Vi devo confessare che proprio appassionato e mi ha...

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Numero centotredici Maggio-Giugno 2016 DISTRIBUZIONE GRATUITA www.socratealcaffe.it la Feltrinelli a Pavia, in via XX Settembre 21. Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30 FONDAZIONE SARTIRANA ARTE Al fianco dei migranti Giorgio Forni PAGINE 11-12 Bellezza è terapia? PAGINA 10 Vi devo confessare che il vecchio Socrate si è proprio appassionato alla questione Europa e mi ha chiesto qualche consiglio per documen- tarsi sulle faccende per lui dopo tutto inusuali dell’Unione. Così, abbiamo letto il bel libro di Maurizio Ferrera e poi siamo pas- sati a una raccolta di scritti che Giorgio Napolitano ha recente- mente pubblicato da Feltrinelli con il titolo Europa, politica e passione. Il discorso di Napolita- no si muove fra Scilla e Cariddi, fra due retoriche a proposito del- lo stato dell’Unione: la retorica a- pologetica dei devoti del progetto originario, che genera insofferen- za, e la retorica catastrofista, che predica un ritorno al passa-to e alle vecchie so- vranità assolu- te. Fra le due retoriche c’è u- no spazio da coltivare razio- nalmente, in cui orientarsi con una visione si- stemica d’insieme che mira al comple- tamento dell’Unione eco- nomica e mone- taria, a una più profonda inte- grazione politi- ca, al rafforza- mento della di- mensione sociale (l’Unione socia- le europea di Maurizio Ferrera?) e di quella democratico- parlamentare dell’ U-nione. In o- gni caso, la riflessione critica sul- lo stato dell’Unione non può “essere separata dai radicali cambiamenti e dagli eventi trau- matici che hanno investito l’ordine mondiale”. Europa- mondo è uno dei temi ricorrenti nelle pagine di Napolitano. Dagli effetti della crisi divenuta globale ai processi di dissoluzione degli Stati in Medio Oriente e in Africa, al terrorismo dell’Isis, alle grandi migrazioni. Il completamento dell’Unione politica, modellata dalla primazia del diritto, è l’unica condizione perché l’Europa “possa farsi portatrice effettiva di un suo peculiare ap- porto all’ordine mondiale”. È un must, perché l’alternativa è il de- clino e l’irrilevanza planetaria. Ma ciò richiede una rinnovata priori- tà della politica. Quello della re- sponsabilità di leader politici lun- gimiranti è un altro dei temi ri- correnti in queste pagine. Sullo sfondo del rapporto fra “agire politico e sapere storico”, abbia- mo bisogno di analizzare il “riproporsi di questioni e tensioni serie complesse sul tema delle i- dentità etniche, religiose, cul- turali, nazionali nel crogiuolo di processi di integrazione (caso Europa) e di globalizzazione. An- cora, Europa-mondo. Con la gui- da analitica di Amartya Sen a proposito del carattere plurale di qualsivoglia identità. Le politiche dell’identità riemergono nei pro- cessi del terrorismo dell’Isis nel quadro di guerre e collasso di stati come Siria e Libia. Le grandi ondate migratorie generano ri- sposte identitarie in Europa che, a loro volta, generano credenze e condotte non solo difensive, ma xenofobe. Il sapere storico ci mostra, sul versante europeo, l’emergere e il riemergere della tensione identitaria nella forma della tensione fra dimensione na- zionale e dimensione sovranazio- nale. Ecco un altro dei temi ricor- renti in queste pagine. La ten- sione fra la dife- sa di “aree di sovranità statu- ale e il graduale estendersi della sfera di sovrani- tà condivisa da gestire in comu- ne al livello so- vranazionale”. Jean Monnet: “le nazione so- vrane del pas- sato non sono più il quadro in cui possano ri- solversi i pro- blemi del pre- sente.” E’ u-tile individuare con chiarezza la va- rietà delle i-dentità europee co- me varietà delle culture europee, in parte iscritte nelle storie delle nazioni. François Mitterrand: “l’Europa delle culture quale au- tentica Europa delle nazioni con- tro quella dei nazionalismi”. Di nuovo, di fronte alla crisi attuale, abbiamo bisogno di capacità di visione e autorevolezza delle leadership politiche europee. Ne è condizione, scrive Napolitano, anche la comprensione, che è venuta deperendo, del rapporto fra agire politico e consapevolez- za storica. Ed ecco un altro dei temi ricorrenti in queste pagine. Forse, uno dei temi più difficili, perché investe le trasformazioni dei rapporti fra politica come professione e scienza come pro- fessione, per dirla con Max Weber. Lo sfondo è ora quello del duplice nesso Italia/Europa e Europa/Mondo. E il problema è di nuovo quello delle responsabilità delle leadership politiche. Negli anni dei populismi e (a pagina 9) L’editoriale di Salvatore Veca LA POLITICA COME PASSIONE SPECIALE SPECIALE SPECIALE Collegio Nuovo e Nuovine nel mondo Una tradizione che cresce e si rinnova ogni anno Trentatré alunne del Collegio Nuovo all’estero nell’anno 2015, con supporto economico di- retto del Collegio o dei suoi partner universi- tari in tutto il mondo, sono il miglior segno della dimensione internazionale dell’istituzione fondata nel 1978 dall’imprenditrice Sandra Bruni Mattei. Paola Bernardi PAGINE 2-3-4-5 NEVER EVER EVER ALONE LONE LONE Paola Mo Foto Barbara Pinca - Pavia Fotografia PAGINE 6-7-8 Carlo Mo Carlo Mo In mostra Ricordo di Emilio Gerelli Luigi Bernardi PAGINA 9

Transcript of Vi devo confessare che proprio appassionato e mi ha...

