Vi devo confessare che proprio appassionato e mi ha...
Transcript of Vi devo confessare che proprio appassionato e mi ha...
Numero centotredici Maggio-Giugno 2016
DISTRIBUZIONE GRATUITA www.socratealcaffe.it
la Feltrinelli a Pavia,
in via XX Settembre 21.
Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
Al fianco dei migranti Giorgio Forni PAGINE 11-12
Bellezza è terapia? PAGINA 10
Vi devo confessare che il vecchio Socrate si è
proprio appassionato alla questione Europa
e mi ha chiesto qualche consiglio per documen-
tarsi sulle faccende per lui dopo tutto inusuali
dell’Unione. Così, abbiamo letto il bel libro di
Maurizio Ferrera e poi siamo pas-
sati a una raccolta di scritti che
Giorgio Napolitano ha recente-
mente pubblicato da Feltrinelli
con il titolo Europa, politica e passione. Il discorso di Napolita-
no si muove fra Scilla e Cariddi,
fra due retoriche a proposito del-
lo stato dell’Unione: la retorica a-
pologetica dei devoti del progetto
originario, che genera insofferen-
za, e la retorica catastrofista, che
predica un ritorno al passa-to e
alle vecchie so-
vranità assolu-
te. Fra le due
retoriche c’è u-
no spazio da coltivare razio-nalmente, in cui
orientarsi con
una visione si-s t e m i c a d’insieme che
mira al comple-
t a m e n t o
dell’Unione eco-
nomica e mone-
taria, a una più
profonda inte-
grazione politi-
ca, al rafforza-
mento della di-
mensione sociale (l’Unione socia-
le europea di Maurizio Ferrera?)
e di quella democratico-
parlamentare dell’ U-nione. In o-
gni caso, la riflessione critica sul-
lo stato dell’Unione non può
“essere separata dai radicali
cambiamenti e dagli eventi trau-
matici che hanno investito
l’ordine mondiale”. Europa-mondo è uno dei temi ricorrenti nelle pagine di Napolitano. Dagli
effetti della crisi divenuta globale
ai processi di dissoluzione degli
Stati in Medio Oriente e in Africa,
al terrorismo dell’Isis, alle grandi
migrazioni. Il completamento
dell’Unione politica, modellata
dalla primazia del diritto, è
l ’unica condizione perché
l’Europa “possa farsi portatrice
effettiva di un suo peculiare ap-
porto all’ordine mondiale”. È un
must, perché l’alternativa è il de-
clino e l’irrilevanza planetaria. Ma
ciò richiede una rinnovata priori-
tà della politica. Quello della re-
sponsabilità di leader politici lun-
gimiranti è un altro dei temi ri-correnti in queste pagine. Sullo
sfondo del rapporto fra “agire
politico e sapere storico”, abbia-
mo bisogno di analizzare il
“riproporsi di questioni e tensioni
serie complesse sul tema delle i-
dentità – etniche, religiose, cul-
turali, nazionali – nel crogiuolo di
processi di integrazione (caso
Europa) e di globalizzazione. An-
cora, Europa-mondo. Con la gui-
da analitica di Amartya Sen a
proposito del carattere plurale di
qualsivoglia identità. Le politiche
dell’identità riemergono nei pro-
cessi del terrorismo dell’Isis nel
quadro di guerre e collasso di
stati come Siria e Libia. Le grandi
ondate migratorie generano ri-
sposte identitarie in Europa che,
a loro volta, generano credenze e
condotte non solo difensive, ma
xenofobe. Il sapere storico ci
mostra, sul versante europeo,
l’emergere e il riemergere della
tensione identitaria nella forma
della tensione fra dimensione na-zionale e dimensione sovranazio-nale. Ecco un altro dei temi ricor-
renti in queste
pagine. La ten-
sione fra la dife-
sa di “aree di
sovranità statu-
ale e il graduale
estendersi della
sfera di sovrani-
tà condivisa da
gestire in comu-
ne al livello so-
vranazionale”.
Jean Monnet:
“le nazione so-
vrane del pas-
sato non sono
più il quadro in
cui possano ri-
solversi i pro-
blemi del pre-
sente.” E’ u-tile
individuare con chiarezza la va-
rietà delle i-dentità europee co-
me varietà delle culture europee,
in parte iscritte nelle storie delle
nazioni. François Mitterrand:
“l’Europa delle culture quale au-
tentica Europa delle nazioni con-
tro quella dei nazionalismi”. Di nuovo, di fronte alla crisi attuale,
abbiamo bisogno di capacità di
visione e autorevolezza delle
leadership politiche europee. Ne
è condizione, scrive Napolitano,
anche la comprensione, che è
venuta deperendo, del rapporto
fra agire politico e consapevolez-
za storica. Ed ecco un altro dei
temi ricorrenti in queste pagine.
Forse, uno dei temi più difficili,
perché investe le trasformazioni
dei rapporti fra politica come
professione e scienza come pro-
fessione, per dirla con Max
Weber. Lo sfondo è ora quello del
duplice nesso Italia/Europa e
Europa/Mondo. E il problema è di
nuovo quello delle responsabilità
delle leadership politiche. Negli
a n n i d e i p o p u l i s m i e
(a pagina 9)
L’editoriale
di Salvatore Veca
LA POLITICA
COME PASSIONE
SPECIALE SPECIALE SPECIALE
Collegio Nuovo
e Nuovine
nel mondo
Una tradizione che cresce
e si rinnova ogni anno
Trentatré alunne del Collegio Nuovo all’estero
nell’anno 2015, con supporto economico di-
retto del Collegio o dei suoi partner universi-
tari in tutto il mondo, sono il miglior segno
d e l l a d i m en s i o n e i n t e r n az i o n a l e
dell’ist i tuzione fondata nel 1978
dall’imprenditrice Sandra Bruni Mattei.
Paola Bernardi
PAGINE 2-3-4-5
NNNEVEREVEREVER
AAALONELONELONE
Paola Mo Foto Barbara Pinca - Pavia Fotografia
PAGINE 6-7-8
Carlo MoCarlo Mo In mostra
Ricordo
di Emilio Gerelli
Luigi Bernardi
PAGINA 9
IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 2
Trentatré alunne del Collegio
Nuovo all’estero nell’anno
2015, con supporto
economico diretto del
Collegio o dei suoi partner
universitari in tutto il mondo,
sono il miglior segno della
dimensione internazionale
dell’istituzione fondata nel
1978 dall’imprenditrice
Sandra Bruni Mattei, come
pure del valore importante
che la stessa istituzione
attribuisce alle esperienze di
studio e di incontro al di
fuori dei confini per la
crescita globale e il successo
delle proprie studentesse. Ed è inoltre significativo che la
maggioranza (64%) di tali
opportunità sia stata offerta fuori
Europa, in Asia (46%),
America/Stati Uniti (15%) e Africa
(3%). Le nazioni raggiunte dalle
Nuovine nel 2015 sono state
tredici, soprattutto Giappone (8
studentesse), Germania (6), Stati
Uniti (5), Dubai e Cina (3) e le
città sedici, tra cui Tokyo (8),
Heidelberg (5), Pechino (3), New
York e Miami (2). Ventuno le
Nuovine all’estero grazie alle sette
partnership del Collegio:
Università di Mainz e di
Heidelberg, Barnard College-
Columbia University di New York,
Dubai Women’s College,
Ochanomizu University di Tokyo,
China Women’s University di
Pechino e Shandong Women’s
University. Oltre a queste il
Collegio è anche parte attiva in due
network internazionali: dal 2004 la
rete WEW – Women’s Education
Worldwide, che riunisce più di 50
college e università di prestigio che
condividono l’obiettivo della
formazione di qualità delle donne e
dal 2012 The Women in Public
Service Project, lanciato da Hillary
Clinton allo scopo di innalzare in
tutto il mondo al 50% la presenza
femminile ai ruoli apicali nella vita
pubblica. Altre otto alunne hanno
invece partecipato a meeting in
Europa (Budapest, Bruxelles
Londra, Varsavia ecc.) promossi da
EucA, la rete europea di collegi
universitari, di cui pure il Nuovo fa
parte, come membro della
Associazione dei 14 Collegi di
merito italiani. Contando anche
loro, le opportunità all’estero
offerte dal Collegio nel 2015 alle
proprie alunne sono state ben 42,
che diventano 45 con i tre
contributi assegnati dalla
Associazione Alumnae.
Un bel segno che continua una
tradizione e un’apertura ben
radicata in Collegio sin dai primi
anni, anche su esempio della
Fondatrice, persona davvero
cosmopolita e “senza frontiere”,
grande viaggiatrice in tutti i
continenti, con amicizie e interessi
ovunque. È una tradizione grazie
alla quale più della metà del
migliaio di studentesse che in quasi
quarant’anni hanno animato il
Collegio ha potuto varcare i confini
del nostro Paese e, dall’altra parte,
almeno tre centinaia di giovani
internazionali sono state ospitate al
Nuovo. A partire dall’anno stesso
di apertura, quando fu accolta la
prima, una neolaureata somala, e si
diede già inizio ai corsi di lingue
interni per le alunne. Solo tre anni
dopo (1981) veniva firmato il
primo accordo di scambio
studentesse con un’antica
università europea come la
Johannes Gutenberg di Mainz e le
ospiti internazionali erano oltre la
decina: un numero che si manterrà
invariato negli anni a venire e
vedrà un ulteriore importante
incremento a partire dai primi anni
Duemila, con l’apertura della
Sezione (mista) riservata a
neolaureati e giovani ricercatori, in
maggioranza stranieri.
Sempre nel 1981 il Collegio inizia
a erogare alle sue alunne borse per
soggiorni estivi finalizzati sia allo
studio delle lingue che a stage di
ricerca, mentre data al 1987 (lo
stesso anno dell’inizio del
programma Erasmus di cui pure
molte Nuovine hanno usufruito)
l’avvio delle borse di
perfezionamento post laurea,
sempre all’estero. La pioniera, per
un Master all’Università di Hull, fu
l’economista Renata Bonfiglio, ora
Manager Investor in una società
milanese. Anche questa
un’iniziativa destinata a dare
grandi frutti, se consideriamo che
molte di quelle giovani
neolaureate, partite spesso con
l’intenzione di star via solo pochi
mesi, sono oggi affermate docenti
in Università di tutto il mondo,
come Barbara Casadei, la prima
donna diventata Full Professor in
Cardiologia a Oxford (e attuale
Vice Presidente della Società
Europea di Cardiologia), Alessia
Fornoni, Full Professor in
Nefrologia alla Miami School of
Medicine (dove accoglie di
frequente per stage studentesse in
Medicina del Nuovo) o ancora
Marina Cerrone, Research
Assistant Professor in Cardiologia
alla New York University. Non
solo medici, naturalmente, ma, tra
le tante altre, anche docenti o
ricercatrici di Letteratura italiana
(Giuliana Adamo, Trinity College
di Dublino e Silvia Albesano,
Università della Svizzera Italiana),
Ebraistica (Silvia Castelli, Vrjie
Universiteit, Amsterdam e Gaia
Lembi, Brown University, USA),
Archeologia (Laura Puritani,
Museo statale di Berlino), Filosofia
(Michela Summa, Università di
Würzburg), Scienza Politica
(Maria Paola Ferretti, Università di
Darmstadt), Fisica (Magda
Arnaboldi, European Southern
Observatory, Monaco di Baviera),
Biologia e Genetica (Daniela
Moralli, Università di Oxford;
Flavia Spirito, Università di Nizza;
Erica Bellinvia, Università di
Praga; Lia Paola Zambetti, Agency
of Science, Technology and
Research, Singapore; Anna Merlo,
Salk Institute, La Jolla, California;
Lia Antico, Università di Ginevra;
Blerida Banushi, University
College London), Bioingegneria
(Rossana Motta, San Diego
University, USA). Come pure
dirigenti, funzionarie e
professioniste, tra cui: Cristina
Castagnoli, Parlamento Europeo;
Maria Francesca Nespoli,
Ambasciata d’Italia a Washington;
Michela Pagano, Unesco, Parigi;
Chiara Feder, Governo
dell’Alberta, Canada; Laura
Carminati, Cargill Investor
Services, Londra; Maria Vologni,
Institutional Shareholder Services,
Bruxelles; Anna Lanzani,
Marketing Director, Molinos Rio
della Plata, Buenos Aires, Chiara
Ravezzani, Peter Dann Consulting
Engineers, Cambridge e tante altre.
