qualunque momento è buono per partire in direzione del “marciamoto” opposto; andando lentamente ed a velocità costante, senza frenare, senza scartare, senza accelerare, i motociclisti hanno il tempo per capire la nostra traiettoria e schivarci di conseguenza. È fatta! Siamo passati indenni e siamo “al sicuro” dall’altra parte.

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Dopo aver gironzolato un po’, giunge anche l’ora della nostra prima cena in terra asiatica; la Jenny, incaricata del “fattore cibo”, consulta rapidamente la Lonely Planet e mi porta al “Little Hanoi”, in Hàng Giầi 21, molto vicino al nostro hotel. Subito notiamo che, in quella stessa via, di “Little Hanoi” ce ne sono due, quasi uno di fronte all’altro! Inizialmente consideriamo la cosa pura coincidenza, ma poi scopriremo che si tratta di una vera e propria costante: ci sono infatti un sacco di posti che si chiamano nello stesso modo, e più di qualcuno afferma di essere ”l’originale”! Così non sei mai sicuro di andare dove vorresti veramente… incredibile! Forse, però, è ancora più incredibile quello che leggiamo nella guida a proposito dell’acqua naturale: nel 1920, i francesi crearono “La vie”, un’acqua in bottiglia che ebbe molto successo, e da quel momento nacquero un sacco di cloni. “La vie” esiste ancora oggi, ed è una delle acque più vendute, ma chi si volle differenziare cambiò il nome della marca in “La vite” (la veloce) ma anche in “La Vi”, “La Ve”, “La Vu” e persino “La violée” (la violentata)… In ogni caso, al “Little Hanoi” mangiamo dell’ottima carne di maiale con condimento di verdurine davvero fantastiche, anche se devo battagliare con ‘sti benedetti bastoncini cui non sono molto avvezzo e che mi fanno disperare ogni volta che devo prendere un boccone… Già che siamo in giro, ne approfittiamo per andare nella prima agenzia viaggi della Sinh Café che troviamo: sono tutte uguali, a gestione statale, e organizzano di tutto, tra cui anche quello che ci interessa: un’escursione di due giorni alla baia di Hạ Long con pernottamento in barca, che fissiamo per il 17 e 18 alla cifra di 982.000 đồng. Infine, cerchiamo di perfezionare l’operazione già tentata senza successo in aeroporto: prelevare dollari, per usarli soprattutto nei pagamenti di tour ed hotel. Visto che le macchinette dispensano solo đồng e solo per un massimo di 2 milioni, andiamo in Lê Thái Tổ, in una delle banche più importanti, l’australiana/neo zelandese ANZ, aperta 24 ore su 24. Tramite carta di credito (viene accettata solo la VISA) riesco a prelevare denaro, ma non quanto vorrei: apparentemente, non accettano più di $200, ma direi che per il momento ci basta. Siamo un po’ stanchi, e così si va a nanna presto: domani inizia la visita alla città e vogliamo essere in forma!

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Il traffico di Hà Nội Il Prince Hotel I

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14/9: HÀ NỘI

Hà Nội è una città di circa 4 milioni di abitanti, già capitale del Việt Nam del Nord dal 1954 al 1976 ed ora capitale del Việt Nam. Questa città ha conosciuto molti nomi diversi: Tống Bình, Long Đỗ, Đại La, Thăng Long, Đông Đô, Đông Quan, Đông Kinh, Bắc Thành ed infine, nel 1831, di nuovo Hà Nội (“all’interno del fiume”, in sinovietnamita). Dopo una colazione a base di pane, marmellata, burro, te e delle buonissime banane grandi la metà delle nostre, siamo pronti per la prima tappa del nostro giro: il Tempio della Letteratura (Đền Văn Miếu). Non è vicinissimo e ne approfittiamo per un giro in cyclo (xích lô, “camminare con le ruote” in vietnamita), per la modica cifra di 40.000 đồng: è veramente spettacolare entrare nel vivo del traffico, con questo ciclista che pedala contromano senza rispettare alcun cartello o precedenze! Nonostante il temuto pericolo, alla fine arriviamo a destinazione, anche se molto lentamente, e senza alcun urto con niente e con nessuno! Il Tempio della Letteratura venne fatto costruire nel 1070 dall’imperatore Lý Thánh Tổng (“Lý l’imperatore santo”), che lo dedicò a Confucio. Nel 1076 divenne la sede della prima Università del Việt Nam, il cui scopo era quello di istruire i figli dei mandarini. Nel 1484 l’imperatore Lê Thánh Tổng, della dinastia successiva, fece costruire delle stele sulle quali poi veniva inciso il nome, la città di nascita ed i risultati finali dei candidati che partecipavano al concorso di dottorato. Il vero tesoro del tempio sono proprio le stele, poggiate ciascuna su una tartaruga di pietra (simbolo della longevità). La tappa successiva ci vede al lago Hoàn Kiếm, un’oasi di tranquillità lontana da moto, auto e clacson, e circondato da un giardino pubblico all’interno del quale un sacco di vietnamiti di varia età ne approfitta per svolgere attività sportive: c’è chi fa stretching, chi fa jogging, chi fa aerobica; lo sport sembra proprio un’attività importante in questo paese! All’interno del lago, invece, su un isolotto, troviamo il Monte di Giada (Ngọc Sơn), un tempio collegato dal bel ponte Thê Húc (“sole nascente”), tutto rosso, del 1885. Costruito nel secolo XVIII, è dedicato a Văn Hương ed al generale Trần Hưng Đạo, quello che sconfisse i mongoli nel XIII secolo. All’interno si trova un busto di un Buddha seduto che ride. È il nostro primo tempio vietnamita, che trovo esageratamente kitch. Dopo un buon pranzo consumato all’Hoa Sữa, passiamo gran parte del pomeriggio girando per le 36 caratteristiche stradine del quartiere vecchio. Quasi ogni via è dedicata ad un mestiere in particolare, ed è

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bello andare in Hàng Bạc e vedere solo gioiellierie; in Hàng Thiếc e vedere solo negozietti di latta; in Hàng Chiểu invece, solo paglia, mentre in Lò Rèn esclusivamente fabbri! Ci soffermiamo ad osservare la gente sia mentre lavora, sia subito dopo, quando pulisce la propria “postazione” (generalmente, il marciapiede): nel caso della via dedicata alle vernici, ad esempio, il metodo è molto facile: si prendono i barattoli mezzi pieni e via, si svuota il tutto direttamente nei tombini; e che ci vuole? I fruttivendoli, invece, procedono in maniera più metodica: prima buttano tutti gli scarti per terra, poi li ammassano in tanti piccoli mucchietti che accostano lungo il marciapiede a distanza di due metri l’uno dall’altro; infine, verso sera, danno fuoco al tutto e lavano via la cenere, sempre, ovviamente, gettando il tutto nei soliti tombini. Breve pausa in hotel, e poi, alle 20, inizia uno dei più bei spettacoli che abbia mai visto: quello delle Marionette sull’acqua. Si tratta di marionette, governate dal basso, che si muovono su un palco pieno d’acqua e raccontano, in 17 atti, storie di vita comune, religiosa e storica del Việt Nam: “Danza dei draghi”, “Agricoltura”, “A caccia di rane”, “Danza della fenice”, “Bimbi che giocano in acqua”, “Lê Lợi e la leggenda della spada recuperata” sono alcuni dei titoli. Uno spettacolo assolutamente indimenticabile per la bravura dei marionettisti, per i numerosi effetti speciali, per la musica e per le storie in sé. Concludiamo la serata prima cenando all’ottimo La Brique, dove mangiamo un delizioso Cha Ca (filetti di pesce cotti alla brace con tagliolini, arachidi tostate ed insalata verde), e poi andando ad una delle gelaterie più famose e più buone di Hà Nội: la Fanny Ice Cream, non lontana dall’ ANZ. A nanna, adesso: domani si visita la città del grande Hồ!

Una sana colazione... ...pronti per un cyclo!

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Tempio della Letteratura Tempio della letteratura, interno

Tempio della letteratura, stele Il Tempio di Giada (Ngọc Sơn)

Tempio di Giada, ponte rosso

e lago Hoàn Kiếm Il quartiere vecchio

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Le marionette sull'acqua

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15/9: HÀ NỘI

La prima tappa della giornata è il monumentale mausoleo di Hồ Chí Minh, che chiude alle 11 del mattino e che dunque ci obbliga ad alzarci abbastanza presto. Alle 9, dopo un giro in cyclo, siamo già al cancello d’ingresso, pronti a depositare lo zaino, come ci viene richiesto per motivi di sicurezza e di rispetto nei confronti del grande rivoluzionario, uomo di Stato, Primo Ministro e Presidente del Việt Nam del Nord. Dopo dieci metri, troviamo un altro ingresso ed un altro controllo (!), questa volta ai raggi X, dove ci scambiano i cellulari con un numerino. Finalmente, siamo pronti a fare la lunga ma veloce coda che ci porterà all’interno del mausoleo. Inutile dire che la solennità, la rigidezza del protocollo ed il numero di militari impettiti dispiegati è immane. Nel silenzio più assoluto, in mezzo a vietnamiti provenienti da ogni parte del Paese, saliamo le scale che ci portano alla tomba di Bác Hồ (“zio Ho”, come viene chiamato da queste parti); all’improvviso, un militare abbaia qualcosa di terribile alla ragazza di fronte a me, e lei, timorosa, in un millesimo di secondo si strappa il cappello dalla testa! Poco dopo, all’entrata della tomba vera e propria, esito un secondo di troppo ed ecco che uno zelante militare mi spinge in avanti. Si respira un’aria surreale: mentre percorriamo il corridoio ad U, alla nostra sinistra, maestosa, una teca con il corpo imbalsamato di Hồ Chí Minh presenzia la silenziosissima stanza. Quattro soldati, armati, gli fanno la guardia. La visita dura sì e no un minuto, e poi subito si scende per delle altre scale, che danno sul retro del mausoleo. A questo punto, con il numerino recuperiamo i cellulari (ma non macchine fotografiche e videocamera, che rimangono all’entrata, nello zaino!) e possiamo proseguire con il giro, che ci conduce verso il cortile ed il parco, per visitare quella che fu la residenza di Hồ Chí Minh dal 1958 al 1969, l’anno della sua morte. Entriamo per un altro cancello, assieme ad un’orda di vietnamiti, e subito s’ode un suono prolungato di un fischietto. Per abitudine, ci giriamo, e vediamo, in lontananza, un signore che dalla biglietteria si sbraccia verso la nostra direzione. Ci sta richiamando all’ordine perché non abbiamo pagato i 5000 đồng del biglietto! Probabilmente siamo gli unici a versare questo piccolo contributo… e finalmente ci possiamo godere il posto meraviglioso in cui si ritirava Bác Hồ per meditare, leggere, studiare. All’interno troviamo anche la bellissima Pagoda con una sola colonna, fatta erigere dall’imperatore Lý Thai Tổng per ringraziare la dea della misericordia in seguito alla nascita di un erede maschio.

