Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un...

162
Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e soluzioni di trasmissione degli esiti del viaggio Gli scritti di seguito raccolti propongono un approccio fortemente interdisciplinare, evidenziando come il viaggio (quale che ne sia la sua origine, dallo studio, al lavoro, al diletto), imprima nella memoria del viaggiatore un ricordo – non sempre necessariamente veritiero e certo – ma al contrario profondamente contrassegnato dalla propria sensibilità, formazione, provenienza. Dai taccuini di schizzi che vengono a posteriori ‘messi in bella’, alle raccolte di incisioni appositamente realizzate, fino ai ‘carnets de voyage’, la memoria assume codificazioni, modelli, a tratti ripetitivi, in altri casi innovativi, fino alla costruzione di paesaggi di mito, in larga misura inventati, nella maggior parte dei casi stereotipati. Si analizzano in particolare il rapporto quali- quantitativo tra immagine reale (iconografica principalmente, ma anche descrittiva) e stereotipo, tra ricordo quasi privo di epurazione e viceversa costruzione “geopolitica” della raffigurazione, tra immediatezza e al contrario rilettura, più o meno colta, più o meno idealizzata. Si valuta anche in che misura la formazione del viaggiatore e la sua provenienza incidano nella trascrizione della città e del paesaggio, e comprendere le ragioni che portano, in determinate aree geografiche, alla costruzione di identità adulterate, di iconografie di maniera e alla esaltazione – del tutto parziale – di alcuni elementi a scapito di altri. La messa in prospettiva delle indagini è naturalmente quella interpretativa per la comprensione e la valorizzazione del patrimonio tangibile, nell’ottica della ri-costruzione di paesaggi culturali frammentati, con potenzialità latenti. Per un arco cronologico che spazia dall’età moderna a quella contemporanea, le diverse interpretazioni sono legate alla storia dell’architettura, della città e del territorio, come al restauro e alla tutela, alla tradizione letteraria, etnografica e allo sguardo dello storico dell’arte, ma anche allo studio della tradizione costruttiva e delle cosiddette architetture tradizionali, un tema a cui la cultura del primo Novecento ha guardato con insistenza. Chiara Devoti, Monica Naretto 963

Transcript of Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un...

Page 1: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e soluzioni di trasmissione degli esiti del viaggio

Gli scritti di seguito raccolti propongono un approccio fortemente interdisciplinare, evidenziando come il viaggio (quale che ne sia la sua origine, dallo studio, al lavoro, al diletto), imprima nella memoria del viaggiatore un ricordo – non sempre necessariamente veritiero e certo – ma al contrario profondamente contrassegnato dalla propria sensibilità, formazione, provenienza. Dai taccuini di schizzi che vengono a posteriori ‘messi in bella’, alle raccolte di incisioni appositamente realizzate, fino ai ‘carnets de voyage’, la memoria assume codificazioni, modelli, a tratti ripetitivi, in altri casi innovativi, fino alla costruzione di paesaggi di mito, in larga misura inventati, nella maggior parte dei casi stereotipati. Si analizzano in particolare il rapporto quali-quantitativo tra immagine reale (iconografica principalmente, ma anche descrittiva) e stereotipo, tra ricordo quasi privo di epurazione e viceversa costruzione “geopolitica” della raffigurazione, tra immediatezza e al contrario rilettura, più o meno colta, più o meno idealizzata. Si valuta anche in che misura la formazione del viaggiatore e la sua provenienza incidano nella trascrizione della città e del paesaggio, e comprendere le ragioni che portano, in determinate aree geografiche, alla costruzione di identità adulterate, di iconografie di maniera e alla esaltazione – del tutto parziale – di alcuni elementi a scapito di altri. La messa in prospettiva delle indagini è naturalmente quella interpretativa per la comprensione e la valorizzazione del patrimonio tangibile, nell’ottica della ri-costruzione di paesaggi culturali frammentati, con potenzialità latenti. Per un arco cronologico che spazia dall’età moderna a quella contemporanea, le diverse interpretazioni sono legate alla storia dell’architettura, della città e del territorio, come al restauro e alla tutela, alla tradizione letteraria, etnografica e allo sguardo dello storico dell’arte, ma anche allo studio della tradizione costruttiva e delle cosiddette architetture tradizionali, un tema a cui la cultura del primo Novecento ha guardato con insistenza.

Chiara Devoti, Monica Naretto

963

Page 2: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 3: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e soluzioni di trasmissione degli esiti del viaggio

Chiara Devoti, Monica Naretto Politecnico di Torino – Torino – Italia

Parole chiave: viaggio, narrazione, resoconto, modelli ricorrenti, immagini, vedute. La sessione, aperta a un approccio fortemente interdisciplinare, si è proposta di evidenziare come il viaggio (quale che ne sia la sua origine, dallo studio al lavoro, al diletto), imprima nella memoria del viaggiatore un ricordo – non sempre necessariamente veritiero e certo – ma al contrario profondamente contrassegnato dalla propria sensibilità, formazione, provenienza1. Dai taccuini di schizzi che vengono a posteriori “messi in bella”, alle raccolte di incisioni appositamente realizzate, fino ai carnets de voyage, la memoria assume codificazioni, modelli, a tratti ripetitivi, in altri casi innovativi, fino alla costruzione di paesaggi di mito, in larga misura inventati, nella maggior parte dei casi stereotipati. È stato tema principe quello dell’analisi, in particolare, del rapporto quali-quantitativo tra immagine reale (iconografica2 principalmente, ma anche descrittiva) e stereotipo, tra ricordo quasi privo di epurazione e viceversa costruzione “geopolitica” della raffigurazione, tra immediatezza e al contrario rilettura, più o meno colta, più o meno idealizzata. Analogamente ha posto una notevole attenzione alla valutazione della misura in cui la formazione del viaggiatore e la sua provenienza abbiano inciso nella trascrizione della città e del paesaggio, cercando di comprendere le ragioni che portano, in determinate aree geografiche, alla costruzione di identità falsate, di iconografie di maniera e alla esaltazione – del tutto parziale – di alcuni elementi a scapito di altri. La sessione è stata aperta a contributi legati alla storia dell’architettura, della città e del territorio, come al restauro e alla tutela, ma anche alla tradizione costruttiva e alle cosiddette architetture tradizionali – un tema a cui la cultura del primo Novecento ha guardato con insistenza –, ottenendo una straordinaria risposta per numero e qualità degli interventi. In ragione proprio della numerosità delle proposte presentate, è stato possibile individuare, all’interno della sessione B13, una serie di sottosessioni, o di macrotemi, che permettessero di ricondurre ad ambiti la grande varietà dei diversi contributi. Ne sono derivate le sottosessioni che abbiamo intitolato: A. Entro l’Italia, scoprendo l’Italia: viaggio e memoria in età moderna, B. Visitatori in Italia tra età moderna e primo Novecento: realtà vs. mito, C. Visitatori e scoperte dall’Europa al Nuovo Mondo dal Cinquecento a oggi, D. Il ricordo di viaggio in età contemporanea: realtà e costruzione nel tentativo di rendere conto – seppure con tutti i limiti delle generalizzazioni – del diverso, sfaccettato e ricchissimo approccio che i partecipanti alla sessione offrivano rispetto al tema generale non solo del congresso, ma della sessione da noi coordinata. Le tematiche sono state raggruppate secondo una periodizzazione che avanza verso l’età contemporanea, con uno sguardo che dall’Italia muove verso l’Europa e da questa in

1 Sullo stretto legame tra esperienza e rappresentazione di viaggio, tra il vastissimo repertorio internazionale, si veda: C. de Seta, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Torino, Bollati Boringhieri, 1999. 2 L’estesa ricerca che esplora i temi dell’architettura, della città, del paesaggio attraverso le fonti iconografiche si arricchisce oggi di potenti strumenti di condivisione e consultazione, che mettono in connessione fonti e fondi eterogenei e ne garantiscono l’accessibilità. A titolo di esempio si rimanda al recente database georeferenziato The Kingdom of Sicily Image (http://kosimagedb.aahvs.duke.edu/ e http://www.dukewired.org/projects/the-kingdom-of-sicily-database/ ). C. Bruzelius, P. Vitolo, «The Kingdom of Sicily Image Database», in Archeologia e Calcolatori, 27, 2016, pp. 107-130. Per l’interpretazione della diacronia delle città mediante il nuovo approccio della Digital Urban History: Digital Urban History. Telling the History of the City in the Age of the ICT Revolution, edited by R. Tamborrino, Roma, Università di Roma 3-CROMA, 2014.

965

Page 4: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

direzione della scoperta del “Nuovo Mondo”, cercando per ogni sottosezione di individuare temi ricorrenti e viceversa eccezioni e offrendo una panoramica di grande varietà interpretativa. Una porzione consistente delle comunicazioni è edita in questa sede.

1. Entro l’Italia, scoprendo l’Italia: viaggio e memoria in età moderna In questa sottosessione gli autori hanno analizzato – con acuto senso critico e con grande libertà interpretativa – il fascino che l’Italia in età moderna (con uno sfasamento al primo Novecento) esercita sui viaggiatori, siano essi ancora una volta italiani (seppure il termine assuma un significato improprio nel contesto di una penisola soggetta a una frammentazione politica-amministrativa estrema), come viceversa stranieri recatisi nel “bel paese” per contemplarne e studiarne le rovine antiche o per ammirarne le città che si stavano in ampia misura rinnovando proprio per la volontà dei diversi potentati.

L’attenzione è rivolta innanzitutto alla “città eterna”, Roma, di cui trattano Laura Giacomini, definendo l’apporto di questa visita e dello studio dei monumenti in Luigi Trezza, architetto veronese, che qui approda in viaggio di studio nel 1795, e Alessandro Cremona, analizzando il ruolo di architettura e giardino di Villa Celimontana, espressione architettonica e paesaggistica della cultura del nobiluomo romano Ciriaco Mattei, posta sull’altura del Colle Celio e realizzata tra gli anni Settanta del Cinquecento e il primo quindicennio del Seicento, nella costruzione di una trasposizione sia letteraria, sia di incisioni tra XVI e XIX secolo (momenti di esaltazione prima della sua bellezza, poi della decadenza e della rovina

Pont de Bard. Val d’Aoste, litografia di J. Bénard su disegno di Jules-Louis- Fédéric Villeneuve, in Souvenirs d’Italie, Paris, Turgis, [1835], tavola n. 2

966

Page 5: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

romantica). A Napoli è dedicato viceversa l’intervento di Maria Teresa Como, in particolare analizzando l’influsso del soggiorno napoletano sulla produzione di Jacques Philippe D’Orville, il quale, di ritorno dal viaggio in Sicilia da cui scaturirà postumo il celebre Sicula, si trattenne a Napoli da metà agosto a fine novembre 1727, dedicando pagine memorabili alla città e alla cappella rinascimentale del Pontano, in deplorevole decadenza, cui tributò un’ode. Francesco Zecchino indaga viceversa l’immagine dell’Alta Irpinia negli anni Trenta del XVII secolo sulla scorta del diario di viaggio, pubblicato nel 1898, del nobile genovese Gian Vincenzo Imperiale, politico e collezionista d’arte ben noto, che qui si si reca per prendere possesso di un suo travagliato acquisto, il feudo di Sant’Angelo dei Lombardi. All’Italia centrale, in particolare all’Abruzzo, è dedicato il contributo di Rossano De Laurentiis, che analizza quanto nell’opera dell’abruzzese d’Annunzio vi sia del paesaggio della sua terra, dalla natia Pescara sino al più sperduto abituro, quanto trapeli del vagabondare nella sua regione nelle novelle e poi nei romanzi, in un certo modo anche di descrivere l’asprezza e la struggente bellezza del territorio più aspro, conducendo il lettore quasi in un “viaggio sacro”, che sa di viatico per la conoscenza3. Infine, dirigendosi verso il nord, già con uno sguardo all’Europa, Andreina Milan affronta il tema della capitale di un importante regno, quello Sardo, leggendo Torino attraverso le guide di Johann Georg Sulzer (1775) e di Carlo Denina (1792) e in particolare ponendo l’accento sull’immagine urbana che si costruiscono i viaggiatori tedeschi, spesso delusi dalla monotonia e dall’austerità di una città che vorrebbero più “mediterranea” per la sua posizione in Italia. Spicca in questo contesto la visione contrastante del celebre esponente dell’Enzyklopädie tedesca, il quale non esiterà a definire Torino «tra le più belle città d’Europa», ponendola non a caso al confronto con Berlino e con l’analogo sviluppo economico, politico, culturale e sanitario. Quando, pochi anni dopo, uscirà la guida in lingua tedesca di Denina, la nuova immagine della capitale sabauda, nel contesto germanico, sarà ormai definitivamente improntata a modernità e prestigio. La rappresentazione dell’Italia – tratteggiata con questi contributi – appare ormai costruita, sia dall’interno (gli abitanti del territorio italico che su questo si muovono), sia dall’esterno (i visitatori che quivi giungono alla ricerca di suggestioni e di nuovi stimoli) e che si comportano come se fossero essi stessi “italici”.

2. Visitatori in Italia tra età moderna e primo Novecento: realtà versus mito Il viaggio in Italia rappresenta una tappa obbligata nella formazione di ogni gentiluomo, ma il “mito” della penisola ha origine ben più antica e muove talvolta anche da punti diversi della stessa Italia verso altre aree della medesima; talvolta poi è un andare e tornare, che imprime nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé Demonet, la quale indaga, attraverso i disegni di Giuliano da Sangallo, al servizio di Lorenzo il Magnifico, poi di Giulio II e Leone X, raccolti in due libri membranacei, il codex Barberiniano della Biblioteca Vaticana (Barb. Lat. 4424) e il taccuino senese della Biblioteca degli Intronati di Siena (S.IV.8), le osservazioni del grande architetto su siti e monumenti scoperti durante viaggi compiuti alla fine del Quattrocento, ponendo l’accento sulla sua ricostruzione del rapporto tra vestigia antiche e paesaggio italiano. Gli fa da contraltare l’interpretazione analitica che offre Fulvia Scaduto del resoconto, datato al 1589, di un anonimo viaggiatore francese, il Discours viatiques de Paris à Rome et de Rome à Naples et Sicile, soffermandosi in particolare sulla descrizione di Palermo e dei suoi dintorni, un ritratto inedito e originale, come si segnala puntualmente, assai distante dagli stereotipi che saranno fissati nel corso del Sette e Ottocento. Dall’altra Daniela Felisini si 3 Più in generale, sulle connessioni tra il pensiero dannunziano e il patrimonio culturale italiano, si rimanda alla recente monografia: M. Guerra, Gabriele d’Annunzio e il patrimonio culturale italiano. “L’arte è memoria che non può difendersi”, Lanciano, Rocco Carabba, 2014.

967

Page 6: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

reinterroga sull’immagine dell’Agro Romano offerta dai viaggiatori stranieri con il provocante quesito A desert around Rome? ossia la sensazione – che pare diffusa – che l’approccio a Roma sia preceduto da una sorta di espiazione attraverso il suo agro, di cui si coglievano principalmente le rovine e l'abbandono. Un topos, come segnalato dall’interessante contributo, entrato in modo così potente nell'immaginario dei viaggiatori da condizionarne aspettative e narrazioni fino a ripetersi praticamente invariato sia nei racconti sia nelle rappresentazioni e capace di influenzare fortemente le opinioni prima e dopo il viaggio stesso. La persistenza delle immagini precostituite risulta davvero potente, se Fabio Colonnese può rimetterne in luce la forza continuativa nelle raffigurazioni del paesaggio romano da wan Wittel a Le Corbusier, passando per il celeberrimo caso della Villa Adriana, il cui schizzo, realizzato da Jeanneret nel Voyage d’Orient del 1911, ricalca l’impostazione di analoghe rappresentazioni ben più antiche. Quasi plagio o potere suggestivo della reiterazione della medesima veduta? – si interroga con acume l’autore, offrendo una lettura inedita ed efficace. Andrea Maglio dimostra l’efficacia della riproposizione del vero nella forma di una sorta di mito, di “più vero del vero” nella produzione dell’architetto sassone, ma anche pittore, disegnatore, Leo von Klenze (1784-1864), al servizio di Ludwig I di Baviera, che, spinto da

una grande curiosità per l’architettura e per il paesaggio “del sud” (ancora una volta legato allo stilema dell’Italia mediterranea), viaggia a più riprese nel bel paese, talvolta anche in compagnia dello stesso Ludwig, mettendo in luce varietà e ricchezza del paesaggio italiano, dalla Sicilia ai grandi laghi del nord, fino alle Alpi. Si forma una ben precisa immagine, che caratterizzerà fortemente l’Ottocento. Una sezione, quella dell’Ottocento, ricchissima, con gli studi di Sara Rulli sulle immagini dei viaggiatori tedeschi per l’architettura rinascimentale genovese e di Rita Ladogana per le vedute di Cagliari, segnalando da un lato la particolare predilezione dei viaggiatori tedeschi per Genova, di cui apprezzavano la capacità architettonica di rispondere ai dislivelli naturali con soluzioni in grado di farne non limiti alle scelte compositive, ma scenografiche quinte, dall’altra per il caso sardo, mostrando la continuità ancora settecentesca delle vedute, da quelle di Giuseppe Verani, giunto in Sardegna nel 1806 al seguito del sovrano Vittorio Emanuele I, in qualità di “artista di corte”, alle tavole di Giuseppe Cominotti ed Enrico Marchesi, gli ingegneri piemontesi inviati in Sardegna nel 1823

per la costruzione della Strada Reale Carlo Felice.

Santa Maria del Fiore, Florence – Recorded Design for Western Façade: by M. De Fabris, Architect, da

“The Builder”, XXIV, 1866, p. 215

968

Page 7: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Un altro modo di guardare all’Italia, costruendo miti o – in alcuni casi – anti-miti (la sporcizia, l’incuria, la presenza di briganti o la scarsa attenzione alle innovazioni tecniche) è mostrata dal contributo di Luca Reano, incentrato proprio su delicato equilibrio tra stereotipi e descrizione viceversa veritiera del patrimonio architettonico italiano nelle riviste di architettura inglesi, per l’arco temporale – ristretto, ma cruciale – che va dal 1830 al 1870. Un momento nel quale si fronteggiano due opposte visioni: da quella di un luogo dove studiare unicamente l’architettura classica, all’opposto viceversa di un nuovo mercato emergente in cui investire capitali ingenti; da uno stato fortemente cattolico legato a vecchi vizi e tradizioni, a un Paese in rinnovamento, nel quale un peso sempre maggiore stanno assumendo le nuove ferrovie, ma non mancano anche architetture di gusto contemporaneo. Un panorama estremamente variegato quello che propone questa sottosessione, uno sguardo sull’Italia dall’esterno in prevalenza, ma anche in parte dall’interno rientrando dall’estero, che offre uno spaccato di primo rilievo per la lettura degli stilemi letterari e iconografici legati al “mito Italia” nel contesto del “mito Grand-Tour”4.

3. Visitatori e scoperte dall’Europa al Nuovo Mondo dal Cinquecento a oggi

Se l’Italia, come si è visto, occupa una posizione di primo piano nell’interesse da parte dei viaggiatori, anche l’Europa (ancora una volta quella del Grand-Tour, ma non soltanto) vuole la sua parte e gradatamente, ovviamente in ragione delle scoperte e dell’intensificarsi dei viaggi per mare, lo sguardo si estende fuori dalle Colonne d’Ercole. Il Nuovo Mondo attira una notevole attenzione e diventa il catalizzatore di un immaginario – sovente quello dell’estensione sconfinata e della terra vergine – che ha poco da invidiare agli stereotipi che abbiamo segnalato per la vicinissima, notissima Italia. Apre Elisabetta Molteni, con l’analisi della notevolissima messe di schizzi prodotti da Raffaele Monanni, ingegnere militare al servizio della Repubblica di Venezia, attivo soprattutto negli anni Venti e Trenta del XVII secolo, immagini conoscitive e talvolta celebrative, dedicate al “levante”, con vivo interesse alla componente marittima dei luoghi raffigurati, anche

attraverso un veloce appunto grafico, con importanti annotazioni per Candia, Corfù, la più importante piazzaforte militare dell’Adriatico, e per le isole del Mediterraneo.

4 Sulla particolare tradizione del Grand Tour: C. de Seta, L’Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe, Electa, Napoli, 1992; Id. (a cura di), Grand Tour: viaggi narrati e dipinti, Napoli, Electa, 2001.

Bastide prés Air Saint Michel, Nice, acquerello su carta di Charles Buls, febbraio 1904.

Archives de la Ville de Bruxelles, Fonds Buls, Carnets de voyages, farde 97, foglio 2

969

Page 8: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Verónica Gijón Jiménez e Inmaculada López Vílchez offrono uno spaccato di grande interesse sulla visione che i viaggiatori contribuiscono a istituire di due straordinarie città spagnole, Toledo e Granada. La prima, tra XV e XVIII secolo conosce una efficace lettura in primis come sede di potere, poi una rilettura, grazie proprio ai visitatori stranieri, destinati a mostrarla al mondo esterno in contrasto con una immagine interna sempre più offuscata dalla perdita di un vero ruolo centrale con lo stabilirsi definitivo della corte reale a Madrid, una scelta che sarà responsabile di una profonda crisi della città nel corso del Seicento. L’altra, Granada, con la sua maestosa Alhambra, in grado di risvegliare immagini da Mille e una notte, ha sempre affascinato gli artisti, raggiungendo forse il suo vertice di popolarità attraverso incisioni, dipinti, acquerelli offerti al pubblico estatico dai viaggiatori romantici, in prevalenza inglesi e francesi. La López Vílchez, sfuggendo allo stereotipo, fin troppo noto, mostra il grado di immaginazione di queste rappresentazioni, scoprendone gli espedienti tecnici, a cominciare dall’uso volontario di alterazioni ottiche, come una prospettiva forzata, o con un punto di vista alterato, per ottenere effetti più pittoreschi e più scenografici, svelando un mondo di false immagini costruite “a tavolino”, ancora una volta “più vere del vero”5. Muovendo dall’Europa al Nuovo Mondo delle colonie e dei viaggi estremi, Maria João Vaz e Mariana Simões offrono una interessantissima immagine del reportage, accompagnato sovente da incisioni, che la stampa portoghese offre della proprie colonie come dei territori in generale poco esplorati che nel corso dell’Ottocento erano oggetto di grande interesse. Questa stampa specialistica, assai in voga, segnalano le autrici, è la principale responsabile della creazione e della diffusione di un immaginario, proprio alla cultura visiva del tempo, riguardo alle città e ai territori oltre i confini. A perfetta integrazione di questa situazione, Maria Angélica Da Silva segnala il peso della “maniera olandese” nella rappresentazione del Brasile coloniale del Settecento, in particolare quello del conte tedesco van Nassau-Siegen, committente a una cerchia di artisti olandesi della raffigurazione dei suoi possedimenti. Se quindi insediamenti e struttura agricola sono di matrice portoghese, il tratto e la sensibilità per luci e colori sono prettamente olandesi e non a caso legati anche a una raffigurazione talvolta “di maniera”, con una costante esaltazione dell’aspetto selvaggio, fino alla invenzione del paesaggio del Nuovo Mondo. Chiude la sessione il contributo di Gabriella Restaino con Antônio Muniz dos Santos Filho, dedicato a un altro paesaggio, sempre in America del Sud, quello dei Caminhos do Velho Chico, lungo il corso del Rio São Francisco, molteplici, proteiformi, fino allo sbocco del corso d’acqua nell’oceano, immagini di un viaggio odierno, talvolta con i ritmi lenti del vecchio muoversi, alla scoperta di città, paesi, modi di essere, con un approccio analitico e conoscitivo che apre alla successiva sessione, dedicata al ricordo di viaggio in età contemporanea.

4. Il ricordo di viaggio in età contemporanea: realtà e costruzione Le molte facce del viaggio in età contemporanea sono declinate e analizzate con notevole versatilità nell’ultima sottosessione, che si apre con il contributo di Paola Ardizzola, dedicato all’esule Bruno Taut, in fuga dalla Germania nazista approdato in Giappone nel 1933, partito per un viaggio, rimasto a lungo nella terra del sol levante, alla quale avrebbe dedicato numerosi scritti e ancora maggiori schizzi. Uno sguardo scevro da nostalgie europee, attento a comprendere il peso della tradizione nella cultura millenaria del paese che lo ospitava, un’attenzione “moderna”, lontanissima dalla iconografia “di maniera” cui si è fatto ampio cenno nella sessione precedente. Esattamente allo stesso anno dell’arrivo di Taut in Giappone si riferisce il secondo contributo, di Gemma Belli, dedicato tuttavia a un’esperienza completamente diversa, seppure non meno 5 Una trattazione trasversale sull’immagine della città europea è in: L’immagine della città europea dal Rinascimento al Secolo dei Lumi, C. de Seta (ed.), Milano, Skira, 2014.

970

Page 9: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

prolifica, quella degli architetti “moderni” in giro per il Mediterraneo sulla tratta Marsiglia-Atene-Marsiglia per il IV Congrès d’Architecture Moderne, dedicato alla città funzionale. Il viaggio è quindi innanzitutto spunto per la riflessione sulle logiche urbane, momento di confronto di esperienze diverse, eppure non è solo quello: gli architetti imbarcati, con la loro specifica sensibilità, ben diversa da quella dei viaggiatori comuni, fotografano, schizzano, descrivono i luoghi che visitano lungo il cammino, i paesaggi che si susseguono, viaggiano nel Mediterraneo, alla scoperta o meglio ri-scoperta del Mare Nostrum, fino a costruire, di fatto, un vero e proprio “immaginario mediterraneo”, emblema di un’epoca.

Ancora al Mediterraneo si riferiscono gli “sguardi da nord” analizzati da Lelio Di Loreto e Letizia Gorgo,attenti a riconoscere in un luogo fisico specifico, il Cimitero del Bosco di Stoccolma, gli echi dellaimmagine del Mediterraneocostruita nell’ambito del Grand Tour per Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz, autori di due memorabili cappelle funebri,certamente legate alla loro specifica esperienza mediterranea. Reminiscenza di viaggio (attestata da diari,

schizzi e note), senso acuto del mezzogiorno panico si legano così alla formazione nordica degli architetti, in una riproposizione colta e memoriale, che il contributo lega al contesto anche internazionale della prima metà del Novecento. Ma il Mediterraneo6 ricompare ancora in questa sottosessione, più che mai, nell’originale rilettura, “dalle Alpi al Mediterraneo”, appunto, proposta da Margherita Parrilli, attenta a comprendere il peso del viaggio nella cinematografia (ma non solo) nel suo sguardo sull’Italia. Partendo dall’emblematico Viaggio in Italia (1954) di Roberto Rossellini, proseguendo, l’autrice si prefigge un’analisi dell’iconografia fotografica e cinematografica «condotta attraverso le categorie derivanti dagli studi sul paesaggio del filosofo siciliano Rosario Assunto, che ha posto le basi per le ricerche estetiche sul paesaggio materiale e immateriale», riconoscendo in brani di architettura e territorio le matrici della “mediterraneità” e dell’“alpinità” italiane. Lontano, molto lontano, ci conducono Ana Maria Pina, con il suo Trip to Tropics, e Giovanni Spizuoco alla corte dei maharaja sulle orme dell’urbanista scozzese Patrick Geddes, che ivi soggiornò, lasciando importanti progetti urbanistici, tra il 1914 e il 1924. Con uno sguardo disincantato, il “non colonialista” Geddes, che era anche biologo, riconosce la staordinarietà del paesaggio e degli insediamenti indiani, cui dedicherà due volumi “di viaggio”. La ricchissima documentazione lasciata, analizzata direttamente sulle fonti dal contributo di 6 In generale, per la percezione, lettura e trasformazione dei sistemi urbani del Mediterraneo, un importante riferimento è rappresentato dagli Atti del VI Convegno Internazionale di Iconografia Urbana, Napoli 13-15 marzo 2014: Città mediterranee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e Novecento, A. Buccaro, C. de Seta (eds.), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014. Si veda anche: A. Buccaro, «L’immagine storica del paesaggio della città mediterranea e il ruolo dell’iconografia urbana», in Città e Storia, X, 2015, 1, pp. 71-87.

Architettura mediterranea anni Trenta: Senigallia – Rotonda sul mare. Cartolina turistica fine anni Quaranta. Collezione privata

971

Page 10: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Spizuoco, mostra il potere assoluto dell’esperienza di viaggio nel guidare future analisi e anche scelte urbanistiche di Geddes. Ben altra esperienza quella che propone la Pina, un’immagine desolata del Brasile – ancora diversa da quella proposta nella sessione precedente – immortala nei Tristi Tropici dell’antropologo franco-belga Lévy-Strauss (1955) e nella Jungla (1930) dello scrittore Ferreira de Castro. Analisi senza orpelli, prive di ogni possibile fascinazione di fronte alla potenza della natura selvaggia, segnate dal rimpianto per il carattere “controllato” del paesaggio dei propri paesi natii. Non c’è idillio, non c’è mito, ma solo straniamento, desolazione, percezioni simili in autori tanto dissimili, sulla cui causa l’autrice si interroga. Chiude la sessione la lettura squisitamente psicologica proposta da Michele Sinico, il quale investiga – ed è approccio di estremo interesse – sul peso della pre-definizione di categorie interpretative sul ricordo del viaggio, lungo un processo di rilettura delle memorie di itinerari che muove dalla seconda metà dell’Ottocento sino agli anni Settanta di quello scorso. La domanda di fondo sembra essere: è un resoconto reale, è una costruzione mentale, è il “nuovo mito” dell’altro, del diverso? Cosa sia veramente il racconto di viaggio, se un resoconto oggettivo oppure una fuga in un mondo avventuroso come ne faceva Salgari, guardando fuori dalla sua finestra e immaginando rigogliose foreste, indomite tigri, feroci predoni, resta forse questione aperta alla quale ogni approfondimento contribuisce a rispondere diversamente, ma specificamente.

Bibliografia

C. Bruzelius, P. Vitolo, «The Kingdom of Sicily Image Database», in Archeologia e Calcolatori, 27, 2016, pp. 107-130. A. Buccaro, «L’immagine storica del paesaggio della città mediterranea e il ruolo dell’iconografia urbana», in Città e Storia, X, 2015, 1, pp. 71-87. Città mediterranee in trasformazione. Identità e immagine del paesaggio urbano tra Sette e Novecento, A. Buccaro, C. de Seta (eds.), Atti del VI Convegno Internazionale di Iconografia Urbana (Napoli 13-15 marzo 2014), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2014. G. De Pasquale, Viaggio nel Mediterraneo. La costruzione di un paesaggio attraverso l’iconografia dello spazio architettonico, Siracusa, Lettera 22, 2016. C. de Seta, L’Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe, Electa, Napoli, 1992. C. de Seta, Vedutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Torino, Bollati Boringhieri, 1999. Digital Urban History. Telling the History of the City in the Age of the ICT Revolution, R. Tamborrino (ed.), Roma, Università di Roma 3-CROMA, 2014. Grand Tour: viaggi narrati e dipinti, C. de Seta (ed.), Napoli, Electa, 2001. M. Guerra, Gabriele d’Annunzio e il patrimonio culturale italiano. “L’arte è memoria che non può difendersi”, Lanciano, Rocco Carabba, 2014. L’immagine della città europea dal Rinascimento al Secolo dei Lumi, C. de Seta (ed.), Milano, Skira, 2014.

972

Page 11: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Gli esiti della tappa napoletana del viaggio in Italia di Jacques Philippe d’Orville

nelle vicende della Cappella del Pontano Maria Teresa Como

Università Suor Orsola Benincasa – Napoli – Italia Parole chiave: Cappella Pontano, Napoli, memoria, Antichità, Arcadia, epigrafi, restauro, autenticità. 1. Introduzione Partendo dagli elementi frammentari della tappa napoletana1 del viaggio in Italia dell’erudito antichista Jacques Philippe d’Orville, se ne ricompongono le tracce tessendo una trama tra il corpo fisico e culturale della città, gli itinerari, le attività e le relazioni, e se ne leggono i più evidenti ricordi, tra loro complementari: una lirica e le incisioni2 alla Cappella Pontano. Nel 1759 la cappella fu oggetto di un primo precoce restauro, imposto dallo Stato a conclusione di un’azione legale istruita dal quartiere, che ne lamentava la condizione. La ricomposizione e la lettura dei ricordi e delle impressioni di d’Orville, tra cui spiccano i rilievi dei fronti della cappella antecedenti al restauro, rivelano il processo e le azioni del restauro settecentesco, palesando reintegrazioni e parti originarie dell’architettura della cappella. L’intreccio tra le tracce del d’Orville e le vicende del restauro della Cappella Pontano esplora quanto l’esperienza napoletana dell’erudito viaggiatore influì a sollecitare e indirizzare le scelte del restauro, e apre alla riflessione sulle questioni dei valori, della memoria, dell’autenticità che investono i modi in cui il precoce restauro del 1759 incise nell’architettura della cappella. 2. Il viaggio nel sud Italia di Jacques Philippe d’Orville

Il filologo classico olandese e poeta neolatino3 Jacques Philippe d’Orville4 (1696-1751) intraprese un lungo viaggio di studio verso l’Italia dal 1726 al 1729, allo scopo di avere un contatto diretto con le Antichità, in particolare quelle siciliane, e di proseguire parallelamente ricerca, studio e raccolta delle trascrizioni manoscritte di testi classici, libri antichi e testimonianze antiquarie, esplorando biblioteche e archivi dei luoghi attraversati5.

1 Metà agosto – inizio novembre 1727. 2 Recentemente rinvenute e pubblicate da M.T. Como, «Nuove acquisizioni sulla Cappella Pontano. Il contesto originario e l’architettura», in Rinascimento Meridionale. Rivista annuale dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale», VII, 2016, pp. 35-47. 3 Poeta neo latino fu anche suo fratello Petrus D’Orville, giureconsulto. J. Ph. d’Orville ne pubblicò dopo la morte del fratello i componimenti, e con essi diverse elegie in morte del fratello composte da diversi eruditi olandesi ed europei conosciuti nei suoi viaggi in Europa, e anche sue proprie (Petri D’Orville, juriconsulti, Poëmata, edited by J. Ph. d’Orville, Amsterdam, Adrianum Wor & Haeredes Gerardi Onder de Linden, 1740). 4 D’Orville si era formato all’Università di Leida e specializzato grazie ai viaggi in Inghilterra, Belgio e Francia, dove aveva frequentato le biblioteche locali e intessuto relazioni con i maggiori eruditi e studiosi delle sue discipline tra cui, in particolare, l’abate Bernard Montfaucon a Parigi. 5 Una sintesi della sua biografia è nell’orazione funebre scritta da P. Burmann il giovane alla morte del d’Orville, pubblicata in francese nel 1752, e più estesa in latino all’interno della pubblicazione postuma di Sicula a cura dello stesso Burmann il giovane (P. Burmann le jeune, «Oraison funèbre sur la mort de Mr. Jacques Philippe d’Orville», in Bibliothèque raisonnée des ouvrages des savans de l’Europe, XLVIII, 1, Amsterdam 1752, pp. 291-310; P. Burmanni Secundi, «Oratio in Obitum Jacobi Philli d’Orville», in Sicula, quibus Siciliae veteris rudera, additis antiquitatum tabulis, illustrantur, edited by P. Burmanni Secundi, Amsterdam, Gerardum Tielenburg, 1764, pp. 639-675).

973

Page 12: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Le diverse tappe in Italia, nel discendere verso la Sicilia, primo obiettivo del viaggio, sono indicative dei rapporti che d’Orville istituì con i maggiori studiosi italiani, intellettuali e antichisti, per la maggior parte appartenenti alla comunità arcade6. Nell’ambito dell’itinerario meridionale, dopo una tappa a Roma, breve perché proteso a raggiungere al più presto la Sicila, a fine aprile 1727 si sposta a Napoli per organizzare il viaggio. Qui comprende da conoscenti locali l’impossibilità di un viaggio via terra, che attraversi Lucania e Calabria, e decide di arrivarvi direttamente per mare. A Vietri, che raggiunge dopo aver osservato ai piedi del Vesuvio la nuova bocca prodotta con l’ultima eruzione, attraversata Nocera ed esplorate la biblioteca dell’abbazia di Cava e Salerno, l’8 maggio 1727 si imbarca su una feluca per la Sicilia. La lunga traversata che racconta descrivendo le forme costiere dei luoghi antichi che avvista7, lo porta a Messina, dove sosta, per poi raggiungere, ancora via mare, il 20 maggio 1727 Palermo; è poi a Monreale e Trapani. Qui, assunto Francesco Nicoletti8 come disegnatore dei monumenti antichi che visiterà, ha inizio il viaggio all’interno della Sicilia. Toccherà Segesta, Marsala, Mazara del Vallo, Castelvetrano, Selinunte, Agrigento, Gela, Piazza Armerina, Enna, Aidone, Centuripe, Lentini, Siracusa, Catania, l’Etna, Taormina, e di nuovo Messina. Il vivo racconto dei tre mesi di viaggio in Sicilia associa alle acute descrizioni dei monumenti antichi e alle rappresentazioni basate sul rilievo diretto e lo studio delle rovine, la narrazione del contesto paesaggistico e culturale e della sua esperienza diretta. Il racconto sarebbe stato pertanto anticipatore della letteratura odeporica, della grande fortuna della diffusione a stampa di immagini delle Antichità, scoppiata poi negli anni ’40 del Settecento, e della riscoperta, attraverso il disegno architettonico anche ricostruttivo, dell’architettura dorica magnogreca9, se non fossse stato, purtroppo, pubblicato postumo10, nel 1764. Da Messina, chiudendo con la descrizione della cattura del pesce spada nello stretto, saluta la Sicilia e raggiunge Scilla, sulla costa calabra, dove il 9 agosto 1727 si imbarca per Gallipoli. Da qui torna a Napoli in diligenza, attraversando le città pugliesi di Lezzi, Nardò, Alessano, di cui sottolinea l’eleganza e la cura dell’edilizia11, e racconta dei tanti uliveti; passa poi per Bari, Trani, e inizia l’attraversamento della penisola, per una regione piana di vasti campi; transita per il ponte romano sul fiume Platano, vicino all’antica Vulcei, che fa ritrarre da Nicoletti12, e, percorrendo tratti dell’Appia antica, arriva a Napoli a metà agosto 1727, ove si tratterrà fino a fine a novembre. 6 Dal sud della Francia raggiunge Torino, si reca a Milano, alla biblioteca ambrosiana, e lega con Giovan Francesco Beretta, poi a Piacenza e a Parma dove visita la collezione di dipinti e antichità del duca di Parma Francesco Farnese; raggiunge Reggio Emilia e Modena dove incontra Ludovico Antonio Muratori; è poi a Mirandola e a Verona da Scipione Maffei che lo introduce alla sua biblioteca e collezione e alle antichità e biblioteche locali; è poi a Padova dove frequenta diversi eruditi tra cui Giovan Antonio Volpi e l’abate Domenico Lazzarini; risiede per un mese a Venezia legandosi ad Apostolo Zeno e Giambattista Recanati, che collazionerà per lui, in tutta la durata del viaggio, manoscritti (lettera di Giambattista Recanati inviata al d’Orville a Napoli il 12 agosto 1727, Bodleian Library Oxford, MSS. d’Orville 1-618); raggiunge poi Ferrara e Bologna, e da qui va a Roma, per una visita alle Antichità e agli scavi al Palatino guidata da Giusto Fontanini e Domenico Bianchini. 7 Supera punta Licosa, la spiaggia pestana, il golfo di Velia, il promontorio di capo Palinuro, Policastro, la valle del Lao, Paola, il golfo Santa Eufemia, e le isole di Stromboli e Lipari. 8 A cui si devono le tavole di Sicula; fu poi introdotto da d’Orville negli ambienti romani eruditi e da qui si avviò la sua carriera come architetto e allestitore di apparati festivi. 9 M. Cometa, Il romanzo dell’architettura. La Sicilia e il Grand Tour nell’età di Goethe, Bari, Laterza 1999; S. Di Matteo, Viaggiatori stranieri in Sicilia dagli Arabi alla seconda metà del xx secolo. Repertorio, Analisi, Bibliografia, vol. I, Palermo, 1999, pp. 337-338. 10 Sicula, quibus Siciliae veteris rudera, additis antiquitatum tabulis, illustrantur, edited by P. Burmanni Secundi, Amsterdam, Gerardum Tielenburg, 1764. 11 «Strutture in candida pietra squadrata facilmente cavabile e ben costruita che caratterizzano la regione fino a Barletta». 12 In Sicula alla tavola 32.

974

Page 13: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

2.1. Il soggiorno a Napoli e la visita alla Cappella Pontano

D’Orville è a Napoli nella fase della dominazione austriaca del regno di Napoli che termina nel 1734 con la riconquista di Carlo di Borbone, in particolare durante il viceregno del cardinale Michele Federico Althann (1722-28) anch’egli, come gli intellettuali vicini al d’Orville, pastore arcade, acclamato nell’anno della sua nomina a viceré13. Nella sintesi del viaggio interna all’orazione per la sua morte, Burmann riferisce che d’Orville durante il soggiorno napoletano visitò le antichità urbane e limitrofe, l’anfiteatro di S. Maria Capua Vetere, che descrive in marmo e mattoni, e l’amenissima collina di Posillipo. Qui, in prossimità della grotta antica che conduce a Pozzuoli, visita con particolare devozione i sepolcri di Virgilio e di Sannazaro, e seguendo la prassi del viaggio in Sicilia ne commissiona rilievi e incisioni, per riportare al rientro memoria documentaria dei monumenti e luoghi visitati della città, e a lui più cari per il filo diretto con la filologia antica, la poesia in latino e

le Antichità. Nel tessuto della città visita con altrettanta devozione la Cappella funeraria dell’umanista, letterato e poeta Giovanni Pontano, monumento per eccellenza alla continuità del culto delle Antichità nella storia, e poiché anche Tempio e sede dell’Accademia del Pontano, archetipo dell’arcadico Bosco Parrasio. D’Orville fu sconcertato dalla misera condizione e dall’uso indecoroso a bottega di un sarto di un monumento così venerabile. Commissionò i rilevi dei due fronti e scrisse un ode di denuncia. Le incisioni mostrano con realismo il volgare sarto accogliere sull’uscio i clienti e invitarli ad appendere giacca e cappello ai chiodi, infissi tra le scalanature delle paraste e le commessure del magnifico rivestimento di piperno che cinge l’ammasso murario di un grande rudere sfigurato. Il componimento

invettivo in latino, che è complementare ai rilievi, è un giambo che denuncia la «profanazione» del Tempio e fa istanza alla Città di restituirne la dovuta cura. Il componimento e i rilievi dei fronti, furono pubblicati nel 1730 nella biografia di Sannazaro scritta dall’amico e poeta neolatino Pieter Flaming, all’interno della prima traduzione in olandese dell’Arcadia curata dallo stesso14.

13 Gli Arcadi dal 1690 al 1800, edited by A.M. Giorgetti Vichi, Roma, Arcadia, Accademia Letteraria Italiana, 1977, p. 245. 14 P. Vlaming, Arcadia van Sannazarius, Amsterdam, 1730.

Prospetto del fronte minore della Cappella Pontano, 1727 (da VLAMING 1730; Erfgoedbibliotheek Hendrik

Conscience, Antwerpen, cat.nr. C 42606)

975

Page 14: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

D’Orville impiegò i tre mesi del soggiorno napoletano anche frequentando assiduamente le biblioteche, e si legò a eruditi locali, a Francesco Valletta15 e Francesco Galluppi16. Tramite il Valletta visionò il grande corpus di manoscritti che il nonno di questi, Giuseppe17, aveva raccolto, e che era poi passato alla Biblioteca degli Oratoriani, per mezzo di Gian Battista Vico che ne aveva redatto l’apprezzo per la vendita. Giuseppe Valletta18 e Vico furono pastori arcadi, entrambi ammessi dal Crescimbeni nel 1710 nella colonia napoletana di Sebezia, con gli appellativi di Bibliofilo Atteo e Laufilio Terio19. L’ambiente culturale napoletano20 legato all’accademia dell’Arcadia e frequentato dal d’Orville appare quindi aver spinto e inciso sul singolare restauro della Cappella Pontano avviato nel 1759. Seguendo i fili delle relazioni tra eruditi, élite e figure di potere, che si sostanziano e divengono incisive nelle corporazioni culturali, si coglie una pista di indagine che spiega modi e attori del restauro settecentesco, e motiva nella pressione della comunità degli eruditi e la mediazione del ceto togato l’esito del restauro “di Stato”.

15 Sulla vita di F. Valletta: G. Castaldi, Della regale Accademia ercolanese dalla sua fondazione sinora con cenno biografico de’ suoi soci ordinari, Napoli, Tipografia di Porcelli 1840, pp. 245-248. 16 Erudito di lingua greca (1673-1740), amico di Francesco Valletta formatosi nella biblioteca Valletta, traduttore di Aristofane, pubblicò tramite il D’Orville ad Amsterdam un suo commentario sul geografo greco Stefano («Elogio a Francesco Galluppi», in Giornale de’ letterati, tomo III, parte I, Firenze, 1744, pp. 220-224). 17 A. Lombardi, Storia della letteratura Italiana nel secolo XVIII, Tomo IV, Modena, 1830, p. 186. 18 Si lega a Giuseppe Valletta e alla Cappella Pontano Gregorio Messere (1636-1708); grecista, letterato, e poeta, fu insegnante privato e influì sulla formazione classica di quegli intellettuali e poeti campani che fondarono l’Accademia dell’Arcadia. Fu insegnante di Giovan Vincenzo Gravina (1664-1718) fondatore a Roma nel 1690 dell’Arcadia con Giovan Mario Crescimbeni, e di Giuseppe Valletta. Fu tra i primi pastori arcadi a Roma, con l’appellativo di Argeo Coraconasio, e poi arcade della colonia napoletana di Sebezia fondata nel 1703. Grazie al sostegno di Giuseppe Valletta fu professore di Letteratura Greca all’Università di Napoli. Fu seppellito, come egli stesso aveva desiderato, nella cripta della Cappella Pontano (G. Lombardi, «Vita di Gregorio Messere salentino detto Argeo Caraconasio», in Le vite degli Arcadi illustri, edited by G.M. Crescimbeni, parte II, Roma, 1710, pp. 47-59). 19 Gli Arcadi dal 1690 al 1800, edited by A.M. Giorgetti Vichi, Roma, Arcadia, Accademia Letteraria Italiana, 1977, pp. 44, 156. 20 M. Schipa, Il Muratori e la coltura napoletana del suo tempo. Prolusione letta nella R. Università di Napoli addì 16 decembre 1901, Napoli, Tipografia Pierro e Velardi 1902.

Parte iniziale del carme di J. Ph. D’Orville, In Aedem ab Joanne Joviano Pontano Vergini Mariae & Joanni Evangelistae Neapoli erectam (VLAMING

1730, pp. 262-263)

Prospetto del fronte maggiore della Cappella Pontano, 1727 (da VLAMING 1730;

Erfgoedbibliotheek Hendrik Conscience, Antwerpen, cat.nr. C 42606)

976

Page 15: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3. Il restauro della Cappella Pontano

Il restauro fu imposto con la causa portata in Tribunale nel 1757 dai complaetari dell’ottina21 contro i chierici regolari caracciolini dell’adiacente chiesa di S. Maria Maggiore che avevano la cura della cappella, per l’uso improprio che se ne faceva e i mancati obblighi pendenti22. Il 4 aprile 1759 Carlo di Borbone affidò la direzione del restauro a Giacomo Martorelli23, sacerdote e professore di lingua greca presso l’Università di Napoli, e la soprintendenza al Tribunale Misto24. Indicazioni del nuovo assetto e del lavoro filologico condotto dal Martorelli sono riportate nella biografia di Giovanni Pontano del padre oratoriano Roberto De Sarno25 che celebra la conclusione del restauro. Nella prefazione al testo, in dedica a Bernardo Tanucci all’epoca presidente del Consiglio di reggenza, De Sarno, introducendo la rilevanza del Pontano e della Cappella, rimarca quanto fatto per ordine reale appena quattro anni dopo la presentazione dell’esposto, e riferisce che il carme del d’Orville è stato

utilizzato per spingere al restaturo. In coda alla biografia sono poi riportati sezione e prospetto longitudinali26 del progetto di restauro e l’allegata legenda, e al seguito due studi filologici di G. Martorelli sulle epigrafi antiche risistemate all’interno27. Tra i due saggi è inserito il componimento del d’Orville, accompagnato dalla traduzione in italiano di Salvatore Spiriti. L’inclusione ne garantì la memoria, mentre i rilievi, che d’Orville aveva commissionato nel 1727, e che rappresentavano in modo realistico la condizione della Cappella prima del restauro, furono nel tempo dimenticati. 21 Gli abitanti del quartiere. 22 R. Filangieri, «Il tempietto di Gioviano Pontano in Napoli», in Atti dell’Accademia Pontaniana in onore di Giovanni Gioviano Pontano nel V centenario della nascita, Napoli, 1926, pp. 5-41; G. Alisio, «La cappella Pontano», in Napoli Nobilissima, III (1963-1964), 1, pp. 29-35; carte relative alla causa sono in Archivio Storico Diocesano di Napoli, Fondi chiese collegiate, S. Maria Maggiore, vol. 75, fasc. 2. 23 Ad ottobre dello stesso anno, Francesco Vargas Macciucca, delegato della Regia Giurisdizione, e amico del Martorelli, ebbe in carico “protezione della cappella”, come dalla lettera di Martorelli a Vargas Maciucca del 14 ottobre 1759 (Il carteggio Martorelli-Vargas Macciucca, in «Settecento Napoletano. Documenti II», edited by F. Strazzullo, Napoli, Liguori, 1984, p. 136. 24 Filangieri 1926, p. 22, riporta in nota il dispaccio. 25 R. De Sarno, Joannis Joviani Pontani Vita, Napoli, Fratres Simonii, 1761. 26 Le tavole, con indicazione della scala in palmi napoletani, riportano il nome del tecnico, il regio architetto Antonio de Sio, e dell’incisore, Francesco La Marra. 27 De Sarno1761, pp. 95-99 e pp. 107-118.

Prospetto e sezione longitudinale del restauro del 1759 (da De SARNO 1730)

977

Page 16: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3.1. Le azioni del restauro

La configurazione architettonica della Cappella assunta dopo il restauro, e che è conforme alle tavole di progetto in De Sarno, è stata erroneamente considerata nel tempo, in linee generali, originaria. Il rinvenimento e l’esame dei rilievi del d’Orville28, precedenti al restauro, fanno pertanto luce sulle rimozioni e reintegrazioni compiute, e guidano al riconoscimento delle parti originarie della Cappella. Le reintegrazioni maggiori sono all’attico e al basamento. Sul fronte minore del rilievo del d’Orville, l’esistenza di gran parte della cornice superiore segna l’altezza originaria dell’attico, che è maggiore di quella conseguita con il restauro29, e prova che in origine mancava la partitura dell’ordine dei pilastrini emergenti, in continuità con le paraste del fronte. Su entrambi i fronti, la mancanza delle lastre del basamento, a meno di un lacerto dietro i gradini del fronte maggiore, dimostra l’estesa reintegrazione delle lastre, e spiega i paracarri disegnati con dovizia nel progetto per impedire nuovamente il danno. L’intereccio tra l’insieme dei dati documentari e descrittivi e l’analisi dell’esistente, guida a riconoscere globalmente le azioni del restauro settecentesco. All’interno il piano pavimentale originario, in maiolica e con incluse le lapidi antiche30 raccolte dal Pontano e le due lapidi sepolcrali ottagonali, fu profondamente alterato. Divelto il manto originario, la superficie fu scomposta da una pedana, estesa per circa metà cappella, e al centro, su una più piccola pedana in due gradini, si dispose il nuovo altare. Questo venne ideato in marmi commessi con paliotto costituito da un lastra recante la trascrizione, “corretta” da Martorelli31, dell’epigrafe dedicatoria originaria di Pontano, che fu invece murata sul retro. Il manto della nuova superficie pavimentale fu realizzato sistemando in specchiature di fasce di marmo bianco parte della pavimentazione originaria ancora integra e nuove maioliche, realizzate ad imitazione delle antiche dalla bottega di Giuseppe Massa32. Come ad allestire un museo, Martorelli applicò alle pareti i frammenti delle lastre epigrafiche antiche in origine a pavimento, corredando di una nuova lastra bordata di marmo verde firmata dal filologo la trascrizione completata di quelle frammentarie e la traduzione in latino di quelle greche. Anche le sette lastre, già in origine collocate sulle pareti come «quadri», sulle quali Pontano fece incidere i componimenti ai suoi cari qui deposti e a se stesso, subirono degli spostamenti con il restauro33. Un’imbiancata ai paramenti interni celò infine le decorazioni originarie ad affresco, che simulavano alle pareti un decoro architettonico 34.

28 M.T. Como, «Nuove acquisizioni sulla Cappella Pontano. Il contesto originario e l’architettura», in Rinascimento Meridionale. Rivista annuale dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento Meridionale», VII 2016, pp. 35-47. 29 In proporzione è circa 2/3 dell’attuale altezza. 30 Il verbale dell’ispezione della cappella nei documenti della causa del 1757 descrive il degrado del pavimento originario e conferma che esso ospitava le epigrafi antiche: «[…] nel pavimento di detta Cappella si vedono molti spezzoni di marmo con iscrizioni greche e latine, quali però non uniscono, nè si può leggere cosa alcuna […]» (Archivio Storico Diocesano di Napoli, Fondi chiese collegiate, S. Maria Maggiore, vol. 75, fasc. 2, c. 12r). La collocazione delle epigrafi antiche nel pavimento è anche in testi di raccolte eigrafiche del XVI secolo citati da B. de Divitiis, «PONTANVS FECIT: Inscriptions and Artistic Authorship in the Pontano Chapel», in California Italian Studies, III (2012), 1, pp. 1-36. 31 Nel paliotto Martorelli aggiunge OMNIA alla fine del testo: TIBI DEVS OPTIME MAXIME ARAM HANC DEDICAT IOANNES JOVIANVS PONTANVS NEC TECVM PACISCITVR VT SIBI LIBERIS POSTERISQ SVIS BENEPAXIS CVM IPSE VOLENS LIBENSQ GRATVITO BENEFACIAS CVNCTIS SED QVIA TIBI VNI AB OMNIBVS DEBEANTVR [OMNIA]. 32 G. Donatone, Pavimenti e rivestimenti maiolicati in Campania, Napoli, Isveimer, 1981, doc. nell’Appendice a cura di V. Rizzo, p. 83. 33 Originaria collocazione e spostamenti sono stati riconosciuti dal confronto con le descrizioni storiche, la cui trattazione e riferimenti necessitano di maggiore estensione. 34 Come può supporsi dai frammenti simulanti architrave, fregio a girali, e cornice, recentemente rinvenuti all’intradosso della volta e intorno all’oculo nella controparete del fronte minore.

978

Page 17: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

4. Conclusioni

Per la comprensione dell’architettura della Cappella Pontano, nella sua consistenza materiale e nei suoi significati e valori, che via via colti segnarono la storia delle modifiche apportate, le tracce del passaggio di d’Orville a Napoli mostrano una doppia valenza. Da una parte, queste hanno guidato a leggere attori, azioni e caratteri del precoce restauro settecentesco e a distinguere le parti originarie da quelle di restauro. Dall’altra, si è riconosciuta la contaminazione del segno da queste lasciato, proprio perché esse hanno influito nelle vicende della cappella. La commozione e lo sconcerto dell’erudito filologo d’Orville nell’incontro con la Cappella del Pontano sollecita e attiva la comunità degli eruditi locali, ed è a partire dallo studio delle epigrafi antiche, che qui aveva raccolto e custodito Giovanni Pontano, che si struttura il restauro della cappella. La direzione del restauro affidata a Martorelli indica che l’intervento prioritario della cura era la ricomposizione delle epigrafi antiche. Lo scopo era assicurare la possibilità di fruire dei testi antichi e pertanto il restauro intese riportarli a unità con un lavoro filologico, e agevolarne la leggibilità con la trasposizione in latino delle epigrafi greche. Con questa attività Martorelli fece sfoggio di erudizione e insieme sentì necessario distinguere i frammenti antichi dalla loro interpretazione apponendo firma e data e una cornice in marmo verde alle nuove lastre. Il lavoro di restituire decoro alla Cappella, metttendo a posto le parti architettoniche e ristabilendo la funzionalità del culto, si intese invece come un’attività di edilizia ordinaria. Le alterazioni apporate, gli spostamenti, le rimozioni e le aggiunte, non rivelano infatti una riflessione critica in cui l’individuazione di valori sia fondamento delle intenzioni del progetto, se non il mero fine del completamento. Nel progetto l’epigrafe che racconta del restauro “di Stato” e il cenotafio a Pontano apparecchiato intorno all’originario profilo del poeta, entrambi poi non realizzati, celebrano l’azione del restauro e le sue intenzioni.

979

Page 18: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 19: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

«Uno delli più belli giardini di Roma». Villa Mattei-Celimontana: trasformazioni e mutamenti

di percezione di un sito urbano nelle testimonianze di viaggio (secoli XVI-XIX)

Alessandro Cremona Sovrintendenza Roma Capitale – Roma – Italia

Parole chiave: Villa Mattei Celimontana, Letteratura di viaggio, Guide di Roma.

1. Introduzione L’attuale Villa Celimontana a Roma1 è quanto rimane dell’originario giardino impiantato per

volontà del nobiluomo Ciriaco Mattei sull’altura del Colle Celio tra gli anni Settanta del

Cinquecento e il primo quindicennio del Seicento. Sebbene segnata da innumerevoli

trasformazioni che ne hanno modificato completamente il volto, la Villa conserva tuttora

l’estensione territoriale primigenia e, visitandola con attenzione, lascia ancora trapelare

sentori del suo originale genius loci. Nella pienezza del suo momento aurorale fu frequentata da viaggiatori attenti alle novità

artistiche e architettoniche che venivano alla ribalta nella città papale, e fu quindi rinomata e

famosa, descritta e ricordata in numerose testimonianze di viaggio. Nel Seicento fu celebrata

in quasi tutte le guide di Roma per la sua magnificenza e per le innovazioni introdottevi dal

duca Girolamo Mattei, nipote del fondatore Ciriaco.

Nonostante il declino economico della famiglia, nel Settecento e nei primi anni dell’Ottocento

il giardino continuò a essere visitato soprattutto da scrittori e poeti. Costoro, pur rimarcandone

lo stato di decadenza, ne esaltarono le qualità panoramiche e ne trassero suggestioni

romantiche e mistiche dovute sia alla posizione isolata, sia alla storia passata e recente,

quando il giardino era utilizzato come sosta per la “refezione” nel rituale pellegrinaggio alle

Sette Chiese, organizzato dagli Oratoriani di S. Filippo Neri2, e poi sede di comunità religiose.

Le testimonianze odeporiche risultano in questo caso di grande importanza per la

ricostruzione delle vicende storiche della Villa, ponendo l’accento sulle trasformazioni d’uso

susseguitesi nei cinque secoli della sua storia: da vigna a giardino aristocratico, da questo a

sede di istituzioni religiose e, infine, a parco pubblico. Da ciò scaturisce anche il mutamento

di percezione e delle aspettative di conoscitori e visitatori, all’interno di una parabola che

vede il sito, in origine marginale e insignificante, conquistare in epoca tardorinascimentale e

barocca una centralità di significati che ne fanno un polo attrattivo dell’interesse culturale, per

poi tornare a un isolamento urbano e percettivo che ancor oggi lo caratterizza.

2. Tra Cinque e Seicento: l’impresa di Ciriaco Mattei Le prime, brevi, menzioni a stampa della villa sono collegate all’impresa dell’elevazione

dell’obelisco capitolino nel giardino, nel 15873, ma alle soglie del nuovo secolo alcune

descrizioni del giardino e dei suoi arredi, ancora in fase di sistemazione, affiorano nei

resoconti di alcuni viaggiatori germanofoni spesso giunti nella città papale al seguito dei loro

prìncipi. Dopo l’austriaco Hans Georg Ernstinger4, a Roma nel 1595, che tra l’altro segnala la

gran quantità di alberi già piantati e il “boschetto” con «diverse bestie a grandezza naturale …

1 Sulle vicende del complesso vd. in generale Villa Celimontana, edited by C. Benocci, Torino, Nuova Eri, 1991. 2 A. Gallonio, Vita del Beato P. Filippo Neri Fiorentino..., Roma 1601, p. 73. 3 A. Fulvio, L’antichità di Roma..., Venezia 1588, p. 141, M. Mercati, De gli obelischi di Roma, Roma 1589,

p. 246. 4 Hans Georg Ernstingers Raisbuch, Ph. A. F. Walther (ed.), Tübingen 1877, p. 98.