A conferma del contributo offerto
dalle Nuovine a quella
“circolazione” internazionale di
cervelli che è sempre stata una
caratteristica della cultura e delle
professioni ai livelli superiori, da
non confondersi con la “fuga” di
cervelli che colpisce molti giovani
in cerca di occupazione. Fuga che
non ha mai toccato le nostre
laureate, per le quali trovare lavoro
non è mai stato un problema, anche
nei momenti di crisi: lo ha
confermato una recente indagine
che ha evidenziato un tasso di
occupazione al 92% entro sei mesi
dalla laurea. Del resto qualcuna,
dopo qualche anno all’estero, è
invece tornata nel nostro Paese,
come Livia Capponi (Storia antica)
rientrata all’Università di Pavia da
quella inglese di Newcastle per
aver vinto una delle prime borse
Rita Levi-Montalcini per il rientro
in Italia di giovani ricercatori (e
che ora condivide la stanza in
Dipartimento con un’altra Nuovina
antichista, Chiara Carsana, già
borsista del Collegio allo
University College London) o
Rosa Bernardi (Biologia) rientrata
al San Raffaele di Milano dalla
Harvard Medical School grazie a
un finanziamento della Fondazione
Armenise-Harvard. C’è anche poi
chi parte, torna e poi riparte, come
Maria Guglielma Da Passano,
funzionaria FAO, che, dopo un
periodo in Africa e uno successivo
a Roma, è di nuovo in partenza per
l’Uganda.
E non certo di meno si sono
affermate anche le giovani
neolaureate internazionali che il
Collegio Nuovo ha ospitato negli
anni: tra loro, in campo
accademico, le italianiste Mariko
Muramatsu (Università di Tokyo) e
Rodica Diaconuscu (Vassar
College, USA), la germanista
Deborah Holmes (Università del
Kent), la matematica Mabel
Asensio Sevilla (Università di
Salamanca), la fisica Fugen Tabak
(Università di Ankara), la chimica
Kamal Singh (Amravati
University, India, di cui è stata
anche Rettrice). E anche la
scrittrice Lise Chapuis, che per
prima ha tradotto in francese i libri
di Antonio Tabucchi, da lei
scoperto proprio mentre era a
Pavia.
Le prime due partnership
in Europa.
Università di Mainz (1981)
e di Heidelberg (1991)
Ma torniamo alla storia e al
progressivo ampliamento dei
rapporti internazionali del
Collegio. Dopo l’accordo con
Mainz (1981), nato grazie anche
all’amicizia di Maria Corti con il
collega magontino Kurt Ringger e
inaugurato dalla letterata Melania
Mandarà (oggi docente al Liceo
italiano di Istanbul) e, per la parte
tedesca, da Brigitte Scheuerle (oggi
funzionario alla Camera di
Commercio di Francoforte), il
secondo fu siglato nel 1991 ancora
con un’università storica tedesca,
la prestigiosa Heidelberg. Questa
volta, a farsene promotore fu il
filologo Edgar Radtke, da poco
approdato come docente nella bella
(a pagina 3)
(a pagina 3)
Paola Bernardi
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
A sinistra 2012, Ginling College di Nanchino. Meeting della rete WEW. A destra 2015, Atlanta. Meeting WEW.
Pagina 3 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016
città sul Neckar, che ben
conosceva Pavia e i suoi collegi
per esser stato alunno straniero in
Ghislieri durante il suo anno di
perfezionamento in Università. In
cambio dell’ospitalità al Nuovo per
un semestre di studio alla Facoltà
di Lettere per una sua studentessa,
Heidelberg si impegnava a
garantire ad altrettante Nuovine
cinque posti nel suo rinomato
Ferienkus, il corso di lingua e
cultura tedesca che ogni anno in
agosto attira in città oltre 500
giovani da tutto il mondo. Come
l’accordo con Mainz, che ha visto
arrivare a Pavia e partire per la
Germania quasi una quarantina di
studentesse da ambo le parti, anche
quello con Heidelberg ha molto
contribuito ad ampliare la
prospettiva internazionale delle
Nuovine, non solo letterate, con
oltre 120 di loro che ne hanno
usufruito in quasi 25 anni. In molti
casi la conoscenza del tedesco si è
rivelata poi un vero vantaggio per
le loro successive carriere. Ne sono
convinte, tra le altre, Barbara de
Muro, Avvocata in Milano, appena
nominata Vice Presidente di ASLA
– Associazione Studi Legali
Associati, Antonella
Francabandera, laureata in Lettere,
ora manager Risorse umane in una
multinazionale in Germania o
Viviana Palumberi, docente di
Matematica al Liceo di Aarau, lo
stesso in cui si diplomò Einstein. O
ancora le più recenti laureate
Valentina Fermi, neurobiologa, che
si sta perfezionando proprio a
Heidelberg, Elisa Gilardi,
dottoranda in Chimica al Max
Planck Institute di Stoccarda e
Federica Malfatti, dottoranda in
Filosofia del linguaggio a
Innsbruck. Non è certo quindi un
caso se ogni anno molte alunne
fanno la fila per tale opportunità,
che va ben oltre quella
dell’imparare le lingua, poiché
offre anche la possibilità di incroci
e amicizie con giovani di tutto il
mondo. Ed è anche successo che
alcune alunne si siano poi fermate
stabilmente a vivere in Germania,
per motivi di lavoro o anche di
matrimonio, così come è capitato
anche a più studentesse tedesche
qui in Italia: tra le altre Anke
Fischer, prima assistente scientifica
a Villa Vigoni, Centro italo-
tedesco per l’Eccellenza europea
sul lago di Como, ora invece
consulente per gli studenti del
corso Fashion, Culture and
Management dell’Università di
Bologna.
La terza partnership
in Europa.
New Hall College,
Cambridge (1997)
Sei anni dopo l’accordo con
Heidelberg, nel 1997, arriva il
terzo partner europeo per il
Collegio Nuovo, il New Hall
College (ora Murray Edwards) di
Cambridge, fondato (1954) come il
Nuovo da una donna, Rosemary
Murray, chimica e prima donna a
ricoprire la carica di Vice
Chancellor nella storia dell’antica
università inglese. Tra le sue
Alumnae anche l’attrice Premio
Oscar Tilda Swinton.
L’accordo con New Hall
rappresenta una pietra miliare nella
storia del Collegio Nuovo, sia per
aspetti di carattere formativo che
per i rapporti internazionali. Questa
volta si tratta infatti di uno
women’s college, parte sì
dell’Università di Cambridge, ma
anche molto impegnato nella
formazione mirata delle donne. Nel
1997 gli scambi Erasmus in Europa
sono diventati una realtà ben
consolidata, di cui usufruiscono
sempre più alunne. Ecco quindi per
il Nuovo il desiderio di offrire
qualcosa di più alle proprie
studentesse, un’esperienza che non
sia solo accademica e di vita, ma
che possa anche affinare le loro
qualità specifiche per l’ingresso nel
mondo del lavoro, oltre che
prepararle ad affrontare al meglio
le difficoltà ancora esistenti per le
donne che ambiscono a ruoli di
vertice. New Hall è il partner
giusto anche per questo. A creare il
contatto è l’allora Rettore della
nostra Università, Roberto Schmid,
che, nelle riunioni delle 38
università storiche europee del
Gruppo di Coimbra, ne aveva
conosciuto la President Anne
Lonsdale, una stimata docente di
sinologia, amica tra l’altro della
leader birmana Aung San Suu Kyi
durante i suoi anni a Oxford. Anne
Lonsdale era alla ricerca di un
partner in Italia per le sue
studentesse interessate a studiare la
nostra cultura, esattamente come il
Collegio Nuovo al di là della
Manica. Ci volle poco a intendersi:
a unire i due partner, nome a parte,
l’ambiente giovane e informale e
soprattutto l’attenzione specifica
alla formazione femminile. Già
nell’autunno del 1997 partirono dai
due collegi le prime alunne di
scambio, entrambe letterate, Saskia
Avalle (dal 2006 coordinatrice
delle attività accademico-culturali
del Collegio Nuovo) e Senay
Camgoz (oggi all’UNICEF). Lo
scambio con New Hall, attivo per
15 anni, ha dato anch’esso molti
frutti positivi, con oltre una
dozzina di studentesse e
neolaureate di ambo le parti che ne
hanno usufruito per l’intero anno o
anche per più anni (tra le quali pure
laureate in discipline scientifiche,
che a Cambridge hanno conseguito
i loro PhD, come Barbara
Falabretti in Fisica o Letizia
Diamante in Chimica) e un numero
almeno triplo dal Nuovo per più
brevi soggiorni estivi.
Il Duemila. Oltre l’Europa:
la rete internazionale
WEW (2004)
Ma c’è un altro motivo per cui il
contatto con New Hall è stato,
come detto, fondamentale per il
Collegio Nuovo, perché fu proprio
grazie al college gemello di
Cambridge che il Nuovo, nei
primissimi anni Duemila, riesce ad
ampliare i suoi rapporti
internazionali in un modo fino ad
allora quasi inimmaginabile. Fu
infatti Anne Lonsdale, nel 2003, a
suggerirne il nome, unico in Italia,
tra le istituzioni invitate a costituire
la rete internazionale WEW –
Women’s Education Worldwide,
mirata a mettere in contatto le più
prestigiose istituzioni universitarie
femminili di tutto il mondo, con
l’obiettivo primario della
condivisione tra loro delle migliori
azioni per la formazione specifica
delle donne. L’ingresso nella rete,
formalizzatasi nel primo,
emozionante incontro del 2004 a
Boston (cui partecipò anche
l’Alumna Grazia Bruttocao, ora
Portavoce del Rettore Fabio
Rugge), ha significato per il Nuovo
superare i confini europei ed
entrare davvero nel “gotha” delle
istituzioni mondiali che avevano
sempre fatto della formazione delle
donne la loro missione, oltre che la
storia. Dai più antichi college
universitari femminili degli Stati
Uniti, come quelli riuniti nel
gruppo delle Seven Sisters fondati
tra il 1837 e il 1889, i college di
Hillary Clinton, Madeleine
Albright, la prima donna Segretario
di Stato USA e Nancy Pelosi, la
prima donna Speaker del
Congresso americano, come pure
delle scrittrici, Emily Dickinson,
Patricia Highsmith e Gertrude
Stein, delle attrici Katharine
Hepburn e Meryl Streep, ai più
recenti in Asia, Africa e Australia,
da cui pure sono uscite personalità
femminili di grande rilievo, anche
loro tutti molto sensibili alla
necessità di formare donne leader.