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Raggiunta l’uscita, ci rendiamo conto che possiamo ritornare a prendere gli zaini e rientrare alla residenza da un’altra parte, in tempo prima che chiuda. Quando, con armi e bagagli, ripassiamo davanti al mausoleo, che è già chiuso, i militari ci fanno ampi gesti di allontanarci! In realtà, basta camminare sul marciapiede opposto, quindi un po’ più lontani dallo zio Hồ, che nessuno ci dice più niente, e così riusciamo a rifarci il giro della residenza documentando il tutto. Abbandoniamo questo luogo così imperioso e suggestivo per compiere una lunga passeggiata in direzione del lago Hồ Tây e vedere così la pagoda Tran Quốc (“difesa nazionale”). Purtroppo arriviamo proprio all’ora di chiusura, e allora ne approfittiamo per andare a mangiare dell’ottimo pesce in una via là vicino, così come suggeritoci dalla Lonely Planet. Oh, cerca di qua, cerca di là, di questa via “piena zeppa di ristorantini di pesce” noi non vediamo neanche l’ombra! Prima chiediamo ad una studentessa, che ci dice di andare sempre dritti, ma dopo un po’ capiamo che sicuramente la strada non è quella; torniamo indietro e chiediamo ad un'altra persona, che sembra proprio non capire nulla di quello che gli chiediamo! Gli mostro il termine “pesce” scritto in vietnamita, gli faccio il gesto di mangiare, gli mostro la strada… ma lui prima si protende in sforzi gutturali come se avesse tutto il discorso sulla punta della lingua, poi vaga con il dito sulla cartina, poi ci guarda scuotendo il capo. Riesce solo a puntare il dito dalla parte opposta rispetto a quanto fatto dalla ragazza precedente e a dirci “yes”. Cerchiamo ancora un po’, poi si abbatte su di noi uno scroscio micidiale d’acqua che per fortuna dura solo pochi minuti; infine, stanchi ed affamati, rinunciamo (anche perché in zona non vediamo nulla che venda cibo, ma solo postazzi) e ritorniamo alla nostra pagoda, che è bellissima e che nel frattempo ha aperto. Si tratta di una delle più antiche pagode di tutto il Việt Nam; eretta attorno al 1630, la sua bellezza è data dai numerosi monumenti funebri dedicati ai monaci. Subito dopo, evitando le varie richieste di un giro in cyclo, peraltro discrete e mai insistenti come in Turchia, ci rechiamo al vicino tempio di Quan Than, eretto durante la dinastia dei Lý (XI-XIII sec), che però non ci dice molto (a parte i draghi estremamente kitch sui muri e sulle colonne). Finalmente, poco prima che chiuda (sono le 16), riusciamo a mangiare un boccone in un posto esteticamente carino, dal nome “Cyclo Bar & Restaurant”, con delle sedie a forma di cyclo modificati, ma dove il cibo non è invece nulla di spettacolare. Rapido passaggio in albergo, doccia, breve riposo e via, siamo di nuovo fuori per andare a cena al bellissimo Hà Nội Garden, in Phố

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Hang Manh, e terminare la serata con una passeggiata che ci porta a Phố Trang Tiến, dove si trova la gelateria più frequentata dagli abitanti di Hà Nội. Ci aspettiamo qualcosa di lussuoso, ed invece si tratta di un’enorme galleria al coperto, usata per l’80% come parcheggio di motociclette (arrivano sino ai tavolini!), alla fine della quale ci sono tre frigoriferi e tre vietnamiti che, indaffaratissimi, ti danno uno dei due tipi di gelato in vendita. L’unica cosa che capiamo dal “menu” è la parola “sô cô la”, classica derivazione dal francese “chocolat”; beh, nonostante la forma, la modalità di consegna e l’ambiente sembrino alquanto a rischio, il gelato è buono e non avremo di che lamentarci. Torniamo in albergo, in cyclo, contenti e pronti per andare ad Hạ Long.

Il mausoleo di Hồ Chí Minh Residenza di Hồ Chí Minh

Pagoda ad una sola colonna

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Pagoda di Tran Quốc Pagoda di Tran Quốc (interno)

Tempio di Quan Thanh

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16/9: HÀ NỘI – BAIA DI HẠ LONG

Alle 8, puntuale, il pullmino ci viene a prendere all’hotel. Siamo una quindicina di persone, provenienti da Italia (solo noi due!), Australia, Inghilterra e Francia. Usciamo dalla città passando a fianco del ponte Long Biên, che i việt cộng fecero costruire ai prigionieri di guerra americani per evitare che venisse sempre distrutto dai raid aerei, e vediamo così dall’alto il Fiume Rosso, che è rosso per davvero, ed anche molto affascinante! Verso le 11 arriviamo ad Hạ Long, da dove salpiamo; l’unico problema è raggiungere la barca, che si trova ormeggiata nelle retrovie e che ci obbliga a camminare in equilibrio sopra il parapetto della barca precedente: un errore e finisci secco in mare, con macchina fotografica e tutto! Comunque, tutto fila liscio, e partiamo alla volta di Cát Bà, l’isola che si trova nel golfo di Tonchino (il cui nome deriva da Đông Kinh, “capitale dell’est”, uno degli antichi nomi della città di Hà Nội). Il mare è stupendamente verde, e tutt’intorno a noi si levano piccole montagnole di calcare (che è giustappunto la traduzione della parola Cát Bà) che una leggenda vuole create dalla coda di un drago un po’ pasticcione che, ad ogni movimento, distruggeva i monti e che, tuffandosi in mare, spostò così tanta acqua da creare l’odierno golfo. Un bellissimo bagno in mare, molte chiacchiere e dell’ottimo pesce a tavola, compreso un favoloso tofu (latte di soia coagulato), rendono la giornata indimenticabile. Abbiamo anche il tempo per andare a visitare la grotta Hang Sửng Sốt, con stalattiti e stalagmiti assolutamente insignificanti, ma dalla cui uscita, in alto rispetto al mare, si gode di un panorama assolutamente fantastico! La sera cala presto, e ci ancoriamo mentre la luna splende alta nel cielo stellato e insolitamente luminoso: un’atmosfera perfetta per una delle nostre prime notti da marito e moglie.

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La baia di Hạ Long La nostra barca

Baia di Hạ Long vista dalle grotte di Hang Sửng Sốt

Tramoto sulla baia di Hạ Long Notte al chiaro di luna

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17/9: CÁT BÀ – HÀ NỘI

Alle prime luci dell’alba ripartiamo alla volta di Cát Bà, ed una volta giunti a destinazione, gli occupanti della barca, che hanno optato per la gita di tre giorni, scendono per andare a visitare l’isola. Noi invece attendiamo che s’imbarchino due scozzesi (simpatici, stanno girando Tailandia, Cambogia e Việt Nam da circa tre mesi) e ripartiamo alla volta di Hạ Long, rigodendoci il panorama che cambia forma e colore ad ogni ora. Saremo di ritorno ad Hà Nội per le ore 17. Tornati in albergo, dopo una sana doccia ci buttiamo all’avventura affrontando il nostro primo massaggio; l’ispirazione ci giunge da un volantino che reclamizza un posto, “Hồng Mẫu Dơn”, peraltro già adocchiato da noi qualche giorno prima, che si trova nella parte a nord del lago Hoàn Kiếm, vicino ad un supermercato. Entriamo al quarto piano di un condominio, dove ci attendono due persone: una ragazza per me, di nome Trang, ed un ragazzo per la Jenny. Subito ci fanno mettere i piedi nudi in una specie di vasca ad idromassaggio; poi, parte uno stupendo massaggio basato su digitopressione di punti particolari di schiena e piedi, su mini colpi assestati a pugno morbido e semiaperto, e su veri e propri massaggi su gambe, cosce, schiena, cuoio capelluto. Dopo un’ora e $7 di parcella ci sentiamo davvero tonificati e pronti per affrontare la serata! Un’ultima passeggiata per questa favolosa città è davvero necessaria, e, per concludere in bellezza, decidiamo di andare in un ristorante a sud del lago, dal nome “Quân Cơm Phở” (letteralmente, “Riso Zuppa da Quân”, anche se i due cibi messi assieme significano più propriamente “Ristorante”), molto bello, disposto su due piani. Resta un ultimo desiderio: stando alla Lonely Planet, all’alba moltissimi vietnamiti fanno ginnastica al parco prima di andare al lavoro, e ci piacerebbe essere testimoni di questo spettacolo; decidiamo quindi di puntare la sveglia per le 5 in modo da scappare al lago, vedere cosa succede, e poi ritornarcene a dormire. Sarà l’ultima cosa che faremo prima di partire per Huế.

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Arrivo a Cát Bà

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18/9: HÀ NỘI – HUẾ

Alle 5, puntuale, la sveglia suona, ma ci rendiamo purtroppo conto che sta letteralmente diluviando! A malincuore, rinunciamo all’idea di inzupparci con il rischio di non vedere nessuno, e ce ne torniamo a letto. Qualche ora più tardi, sempre sotto il diluvio, per $6 ci attende un taxi che ci porterà all’aeroporto. Suona durante il tragitto, si ferma a far benzina, imbocca strade che solo lui conosce (non c’è neppure un cartello stradale lungo tutto il percorso!), ed alla fine arriviamo a destinazione con un pelo di anticipo. Cerchiamo il nostro volo e, sorpresa sorpresa, non lo troviamo! Al banco del check-in c’è un foglio, e solo allora scopriamo che la Vietnam Airlines ha deciso, guarda caso proprio oggi, di riorganizzare il proprio orario voli; pertanto, noi non partiremo più alle 12.40 come previsto, ma alle 15.10. Ci viene dato un buono (per una bibita!) ed inizia una lunga attesa. Verso le 15 un altro annuncio, questa volta per un ritardo: il nostro aereo, che proviene da un’altra città, arriverà tra mezz’ora circa, e quindi la nuova partenza è per le 15.45. Finalmente, incredibile!, ci imbarchiamo, ma dopo una decina di minuti il comandante ci informa che ci sono dei “problemi tecnici” a bordo; ci chiede di scendere e tornare alla nostra amata sala d’attesa. Riusciremo a salire (sullo stesso aereo di prima!) solamente attorno alle 17, per toccare suolo alle 18, 600 chilometri dopo. La giornata è persa, e con essa anche una parte dei nostri piani. Con un taxi raggiungiamo l’hotel Bỉnh Dương III, che, scopro, ha cambiato indirizzo e-mail, vanificando quindi il mio tentativo di prenotazione da Milano. Il posto è assolutamente fantastico, dato che per $18 possiamo usufruire di una doppia con bagno incluso, balcone, computer in stanza con connessione gratuita ad internet via cavo, e colazione inclusa servita direttamente in camera! Cerchiamo di sfruttare quel che resta del giorno per organizzare il tour delle tombe reali lungo il Fiume dei Profumi; cercando le agenzie di viaggi citate dalla Lonely Planet finiamo in vie buissime dove, all’improvviso, un frastuono immane ci lascia di stucco: siamo finiti nel bel mezzo della “festa di metà autunno” (Trung Thu), e le strade sono animate da un numero indecifrabile di ragazzini vestiti con i costumi tradizionali, che ballano, battono tamburi, suonano fischietti, gridano, camminano sui trampoli… insomma, fanno un baccano infernale. Veniamo persino intervistati da due studentesse universitarie che,

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emozionatissime, ci fanno un sacco di domande ma poi non capiscono quasi mai le nostre risposte, e che più che altro muoiono dalla voglia di sapere da quale parte del mondo veniamo. Finalmente, troviamo due agenzie che però non ci soddisfano né come programmi, che sono troppo lunghi, né come qualità, e decidiamo di affidarci direttamente al nostro hotel: il nostro amico alla reception ci sembra davvero sveglio ed in gamba! Infatti, pronti via ci organizza per $12 un tour privato alle tombe: in questo modo potremo vedere quello che vogliamo, e rientrare in tempo per visitare la cittadella prima che chiuda (qui in Việt Nam chiude tutto sempre così presto!). Gli chiediamo inoltre di comprare i biglietti del treno Huế - Đà Nẵng delle 7.50: andare in stazione e cercare di comprarseli da soli è un’impresa impossibile se non parli un fluente vietnamita! Sempre su suo consiglio, andiamo a cenare poco lontano, al Xuan Trang, che è a tutti gli effetti un garage! Si mangia però del pesce divino, e, a ben guardare, il garage non è poi neppure così tanto brutto! Si tratta in pratica di una casa-ristorante perché in fondo, finiti i tavoli degli avventori, iniziano i tavoli privati, dove c’è una signora, che presumiamo sia la nonna, che pulisce la verdura; un bimbo fa i compiti con il suo dizionario di inglese sul tavolino; un altro invece guarda la TV. È un posticino molto intimo e familiare; bisogna solo riuscire a resistere al costante ed odioso suono di chi, regolarmente, tira su col naso tutto il catarro per poi sputarlo poco più in là: devo appellarmi a tutte le mie forze per non vomitare il cibo che sto mangiando… Ad un certo punto un fragore assordante ci penetra nelle orecchie: uno dei mille gruppetti di bambini, con il suo armamentario ambulante, entra addirittura nel ristorantino e vediamo questo drago tutto rosso e giallo, della lunghezza di due persone, danzare e correre tra un tavolo e un altro senza sosta per una decina di minuti. Dopo aver tirato giù qualche posata e qualche bicchiere, la nonna li manda via, e questi ripartono spostandosi di casa in casa, di ristorante in ristorante, di via in via per tutta la notte. Noi li abbandoniamo, dato che l’indomani ci sveglieremo alle 6.30 del mattino: il fragore, quello no, non ci abbandonerà neppure in stanza!