Numero centotredici Maggio-Giugno 2016

DISTRIBUZIONE GRATUITA www.socratealcaffe.it

la Feltrinelli a Pavia,

in via XX Settembre 21.

Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30

FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

Al fianco dei migranti Giorgio Forni PAGINE 11-12

Bellezza è terapia? PAGINA 10

Vi devo confessare che il vecchio Socrate si è

proprio appassionato alla questione Europa

e mi ha chiesto qualche consiglio per documen-

tarsi sulle faccende per lui dopo tutto inusuali

dell’Unione. Così, abbiamo letto il bel libro di

Maurizio Ferrera e poi siamo pas-

sati a una raccolta di scritti che

Giorgio Napolitano ha recente-

mente pubblicato da Feltrinelli

con il titolo Europa, politica e passione. Il discorso di Napolita-

no si muove fra Scilla e Cariddi,

fra due retoriche a proposito del-

lo stato dell’Unione: la retorica a-

pologetica dei devoti del progetto

originario, che genera insofferen-

za, e la retorica catastrofista, che

predica un ritorno al passa-to e

alle vecchie so-

vranità assolu-

te. Fra le due

retoriche c’è u-

no spazio da coltivare razio-nalmente, in cui

orientarsi con

una visione si-s t e m i c a d’insieme che

mira al comple-

t a m e n t o

dell’Unione eco-

nomica e mone-

taria, a una più

profonda inte-

grazione politi-

ca, al rafforza-

mento della di-

mensione sociale (l’Unione socia-

le europea di Maurizio Ferrera?)

e di quella democratico-

parlamentare dell’ U-nione. In o-

gni caso, la riflessione critica sul-

lo stato dell’Unione non può

“essere separata dai radicali

cambiamenti e dagli eventi trau-

matici che hanno investito

l’ordine mondiale”. Europa-mondo è uno dei temi ricorrenti nelle pagine di Napolitano. Dagli

effetti della crisi divenuta globale

ai processi di dissoluzione degli

Stati in Medio Oriente e in Africa,

al terrorismo dell’Isis, alle grandi

migrazioni. Il completamento

dell’Unione politica, modellata

dalla primazia del diritto, è

l ’unica condizione perché

l’Europa “possa farsi portatrice

effettiva di un suo peculiare ap-

porto all’ordine mondiale”. È un

must, perché l’alternativa è il de-

clino e l’irrilevanza planetaria. Ma

ciò richiede una rinnovata priori-

tà della politica. Quello della re-

sponsabilità di leader politici lun-

gimiranti è un altro dei temi ri-correnti in queste pagine. Sullo

sfondo del rapporto fra “agire

politico e sapere storico”, abbia-

mo bisogno di analizzare il

“riproporsi di questioni e tensioni

serie complesse sul tema delle i-

dentità – etniche, religiose, cul-

turali, nazionali – nel crogiuolo di

processi di integrazione (caso

Europa) e di globalizzazione. An-

cora, Europa-mondo. Con la gui-

da analitica di Amartya Sen a

proposito del carattere plurale di

qualsivoglia identità. Le politiche

dell’identità riemergono nei pro-

cessi del terrorismo dell’Isis nel

quadro di guerre e collasso di

stati come Siria e Libia. Le grandi

ondate migratorie generano ri-

sposte identitarie in Europa che,

a loro volta, generano credenze e

condotte non solo difensive, ma

xenofobe. Il sapere storico ci

mostra, sul versante europeo,

l’emergere e il riemergere della

tensione identitaria nella forma

della tensione fra dimensione na-zionale e dimensione sovranazio-nale. Ecco un altro dei temi ricor-

renti in queste

pagine. La ten-

sione fra la dife-

sa di “aree di

sovranità statu-

ale e il graduale

estendersi della

sfera di sovrani-

tà condivisa da

gestire in comu-

ne al livello so-

vranazionale”.

Jean Monnet:

“le nazione so-

vrane del pas-

sato non sono

più il quadro in

cui possano ri-

solversi i pro-

blemi del pre-

sente.” E’ u-tile

individuare con chiarezza la va-

rietà delle i-dentità europee co-

me varietà delle culture europee,

in parte iscritte nelle storie delle

nazioni. François Mitterrand:

“l’Europa delle culture quale au-

tentica Europa delle nazioni con-

tro quella dei nazionalismi”. Di nuovo, di fronte alla crisi attuale,

abbiamo bisogno di capacità di

visione e autorevolezza delle

leadership politiche europee. Ne

è condizione, scrive Napolitano,

anche la comprensione, che è

venuta deperendo, del rapporto

fra agire politico e consapevolez-

za storica. Ed ecco un altro dei

temi ricorrenti in queste pagine.

Forse, uno dei temi più difficili,

perché investe le trasformazioni

dei rapporti fra politica come

professione e scienza come pro-

fessione, per dirla con Max

Weber. Lo sfondo è ora quello del

duplice nesso Italia/Europa e

Europa/Mondo. E il problema è di

nuovo quello delle responsabilità

delle leadership politiche. Negli

a n n i d e i p o p u l i s m i e

(a pagina 9)

L’editoriale

di Salvatore Veca

LA POLITICA

COME PASSIONE

SPECIALE SPECIALE SPECIALE

Collegio Nuovo

e Nuovine

nel mondo

Una tradizione che cresce

e si rinnova ogni anno

Trentatré alunne del Collegio Nuovo all’estero

nell’anno 2015, con supporto economico di-

retto del Collegio o dei suoi partner universi-

tari in tutto il mondo, sono il miglior segno

d e l l a d i m en s i o n e i n t e r n az i o n a l e

dell’ist i tuzione fondata nel 1978

dall’imprenditrice Sandra Bruni Mattei.