981

Page 20: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

con i loro colori e forma naturali»5, nel 1599 la guida di Georg Kranitz von Wertheim6

accenna al giardino con parole che sembrano uscite dalla bocca di Ciriaco Mattei: questo, che

«prima era cosa selvaggia e desolata», ha ora un aspetto «delizioso» e il viaggiatore

desideroso di vederlo può rivolgersi al giardiniere, che, dietro elargizione di una mancia, gli

permetterà di entrare e curiosare. Nell’ottobre del 1599 il giurista Paul Hentzner,

menzionando l’obelisco eretto nel giardino da Ciriaco, approfitta per mettere in risalto la

raccolta di statue antiche e la pletora di sculture di animali disseminate nei boschetti, così ben

fatte da sembrare vive e ingannare, atterrendolo, il visitatore distratto; Hentzner dà avvio alla

consuetudine di citare i pezzi più pregiati della collezione registrando la presenza nel

«Teatro» della testa colossale detta di Alessandro Magno, e, nel casino, del famoso ritratto di

Cicerone e la tavola con raffigurazioni di uccelli e fiori realizzati a commesso marmoreo7.

Due mesi dopo viene messa sulla carta la prima ampia descrizione di cui abbiamo notizia, la

relazione del viaggio del duca Federico di Württemberg, stilata dall’architetto che lo

accompagnava, Heinrich Schickhardt8. Egli si sofferma sulla descrizione dell’area centrale,

con la palazzina e il complesso del Teatro appena realizzato, di cui traccia una mappa

sommaria, e del «boschetto degli animali»; vengono qui menzionati per la prima volta il

Casino di S. Sisto e la «Cleopatra», cioè l’Andromeda di Pietro Paolo Olivieri9.

Nell’anno giubilare 1600 il giardino è menzionato nel diffusissimo Itinerario di Franciscus

Schott10 e nella guida di Ottavio Panciroli11, e negli anni successivi, nonostante non fosse del

tutto completato, comincia a figurare nelle guide cittadine12. Ma sono i resoconti dei

viaggiatori a offrirci le descrizioni più salienti del complesso. In concomitanza del suo

soggiorno a Roma, avvenuto prima del 1614, il canonico tedesco Johann Heinrich von

Pflaumern13 ribadisce la raffinatezza dei giardini, definendoli «di gran lunga i più piacevoli

tra quelli romani», e ne loda la collezione di statue e iscrizioni; passa poi alla relazione

dettagliata del Teatro, dove sono collocate sculture in peperino dipinto e il gruppo della

«baruffa» tra sostenitori di Spagna e di Francia con la morte del cuoco «Bruttobuono» durante

una sassaiola14, immortalata nella nota incisione di Francesco Villamena (fig. 1); fornisce

inoltre un dilettoso ragguaglio delle molte fontane, in quel momento in via di costruzione,

soffermandosi su quelle “stillanti” «che, come da rocce, spandono goccia a goccia un filo

d’acqua». Viene, infine, menzionata anche la sistemazione di «un muro in laterizio, dove sono

affisse moltissime iscrizioni antiche», che mostra sorprendente coincidenza lessicale con

l’inventario ereditario del 161415: tale precisione fa pensare che la visita di Pflaumern sia stata

condotta a fianco di una guida davvero speciale, forse Ciriaco in persona, che deve avergli

illustrato minuziosamente gli aspetti e i significati dell’amato giardino, fino a metterlo a parte

dell’iniziativa di aver posto il fidecommesso sulla proprietà, obbligando gli eredi a spendere

annualmente almeno seimila scudi d’oro per la cura di essa. Anche il letterato e collezionista

genovese Gian Vincenzo Imperiale16, nel 1609 a Roma, ci lascia una complimentosa

descrizione di questo giardino «oltre meraviglioso ... che in Roma, e poco dir volli, in tutto il

5 Tutte le traduzioni dei testi citati sono a cura di chi scrive. 6 G. Kranitz von Wertheim, Delitiæ Italiæ..., Frankfurt am Mayn 1599, pp. 119-120. 7 P. Hentzner, Itinerarium Germaniæ, Galliæ, Angliæ, Italiæ..., Norinbergæ 1612, p. 300. 8 H. Schickhardt, Beschreibung einer Reiss..., Mömpelgard 1602. Il manoscritto del 1599 si conserva presso la

Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda, Cod. hist. qt. 148, b (Tagebuch der Romreise), cc. 61-64. 9 Vd. A. Cremona, Pietro Paolo Olivieri e l’Andromeda: identità difficili (ed. online). 10 F. Schott, Itinerari Italiæ Rerumque Romanarum..., Antverpiæ 1600, p. 66. 11 O. Panciroli, I tesori nascosti nellôalma città di Roma, Roma 1600, p. 496. 12 Già nel 1610 Pietro Martire Felini, nel Trattato nuovo delle cose meravigliose dell’alma città di Roma (Roma

1610, p. 212), segnala la dotazione di «bellissime statue, fonti mirabili, & intrattenimenti molto nobili». 13 J.H. Pflaumern, Mercurius Italicus..., Augustæ Vindelicorum 1625, pp. 228-229. 14 «In mezzo al prato ci sono raffigurazioni divertenti di Spagnoli e Francesi che fanno a sassaiola». 15 R. Lanciani, Storia degli scavi di Roma... Volume terzo..., Roma 1908, p. 95: «muro delle iscrittioni antiche». 16 Viaggi di Gian Vincenzo Imperiale..., Genova 1898, pp. 68-69.

982

Page 21: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

mondo più bella delizia di questo paradiso terreno invenire non si puote»: vi annovera «cento

e più statue marmoree», 36 fontane «con mirabile magistero lavorate», e «diversi curiosi

laberinti di mortelle». Più breve, ma non meno interessante, è il resoconto dell’architetto

tedesco Joseph Furttenbach, a Roma tra il 1610 e il 1620: oltre a menzionare anch’egli le

statue di animali dipinte al vivo nel boschetto, l’obelisco, i pergolati a galleria realizzati con

melangoli educati a spalliera, il labirinto, segnala per la prima volta le «grotte» (ovvero i

ninfei) e i «giuochi d’acqua» che, schizzando all’improvviso dalle siepi, sorprendono gli

ignari visitatori17.

Fig. 1. Francesco Villamena, La “baruffa” con Villa Mattei nello sfondo, 1601, incisione

Nell’altro anno giubilare del 1625, appare anche la guida di Giulio Mari18, illustrata con

incisioni di Giacomo Crulli de Marcucci, che concede ampio spazio alla Villa fornendo

dettagli sulla sistemazione del giardino: qui viene finalmente dato ampio risalto alle fontane e

sono ricordate quelle delle Colonne, dell’Atlante, del Diluvio, della Natura, del Bollore, della

Sirena, dei Delfini, insistendo sulla presenza dei giuochi e degli scherzi d’acqua, caratteristica

rimarcata anche dalla guida di Alessandro Donati, di tredici anni più tarda19, e in quella di

Filippo De Rossi del 164520.

3. La magnificenza ducale di Girolamo Mattei A cavallo tra il quarto e il quinto decennio del Seicento, mentre Girolamo Mattei, in procinto

di ottenere il titolo di duca di Giove, si affannava ad ampliare e rinnovare il giardino di

Ciriaco, alcuni viaggiatori stranieri visitano la Villa, senza tuttavia fare menzione dei nuovi

17 J. Furttenbach, Newes Itinerarium Italiæ…, Ulm 1627, p. 120. Simile è la descrizione contenuta in S. Schröter, Historica Totius Terrarum Orbis, Erfurt 1620, dove però non si fa menzione di fontane (pp. 465-466). 18 G. Mari, Grandezze della città di Roma..., Roma 1625, p. 52v. 19 A. Donati, Roma vetus ac recens utriusque ædificiis, Romæ 1638, p. 397. 20 F. De Rossi, Ritratto di Roma Moderna, Roma 1645, p. 437.

983

Page 22: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

lavori e di fatto “snobbando” le meraviglie del giardino, salvo segnalare, per la prima volta, la

presenza del sarcofago detto “delle Muse”, importante opera antica acquisita all’epoca di

Ciriaco, ma solo in quel momento valorizzata dalla sua nuova collocazione nell’area del

Teatro21.

Solo a partire dalla fine degli anni Cinquanta ci si preoccupa di annunciare i nuovi interventi

commissionati da Girolamo e inaugurati nell’anno giubilare 1650. Nell’edizione della guida

del 1658, Fioravante Martinelli sottolinea che il giardino era stato «accresciuto di fabrica e di

sito, & arricchito di maggior copia d’acqua, e d’ogni varietà di agrumi, in modo che l’ha reso

godibile in tutte le stagioni»22, ma l’esaltazione dei lavori di Girolamo appare più formale che

sostanziale. Nelle descrizioni a stampa non vengono, infatti, mai citate le nuove fontane

progettate da Gian Lorenzo Bernini (fig. 2) o descritte le innovazioni del «giardino novo», la

grande area verso i SS. Giovanni e Paolo, acquistata lotto dopo lotto e annessa alla Villa tra il

1635 e il 1637 (fig. 3). Viene, però, oramai incluso nelle narrazioni l’imponente sistema idrico

messo in piedi da Ciriaco e dai suoi successori, come attestano, prima Pierre Duval23,

geografo di Luigi XIV, e poi due viaggiatori inglesi, Richard Lassels, che è a Roma intorno al

1654 e loda «i giuochi d’acqua, le grotte ... i luoghi dove ci si bagna»24, e Francis Mortoft, che

nel 1659 dedica diverse osservazioni all’apparato ludico-idrico della Villa, osservando «una

Fig. 2. Giovan Francesco Venturini, Fontana del Tritone... del Signor Duca Mattei, 1684-86, da G. F. Venturini, G. G. Rossi, Le fontane ne’ Palazzi e ne’ Giardini di Roma, III, tav. 19

21 J. Huguetan, Voyage dôItalie curieux et nouveau..., Lyon 1681, p. 297, e J. Raymond, An Itinerary: Contayning a Voyage, Made Through Italy, in the Yeare 1646, and 1647, London 1648, p. 112; quest’ultimo

annota che «nella Villa Mattei ci sono un’antica Pila [il sarcofago delle Muse], una Piramide [l’obelisco], il

Colosso di Alessandro [la testa colossale cd. di Alessandro Magno], che sono cose di gradimento per il sapiente,

come le altre delizie dei giardini lo sono per il profano». 22 F. Martinelli, Roma ricercata nel suo sito, Roma 1658, pp. 17, 22. Un riconoscimento degli sforzi fatti da

Girolamo si troverà anche nella Roma antica e moderna di Federico Franzini (Roma 1660, p. 406) e nella Nota delli musei, librerie, galerie et ornamenti di statue e pitture ne’palazzi, nelle case e ne’giardini di Roma,

pubblicata da Giovanni Pietro Bellori nel 1664. 23 P. Du Val, Le voyage et la description d’Italie..., Paris 1656, p. 243. 24 R. Lassels, The Voyage of Italy… The Second Parts…, Paris 1670, pp. 119-120.

984

Page 23: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

grande creazione di giuochi d’acqua i cui getti vengono su da piccole navi», «una graziosa

fontana che emette la fuoriuscita dell’acqua molto dall’alto in piccoli ruscelli» e diversi

giuochi d’acqua che sorprendono piacevolmente il visitatore25.

Nella seconda metà del Seicento sembra prevalere un interesse esclusivamente antiquario,

almeno da parte dei viaggiatori anglosassoni come Philip Skippon, che include una

descrizione del complesso nel diario del viaggio, risalente al 1663-166426. Anzi, fino alle

soglie del secolo successivo la Villa scompare dalla carta stampata, se si eccettua la breve

segnalazione “tecnica” sul funzionamento della Fontana delle Colonne (peraltro realizzata

all’epoca di Ciriaco), nel Dictionnaire dôArchitecture dell’architetto Augustin-Charles Daviler

del 169327.

4. Le testimonianze del declino: il Settecento La decadenza della famiglia e il conseguente affievolirsi della spinta creativa che non produce

più realizzazioni all’avanguardia, nonché il decadimento stesso dei giardini, provocano un

allontanamento dei viaggiatori colti in cerca di novità architettoniche e giardinistiche. Chi si

riaffaccia a partire dall’inizio del Settecento sono i connaisseurs, intenditori e collezionisti

d’arte, interessati alle opere antiche e alle “curiosità” ospitate nelle ville romane28. Nel 1702

Bernard de Montfaucon pubblica una descrizione della Villa in cui si limita a segnalare,

25 Francis Mortoft: his Book Being his Travels through France and Italy. 1658-1659, London 1925, pp. 133-135. 26 A. Churchill, J. Churchill, A Collection of Voyages and Travels, vol. VI, London 1732, p. 670. 27 A.-C. Daviler, Dictionnaire d’Architecture ou explication de tous les termes… Tome second, Paris 1693,

pp. 56-57. 28 È il caso del langravio Carlo di Assia-Kassel e del conte Johann Balthasar Klaute che nel 1700 si fanno

accompagnare da un «Antiquarius», probabilmente un “cicerone” romano; dopo aver accennato alla nuova

sistemazione della piazza con al centro la colonna di granito orientale sormontata da un’aquila di metallo dorato,

simbolo araldico dei Mattei, alla sistemazione nei giardini di 60 urne cinerarie antiche, di diverse fogge, il

resoconto registra la lamentela per la scarsa manutenzione con cui sono tenute le fontane e il labirinto (J. B.

Klaute, Diarium Italicum…, Kassel 1722, p. 183).

Fig. 3. Giovanni Battista Falda, Pianta del Giardino dell’Ecc.mo Sig. Duca Mattei, incisione da Li Giardini di Roma con le loro piante alzate e vedute in prospettiva, Roma, 1683, p. 18

985

Page 24: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

assecondando la sua competenza di paleografo e antiquario, i pezzi più pregiati della

collezione d’antichità: non una parola sul giardino, sulle fontane e, ovviamente, sulle tanto

prima esaltate statue moderne29. Sopperisce a questo la guida di Giacomo Pinarolo pubblicata

l’anno successivo a Roma, che, oltre a una accurata segnalazione delle antichità presenti nella

Villa, si sforza di rendere ragione degli ancor vitali artifizi fontanieri30.

Ugualmente dettagliata appare la relazione di un anonimo viaggiatore pubblicata a Londra nel

1757 con lo pseudonimo di Monsieur de Blainville, ma redatta dopo una visita avvenuta nel

1707; mentre, però, si dilunga sui capolavori d’arte lì esposti, pochi ragguagli riserva al

giardino: oltre al solito cenno sugli scherzi d’acqua contro gli ignari visitatori, il resoconto

elenca numerose fontane, tutte però riferibili all’epoca di Ciriaco. L’elemento più interessante

di questo resoconto, che evidenzia il gusto per il “panorama” dei viaggiatori del Grand Tour

della seconda metà del Settecento, è il rilievo accordato ai valori paesaggistici del complesso:

le «prospettive» dalla Villa «sono estremamente piacevoli, sia sulla campagna sia sul grande

Circo [Massimo]»31.

Fino agli anni Trenta del XVIII secolo è un susseguirsi di descrizioni più o meno complesse,

che attestano ancora lo splendore dell’arredo del giardino e del palazzo32. Deseine, Wright33,

Roisecco34, i Richardson35, invitano ancora il lettore a visitare la villa dei Mattei. L’ultimo in

tal senso, a parte un brevissimo cenno nel diario di viaggio di Montesquieu36, pare essere il

viaggiatore e archeologo tedesco Johann Georg Keyssler, a Roma nel 172937, che giudica

fontane e statue «di gran valore», ma sentenzia che «il labirinto è brutto»38.

La messa in vendita della maggior parte delle opere d’arte della Villa, imposta dal fallimento

economico della famiglia, si riflette immediatamente nella percezione dei visitatori. La prima

testimonianza in tal senso, è quella contenuta nel giornale di viaggio del maggiordomo di

Federico Cristiano di Sassonia, Joseph von Wackerbarth-Salmour, poco meno di sei mesi

dopo la decisione di Clemente XII di acquistare alcune statue della Villa (17 dicembre 1738):

«sebbene il Giardino Mattei divenga quasi un deserto e le migliori statue siano state vendute o

cadano in rovina, restano ancora 10 e 12 pezzi assai rari»39.

29 B. de Montfaucon, Diarium Italicum…, Parisiis 1702, pp. 149-150. 30 G. Pinarolo, L’Antichità di Roma... Tomo primo, Roma 1703, pp. 384-389; vengono ricordate: la «gran

Fontana di sfera rotonda coll’Aquila» che «getta acqua di continuo»; «un quadrato bislongo, il quale fa

prospettiva ad una fontana ornata di scherzetti di acqua attorno»; le «fontane dai lati per dritta linea, & altrettanti

bacili di pietra, e sotto di esse è un ornamento di conchiglie con altrettante fontane fatte con simetria curiosa»; la

fontana delle Colonne, nel cui nicchione «sorge una girandola di acqua in gran copia, e con forza ammirabile,

che contrasta nella volta dell’Arco della medesima nicchia, donde cade per la vehemenza nell’istesso vaso dove

si risolve tutta in fumo»; quella di Ercole con l’Idra, dalla quale «apparisce l’Iride, o vero Arco Baleno, e

vedendo questi combattimenti d’acqua, restano bagnati i circonstanti per la parte posteriore, e nell’istesso tempo

sono assalliti da una gran pioggia, che viene di sopra, e difficilmente si può sfuggire di non esser bagnato»;

quella dei Mostri Marini, «dai lati della quale sono posti due Tritoni con un vaso in mano per ciascheduno, dal

quale sorge un risalto d’acqua di altezza di dodici palmi, & un combattimento di diversi animali maritimi, con

scherzi di acqua, con pioggie da alto in gran copia»; infine, la scala «con molti scherzi, e giuochi d’acqua». 31 Travels through Holland, Germany, Switzerland, but especially Italy by the Late Monsieur de Blainville... Vol. II, London 1757, pp. 553-555. 32 F.-J. Deseine, Rome moderne… Tome troisiéme, Leide 1713, pp. 785-788. 33 E. Wright, Some Observations Made in Travelling through France, Italy, &c. in the Years 1720, 1721 and 1722, London 1730, pp. 337-338. 34 G. Roisecco, Roma antica e moderna... Tomo primo, Roma 1750, p. 77. 35 J. Richardson, J. Richardson, Traité de la peinture, et de la sculpture… Tome III, Amsterdam 1728, pp. 299-

304. 36 Voyages de Montesquieu... I, Bordeaux 1894, p. 217. 37 G. Schütze, Das Leben Johann Georg Keyßlers, Hannover 1751, p. IX. 38 J.G. Keyssler, Fortsetzung Neuester Reisen, durch Teutschland, Böhmen, Ungarn, die Schweitz, Italien und Lothringen... [vol. II], Hannover 1741, pp. 138-140. 39 Il passo, inedito, mi è stato cortesemente segnalato da Maureen Cassidy-Geiger che ringrazio. Per il diario del

conte von Wackerbarth-Salmour, vd. M. Cassidy-Geiger, Diplomatic Correspondence between Counts Brühl

986

Page 25: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Altri autori continueranno a elencare le particolarità e le ricchezze della Villa, senza lasciar

trapelare i segni pur tangibili della sua decadenza40, ma alla Description dell’abate Richard41 i

giardini Mattei ispireranno una considerazione illuminante, forse applicabile, in quel periodo,

a molte altre dimore romane di delizia: «queste case e questi giardini emanavano senza

dubbio un grande fulgore al momento della loro creazione, ma alla lunga le statue esposte

all’aria si rovinano, la vegetazione si deteriora, gli edifici sono trascurati, e la maggior parte

ha un’aria miserabile: le belle statue di cui sono popolate somigliano a degli eroi tenuti per

incantamento in una prigione dove sono confinati».

Analogo senso di abbandono promana dalle pagine coeve: l’astronomo francese de Lalande,

per esempio, che vede la Villa nel 1765-1766, ammette malinconicamente che «una volta era

molto bella», ma resta ancora «una delle più interessanti di Roma; anche se abbandonata e

pressoché incolta»42. Così pure nella Teutsche Akademie di Joachim von Sandrart43 si afferma

che «una volta era un’ammirevole residenza di campagna, ma oggi non è per niente visitata,

piuttosto si va via». Decisamente negativo è il giudizio del conte finanziere e collezionista

francese Pierre-Jacques-Onésime Bergeret de Grancourt che nel dicembre 1773 visita la Villa

assieme all’architetto e disegnatore Pierre-Adrien Pâris e al pittore Jean-Honoré Fragonard:

«eccoci a Villa Mattei, un’altra villa meno rilevante, ma che si vede con gran piacere per la

quantità di figure antiche che vi si vedono. Non trovo però che ve ne siano molte da annotare

e di prima qualità. La quantità e la varietà delle acque costituiscono uno dei grandi pregi di

queste ville; esse sono d’altronde in uno stato di abbandono che non può che servire a

riempire la testa dei pittori di scene piacevoli sul quadro»44, alludendo forse alle numerose

vedute tratte circa un decennio prima da Robert Hubert (fig. 4). Di simile avviso è il marchese

de Sade, che la vede tre anni dopo: «in generale tutto sembra mal tenuto in questa casa, e si

soffre guardando tanta bellezza ridotta in questo stato di disordine e di abbandono, al quale

contribuisce verosimilmente sia il poco gusto del padrone, sia la negligenza di un portiere

stupido e mercenario». Va però riconosciuto al “divin Marchese” il merito di essere stato

l’unico visitatore a descrivere le pitture commissionate negli anni Venti del Seicento dal figlio

di Ciriaco, Giovanni Battista, a decorazione delle volte delle stanze del palazzetto45.

La pubblicazione, a partire dal 1776, dei tre volumi del catalogo dei Vetera monumenta quæ in hortis Cælimontanis et in ædibus Matthæiorum adservantur, curato da Ridolfino Venuti e

completato da Giovanni Cristoforo Amaduzzi, è il prodromo della definitiva spoliazione del

giardino della ricca collezione di antichità; il fatto viene curiosamente annotato nella

recensione del catalogo, venduto a Roma per «360 paoli», apparsa su un periodico inglese del

178146: «sia la villa che i giardini Mattei sono oggi molto decaduti; una gran parte delle

antichità prima lì conservate sono state trasferite ad altri proprietari o in altre collezioni; in

particolare dodici delle statue più belle e numerosi busti e rilievi al nuovo Museo Vaticano».

and Wackerbarth-Salmour during Crown Prince Friedrich Christian’s Grand Tour-cum-Cure in Italy, 1738-1740, in Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) Ein sächsischer Mäzen in Europa, U.Ch. Koch, C.Ruggero

(eds.), atti del convegno internazionale, Dresden-Roma 2017, Dresden, Sandstein Verlag, 2017, pp. 300-492. 40 Di tono ancora possibilista è Charles de Brosses il quale, in una delle lettere scritte dall’Italia tra il 1739 e il

1740, ammette che «Villa Mattei merita assai il fatto di avervi fatto una sosta», evidenziandone l’impareggiabile

vista sulle rovine delle Terme di Caracalla (Lettres historiques et critiques sur l’Italie... Tome III, Paris 1840, pp.

118-120). 41 J. Richard, Description historique et critique de l’Italie... Tome VI, Dijon 1766, pp. 169-175. 42 J.-J. de Lalande, Voyage en Italie… Tome Troiseme, Genéve 17903, pp. 292-294. 43 J. von Sandrart, Teutsche Akademie der Bau-, Bildhauer- und Maler-Kunst, Volume 5, 1772, pp. 56-57. 44 Bergeret et Fragonard. Journal inédit d’un voyage en Italie. 1773-1774…, M.A. Tornézy (ed.), Paris 1895,

pp. 156-157. 45 D.-A.-F. de Sade, Voyage d’Italie..., P. Klossowski, G. Lély, G. Daumas (eds.), Paris, Tchou, 1967, pp. 289-

290. 46 The Critical Review, or, Annals of Literature, Vol. 52, 1781, pp. 229-230.

987

Page 26: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Fig. 4. Hubert Robert, Veduta idealizzata dei terrazzamenti meridionali di Villa Mattei, circa 1760, disegno a sanguigna, mercato antiquario

4. I relitti del “naufragio”: la melanconia delle descrizioni ottocentesche La condizione di abbandono della Villa si farà ancor più negletta col volgere del nuovo

secolo47, orientando la percezione dei visitatori in senso romantico e decadente. Così ne parla

già nel 1795 la scrittrice danese Sophie Christiane Friederike Brun che per due volte

nell’inverno di quell’anno passeggia nella villa assieme al compatriota archeologo e

numismatico Jørgen Zoega, soffermandosi sia sullo spettacolare panorama, sia su particolari

di intenso valore poetico come l’immagine del sarcofago delle Muse, in cui riconosce la

figura di Omero sopra la cui calva testa «un solitario germoglio di edera ... ha formato

un’incantevole corona» così da commuovere gli astanti48. Questa condizione melanconica

diviene essa stessa un valore intrinseco del giardino da «tutelare»: così la Brun, tornando

nell’inverno del 1803, lamenta che la nuova proprietaria, l’arciduchessa Marianna d’Austria,

«la vuole rifare a giardino inglese», e «si è iniziato di nuovo a tagliare ovunque e, inoltre, a

dipingere di bianco ciò che resta delle antiche statue. Per noi è un grandissimo peccato»49.

Anche gli interventi per ridare splendore alla Villa commissionati nel decennio successivo

dall’ex ministro spagnolo in esilio, Manuel Godoy, non ottengono giudizi lusinghieri da parte

dei visitatori: tra il 1816 e i 1817 la contessa polacca Borkowska vede e critica questi i lavori

descrivendo la Villa in uno stato di disordine50 e lo scrittore Antoine Claude Pasquin detto

Valéry, che vi entra nel 1826, afferma che «i giardini, a lungo abbandonati, sono stati

ripiantati, ma con un gusto modesto»51; Stendhal, infine, nelle Promenades dans Rome, irride

Godoy per il tentativo di dotare la Villa di un laghetto dove poteva manovrare soltanto «una

barchetta, che poteva ospitare solo due persone»52. Ma la stroncatura maggiore viene, ancora

47 Vd. per es. l’Itinerario istruttivo di Roma di Mariano Vasi (Roma 1791, p. 123). 48 F. Brun, Tagebuch über Rom ... in d. J. 1795 und 1796. I, Zurich 1800, pp. 83-86, 120-121. 49 F. Brun, Römisches leben... Erster Theil, Leipzig 1833, pp. 250-251. 50 E. Amadei, Roma in un diario inedito del primo Ottocento, Roma, Palombi, 1961. 51 Valery, Voyages historiques et littéraires en Italie pendant les années 1826, 1827 et 1828... Tome IV, Paris

1831-1833, p. 154. 52 Stendhal, Promenades dans Rome… Tome second, Paris 1829, pp. 218-219.

988

Page 27: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

una volta, da una rivista inglese, The New Monthly Magazine, dove, in un resoconto a puntate

del 182953, si dice che «Villa Mattei, modernizzata e addobbata di nuovo dal suo attuale

proprietario ... è a prima vista un tipo comune di casa di campagna semi-inglese, decorata, o

forse deturpata, con qualche acro di piantagioni comuni, tutto passeggio, tutto geometria, con

le loro misere partizioni di alberi neri, rigidi, e apparentemente solenni. È un buon posto, non

tanto per quello che puoi vedere in esso, ma per quello che puoi vedere da esso». Sulla scorta

di tali giudizi la scrittrice americana Catharine Maria Sedgwick, che visita la Villa nel 1840,

confessa che non la potrebbe anteporre alla «bellezza impeccabile e la perfezione di

ornamento di un parco, di un giardino e delle serre di un nobile inglese, … in rovina e

abbandonata com’è, con i suoi laceri pergolati, i suoi roseti non mondati, le sue statue dai nasi

rotti, e la sua vigna, com’è ora, arida e scura», se non fosse per l’immensa vista che di lì si

gode54.

Nella seconda parte del secolo le opinioni sembrano concordare nella rievocazione della

memoria di ciò che Villa Mattei era stata in passato, apprezzandone le qualità appartate e

silenziose, quasi a farne un ritiro da meditazione. Lo scrittore inglese Augustus John Cuthbert

Hare scrive nelle sue memorie di viaggio intitolate Walks in Rome55, che la Villa merita di

essere visitata presentandosi come «l’ideale di un deserto giardino romano, ricco di grandi

margherite romane, rose, e pervinche sparse a volontà tra resti di antiche statue e colonne».

Émile Zola ricorda, invece, che nella passeggiata lì fatta il 17 novembre 1894 fu colpito dai

«bei bossi tagliati, dall’odore tanto forte e tanto amaro, eucalipti, un viale di aloe, una fontana

a semicerchio, un’altra sotto un portico. Una siepe di rose del Bengala. Magnifici lauri.

Enormi fusaggini. Qualche laurotimo grande come un albero»56. Più tecnico è l’approccio

dell’architetta paesaggista americana Beatrix Farrand, la quale, dopo aver visitato la Villa il 6

aprile 1895, denuncia che «l’assetto si è completamente perduto a causa dei cambiamenti …

l’antico parterre è alquanto distrutto nel disegno. Un viale di vecchi lecci potati è la parte più

vecchio stile del luogo ed è indubbiamente bella … Sono ancora visibili tracce di terrazze, ma

sono state lisciate e stirate in misura tale da non essere più altro che montagnole»57.

L’antica perduta magnificenza del giardino Mattei si converte in poesia di una perduta

maestà, divenendo metafora del declino dell’intera città papale: alle soglie del nuovo e

rivoluzionario secolo è lo scrittore e premio Nobel Romain Rolland a consegnarci, nel

capitolo finale del romanzo-saga Jean-Christophe, uscito nel 1912, un affresco poetico che

pare infiammare di splendore l’oramai morente Villa Celimontana: «andavano in una di

queste ville, relitti del naufragio in cui la splendida Roma del Settecento era affondata sotto le

onde della barbarie piemontese. Avevano una predilezione per la Villa Mattei, questo

promontorio dell’antica Roma, ai piedi del quale venivano a morire le ultime ondate della

Campagna deserta. Seguivano il viale di querce, la cui profonda volta inquadra l’azzurra

catena montuosa, la soave catena degli Albani, che si gonfia dolcemente come un cuore che

palpita … Si sedevano al fondo del viale, sotto un pergolato di rose, addossato a un bianco

sarcofago. Davanti a loro il deserto. Pace profonda»58.

53 Walks in Rome and its Environs. No. XVII. Roman Villas, The New Monthly Magazine and Literary Journal, 1829, I, p. 281. 54 C.M. Sedgwick, Letters from Abroad to Kindred at Home ... Vol. I, London 1841, pp. 218-219. 55 A.J.C. Hare, Walks in Rome… Two Volumes. I, London 1871, p. 304. 56 É. Zola, Mes voyages, Lourdes, Rome: journaux inedits, R. Ternois (ed.), Paris 1958, p. 238. 57 The Collected Writings of Beatrix Farrand, American Landscape Gardener (1872-1959), C. Messinger

Pearson (ed.), Hanover and London, University Press of New England, 2009, p. 33. 58 R. Rolland, Jean-Christophe. Troisième volume de la série… La nouvelle journée, Paris 1912, p. 61.

989

Page 28: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 29: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Organizzazione urbana e strutture sociali nell’Alta Irpinia di inizio XVII secolo attraverso

il resoconto di viaggio di un illustre visitatore straniero Francesco Zecchino

Università Suor Orsola Benincasa – Napoli – Italia Parole chiave: Gian Vincenzo Imperiale, diario di viaggio, feudo di S. Angelo dei Lombardi, paesaggi.

1. Gian Vincenzo Imperiale e il suo acquisto nel Regno di Napoli Nel corso del XVI secolo, nella Napoli vicereale si registrò la crescente presenza e la sempre maggior rilevanza sociale di una nutrita schiera di nuclei borghesi stranieri. Tra questi, in particolare nell’ambito mercantile e finanziario, prevalevano i genovesi. Proprio nel solco di questi considerevoli interessi economici nel Regno di Napoli si ascrive, nel 1631, l’acquisto di un feudo nell’allora Principato ultra da parte di un illustre esponente della Repubblica di Genova. Il feudo era quello di S. Angelo dei Lombardi, nell’attuale provincia di Avellino, e l’acquirente Gian Vincenzo Imperiale, autorevole e poliedrico gentiluomo tra i più facoltosi della città della Lanterna. In effetti l’acquisto fu effettuato da un procuratore dell’Imperiale, che però non si avvide dei tanti crediti ipotecari gravanti sulla proprietà e queste pendenze finirono per ritardare l’effettiva entrata in possesso dei beni da parte del pur legittimo nuovo proprietario. La vicenda, all’attenzione del tribunale di Napoli, appariva tanto ingarbugliata che ancora nel 1632 risultava ben lungi dall’essere risolta e così, l’8 maggio di quello stesso anno, intenzionato a seguire più da vicino il caso e speranzoso di favorirne una più rapida conclusione, l’Imperiale partì da Genova alla volta della capitale del Viceregno spagnolo. La presenza di Gian Vincenzo a Napoli, tuttavia, non portò gli effetti desiderati. Continui ritardi e inadempienze degli amministratori della giustizia protrassero infatti, senza alcun esito, la sua permanenza in città fino al 30 marzo del 1633 quando, nonostante l’acquisto non risultasse ancora legalmente perfezionato (non lo sarà fino al 1636), decise lo stesso di lasciare Napoli e raggiungere finalmente, per la prima volta, il suo nuovo feudo. In poco più di un mese Gian Vincenzo ebbe modo di visitarlo tutto e solo l’8 maggio del 1633, ad un anno esatto dalla sua partenza da Genova, fece definitivo ritorno in patria.

2. I Giornali Una preziosa e dettagliata testimonianza dell’intero suo viaggio è lo stesso Gian Vincenzo Imperiale a fornirla attraverso la stesura di un vero e proprio diario. Il documento, un manoscritto di cui oggi si sono perse le tracce, è stato fortunatamente pubblicato quasi integralmente nel 1898 da Anton Giulio Barrili negli Atti della Società Ligure di Storia Patria. In questi Giornali l’Imperiale offre il racconto completo del viaggio, descrivendo la partenza da San Pier d’Arena1, le varie tappe prima di giungere a Napoli, la lunga permanenza partenopea e, appunto, il soggiorno nei suoi nuovi possedimenti irpini. Riguardo alla cifra stilistica, il testo beneficia delle conclamate capacità letterarie del suo autore. Gian Vincenzo infatti, membro di una delle famiglie più ricche e in vista di Genova (il padre Gian Giacomo fu doge), oltre a seguire le orme paterne in ambito istituzionale (mancò per ben due volte, per un soffio, l’elezione al dogato, fu senatore della Repubblica di Genova ed ebbe svariati altri incarichi politici che lo portarono a compiere numerosi viaggi in Italia e all’estero), fu anche esperto collezionista d’arte e appassionato letterato (autore, tra l’altro, di un apprezzato poema dal titolo Lo Stato rustico). 1 Allora borgo gremito di ville suburbane dell’alta società genovese e oggi Sampierdarena, uno dei più popolosi quartieri di Genova.

991

Page 30: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

I Giornali, un diario quotidiano, dunque, dalla forma elaborata e arricchito da colte citazioni, riportano un interessante spaccato geografico e sociale dell’Italia del XVII secolo. Uno spaccato ancor più straordinario se se ne considera l’autore, ovvero uno degli uomini più autorevoli del suo tempo e viaggiatore navigato, ben avvezzo a relazionarsi con nuove realtà e diversi contesti, un vero uomo di mondo insomma. In questo senso è il Barrili stesso che, nella sua prefazione al manoscritto, ne sottolinea l’importanza per tutto ciò che vi si riflette dei costumi e della società dell’epoca e, riferito nello specifico al periodo trascorso dall’Imperiale nel feudo di S. Angelo, chiarisce che la festosa accoglienza che i sudditi gli riservarono può senza dubbio essere considerata come un saggio, che credo unico, di costumanze feudali, nel tempo che incominciavano a rifiorirsi di più moderne eleganze2.

3. Il viaggio nel feudo di S. Angelo dei Lombardi Il primo contatto dell’Imperiale con l’Irpinia avviene ad Avellino il 30 marzo 1633. Qui l’illustre viaggiatore offre una dettagliata descrizione del parco dei signori della città, i Caracciolo: Questo giardino, signoreggiato da eminente palazzotto del Signore, parte in piano e parte in erto, corrisponde col merito alla fama. Egli è nato, per sua disventura nella sua fortuna, all’ingiurie del verno molto esposto: non conserverebbe il suo corpo, se le membra di lui non fossero composte di tutto quel che più resiste al freddo. Le pergolate di lui, non di aranci o di pomigranati, ma di edere e di lauri regii bisogna che si vestano; i laberinti di lui, non di odorosi mirti, o di fioriti romarini, ma di fetidi bussi o d’infecondi sanguìni 2 G.V. Imperiale, Giornali, a cura di A.G. Barrili, «Atti della Società ligure di storia patria», 29 (1898), 2, p. 293.

Gio. Bernardo Carbone, “Ritratto di Gian Vincenzo Imperiale e familiari”, olio su tela, 1642. Genova, Villa Imperiale di Terralba

992

Page 31: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

convien che si circondino: gli spazi de’ vacui in lui, non di fiori italiani, ma dei fiamminghi è necessario che si coprano; onde in vece delle rose, del garofalo, del gelsomino, e della margherita, la peonia, l’anèmone, il narciso e il tulipano qui pompeggiano. E in ogni modo, perchè dalla maraviglia talvolta vien la grazia, non è men grata all’occhio quella selva, che, rusticana per natura, si mostri dall’arte accivilita, di quel che sia quella spalliera, che, civile per natura, quasi in selva sia ridotta, se dall'arte è abbandonata3. La preziosa testimonianza dell’Imperiale, oltre a certificare la notorietà del parco all’epoca, chiarisce quali e come fossero disposte le diverse tipologie botaniche all’interno del giardino, la morfologia del suo impianto, l’immediata prossimità alla residenza e l’infelice esposizione alle intemperie che, paradossalmente, ne costituiva un punto di forza. L’impiego decorativo di piante comunemente note più per la loro resistenza che per il loro piacevole aspetto determinava, per il narratore, l’originalità di questo giardino, costituendo la prova di come esso risultasse un magistrale esempio dell’arte dei giardini dell’epoca. Sebbene infatti queste piante siano finanche un po’ troppo ingenerosamente denigrate – il fetido bosso per esempio, per quanto effettivamente dalle infiorescenze maleodoranti, è pur sempre uno dei sempreverdi maggiormente apprezzati fin dall’antichità per il suo impiego nell’ars topiaria – lo stesso Imperiale ne esalta al contempo l’abile disposizione all’interno del giardino. Dopo aver passato la notte ad Atripalda, il giorno successivo Gian Vincenzo muove finalmente verso il suo feudo. Affettuosi festeggiamenti dei sudditi scandiscono il suo arrivo in ogni cittadina. La prima è Nusco, dove l’Imperiale prende alloggio nel castello e dove sosta tre giorni. Procede poi verso S. Angelo, il vero fulcro dell’intero possedimento, il cui castello costituirà la sua residenza principale durante l’intera permanenza irpina. Da qui Gian Vincenzo si allontanerà solo per rapide visite agli altri suoi domini o alle zone limitrofe: 14 e 15 aprile Lioni; 19 e 20 aprile Andretta; 24, 25 e 26 aprile Guardia Lombardi, Bisaccia e Morra de Sanctis. Durante il suo breve soggiorno irpino Gian Vincenzo ha dunque modo di conoscere ed osservare vari aspetti di quei territori, che puntualmente annota nei suoi Giornali. In primo luogo emergono le considerazioni circa la condizione viaria. Da Atripalda a Nusco affronta sentieri alquanto incomodi che lo costringono ad abbandonare le confortevoli carrozze e a proseguire direttamente in sella ai cavalli. A peggiorare le cose una pioggia incessante: Non posso compitamente riferire quanti mali passi ne bisognò passare, e quanta pioggia ne convenne sostenere. Basti sapersi che non fu pelo indosso che ben non si bagnasse; né fu cavallo che più volte non cadesse; né fu pedone che in quei pendini assai frequentemente non sdrucciolasse (pp. 369-70). Fortunatamente altrove la situazione è migliore. Da Nusco a S. Angelo Il viaggio è favorito dall’aria temperata e dalla strada accivilita. Non si muove piede, che non si mova su la verde schiena di piacevoli sentieri, che non siano da giardini di frutti, da pergolati di viti, da coltivati di semenze circondati (p. 373). Il tragitto per Lioni è descritto come un continuato sentiere di campi seminati (p. 380), mentre in merito alla strada tra S. Angelo e Andretta, l’Imperiale appunta: Sul mansueto giogo di placide colline stampiamo le nostre orme (p. 390). In effetti, dal punto di vista paesaggistico, in generale l’Imperiale dipinge un quadro molto favorevole del suo feudo. Soprattutto ne apprezza l’orografia e la produttività e la fertilità della terra: Siede [il feudo] sopra erture, che per la maggior parte si sollevano in colli, per alcuna in monti; questi non molto aspri, quelli assai dolci; gli uni e gli altri in tutto fertili; perché dove, non essendo la pianura, non si semina il frumento, o si piantano le viti, o si coltivano i giardini; e dove non sono questi o quelli, ingrandiscono i cerri, le quercie, e i castagni; piante che al paro delle domestiche vengono ad essere fruttifere.

3 Ivi, pp. 368-369. Di qui in avanti il riferimento alle pagine dei Giornali sarà inserito direttamente nel testo.

993

Page 32: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Tutti gli elementi paiono a lui stati propizi. Imperciocchè l’aria da un orizzonte sospeso vi soffia spiriti purificati, e però in ogni stagione salutari; la terra, ricompensata del non suggerir grossi vapori all’aria, dall’aria fecondata, copre di grossa polpa talmente le sue membra, ch’all’arator già mai non mostra l’ossa; l’acqua, ch’è il latte della terra, per le poppe della natura non lascia mancarvi il nodrimento opportuno agli appetiti, non che necessario a’ bisogni (p. 394). Per quanto riguarda l’aspetto urbanistico ed architettonico, i Giornali offrono interessanti informazioni: Le cascine per la campagna non sono rare; le case nelle due città [S. Angelo e Nusco] e nell’altre terre [Andretta, Lioni e Carbonara, l’attuale Aquilonia] sono spesse. Di qui è che nell’abitato le strade sono anguste; le abitazioni, nel di fuora rustiche, nel di dentro polite, per lo più sono strette; alcune comode. … In ognuna di queste terre, oltre le cattedrali, sono più chiese, e molto ben guernite, così di canonici e di preti, come di cappelle e di apparati. Vi sono inoltre alcuni monasteri di frati conventuali e di riformati (pp. 394-395). La condizione delle fabbriche pubbliche, ovvero dei castelli e delle masserie ch’al Barone si appartengono (p. 395), non è buona quanto quella dell’architettura religiosa. Solo il castello di S. Angelo è, tutto sommato, in buono stato; non a caso otterrà una più accurata descrizione nel manoscritto: benchè in alcune parti bisognosa di ristoro [la casa], dimostra in tutto la magnificenza unita alla comodità. Ha vasto cortile; innumerabili intorno a lui le stanze. Ha corte e larghe le scale; sono di marmo gli scalini e gli ornamenti. Ha spaziosa sala: più di sedeci sono al piano di lei le camere. I balconi di lei signoreggiano con una occhiata quasi tutte quelle terre che stanno al padrone, ancora che tra loro lontane, unitamente sottoposte (p. 375). Altre residenze vengono menzionate più fugacemente. Del castello di Nusco si accenna solo ad una comoda stanza; di quelli di Andretta e Morra rispettivamente ad un rovinato castello

S. Angelo dei Lombardi, incisione. Immagine tratta da G. B. Pacichelli, “Il Regno di Napoli in prospettiva”, 1703

994

Page 33: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

(collocato però in ottima posizione: dalla ertura di questo sito godo della bella veduta della circostante pianura) e ad un disfatto albergo (p. 391 e p. 407). A Guardia Lombardi l’Imperiale sosta nella comoda abitazione del Vicario di quel luogo, già che l’albergo del Barone non altro che la propria ruina in sè più non alloggia (p. 400). Anche a Lioni, infine, il castello è totalmente distrutto e non gli resta che prendere dimora in un pubblico alloggiamento (p. 382). Quanto alle strutture sociali, il giudizio di Gian Vincenzo risulta piuttosto severo per entrambi gli ordini in cui principalmente distingue la popolazione, i contadini e i cittadini: I contadini, dalla feracità della campagna fatti neghittosi, per quanto nascano robusti, si allevano tanto pigri, che più tosto a mani spenzolate bene spesso si spasseggiano, di quel ch’a suoi tempi con la vanga in mano si lavorino. … Altresì questi cittadini per lo più sono infingardi, e per conseguenza per lo più si vedon poveri. Se i contadini odiano la fatica, i cittadini non amano l’industria. Quelli si accontentano del poco che giorno per giorno si procacciano; questi si appagano, come se fosse molto, di quel poco che possiedono (pp. 396-397). Addirittura impietose le conclusioni generali: Nel rimanente, questi popoli, non avvezzi alla libertà, non la conoscono; e perché non la stimano, non la bramano. Ma perché da cinquant’anni in qua, essendo sempre vissuti a posta degli affittatori, non hanno mai veduto la faccia dei naturali lor padroni, si sono assuefatti ad una certa licenziosa lor comodità, che senza distorsi nel pensiero della pubblica servitù, fa loro desiderare una tal privata libertà; onde «nec totam libertatem nec totam servitutem pati possunt» (p. 397). Questo particolare passo dei Giornali, con la dotta citazione di Tacito, chiarisce perfettamente quali fossero i parametri con cui Gian Vincenzo Imperiale valutava, e quindi appuntava nel suo diario, gli esiti del viaggio. Per un uomo come lui, colto e di vasta esperienza, era inevitabile che qualunque cosa vista e vissuta nel feudo di S. Angelo fosse messa in relazione con il suo ampio bagaglio di conoscenze. Nei Giornali questo risulta evidente, ad esempio, quando propone alcuni paragoni per sottolineare la pigrizia dei contadini del suo feudo: non sono come i Belgi, dei quali, nelle montagne faticosi e nelle fatiche valorosi, Cesare osservò sì come il lor patire fosse stimolo al lor ben operare; … Né sono come gli alpini Genovesi, de’ quali sì ne’ tempi moderni come negli antichi le prove passarono alle maraviglie, principalmente per essere da que’ monti invitati a’ lor stenti; onde Vergilio, dimostrando nel lor travaglio il lor valore, n’ebbe a dire: «Assuetumque malo Ligurem» (p. 396). Oppure quando si accinge a visitare il parco dei Caracciolo ad Avellino – il desiderio di vedere il giardino di quel Signore è cagione ch’io dimori un’ora. Ho animo di chiederne l’ingresso, perché provo ancor io nelle comodità che Dio mi ha dato nella mia villa di San Pier d’Arena, come il maggior godimento del padrone è quel che gli viene dall’onore del forastiero (p. 368) – e non può fare a meno di evocare la sua villa di San Pier d’Arena, anch’essa munita di un magnifico giardino.

Bibliografia G. Chiusano, «Gian Vincenzo Imperiale Signore di S. Angelo dei Lombardi. Soggiorno nel santangiolese: aprile-maggio 1633», Economia Irpina, 1-6, 1972, pp. 3-36. S. Colucci, «Il soggiorno di Gian Vincenzo Imperiale nel feudo di S. Angelo dei Lombardi dal 3 aprile all’8 maggio 1633», Irpinia, 5, 1929, pp.13-20. N. di Guglielmo, «Gian Vincenzo Imperiale letterato, politico e feudatario dello Stato di Sant’Angelo dei Lombardi», Rassegna Storica Irpina, a. 2004-08, 2012, pp. 55-112. C. Grassi, «La visita di Gian Vincenzo Imperiale a Morra», L’Eco di Andretta, 1/2, 2007, pp. 9 ss. G.V. Imperiale, Giornali, a cura di A.G. Barrili, in «Atti della Società ligure di storia patria», vol. 29, fasc. II, Genova, 1898.

995

Page 34: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

R. Martinoni, Gian Vincenzo Imperiale. Politico, letterato e collezionista genovese del Seicento, Padova, Editrice Antenore, 1983. C. Nardi, «Gian Vincenzo Imperiale e il suo soggiorno napoletano. Un genovese a Napoli nel ’600», Quaderni Ligustici, 111, 1961, pp. 129-160. F. Zecchino, «Art and nature in a lost garden: the Park of the Caracciolo Princes in Avellino», in Best practices in heritage conservation and management. From the world to Pompeii, Le vie dei Mercanti XII Forum Internazionale di Studi. 12-14 giugno 2014 Aversa-Capri, C. Gambardella ed., Napoli, La Scuola di Pitagora, 2014, pp. 1129-1139. C. Ziccardi, «Viaggiatori in Irpinia: il viaggio di Gian Vincenzo Imperiale nel 1633», Vicum, 5, 2005, pp. 117-136.

996

Page 35: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

La città eterna descritta e disegnata dall’architetto veronese Luigi Trezza

Laura Giacomini Politecnico di Milano – Milano – Italia

Parole chiave: Roma, Trezza, Milizia, antichità, Rinascimento, Barocco, Settecento.

1. Roma reinterpretata alla luce del suo bagaglio culturale L’8 aprile 1795 Luigi Trezza (1752?-1823), affermato architetto veronese, giunse a Roma, «Alma Città che da tanto tempo sospiravo di vedere»1, meta ideale e ineludibile per gli artisti desiderosi di «perfezionarsi sopra l’esame degli antichi, e moderni monumenti»2. A Roma, meta principale del suo viaggio durato sette mesi, Trezza si fermò fino al 9 settembre e dedicò quattro mesi a «una regolare visita a tutto ciò che qui si ritrova», preparata, si ipotizza, sulle guide di Roma più rinomate, come l’Itinerario istruttivo di Roma (1794) di Mariano Vasi, e sulla Roma delle belle arti del disegno (1787) di Milizia, e orientata dalle sue già consolidate convinzioni estetiche, frutto di una formazione intrisa della rigorosa cultura classicista di stampo sanmicheliano allora imperante a Verona e di una solida preparazione tecnico-ingegneristica che si riverbera nel pragmatismo delle sue analisi3. Trezza raccoglie memoria scritta e grafica del suo viaggio in 490 carte, riservandone a Roma 316, 130 con disegni; il suo interesse ha come fulcro le antichità e le architetture rinascimentali, in particolare del Cinquecento, tuttavia si allarga ecletticamente anche a edifici dei bassi tempi, barocchi e del Settecento, opere meno in sintonia con i principi guida della sua formazione, spaziando su tutte le tipologie edilizie – infrastrutture, edifici pubblici, chiese, palazzi e ville con i loro giardini – e su elementi decorativi di piazze ed edifici, quali fontane, obelischi, statue e affreschi, con accenni anche alle collezioni conservate in gallerie e musei omettendone, però, descrizioni dettagliate trattandosi di cose fuori del mio istituto. A tutto ciò aggiunge alcune note di colore: descrive feste e processioni e le tante molestie per smungere il danaro subite dai forestieri anche da parte di ignoranti ciceroni. Nell’esame che Trezza fa della stratificata e policentrica città di Roma la sua attenzione si focalizza sui resti dei monumenti antichi e sugli edifici di qualità, mentre trascura, a differenza di quanto fa altrove, sia l’assetto urbanistico e la morfologia dell’Urbe, sia il “vuoto urbano” di carattere pubblico, strade e piazze ricordate quasi esclusivamente per gli arredi urbani che le ornano, quali obelischi, colonne, statue e soprattutto fontane, immortalate in tre schizzi, uno della fontana delle Tartarughe dell’abile Giacomo della Porta che gli piacque moltissimo per le sue bellissime statue. Dell’“inabitato”, i due terzi del territorio interno alle mura aureliane, e dell’area periurbana ricorda solo la presenza diffusa di antiche rovine in orti e vigne e i rinomati giardini delle numerose ville che li punteggiano; su questi ultimi si concentra l’attenzione di Trezza, che si era già cimentato nella progettazione di giardini. Esaminandoli si sofferma sugli ameni siti, sulle componenti vegetali e sugli arredi quali tempietti, fontane, grotte, scalinate con cordonate d’acqua, statue e simili cui dedica numerosi disegni onde servirsene come ispirazione per i suoi futuri progetti: tra l’altro ritrae

1 L. Trezza, Itinerario di me Luigi Trezza descritto localmente cadaun giorno del mio viaggio, e stazione nelle varie Città, e terre della Toscana, Romagna, Regno di Napoli, ed altri Stati…, 1795, Biblioteca Civica di Verona (BCVr), ms. 856, c. 40. 2 L. Trezza, Raccolta degli sbozzi coll’individuale misure delle più cospicue fabbriche di Verona e di altri luoghi fuori di essa dell’aureo secolo 1500, 1796, BCVr, ms. 1010, c. ultima; qui inserisce tra l’altro la bella copia di alcuni schizzi tratti dall’Itinerario raffiguranti edifici di Roma. 3 Per le due precedenti citazioni cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 41 e 295. Su Luigi Trezza e il suo taccuino cfr. almeno: P. Carpeggiani-L. Giacomini, Luigi Trezza architetto veronese. Il viaggio in Italia (1795), Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli, 2011, ove è riportata tutta la bibliografia precedente, e S. Lodi, Michele Sanmicheli nei disegni di Luigi Trezza, Verona, AnceVerona e Valdadige Costruzioni, 2012.

997

Page 36: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

in pianta e alzato le «scalinate, e cadute d’acqua» terminanti in una bella fontana della villa Corsini in Trastevere4.

«Graziosa» fontana delle Tartarughe in piazza Mattei di Della Porta, e «spaccato che dimostra le sei

vasche» della scalinata nel giardino di villa Corsini in Trastevere di Fuga, 1795 (L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 216 e 389 - BCVr ms. 856)

2. I fulcri del suo esame: antichità e architetture rinascimentali Nell’esame delle architetture romane Trezza ha come riferimento la Roma delle belle arti del disegno di Milizia; egli lo cita esplicitamente due volte (descrivendo la Cappella Sforza in Santa Maria Maggiore e il Mercato di Traiano) ma sono numerosi i brani – si veda la descrizione e l’analisi critica del Panteon – ripresi liberamente o alla lettera dal testo di Milizia, studioso di cui il classicista Trezza condivide i giudizi, senza però evitare di dissentire quando lo ritiene necessario: così riguardo all’Arco di Costantino scrive «quest’opera grandiosa che dalli più severi rigoristi viene criticata; tuttavia a me non dispiace, a riserva d’alcune picciole incongruenze» mentre Milizia lo aveva giudicato «la Cornacchia d’Esopo (…). Trista riprova della corruzione del cuore e delle arti» oppure, venendo al Seicento, giudica la Scala Regia in Vaticano di Bernini «cattiva, e tenebrosa» mentre Milizia la considerava rimarchevole anche per «i lumi (…) ricavati con industria»5. Fulcro primario d’interesse per Trezza sono gli edifici antichi e i resti archeologici, in genere giudicati nobili, grandiosi e bellissimi, ammirandone gli ordini architettonici ben proporzionati e di grande elleganza, sebbene talvolta avanzi critiche come nel caso del capitello ionico del tempio di Saturno che ha una «così strana forma che dispiace a vederlo»; per Roma assimila alle antichità le basiliche paleocristiane (e i connessi mausolei e battisteri), che definisce costantiniane o costruite nella forma delle antiche basiliche anche quando ricostruite o significativamente rammodernate in epoca medievale, e ne apprezza gli impianti e l’uso di sequenze di colonne portanti, secondo la lettura semplificatoria in chiave

4 L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 387. Sulla struttura urbana di Roma nel Settecento e sulle sue ville cfr. almeno: Atlante storico delle ville e dei giardini di Roma, a cura di A. Campitelli e A. Cremona, Milano, Jaca Book, 2012; Roma nel Settecento. Immagini e realtà di una capitale attraverso la pianta di G. B. Nolli, a cura di C. M. Travaglini e K. Lelo, 2 voll., Roma, CROMA-Università degli studi Roma Tre, 2013. 5 Cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 178 e 292 per i riferimenti espliciti a Milizia, 186-189 per la descrizione del Panteon, 80 e 165 per le citazioni; F. Milizia, Roma delle belle arti del disegno. Parte prima dell’architettura civile, Bassano, Remondini, 1787, pp. 36-37 e 158 per i commenti sul Mercato di Traiano e la Cappella Sforza, 46-57 per la descrizione del Panteon, 99 e 203 per le citazioni.

998

Page 37: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

neoclassica proposta da Milizia, pur rimarcando la mancanza di «una qualche ragionevole elleganza negl’ornamenti originali solita a mancare in tutti que’ bassi tempi»6. Di tutti questi edifici Trezza descrive l’impianto, apprezzando particolarmente quelli centrici, proposti più volte nei suoi progetti, gli alzati e gli elementi decorativi, specie delle antichità, nonché le tecniche costruttive e i materiali impiegati e ne conserva memoria grafica in 30 disegni, 10 dei quali raffiguranti edifici paleocristiani. Pur affermando più volte di voler trarre spunto nei suoi futuri progetti da edifici antichi e paleocristiani – tra l’altro «assai bello per servire di norme per immitarlo» reputa l’ordine ionico del Teatro di Marcello, come «l’invenzione, e gusto della […] pianta» dell’antichissima chiesa di S.ta Cecilia in Trastevere – i disegni che gli dedica non sono molti poiché spesso rimanda alle tavole pubblicate da Palladio e Serlio, o, per quanto riguarda gli ordini, da Vignola, riproponendo solo raramente rilievi di edifici da loro già delineati. Tuttavia Trezza, come già Milizia, non manca di sottolineare che talvolta le ricostruzioni proposte da Palladio sembrano arbitrarie; scrive, per esempio, riguardo al Foro di Nerva: «io veramente non ho potuto rilevare come il Palladio Architetto potesse ideare un grande edificio sopra queste così scarse rovine»7.

Piante del tempio di Minerva Medica e della chiesa di Santa Cecilia, 1795

(L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 193 e 250 - BCVr ms. 856).

Infine l’attenzione antiquaria insita nella sua formazione lo porta a condannare sia le ripetute azioni di spoglio compiute dal Rinascimento sino ai suoi giorni sugli edifici antichi (Colosseo, Panteon, Basilica di Massenzio) «molto maltratati dal tempo, e più dagli uomini» – così giudica, citando Milizia, «Cose da matti» la santificazione dell’unica colonna superstite della Basilica di Massenzio traslata nella piazza di Santa Maria Maggiore – sia le operazioni di recupero funzionale di strutture antiche e il rinnovamento lessicale di antiche basiliche

6 Cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 73 e 368. Sull’immagine di Roma nel Settecento cfr. almeno: S. Pasquali, «Basiliche civili e cristiane nell’editoria romana d’architettura tra Sette e Ottocento», Ricerche di Storia dell’arte, 56, 1995, pp. 18-29; Architetti e ingegneri a confronto. L’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, 3 voll., a cura di E. Debenedetti, Roma, Bonsignori, 2006-2008. 7 Per le tre citazioni che precedono cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 156, 249 e 176.

999

Page 38: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

operate nel Seicento, come la trasformazione ad uso di Dogana di Terra del Tempio del Divo Adriano, dovuta al perfido architetto Fontana che merita molto biasimo per aver ridotto «in così strana forma questo nobile monumento», oppure il restauro operato a San Giovanni Laterano ove le colonne antiche «sono state impregionate colla strana deccorazione» di Borromini (Trezza scrive erroneamente Bernini) «quale ornamento fa conoscere a quale barbarismo fosse capace quello strano e licenzioso architetto, avendo avuto coraggio di dissipare una tanta quantità di così pregievole marmo»8.

Pianta e sezione della «Scala a chiozola nel cortile di Belvedere nel Vaticano» di Bramante

e spaccato interno della chiesa di S. Andrea in via Flaminia di Vignola, 1795 (L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 172 e 105 - BCVr ms. 856)

L’altro polo di interesse per Trezza sono gli edifici del Rinascimento, con qualche riserva per quelli quattrocenteschi che descrive ma cui dedica solo pochi disegni, tra i pochi la pianta e l’alzato della chiesa di Sant’Agostino che apprezza per il suo bel effetto sebbene avrebbe preferito che le «colonne fossero un pocco più grandiose, e meno ellevata l’altezza del volto», d’altra parte il Quattrocento non era considerato da Milizia che l’alba del gusto risorto. Era invece il Cinquecento il secol d’oro dell’architettura, come lo aveva definito Algarotti già nel 17329, e infatti Trezza trae memoria delle opere di questo secolo in una cinquantina di disegni che ne illustrano l’icnografia, i prospetti e gli elementi decorativi. Trezza ritiene le architetture del Cinquecento meritevoli d’essere vedute e attentamente osservate per il bel stile e il bel gusto delle parti ornative, in particolare quelle di Vignola, le uniche che rileva integralmente. Vignola, d’altronde, considerato arbitro di stile nel proporzionamento degli ordini, rappresentava un terzo polo d’interesse insieme all’Antico e a Palladio per gli architetti classicisti del tardo Settecento. Trezza, comunque, non risparmia critiche neanche ai grandi maestri del Rinascimento: per esempio, a proposito della scala di Bramante nel cortile del Belvedere in Vaticano si chiede «come si possa soffrire di farsi vari ordini nel caso di

8 Per le cinque citazioni che precedono cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 59, 107, 65-66 e 180. 9 F. Algarotti, Opere, vol. XI, Venezia, Carlo Palese, 1794, p. 281.