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19/9: HUẾ

La colazione arriva buonissima e puntuale in stanza, ed alle 6.50, dieci minuti prima del pattuito, siamo alla reception ad attendere l’inizio del tour. Si fanno le 7, si fanno le 7.20, e non arriva nessuno… compariranno due ragazze in motocicletta solo alle 7.45, dopo aver ricevuto dall’hotel almeno una decina di telefonate di sollecito. Partiamo abbastanza a manetta, due su una moto e due su un’altra, e non so bene dove mettere le mani per non cascare: se abbraccio la ragazza, chissà cosa pensa (e cosa pensa la Jenny!); se non abbraccio nessuno, volo via al primo incrocio preso contromano e col rosso; alla fine, metto le mani sulle spalle e ci buttiamo alla sperindio. Arrivati al fiume, il barcaiolo ha già in mente tutto un suo piano, che prontamente smontiamo dicendogli esattamente quali tombe andare a vedere. Partiamo, finalmente, e anche se il Fiume dei Profumi (“Hương Giang”) non profuma molto, è di un rosso bordeaux impressionante. La prima fermata è la pagoda di Thiên Mụ, che si affaccia al fiume e che quindi raggiungiamo scendendo direttamente dalla barca. Questa pagoda è considerata il simbolo di Huế, con la sua torre ottagonale eretta nel 1844 ed alta 21 metri; la pagoda stessa, invece, è del 1601 e fu fatta erigere durante la dinastia degli Nguyễn in seguito all’apparizione della fata Thiên Mụ. Qui troviamo un Buddha che ride, e soprattutto la foto e l’auto del monaco buddista Thích Quảng Ðức, che era di queste parti e che si bruciò vivo, a Sài Gòn, per protestare contro la politica fortemente antibuddista dell’allora presidente Diệm. Risaliamo in barca, con destinazione le tombe di alcuni dei più importanti imperatori della dinastia Nguyễn. La prima meta è Tự Đức, e dopo l’attracco una breve salitina ci porta ad uno spiazzo dove sono parcheggiati vari mototaxi (“xe om” o “motorbike”, che i vietnamiti pronunciano “motobai”): la tomba infatti non è ubicata in prossimità del fiume, anzi. I motociclisti però ci dicono che andremo a vedere due tombe, la prima delle quali è Khải Đinh. Accettiamo perché comunque è una delle quattro che vogliamo vedere, ma la cifra che ci chiedono è esorbitante: 120.000 đồng contro i 20.000 che consiglia la Lonely Planet. Parte una lunghissima contrattazione che non porta però molto lontano: ci accordiamo infatti per $3 a testa (cioè circa 100.000 đồng). La strada sembra non finire mai, il tragitto durerà 20 minuti, tanto che inizio a pensare che ci stiano portando chissà dove. Alla fine, però,

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arriviamo proprio a Khải Đinh, paghiamo i 55.000 đồng per l’entrata e rimaniamo esterrefatti per la bellezza di questa eccezionale tomba! Khải Đinh, uomo assolutamente chiuso, conservatore al massimo, regnò dal 1916 al 1925, e volle per sé una tomba assolutamente sfarzosa (la costruzione durò 11 anni!) e lontana dalle tradizioni secolari: tutto ha una forte impronta occidentale, ed anche le sculture che ritraggono mandarini o vietnamiti sono comunque molto meno orientali di tante altre. Assolutamente da non perdere è il cortile centrale, al secondo piano, dove sono schierate statue di elefanti, cavalli, mandarini civili e militari con dei dettagli straordinari. Anche la tomba vera e propria, al terzo ed ultimo piano, raggiungibile con una lunga scalinata, è incredibilmente decorata con frammenti di porcellana e vetro che non capisci se ti stupiscono per la loro coloratissima bellezza o per la loro cacocromia inserita in un contesto assolutamente kitch. Altro giro di moto e siamo a Tự Đức. Questa tomba si trova in un bosco di frangipani, e funse da residenza dell’imperatore dal 1848 al 1883. Egli aveva qui la sua riserva privata di caccia, le sue innumerevoli mogli (104, e neppure un figlio!), il suo padiglione per cantare e recitare, il suo teatro, un tempio (bellissimo) dedicato alla povera mamma morta, la sua bella stele (la più grande del Việt Nam!), la tomba di una delle sue moglii più amate e di suo figlio adottivo. La tomba di Tự Đức, però, non ospita il corpo dell’imperatore, che venne segretamente sepolto altrove da 150 fedeli soldati che, per sicurezza, vennero tutti sgozzati al termine dell’operazione. Tự Đức (1829-1883) era un personaggio assai conservatore: si oppose alla presenza di qualunque straniero in Việt Nam, e soprattutto alla presenza dei cristiani, che considerava seguaci di una “dottrina perversa”. In seguito a questa fortissima chiusura religiosa, la Francia ebbe un pretesto per invadere il Việt Nam. Qualcuno si chiederà perché ho scritto che siamo andati a vedere le tombe della dinastia Nguyễn, se poi nessuno porta questo nome. In realtà, gli imperatori usavano degli pseudonimi che, teoricamente, avrebbero dovuto meglio rappresentarli. Tự Đức, ad esempio, vuol dire “eredità di virtù” ed il vero nome dell’imperatore è Nguyễn Phúc Thì. Il tempio a lui dedicato si chiama Dực Tổng e la tomba, invece, Khiêm Lăng (“modesto”, perché cercò, in quella enorme stele, di spiegare al popolo gli errori che aveva fatto e che riconobbe poco prima della morte). Come vedete, mille nomi per identificare sempre lo stesso personaggio! Tornati alla barca, ci prendiamo le due lattine di coca-cola che il timoniere sta cercando di venderci sin dall’inizio del viaggio, e gli

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chiediamo di proseguire per Minh Mạng, la tomba più bella. A questo punto, la reazione dell’uomo è strana: dice che la tomba è troppo lontana, che ci vuole almeno un’ora per andare, e che lui è intenzionato a riportarci a Huế. Ovviamente, noi non siamo d’accordo ed insistiamo, ma vuoi che lui è cocciuto, vuoi che non capisce bene l’inglese, prima chiama a sé una donna spuntata fuori da un’altra barca, e poi ci insegue perché nel frattempo gli abbiamo comunicato che noi, sia a Minh Mạng che a Huế, ci andremo in moto, e stiamo già sbarcando. Raggiungiamo lo spiazzo di prima ed inizio a cercare il mio motociclista, ma mi sembrano tutti uguali! Li saluto tutti, mi avvicino a tutti, trattenuto dalla Jenny che ride perché, invece, lei sì si rende conto che mi sto sbagliando ogni volta! Si forma un capannello di motociclisti, tutti pronti a dirmi che sono amici di quelli di prima, e chiediamo ai due più zelanti quanto vogliono per un viaggione del genere, lungo più del doppio di quello precedente. Con sorpresa, ci chiedono solo $4, uno in più di prima, e quindi accettiamo subito. Questi però non partono perché i nostri “inseguitori” sono molto preoccupati della cosa, ed evidentemente ciò preoccupa il business futuro dei motociclisti: se noi non paghiamo la barca, la barca perderà il lavoro, e con essa anche i motociclisti… Questi vietnamiti sembrano vivere una sorta di mondo fatto a domino, dove la prima mattonella decide la sorte di tutta una lunghissima catena. In ogni caso, la Jenny promette alla signora che la pagherà, io prometto un dollaro extra al nostro amico se parte immanintenti (gli accendo io la moto!) e finalmente si va, tra parentesi lungo la stessa strada che ci aveva già portato a Khải Đinh e che è costeggiata dal fiume dei Profumi: capiamo così che il barcaiolo poteva portarci in barca anche a Khải Đinh e che avremmo speso molto meno denaro, da là, a raggiungere la tomba im moto… Tanta fatica, comunque, valeva la pena, perché questa tomba è davvero maestosa e spettacolare. È bello camminare su ponticelli di pietra che sovrastano un laghetto a forma di semiluna, o guardare il rilassante “Lago della chiarezza perfetta”. Dopo tempietti e pagodine intermedie, una lunga scalinata porta alla tomba di Minh Mạng che… non è altro che un mucchio di terra nascosto da una porta di ferro socchiusa e bloccata da un catenaccio arrugginito! Minh Mạng (1791-1841) era un forte seguace della conservatrice politica confuciana, e per questo motivo sotto di lui il Việt Nam non conobbe alcun tipo di innovazioni. La forte ostilità alla religione cristiana fu il la che diede inizio alla colonizzazione francese in Việt Nam.

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Il colpo di scena del tragitto in moto si rivela utile per il pomeriggio, dato che in questo modo ci facciamo portare direttamente alla cittadella, recuperando un po’ del tempo perduto alla mattina. Abbiamo una fame pazzesca e purtroppo non c’è nessun ristorantino da quelle parti; ne approfittiamo per comprarci, alla modica cifra di 20.000 đồng (2000 lire, un euro), un buonissimo bưởi, molto simile ad un pompelmone gigante, che ci disseta e ci sazia allo stesso tempo. La cittadella (Kinh Thánh) venne costruita a partire dal 1804 da Gia Long, due anni dopo la proclamazione di Huế come nuova capitale, e venne recintata da mura alte 6 metri ed estese per 2,5 km; all’interno, vi erano diversi edifici, tra cui la Città Imperiale (Đại Nội), dove l’imperatore svolgeva tutte le funzioni ufficiali. Poi c’erano le sale dei mandarini, il palazzo dedicato ai ricevimenti ufficiali, e soprattutto la città purpurea proibita (Tử cấm thành), ossia la residenza privata dell’imperatore, che purtroppo oggi è un prato verde con qualche raro mattone, visto che venne distrutta dai raid aerei americani durante l’offensiva del Tết del 1968. La città imperiale segna anche un altro importante passaggio storico: la fine della dinastia degli Nguyễn, quando l’ultimo imperatore, Bảo Đại, abdica nel 1945 in favore di Hồ Chí Minh. Visto che restiamo solamente un giorno in questa meravigliosa città, decidiamo di farci una cena super in un ristorante di lusso, il Tịnh Gia Viên in Lê Thánh Tổn, spendendo la bellezza di $12 a testa. Le portate sono tutte a base di ottimo pesce, le verdure sono deliziose ed il tutto è servito coreograficamente: ananas, peperoncini e verdure compongono gli animali sacri del Việt Nam, quali la fenice, la tartaruga, il drago. Assolutamente da non perdere! La serata è finita e siamo quasi pronti per la nostra tappa successiva, quella più ricca di insidie: vogliamo andare a vedere i resti Cham di Mỹ Sơn, ma abbiamo pochissimo tempo a disposizione e non possiamo prendere i classici tour organizzati della Sinh Café o simili. Approfittiamo allora ancora una volta della gentilezza del nostro albergatore per chiedere di telefonare all’Hải Yến, il nostro hotel ad Hội An dove avevo già prenotato una stanza via mail, affinché il taxi che ci verrà a prendere ci porti anche a Mỹ Sơn. Dopo una decina di minuti di conversazione in vietnamita, il nostro ci dice che è tutto a posto: arrivati alla stazione di Đà Nẵng, un autista ci porterà prima a Mỹ Sơn, e poi all’albergo. Possiamo finalmente andare a dormire, pregustandoci uno dei panorami più belli del Việt Nam che vedremo dal treno: la tratta Huế-Đà Nẵng.

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Il fiume dei Profumi Pagoda di Thiên Mụ

L'entrata alla tomba di Khải Đinh Tomba di Khải Đinh: statuette

La tomba di Khải Đinh Il mio motociclista!