La partnership
con il Dubai Women’s
College (2004)
Il primo risultato dell’ingresso
nella rete WEW fu, nello stesso
2004, la partecipazione della
Alumna giurista Stella Abbamonte
alla Insight Dubai Conference, un
meeting annuale di circa 50
studentesse occidentali con
altrettante islamiche, promosso dal
Dubai Women’s College con
l’obiettivo di farle interagire tra
loro su temi legati alla cultura e al
ruolo delle donne nei rispettivi
Paesi. Da quel primo meeting,
rimasto memorabile anche per la
presenza di Benazir Bhutto, allora
in esilio a Dubai, ogni anno due o
tre alunne del Nuovo sono
attivamente presenti. In undici
anni, con le tre del 2015, il loro
numero complessivo è salito a 23.
Inutile dire quanto sia importante
per tutte, soprattutto in questo
momento di contrapposizioni di
idee e religioni, una simile
occasione di scoprire che, al di là
delle apparenze, sono più i punti in
comune che quelli che dividono.
La partnership
con il Barnard College -
Columbia University
di New York (2008)
Nasce dalla rete WEW anche la
quinta partnership del Collegio,
quella siglata nel 2008 con il
Barnard College, affiliato alla
Columbia University di New York,
lo women’s college probabilmente
di maggior reputazione nel mondo,
il più antico di New York e tra i
più antichi del mondo, segnalato in
particolare per la sua eccellenza
dalla Alumna Maria Francesca
Nespoli, allora a Columbia.
Fondato nel 1889 dal matematico
Frederick Barnard è stato per quasi
(da pagina 2)
(a pagina 4)
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
2013, Tokyo, Ochanomizu University. Firma dell’accordo.
A destra 2015, Pechino. Firma dell’accordo
tra Collegio Nuovo e China Women’s University.
Nell’altra pagina, nel titolo Sopra Studentesse
da tutto il mondo al Collegio Nuovo per la WEW.
Sotto 2011, Pavia. Studentesse della rete WEW
al Collegio Nuovo per la Student Conference.
A sinistra 2010. Tre alunne del Nuovo a Sydney. Al centro 2012, Tokyo. A destra 2013. Tre alunne del Nuovo a Tokyo Ochanomizu University.
IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 4
100 anni (Columbia ha ammesso le
donne solo nel 1983), la maggiore
fucina dei cervelli femminili
newyorkesi. La sua sede originaria
è proprio di fronte a Columbia, con
cui le studentesse di Barnard
condividono docenti,
insegnamenti, spazi, biblioteche,
attività sportive. Anche Barnard
vanta Alumnae di prestigio, come
l’antropologa Margaret Mead, le
scrittrici Erica Jong e Jhumpa
Lahiri, l’attrice Cynthia Nixon e
pure Judith Smith Kaye, prima
donna Presidente della Corte
d’Appello di New York (1993-
2008) e Jeane Kirkpatrick, prima
ambasciatrice USA alle Nazioni
Unite (1981-85). E si dice che
presto potrebbe chiedere
l’ammissione (molto selettiva,
circa 8 su 100 domande) Malia, la
figlia maggiore del Presidente
Obama. Non a caso lo stesso
Obama scelse il Barnard, durante
la campagna per la rielezione del
2012, come il luogo migliore per
rivolgere il suo discorso elettorale
più forte alle donne americane.
L’accordo con Barnard si è rivelato
davvero una grande opportunità
formativa per le Nuovine e pure un
grande unico privilegio. Non solo
permette loro di essere ammesse
(3/4 l’anno) ai corsi anche di
Columbia (il che non è già cosa
facile per nessuno studente), ma
pure a costi davvero accessibili,
considerati quelli delle università
americane: la tassa di iscrizione
semestrale riservata alle
studentesse del Nuovo è infatti di
circa 2.000 dollari (per altro pagati
per loro dal Collegio, che le
sostiene anche per le spese di
alloggio) contro i 23.000 delle
alunne interne. Dal 2009, anno in
cui partì la prima Nuovina, Alberta
Spreafico (Scienze Politiche), che
poi a NYC è tornata più volte,
anche per un intervento all’ONU
su temi di sviluppo sostenibile, 16
sono state le alunne del Nuovo al
Barnard per l’intero Spring
Semester. E altrettante vi hanno
trascorso un periodo estivo. Quasi
tutte studentesse di facoltà
umanistiche o di area giuridico
sociale, in linea con il carattere di
“liberal arts college” proprio del
Barnard, ma anche di Medicina,
Chimica, Fisica o Ingegneria per i
più brevi periodi estivi.
Allo scadere del 2008, anno del
suo trentesimo di fondazione, il
Collegio Nuovo poteva quindi
contare già su cinque partnership,
tre in Europa, una in Medio
Oriente e una negli Stati Uniti, e
inoltre aveva già assegnato alle sue
studentesse 404 posti di scambio
presso i suoi partner o borse per
l’estero. Tra queste 130 per
perfezionamenti post laurea di
almeno un semestre, in un
centinaio di Università o enti di
ricerca di gran fama, compresa la
Harvard Medical School, il
Karolinska Institutet di Stoccolma,
il CERN di Ginevra, la London
School of Economics, l’Imperial e
il King’s College di Londra,
l’Ècole du Louvre e il Pasteur di
Parigi, le Università di Oxford e
Cambridge e via dicendo. E aveva
inoltre ospitato (senza contare la
Sezione laureati) 249 studentesse o
neolaureate internazionali, oltre a
una cifra ancora maggiore per
periodi più brevi. Europee
soprattutto (80%) e letterate, ma
con buona presenza anche dagli
altri continenti e di più ambiti di
studio, quasi tutte per l’intero anno
accademico.
Nuovo e Nuovine
sempre più nel mondo:
Boston, Sydney, Shanghai
Un bilancio sicuramente positivo,
destinato a incrementarsi
ulteriormente negli anni successivi,
grazie anche a due eventi promossi
in Collegio per la rete WEW.
Ancora nel 2008 il meeting di
Presidenti, Rettrici e Docenti della
rete (il terzo dopo Boston e Dubai),
nel 2011 quello riservato invece
alle studentesse, una quarantina da
tutti i continenti, con prevalenza di
asiatiche. Due ottimi investimenti
per il Nuovo che di molto
contribuiscono a far conoscere il
Collegio, le sue attività e la qualità
delle sue studentesse ai partner
convenuti da tutto il mondo. E che
hanno dato i loro frutti
velocemente, come vedremo.
Gli anni successivi vedono infatti,
oltre alle tradizionali borse di
studio e posti di scambio (in media
non meno di 25 l’anno), alcune
occasioni davvero imperdibili per
le Nuovine, quasi tutte fuori
Europa, verso cui il Nuovo è ormai
proiettato. Già nel 2008 due
studentesse (Livia De Rosa,
giurista, ed Elisabetta Di
Bernardini, biotecnologa, che dopo
un PhD al King’s College di
Londra è appena rientrata in Italia
come Associate Scientist in una
multinazionale) avevano avuto
occasione di partecipare alla prima
WEW Student Leadership
Conference promossa in
Massachusetts da Smith e Mount
Holyoke, i due college fondatori
della rete. Due anni dopo, nel
gennaio 2010, il quarto meeting
WEW allo Women’s College della
Sydney University, vede la
partecipazione, nella sessione
dedicata alle studentesse, di tre
alunne (cofinanziate anche della
Fondazione Comunitaria di Pavia):
ancora Alberta Spreafico e con lei
Federica Penner (Medicina, ora
specializzanda in Neurochirurgia) e
Angelica Sartori (Fisica, ora
consulente nel mondo del Risk
Management). Nell’ottobre, la
visita a EXPO 2010 e ad alcune
realtà universitarie e aziendali di
Shanghai, promossa dalla
Associazione dei Collegi di merito
italiani e alla quale parteciparono,
cofinanziate questa volta anche
dalla Fondazione Cariplo, ancora
tre collegiali: Laura Di Lodovico
(ora specializzanda in Psichiatria a
Parigi), Chiara Leone (neolaureata
con encomio in Medicina) e
Beatrice Plazzotta (dottoranda in
Chimica in Danimarca). Tre
occasioni molto formative, che
spingono il Collegio sempre più
fuori Europa alla ricerca di partner
ancora più lontani, Cina e
Giappone soprattutto. Paesi coi
quali verranno infatti siglati i tre
più recenti accordi: il primo, allo
scadere del 2011, è con la
Shandong Women’s University di
Jinan, capitale dello stato di
Shandong, la culla del
confucianesimo.
Il progetto WPSP lanciato
da Hillary Clinton (2012)
L’anno successivo, il 2012, è
davvero un altro anno d’oro per il
Nuovo e le Nuovine (in 34
all’estero grazie al Collegio):
l’anno dell’invito al Collegio a
collaborare con il nuovo
programma lanciato da Hillary
Clinton, allora Segretario di Stato
USA, Women in Public Service
Project, di cui si è detto. Un
programma che la Clinton lancia
proprio nel suo college, Wellesley,
quello che, afferma nella sua
autobiografia, è stato il miglior
investimento della sua vita, anche
per averle offerto, per la prima
volta, l’occasione di mettere a
prova la propria leadership negli
organismi studenteschi. E che ora,
naturalmente, tifa tutto per la sua
elezione a Presidente degli Stati
Uniti! Anche da questa
collaborazione, che continua grazie
al Wilson Center di Washington, è
nata subito una bella occasione per
le Nuovine, che in tre hanno
partecipato a Bruxelles, nel luglio
2013, a una settimana di seminari
dal titolo Women Leaders in
International Relations.
Comparing Ue and US
Experiences, promossa in
particolare dalla allora Direttrice
dell’Istituto italiano di cultura
Federiga Bindi, con il nostro
Collegio tra i partner. Le
studentesse Elena Bernini (Scienze
Politiche, ora a Oxford per la
laurea magistrale in Development
Studies), Simona Cavasio
(Giurisprudenza, ora a Londra per
uno stage in uno studio legale) e la
Alumna Helga Carlotta Zanotti
(Avvocato) ebbero in quella
settimana occasione di interagire
con donne leader del calibro di
Anne Marie Slaughter (docente a
Princeton e tuttora stretta
collaboratrice della Clinton),
Valerie Biden (artefice delle
campagne elettorali del fratello
Joe, Vice Presidente USA),
Marjorie Margolies (giornalista,
già membro del Congresso degli
Stati Uniti) e, per la parte europea,
Marta Dassù, allora Vice Ministro
degli Esteri o Androulla Vassiliou,
al tempo Commissaria europea per
l’Istruzione e la Cultura.
Nuove partnership
nel lontano Oriente:
Ochanomizu University
di Tokyo (2013) e China
Women’s University
di Pechino (2015)
Il 2012 è anche l’anno dell’invito,
unica istituzione europea (gli altri
due invitati sono per l’America
Mount Holyoke, il più antico
women’s college del mondo, e per
l’Asia Ewha Womans University
di Seoul, la più grande università
femminile di tutti i continenti, da
cui sono uscite tutte le donne
“first” della Corea, compresa una
Prima Ministra) a un seminario
promosso dalla Ochanomizu
University di Tokyo, sul tema
dell’avanzamento della leadership
femminile. Invito esteso anche in
questo caso a tre alunne, Chiara
Gelati (Lettere, ora
“comunicatrice” in una
multinazionale), Martina Sampò
(Scienze Politiche, appena laureata
alla London School of Economics)
e Linda Santini (Economia,
neolaureata e ora impegnata in un
tirocinio in Spagna). Ed è anche
l’anno del quinto meeting della rete
WEW, al Ginling College di
Nanchino: un meeting che fa
soprattutto da vetrina alle tante
istituzioni universitarie femminili
della Cina, Paese in cui ormai,
come in quasi tutti quelli del
mondo sviluppato, la percentuale
di donne laureate negli ultimi anni
supera quella degli uomini (in
Italia il sorpasso dura ormai dal
1981). Sono due occasioni che
danno anch’esse una forte spinta
per i due successivi accordi, quello
firmato a Tokyo nel 2013 con la
stessa Ochanomizu University e il
successivo firmato a Pechino nel
2015 con la China Women’s
University: entrambe istituzioni
che per altro già conoscevano il
Collegio Nuovo per avervi inviato
in avanscoperta dirigenti e
studentesse per i due meeting del
2008 e del 2011. E, da
(da pagina 3)
(a pagina 5)
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
Sopra a sinistra 2013, Bruxelles. Alunne del Nuovo
al Seminario WPSP.