Paola Bernardi

PAGINE 2-3-4-5

NNNEVEREVEREVER

AAALONELONELONE

Paola Mo Foto Barbara Pinca - Pavia Fotografia

PAGINE 6-7-8

Carlo MoCarlo Mo In mostra

Ricordo

di Emilio Gerelli

Luigi Bernardi

PAGINA 9

IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 2

Trentatré alunne del Collegio

Nuovo all’estero nell’anno

2015, con supporto

economico diretto del

Collegio o dei suoi partner

universitari in tutto il mondo,

sono il miglior segno della

dimensione internazionale

dell’istituzione fondata nel

1978 dall’imprenditrice

Sandra Bruni Mattei, come

pure del valore importante

che la stessa istituzione

attribuisce alle esperienze di

studio e di incontro al di

fuori dei confini per la

crescita globale e il successo

delle proprie studentesse. Ed è inoltre significativo che la

maggioranza (64%) di tali

opportunità sia stata offerta fuori

Europa, in Asia (46%),

America/Stati Uniti (15%) e Africa

(3%). Le nazioni raggiunte dalle

Nuovine nel 2015 sono state

tredici, soprattutto Giappone (8

studentesse), Germania (6), Stati

Uniti (5), Dubai e Cina (3) e le

città sedici, tra cui Tokyo (8),

Heidelberg (5), Pechino (3), New

York e Miami (2). Ventuno le

Nuovine all’estero grazie alle sette

partnership del Collegio:

Università di Mainz e di

Heidelberg, Barnard College-

Columbia University di New York,

Dubai Women’s College,

Ochanomizu University di Tokyo,

China Women’s University di

Pechino e Shandong Women’s

University. Oltre a queste il

Collegio è anche parte attiva in due

network internazionali: dal 2004 la

rete WEW – Women’s Education

Worldwide, che riunisce più di 50

college e università di prestigio che

condividono l’obiettivo della

formazione di qualità delle donne e

dal 2012 The Women in Public

Service Project, lanciato da Hillary

Clinton allo scopo di innalzare in

tutto il mondo al 50% la presenza

femminile ai ruoli apicali nella vita

pubblica. Altre otto alunne hanno

invece partecipato a meeting in

Europa (Budapest, Bruxelles

Londra, Varsavia ecc.) promossi da

EucA, la rete europea di collegi

universitari, di cui pure il Nuovo fa

parte, come membro della

Associazione dei 14 Collegi di

merito italiani. Contando anche

loro, le opportunità all’estero

offerte dal Collegio nel 2015 alle

proprie alunne sono state ben 42,

che diventano 45 con i tre

contributi assegnati dalla

Associazione Alumnae.

Un bel segno che continua una

tradizione e un’apertura ben

radicata in Collegio sin dai primi

anni, anche su esempio della

Fondatrice, persona davvero

cosmopolita e “senza frontiere”,

grande viaggiatrice in tutti i

continenti, con amicizie e interessi

ovunque. È una tradizione grazie

alla quale più della metà del

migliaio di studentesse che in quasi

quarant’anni hanno animato il

Collegio ha potuto varcare i confini

del nostro Paese e, dall’altra parte,

almeno tre centinaia di giovani

internazionali sono state ospitate al

Nuovo. A partire dall’anno stesso

di apertura, quando fu accolta la

prima, una neolaureata somala, e si

diede già inizio ai corsi di lingue

interni per le alunne. Solo tre anni

dopo (1981) veniva firmato il

primo accordo di scambio

studentesse con un’antica

università europea come la

Johannes Gutenberg di Mainz e le

ospiti internazionali erano oltre la

decina: un numero che si manterrà

invariato negli anni a venire e

vedrà un ulteriore importante

incremento a partire dai primi anni

Duemila, con l’apertura della

Sezione (mista) riservata a

neolaureati e giovani ricercatori, in

maggioranza stranieri.

Sempre nel 1981 il Collegio inizia

a erogare alle sue alunne borse per

soggiorni estivi finalizzati sia allo

studio delle lingue che a stage di

ricerca, mentre data al 1987 (lo

stesso anno dell’inizio del

programma Erasmus di cui pure

molte Nuovine hanno usufruito)

l’avvio delle borse di

perfezionamento post laurea,

sempre all’estero. La pioniera, per

un Master all’Università di Hull, fu

l’economista Renata Bonfiglio, ora

Manager Investor in una società

milanese. Anche questa

un’iniziativa destinata a dare

grandi frutti, se consideriamo che

molte di quelle giovani

neolaureate, partite spesso con

l’intenzione di star via solo pochi

mesi, sono oggi affermate docenti

in Università di tutto il mondo,

come Barbara Casadei, la prima

donna diventata Full Professor in

Cardiologia a Oxford (e attuale

Vice Presidente della Società

Europea di Cardiologia), Alessia

Fornoni, Full Professor in

Nefrologia alla Miami School of

Medicine (dove accoglie di

frequente per stage studentesse in

Medicina del Nuovo) o ancora

Marina Cerrone, Research

Assistant Professor in Cardiologia

alla New York University. Non

solo medici, naturalmente, ma, tra

le tante altre, anche docenti o

ricercatrici di Letteratura italiana

(Giuliana Adamo, Trinity College

di Dublino e Silvia Albesano,

Università della Svizzera Italiana),

Ebraistica (Silvia Castelli, Vrjie

Universiteit, Amsterdam e Gaia

Lembi, Brown University, USA),

Archeologia (Laura Puritani,

Museo statale di Berlino), Filosofia

(Michela Summa, Università di

Würzburg), Scienza Politica

(Maria Paola Ferretti, Università di

Darmstadt), Fisica (Magda

Arnaboldi, European Southern

Observatory, Monaco di Baviera),

Biologia e Genetica (Daniela

Moralli, Università di Oxford;