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Tomba di Tự Đức: zona poesie Tự Đức: tomba della mamma

Ingresso alla finta tomba di Tự Đức

I laghetti nella tomba di Minh

Mạng Altro laghetto e tomba di Minh

Mạng

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La cittadella: città purpurea

proibita Città Imperiale (Đại Nội): una

pagoda

Città Imperiale (Đại Nội): un'altra pagoda

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20/9: HUẾ – ĐÀ NẴNG – MÝ SƠN – HỘI AN

Arriviamo alla stazione, in taxi, circa mezz’ora prima della partenza, prevista per le 7.58. Alle 8, una voce annuncia qualcosa in vietnamita, mandando in bestia varie persone. Non ci vuole molto a capire che, ma dai?!, il treno, che viene da Hà Nội ed è diretto a Sài Gòn (41 ore di viaggio), è in ritardo di circa un’ora. Trovo conferma da un tipo che non capisce la mia domanda, ma che per tutta risposta prende una penna e scrive sul palmo della mia mano il nuovo orario! Alle 8.50 viene annunciato un ulteriore ritardo, ed infine partiremo alle 09.20. Non avendo trovato due posti vicini, io finisco in una carrozza, con vista sui monti, e Jenny in un’altra, con vista sul mare. Il viaggio di circa 3 ore è piacevole, ed il panorama è molto bello anche se dal mio posto vedo poco; il treno è zeppo di persone che chiacchierano tranquille, ma con cui non riesco a scambiare nemmeno una parola, perché nessuno conosce l’inglese. Ad un certo punto ci viene persino servito il pranzo! Quando tolgo la stagnola dai piatti, però, rinuncio alla tenzone facendo felice un signore che, così, ha la possibilità di mangiare il doppio. Contento lui… Alla stazione di Đà Nẵng ci sta aspettando il taxi, e qui c’è un colpo di scena: l’autista ci dice che ci porterà prima all’hotel, poi a Mỹ Sơn, poi di nuovo all’hotel. Sembra, insomma, che di tutto il discorso fatto ieri per telefono non sia rimasto poi molto… A seguito delle nostre rimostranze, mi passano qualcuno al cellulare (l’hotel? Mah… si capisce ben poco), cerco di spiegare quello che vogliamo fare, ma niente, niente! È come parlare con un muro. Prima parlo io, poi lei, poi l’autista… passeranno venti minuti, senza che succeda nulla di concreto. Alla fine, un po’ alterato perché stiamo buttando via un sacco di tempo che non abbiamo, cediamo. Prima andiamo a Hội An, all’hotel Hải Yến (che significa “salangana”), a sorpresa meraviglioso per i suoi $18 a notte, con due piscine, dove veniamo pure accolti in maniera stupenda, e poi ripartiamo alla volta di Mỹ Sơn. L’autista corre come un matto, e riusciamo ad arrivare al sito giusti giusti per una visita decente: almeno due ore. È bella già l’entrata al sito stesso, perché prima ti fai un po’ di strada a piedi, poi trovi una guardia che ti indica dove prendere il mezzo che ti porterà all’entrata (“Dé gì i o dè”, dice con la classica pronuncia anglovietnamita, ossia: “The je[ep] i[s] o[ver] the[re]”). La jeep è quella americana, o forse russa, non sappiamo: ha sia delle scritte in inglese, sia in cirillico; fatto sta che è proprio una di quelle usate nella

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guerra in Việt Nam! Tenendoci dove possiamo, senza porte, senza niente, partiamo sparati per 2km, sino ad arrivare all’ingresso. Da là in poi, si prosegue nuovamente a piedi. Mỹ Sơn è uno dei baluardi della cultura cham, ovvero del regno del Champa, che fiorì tra il II ed il XV secolo al centro del Việt Nam. I cham ebbero notevoli scambi commerciali con l’Indonesia e soprattutto con l’India, tant’è che la loro lingua era il sanscrito, così come le scritte trovate sui loro monumenti, e la loro religione l’induismo. La vita dei Cham non fu facile, in quanto, non avendo molte terre da coltivare all’interno del Paese, più che altro di dilettavano di pirateria, finendo sempre in guerra ora con i khmer, ora con i Vietnamiti. Nel 1472, Lê Thánh Tổng invase il loro regno, catturò la capitale, Indrapura, e massacrò tutti. Il sito è meraviglioso, anche se purtroppo non è rimasto molto: durante l’offensiva del Tết, nel 1968, gli americani bombardarono proprio Mỹ Sơn, trucidando moltissime donne e bambini che si erano rifugiati qui per scappare dai massacri avvenuti in paese; le bombe spazzarono via, in questo modo, sia vite umane, sia ciò che restava dell’antica cultura dei Cham. I gruppi denominati A ed A’ testimoniano bene il disastro compiuto dalle bombe, mentre per fortuna si può ancora vedere qualche bellissimo esempio nei gruppi B, C e D. Gli archeologi italiani, con l’aiuto del Politecnico di Milano, stanno ancora scavando il terreno alla ricerca di nuovi reperti, stanno ristrutturando costruzioni pericolanti e non visitabili, come il sito G, cercando di non perdere definitivamente altri siti che al momento, per mancanza di fondi, stanno in piedi per miracolo. Non perdetevi Mỹ Sơn, patrimonio UNESCO! Torniamo all’hotel in mezzo ad una strage di studenti in bici, che non si spostano nemmeno se li paghi oro, e ci rilassiamo con un bel tuffo in piscina. Questa sì che è vita! La sera, andiamo a mangiare all’ottimo Miss Lý in Nguyễn Huế; poi, un po’ di shopping: per 90.000 đồng, un cd di musica tradizionale Vietnamita ed uno di musica pop (con tanto di VCD con quattro video), e per ben 30.000 đồng un dizionario vietnamita-inglese (ossia, un “Từ điển Việt-Anh”), in modo da poter cercare di tradurre le parole che leggiamo sulle insegne; infine, altra nuotatina e via, a nanna: anche domani ci sveglieremo presto, per andare a vedere la città prima di dirigerci all’aeroporto, questa volta con destinazione mare, vacanza e dolce far niente in quel di Nha Trang.

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Mỹ Sơn: gruppo B,C,D Mỹ Sơn: particolare

Mỹ Sơn: gruppo A ed A'

La piscina dell'hotel Hải Yến Il mercatino di Hội An

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21/9: HỘI AN - ĐÀ NẴNG – NHA TRANG

Alle 6.30 (ma non eravamo in vacanza? Di miele? Groan…!) ci alziamo, con la forza però di chi sa che la sera stessa inizierà una settimana di relax, per andare a visitare la cittadina forse più incantevole di tutto il Việt Nam. Dopo esserci comprati $5 di biglietto d’entrata, il percorso pedonale, finalmente senza traffico né clacson di automobili, moto, bici o qualunque altra cosa non animale si muova, iniziamo la visita alle pagode ed alle case più significative. Una di queste è la casa di Tấn Ký, costruita all’inizio del XIX sec. e di origine cinese e, dopo cinque generazioni, abitata ancor oggi, seppur da vietnamiti. Una ragazza ci spiega origini e storia della casa, mentre sorseggiamo un amarissimo te locale. È molto interessante vedere come tradizioni cinesi, giapponesi e vietnamite si siano intrecciate nel corso dei secoli! Il giro per le viuzze dell’incantevole cittadina di 75.000 abitanti ci porta a vedere, tra le altre cose, la sala delle riunioni della congregazione cinese dei Fuji, molto interessante, e delle belle case lungo la via Tran Phủ; da non perdere, poi, il bellissimo ponte giapponese coperto (Chùa Cấu): costruito per collegare il loro quartiere a quello cinese, ospita nei due accessi due scimmie e due cani, che testimoniano forse l’anno di inizio e di termine dei lavori di costruzione. Si fanno le 10, ed oramai dobbiamo andare all’aeroporto. Ma va bene così: siamo stanchi e comunque abbiamo visto moltissime cose. Inoltre, non vediamo l’ora di vedere com’è l’Ana Mandara! Passiamo per un mercato all’aperto lungo il fiume Thu Bon, e noto, ad un certo punto, una signora che vende dei polli vivi, che però mi sembrano in gran forma, tenuti nella loro gabbietta, un po’ come succedeva ai tempi di Don Abbondio! Direi proprio che dell’aviaria non c’è neppure l’ombra. Tornati all’hotel, dopo una mezz’ora troviamo ad aspettarci addirittura una corriera, solo per noi, con destinazione Đà Nẵng, l’aeroporto più vicino. Per una volta, tutto sembra andare liscio perché l’aereo (questa volta abbiamo fatto chiamare per non avere cattive sorprese!) c’è e parte anche in orario. Diciamo che però non si tratta dell’ultimo ritrovato della tecnica, visto che ci imbarchiamo in un vetusto ATR-72, che romba come un matto nelle nostre orecchie (anche perché ci sediamo proprio di fianco alle eliche). In ogni caso, la vista è magnifica perché il velivolo rimane sufficientemente basso in quota da permettere di distinguere chiaramente paesi, strade, fiumi.

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Poco prima di arrivare a Nha Trang ci infiliamo in una serie infinita di nuvole che ci fa ballare non poco e che ci toglie il piacere della vista. Manca poco all’atterraggio, per fortuna… ma, a proposito, quando atterriamo? Un’occhiata all’orologio ci fa capire che avremmo già dovuto toccare terra dieci minuti fa! E invece niente, si va, e si va, e si va, sempre tra le nuvole, sempre ballando. Ogni tanto si intravede una parte di costa, che forse è sempre quella, o forse no. Passano venti, trenta, cinquanta minuti. Nessuno dice nulla, e noi sempre là, tra le nubi, come a bordo di un enorme moscone ronzante che non sa dove andare. La gente si guarda, le ragazze prendono per mano i ragazzi, più di qualcuno (me compreso) inizia seriamente a pensare alla possibilità di un ammaraggio, visto che a furia di girare come dei matti la benzina, a un certo punto, finirà pure! Dopo un’ora e mezza di ammutolita attesa, ci sembra di puntare verso il basso; è così, la pista si avvicina, finalmente tocchiamo terra! Dalle retrovie parte un lungo applauso liberatorio, e anccora niente, nessuna spiegazione da parte del pilota. Si vede che per loro è tutto normale! A terra, nel minuscolo aeroporto di una pista soltanto, vediamo un cielo assolutamente nero. Per $7 ci prendiamo il nostro taxi e litighiamo perché la ragazza che distribuisce i voucher non accetta i miei $5 non intonsi, e ne chiede altri, “nuovi”, che non ho. Insistiamo con le buone, ma si impuntano di brutto: niente dollari freschi di banca, niente taxi. Alla fine perdo le staffe, le diamo un po’ di đồng e comunque una banconota da $5 (anche perché non abbiamo altro), ed alla fine le convinciamo. Ma che fatica, anche per pagare! Stando alla Lonely Planet, l’aeroporto si trova in città, e da lì si può raggiungere a piedi la maggior parte degli hotel. Mi sa che qualcosa è cambiato dal 2003, perché ora ci vogliono circa 50’ per arrivare a Nha Trang da Cam Ranh, ed il nostro autista, correndo come un pazzo e strombettando sotto una leggera pioggia, tra una canticchiata e l’altra ci porta sani e salvi a destinazione. L’arrivo all’Ana Mandara è assolutamente fenomenale: ci sembra di essere finiti, all’improvviso, in un altro mondo! Una signora, che sarà la nostra assistente personale, di nome Phan Nguyễn Anh Thư, ci accoglie offrendoci una bella bibita rinfrescante, e poi ci mostra la nostra “Garden View Villa”, una villetta di 29mq dotata di ogni confort. Appena entrati, notiamo sul tavolino un “welcome buffet” che consiste di due manghi, papaya, e frutto del drago. Deliziosi! Il frigo contiene di tutto, e c’è anche un bollitore per il te, con tante bustine dai gusti tutti diversi; sulla scrivania, un foglietto di carta ci spiega che possiamo scegliere, gratuitamente, tra dieci cuscini diversi (ad aria, ad acqua, tondi, quadrati, a cilindro, per la schiena, per le

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gambe, per il collo…) in modo da dormire meglio; per non parlare del fatto che si può cambiare persino il materasso con uno più consono alle proprie esigenze! Inoltre, ogni giorno si può scegliere l’essenza preferita (sandalo, gelsomino, …) per avere le lenzuola profumate e migliorare la respirazione, oppure rilassarsi, oppure ancora concentrarsi meglio. Sopra il letto abbiamo una zanzariera che viene sistemata ogni sera alle 18, e tolta ogni mattina alle 10; poi, naturalmente, TV, cassaforte, aria condizionata, bagno enorme con un bellissimo sacchetto, dal nome “amenity bag”, che contiene limette, forbicine, cuffia, tappi per le orecchie… insomma, di tutto e di più. A questo punto perlustriamo la zona, che è assolutamente vasta. Tutte le villette si trovano immerse nella natura, e circondate da piante ed alberi di vario tipo, che riparano dal sole e rinfrescano l’ambiente. Ci sono due ristoranti, due piscine bellissime, una spiaggia protetta dalle guardie, la zona dedicata ai massaggi, quella per l’internet, e persino quella per le bici, e che bici! Mountain bike nuove di zecca fully suspended e per di più gratuite… insomma, un vero e proprio villaggio, cui non siamo assolutamente abituati, che ci lascia di stucco per la bellezza. Per $25, uno stupendo buffet a base di pesce diventa la nostra cena lussuosa: mangiamo come dei maiali delle delizie strepitose, proprio in riva al mare, coccolati da una splendida luna e dal tenue sciabordio del mare… Non potremmo chiedere di meglio per concludere una giornata decisamente intensa.