Sotto a sinistra 2015, Boston. Meeting EucA-MIT.
Qui sopra 2015, due alunne del Nuovo alla Miami School of Medicine.
Pagina 5 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016
Ochanomizu, pure un docente, il
giurista Masao Kotani, traduttore
in giapponese del testo di Beccaria
Dei Diritti e delle Pene e molto
sensibile, anche per questo motivo,
all’Università di Pavia!
Ochanomizu è la più antica (1875)
e la più grande (circa 3.000 le
studentesse) università femminile
pubblica del Giappone, che ha
come motto “Un luogo dove tutte
le donne che sono motivate a
imparare possono realizzare i loro
seri sogni”. Conta oltre 40 partner
in tutti i continenti e ogni anno
invita nella propria sede un bel
numero di loro studenti e
studentesse per frequentare
Summer Schools in più temi, sia
socio culturali che scientifici, in
linea col suo carattere
interdisciplinare. L’accordo del
2013, firmato con la President
Sawako Hanyu, filosofa, in soli tre
anni ha portato ben 17 Nuovine
nella capitale dell’Impero del Sol
Levante. E nel corrente anno
accademico ha anche offerto a due
studentesse giapponesi, Aiko e
Yuri, (entrambi di Scienze
Politiche) la possibilità di essere
ospitate al Nuovo, portandovi tutta
la loro grazia orientale! Come pure
a due alunne del Collegio (Lara
Betti e Sara Daas, letterate) di
essere invitate, con la Alumna
Piera Molinelli, docente di
Linguistica a Bergamo, al meeting
What’s happens when different
cultures meet?.
La seconda partnership nel lontano
Oriente arriva nel 2015, con la
China Women’s University di
Pechino, la “casa madre” di tutte le
università cinesi riservate alle
donne, fondata nel 1948 anche da
Soong Ching Ling, vedova di Sun
Yat Sen e lei stessa Presidente
della Repubblica Popolare cinese
(1968-72) oltre che per molti anni
Vice Presidente dell’Assemblea
nazionale del Popolo. Una grande,
moderna istituzione, che offre una
formazione interdisciplinare,
soprattutto nei settori
dell’economia e della computer
science. Accoglie 4.000
studentesse e può vantare più di
60.000 laureate, cui è
unanimemente riconosciuto un
importante contributo allo sviluppo
del Paese. Il suo motto è in latino:
“Virtus, Caritas, Scientia and
Cultura”. La CWU fu parte attiva
della storica 4th World Women’s
Conference che si tenne a Pechino
nel 1995: di qui l’idea di
celebrarne il ventennale con il
meeting Women’s Higher
Education and Gender Equality:
Women’s University Development
Stategies, al quale il nostro
Collegio ha avuto l’onore di essere
invitato, insieme a poche altre
istituzioni di Asia e Stati Uniti, per
presentare la propria attività alle
dirigenti delle università femminili
della Cina, convenute da tutte le
provincie. Presenti, anche questa
volta, tre alunne del Nuovo:
Martina Comparelli (Scienze
Politiche, in procinto di trasferirsi
in Inghilterra per la laurea
magistrale), Francesca Di Massimo
(Matematica) e Lara Princisvalle
(Filosofia). Tre giorni molto intensi
di confronto, anche tra studentesse,
e la firma, con la President Liu
Liqun (una leader nel suo Paese
negli Studi di genere) di un
memorandum che getta le basi per
una futura collaborazione. Che, ci
auguriamo, porti presto altre
Nuovine in Cina, come in passato
Laura Demartini (ora Responsabile
dell’Unità di Terapia del Dolore
della Fondazione Maugeri) che
proprio a Pechino spese un periodo
di perfezionamento all’Accademia
di Medicina tradizionale cinese.
Ancora gli Stati Uniti.
Nuove condivisioni:
Atlanta, Yale University
e MIT (2015)
Ma l’anno 2015 ha visto anche altri tre momenti di condivisione
significativi per il Collegio Nuovo,
tutti negli Stati Uniti: in primo
luogo la partecipazione, in gennaio,
ad Atlanta, al meeting WEW,
promosso questa volta da Agnes
Scott e Spelman, due storici college
della capitale della Georgia, la città
di Martin Luther King (oltre che
della Coca Cola…). Diversi tra loro
(Agnes Scott, fondato nel 1889 dalla Chiesa presbiteriana si trova a
Decatur, la zona più “bianca” e
benestante dell’area di Atlanta,
mentre Spelman, fondato nel 1881
dalla Chiesa Battista, è da sempre
rivolto alle black women
afroamericane), ma uniti
nell’obiettivo comune della formazione femminile, i due college
hanno voluto incentrare il meeting
su Women, Leadership and
Sustainability. Tema che è stato
declinato in più settori, ambiente,
energia, clima, salute,
alimentazione con presentazione
anche di progetti specifici, tra cui il
“Wellness” di Spelman: un
investimento di alcuni milioni di
dollari per educare, attraverso l’attività sportiva e l’alimentazione,
le donne ad avere maggior cura
della propria persona e salute. Tutti
sono stati d’accordo: lo sviluppo
sostenibile è una questione di
fondamentale importanza per il
presente e il futuro dell’umanità e le
istituzioni formative possono, e
devono, giocare un ruolo
importante nel sensibilizzare le
generazioni più giovani. Subito dopo Atlanta, è la volta di New
Haven, la cittadina del Connecticut
resa unica dalla presenza della Yale
University (la terza negli USA per
fondazione e sempre tra le
primissime nelle classifiche
mondiali) e dei suoi dodici college,
che davvero “sono” la città con le
loro nobili architetture neogotiche.
Qui insegnano Serap Aksoy,
biologa, collega e amica della Presidente del Consiglio di
Amministrazione della Fondazione
Sandra e Enea Mattei che inquadra
il Collegio, Anna Malacrida (pure
presente), lei stessa più volte ospite
in Collegio durante i suoi periodi di
studio a Pavia, e la Nuovina
Katherina Politi, patologa, che
dirige un Laboratorio impegnato
nella ricerca sul cancro. Grazie a
loro, è facile il contatto coi Master dei due College di cui sono Fellow,
il Davenport e il Trumbull, coi quali
si inizia a parlare di future
collaborazioni. Intanto la Nuovina
biologa Francesca Scolari, allieva
della Presidente Malacrida, è già di
casa nel laboratorio di Serap e
presto potrebbero aprirsi altre
opportunità grazie a Katherina.
La terza occasione di incontro, in
luglio, è invece a Boston, più precisamente a Cambridge, nella
sede del Massachusetts Institute of
Technology, la mitica istituzione
politecnica fondata nel 1861, che
vanta 85 Premi Nobel (e anche 34
astronauti!). Questa volta si tratta di
una settimana di confronto (EucA-MIT Symposium: The Key Role of
Students Affairs in Delivering
Excellence in Higher Education),
tra una quindicina di
Rettori/Direttori di Collegi della
rete europea EucA con altrettante
persone che al MIT lavorano nel
settore della formazione non
accademica degli studenti. Al MIT
sono iscritti circa 12.500 studenti e
studentesse. Oltre il 30% arriva da quasi 130 nazioni estere, con
preminenza di Cina (20%) e India
(10%). Gli oltre selezionatissimi
4.500 studenti di livello pre laurea
(il 45% donne) vivono in
maggioranza nelle 12 residenze del
campus, che hanno quindi una
dimensione media di quasi 400
ospiti. È quindi naturale che, con
una popolazione così eterogenea e
numerosa, sia necessaria un’attività di supporto per favorire
l’interazione tra gli studenti nelle
rispettive residenze. Obiettivo del
meeting è stato proprio quello delle
condivisione tra europei e americani
delle migliori modalità perché
questa interazione si possa
realizzare, affinché lo studente sia
messo in grado di affrontare lo
studio in un clima il più sereno e
confortevole possibile e inoltre sviluppare al meglio le sue qualità
personali e le sue abilità trasversali,
quelle soft skills che anche
l’Unione Europea raccomanda
come competenze necessarie a ogni
cittadino e quindi da inserire in ogni
percorso formativo, università
comprese. Ognuno dei partecipanti
ha presentato le attività specifiche
del proprio collegio o residenza nel
settore. Al Collegio Nuovo è stato chiesto di sviluppare il tema della
formazione femminile. E farlo in
quella sede è stato sicuramene un
grande motivo di orgoglio. Come è
stato di soddisfazione per noi
europei constatare che molte delle
attività proposte nei nostri collegi
non sono diverse da quelle
promosse dai dirigenti MIT. E che
in ogni modo l’obiettivo è comune:
supportare gli studenti affinché possano trarre il meglio, anche
come persone, dai loro anni
universitari e quindi giungere alla
fine del percorso di studio non solo
con un’ottima preparazione
accademica e un vasto patrimonio
di competenze, ma pure con una personalità libera e armoniosa.
Il presente e il futuro.
Una tradizione
che continua
E ora? Il Nuovo certo non si ferma,
come non si ferma il flusso delle
Nuovine all’estero, sempre con
supporto finanziario del Collegio,
anche nel corrente anno. Lo
dimostrano ancora una volta alcuni dati concreti: quattro studentesse
(Economia, Lettere, Scienze
Politiche e Giurisprudenza) sono da
gennaio al Barnard College a New
York, una (Filosofia) è già stata a
Belgrado per un convegno Unesco
sulla sostenibilità, un’altra
(Ingegneria) è appena partita per
Seattle per un perfezionamento di
sei mesi post laurea in Ingegneria
sismica e un’altra ancora (Linguistica) per Coimbra per un
corso semestrale di portoghese
come lingua seconda, un’altra
(Electronic Engineering) è invece
appena tornata da un convegno
internazionale sulle microonde a
San Francisco. E poi ce ne sono
quattro (Filosofia, Lingue, Fisica e
Biologia) che attendono l’estate per
andare ad Heidelberg e altre sei
(Filosofia, Giurisprudenza, Economia, Scienze Politiche,
Chimica, Medicina) in attesa delle
prossime Summer School di
Ochanomizu University a Tokyo.
Per ora, e non siamo ancora a metà
anno, siamo a quota 18… senza
contare le numerose studentesse,
quest’anno nove, impegnate in
programmi Erasmus in tutta
Europa.
Una bella tradizione che continua… Non per niente, quando si è trattato
di scegliere un motto per il
Collegio, il più gettonato, anche
dalle studentesse, è stato “Il Nuovo
ti apre al mondo”.
Paola Bernardi Rettrice del Collegio Nuovo
Fondazione Sandra e Enea Mattei,
Pavia
(aa pagina 4)
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
C
O
L
L
E
G
I
O
N
U
O
V
O
S
P
E
C
I
A
L
E
Qui sopra 2016, Pavia: Aiko e Yuri, studentesse
di Ochanomizu University di Tokyo
al Collegio Nuovo.
A destra 2016, New York:
Nuovine al Barnard College.
Sopra da sinistra 2015, Pechino: tre alunne
del Nuovo alla China Women’s University.
2015, Dubai: alunne del Nuovo
alla Insight Dubai Conference.