1000

Page 39: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

questa scala per non esservi punti onde stabilire un termine a ciascun ordine» e conclude «io in questa parte non saprei immitarlo per non far oltraggio al buon ordine d’Architettura» e condanna, sulla scia di Milizia, l’uso del doppio ordine nelle facciate delle chiese, come nel Gesù e in Santa Caterina dei Funari, che «non può mai fare al mio proposito»; infine è molto critico nei confronti di quegli architetti che più si allontanano dai canoni classici come Michelangelo, di cui condanna a più riprese la «originale cattiva maniera raporto almeno alla decorazione» (edifici del Campidoglio, interventi a palazzo Farnese ecc.)10.

3. Un esame allargato: edifici medievali, barocchi e del Settecento Sebbene Trezza prenda in considerazione anche le architetture di periodi meno coerenti con la sua formazione classica, a Roma, esclusa la maggior parte delle chiese ricondotte alle loro origini paleocristiane, sono solo sette le architetture di gotica costruzione o di forma gottica cui dedica una sintetica descrizione, però senza trarne memoria grafica; di queste critica in special modo la decorazione, come fa parlando della casa dei Crescenzi, costruita nella «maniera gottica molto ornata», cioè «con molti intagli, ed ornamenti, tra quali vengono rapresentati animali, ed infinite altre cose che formano un trittume di gusto barbaro»11.

Pianta della chiesa di San Carlo ai Catinari di Rosati e pianta dello scalone del palazzo Corsini in

Trastevere di Fuga, 1795 (L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 271 e 258 - BCVr ms. 856)

Non stupisce infine che Trezza, fedele ai dettami di un rigoroso classicismo, condanni la cattiva maniera degli architetti del Barocco, come Bernini, Borromini e Cortona, e ancor più quella di alcuni suoi contemporanei epigoni dei maestri barocchi, come Marchionni, ritenendo, come il veronese Pompei, che «que’ primi, che cominciarono a dilungarsi dalla

10 Per le citazioni di questo paragrafo cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 264, 172, 269 e 71. Milizia condanna Michelangelo con queste parole “riempiendo tutto di bizzarrie […] guastò il suo secolo, e ne preparò de’ peggiori” (F. Milizia, Roma delle belle arti…, cit., p. 179). 11 L. Trezza, Itinerario…, cit., c. 76. Sul senso che assume per Trezza la definizione “alla gotica” si veda: L. Giacomini, «L’architettura ‘alla gotica’ secondo l’architetto veronese Luigi Trezza: osservazioni tratte dal taccuino del viaggio in Italia (1795)», Hevelius’ webzine, 48, agosto 2012 (www.hevelius.it/webzine).

1001

Page 40: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

buona antica maniera (…) l’hanno però fatto con qualche moderazione, e con licenze assai più di quelle, ch’oggi dì s’usano condonabili»12; nonostante ciò dedica a queste opere una trentina di disegni, quasi sempre planimetrie, mentre trascura prospetti ed elementi decorativi. Egli in genere, come Milizia, apprezza le opere degli architetti barocchi più moderati, quali Maderno, Algardi, Rosati: ritiene, per esempio, San Carlo ai Catinari degna d’essere ammirata per la sua «forma proporzione ed ornamenti», ma, considerando la facciata dettestabile per «li due ordini in essa contenuti»13, conserva memoria grafica solo della pianta. Pur condannando le opere dei maestri meno moderati per gli elementi decorativi contrari ad ogni regola, di poco merito e di una licenziosità che spesso lo disgusta, come nel caso del portico d’accesso a Santa Maria della Pace di Cortona, ne ammira la buona qualità degli impianti e le arditezze tecniche. Rimane colpito, per esempio, dalla sapiente distribuzione delle funzioni nelle Nuove Carceri conservandone memoria in due piante, nonché dalle ardite volte, come quella dell’oratorio dei Filippini, e dalle soluzioni costruttive di scale e rampe, come quella di palazzo Carpegna, di Borromini, per il resto oggetto di una sorta di damnatio memoriæ, in sintonia con Milizia che lo riteneva savio e ingegnosissimo per quanto riguarda la comodità e la solidità delle sue fabbriche pur bollandolo come architetto che «osservò tutte esattamente le regole di disgustar gli occhi»14. Tra i suoi contemporanei Trezza apprezza Galilei, Vanvitelli, Valadier, mentre critica talvolta le opere di Fuga; palazzo Corsini in Trastevere, per esempio, «non merita molta osservazione» perché il gusto del suo architetto «per le sue licenziosità non può essere immitabile» tuttavia ne disegna lo scalone, che apprezza, e l’atrio anche se «ornato con troppi pilastri che lo imbarazzano». La sua condanna cade invece inesorabile su opere come la sagrestia vaticana di Marchionni, di gusto «assai depravato tanto al di fuori che al di dentro», e su Palazzo Braschi di Morelli del quale dice: «Io non ho mai veduto un empietà così grande quanto l’interna divisione di questo palazzo» e conclude «Questa cattivissima fabbrica (…) serve a far epoca dell’Architettura Romana di questo secolo, ed anco del gusto, e discernimento de’ Romani»15. Ciononostante Trezza doveva ritenere, come Milizia, «che fra le Città più cospicue d’Europa la sola Roma può sostenere in architettura tutta la severità della critica, e risultarne sempre la Regina delle Città»16, tanto che progettava di tornarvi.

Bibliografia F. Algarotti, Opere, vol. XI, Venezia, Carlo Palese, 1794. Architetti e ingegneri a confronto. L’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, 3 voll., a cura di E. Debenedetti, Roma, Bonsignori, 2006-2008. Atlante storico delle ville e dei giardini di Roma, a cura di A. Campitelli e A. Cremona, Milano, Jaca Book, 2012. P. Carpeggiani, L. Giacomini, Luigi Trezza architetto veronese. Il viaggio in Italia (1795), Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli, 2011. L. Giacomini, «L’architettura ‘alla gotica’ secondo l’architetto veronese Luigi Trezza: osservazioni tratte dal taccuino del viaggio in Italia (1795)», Hevelius’ webzine, 48, agosto 2012 (www.hevelius.it/webzine). S. Lodi, Michele Sanmicheli nei disegni di Luigi Trezza, Verona, AnceVerona e Valdadige Costruzioni, 2012.

12 A. Pompei, Li cinque ordini dell’architettura civile di Michele Sanmicheli rilevati dalle sue fabriche, e descritti e pubblicati…, Verona, Jacopo Vallarsi, 1735, p. 13. 13 L. Trezza, Itinerario…, cit., c. 270. 14 F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni. Terza edizione (…). Libro Terzo. Degli Architetti dal (…) secolo XV fino al secolo XVIII, Parma, Stamperia Reale, 1781, p. 211. 15 Per le sei precedenti citazioni cfr. nell’ordine: L. Trezza, Itinerario…, cit., cc. 257, 170 e 213. 16 F. Milizia, Roma delle belle arti…, cit., p. 209.

1002

Page 41: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

F. Milizia, Memorie degli architetti antichi e moderni. Terza edizione accresciuta e corretta dallo stesso autore Francesco Milizia. Libro Terzo. Degli Architetti dal ristabilimento dell’architettura accaduto nel secolo XV fino al secolo XVIII, Parma, Stamperia Reale, 1781, F. Milizia, Roma delle belle arti del disegno. Parte prima dell’architettura civile, Bassano, Remondini, 1787. S. Pasquali, «Basiliche civili e cristiane nell’editoria romana d’architettura tra Sette e Ottocento», Ricerche di Storia dell’arte, 56, 1995, pp. 18-29. A. Pompei, Li cinque ordini dell’architettura civile di Michele Sanmicheli rilevati dalle sue fabriche, e descritti e pubblicati con quelli di Vitruvio, Alberti, Palladio, Scamozzi, Serlio, e Vignola, Verona, Jacopo Vallarsi, 1735. Roma nel Settecento. Immagini e realtà di una capitale attraverso la pianta di G. B. Nolli, a cura di C. M. Travaglini e K. Lelo, 2 voll., Roma, CROMA-Università degli studi Roma Tre, 2013. L. Trezza, Itinerario di me Luigi Trezza descritto localmente cadaun giorno del mio viaggio, e stazione nelle varie Città, e terre della Toscana, Romagna, Regno di Napoli, ed altri Stati; qual viaggio fù da me effetuato dal giorno 12 Marzo 1795 sino alli 7 ottobre dell’anno med.mo; ad oggetto d’approfitare sopra l’osservazione d’ogni cosa appartenente alla mia professione d’Architetto ed Ingegnere, 1795 (BCVr, ms. n. 856). L. Trezza, Raccolta degli sbozzi coll’individuale misure delle più cospicue fabbriche di Verona e di altri luoghi fuori di essa dell’aureo secolo 1500, 1796 (BCVr, ms. n. 1010).

1003

Page 42: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 43: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Da “città militare” a “città scientifica” Andreina Milan

Alma Mater Studiorum Università di Bologna – Bologna – Italia Parole chiave: Torino, Città militare, Città scientifica, Johann Georg Sulzer, Gioachino Bonaventura Argentero di Bersezio, Carlo Amoretti, Carlo Denina, Reale Accademia delle Scienze, Ospedale di San Giovanni.

1. Torino/Berlino: dal «Tagesbuch» di Jo. G. Sulzer (1775) alla «Geschichte Piemonts» di C. Denina (1800) Come si creano gli “stereotipi urbani” e come si superano? Quali sono i meccanismi mediatici che riescono a superarli, proponendo letture alternative di promozione e innovazione? Questo paper propone un contributo alla lettura dell’imago urbis torinese in parallelo alla berlinese – basata su corrispondenza epistolare e letteratura odeporica – finalizzato ad individuare le comuni matrici, strutture e costanti narrative che si ripropongono, dall’epoca illuminista sino ai giorni attuali. Il tema – ricorrente nel dibattito passato1 e moderno – alimentato e consolidato dalle cronache dei viaggiatori, contribuirà, in modo decisivo, a modificare, positivamente o meno, la percezione identitaria dei residenti stessi.

2. Lo stato sabaudo dall’Ancien Régime alla transizione illuminista É noto come lo Stato governato dai Savoia abbia costruito la sua stessa esistenza nel contesto europeo, in una continua belligeranza, in patria o in Europa, al fine di stringere alleanze, ottenere guadagni territoriali e stabilità istituzionale. Fra il secolo XVI e il XIX, il ceto nobiliare piemontese, non meno degli strati contadini, sacrifica intere esistenze e sostanze patrimoniali in cambio della disponibilità a seguire il principe nelle sue guerre. Questo costume, assunto a forma mentis di un’intera società, ebbe l’effetto di accrescere il prestigio della dinastia e dei sudditi, consolidando nelle sue forme politico-istituzionali, territoriali e urbane, un corpus compatto e intimamente coeso, che si riconosceva integralmente nelle scelte del sovrano, del suo esercito e della classe dirigente. Con gli accordi del Trattato di Aquisgrana (1748) la partecipazione al conflitto di Carlo Emanuele III di Savoia (1701-1773), a fianco del re di Prussia, aveva conferito allo Stato di Sardegna credibilità a livello continentale e significative compensazioni territoriali. Il regno poteva quindi espandersi verso la pianura padana – con l’acquisizione dell’Alto Novarese nonché delle città di Vigevano, Voghera e Bobbio2 – umiliando la grande potenza francese, costretta a restituire la Savoia ed il porto di Nizza. Carlo Emanuele III «aveva creato e sempre più rafforzato un suo stato-macchina, dove grazie a burocrazia ed esercito, ad un rapporto lineare e gerarchico con loro, sapeva disciplinare – e modernizzare – l’intera società, nobili e ignobili, ignoranti e dotti»3. Infatti è proprio il caso sabaudo, vera e propria eccezione nell’ambito degli Stati della Penisola4 ad offrire «la possibilità di verificare, nel lungo periodo, la trasformazione di un esercito permanente, originariamente fondato su una forte presenza straniera, in un esercito nazionale»5 destinato a

1 E. Gianasso, «Torino 1864. Città e architettura per una nuova identità urbana», 1864 e Torino non fu più capitale. Un evento che mutò la storia del Piemonte e d’Italia. Riflessioni antiche e nuove nel 150° anniversario dei fatti del settembre 1864, Malerba A., Mola di Nomaglio G.(eds.), Torino, Centro Studi Piemontesi ed., pp. 97-127. 2 G. Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna, Vol. 18, Ed. 4, Presso G. Maspero Librajo, Torino, 1843, p. 469. 3 C. Mozzarelli, Le armi del principe. La tradizione militare sabauda, Torino 1988, W. Barberis (ed.), L’Indice dei libri del mese, n. 5, Torino, “L’indice” scarl 1989. 4 G. Hanlon, The Twilight of a Military Tradition: Italian Aristocrats and European Conflicts, 1560-1800, UCL Press, London, 1998, cap. VII “The Piedmontese Exception”, pp. 275-296. 5 P. Bianchi, Sotto diverse bandiere. L’internazionale militare nello Stato sabaudo d’antico regime, Introduzione, 2002 (1), Franco Angeli editore, Milano 2012.

1005

Page 44: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

rivestire il ruolo di modello nel complesso processo di assimilazione delle forze armate degli antichi Stati italiani.

2.1. Una società “in arme” Nella società sabauda «l’internazionale delle armi» rappresentò, del resto, anche una chance diffusa fra i ceti dirigenti, invitati allo svolgimento della carriera diplomatica presso le principali corti europee, nonché occasione per sviluppare brillanti carriere come ufficiali. Nel contesto europeo continentale dell’Ancien Régime lo Stato di Sardegna incarna l’individualità di un sovrano povero, impegnato nella guerra o nella caccia, che viveva au grand aire, circondato da una corte «segnata dalla vita modesta e severa, a carattere prevalentemente militare»6. Lo testimoniano, nella Torino della seconda metà del Settecento le cronache dei sempre più numerosi viaggiatori stranieri – militari, aristocratici e intellettuali, per lo più di lingua e cultura tedesca – che, prefigurando «una città gaia e chiassosa», dai forti contrasti mediterranei – rimanevano fieramente delusi nel ritrovarvi una città – a detta di Keyssler7 e De Brosses8 – dalle strade diritte, di grande eleganza e decoro architettonico9 ma «compassata, severamente governata, militaresca, disegnata a tavolino, dove più che parlare si sussurrava», legata alle sorti della dinastia da un rispetto e timore reverenziale. Tra di essi era comune il giudizio sulla natura monotona della capitale, retta «da una Corte noiosa e abitata da una popolazione per lo più schiva e diffidente»10. Dopo pochi decenni, regnante Vittorio Amedeo III (1726-1796), la percezione di quel clima chiuso e gretto – indice tuttavia di un’economia sobria – appariva profondamente mutata. La lunghissima transizione di Carlo Emanuele, consentiva l’ascesa al trono, nel 1773, del figlio, Vittorio Amedeo, aprendo una stagione di grandi riforme e uno straordinario fiorire di cenacoli ed iniziative culturali. D’altro canto, la rovinosa prodigalità dei suoi ministri – attenti a stupire i viaggiatori per l’esibizione d’inusitata grandeur11 – aveva segnato una svolta nella parsimoniosa gestione delle politiche territoriali e urbane, conducendo lo stato sabaudo sull’orlo della bancarotta12.

3. La cronaca torinese di Johannes Georg Sulzer (1775) Registriamo nel diario di un osservatore d’eccezione, lo svizzero-tedesco Johannes Georg Sulzer (1720-1779) i mutamenti del retrivo mondo di Carlo Emanuele: una temperie vivace, quella torinese della primavera 1775, appena dopo due anni di regno del nuovo sovrano, Vittorio Amedeo13. La cronaca delle due settimane trascorse a Torino è pubblicata nel «Tagebuch einer von Berlin nach den mittäglichen Ländern von Europa», dato postumo alle

6 P. Bianchi, Sotto diverse bandiere, op. cit. 7 Jo. G. Keyßler, Neueste Reise durch Teütschland, Böhmen, Ungarn, die Schweitz, Italien und Lothringen. 1, Hannover, im Verlag Seel. Nicolai Försters und Sohns Erben, 1740. 8 Le président de Brosses en Italie. Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740, R. Colomb (ed.), Parigi, Didier, 1836 ; Tr. it. Ch. De Brosses, Viaggio in italia, 1957, p. 582. 9 S. Bonino, «Nascita di una capitale moderna nelle guide e nei diari di un viaggio del Grand Tour», Studi di Memofonte vol. 10, Firenze 2013, p. 47-51. S. Bonino, «Nascita di una capitale moderna nelle guide e nei diari di un viaggio del Grand Tour», Studi di Memofonte vol. 10, Firenze 2013, p. 47-51. 10 F. Navire, Torino come centro di sviluppo culturale: un contributo agli studi della civiltà italiana, Peter Lang, Frankfurt a.M. 2009, p. 217. 11 Nel 1782 si inizia a progettare il primo vero tipo di luminaria in grado di competere con i sistemi di illuminazione presenti a Parigi, Londra, Napoli, Madrid e Vienna. Cfr. Torino di Luce, A. G. Actis, M. Bodo, M. Broglino, (eds.), Pinerolo, Alzani 2006. 12 R. Bergadani, Vittorio Amedeo III, Paravia 1939, p.392. 13 G. Ricuperati, Lo Stato Sabaudo nel Settecento. Dal trionfo delle burocrazie alla crisi d’antico regime, Torino, Utet Univ., 2001.

1006

Page 45: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

stampe a Lipsia nel 178014 e un anno dopo, in francese, a L’Aia. La circolazione del volume15

in lingua italiana avverrà tardivamente, dopo il 1819, tradotta a cura dell’abate e bibliotecario ligure, Carlo Amoretti, estimatore e amico del Sulzer. Contraddicendo l’ormai consolidata vulgata dei viaggiatori continentali, Sulzer – massimo esponente dell’Enzyklopädie tedesca – non esiterà a definire Torino «tra le più belle città d’Europa», riprendendo, quasi integralmente il giudizio dello scienziato e filosofo francese J.J de Lalande, nel suo Voyage, pubblicato tra il 1769 ed il 177016. Nella piccola capitale sabauda Lalande aveva rintracciato i caratteri di una città emergente destinata ad occupare un ruolo di primo piano tra le città italiane. Del tutto notabile e originale era la presenza di istituzioni assistenziali, insieme produttive e d’istruzione – quali il Collegio delle Province17 o gli Ospizi di Carità18 – pensate per il controllo sociale e il contrasto della mendicità. Tale prospettiva si era intrecciata alla vivacità delle adunanze letterarie e scientifiche, presupposto all’innovazione socio-culturale dello stato sabaudo e all’istituzione dell’Accademia delle Scienze19. Anche sulla popolazione il giudizio di Lalande e Sulzer – quale aderirà anche il franco-inglese Dutens20

– si scostava dalle guide e dalle più note relazioni di viaggio: gli abitanti di Torino non apparivano affatto tristi e schivi, al contrario, parevano dotati di un brio e affabilità «maggiore che nel resto d’Italia»21. Grazie alla politica espansiva avviata dalla corona sabauda, Torino, in quegli anni,viveva un’irripetibile stagione di apertura e scambio, oltre che di interventi di embelissement urbano22. E infatti, lo sguardo di Sulzer, dichiaratamente scientifico, è in grado di apprezzare i mutamenti economici in atto, grazie al nuovo clima culturale: la realtà socio-territoriale del Regno di Sardegna è analizzata in modo oggettivo, sulla base di valutazioni strutturali, urbane, architettoniche e produttive. Lo scopo politico della missione è inteso a valutare le potenzialità di sviluppo del partenariato economico e strategico del Regno di Sardegna con lo Stato Prussiano23. 3.1. Viaggio, visita, relazioni sociali e culturali Lo studioso – già minato nella salute e alla ricerca di condizioni climatiche più favorevoli di quelle germaniche – fu ospite in Torino dal 6-21 maggio 1775, nella dimora 24 del marchese Gioachino Bonaventura Argentero di Bersezio (1727-1796), meglio noto come «Cavaliere di

14 J. G. Sulzer, Tagebuch einer von Berlin nach den mittäglichen Ländern von Europa in den Jahren 1775 und 1778 gethanen Reise u. Rückreise, Leipzig 1780, pp. 198-303. 15 C. Amoretti, Viaggio da Milano a Nizza di Carlo Amoretti ed altro da Berlino a Nizza e ritorno da Nizza a Berlino di Giangiorgio Sulzer fatto negli anni 1775 e 1776, Milano, Giovanni Silvestri, 1819, pp.1-3, pp. 275. 16 J.J. de Lalande, Voyage d’un François en Italie, fait dans les années 1765 et 1766, Yverdon (CH), 1769. 17 P. Portoghesi, Bernardo Vittone. Un architetto tra Illuminismo e Rococò, Edizioni dell’Elefante, Roma 1966, p. 224. 18 Lo sviluppo edilizio di Torino dall’Assedio del 1706 alla Rivoluzione Francese. Conferenza tenuta la sera del 7 Febbraio 1908 dall’ing. Camillo Boggio, Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Anno XLII, Fasc. 5, Torino, 1908, p. 58-59. 19 V. Ferrone, «L’Accademia Reale delle Scienze», G. Ricuperati (ed.), Storia di Torino,V. Dalla città razionale alla crisi dello Stato d’Antico Regime (1730-1798), Einaudi, Torino 2002, pp. 689-733. 20 L. Dutens, Mémoires d’un voyageur qui se repose: contenant des anecdotes historiques, politiques, et litteraires, relatives à plusieurs des principaux personnages du siècle, Londres, Cox Fils et Baylis – Ed. Dulau, 1807, Vol. 1, p. 159-159. 21 P. Gerbaldo, Dal Grand Tour al Grand Hotel. 22 L. Levi Momigliano, «L’immagine della città del Rinascimento alla fine dell’Antico Regime nella letteratura dei viaggiatori e delle guide locali», G. Ricuperati (ed.), Storia di Torino, V, Dalla città razionale alla crisi dello Stato d’Antico Regime (1730-1798), Einaudi, Torino 2002, pp. 1027-1057. 23 M. Schnettger, M. Verga, Reich und Italien in der Frühen Neuzeit, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 185. 24 In contrada dell’Ospedale (ora via Giolitti), oggi noto come “Palazzo Perrone di San Martino”, proprietà della Cassa di Risparmio di Torino.

1007

Page 46: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Brezè»25. Questa figura di militare e studioso, è stata, giustamente, messa in luce per aver esercitato un indiscutibile ruolo di mediatore politico e scientifico a livello europeo26.

Intendente Generale dei Dragoni, ippologo, chimico insigne e già accreditato presso i milieu militari berlinesi – e proveniente da una celebre famiglia di medici di Corte – il Brezè si era distinto nel corso della guerra di successione austriaca (1740-’48) «salendo rapidamente al grado di aiutante maggiore nel reggimento Savoia cavalleria»27. Dopo aver dato le dimissioni si dedicava a lunghi viaggi e soggiorni in Europa anche presso la corte di Federico II di Prussia; nel 1770 il Cavaliere tornava nella capitale sabauda per riprendere servizio e dedicarsi interamente al disegno di riforma dell’esercito sabaudo. Il progetto era volto ad istituire nuovi modelli di addestramento ed organizzazione strategica, su modello prussiano, basati sull’uso moderno e aggressivo dell’artiglieria. Brezé aderiva pienamente alla concezione del consigliere di stato, l’inflessibile conte Gio. Battista Bogino18

(1701-1784), nel voler disporre d’un esercito tecnicamente preparato e affiancato dalla ricerca scientifica e dall’insegnamento, in un settore, come quello bellico, in tumultuosa espansione28. Il grand tour e l’otium torinese erano testimonianza del fervido impegno

25. L. Antonielli, C. Donati, (eds.), Corpi armati e ordine pubblico in Italia (XVI-XIX sec.), Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino editore, 2003, p. 226. 26 D. Dillon Bussi, BREZÉ, «Gioachino Bonaventura Argentero, marchese di Bersezio», Dizionario Biografico degli Italiani Vol. 14, (1972); D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la rivoluzione e l’impero francese, I, Torino-Roma, 1892, p. 204. 27 G. Mola di Nomaglio, Feudi e nobiltà negli stati dei Savoia: materiali, spunti, spigolature bibliografiche per una storia, Lanzo Torinese, 2006, p. 248, 690. 28 F. Corrado, P. San Martino, «Il palazzo dell’Accademia Reale, 1675-1680», Carlo e Amedeo di Castellamonte 1571-1683. Architetti e ingegneri per i duchi di Savoia, A. Merlotti e C. Roggero (eds.), Roma, Campisano, 2016, pp. 117-128.

Giovanni Tommaso Borgogno (dis.), Pianta di Torino Da: Theatrum Sabaudiae (1674). (Fonte: Wikimedia Commons)

1008

Page 47: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

culturale fiorito intorno alla cerchia di giovani aristocratici piemontesi29, costoro, tra loro

strettamente apparentati e cresciuti alla corte di Federico II nel più aggiornato milieu scientifico e militare d’Europa. Lo stesso Brezé, grazie alla durevole frequentazione con padre Gianbattista Beccaria30

– fisico insigne e docente all’Università di Fisica sperimentale – aveva intrecciato relazioni dirette con le figure più prestigiose del mondo scientifico europeo e d’Oltreoceano.

La sua ricchissima biblioteca scientifica, conservata nel palazzo familiare, era messa a disposizione degli studiosi e persino citata nelle guide dell’epoca31. Grazie al prestigio sociale dell’ospite piemontesi, Sulzer era quindi ammesso alla corte sabauda, potendo stringere legami con i più prestigiosi nomi della Torino dei Lumi, accomunati da vincoli d’amicizia ed affiliazione massonica32. Nei quattordici giorni di soggiorno presso Brezé, lo studioso era inoltrato presso i più alti livelli della gerarchia burocratica, militare e accademica: in primis, l’Abate Gio. Battista Vasco33 «attivo presso il Dipartimento di Finanza»34, il Capitano, cav. Antoine Amedée Dubutet35, uno degli esponenti più in vista del Genio Artiglieria nonché «i signori professori dell’Università di Torino, Abati Cigna, Allione e Denina»36.

29 Tra questi: i conti cugini Carlo Ludovico Morozzo della Rocca (1743-1804) chimico e naturalista e Giuseppe Angelo Saluzzo di Monesiglio (1734-1810) chimico e artigliere, con G. L. Lagrange e G. F. Cigna, fondatore della «Società Privata Torinese», che, dopo aver acquisito il nome di «Società Reale», fu trasformata, grazie all’approvazione del sovrano, Vittorio Amedeo III, in «Accademia Reale delle Scienze». A questi si aggiungano: il diplomatico ed economista Carlo Baldassarre Perrone di San Martino (1718-1802), sposo di Paola Argentero e nipote del Brezé; il militare e stratega Casimiro Gabaleone conte di Salmour nonchè Spirito Benedetto Nicolis de Robilant (1722-1801), ingegnere e fautore della metallurgia piemontese e fratello dell’architetto Filippo Gio. Battista (1723-1783). Cfr. P. Bianchi, «Militari piemontesi nell’Impero e negli stati tedeschi tra Sei e Settecento», Italiani al servizio straniero in età moderna, Guerra e pace in età moderna, Annali di storia militare, 1, P. Bianchi, D. Maffi. E. Stumpo (eds.), Milano, F. Angeli, 2008, pp.68-69. 30 D. Arecco, Da Newton a Franklin. Giambattista Beccaria e le relazioni scientifiche fra Italia e America nel sec. XVIII, Accademia Urbense, Ovada, Ass. «Lettere e Arti», Francavilla Bisio - Centro Studi «In Novitate», Novi Ligure, Ass. culturale «Orizzonti Novi», Bruzzone ed. Rivarolo, 2009, p.14. 31 D. Dillon Bussi, «BREZÉ», op. cit. 32 G. Giarrizzo, Massoneria e illuminismo nell’Europa del Settecento, Venezia, Marsilio 1994, p. 444. 33 C. Sunna, «Giambattista Vasco», Il contributo italiano alla storia del pensiero: Economia, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2012. 34 J.G. Sulzer, Tagebuch..., op. cit., pp. 295-296. 35 Noto anche come “De Butet”. Cfr. J. Bernoulli, Zusätze zu den neuesten Reisebeschreibungen von Italien, Vol.I, Berlin, Fritsch, 1777. 36 J.G. Sulzer, Tagebuch..., op. cit., p. 296.

A sinistra: Ritratto di Johannes Georg Sulzer. (Da: Zweihundert deutsche Männer in Bildnissen und Lebensbeschreibungen, Ludwig Bechstein, Leipzig 1854 -Fonte: Wikimedia Commons); al

centro: Ritratto di Carlo Denina (Fonte: Wikimedia Commons); a destra: Ritratto di Carlo Amoretti (Fonte: Wikimedia Commons)

1009

Page 48: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3.2. Urbanistica e architettura torinese, tra Barocco e Classicismo Nel viaggio che lo porterà da Nizza a Berlino, attraversando il Piemonte, lo scienziato annoterà, con dovizia di particolari e considerazioni di carattere enciclopedico, l’assetto geologico-naturalistico e politico-economico dello Stato sabaudo, non trascurando l’esperienza breve ma intensa dell’incontro con i Sovrani e la Corte reale, trasferitisi nel soggiorno estivo della Venaria Reale. Alla forma urbana, alla cultura e alle istituzioni torinesi egli dedica ben centotre pagine, registrando minutamente incontri e considerazioni sulla disposizione urbana, sulla qualità dello sviluppo di «contrada di Dora Grossa»37, sulle fabbriche e gli edifici civili più notevoli, nonché alle istituzioni di valenza formativa e assistenziale. Le osservazioni, redatte in forma di guida ragionata, restituiscono un vivido ritratto della città nell’ultimo scorcio dell’Ancien Régime. Interessato all’architettura razionale di Benedetto Alfieri e Filippo Juvarra alla Cavallerizza Reale, egli nota, senza aderirne al gusto, le forme di Pater Guarini in Palazzo Carignano, riguardo alla facciate e alle complicate figurazioni dello scalone monumentale.

3.2.1. Architettura e innovazione tipologico-formale L’attenzione dello studioso è però rivolta anche alle fabbriche minori tra quelle ‘notabili’della «città nuova»: dalla descrizione si evince non solo l’ammirazione per le forme ben costrutte e proporzionate, quanto, e forse più, per la loro razionale gestione e la ricaduta benefica nel mondo sociale ed economico dello Stato. Sulzer ha cura di riprendere la planimetria dell’imponente Ospedale di San Giovanni Battista38 – evidenziando la crociera e l’omonima cappella a pianta centrale, eseguita nel 1763 su disegno del Castelli39 – per lodarne la funzionalità e l’armonia. Rispetto alla forma asciutta e sobria dello Svizzero – attento alle geometrie compositive, alla qualità cromatica dei rivestimenti marmorei, alla particolare disposizione su livelli separati di fruizione – la versione italiana appare magniloquente e celebrativa. L’impianto è definito «grandioso» e «ben ordinato», la cappella «d’ottimo gusto»

37 La rettifica della «Contrada di Dora Grossa», attuale Via Garibaldi, corrispondeva ad una delle azioni più qualificanti del programma di riforma del Quadrato Romano di Torino, avviato dal sovrano Vittorio Amedeo II su disegno di F. Juvarra. L’intervento, finalizzato alla razionalizzazione fisica e funzionale della città, fu condotto, a partire dal 1729, dai suoi successori. C.fr. C. Roggero Bardelli, «Via Garibaldi, già di Doragrossa “che qui in Torino è come dire il Corso a Roma», P. L. Bassignana (ed.), Le strade e i palazzi di Torino raccontano, Centro congressi Torino Incontra, Torino 2000, pp. 11-40. 38 C. Devoti, «Un palazzo grandioso per il pubblico “conforto” e l’“ornamento della città”: l’Ospedale Maggiore di San Giovanni Battista», A. Merlotti, C. Roggero (eds.), Carlo e Amedeo di Castellamonte, ingegneri e architetti per i duchi di Savoia, Roma, Campisano Editore, 2016, p. 246. 39 L. Tamburini, «Filippo Castelli», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 21, Roma, Treccani 1978.

Da sinistra: Schema della cappella posta all’estremità sud della crociera dell’Ospedale di San Giovanni (da: J.G. Sulzer, Tagesbuch..op. cit. Fonte: Wikimedia Commons). Al centro:Palazzo Argentero, poi Perrone di San Martino, prima dei lavori di ristrutturazione (1929 c.a); G. B.

Maggi, Palazzo dell'Accademia delle Scienze Torino, 1853 (Fonte: Wikimedia Commons)

1010

Page 49: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

su disegno del «sig. Castelli», era stata costruita «a spese del signor march. di Brezè primogenito che lasciò di vivere prima di farla terminare». Il riferimento all’opera – peraltro del tutto trascurato dalla letteratura artistica coeva – esalta quelle forme e proporzioni che meglio incarnavano le concezioni estetiche di Sulzer. Interessante a questo proposito il rilievo del Riccati40 di poco posteriore, che ne evidenzia il carattere formalmente e tipologicamente innovativo, nel quale il carattere sacro del’edificio è immediatamente connesso alla funzione manifatturiera degli ambienti contigui41. 3.3. Controllo sociale e industria bellica La versione (non filologica) dell’Amoretti riporta come «in tutte le Regie fabbriche scorgesi superfluità anziché mancanza d’ornato: l’Università, gli Spedali, il Pannificio, la Fonderia, le fabbriche del tabacco e della carta, e la Collegiata di Soperga42». Un’osservazione particolare veniva rivolta alle forme di filantropismo. Recita l’Amoretti «Intorno a questa ed altre fabbriche costruite a sollievo de’ poveri, descritte da tutti i viaggiatori,una cosa che trovai molto lodevole e analoga agli usi degli antichi Greci e Romani, fu il vedere ora le statue ora i busti, ora i ritratti de’ benefattori; mezzo ottimo per onorarli eccitando al tempo stesso l’emulazione dei viventi e poco usato oltremonti43 ». Altre notazioni ammirate saranno rivolte alle più importanti collezioni antiquarie e bibliografiche: «il Museo d’Antichità e la Biblioteca» nonché alle due maggiori istituzioni assistenziali: l’Albergo di Virtù, luogo di catechesi e formazione professionale per i giovani “conversi”, ebrei e protestanti – e il Monastero delle Dame di Carità44, pensato per sottrarre le fanciulle a povertà e traviamento45, entrambe devolute alla produzione di pannilana e confezionamento di uniformi per l’esercito. Grande interesse suscita la visita ai maggiori opifici operanti nella Città che mostrano come il risveglio delle attività estrattive e produttive del territorio sia parte integrante dell’industria bellica46.

4. Torino-Berlino in una prospettiva d’innovazione urbana Quello di Sulzer è uno sguardo attento a cogliere le affinità tra le struttura socio-culturali (e d’impianto urbano) di Torino e Berlino, sottolineando la centralità del ruolo che l’esercito e la funzione militare assumono come leva di crescita industriale e progresso scientifico. La

40 S. Riccati, «Prospetto del fabbricato della manifattura delle figlie esposte/sezione longitudinale attraverso la chiesa del fabbricato della manifattura delle figlie esposte» [1790 ca.]. ASCT, Collezione Simeom, D 632-633, ASCT, 1790. c.a., C. Devoti, op. cit., ill. 6-7, p. 245. 41 Lo stesso Riccati era esponente di una famiglia baronale Rccati Ceva di San Michele, impegnata tra i secoli XVIII e la prima metà del XIX nel settore manifatturiero, metallurgico e tessile (setifici di Manta e Torino). Cfr.: 42 La basilica juvarriana assurge a modello di pietas regale comune in tutta l’Europa tardo barocca, specie in area tedesca.Cfr: Cornelia Jöchner, «Die Superga als herrschaftliche Votivkirche: ein “Raumtypus” der Frühen Neuzeit», Filippo Juvarra 1678-1736 – architetto dei Savoia, architetto in Europa, vol. II – “Architetto in Europa”, E. Kieven, C. Ruggero (eds), Roma, Campisano Editore 2014. 43 C. Amoretti, Viaggio da Milano …, op. cit., p. 277. 44 Negli Istituti fanciulli e fanciulle orfani o di umile condizione, venivano avviati ad attività oneste come artigiani nel settore della tessitura e tintura di lana e seta. 45 C. Amoretti, Viaggio da Milano …, op. cit. p. 278. 46 Di grande rilievo ebbero le miniere di ferro e d’argento di Groscavallo (specie Rambeisa e Trione) in Val Di Lanzo e sul finire del Settecento, in Val Grande, dell’estrazione di cobalto, impiegato nella lavorazione del vetro. A Groscavallo e Chialamberto erano attive fonderie per la produzione di palle per cannoni, sempre più richieste dallo Stato sabaudo a causa delle frequenti guerre in cui si trovava coinvolto. Cfr.: R. Cerri, Minatori e fonditori di Postua nelle Valli di Lanzo sul finire del XIV secolo, Società Storica delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese 1992 e G. di Gangi, «L’attività mineraria e metallurgica nelle Alpi occidentali Italiane nel Medioevo: Piemonte e Valle d’Aosta: fonti scritte e materiali», British Archaeological Reports, 2001.

1011

Page 50: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

A sinistra: F. Juvarra, Palazzo Madama, Torino 1718-1721(Fonte: Wikimedia Commons);al centro:

A. Schlüter, Berliner Stadtschloss, progetto, 1702 (Fonte: Wikimedia Commons); a destra: Stadtschloss, dettaglio del portale d’ingresso (Fonte: Wikimedia Commons)

testimonianza di Sulzer – che aveva assistito ai tormentati lavori di ristrutturazione dello Stadtschloss47 è particolarmente significativa: il parallelo corre al modello juvarriano di Palazzo Madama – e a quello omonimo a Roma, ad opera del Maruscelli – sono evidenti le analogie col progetto di riforma di A. Schlüter (1702-1704), per la ristrutturazione dell’antico Berlinerschloss48. Il fronte tetrastilo torinese – realizzato posteriormente alla pubblicazione del progetto schluteriano – potrebbe testimoniare contatti e circolazione di modelli formali di matrice classicista romana e veneta, prescelti come standard per la promozione delle piccole città ducali al rango di nuove capitali continentale. Stilemi che si ripropongono nell’edilizia aulica berlinese49, e citati esplicitamente nella voce enciclopedica «Palast»50. A questi incroci – non ancora adeguatamente indagati dalla storiografia architettonica – si aggiunga, di pochi decenni successivo, il contributo, tradotto in lingua tedesca, dello storico e poligrafo Carlo Denina51. Il saggio si rivelerà decisivo nel diffondere e consolidare, in ambito germanofono – anche in piena epoca napoleonica52 – il lustro e prestigio culturale del territorio e della capitale sabauda53. È quindi da una prospettiva “altra” che si verificano (ed esaltano) le vocazione a delineare, a livello europeo – oltre a comprovati intrecci storiografici comuni54– durevoli modelli “vincenti”d’innovazione urbana e mediatico-gestionale nel quadro di nuovi assetti politico-strategici.

47 Facciata realizzata su progetto di Andreas Schlüter e Johannes Friedrich Eosander v. Göthe. 48 G. Hinterkeuser, «Solo un fenomeno parallelo? Sui rapporti tra la giovane metropoli reale di Berlino e Torino e i loro architetti di corte Andreas Schlüter e Filippo Juvarra», Filippo Juvarra, architetto per i Savoia – Architetto per l’Europa (13-16 novembre 2011); Cfr. G. Hinterkeuser, Das Berliner Schloß. Der Umbau durch Andreas Schlüter, Berlin 2003. 49 Interessante l’iterazione dello schema juvarriano, nel perduto Palais Wartenberg poi Alte Post di A. Schlüter (1702-1704). L’edificio, sorto a Cölln nel cuore antico di Berlino, sulle rive della Sprea, fu commissionato dal Primo Ministro prussiano Jo. Casimir Kolbe conte di Wartenberg. Cfr. Die Geschichte des Wartenberg’schen Palais jetzt Restaurant Alte Post Berlin, Burg-Strasse 7, Berlin, 1872. 50 J.G. Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste in einzeln, nach alphabetischer Ordnung der Kunstwörter auf einander folgenden, Artikeln abgehandelt von Johann George Sulzer, Mitglied der Königlichen Academie der Wissenschaften in Berlin [et]c: Dritter Theil, Vol. 3, Leipzig, ey M.G. Weidmanns Erben und Reich 1787. 51 C. Denina – ff F. Strass, Geschichte Piedmonts und der übrigen Staaten des Königs von Sardinien: nebst einer geographisch-statistischen Beschreibung dieser Länder, nach ihrem Umfange vom Jahre 1792, und einer Uebersicht der neuesten Staatsveränderungen von Italien, 1792-1800, p. 4-26. 52 C. Denina, Istoria della Italia occidentale di Carlo Denina Tomo 1.[-6.], Vol. 1 (Capo III –’ “Stato delle scienze e delle arti in Italia Occidentale tra l’anno 1773 e 1808 e primieramente in Piemonte”), Torino, Gaetano Balbino e Michelangelo Morano Libraj, Domenico Pane Stampatore, 1809, pp. 15-34. 53 Un piemontese in Europa. Carlo Denina (1731-1813), G. Ricuperati, E. Borgi (eds.), Bologna, Il Mulino, 2015. 54 V. Sorella, «Il tema dell’Impero nella storiografia sabauda del Settecento, da Lama a Denina», Stato Sabaudo e Sacro Romano Impero, 21/23 novembre 2012, La Venaria Reale/Archivio di Stato di Torino, p. 28.

1012

Page 51: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Bibliografia C. Amoretti, Viaggio da Milano a Nizza di Carlo Amoretti ed altro da Berlino a Nizza e ritorno da Nizza a Berlino di Giangiorgio Sulzer fatto negli anni 1775 e 1776, Milano, Giovanni Silvestri, 1819, pp. 1-3, 275. L. Antonielli, C. Donati, (eds.), Corpi armati e ordine pubblico in Italia (XVI-XIX sec.), Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino ed. 2003, p. 226. R. Bergadani, Vittorio Amedeo III, Torino, Paravia 1939, p. 392. J. Bernoulli, Zusätze zu den neuesten Reisebeschreibungen von Italien, Vol. I, Berlin, Fritsch 1777. P. Bianchi, Sotto diverse bandiere. L’internazionale militare nello Stato sabaudo d’antico regime, Introduzione, 2002, Milano, Franco Angeli ed. 2012. P. Bianchi, «Militari piemontesi nell’Impero e negli stati tedeschi tra Sei e Settecento», Italiani al servizio straniero in età moderna, Guerra e pace in età moderna, Annali di storia militare, 1, P. Bianchi, D. Maffi. E. Stumpo (eds.), Milano, F. Angeli 2008, pp. 68-69. S. Bonino, «Nascita di una capitale moderna nelle guide e nei diari di un viaggio del Grand Tour», Studi di Memofonte vol. 10, Firenze 2013, p. 47-51. D. Carutti, Storia della corte di Savoia durante la rivoluzione e l’impero francese, I, Torino-Roma 1892, p. 204. G. Casalis, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di S.M. il re di Sardegna, vol. 18, Ed. 4, Presso G. Maspero Librajo, Torino, 1843, p. 469. F. Corrado, P. San Martino, «Il palazzo dell’Accademia Reale, 1675-1680», Carlo e Amedeo di Castellamonte 1571-1683. Architetti e ingegneri per i duchi di Savoia, A. Merlotti e C. Roggero (eds.), Roma, Campisano, 2016, pp. 117-128. R. Cerri, Minatori e fonditori di Postua nelle Valli di Lanzo sul finire del XIV secolo, Società Storica delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese 1992. C. Denina, F. Strass, Geschichte Piedmonts und der übrigen Staaten des Königs von Sardinien: nebst einer geographisch-statistischen Beschreibung dieser Länder, nach ihrem Umfange vom Jahre 1792, und einer Uebersicht der neuesten Staatsveränderungen von Italien, 1792-1800, p. 4-26. C. Denina, Istoria della Italia occidentale di Carlo Denina Tomo 1.[-6.], Vol. 1 (Capo III – “Stato delle scienze e delle arti in Italia Occidentale tra l’anno 1773 e 1808 e primieramente in Piemonte”), Torino, G. Balbino e M. Morano Librai, D. Pane Stampatore, 1809, pp. 15-34. C. Devoti, «Un palazzo grandioso per il pubblico “conforto” e l’“ornamento della città”: l’Ospedale Maggiore di San Giovanni Battista», Carlo e Amedeo di Castellamonte, ingegneri e architetti per i duchi di Savoia, A. Merlotti, C. Roggero (eds.), Roma, Campisano ed. 2016, p. 246. D. Dillon Bussi, BREZÉ, «Gioachino Bonaventura Argentero, marchese di», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 14, Roma,Treccani 1972. Die Geschichte des Wartenberg’schen Palais jetzt Restaurant "Alte Post" Berlin, Burg-Strasse 7, Berlin, 1872, pp.1-72. L. Dutens, Mémoires d’un voyageur qui se repose: contenant des anecdotes historiques, politiques, et litteraires, relatives à plusieurs des principaux personnages du siècle, vol. I, Londres, Cox Fils et Baylis, Dulau ed., Londra, 1807, pp. 159-159. V. Ferrone, «L’Accademia Reale delle Scienze», G. Ricuperati (ed.), Storia di Torino,V. Dalla città razionale alla crisi dello Stato d’Antico Regime (1730-1798),Torino, Einaudi, 2002, pp. 689-733. P. Gerbaldo, Dal Grand Tour al Grand Hotel. Ospitalità, lusso e distinzione sociale nel turismo moderno, Perugia, Morlacchi ed., 2009, p.126. G. Giarrizzo, Massoneria e illuminismo nell’Europa del Settecento, Venezia, Marsilio 1994, p. 444.

1013

Page 52: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

G. Hanlon, The Twilight of a Military Tradition: Italian Aristocrats and European Conflicts, 1560-1800, UCL Press, London, 1998. G. Hinterkeuser, Das Berliner Schloß. Der Umbau durch Andreas Schlüter, Berlin Siedler Verlag, 2003. J. G. Keyßler, Neueste Reise durch Teütschland, Böhmen, Ungarn, die Schweitz, Italien und Lothringen. 1, Hannover, im Verlag Seel. Nicolai Försters und Sohns Erben, 1740. J.J. de Lalande, Voyage d’un François en Italie, fait dans les années 1765 et 1766, Yverdon (CH), 1769. Le président de Brosses en Italie. Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740, R. Colomb (ed.), Parigi, Didier, 1836; tr. it. Ch. De Brosses, Viaggio in italia, 1957, p. 582. L. Levi Momigliano, «L’immagine della città del Rinascimento alla fine dell’Antico Regime nella letteratura dei viaggiatori e delle guide locali», G. Ricuperati (ed.), Storia di Torino, V, Dalla città razionale alla crisi dello Stato d’Antico Regime (1730-1798), Einaudi, Torino 2002, pp. 1027-1057. Lo sviluppo edilizio di Torino dall’Assedio del 1706 alla Rivoluzione Francese. Conferenza tenuta la sera del 7 Febbraio 1908 dall’ing. Camillo Boggio, Atti della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Anno XLII, Fasc. 5, Torino, 1908, p. 58-59. G. Mola di Nomaglio, Feudi e nobiltà negli stati dei Savoia: materiali, spunti, spigolature bibliografiche per una storia, Lanzo Torinese, 2006, pp. 248, 690. C. Mozzarelli, «Le armi del principe. La tradizione militare sabauda», Torino 1988, W. Barberis (ed.), L’Indice dei libri del mese, n. 5, Torino, “L’indice” scarl 1989. F. Navire, Torino come centro di sviluppo culturale: un contributo agli studi della civiltà italiana, Peter Lang, Frankfurt a.M. 2009, p. 217. P. Portoghesi, Bernardo Vittone. Un architetto tra Illuminismo e Rococò, Edizioni dell’Elefante, Roma 1966, p. 224. G. Quazza, «BOGINO, Giovanni Battista Lorenzo», Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Treccani, 1969. S. Riccati, «Prospetto del fabbricato della manifattura delle figlie esposte/sezione longitudinale attraverso la chiesa del fabbricato della manifattura delle figlie esposte» [1790 ca.]. ASCT, Collezione Simeom, D 632-633, ASCT, 1790. c.a., C. Devoti, op. cit., ill. 6-7, p. 245. G. Ricuperati, Lo Stato Sabaudo nel Settecento. Dal trionfo delle burocrazie alla crisi d’antico regime, Torino, Utet Univ., 2001. C. Roggero Bardelli, «Via Garibaldi, già di Doragrossa “che qui in Torino è come dire il Corso a Roma», P. L. Bassignana (ed.), Le strade e i palazzi di Torino raccontano, Centro congressi Torino Incontra, Torino 2000, pp. 11-40. V. Sorella, «Il tema dell’Impero nella storiografia sabauda del Settecento, da Lama a Denina», Stato Sabaudo e Sacro Romano Impero,21/23 novembre 2012, La Venaria Reale/Archivio di Stato di Torino, p. 28. J. G. Sulzer, Tagebuch einer von Berlin nach den mittäglichen Ländern von Europa in den Jahren 1775 und 1778 gethanen Reise u. Rückreise, Leipzig 1780, pp. 198-303. J.G. Sulzer, voce «Palast», Allgemeine Theorie der Schönen Künste in einzeln, nach alphabetischer Ordnung der Kunstwörter auf einander folgenden, Artikeln abgehandelt von Johann George Sulzer, Mitglied der Königlichen Academie der Wissenschaften in Berlin [et]c: Dritter Theil, Vol. 3, Leipzig, ey M.G. Weidmanns Erben und Reich 1787, p. 529-531. C. Sunna, «Giambattista Vasco», Il contributo italiano alla storia del pensiero: Economia, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2012. L. Tamburini, «Filippo Castelli», Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 21, Roma, Treccani 1978. Torino di Luce, A. G. Actis, M. Bodo, M. Broglino (eds.), Pinerolo, Alzani 2006. Un piemontese in Europa. Carlo Denina (1731-1813), G. Ricuperati, E. Borgi (eds.), Bologna, Il Mulino, 2015.

1014

Page 53: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

L’Abruzzo di D’Annunzio tra “cristiani” e “idolatri”1 Rossano De Laurentiis

Università di Firenze – Firenze - Italia Parole chiave: D’Annunzio, Verismo, Pescara, Religiosità, Liberty.

Sotto un vetro una Madonna di Loreto tutta nera il volto il seno le braccia, come un idolo barbarico, luceva nella sua veste adorna di mezzelune d’oro. […] il mago, quel vecchio con la barba lunga, quello che faceva i miracoli e aveva le medicine per ogni male… Era venuto al paese qualche volta a cavalcioni di una muletta bianca, con due triangoli d’oro agli orecchi2.

1. Il verismo I “bozzetti” e racconti dannunziani di ambiente abruzzese, scritti tra i sedici e i ventuno anni e pubblicati su riviste, sono raccolti in Terra vergine (1882, 18842), Il Libro delle vergini (1884), San Pantaleone (1886), poi riuniti in parte sotto il titolo di Le novelle della Pescara (1902)3. Tutti insieme ci restituiscono una cultura contadina (l’uccisione del maiale4) e di pescatori5. D’Annunzio considera i suoi personaggi dei «documenti veramente umani»6, con i quali può spingersi a evidenziare aspetti somatici, quando, per es., descrive la vergine Orsola:

La sua testa non era bella, non aveva la quadratura vigorosa, lo splendore olivastro di certe razze d’Abruzzo, quelle pure linee del naso e del mento svolgentisi grecamente nella latina ampiezza della faccia7.

E a riscontro il giudizio di Luigi Capuana:

Pel D’Annunzio le frasi, le parole hanno un valore di trasformazione, di idealizzazione, se si può dire, dell’idea, un valore quasi per se stesse. Così il Verga [per es. in Vita dei campi, …] se dovrà parlare di una vecchia contadina, la chiamerà semplicemente za Maruzza e la descriverà, se occorre, in guisa da mettercela viva sotto gli occhi; il D’Annunzio non saprà resistere alla tentazione di chiamarla ripetutamente antica Cibele. Pel Verga, una comitiva di ragazze, che coglie l’uva o sarchia grano, sarà […] una comitiva di ragazze che lavorano, ridono, cantano […]; il D’Annunzio la chiamerà classicamente una teoria8.

1 Nel dialetto abruzzese il sost. “crištiano”, con la tipica ʃ fricativa sorda postalveolare, è il modo di indicare le persone comuni con una sfumatura di pietas. «La cristiana veniva dalla chiesa, dove aveva cantate le litanie», in G. D’Annunzio, Le novelle della Pescara [1884-1886], Milano, Mondadori, 1949 (da cui si cita; d’ora in avanti NP), p. 20; ed. orig. Treves, 1902. Ennio Flaiano (1910-1972), Lettera sull’Abruzzo a Pasquale Scarpitti, in P. Scarpitti (a cura di), Discanto, S. l., Sarus, 1972 (anche online), ricorderà questa caratteristica della sua gente: «nelle campagne un uo-mo è ancora “nu cristiane”». Vedi inoltre G. D’Annunzio, Gli idolatri, Napoli, Pierro, 1892; che è anche il titolo della terza novella di NP, pp. 96-107. 2 NP, pp. 6 e 45. 3 I. Ciani, Storia di un libro dannunziano: ‘Le novelle della Pescara’, Milano-Napoli, R. Ricciardi 1975 (d’ora in a-vanti Ciani 1975). 4 In una novella che strizza l’occhio a Boccaccio visto che il maiale verrà derubato («imbolato»), cfr. NP, p. 205. 5 NP, pp. 198-199; lungo il fiume Pescara «in tutte quelle case di creta e di canne, dove si accende il fuoco con i rifiuti del mare», ivi, p. 224. 6 G. D’Annunzio, «Lettere ad Enrico Nencioni: 1880-1896», a cura di R. Forcella, in Nuova Antologia, 17, 403 (mag.-giu. 1939); cfr. quella del 2 giugno 1884. 7 NP, p. 31. 8 L. Capuana, Verga e D’Annunzio, a cura di M. Pomilio, Bologna, Cappelli, 1972, pp. 151-152.

1015

Page 54: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Si è parlato di evoluzione dall’«esperienza verista» fino alla «piena padronanza del tratteggio paesistico», il quale «filtrato dalla memoria riacquista ora la sua prospettiva reale, la varietà tonale dei suoi colori […] la preziosità della scrittura»9:

La strada volgeva per una collina solatìa piantata d’olivi, discendeva per una terra irrigua messa a pasture [pascolo], e risalendo tra i vigneti giungeva alle fattorie […] dei colli, dov’era il frantoio; [… un] faticatore» […] prese un gran boccale colmo e versando nell’orcio quell’olio purissimo e luminoso nominò la grazia di Dio, ella [Anna] si fece il segno della croce, tutta compresa di venerazione per l’opulenza della terra10.

Era però uno stile «naturalista per uno scrittore essenzialmente lirico», senza un séguito etico-sociale11 alla Zola12.

Ma la pittura di paese non deve arrestarsi qui, non dev’essere fotografia: nel paese oltre l’aspetto delle cose io cerco altro, cerco un significato, cerco uno spiracolo di vita, l’espressione di quel che un poeta ha chiamato audacemente i pensieri della natura13.

Nel giudizio sul conterraneo Filippo Palizzi (1818-1899), della cui pittura scriverà su Il Mattino in due articoli dell’estate 1892, viene elogiato l’analitico osservatore del Vero, ma anche si sottolinea il limite della mancanza della «forza occulta del sogno […], perché egli, amando la Natura quale appare ai suoi occhi sani, non cerca “di là”»14; oppure quando «quel palmo di tela sparisce e vi si respira il maestrale», a proposito di una marina dipinta15.

9 Ciani 1975, p. 63. 10 NP, pp. 58-59, 69, 71. 11 Cfr. la descrizione della vita grama delle due sorelle, di «quell’opra macchinale dell’ago e del filo su le eterne tele bianche odoranti di spigo e di santità», NP, p. 13. 12 Ciani 1975, p. 40 e nota 30. 13 Così D’Annunzio a proposito di un gruppo di “paesisti”, in Fanfulla della Domenica, 11 feb. 1883; il concetto sembra ritornare come le murmure de la pensée in uno scritto sul pittore simbolista Pierre Puvis de Chavannes, La Tribuna, 13 dic. 1887. Cfr. E. De Michelis D’Annunzio e le arti, in Id., D’Annunzio a contraggenio, Roma, Edizioni dell’Ateneo 1963, pp. 215-244 (d’ora in avanti De Michelis 1963), a p. 222. 14 G. D’Annunzio, «Per la gloria di un vecchio», I-II, Il Mattino, 24-25 e 25-26 luglio 1892; ora in Id., Scritti giornalistici, II, 1889-1938, a cura e con una introduzione di A. Andreoli; testi raccolti da G. Zanetti, Milano, Mondadori, 20032, pp. 42-51. 15 Sul pittore napoletano Edoardo Dalbono, in Fanfulla della Domenica, 4 marzo 1883; e in séguito definito un «sottilissimo pittore dei cieli e delle acque», in D’Annunzio, «I paesisti», La Tribuna, 4 marzo 1888.

Edoardo Dalbono, Pescatori e barche (1884), immagine tratta da Bonhams Knightsbridge (London), www.mutualart.com

1016

Page 55: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Il paesaggio descritto può così mutare nello spazio ma anche nel tempo della vita, diventando diagnosi della Erlebnis (malinconia).

La costa era là, deserta sterile gialligna; nella sua bassura, propizia all’arrivata. Scorse una muraglia deforme di fichidindia; scorse più lungi in un seno verdiccio un armento presso una capanna conica. Scoprì in una calanca una lista di sabbione, contro una macchia cupa forse di ginepri forse di lentischi. La scelse per atterrarsi […] nel sogno e nel prodigio, sicuro e lieve, dismemorato e inconsapevole, quasi al frangente dell’onda16.

2. Pescara com’era Gabriele D’Annunzio nacque nel 1863 in una casa dai balconcini di ferro17. All’epoca le case delle famiglie agiate presentavano una «vastissima […] architettura massiccia […] tutta atrii anditi vestiboli cortili adornati di logge giardinetti murati corridoi lunghi a spartitura di stanze quasi di celle […] di mattonelle invetriate eran fatti i pavimenti»18; un po’ come l’«aula vastissima nella casa antica dei Sangro»19, allestita per la scena unica della Fiaccola sotto il moggio (1905), di ambientazione aristocratica, curata da Adolfo De Carolis. Pochi anni prima, nel 1857, vi era stata una «grande alluvione»: «Le acque inondarono tutta la campagna», da colle a colle, «e, poiché avevano attraversato vastissimi sedimenti d’argilla, erano sanguigne come nella favola antica»20. Siamo in un’epoca in cui sul greto del fiume Pescara21, «sotto il ponte di ferro», si portano i panni a lavare22; «il paese di Pescara si popolava di marinari», «la famiglia scendeva nella barca pel pasto della sera»23; e l’aria si riempiva dell’odore acuto delle zuppe di pesce e dei suoni delle zampogne. D’Annunzio ci narra però anche le vicende della grande storia: «Nel 1860 la città fu turbata da gravi agitazioni. […] Nel mese di settembre la fortezza di Pescara fu evacuata; le milizie borboniche si sbandarono, gittando armi e bagagli nelle acque del fiume; stuoli di cittadini corsero le vie con liberali esclamazioni di gioia»24. Oppure quando rievoca l’epidemia colerica del 188425, episodio che lo porta a utilizzare Manzoni con le «grandi scene corali – tumulti e peste – dei Promessi Sposi […] popolandole di untori, di lanzichenecchi, di tribuni e di vetture prefettizie»26. Nel 1881, viene annotato in una novella:

La mattina del 10 settembre, verso l’ottava ora, un sussulto della terra scosse dalle fondamenta Ortona. Molti edifici precipitarono, altri furono offesi nei tetti e nelle pareti, altri s’inclinarono e s’abbassarono27. Da qui le invocazioni al santo Emidio, protettore contro i terremoti, al quale è dedicata una festa proprio il 10 settembre (giorno del sisma) nella frazione ortonese di Caldari28.

16 Scena finale del Forse che sì forse che no (1910), ultimo romanzo di D’Annunzio. 17 Cfr. http://casadannunzio.beniculturali.it/index.php?it/1/home; in Corso Manthoné 116, a Pescara. 18 Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto di G. D’Annunzio tentato di morire (1935), a cura di P. Gibellini, Milano, Mondadori, 19952, p. 20. 19 C. Cresti Gabriele D’Annunzio ‘architetto imaginifico’, presentazione di A. Andreoli, Firenze, Pontecorboli, 2005 (d’ora in avanti Cresti 2005), p. 51. 20 NP, p. 77. 21 Nella novella Il traghettatore, NP, pp. 161-178, gli addetti alle chiatte sono detti «fiumàtici», a p. 178. Si ri-corda l’«erbal fiume silente» della poesia I pastori. 22 NP, pp. 65, 195. 23 NP, pp. 10, 54-55. 24 NP, pp. 81-82. 25 Ne scriveva all’amico e poeta fiorentino Nencioni: «Qui c’è il cholera che opera con una certa violenza», vedi qui nota 5. 26 Ciani 1975, p. 52. NP, La guerra del ponte, pp. 232-245. 27 NP, p. 94.