Hội An: Pagoda della congregazione Fuji

Hội An: ponte giapponese

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Hội An: tipica casa Nha Trang: la nostra villetta

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22-27/9: NHA TRANG

In questi cinque giorni di assoluto relax ci godiamo l’hotel, ma ne approfittiamo anche per girare un po’ per la (brutta) cittadina. L’Ana Mandara è bellissimo, ma allontana molto, forse troppo da quello che è la vita Vietnamita, e dunque ci sembra giusto non chiuderci nel guscio del resort e continuare la nostra esplorazione (anche per non subire uno shock da contraccolpo una volta che atterreremo a Sài Gòn!). La sera, dunque, andiamo a mangiare in quello che si potrebbe chiamare “centro”, anche se il centro vero e proprio non esiste. Una volta siamo al Lạc Cảnh, molto (ma molto) popolare e davvero tipico vietnamita: ti siedi al tavolo (un tavolo piccino piccino picciò), un puntino in mezzo alla folla, e sopra la tua testa vedi un ventilatore collegato ad un tubo dell’acqua, che viene in questo modo vaporizzata e spruzzata sulla gente. Il cibo è spettacolare e mi faccio portare una grigliata mista con tanto di brace ardente, visto che sarò io a cuncinare! Mi faccio aiutare dalla Jenny perché girare il pesce solo usando i bastoncini è un’impresa che non mi riesce facilissima… si corre il rischio di carbonizzare i bastoncini ed anche il proprio polso! In un’altra occasione, andiamo al Dừa Xanh, in Nguyễn Bỉnh Khiêm: anche qui l’apparenza inganna parecchio, ma poi il cibo si rivela sempre eccezionale, soprattutto il dolce finale! Anche i pomeriggi non sono tutti uguali: il 24 ne approfittiamo per prendere due biciclette, tuffarci nel traffico cittadino ed attraversare anche noi gli incroci senza rispettare semafori e precedenze, schivando e facendoci schivare (divertente!), per arrivare alla nostra destinazione: le torri Cham di Ponagar. Questo complesso una volta occupava una superficie di 500mq, ma in seguito ad un attacco giavanese, gran parte delle costruzioni vennero distrutte. Ora si possono ammirare la Torre Nord, molto ben conservata, ed altre tre torri, di cui è rimasto poco. Esistono ancora seguaci cham, per cui questo è considerato un luogo religioso; difatti, troviamo chi prega seguendo strani riti, quali inchini e simil-benedizioni con candele accese. Al ritorno passiamo per l’insignificante promontorio di Hòn Chong, citato abbastanza inutilmente dalla Lonely Planet, e là ci coglie un acquazzone incredibile! Ci rifugiamo sotto un ponte, assieme ad una decina di motociclisti vietnamiti che si fanno i fatti loro e non ci chiedono una sola parola, e come loro ci infiliamo qualcosa per proteggerci: la Jenny ha il suo K-way rosa che però fa passare l’acqua

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(un po’ come la tenda in Croazia), mentre io ho la mitica “the plastic”, presa a Plitvice (come i più bravi ricorderanno), che è sempre troppo corta sulle braccia e sulle gambe ma che funziona alla grande sul resto del corpo. Il pomeriggio successivo, invece, è dedicato ai massaggi: inziamo alle 15, con uno stupendo bagno di vapore, per poi proseguire con una sauna, ritornare al bagno di vapore, poi alla sauna, e così via per circa trenta minuti (più o meno, perché le istruzioni che ci danno sono assolutamente poco chiare e bisogna tirare ad indovinare); successivamente, ci adagiamo su un lettino vista mare, sotto una tettoia di paglia e legno, e là un super professionista del settore ci dà di unguento, massaggi, schiaffetti. L’unica cosa che mi disturba fortemente è una mosca che non smette di ronzare nel mio orecchio; mi agito a tal punto che il mio massaggiatore è costretto a coprirmi il capo con un asciugamano! Dopo 50 minuti memorabili, la seduta termina e veniamo gentilmente condotti in un altro padiglione all’aperto, per “rilassarci” (come se già non lo fossimo!): ci viene portata della frutta fresca e del te, mentre, attorno a noi, scorre dell’acqua e gli uccellini cinguettano, e in lontananza si vede il mare. Una mezza giornata viene anche dedicata allo snorkelling: dopo una sana colazione, saliamo su un motoscafo davvero veloce che parte dalla spiaggia in direzione delle isole che si trovano di fronte a noi. La nostra prima tappa è Hòn Mun, che raggiungiamo in soli 20 minuti saltando come dei matti sulle onde: il mare normalmente è placido, ma il tifone Damrey, che sia sta avvicinando ad Hà Nội dal golfo del Tonchino, viaggia a circa 120 km/h e rende il mare abbastanza mosso persino a Nha Trang. Ci infiliamo maschera, pinna e boccale e siamo pronti per l’avventura: ad una distanza variabile tra i 30 ed i 10 metri dalla costa, messa la testa sott’acqua, osserviamo, emozionati, coralli, branchi di pesci di moltissimi colori diversi, pesci singoli grandi, medi, piccoli, chi giallo con strie nere, chi tutto blu, chi a forma di serpente, chi intento a nutrirsi, chi in caccia di cibo. Un’esperienza davvero eccezionale! Dopo un po’ che siamo in acqua, la Jenny accusa dolori allo stomaco e un po’ di senso di nausea: forse, la colazione ed il mare mosso le hanno giocato un brutto tiro! Io proseguo ancora per un po’, prima di risalire a mia volta sul motoscafo e ripartire in direzione di un altro pezzettino di costa, sempre della stessa isola. L’idea è quella di vedere coralli ancora più colorati, ed in effetti così è: sono così belli (gialli, viola, blu) da rimanere stupiti, ma il mare mosso rende molto difficoltoso il movimento, dato che bisogna sempre andare raso roccia

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per vedere bene, a causa del fondale che subito degrada, e qualche onda maligna ci spinge molto più del dovuto verso i pericolosi scogli. La Jenny abbandona quasi subito, io la seguirò dopo un po’. Tornato sull’imbarcazione, vedo che tutti si stanno sganasciando dalle risate, e con il dito la nostra guida mi indica un ombrello, aperto, che galleggia in mezzo al mare! Cos’era successo? La Jenny, nel togliersi le pinne, si era seduta a poppa, credendo di trovare un appoggio, scivolando invece, a testa in giù e a gambe all’aria, fino a raggiungere il motore! La guida, presa dal panico, per prendere la Jenny che si dimenava ridendo, aveva abbandonato tutto quanto, tra cui anche l’ombrello che usava per ripararsi dal sole e che aveva preso il volo, fino ad atterrare sull’acqua azzurra. Incredibile! Rimesse in ordine le cose, partiamo alla volta di Hòn Tre (“Isola di Bambù”), dove mangiamo un ottimo pesce prima di ritornare alla nostra spiaggia. Ci resta ancora uno sfizio, prima di rituffarci nella vita vietnamita: una romantica cena per sposini all’Ana Mandara! Ci proviamo per ben due volte, a fare le cose per bene, e cioè a cenare su un molo di legno che dalla spiaggia si protende sopra il mare, ma in entrambi i casi, verso le 18, inizia a piovere. Alla fine “ripieghiamo” al ristorante, nella terrazza vista mare, pasteggiando a base di pesce cotto a vapore e servito in una ciotola calda di argilla, il tutto innaffiato da un fantastico Moët Chandon… Niente di più bello per concludere la nostra permanenza in questo meraviglioso resort! Purtroppo, la Jenny continua a stare male, con mal di testa, nausea e vomito, ma è forte e non si ferma: rifatte le valigie, siamo pronti per una nuova avventura!

La favolosa piscina dell'Ana Mandara

Spiagga di Nha Trang

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Belli i massaggi all'Ana Mandara! Un bel pomelo da mangiare!

Snorkelling alle isole! Torri cham di Ponagar

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28/9: NHA TRANG – SÀI GÒN (HỒ CHÍ MINH)

La corriera dell’Ana Mandara ci porta all’aeroporto, dove salta la luce ogni dieci minuti: tutti i desk del check-in, quindi, mostrano sul display le sequenze di test dei caratteri dell’alfabeto e non la destinazione dei voli! La sala d’aspetto è un solo grande stanzone, senza monitor o display; ci pensa una voce femminile, qualche minuto prima dell’imbarco, ad annunciare…? Bravi! Ad annunciare un ritardo di circa un’ora causa attesa coincidenza del volo. Ma che strano! Non l’avremmo mai detto! Quando poi finalmente riusciamo ad imbarcarci, il nostro rumorosissimo ATR-72 ci porta, senza più altri problemi, nella ex capitale del Việt Nam del Sud, dove, seppur con qualche ricerca dentro e fuori dall’aeroporto, c’è il solito tassista che, come da soliti accordi scritti nella solita email mandata da Milano, esibisce il mio cognome a caratteri cubitali e ci porta alla Guesthouse 127, gestita da Madame Củc. Subito ci colpisce il traffico, che, con i suoi 8 milioni di abitanti, è elevato all’ennesima potenza rispetto a quello di Hà Nội, soprattutto per quanto riguarda i motorini: una vera e propria orda invade le strade! Anche le auto, sono in numero considerevolmente maggiore, ed i primi cartelloni pubblicitari di marche note, come LG, Sony, o Salvatore Ferragamo (è anche qui!) ci danno l’idea di una città lievemente più occidentale. Madame Củc, la nonna e le sue tre nipoti ci accolgono in maniera molto gentile, offrendoci subito un te e delle bananine sempre molto buone. Pago con 110.000 đồng il tassista, che è un quarto d’ora che attende i soldi (credevo che il trasporto fosse incluso nel prezzo dell’hotel!) e saliamo al terzo piano per recuperare la mia valigia che viene pericolosamente sollevata con una carrucola attraverso la tromba delle scale! Brrrrr…! La stanza è carina, ed anche qui abbiamo i comfort di sempre: TV (c’è anche Rai International, con una programmazione terribile!), frigo, minibar, doccia, doppio letto a due piazze ciascuno, colazione e cena(!) inclusi, il tutto per $20 a notte. La Jenny continua ad avere il solito malessere, e decide di saltare la cena. Non ho voglia di uscire da solo, e così provo la Củcina dell’hotel, che si rivela assolutamente abbondante e deliziosa! Speriamo solo che mia moglie recuperi per domani, in modo da poter vedere assieme la città!

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Vista del Mekong dall'ATR-72 Sài Gòn dall'alto

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29/9: SÀI GÒN

Niente da fare, la Jenny decide di rimanere a letto e quindi, un po’ a malincuore, la lascio dormire e mi lancio nella città. Sài Gòn deve il suo nome ai suoi primi abitanti khmer, che la chiamarono Prey Nokor (nome ancora usato in Cambogia per definire questa città), che significa “città nella foresta”, e che pian piano la gente iniziò a chiamare diversamente, fino ad arrivare al nome attuale; prima della colonizzazione francese, in realtà, esisteva un altro nome per Sài Gòn, e cioè Gia Địn. Dopo la caduta del Việt Nam del Sud, il 1 maggio 1975 la città assunse il nuovo nome di Hồ Chí Minh (anche se tutti continuano a chiamarla Sài Gòn). Dunque, esco dall’hotel, e l’impatto è assai traumatico perché, appena appena metto piede fuori dalla porta, un paio di persone mi chiedono se voglio il cyclo, la moto, la frutta… state calmi! Decido di fare l’elegante e, pur senza sapere assolutamente dove sono, giro a destra e cammino un po’. Non appena mi fermo un attimo per guardare la cartina, vengo circondato da gente che cerca di “aiutarmi” ad ogni costo… Vagamente capisco dove sono, finisco all’incrocio tra Nguyễn Trãi, Phạm Ngũ Lão e Cống Quỳnh e vengo marcato a uomo da un motociclista che, per prima cosa, tira fuori dalla sua giacca un foglietto di carta con una serie di lettere e di e-mail, tutte con lo stesso argomento: “Questo motociclista è il migliore di Saigon, fidatevi di lui. Lucia, Italia”; “I love this motorbiker, he’s funny and knows a lot of things. Mary, UK”. Io cerco di tagliare corto, e mi allontano salutandolo gentilmente. Passo per un parco, sbircio la cartina, prendo una scorciatoia, imbocco un’altra stradina e zac!, ecco spuntarmi di nuovo il personaggio di prima che, come se mai fosse stato interrotto, continua a parlarmi, mostrandomi questa volta un foglio che spiega la sua storia. “Sono un ex sergente mandato per anni nei campi di riabilitazione”. Questo purtroppo è il destino di queste persone, costrette a vivere da clandestini nella propria città. Ma io voglio andare a piedi, capire come funziona Sài Gòn… eppure non riesco a spiegarglielo. Alla fine lo assecondo e gli do appuntamento per il giorno dopo, “alle 10”, come lui conferma. Addirittura mi scrive ora e data su un foglietto precompilato di suo pugno, con tutti i suoi dati: la mail, il telefono di casa, il telefono cellulare… e, davanti a me, aggiunge la scritta “Việt Nam and Italia good friend”.