Flavia Spirito, Università di Nizza;

Erica Bellinvia, Università di

Praga; Lia Paola Zambetti, Agency

of Science, Technology and

Research, Singapore; Anna Merlo,

Salk Institute, La Jolla, California;

Lia Antico, Università di Ginevra;

Blerida Banushi, University

College London), Bioingegneria

(Rossana Motta, San Diego

University, USA). Come pure

dirigenti, funzionarie e

professioniste, tra cui: Cristina

Castagnoli, Parlamento Europeo;

Maria Francesca Nespoli,

Ambasciata d’Italia a Washington;

Michela Pagano, Unesco, Parigi;

Chiara Feder, Governo

dell’Alberta, Canada; Laura

Carminati, Cargill Investor

Services, Londra; Maria Vologni,

Institutional Shareholder Services,

Bruxelles; Anna Lanzani,

Marketing Director, Molinos Rio

della Plata, Buenos Aires, Chiara

Ravezzani, Peter Dann Consulting

Engineers, Cambridge e tante altre.

A conferma del contributo offerto

dalle Nuovine a quella

“circolazione” internazionale di

cervelli che è sempre stata una

caratteristica della cultura e delle

professioni ai livelli superiori, da

non confondersi con la “fuga” di

cervelli che colpisce molti giovani

in cerca di occupazione. Fuga che

non ha mai toccato le nostre

laureate, per le quali trovare lavoro

non è mai stato un problema, anche

nei momenti di crisi: lo ha

confermato una recente indagine

che ha evidenziato un tasso di

occupazione al 92% entro sei mesi

dalla laurea. Del resto qualcuna,

dopo qualche anno all’estero, è

invece tornata nel nostro Paese,

come Livia Capponi (Storia antica)

rientrata all’Università di Pavia da

quella inglese di Newcastle per

aver vinto una delle prime borse

Rita Levi-Montalcini per il rientro

in Italia di giovani ricercatori (e

che ora condivide la stanza in

Dipartimento con un’altra Nuovina

antichista, Chiara Carsana, già

borsista del Collegio allo

University College London) o

Rosa Bernardi (Biologia) rientrata

al San Raffaele di Milano dalla

Harvard Medical School grazie a

un finanziamento della Fondazione

Armenise-Harvard. C’è anche poi

chi parte, torna e poi riparte, come

Maria Guglielma Da Passano,

funzionaria FAO, che, dopo un

periodo in Africa e uno successivo

a Roma, è di nuovo in partenza per

l’Uganda.

E non certo di meno si sono

affermate anche le giovani

neolaureate internazionali che il

Collegio Nuovo ha ospitato negli

anni: tra loro, in campo

accademico, le italianiste Mariko

Muramatsu (Università di Tokyo) e

Rodica Diaconuscu (Vassar

College, USA), la germanista

Deborah Holmes (Università del

Kent), la matematica Mabel

Asensio Sevilla (Università di

Salamanca), la fisica Fugen Tabak

(Università di Ankara), la chimica

Kamal Singh (Amravati

University, India, di cui è stata

anche Rettrice). E anche la

scrittrice Lise Chapuis, che per

prima ha tradotto in francese i libri

di Antonio Tabucchi, da lei

scoperto proprio mentre era a

Pavia.

Le prime due partnership

in Europa.

Università di Mainz (1981)

e di Heidelberg (1991)

Ma torniamo alla storia e al

progressivo ampliamento dei

rapporti internazionali del

Collegio. Dopo l’accordo con

Mainz (1981), nato grazie anche

all’amicizia di Maria Corti con il

collega magontino Kurt Ringger e

inaugurato dalla letterata Melania

Mandarà (oggi docente al Liceo

italiano di Istanbul) e, per la parte

tedesca, da Brigitte Scheuerle (oggi

funzionario alla Camera di

Commercio di Francoforte), il

secondo fu siglato nel 1991 ancora

con un’università storica tedesca,

la prestigiosa Heidelberg. Questa

volta, a farsene promotore fu il

filologo Edgar Radtke, da poco

approdato come docente nella bella

(a pagina 3)

(a pagina 3)

Paola Bernardi

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A sinistra 2012, Ginling College di Nanchino. Meeting della rete WEW. A destra 2015, Atlanta. Meeting WEW.