1017

Page 56: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3. Superstizione e idolatria La novella Il Voto (1884), rielaborazione di una tela omonima (1881-83) di Francesco Paolo Michetti, già recensita sul Fanfulla della Domenica29, prepara le scene di «selvaggia fede» del Trionfo della morte (Milano, Treves, 1894)30, con il riuso delle figurine di «Sei o sette mendicanti [che] meriggiavano ammucchiati in un angolo»31, insieme a quelle di alcuni freaks32 nel pellegrinaggio al santuario di Casalbordino; episodio modellato – secondo alcuni critici – sul coevo Lourdes zoliano (1894). D’Annunzio ci regala anche una figura di «rapsodo cattolico che ha un nome di corsale barbaresco ed è cieco a simiglianza dell’antico Omero»33.

28 Cfr. F. Savarese, A. Tertulliani, F. Galadini, «Le fonti sul terremoto del 10 settembre 1881 in provincia di Chieti: revisione critica e nuove conoscenze», Bullettino della Deputazione di storia patria negli Abruzzi, 102 (2011), pp. 155-177, da cui si è ricavata l’immagine. 29 Nella rubrica “Esposizioni d’arte”, Fanfulla della Domenica, 5 (14 genn. 1883), n. 2; ora in D’Annunzio, Scritti giornalistici, I, 1882-1888, a cura e con una introduzione di A. Andreoli, testi raccolti e trascritti da F. Roncoroni, Milano, Mondadori, 1996, pp. 92-100. 30 Ora in G. D’Annunzio, Prose di romanzi, I, a cura di A. Andreoli, introd. di E. Raimondi, Milano, Mondadori, 1988, pp. 637-1019, cfr. p. 643 e nota 5 a p. 1303, della lettera dedicatoria a Michetti, per l’ossimoro tra virgolet-te. 31 NP, p. 171. 32 Il protagonista del racconto Frà Lucerta (1881) «pareva una figura balzata fuori da una delle terribili tele di Gerolamo Bosch» (D’Annunzio). 33 Vedi la novella Mungià in NP, pp. 224-231, a p. 224.

Enrico Marchiani, Terremoto di Ortona, litografia del 1881, tratta dall’Archivio di

Stato di Chieti.

Basilio Cascella, Donna con conca, immagine tratta dal sito www.meapulchra.it

Oggetti, immagini e racconti dall’Alto Molise: un mondo ancora a misura d’Uomo.

1018

Page 57: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Tra paganesimo e «leggenda cristiana»34 sono sospese alcune novelle, come S. Laimo, localizzate tra fiume e mare, con il pescatore di memoria scritturale che si ritrova

a piedi nudi, su l’arena […] poiché l’alveo qua e là scoperto rendeva facile il guado […] sostò su l’altra sponda; […] quando giunse al centro della selva, un miracolo gli si offerse alli occhi. Giaceva su la natural cuna dell’erbe un infante e sorrideva […]. Egli riempì d’erbe uno de’ suoi cesti, e sopra vi adagiò l’infante. Rifece il cammino […] portando su la testa il peso35.

In una movenza che ricorda le donne d’Abruzzo che tornano dalla fonte con la conca d’acqua (o in altre situazioni con un canestro) sulla testa.

4. D’Annunzio in viaggio e promotore delle arti D’Annunzio fornì quasi una sorta di guida per i pellegrini, «di santuario in santuario […] per esaltare i miracoli d’ogni Santo, le virtù d’ogni reliquia, le bontà d’ogni Maria»36. «Francesca volle dormire, com’è costume dei fedeli, sul pavimento della basilica, aspettando l’ostensione mattutina del santo»; «ambedue cominciarono a ragionare dei pascoli e dell’acqua, e poi dei santuarii e dei miracoli»37; l’«antico duomo gotico, tutto coperto di fiori marmorei e di fiori vivi»38. L’abbazia di S. Clemente a Casauria, della quale ebbe a segnalare lo stato di rovina: «da tutte le fenditure pendevano erbe selvagge»39. Da turista in una città d’arte è inflessibile: «mi son levato alle sette, ed ho girato continuamente fino a stasera, passando a traverso meraviglie indescrivibili» (scrive a Pascal il 13 sett. 1894)40.

Aveva l’abitudine durante gli anni trascorsi a Roma, come cronista mondano per la Cronaca Bizantina (1881-1886) e La Tribuna (nata nel 1883), di fare delle passeggiate prendendo nei suoi “taccuini” «rapidi appunti grafici» degli «aspetti formali e decorativi di un edificio»41. Ebbe così modo di fare osservazioni urbanistiche da ‘dilettante’. Anche sulle «arti del disegno» per i propri libri fu esigente, ricercando pittori che assecondassero il suo gusto, che

34 Formula usata in una lettera a Nencioni, del 17 aprile 1884; ritorna in Trionfo della morte, cit., a p. 853. 35 S. Laimo, in San Pantaleone, Firenze, Barbèra, 1886, pp. 350-352. Ciani 1975, p. 57, ha individuato la fonte di questo quadretto in un poemetto di Maupassant, Vénus rustique, dal volume Des Vers (Paris, Conard, 1908 [1880]). 36 NP, p. 88. 37 NP, pp. 56, 59. 38 G. D’Annunzio, Lettere a Barbara Leoni, a cura di B. Borletti, P. P. Trompeo, Firenze, Sansoni, 19542; cfr. quella del 15 giu. 1887, descrizione poi rifluita nel Trionfo della morte, cit., p. 712. 39 G. D’Annunzio, «L’abazia abbandonata. A Pasquale Villari», Il Mattino, 30-31 marzo 1892; passa in Trionfo della morte, cit., p. 859; ora in Id., Scritti giornalistici, II, cit., p. 25. 40 Cfr. Caro Pascal: carteggio d’Annunzio-Masciantonio (1891-1922), a cura di E. Di Carlo; presentazione di G. Oliva, Chieti, Ianieri, 2001. 41 Cresti 2005, p. 13. Cfr. G. D’Annunzio, Taccuini, a cura di E. Bianchetti e R. Forcella, Milano, Mondadori, 1965, 19762.

Pescara, Teatro V[icenti]no Michetti (1910), parte alta della facciata con caratteri

di ispirazione liberty

1019

Page 58: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

poi era o sarà quello di un’epoca, se proviamo ad accostare l’architettura a certe copertine e illustrazioni42. 5. Francavilla al mare

Costretto a fuggire dalle bellezze del Golfo di Napoli per i debiti, aumentati in séguito ad una condanna per adulterio, D’Annunzio ripara a Francavilla, ospite presso il “Conventino” dell’amico Ciccillo Michetti e del suo cenacolo, che annoverava il musicista Francesco Paolo Tosti, lo scultore Costantino Barbella, il musicista e poeta Paolo De Cecco. Il giornalista Ugo Ojetti, nella rassegna di intellettuali sparsi per la penisola, intervistò D’Annunzio mentre risiedeva nel villino Mammarella (ovviamente in comodato). Nelle fantasmagorie dell’intérieur si coglie già quel bisogno di segregazione che sarà poi la cifra definitiva del Vittoriale:

Lo studio di lui è grande e ha tre finestre ampie; ma finestre, porte e pareti hanno cortinaggi altissimi di damasco rosso […]. E quella camera è ricca di stoffe rare, di armi antiche e di nitidi libri preziosi, e presso un grande tavolo libero di gingilli stanno lunghi scaffali di lessici italiani, greci e latini. […] I

villani hanno fatto su quella camera rossa, chiusa, odorosa una leggenda e dicono che in quella casa il poeta ha fatto una chiesa.

Passando per il periodo della Capponcina (Settignano) con la «paccottiglia di falso-antico»43 per assecondare il suo istinto di «animale di lusso»44; si capisce da dove venga quel passo del Libro segreto (1935): «Ho fatto di tutto me la mia casa; e l’amo in ogni parte, se nel mio linguaggio la interrogo, ella mi risponde nel mio linguaggio»45.

6. L’eremo dannunziano tra montagna e mare Della tragedia pastorale La figlia di Iorio (1903-1904) esisteva con lo stesso titolo (ma Jorio, 1895) un quadro del solito Michetti, con i protagonisti in primo piano e dietro il maestoso fondale della Maiella: quasi il manifesto in pittura della lettera dedicatoria del romanzo del

42 Alcuni «scritti dispersi» di D’Annunzio per i giornali sono raccolti in Grotteschi e rabeschi: leggende favole e parabole (Lanciano, Gino Carabba, 1923), dal titolo di una rubrica tenuta su rivista. Cresti 2005, pp. 68-79. 43 De Michelis 1963, p. 241. 44 Autodefinizione presente in una lettera all’editore Treves, giugno 1896: «il superfluo m’è necessario come il respiro», in De Michelis 1963, p. 242. 45 Citato da E. Raimondi, Il D’Annunzio e l’idea della letteratura, in L’arte di Gabriele D’Annunzio: atti del Convegno internazionale di studio, Venezia-Gardone Riviera-Pescara, 7-13 ottobre 1963, [a cura di E. Mariano], Milano, Mondadori, 1968, pp. 83-96. Un «libro di pietre vive» viene definito il Vittoriale, cfr. De Michelis 1963, pp. 238-239.

Copertina del 1910 a firma del pittore Giuseppe Cellini

1020

Page 59: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

1894: «non imitare ma continuare la Natura»46. «Vorrai tu aiutarmi a fissare i tipi, a determinare i luoghi, a trovare le fogge?», «Ricordati di dare ai costumi un carattere arcaico, qualche cosa di barbarico e di remoto», si raccomanda D’Annunzio col Michetti47; «una stanza di terreno in una casa rustica» (primo atto), che poi nell’allestimento si realizzava con «oggetti autentici» reperiti presso i contadini. Il secondo atto nella «caverna montana» vede il Michetti fare dei sopralluoghi presso la Grotta del Cavallone (a Lama dei Peligni, pendici della Maiella). Dieci anni prima l’alter ego Giorgio Aurispa (Trionfo della morte), si era trasferito da quelle pendici, dalla «città di pietra» di Guardiagrele verso la riviera della propria regione.

Trovò l’Eremo a San Vito, nel paese delle ginestre, su l’Adriatico. […] ideale: una casa construita in un pianoro, a mezzo del colle, tra gli aranci e gli olivi, affacciata su una piccola baia che chiudevano due promontorii. Era una casa d’una architettura primitiva […]. La casa non ad altro serviva che ad albergare forestieri nella stagione dei bagni, secondo l’industria comune del contado di San Vito […]. Distava circa due miglia dal borgo, all’estremo confine d’una contrada detta delle Portelle, in una solitudine raccolta e benigna come un grembo48.

Che vi fosse stato un ritorno ‘turistico’ dal successo del romanzo lo intuiamo da un articolo di Rosario Javicoli dell’estate 1909:

Si passa il porto di Ortona e si scorge una successione di piccole insenature: la marina di San Vito col grazioso paesetto a cavaliere del colle e con le casine bianche sparse sulle colline sottostanti. In una di queste casine […] D’annunzio affocò uno dei suoi amori misteriosi49. […] Attorno alla colonnetta della scalinata esterna che conduce alle due camerette abitate […] si legge ancora il motto latino: Parva domus, magna quies50.

Bibliografia L. Capuana, Verga e D’Annunzio, a cura di M. Pomilio, Bologna, Cappelli, 1972. Caro Pascal: carteggio d’Annunzio-Masciantonio (1891-1922), a cura di E. Di Carlo; presentazione di G. Oliva, Chieti, Ianieri, 2001. I. Ciani, Storia di un libro dannunziano: ‘Le novelle della Pescara’, Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1975. C. Cresti, Gabriele D’Annunzio ‘architetto imaginifico’, presentazione di A. Andreoli, Firenze, Pontecorboli, 2005. G. D’Annunzio, Gli idolatri, Napoli, Pierro, 1892. G. D’Annunzio, Le novelle della Pescara [1884-1886], Milano, Mondadori, 1949. 1. ed. Milano, Treves, 1902. G. D’Annunzio, Lettere a Barbara Leoni, a cura di B. Borletti, P. P. Trompeo, Firenze, Sansoni, 19542. G. D’Annunzio, Trionfo della Morte, Milano, Treves, 1894; in Id., Prose di romanzi, I, a cura di A. Andreoli, introd. di E. Raimondi, Milano, Mondadori, 1988, pp. 637-1019. G. D’Annunzio, «Lettere ad Enrico Nencioni: 1880-1896», a cura di R. Forcella, in Nuova Antologia, 17, 403 (mag.-giu. 1939).

46 A Francesco Paolo Michetti, in Trionfo della morte, cit., pp. 639-644, a p. 639. 47 Cfr. F. Di Tizio, Francesco Paolo Michetti nel cinquantenario della morte, Pescara, [Lit. Brandolini], 1980, pp. 119-121, missiva del 31 ago. 1903. 48 D’Annunzio, Trionfo della morte, libro III, L’eremo, cit., p. 777. Una foto della casa, eseguita da O. Breber, è in Cresti 2005, p. 139. 49 Nell’estate 1889 D’Annunzio vi soggiornò con l’amante Barbara Leoni. 50 R. Javicoli, «Monti e marine abruzzesi», in Almanacco italiano, Firenze, Bemporad, 1910, p. 253. Vedi anche Trionfo della morte, cit., p. 783.

1021

Page 60: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

G. D’Annunzio, Scritti giornalistici, a cura e con una introduzione di A. Andreoli, I, 1882-1888, testi raccolti e trascritti da F. Roncoroni; II, 1889-1938, testi raccolti da G. Zanetti, Milano, Mondadori, 1996 e 20032. G. D’Annunzio, Forse che sì forse che no, Milano, Treves, 1910. G. D’Annunzio, Taccuini, a cura di E. Bianchetti e R. Forcella, Milano, Mondadori, 1965, 19762. G. D’Annunzio, Cento e cento e cento e cento pagine del Libro segreto (1935), a cura di P. Gibellini, Milano, Mondadori, 19952. D’Annunzio e l’Abruzzo, atti del X Convegno di studi dannunziani, Pescara, 5 marzo 1988, [a cura del] Centro nazionale di Studi dannunziani in Pescara, Tipolitografia G. Fabiani, 1988. E. De Michelis D’Annunzio e le arti, in Id., D’Annunzio a contraggenio, Roma, Edizioni dell’Ateneo 1963, pp. 215-244. F. Di Tizio, Francesco Paolo Michetti nel cinquantenario della morte, Pescara, [Lit. Brandolini], 1980. E. Flaiano, Lettera sull’Abruzzo a Pasquale Scarpitti, in P. Scarpitti (a cura di), Discanto, S. l., Sarus, 1972. G. Gatti, Vita di Gabriele D’Annunzio, Firenze, Sansoni, 1956. R. Javicoli, «Monti e marine abruzzesi», in Almanacco italiano, Firenze, Bemporad, 1910. U. Ojetti, Alla scoperta dei letterati, Milano, Dumolard, 1895. E. Raimondi, Il D’Annunzio e l’idea della letteratura, in L’arte di Gabriele D’Annunzio: atti del Convegno internazionale di studio, Venezia-Gardone Riviera-Pescara, 7-13 ottobre 1963, [a cura di E. Mariano], Milano, Mondadori, 1968, pp. 83-96. F. Savarese, A. Tertulliani, F. Galadini, «Le fonti sul terremoto del 10 settembre 1881 in provincia di Chieti: revisione critica e nuove conoscenze», Bullettino della Deputazione di storia patria negli Abruzzi, 102 (2011), pp. 155-177.

1022

Page 61: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Dal sud dell’Italia al sud della Francia, i viaggi di Giuliano da Sangallo: ricordo, modello, documento

Chloé Demonet École pratique des Hautes études – Paris – France

Parole chiave: Rinascimento, Giuliano da Sangallo, disegno architettonico, archeologia. Al servizio di Lorenzo il Magnifico, poi di Giulio II e Leone X, Giuliano da Sangallo (1441?-1516), architetto fiorentino, si spostò a seconda dei progetti e delle missioni affidate dai suoi commitenti. Questi spostamenti gli diedero l’opportunità di misurarsi con l’Antico, come testimoniano i suoi disegni, raccolti in due libri di pergamena, il codex Barberiniano della Biblioteca Vaticana1 e il cosidetto Taccuino senese della Biblioteca di Siena2. Queste raccolte contengono ricordi di un viaggio nel sud Italia nel 1488-89, per la presentazione di un modello per un palazzo per il re di Napoli, occasione di scoprire le antichità campane delle quali l’architetto offre un’immagine talvolta unica. Tra il 1494 e il 1496, si recò oltralpe, e fu il primo tra i suoi conterranei e contemporanei a rilevare edifici del sud della Francia. I disegni, a volte corredati di relazioni scritte, sono delle belle copie di appunti, riordinati per lo studio, per la posterità. Sono stati dispersi gli schizzi, ma il paragone tra le diverse versioni riportate negli album dimostra in che misura da uno stesso materiale preso in situ egli crea un oggetto nuovo, riproposto in uno stato originario ipotetico, tramite il quale l’architetto traduce la sua comprensione delle vestigia e del sito, al servizio di un discorso architetturale da diffondere tra i suoi collaboratori e seguaci. Se queste rielaborazioni ci informano sulla capacità di appropriazione di modelli originali da parte dell’architetto viaggiatore, il materiale grafico fu presto rivalutato dalla storiografia per il suo apporto alla conoscenza archeologica e topografica e per la sua contribuzione alla ricostruzione di un paesaggio modificato. I disegni di Giuliano da Sangallo, che trascrivono le sue osservazioni su siti e monumenti scoperti durante viaggi compiuti alla fine del Quattrocento, conducono ad’interrogare le modalità della rielaborazione grafica che, partendo dalla realtà dello spazio e dell’oggetto, tende ad essere filtrata da interessi personali quanto professionali. Questa volontà di diffondere un’immagine insieme generale e ricca d’informazioni precise sui monumenti farà di questi dei modelli e creerà veri e propri documenti per la storia.

1. I viaggi e il loro contesto I viaggi fatti da Giuliano da Sangallo sono legati alla carriera di un artista al servizio dei suoi committenti. Non hanno quindi per scopo iniziale la scopertà e lo studio di antichità o di architetture e opere esistenti. Ma già gli artisti avevano capito l’importanza dell’osservazione degli esempi esistenti per formarsi come architetti, come asserisce l’Alberti alla metà del Quattrocento3. Gli spostamenti sono quindi sfruttati per confrontarsi con architetture sconosciute, per osservarne le tecniche costruttive, percepirne l’articolazione e capire le proporzioni misurando tutto o parte dell’organismo architettonico. Per Giuliano come per altri suoi contemporanei questo processo è mosso da una doppia preoccupazione: un’inchiesta personale, legata alle questioni che animavano l’architetto in diversi momenti della sua carriera, a seconda di progetti di carattere militare, civile o sacro. Ma integra anche uno studio più generale e diffuso sui topoi dell’architettura antica che mira a una teorizzazione di essa in quanto architettura classica.

1 Roma, Biblioteca apostolica vaticana, Barb. Lat. 4424 2 Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, S.IV.8 3 De Re Aedificatoria., VI, 1, 443, in L.B. Alberti, L’Art d’édifier, P. Caye, F. Choay (éd.), Paris, Seuil, 2004, pp. 275-276.

1023

Page 62: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Già il coetaneo (e rivale) Giuliano da Maiano era stato missionato a Napoli per costruire la villa di Poggio Reale per il duca Alfonso di Calabria, inaugurata a giugno del 14884. Lo stesso anno Lorenzo de’ Medici manda un modello per un palazzo reale a Ferrante I, che fa portare dal suo architetto ormai prediletto, Giuliano da Sangallo. L’episodio costituisce un esempio rilevante del ruolo dell’architettura nel contesto delle relazioni diplomatiche tra la Toscana e il regno di Napoli. Il modello è andato perduto, ma la sua pianta è accuratamente disegnata dall’ architetto nel suo grande codex, dove precisa con una nota che fu consegnato da lui stesso nel 14885. Per recarsi a Napoli, Giuliano da Sangallo usa la strada tradizionale verso sud, sulla quale sono sparsi reperti archeologici che l’architetto disegna, creando un vero e proprio diario grafico. Percorre quindi la via Francigena fino a Roma, passando da Siena, dove forse ritrae il famoso altare Piccolomini nella cattedrale (tac. sen. f. 206), e a Viterbo dove s’interessa ad un particolare edificio termale (tac. sen. f. 8). A Roma avrà certamente fatto una sosta non breve; possono essere legati a questo viaggio la serie di rilievi di archi di trionfo del taccuino senese (f. 22, ff. 23v-24, f. 26r) e la pianta del Pantheon del f.18. Esce da Roma usando almeno un tratto dell’antica Appia dove disegna due sepolcri (tac. sen. f. 16, cod. Barb. f. 8) per poi raggiungere la Casilina, cioè l’antica via Latina che andava fino a Capua, passando da Aquino (l’arco di trionfo è al tac. sen. f. 25v). A Capua s’interessa alle Carceri vecchie (tac. sen. f. 16v, cod. Barb. f. 8). Ad un certo punto sembra fare una visita a Benevento (arco al tac. sen. ff. 24v-25), ma concentra le sue ricerche sulle antichità Campane nella zona ad ovest di Napoli, nella baia di Pozzuoli. In quella città in particolare effettua il rilievo del tempio di Augusto, già diventato la basilica di San Procolo (tac. sen. ff. 8v-9, cod. Barb. ff. 6v-7). Si sofferma a studiare edifici termali a Cuma (cod. Barb. f. 8v) Tripergole (tac. sen. f. 16v, cod. Barb. f. 8) e Baia (tac. sen. f. 26v, cod. Barb. f. 7) dove non tralascia la famosa Piscina Mirabilis (cod. Barb. f. 7). I disegni fatti a Roma sono difficilmente databili perché l’architetto ebbe diverse occasioni di visitarla, anzi di viverci. Ma nel caso dei viaggi nel sud dell’Italia e della Francia, fatti una volta sola, non v’è dubbio sul momento in cui Giuliano da Sangallo poté vedere e disegnare certi edifici. Così, in cammino, per volontà sua o a seconda delle soste, l’architetto fiorentino coglieva ogni occasione per realizzare degli schizzi e prendere alcune misure di fabbriche antiche o edifici più recenti. Questi rilievi architettonici constituiscono una testimonianza degli itinerari percorsi dall’architetto, una documentazione completata, nel caso del viaggio in Francia, da note topografiche. Dopo la morte del Magnifico, Giuliano da Sangallo aveva trovato un nuovo protettore nella persona di Giulio della Rovere (papa Giulio II dal 1503 al 1513). Lo segue nel suo spostamento politico in Francia presso il re Carlo VIII al quale chiede un appoggio per opporsi al papa Borgia. Nel codex Barberini, alcune note forniscono il dettaglio delle soste7. Le tappe indicate corrispondono al viaggio di ritorno, e non trovano

4 S. Frommel, Giuliano da Sangallo, Firenze, Edifir, 2014, p. 82. 5 La versione più accurata è al f. 39v del codex Barberini: «.QVESTA.E.LA PIANTA.DVNO MODELO.DVNO.PALAZO.CHEL MAGNIFICHO.LORENZO.DE MEDICI.MANDO A(L) RE.FERN(AN)DO.DI NAPOLI E IO GIVLIANO DA S(AN) G(ALLO) POICHE LEBBI FINITO ANADAI CO(N) LO M(ODELLO) SOPRA DETO [...] .FV.NEL.M.CCC L XXX III» 6 Da ora in poi si userà “tac. sen” per il taccuino senese e “cod. Barb.” per il codex Barberini nel citare i diversi fogli. 7 Verosimilmente queste note non erano destinate a essere conservate poiché sono aparse dopo lo smontaggio del codex, su un foglio di carta integrato nella rilegatura; Codex Barberini, f. Av: «Partimoci d'Avignione a dì 26 d'Aprile 1496 a ore 12 e venimo a Teraschone, che sono miglia 12. A Santa Marta, | a dì 30 deto, arivamo in Arli, che sono 9 miglia, dov'è el corpo di santo Antonio e dove è un belisimo quliseo. | E domenicha el primo dì di magio ci partimo d'Arli e venimo a Selon che sono 2 miglia e fumo presi. | Lunedì a dì 2 deto ci partimo d'Anselon e venimo a disinare a Saisi che sono 15 miglia e dipoi a disinare ci partimo | e venimo a logiare a Sa(n) Masimino che sono 18 miglia. E a dì 3 al dì di Santa (Croce) ci partimo | da Santo Masimino e a disinare a Brigniola che sono 9 miglia e poi da Brigniola a Draghigniano aberghio, che sono 21 | miglio. Partimoci da

1024

Page 63: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

riscontro nei disegni conservati elle due raccolte, che molto probabilmente risultano da appunti presi all’andata. L’architetto si ferma a disegnare sulle alture attorno a Nizza, nella «CITA ANTICA [...] DIS(F)ATA» di Cimiez (tac. sen., f. 13v). Passa per Aix (cod. Barb. f. 40v), Arles (cod. Barb. f. 11) poi per Orange, dove disegna il teatro (cod. Barb. f. 40) e il famoso arco (cod. Barb. ff. 24v-25, tac. sen. ff. 22v-23), di cui fornisce la testimonianza grafica forse la più precoce. Il percorso giunge fino a Vienne, vicino a Lione (cod. Barb. f. 7v). Con questi viaggi, Giuliano da Sangallo integra nel suo corpus degli edifici che per una maggior parte sarà l’unico artista ad analizzare al suo tempo; i suoi rilievi acquisiscono così un valore di autenticità, oltre ad una qualità di esecuzione riconosciuta dai successori.

2. I monumenti e la loro rappresentazione Tra i disegni di Giuliano da Sangallo non è pervenuto quasi nessuno schizzo. Le due raccolte di Siena e Roma contengono disegni messi al pulito a partire da appunti realizzati sul posto. Riflettono quindi una scelta fatta tra disegni probabilmente più numerosi di quello che si conserva oggi (bisogna anche tener conto della possibile sparizione di fogli). Degli interessi particolari emergono però dal raggruppamento topografico di disegni che, nel corpus, sono sparsi e mischiati. La messa in pulito degli appunti è ovviamente influenzata dalla distanza cronologica tra il momento del rilievo e la sua restituzione grafica; può essere anche condizionata dalle mancanze (di una misura, di una nota, ecc.), sopratutto nel caso di appunti presi in poco tempo durante le soste8. Ma si percepiscono in questi disegni diverse prove, scelte, opzioni fatte dall’ architetto nella rappresentazione architettonica. Giuliano da Sangallo usa così le sue due raccolte per proporre delle soluzioni di figurazione diverse di uno stesso edificio. Sfrutta infatti le dimensioni del codex Barberini (39x45,5 cm), molto più grande del taccuino senese (12x18 cm). Ciò gli permette di focalizzare l’attenzione su vari aspetti dello stesso monumento, ma anche di cimentarsi in diverse proposte di restituzione o “restauri grafici” elaborati in base alle sue osservazioni. L’esempio dell’ arco di Orange illustra questa capacità di interpretare le osservazioni fatte sul posto. Si nota subito quanto la versione elaborata nel codex Barberini corrisponda meglio alle proporzioni reali dell’edificio che, nel taccuino, appare leggermente verticalizzato. Questa versione, più preziosa, dà una maggior importanza alla decorazione scultorea mentre nel codex si isiste sulle masse architettoniche (anche se il prospetto laterale contiene il dettaglio dei bassi-rilievi). L’architetto sfrutta queste due versioni per proporre delle interpretazioni riguardo alle parti basse ed alte dell’ edificio; infatti l’arco era stato in parte inglobato da una cinta muraria ed era parzialmente sepolto. Come fare per capire, allora, le disposizioni originali dell’arco? Già conoscitore dell’architettura trionfale, l’architetto propone diverse interpretazioni per queste parti non visibili. Per il basamento suggerisce sul prospetto laterale una continuità di singole basi per ogni colonna (tac. sen. f. 22v) o un’alternanza con singole basi e una basa unica per due colonne (cod. Barb. f. 25). Il coronamento dell’edificio è anche diversamente interpretato, con timpano semi-circolare nel taccuino e triangolare nel codex. Ritroviamo qui l’attrazione particolare di Giuliano per il motivo del timpano, che restituisce in tanti disegni tratti dall’Antico fino a integrarli nei suoi progetti più emblematici.

Draghigniano a dì 4 e venimo a disinare a la Buta che sono 12 miglia, e dala Buta venimo | aberghio a Grasa che sono 15 miglia di chativa via». 8 P. Gros, «Giuliano da Sangallo en Provence», in Giuliano da Sangallo, A. Belluzzi, C. Elam, F. P. Fiore (eds.), Milano, Officina Libraria, 2017, pp. 250-259.

1025

Page 64: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Oltre agli archi di trionfo, Giuliano da Sangallo si è molto interessato a un altro grande topos dell’architettura antica, cioè la pianta centrale. Le ricerche sul tema, già iniziate da Brunelle-shi, sono proseguite dalla generazione successiva. Proprio l’anno del viaggio a Napoli si pro-

gettava la nuova sagrestia di Santo Spirito a Firenze, par la quale l’architetto fornisce un modello con pianta ottago-nale9. Ora, la maggioranza dei rilievi architettonici fatti du-rante il viaggio a sud Italia sono edifici a pianta centrale, come se Giuliano da Sangallo focalizzasse le sue ricerche a seconda dei suoi progetti del momento, che includono una cappella ottagonale per il pa-lazzo napoletano, come appa-risce su due versioni della pianta10. Tra le piante di sepolcri ed edifici termali prese tra Roma e Puzzoli, una parte è rag-gruppata su un foglio unico, quasi a formare un repertorio di modelli (cod. Barb. f. 8 – e su un foglio recto e verso nel tac. sen. ff. 16-16v). Le piante

9 S. Frommel, Giuliano da Sangallo, op. cit., p.115. 10 Codex Barberini f.8v, f.39v; questo aspetto è stato di recente discusso da B. De Divitiis, «Giuliano e le antichità della Campania», in Giuliano da Sangallo, op. cit., p. 231-249.

Arco di Orange – tac.sen.f. 22v (in Falb-Zdekauer 1899); cod. Barb. f. 25 (in Hülsen 1910); An. Francese del sec. XVI, RIBA (in Campbell 2004-2)

Edifici a pianta centrale – cod. Barb. f. 8 (in Hülsen 1910); tac.sen. ff.16-16v (in Falb-Zdekauer 1899) – fogli messi in scala l’uno riguardo al altro

1026

Page 65: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

sono rappresentate con un rapporto di scala diverso, in modo da apparire con le stesse proporzioni sul disegno. Qui non conta tanto l’ampiezza di questi spazi ma piuttosto le diverse soluzioni adottate riguardo la centralità. Così le rovine viste, disegnate e misurate durante il viaggio vengono rielaborate sulla pergamena per diventare modelli quasi ideali di cui solo le note permettono di capire la provenienza topografica e la natura antica. La cura con la quale questi esempi sono stati disegnati, talvolta riportati in più versioni e conservati in veri e propri album, non permette di dubitare sulla volontà di costituire un corpus che caratterizzi la bottega dei Sangallo: questo corpus rappresenta sia un repertorio di modelli ed esempi, una dimostrazione della capacità analitica e artistica dell’architetto, che una raccolta da conservare per la posterità.

3. Il riuso dei disegni: dalla testimonianza all’archeologia Dopo la morte del maestro, il figlio Francesco da Sangallo, scultore, conserva questa “raccolta di bottega”, che mostra alla cerchia sangallesca ma anche al di fuori di questa. Le copie realizzate confermano la grande autorità dei disegni di Giuliano da Sangallo ma anche il pregio di queste rappresentazioni di edifici, alcuni dei quali mai studiati prima, tratti dall’Antico e da esempi più recenti. La serie degli edifici a pianta centrale rilevati durante il viaggio a Napoli ebbe una fortuna immediata. Lo stesso fratello di Giuliano, Antonio il Vecchio, li copiò su un foglio di pergamena della propria raccolta11. Con altri elementi (tra cui la pianta del Pantheon e quella del Colosseo che figurano nei due album di Giuliano da Sangallo) furono riprodotti esattamente dall’anonimo autore del codex Excurialensis12. Ma quello che attingerà più abbondantemente al corpus sangallesco fu Giorgio Vasari il Giovane nell’ambito del suo progetto di “città ideale,” per il quale effettua una raccolta di piante di chiese, templi, palazzi, ville di Toscana e d’Italia13. Tra le fonti da lui privilegiate occupano una parte importante i due libri di Giuliano da Sangallo, nei quali Vasari seleziona diverse piante, particolarmente di edifici centrali, tra cui tutta la serie delle piante centrali del viaggio a Napoli. Nella sua rielaborazione, le piante vengono sparse nella raccolta. Conservano un’indicazione di provenienza, e quindi hanno valore di esempio che può essere citato, ma non comportano più la scala architettonica che permetteva, nei rilievi di Giuliano da Sangallo, di capirne le dimensioni reali. Sono quindi diventate modelli con valore ideale, universale. Altre copie più tardive cercano di mantenere l’informazione topografica, perché hanno lo scopo, non di riprodurre un esempio ideale, ma di fornire una testimonianza sull’architettura antica. In questo senso vengono integrati i disegni di Giuliano da Sangallo nel “museo cartaceo” di Cassiano dal Pozzo, che sin dal 1615 cercò di adunare e classificare ogni traccia della civiltà romana14. Una grande parte del materiale sangallesco venne ripreso per questo progetto, tutto tratto dal codex Barberini (che non aveva ancora raggiunto la collezione che gli darà il suo nome attuale), e le piante centrali ci sono tutte, con le loro indicazioni topografiche. Nel caso della serie di archi di trionfo, sarà stata apprezzata la raccolta del fiorentino che offre dei rilievi di edifici “inediti”, come l’arco di Galieno (cod. Barb. f. 25v) o quello di Malborghetto (cod. Barb. f. 36v). Per l’arco di Orange, una nota indica non solo il nome e la localizzazione dell’arco, ma anche la fonte, cioè «ex. lib. Jul. Giamb. D.ti. S.

11 Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, 2045A 12 Madrid, Monastero dell’Excurial, Codex Excurialensis, 28, II, 12 (attr. bottega del Ghirlandaio). 13 Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Piante di Chiese di Toscana, e d’Italia disegnate dal Cav.re Giorgio Vasari, 4714A-4944A 14 I. Campbell, Ancient Roman topography and architecture, vol.1, London, Royal Collection Trust and Harvey Miller, 2004, p.1.

1027

Page 66: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Gal. »15. Così, già all’inizio del Seicento, i rilievi architettonici di Giuliano da Sangallo acquisiscono un valore in quanto fonte per la conoscenza della civiltà antica. Da questa considerazione precoce deriva un uso dei disegni del Fiorentino da parte dei primi archeologhi che non cercavano i canoni di un’architettura classica, o le tracce fugaci di una civiltà sepolta, ma miravano a capire la topografia antica e l’evoluzione dei siti e singoli edifici. I rilievi del Rinascimento entrano a fare parte delle fonti usate per completare i dati degli scavi, come fa Eugène Müntz già alla fine dell’Ottocento16. Con Jules de Laurière propone, proprio sull’esempio dell’arco di Orange rilevato da Giuliano da Sangallo, di “paragonare [i disegni] dal punto di vista architettonico con gli edifici, così come li vediamo oggi o come potevano esistere alla fine del XV secolo”17. Se l’esercizio si trasforma rapidamente in una critica delle restituzioni grafiche dell’architetto del Rinascimento, viste come troppo lontane dalla “verità archeologica”, queste, in quanto materiale preso in situ dall’autore stesso, acquisiscono però lo status di documento storico. Il metodo proposto da Müntz e Laurière fu applicato mezzo secolo dopo, in uno studio di G. de Angelis d’Ossat sulle terme di Cimiez, che identifica per la prima volta un disegno del taccuino senese di Giuliano da Sangallo come relativo alle sale nord di questo complesso termale (f. 13)18. Trascrivendo le misure in braccia fiorentine nel sistema metrico attuale, d’Ossat riconosce che le dimensioni corrispondono a quelle fornite dal rilievo allora più recente e accurato fatto nel 1879. Riconosce la capacità analitica dell’architetto, specialmente nel caso di vestigia che non

erano mai state studiate19. Più recentemente, la precisione della pianta del Sangallo fatta attorno al 1496 è stata sottolineata e il rilievo è considerato come “inestimabile per la sua data, anteriore al deturpamento dell’edificio”20. Quest’apprezzamento appare come una riqualificazione del lavoro di analisi condotto da Giuliano da Sangallo durante la sua carriera e in particolare durante questi viaggi. Da una documentazione da diffondere nella propria cerchia artistica, questi appunti di viaggio messi in pulito

15 I. Campbell, Ancient Roman topography and architecture, vol. 2, London, Royal Collection Trust and Harvey Miller, 2004, p. 528. 16 E. Müntz, Les antiquités de la ville de Rome aux XIVe, XVe, et XVIe siècles (topographie-monuments-collections) d’après des documents nouveaux, Paris, Ernest Leroux, 1886, p. 25: «À côté des fouilles, les facteurs qui ont le plus contribué à la restitution de Rome antique, but de tant d'efforts, sont d'une part les dessins des architectes de la Renaissance de l'autre les documents d'archives». 17 J. de Laurière et E. Müntz, Giuliano da san Gallo et les monuments antiques du midi de la France au XVe siècle, Paris, Mémoires de la Société Nationale des Antiquaires de France, 1885, p. 15: «comparer [les dessins] au point de vue architectural avec les édifices, tels que nous les voyons aujourd’hui ou tels qu’ils ont pu exister à la fin du XVe siècle». 18 G. De Angelis d’Ossat, «Un disegno di G. da Sangallo relativo alle terme di Cimelia presso Nizza», Rivista di studi liguri, 8, (1942), pp. 20-24. 19 Ibidem, pp. 22-23: «A chi conosce il carattere e i limiti dell'attività di rilevatore e di disegnatore di Giuliano da Sangallo non potrà fuggire l'importanza di tale disegno, che dimostra all'evidenza come quel monumento dovesse aver vivamente impressionato l'animo del Sangallo, che era, è ben dirlo chiaro, tutt'altro che un archeologo». 20 F. Lemerle, La Renaissance et les antiquités de la Gaule: l’architecture gallo-romaine vue par les architectes, antiquaires et voyageurs des guerres d’Italie à la Fronde, Turnhout, Brepols, 2005, p. 46: «inestimable par sa date, antérieure à la défiguration de l'édifice».

Pianta delle terme nord di Cimiez – tac.sen. f. 13, dettaglio (in Falb-Zdekauer 1899).

1028

Page 67: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

diventano, cinque secoli dopo, dei documenti per la storia; per la storia antica, ma anche per la comprensione della percezione dell’Antico da parte di un architetto di transizione tra Quattro e Cinquecento.

Bibliografia L. B. Alberti, L’Art d’édifier, P. Caye, F. Choay (eds.), Paris, Seuil, 2004. I. Campbell, Ancient Roman topography and architecture, London, Royal Collection Trust and Harvey Miller, 2004 (The Paper Museum of Cassiano dal Pozzo, A catalogue raisonné, vol. 1/3, no Series A-Antiquities and architecture, Part nine). I. Campbell, Ancient Roman topography and architecture, London, Royal Collection Trust and Harvey Miller, 2004 (The Paper Museum of Cassiano dal Pozzo, A catalogue raisonné, vol. 2/3, no Series A-Antiquities and architecture, Part nine). G. De Angelis d’Ossat, «Un disegno di G. da Sangallo relativo alle terme di Cimelia presso Nizza», Rivista di studi liguri, 8 (1942), p. 20-24. B. De Divitiis, «Giuliano e le antichità della Campania», in Giuliano da Sangallo, A. Belluzzi, C. Elam, F. P. Fiore (eds.), Milano, Officina Libraria, 2017, p. 231-249. S. Frommel, Giuliano da Sangallo, Firenze, Edifir, 2014. P. Gros, «Giuliano da Sangallo en Provence», in Giuliano da Sangallo, A. Belluzzi, C. Elam, F. P. Fiore (eds.), Milano, Officina Libraria, 2017, p. 250-259. J. de Laurière, E. Müntz, Giuliano da San Gallo et les monuments antiques du midi de la France au XVe siècle, Paris, Mémoires de la Société Nationale des Antiquaires de France, 1885. F. Lemerle, La Renaissance et les antiquités de la Gaule: l’architecture gallo-romaine vue par les architectes, antiquaires et voyageurs des guerres d’Italie à la Fronde, Turnhout, Brepols, 2005. E. Müntz, Les antiquités de la ville de Rome aux XIVe, XVe, et XVIe siècles (topographie-monuments-collections): d’après des documents nouveaux, Paris, Ernest Leroux, 1886.

1029

Page 68: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 69: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

I viaggi in Italia di Leo von Klenze: memorie e trasfigurazioni

Andrea Maglio Università degli Studi di Napoli Federico II – Napoli – Italia

Parole chiave: Viaggio in Italia, XIX secolo, Architettura dell’eclettismo, pittura di paesaggio.

1. Premessa L’esperienza del viaggio in Italia rappresenta un momento decisivo nella formazione dell’architetto europeo in età contemporanea, ma la frequenza con cui Leo von Klenze visita il Paese, probabilmente superiore a quella di chiunque altro, induce a riflessioni diverse sulle ragioni e sulle modalità di questi spostamenti. Egli visita infatti l’Italia circa venti volte tra il 1806 e il 1855. Alcuni di questi viaggi sono brevi escursioni o vacanze, per lo più nell’Italia settentrionale, mentre altri sono dovuti alla necessità di accompagnare il principe Ludwig von Wittelsbach – dal 1825 sovrano di Baviera – e talvolta sono veri e propri viaggi di studio. Di tale vasta esperienza rimangono tracce cospicue, tanto in forma di disegni, dipinti, lettere e diari1, quanto nell’opera architettonica di Klenze, fondata su interpretazioni rigorose e “filologiche”, ma mai puramente mimetiche, dei modelli antichi. Se gli edifici realizzati costituiscono un palinsesto di rimandi e citazioni più o meno consapevoli, nella sua attività di pittore Klenze dimostra un’analoga attitudine alla trasfigurazione delle memorie italiane, in tal caso con precisa cognizione della tecnica combinatoria utilizzata. In qualche modo queste rappresentazioni del paesaggio e dell’architettura italiani da un lato testimoniano la capacità di guardare a contesti complessi ed eterogenei e dall’altro rimandano a un’immagine “verosimile” del paesaggio mediterraneo, in grado di fornire elementi anche più utili rispetto a rappresentazioni fedeli alla realtà. Spesso identificato come “lo Schinkel del sud”, un parallelo che in realtà non gli rende merito, Leo von Klenze (1784-1864) nasce in un piccolo borgo della bassa Sassonia e si forma prima a Berlino, nella cerchia di David e Friedrich Gilly e di Schinkel, e poi a Parigi, dove arriva nel 1800, quando la scena è dominata dalle figure di Percier e Fontaine e dalla produzione teorica di Jean-Nicolas-Louis Durand. La sua fortunatissima carriera lo vedrà, al servizio di Ludwig, a Monaco, città di cui contribuisce a cambiare il volto2.

2. Alla ricerca di modelli “perduti” Nel 1806, all’età di ventidue anni, Leo von Klenze arriva per la prima volta in Italia effettuando un vero e proprio viaggio di formazione: passando per la Svizzera, egli giunge a Como, per poi visitare Genova e la costa ligure, la Toscana, Roma e Napoli. La tappa più meridionale è costituita da Paestum, il primo esempio di architettura greca che l’architetto sassone riesce ad ammirare, prima di poter studiare i templi siciliani e poi i monumenti ateniesi. A partire dal 1818 i soggiorni italiani di Klenze sono spesso legati a quelli del principe Ludwig. Dopo diversi brevi viaggi, tra il 1823 e il 1824 Klenze è di nuovo in Italia per la sesta volta, ancora al seguito di Ludwig, da cui si allontana per alcune deviazioni. La ricerca di modelli è connessa a progetti e cantieri nella capitale bavarese, per i quali tra il 1 La corrispondenza tra Klenze e Ludwig si è conservata ed è oggetto di una pubblicazione in più volumi, di cui gli ultimi tre, che compongono la terza parte, sono attualmente in lavorazione: H. Glaser (ed.), König Ludwig I. von Bayern und Leo von Klenze. Der Briefwechsel, parte I (1815-25) e parte II (1825-1848), München, Kommission für Bayerische Landesgeschichte, 2004-2011. 2 Cfr. A. von Buttlar, Leo von Klenze. Leben-Werk-Vision, München, Beck, 1999; W. Nerdinger (ed.), Leo von Klenze. Architekt zwischen Kunst und Hof. 1784-1864, München-London-New York, Prestel, 2000. Di recente una biografia sintetica è stata pubblicata da F. Freitag, Leo von Klenze. Der königliche Architekt, Regensburg, Pustet, 2013. Sul tema del viaggio in Italia degli architetti tedeschi, cfr. A. Maglio, L’Arcadia è una terra straniera. Gli architetti tedeschi e il mito dell’Italia nell’Ottocento, Napoli, Clean, 2009.

1031

Page 70: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

principe e l’architetto si instaura una dialettica quanto mai articolata, poiché Klenze deve fronteggiare richieste esplicite e talvolta bizzarre del Kronprinz. A Firenze la discussione verte sull’alternanza tra frontoni triangolari e curvi sui prospetti dei principali edifici della città, un tipo di disegno criticato dall’architetto ma di cui il principe ritrova illustri esempi3; la discussione riguarda direttamente le scelte da compiere per la costruzione del Königsbau a Monaco, la nuova ala del palazzo reale: la soluzione infine adottata eliminerà il problema abbandonando i frontoni e ricorrendo ad archi a tutto sesto senza però che le arcate inquadrino finestre di misure e forma diverse alla maniera di palazzo Pitti, ma anche senza che nell’arcata siano inserite le bifore come nei palazzi Strozzi e Medici-Riccardi,. Spesso Ludwig, entusiasmatosi di fronte a edifici e monumenti, chiede al suo architetto di fiducia di realizzare copie fedeli di quanto ha visto, siano esse rovine antiche, edifici medievali o rinascimentali. Accade nel caso di Paestum, dove viene espresso il desiderio di ricreare una copia del tempio di Poseidone in forma di rovina e con quella patina del tempo in grado di conferire un’aura romantica4. Anche in tal caso le discussioni sull’argomento porteranno a scelte di tipo diverso, fino al progetto per il Walhalla, per il quale Klenze vince un concorso nel 1814, elaborando diverse versioni negli anni successivi e costruendolo infine tra il 1830 e il 1842, e che ovviamente richiama i modelli studiati successivamente. Un’altra vera e propria epifania per il futuro sovrano bavarese avviene la notte di Natale del 1823, durante la messa nella Cappella Palatina di Palermo. Nonostante un pioggia battente e diversi disagi, Klenze è intento a effettuare una minuziosa campagna di rilievi ad Agrigento, interessato soprattutto al problema dell’Olympeion5, mentre il principe si ferma nel capoluogo per godere dell’ospitalità dell’aristocrazia cittadina e quindi partecipando anche alla messa nella notte della vigilia. Secondo le parole dello stesso Klenze, «le superfici dorate dei dipinti, il peculiare, ma perfetto sistema proporzionale, la “ruggine” di una venerabile antichità, le vicende storiche che vi sono legate e la tradizione sacra dell’illuminazione notturna avevano sortito un effetto tale sul principe, che non poteva trovare le parole per descrivermi tale esperienza e mi disse che, una volta arrivato sul trono, avrebbe voluto costruire una cappella uguale»6. Anche in tal caso l’architetto riesce a conciliare le richieste del committente con la propria etica professionale: il risultato sarà la Allerheiligen-Hofkirche di Monaco, annessa alla Residenz e consacrata al culto cattolico7; l’edificio avrebbe dovuto ricordare proprio la Cappella Palatina, ma sarà fondata invece su altri modelli, e specificamente su San Marco a Venezia per gli interni, e sulle forme del romanico lombardo per l’esterno, in maniera da scegliere opzioni stilistiche non troppo difformi tra loro8. Nonostante lo sforzo di Klenze per evitare pastiches decorativi, al momento di discutere le pitture dell’interno Ludwig ritorna a chiedere che si segua il modello della cappella palermitana9. 3 L. von Klenze, Memorabilien I, fol. 130v-132r; si cita, anche di seguito, dalla trascrizione in cd-rom acclusa al volume di W. Nerdinger (ed.), Leo von Klenze. Architekt zwischen Kunst und Hof. 1784-1864, cit.. 4 Ivi, 152r-151v. 5 Sul dibattito suscitato dagli studi intorno all’Olymepion, cfr. M. Cometa, Il romanzo dell’architettura. La Sicilia e il Grand Tour nell’età di Goethe, Roma-Bari, Laterza, 1999, pagg. 172 e segg.; Id., «Sizilien und die Grand Tour zur Goethezeit/ La Sicilia e il Grand Tour nell’età di Goethe», in A. Burg, M. Caja (eds.), Potsdam & Italien. Die Italienrezeption in der Potsdamer Baukultur / La memoria dell’Italia nell’immagine di Potsdam, Potsdam, Potsdam School of Architecture, 2014, pagg. 28-36. 6 L. von Klenze, Memorabilien I, cit., p. 177r-178r. Cfr. A. Maglio, L’Arcadia è una terra straniera, cit., p. 78. 7 G. Cianciolo Cosentino, «Ludwig I di Baviera e la Sicilia», in M. Giuffrè, P. Barbera, G. Cianciolo Cosentino (eds.) The Time of Schinkel and the Age of Neoclassicism between Palermo and Berlin, Cannitello (RC), Biblioteca del Cenide, 2006, pp. 239-246; Id., Serradifalco e la Germania. La Stildiskussion tra Sicilia e Baviera 1823-1850, Benevento, Hevelius, 2004; W. Nerdinger (ed.), Romantik und Restauration. Architektur in Bayern zur Zeit Ludwig I. 1825-1848, München, Hugendubel, 1987. 8 A. von Buttlar, Leo von Klenze. Leben-Werk-Vision, cit., pagg. 232-242. 9 Klenze, Memorabilien III, fol. 22r-22v.

1032

Page 71: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3. Vero, verosimile e falso: disegni e dipinti Klenze ha rapporti stretti con la pittura, non solo perché la pratica e perché la sua architettura è strettamente correlata alle arti figurative, come nel caso della citata chiesa di Monaco, ma si dalla sua formazione accademica. A Parigi studia presso Constant Bourgeois, allievo di Jacques Louis David, maestro della pittura storica e particolarmente attento all’elemento paesaggistico. La sua vena pittorica è influenzata anche da maestri come Canaletto, che nel 1761 aveva dipinto il castello di Nymphenburg a Monaco, e Domenico Quaglio, sebbene il suo stile nel corso degli anni subisca modifiche anche maggiori rispetto alla sua concezione architettonica. Eppure, Klenze resta un architetto e nelle opere grafiche si concede licenze che riflettono il suo peculiare immaginario.

Fig. 1 Leo von Klenze, Veduta del golfo di Salerno da Amalfi, s.d.

Nelle vedute urbane, come in quelle relative a singoli edifici, Klenze modifica sempre leggermente la realtà, accentuando la simmetria, modificando alcuni particolari architettonici o le proporzioni degli edifici, al fine di rendere più armoniosa la composizione. Tuttavia, a differenza degli architetti della sua generazione, oltre a ricostruzioni “fantastiche”, egli produce anche vedute solo in parte diverse dal modello reale, innescando in taluni casi un processo di “falsificazione”, le cui ragioni sono ancora da indagare e rispondono di volta in volta a obiettivi di ordine diverso. In ogni caso, poiché queste tele sono dipinte a Monaco, quasi sempre a distanza di anni – o di decenni – dall’esecuzione del disegno, effettuata sul posto a matita o a penna, la tendenza a modificare la realtà ritratta sembra quasi inevitabile e tali lavori vanno considerati come opere autonome, non strettamente legate all’oggetto

1033

Page 72: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

osservato in Italia o in Grecia. Il dipinto diviene una sorta di opera d’assemblaggio, in cui sono aggiunti altri elementi, come le figure umane, la vegetazione e gli effetti di luce, provenienti da altri disegni e scelti quasi come da un catalogo a disposizione dell’artista10. La veduta del golfo di Salerno da Amalfi [Fig.1], normalmente identificato come Küstenlandschaft am Golf von Neapel (Paesaggio costiero del golfo di Napoli) mostra proprio questa tecnica di assemblaggio, con sfondo ed elementi in primo piano desunti da diversi disegni eseguiti precedentemente in loco11.

Fig. 2 Leo von Klenze, Amalfi, 1859.

Esistono poi casi specifici legati a suggestioni storiche, mitologiche o paesaggistiche. Nel caso della tela raffigurante la cattedrale di Amalfi è stato ipotizzato che possa essere stata destinata ad Errico Alvino, autore del progetto di rifacimento della facciata12, ma tale notizia non ha trovato alcuna conferma. La veduta [Fig. 2] non costituisce un vero e proprio progetto, come pure è stato affermato13 ma, eseguita nel 1859 sulla base di disegni del 1855, precedentemente al crollo parziale che determinerà la decisione di ricostruirne la facciata,

10 N. Lieb,«Der Architekt Klenze als Bildkünstler», in N. Lieb, F. Hufnagl, Leo von Klenze. Gemälde und Zeichnungen, München, Callwey, 1979, pagg. 35-59, qui 37-38. 11 Lo sfondo è analogo a quello del disegno “Blick auf die Bucht von Amalfi”, del 1830, pubblicato da N. Lieb, F. Hufnagl, op. cit., p. 175, mentre alberi e case in primo piano rimandano a diversi disegni di Amalfi, della costiera e di Salerno. 12 N. Lieb,Der Architekt Klenze als Bildkünstler, cit., p. 39. 13 G. Fiengo, Il duomo di Amalfi. Restauro ottocentesco della facciata, Amalfi, CCSA, 1991, pp. 30-31.

1034

Page 73: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

rappresenta un esercizio stilistico sul tema dell’architettura medievale14. Le figure inserite non sono più, come usualmente avviene negli altri quadri e disegni, pescatori, contadini o personaggi di scene folcloristiche, ma figure in abiti del primo Settecento, tra cui l’arcivescovo, al quale viene mostrato il progetto di rifacimento barocco della facciata; ad una lettura ravvicinata si può riconoscere sulla carta mostrata dall’architetto il disegno del nuovo prospetto, con volute laterali e finestrone centrale, effettivamente visto da Klenze ad Amalfi, realizzato nel primo trentennio del XVIII secolo. L’architetto-pittore realizza quindi una sorta di scena storica, in cui, alla vigilia del restauro in forme neomedievali, è invece rappresentato il momento di passaggio del secolo precedente dalla facciata medievale, che Klenze non poteva conoscere e qui reinventata, a quella barocca15.

Fig. 3.Leo von Klenze, Sala di un convento italiano (Fantasia con museo e vista su Capri), s.d.

Differente è il caso della veduta d’interni del convento con Capri sullo sfondo [Fig. 3], una vera e propria “invenzione” in grado di restituire l’atmosfera raccolta del convento senza mancare di sottolineare l’amenità del paesaggio: se la luce radente illumina l’interno dell’edificio, dall’apertura sullo sfondo appare una parte dell’isola di Capri, di cui Klenze non restituisce mai, al contrario di Schinkel, una visione complessiva; lo scorcio panoramico è sempre subordinato all’architettura, tanto nelle vedute di paesaggio quanto nella ripresa di un “interno con vista”, a maggior ragione nel caso di una “fantasia” architettonica, estremamente credibile nel suo essere “falsa” e quindi verosimile.

14 Cfr. anche G. Lengl, Leo von Klenze “baut” am Dom von Amalfi. Phantasia scurrilis anno 1855, «Zeitschrift des deutschen Vereins für Kunstwissenschaft» 1-4/1979, pagg. 68-78; Dieter Richter, Viaggiatori stranieri nel sud. L’immagine di Amalfi nella cultura europea tra mito e realtà, Amalfi, CCSA, 1985, pagg. 47-48; Andrea Maglio, L’Arcadia è una terra straniera, cit., pag. 84. 15 F. Hufnagl, «Beobachtungen zu Komposition und historischen Perspektiven in Klenzes Bildkunst», in N. Lieb, F. Hufnagl, op. cit., pagg. 63-70, qui 65.

1035

Page 74: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Fig. 4. Leo von Klenze, Veduta dal lago Fusaro, 1861.

Anche la veduta di Atrani modifica radicalmente l’assetto del paesaggio, trasformando quello che nel disegno eseguito in loco era rispondente al vero: il dipinto ad olio mostra un paesaggio montano, in cui il villaggio di Atrani, restituito in maniera fedele, si specchia nelle acque di un fiume; evidentemente, l’atmosfera “esotica”, centrata sul gusto per la remoteness che caratterizza i paesaggi mediterranei, cede il passo ad un’immagine più familiare per l’ambiente bavarese, con una natura più rigogliosa. Questo dipinto costituisce un caso diverso dalla veduta di Amalfi e dalle vedute “fantastiche” poiché, alterando radicalmente un contesto reale, riporta una rappresentazione non più “verosimile” ma nemmeno “fantastica”. A questa tipologia di vedute appartiene anche quella del lago Fusaro [Fig. 4], datata 1861, modificata rispetto al disegno originale rendendo il bacino lacustre un braccio di mare ed eliminando il profilo di Ischia sullo sfondo, mentre la costa bassa è trasformata in una catena collinare con cime di rilevante altezza, secondo uno schema assai pittoresco che esalta il ruolo dell’architettura mediterranea spontanea.

4. Conclusione Il paragone con Schinkel, anch’egli valente pittore e autore di quadri evocativi come il celebre Blick in Griechenlands Blüte, è confortato da numerose analogie. Tuttavia, un aspetto del lavoro di Klenze lo differenzia dall’amico prussiano: l’attenzione dedicata al rilievo metodico di monumenti dell’antichità, come avviene proprio per il tempio agrigentino di Giove Olimpico. Questa attitudine ha fatto accostare la figura di Klenze a quella del Bauforscher, una sorta di architetto-archeologo che coniuga competenze tecniche e conoscenze storico-artistiche16. Tale aspetto, complementare all’attività di pittore e di supporto a quella di architetto, rende la vastità dei suoi interessi e delle possibili suggestioni quanto la complessità delle dinamiche compositive. Le trasfigurazioni delle memorie visive di viaggio e la riconfigurazione delle immagini in qualcosa di nuovo (vero, falso o verosimile) rappresentano un processo analogo a quello della definizione delle sue opere architettoniche. L’incapacità di 16 H. Bankel, «Leo von Klenze ein Bauforscher? Aphoristische Bemerkungen über Klenzes Forschungen zur Tempelbaukunst Siziliens», in W. Nedringer (ed.), Leo von Klenze. Architekt zwischen Kunst und Hof, cit., p. 99; si veda anche Glyptothek München (ed.), Ein Griechischer Traum. Leo von Klenze der Archäologe, München, Staatliche Antikensammlungen und Gliptothek, 1986.

1036

Page 75: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

accontentare Ludwig e quindi di “copiare” i monumenti osservati in Italia, a costo di perdere il favore del sovrano e di venire sostituito da altri architetti, rimanda ad una necessità di rielaborazione dei modelli originali, peraltro ben diversa dalla commistione del Rundbogenstil17. Fedele ad una linea neoclassica sobria e asciutta, egli intende combinare modelli diversi senza sovrapporre arbitrariamente stili e forme di diversa origine, biasimando le fantasie eclettiche di Ludwig e poi di Maximilian. Coerente alla sua impostazione, negli ultimi anni della sua vita, Klenze definisce questo “arbitrio” un «ragout architettonico», affermando con amarezza ed orgoglio: «non sono più chiamato come cuoco di questa specie di minestrone architettonico e ciò nel corso del tempo è diventato per me motivo di somma gioia»18.

17 A. Maglio, «L’eclettismo tedesco del XIX secolo e l’eredità del Rundbogenstil», in L. Mozzoni, S. Santini (eds), Architettura dell’eclettismo. La dimensione mondiale, Napoli, Liguori, 2006, pagg. 431-441. 18 R. Reiser, Klenzes geheime Tagebücher, München, Buchendorfer Verlag, 1998, pag. 69.

1037

Page 76: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 77: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Stereotipi e patrimonio architettonico: l’immagine dell’Italia nelle riviste di architettura inglesi

tra 1830 e 1870 Luca Reano

Politecnico di Torino – Torino – Italia Parole chiave: periodico, rivista, magazine, journal, review, Inghilterra, Italia, immagine, stereotipo, Ottocento

1. Premessa In uno studio del 1968 sugli architectural periodicals, Frank Jenkins afferma che «the movement of history, its rate of change, has been determined by the speed and completeness with which ideas have been communicated»1. La comunicazione delle idee, la loro completezza e la velocità con cui esse vengono trasmesse risultano essere ingranaggi fondamentali per i meccanismi di ogni epoca storica: il XIX secolo riflette la proprio immagine nel veicolo mediatico che meglio lo rappresenta, il periodico.