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Finalmente libero, pianifico la tappa della giornata: pagoda di Phủng Sơn Từ, Pagoda di Mariamman, Chợ Lớn, Palazzo della Riunificazione, Museo della guerra. Proprio mentre mi sto dirigendo verso la prima delle mie tappe, un altro uomo, questa volta in cyclo, pedala fin sul marciapiede pur di farmi vedere anche lui le lettere, e anche lui il foglio scritto a macchina che spiega la sua vita; anche a lui do un appuntamento fittizio e questa volta me la cavo nel giro di qualche minuto. Qui al sud, il trucco di troncare subito la conversazione dicendo semplicemente “maybe tomorrow” non funziona, a differenza del nord dove invece è infallibile! Così, ci metto un po’ a trovare i nuovi trucchi, ma Turchia docet e dopo un po’, infatti, non mi disturberà più nessuno. La Pagoda di Phủng Son Tu mi colpisce per gli splendidi drappi color rosso fuoco con disegni di draghi, e per le grosse spirali di incenso che stanno bruciando. In alto, sopra l’altare, c’è ancora un’insegna del 1922, a ricordo di un viaggio dell’allora presidente delle colonie della Cochinchina. La Pagoda di Mariamman, invece, è molto particolare perché assolutamente diversa dalle altre, trattandosi di una pagoda hindu. Purtroppo ci sono lavori di restauro in corso, e quindi non si riesce ad apprezzare a pieno l’edificio, ma tutte le innumerevoli statuette di leoni, divinità dai nomi assurdi (Valambigai, Nadrajar…) e spiriti guardiani, tutte con colori sgargianti come verde brillante, rosso fuoco, giallo oro, blu cobalto, non possono non rimanere impressi! La pagoda è molto venerata sia dai pochi hindu che vivono a Sài Gòn, sia dai cinesi, per cui tutti pregano in rigoroso silenzio, seguendo degli strani riti. Mariamman è la divinità più importante per gli abitanti del Tamil Nadu (India del Sud) e rappresenta le forze naturali del mondo; inoltre, è la dea del vaiolo e, udite udite, dell’influenza dei polli, ed è sia capace di infliggere queste malattie, sia di toglierle. Con un taxi arrivo a Chợ Lớn (“mercato grande”), il distretto #5 di Sài Gòn. Là, visito le pagode di Phủoc An Hội Quán (una delle più ricche, dal bellissimo tetto decorato con fregi in ceramica colorata), Quán Âm (dai pannelli dorati e laccati), Hà Chương Hội Quán (stupende le sue colonne avvolte da draghi dipinti in rilievo), Thién Hau (con un bel tetto decorato), e Tam Sơn Hội Quán (ricca di decorazioni originali), tutte vicine tra di loro, e tutte molto interessanti e particolari. All’improvviso mi accorgo che si sono fatte le 14, ed ho anche un languorino! Nella zona non vedo nessun ristorante interessante, cos¡ decido di farmi una passeggiata a piedi per raggiungere il numero 10 di Hùng Vương; cammina cammina, a un certo punto noto che il numero civico è ancora al 650! Inoltre, alle 16 chiude il Palazzo della

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Riunificazione (“Dinh Thống Nhất”), quindi cambio subito piano: salto il pranzo e, in taxi, volo in direzione dell’edificio che testimoniò la caduta del Việt Nam del Sud il 30 aprile 1975. Il cancello che venne sfondato dai carri armati è tornato bianco ed integro come una volta, mentre l’interno sembra essersi fermato nel tempo. Si possono visitare le stanze più importanti per la vita politica del Paese, come quella del Consiglio dei Ministri, quella dedicata alle Delegazioni Estere e a quelle nazionali; si può vedere la sala dei giochi del Presidente, e, salendo all’ultimo piano, l’elicottero americano che fece evacuare le ultime persone proprio mentre i carri armati entravano a palazzo con la bandiera dei việt cộng e prendeva virtualmente possesso di tutto il paese, obbligando il generale Minh, in carica come presidente da ben 43 ore, a dichiarare, con un comunicato radio trasmesso dalla Sala delle Udienze, la resa e la dissoluzione del Việt Nam del Sud. Dopo questo interessantissimo documento storico contemporaneo, mi piacerebbe concludere la visita del pomeriggio andando al museo della guerra, ma purtroppo sono le 16 e qui, come oramai so a memoria, tutto chiude. Ne approfitto allora per tornare alla Delta Adventure Tours, in Phạm Ngũ Lão, per confermare la prenotazione per due persone alle grotte di Củ Chi: dopo aver visto una decina di agenzie al mattino, questa qui mi sembra la migliore, e credo anche di non essermi sbagliato. Pago loro la quota di $2 a testa (non con i miei $5 usati, che ovviamente mi vengono subito rifiutati!) e concordo di venire a prenderci all’albergo l’indomani mattina. Verso le 17 sono di ritorno dalla Jenny, che appena mi vede guarisce improvvisamente (sarà l’amore?), a tal punto che si prepara per la sera; andiamo allora a fare qualche compera e a cenare al Lạc Thiên, sempre in Phạm Ngũ Lão. Il posto è molto buono, ma è buffo notare, ancora una volta, la perfetta arte imitativa Vietnamita: questo ristorante è la copia identica dell’originale Lạc Thien di Huế, gestito da un sordomuto (che anche qui non manca), con la stessa offerta di piatti tipici del posto, già replicato altre due volte nella stessa Huế! Finita la cena, torniamo in hotel e, purtroppo, alla Jenny torna il mal di testa, la nausea, il vomito. E domani? Riusciremo ad andare insieme a vedere le grotte di Củ Chi?

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Pagoda di Phủng Sơn Từ Pagoda di Mariamman

Pagoda di Mariamman: Nadrajar Pagoda di Mariamman: tetto

Pagoda di Quán Âm Incenso nella pagoda di

Quán Âm

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Drago nella pagoda di Hà Chương Hội Quán

Incenso e preghiere

Il ricco tetto della pagoda di

Phủoc An Hội Quán Il palazzo della riunificazione

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30/9: CỦ CHI

Alle 8.15, puntuale, arriva il minibus di fronte all’hotel. Salgo solo io, perché la Jenny, ancora una volta, non se la sente e rimane a letto a dormire. Durante il viaggio d’andata, di circa un’ora, la nostra guida, che ama farsi chiamare “Mr. Bean”, inizia a spiegarci la storia della guerra in Việt Nam secondo quello che lui definisce “la vera storia, e non quelle stronzate che scrive la Lonely Planet o tutte le guide americane”. Sembra ancora molto scosso dalla vicenda, che suppongo racconti ogni santo giorno in quel minibus, e pieno d’astio nei confronti degli americani. Mr. Bean ha anche ragione, perché lui, per gli americani, ci lavorava proprio, dato che era arruolato nel corpo dei marines; e quando, nel 1973, se ne andarono, lui fu costretto a subire l’avanzata del Nord, la morte della sua ragazza in seguito ai bombardamenti nemici, e due anni di Campi di Riabilitazione; poi, la “fuga” per un anno in California, l’abbandono, naturalmente, degli studi di medico, ed infine la nuova professione di guida turistica che, lui stesso confessa, odia profondamente. Fa sorridere quando, parlandoci (io ero l’unico italiano, gli altri tutti inglesi ed australiani), ci dice quasi orgoglioso: “I have spoken in english but now I’ll speak in american and you will not [under]stand”, e poi smitraglia una serie di termini gergali americani dell’epoca, come “booby traps” (carica esplosiva nascosta sottoterra, pronta ad esplodere al contatto), “Victor Charlie” (i “Việt Cộng”), “Alpha Bravo” (AmBush, “agguato”), “Delta Tango” (“Defensive Target”, obiettivo da difendere se sotto attacco), “shell bombs” (bomba/proiettile con carico esplosivo in testa); fa sorridere quando cita Giappone, Francia, Germania e ci chiede “You know Japan? You know France?”; ci tiene a dirci che ha studiato negli USA, che ha moltissimi amici americani, che capisce molto bene quello che sta succedendo in America relativamente alla politica estera; fa sorridere, sì, per il suo accento ed anche, se vogliamo, un po’ per la sua ingenuità, ma il nostro è il sorriso amaro di chi si sente raccontare storie tristi di vite spezzate o rovinate inutilmente a causa di una guerra che ha massacrato un intero popolo anche ben oltre il 1975. Proprio mentre sono preso da questi pensieri, arriviamo a destinazione e subito, scendendo, mi vedo circondato da quattro bei polli che cerchiamo tutti quanti di schivare in rapidità. Solita pausa (inutile) al negozietto di turno, e poi, finalmente, arriviamo davvero alle grotte di Củ Chi, usate dai Việt cộng per sottrarsi ai raid americani. Gli abitanti della zona avevano scavato 250 km di tunnel su tre livelli diversi (a tre,

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sei e nove metri di profondità) che collegavano tutti i paesi tra di loro, ed includevano bocchette di aspirazione per l’aria ed un’uscita d’emergenza verso il fiume. Riuscirono così a scampare al napalm, che anzi rafforzava le loro grotte (la terra era argillosa, e con l’alta temperatura si convertiva in ceramica) fino a quando un nuovo tipo di bomba, a scoppio ritardato, non esplose proprio in mezzo ai tunnel, uccidendo 10.000 persone. La zona ora è quasi solamente una distesa di vegetazione australiana, piantata per sopperire alla morte delle piante locali in seguito allo spargimento dell’agente orange, nella quale è molto saggio non addentrarsi per evitare di saltare in aria; qui si vedono ancora molte delle piccolissime entrate ai tunnel. Dopo varie spiegazioni sulle infinite e micidiali trappole escogitate dai việt cộng per bloccare l’avanzata nemica, e sulla loro abilità nello sfruttare ogni cosa per sopravvivere (riuscivano a costruire sandali a partire dagli pneumatici delle jeep americane), ci addentriamo anche noi in uno di questi tunnel. L’ingresso è assolutamente spazioso (l’hanno aperto apposta per i turisti), ma una volta dentro si cammina piegati in due, strisciando da tutte le parti, e per di più non si vede assolutamente nulla, se non quando, raramente, compaiono delle fioche luci di emergenza! Il percorso che dobbiamo compiere si snoda su due livelli (-3 e –6slm) ed è alto 60cm e lungo 70 metri, ma sono 70 metri da incubo! Molti escono alla prima possibilità, dopo 30 metri, mentre l’australiano davanti a me, in pole position, procede a tastoni. A un certo punto lo vedo calarsi in verticale, poi lo vedo risalire in orizzontale, ed io sempre dietro sino a quando mi incastro in una strettoia: lo zaino sbatte in alto, la videocamera striscia rumorosamente per terra, la spalla urta la parete sinistra… mi devo mettere a quattro zampe e poi sempre più sdraiato sino a che vedo la luce dell’uscita! Gli scalini mi fanno soffrire perché mi accorgo che, a causa della mia quanto mai insolita posizione, si è già formato acido lattico nelle gambe, che quasi non riesco più a piegare. Dopo questa incredibile esperienza, ci attende il pasto tipico dei việt cộng, che consiste in manioca cruda e succo di manioca: uno schifo! Superato l’odioso spazio (che davvero non solo non c’entra niente, ma, al contrario, mi sembra quasi un’offesa per chi la guerra l’ha vissuta davvero) che consente ai turisti di sparare con le armi del tempo, si avvicina l’uscita ed il ritorno a Sài Gòn, questa volta in perfetto silenzio. Ne approfitto per farmi una chiacchierata con un altro australiano, davvero molto simpatico, anche se il suo accento, abbastanza ostico, mi obbliga a chiedergli di ripetere le parole più di una volta. La sua famiglia, mi dice, è molto colpita da Củ Chi perché l’Australia non ha

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mai avuto guerre in casa, ed i soldati impiegati all’estero sono quasi sempre impiegati in ruoli di peacekeeping: vedere un carro armato, per loro, è qualcosa di assolutamente strano! Lungo la strada, la corriera fa uno stop opzionale proprio di fronte al museo della guerra, e quindi colgo l’occasione per saltar giù sotto una pioggia abbastanza insistente. Si tratta di una visita assolutamente da non perdere per capire, o quantomeno cercare di capire, quali atrocità sia possibile commettere in guerra. Nel museo c’è di tutto: da documenti ufficiali, a foto di città distrutte; da massacri di bimbi, a veri e propri feti malformati, per esempio con due teste, conservati in vitro; da ragazzini con il labbro leporino a disegni di guerra fatti da bimbi delle elementari. Uscendo da quel museo, mi sono fatto prendere da una tristezza infinita, che mi ha accompagnato lungo tutta la camminata sino all’hotel. Lungo il percorso vengo ancora una volta fermato, prima da un ragazzo che mi dice all’orecchio, in inglese, “lo so che ti piacciono le belle ragazzine”, invitandomi, senza successo, a varcare una porta di un’abitazione privata, e poi da un uomo completamente devastato in viso dal napalm, che, in silenzio, mi tende la mano chiedendomi dei soldi. Non dimenticherò mai più quel volto terribile, una foto vivente uscita dal museo degli orrori visitato pochi minuti prima. Manca poco per arrivare da Madame Củc, ed allora mi fermo al mercato per prendere un po’ di frutta: non mi faccio mancare un bel tranh long e un po’ di chôm chôm, e provo anche a prendere due ổi, che però vendono solo gli ambulanti (e che, in effetti, sono così duri che li butteremo via). Pago anche capendo la cifra direttamente in vietnamita, dato che nel frattempo mi sono cimentato nello studio di questa ostica lingua, imparando le cifre dall’1 al 10 e, per la verità, pochissime altre cose (grazie, ciao, banana, parco pubblico). Questa volta, il mio amore non basta, e la Jenny, vedendomi, non guarisce affatto! Anzi, la vedo sempre bagattata, senza alcun miglioramento. La cosa inizia a preoccuparmi perché sono passati tre giorni e praticamente non ha mai mangiato, se non una banana ogni tanto! Dedico la serata ai regali (non abbiamo ancora comperato quasi nulla), e così mi addentro nelle vie più moderne e commerciali di Sài Gòn, dai nomi che evocano periodi storici antichi e molto prosperi per il Việt Nam, o nomi di antiche città: Lê Lợi, Nguyễn Huế, Đồng Khoi. Cenetta lussuosa al Lemon Grass, in pieno centro, e poi di nuovo in hotel: domani è l’ultimo giorno, e ci resta la mattina libera prima di andare all’aeroporto, questa volta con destinazione finale… Milano.