Pagina 3 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016

città sul Neckar, che ben

conosceva Pavia e i suoi collegi

per esser stato alunno straniero in

Ghislieri durante il suo anno di

perfezionamento in Università. In

cambio dell’ospitalità al Nuovo per

un semestre di studio alla Facoltà

di Lettere per una sua studentessa,

Heidelberg si impegnava a

garantire ad altrettante Nuovine

cinque posti nel suo rinomato

Ferienkus, il corso di lingua e

cultura tedesca che ogni anno in

agosto attira in città oltre 500

giovani da tutto il mondo. Come

l’accordo con Mainz, che ha visto

arrivare a Pavia e partire per la

Germania quasi una quarantina di

studentesse da ambo le parti, anche

quello con Heidelberg ha molto

contribuito ad ampliare la

prospettiva internazionale delle

Nuovine, non solo letterate, con

oltre 120 di loro che ne hanno

usufruito in quasi 25 anni. In molti

casi la conoscenza del tedesco si è

rivelata poi un vero vantaggio per

le loro successive carriere. Ne sono

convinte, tra le altre, Barbara de

Muro, Avvocata in Milano, appena

nominata Vice Presidente di ASLA

– Associazione Studi Legali

Associati, Antonella

Francabandera, laureata in Lettere,

ora manager Risorse umane in una

multinazionale in Germania o

Viviana Palumberi, docente di

Matematica al Liceo di Aarau, lo

stesso in cui si diplomò Einstein. O

ancora le più recenti laureate

Valentina Fermi, neurobiologa, che

si sta perfezionando proprio a

Heidelberg, Elisa Gilardi,

dottoranda in Chimica al Max

Planck Institute di Stoccarda e

Federica Malfatti, dottoranda in

Filosofia del linguaggio a

Innsbruck. Non è certo quindi un

caso se ogni anno molte alunne

fanno la fila per tale opportunità,

che va ben oltre quella

dell’imparare le lingua, poiché

offre anche la possibilità di incroci

e amicizie con giovani di tutto il

mondo. Ed è anche successo che

alcune alunne si siano poi fermate

stabilmente a vivere in Germania,

per motivi di lavoro o anche di

matrimonio, così come è capitato

anche a più studentesse tedesche

qui in Italia: tra le altre Anke

Fischer, prima assistente scientifica

a Villa Vigoni, Centro italo-

tedesco per l’Eccellenza europea

sul lago di Como, ora invece

consulente per gli studenti del

corso Fashion, Culture and

Management dell’Università di

Bologna.

La terza partnership

in Europa.

New Hall College,

Cambridge (1997)

Sei anni dopo l’accordo con

Heidelberg, nel 1997, arriva il

terzo partner europeo per il

Collegio Nuovo, il New Hall

College (ora Murray Edwards) di

Cambridge, fondato (1954) come il

Nuovo da una donna, Rosemary

Murray, chimica e prima donna a

ricoprire la carica di Vice

Chancellor nella storia dell’antica

università inglese. Tra le sue

Alumnae anche l’attrice Premio

Oscar Tilda Swinton.

L’accordo con New Hall

rappresenta una pietra miliare nella

storia del Collegio Nuovo, sia per

aspetti di carattere formativo che

per i rapporti internazionali. Questa

volta si tratta infatti di uno

women’s college, parte sì

dell’Università di Cambridge, ma

anche molto impegnato nella

formazione mirata delle donne. Nel

1997 gli scambi Erasmus in Europa

sono diventati una realtà ben

consolidata, di cui usufruiscono

sempre più alunne. Ecco quindi per

il Nuovo il desiderio di offrire

qualcosa di più alle proprie

studentesse, un’esperienza che non

sia solo accademica e di vita, ma

che possa anche affinare le loro

qualità specifiche per l’ingresso nel

mondo del lavoro, oltre che

prepararle ad affrontare al meglio

le difficoltà ancora esistenti per le

donne che ambiscono a ruoli di

vertice. New Hall è il partner

giusto anche per questo. A creare il

contatto è l’allora Rettore della

nostra Università, Roberto Schmid,

che, nelle riunioni delle 38

università storiche europee del

Gruppo di Coimbra, ne aveva

conosciuto la President Anne

Lonsdale, una stimata docente di

sinologia, amica tra l’altro della

leader birmana Aung San Suu Kyi

durante i suoi anni a Oxford. Anne

Lonsdale era alla ricerca di un

partner in Italia per le sue

studentesse interessate a studiare la

nostra cultura, esattamente come il

Collegio Nuovo al di là della

Manica. Ci volle poco a intendersi:

a unire i due partner, nome a parte,

l’ambiente giovane e informale e

soprattutto l’attenzione specifica

alla formazione femminile. Già

nell’autunno del 1997 partirono dai

due collegi le prime alunne di

scambio, entrambe letterate, Saskia

Avalle (dal 2006 coordinatrice

delle attività accademico-culturali

del Collegio Nuovo) e Senay

Camgoz (oggi all’UNICEF). Lo

scambio con New Hall, attivo per

15 anni, ha dato anch’esso molti

frutti positivi, con oltre una

dozzina di studentesse e

neolaureate di ambo le parti che ne

hanno usufruito per l’intero anno o

anche per più anni (tra le quali pure

laureate in discipline scientifiche,

che a Cambridge hanno conseguito

i loro PhD, come Barbara

Falabretti in Fisica o Letizia

Diamante in Chimica) e un numero

almeno triplo dal Nuovo per più

brevi soggiorni estivi.

Il Duemila. Oltre l’Europa:

la rete internazionale

WEW (2004)

Ma c’è un altro motivo per cui il

contatto con New Hall è stato,

come detto, fondamentale per il

Collegio Nuovo, perché fu proprio

grazie al college gemello di

Cambridge che il Nuovo, nei

primissimi anni Duemila, riesce ad

ampliare i suoi rapporti

internazionali in un modo fino ad

allora quasi inimmaginabile. Fu

infatti Anne Lonsdale, nel 2003, a

suggerirne il nome, unico in Italia,

tra le istituzioni invitate a costituire

la rete internazionale WEW –

Women’s Education Worldwide,

mirata a mettere in contatto le più

prestigiose istituzioni universitarie

femminili di tutto il mondo, con

l’obiettivo primario della

condivisione tra loro delle migliori

azioni per la formazione specifica

delle donne. L’ingresso nella rete,

formalizzatasi nel primo,

emozionante incontro del 2004 a

Boston (cui partecipò anche

l’Alumna Grazia Bruttocao, ora

Portavoce del Rettore Fabio

Rugge), ha significato per il Nuovo

superare i confini europei ed

entrare davvero nel “gotha” delle

istituzioni mondiali che avevano

sempre fatto della formazione delle

donne la loro missione, oltre che la

storia. Dai più antichi college

universitari femminili degli Stati

Uniti, come quelli riuniti nel

gruppo delle Seven Sisters fondati

tra il 1837 e il 1889, i college di

Hillary Clinton, Madeleine

Albright, la prima donna Segretario

di Stato USA e Nancy Pelosi, la

prima donna Speaker del

Congresso americano, come pure

delle scrittrici, Emily Dickinson,

Patricia Highsmith e Gertrude

Stein, delle attrici Katharine

Hepburn e Meryl Streep, ai più

recenti in Asia, Africa e Australia,

da cui pure sono uscite personalità

femminili di grande rilievo, anche

loro tutti molto sensibili alla

necessità di formare donne leader.