Annualità pubblicate in Inghilterra consultabili presso la RIBA Library di Londra

La Gran Bretagna, durante l’avvento della rivoluzione industriale, vive un momento storico «in cui, sulla filigrana delle città in forte sviluppo, si realizza una rete infrastrutturale efficiente ed estesa. E, sullo sfondo di una nazionalistica “battaglia degli stili”, si delineano le figure dell’ingegnere e dell’architetto, artefici di grandi architetture ingegneristiche, di ricerca su modelli urbani e tipologie residenziali innovative»2. Tale clima ha dato vita a una florida produzione di carta stampata inerente l’ambiente architettonico; la necessità di far circolare le informazioni velocemente, di poter dar voce ai numerosi punti di vista e il bisogno di un confronto continuo trovano sbocco nel formato del periodico, specchio fedele della società vittoriana. L’Inghilterra apre, così, una stagione di pubblicazioni che vede la nascita di numerosissimi journals and reviews dedicati ai più svariati temi tra i quali architettura e

1 F. Jenkins, «Nineteenth-Century Architectural periodicals», in N. Pevsner, J. Summerson (a cura di), Concerning architecture: essays on architectural writers and writing, London, Penguin Press, 1968, p.153. 2 S. Ciranna, G. Doti, M. L. Neri (a cura di), Architettura e città nell’Ottocento: percorsi e protagonisti di una storia europea, Roma, Carocci, 2011, p. 83.

1830 1835 1840 1845 1850 1855 1860 1865 1870

The Architectural Magazine

Transactions of the Institute of British…

The Civil Engineer and Architect’s Journal

The Surveyor, Engineer and Architect

The Builder

The Architect and Building Operative

The Architectural Quarterly Review

The Building News

The Church Builder

The Architect

Annualità consultate Annualità non consultabili

1039

Page 78: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

ingegneria civile non fanno di certo eccezione: tramite lo spoglio di queste testate, si è cercato di delineare l’immagine dell’Italia tra il 1830 e il 1870, sottolineandone stereotipi e contraddizioni. Lo studio trasversale di queste fonti evidenzia i moltissimi punti di vista sul patrimonio architettonico e culturale italiano: partendo dagli stereotipi associati alle costruzioni e agli abitanti del Belpaese, esso tocca gli aspetti architettonici e infrastrutturali – fortemente caratterizzanti l’Italia dell’epoca – che hanno catalizzato l’attenzione inglese.

2. L’immagine dell’Italia tra stereotipi e realtà Nel 1839, in un articolo comparso sul quinto e ultimo volume dell’Architectural Magazine, si leggeva: «we have passed, it must be observed (in leaving England and France for Italy), from comfort to desolation; from excitement, to sadness: we have left one country prosperous in its prime, and another frivolous in its age, for one glorious in its death»3. L’Italia così descritta viene associata alla desolazione e alla tristezza, unica accezione vagamente positiva è l’aspetto glorioso della morte in cui il Belpaese sta sprofondando. Chiaramente è un periodico d’architettura che pubblica queste righe e l’Italia della prima metà dell’Ottocento, sul piano infrastrutturale e architettonico, non può che essere messa in ombra dal paragone con Inghilterra e Francia. La cultura architettonica inglese, ancora per tutta la prima parte dell’Ottocento, si interessa principalmente dell’Italia classica, di resti romani e delle antiquities; solamente più tardi sposterà l’attenzione anche sul rinascimento italiano cercando ispirazione per i nuovi progetti da proporre in patria4. Quel che è certo è che l’Italia continua ad affascinare gli studiosi d’Oltremanica e il loro interesse è facilmente riscontrabile tramite lo spoglio delle testate di architettura. La storia dell’Italia stessa, il suo passato e le sue tradizioni architettoniche fossero ben conosciute dagli inglesi in quanto «classical literature provided the foundation for English public education, equipping most educated men a literary familiarity with Italy’s past»5. Parallelamente al consolidamento di questi studi, il mito dell’Italia classica veniva innalzato a modello universale dalla società vittoriana enfatizzando il contrasto con il Paese a loro contemporaneo, «who would substitute the rush of new nation, the struggle of an awakening power, for the dreamy sleep of Italy’s desolation, for her sweet silence of melancholy thought, her twilight time of everlasting memories?»6. Il modo migliore per poter ammirare e studiare il patrimonio architettonico italiano era comunque quello di visitare l’Italia e gli inglesi lo facevano in gran numero: «the British went to Italy for culture, commerce, business, health, religion, weather, fashion, escape from Victorian mores, and simply to get away»7. Le mete principali erano le grandi città come Venezia, Firenze, Napoli e soprattutto Roma: questi importanti centri erano più facilmente raggiungibili con i trasporti dell’epoca, disponevano di numerose strutture per il pernottamento e proponevano ai visitatori alcuni tra i migliori esempi del patrimonio architettonico italiano. Il Belpaese resta, così, una delle mete più visitate dagli architetti vittoriani: le città italiane, «where almost all tokens of life and power belong to the past, and the present is thrown quite into the shade»8, rappresentavano sempre qualcosa di diverso e affascinante, «everything is

3 K. Phusing, «The Poetry of Architecture», in The Architectural Magazine, V, 1838-1839, p. 8. 4 Per approfondimenti sul tema si faccia riferimento a K. Wheeler, Victorian Perceptions of Renaissance Architecture, Ashgate, Farnham, 2014. 5 Wheeler, Victorian Perceptions, cit., p. 12. 6 Phusing, «The Poetry of Architecture», cit., p. 14. 7 Wheeler, Victorian Perceptions, cit., p. 10. 8 «The churches of Spoleto, Italy», in The Builder, XXVIII, 1870, p. 24.

1040

Page 79: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

new, and almost everything is beautiful»9. Inutile sottolineare come le parole scelte dagli scrittori inglesi enfatizzino, anziché frenare, gli aspetti stereotipati dei luoghi, degli edifici e delle persone. Una delle probabili motivazioni era la necessità di interessare il lettore che, oltre il canale della Manica, leggeva e immaginava l’esotica penisola italiana. Bisogna, inoltre, dedicare alcune attenzioni alle numerose descrizioni degli usi e costumi degli italiani. Non si pensi che questi aspetti fossero unicamente folkloristici o legati ad un interesse antropologico di stampo ottocentesco: le abitudini degli italiani, così come venivano descritte dagli osservatori inglesi, andavano a influenzare anche il giudizio di chi scriveva di architettura, infatti la maggior parte delle citazioni proposte proviene da periodici di settore. Certamente il Regno Unito aveva una certa dimestichezza con caratteristiche e usanze degli abitanti del Belpaese: tale conoscenza si presentava in buona parte sotto forma di stereotipi, ma va riconosciuto che gli inglesi erano degli assidui frequentatori dell’Italia ottocentesca e non va nemmeno dimentica la presenza di emigranti italiani a Londra. Un esteso editoriale, apparso sul The Builder nel 1860, tratta dell’Italian Quarter presente nella capitale britannica: «far away from their mountain homes and their friends, these strangers, in their different ways, make exertions in order to save a sum of money with which to return, and purchase some little property, that will enable them to supply their simple wants in inexpensive neighbourhoods. In England, Germany, through the wild wastes of Russia, and other countries, the Italians, real missionaries of art, spread both instruction and amusement. Before menageries were regularly established, they roamed about with dancing bears, camels, and other animals»10. Figura che compare immancabilmente è quella dell’italiano promotore delle arti suddivise tra educazione e intrattenimento; sicuramente, nel caso londinese, la parte maggiormente rappresentata era quella dell’intrattenimento portato per le strade della City con animali esotici. Va detto che questo lungo articolo faceva parte di un’attenta osservazione sulle condizioni di vita degli italiani nel loro quartiere, lo si può quindi intendere come una descrizione veritiera. Forze più faziose possono essere le osservazioni sugli italiani comparse nei volumi coevi alla grande esposizione di Londra del 185111. In questo periodo viene pubblicato un volumetto intitolato The World’s Fair in cui si tracciano i profili di diverse nazionalità che popolano Hyde Park nel 1851. Agli italiani vengono dedicate diverse pagine: «the Italians are not a very industrious people [...]. There are a great many beggars, I am sorry to say, in fair Italy, who are called – Lazzaroni – , and they live on whatever they can get, sleeping under porticos, piazzas, or any place they can find, and are, as you may guess, excessively idle, like all other beggars. There are also hordes of thieves, who are called – Banditti –, and who rob people in the most daring manner, for there are very few police. But there are also numerous persons who are quite well-behaved, and do all they can to earn their bread honestly»12. Si può quindi affermare che, per gli studiosi inglesi, il comportamento degli italiani avesse influenzato e continuasse a influenzare l’architettura da loro concepita. Si legge di una diffusa «apathy, indolence, and ignorance of the people will»13 che conduce ad una «graceful negligence»14 per quel che riguarda l’aspetto tipico dell’Italian cottage. Queste ultime

9«Venice», in The Builder, IX, 1851, p. 625. 10 «Conditions of London – Italians – Children», in The Builder, XVIII, 1860, pp. 373-374. 11 Per maggiori informazioni sulla Great Exhibition tenutasi al Crystal Palace nel 1851 si faccia riferimento a: The World’s Fair. Or Children’s Prize Gift Book of the Great Exhibition of 1851. Describing the Beautiful Inventions and Manufactures Exhibited Therein; with Pretty Stories about the People Who Have Made and Sent Them; and How They Live When at Home, Thomas Dean and Son 35, London, [1851]; J. Auerbach, The Great Exhibition of 1851: a nation on display, London, Yale University Press, 1999. 12 The World’s Fair, cit., numerazione di pagina assente. 13 S. Smirke, «Recollection of Sicily», in The Civil Engineer and Architect’s Journal, XXIII, 1860, p. 361. 14 Phusin, «The poetry of architecture», cit., p. 13.

1041

Page 80: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

riflessioni sono tutte riconducibili all’articolo intitolato The poetry of architecture15 pubblicato a spezzoni dall’Architectural Magazine nel 1839. L’autore di questo scritto è John Ruskin16 sotto lo pseudonimo di Kata Phusin: anche il celebre critico ha contribuito, quindi, a tracciare l’immagine di un Italia stereotipata tramite i propri contributi stampati sui periodici d’architettura. Il giovane Ruskin presenta poi un’illustrazione di abitazione italiana, un Cottage near La Cité Val d’Aosta, come esempio per le caratteristiche precedentemente descritte: «the building, which is close to the city of Aosta, unites in itself all the peculiarities for which the Italian cottage is remarkable: the dark arcade, the sculptured capital, the vine-covered gallery, the flat and confused roof; and clearly exhibits the points to which we wish particularly to direct attention; namely, brightness of effect, simplicity of form, and elevation of character. Let it not be supposed, however, that such a combination of attributes is rare: on the contrary, it is common to the greater part of the cottages of Italy. This building has not been selected as a rare example, but is given as a good one»17.

Cottage near La Cité Val d’Aosta (The Architectural Magazine, V, 1838-1839, p. 104). L’illustrazione presenta delle forzature chiaramente evidenti per un osservatore italiano. Innanzitutto la presenza di cipressi non riporta certamente alla mente i paesaggi montani della Val d’Aosta dato che l’albero dal fusto snello è tipico delle colline toscane. Anche i tendaggi che appaiono sotto il portico e davanti le facciate non si addicono ad un’abitazione del nord Italia e il volume che svetta verticalmente sugli altri non assomiglia assolutamente ad un campanile con muratura lapidea, invece tipico delle valli montane. In ultimo le coperture sembrano essere in tegole di terracotta mentre i tetti delle abitazioni alpine sono celebri per le sottili lastre di pietra. Insomma la figura che accompagna il testo di Ruskin sembra essere una

15 Ibidem, pp. 7-14; 104-105; 241-250; 337-344; 385-392. 16 Per maggiori informazioni su John Ruskin (Londra 1819 - Coniston 1900) si faccia riferimento a M.W. Brooks, John Ruskin and Victorian Architecture, London, Thames and Hudson, 1989. 17 K. Phusin, «Supplementary notice to the paper on the lowland cottage, Italy», in The Architectural Magazine, V, 1838-1839, p. 105.

1042

Page 81: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

caricatura, una forzatura che certamente non rappresenta un borgo valdostano se non per i profili delle montagne che si vedono sullo sfondo. All’interno delle numerose pagine sfogliate ed esaminate per questa ricerca, inoltre, sono emersi molti articoli che fanno luce sugli interessi inglesi in Italia rivelando molti aspetti mai evidenziati prima. Per poter dare una panoramica completa sull’interessamento al patrimonio architettonico italiano bisogna innanzitutto chiarire che gli inglesi vedevano nell’Italia – oltre al classico esempio di territorio da studiare per le proprie antichità – un nuovo mercato su cui investire capitali. Il Paese necessitava di ingenti lavori per ammodernare le proprie città ed estendere, se non creare quasi da zero, la rete infrastrutturale: i fondi degli investitori d’Oltremanica e la loro esperienza a livello progettuale e tecnico hanno contribuito enormemente a questi sviluppi. Non andavano, ovviamente, dimenticati gli aspetti architettonici e lo studio puntuale dei singoli edifici anche se gli scritti dedicati a questi temi risultano numericamente inferiori rispetto a quelli trattanti i collegamenti ferroviari e le attrezzature urbane.

A sx: The Victor Emanuel Gallery, Milan, Italy – Signor Mengoni, Architect (The Builder, XXVI, 1868, p. 299). A dx: Entrance to the Victor-Emmanuel Gallery, Milan, Italy – Signor Mengoni,

Architect (The Builder, XXVI, 1868, p. 491).

Un esempio capace di testimoniare il legame che si era instaurato nel corso dell’Ottocento tra i professionisti inglesi e i cantieri italiani è certamente quello della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. L’intervento inglese per questa fabbrica è fondamentale in quanto i componenti della cupola vengono costruiti all’estero in segmenti prefabbricati, trasportati in Italia e ricomposti nel luogo predestinato da una English company, la quale «have always looked upon remunerative portion of that undertaking»18.

18 «The Victor Emanuel Gallery», in The Builder, XXVI, 1868, p. 298.

1043

Page 82: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Un tema che non si discosta troppo è anche quello delle grandi fiere. Dieci anni dopo Londra (1851) e a soli sei anni da Parigi (1855) l’Italia, da poco unificata, inaugura a Firenze la prima esposizione nazionale nel 186119: «the Palace, which has sprung out of a railway station with marvellous rapidity, was brought to the completeness requisite for the inauguration within seventy days from its commencement, by the labour of more than 1,300 workmen, relieving each other day and night without intermission»20.

The buildings for the Florence Exhibition (The Builder, XIX, 1861, p. 737). Si possono però trovare nei periodici dei contributi privi di stereotipizzazioni e profondamente utili nel delineare l’immagine dell’Italia. Uno di questi è certamente uno scritto pubblicato in occasione dell’esposizione: «the [...] aspect under which any Englishman, anxious for the augmentation of his country’s greatness, would naturally regard the present evidences of capacity manifested at Florence, would be to consider what concurrent improvement his countrymen may derive from the lessons to be at present learnt in Italy?»21. Un simile esempio ci permette, quindi, di poter guardare l’Italia con gli occhi di un inglese: il visitatore si chiede cosa si possa imparare dall’Italia per poterne trarre profitto in patria. Pertanto la relazione tra i due Paesi può essere intesa come un rapporto biunivoco, quantomeno non a senso unico; l’attenzione rivolta al patrimonio artistico, architettonico e culturale italiano non è un’osservazione sterile e limitata al passato. Il presente ottocentesco dell’Italia – ancorché raccontato con alcuni pregiudizi e numerosi luoghi comuni – è fonte di profondo interesse da parte inglese.

19 Per maggiori informazioni sull’evento si faccia riferimento a: Esposizione italiana, Firenze, 1861, La Esposizione italiana del 1861: giornale con 190 incisioni e con gli atti ufficiali della R. Commissione, Firenze, 1862; B. Cinelli, «Firenze 1861: anomalie di una esposizione», in Ricerche di Storia dell’Arte, 1982, n. 18, pp. 21-36. 20 «The national exhibition in Florence», in The Builder, XIX, 1861, p. 680. 21 Wyatt, «On the present aspect of the fine and decorative arts in Italy», cit., p. 37.

1044

Page 83: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3. Conclusioni

Un primo aspetto ricorrente, che compare da qualsiasi punto di vista si leggano i contributi sull’Italia nei periodici vittoriani, è lo stereotipo. Il Belpaese viene descritto su più livelli ma fatica a scrollarsi di dosso quei luoghi comuni che lo accompagnano sin dal periodo dei Grand Tours settecenteschi; gli usi e costumi degli abitanti della penisola vengono raccontati come qualcosa di esotico, legati addirittura ad abitudini attribuite agli antichi Romani, una rappresentazione assolutamente particolare e affascinante per un lettore d’Oltremanica. Lo stereotipo serve per raccontare in maniera facilmente riconoscibile il soggetto di cui si vuole scrivere, la caratteristica principale è quella di eliminare tutte le sfumature dell’argomento in questione rendendolo sì sorprendente, ma terribilmente piatto e distante dalla realtà. Il cliché comportamentale, poi inevitabilmente riflesso sul patrimonio architettonico del Paese, è quello che maggiormente affascina ed è presente in maniera preponderante sul tema dell’architettura soprattutto nei primi decenni interessati da questo studio. Le sfumature diventano quindi l’aspetto più interessante del Belpaese, una lettura trasversale delle gradazioni della realtà descritta permette di comprendere effettivamente la nazione che si avvicinava all’unificazione. Indubbiamente i grandi cambiamenti dell’epoca stravolgevano l’aspetto, e soprattutto l’idea, che gli inglesi avevano, e volevano avere, dell’Italia. Il patrimonio architettonico e culturale del Paese intero diventa, così, uno specchio nel quale leggere le nuove sembianze italiane: «long flourished united Italy […]! May the determined energy and ability of Brunelleschi descend upon her architects»22.

Bibliografia J. Auerbach, The Great Exhibition of 1851: a nation on display, London, Yale University Press, 1999. M.W. Brooks, John Ruskin and Victorian architecture, London, Thames and Hudson, 1989. B. Cinelli, «Firenze 1861: anomalie di una esposizione», in Ricerche di Storia dell’Arte, 1982, n. 18, pp. 21-36. S. Ciranna, G. Doti, M.L. Neri (a cura di), Architettura e città nell’Ottocento: percorsi e protagonisti di una storia europea, Roma, Carocci, 2011. Esposizione italiana, Firenze, 1861, La Esposizione italiana del 1861: giornale con 190 incisioni e con gli atti ufficiali della R. Commissione, Firenze, 1862. F. Jenkins, «Nineteenth-Century Architectural periodicals», in N. Pevsner, J. Summerson (a cura di), Concerning architecture: essays on architectural writers and writing, London, Penguin Press, 1968, p.153-160. The World’s Fair. Or, Children’s Prize Gift Book of the Great Exhibition of 1851. Describing the Beautiful Inventions and Manufactures Exhibited Therein; with Pretty Stories about the People Who Have Made and Sent Them; and How They Live When at Home, Thomas Dean and Son 35, London, [1851]. K. Wheeler, Victorian Perceptions of Renaissance Architecture, Ashgate, Farnham, 2014.

22 W. H. Picton, «Architectural reminiscences of Florence», in The Building News, XII, 1865, p. 99.

1045

Page 84: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 85: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

La persistenza di modelli visuali del paesaggio romano da Van Wittel a Le Corbusier

Fabio Colonnese Sapienza Università – Roma – Italia

Parole chiave: Le Corbusier in Italia, Modelli visuali, Prospettiva, Villa Adriana, Taccuino di viaggio.

1. Introduzione I numerosi studi pubblicati negli ultimi due decenni sulla figura di Le Corbusier hanno setacciato quasi ogni angolo del suo immenso archivio conservato a Parigi presso l’omonima fondazione. In particolare, i suoi taccuini di viaggio, pubblicati in maniera sistematica a partire dagli anni Ottanta, sembrano costituire una fonte inesauribile per tracciare le complesse traiettorie della sua formazione artistica ma anche per confutare diffuse convinzioni e alcune delle sue stesse affermazioni. Gli studi sulle riviste, cartoline e dépliant commerciali della sua biblioteca, hanno messo in luce l’attitudine ad adottare quasi fino al plagio, i modelli visivi dei primi mass media, come la pubblicità e il cinema. Allo stesso modo, gli schizzi di viaggio, quando non copiati a loro volta da fotografie o pesantemente ritoccati dopo il ritorno, possono rivelare la sua adozione di modelli visuali storici, se non addirittura classici, che hanno influenzato non solo il suo modo di rappresentare l’architettura ma, più in generale, il modo di vedere e valorizzare il paesaggio in termini di composizione di masse e piani.

Le Corbusier, Schizzo di viaggio del Pecile, 1911. Paris, Fondation Le Corbusier, Voyage d’Orient, Carnet 5, 34.

1047

Page 86: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

2. Uno schizzo del Pecile in Villa Adriana Nel 1911, durante il suo soggiorno romano, Jeanneret si recò a Tivoli, dove visitò le rovine di Villa Adriana1. Nell’occasione egli mise da parte la macchina fotografica2 e riempì il suo taccuino a fogli quadrettati di numerosi schizzi, generalmente a matita e occasionalmente trattati con pastelli colorati. Il suo tratto appare “a volte rapido come uno scatto fotografico, altre attento come un disegno di Corot, a volte calligrafico come fosse una pianta ingrandita del Baedeker, a volte sommario e dimentico dei particolari”.3 Diversi schizzi sono dedicati alla comprensione e alla misurazione del vasto terrazzamento del Pecile concluso con un grande terrapieno curvo. Il complesso misura circa 330 metri di lunghezza per 110 di larghezza, con una piscina centrale lunga 100 metri e ampia 25: dimensioni che lo accumunano, ad esempio, al Belvedere Bramantesco e che lo pongono al limite individuato da Leonardo Benevolo tra la percezione propriamente architettonica e quella paesaggistica4. Egli redasse schizzi in pianta e sezione e rapide viste prospettiche della grande piattaforma da diversi angoli. In diversi casi si tratta di composizioni che inquadrano il rarefatto paesaggio del Pecile, segnato in ampiezza dall’orizzonte, in profondità dal muro e in verticale da un cipresso solitario, attraverso la cornice architettonica prospettica offerta dai fornici e dal pavimento quadrettato. Particolarmente interessante è il primo schizzo del Pecile, incentrato sul muro alto 9 metri che delimita la terrazza verso nord, originariamente affiancato da due lunghi portici e marcato da filari orizzontali. Il muro è inquadrato secondo un punto di vista molto vicino al piano verticale che lo contiene e, tuttavia, distante abbastanza da inquadrare la testata del muro in tutta la sua altezza. L’ideale quadro prospettico appare posto perpendicolarmente al muro, come suggerito dal prospetto frontale della Aula dei Filosofi sul fondo, che nasconde il cosiddetto Teatro marittimo retrostante e conclude otticamente la sequenza architettonica. Il muro risulta quindi in un triangolo tutto spostato a sinistra che sembra pensato appositamente per inquadrare l’ampia porzione di paesaggio distante chiuso dal profilo dei monti: privato delle sue bucature e segnato da linee che concorrono alla fuga, appare come una lastra astratta verticale che semantizza il paesaggio, “espressione della volontà di assumere l’ordine di Roma come strumento di interpretazione dell’ordine della natura”5. 2.1. Lo sguardo filtrato Già molti anni fa, Giuliano Gresleri aveva posto l’attenzione sul fatto che probabilmente Jeanneret conosceva bene i libri di Pierre Gusman. Le somiglianze che molti dei suoi schizzi tiburtini presentano con le illustrazioni del suo libro di Gusman su Tivoli6 solo parzialmente possono essere giustificate dall’ipotesi che si trattasse di punti di vista quasi obbligati dalla disposizione dei sentieri e degli ostacoli visivi costituiti dalla vegetazione alta. Lo schizzo del Pecile rientra in questa categoria e può essere facilmente accostato alla figura 186 del libro di Gusman, con la differenza che invece che quadrato, lo schizzo di Jeanneret è orizzontale e dedica un campo visivo maggiore al fondale naturalistico.

1 G. Gresleri, «À la ville d’Hadrien», in L’Italie de Le Corbusier. 15. rencontres de la Fondation Le Corbusier, edited by M. Talamona, Paris, Fondation Le Corbusier-Editions de la Villette, 2010, pp. 36–49. 2 Una eccezione è costituita dalla foto che lo ritrae proprio ai piedi del muro del Pecile. Fondation Le Corbusier, L4(19)132. 3 G. Gresleri, «Dalla villa alle ville: Jeanneret e Adriano», in L’Italia di Le Corbusier, edited by M. Talamona, Milano, Electa, 2012, p. 147 4 L. Benevolo, La cattura dell’infinito, Bari–Roma, Laterza, 1991, p. 10. 5 G. Denti, «L’ordre de Rome et l’ordre de la nature. Riflessioni sui croquis di Villa Adriana», in Massilia: anuario de estudios lecorbusierianos, Madrid, Fundación Caja de Arquitectos, 2004, p. 32. 6 P. Gusman, La Villa Imperial de Tibur – Villa Hadriana, Paris, 1904.

1048

Page 87: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Era possibile inquadrare diversamente un muro di tali dimensioni? Giovanni Battista Piranesi, che pure aveva ritratto la struttura in tutta la sua lunghezza, aveva scelto un punto di vista più distante dal muro e un quadro inclinato rispetto ad esso, riducendo lo spazio pittorico destinato allo sfondo, peraltro riempito di altre strutture della villa. Appare quindi evidente che se il tema da ritrarre fosse stato il muro, un altro artista si sarebbe allontanato da esso per inquadrarlo meglio. È plausibile quindi che le immagini del libro di Gusman di cui si era nutrito costituissero delle chiavi per accedere alla conoscenza dei luoghi, utili a verificare le idee “precostituite” con l’esperienza dello spazio fisico.

P. Gusman, Vista del Pecile. La Villa Imperial de Tibur,

Villa Hadriana, Paris, 1904, p.138, part.

2.2. La veduta: da esigenza operativa a modello visivo Gli studi di Thomas Schumacher hanno già messo in luce come Le Corbusier si nutrisse delle geometrie sottese alle composizioni pittoriche e fotografiche traendone un modello binario che dividendo in due parti più o meno simili la superficie dell’immagine tende creare l’impressione di un contrasto tra superficie e profondità.7 È quindi plausibile che l’idea di porsi vicino al muro possa essere legata alla sua familiarità con un certo modello visivo, a lui giunto probabilmente attraverso Gusman ma non solo, eppure consolidatosi secoli addietro, tra la diffusione della prospettiva centrale e il vedutismo elaborato da Gaspar Van Wittel. L’artista olandese si servì spesso di una camera oscura per velocizzare e industrializzare il processo di produzione, aggregando in studio i piccoli schizzi ripassati sul foglietti su cui veniva proiettata l’immagine esterna, per poi trasferirli sulla tela ingrandendoli col procedimento della griglia e completare i quadri con nuvole, figure umane e mezzi di trasporto. Purtroppo ogni volta che si ruota lo specchio superiore per inquadrare una nuova porzione dell’esterno, si altera il rapporto tra punto di vista e quadro, con la conseguenza che

7 T. L. Schumacher, «Deep space/shallow space», in The Architectural Review, 1079, 1987, pp. 37–42.

1049

Page 88: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

ogni foglietto presenta una struttura prospettica differente e che quindi serve un lungo lavoro di post-produzione per armonizzare le varie parti.8 Per evitare tutto ciò, Van Wittel imparò a scegliere punti di vista che gli offrivano una notevole profondità di campo, come le rive del Tevere, e in cui le architetture apparissero molto scorciate, in modo che l’intera facciata ricadesse su un singolo foglio9. Questa esigenza operativa segnò indirettamente un nuovo modo di guardare e ritrarre la città che influenzò gli artisti del XVIII secolo.

Domenico Ghirlandaio, La Visitazione, Cappella Tornabuoni in S.Maria Novella, Firenze, 1485-90

Un aspetto interessante dello schizzo è che Le Corbusier scelse di includere interamente la testata del muro. Sottolineando la traccia del piano verticale, egli alludeva indirettamente ad un modello visuale precedente a quello di Van Wittel, che rimarcava maggiormente la matrice prospettica dello spazio. Esso si può trovare nei quadri di Viviano Codazzi, che ancora abbinava la parte di scorcio dell’edificio ad una parte in proiezione frontale oppure, andando a ritroso, ne La Visitazione del Ghirlandaio a Firenze (1485-90), che pure meriterebbe considerazioni di carattere simbolico e iconografico10.

3. Considerazioni Le Corbusier doveva ritenere molto importante lo schizzo del muro del Pecile. Lo pubblicò nel 1923 in Vers une Architecture per illustrare il paragrafo “L’esterno è sempre un interno”, non prima di averlo ridisegnato piuttosto fedelmente su un foglio bianco con segni più evidenti per facilitarne la riproduzione tipografica.

8 Il discorso cambia di fornte a configurazioni più sfuggente, come l’ovale del Colosseo o le sponde del Tevere. Vedi M. Carpiceci, F. Colonnese, «Il Tevere, Gaspar Van Wittel e la camera ottica. La veduta panoramica dell’ambiente fluviale», in Il valore dell'acqua nel patrimonio dei beni culturali attraverso la lettura di alcuni episodi architettonici, urbani e territoriali. Gli acquedotti e le fontane a Roma dal XVI al XIX secolo, edited by Maria Martone, Roma, Aracne, 2015, pp. 189–200. 9 Si vedano, tra le altre, le vedute dedicate a Trinità de’ Monti, Villa Medici, Montecavallo, Ponte Milvio, Arco di Costantino e Palazzo Farnese a Caprarola. 10 Vedi F. Colonnese, Movimento, Percorso, Rappresentazione, Roma, Kappa, 2012, pp. 313–316. Già H. Damisch aveva proposto questa associazione ne «I teatrini della vita moderna», in Le Corbusier: enciclopedia, Milano, Electa, 1988, pp. 305–306.

1050

Page 89: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Le Corbusier, Schizzo del Pecile, 1923. Verso una architettura, Milano, Longanesi, 1984, p.156.

Gino Pollini, Villa Adriana. Pecile, schizzo da Vers une architecture, 1925-26. Archivio Figini Pollini, MART, Rovereto, Taccuino 7.

1051

Page 90: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

“Nella Villa Adriana, piani orizzontali stabiliti in accordo con la piana romana; montagne che chiudono la composizione stabilita, del resto, rispetto a esse”11. È sfogliando tale libro che il piccolo schizzo colpì la fantasia del giovane studente di architettura Gino Pollini, che negli anni sarà largamente influenzato dall’opera del maestro svizzero. Egli lo trascrisse immediatamente sul proprio taccuino, probabilmente agli inizi del 1926, stando attento a riportare fedelmente anche i tratteggi, salvo poi trascurare le strutture sullo sfondo. Questo episodio sembra confermare l’importanza della trascrizione operata da Jeanneret del modello visuale di derivazione settecentesca attraverso il filtro dei principi geometrici elementari utili a stabilire anche una nuova visione del mondo antico. È l’evoluzione di un modello che apparteneva alla cultura classica ma che poteva servire benissimo per traghettare nuovi significati. Esso ritorna infatti negli schizzi fumettistici per la casa di Madame Meyer e nelle prospettive del progetto per il Palais des Nations a Ginevra (1927-28), che per il gioco combinatorio dei volumi e il rapporto paesaggistico che stabilisce con gli alberi e le Alpi sullo sfondo, si potrebbe definire realmente come un progetto di concezione pittoresca erede della tradizione vedutistica12. Non bisogna infine sottovalutare il ruolo del volume dell’Aula dei Filosofi che, nello schizzo del Pecile, sottolinea la frontalità della visione, misura la fine della struttura, segnala un possibile traguardo e forse una nuova partenza. Si tratta di un elemento presente anche in altri schizzi e fotografie, come in quella di Villa d’Este13, che si trasferisce presto nella composizione delle Ville La Roche-Jeanneret e Stein-De Monzie. È significativo che Denti abbia trovato memoria di quello schizzo ancora cinquant’anni dopo il viaggio a Roma, nei disegni dell’Alta Corte di Giustizia di Chandigahr. È sufficiente osservare la prospettiva dell’edificio di scorcio con il prospetto che rigira sul finire e che sembra inquadrare le montagne distanti per ritrovarne gli elementi compositivi trascritti nel vocabolario modernista.

4. Conclusioni Gli schizzi che Le Corbusier redasse nel 1911 a Villa Adriana testimoniano l’interesse che suscitò in lui la struttura del Pecile, già nota ed assorbita attraverso le pagine e le illustrazioni di testi quali quello di Gusman, ed il suo approccio mediato da modelli visivi persistenti. Per la particolare scelta del soggetto, un alto e lungo muro poggiato al limitare di un vasto terrazzamento orizzontale orientato verso alture distanti, è possibile mettere in relazione lo schizzo del Pecile – e non solo – con la tradizione vedutistica e panoramica inaugurata da Gaspar van Wittel sul finire del XVII secolo. Il successo di quelle vedute trascese le ragioni strumentali per le quali venivano costruite e influenzarono le successive generazioni di vedutisti e il modo di stesso di vedere l’ambiente urbano in relazione al paesaggio. Allo stesso modo, secoli dopo, Le Corbusier adottò occasionalmente lo stesso modello visuale per produrre immagini che gli permettevano di focalizzare l’attenzione sullo spazio più che sui suoi margini. Questo studio è limitato ad una singola pagina del suo taccuino ma è possibile trovare conferme sia in altri suoi schizzi di viaggio sia nei disegni di progetto presentati nei volumi dell’Oeuvre Complete. Mentre in chiave mediatica, l’ésprit de geometrie col quale attualizzò le “vedute” gli garantì una maggiore penetrazione nell’immaginario collettivo dei

11 Le Corbusier, Verso una architettura, Milano, Longanesi, 1984, p.156. 12 Scelte che, ad esempio, probabilmente influenzarono le viste elaborate per l’ampliamento dell’Accademia di Brera a Milano circa dieci anni dopo da Figini e Pollini assieme a Terragni, Mariani e Lingeri. 13 A. Piotrowski, «Le Corbusier and the Representational Function of Photography», in Camera Constructs. Photography, Architecture and the Modern City, edited by Andrew Higgott and Timothy Wray, London, Ashgate, 2012, p. 38.

1052

Page 91: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

suoi lettori e potenziali clienti, in termini compositivi gli consentì di assorbire le lezioni del passato per trascriverle silenziosamente nelle sue architetture, sin dalla villa Favre-Jacot14. Le immagini del suo taccuino servirono a lui – e secondariamente ai suoi appassionati seguaci – come veicolo di negoziazione tra il paesaggio classico e il paesaggio industriale, composto di forme geometriche e superfici utili non solo a rendere “visibile” lo spazio ma anche a costruire il paesaggio inquadrandone porzioni e dotandole di significato in rapporto con il percorso dell’osservatore. E ancora oggi, in fondo, è sempre a quello sguardo che l’architettura radicale dei Superstudio e la Land Art di artisti come Peter Smithson o Richard Serra, appaiono debitori.

Richard Serra, Sea Level, Flevoland, Netherlands, 1996

14 Cfr. M. Pogacnik, «La villa Favre-Jacot au Locle. La concavité spatiale en œuvre», in Les Cahiers de la Recherche architecturale et urbaine, 22/23, 2008, pp. 59–78.

1053

Page 92: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 93: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

The urban image of Toledo through foreign travellers’ tales from the end of the XV century

through the XVIII century Verónica Gijón Jiménez

Universidad de Castilla - La Mancha – Ciudad Real – España Keywords: Modern age, Toledo, traveller’s tales, urban image. The aim of this paper is to gain insights into the impression that the city of Toledo left on foreign travellers in the Modern Age. To this end, I have studied a corpus of 38 tales of travellers who visited Toledo from the end of the XV century through the XVIII century. In order to understand the perception that these writers had of the city, I have chosen the most representative accounts.

1. The location and ground plan of Toledo The spectacular location of Toledo has impressed travellers visiting the city since time immemorial. Hieronymus Münzer, the first traveller studied here, begins his account with an accurate portrayal of the way the city looked when observed from afar: «It is located on a strongly fortified hill. The Tagus surrounds it on three sides»1. Travellers visiting the city at a later date only added new details. The Venetian Ambassador Andrea Navagero, who resided in Toledo from 1525 to 1526, alludes to the Huerta del Rey and the Vega2. And for his part, Lorenzo Magalotti, the official chronicler of Cosimo III de’ Medicis’ travels in Spain between 1668 and 1669, remarks on the city’s size and the sprawling suburb on the hillside3. This impression would change little in the XVIII century. Remarkable in this respect is the account of the Reverend Edward Clarke who, while travelling through Spain in 1761, found the view of Toledo worthy of an extravagant imagination such as that of Salvatore Rosa4. The distinguishing features of Toledo were its fortifications and gates when seen from a distance, yet very few travellers describe them. Some, such as the anonymous author of La Floresta Española5, who would have visited the city at the beginning of the XVII century, note their solidness and strength. While the most frequently mentioned gates are those of Cambrón and Bisagra. Toledo’s ground plan was greatly influenced by the lie of the land, a number of authors noting its ruggedness. One of the most outstanding accounts is that of Navagero who observes that the city has a circumference of three and half, or a quarter, miles. He also notes its high building density, the narrowness of its streets, and the lack of open spaces such as squares and gardens; besides Zocodover Square. To the author’s mind, the buildings of Toledo are of good quality, and he also observes that the austere façades of its palaces conceal their inner opulence. According to tradition, they were built of brick and packed earth, had few exterior windows and were structured around a patio6. Cavalli’s description is very similar, yet he

1H. Münzer, Viaje por España y Portugal (1494-1495), Madrid, Polifemo, 2002, p. 247. 2A. Navagero, Viaje por España (1524-1526), Madrid, Turner, 1983, p. 25. 3L. Magalotti, Viaje de Cosme de Médicis por España y Portugal (1668-1669), Madrid, 1933, p. 157. 4E. Clarke, Letters concerning the Spanish nation. Written at Madrid during the years 1760-1761, London, 1763, p. 173. 5 L. Sánchez Costa (ed.), «La Península a principios del siglo XVII», Revue hispanique, 34, 1915, p. 302. 6 A. Navagero, op. cit., pp. 111-112.

1055

Page 94: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

reckons that the houses are small and poky7. For his part the author of La Floresta Española plays down some of the city’s defects such as its steep and uneven streets8. The favourable impression that the city left on most foreign travellers during the XVI century and at the beginning of the following one changed drastically in the second half of the latter. Not only do they still allude to its narrow and badly paved streets, but also remark on the poor quality of its buildings. François Bertaut only admires the cathedral and the citadel9, while Lorenzo Magalotti commends the cathedral, the archiepiscopal palace, the Hospital Mayor, the bridge over the Tagus, and the gates10. The opinion of XVIII-century travellers was much more unfavourable than that of their predecessors. Norberto Caimo, Richard Twiss, and Giuseppe Baretti concur when observing the city’s uneven, narrow, and badly paved streets. Twiss even remarks on the derelict houses11.

2. The religious buildings of Toledo Toledo was the main seat of the Spanish Church, the owner of vast swaths of land generating huge revenues, whose power embraced the religious and political spheres. The Primate Cathedral of St Mary was the physical proof of the power wielded by the Church of Toledo, a fact that was remarked upon by travellers visiting the city. Most of them mention the cathedral in their tales. Münzer was the first to see it finished, since its vaults were closed in 149312, two years before his arrival. He simply offers a general description of the building, claiming that he has never seen such a beautiful cathedral in Spain. From then on, further entrances and chapels were built and the cathedral was equipped with furnishings of which writers visiting it in the following years took note. If there is an aspect of the cathedral present in all the accounts, then that is its affluence. Many refer to the vast revenues of the archbishopric, yet the material manifestation of that wealth was its treasures, admired by all those beholding them, such as Navagero, Monçonys, and Madame d’Aulnoy13 who emphasize the cathedral’s abundant riches. In the XVI and XVII centuries, this accumulation of wealth was seen in a positive light, but in the XVIII century some travellers including Joseph Townsend considered it inconsequential14. Toledo’s large number of religious buildings increased during the Modern Age. In his account, Navagero notes the power wielded by the clergy of Toledo15. While the Pole Jakub Sobieski, who visited the city in 1611, remarks on its large array of religious buildings16. Notwithstanding this profusion, only a few religious buildings appear in the travellers’ tales of Toledo analysed here. The best described convent is that San Juan de los Reyes. As most authors point out, it was commissioned by the Catholic Kings to commemorate the victory at the battle of Toro in 1476 and the birth of Prince John in 1478. To this must be added the

7 L. de Otthobon, «Relación del viaje del embajador veneciano Sigismundo Cavalli a España (1567)», Antológica Annua, XVI, 1968, p. 446. 8 Sánchez Costa, Luis (ed.), op. cit., p. 303. 9 F. Bertaut, Journal de voyage en Espagne, Paris, 1669, p. 52. 10 Magalotti, Lorenzo, Viaje de Cosme de Médicis por España y Portugal (1668-1669), Madrid, 1933, p. 157. 11 G. Baretti, Viaje de Londres a Génova a través de Inglaterra, Portugal, España y Francia, Madrid, Reino de Redonda, 2005, p. 255; N. Caimo, Lettere d’un vago italiano ad un suo amico, I, Milano, 1758, pp. 16-17; R. Twiss, Viaje por España en 1773, Madrid, Cátedra, 1999, pp. 131-132. 12 R. Díaz del Corral Garnica, Arquitectura y Mecenazgo. La imagen de Toledo en el Renacimiento, Madrid, Alianza, 1987. p. 263. 13 M. C. D’Aulnoy, Relación del viaje de España, Madrid, Akal, 1986, p. 374. 14 J. Townsend, Viaje por España en la época de Carlos III, Madrid, Turner, p. 125. 15 A. Navagero, op. cit., p. 27. 16J. Sobieski, «El reino de España», in Viajeros extranjeros por España y Portugal, III; J. García Mercadal, Salamanca, Junta de Comunidades de Castilla y León, Salamanca, 1999, p. 184.

1056

Page 95: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

creation of a pantheon for the royal family, which would ultimately be located in Granada. Even so, it was a symbol of the power of its founders, an aspect underscored by the travellers who included it in their accounts. Münzer, who saw the convent in 1495 just before it was completed, indicates that it was built of stone and decorated with the coats of arms of its patrons and the effigy of St John17. Magalotti, the only author to touch upon the two cloisters, offers us the most complete description. Yet he was not much taken by the edifice, since he declares that although it befitted Toledo, it would be of little import in Italy18. What most drew the attention of foreign travellers, however, were the chains hanging from the façade of the church. All claim they belonged to Christian captives who had been ransomed, although they do not concur on their origins. Other convents featuring in the travellers’ tales analysed here are those of St Peter Martyr and Sisla, both mentioned by the author of La Floresta Española, who notes that the former was the burial site of the Cifuentes family, and the latter, that of the Padilla19. For his part, Baltasar de Monçonys20 refers to the tombs and describes one of the cloisters of St Peter Martyr. Later, in the XVIII century, Caimo refers to the paintings of its main altarpiece21. The rest of Toledo’s religious buildings are all but ignored, insofar as the authors only take note of their names.

3. The civic buildings of Toledo As Cavalli observes, the citadel of Toledo occupies the highest part of the city22. Its origins go back to the Muslim era, but it was Charles V who commissioned Alonso de Covarrubias to restore it in 1537. Cavalli saw the works during his stay in the city in 1567. Henceforth, all travellers would associate the citadel with the figure of the emperor, thus becoming one of the monarchy’s symbols of power in the city. The author who offers us the most detailed description of the building is François Bertaut, who was in Toledo in 1659. Bertaut focuses his attention above all on the patio and the stairs. Curiously, he describes it as gothic in style, although the restoration work commissioned by Charles V had aimed to give the building a Renaissance appearance23. Despite the fact that the citadel was used as a state prison at the time, travellers continued to associate it with the monarch responsible for its restoration. In 1710, the troops of the Archduke Charles of Austria set fire to the citadel during the Spanish War of Succession. The account that best describes its state after the fire is that of Richard Twiss, who claims that only three habitable rooms remained24. Travellers visiting the citadel after its destruction still associated its ruins with Charles V. Nonetheless, this situation changed in 1774 when Cardinal Lorenzana had it rebuilt as a house of charity. From then on, the building became a symbol of the altruism of this Prince of the Church. One of the first travellers to visit it was Henry Swinburne, who does not allude to the house of charity in his writings, even though it already existed25. Besides the citadel, the civic buildings most frequently mentioned in the travellers’ tales under study were Toledo’s hospitals. The Sicilian humanist-educator Lucio Marineo Sículo refers to three of the many hospitals existing in the city in the XVI century; namely, those of

17 H. Münzer, op. cit., pp. 253-254. 18 L. Magalotti, op. cit., p. 156. 19L. Sánchez Costa (ed.), op. cit., pp. 301-304. 20 B. de Monçonys, Voyage d’Espagne fait en l’année 1628, Lyon, 1666, p. 31. 21 N. Caimo, op. cit., p. 25. 22 L. de Otthobon, op. cit., pp. 446-447. 23 F. Bertaut, op. cit., pp. 53-54. 24 R. Twiss, op. cit., p. 134. 25H. Swinburne, Picturesque tour through Spain, Madrid, JdeJ Editores, 2011, facsimile edition of that of 1810, unp.

1057

Page 96: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Santiago, Santa Cruz and la Vistación26, the last two being the most familiar to foreign travellers. As Navagero remarks, the Hospital of Santa Cruz was founded by Cardinal Mendoza. In 1541, the Hospital of Tavera was built, after which it also became a tourist attraction. Jehan L’Hermite already mentions it in 159627 and Madame D’Aulnoy offers us a general description of the building28. The rest of the city’s civic buildings are described by a number of authors: Monçonys refers to the façade of the city hall29 and, in the XVIII century, Peyron singles it out as one of the city’s chief buildings30; and the university is mentioned by Laffi and Swinburne31. In the XVIII century, the Arms factory also became popular with travellers, inasmuch as it appears in accounts such as those of Clarke, Margarot, Swinburne, and Peyron; although only the latter visited its new premises, built during the reign of Charles III on the outskirts of the city32. The city’s infrastructures are frequently mentioned in the travellers’ tales analysed here, which contain numerous references to the bridges of Alcántara and San Martín. Luis de Frois, a member of the Japanese embassy that travelled through Spain in 1584, claims that they are very wide and both have two towers33. In the XVIII century, travellers were still writing about the city’s bridges. Although Toledo’s bridges were prominent in travellers’ tales, what really aroused their curiosity was the Artificio de Juanelo, the name of two devices built by Juanelo Turriano from Cremona, which allowed water to be transported from the Tagus to the citadel. Cavalli was the first to see it in 156734. L’Hermite attempted to make a drawing of its mechanism, but failed to gain access to it35. In 1617, as the device was no longer in use, XVII-century travellers could now get a look at its inner workings. Monçonys tells us that it contained white iron boxes, all linked together, which the river itself filled, the water passing from one to the other until it reached its destination36. This device was so famous that some XVIII-century authors, such as Bourgoing, still mention it even though it had been out of service for over a century37.

4. Conclusions The panoramic view of Toledo and its ground plan are highly prominent in the traveller’s tales studied here. For travellers, the city’s most significant buildings were the citadel and the cathedral, two of the most formidable expressions of the power of the monarchy and the Church. These tales reveal the history of these buildings, which also influenced the impression that they caused on foreign travellers. This perception changed with time. In the XVI century and at the beginning of the following century, we can see that their opinions were more favourable, whereas from the middle of the XVII century onwards they began to 26 L. Marineo Sículo, De las cosas memorables de España, Madrid, La hoja del Monte, p. 53. 27 J. L’Hermite, El pasatiempos de Jehan L’Hermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felpe II y Felipe III, Madrid, Ediciones Doce Calles, 2005, p. 129. 28 M. C. D’Aulnoy, op. cit., pp. 272-373. 29 B. de Monçonys, op. cit., p. 31. 30 J. F. Peyron, Nouveau voyage en Espagne fait en 1777 & 1778, I, Londres, 1783, p. 339. 31 D. Laffi, Viaggio in Ponenete a San Giacomo di Galitia e Finisterrae, Bolonia, 1681, p. 371; H. Swinburne, op. cit., unp. 32 E. Clarke, op. cit., p. 175; M. Margarot, Histoire ou relation d’un voyage qui a duré près de cinq ans : pendant lequel l’auteur a parcouru une partie de l’Angleterre, la France, l’Espagne, le Portugal, I, Londres, 1780, p. 129; H. Swinburne, op. cit., unp.; J. F. Peyron, op. cit., p. 340. 33 L. Frois, La première ambassade du Japon en Europe 1582-1592, Tokyo, 1942, p. 64. 34L. de Otthobon, op. cit., p. 447. 35J. L’Hermite, op. cit., p. 283. 36 B. de Monçonys, op. cit., p. 31. 37 J. F. Bourgoing, Nouveau voyage en Espagne ou tableau de l’état actuel de cette monarchie, Paris, 1789, p. 320.

1058

Page 97: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

find fault with the state of the streets or the buildings. This was due not only to changes in mentality, but also to a chain of events that conditioned the city’s future: the transfer of the court to Madrid in 1561; and the economic crisis unleashed as from the second decade of the XVII century.

Bibliography G. Baretti, Viaje de Londres a Génova a través de Inglaterra, Portugal, España y Francia, Madrid, Reino de Redonda, 2005. F. Bertaut, Journal de voyage en Espagne, Paris, 1669. J. F. Bourgoing, Nouveau voyage en Espagne ou tableau de l’état actuel de cette monarchie, Paris, 1789, p. 320. N. Caimo, Lettere d’un vago italiano ad un suo amico, I, Milano, 1758. E. Clarke, Letters concerning the Spanish nation. Written at Madrid during the years 1760-1761, London, 1763. M. C. D’Aulnoy, Relación del viaje de España, Madrid, Akal, 1986. L. de Otthobon, «Relación del viaje del embajador veneciano Sigismundo Cavalli a España (1567)», Antológica Annua, XVI, 1968, p. 411-489. R. Díaz del Corral Garnica, Arquitectura y Mecenazgo. La imagen de Toledo en el Renacimiento, Madrid, Alianza, 1987. L. Frois, La première ambassade du Japon en Europe 1582-1592, Tokyo, 1942. J. L’Hermite, El pasatiempos de Jehan L’Hermite. Memorias de un Gentilhombre Flamenco en la corte de Felpe II y Felipe III, Madrid, Ediciones Doce Calles, 2005. D. Laffi, Viaggio in Ponenete a San Giacomo di Galitia e Finisterrae, Bolonia, 1681. L. Magalotti, Viaje de Cosme de Médicis por España y Portugal (1668-1669), Madrid, 1933. M. Margarot, Histoire ou relation d’un voyage qui a duré près de cinq ans : pendant lequel l’auteur a parcouru une partie de l’Angleterre, la France, l’Espagne, le Portugal, I, Londres, 1780. B. de Monçonys, Voyage d’Espagne fait en l’année 1628, Lyon, 1666. H. Münzer, Viaje por España y Portugal (1494-1495), Madrid, Polifemo, 2002. A. Navagero, Viaje por España (1524-1526), Madrid, Turner, 1983. J. F. Peyron, Nouveau voyage en Espagne fait en 1777 & 1778, I, Londres, 1783, L. Sánchez Costa (ed.), «La Península a principios del siglo XVII», Revue hispanique, 34, 1915. J. Sobieski, «El reino de España», in Viajeros extranjeros por España y Portugal, III; J. García Mercadal, Salamanca, Junta de Comunidades de Castilla y León, Salamanca, 1999. H. Swinburne, Picturesque tour through Spain, Madrid, JdeJ Editores, 2011, facsimile edition of that of 1810. Twiss, Viaje por España en 1773, Madrid, Cátedra, 1999. J. Townsend, Viaje por España en la época de Carlos III, Madrid, Turner.

1059

Page 98: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 99: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Immaginando Granada. Un’analisi iconografica della città attraverso la memoria del viaggiatori romantici (sec. XIX)

Inmaculada Lopez-Vilchez1 Universidad de Granada – Granada – Spagna

Parole chiave: Viaggiatori romantici, pittoresco, prospettiva, grabado, orientalismo, arte, letteratura, Spagna, Granada.

1. Introduzione Storicamente la Spagna ha affascinato i viaggiatori dall’antichità fino ad oggi; Granada in particolare rappresenta un caso di studio di grande interesse nella raffigurazione urbana, poiché l’iconografia della propria città e del suo più celebre monumento, l’Alhambra, hanno risvegliato l’interesse di molteplici artisti, specialmente tra i viaggiatori romantici del secolo XIX. Grazie a disegnatori e incisori del secolo XIX, soprattutto inglesi e francesi, l’immagine romantica di Granada e dell’Alhambra fu diffusa a livello mondiale. Tuttavia, l’interpretazione di questi artisti non corrisponde ad una visione obiettiva o una pittura topografica. Si propone un’analisi delle chiavi iconografiche impiegate dai viaggiatori romantici per ri-disegnare la Granada del secolo XIX e immaginare una nuova città a partire dalle correnti dell’esotismo, dell’orientalismo e di una “archeologia fantastica”.

2. Premesse storiche La scelta costante della città di Granada come oggetto di rappresentazione manifesta la predilezione degli artisti per un modello di gran interesse plastico. La tradizione iconografica della città di Granada precedente al XVI secolo non è molto abbondante: si considerano esempi ancora medievali le sculture del coro della cattedrale di Tolodo, realizzate dalla bottega del maestro Mateo Alemán negli ultimi anni del Quattrocento, nelle quali Granada è ancora debitrice di schemi e proporzioni medievali stereotipate, che caratterizzano alcuni elementi importanti e riconoscibili della città come le sue doppie mura, nelle quali appare persino un riferimento alla più significativa delle fortezze arabe, la Alhambra. La città di Granada, la più popolosa di Spagna nel sec. XVI, costituì parte dell’itinerario dei viaggiatori, formando parte dell’opera “Civitates orbis terrarum” di Joris Hoefnagel con vedute corografiche che furono popolarizzate e rieditate nei volumi successivi sin dal 1572. Le rappresentazioni più esatte e complete della città furono le corografie disegnate durante il secolo XVII per mano di Anton Van de Wingaerde, però all’epoca non godettero di diffusione poiché si trattava di un incarico privato del re Filippo II, non pubblicato per motivi strategici. Nell'ambito di una rappresentazione obiettiva e vincolata alla topografia, ebbe maggiore diffusione la famosa opera in anticipo sui tempi rispetto al contesto spagnolo "Plataforma de Granada", del 1613, realizzata dall'architetto italiano Ambrosio di Vico, dove si presenta una veduta urbana ortografica in pianta, caratterizzando in modo singolare gli edifici più importanti, alcuni dei quali in processo di costruzione, come per esempio la cattedrale, di cui sono disegnati la struttura ed i pilastri. Senza dubbio la maggior diffusione riguardo Granada fu prodotta dalle pagine dei primi libri di viaggio nei quali si risveglia l'interesse dei disegnatori per l'esotismo e la varietà dei suoi elementi culturali e artistici, come accade con le incisioni dell'opera “Délices de l´Espagne et du Portugal” di Juan Álvarez de Colmenar nel 1707, con edizioni in Olanda e in Francia, cui si aggiungono quelle dei viaggiatori francesi e inglesi soprattutto pubblicate nell'ultimo quarto

1 Facultad de Belle Arti. Granada. Referencia Proyecto Plan Nacional I+D+I HAR2016-78298-P.Representación pictórica de la ciudad, del siglo XVI al siglo XIX: perspectivas, corografías y panoramas.

1061

Page 100: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

del secolo XVIII, come l'opera di John Talbot “Travels through Spain” (1782), la pubblicazione “Voyage en Espagne” di Jean-Marie Fleuriot (1784)2.

3. Viaggiatori, pittori e scrittori romantici nella Granada del XIX secolo L'avvicinamento alla città di Granada vista attraverso degli occhi dei viaggiatori ispirati dalla letteratura e dall'arte acquisisce un'importanza notevole durante il secolo XVIII e soprattutto durante il XIX anche grazie al contesto che caratterizza la corrente artistica del preromanticismo e del romanticismo. Granada, dopo l'invasione napoleonica finita nel 1812, riuniva in sé un importante patrimonio tanto per il suo passato nazarí (in questi momenti quasi in rovina e spoliato) così come per le sue già centenarie costruzioni rinascimentali patrocinate dallo Stato e dagli ordini religiosi dopo la conquista della città (ricordiamo la Capilla Real, annessa alla cattedrale Granada, che si costruì come sepolcro dei Re Cattolici, o il palazzo rinascimentale di Carlo V). All'inizio del secolo XIX manca ancora un piano di urbanizzazione e sopravvive un caratteristico tracciato medievale irregolare, con strade sinuose, piccole piazze e un fiume che attraversa la città, il Darro, che occasionalmente straripa e rappresenta una fonte di inquinamento. Il suo principale monumento, l’Alhambra, terminò la sua missione di fortezza difensiva nel 1848, data in cui perse il suo valore strategico, e, a causa del suo pessimo stato di conservazione e alla sua crescente attrattiva dal punto di vista artistico e letterario fu lasciata alla città per la conservazione e il restauro. Queste circostanze fanno sì che Granada si mostri agli occhi degli artisti come uno scenario romantico pieno di stimoli visuali un "oriente vicino" dove il pittoresco, il sublime e in molte occasioni il fantastico convivono in modo naturale. Il pellegrinaggio verso la città da parte dei viaggiatori inglesi e francesi per conoscere l'Alhambra è sempre maggiore e aumenta il suo valore patrimoniale. I disegnatori e pittori influenzati dalla letteratura si avvicinano al monumento dallo spirito romantico e lo rappresentano come uno scenario di leggende e racconti (i più influenti sono i Racconti dell'Alhambra di Washington Irving pubblicati per la prima volta nel 1832)3. La letteratura di viaggio a Granada aggiunge una grande componente di fantasia, aspetto comune nei testi di questi viaggiatori vittoriani, e analizza l'ambiente e il paesaggio come un accesso verso un viaggio esotico, lontano, in molte occasioni senza cercare un contatto con la realtà, che era vista con una superiorità dovuta alla miseria di un popolo praticamente analfabeta i cui costumi erano molto differenti da quelli del Nord Europa. Tutti questi contrasti alimentano l'immagine di esotismo e differenziazione che risulta evidente nell’esagerazione di questi elementi caratteristici e nel desiderio di preservare come “caso di studio” la situazione di penuria e isolamento che soffrono alcune popolazioni con rispetto alla modernità.

4. Gli autori della leggenda romantica di Granada Offriremo una breve relazione di quegli autori che hanno avuto maggiore influenza nel considerare l'Andalusia e in modo particolare la città di Granada, con un momento emblematico come l'Alhambra, come la genesi di un modello romantico che si nutre di una letteratura più vicina alla leggenda e allo stereotipo che al modello reale: George Borrow (The Bible in Spain, 1843), Richard Ford (Handbook for travellers in Spain, 1845), Prosper Merimée (Lettres D’Espagne, 1831-1833), Téophile Gautier (Voyage en Espagne, 1845), o

2 John Talbot Dillon, Travels through Spain, with a view to illustrate the natural history and physical geography of that Kingdom, in a series of letters, London : R. Baldwin , 1782 y Fleuriot de l´Angle, Jean-Marie- Jêrome, Voyage en Espagne, ed. orig. 1784, 5e edition, Paris Chez J.J. Lucet Al fin: Imp. Beauvais, 1796. 3 Racconti dell'Alhambra di Irving, Washington. The Alhambra: A Series of Tales of the Moors and Spaniards, Lea & Carey, Philadelphia, 1832.