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Uno stretto tunnel a

Củ Chi Una trappola contro gli americani!

Uscita dal lungo tunnel di 70 metri

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1/2-9: SÀI GÒN – MILANO

L’idea di oggi è quella di continuare a cercare un po’ di regali e poi riposarci prima di andare in aeroporto, ma la Jenny non sta bene neanche oggi e questo è troppo. Consulto la Lonely Planet alla ricerca di un medico che non sia vietnamita, e trovo prima una fantomatica clinica che sembra sparita nel nulla (il “12” locale mi fornisce un numero che risulta inesistente), e poi un ospedale privato francese, il ”Centre Medical International” della fonazione Alain Carpentier, che invece risponde al primo colpo e ci fissa un appuntamento immediato. Andiamo quindi giusto dietro il Palazzo della Riunificazione, una delle pochissime cose che la Jenny riesce ad intravedere di questa città, e per soli $46, dopo un’accurata visita da cui viene escluso che si tratti di qualcosa di grave, le viene prescritto un farmaco francese contro la nausea. Al ritorno, prendiamo un taxi giallo della “vinataxi”, alla cui guida c’è un’autista che in inglese non capisce neppure i numeri! Signori, è giunta l’ora di sfoggiare il mio vietnamita per scopi pratici, e così le snocciolo un “một hai bảy” (1-2-7) per spiegarle quale sia il numero civico della via in cui dobbiamo andare! Anche questa è fatta, e mentre la Jenny si pippa le medicine in hotel, io corro come un pazzo alla ricerca di qualcosa di interessante nel poco tempo che è rimasto. Con mia grande delusione (ma, in realtà, lo avevo capito), TUTTI i negozi in Việt Nam propongono sempre le solite cose: sputacchiere in legno, piatti, bastoncini, ciotole, quadretti dipinti su listelle di bambù, vestiti in seta bellissimi ma assolutamente non portabili in Italia se non per Carnevale o qualche altra festa in maschera, assurdi quadri con Hồ Chí Minh circondato da un’aureola, sullo sfondo una cascata, mentre suona un carrillon con l’inno Vietnamita, ed altre amenità del genere. Mi farò 100 negozi, sia nelle vie piccole, sia in Lê Lợi, sia nei negozietti che nelle grandi catene locali, ma niente: persino le magliette sono tutte uguali, sempre le stesse sei che girano, e più non dimandare. Alla fine comprerò qualcosa lo stesso, ovviamente, ma che peccato non avere più scelta! Alle 11.59, un minuto prima del check-out, sono di nuovo in hotel. Le valigie sono pronte, scendiamo, paghiamo. Arriva il taxi e ciao ciao Sài Gòn, noi andiamo a casa… La Jenny sta molto meglio, perché il senso di nausea le è passato, ma dopo un po’ si sente tutta nervosa, agitata… si gratta le mani, non

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riesce a stare seduta, non riesce a concentrarsi su una cosa sola, è veramente irrequieta e proprio non è da lei! Non sappiamo di cosa si tratti, se una reazione allergica o qualcos’altro, così telefoniamo al dottore; ci risponde la segretaria, che sembra capirci qualcosa di medicina, e che, non rassicurandoci affatto, ci dice che un sintomo del genere non si dovrebbe verificare. Questa fastidiosa e sconosciuta sensazione si protrae per delle ore (6-8), senza che ci possiamo far niente, e solo a casa capiremo che i farmaci contro la nausea inibiscono la dopamina, sostanza senza la quale si hanno proprio questi fastidiosi effetti collaterali, chiamati “sintomi extrapiramidali” o “parkinsoniani” (in quanto si ritiene che il parkinson sia generato proprio dalla mancanza di dopamina) che ti impediscono di stare fermo. Il viaggio prosegue con attese abbastanza lunghe sia a Kuala Lumpur che ad Amsterdam, ed alla fine arriviamo a Milano Malpensa alle 12.00. In questo schifo di aeroporto ci mettono ben un’ora a consegnare i bagagli e, sorpresa sorpresa, la mia valigia manca all’appello, così come quella di varie altre persone. Tra queste c’è una vietnamita, con il suo inglese tutto particolare che alla reception non riescono a capire e che a noi, invece, risulta chiarissimo! Non mi resta altro da fare che sporgere denuncia e sperare in bene. Fortunatamente, il giorno dopo la faccenda si risolverà positivamente e la mia valigia arriverà in ufficio, integra. Il viaggio è finito, i ricordi restano: ricordi di persone gentili, anche se estremamente povere; ricordi di colori, di profumi, di sapori completamente diversi dai nostri; ricordi di bimbi, tantissimi bimbi, di traffico, di pagode; ricordi di immagini cinesi, giapponesi, vietnamite che si intrecciano e si sciolgono senza fine; ricordi di cene romantiche al chiaro di luna, di passeggiate mano nella mano sotto un cielo stellato come da tantissimo tempo non vedevo; ricordi di musiche strumentali orientali, di voci, di grida assordanti; ricordi di clacson; ricordi del Việt Nam.

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Ciao ciao Việt Nam!

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STORIA DELLA LINGUA VIETNAMITA

La lingua vietnamita è parlata da circa 73 milioni di persone, l’80% circa della popolazione Vietnamita, e da circa 7 milioni di vietnamiti all’estero; negli USA, ad esempio, è la settima lingua più parlata, a causa della presenza di circa un milione di immigrati all’epoca dei boat people. Partendo dalla famiglia linguistica denominata Austro-Asiatica, troviamo i rami delle lingue di tipo Munda e di tipo Mon-Khmer; quest’ultima si divide in Asiatica, Mon-Khmer dell’Est, Monica, Nicobarica, Mon-Khmer del Nord, Paliu e Viet-Muong (tutte lingue che immagino parliate fluentemente); nel sottoramo Viet-Muong troviamo, finalmente, il Vietnamita, in compagnia di Chut, Cuoi, Muong e Thavun. A seguito della dominazione cinese, avvenuta tra il 111aC ed il 939dC, venne introdotto in Việt Nam sia l’alfabeto, sia la lingua cinese (tale lingua venne chiamata chữ nho, “caratteri scolastici”), e così sarà fino al 1918, quando questa lingua venne abolita ufficialmente. A partire dal 939dC, però, e dunque a partire dall’indipendenza Vietnamita, iniziò a svilupparsi una scrittura alternativa, detta chữ nôm (“caratteri dialettali”), che si basava sempre sul cinese, ma che cercava di adattare la pronuncia ai suoni del dialetto del Việt Nam, che con il tempo si diversificarono, in parte, da quelli della loro terra vicina. Alcune parole vennero copiate integralmente dal cinese, quando la pronuncia risultava quasi identica: è il caso di 山 , che in cinese (mandarino) si pronuncia “shān” ed in Vietnamita “sơn”; altre parole, invece, vennero create dalla somma di due parole cinesi, indicanti generalmente la prima il significato, e la seconda la pronuncia (indipendentemente dal significato originario): 焒 (lửa, fuoco) nasce

come combinazione di 火 (fuoco, in cinese) e di 吕 (che si legge circa

lü); ancora, 𧘇 (ấy, che) equivale a 衣 (vestito, in cinese) senza la riga superiore (così che la pronuncia risultante sia, all’incirca, yi). Chiaramente, questo tipo di scrittura poteva essere capito ed usato solo da chi già conosceva il cinese, e quindi rimase ad appannaggio dell’élite. Inoltre, questo nuovo sistema complicava alquanto i simboli cinesi già esistenti, e non incontrò mai il favore dei cinesi, che infatti non accettarono questa lingua ed anzi la considerarono di secondo livello.

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Sebbene il primo documento scritto in chữ nôm risalga al 1209dC, escludendo la parentesi di 14 anni, durante la rivolta del Tây Sơn, in cui i documenti ufficiali vennero scritti in questo modo, dobbiamo attendere il XVIII sec. prima di trovar un uso massiccio di questa lingua e di questo alfabeto tra i letterati: l’opera più famosa scritta in chữ nôm, infatti, è la Truyện Kiều (“storia di Kieu”), scritta da Nguyễn Đu (1766-1820). A causa del fatto che i caratteri venivano spesso inventati dai diversi scrittori dell’epoca, esistevano molti simboli chữ nôm con lo stesso significato, così come, al contrario, un solo carattere chữ nôm con molti significati diversi. Per questo motivo, nel 1867 venne proposta una versione standardizzata di questo alfabeto, che l’allora imperatore Tự Đức non accettò, lasciando irrisolti questi problemi che si protrarranno poi anche nel vietnamita moderno. Nel XVII sec., intanto, iniziano a sbarcare in Việt Nam i primi occidentali, tra cui i portoghesi Gáspar de Amaral ed Antoine de Barbosa, che iniziano a cercare di rendere più accessibile alle masse i testi sacri. Successivamente, Alexandre de Rhodes (1591-1660) perfeziona questa tecnica, dando origine al cosiddetto quốc ngử (“scrittura nazionale”), un alfabeto latino abbastanza complesso, con accenti e toni. Questo nuovo metodo di scrittura, sicuramente molto più leggibile del cinese o del suo derivato (sinovietnamita), pian piano prese piede ed esplose quando, nel 1910, un decreto francese lo impose come unica lingua riconosciuta nella scrittura di documenti ufficiali. Tra il 1954 ed il 1974, questo alfabeto venne sottoposto a revisioni ed il risultato finale è il Vietnamita attuale. L’alfabeto moderno si compone dei 26 caratteri inglesi, cui vanno tolte le lettere j, w e z (usate solo per trascrivere parole straniere), e cui vanno aggiunte le seguenti lettere: ă, â, đ, ê, ô, ơ, ư. Il Vietnamita, come il cinese, il giapponese, il tailandese e numerose altre lingue asiatiche, è tonale, e quindi servivano dei simboli per rappresentare i 6 diversi toni: l’accento grave (`), l’accento acuto (´), la tilde (˜), un semi punto interrogativo (̉ ), un puntino (.). La somma di toni ed accenti produce dei caratteri finali abbastanza complicati, come già avete potuto notare durante la lettura di questo testo, che però sono fondamentali per distinguere il significato delle parole, come possiamo vedere da questo interessante esempio: Toni/lettere a ă â Dam (aragosta) Dăm (pochi) Dâm (desiderio) ` Dàm (anello) Dằm (pezzetto) Dầm (scavare)

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´ Dám (osare) Dấm (rabbia) ˜ Dẫm (incudine) ̉ . Dạm (offrire) Dặm (percorso) Dậm (colpo) In pratica, la stessa parola, DAM, può essere scritta in 12 modi diversi ed avere 12 significati diversi, a seconda del tipo di lettera e del tipo di accento! Per quanto riguarda la pronuncia delle consonanti, grossomodo funziona così (tra parentesi quadre, il simbolo fonetico corrispondente): c, -ch si legge c di cane; [k] ch- si legge c di cena; [t∫] đ si legge d di domenica; [d] d, gi, r si leggono s di asma [z] al nord, i,i [i] ed r [r] al sud; kh si legge come ch di ich in tedesco; [x] ng è come la –ing inglese; [ŋ] nh- si legge gn di montagna; [ɲ] -nh si legge come la –ing inglese; [ŋ] ph si legge f; [f] s,x si leggono s di silenzio; [s] th- è una t molto aspirata (calabrese); tr- si legge c di cena al nord, tr al sud; [tʃ] Per le vocali, invece: a si legge à; [ɑ] ă si legge come la a inglese di tap; [æ] â si legge coma la u inglese di cut; [ʌ] ê si legge e; [e] e si legge è; [ɛ] i si legge i; [i] ư si legge come u brevissima spaventata (u’!); [ɯ] ơ si legge come una doppia â; [ɤ] o si legge ò; [ɔ] ô si legge o; [o] Come poi i toni vadano letti (crescente, discendente, crescente spezzato e così via) resta per me del tutto un mistero!