La partnership

con il Dubai Women’s

College (2004)

Il primo risultato dell’ingresso

nella rete WEW fu, nello stesso

2004, la partecipazione della

Alumna giurista Stella Abbamonte

alla Insight Dubai Conference, un

meeting annuale di circa 50

studentesse occidentali con

altrettante islamiche, promosso dal

Dubai Women’s College con

l’obiettivo di farle interagire tra

loro su temi legati alla cultura e al

ruolo delle donne nei rispettivi

Paesi. Da quel primo meeting,

rimasto memorabile anche per la

presenza di Benazir Bhutto, allora

in esilio a Dubai, ogni anno due o

tre alunne del Nuovo sono

attivamente presenti. In undici

anni, con le tre del 2015, il loro

numero complessivo è salito a 23.

Inutile dire quanto sia importante

per tutte, soprattutto in questo

momento di contrapposizioni di

idee e religioni, una simile

occasione di scoprire che, al di là

delle apparenze, sono più i punti in

comune che quelli che dividono.

La partnership

con il Barnard College -

Columbia University

di New York (2008)

Nasce dalla rete WEW anche la

quinta partnership del Collegio,

quella siglata nel 2008 con il

Barnard College, affiliato alla

Columbia University di New York,

lo women’s college probabilmente

di maggior reputazione nel mondo,

il più antico di New York e tra i

più antichi del mondo, segnalato in

particolare per la sua eccellenza

dalla Alumna Maria Francesca

Nespoli, allora a Columbia.

Fondato nel 1889 dal matematico

Frederick Barnard è stato per quasi

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2013, Tokyo, Ochanomizu University. Firma dell’accordo.

A destra 2015, Pechino. Firma dell’accordo

tra Collegio Nuovo e China Women’s University.

Nell’altra pagina, nel titolo Sopra Studentesse

da tutto il mondo al Collegio Nuovo per la WEW.

Sotto 2011, Pavia. Studentesse della rete WEW

al Collegio Nuovo per la Student Conference.

A sinistra 2010. Tre alunne del Nuovo a Sydney. Al centro 2012, Tokyo. A destra 2013. Tre alunne del Nuovo a Tokyo Ochanomizu University.

IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 4

100 anni (Columbia ha ammesso le

donne solo nel 1983), la maggiore

fucina dei cervelli femminili

newyorkesi. La sua sede originaria

è proprio di fronte a Columbia, con

cui le studentesse di Barnard

condividono docenti,

insegnamenti, spazi, biblioteche,

attività sportive. Anche Barnard

vanta Alumnae di prestigio, come

l’antropologa Margaret Mead, le

scrittrici Erica Jong e Jhumpa

Lahiri, l’attrice Cynthia Nixon e

pure Judith Smith Kaye, prima

donna Presidente della Corte

d’Appello di New York (1993-

2008) e Jeane Kirkpatrick, prima

ambasciatrice USA alle Nazioni

Unite (1981-85). E si dice che

presto potrebbe chiedere

l’ammissione (molto selettiva,

circa 8 su 100 domande) Malia, la

figlia maggiore del Presidente

Obama. Non a caso lo stesso

Obama scelse il Barnard, durante

la campagna per la rielezione del

2012, come il luogo migliore per

rivolgere il suo discorso elettorale

più forte alle donne americane.

L’accordo con Barnard si è rivelato

davvero una grande opportunità

formativa per le Nuovine e pure un

grande unico privilegio. Non solo

permette loro di essere ammesse

(3/4 l’anno) ai corsi anche di

Columbia (il che non è già cosa

facile per nessuno studente), ma

pure a costi davvero accessibili,

considerati quelli delle università

americane: la tassa di iscrizione

semestrale riservata alle

studentesse del Nuovo è infatti di

circa 2.000 dollari (per altro pagati

per loro dal Collegio, che le

sostiene anche per le spese di

alloggio) contro i 23.000 delle

alunne interne. Dal 2009, anno in

cui partì la prima Nuovina, Alberta

Spreafico (Scienze Politiche), che

poi a NYC è tornata più volte,

anche per un intervento all’ONU

su temi di sviluppo sostenibile, 16

sono state le alunne del Nuovo al

Barnard per l’intero Spring

Semester. E altrettante vi hanno

trascorso un periodo estivo. Quasi

tutte studentesse di facoltà

umanistiche o di area giuridico

sociale, in linea con il carattere di

“liberal arts college” proprio del

Barnard, ma anche di Medicina,

Chimica, Fisica o Ingegneria per i

più brevi periodi estivi.

Allo scadere del 2008, anno del

suo trentesimo di fondazione, il

Collegio Nuovo poteva quindi

contare già su cinque partnership,

tre in Europa, una in Medio

Oriente e una negli Stati Uniti, e

inoltre aveva già assegnato alle sue

studentesse 404 posti di scambio

presso i suoi partner o borse per

l’estero. Tra queste 130 per

perfezionamenti post laurea di

almeno un semestre, in un

centinaio di Università o enti di

ricerca di gran fama, compresa la

Harvard Medical School, il

Karolinska Institutet di Stoccolma,

il CERN di Ginevra, la London

School of Economics, l’Imperial e

il King’s College di Londra,

l’Ècole du Louvre e il Pasteur di

Parigi, le Università di Oxford e

Cambridge e via dicendo. E aveva

inoltre ospitato (senza contare la

Sezione laureati) 249 studentesse o

neolaureate internazionali, oltre a

una cifra ancora maggiore per

periodi più brevi. Europee

soprattutto (80%) e letterate, ma

con buona presenza anche dagli

altri continenti e di più ambiti di

studio, quasi tutte per l’intero anno

accademico.