1062

Page 101: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Alexandre Dumas (Impressions de voyage, 1847-1848) sono alcuni dei viaggiatori più interessanti. L'arte rende visibile questa letteratura attraverso le immagini che realizzano disegnatori e incisori, che visitano i luoghi descritti e forgiano un modello iconografico pienamente identificato con gli ideali romantici di grande successo nella società europea del momento. La grande diffusione di queste immagini è favorita dall'introduzione di nuove tecniche di stampa unite all'incisione calcografica, come la litografia e la maniera nera e persino l'incisione colorata, che permette lo sviluppo di un collezionismo di stampe da parte delle classi borghesi. Il successo di queste rappresentazioni, in molti casi poco vicine alla realtà, ha come conseguenza la creazione di una corrente esotica e orientalista in tutta Europa, che amplia i suoi orizzonti all'architettura e alle arti decorative con la reinterpretazione di questi modelli. Le stampe e disegni mostrano, secondo la mano di ciascun autore, una realtà parallela che si muove tra l'obiettività e la fantasia, per questo si ricorre a numerose licenze plastiche per presentare una città idillica dominata dall'esaltazione dell'abbandono e della distruzione (bellezza della rovina). Data la qualità delle loro opere, tra gli artisti che hanno goduto di maggiore diffusione si evidenziano tanto i francesi Alexandre Laborde, J. Lavallée, A. Geroult o Girault de Prangey4, che nel 1836 si lamenta della situazione di abbandono e distruzione che presenta la fortezza nazarí, come quelli di origine anglosassone: John Frederick Lewis5 si evidenzia per le sue vedute di interni verso il 1833- molto famose quelle della Torre de Comares, della Porta del Vino e della Torre de las Damas-, lo scozzese David Roberts6, che visitó il monumento nel 1832-33, preferendo gli esterni delle torri prismatiche, o l'architetto Owen Jones7, che nel 1834 si concentra sugli ornamenti e disegni di spazi palatini che servirono da ispirazione per altri artisti. Richard Ford realizza numerosi disegni delle sue passeggiate conservati in album di famiglia recentemente studiati dall'Accademia di Belle Arti di San Fernando a Madrid. Parla della Spagna come di un "oriente vicino e comodo" e nella sua visita Granada nel 1833 arrivò a vivere nella Torre de las Damas, che raccomandava visitare al tramonto quando la luce del giorno si dissipa e "si trasforma interamente in una visione del passato".8 L'introduzione della fotografia sposterà progressivamente queste rappresentazioni dalla metà del secolo anche se alcuni artisti continueranno con la visione romantica delle rappresentazioni come nel caso di Francisco Javier Parcerisa (c. 1850) e Gustave Doré (1862)9.

5. Bello, sublime e fantastico Il valore artistico del principale monumento di Granada, l'Alhambra, é visto attraverso degli ideali del romanticismo e per questo al disegno obiettivo e puramente documentale si antepongono una serie di licenze rappresentative artistiche. Ciò è più evidente negli artisti di origine anglosassone che usano in modo efficiente una serie di risorse grafiche affinché l'opera rappresentata corrisponda a quest'estetica.

4 Alexandre Laborde, Voyage pittoresque et historique de l'Espagne - A Paris De l'imprimerié de Pierre Didot l'ainé, MDCCCVI. Joseph Lavallée e Adolphe Guéroult, Espagne, Paris, 1844; Joseph-Philibert Girault de Prangey, disegno del Generalife. 5 John Frederick Lewis RA (London 1804-1876), pittore orientalista. 6 David Roberts (Stockbridge 1796 - London, 1864). 7 Owen Jones (London 1809- 1874) nel 1834 e 1837 visitó l’Alhambra e pubblicó Handbook to the Alhambra Court (1854) e Grammar of Ornament (1856). 8 Richard Ford (London 1796 - Exeter 1858) visita la Spagna tra il 1830 e il 1833 e pubblica nel 1844 A Handbook for Travellers in Spain and Readers at Home. 9 Francisco Javier Parcerisa (Barcelona 1803-1875), Recuerdos y bellezas de España (1838-1872) e Gustave Doré (Strasburgo 1832, Parigi 1883) nell’opera La Tour du Monde, c. 1860.

1063

Page 102: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

La ricerca non solo del bello ma anche del sublime aggiunge elementi caratteristici alle rappresentazioni: alcuni rivolgono lo sguardo verso il classico recuperando il concetto di armonia o proporzione d’insieme, altri trasmettono allo spettatore sensazioni come il terrore, la maestosità o il dolore. Gli artisti cercano di razionalizzare la causa di queste emozioni e provocare quest'effetto con le loro opere. Un’analisi iconografica, focalizzata sull’alterazione delle relazioni del tempo e dello spazio in queste rappresentazioni, sulla teatralizzazione del paesaggio e delle scene urbane e sul costumbrismo (cliché riguardo abiti, pose, tratti facciali …) che caratterizzano le immagini di grande successo in tutta Europa e di grande impatto per il recupero di questi stili all’inizio del secolo XX. Tra le principali tecniche usate possiamo enumerare le più importanti che cercano di potenziare gli effetti di grandiosità e monumentalità. La figura 1 mostra una delle caratteristiche più comuni delle stampe, la convivenza del sublime e del pittoresco in una stessa rappresentazione di David Roberts (fig. 1). L'effetto del sublime si presenta attraverso un’esagerazione delle misure relative agli elementi che compongono la scena così come alla posizione decentrata del punto di vista dell'osservatore. L'architettura domina lo spazio pittorico da un punto di vista molto basso, con un effetto di prospettiva forzata dove le fughe laterali risultano molto pronunciate e lo spettatore perde la posizione centrale, generando asimmetria. Caratteristica di queste stampe è la distorsione delle proporzioni attraverso un allungamento delle altezze per rafforzare la monumentalità. Alcune volte gli effetti della prospettiva atmosferica sono protagonisti: nubi con aspetto di tempesta, raggi di sole, notturni favoriscono l'evocazione di ambienti onirici, misteriosi, tenebrosi, a volte il rafforzando il mito romantico. Il pittoresco rimane evidente nei dettagli

Fig. 1. a. David Roberts, Torre de Comares, 1835. b. Fotografia dell’inizio del secolo XX che evidenzia l’uso alterato delle scale.

c. Effetto di prospettiva forzata.

1064

Page 103: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

delle figure con vesti tipiche, soprattutto le donne con mantellina o in pose che ricordano le odalische. Fanno parte del pittoresco anche l'incorporazione di elementi architettonici come i soffitti e le terrazze, gli strumenti musicali così come le pose dei modelli. Oltre alla modificazione degli elementi del paesaggio, alcuni autori introducono elementi architettonici inesistenti, creando spazi inventati sommando quelli conosciuti. Di conseguenza l'invenzione è una delle risorse comunemente impiegate nella stampa romantica. Nella figura 2 si mostrano due rappresentazioni e una fotografia dello stesso spazio il portico del patio dei Leoni e si compara con la scala del personaggio rappresentato, evidenziando un uso intenzionale della scala degli spazi. Si abbandona la vista frontale per evitare le simmetrie e si accorcia l'altezza della linea dell'orizzonte, facendo sì che il modello ottenga una maggiore altezza e monumentalità. (figg. 2a e 2b). Inoltre, nel caso di questi disegni la densità d’informazione dei dettagli si semplifica o si ridisegna ricercando un effetto d’insieme; in altri casi i volumi sono geometrizzati. L'aspetto che più richiama l'attenzione è relativo alla scala grafica che fa variare le proporzioni dell'architettura rispetto alla scala umana. La diminuzione intenzionale dei personaggi che transitano negli interni rappresentati fa sì che essi sembrino maggiori arrivando in alcuni casi a misurare due volte quanto quelli della scala reale dell'architettura. L'effetto visivo è un inganno come si può constatare nella figura 3, che paragona la scala reale che dovrebbe avere una figura umana in relazione con la scala architettonica vicino a quella che l'artista le ha dato.

Fig. 2a. David Roberts, Sala de la Justicia. 1834; Higham (inc.) nell’opera di Thomas Roscoe, The Tourist

in Spain (1835) e personaggio a scala reale. 2b. Alexandre Laborde, Sala de la Justicia; Dormier (inc), nell’opera Vogage pittoresque et historique de

l´Espagne, 1805. 2c. Fotografia e personaggio a scala reale.

1065

Page 104: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

6. “Bellezza infedele”, tra l’immagine mitizzata e la realtà Le conseguenze di queste stampe romantiche, più pittoresche che pittoriche, unite alle leggende e alla mitizzazione del luogo da parte degli scrittori, di cui l'esempio più importante è Washington Irving, fecero sì che molti visitatori arrivassero a Granada. Tra coloro che furono ispirati da queste letture e dalle immagini evocatrici si crearono false aspettative, lasciate per iscritto. È il caso di Théophile Gautier che, visitando l'Alhambra, seppur commosso per la sua bellezza, mostra la propria delusione, provocata dalla falsificazione della realtà che soprattutto i pittori inglesi avevano creato trasformando nelle loro opere lo spazio reale: Le stampe inglesi e i numerosi disegni che sono stati pubblicati del Patio dei Leoni danno un’idea molto incompleta e piuttosto falsa. Quasi tutti mancano di proporzioni e con un

Fig. 3a. David Roberts, Patio de los Leoni, 1834, Higham (inc..) nell’opera di Thomas Roscoe, The Tourist in Spain (1835) e personaggio a scala reale.

3b. Alexandre Laborde, Patio de los Leones, Dormier (inc.), nell’opera Vogage pittoresque et historique de l´Espagne, 1805 e personaggio a scala reale.

.

1066

Page 105: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

sovraccarico necessario per riprodurre gli infiniti dettagli dell'architettura araba fanno pensare a un monumento di maggior importanza. Il Patio dei Leoni misura 120 piedi di lunghezza, 73 di larghezza e le gallerie che lo circondano non sono più alte di 20 piedi10. Émile Bègin si esprime con parole simili nel suo “Voyage pittoresque” del 1852: Chiedo umilmente perdono a tutti coloro che, fidandosi, vedendo un album si appassionano per l'Alhambra e distruggo le loro illusioni; però non posso dissimulare che le litografie e le incisioni inglesi o francesi non danno più che un'idea falsa. Il sovraccarico che esige sul pannello la quantità di dettagli dell'ornamentazione araba offre sempre l'immagine di un monumento di apparenza più grandiosa e più imponente di quello reale11. John Blanco White, riassumeva "come opere d'arte sono ammirevoli però sono anche bellezze infedeli"12. Senza dubbio riflessione come quelli di James Buckley verso il 1890 in difendono non solo la qualità artistica bensì anche il potere dell'immaginazione che procurano a qualunque persona che si avvicini a conoscere l'Alhambra ispirata da questi viaggiatori romantici: È una nuova moda sentirsi delusi dalla visita dell'Alhambra e così come scrivere riguardo la stessa in modo critico e negativo. Qualunque sia stata l'esperienza degli altri, io non fui deluso. L'Alhambra, tanto in ciò che è come in ciò che richiede all'immaginazione, trascende non solo le aspettative formulate ma anche le vaghe fantasie indefinibili della mente13.

Bibliografia E. Bégin, Voyage pittoresque en Espagne et en Portugal, (1852), Consultado en http://www.bibliotecavirtualdeandalucia.es/catalogo/consulta/registro.cmd?id=1015101. J.M. Blanco Crespo, The life of the Rev. Joseph Blanco White, London, J. Chapman, 1865, Traducción extraída de ALBERICH, J. (2000). J.M Bucley, Travels in three continents, New York: Eaton & Mains, 1894. J. Calatrava, G. Zucconi, Orientalismo. Arte y arquitectura entre Granada y Venecia, Abada eds. Madrid, 2012. R. Ford, Granada. Escritos con dibujos inéditos, Granada, Patronato de la Alhambra y el Generalife, 1995. P. Galera Andreu, La imagen romántica de la Alhambra, Madrid, Ed. el Viso, 1993. T. Gautier, Viaje por España, Madrid, Calpe 1929. W. Irving, The Alhambra: A Series of Tales of the Moors and Spaniards, Lea & Carey, Philadelphia, 1832. M. A. López-Burgos, Granada. Relatos de viajeros ingleses (1802-1830), Melbourne, Australis Publishers, 2000. E. Montejo Palacios, Alhambras de papel. Traducciones y proyecciones a través de los viajeros anglosajones del siglo XIX, Tesis doctoral, Universidad de Granada, 2015. G. de Prangey, Recuerdos de Granada y de la Alhambra, Barcelona, editorial Escudo de oro, 1985. T. Raquejo, El palacio encantado. La Alhambra en el arte británico, Madrid, Taurus, 1990.

10 Teofilo Gautier, Viaje por España, Tomo 1, Ed. Calpe. Madrid, 1929, pp. 74-75. 11 Émile Bègin, Voyage pittoresque en Espagne et en Portugal, 1852, p. 426. 12 Jose María Blanco White (Sevilla 1775 - Liverpool 1841). 13 J.M. Bucley, Travels in three continents, New York: Eaton & Mains, 1894. p. 51.

1067

Page 106: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 107: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

The invention of the New World: Dutch artist travellers and early visual representations of Brazilian landscapes

in the 17th Century Maria Angélica da Silva

Federal University of Alagoas – Maceió – Brazil Keywords: Dutch Brazil, Brazilian colonial urban history, painted landscapes. 1. When art encounters urban history: the place of travelling artists in the 17th Century

How do art and science communicate with each other? How can the canvas of a landscape painter help us to think about the history of a particular urban place? If an artist ventures into the scientific world, even in the realm of the Human Sciences, he usually has to show his credentials. However, if it is understood that the image is source of knowledge, that imagination is the key component of scientific understanding and that the links between different areas of knowledge are becoming increasingly wide-ranging and intertwined, art will be able to make a greater contribution to world progress. In this case this contribution is made by Frans Post to the history of towns and cities in colonial Brazil. Frans Post (1612-1680) was born in Haarlem, when Dutch culture was closely linked to architecture and cartography and when the famous Guild of Saint Luke was founded. The brother of Frans Post, Pieter Post was an important figure in this guild and belonged to it since when he was very young. Frans Post also joined it but only in 1646 – rather late given the fact that his brother was accepted when he was fifteen years old. This is because the painter was only granted access after he had undertaken a voyage which changed his life. The reason Frans Post became known was that he had left Holland and ventured into far away lands. This was in response to an invitation to join an entourage of people chosen to accompany Count Johan Maurits of Nassau-Siegen (1604-1679) who had taken on the responsibility of administering the lands occupied by the Dutch in South America. For his part, this Count was a member of the circle of Constantin Huygens (1596-1687), one of the foremost intellectuals of that period in Holland, as well as the architect Jacob van Campen and other leading humanists of that time. The close relation between Johan Maurits and Pieter Post, one of the architects responsible for designing the residential dwellings of both the Count himself and his friend Huygens in the Hague, must have been the reason for the choice of Frans Post to form a part of that delegation. Another artist who formed a part of the project was Albert Eckhout (c.1610-1666), the cartographer and naturalist George Marcgrave(1610-c.1644) and the physician Willem Piso (1611-1678). Their task was to make a detailed record of every aspect of that colony in the tropics. Albert Eckhout concentrated on portraits and brought together a wide range of human types that could be found in the colony. There were Europeans from various parts of the continent, Africans from several different places in Africa, the native people from their tribes and as well as this, all the physiognomic changes that had resulted from the widespread miscegenation which that colony had experienced for more than 100 years. This was because interbreeding between ethnic groups was a striking feature of the colonization and left na indelible mark which is still evident today among the Brazilian people and their culture. The artist carried out an operational overview which entailed bringing together that wide range of people dividing them into four categories: Tapuias (non-Tupi speaking Indians), Tupis (the most important indigenous people in Brazil), Afro-Brazilians and Mamelucos (first generation offspring of a European and Amerindian) or Mestiços (people of mixed race). Among other works, he painted eight canvases with human figures that are slightly larger than

1069

Page 108: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

life (the varied sizes of the portraits are approximately 274 x 170 cm). In these paintings, the characters portrayed are of a magnificent stature and also surrounded by dresses and ornaments, a strategy which allows a set of icons to be surmounted above the body of each of them. The same was done with fruit and flowers which formed wonderful tropical arrangement thats enhanced the intensity of the local flora and fauna. His companion George Marcgrave designed animals, fruit and flowers, as well as exploring the sky but this was now done in the form of a book and represented the first natural history study of Brazil (Historia naturalis brasilieae). Thus these were works conducted on an individual basis while at the same time adding feature to what was a striking picture of this unknown and primitive stretch of land. When one looks at the works of Frans Post, it can be inferred that he had been commissioned to paint landscapes. Not that other reasons have not been given as is shown by recent discoveries in the Haarlem (https://www.rijksmuseum.nl/en/press/press-releases/spectacular-discovery-of-drawings-by-frans-post). Nonetheless, the significant part of his work was devoted to show the landscapes of that relatively unknown place, to the world and in particular to the Dutch. It is well known what world role the Low Countries played in this period of the Golden Age following the Dutch War of Independence against Spain (1572-1609). Amsterdam stood out in Europe as a city experiencing unprecedented growth and affluence and was proud of having both an excellent local print media and a significantly high rate of literacy. It was there that news arrived of a so-called “Dutch Brazil”. Recent publications have shown that the notices about the Dutch presence in this part of the world was really significant in that period (Groesen, 2017), even though greater attention is usually paid by researchers to activities that occurred in the Far East. Moreover, it has been shown that the works of art and narrative accounts were important in creating this image of Dutch Brazil, what was included the work of Frans Post and his companions. When confronted with the oeuvre of Frans Post, we are given the opportunity to enter the country through his landscapes of the North-East of the colony. This is a region known for its strip of Atlantic Forest, long valleys, and variegated flora and fauna, as well as its winding rivers, lagoons and streams. But the real object of interest for the Dutch was the sugar industry. The Dutch were not strictly involved in production but rather in colonising the land. But Maurice of Nassau was an exception to this when, on an impulse, he created the city of Mauritsstad (or Mauritius), now a part of the Brazilian city of Recife, which arose from a Portuguese settlement. As will be seen, the landscapes of Frans Post do more than just record nature, since they encompass the small urban centres in general, as well as depicting the farming activities, the most important being those found in the sugar mills. Thus, it is important to stress that, in fact, almost all the pictures by this painter give visibility to the work of the Portuguese colonisers. Nowadays, his work discloses an unknown Brazil for the historian of the cities. Although in the future the regions of the South-East of the country would become prominent (such as Rio de Janeiro and São Paulo), it is the North-East that is privileged with possessing the inheritance of the travelling artists and having its landscape depicted as early as the 17th Century. 2. Frans Post on walls and in books

The works of the artist have followed a chequered path although to start with they were recorded in a bibliography. On their return to Europe, some of the pictures were offered to Louis XIV of France by Johan Maurits and the king put the pictures on display at the Palace of Versailles. Thus some of the works soon had a fixed destination but the bulk of them were lost and they have only recently been properly catalogued.

1070

Page 109: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

The first biographical sketch of the artist was written in 1719 and in the two centuries that followed, there were only occasional references to him and his Works. It was only at the end of the 19th Century that he became the target of Brazilian collectors. The Brazilian ambassador Joaquim de Sousa-Leão wrote the first monograph of the artist in 1942 and produced a catalogue raisonné of his works in Amsterdam in 1973. The works were also displayed in monographic exhibitions both in Brazil, and Holland, in particular at the Mauritshuis in the Hague, the former residence of Count Johan Maurits of Nassau-Siegen, which was designed, as we have seen, with the aid of Frans Post´s brother (Lago et al, 2006:9). However, recently there has been a widening of the knowledge of the works of Frans Post with books about him and new exhibitions and, in particular, the publication of his catalogue raisonné, in Brazil in 20061. This was the culmination of a research study that lasted twelve years and involved museums and private collections. This catalogue divides the work of Frans Post into four phases: the first from 1637 to 1644, the second from 1645 to 1660, the third from 1661 to 1669 , and the last from 1670 to 1680. This chronological sequence which was prepared by the team responsible for the trusteeship, restricts the first phase to the period when the artist was working on Brazilian soil. The second covers the following fifteen years after his return to Holland and the third, groups the works which the committee regarded as the finest; these were painted between the age of 49 and 57 and include 69 pictures. The final phase is made up of 39 pictures and was characterised by the authors of the catalogues as showing signs of a certain decline in standard. Finally, it should be noted that the works comprised 155 oil paintings, 57 drawings and 34 engravings. The catalogue also listed the works of questionable attribution, with some of the oil paintings and drawings being rejected (Lago et al, 2006:20-49). This article is confined to 155 oil paintings. 3. The Brazilian landscape through the eyes of Frans Post

First the question must be raised about the approaches adopted by the artist. Just as Albert Eckhout had to choose alternatives from a huge range of human material which had to be recorded when undertaking his portraits, Post had a wide range of natural American scenery available for his works and thus had to define the choices facing him, his thematic approaches, compositions and other factors. It has to be assumed that Post´s work may be was directly determined by recommendations made by Johan Maurits himself. However, what becomes clear when his oeuvre is examined as a whole, is that even if this is the case, the aesthetic sense of the painter did not undergo any significant alteration when the artist ceased to a member of the entourage of the Count. When the sample of 155 oil paintings is looked at in quantitative terms, it can be seen that a significant part of them are governed by certain decisions that the quantitative data help to bring to light. In all of them, the subject is a real landscape, except for a single picture which is of a biblical scene. There is always a wide expanse of sky on the canvas, generally painted in grey shades. The vegetation is almost identical in all the pictures and most of them feature palm trees and water courses. All of the canvas were notable for the presence of architectural features forming a small village or scattered dwellings in the landscape, in particular the colonial mansions. The artist had a predilection for small chapels which were a characteristic feature of the villages and sugar mills, as is confirmed in the bibliographical sources. Although the land was newly discovered, some ruins were depicted, probably because of the fragile nature of the hovels built of mud and wattle. As for the people, they are responsible for instilling some life into the

1The authentication committee was made up of Bia Corrêa do Lago, Frederik J. Duparc, George Gordon, George Wachter, Léon Krempel and Pedro Corrêa do Lago.

1071

Page 110: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

landscape. Although one might have expected a greater presence of Europeans in the representations – either Portuguese or the Dutch entourage or even the native Indians as a picturesque feature – in fact, it is Africans who are most in evidence, and were found in 90% of the pictures.

Figure 1: Table of compositions in the works by Frans Post

The clear decision to represent African people in the pictures means that the thick vegetation and water courses dotted here and there with the architecture of white and beige walls, is enlivened by groups of people. These are standing around or sitting on the ground, chatting, exchanging objects, carrying heavy loads and sometimes her lady in a white hammock. They are often working and handling the machinery of the sugar mills and sometimes, a flour mill. But they are also chatting with informal gestures which give the impression of a relaxed atmosphere where there is a lot of fooling around. They play instruments and dance. The scenes have no signs of the hardships endured and that can be found in the reports about slavery. In the landscapes by Post, there are barely any traces of the harsh conditions of the sugar mills, described by the Jesuit priest António Vieira as sheer hell, both on account of the heat from the flames and the suffering inflicted on the slaves (causing them serious injuries, wearing them out and leading them to utter exhaustion). It is as if he froze the scene when preparing the picture, although all the details prove that the image has been created in an impeccable way and cover every aspect of its functional operations. When the pictures are compared with other representations of the time such as those of Zacharias Wagener (1614-1668) 2, it can be seen that the terrible scourge of slavery was toned down by the artist. He do not portrayed less refined aspects of life such as slaves on display like animals for sale in a street in Mauritsstad, as in the case of the records of Wagener who was in Brazil at the same time as Post. In the urban view of Mauritsstad provided by Post, the Africans are in the majority but are not shown at humiliating moments such as when they are objects for sale.

2 Zacharias Wagener was a clerk, illustrator, merchant and governor of the Dutch Cape Colony. In 35 years he traveled over four continents. He joined the Dutch West Indian Company and, sailing to Brazil, he produced a a sort of diary with 109 water-colour drawings of curious flora and fauna and also, people, published under the name of “Thier-Buch”.

0

50

100

Natureza

Sky Vegetation

Water courses Palm trees

Animals

0

50

100

Architectural features

Chapels Colonial mansions

Sugar mills Flour mill

Fortress Ruins

0

50

100

People

Africans Indians Europeans

1072

Page 111: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Figure 2: Details of pictures “Vista da Cidade Maurícia e do Recife”, 1653 and “Festejo no Arraial”,

1652, of Frans Post, and two works by Zacharias Wagener The panoramic scene of their pictures is of an almost pastoral atmosphere. It is known that these were times of war but when some aspect of warfare is brought to mind, it is just a detail and does not affect the peacefulness of the landscape. Nature reforces it, showning long floodplains, and an array of plant species of the artist´s preference, as the palm trees which are of various kinds and the sign of a biblical paradise. The scenery is not entirely native since at times there are huge brightly-colored Flamboyant tree (Delonix regia), probably originate from Madagascar. Frans Post seems to be moved also by the appreciation for architectural features and small settlements which he depicts with a degree of fidelity. This characteristic, also of Dutch paintings at that time, allowed a comparative analysis of the urban scenes depicted in his canvases and the historical sites of some of the towns and cities in the North-East which he has recorded. Another important study has been undertaken of the sugar mills, where it can be seen that what was designed by Post closely resembles records of the time and even show the material remains of these architectural buildings that can still be found in the field.3

3This work was carried out by the Landscape Research Group over a period of ten years. It was supervised by the author and applied to several towns and cities in the North-East of Brazil which have been recorded in the work of Frans Post and which still preserve their traditional historic centres. The same methods of comparative analysis were employed to examine the inventories of the remains of the sugar mills in the States of Alagoas and Pernambuco.

1073

Page 112: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Figure 3: Comparison of views of Igarassu and of buidings of sugar mills

Finally, attention should be drawn to the inventive nature of his work and the imaginative feeling which the artist scrupulously conveys in his art. Small surprises are revealed to the more perceptive observer in the less visible nooks and crannies of the works. This is the case even when we become immersed in the undergrowth and unforeseen spots when, for example, a bird suddenly emerges with vividly-colored plumage or where venomous creatures are lurking to strike their victims. The view of the tropics includes secrets and features which are never more evident than when displayed on large sections of the canvas. Through them, he narrates another side of his adventure, in these worlds full of surprises of every kind in a mixture of paradise and hell.

Figure 4: Details in the picture “Casa de lavrador e vilarejo” of Frans Post

On his return to Europe, the experience of the journey remined vivid in the memory of Post and influenced practically all the works he completed following his stay in Brazil. Although the extreme importance of being a Dutch for the work he did as painter, it is essential to understand how he perceived another continent and how the image of Brazil remained fixed in his mind. The value of his works will be definitively linked to the way the 17th Century is seen in Brazil and support the theory that art and science did not cease to traverse the same areas and that this can assist our understanding by providing different points of entry to the history of mankind. Perhaps, about the slavery, the value of Post´s work might be qualified by the way African people are shown, as his paintings were responsible for providing a pioneering register of their religious celebrations and traditional dances.

1074

Page 113: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Certainly he chose to leave for posterity the memory of a lapse into tranquillity in an era that was so troubled by conflict and struggle for the possession of lands and bodies. Perhaps the moments of peace were rare but not a fantasy and also part of ordinary life in the Dutch Brazil… Bibliography

S. Alpers. The Art of Describing. Londres: Penguin Books, 1989. G. Barleus. História dos feitos recentemente praticados durante oito anos no Brasil. Rio de Janeiro, Serviço Gráfico do Ministério da Educação, 1980. Q. Buvelot, et al, Albert Echkhout – a Dutch artist in Brazil. The Hague: Waanders Publishers, 2004. M. V. Groesen. Amsterdam’s Atlantic – Print culture and the making of Dutch Brazil. Philadelphia, University of Philadelphia Press, 2017. P. B. Lago. Frans Post (1612-1680) – Obra Completa. Rio de Janeiro: Capivara, 2006. S. Schama. The embarrassment of riches – an interpretation of Dutch Culture in the Golden Age. Londres: Harper Colllins Publishers, 1988. M. A. Silva. (org). O Olhar Holandês e o Novo Mundo. Maceió, EDUFAL, 2011. Z. Wagener. “O Thierbuch e a Autobiografia”, in C. Ferrão & J. Monteiro (ed.). Brasil Holandês. Rio de Janeiro: Editora Index, 1997.

1075

Page 114: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 115: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

“Caminhos do Velho Chico”. Percorsi, città e paesaggi che si affacciano sul Rio São Francisco:

da Penedo a Piaçabuçù fino alla foce del fiume Gabriella Restaino

Universidade Federal de Alagoas – Maceiò – Brazil Antonio Muniz dos Santos Filho

Universidade do Estado da Bahia – Bahia – Brazil Parole chiave: Paesaggi fluviali; Percorsi culturali; Città; Rio São Francisco, Penedo, Piaçabuçù.

1. Introduzione metodologica L’obiettivo della ricerca/studio1 è stato quello di eseguire una breve analisi dell’importanza che assume il Rio São Francisco nel processo di costituzione ed evoluzione/involuzione di alcuni insediamenti che si affacciano sul fiume, in particolare la città storica Penedo e il centro storico minore Piaçabuçu. La scelta dei due insediamenti è stata fatta considerando principalmente tre condizioni principali: a) il tempo necessario per il viaggio e la possibilità di accesso alle località per la realizzazione della ricerca in loco, ai fini dello studio del paesaggio e delle relative risorse e criticità, potenzialità e rischi ambientali; b) le fonti cartografiche storiche disponibili per il territorio di competenza delle due città e la possibilità di comparazione con la cartografia contemporanea; c) la localizzazione geografica prossima alla foce del fiume.

2. Percorsi, città e paesaggi sul Velho Chico I frammenti di paesaggio del fiume São Francisco, detto “Velho Chico”, nello Stato di Alagoas, a nord-est del Brasile – nel tratto compreso tra la città storica Penedo e il centro storico minore Piaçabuçù, fino alla foce del Rio che si apre nell’Oceano Atlantico – sono paesaggi in cui coesistono dissonanze caratterizzate da forme di occupazione del territorio tra loro distinte per natura storica, sociale, economica e culturale. La ricerca, effettuata utilizzando l’esperienza diretta del viaggio, si delinea come una forma di “apprendimento spaziale”, guidato dal susseguirsi dei cambiamenti del paesaggio percepibili lungo il fiume; è uno studio che ha preso in considerazione tre presupposti importanti: a) i ruoli storici della città Penedo e del centro storico minore Piaçabuçù comparati alla loro funzione contemporanea; b) la posizione geografica dei due differenti insediamenti, essendo gli ultimi dello Stato di Alagoas lambiti dal fiume São Francisco (confine naturale, geografico e amministrativo tra lo Stato di Alagoas e lo Stato di Sergipe); c) la grande carenza, se non totale assenza, di studi sulla città, su territorio, città e paesaggio di Piaçabuçù. Il percorso della ricerca ha seguito quello della spedizione paesaggistica e del “lavoro sul campo” ed è stato suddiviso in narrazioni visive che raccontano il paesaggio visto dal fiume. Il processo di analisi e di studio è stato successivamente quello di “ricucire” i “diari di campo” (schizzi, scritti e fotografie effettuati durante il viaggio) ai fini della costruzione del “giornale di bordo”, fatto di acquerelli, poesie e racconti, come elaborazioni di una esperienza

1 Realizzata nel contesto della disciplina “Temporalidades e Intervenções em Centros Históricos” (2016, II semestre), Prof.ª Dr.ª Gabriella Restaino, Programa de Pós-Graduação em Arquitetura e Urbanismo DEHA-“Dinâmicas do Espaço Habitado”/UFAL, che verte sul tema del paesaggio delle città storiche e del territorio dello stato brasiliano Alagoas. Il corso ha avuto l’obiettivo di effettuare una breve analisi sulla costi tuzione e valorizzazione del paesaggio delle rive del Rio São Francisco, confine naturale tra gli stati Alagoas e Sergipe, nel tratto compreso tra le città Penedo e Piaçabuçu, fino alla foce del fiume.

1077

Page 116: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

sensoriale descrittiva, sempre focalizzate sui cambiamenti del paesaggio al fine della mappatura delle sue differenti “parti”. La ricerca apre la strada a va r i e esperienze di paesaggio che si intrecciano in un gioco dove coesistono forme di percezione specifiche, atte alla definizione, identificazione e rilettura di un possibile differente concetto di paesaggio; dove anche i suoni, gli odori, i sapori e i colori che popolano il fiume svelano paesaggi differenti, che sono anche confini/limiti tra i paesaggi storico-culturali dei luoghi tradizionali di vita e di pesca sul fiume e i paesaggi turistico-culturali aperti a “viaggiatori culturali” provenienti da molte parti del mondo. Il Rio mantiene alcune delle sue caratteristiche, già geograficamente note, ma ad esse si sovrappongono altre forme di essere “fiume vivo”; e nonostante l'intenzione iniziale della ricerca di campo fosse la sola mappatura scientifica dei vari ambiti di paesaggio lungo il territorio del Rio São Francisco, la sua peculiarità ha portato ad altri sviluppi possibili per nuovi studi e analisi di paesaggio nelle sue svariate dimensioni: non solo bidimensionale e tridimensionale, ma anche di percezione multisensoriale.

2. Da “Opará” a “Velho Chico”: molti nomi e meandri, un solo fiume... Opará o “Rio-Mar” è la denominazione originaria data al fiume dagli indigeni, gli indios che abitavano i suoi margini (i popoli Xucuru, Tuxá, Aranã, Pankararu, Tingui-Botó e Fulni-ô), prima e anche durante il periodo dell’esplorazione e colonizzazione europea del territorio brasiliano. Il nome poi mutò in Rio São Francisco in omaggio al Santo del giorno 4 ottobre 1501, in cui l’esploratore Amerigo Vespucci, al servizio della Corona Portoghese, scoprì il fiume. Ma è stato chiamato anche Rio dos Currais in riferimento agli allevamenti di bestiame che si installarono lungo il corso del fiume principalmente nel periodo coloniale e imperiale; di fatto si trattava di una attività tradizionale dell’area che ancora oggi può essere rintracciata tra il profondo Sertão e il fiume. Tra i nomi del fiume, che raccontano anche loro una parte della sua storia, c’è anche Rio da Integração Nacional perché le sue acque alimentano il territorio brasiliano da nord-est a sud-est passando in ben cinque Stati: Minas Gerais, Bahia, Pernambuco, Alagoas e Sergipe. Il fiume rappresenta una grande risorsa sia per l’attività agricola sia per l’enorme produzione di energia elettrica prodotta dal grande impianto idroelettrico che sbarra il fiume all’altezza della città di Piranhas, quasi al limite del confine dello Stato di Alagoas. In passato il fiume, con i suoi 3.160 km. di lunghezza, era conosciuto come una delle più importanti vie di comunicazione fluviale e di trasporto di merci, servizi e persone; infatti si tratta del quarto sistema fluviale per dimensioni in Sud America e del fiume più lungo dell’intero Brasile. Attualmente, a causa di diversi fattori tra cui si evidenziano il crescente degrado ambientale e l'assenza di una politica nazionale che ne favorisca la navigazione interna, l'uso del fiume São Francisco come via di comunicazione è limitato a pochi collegamenti tra le piccole località lungo il suo corso, favorendo solo le attività di pesca, trasporto e spostamento a piccola scala. Ma il nome più usato dalla gente del fiume, i “riberinhos”, è Velho Chico (vecchio + diminutivo del nome Francesco), forma affettuosa che raccoglie in sé una storia antica che unisce realtà e costruzione immaginaria, leggende e credenze che da secoli si raccolgono sulle sue acque. Formato da una fitta rete di affluenti (sia perenni che intermittenti), il bacino idrografico del fiume São Francisco, di 634.781 km² di superficie, si presenta suddiviso in tratti/compartimenti molto differenti (alto, medio, sub-medio, basso e costiero) con particolari caratteristiche paesaggistiche e specifiche condizioni climatiche, del suolo e delle acque (Ministério do Meio Ambiente, 2011). Dalla sua fonte (Serra da Canastra/São Roque de Minas – Stato di Minas Gerais) fino alla sua foce nell’Oceano Atlantico (Pontal do Peba/Piaçabuçu – Stato di Alagoas e Cabeço/Brejo Grande – Stato di Sergipe) il fiume tocca 97 città poste ai suoi margini e più di 500 municipi localizzati presso l’intero suo bacino idrografico (Suassuna, 2001), oltre a numerosi piccoli

1078

Page 117: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

insediamenti e villaggi, ognuno dei quali con caratteristiche peculiari delle varie aree geografico-insediative, che disegnano un paesaggio fluviale ambientale/insediativo in costante mutamento. Inoltre, il fiume São Francisco è caratterizzato, nella sua parte centrale, da sequenze di gruppi di isole che spesso, in corrispondenza dei suoi affluenti, scandiscono un paesaggio interno al fiume che muta al mutare del territorio attraversato.

Fig. 1. Ilha do Zeca Calmo. Foto: Muniz Filho (2016).

Fig. 2. Ilha da Negra. Foto: Muniz Filho (2016).

Nonostante la sua importanza storico-sociale, il fiume São Francisco, ha sofferto per decenni un intenso processo di degrado e, nell'ultimo periodo, è stato oggetto di un forte dibattito, più politico che ambientale, sui pro e i contro delle azioni fatte e da farsi sulle sue acque. A partire dal 1913 il suo lungo corso è stato trasformato con la costruzione di una enorme

1079

Page 118: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

centrale idroelettrica, Usina Hidrelétrica de Xingó (la prima del Brasile del nord-est), con una diga posta tra le due sponde del fiume, tra la città di Piranhas (Stato di Alagoas) e Canindé de São Francisco (Stato di Sergipe). La costruzione della diga, ha dato alla luce un bellissimo canyon con un enorme area navigabile che dispone di 65 chilometri di lunghezza e di 170 metri di profondità, ma nello stesso tempo ha abbassato notevolmente il livello del fiume, che oggi, dopo sei anni di siccità, ha raggiunto livelli ad alto rischio, infatti, alla foce e per un lungo tratto a salire, l’acqua salata dell’oceano sta entrando nel fiume, causando la mutazione della fauna marina e della flora fluviale. Secondo Suassuna (2001) per il futuro del fiume si tratta di immaginare due scenari, uno di connotazioni politiche che è relazionato al tema della "immediatezza" – i cui propositi sono al servizio delle persone che necessitano urgentemente dell’acqua – senza però essere associato ad una “preoccupazione” di carattere ambientale; un altro di natura più tecnica che è relazionato al "peso" socio-ambientale, ossia alla discussione sulle limitazioni e sugli impatti dei processi di attuazione. Il primo è il progetto che nel 2005 il Governo Lula ha pensato per la costruzione di due grandi canali di “transposição do Rio São Francisco”, atti a deviare parte delle acque del fiume verso la zona del Semi Árido brasiliano. Il secondo è la controproposta fatta dalle associazioni locali, ONG, chiese e sindacati dei lavoratori rurali, che sostengono programmi alternativi più economici e più attenti alle criticità del fiume e del suo territorio, quindi più sostenibili per l’ambiente, come quello del Programma “Um Milhão de Cisternas”, cisterne di raccolta e filtraggio dell’acqua piovana, poste a fianco delle abitazioni rurali, già in atto da anni nel Sertão alagoano2. La verità è che, in questo conflitto politico-socio-ambientale, il potere politico ed economico del post Governo Rousseff, ha sovrastato gli altri interessi, e le opere della costruzione delle canalizzazioni sono attualmente in corso, anche se, tra le altre questioni, la crisi finanziaria brasiliana (iniziata ufficialmente nel 2015) e la pianificazione inefficace hanno rallentato l’esecuzione dell’opera, di cui ad oggi non si conosce la data di conclusione essendo i costi già lievitati a più del doppio del bilancio iniziale3.

3. Penedo e Piaçabuçu, piccole città ai margini del Rio São Francisco Le città Penedo e Piaçabuçu fanno parte del territorio dello Stato di Alagoas (a nord-est del Brasile), che si trova nella parte costiera del bacino del fiume São Francisco, rispettivamente alla distanza di 149 km e di 137 km dalla capitale Maceió (distanza calcolata lungo la strada costiera). Entrambi gli insediamenti sono considerati piccoli centri, tenendo conto dei criteri adottati dai diversi autori che trattano il tema delle “città medie e piccole” (Sposito, 2014; Maia, 2010; Soares e Melo, 2010) per i quali la definizione di queste particolari città deve essere fatta considerando i tre fattori più importanti: dimensioni della popolazione, dinamiche dell'economia e ruolo funzionale. Le città in esame, hanno una popolazione totale di meno di 100.000 abitanti, non hanno un'economia molto diversificata che possa aggiungere più valore

2 Il P1MC dell’ASA-Articulação Semiárido Brasileiro è il Programma che dal 2000 al 2017 ha già permesso la realizzazione di 603.724 cisterne nel Sertão. 3 Per approfondire il tema, si suggeriscono i seguenti testi: a) Greenpeace “Greenpeace se posiciona sobre a Transposição do rio São Francisco” : (http://www.greenpeace.org/brasil/pt/Noticias/greenpeace-se-posiciona-sobre/?gclid =CKac4Nmy1tACFQQGkQodW3wBXg); b) Carta Capital “Transposição do São Francisco não democratiza a água no semiárido” (http://www.cartacapital.com.br/sociedade/transposicao-do-rio-sao-francisco-nao-democratiza-a-agua-no-semiarido-4759.html); c) EcoDebate “Aziz Ab’Sáber critica o Projeto de Transposição das águas do Rio São Francisco”: (https://www.ecodebate.com.br/2008/07/21/aziz-absaber-critica-o-projeto-de-transposicao-das-aguas-do-rio-sao-francisco/); d) IPEA “Transposição do Rio São Francisco: análise de oportunidade do projeto”: (http://repositorio.ipea.gov.br/bitstream/11058/1418/1/TD_1577.pdf). Le letture suggerite trattano del dibattito critico in atto sopra la “transposição do Rio São Francisco”.

1080

Page 119: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

ai loro territori e non si configurano come punti notevoli di importanti assi urbani regionali o statali. Penedo è stata ufficialmente riconosciuta come villaggio (povoado) nel 1560, nel 1636 è elevata alla categoria di paese (Vila), con la denominazione di Vila do Penedo do São Francisco. Successivamente passò 10 anni sotto il dominio degli olandesi al comando di Mauricio de Nassau. Uno dei punti di riferimento architettonici nella formazione del suo spazio urbano, è stata la realizzazione della chiesa francescana conventuale di Santa Maria dos Anjos attuata tra gli anni 1660 e 1759, costruzione durata ben 99 anni4. Solo nel 1842 Penedo è stata elevato allo status di città (cidade). Attualmente ha una superficie municipale territoriale di 689,875 chilometri quadrati e una popolazione totale di 60.378 abitanti, il 74,6% della popolazione è urbana e il 25,4% è rurale (IBGE, 2010). Come Piaçabuçu, Penedo ha una economia basata sull'agricoltura, la pesca e il turismo, ma con quest'ultima attività si distingue per due ragioni: la città ha un ricco patrimonio architettonico, storico e paesaggistico ed è vincolata sin dal 1996 dalla sovrintendenza IPHAN - Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional; inoltre rappresenta un importante collegamento tra gli Stati di Alagoas-AL e Sergipe-SE, attraverso la comunicazione che si attua mediante la traversata del fiume in traghetto tra le città di Penedo e Neópolis. Un fattore negativo osservato è che, anche se il traghetto tra le città di Penedo (AL) e Neópolis (SE) può essere considerato come un attrattore per la fruizione del territorio da ambo i lati del fiume, purtroppo poi le strade che collegano le capitali dei due Stati all’approdo del traghetto non presentano buone condizioni sia per il traffico che per la sicurezza, scoraggiando così un ulteriore utilizzo (turistico) di tale percorso, con conseguenze negative soprattutto per Penedo. Piaçabuçu è un piccolo centro creato nel 1859 come parrocchia, Freguesia de São Francisco de Bórgia ed elevata a villaggio nel 1882, scorporata da Penedo che nello stesso anno era stata elevata a città. Il suo nome “Palmagrande” ha origine indigena e viene dalle parole piaçava (palma) e guassù (grande). Secondo l’IBGE - Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística (dati del 2010) la popolazione totale del comune è di 17.203 abitanti, di cui il 60,7% vive in aree urbane e il 39,3% nelle campagne e la sua superficie municipale territoriale è di 242,9 chilometri quadrati. Il comune ha una economia basata sulla produzione di noci di cocco, di pesca (soprattutto di calamari d’oceano) e di turismo, quest’ultimo diretto principalmente alle visite della spiaggia di Peba e della foce del Rio São Francisco5. 4 Informazioni ottenute dal sito web della Prefeitura Municipal de Penedo (http://penedo.al.gov.br/a-cidade-de-penedo/) e do Governo do Estado de Alagoas (http://www.estado-de-alagoas.com/penedo.htm). 5Informazioni ottenute dal sito web della Prefeitura Municipal de Piaçabuçu: (http://piacabucu.al.gov.br/municipio/historico/)

Fig. 3. Praia do Peba (Piaçabuçu-AL). Foto: Muniz Filho (2016).

1081

Page 120: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Fig. 4. Foz do Rio São Francisco. Foto: Muniz Filho (2016).

4. Il Rio São Francisco… c’è ancora molto da percorrere... osservazioni Piaçabuçu pur avendo uno splendido paesaggio naturale, come la spiaggia di Peba e l'APA – Area a Protezione Ambientale (che porta lo stesso nome ed è stata definita nel 1983) che ospita una ricca biodiversità e la foce del Rio São Francisco, non ha un'economia altamente sviluppata, principalmente a causa dalla scarsità di servizi presenti (alloggi, ristoranti, istituzioni finanziarie, servizi sanitari di base) sia ad uso della popolazione locale sia dei turisti. In realtà il piccolo centro potrebbe attrarre molto più che oggi un turismo di tipo storico-culturale, che già si dimostra interessato a ripercorrere le tappe del viaggio ottocentesco dell’Imperatore Dom Pedro II lungo il Rio São Francisco. In questi piccoli centri storici lungo il fiume sarebbe possibile attrarre investimenti e attivare servizi, che potrebbero da un lato servire meglio la popolazione locale e dall’altro lato porsi come attrattiva per i viaggiatori. Con un buon coordinamento tra il settore pubblico, il settore privato e la società civile sarebbe possibile migliorare il “marketing territoriale” e attrarre maggiori investimenti e risorse per il territorio. Si sottolinea, naturalmente, che tutto andrebbe realizzato all'interno di una progettazione/pianificazione che abbia alla base la valorizzazione del grande potenziale naturale e storico-culturale esistente, un’operazione da attuare con grande responsabilità sociale e ambientale.

Bibliografia D. Sátyro Maia, «Cidades Médias e Pequenas do Nordeste: conferência de abertura», in Lopes, D. M. F., W. Henrique (a cura di), Cidades médias e pequenas: teorias, conceitos e estudos de caso, Salvador, SEI, 2010. Ministério do Meio Ambiente, Diagnóstico do macrozoneamento ecológico-econômico da Bacia Hidrográfica do Rio São Francisco, Brasília, MMA, 2011, p.15. G. Rocha, O Rio São Francisco: Fator Precípuo da Existência do Brasil, 4 ed, São Paulo, Companhia Editora Nacional, 2004. B. Ribeiro, M. Soares, «Nágela Aparecida de Cidades Médias e Pequena: reflexões sobre os desafios no estudo dessas realidades socioespaciais», in Lopes, D. M. F. e W. Henrique (a

e del Governo dello Stato di Alagoas: (http://www.estado-de-alagoas.com/piacabucu.htm).

1082

Page 121: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

cura di), Cidades médias e pequenas: teorias, conceitos e estudos de caso, Salvador, SEI, 2010. M. Encarnação Beltrão Sposito, «Cidades Médias e Pequenas: as particularidades da urbanização brasileira», in P. C Dias e D. M. F. Lopes (a cura di), Cidades médias e pequenas: desafios e possibilidades do planejamento e gestão, Salvador, SEI, 2014. J. Suassuna, Transposição de águas do Rio São Francisco: planejar é preciso, Recife, Fundaj, 2001. Riferimenti web: CBHSF, Comitê da Bacia Hidrográfica do Rio São Francisco (in:<http://cbhsaofrancisco.org.br/>). IBGE - Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística, Cidades@ (in: <http://cidades.ibge.gov.br/>).

1083

Page 122: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 123: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

D’ora in poi non sará forse il viaggio stesso la nostra patria? Bruno Taut esule in Giappone (1933-36):

un viaggio fra scrittura e visione Paola Ardizzola

Antalya Bilim Üniversitesi/Antalya Science University – Antalya – Turkey Parole chiave: Giappone, esilio, tradizione, modernismo, linguaggio scritto e visivo.

1. Introduzione Quando il 3 maggio 1933 Bruno Taut giunse in Giappone, non sapeva che il soggiorno nella

terra del Sol Levante si sarebbe protratto per tre lunghi anni. Era dovuto fuggire da Berlino in

gran fretta dal momento che il suo nome era stato inserito nella lista nera dal regime nazista,

bollato come dirigente culturale bolscevico. Va sottolineato fino a che punto l’architetto sia

stato vittima delle disposizioni del nazismo, che cercava di colpire chi in ambito culturale

favorisse il pensiero comunista. Taut, pur non essendo attivista politico dichiarato, combatteva

fin dagli anni di Magdeburgo – dove fu assessore all’urbanistica – la sua battaglia a favore di

una rinascita sociale, contribuendo alla crescita di un’edilizia qualitativamente superiore

rispetto ai parametri di base del Neues Bauen (luce, aria e sole). Ma la portata rivoluzionaria

del messaggio politico-culturale che si inverava attraverso la sua architettura era troppo

rischiosa per i nazisti, che nel giorno della fuga lo aspettavano fuori di casa per arrestarlo. É

d’uopo ricostruire la cronologia dell’esilio giapponese: nel marzo 1933 fugge da Berlino

passando per Stoccarda, poi prosegue per la Svizzera, giunge a Marsiglia dove s’imbarca,

toccando le cittá di Napoli, Atene ed Istanbul, di cui riporta entusiastiche descrizioni sul suo

taccuino di viaggio. Al contempo perό scrive, con l’approccio malinconico e dubbioso

dell’esule: «D’ora in poi non sará forse il viaggio stesso la nostra patria?»1. É con lui la seconda

moglie e nel maggio 1933, con una nave da Vladivostok, arrivano a Tsuruga a nord di Kyoto.

Le prime impressioni sono intrise di stupore quasi fanciullesco: «Colore! Verde! Come mai

visto! Acque iridescenti, nuovo mondo… che incanto!»2.Visita la residenza imperiale Katsura

del XVII secolo, nella cui semplicità e funzionalismo legge i princìpi cardine del Movimento

Moderno. Nel novembre 1933 inizia la sua attività in Giappone come consulente presso

l’Istituto industriale statale Kogei Shidosho di Sendai. Nell’aprile 1934 svolge per un mese

attività di consulenza presso la ditta di porcellane Okura mentre dall’agosto 1934 comincia

l’attivitá di designer di oggetti e utensili per la ditta di artigianato artistico Miratiss; collabora

inoltre con l’Istituto di artigianato artistico della prefettura Gumma di Tagasaki. Nello stesso

periodo si trasferisce nel santuario Shorinzan presso Tagasaki, stabilendovi la propria dimora.

Nell’ottobre 1936 lascia il Giappone attraverso la Corea, la Manciuria e Pechino per

raggiungere Istanbul, dove assume la direzione del Dipartimento di Architettura

dell’Accademia di Belle Arti Mimar Sinan e dell’ufficio progetti del Ministero turco per la

Pubblica Istruzione. Solo in Turchia Taut tornerá ad insegnare e a costruire; riflettendo sul

tempo passato in Giappone, egli lo definirá “la mia vacanza dall’architettura”. Ciό non di meno,

la sua innata curiositá, l’interesse per la cultura giapponese coltivato sin dagli anni giovanili,

un acuto spirito critico accompagnato spesso da uno approccio che puό essere definito

‘romantico’ nel senso piú puro del termine, una profonda compartecipazione negli aspetti della

vita quotidiana giapponese scevra delle convinzioni ‘da occidentale’ faranno della sua

permanenza in Giappone una testimonianza viva e profonda.

1 Japan Tagebuch, 1933-1936, copia conservata all’AdK, Archivio Accademia di Belle Arti di Berlino, originale

nell’Archivio Iwanami, Tokyo. 2 Ibidem.

1085

Page 124: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

2. Il prodromo del viaggio in Giappone Il primo viaggio in Oriente di Taut fu un ‘viaggio interiore’ negli anni successivi la Prima

Guerra Mondiale, raccontato attraverso le opere teoriche giovanili come Die Stadtkrone (La corona della città, 1919), Die Auflősung der Städte (La dissoluzione della città, 1920), sulla

scia di quegli architetti ed artisti che

cercavano di tradurre nella poetica

espressionista uno spirito di rinnovata

purezza, insita nella cultura orientale.

Nell’articolo Ex Oriente lux (La luce viene da Oriente) Taut attacca con

decisione il monocentrismo occidentale

esaltando la cultura d’Oriente: «Immersi

in questo mondo magico, saziati del suo

miele ˗ dove è ora l’Europa? Firenze in

rapporto è magra… il Barocco

squilibrato. San Gedeone è una scatola

di mattoni, e anche il Gotico è solo

trascendentalismo contrito. Quanto poco

rimane! Strassburgo, le vetrate gotiche,

lo Zwinger di Dresda… ma davvero me-

glio delle loro controparti indiane?

Inginocchiatevi umilmente voi

europei!»3.

Giá nel 1924, per esemplificare i suoi

intenti Taut pubblica numerosi esempi di

architetture orientali, commentandone la

semplicità e la funzionalità quali nuovi

valori da assumere nella progettazione

moderna: «Né la casa orientale né quella

giapponese conoscono la divisione fra soggiorno e camera da letto. […] Questi spazi erano

coperti da soffitti a volta rigorosamente architettonici e costruttivi, ma allestiti con una finezza

tale, che in ogni caso rappresentavano tutt’altro che i cosidetti spazi ‘confortevoli’»4. La

proposizione lascia intuire come Taut fosse alla ricerca di un modello ideale di abitazione che

si ispirasse alla cultura dell’estremo oriente e che assumesse connotazioni riproponibili e

riproducibili; egli é giá alla ricerca dell’assunto di base che coniughi essenzialità e

funzionalismo del Modernismo. Negli anni giovanili, Taut aveva anche mostrato un interesse

per le suggestioni nipponiche nell’ambito della pittura, come si riscontra nelle sue opere

pittoriche degli anni 1903-‘06; giunto in Giappone, fortemente suggestionato dalla natura si

dedica nuovamente all’attivitá pittorica e l’uso del pennello ad inchiostro, tipico della tecnica

giapponese, risulterá conforme al suo stile riducendo cosí le immagini a pochi segni.

Taut é interessato ad una profonda comprensione della cultura locale, che passa attraverso

l’analisi di usi, costumi, aspetti artistici ed ovviamente architettonici, seguendo un processo

olistico di conoscenza che non trascuri alcun elemento. Nell’esperire i luoghi della terra che lo

ospita, egli mette in gioco tutta la sua conoscenza pregressa, rinunciando ad una posizione

‘temporanea’ di cittadino del Giappone ma vivendo la terra del Sol Levante con pieno

3 B. Taut, «Ex Oriente lux», in Neue Blätter fűr Kunst und Dichtung, 2/1919, p. 15. 4 B. Taut, Die neue Wohnung-Die Frau als Schöpferin, Leipzig, 1924, trad it. La nuova abitazione-La donna come creatrice, ed. Gangemi, Roma, 1986, p. 26.

B.Taut, Disegno del monte Fuji, 1933, da M. Speidel, Natur und Fantasie 1880-1938, Berlin,

Ernst & Sohn, 1995

1086

Page 125: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

coinvolgimento estetico, sociale, culturale ed emotivo, verso la quale sente di avere il dovere

di un lascito consistente: il proprio punto di vista in forma scritta su una cultura antica e

straordinaria.

3. Viaggiare, osservare, disegnare, scrivere

Dopo appena due giorni il suo arrivo, Taut visitό la villa imperiale Katsura del XVII secolo5: Il

nitore delle linee che compongono tanto la distribuzione degli ambienti in pianta quanto

l’articolazione dei prospetti, affidata spesso alla varietà materica, sono certamente alcuni degli

aspetti che consacrano la villa imperiale ad essere un’architettura senza tempo, stabilendo

un’affinità empatetica con la sensibilità del Moderno. L’ammirazione di Taut si trasforma in

pura euforia quando egli ha modo di fissare le prime impressioni della visita a Katsura:

«Un’architettura pura e spoglia. Commovente, innocente come un bambino. Realizzazione di

un desiderio moderno. […] Impressionante infinitamente e da subito per la ricchezza di

riferimenti. […] Ricchezza totale nel procedere all’interno, aspetto sfarzoso delle sale d’aspetto,

negli ambienti di soggiorno nessuno sfarzo. Raffinatissima differenziazione di godimento

artistico»6.

Fin dall’inizio cominciò ad annotare le impressioni sull’arte e sull’architettura giapponesi,

rendendo omaggio ad una cultura millenaria attraverso numerosi scritti: nell’estate 1933

compila il primo saggio Nippon mit europäischen Augen gesehen (Il Giappone visto con occhi europei), una panoramica critica sullo sviluppo culturale del Giappone di inizio secolo:

sottolineando in termini positivi quelle scelte architettoniche che, ancora valide secondo i criteri

di valutazione della moderna architettura europea, provenivano dal contributo della tradizione,

Taut metteva in guardia dall’imitazione acritica di modelli di vita e civiltà occidentali.

Un secondo saggio, Die Architektur des Westens in ihrer Bedeutung fűr Japan (L’architettura occidentale e il suo significato in Giappone) si proponeva invece di divulgare la conoscenza

dei movimenti d’avanguardia europei, mentre Grundlinien der Architektur Japans (Lineamenti fondamentali dell’architettura giapponese) sottolineava i valori di semplicità e purezza

5 La residenza venne costruita durante l’era Edo, tra il 1615 e il 1867, fortemente influenzata dalla diffusione del

Confucianesimo e da una politica di reclusione nazionale che rese l’architettura del periodo poco permeabile

all’influenza di elementi occidentali e cinesi, per riscoprire caratteri più autoctoni. 6 B. Taut, manoscritto inedito conservato presso la casa editrice Iwanami di Tokyo in M. Speidel, «Il mio punto di

vista sull’architettura giapponese», in Casabella 676/2000, p. 11.

Villa Imperiale Katsura, da B. Taut, Houses and People of Japan, Tokyo,

Sanseido, 1937

Villa Imperiale Katsura, pianta, da B. Taut, Houses and People of Japan, Tokyo,

Sanseido, 1937

1087

Page 126: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

dell’architettura nipponica del XVII secolo, riscontrabili sia nella villa imperiale Katsura che

nel santuario Ise e che dovevano costituire i punti di partenza per una moderna architettura

giapponese. La sintesi fra bellezza e funzione che Taut rilevό con grande entusiasmo venne

esplicata in uno schema che sottolinea come la qualità dell’abitazione moderna giapponese

provenga dalla sintesi racchiusa nell’Ise, passando attraverso la villa imperiale Katsura; i templi

buddisti invece, sviluppatisi parallelamente ma sotto l’influsso dell’architettura cinese, sono

considerati antesignani del kitsch, colpevole di eccessivo ornamento e formalismo.

Il volume Houses and People of Japan (Case e gente del Giappone) del 1937, redatto in inglese,

é lo scritto piú corposo ed é corredato da centinaia di fotografie; esso si presenta come un

resoconto di viaggi nell’architettura tradizionale e nell’urbanistica storica, contestualizzate

nella valenza culturale del popolo giapponese. Il libro si chiude con il racconto della visita di

Katsura, avvenuta la prima volta il 4 maggio 1933, la cui semplicità e purezza di proporzioni,

che furono una rivelazione non solo in termini di stile giapponese ma di architettura in genere,

fu ulteriormente celebrata in Gedänken űber Katsura (Pensieri su Katsura), una raccolta in

sedici fogli di ventotto disegni e didascalie esplicative dove l’architetto non omette di

sottolineare il minimo dettaglio sottolineando la filosofia di un vivere e perciò di un fare

architettura essenzializzato. Taut stesso definí i Pensieri su Katsura “la mia seconda Alpine Architektur”7: «Katsura è in sé e per sé un universo abilmente ordinato in forme intelleggibili,

un’interpretazione del mondo attraverso l’architettura. […]. Come l’architettura alpina, anche

la villa imperiale rivela infatti l’aspirazione a fornire un’interpretazione assoluta del mondo

attraverso la forma costruita»8.

I fiumi di pagine scritti in esilio in Giappone sulla cultura abitativa del luogo rivelano la

tendenza di Taut a sottolineare quella che nel 1938, nel compendio di architettura pubblicato in

lingua turca Mimari bilgisi (Lezioni di Architettura) chiamerà ‘proporzione’, che si compone

di equilibrio fra bellezza, che per Taut è semplicità, insieme a leggibilità e funzione.

4. In terra straniera, senza architettura A questa corposa produzione letteraria purtroppo non corrispose un’altrettanto copiosa

produzione architettonica; le circostanze lo portarono a occuparsi a tempo pieno di arti applicate

piuttosto che di architettura. Va sottolineato che Taut cercò in ogni modo di sopperire

all’immobilismo architettonico a cui era costretto, attraverso l’impegno in attività collaterali; in

questo stesso periodo riprese a dipingere riconvertendo lo stile degli anni giovanili e

adeguandosi ad una poetica tipicamente giapponese, supportata dalla tecnica appresa sul luogo

del pennello ad inchiostro: «Taut viveva quasi esclusivamente con Giapponesi. Aveva molti

amici e ammiratori e fra questi soprattutto l’architetto Isaburo Ueno ed il commerciante Shotaro

Shimomura. Con la loro guida, conobbe la vera vita giapponese, la loro educazione, le

cerimonie del té, la raffinatezza dell’arte e del teatro. Godeva della bellezza del paesaggio

giapponese ed era sempre affascinato dalla vista del [monte] Fuji, la più pura forma di rilievo

del mondo. Incorse di nuovo nella ‘sua vecchia debolezza giovanile’ e dipinse con gioia degli

acquerelli […]. Trovò nella tradizione del silenzio, della meditazione e della contemplazione

un mondo intimamente a lui vicino»9.