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Un retaggio del passato è l’aver mantenuto, anche in questo alfabeto, l’antica divisione per sillabe tipica del cinese. In realtà, moltissime parole sono formate da più sillabe che, prese singolarmente, o non significano nulla, oppure sono addirittura fuorvianti; un altro problema è che vennero convertite in quốc ngử anche tutte le sillabe scritte in chữ nôm, e che alcune sillabe, che in cinese avevano un certo significato, ora in Vietnamita ne hanno un altro completamente diverso. Con un caos del genere, uno, anche se ha un vocabolario, non sa mai se la parola davanti a sé è di una, due o tre sillabe; se è cinese (o sino-Vietnamita, ossia chữ nôm) oppure Vietnamita moderno! Tra parentesi, ricordo che il cinese venne insegnato sino al 1918 ed il chữ nôm sino al 1920, quindi è molto facile trovare un mix di parole cinesi, sinovietnamite e moderne tutte trascritte con i caratteri latini di oggi! Ora che abbiamo capito che in Việt Nam le cose possono essere scritte in tre modi diversi, risulta più facile anche tradurre, ad esempio, i nomi delle città che abbiamo visitato: Hà Nội è la versione chữ nôm del cinese hè héi (河 内), ossia la somma delle parole “fiume” e “dentro” (in vietnamita moderno, “hà” vuol dire “resuscitare”, mentre la seconda parola non esiste più); Huế significa “cambio”, si scriveva 化 e deriva dal cinese huà; Đà Nẵng, pensate, voleva dire, in cham antico, “grande fiume”; venne poi chiamata Xìan Găng in cinese (“porto su ripida collina”), e quindi riconvertita nella pronuncia sino-vietnamita Nghiễn Cảng (峴 港), che

poi si tradusse nell’odierno 沁 曩 (“anticamente, un fiume”);

Il sito di Mỹ Sơn deriva da Mỉ Sơn o Mĩ Sơn (美 山), cioè “bellissima montagna”. Cercando su un dizionario vietnamita moderno, ora le due sillabe significano “dipingere l’americano”, ed è stata proprio l’assurda traduzione di questa città a spingermi a capirci di più. La traduzione moderna sarebbe Đẹp Núi. Notate che núi (anticamente scritta 𡶀) è

comunque di origine chữ nôm, perché deriva da 山(montagna, sơn) e

内 (che si leggeva “nei” in cinese): ci troviamo in un caso in cui una parola cinese, già usata nel passato ma morta con il tempo e poi tornata in auge con un significato diverso, è stata sostituita da due parole cinesi che sono invece giunte sino a noi! La stessa cosa vale per la parola Đẹp, formata da 美 (Mĩ) e da un secondo simbolo, ossia la pronuncia cinese equivalente al nuovo termine. Hội An (會 安) significa “popolo tranquillo”.

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Ci sono poi nomi che addirittura derivano da altre lingue, come Sài Gòn, che proviene dal Khmer Prey Nokor, “città nella foresta”, o Nha Trang, che deriva dal cham Eatran o Yjan (“fiume d’alghe”). Cercando sul dizionario, ed aggiungendo qualche accento e qualche tono, Nhà Trắng significa “casa bianca”, da cui nasce la seguente favoletta: quando i francesi sorvolarono questa località, chiesero ad un vietnamita che città fosse, indicando con il dito verso il basso; questi notò un tetto bianco e disse: “casa bianca”! Se il Vietnamita antico confonde nella ricerca del significato delle parole su un dizionario moderno, anche quello moderno non scherza: máy bay, ad esempio, significa “aeroplano”, ma “máy” da solo vuol dire “macchina, sentimento, muoversi” mentre “bay” “volo, tu”; quindi, teoricamente, máy bay significa anche “tu ti muovi”! O ancor peggio: Công viên, “parco pubblico”, è formato da Công (“lavoro”, “salario”, “stare sulla difensiva”) e viên (“pillola”, “pallottola”): se uno non sa che non deve separare le sillabe, anziché andare al parco crede di beccarsi una pallottola mentre sta lavorando! Come se non bastasse, la pronuncia è molto difficile, perché nelle lingue occidentali non esistono i toni, ed i vietnamiti proprio non sembrano riuscire a compensare i nostri errori! Un esempio banale: “Italia” si scrive “Ý”, e quando ci chiedevano da dove venivamo, rispondavamo “I!”. Non ci capiva quasi mai nessuno, probabilmente perché in realtà stavamo dicendo “Ỳ” (vantaggio), o “Ỷ” (trono), o “Ỵ” (parola inesistente), in realtà completamente fuori contesto. Solo con la giusta pronuncia, “iiiììì?”, colpivamo il bersaglio. Se non in rarissime occasioni o per divertimento (come ad esempio al ristorante, dove mi capivano nel 50% dei casi), conviene cercare di comunicare in inglese, anche se le risposte che si ottengono, spesso, sono arcane: i vietnamiti leggono l’inglese come se fosse vietnamita, per cui tagliano tutto: “si” per “six”, “bai” per “bike”, “ci” per “cheap”, fino a quando una frase di senso compiuto diventa un rebus: “si do la ci bai” (six dollars, cheap bike)!

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Alexandre de Rhodes

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LA FRUTTA VIETNAMITA Capitolo extra per parlare, in breve, del cibo che più ci ha colpiti, per la bontà e la varietà: si tratta della frutta vietnamita. Ce ne sono tantissimi tipi, praticamente tutti da sbucciare e quindi tutti sicuri, ma mi concentrerò su quei pochi che abbiamo conosciuto e di cui conosco il nome: CHÔM CHÔM: È da noi conosciuto come rambutan, ed è uno dei frutti più cari del Việt Nam (costa circa 20.000 đồng al chilo). Rosso con peletti esterni, è molto dolce. SA PÔ CHÊ: Viene tradotto in “sapodilla”, in quanto ha origine spagnola (venne introdotto da loro durante la conquista delle Filippine). È marron ed abbastanza dolce, ma ha un gusto stranissimo, almeno come gusto di gelato! MẤNG CẦU TA: Noi lo chiamavamo “le granate” perché hanno proprio la forma di una bomba a mano, anche se verde chiaro. Sanno un po’ di pera, e la buccia si toglie facendola scivolare via. È un frutto molto buono anche se lascia le dita tutte appicicaticcie! NHÃN: Longan; marron chiaro, dolcissimo, è molto simile al lichee. KHẾ: Lo abbiamo visto solo a Nha Trang, all’hotel: chiamato “Star Fruit”, ha una classica forma a stella, in genere a scopo decorativo. ĐU ĐỦ: Un nome complicato per dire “papaya”. ỖI: Durissimo, verde, sembra una pietra: con il coltello non riuscivo minimamente ad incidere questo frutto (che mi avevano venduto un tantinello acerbo), quindi non vi so dare molte spiegazioni. Viene considerato un frutto per i poveri dagli stessi venditori al mercato. MÍT: Il Jackfruit, delizioso, morbidissimo anche se zeppo di semini, è un frutto abbastanza grande che si riesce a trovare dappertutto. XOÀI: Delizioso questo frutto (è il mango), che per la prima volta ho mangiato intero! Ho scoperto, tra l’altro, che se ne mangia poco

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perché è quasi tutto costituito da un seme enorme, durissimo, che non lascia staccare facilmente la polpa: se non altro, dura un sacco! BƯỞI: il pomelo proprio mi esaltava! Sembra un pompelmone gigante, con una scorza incredibilmente grossa, e disseta e sfama che è un piacere! Ognuno di questi affari costa 20.000 đồng, ma ne vale proprio la pena! CHUỐI: Si tratta della comune banana, anche se in questo caso è sempre verde e molto più piccola di quelle cui siamo abituati. Questo tipo di frutto c’è sempre, e viene usato anche come merenda, dessert, colazione. THANH LONG: Si chiama “frutto del drago”, ed è particolarmente presente nel delta del Mê Công; esportato all’estero, diventa costosissimo, mentre in Việt Nam lo si trova a bassissimo prezzo. È tutto rosso, mentre all’interno è bianco con puntini neri. Buonissimo! SẦU RIÊNG: Durian in inglese, sembrano delle nespole (colore marrone, abbastanza piccoli). Provati una sola volta. SOÀI: si tratta di una specie di mapo, verde (sembra acerbo), più piccolo dei nostri, ma molto buono. DỪA: Si tratta di un cocco freschissimo, esteriormente bianco, che ti servono privo della punta in modo da poterne bere il contenuto con una cannuccia. Buonissimo e dissetante, si trova anche in qualche ristorante.

Chuối (banana) Chôm chôm (Rambutan)

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Mít (Jackfruit) Nhãn (longhan)

Đu đủ (papaya) Bưởi (pomelo)

Khế (starfruit) Thanh Long (frutto del drago)

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Sa pô chê (Sapodilla) Il freschissimo Dừa

Sầu Riêng (Durian) Mấng Cầu ta (le "granate")

Xoài (mango) Ỗi

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I RISTORANTINI VIETNAMITI

A beneficio di chi si voglia recare in Việt Nam, magari proprio dopo aver letto questo resoconto, ecco qui riassunti i luoghi dove siamo andati a mangiare: Città Nome Estetica Cibo

Little Hanoi Hoa Sữa La Brique Fanny Ice Cream Cyclo Bar & Restaurant

Hà Nội Garden Gelateria

HÀ NỘI

Quân Cơm Phở Xuan Trang HUẾ Tịnh Gia Viên

HỘI AN Miss Lý Lạc Cảnh NHA TRANG Dùa Xanh Madame Củc 127 Lạc Thiên SÀI GÒN Lemon Grass

GLI HOTEL VIETNAMITI

A beneficio di chi si voglia recare in Việt Nam, magari proprio dopo aver letto questo resoconto, ecco qui riassunti i luoghi dove siamo andati a dormire:

Città Nome Prezzo a notte per una doppia

Giudizio

HÀ NỘI Prince Hotel 1 $18 HUẾ Bỉnh Dương III $18 HỘI AN Hải Yến $18 NHA TRANG Ana Mandara $200+ SÀI GÒN Madame Củc 127 $20

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RIASSUNTO GRAFICO CRONOLOGICO

Abbiamo visto molte cose, in città diverse ed inerenti periodi storici molto diversi. Per mettere un po’ d’ordine, in questo grafico propongo un riassunto cronologico di quello che abbiamo visitato, in relazione sia ai secoli, sia alle dinastie in quel tempo presenti.

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sec I sec II sec III sec IV sec XIVsec XIsec V sec VI sec VII sec VIII sec IX sec X sec XII sec XIII sec XV sec XVI sec XVII sec XVIII sec XIX sec XX

Mỹ SõnTorri Cham di Ponagar

Pagoda ad una sola colonnaTempio della Letteratura

Pagoda di Quan than

Ponte Giapponese

coperto

Pagoda di Thiên MụPagoda di Tran Quốc

Tempio del Monte di Giada

Pagoda di Thien Hau Pagoda di Tam Son Hoi Quan

Pagoda di Quan Am Tomba di Minh Mạng

Tomba di Tự ĐứcLa cittadella

Residenza di Hồ Chí Minh Pagoda di Mariamman

Pagoda di Ha Chuong Hoi Quan Pagoda di Phủoc An Hoi Quan

Tomba di Khải Đinh Pagoda di Phủng Sõn Từ

Palazzo della RiunificazioneCủ Chi

Museo della guerraMausoleo di Hồ Chí Minh

HÀ NỘIHUẾHỘI ANNHA TRANGSÀI GÒN (HỒ CHÍ MINH)

Riassunto cronologico dei posti visitati

Dominazione Cinese Dinastia Lý Dinastia Trần Din. Lê Lotte interne Dinastia Nguyễn

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