2016, New York: Nuovine al Barnard College.
IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 6
“Caro Sisto, dopo la tua
ultima visita alla permanente di Carlo in
occasione della mostra MO di Carlo Mo mi hai
chiesto di preparare uno scritto di circa 10.000
battute su di lui. Io non ti invito più, sappilo!
… No, sto scherzando, anzi te ne ringrazio e
approfitto per invitare te e tutti i tuoi lettori a
questa inconsueta quanto preziosa mostra che si
inaugurerà al Salone
Teresiano, Università di Pavia, il 27 di maggio.
Mo + Mo scultura e design: Carlo con la sua
scultura e Francesca (sua figlia), molto nota
designer nel campo del gioiello, con i suoi piccoli
capolavori. Finalmente l’imperitura
domanda “qualcuno ha seguito le orme del
papà?” ha trovato una risposta.
Ma torniamo a Carlo: Mo lo scultore dei grandi spazi, Mo l’artista internazionale, Mo il fabbro dogon dalla cui fucina
segreta alla mitica casa del Chiozzo, come la definisce Mino Milani, uscirono molte delle sculture che adornano Pavia. Tanti hanno parlato di lui molto più bravi ed esperti di me,
compreso tu. Così ho deciso di
parlartene come quando mi adopero quale cicerone alla mostra permanente per tanti gruppi e scuole che vengono in visita, chiamando però in mio aiuto alcuni critici e amici in una
ipotetica conversazione passeggiando tra le sue opere. La prima domanda, o la seconda, dei bambini che entrano è “Era tuo marito?” “No era mio papà, io sono la sua figlia maggiore” “Era un bravo papà?” “Un bravissimo
papà!” “Ah … meno male!” Poi l’occhio si perde in un bosco di legno e acciaio. “È lui che ha
fatto tutte queste sculture? Come era?” Facciamo rispondere Giancarlo Romani Adami, suo
adorato amico: Chi è Carlo Mo? È un uomo scettico, robusto e sentimentale, naturalmente utopista. Vive sulle rive del Ticino tra le amatissime gotiche asprezze e le colline del buon vino e dei vaghi infiniti paesaggi. Ha vissuto nel deserto come qualsiasi santo di buon nome ma delle estatiche contemplazioni, sempre travolte da una spontanea esuberanza, non ha conservato che l’amore per i pochi amici, per la bellezza e per il suo lavoro. Fa lo scultore. Di solito, nelle visite affrontiamo
tre tematiche: il materiale, la
poetica dell’artista e, a volte, la sua vita. Iniziamo dal materiale, un tema molto importante del maestro. Come tutti sanno l’acciaio inox è il materiale preferito, ma non il primo né
tanto meno l’unico. La sua ricerca
quasi ossessiva della perfezione della forma che esprimesse appieno il tratto del suo pensiero lo ha portato a molte sperimentazioni. Ma iniziamo dagli albori. Carlo era un ottimo disegnatore sin da ragazzino: suo
nonno lo aveva coltivato a questa disciplina. Era un ragazzo solo. Il padre se ne andò in Africa quando lui era piccolo. Il disegno divenne la sua vera compagnia. Ma il padre mancava. Partì. Una
sera in una tenda si accorse di aver finito carta e matita. Ma a fianco a lui dei rotoli di filo di rame lo soccorsero e così ecco la svolta. Il suo mondo si scolpisce nella terra della scultura e dalla furia della carta e della precisione
del tratto, dà libero sfogo alla forma inventata che chiude lo
spazio attraverso fili di rame. Da bidimensionale a tridimensionale. Tornato in Italia espone sia a Roma che a Milano con ottime critiche tranne una di cui rideva sempre che titolava “La mostra
del figlio dell’elettricista”.
Un giorno entra in un bar e vede un bancone in acciaio inox. Quel materiale gli piace. Lo cerca, lo trova e comincia a lavorarlo. A quel tempo l’acciaio serviva in cucina: era la proposta “high tech”, da elettricista a idraulico.
In realtà era un fabbro, mitica figura, colui che possedeva il fuoco per forgiare. Conosce tutto di quel materiale. Lo salda, lo brunisce, lo brucia, lo fonde, ne sperimenta le nervature.
La sua passione per i metalli di qualità - interviene Philippe Daverio - per quell’acciaio che pareva essere la risposta al bronzo d’una modernità che intendeva sfidare la storia e i secoli a venire, è frutto di una epica che allora si stava allargando dalle fabbriche alle abitazioni, dalle macchine ai
mobili. Vi si trovava allora una gamma intera di evocazioni nuove e inattese, dalla solidità al colore dall’inalterabilità allo splendore. La forma doveva quindi assumere ritmi che avessero il medesimo rigore, quello della geometria in opposto a quella “astratta”, levigata che rincorrevano allora i cultori del marmo e delle plastiline che gli innovatori guardavano dal alto in basso chiamandola “l’estetica dei sassi tondi”. Mo si dedica con fervore da catecumeno a questa lingua sperimentale, ma ciò che rende assolutamente curioso il suo percorso, è l’approdo al tema dopo un viaggio di svariati anni in Africa. Che c’entrava la terra della povertà conclamata con l’esperimento d’avanguardia di una società che correva con fortunata convinzione verso l’industrializzazione avanzata? L’Africa ancora coloniale fu per lui ciò che fu per molti intellettuali d’Europa il terreno della conversione agli spazi, alla luce, alla dimensione ciclopica di una
natura incontaminata. Fu il rifugio biblico degli anni di meditazione che gli anacoreti passavano nel deserto. Era il luogo di concentrazione e di condensazione e lui ne tornò con una convinzione che gli anni di lavoro andranno a dimostrare: non serve rincorrere fantasie futili, occorre concentrarsi con determinazione ancestrale sulla purezza della forma sposandola con la certezza concreta della materia. Ma, come abbiamo detto, l’acciaio non è il suo unico materiale, e dunque in varie fasi incontreremo il cemento, il marmo, il corten e il bronzo. Abbiamo degli esempi a Pavia di tutti queste
combinazioni. Davanti alla scuola elementare “Luigi Maestri” accoglie gli alunni un alto guerriero in acciaio e cemento. Ha la testa un poco reclinata. È la storia di quattro ragazzetti nel 1943. Quattro ragazzetti pavesi.
Tullio Delbo, Marchetti, Gingio Rognoni e Luigi Maestri. Erano giovani, anzi direi piccoli. 17-18
anni. Frequentavano l’oratorio di San Francesco. La loro patria era invasa e il totalitarismo di quegli anni andava loro stretto. Così
fondarono il gruppo “I crociati della libertà”. Solo il nome mi commuove. La tenerezza dell’essere giovani malgrado un destino segnato. E così, mangiandosi un gelatino sotto la
statua di Garibaldi, decisero che
se uno di loro fosse morto gli altri gli avrebbero fatto un monumento. Tullio Delbo fu instradato in Germania e Luigi evidentemente morì. Quando tutto finì, i tre ragazzi divenuti
adulti non scordarono la promessa fatta. L’acciaio e il marmo - di solito il suo prediletto era il marmo nero assoluto - li incontriamo all’entrata del Policlinico S. Matteo. L’opera si intitola
“L’Attesa”. Il fiore di acciaio e marmo sta ai piedi di uno stabat mater che vibra di canti
gregoriani. L’altra scultura dove possiamo reperire l’uso di ben altri due materiali è la “Deposizione” in
Piazza del Duomo. Qui troviamo oltre l’acciaio inox, il corten e il bronzo. Mo fu uno dei primi ad
usare il corten come materiale d’arte. È uno strano tipo di
acciaio che produce una
patina somigliante alla ruggine che lo protegge dall’usura. Molto elastico, inventato in
Germania e utilizzato in origine per costruire le chiglie delle navi. E poi il bronzo. Su quest’opera ti
voglio raccontare un aneddoto. Quando si venne a sapere che una scultura di Mo sarebbe andata a
fianco del Duomo vi fu una specie
di insurrezione. Come, una scultura astratta, per di più di acciaio, proprio lì! Impossibile immaginarselo. Fu una
meravigliosa diatriba sul nulla, in quanto nessuno sapeva niente di quella scultura. Io proposi a mio padre di pubblicarne le foto o per lo meno la descrizione. Si oppose. Si stava divertendo. La polemica
ormai infuriava. Tra sostenitori e
denigratori. La notte prima dell’inaugurazione venne installata. Completamente coperta. Al mattino verso le undici, credo, la cerimonia iniziò. Tantissima gente era presente.
Discorsi del caso e poi, ecco: l’opera venne svelata. Il silenzio in piazza fu compatto. Un meraviglioso bronzo realizzato con l’antichissima tecnica della cera persa che prevede tra l’altro che l’opera venga realizzata
dall’artista prima della fusione a dimensioni reali, apparve in tutto il suo drammatico e amoroso dolore “realistico” e il cielo di
corten trafitto da una lama di acciaio benediva il tutto. Durò credo cinque minuti o forse di più. Mi pareva di veder spuntare giullari qua e là, venditori di mele, musici e attori pronti a dare il loro
spettacolo sul sagrato della
chiesa. Un racconto antico, medioevale. Alla fine, applaudirono. Non un applauso di forma, bensì di sostanza. Perché, come credo proprio tu abbia detto, Carlo Mo era uno scultore
per le piazze, amava che le sue opere fossero di tutti e per tutti. La medioevalità e l’antico irrompono in questo strano discorso poliedrico e immagino che a questo proposito Guido
(a pagina 8)
(Continua a pagina 8)
Paola Mo
Mo+Mo Mo+Mo Mo+Mo Dal 27 maggio padre e figlia
in mostra. Scultura e design nel Salone Teresiano dell’Università di Pavia
Pagina 7 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016
VIA DARSENA, SERGIO MAGGI (PISY)
“Caro Sisto, dopo la tua
ultima visita alla permanente di Carlo in
occasione della mostra MO di Carlo Mo mi hai
chiesto di preparare uno scritto di circa 10.000
battute su di lui. Io non ti invito più, sappilo!
… No, sto scherzando, anzi te ne ringrazio e
approfitto per invitare te e tutti i tuoi lettori a
questa inconsueta quanto preziosa mostra che si
inaugurerà al Salone
Teresiano, Università di Pavia, il 27 di maggio.
Mo + Mo scultura e design: Carlo con la sua
scultura e Francesca (sua figlia), molto nota
designer nel campo del gioiello, con i suoi piccoli
capolavori. Finalmente l’imperitura
domanda “qualcuno ha seguito le orme del
papà?” ha trovato una risposta.