7 É questa una affermazione di fondamentale importanza, se si considera che il libro Alpine Architektur, pubblicato

nel 1919, rappresenta quanto di piú visionario, utopico e rivoluzionario Taut abbia concepito: in un dialogo fra

testi e disegni Taut indicava la strada verso il futuro dell’architettura. Dopo aver redatto i disegni di Villa Katsura,

Taut scrive: «Questo 10 maggio 1934! Il mio giorno piú importante in Giappone. Come una nuova architettura

alpina. Un saluto allo spirito, che pure governa il mondo». In M. Speidel, «Bruno Taut e la villa Katsura», AA.

VV. (eds.), Katsura la villa imperiale, Milano, Electa, 2004, pp. 319-329. 8 M Speidel, Bruno Taut in Giappone, in W. Nerdinger (a cura di), Bruno Taut 1880-1938, Milano, Electa, 2001,

p. 184. 9 K. Junghanns, Bruno Taut 1880-1938, Milano, Franco Angeli, 1978, pp. 197-198.

1088

Page 127: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Taut prese la decisione di trasferirsi in una tipica abitazione giapponese chiamata Senshitei

(purificazione dell’anima), situata presso il tempio zen di Shorinzan, vicino Takasaki.

L’abitazione venne assunta da Taut quale modello di casa unifamigliare e descritta in Houses and People of Japan, scelta che testimonia come l’architetto non si sia limitato a vivere un

Giappone esteriore, ma accettando di abitare una casa giapponese, mise in gioco la propria

esperienza e sensibilità. Nonostante lo sconcerto iniziale per usi tipicamente orientali, come il

dormire sul pavimento che fece dire a sua moglie «e ora voglio proprio vedere come si fa a

dormire»10, il disorientamento passò presto quando venne compreso l’intimo significato che

legava l’aspetto funzionale a quello formale: «Nell’assoluto silenzio che regnava mi resi conto

delle linee parallele, perfettamente definite, delle porte scorrevoli, delle superfici intonacate

senza pittura, degli elementi in cedro, completamente privi d’ornamento. Non c’era nulla di

opprimente nel soffitto, i cui travetti e listelli, insieme alla delicata struttura, definivano con

semplicità lo spazio della stanza. L’ampia nicchia, detta tokonoma, dominava la stanza,

altrimenti priva di carattere, con l’unità del suo spirito artistico. La stanza era vuota, ma un

senso di pienezza era dato dai tatami, nella stanza ce n’erano sei. Questi trasmettevano una

naturalezza indescrivibile, un qualcosa che non si avvicina né al concetto di morbido né a quello

di elastico, di certo non a quello di duro. Essi supplivano alla funzione essenziale che da noi è

svolta dal mobilio, e riuscivano davvero a sostituire le sedie, le poltrone, i sofà, i letti, i tavoli e

tutto il resto. […] Alla fine mi sentii pronto, spensi la lanterna e mi coricai. Eravamo lì, a

dormire dentro una lanterna di carta ˗ così la stanza appariva ˗ ricolma della luce lunare,

stranamente diffusa e delicata»11.

La chiave di lettura che Taut diede dell’architettura e della cultura giapponese ebbe grande

seguito, soprattutto nelle istituzioni scolastiche che volentieri adottarono i suoi libri, ma anche

nell’immaginario di personaggi della cultura locale, come l’allora giovanissimo regista Akira

Kurosawa il quale, suggestionato dall’avventura giapponese di Taut, scrisse una sceneggiatura

che non divenne mai film, dal titolo “Un tedesco al tempio Daruma”.

Intriso di spiritualitá ascetica, profondamente coinvolto nella comprensione del messaggio

ultimo della cultura giapponese, Bruno Taut visse il viaggio in Giappone come ricerca dell’altro

da sé, fino alla rivelazione del suo io interiore piú profondo: «L’azione del saggio si compie

10 B. Taut, Houses and People of Japan, ed. Sanseido, Tokyo, 1937, p. 19. 11 Ibidem, pp. 10 e 19.

B. Taut, Taccuino di viaggio, tempio Shorizan presso Tagasaki, casa dell’architetto, da Japan Tagebuch,

1933-1936, copia conservata all’AdK, Archivio Accademia di Belle Arti di Berlino, originale

nell’Archivio Iwanami, Tokyo

B. Taut seduto davanti alla sua casa, tempio Shorizan presso Tagasaki, da AdK, Archivio

Accademia di Belle Arti di Berlino

1089

Page 128: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

sull’interiore. Egli non cerca di imporre al mondo le regole, le misure, i riti o le leggi inventate

da lui stesso»12. In realtá, per l’architetto tedesco tale assioma é semplicemente la conferma di

un lungo, meditato percorso di viaggio.

12 K. Schipper, Le Corps taoïste. Corps physique, corps social, Paris, Librairie Arthème Fayard, 1982; It. Ed., Il corpo taoista. Corpo fisico - Corpo sociale, Roma: Ubaldini, 1983, p. 127.

1090

Page 129: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Un viaggio attraverso il Mediterraneo Gli architetti italiani al IV CIAM

Gemma Belli Università di Napoli Federico II – Napoli – Italia

Parole chiave: IV CIAM, Patris II, Marsiglia-Atene. 1. Introduzione Sabato 29 luglio 1933, a bordo del piroscafo Patris II in viaggio da Marsiglia al Pireo, si apre il IV Congrès d’Architecture Moderne. Sono presenti circa cento intellettuali in rappresentanza di quindici paesi, Inghilterra, Germania, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Olanda, Italia, Norvegia, Polonia, Svizzera, Cecoslovacchia, ai quali, ad Atene, si aggiunge la Grecia. La delegazione russa è del tutto assente, mentre in quella tedesca mancano sia Walter Gropius, che Marcel Breuer ed Ernst May. Tuttavia – commenta Le Corbusier – se gli incontri precedenti avevano visto «tra i partecipanti dei settuagenari venerabili, come il nostro presidente Moser e Berlage, questo Congresso è giovane: a bordo del Patris II c’è una folla di giovani – il fiore dell’architettura, che deve portare frutti»1.

2. Un viaggio attraverso il Mediterraneo

Come è noto, il raduno dedicato alla città funzionale doveva svolgersi a Mosca, dove era stato programmato per la primavera del 1932, e poi rimandato ai primi giorni di giugno dell’anno successivo. Ma a pochi mesi dall’apertura, i rappresentanti russi fanno pervenire al segretario Sigfried Giedion la richiesta di un ulteriore rinvio. Così, dopo avere valutato altre città in 1 L’affermazione di Le Corbusier è riportata in G. Pollini, Il quarto congresso e la città funzionale, in «Parametro», n. 52, 1976, pp. 4-23, qui 18.

Riunione di lavoro sul ponte del Patris II

1091

Page 130: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

alternativa, tra cui anche Milano, durante una riunione con Le Corbusier, Marcel Breuer propone di tenere il IV CIAM a bordo di un’imbarcazione: contattato telefonicamente Christian Zervos, editore del «Cahier d’Art», Jeanneret ottiene nel giro di poche settimane la disponibilità dello Steamship Patris II, da parte della compagnia greca di navigazione Neptos2. La delegazione italiana, presente a proprie spese, è costituita da Pietro Maria Bardi, invitato quale membro della sezione italiana degli Amis des CIAM, Piero Bottoni, Gino Pollini con Renata Melotti3, e Giuseppe Terragni. Pochi giorni prima avevano rinunciato al viaggio Enrico Griffini e Luigi Vietti, e pure l’ipotesi di una partecipazione di Carlo Belli era caduta all’ultimo momento. La mattina del 29 luglio Gino Pollini e Renata Melotti, partiti da Milano il giorno precedente, scrivono all’amico Luigi Figini: «carissimo, siamo arrivati stamane alle 5, abbiamo già fatto un grande giro per Marsiglia e adesso ci imbarchiamo. La prima cartolina è ancora macchinista: il Mediterraneo verrà poi. Bardi e Terragni sono andati a comprare il casco. Bottoni è alla cerca della guida, e noi ti mandiamo un saluto anche per loro»4. Alcune ore dopo si apre il congresso.

Il 31 luglio, giorno in cui Le Corbusier illustra le sue idee per Parigi, Piero Bottoni espone le tavole di Verona e di Littoria, Terragni quelle di Como, e l’indomani Pollini relaziona sul piano di Roma, redatto nel 1931 da Marcello Piacentini. L’analisi è fondata su una serie di tre carte, delle quali le prime due riguardanti l’aggregato urbano, e la terza la zona d’influenza delle città. Realizzate quasi interamente a spese della delegazione, esse erano state elaborate 2 S. Giedion, Moholy-Nagy e il CIAM vanno in Grecia, in S. Moholy-Nagy, Moholy-Nagy: la sperimentazione totale, Longanesi, Milano 1975, pp. 90-94, qui p. 90. 3 Gino Pollini e Renata Melotti si erano sposati a Rovereto il 3 febbraio 1931. 4 La cartolina – in AFP-MART, scat. 3, Cart. B – è citata in V. Gregotti, G. Marzari, a cura di, Luigi Figini Gino Pollini. Opera completa, Electa, Milano 1996, p. 78.

A bordo del Patris II: da sinistra Pollini, Le Corbusier, Bottoni, Bardi e Terragni

1092

Page 131: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

con una certa difficoltà. Infatti, nella primavera del 1933 solo Bottoni aveva iniziato a disegnare il piano di Verona, Terragni aveva da poco iniziato a raccogliere i dati preliminari su Como, Gaetano Minnucci lamentava che non era possibile pagare le riduzioni planimetriche delle tavole su Roma; e del piano di Genova, pure esso da documentare per il congresso, non si avevano notizie. Di conseguenza Bottoni e Pollini avevano dovuto recarsi a Roma per chiedere all’INU e agli uffici di governatorato un aiuto per assemblare i materiali, oltre che economico; stessa cosa aveva dovuto fare Vietti con la municipalità di Genova. Ma alla fine «l’apporto italiano suscitò il massimo interesse del Congresso: particolarmente i delegati italiani ebbero occasione di illustrare ampiamente la grande opera di bonifica delle Paludi Pontine intrapresa dal fascismo, e i problemi particolari delle nostre città derivanti dalla presenza dei monumenti storici»5.

Martedì 1 agosto, dopo tre giorni e mezzo di navigazione, Patris II giunge in vista delle coste greche e approda ad Atene, dove i convegnisti si trasferiscono all’hôtel Grande Bretagne e dove la sera del 2 agosto si apre la sessione greca del Congresso. Nella capitale i partecipanti restano sino a sabato 5, impegnati tra commissioni, conferenze, mostre, visite e pranzi ufficiali. Ma soprattutto in questi giorni, compiono l’ascesa verso l’Acropoli, dove Le Corbusier ricorda il periodo trascorso in Grecia, anni prima: «cosa posso aver fatto durante ventuno giorni» si interroga; la risposta è «ciò che so, è che io ho acquisito la nozione di irriducibile verità. Io sono partito, schiacciato dall’aspetto sovraumano delle cose dell’Acropoli. Schiacciato da una verità che non è né sorridente, né leggera, ma che è forte, che è una, che è implacabile»6.

5 G. Pollini, La città funzionale, in «Urbanistica», n. 3, 1934, pp. 166-183, qui p. 168. 6 Le Corbusier, Air, son, lumière, discorso pronunciato al IV CIAM, cit. in «Parametro», cit., p. 21.

A bordo del Patris II: da sinistra Bardi, Sert, Giedion, Bottoni, Van Eesteren e Pollini

1093

Page 132: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Dal 5 al 9 agosto si svolgono le escursioni alle isole7, mentre il 10 il gruppo riparte alla volta di Marsiglia. Il primo giorno del viaggio di ritorno i convegnisti consegnano il questionario ricevuto il 4, incentrato sui temi dell’abitazione, del tempo libero, dei luoghi del lavoro, della circolazione. Lunedì 14 agosto, dopo diciassette giornate di intenso lavoro, Patris II attracca a

Marsiglia. Il giorno prima erano state depositate tre diverse versioni di un testo di sintesi. Molto si è scritto sulle articolate e controverse conclusioni di questo IV CIAM, la Carta di Atene, «uno dei testi urbanistici più noti e al tempo stesso meno letti e più discussi del novecento»8, simbolo del percorso della disciplina e delle aspirazioni della comunità degli urbanisti della prima metà del XX secolo, e contemporaneo emblema degli errori commessi nella costruzione della città nel secondo dopoguerra9. Ma quale significato assume di per sé l’esperienza del congresso10? Sicuramente la partecipazione di musicisti, poeti, scrittori e pittori, accanto agli architetti, rende questo CIAM diverso dai precedenti: «tutta l’avanguardia europea dell’architettura

moderna – scrive Piero Bottoni – era a bordo di quella nave, quindi se fosse andata a fondo sarebbe stato un vero disastro! Per fortuna galleggiò e arrivò in Grecia»11. La nave stessa, poi, modello per l’abitazione conforme e per la città funzionale, conclusa e libera nello spazio aperto, metafora del processo di conoscenza in moto perpetuo12 – prosegue Bottoni – «fu una trovata geniale […] già tante volte l’ho ripetuto e ho sollecitato vari organizzatori di congressi a ripetere questa esperienza. Stemmo in mare circa 12 giorni; naturalmente il viaggio fu fatto con una certa lentezza, la nave era piccola e si soffriva terribilmente di mal di mare, ma 7 In merito alle escursioni nelle isole sono state formulate due ipotesi. In base alla prima, dopo Egina, tutti i convegnisti si sarebbero recati a Serifos, Santorini, Ios, per poi proseguire verso Argomos, Mikonos, Delos e forse Syros, da dove il gruppo italiano avrebbe deviato verso Nafplion, per poi visitare i siti archeologici sulla terra ferma, mentre gli altri avrebbero fatto rotta verso Atene. Secondo l’altra ipotesi i gruppi si sarebbero separati dopo Egina: uno avrebbe proseguito verso le Cicladi, toccando Serifos, Santorini e Ios e forse anche Argomos, Delos e Mykonos; gli italiani, invece, dopo Egina avrebbero raggiunto Hydra, Spetses, Nafplion, e poi Epidauro, Tirinto, Micene, Corinto, Megara. 8 P. Di Biagi, Presentazione, in Ead., a cura di, La Carta d’Atene. Manifesto e frammento dell’urbanistica moderna, Officina, Roma 1998, pp. 9-11, qui p. 9. 9 Ivi, p. 26. Tra i vari scritti sulla Carta di Atene si citano solo: P. Di Biagi, a cura di, La Carta d’Atene, cit.; E. Mumford, CIAM 4, 1933-1936, in Id., The CIAM Discourse on Urbanism, 1928-1960, The MIT Press, Cambridge-London 2000, pp. 73-91; P. Di Biagi, I CIAM verso Atene: spazio abitabile e città funzionale, Intervento al convegno EL GATCPAC Y Su TIEMPO, política, cultura y arquitectura en los años treinta, V Congreso Internacional DOCOMOMO Ibérico, Barcelona, 26-29 ottobre 2005, in www.planum.net/download/dibiagi-ciam-art-ita-pdf; C. Montes Serrano, El CIAM y la Carta de Atenas. La contribución inglesa y los inicios del grupo MARS, in «Revista Expresión gráfica arquitectónica», 2000, pp. 185-195. 10 Cfr. P. Di Biagi, La Carta d’Atene. Manifesto e frammento dell’urbanistica moderna, in Ead., a cura di, La Carta d’Atene, cit., pp. 25-72. 11 P. Bottoni, Intervento al convegno L’eredità di Terragni e lo sviluppo dell’architettura italiana 1943-1968, Como, 14-15 settembre 1968, in «L’architettura. Cronache e storia», n. 163, 1969, pp. 9-10, 46-47, poi in G. Consonni, L. Meneghetti, L. Patetta, Piero Bottoni: quarant’anni di battaglie per l’architettura, in «Controspazio», n. 4, 1973, pp. 86-90, e infine in P. Bottoni, Una nuova antichissima bellezza. Scritti editi e inediti 1927-1973, a cura di G. Tonon, Laterza, Roma-Bari 1995, con il titolo Due testimonianze su Terragni e il Razionalismo italiano, pp. 500-516, qui p. 506. 12 La citazione di Otto Neurath è riportata in G. Gresleri, Convergenze e divergenze: da Le Corbusier a Otto Neurath, in P. Di Biagi, a cura di, La Carta d’Atene, cit., pp. 143-169, qui p. 162

A bordo del Patris II: un marinaio, Fernand Léger e Le Corbusier

1094

Page 133: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

fummo praticamente obbligati a seguire i lavori del congresso: non si poteva andare da nessuna parte, eravamo sempre lì»13. Racconta poi Pollini: «le riunioni avvenivano sui ponti, riparati da tende, in un’atmosfera ventilata, piena di sole e di luce, sul mare calmo. La vita in comune dei partecipanti nel corso dell’intera giornata favoriva i contatti personali, il formarsi delle amicizie, lo scambio delle informazioni, le discussioni in gruppi ristretti, che ai congressi precedenti erano in parte mancati»14. In particolare, per i giovani italiani si rivela significativamente illuminante l’incontro con Le Corbusier, al punto che dopo il congresso, «Quadrante» dà il via alla pubblicazione sistematica delle sue opere, e Pietro Maria Bardi e Massimo Bontempelli si impegnano a far cadere il veto a che il maestro franco-svizzero tenga conferenze in Italia15. Altro aspetto che connota il Congresso è il suo svolgersi lungo un viaggio, metafora di un lungo processo di conoscenza che da una situazione presente nota sottoposta a critica conduce a un futuro auspicato e desiderato: dalle trentatré città analizzate alla città funzionale. E poi c’è la destinazione: la Grecia, che non simboleggia un ritorno al passato, o l’esortazione a guardare alla città e all’architettura antiche, ma rappresenta il valore inesauribile di una tradizione che si rinnova – Bottoni parla di «sana tradizione mediterranea» – e l’essenza di un pensiero sempre vivo, cui gli architetti sentono di appartenere. «Un viaggio in Grecia nell’anno 1933 – scrive ancora Bottoni – è un pellegrinaggio di rito e devozione per un architetto razionalista: per un rifacitore di stili o per un neostilizzante potrebbe essere fonte di amarissime disillusioni. All’arrivo al Pireo, già dal Golfo, sotto il sole abbacinante sullo sfondo di queste terre calcinate, l’Acropoli incombe: ancora lontana una ventina di chilometri già parla con la sua precisa parola. Sentiremo l’onda più o meno smorzata di questa precisone sublime (definisco così il Partenone) diffusa su tutte queste terre: in ciò che sopravvive intatto per l’aspetto plurimillenario e in ciò che si rinnova intatto nello spirito della gente e degli artisti […]»16. E l’entusiasmo per l’esperienza, tra l’altro documentata dalle riprese di László Moholy-Nagy17, traspare appieno dai resoconti dei partecipanti18. La prima cronaca in lingua italiana appare sul «Lavoro Fascista», undici puntate poi raccolte nel numero 5 di «Quadrante» nel settembre 193319. Sulla rivista Bardi compone anche una serie di tavole utilizzando scatti personali, di amici e qualche cartolina. Terragni, soprattutto, al ritorno dal viaggio, gli trasmette la sua ricca documentazione fotografica, che costituisce la sola traccia di tale esperienza, nell’archivio dell’architetto. Il materiale, circa duecento provini divisi in gruppi e accuratamente numerati20, è raccolto in un album: le immagini raffigurano i compagni di viaggio, gli edifici razionalisti, i templi antichi, situazioni di vita quotidiana, scorci, cantieri, soldati, rovine, porti, piroscafi e ponti ferroviari. Numerose fotografie documentano la

13 P. Bottoni, Intervento, cit., p. 506. 14 G. Pollini, Cronache del quarto Congresso Internazionale di Architettura moderna (e delle vicende relative alla sua organizzazione), in «Parametro», cit., pp. 4-23. 15 Il 7 e il 10 giugno 1934 Le Corbusier potrà finalmente tenere due lezioni al circolo delle arti e delle lettere a Roma, e del 19 al Circolo filologico di Milano. 16 P. Bottoni, Atene 1933, in «Rassegna di architettura», n. 9, 1933, pp. 374-383, qui p. 374. 17 L. Moholy-Nagy, Architect’s Congress, film, 1933. 18 Tra i resoconti di viaggio coevi si vedano in particolare: P. M. Bardi, Viaggio di architetti in Grecia, in «Quadrante», n. 5, 1933, p. 1; Id., Cronaca di viaggio, in «Quadrante», cit., pp. 5-35; P. Bottoni, Atene 1933, cit.; Il IV Congresso del C.I.A.M., in «Rassegna di architettura», cit., p. 371; n.d.r., Il IV Congresso Internazionale di Architettura Moderna (C.I.A.M.) Marsiglia-Atene 1933, in «Rassegna di architettura», cit., pp. 372-373; G. Pollini, La città funzionale, in «Urbanistica», cit. Tra i lavori successivi, si citano: P. Bottoni, Due testimonianze su Terragni e il Razionalismo italiano, cit.; Da Bruxelles ad Atene: la Città funzionale, «Parametro», cit. 19 V. Gregotti, G. Marzari, a cura di, Luigi Figini Gino Pollini. Opera completa, Electa, Milano 1996, p. 519. 20 Di lui Bottoni ha ricordato che «era un uomo di precisione assoluta nelle cose che faceva […] era ordinatissimo»; cfr. P. Bottoni, Due testimonianze su Terragni e il Razionalismo italiano, cit., p. 505.

1095

Page 134: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

manifattura di tabacchi Papastratos al Pireo, «uno dei più recenti e organizzati stabilimenti del genere in Europa»21, e la vita all’interno della fabbrica, esemplare per l’igiene del lavoro; la nuova diga del lago artificiale di Maratona; il teatro di Epidauro «risultato acustico ottenuto al cento per cento: [dove] quattordicimila persone possono sentire benissimo una persona che parla al centro dell’arena […]. Stupendo […]»22. Come per i partecipanti di altre delegazioni, anche per gli italiani, aspetto indelebile del viaggio è il rapporto con il Mediterraneo, sintesi perfetta di luce e colori: «quando il piroscafo attraccò a Corinto, la qualità della luce della Grecia si rivelò all’improvviso. L’acqua può essere trasparente dappertutto, ma qui il sole aveva una tale forza di penetrazione da trasfigurare perfino il […] bronzo dell’elica della nave. Avevamo capito la Grecia grazie alla luce, ai materiali, alla visualizzazione perfetta delle forme. […] La luce aveva il potere di chiarire, di modificare, di valorizzare […] era sempre la coincidenza di luce e di struttura a dare intensità a questo mondo visivo. […] In generale eravamo immersi nel silenzio ricco di significati delle forme della materia»23. Ma il viaggio coincide pure con la scoperta delle antiche architetture in pietra che connotano i luoghi in maniera simbolica – «le architetture di pietra segnavano i punti decisivi del paesaggio eleggendoli a luoghi simbolici»24–, e con la scoperta del Partenone, con la sua nudità e l’estrema levigatura delle sue superfici di precisione sublime: al suo cospetto, commenta Bardi, «Le Corbusier non parla, guarda traverso le sue grandi lenti con due occhi celesti e alza la mano sui marmi quasi per accarezzarli. Léger cerca i ritmi dei bassorilievi, i toni nei barlumi di pittura che si conservano sull’epidermide delle sculture»25. Così quando durante la cena il maestro franco-svizzero schizza un frontone del tempio sulla lista delle vivande, tutti pensano che il Partenone debba proprio «averlo nel sangue»26. Ma il viaggio implica ancora la scoperta della razionalissima architettura spontanea delle isole, che appare contrassegnata da regole valide, anche se non sempre palesi, proprie delle tipologie e derivanti tra l’altro dai fattori climatici (con il conseguente preciso dimensionamento dei pieni e dei vuoti) e dalla maniera con cui i singoli edifici si raggruppano, ponendosi in relazione con il sito. Il Mediterraneo diventa allora anche emblema di una «istintiva capacità [di] costruire [e di] fornire un terreno particolarmente adatto per l’addestramento degli operai anche alle tecniche moderne»27, perché in esso «l’architettura è nel sangue per tradizione […] [ed] è qui che nasce la casa»28. Al rientro in Italia, i vari resoconti esprimeranno tutti l’emozione di questo viaggio. Due anni dopo Terragni scriverà a Bardi: «Ho scoperto per caso su di un libro interessantissimo dell’ungherese Moholy-Nagy edito da Kalidova una pagina intera dedicata al film del congresso di Atene. I tipi più fotogenici (bravo pistola! Il faut réfléchir) ossia tu, io, Le Corbusier, van Esteren, il buon Zireus (l’inventore delle pompe funebri!) e il terribile segretario Roth sono giustamente… preferiti. Tu poi hai triplice presentazione. È quindi importante per noi riprodurla sul numero di “Quadrante”. Meglio da Essa tirerai fuori i “ritratti” tuo e mio che così saranno doppiamente documentari e architettonici (il congresso… si diverte)»29.

21 P. Bottoni, Atene 1933, cit., p. 383. 22 P. M. Bardi, Cronaca di viaggio, cit., p. 8. 23 S. Giedion, Moholy-Nagy e il CIAM vanno in Grecia, cit., pp. 92-93. 24 P. Bottoni, Atene 1933, cit., p. 374. 25 P. M. Bardi, Cronaca di viaggio, cit., p. 10. 26 Ibid. 27 P. Bottoni, Atene 1933, cit., p. 374. 28 P. M. Bardi, Cronaca di viaggio, cit., p. 19. 29 Lettera di Giuseppe Terragni a Pietro Maria Bardi, 12 agosto 1936; trascrizione da Archivio Bardi, cit. in Triennale di Milano. Centro Studi G. Terragni con la collaborazione del Centro internazionale di Studi Andrea Palladio, Giuseppe Terragni, Electa, Milano 1996, p. 84.

1096

Page 135: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Sguardi da Nord. Risonanze mediterranee nel Cimitero del bosco di Stoccolma

Lelio di Loreto Università di Roma La Sapienza – Roma – Italia

Parole chiave: Mediterraneo, Grand tour, osservare, fare

1. Interconnessioni

La comprensione di alcuni fenomeni architettonici passa attraverso un’analisi critica della storia. In questo senso è possibile rileggere alcune situazioni significative tra il 1915 e il 1930. Questo momento storico chiamato dai norvegesi “Interludio Classico”1 trova una difficile collocazione nella storia dell’architettura. Gli stessi Gregor Paulsson e Hakon Ahlberg che possono definirsi i capostipiti del movimento in Svezia, definiscono questo momento come una parentesi, soprattutto se paragonato a ciò che contemporaneamente stava accadendo in Europa con l’ascesa del movimento moderno internazionale. L’atteggiamento rimane quindi piuttosto distaccato e critico e spesso si valuta questo momento storico come un anacronismo2. L’interesse per l’argomento nasce dall’ipotesi che l’idea di “spazio Mediterraneo” abbia avuto un suo ruolo nella genesi progettuale non solo dell’area a diretto contatto con il Mediterraneo ma anche nella produzione di architetti non apparenti a detta area culturale. Questi ultimi hanno esportato dei frammenti di Mediterraneo che hanno il valore di raccontare una parte, alcuni aspetti, della complessa riflessione che ruota intorno al significato architettonico e culturale attribuibile a questa parola. L’intenzione è di far emergere queste specificità, nella speranza che un punto di vista esterno sia portato ad avere una visione più nitida e selettiva di aspetti così variegati e multipli. L’ambito nordico è l’esempio di come un occhio distante sia in grado di osservare il Mediterraneo in modo unitario, seppur attraverso un filtro nebuloso costituito dalla mitologia e dai luoghi comuni. In modo più corretto si potrebbe definire lo sguardo nordico come un interesse nei confronti della nostra capacità di costruire in continuità con la storia. L’ossessione del mondo nordico di possedere una tradizione che per motivi storici, geografici e politici, non può avere, la tensione a opporsi a una collocazione periferica, assegnatagli per nascita, sia geografica che storica, fa degli abitanti del Norden3 degli attenti osservatori della cultura del Sud. La forza della ricerca portata avanti da questi architetti è osservare, comprendere e riprodurre criticamente un’idea, trasformandola in un’idea costruita. La costruzione di questa idea avveniva in modi differenti, ma esistono alcuni passaggi comuni nella formazione degli architetti scandinavi i quali, lontani dai movimenti delle avanguardie, si avvicinano all’architettura prima con l’esperienza negli studi professionali, poi con il grand tour, che assume un ruolo fondante. La sensibilità e la ricerca è in fase di cambiamento; non ci si interessa più degli aspetti pittoreschi, ornamentali e puramente formali, ma a interessare è la relazione tra uomo e spazio, tra l’edificio e la città. Da qui il risultato di un Classicismo Astratto4 inteso come capacità di rinegoziare i riferimenti classici senza passare per l’avanguardia ma mantenendo uno spirito e delle azioni compositive identificabili come moderne.

1 Christian Norberg-Schulz identifica come “Iterludio Classico” il periodo che va dal 1915 al 1930 caratterizzato dalla diffusione di un “romanticismo nazionale”. Il termine viene adottato da vari architetti norvegesi per classificare le opere di architettura locale che si differenziarono in modo significativo dal movimento moderno internazionale. 2 cfr. H. O.Andersson, “Il classicismo moderno del Norden” in AA.VV.; Classicismo nordico :architettura nei paesi scandinavi 1910-1930, Milano, Electa, 1988 3 H. O.Andersson identifica il Norden come l’area geografica comprensiva di Danimarca, Svezia, Norvegia (la Scandinavia) e Finlandia nella sua totalità. Il termine serve per identificare la Finlandia, che non è propriamente parte della Scandinavia, in un unico geografico con Danimarca, Svezia e Norvegia. 4 cfr. C.Norberg-Schulz in “La Norvegia e l’interludio classico” in AA.VV, Classicismo nordico :architettura nei paesi scandinavi 1910-1930, Milano, Electa, 1988

1097

Page 136: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

2. Il Grand Tour. Osservare, esperire, rappresentare

L’influenza mediterranea è un “virus” che si espande a più livelli, in primis attraverso il grand tour, considerata una tappa formativa obbligatoria; poi attraverso una rete di influenze interne molto più fitta di quanto si possa immaginare se si valutano gli stretti rapporti che intercorrono in questi anni tra gli architetti dell’area nordica. Per introdurre la questione del viaggio va tenuto conto di una differenza di base tra quello che furono i viaggi accademici nel sud-Europa e quello che fu il viaggio di Lewerentz e Asplund. Il viaggio dei due architetti svedesi è autofinanziato, completamente staccato dall’Accademia. L’itinerario è quindi legato direttamente ai loro interessi personali. Questo viaggio compiuto in giovane età rappresenta un passaggio fondamentale nella formazione di entrambi. Del viaggio di Asplund sappiamo molto, soprattutto grazie ai documenti e ai diari di viaggio conservati, oltre alle innumerevoli foto. Il racconto dell’esperienza fatta in Italia, si basa su una efficace unione tra disegni e fotografie. La vera novità del grand tour di Asplund non consiste in ciò che va a visitare ma nel modo in cui osserva. Asplund è interessato alle atmosfere che si respirano nei paesi, alle tecniche di trattamento dei materiali, ai colori usati; elementi che sino ad allora non avevano interessato gli architetti neoclassici, concentrati più sull’aspetto monumentale dell’architettura classica. Allo svedese incuriosiva lo spazio pubblico italiano e le possibilità sociali che scaturiscono da questo. Quando fotografa Piazza del Campo a Siena, Asplund non si sofferma sulle facciate degli edifici ma su come le persone siano parte integrante della scena urbana. E’ la naturalezza del tutto che lo colpisce.5 Del viaggio di Lewerentz in Italia, al contrario, non si sa molto. È possibile datarlo intorno al 1910 e collegare ad esso una scarna documentazione fotografica conservata nel Museo Nazionale di Architettura di Stoccolma. Confrontato con Asplund, emerge una differenza sostanziale nel modo di agire. Egli non produce ne disegni, ne scritti; solo poche fotografie. Le immagini sono sempre decontestualizzate dal paesaggio e prese con prospettive laterali che non permettono di identificare precise successioni di edifici impedendo una visione globale all’osservatore. Non si tratta, dunque di fotografie documentaristiche. Le prospettive sono ravvicinate, a marcare i contrasti, i difetti, la grammatura dei materiali; ma non si tratta di una rappresentazione di dettaglio, non è la soluzione tecnica che interessa, né vuole cogliere alcun particolare decorativo, piuttosto cerca di instaurare un rapporto intimo con l’opera. La tecnica di inquadratura contiene già in se il progetto 6. Coglie un frammento di ciò che osserva e trova in questa parte il significato del tutto. Questo metodo emerge nei suoi progetti dove esistono, una sommatoria di tanti frammenti di memoria a comporre un’idea progettuale nuova. Le fotografie sono la chiave di decriptazione dell’architettura. Il risultato è non più la trascrizione dell’elemento ma la sua rinegoziazione7. Lewerentz abbandona il metodo della trascrizione letterale della realtà a favore di un processo di astrazione. Non è interessato alla ricerca di logiche strutturali, vuole conoscere le logiche compositive dei dati fenomenologici legati alla materia. Ed è qui che interessa particolarmente lo sguardo di Lewerentz. Privilegia l’essere nello spazio rispetto alla contemplazione dell’oggetto. Risveglia altri sensi oltre la vista. Nel costruire l’immagine fotografica in modo così ravvicinato restano impressi nella memoria i valori tattili della materia, le tessiture dei materiali, la crudezza delle rovine, la loro grammature e il loro spessore8. 3. Tracce di Mediterraneo

È ora comprensibile la rilevanza del progetto per il Cimitero di Stoccolma del 1915 che vede la collaborazione tra Asplund e Lewerentz. Il motto ha un chiaro sapore Mediterraneo: “La via della

5 Cfr. L., M., Mansilla, «Viaggio in Italia. Asplund e Kahn : due vedute di Siena e una passeggiata per lo aguardo» in Casabella : rivista internazionale di architettura e urbanistica , a. 66, n. 699 (aprile 2002), pp. 88-95 6 cfr. N.Flora, P.Giardiello, G.Postiglione; “Il viaggio in Italia” in N. Flora, P. Giardiello, G. Postiglione a cura di, con un saggio di C. St. John Wilson; Sigurd Lewerentz, 1885-1975, Milano, Electa, 2001 7A.Saggio, Paesaggi Culturali in M., Baldissara, M., Montori, T., Piccinno; Roma: Cosmo|Materia|Cultura Proiecioni trasversali per il progetto della città, Raleigh, Lulu.com, 2016 8 cfr. L.M.Mansilla, “La ventana de la reflexión. El silencio del yo” in L. M. Mansilla; Apuntes de viajes al interior del tiempo; Barcellona, Arquia 2001.

1098

Page 137: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

croce” ed è stato associato alla visita che i due architetti compiono a Pompei dove la via dei Sepolcri appare un riferimento plausibile negli schizzi del paesaggio9. Il paesaggio stesso è protagonista e fil rouge del rapporto Nord|Sud che si cerca di rintracciare. Entrando si è accolti da un lungo Dromos che si fa spazio tra due quinte murarie puntando dritto su una croce. Andando verso la croce, appare d’improvviso un Ninfeo poi di seguito, radure e boschi si alternano a comporre il paesaggio. La strada basolata accompagna lungo il percorso che si apre a piccole zone di sepoltura caratterizzate da semplici lapidi infisse nel terreno. Una dimensione semplice, che rimanda ai piccoli cimiteri di campagna. Arrivati in cima, da un lato la monumentale Piazza delle Cerimonie, dall’altro il percorso verso la Cappella del Bosco. Da qui si iniziano a scorgere le emergenze visive della Cappella della Resurrezione. I frammenti architettonici, in sequenza come fotogrammi sovrapposti, si configurano come dei contrappunti verticali nel paesaggio che si fa rado esasperando la posizione soprelevata della cappella che diventa landmarck, punto di arrivo del percorso cimiteriale. Le rotte, le improvvise apparizioni, le soste fanno di questo percorso un vero e proprio rito, un processione che attraverso il bosco passa in successione gli eventi architettonici, proprio come avviene lungo la via dei Sepolcri di Pompei, visitata e documentata da entrambi gli architetti redattori del progetto. Esaminando La Cappella del Bosco di Asplund e la Cappella della Resurrezione di Lewerentz per contrasto è possibile individuare aspetti differenti, e modi differenti di interpretare la cultura Mediterranea. Asplund nella cappella del Bosco fa una sintesi stilistica tra una primitiva capanna nordica e un tempio arcaico. Solo le fine alberature, rende esplicito il senso e la singolarità di quel recinto che è il luogo della meditazione e del raccoglimento. Le colonne tornando alla loro natura primigenia, si confondono tra i tronchi degli alberi che hanno le stesso ruolo compositivo di sorreggere una copertura organica. Asplund mette in scena tre elementi: la strada, il temenos e tempio. La strada è guidata da scelte distributive e narrative, il temenos è un rimando al rituale che si sta compiendo, ma è una forma di chiusura atipica in un bosco scandinavo come lo è il tempio arcaico ibridato con la capanna primitiva, già codificata nel padiglione danese di Liselund del XVIII sec10. Il tempio cerca la quadratura (all'esterno) del cerchio (all'interno)e allo stesso modo la percezione dello spazio segue la forma quando assume un carattere contemporaneamente contemplativo (all’esterno) e collettivo (all’interno) con la sua piazza circolare coperta da una cupola. Ne risulta un’opera contemporaneamente mimetica e monumentale dove lo spazio esterno ha valore di sfondo mentre il vero significato dell’opera è all’interno dove le sedie disposte nello spazio circolare creano un’atmosfera misteriosamente sospesa tra la casa di Adamo in Paradiso e il Pantheon. Il progetto di Lewerentz studia le scene di avvicinamento. La piazza circolare è circondata da un portico, poi un susseguirsi di cappelle accompagna il visitatore fino al crematorio. La sequenza è serrata, continua e il collegamento porticato riproduce la spazialità di una Stoa classica. All’interno di questo percorso la Cappella della Resurrezione è interpretabile come una cappella-passaggio11. Il percorso è un vero e proprio rito che ci accompagna al continuo mutare delle scena architettonica, una processione di frammenti onirici di un’Arcadia perduta visibile sotto il manto di nebbia scandivo, metafora della nebulosità stessa del mito che si vuole rappresentare. La processione nei primi disegni doveva entrare da un lato e uscire dall’altro. La proposta era di una passeggiata architettonica ma fu rifiutata dall’arcivescovo perché non ortodossa. Da qui in poi, Il racconto non è lineare. Sono come le tappe di una processione attraverso la vita. L’architettura ha il ruolo di

9 cfr. F., Mangone, Immaginazione e presenza dell’antico. Pompei e l’architettura di età contemporanea, Napoli, Artstudiopaparo editore, 2016 10 Antoine de la Calmette, un nobile francese rifugiatosi sull'isola, fece erigere a Liselund nel 1792, nello stile delle case rurali, questo pittoresco castello che intitolò alla consorte. Nel parco che lo circonda si trovano numerosi edifici romantici, dalla Casa Svizzera (dove H.C. Andersen scrisse la fiaba dell’acciarino) al Padiglione del Tè Cinese, nonché laghetti e canali artificiali. Altre costruzioni andarono distrutte dalla frana del 1905. 11 cfr. L., M., Mansilla, “La Cappella della Resurrezione” in “Apparati” in N. Flora, P. Giardiello, G. Postiglione a cura di, con un saggio di C. St. John Wilson; Sigurd Lewerentz, 1885-1975, Milano,Electa, 2001

1099

Page 138: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

incarnare il processo vitale12. Ma ciò avviene non attraverso la forma ma attraverso gli aspetti fenomenologici evocati da essa. Lewerentz propone un disegno di proporzioni e canoni di matrice greca da cui deriva una disposizione tettonica che rimanda al tempio (greco) ma il naos è staccato dal pronao colonnato. Su questa decostruzione prende forma il percorso che attraversa il crematorio e che ha il suo culmine nel passaggio all’interno del naos dove la struttura si stacca dalla forma che produce uno spazio interno non di derivazione greca ma romana. Lo spazio interno si configura come una Basilica a navata unica e sulle pareti in rilievo emergono delle colonne addossate alla parete a ricordare la possibilità di una tripartizione della sala. La forma della sala d’attesa è semicircolare e ricorda ancora una volta le figure a lato della via dei sepolcri di Pompei13. I due svedesi in modi differenti riescono a combinare un registro di forme e atmosfere che provengono da molto lontano e filtrate dal sogno si combinano sotto forma di una nuova modalità operativa ponendosi in continuità con il passato. La novità in questo tipo di approccio al progetto è che disponendo di un universo di riferimento definibile come “memoria” essi non attingono ad essa acriticamente, piuttosto traducono lo sguardo verso l’altrove Mediterraneo in una contrapposizione dialettica estremamente riferibile alle modalità di intervento e di uso della memoria contemporanee innescando cortocircuiti inaspettati e di indubbio valore. Bibliografia

AA.VV.; Classicismo nordico :architettura nei paesi scandinavi 1910-1930, Milano, Electa, 1988 AA.VV.; Didascalie dei disegni: il classicismo nordico 1910-1930 : Asplund e l'italia, Roma, Fratelli Palombi editori, 1985 AA.VV.; The Dilemma Of Classicism : Gunnar Asplund, London, Architectural Associat, 1989 P. Angeletti, G. Remiddi, Intervento di R. Secchi; Alvar Aalto e il classicismo nordico, Roma, Palombi, 1999 Braudel F., Mediterraneo : lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, Milano, Bompianti, 2008 G. Cullen, Il paesaggio urbano : morfologia e progettazione, Bologna, Calderini, 1976 A. Farris , Situare l’azione: uomo,spazio, auspici di architetture, Città di Castello (Perugia), Alinea, 2012 N. Flora, P. Giardiello, G. Postiglione a cura di, con un saggio di C. St. John Wilson; Sigurd Lewerentz, 1885-1975, Milano, Electa, 2001 B. Gravagnuolo; Il mito mediterraneo nell'architettura contemporanea, Napoli, Electa, 1994 G. Holmdahl, S. I. Lind, Kjell Odeen con un’interveto di H. Ahlberg ; Gunnar Asplund architect 1885-1940 : plans, sketches and photographs, Stoccolma, Svenska Arkitekters Riksforbund, 1950 J.-F. Lejeune, M. Sabatino; Nord/Sud. L’architettura Moderna e il Mediterraneo, Trento, ListLab, 2016 F. Mangone, Immaginazione e presenza dell’antico. Pompei e l’architettura di età contemporanea, Napoli, Artstudiopaparo editore, 2016 F. Mangone, Viaggi a sud. Gli architetti nordici e l’Italia, Napoli, Electa, 2016 L. M. Mansilla; Apuntes de viajes al interior del tiempo; Barcellona, Arquia, 2001 L.M. Mansilla, «Viaggio in Italia. Asplund e Kahn : due vedute di Siena e una passeggiata per lo aguardo» in Casabella : rivista internazionale di architettura e urbanistica , a. 66, n. 699 (aprile 2002), pag 88-95 P. Matvejević, Breviario mediterraneo, Milano, Garzanti, 2006 J. Pallasmaa prefazione di Holl S., Gli occhi della pelle: l’architettura e i sensi, Milano, Jaca book, 2007 C. Torricelli , Classicismo di frontiera : Sigurd Lewerentz e la Cappella della Resurrezione, Padova, Il Poligrafo, 2014 C.Wilson, The Dilemma Of Classicism : Sigurd Lewerentz 1885-1975, London, Architectural Association, 1989

12 Ibidem 13 Cfr. C. Torricelli , Classicismo di frontiera : Sigurd Lewerentz e la Cappella della Resurrezione, Padova, Il Poligrafo, 2014

1100

Page 139: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Patrick Geddes in India: conoscenza e pianificazione alla corte dei maharaja. Il report sull’esperienza

di Indore tra progettazione sociale e urbana Giovanni Spizuoco

Università degli Studi Federico II – Napoli – Italia Parole chiave: Patrick Geddes, India, planning, Indore, report, social heritage, università, viaggio. 1. Patrick Geddes e il viaggio in India

La figura di Patrick Geddes è generalmente associata al suo più fortunato testo, Cities in Evolution, narrazione sintetica e disomogenea degli studi europei sulla civics. Restano ancora pochi gli approfondimenti su quello che è, a giudizio di chi scrive, il periodo più fecondo e stimolante della sua carriera di planner: quello a cavallo tra il 1914 ed il 1924, trascorso quasi interamente alla corte dei maharaja indiani. Il lungo viaggio in India di Geddes è caratterizzato da dolorose vicende personali, ma allo stesso tempo da entusiasmanti esperienze professionali, che solo in parte leniranno la pena per la perdita del figlio prediletto Alasdair e della moglie Anna 1 . Di fatto, la sua attività lavorativa coinciderà con un dispendioso girovagare in terra indiana che farà di lui una sorta di planner-traveller: un urbanista che vive intensamente la città e i territori che progetta, a dispetto della tradizionale figura dell’urbanista-igienista di stampo ottocentesco che ancora, strenuamente, sopravviveva negli ambienti culturali e istituzionali dei primi decenni del nuovo secolo2. L’attività di planning di Geddes sarà cioè diretta espressione di un survey «quarter by quarter,

mohalla by mohalla, indeed as street by street, lane by lane, house by house»3, in aperto contrasto verso «quei pianificatori che disegnano una conchiglia e quindi vi impacchettano dentro la loro lumaca» 4 , rifuggendo così la prassi europea di una pianificazione calata dall’alto, basata cioè sulla realizzazione di assi viari sostanzialmente indifferenti al costruito esistente.

1 Per un completo quadro biografico cfr. P. Mairet, Pioneer of Sociology. The Life and Letters of Patrick Geddes, London, 1957; P. Boardman, The worlds of Patrick Geddes, London, Routledge & Kegan Paul, 1978; V. M. Welter, Biopolis: Patrick Geddes and the City of Life, Cambridge (Massachusetts), The MIT Press, 2002. 2 Cfr. G. Zucconi, La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Milano, Jaca Book, 1989. 3 P. Geddes, Town Planning towards City Development. A report to the Durbar of Indore, Indore, 1916, vol. I, p. 4. 4 P. Geddes, Beginnings of a Survey of Edinburgh, London, 1902; trad. it. V. Girgenti, La fine dell’urbanistica moderna, Palermo, L’Epos, 1997, p. 82.

Architettura vernacolare in India, Archivio Geddes, University of Strathclyde, Glasgow.

1101

Page 140: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Da sempre convinto della necessità di «vivere la vita» 5 , Geddes è ben consapevole, già dal 1914, che l’esperienza che sta per cominciare grazie a Lord Pentland, Governatore di Madras e suo amico di vecchia data, sarà per lui l’occasione giusta per intensificare l’attività lavorativa sulla base dell’immensa produzione scientifica (culminata in «quel libro noioso» 6 ) dei suoi primi sessant’anni, compiuti proprio mentre è in viaggio sul Canale di Suez7. Nel corso dei primi due anni di lavoro in India,

Geddes fece saltuariamente ritorno in Europa durante i periodi estivi, ma a partire dall’inverno del 1916, con l’inasprirsi del conflitto mondiale, e fino alla primavera del 1919, rimase forzatamente confinato in India. A distanza di soli due mesi, durante la primavera del 1916, perse dapprima il suo figlio maggiore, nonché prezioso assistente, Alasdair, caduto sul fronte francese, e poi sua moglie Anna, spentasi a causa di una malattia. All’indomani di queste tristi vicende, Geddes troverà il suo «anodyne» nell’alternanza di momenti di beata solitudo, immerso nella natura, ad altri di intenso lavoro, per realizzare così quello che egli stesso definirà «the best job I’ve yet done»8, il report per la città di Indore, pubblicato nel 1918. Possiamo considerare questo testo come una sorta di sintesi di quanto già applicato e di quanto egli stesso applicherà ancora in seguito in territorio indiano, un testo che tratta l’urbanistica sotto la lente della biologia evoluzionista e dell’economia ruskiniana: «the essential idea – the most important in these volume – is still too commonly missed by current economists – that “the only true wealth is Life”»9.

5 «In tutte le scienze, insomma, come nelle ricerche più ideali, vale lo stesso principio: se si vuole apprendere la dottrina, bisogna vivere la vita. Il distacco scientifico è solo uno stato d’animo, e uno stato d’animo spesso necessario; ma la nostra meta non può essere raggiunta senza una partecipazione attiva alla vita della città». P. Geddes, Cities in Evolution: an Introduction to the Town Planning Movement and to the Study of Civics, London, Williams & Norgate, 1915; trad. it. Città in Evoluzione, Milano, Il Saggiatore, 1970, p. 291. 6 Così Geddes definisce, in una lettera datata 1° ottobre 1914, scritta da Porto Said e indirizzata a sua moglie Anna, il suo Cities in Evolution, dato alle stampe proprio mentre è in viaggio verso l’India; cfr. P. Geddes, lettera alla moglie Anna, Porto Said 1° ottobre 1914; in G. Ferraro, Rieducazione alla speranza. Patrick Geddes planner in India 1914-1924, Milano, Jaca Book, 1988, p. 16. 7 «Si sente, allo stesso modo per Alasdair che in questo momento lascia il college e per me (che in un certo modo lascio anch’io il college e comincio a lavorare in un mondo più vasto) che è tempo di essere meno dipendenti da conoscenza e preparazione e lavoro, per quanto necessari siano, e più liberi, più fiduciosi nella risposta diretta della vita e dell’esperienza di ciascuno a ogni occasione, difficoltà, opportunità». Ibidem. 8 Lettera a John Ross, Gennaio 1919 in P. Boardman, The worlds of Patrick Geddes, cit., p. 283. 9 P. Geddes, Town Planning towards City Development, cit., vol. II, p. 160.

Rilievo di architetture di pregio indiane, Archivio Geddes, University of Strathclyde, Glasgow.

1102

Page 141: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

2. Lo studio del territorio

L’indagine costante del territorio in funzione della tutela e del miglioramento della «vita di villaggio» è portata avanti spostandosi continuamente come una pedina sull’intricata scacchiera della città indiana, analizzando meticolosamente ogni edificio e valutandone gli aspetti sociali, costruttivi, economici per arrivare poi a studiare gli interventi e ad applicare la conservative surgery nelle zone antiche e più congestionate della città10. Questa tecnica di intervento è essa stessa mirabile testimonianza della capacità di indagine e di rappresentazione della città di Geddes, finalizzata non solo a salvare gli edifici che altrimenti andrebbero perduti, ma a offrirne anche un racconto civico, permettendo una maggiore fruibilità di interi quartieri ed isolati. Dunque, l’esito di circa due anni di viaggio e di lavoro di Geddes a Indore è magnificamente espresso nell’approfondito livello di conoscenza a scala urbana raggiunto dal planner, manifestatosi nel suo avanguardistico tentativo di recupero dei valori della civiltà tradizionale indiana, passante anche, ma non solo, attraverso il salvataggio e la comprensione delle pietre più antiche. Gli edifici non sono il fine della ricerca geddesiana, bensì uno strumento attraverso cui raggiungere il prezioso scopo di salvaguardare quel patrimonio che alla fine della sua carriera chiamerà social heritage, considerato motore dell’evoluzione umana 11 . Dunque è vivo l’interesse tanto per i manufatti poveri e per l’architettura vernacolare indiana, quanto per gli edifici di maggiore importanza, sedi di istituzioni pubbliche e della corte del maharaja, rappresentati da suoi collaboratori o talvolta fotografati, con l’intento di estrapolarne dei modelli per il progetto della nuova espansione urbana.

3. Il modello di una nuova città

Ancora dall’osservazione della vita, Geddes deduce il modello per una nuova città: dalla solidità dei rapporti sociali e di vicinato delle città indiane è dedotto lo schema per una new 10 «The method of "Conservative Surgery" […] involves more time for local survey, with corresponding puzzling in design; for the problem is now to conserve, as far as may be, all buildings worth repairing, and as far as possible only to remove those either not worth repair, or of lowest value. New and practicable communications are thus obtained, and often fresh building sites as well; and above all, a surprising area of enlarged or new Open Spaces, capable of being planted with trees, and used for play and rest, and with increased space for well, temple or shrine. The old village life is thus so far essentially restored, and that of the street proportionally averted» (Ivi, p. 117). 11 «The region cultivated by man, and the home, village, town and city as built; in short, “the earth as modified by human action”». P. Geddes e J. A. Thomson, Life: Outlines of General Biology, London, 1932, vol. II pp. 1304-1305.

Progetto per l’Università di Indore, disegno di Sir Frank Charles Mears, Edinburgh 1920. Archivio Geddes, University of Strathclyde, Glasgow.

1103

Page 142: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

town apertamente ispirata al modello delle garden-cities britanniche, ma che, a suo giudizio, ha molte più possibilità di funzionare, proprio grazie allo stile di vita indiano, maggiormente propenso alla collaborazione fra classi sociali. Progettare la città significa progettare la vita dei cittadini, attraverso nuove infrastrutture e dando particolare importanza al problema dell’educazione, anche fuori dagli ambienti scolastici: in accordo con la sua famosa massima «by living we learn», la città è intesa come un’unica grande macchina per l’educazione civica, tanto da progettare giardini e percorsi tematici che siano in tutto e per tutto delle scuole a cielo aperto12. Il progetto per una nuova università, cui dedica gran parte del secondo volume, per il quale commissionerà anche i disegni dei prospetti, non è solo un intervento di carattere architettonico e urbano, ma ha per Geddes principalmente una valenza sociale, capace di rivoluzionare le sorti della popolazione13. In conclusione possiamo affermare che l’esperienza a Indore di Geddes è stata di alto livello personale e professionale: è riuscito a centrare il difficile traguardo di pianificare dal basso, partendo dall’esperienza della survey di strada e dalla collaborazione con le persone che la strada vivono e che, nel giro di pochi mesi, videro in Geddes una figura di riferimento, un uomo di cui fidarsi e con cui collaborare14. L’esito del viaggio è tutto nel report, nell’altissimo rispetto per i valori materiali e immateriali della città, ma soprattutto nel rispetto di una «vita quasi autonoma, con altre sue leggi interne, vergini»15, sicuramente difficili da comprendere per un europeo, ma la cui chiave d’interpretazione e di valorizzazione è trovata da Geddes nella civics: «not a new Science and Art, but the recovery of the life and thought which created our civilisation. So early are the origins, and even the achievements, of what we now call Town Planning and City Design»16.

12 Cfr. P. Geddes, Town Planning towards City Development, cit., vol. I, p. 102-114. 13 «Since if and when promoted, and undertaken, in the necessary reconstructive spirit, this is capable of attaining an economic and social efficiency, and of producing a corresponding civic return». P. Geddes, Town Planning towards City Development, cit., vol. II, p. 72. 14 «Geddes was the leading figure in Indore. Whenever he appeared in the streets people followed him, pointed at him, talked excitedly». J. Tyrwhitt, Patrick Geddes in India, London, 1947, p. 101. 15 P. Pasolini, L’odore dell’India, Milano, Longanesi, 1962, ed. 2015, p. 14. 16 P. Geddes, Town Planning towards City Development, cit., vol. II, p. 178.

Indore’s new Industrial Town, 1916, Archivio Geddes, University of Strathclyde, Glasgow.

1104

Page 143: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Bibliografia:

P. Boardman, The worlds of Patrick Geddes, London, Routledge & Kegan Paul, 1978. G. Ferraro, Rieducazione alla speranza. Patrick Geddes planner in India 1914-1924, Milano, Jaca Book, 1988. P. Geddes, Cities in Evolution: an Introduction to the Town Planning Movement and to the Study of Civics, London, Williams & Norgate, 1915. P. Geddes, Town Planning towards City Development. A report to the Durbar of Indore, Indore, 1916. P. Mairet, Pioneer of Sociology. The Life and Letters of Patrick Geddes, London, 1957. J. Tyrwhitt, Patrick Geddes in India, London, 1947. V. M. Welter, Biopolis: Patrick Geddes and the City of Life, Cambridge (Massachusetts), The MIT Press, 2002.

1105

Page 144: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

 

Page 145: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Dalle Alpi al Mediterraneo: viaggi d’autore e identità di paesaggi nell’iconografia contemporanea

Margherita Parrilli Università degli Studi di Napoli – Napoli – Italia

Parole chiave: Viaggio in Italia, fotografia, cinema, G. Basilico, L. Ghirri, J. L. Godard, R. Rossellini.

1. Introduzione Nel paradigma del viaggio in Italia compaiono di necessità da un lato le Alpi, i cui valichi vanno superati, dall’altro il Mediterraneo, e in particolare le coste campane e il golfo di Napoli1, tappe indispensabili per penetrare nel Paese e per comprenderne la cultura e la civiltà. Da sempre oggetto di descrizione letteraria e di rappresentazione figurativa, il viaggio in Italia diventa scoperta e conquista dei territori attraversati, una conquista che risiede nell’etimologia del termine tedesco Reise2 (viaggio) che “deriva da an sic reissen, accaparrarsi, quindi conquistare” 3. La conquista passa così dal senso proprio del termine, di sottomissione di popoli e territori, ad un senso figurato, concettuale, che coinvolge lo sguardo e che si traduce in immagini scritte, disegnate, fotografate, filmate. Le immagini scelte per rappresentare le conquiste dello sguardo nelle Alpi e nel Mediterraneo sono quelle di quattro autori contemporanei, legati dalla volontà di raccontare un viaggio, che allo stesso tempo è reale e ideale, e i suoi possibili esiti, in modo sincronico attraverso l’immagine fotografica e in modo diacronico attraverso l’immagine cinematografica4. Viaggio in Italia5 di Luigi Ghirri, Trentino. Viaggio Fotografico di Gabriele Basilico6, Viaggio in Italia7 di Roberto Rossellini e Le mepris (Il disprezzo)8 di Jan Luc Godard, ispirato

1 Il filosofo irlandese Berkeley (1685-1753), in una lettera del 1917 scrive da Napoli a lord Percival: “Non so se considerare un vantaggio o una sfortuna il fatto che, venendo all’estero, Lei non abbia visitato il Regno di Napoli. Questo che è in sé è una delle cose peggiori che possano capitare nella vita ed un motivo certamente di delusione, può essere stata una decisione giudiziosa, una circostanza positiva per Lei e la Sua famiglia. Valga per un’altra volta, se mai decidesse, a ragion veduta, di rivisitare questi luoghi al di qua delle Alpi”. G. Berkeley. Viaggio in Italia, a cura di Thomas E. Jessop, M. Fimiani, Napoli, Bibliopolis, 1979. 2 Si pensi all’Italienische Reise di J. W. von Goethe (1749-1832), diario del viaggio compiuto in Italia tra il 1786 e il 1788. Goethe parte da Karsbab e passa per Brennero raggiungendo Bolzano e Trento, per poi attraversare la penisola e arrivare a Napoli e in Sicilia. Cfr. J. W. von Goethe, Italienische Reise (1816 e 1829), herausgegeben von W. Nöldeke, Bielefeld und Leipzig 1893. 3 Cfr. P. Kruntorad, «L’orizzonte ampliato. Viaggio in Italia come paradigma», in Lotus, 68, 1991, pp. 122-128. 4 Sulla semiotica filmica e il concetto di diacronia, cfr. G. Dorfles, Artificio e natura (1968), Torino, Einaudi, 1979, pp. 84-92. 5 Viaggio in Italia, a cura di L. Ghirri, G. Leone, E. Velati, Il Quadrante, Alessandria 1984. Il libro segue alla omonima mostra tenuta nel 1984 preso la Pinacoteca Provinciale di Bari. 6 G. Basilico, Trentino: viaggio fotografico di Gabriele Basilico, Trento, Nicolodi, 2003. Libro pubblicato a seguito della mostra “Gabriele Basilico. L’arte della fotografia in Trentino”, tenuta al MART, Rovereto, 26 settembre – 26 ottobre 2003, organizzata dall’assessorato all’urbanistica con la collaborazione dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia Autonoma di Trento. 7 Viaggio in Italia, Regia: R. Rossellini, 1953; soggetto e sceneggiatura: R. Rossellini, Vitaliano Brancati; fotografia: Enzo Serafin: scenografia: Pero Filippone; musica: Renzo Rossellini; interpreti: Ingrid Bergman (Katherine Joyce), George Sanders (Alex Joyce), Maria Mauban (Maria Rastelli), Paul Müller (Paul Dupont), Anna Proclemer (prostituta); produzione: Sveva, Junior, Italiafilm; durata: 79’. Cfr. Rondolino, Roberto Rossellini, Milano, L’Unità/Il Castoro, 1995, pp. 122-123. I diritti sono oggi detenuti da Cinecittà Luce. 8 Le mépris (Il disprezzo), Regia: Jan Luc Godard, 1963; soggetto: J. L. Godard dal romanzo Il disprezzo (1954) di Alberto Moravia; fotografia (Franscope-Technicolor): Raoul Coutard; musica: George Delerue (edizione italiana: Piero Piccioni); suono: William Sivel; costumi: Janine Autre; interpreti: Brigitte Bardot (Camille Javal), Michel Piccoli (Paul Javal), Jack Polance (Jeremy Prokosch), Fritz Lang (se stesso), Georgia Moll (Francesca Vanini), J. L. Godard (l’aiuto regista), Linda Veras (una sirena); produzione: Georges de Bearugard, Carlo Ponti e Joseph E. Levine per Roe-Paris Films, Films Concordia, Compagnia Cinematografica Champion; distribuzione italiana: Interfilm; durata: 103’ (edizione italiana: 84’, edizione francese: 100’). Cfr. A. Farassino, Jean Luc

1107

Page 146: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

all’omonimo romanzo di Moravia - che in apparenza non ha relazioni con il viaggio ma che è la trasfigurazione in chiave psicologica del viaggio per antonomasia, quello di Ulisse9, e che riprende Viaggio in Italia di Rossellini - sono i viaggi o sguardi d’autore attraverso cui si cerca di spiegare il rapporto tra realtà e rappresentazione che influisce nella costruzione dell’identità di un dato paesaggio. Questi viaggi descrivono il territorio italiano in momenti storici diversi, con mezzi e stili diversi. A legarli il concetto di viaggio, inteso non solo come spostamento fisico tra luoghi più o meno lontani, ma quale strumento per catturare lo svolgersi di uno stato d’animo, o il risolversi di una riflessione più profonda che, attraverso la percezione della dimensione esterna e percorrendo il topos reale, porta a consapevolezze estetiche, filosofiche, emozionali, nonché alla ricerca di una identità territoriale intesa in senso personale e spazio-temporale. Tutto passa attraverso la percezione e la conseguente comunicazione visiva.