Nuovo e Nuovine

sempre più nel mondo:

Boston, Sydney, Shanghai

Un bilancio sicuramente positivo,

destinato a incrementarsi

ulteriormente negli anni successivi,

grazie anche a due eventi promossi

in Collegio per la rete WEW.

Ancora nel 2008 il meeting di

Presidenti, Rettrici e Docenti della

rete (il terzo dopo Boston e Dubai),

nel 2011 quello riservato invece

alle studentesse, una quarantina da

tutti i continenti, con prevalenza di

asiatiche. Due ottimi investimenti

per il Nuovo che di molto

contribuiscono a far conoscere il

Collegio, le sue attività e la qualità

delle sue studentesse ai partner

convenuti da tutto il mondo. E che

hanno dato i loro frutti

velocemente, come vedremo.

Gli anni successivi vedono infatti,

oltre alle tradizionali borse di

studio e posti di scambio (in media

non meno di 25 l’anno), alcune

occasioni davvero imperdibili per

le Nuovine, quasi tutte fuori

Europa, verso cui il Nuovo è ormai

proiettato. Già nel 2008 due

studentesse (Livia De Rosa,

giurista, ed Elisabetta Di

Bernardini, biotecnologa, che dopo

un PhD al King’s College di

Londra è appena rientrata in Italia

come Associate Scientist in una

multinazionale) avevano avuto

occasione di partecipare alla prima

WEW Student Leadership

Conference promossa in

Massachusetts da Smith e Mount

Holyoke, i due college fondatori

della rete. Due anni dopo, nel

gennaio 2010, il quarto meeting

WEW allo Women’s College della

Sydney University, vede la

partecipazione, nella sessione

dedicata alle studentesse, di tre

alunne (cofinanziate anche della

Fondazione Comunitaria di Pavia):

ancora Alberta Spreafico e con lei

Federica Penner (Medicina, ora

specializzanda in Neurochirurgia) e

Angelica Sartori (Fisica, ora

consulente nel mondo del Risk

Management). Nell’ottobre, la

visita a EXPO 2010 e ad alcune

realtà universitarie e aziendali di

Shanghai, promossa dalla

Associazione dei Collegi di merito

italiani e alla quale parteciparono,

cofinanziate questa volta anche

dalla Fondazione Cariplo, ancora

tre collegiali: Laura Di Lodovico

(ora specializzanda in Psichiatria a

Parigi), Chiara Leone (neolaureata

con encomio in Medicina) e

Beatrice Plazzotta (dottoranda in

Chimica in Danimarca). Tre

occasioni molto formative, che

spingono il Collegio sempre più

fuori Europa alla ricerca di partner

ancora più lontani, Cina e

Giappone soprattutto. Paesi coi

quali verranno infatti siglati i tre

più recenti accordi: il primo, allo

scadere del 2011, è con la

Shandong Women’s University di

Jinan, capitale dello stato di

Shandong, la culla del

confucianesimo.

Il progetto WPSP lanciato

da Hillary Clinton (2012)

L’anno successivo, il 2012, è

davvero un altro anno d’oro per il

Nuovo e le Nuovine (in 34

all’estero grazie al Collegio):

l’anno dell’invito al Collegio a

collaborare con il nuovo

programma lanciato da Hillary

Clinton, allora Segretario di Stato

USA, Women in Public Service

Project, di cui si è detto. Un

programma che la Clinton lancia

proprio nel suo college, Wellesley,

quello che, afferma nella sua

autobiografia, è stato il miglior

investimento della sua vita, anche

per averle offerto, per la prima

volta, l’occasione di mettere a

prova la propria leadership negli

organismi studenteschi. E che ora,

naturalmente, tifa tutto per la sua

elezione a Presidente degli Stati

Uniti! Anche da questa

collaborazione, che continua grazie

al Wilson Center di Washington, è

nata subito una bella occasione per

le Nuovine, che in tre hanno

partecipato a Bruxelles, nel luglio

2013, a una settimana di seminari

dal titolo Women Leaders in

International Relations.

Comparing Ue and US

Experiences, promossa in

particolare dalla allora Direttrice

dell’Istituto italiano di cultura

Federiga Bindi, con il nostro

Collegio tra i partner. Le

studentesse Elena Bernini (Scienze

Politiche, ora a Oxford per la

laurea magistrale in Development

Studies), Simona Cavasio

(Giurisprudenza, ora a Londra per

uno stage in uno studio legale) e la

Alumna Helga Carlotta Zanotti

(Avvocato) ebbero in quella

settimana occasione di interagire

con donne leader del calibro di

Anne Marie Slaughter (docente a

Princeton e tuttora stretta

collaboratrice della Clinton),

Valerie Biden (artefice delle

campagne elettorali del fratello

Joe, Vice Presidente USA),

Marjorie Margolies (giornalista,

già membro del Congresso degli

Stati Uniti) e, per la parte europea,

Marta Dassù, allora Vice Ministro

degli Esteri o Androulla Vassiliou,

al tempo Commissaria europea per

l’Istruzione e la Cultura.