Ma torniamo a Carlo: Mo lo scultore dei grandi spazi, Mo l’artista internazionale, Mo il fabbro dogon dalla cui fucina
segreta alla mitica casa del Chiozzo, come la definisce Mino Milani, uscirono molte delle sculture che adornano Pavia. Tanti hanno parlato di lui molto più bravi ed esperti di me,
compreso tu. Così ho deciso di
parlartene come quando mi adopero quale cicerone alla mostra permanente per tanti gruppi e scuole che vengono in visita, chiamando però in mio aiuto alcuni critici e amici in una
ipotetica conversazione passeggiando tra le sue opere. La prima domanda, o la seconda, dei bambini che entrano è “Era tuo marito?” “No era mio papà, io sono la sua figlia maggiore” “Era un bravo papà?” “Un bravissimo
papà!” “Ah … meno male!” Poi l’occhio si perde in un bosco di legno e acciaio. “È lui che ha
fatto tutte queste sculture? Come era?” Facciamo rispondere Giancarlo Romani Adami, suo
adorato amico: Chi è Carlo Mo? È un uomo scettico, robusto e sentimentale, naturalmente utopista. Vive sulle rive del Ticino tra le amatissime gotiche asprezze e le colline del buon vino e dei vaghi infiniti paesaggi. Ha vissuto nel deserto come qualsiasi santo di buon nome ma delle estatiche contemplazioni, sempre travolte da una spontanea esuberanza, non ha conservato che l’amore per i pochi amici, per la bellezza e per il suo lavoro. Fa lo scultore. Di solito, nelle visite affrontiamo
tre tematiche: il materiale, la
poetica dell’artista e, a volte, la sua vita. Iniziamo dal materiale, un tema molto importante del maestro. Come tutti sanno l’acciaio inox è il materiale preferito, ma non il primo né
tanto meno l’unico. La sua ricerca
quasi ossessiva della perfezione della forma che esprimesse appieno il tratto del suo pensiero lo ha portato a molte sperimentazioni. Ma iniziamo dagli albori. Carlo era un ottimo disegnatore sin da ragazzino: suo
nonno lo aveva coltivato a questa disciplina. Era un ragazzo solo. Il padre se ne andò in Africa quando lui era piccolo. Il disegno divenne la sua vera compagnia. Ma il padre mancava. Partì. Una
sera in una tenda si accorse di aver finito carta e matita. Ma a fianco a lui dei rotoli di filo di rame lo soccorsero e così ecco la svolta. Il suo mondo si scolpisce nella terra della scultura e dalla furia della carta e della precisione
del tratto, dà libero sfogo alla forma inventata che chiude lo
spazio attraverso fili di rame. Da bidimensionale a tridimensionale. Tornato in Italia espone sia a Roma che a Milano con ottime critiche tranne una di cui rideva sempre che titolava “La mostra
del figlio dell’elettricista”.
Un giorno entra in un bar e vede un bancone in acciaio inox. Quel materiale gli piace. Lo cerca, lo trova e comincia a lavorarlo. A quel tempo l’acciaio serviva in cucina: era la proposta “high tech”, da elettricista a idraulico.
In realtà era un fabbro, mitica figura, colui che possedeva il fuoco per forgiare. Conosce tutto di quel materiale. Lo salda, lo brunisce, lo brucia, lo fonde, ne sperimenta le nervature.
La sua passione per i metalli di qualità - interviene Philippe Daverio - per quell’acciaio che pareva essere la risposta al bronzo d’una modernità che intendeva sfidare la storia e i secoli a venire, è frutto di una epica che allora si stava allargando dalle fabbriche alle abitazioni, dalle macchine ai
mobili. Vi si trovava allora una gamma intera di evocazioni nuove e inattese, dalla solidità al colore dall’inalterabilità allo splendore. La forma doveva quindi assumere ritmi che avessero il medesimo rigore, quello della geometria in opposto a quella “astratta”, levigata che rincorrevano allora i cultori del marmo e delle plastiline che gli innovatori guardavano dal alto in basso chiamandola “l’estetica dei sassi tondi”. Mo si dedica con fervore da catecumeno a questa lingua sperimentale, ma ciò che rende assolutamente curioso il suo percorso, è l’approdo al tema dopo un viaggio di svariati anni in Africa. Che c’entrava la terra della povertà conclamata con l’esperimento d’avanguardia di una società che correva con fortunata convinzione verso l’industrializzazione avanzata? L’Africa ancora coloniale fu per lui ciò che fu per molti intellettuali d’Europa il terreno della conversione agli spazi, alla luce, alla dimensione ciclopica di una
natura incontaminata. Fu il rifugio biblico degli anni di meditazione che gli anacoreti passavano nel deserto. Era il luogo di concentrazione e di condensazione e lui ne tornò con una convinzione che gli anni di lavoro andranno a dimostrare: non serve rincorrere fantasie futili, occorre concentrarsi con determinazione ancestrale sulla purezza della forma sposandola con la certezza concreta della materia. Ma, come abbiamo detto, l’acciaio non è il suo unico materiale, e dunque in varie fasi incontreremo il cemento, il marmo, il corten e il bronzo. Abbiamo degli esempi a Pavia di tutti queste
combinazioni. Davanti alla scuola elementare “Luigi Maestri” accoglie gli alunni un alto guerriero in acciaio e cemento. Ha la testa un poco reclinata. È la storia di quattro ragazzetti nel 1943. Quattro ragazzetti pavesi.
Tullio Delbo, Marchetti, Gingio Rognoni e Luigi Maestri. Erano giovani, anzi direi piccoli. 17-18
anni. Frequentavano l’oratorio di San Francesco. La loro patria era invasa e il totalitarismo di quegli anni andava loro stretto. Così
fondarono il gruppo “I crociati della libertà”. Solo il nome mi commuove. La tenerezza dell’essere giovani malgrado un destino segnato. E così, mangiandosi un gelatino sotto la
statua di Garibaldi, decisero che
se uno di loro fosse morto gli altri gli avrebbero fatto un monumento. Tullio Delbo fu instradato in Germania e Luigi evidentemente morì. Quando tutto finì, i tre ragazzi divenuti
adulti non scordarono la promessa fatta. L’acciaio e il marmo - di solito il suo prediletto era il marmo nero assoluto - li incontriamo all’entrata del Policlinico S. Matteo. L’opera si intitola
“L’Attesa”. Il fiore di acciaio e marmo sta ai piedi di uno stabat mater che vibra di canti
gregoriani. L’altra scultura dove possiamo reperire l’uso di ben altri due materiali è la “Deposizione” in
Piazza del Duomo. Qui troviamo oltre l’acciaio inox, il corten e il bronzo. Mo fu uno dei primi ad
usare il corten come materiale d’arte. È uno strano tipo di
acciaio che produce una
patina somigliante alla ruggine che lo protegge dall’usura. Molto elastico, inventato in
Germania e utilizzato in origine per costruire le chiglie delle navi. E poi il bronzo. Su quest’opera ti
voglio raccontare un aneddoto. Quando si venne a sapere che una scultura di Mo sarebbe andata a
fianco del Duomo vi fu una specie
di insurrezione. Come, una scultura astratta, per di più di acciaio, proprio lì! Impossibile immaginarselo. Fu una
meravigliosa diatriba sul nulla, in quanto nessuno sapeva niente di quella scultura. Io proposi a mio padre di pubblicarne le foto o per lo meno la descrizione. Si oppose. Si stava divertendo. La polemica
ormai infuriava. Tra sostenitori e
denigratori. La notte prima dell’inaugurazione venne installata. Completamente coperta. Al mattino verso le undici, credo, la cerimonia iniziò. Tantissima gente era presente.
Discorsi del caso e poi, ecco: l’opera venne svelata. Il silenzio in piazza fu compatto. Un meraviglioso bronzo realizzato con l’antichissima tecnica della cera persa che prevede tra l’altro che l’opera venga realizzata
dall’artista prima della fusione a dimensioni reali, apparve in tutto il suo drammatico e amoroso dolore “realistico” e il cielo di
corten trafitto da una lama di acciaio benediva il tutto. Durò credo cinque minuti o forse di più. Mi pareva di veder spuntare giullari qua e là, venditori di mele, musici e attori pronti a dare il loro
spettacolo sul sagrato della
chiesa. Un racconto antico, medioevale. Alla fine, applaudirono. Non un applauso di forma, bensì di sostanza. Perché, come credo proprio tu abbia detto, Carlo Mo era uno scultore
per le piazze, amava che le sue opere fossero di tutti e per tutti. La medioevalità e l’antico irrompono in questo strano discorso poliedrico e immagino che a questo proposito Guido
(a pagina 8)
(Continua a pagina 8)
Mo+Mo Mo+Mo Mo+Mo Dal 27 maggio padre e figlia
in mostra. Scultura e design nel Salone Teresiano dell’Università di Pavia
Foto di Graziano Perotti
IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 8
Ballo amerebbe intervenire: l’origine ligure del marinaio - abituato a lottare contro le tempeste, in un lembo di terra avara, addossata alle montagne – persiste nell’abitudine di parlare pochissimo e soprattutto nella tenacia che non gli fa mai abbandonare le cose a metà, anche quando possono essere ineluttabili. Questa tenacia in lui diventa anche generosità, ottimismo nella lotta aperta: la sua tendenza affettiva lo spinge alla totale partecipazione. Ecco perché nei sentimenti, alla fine, è semplice: sì o no, o tutto o niente. Odia le mezze misure, i compromessi, i sotterfugi; sente il rapporto sociale (che per lui culmina nell’amicizia) in modo antichissimo, primario. Eppure se carico di un affettività tanto intensa, è attratto dall’atmosfera spesso nebbiosa di Pavia, dove vive da ormai molti anni, sulle rive del Ticino: il fatto è che ormai sa, per diretta e lunga esperienza, che le sfumature, l’inconscio, le forze irrazionali, non possono tagliarsi, esistono e confondono i limiti. Il suo sforzo è dunque di non ignorare questo mistero che è in noi, ma di esprimerlo, di farlo sentire dentro le forze suggestive della costruzione stessa. È così che la componente costruttivista, nelle sue sculture, si accende anche del più irrazionale espressionismo astratto: che diventa emblematico, con simbologie chiuse, misteriose. Ciò spiega del resto perché
abbia scelto come residenza Pavia: una delle città europee più ricche di fascino segreto, da scoprire a poco a poco. Pavia è una città che stupisce sempre, anche chi la conosce a lungo, perché, pur essendo viva, di
oggi, ha saputo conservare - in certe vie, in certi angoli - il carattere medioevale, duro, disperato quasi, addirittura dell’ epoca in cui era la capitale longobarda: le torri antiche ne sono già un esempio, nel loro
slancio di costruttivismo scabro, ma tutta l’atmosfera, in apparenza mite - coi muri grigi, le zone silenziose, i palazzi, le basiliche, le inferriate - fa sentire il fascino aspro e tuttavia avvolgente di una
presenza quasi fuori tempo. Nella pianure lombarda, tra il verde umido, Pavia appare sempre misteriosa nella sua vitalità segreta. Per questo il costruttivismo e l’impressionismo non diventano, nelle sculture di Mo, generiche tendenze: rivivono attraverso gli incontri della formazione genovese e della civiltà medioevale di Pavia; soprattutto, rispondono alle sue più profonde esigenze verso la forma essenziale, sentita per indole con partecipazione espressiva … Le sculture di Mo ci riportano così, con forza plastica, proprio alle radici dell’uomo: alle sue origini, anche se ormai siamo costretti a vivere con ansia in piena civiltà consumistica. Che fare, caro Sisto, quando si parla d’arte? I discorsi si mischiano e d’altro canto perché tenerli ordinati, non stiamo facendo lezione. A questo punto
affiderei la conclusione alla voce, nervosa ma sempre pacata, di Kengiro Azuma, grande scultore e grande amico: La forma poetica è ben precisa. Idea molto chiara sempre mantenendo il ritmo e l’armonia del volume. Equilibrio tra forma e spazio è musicale. La struttura della forma è architettonica e monumentale, imponente. Aveva grande capacità tecnica per esprimere suo pensiero, emozione e sentimento. Ricerca coerentemente ma contiene anche sottile sentimento umano. La scultura di Carlo Mo è sua poesia. “
Paola Mo
(da pagina 6-7)
LE FOTO (di Barbara Pinca - Associazione Pavia Fotografia):
in questa e nelle due pagine
precedenti Opere di Carlo Mo
esposte nel giardino dell’abitazione-atelier
dell’artista.
Qui a sinistra La “Deposizione”
in piazza Duomo
I TESTI: Carlo Mo a Genova
La Scultura e l’Acciaio
edizione Ibis 2006
Philippe Daverio, in Carlo Mo
Disegni, modelli, sculture,
grandi opere. Catalogo.