2. Viaggi e sguardi sincronici: Luigi Ghirri e Gabriele Basilico Negli anni Ottanta le ricerche della fotografia sono rivolte a costruire un quadro culturale condiviso che, libero da visioni estetizzanti del paesaggio, si interroga sul significato dei luoghi. Nella generazione di fotografi impegnanti in tal senso, Luigi Ghirri (1943-1992) e Gabriele Basilico (1944-2013), esemplificativi nel nostro discorso sui viaggi d’autore, “erano impegnati ad interrogare il paesaggio attraverso uno sguardo rinnovato, a cercare una significativa relazione tra se stessi e il mondo esterno, aggiornando nel contempo i codici, i comportamenti e anche le strategie culturali della fotografia italiana, ponendola in dialogo con altre discipline quali la letteratura, l’architettura, l’urbanistica, la filosofia, la sociologia, l’antropologia, per poterne affermare l’autorità culturale che essa ancora non possedeva”10. L’associazione tra fotografia e altri campi disciplinari, oltre a costituire il fondamento del valore culturale dell’immagine fotografica, relaziona il riconoscimento di valore alla creazione dell’immagine identitaria dei luoghi rappresentati. La nuova fotografia promossa da Ghirri è interessata a descrivere un paesaggio con forti gradi di criticità, disorganico, incoerente, lontano sia dalla visione immateriale e crociana di Assunto sia da quella materiale e marxista di Sereni11, e a rifondarne l’estetica, non in senso contemplativo, ma rappresentativo dell’identità e del significato del luogo fotografato,

Godard/1, Milano, Il Castoro, 1996, p. 115. Il film, nella originaria versione francese, è stato restaurato in 2K nel 2013 da Studio Canal, a partire dal negativo immagine e distribuito in Italia a febbraio 2017 nell'ambito del progetto per la distribuzione dei classici restaurati 'Il Cinema Ritrovato' promosso dalla Cineteca di Bologna. (http://www.ilcinemaritrovato.it/). I diritti d’autore per l’Italia sono detenuti da Surf Film. 9 Circa il rapporto tra il romanzo moraviano Il disprezzo e il Mediterraneo cfr. N. D’Antuono, Mitologia dell’Odissea, di Capri e del Mediterraneo nel «Disprezzo» di Moravia, in Culture del Mediterraneo. Radici, contatti, dinamiche, a cura di E. Fazzini, Milano, LED, 2014, pp. 199-214. 10 Cfr. R. Valtorta, Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, Torino, Einaudi, 2013, pp. 4-5. La volontà di definizione della disciplina come linguaggio autonomo si concretizzerà dal punto di vista del diritto solo nel 1999 quando ne verrà riconosciuto lo status di bene culturale. Cfr. D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 490, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di Beni Culturali e Ambientali, ora confluito in D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. 11 L’idea di paesaggio in Ghirri “si va precisando esattamente nel momento in cui la cultura spaziale è costretta a elaborare il lutto di un’idea romantica e idealistica del paesaggio. “Il paesaggio [italiano] non esiste” scriverà qualche anno più tardi Franco Purini su “Casabella” (1991), non solo perché la nozione architettonica di paesaggio esiste solo all’interno di questa o quella astrazione culturale ma anche perché il duplice paesaggio italiano di Rosario Assunto e di Emilio Sereni si è nel frattempo dissolto, sia come entità culturale che fisica, lasciando il posto ad un nuovo collage disomogeneo che ha bisogno per essere interpretato da strumenti e nomi del tutto nuovi”. Cfr. P. Ciorra, Il cubo e le tettoie azzurre, in Luigi Ghirri. Pensare per immagini. Icone, paesaggi, architetture, a cura di F. Fabiani, L. Gasparini, G. Sergio, Catalogo della mostra tenuta a Roma nel 2013, Milano, Electa, 2013, p. 30.

1108

Page 147: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

secondo uno scarto sempre meno forte tra immagine e realtà12. Il pezzo selezionato di realtà, quello inquadrato dall’obiettivo fotografico, o meglio dallo sguardo del fotografo, non è più l’immagine da cartolina, ma il reale, seppure interpretato e “tagliato” o “bloccato” in un frame. Il progetto di rifondare l’estetica del paesaggio sotto queste vesti diventa concreto nel 1984, con Viaggio in Italia, idea di Ghirri13, lavoro corale rivolto alla ricerca di una nuova identità nazionale, collettiva, che coinvolge una generazione di fotografi diversi tra di loro ma accomunati da uno stesso racconto: quello del paesaggio italiano, rappresentato attraverso uno sguardo sul quotidiano, che si traduce in immagini quasi archetipiche per l’essenzialità e iconicità di quanto rappresentato. Tra le fotografie scelte da Ghirri per raccontare il paesaggio italiano compaiono i due poli della nostra trattazione: la fotografia dell’Alpe di Siusi14 del 1979 (fig. 1), e una foto di Capri (fig. 2)15, emblematiche della concezione fotografica di Ghirri, che vede il paesaggio come una “molteplicità di segni che compongono il mondo”. L’immagine dell’Alpe di Siusi, non rappresenta un paesaggio alpino privo di misura e rapporto con l’uomo, piuttosto una registrazione dell’uso di quel paesaggio. Due figure, un uomo ed una donna, si tengono per mano e, con le spalle all’osservatore, come spesso accade nelle foto di Ghirri, occupano la parte destra dell’immagine; sono in movimento, si spostano in avanti percorrendo la verde distesa che li separa dalla roccia dolomitica in secondo piano. Si potrebbe provare a cancellare le due figure e ad avere lo sguardo libero verso il paesaggio e l’alpe che blocca l’orizzonte, ora privo di presenza umana, ma non senza una perdita di senso e di misura. La fotografia rivela anche la distanza che Ghirri ama frapporre tra l’inquadratura e il paesaggio16, e tra il paesaggio e lo spettatore. L’immagini di Capri è concettuale, come le inquadrature del film di Godard, con uno sguardo artificiale, il telescopio, che si sovrappone a quello dello spettatore e del fotografo. Lo sguardo è rivolto all’orizzonte tra cielo e mare, incommensurabile e ora privo di ostacoli.

12 Cfr. R. Valtorta, op. cit., 2013, pp. 3-10. Circa la dicotomia tra immagine e realtà cfr. F. Farinelli, «L’arguzia del paesaggio», in Casabella, 575-576, gennaio-febbraio 1990, pp. 10-12; Idem, Storia del concetto geografico di paesaggio, in Paesaggio: immagine e realtà. Catalogo della mostra omonima tenutasi a Bologna nella Galleria d'arte Moderna nel 1981, Milano, Electa, 1981, pp. 151-158. Anche Freedberg ha posto in evidenza questo nuovo modo di intendere l’immagine, che affonda le sue radici nella nascita della fotografia come mezzo di infinita riproduzione del reale, analizzandolo dal punto di vista dello spettatore e delle reazioni psicologiche di questi di fronte alle immagini. Supponendo una sostanziale uniformità tipologica tra le nostre reazioni di fronte alle immagini e alla realtà, Freedberg ammette la possibilità di considerare le immagini non come mera rappresentazione ma come pura realtà. Cfr. D. Fredberg, Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino, Einaudi, 1993, pp. 627-644. 13 Sulla figura di Luigi Ghirri e Viaggio in Italia cfr. L. Ghirri, Paesaggio Italiano, Milano, Electa, 1998; Racconti dal paesaggio: 1984-2004. A vent’anni da Viaggio in Italia, a cura di R. Valtorta, Milano, Lupetti, 2004. R. Valtorta, op. cit., 2013, pp. 16-30; L. Ghirri. Pensare per immagini. Icone, paesaggi, architetture, op. cit., 2013 14 Alpe di Siusi, 1979, in Viaggio in Italia, op. cit., capitolo 1, A perdita d’occhio, p. 45; ora in L. Ghirri, Paesaggio Italiano, Milano, Electa, 1998, p. 19. 15 Capri, 1982, in Viaggio in Italia, op. cit., capitolo 2, Lungomare, p. 49, ora in L. Ghirri. Niente di antico sotto il sole. Scritti e immagini per un’autobiografia, a cura di P. Costantini, G. Chiaramonte, Torino, Società Editrice internazionale, 1997, p. 241, fot. 93, dove compaiono altre due fotografie dell’isola, Capri, 1981, p. 240, fot. 91; Capri, 1982, p. 241, fot. 92. Altre fotografie di Capri sono pubblicate in C. De Seta, Capri, fotografie di L. Ghirri e M. Jodice, Torino, ERI, 1983. 16 “Quando guarda Luigi Ghirri resta volutamente ai margini”. Cfr B. Curiger, Luigi Ghirri, un flanêur per il XXI secolo, in Luigi Ghirri. Pensare per immagini. Icone, paesaggi, architetture, op. cit., pp. 34-37.

1109

Page 148: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Fig. 1. Alpe di Siusi, 1979. Courtesy Fototeca Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia

© Eredi di Luigi Ghirri.

Fig. 2. Capri, 1982. Courtesy Fototeca Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia © Eredi di Luigi Ghirri.

1110

Page 149: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Anche Gabriele Basilico17 partecipa alla rassegna fotografica di Viaggio in Italia con diverse fotografie di Milano, ma la linea tracciata tra Alpi e Mediterraneo, porta ad un altro viaggio fotografico di Basilico, quello in Trentino, scaturito in una mostra e in un libro18 esiti del lavoro di ricognizione svolto nel 2003, e rivolto alla registrazione del rapporto tra le forme naturali e le forme del paesaggio urbano. Il viaggio, non più collettivo ma personale e su un territorio delimitato, è descritto da Basilico, architetto interessato da sempre alla rappresentazione della città, con immagini che riproducono il palinsesto del territorio Trentino, in cui i segni del costruito si sovrappongono con forza e al contempo contrastano o si integrano alla forza orografica del territorio. Guido Piovene nel suo viaggio in Italia descrive il paesaggio delle Alpi come un paesaggio in cui “il monte è estraneo alla città. La città è estranea al monte”19. Nelle fotografie di Basilico questa estraneità è superata (fig. 3)20, la città e il monte sono come due giganti, la prima impone i sui margini sempre meno definiti e i suoi segni sempre più profondi, mentre il monte osserva dall’alto la trasformazione, proiettando la sua ombra21. La stessa forza dell’orografia e la stessa volontà di rappresentare insieme architettura e natura, entrambe con identica capacità di essere protagoniste, è presente nello scatto che inquadra Villa Malaparte a Capri (fig. 4)22, luogo in cui si svolgono le vicende di Paul e Camille de Il disprezzo di Godard. La fotografia di Basilico è pubblicata nel 1988 nel libro di Marida Talamona dedicato a Casa Malparte insieme ad altre tre fotografie, una dell’esterno, che rappresenta la scalinata che conduce al tetto solarium della villa, in cui l’orizzonte è tagliato dalla geometria dell’architettura, e tre dell’interno, nelle quali si avverte la volontà di inquadrare il paesaggio esterno dall’interno. In bilico tra interni ed esterni, le immagini sembrano essere quelle descritte da Moravia: Il silenzio pareva penetrare nella villa insieme con la forte luce meridiana; il cielo e il mare che riempivano le grandi finestre ci abbagliavano e ci rendevano lontano, quasi che tutto quell’azzurro fosse stato consistente come un’acqua sottomarina e noi due fossimo stati seduti infondo al mare, divisi dal luminoso liquido fluttuare e incapaci di parlare. […] Stetti per un pezzo immobile a guardare, attraverso le finestre, alla linea nitida luminosa dell’orizzonte, là dove l’azzurro più duro del mare si riuniva all’azzurro profondo del cielo23.

17 Sulla figura e l’opera di Gabriele Basilico cfr. G. Basilico, Architetture, città, visioni: riflessioni sulla fotografia, Milano, Mondadori, 2007; G. Basilico, Leggere le fotografie in dodici lezioni, Milano, Rizzoli Abitare, 2012; Gabriele Basilico. Abitare la metropoli, a cura di G. Calvenzi, Roma, Contrasto, 2013. 18 Cfr. qui nota 6. La mostra del 2003 al Mart di Rovereto si concentrava soprattutto sul rapporto tra le forme naturali e quelle costruite, tra paesaggio urbano e natura. Cfr. Paola Pettenella, Gli archivi del MART Trento e Rovereto, in Margherita Guccione, Documentare il contemporaneo. Archivi e musei di architettura, Atti della giornata di studio MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, 21 gennaio 2008, Roma, Gangemi 2009, p. 67, n. 8. 19 G. Piovene, Viaggio in Italia (1957), Milano, Baldini & Castoldi, 2007, p. 9. Si tratta del resoconto dei viaggi eseguiti tra il 1953 e il 1956 su incarico della RAI. 20 Rotaliana, veduta della strada per Fai, in G. Basilico, op. cit., 2003, p. 33 e immagine di copertina. Circa il rapporto tra città e montagna nell’opera di Basilico cfr. anche G. Basilico, Bolzano Ovest Bozen West, Milano, Eizioni Charta, 2000. Ancora sul territorio trentino e sul rapporto tra paesaggio naturale e paesaggio urbano cfr., G. Basilico, Sguardi gardesani, Catalogo della mostra itinerante tenuta a Riva del Garda, Nago, Arco e Malcesine nel 1997, Tavagnacco (Ud), Art&, 1997. 21 Non che nell’opera di Piovene non ci sia una registrazione dei dati che anticipano la futura trasformazione del territorio Trentino. Infatti giunto in quella “graziosa, gaia, linda città che è Trento”, anche nel racconto di Piovene, l’antropizzazione colpisce il paesaggio con le sue “funicolari, teleferiche, sbrigativi ascensori” che trasformano il volto della montagna e il rapporto degli abitanti e dei turisti con la stessa. Cfr. G. Piovene, op. cit., pp. 16-21. 22 Capri, 1988, in La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico, a cura di M. Della Torre, Mendrisio - Cinisello Balsamo, Mendrisio Accademy Press - Silvana Editoriale, 2016, p. 47, già in M. Talamona, Casa Malaparte (1990), Sesto S. Giovanni, Clup, 1997, p. 1. 23 A. Moravia, Il disprezzo (1954), Firenze, Giunti, 2017, pp. 219-210.

1111

Page 150: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Queste immagini, cariche della “lentezza dello sguardo” tipica di Basilico, come quelle di Ghirri, per concezione si relazionano alle sequenze “bloccate”, lente, solari e mediterranee, girate da Godard sull’isola di Capri e in particolare sulla terrazza di Villa Malaparte, in cui l’inquadratura della macchina da presa indugia sull’architettura e sul paesaggio.

Fig. 3. Rotaliana, veduta della strada per Fai. © Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.

Fig. 4. Capri, 1988. © Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.

1112

Page 151: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

3. Viaggi e sguardi diacronici: Rossellini e Godard

La volontà di registrare il reale, i rapporti sempre più evidenti tra la fotografia e le altre discipline, portano ad una riflessione sul neorealismo in letteratura e in cinematografia. Roberta Valtorta cita Calvino e Zavattini che, rispettivamente nel campo della letteratura e in quello del cinema, diranno del neorealismo che non si trattò di una scuola ma di un insieme di voci, raccordate da un sentimento comune di conoscenza e rappresentazione della realtà italiana e della sua identità24. Questo sentimento anima il progetto di Ghirri e le immagini scelte per Viaggio in Italia. I fotografi di questo viaggio “sono tutti in cerca di una fotografia che possa trovare nel paesaggio i sentimenti dell’uomo contemporaneo e il suo interrogarsi”25. La riflessione e l’interrogativo sui sentimenti e sui rapporti umani e di coppia, e tra questi e il paesaggio, sono al centro delle vicende di Viaggio in Italia (1954) di Rossellini (1907-1977)26 e Il disprezzo (1963) di Godard (1930)27, che cita in modo esplicito il primo inserendo la locandina del film di Rossellini in una delle scene28. In questi casi i viaggi nel paesaggio italiano diventano momento di riflessione sulla cinematografia, in particolare per Godard, mentre i rapporti di coppia sfociano in un caso (Rossellini) nella scena finale del ritrovamento e abbraccio nella città di Maiori, nell’altro (Godard) nel disprezzo e allontanamento che si consuma in via definitiva sul tetto solarium di villa Malaparte a Capri di Adalberto Libera29. Ma forse ciò che più conta è quanto avviene tra i personaggi e il paesaggio, che può essere spiegato se si considera la riflessione del filosofo francese Gilles Deleuze (1925-1995) sul neorealismo, genere in cui si passa dal “rappresentare un reale già decifrato” a “un reale da decifrare, sempre ambiguo”. In questi film l’immagine va al di là del movimento per trasformarsi in una “situazione ottica pura”. Nel caso di Viaggio in Italia, odissea napoletana di una coppia di quarantenni inglesi, “una turista”, armata di macchina fotografica, è “colpita nel profondo dal semplice svolgimento di immagini o di clichè visivi nei quali scopre qualcosa di insopportabile, qualcosa che è al di là del limite che può personalmente sopportare”30; perché, da donna del Nord “cucita”, è profondamente estranea ai luoghi, alla sensualità delle statue di marmo, alla gente mediterranea “drappeggiata”, così come lo è suo marito, George, che si reca a Capri per semplice e puro divertimento, rimanendo estraneo al

24 Cfr. R. Valtorta, op. cit., 2013, p. 13. 25 Ibidem, p. 15. Sui rapporti tra Ghirri e il cinema neorealista cfr. L. Ghirri, L’obiettivo nella visione, in L. Ghirri. Niente di antico sotto il sole. Scritti e immagini per un’autobiografia, op. cit., pp. 104-108; L. Dryansky, “Tra identità e analogia”. Luigi Ghirri e la fotografia americana, in Luigi Ghirri. Pensare per immagini. Icone, paesaggi, architetture, op. cit., pp. 48-55, specie p. 51. 26 Su Rossellini e Viaggio in Italia cfr. Hommage a R. Rossellini. Voyage en Italie, L' avant-scène cinema, 361, giugno 1987.; S. Masi, I film di Roberto Rossellini, Roma, Gremese, 1987; G. Rondolino, Roberto Rossellini, Milano, L’Unità/Il Castoro, 1995; Rossellini dal neorelaismo alla diffusione della conoscenza, a cura di P. Iaccio, Napoli, Liguori, 2006, pp. 7, 19, 23, 83, 160-167, 185-186. 27 Su Godard e Le mépris cfr. A. Ferrero, Jean Luc Godard tra “avanguardia” e “rivoluzione”, Palermo, Palumbo, 1974, pp. 35-44, 139; L. Allegri, Ideologia e linguaggio nel cinema contemporaneo: Jean Luc Godard, Parma, Centro studi e archivi della comunicazione, 1976, pp. 7, 99-104; A. Farassino, op. cit., pp. 54-60, 115; J. Romney, «Le Mépris review – Jean Luc Godard versus marriage and the film industry», in The Guardian, January 6, 2016 (https://www.theguardian.com/film/2016/jan/03/le-mepris-jean-luc-godard-review-restored-brigitte-bardot). 28 Si tratta della scena all’uscita dal Silver Cine, periferia di Roma, in cui compare nell’insegna in alto, a caratteri cubitali, la scritta Viaggio in Italia mentre a sinistra, sul muro, la locandina del film. Sul rapporto tra il film di Rossellini e quello di Godard cfr. M. Marie, «Un pélerinage esthétique», in Hommage a R. Rossellini. Voyage en Italie, op. cit., pp. 21-25; A. M. Faux, «Mises en scenes de la confrontation», in Idem., op. cit., pp. 27-30. 29 Su Casa Malaparte cfr. A. Libera, Opera completa, Milano, Electa, 1989, pp. 167-168; M. Talamona, Casa Malaparte (1990), Sesto S. Giovanni, Clup, 1997; G. Pettena, Casa Malaparte. Capri, Firenze, Le Lettere, Firenze, 1999. 30 G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Torino, Einaudi, 2017, pp. 3-6.

1113

Page 152: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

paesaggio quanto allo spirito romantico della moglie31. Ne Il disprezzo si assiste “al fallimento senso-motorio della coppia nel dramma tradizionale” mentre sono elevati “in cielo la rappresentazione ottica del dramma di Ulisse, lo sguardo degli dèi”, nonché il paesaggio e l’orizzonte32. Non a caso nella scena finale, in cui Ulisse saluta Itaca, il movimento della macchina da presa continua fino ad escludere dal campo l’eroe omerico e il racconto si chiude con una immagine di profonda attenzione all’orizzonte, la linea tra cielo e mare, che apre lo guardo, non più bloccato all’altezza dell’Alpe di Siusi di Ghirri o a quella delle montagne e architetture trentine di Basilico. Quasi per paradosso, lo sguardo verso un orizzonte “extroverso”33 parte dalla terrazza di Casa Malaparte (1938), opera di Adalberto Libera, trentino di origine, che qui a Capri si trova a dialogare con un paesaggio tanto diverso da quello del suo progetto per un Alberghetto di mezza montagna (1926), quanto analogo per la riflessione progettuale che è in grado di suscitare: l’architettura si adatta al sito e si affaccia dall’alto a scrutare l’orizzonte lontano, come lo fanno i personaggi del film. È quindi un “cinema del vedente, non più d’azione” in cui vi è un incremento di “situazioni puramente ottiche” che si distinguono da quelle “senso-motorie dell’immagine-azione proprie del vecchio realismo. È forse altrettanto importante quanto la conquista, con l’impressionismo, di uno spazio puramente ottico in pittura” 34. Il personaggio non reagisce più alle situazioni e più che essere impegnato in una azione diventa una sorta di spettatore che registra o è consegnato a una visione. In Viaggio in Italia e ne Il Disprezzo i personaggi sono consegnati alla visione e alla presenza ottica pura di un passaggio naturale e/o artificiale, in bianco e nero o in Technicolor. In Rossellini il paesaggio è carico di una luce chiara e assoluta, paragonata a quella dei quadri di Matisse, come assoluti sono il cielo, il mare e le bellezze archeologiche scoperte da Katherine (Ingrid Bergman). In Godard, che ricava dall’avanguardia artistica più di una lezione sull’uso del colore, assoluti sono i colori puri, rosso, giallo, blu, toni non equivoci che si ripetono, come l’accappatoio giallo di Camille (Brigitte Bardot), e che si sposano con i volumi puri di Libera creando un’immagine senza tempo. Il paesaggio è protagonista della visione, non semplice fondale delle azioni, ed è in grado di condizionare gli stati d’animo. “La strada si era allontanata dal mare, e adesso attraversava una campagna prospera e dorata dal sole. […] il mio malumore attraverso campi, boschi, pianure e montagne, raggiunse il suo colmo poi diminuì e finalmente, in prossimità di Napoli, scomparve del tutto. Adesso scendevamo rapidamente la collina verso il mare, in vista del golfo azzurro, tra i pini e le magnolie”35. Così come è in grado di forgiare il carattere. 31 E. Dagrada, Viaggio in Italia, in Enciclopedia del cinema Treccani, Istituito dell’Enciclopedia Italiana, 2004, http://www.treccani.it/enciclopedia/viaggio-in-italia. 32 G. Deleuze, op. cit., pp. 13-14. 33 Si è voluto qui usare un aggettivo moraviano: «Extroverso, extroverso […] lei Molteni, come tutti i Mediterranei, è un extroverso e non capisce chi è introverso […] Nulla di Male, però […] io sono introverso e lei è extroverso […] il l’ho scelto apposta per questo […] lei bilancerà con il suo carattere extroverso il mio carattere introverso […] vedrà che la nostra collaborazione funzionerà a meraviglia». A. Moravia, op. cit., p. 150. In questo passo del romanzo, il regista tedesco Rheighold parla con Riccardo Molteni (Paul Javal nel riadattamento di Godard), incaricato della sceneggiatura del film sull’Odissea e mette in luce la diversità dell’indole umana a seconda della provenienza geografica. Moravia riprende così il tema del confronto tra l’apertura mediterranea e la chiusura del mondo nordico e alpino, che ritorna spesso nelle rappresentazioni e nelle descrizioni che di questi diversi luoghi hanno fatto scrittori, fotografi e registi contemporanei. Su questo aspetto anche G. Piovene, op. cit., pp. 9-22 (Da Bolzano a Trento), e pp. 427-485 (Campania). 34 Cfr. G. Deleuze, op. cit., p. 5. 35 A. Moravia, op. cit., p. 155.

1114

Page 153: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

4. Conclusioni: coscienza e conoscenza Il salto effettuato dalle Alpi al Mediterraneo attraverso gli sguardi d’autore di alcuni protagonisti dell’iconografia contemporanea ha considerato il viaggio come una conquista dello sguardo, capace di innescare e condizionare comportamenti associati all’identità dei luoghi. L’esito del peregrinare di Katherine non è una collezione di fotografie, come spesso accade al turista, ma una registrazione di immagini più simile alle descrizioni letterarie e ai Voyage in Italie che cambiano il modo di pensare, di percepire e di comunicare di chi li compie, tanto che il viaggio si trasforma in un nuovo incontro di ri-conoscimento. Il film di Godard viene definito come un monumento al Viaggio di Rossellini. Viaggio in Italia di Ghirri, e per estensione il viaggio trentino di Gabriele Basilico, “nasce dalla necessità di compiere un viaggio nel nuovo della fotografia italiana, e, in particolare, per vedere come una generazione di fotografi, lasciato da parte il mito dei viaggi esotici, del reportage sensazionale, dell’analisi formalistica, e della creatività presunta e forzata, ha invece rivolto lo sguardo sulla realtà e sul paesaggio che ci sta intorno […]. L’intenzione è ricomporre l’immagine di un luogo, e antropologico e geografico, il viaggio è così ricerca e possibilità di attivare una conoscenza che non è una fredda categoria della scienza, ma avventura del pensiero e dello sguardo”36. L’avventura, o viaggio, dello sguardo e del pensiero si traduce in immagini che appartengono a tutti, come dirà lo stesso Ghirri, compresi i turisti, e che diventano mezzi di conoscenza della realtà e di scoperta dell’identità di se stessi e dei luoghi. Motivato dall’intento di fare del cinema un mezzo di conoscenza e di apertura della coscienza, in uno dei suoi ultimi scritti, Rossellini si interroga sulla diffusione della conoscenza che è sempre mutevole e che quindi impone continui cambiamenti di prospettive: “Le immagini […] che sono tanto presenti nella nostra vita, possono provvedere anche a questo. Senza fare riferimento ai tanti studi e saggi che riguardano l’efficacia delle immagini, mi limiterò a ricordare che Shakespeare diceva: … the eyes of the ignorants are more learned than their ears (gli occhi degli ignoranti sono più dotti che i loro orecchi)”37. E affida alla citazione la trasmissione e il riconoscimento del valore assoluto dell’iconografia nella comprensione e conquista del reale.

Bibliografia L. Allegri, Ideologia e linguaggio nel cinema contemporaneo: Jean Luc Godard, Parma, Centro studi e archivi della comunicazione, 1976, pp. 7, 99-104. G. Basilico, Sguardi gardesani, Tavagnacco (Ud), Art&, 1997. G. Basilico, Bolzano Ovest Bozen West, Milano, Eizioni Charta, 2000. G. Basilico, Architetture, città, visioni: riflessioni sulla fotografia, Milano, Mondadori, 2007. G. Basilico, Leggere le fotografie in dodici lezioni, Milano, Rizzoli Abitare, 2012. G. Basilico, Trentino: viaggio fotografico di Gabriele Basilico, Trento, Nicolodi, 2003. Gabriele Basilico. Abitare la metropoli, a cura di G. Calvenzi , Roma, Contrasto, 2013. G. Berkeley. Viaggio in Italia, a cura di T.E. Jessop, M. Fimiani, Napoli, Bibliopolis, 1979. N. D’Antuono, Mitologia dell’Odissea, di Capri e del Mediterraneo nel «Disprezzo» di Moravia, in Culture del Mediterraneo. Radici, contatti, dinamiche, a cura di E. Fazzini, Milano, LED, 2014, pp. 199-214. G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Torino, Einaudi, 2017, pp. 3-17, 31-37, p. 220-225. C. De Seta, Capri, fotografie di Luigi Ghirri e Mimmo Jodice, Torino, ERI, 1983. G. Dorfles, Artificio e natura (1968), Torino, Einaudi, 1979, pp. 84-92.

36 Viaggio in Italia, op. cit., terza di copertina, non firmato. 37 R. Rossellini,“Diffondere la conoscenza”, in Rossellini dal neorealismo alla diffusione della conoscenza, op. cit., 2006, p. 162. Lo scritto è databile tra il 1974 e il 1975.

1115

Page 154: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

A. Farassino, Jean Luc Godard/1, Milano, Il Castoro, 1996. F. Farinelli, «L’arguzia del paesaggio», in Casabella, 575-576, gennaio-febbraio 1990, pp. 10-12. F. Farinelli, Storia del concetto geografico di paesaggio, in Paesaggio: immagine e realtà. Catalogo della mostra omonima tenutasi a Bologna nella Galleria d'arte Moderna nel 1981, Milano, Electa, 1981, pp. 151-158. A. Ferrero, Jean Luc Godard tra “avanguardia” e “rivoluzione”, Palermo, Palumbo, 1974, pp. 35-44, 139. D. Fredberg, Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazioni e emozioni del pubblico, Torino, Einaudi, 1993, pp. 627-644. L. Ghirri. Niente di antico sotto il sole. Scritti e immagini per un’autobiografia, a cura di P. Costantini, G. Chiaramonte, Torino, Società Editrice internazionale, 1997. L. Ghirri, Paesaggio Italiano, Milano, Electa, 1998. J. W. von Goethe, Italienische Reise (1816 e 1829), herausgegeben von W. Nöldeke, Bielefeld und Leipzig 1893. Hommage a R. Rossellini. Voyage en Italie, L' avant-scène cinema, 361, giugno 1987. Luigi Ghirri. Pensare per immagini. Icone, paesaggi, architetture, a cura di F. Fabiani, L. Gasparini, G. Sergio, Milano, Electa, 2013. P. Kruntorad, «L’orizzonte ampliato. Viaggio in Italia come paradigma», in Lotus, 68, 1991, pp. 122-128. La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico, a cura di M. Della Torre, Mendrisio - Cinisello Balsamo, Mendrisio Accademy Press - Silvana Editoriale, 2016. A. Libera, Opera completa, Milano, Electa, 1989, pp. 167-168. S. Masi, I film di Roberto Rossellini, Roma, Gremese, 1987. A. Moravia, Il disprezzo (1954), Firenze, Giunti, 2017. G. Pettena, Casa Malaparte. Capri, Firenze, Le Lettere, 1999. G. Piovene, Viaggio in Italia (1957), Milano, Baldini & Castoldi, 2007. Racconti dal paesaggio: 1984-2004. A vent’anni da Viaggio in Italia, a cura di R. Valtorta, Milano, Lupetti, 2004. J. Romney, «Le Mépris review – Jean Luc Godard versus marriage and the film industry», in The Guardian, January 6, 2016 (https://www.theguardian.com/film/2016/jan/03/le-mepris-jean-luc-godard-review-restored-brigitte-bardot). G. Rondolino, Roberto Rossellini, Milano, L’Unità/Il Castoro, 1995. Rossellini dal neorealismo alla diffusione della conoscenza, a cura di P. Iaccio, Napoli, Liguori, 2006. M. Talamona, Casa Malaparte (1990), Sesto S. Giovanni, Clup, 1997. R. Valtorta, Luogo e identità nella fotografia italiana contemporanea, Torino, Einaudi, 2013. Viaggio in Italia, a cura di L. Ghirri, G. Leone, E. Velati, Il Quadrante, Alessandria 1984.

1116

Page 155: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

Sguardi su Palermo. Il resoconto di viaggio di un

gentiluomo francese (1589) Fulvia Scaduto

Università di Palermo – Palermo – Napoli – Italia Parole chiave: viaggiatore, francese, anonimo, Sicilia, Palermo, descrizione di città, immagine urbana, spazi,

architetture, XVI secolo.

Nel 1589 un anonimo viaggiatore francese, nel corso del viaggio che compie nella penisola

italiana e poi in Sicilia, visita Palermo, lasciando un resoconto manoscritto che offre della

città e dei suoi dintorni un ritratto inedito1. Se il viaggio nell’Italia peninsulare (centro-

settentrionale), mèta privilegiata per i tanti viaggiatori stranieri che nella seconda metà del

Cinquecento percorrono le strade dell’Europa, è un’esperienza frequente, l’avventura

nell’estremo Sud e l’approdo in Sicilia costituiscono invece un’impresa piuttosto insolita per

quei tempi; di rado, infatti, questi viaggiatori si avventurano oltre Roma o Napoli. Il viaggio

nell’Isola è considerato un’appendice inconsueta e straordinaria, una tappa spesso

supplementare, talvolta è il “passaggio” obbligato lungo la rotta per Malta, per quanto ne

sappiamo, sporadicamente la Sicilia viene inclusa nell’itinerario del viaggio di studio e di

formazione dei giovani aristocratici2. Viaggiatori di commercio, diplomatici, funzionari,

uomini di cultura, studenti, intellettuali ecc. che a vario titolo giungevano in Sicilia, si

accostavano presumibilmente con spirito di curiosità, richiamati dalla suggestione delle

grandi architetture normanne e dal fascino di un mondo “lontano” di cui ben poco si era

scritto o si sapeva e che, naturalmente, non era ancora la terra esotica e mitizzata del Gran

tour. Come è noto, la stagione del “Grande viaggio” in Sicilia assumerà connotazioni diverse

e privilegerà le «molte vie della colonizzazione greca»3, fissando stereotipi e clichés. I

visitatori stranieri che nel corso del secondo Cinquecento intraprendono il viaggio in Sicilia

sono personaggi che arrivano senza idee preconcette o immagini stereotipate e osservano con

uno sguardo “disinteressato” (ma non del tutto privo di pregiudizi) e certamente si sono serviti

di libri e fonti dai quali spesso sono tratte le descrizioni di chi lascia una testimonianza scritta.

Dell’autore del giornale di viaggio intrapreso tra l’autunno del 1588 e l’anno successivo, in un

momento politico difficile per la Francia (“crisi francese”), non sappiamo nulla, né

conosciamo le motivazioni e le circostanze della spedizione o la ragione per cui elabora lo

scritto. Tuttavia, dalle indicazioni contenute nelle pagine del diario (le relazioni umane, i

rapporti che intrattiene, i giudizi che offre, il linguaggio che utilizza ecc.), siamo in grado di

immaginare quale poteva essere il suo background culturale e l’ambito di provenienza.

Sappiamo, per esempio, che l’ignoto diarista porta con sé lettere di presentazione,

muovendosi grazie a una rete di conoscenze e intermediari, e quasi ovunque ha contatti con

1 Discours viatiques de Paris à Rome et de Rome à Naples et Sicile (1588-1589), ed. critique de L. Monga,

Geneve, Slatkine, 1983, pp. 119-129. Si vedano anche: la recensione di B. Mitchell, «Discours viatiques…», in

Forum Italicum. A journal of Italian Studies, 18, issue 2, 1984, pp. 386-388; e S. Di Matteo, Viaggiatori

stranieri in Sicilia dagli Arabi alla seconda metà del XX secolo. Repertorio, Analisi, Bibliografia, 3 voll.,

Palermo, ISSPE, I, 1999-2000, pp. 70-72. 2 È il caso del principe tedesco Ludwig von Analth-Köthen che nel corso della sua lunga peregrinatio academica

non tralascia di visitare la Sicilia e Palermo (1598-99): S. Di Matteo, Viaggiatori stranieri, cit., p. 65. Più in

generale, si rimanda alla comunicazione di S. Zaggia, «Incognitus hic transiit»: studenti e viaggiatori in

incognito nelle città universitarie, tenuta nell’ambito dell’VIII Congresso AISU (Napoli 2017) e che ringrazio

per le segnalazioni bibliografiche: P. Caruana Dingli, «Memories in Verse: the Travels of Ludwig von Analth-

Köthen (1579-1650)», in The journal of Baroque Studies, vol. 1, 3, 2015, pp. 5-20. 3 M. Giuffrè, «L’isola plurale», in Il grande viaggio in Sicilia. Dal Cinquecento agli anni del Gran Tour nei

tesori grafici di una Collezione, Fondazione Banco di Sicilia, Palermo, Officine Grafiche riunite, 2002, pp.

7-10, p. 8.

1117

Page 156: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

personalità illustri: a Messina con il console francese che guida la visita alla città, a Palermo

rende ossequio all’Inquisitore generale e fa visita a Carlo D’Aragona, il ‘Grande Siciliano’,

già presidente del Regno e allora governatore di Milano4, a Malta, poi, va a trovare il Gran

Maestro dell’Ordine che lo riceve nel suo palazzo e si intrattiene privatamente in

conversazione con lui, sospettando che possa trattarsi di un emissario di Enrico III e che

nasconda una commissione da parte del re. È possibile tratteggiare l’identikit di un giovane e

colto forestiero dell’alta borghesia francese, mosso da curiosità e interesse e, come lui stesso

ribadisce più volte, dal «desiderio di vedere», per il quale l’esperienza di viaggio costituisce

un’occasione di arricchimento culturale, di scoperta, di piacere, che coniuga educazione e

svago5, escludendo altre finalità, a meno di ipotizzare motivazioni di natura diplomatico-

politica sottese. Il carattere confidenziale del resoconto, rivolto a un amico («Mon amy»), non

pare tuttavia corrispondere a una forma ufficiale; né la redazione del diario di viaggio in

Sicilia, presumibilmente compilato in momenti successivi servendosi di appunti e impressioni

annotati su taccuini («mes tabletez»)6 sembra destinata a fini di pubblicazione, ma forse ha

uno scopo più pratico e personale: fissare la memoria e il ricordo in un racconto della propria

esperienza che potrà interessare l’ipotetico interlocutore o una ristretta cerchia di colti lettori

francesi7.

Partito da Parigi con un gruppo di sette “amici” e compatrioti di cui facevano parte «signori»,

«gentiluomini» e «cavalieri»8, una volta giunto a Roma, l’anonimo diarista si separava dalla

comitiva e, dopo una lunga sosta a Napoli in attesa delle galere, insieme a due compagni9 si

imbarcava per la Sicilia da cui poi avrebbe fatto ulteriore tappa a Malta.

Palermo costituisce il polo di un itinerario che tocca le principali città dell’isola (Messina,

Siracusa, Catania) e alcuni centri costieri. Durante il soggiorno palermitano10

l’autore del

discours viatiques ha modo di percorrere e conoscere a fondo la città, «passeggiammo per le

strade da una parte all’altra»11

, visitandola insieme all’amico e all’oste che li accompagna.

Naturalmente tutto ciò avviene attraverso un processo di “selezione” che a Palermo sembra

escludere l’interesse per gli edifici pubblici e privati e per i grandi complessi religiosi, omessi

dalla descrizione, mancano del tutto commenti e valutazioni, a differenza di Messina, dove

pur ammettendo che «la città all’interno è poca cosa, e ha pochi edifici belli»12

, tuttavia fanno

eccezione il palazzo vicereale ancora in costruzione e le residenze dei mercanti stranieri,

mentre resta sorpreso dal gran numero di monasteri esistenti. Ma è chiaro che le “esclusioni”

valgono quanto le “inclusioni” poiché indicano le propensioni culturali di questo personaggio

e sono la spia del suo gusto e delle sue idee o il riflesso di ciò che ha letto e consultato.

4 Nella città lombarda Carlo d’Aragona aveva messo le sue carrozze a disposizione della compagnia di

viaggiatori, come una sorta di passepartout per la visita dei luoghi. Discours viatiques, cit., p. 60. 5 A. Motsch, «La relation de voyage: itinéraire d’une pratique», in @nalyses. Revue de critique et de théorie

littéraires, Departement de français de l’Université d’Ottawa, vol. 9, 1, 2014, pp. 215-268, p. 238. Come è noto,

alla metà del XVI secolo il viaggio diventa un importante aspetto dell’educazione di un giovane dell’alta società

o della classe dirigente e da tradizione aristocratica si trasforma anche in una moda borghese e quindi nasce una

nuova figura di viaggiatore. Si vedano pure: D. Giosuè, Viaggiatori inglesi in Italia nel Cinque e Seicento,

Viterbo, Sette Città, 2003, p. 12; P. Caruana Dingli, «Memories in Verse», cit. 6 Discours viatiques, cit., p. 126.

7 Ivi, pp. 22-23. Il diario, rimasto incompleto, si interrompe bruscamente a Rimini sulla strada del ritorno nel

mese di giugno del 1589. 8 «J. Sevin, A. de Blondeau, D. Parent, S. de La Vove, de Vadancourt, du Fresnoy et S. de Le Febvre che già ha

fatto il viaggio» (con i loro servi). Discours viatiques, cit., pp. 45-46. Non è stato possibile identificare i

personaggi menzionati. 9 L’amico Le Febvre e un certo monsieur d’Argelières, fratello di un Cavaliere dell’Ordine di San Giovanni a

Malta, che si era aggregato nella città partenopea. 10

Il nostro “turista” giunge a Palermo il 17 marzo 1589 e si trattiene otto giorni, trovando alloggio presso un

mercante inglese in un “piccolo ritiro” a un miglio dalla città. Discours viatiques, cit., p. 119. 11

Ibidem. 12

Ivi, p. 116.

1118

Page 157: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

La città e l’architettura – lo spazio urbano e i monumenti visitati – sono visti e commentati

con uno sguardo scevro da condizionamenti e tutt’altro che sprovveduto o neutrale, talvolta

filtrato attraverso precedenti letture. Questo gentiluomo francese, infatti, non arriva privo di

conoscenze della città ma si affida a testi e fonti disponibili o utilizza altri filtri di

informazione; per esempio, si basa su ciò che ha sentito dire o che gli viene riferito dalla

guida locale, risulta inoltre bene informato sui principali cantieri cittadini e al corrente delle

imprese più recenti; l’interesse del resoconto risiede anche nella sua propensione a esprimere

giudizi e opinioni personali.

Cita la celebre Descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti13

della quale doveva essersi

procurato l’appendice delle Isole appartenenti all’Italia (1567) o l’edizione dell’opera a cui

era stata aggiunta la descrizione della Sicilia che il frate domenicano aveva visitato tra il 1525

e il 1526. Nulla però esclude che si sia servito di altre fonti a stampa contemporanee come il

De rebus Siculis (Palermo 1558) dell’erudito siciliano Tommaso Fazello o la Descrittione del

real tempio di Monreale (Roma 1588) di Giovan Battista Lello.

La prima fascinazione avviene per la mitica età del Regno e le fabbriche di epoca normanna,

le uniche architetture visitate: la “Cappella reale” (palatina), la cattedrale, il duomo di

Monreale e il palazzo della Zisa. Il nostro scrittore si aiuta con la Descrittione fra le mani che

utilizza come una guida autorevole alla scoperta dei monumenti ai quali fra’ Leandro aveva

dedicato dettagliate descrizioni, che egli in parte copia, attingendo anche notizie storiche e

aneddoti che arricchiscono la sua testimonianza decisamente più vivace e punteggiata da

acute osservazioni. Se le architetture del medioevo normanno costituiscono per il giovane

visitatore (invogliato dalla lettura di Alberti) una reale attrazione, è evidente, però, che, una

volta giunto a Palermo, il suo interesse viene sostanzialmente rivolto alla realtà urbana

contemporanea con una manifesta attenzione per le recenti opere vicereali. Sono le

impressioni suscitate dalla città viceregia, in pieno fervore edilizio, e il nuovo assetto urbano e

territoriale a emergere dal racconto e a trasmettere la moderna immagine di Palermo che era

stata interessata, nella seconda metà del secolo, da grandiose trasformazioni (taglio di via

Toledo)14

e così come si presentava a cinque anni di distanza dalla fine del viceregno di

Marco Antonio Colonna (1577-1584). Quest’ultimo, si era fatto promotore di una politica

rivolta a finalità di magnificenza civica e di decoro urbano, avviando un progetto di

rinnovamento e “rifondazione” declinato in chiave rappresentativa, che aveva contribuito a

modificare il volto della Capitale attraverso una serie programmatica di operazioni: il

prolungamento della via Toledo sino al mare (dal 1581) e l’estensione dello stesso asse

extramoenia in direzione del territorio (1583-84), la costruzione delle porte monumentali agli

imbocchi (dal 1582) e la creazione di una strada litoranea esterna alle mura (1577-84)15

.

Così, se Messina appare agli occhi del diarista come una città per certi versi deludente «che

non ha nulla di raccomandabile, eccetto il porto»16

, al contrario Palermo, sede viceregia, si

presenta effettivamente come Capitale dell’isola, «con grande rammarico dei Messinesi […]

che vanno dicendo che la città di Messina è il Capo del Regno di Sicilia – e chiosa

aggiungendo – io trovo che il Viceré ha ragione di risiedere a Palermo piuttosto che a Messina

13

Edita per la prima volta a Bologna nel 1550, l’opera venne successivamente pubblicata nel 1576, 1581, 1588.

L’edizione da me consultata è: L. Alberti, Descrittione di tutta l’Italia et Isole pertinenti ad essa, Venetia,

Appresso Paolo Ugolino, 1596, pp. 45-51. Per un inquadramento: S. Di Matteo, Viaggiatori stranieri, cit., I, pp.

49-52.

14 Si tratta dei lavori di ampliamento e rettifica (dal 1567) dell’antico Cassaro, poi via Toledo, il principale asse

cittadino che collega il palazzo reale con il piano della Marina. 15

F. Scaduto, «Il viceré e la città: interventi di Marco Antonio II Colonna a Palermo e a Messina tra decoro

urbano, magnificenza civica e pubblica utilitas», in La Sicilia dei viceré nell’età degli Asburgo (1516-1700). La

difesa dell’isola, le città capitali, la celebrazione della monarchia, a cura di S. Piazza, Palermo, Edizioni

Caracol, 2016, pp. 137-168. 16

Discours viatiques, cit., p. 115.

1119

Page 158: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

perché la dimora [la città] è senza confronto più bella»17

. Queste considerazioni, basate su

informazioni raccolte, colgono nel segno l’antagonismo tra le due città rivali per un primato

che si disputa anche sul piano delle grandi realizzazioni urbane.

Di questa «Palermo monumentale che può essere condensata in luoghi significativi»18

, il

viaggiatore offre il suo personale punto

di vista e un giudizio misurato sul

proprio bagaglio di conoscenze, sulla

propria sensibilità, formazione,

provenienza, e sull’osservazione diretta,

poiché né Fazello, né Alberti potevano

offrire suggerimenti o informazioni (lo

scarto rispetto a ciò che ha letto è la

contemporaneità). Egli passa in rassegna

e commenta «les singularités […]

passammo per le vie più belle, tra le

altre per la grande strada [via Toledo]

che corrisponde alla porta Colonna

[porta Nuova] dalla quale comincia.

Questa strada è una tra le più belle, per

la lunghezza, l’ampiezza e talora per la

vista e la posizione, di ogni altra che si

trovi in qualche città d’Italia, poiché è

oltre un miglio di lunghezza dalla citata

porta Colonna sino alla porta sulla

marina [porta Felice], dritta come

un’asta e di tale larghezza che quattro

carrozze possono passare affiancate»19

.

Prima di tutto è importante e istruttivo lo

sguardo che egli dà alla realtà osservata,

con più di una indicazione che rivela

attitudine all’esame e un occhio

esercitato e attento a cogliere le

straordinarie caratteristiche del lungo

cannocchiale prospettico, destinato a

diventare un topos di una delle imprese

più celebrate nelle iperboliche

descrizioni del tempo. Tuttavia

l’apprezzamento non è incondizionato e

le singolari qualità del moderno rettifilo

sono delineate in un giudizio che non è privo di accenti negativi: «c’è solo una cosa da ridire

su questa strada: è popolata tutta di bottegai che vendono ogni tipo di mercanzia e non si trova

in essa nessun bell’edificio se non quello che stanno facendo costruire i Gesuiti»20

. L’unico

accenno al Collegio Massimo dei Gesuiti, ancora in fieri sul fronte settentrionale della strada,

con un prospetto ispirato al modello del Collegio Romano, è indicativo della sua spiccata

17

Ivi, p. 128. 18

M. Giuffrè, «Lo stradone Colonna e l’area portuale di Palermo alla fine del Cinquecento», in L’Urbanistica

del Cinquecento in Sicilia, a cura di A. Casamento e E. Guidoni, Roma, Edizioni Kappa, 1999, pp. 194-199,

p. 195. 19

Discours viatiques, cit., p. 124. 20

Ibidem.

Pianta di Palermo di Braun e Hogemberg, 1588

(Collezione privata)

1120

Page 159: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

preferenza per l’“ipercontemporaneo” ed è segno che sull’architettura questo giovane

straniero ha conoscenze e idee molto precise. La sua opinione si discosta da quella spesso

rimarcata in altri scritti contemporanei che evidenziano il carattere propriamente

architettonico della strada: «ripiena di bellissimi edifici drizzati con somma architettura»21

.

Analoghe considerazioni valgono, del resto, per Messina, anche in quel caso – come si è visto

– le sole fabbriche che il nostro cita sono quelle che si stanno ancora completando o

rinnovando: il palazzo reale22

e la cattedrale, quest’ultima, scrive, «non è gran cosa […] ma si

sta cominciando ad abbellirla»23

riferendosi all’Apostolato di Montorsoli.

Il retroterra culturale e le conoscenze che possiede sono svelati anche da alcune curiose

sviste. Si spiega così perché il nostro personaggio scambia per ardesia il rivestimento

originariamente in piombo della copertura piramidale a la flamenca di porta Nuova.

L’accostamento ai tetti cuspidati in ardesia al “modo de Flandes”, in uso nell’Europa del

tempo, risulta appropriato e imputabile a ciò che sa.

Posta al termine di via Toledo, la porta era stata anch’essa da poco “ricostruita” e completata:

«andammo a Monreale […] uscimmo da porta Colonna, così chiamata perché è stata

interamente rifatta da Marco Antonio Colonna […] sopra ha un piccolo ambiente in forma di

21

La citazione è di Camillo. Camiliani, Descrizione della Sicilia (ms. del 1584), pubblicato a cura di M.

Scarlata, L’opera di Camillo Camiliani, Roma, Editalia, 1993, p. 206. Si veda anche la descrizione di V. Di

Giovanni, Palermo Restaurato (ms. del 1620 ca.), a cura di M. Giorgianni e A. Santamaura, Palermo, Sellerio,

1989, p. 118. Cfr. M.R. Nobile, «Palermo e Messina», in Storia dell’architettura italiana. Il secondo

Cinquecento, a cura di A. Bruschi, Milano, Electa, 2001, pp. 348-371, p. 354. 22

Discours viatiques, cit., p. 116, 129: «È ben vero che vi è una bella casa che i signori della città stanno facendo

costruire per il viceré, quando verrà a Messina: essa è una delle più ragguardevoli e soprattutto quando sarà

completata, avrà la veduta e la prospettiva sulla marina in gran bella aria». 23

Ivi, p. 116.

Palazzo Reale e Porta Nuova, fronte verso la città, Teatro geografico antiguo y moderno…,1686

(da V. Consolo, C. de Seta, cit.)

1121

Page 160: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

padiglione, coperto di ardesia […] accompagnato da un lungo corridoio o galleria che

corrisponde al castello del Viceré24

. Il diarista si sofferma a descrivere il braccio di

collegamento realizzato, attraverso un passetto finestrato25

, tra la porta e il complesso palatino

che in questo modo veniva ad essere integrato al sistema urbano di via Toledo ma

stranamente nel diario non fa alcun cenno alla magnificente configurazione del fronte esterno.

Percorrendo la strada per Monreale, che attraversa la piana della Conca d’Oro, il nostro

compilatore annota un breve commento ma le sue osservazioni appaiono di estremo interesse:

«Uscendo dalla porta si trova un grande cammino, largo da 18 a 20 piedi, lungo più di due

miglia sino alla montagna di Monreale, il quale, ci hanno detto, è stato realizzato e spianato

pure da M. Antonio Colonna. Questo cammino è tutto dritto, fatto in linea [a lenza] e

corrisponde alla grande strada della città, conferendole grande abbellimento» – ma trova –

«più singolare, è che a due miglia di distanza si può vedere in linea dritta la città, quando la

porta è aperta, e ancora dalla porta della città dritto sino alla marina, che è una delle cose più

rare che si può trovare in qualche città d’Italia che io sappia»26

. Lo colpisce l’imponente

sviluppo del cammino fuori porta, un percorso chilometrico, ma ciò che lo sorprende in

maggior misura è la prospettiva infinita con la visuale “aperta”, estesa sino al mare, che si può

cogliere dalla strada in un magnifico colpo d’occhio. In fondo, il viaggiatore ci consegna una

testimonianza che coincide con l’idea di città di Colonna e che rende appieno il significato e

le ragioni stesse del nuovo progetto vicereale per Palermo: l’idea cioè di una città «priva di

24

Ivi, p. 121. Sulla porta: F. Scaduto, «Porta Nuova a Palermo (XVI secolo). La vicenda, i protagonisti, i

modelli», in Roma moderna e contemporanea», XXII, 2, 2015, pp. 231-248. 25

Il passetto è visibile nell’immagine (disegno acquerellato) che il codice madrileno, Teatro geografico antiguo

y moderno del Reyno de Sicilia, registra nel 1686. Cfr. V. Consolo, C. De Seta, Sicilia Teatro del Mondo,

Torino, Nuova ERI, 1990, pp. 179-33: pp. 263, 264. 26

Discours viatiques, cit., pp. 121-122.

Porta Nuova, fronte esterno verso Monreale (Teatro geografico antiguo y moderno…, 1686)

1122

Page 161: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

confini»27

e “aperta” a una dimensione territoriale e al contatto diretto con il suo contesto

rurale e con il mare. Oltre la cortina bastionata, la creazione della strada Colonna (con il

prolungamento e lo sbocco di via Toledo) sanciva di fatto questa apertura della città verso il

mare ponendosi come luogo urbano di rappresentazione destinato a una fruizione civica. Così

descrive il nuovo lungomare il nostro visitatore che parla infatti di “passeggiata” con una

connotazione monumentale: «La parte esterna della città è molto bella, principalmente verso

la marina, dove il defunto Marco Antonio Colonna ha fatto fare una passeggiata intorno alle

mura, per il piacere dei cittadini che in estate vengono a prendere il fresco in questo luogo. Si

può vedere una fontana […] e un luogo nel quale si mettevano i suonatori di strumenti al

tempo di Marco Antonio Colonna, per il diletto delle donne che venivano a passeggiare

qui»28

.

Il resoconto prosegue con la descrizione delle piazze principali allineate sull’asse di via

Toledo, lungo il quale si snoda l’itinerario di visita e ad esse il nostro viaggiatore riserva brevi

ma folgoranti osservazioni. Nel piano del palazzo pretorio ammira la monumentale fontana

fiorentina di Camillo Camiliani, trova tuttavia inadeguato lo spazio che era stato

appositamente progettato per accoglierla e in un larvato e laconico giudizio non esita a

nascondere il suo disappunto: «è un peccato che questa fontana non si trovi in qualche bella

grande piazza»29

. La sua lettura è invece influenzata dal confronto con i luoghi che conosce

quando si sofferma sul grande vuoto di piazza Marina che descrive paragonando al «mercato

dei cavalli di Parigi»30

.

Questa descrizione di Palermo costituisce uno dei primi intensi ritratti della città tardo

cinquecentesca e accompagnata da considerazioni sul costume, la compagine sociale, la vita

politica cittadina, gli apparati burocratici e amministrativi, l’istituto viceregio ecc., acquista

un valore straordinario come fonte indiretta per la conoscenza storica della città. Naturalmente

non si tratta di una testimonianza oggettiva (sarebbe ingenuo pretendere un’obiettività di

giudizio) ma il complesso di preziose informazioni sulle condizioni infrastrutturali,

urbanistiche, architettoniche, sociali, a partire dalla lettura e dall’interpretazione della realtà

osservata, ci consegna uno spaccato stimolante della Palermo del tempo da mettere a

confronto con altre descrizioni o testimonianze note, che può contribuire a modificare la

nostra percezione o aggiungere conferme e precisazioni.

Bibliografia

L. Alberti, Descrittione di tutta l’Italia et Isole pertinenti ad essa, Venetia, Appresso Paolo

Ugolino, 1596. P. Caruana Dingli, «Memories in Verse: the Travels of Ludwig von Analth-Köthen (1579-

1650)», in The journal of Baroque Studies, vol. 1, 3, 2015, pp. 5-20.

V. Consolo, C. de Seta, Sicilia Teatro del Mondo, Torino, Nuova ERI, 1990.

S. Di Matteo, Viaggiatori stranieri in Sicilia dagli Arabi alla seconda metà del XX secolo.

Repertorio, Analisi, Bibliografia, 3 voll., Palermo, ISSPE (Istituto Siciliano di studi politici ed

economici), 1999-2000.

Discours viatiques de Paris à Rome et de Rome à Naples et Sicile (1588-1589), ed. critique de

L. Monga, Geneve, Slatkine, 1983.

D. Giosuè, Viaggiatori inglesi in Italia nel Cinque e Seicento, Viterbo, Sette Città, 2003.

M. Giuffrè, «Palermo «città murata» dal XVI al XIX secolo», in Quaderni dell’I.D.A.U.

Università di Catania, 8, 1976, pp. 41-64.

27

M. Giuffrè, «Lo stradone Colonna», cit., p. 195. 28

Discours viatiques, cit., p. 127. 29

Ivi, p. 126. 30

Che si trovava allora nei pressi di place des Vosges. Ibidem.

1123

Page 162: Viaggiare, ricordare, narrare e rappresentare: modelli e ... · nel viaggio e nel rientro un modello di recepimento della natura del viaggio stesso. L’esordio è affidato a Chloé

M. Giuffrè, «Lo stradone Colonna e l’area portuale di Palermo alla fine del Cinquecento», in

l’Urbanistica del Cinquecento in Sicilia, a cura di A. Casamento, E. Guidoni, Roma, Edizioni

Kappa, 1999, pp. 194-199. M. Giuffrè, «L’isola plurale», in Il grande viaggio in Sicilia. Dal Cinquecento agli anni del

Gran Tour nei tesori grafici di una Collezione, Fondazione Banco di Sicilia, Palermo,

Officine Grafiche riunite, 2002, pp. 7-10.

B. Mitchell, «Discours viatiques de Paris à Rome et de Rome à Naples et Sicile (1588-1589)»,

in Forum Italicum. A journal of Italian Studies, 18, issue 2, 1984, pp. 386-388.

A. Motsch, «La relation de voyage: itinéraire d’une pratique», in @nalyses. Revue de critique

et de théorie littéraires, Departement de français de l’Université d’Ottawa, vol. 9, 1, 2014, pp.

215-268.

M.R. Nobile, «Palermo e Messina», in Storia dell’architettura italiana. Il secondo

Cinquecento, a cura di A. Bruschi, Milano 2001, pp. 348-371.

F. Scaduto, «Porta Nuova a Palermo (XVI secolo). La vicenda, i protagonisti, i modelli», in

Roma moderna e contemporanea», XXII, 2, 2015, pp. 231-248.

F. Scaduto, «Il viceré e la città: interventi di Marco Antonio II Colonna a Palermo e a

Messina tra decoro urbano, magnificenza civica e pubblica utilitas», in La Sicilia dei viceré

nell’età degli Asburgo (1516-1700). La difesa dell’isola, le città capitali, la celebrazione

della monarchia, a cura di S. Piazza, Palermo, Edizioni Caracol, 2016, pp. 137-168.

1124