Credito Valtellinese 2009
Pagina 9 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016
Un anno
fa, il 30
aprile
2015, si
spegneva
Emilio
Gerelli,
professore
emerito
dell’
Università
di Pavia.
Per i lettori delle
riviste
economiche
durante gli anni
’60 era
immancabile
trovare in calce i
ringraziamenti a
Emilio Gerelli, per i
suggerimenti
ricevuti. Fu questo il
primo impulso che
m’indusse a saperne
di più su quel
giovane professore,
così diverso, per
maggiore modernità,
dai colleghi più
anziani, e invece più
simile allo stereotipo
che noi avevamo dei professori
inglesi e americani. Pensavamo che
non si sarebbe fermato molto a
Pavia e che si sarebbe presto
trasferito ad Università di maggiori
dimensioni, ma non fu così. Pur
sollecitato da Atenei prestigiosi,
Gerelli restò fino all’ultimo a Pavia
della cui vita culturale divenne
presto un animatore, dirigendo per
quasi quarant’ anni il mitico Istituto
di Finanza. Chiesi allora la tesi a
Gerelli, che mi propose un lavoro
sulle iniziative più recenti, adottate
dal Governo Federale degli Stati
Uniti, per rendere più efficiente il
processo di bilancio. Entrai così
nell’Istituto di Finanza di Pavia,
erede della tradizione di Benvenuto
Griziotti, che Gerelli stava
inevitabilmente, ma con grande
equilibrio, adeguando alle più
moderne evoluzioni della disciplina,
allentando i legami col diritto
tributario e introducendo, accanto a
quello tradizionale della tassazione,
lo studio della spesa pubblica (per
altro praticato dalla “Scuola
italiana” d’inizio secolo XX e
riscoperto dalla letteratura
anglosassone degli anni ’50). Fu
così che arrivai a Gerelli ed ebbi
l’opportunità di svolgere alcune
occasioni di lavoro comune, che
testimoniano la ricchezza della
persona e le sue molteplici qualità.
Anzitutto, di ritorno da un soggiorno
di studio presso la Brookings
Institution di Washington, Gerelli
propagandò l’adozione anche in
Italia dell’analisi costi-benefici
(Cost Benefit Analysis - CBA) per la
valutazione su basi economiche
degli investimenti pubblici sul
modello sviluppato dal Governo
Federale degli Stati Uniti fin dai
tempi del New Deal. Si trattava
dell’argomento della mia
tesi di laurea e Gerelli mi chiese di
fare una rassegna della letteratura in
materia, dal contributo originale e
divulgativo di Ekstein a quello più
teorico di Mishan. Al Ministero del
Bilancio e della Programmazione
Economica, allora retto da Giorgio
La Malfa, fu in effetti insediato un
“Nucleo di valutazione” per
verificare - secondo i criteri
dell’analisi costi-benefici - la
convenienza economica di progetti
di investimento pubblico. Gerelli,
per altro, raccomandava prudenza
nell’adozione di valori virtuali (in
specie i prezzi ombra), suggerendo
di non discostarsi eccessivamente
dai valori di mercato, per il rischio
che vi era ad affidarsi a valori
solamente virtuali e passibili di
stime senza fondamenti empirici e
quindi facilmente manipolabili. Il
nucleo cominciò il proprio lavoro,
ma fu bloccato dai politici e dagli
alti burocrati che si vedevano
espropriati di parte rilevante del loro
potere decisionale. Ed è quello che è
successo, in simili iniziative adottate
in seguito, fino all’odierna
“Spending Review”. Con
conseguenze che conosciamo bene
sulle modalità effettive delle
decisioni d’investimento pubblico
nel nostro paese. Il contributo più
conosciuto di Gerelli fu
l’inserimento dell’economia
ambientale nell’ambito della
disciplina di Economia pubblica.
Inizialmente, Gerelli s’interessò del
controllo di breve periodo anche in
base alle responsabilità che aveva
assunto presso l’Organizzazione per
la cooperazione e lo sviluppo
economico – Ocse. Gerelli anzitutto
si occupò della scelta degli strumenti
di controllo (con una malcelata
preferenza per gli incentivi
economici, rispetto alla regolazione
diretta). Diede poi un apporto
decisivo alla formulazione della
regola aurea “inquinatore-pagatore”,
poi seguita dall’Unione Europea e
da molti dei paesi membri. Ma
Gerelli si occupò anche delle
implicazioni di lungo periodo del
degrado ambientale, e su questo
punto ci trovammo in disaccordo.
Erano gli anni in cui era stato
pubblicato il celebre rapporto del
Massachusetts Institute of
Tecnology-MIT I limiti dello
sviluppo, in cui si preconizzava il
crollo delle economie avanzate,
causa l’interazione di macro-
fenomeni congiuntamente distruttivi
(inquinamento, occupazione dello
spazio agricolo, cambiamento
climatico, dinamica demografica e
altri ancora). Gerelli era convinto
che queste previsioni non si
sarebbero realizzate per effetto
dell’azione delle forze di mercato e
dei cambiamenti tecnologici che
queste avrebbero provocato. Ancora
una volta Gerelli palesava la propria
fiducia nel mercato e nella sua
capacità di conseguire e mantenere
un equilibrio efficiente, sia nel breve
sia nel lungo periodo. Modestamente
io ero più pessimista e ritenevo che
il ruolo dell’intervento pubblico
andasse invece rafforzato. Di qui il
passo fu breve ad allontanarsi dalle
misure più convenzionali (Prodotto
Interno Lordo, aggregato o pro-
capite, Indici dei Consumi e della
Ricchezza, etc.) per passare a quelle
che cercano di valutare l’effettivo
benessere tramite un insieme di
elementi. Ancora una volta Gerelli
aderì di conseguenza alla nascente
“Economia della felicità” e all’uso
dei suoi indicatori, in particolare al
cosiddetto “Subjective Well-Being”
(SWB), vale a dire la percezione che
gli individui hanno della propria vita
e del grado di soddisfazione che
provano per essa. Ricordo le lunghe
discussioni sull’argomento, nel suo
ovattato studio nell’Istituto di
Finanza. Ovattato, ma non nel senso
della turris eburnea. Gerelli era
infatti uno studioso rigoroso, ma
riteneva che i risultati delle ricerche
scientifiche dovessero essere
divulgati a un uditorio più ampio di
quello degli specialisti. Di qui i suoi
libri facilmente accessibili sulla
politica ambientale e dintorni, la
lunga collaborazione con “Il Sole 24
ore”, l’organizzazione di Convegni
annuali in cui gli studiosi più
qualificati sugli argomenti più
attuali ne discutevano per una platea
di operatori economici. Di qui la
disponibilità ad accettare incarichi
pubblici, in particolare quello di
sottosegretario al Ministero
dell’ambiente, ma anche quello di
presidente della Commissione spesa
pubblica, da lui guidata in
particolare con riferimento ai piani
di consolidamento della finanza
pubblica italiana, che cominciarono
a proliferare (inascoltati) verso la
metà degli anni ‘80. E, infine, la
creazione di una vera scuola, i cui
allievi erano sostenuti non solo dai
consigli scientifici del Maestro, ma
anche per le loro esigenze di
carattere materiale. E per gli allievi è
oggi difficile cancellare il ricordo
delle robuste strette di mano e del
sorriso squillante di quando si
entrava nello “studio ovattato”, dove
fino all’ultimo Gerelli ha diffuso il
suo ottimismo, la sua fiducia nel
futuro e anche il suo attaccamento
per tutte le cose che rendono bella la
vita.
SPORTELLO DONNA SPORTELLO DONNA INCUBATORE D’IMPRESAINCUBATORE D’IMPRESA
START UP/INNOVAZIONE/CREATIVITÀ
Non cercare lavoro, crealo PAVIA, via Mentana 51
[email protected] - 366 2554736
Il giornale di Socrate al caffè
Direttore Salvatore Veca - Direttore responsabile Sisto Capra Editore Associazione “Il giornale di Socrate al caffè”
(iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)
Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia
0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected] Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia
Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia
Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002
dell’euroscetticismo, dei muri, dei
fili spinati e del ritorno delle poli-
tiche di chiusura nazionale, “è
tempo di uscire da ambiguità, e-
sitazioni e lentezze nell’andare
oltre e mettere pienamente in at-
to forme di unione più stretta, fa-
cendo leva sull’eurozona: Unione
bancaria, fiscal capacity europea,
fondo europeo per la disoccupa-
zione, governance economica”.
Ma la politica è rimasta naziona-le. E’ stata condizionata da una
visione angusta dell’interesse na-
zionale e da pulsioni demagogi-
che sfociate nell’antipolitica e
nell’antieuropeismo. La politica è
risultata così sempre meno capa-
ce di guidare le decisioni europee
e anche solo di raccontarle. Ab-
biamo bisogno non solo di una
sfera pubblica europea, ma di u-
na vera e propria competizione
politica europea. Di una politica
lungimirante, di una visione
dell’interesse comune europeo,
nel mondo, alla luce del meglio
che siamo riusciti a fare, in un
complesso processo per prove ed
errori. Il punto difficile è che ab-
biamo bisogno di sottrarci alla lo-
gica ossessiva del breve termine,
propria delle democrazie rappre-
sentative, preservando il caratte-
re democratico delle nostre for-
me di vita. Hic Rhodus, hic salta.
Ma solo così la politica potrà as-
sumere primazia nel disegnare i
lineamenti di un’Unione politica,
economica, sociale e culturale
che contribuisca a ridisegnare
l’ordine mondiale. Nelle ultime
pagine, dedicate al ricordo di Al-
tiero Spinelli, mi soffermo su un
solo punto, a proposito di chi fece
fare tanti anni fa a Napolitano la
“testa di ponte” con il Partito co-
munista italiano nel suo appren-
distato europeista. In una pre-
messa del marzo 1986 a una se-
conda parte della sua autobiogra-
fia, rimasta solo abbozzata, Spi-
nelli scrive, a proposito delle
sconfitte sue e del Movimento fe-
deralista, “nessuna di quelle
sconfitte ha però lasciato in me
quel rancore contro la realtà che
così spesso alligna nell’animo de-
gli sconfitti. Bisogna sentire che
il valore di un’idea, prima ancora
che dal suo successo finale, è di-
mostrato dalla sua capacità di ri-
sorgere dalle proprie sconfitte”.
E, ancora, “Chiunque si accinge a
una grande impresa lo fa per da-
re qualcosa ai suoi contempora-
nei e a sé, ma nessuno sa in re-
altà se egli lavora per loro o per
sé, o per loro e per i suoi figli … o
per una più lontana, non ancora
nata generazione, che riscoprirà
il suo lavoro incompiuto e lo farà
proprio”. La politica come visione
e coraggio, la politica come pas-
sione, la consapevolezza storica e
il senso del passato, la lungimi-
ranza come v i r tù de l l a
leadership: sono i temi centrali
dell’intensa introduzione a questo
libro. Così il cerchio è completato
e le mie osservazioni possono
concludersi, non senza gratitudi-
ne per l’autore di Europa, politica e passione. Il Sileno si associa,
una volta tanto, senza esitazione.
Salvatore Veca
Luigi Bernardi
Dipartimento di Giurisprudenza Università di Pavia
… DALLA PRIMA PAGINA
IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 10
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
Il fiorire in questi tempi
di interventi di artisti,
di allestimenti di mostre
(grafiche, sculture,
quadri...), di semplici
ridipinture partecipate di
soffitti e pareti nei luoghi
deputati alla cura
(ospedali, ambulatori
pubblici, spazi di attesa
in quelli privati) riporta
all'attenzione quanto
sia importante
per il benessere psichico
di un malato (e forse,
probabilmente, di quanto
possa aiutare o agevolare
la sua guarigione) ... la
... bellezza.
Sì, la bellezza in tutte le esperienze
sensoriali possibili ed esperibili,
dalle modalità subliminali a quelle
di partecipazione attiva e cosciente.
Ricordo, oggetto di lunghe
chiacchierate nel suo studio
milanese di via Borgazzi 11, le
interrate antiburocratiche di un
Maestro della pittura italiana, Mario
Ballocco, docente proprio di
cromatologia all’Accademia di
Brera. Il grande vecchio aveva
occhi grigio azzurri fulminanti che si
accendeva quando spiegava quanto
pesasse, misurata con le teorie
gestaltiche dell’arte, la
qualità cromatica dell’ambiente sul
benessere della psiche.
Sottolineando anche l’importanza
della luce, elemento fondamentale
per l’attivazione del complesso
sistema neurochimico delle
endorfine (gli ormoni del piacere) a
partire dall’orientamento delle
finestre; cui aggiungeva i dati dei
suoi studi sugli effetti del verde o
dell’azzurro. Chiamati a sostituire il
bianco ansiogeno e allarmante,
nemico della identità soggettiva
costruita sull’esperienza quotidiana
dei colori della natura. Sosteneva
Ballocco il valore positivo della
tinteggiatura dei soffitti delle camere
di degenza: «Il bianco da guardare
tutto il giorno da sotto in su annoia e
deprime. Induce a pensieri neri!». E
aggiungeva: «Rifletti sull’angoscia
di una persona sull’ambulanza.
Pensa alla sua fragilità del momento
e all’ansia/ paura per ciò che ancora
di ignoto gli stia succedendo.
Aggravato dal tremendo ululare
della sirena … Lo aiuterebbe di
certo un colore tenero e intenso
insieme, come un bel cielo, ad
esempio ... Per non parlare del rosso
sangue delle fasce sulle divise degli
operatori. Persin peggiore del bianco
funereo dei camici indossati dai
medici ...».
Riflessioni inquietanti per il giovane
medico che allora ero; non sapevo se
condividerle, immerso nella
consuetudine della pratica
organizzativa del sistema sanitario.
Qualcuno forse raccolse i
suggerimenti del grande artista,
almeno se penso alle divise degli
operatori nelle sale chirurgiche; ma
le corsie e le camere di degenza
degli ospedali, salvo rarissime
eccezioni, sono ancora
squallidamente bianche. Tristemente
bianche. Rivoluzionate soltanto
dalle altrettanto rare incursioni di
medici o volontari “col naso rosso
del pagliaccio” che talora ravvivano
l’atmosfera nei reparti pediatrici. Ma
tutti gli altri? Penso agli oncologici,
ma non solo, cupi e ansiogeni anche
per i visitatori.
Dicevamo, leggevamo, che qualcosa
di muove, sporadicamente grazie
alle iniziative di qualcuno che ci ha
pensato. Eccezionale la sala
cinematografica anche per letti e
carrozzine al Gemelli di Roma; più
numerose e semplici da realizzare le
affissioni a parete di manifesti o
quadri, prestati o donati da artisti
coinvolti in questi processi di
umanizzazione degli spazi della
cura. Quando non addirittura
vivacizzati da azioni collettive
(secchio e pennello) di cui sono stati
protagonisti pazienti e infermieri,
parenti e medici. Consapevoli questi
ultimi che la passività non aiuta la
terapia, i cui effetti sono enfatizzati
da stimoli positivi che distraggono e
coinvolgono i degenti in processi
creativi. Il divertimento partecipato
agevola i processi di guarigione,
traghettando il malato da una
posizione di oggetto nelle mani dei
curanti in un soggetto attivo e
collaborativo, complice di attività
che lo riavvicinano a una
quotidianità normale. Allontanando,
non solo idealmente, la separatezza
dal mondo esterno e dalla vita che
scorre. Fuori insomma dal recinto
sanitario. Intuizione già espressa dal
vecchio Ippocrate 2500 anni orsono.
Speriamo che gli esempi ancora rari
ma sempre più numerosi di Torino e
Modena, Roma e Pesaro … possano
diffondersi pur con la fatica di cui
siamo consapevoli.
Anche Pavia ha detto la sua. Con
una sola grande opera per ora (vedi
foto), all’ingresso del D.E.A.
(Dipartimento di Emergenza e
Accettazione del Policlinico San
Matteo), guidata da Laura Tonari,
docente a Brera, cui ci auguriamo
altre iniziative si aggiungano. Anche
meno impegnative, da studiare e
proporre forse agli studenti delle
scuole d’arte pavesi, che potrebbero
dare utili contributi, facendosi carico
di attività … da valersi pure come
crediti formativi. Altre iniziative
però si possono attivare con
impegno complessivo minore. Penso
ai gruppi di lettura collettiva, per i
reparti pediatrici e di lungo degenza,
per le case di riposo, dove i lunghi
tempi di permanenza nelle strutture
si gioverebbero di momenti di
rottura dei ritmi sempre uguali delle
giornate … con la bellezza appunto
della lettura ad alta voce di pagine di
romanzi e racconti. Facili da
organizzare e di accertato positivo
riscontro e risultato.
Bellezza quindi come ausilio alle
terapie, come parte di una terapia
concepita in senso estensivo e
creativo, che si potrebbe tradurre in
altre infinite possibilità terapeutiche
fuori dai perimetri degli istituti di
cura. Mi giunge infatti notizia di più
di un esperimento attuato con
successo in Olanda e Stati Uniti,
rappresentato da piccoli gruppi di
soggetti, anche con disagio psichico,
impegnati in una pratica terapeutica
di recupero della bellezza delle città. Come? Ma attraverso la pulitura dai
muri imbrattati dai writters!!
Con costanza e abilità, corvée di
benedetto e utilissimo lavoro
terapeutico. Per chi lo esegue e per
la collettività intera che recupera la
bellezza degli spazi urbani deturpati.
Spunto su cui riflettere. Magari da
sperimentare anche qui da noi.
Giorgio Forni
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
Pagina 11 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016
Per una Fondazione come
la nostra, che si è sempre
occupata solo di arte
(cultura artistica),
restaurando un castello
diruto e collezionando
opere e oggetti
(dalla grafica agli arredi,
dalla scultura e pittura
ai vetri di Murano,
dagli argenti di design
ai gioielli e alla moda…),
il passo è forte. Delicato e impegnativo.
Per competenze che non abbiamo
e per la cura/attenzione che le
persone richiedono.
Ben diverse (e delicate, appunto),
da quelle richieste da abiti e
oggetti, pur delicati e preziosi,
come sono quelli di cui ci
occupiamo da oltre trent’anni;
raccogliendoli e portandoli in giro
per il mondo, ormai in forse più di
quaranta Paesi, a documentare e
illustrare “genio -creatività -
fantasia - abilità italiane”.
Non dico che la missione sia
attività sine cura. Ma occuparsi di
ragazzi soli è tutta un’altra storia.
Riflessione banale se volete. Ma
alla base di una decisione non
rinviabile in tempi come quelli
che viviamo, di emergenza
continua.
Decisione presa buttando il cuore
oltre l’ostacolo, valutando oltre
alle buone intenzioni che
non si discutono anche
le numerose
difficoltà da superare.
Cercando prima di tutto di offrire
le nostre risorse a chi di questi
problemi si è da tempo occupato,
maturando esperienza sul campo e
capacità organizzative e di
gestione che non si improvvisano.
Dire “ci siamo” significa offrire
uno spazio di accoglienza
adeguato a chi casa non ha, né
famiglia, né risorse, in un Paese
ancora sconosciuto, raggiunto per
sfuggire a guerre e carestie.
Una casa e un sostegno a
riavvolgere un film da
dimenticare, per ricominciare un
percorso di vita dignitoso, e se
possibile sereno.
Con l’aiuto di figure e professioni
capaci di svolgere il ruolo di
accompagnamento a una
autonomia soggettiva di giovani
altrimenti senza riferimenti e
senza mezzi individuali per
strutturarsi un presente equilibrato
e costruirsi un futuro.
Bella sfida, da attuare senza
retorica buonistico-filantropica,
ma con la necessaria serie di
azioni concrete che si chiamano
casa, cibo, educazione,
formazione.
Perdonate se è poco.
Sarà, ci proviamo.
Una goccia nel mare
questa nostra
disponibilità a fare da
famiglia ad un piccolo
gruppo di giovani
migranti non
accompagnati.
Migranti per necessità
da situazioni
impossibili a viversi.
Sarà meglio di nulla.
Una piccola proposta
per un bisogno
immenso che richiede
risposte. Da ciascuno
secondo le sue
possibilità.
La nostra Fondazione dispone di
un grande edificio dismesso sul
quale, ai tempi della Via
Francigena, avevamo ipotizzato la
destinazione a ostello per i
pellegrini e risorsa di accoglienza
turistica a basso costo.
Per dotare anche il territorio
lomellino di una struttura che
potesse servire da base al flusso
anche allora auspicato di
viaggiatori curiosi di conoscere il
nostro territorio di risaie, boschi e
piccoli tesori d’arte.
Progetto accantonato, ma che ora
potrebbe riprendere attualità e
senso.
Con la necessaria benedizione
dell’Ente locale e di una rete di
sinergie che proveremo a costruire
nei prossimi mesi.
Un tentativo ancora in fase di
studio, ma già un primo passo.
Infatti sono in corso importanti
contatti con organizzazioni
territoriali del volontariato già
attive nel settore dell’accoglienza
ai migranti.
Prima fra tutte Oltremare di
Vigevano che potrebbe essere il
capofila accreditato del progetto,
grazie a quella icona della
solidarietà che è da anni il suo
Presidente Francesca Iole
Barrettoni. Solo per citare il
primo importante contatto che
ci ha dato il coraggio di provare a
dare concretezza a un disegno
ancora da scrivere.
E da scrivere secondo le regole
difficili e complicate dei bandi del
Ministero dell’Interno e della
Unione Europea. Ostacolo non da
poco per degli “artisti” come noi
siamo. Ma il quadro si sta
definendo in modo sempre meno
confuso, anche grazie a iniziative
già varate e in corso di
valutazione da parte di un gruppo
di amici responsabili di alcune
cooperative sociali, la più
importante delle quali, attiva nel
pavese a Suardi, già da dodici
anni, che ha presentato la propria
richiesta di sostegno al bando
“never alone”.
Lavori in corso.
A Emma Bonino, ispiratrice,
durante l’incontro di alcuni mesi
fa al Collegio Nuovo, della nostra
“uscita dall’ipocrisia buonista
dello stare alla finestra” …
daremo per prima la buona
notizia.
Cancellando uno per uno, di volta
in volta, tutti i se, i forse, i come
faremo, che ancora ci assillano.
Giorgio Forni
NNNEVEREVEREVER
AAALONELONELONE
Una casa Una casa Una casa
e un sostegno e un sostegno e un sostegno
per giovani per giovani per giovani
migranti non migranti non migranti non
accompagnatiaccompagnatiaccompagnati
Nella foto in basso a sinistra
Emma Bonino
con Giorgio Forni.
A destra
La fiammante Gilera 300
che costituisce
il primo dono/contributo
al “progetto migranti”.
Bella e veloce, 3-4 mila
euro di valore da
monetizzare. Di buon
auspicio per la raccolta
avviata, alla quale già
stanno aderendo amici
artisti e designer, tra i
quali Versace, la
Fondazione Ken Scott,
Tenconi, Lodola,
Pomodoro, Alberti.