Nuove partnership

nel lontano Oriente:

Ochanomizu University

di Tokyo (2013) e China

Women’s University

di Pechino (2015)

Il 2012 è anche l’anno dell’invito,

unica istituzione europea (gli altri

due invitati sono per l’America

Mount Holyoke, il più antico

women’s college del mondo, e per

l’Asia Ewha Womans University

di Seoul, la più grande università

femminile di tutti i continenti, da

cui sono uscite tutte le donne

“first” della Corea, compresa una

Prima Ministra) a un seminario

promosso dalla Ochanomizu

University di Tokyo, sul tema

dell’avanzamento della leadership

femminile. Invito esteso anche in

questo caso a tre alunne, Chiara

Gelati (Lettere, ora

“comunicatrice” in una

multinazionale), Martina Sampò

(Scienze Politiche, appena laureata

alla London School of Economics)

e Linda Santini (Economia,

neolaureata e ora impegnata in un

tirocinio in Spagna). Ed è anche

l’anno del quinto meeting della rete

WEW, al Ginling College di

Nanchino: un meeting che fa

soprattutto da vetrina alle tante

istituzioni universitarie femminili

della Cina, Paese in cui ormai,

come in quasi tutti quelli del

mondo sviluppato, la percentuale

di donne laureate negli ultimi anni

supera quella degli uomini (in

Italia il sorpasso dura ormai dal

1981). Sono due occasioni che

danno anch’esse una forte spinta

per i due successivi accordi, quello

firmato a Tokyo nel 2013 con la

stessa Ochanomizu University e il

successivo firmato a Pechino nel

2015 con la China Women’s

University: entrambe istituzioni

che per altro già conoscevano il

Collegio Nuovo per avervi inviato

in avanscoperta dirigenti e

studentesse per i due meeting del

2008 e del 2011. E, da

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Sopra a sinistra 2013, Bruxelles. Alunne del Nuovo

al Seminario WPSP.

Sotto a sinistra 2015, Boston. Meeting EucA-MIT.

Qui sopra 2015, due alunne del Nuovo alla Miami School of Medicine.

Pagina 5 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016

Ochanomizu, pure un docente, il

giurista Masao Kotani, traduttore

in giapponese del testo di Beccaria

Dei Diritti e delle Pene e molto

sensibile, anche per questo motivo,

all’Università di Pavia!

Ochanomizu è la più antica (1875)

e la più grande (circa 3.000 le

studentesse) università femminile

pubblica del Giappone, che ha

come motto “Un luogo dove tutte

le donne che sono motivate a

imparare possono realizzare i loro

seri sogni”. Conta oltre 40 partner

in tutti i continenti e ogni anno

invita nella propria sede un bel

numero di loro studenti e

studentesse per frequentare

Summer Schools in più temi, sia

socio culturali che scientifici, in

linea col suo carattere

interdisciplinare. L’accordo del

2013, firmato con la President

Sawako Hanyu, filosofa, in soli tre

anni ha portato ben 17 Nuovine

nella capitale dell’Impero del Sol

Levante. E nel corrente anno

accademico ha anche offerto a due

studentesse giapponesi, Aiko e

Yuri, (entrambi di Scienze

Politiche) la possibilità di essere

ospitate al Nuovo, portandovi tutta

la loro grazia orientale! Come pure

a due alunne del Collegio (Lara

Betti e Sara Daas, letterate) di

essere invitate, con la Alumna

Piera Molinelli, docente di

Linguistica a Bergamo, al meeting

What’s happens when different

cultures meet?.

La seconda partnership nel lontano

Oriente arriva nel 2015, con la

China Women’s University di

Pechino, la “casa madre” di tutte le

università cinesi riservate alle

donne, fondata nel 1948 anche da

Soong Ching Ling, vedova di Sun

Yat Sen e lei stessa Presidente

della Repubblica Popolare cinese

(1968-72) oltre che per molti anni

Vice Presidente dell’Assemblea

nazionale del Popolo. Una grande,

moderna istituzione, che offre una

formazione interdisciplinare,

soprattutto nei settori

dell’economia e della computer

science. Accoglie 4.000

studentesse e può vantare più di

60.000 laureate, cui è

unanimemente riconosciuto un

importante contributo allo sviluppo

del Paese. Il suo motto è in latino:

“Virtus, Caritas, Scientia and

Cultura”. La CWU fu parte attiva

della storica 4th World Women’s

Conference che si tenne a Pechino

nel 1995: di qui l’idea di

celebrarne il ventennale con il

meeting Women’s Higher

Education and Gender Equality:

Women’s University Development

Stategies, al quale il nostro

Collegio ha avuto l’onore di essere

invitato, insieme a poche altre

istituzioni di Asia e Stati Uniti, per

presentare la propria attività alle

dirigenti delle università femminili

della Cina, convenute da tutte le

provincie. Presenti, anche questa

volta, tre alunne del Nuovo:

Martina Comparelli (Scienze

Politiche, in procinto di trasferirsi

in Inghilterra per la laurea

magistrale), Francesca Di Massimo

(Matematica) e Lara Princisvalle

(Filosofia). Tre giorni molto intensi

di confronto, anche tra studentesse,

e la firma, con la President Liu

Liqun (una leader nel suo Paese

negli Studi di genere) di un

memorandum che getta le basi per

una futura collaborazione. Che, ci

auguriamo, porti presto altre

Nuovine in Cina, come in passato

Laura Demartini (ora Responsabile

dell’Unità di Terapia del Dolore

della Fondazione Maugeri) che

proprio a Pechino spese un periodo

di perfezionamento all’Accademia

di Medicina tradizionale cinese.

Ancora gli Stati Uniti.

Nuove condivisioni:

Atlanta, Yale University

e MIT (2015)

Ma l’anno 2015 ha visto anche altri tre momenti di condivisione

significativi per il Collegio Nuovo,

tutti negli Stati Uniti: in primo

luogo la partecipazione, in gennaio,

ad Atlanta, al meeting WEW,

promosso questa volta da Agnes

Scott e Spelman, due storici college

della capitale della Georgia, la città

di Martin Luther King (oltre che

della Coca Cola…). Diversi tra loro

(Agnes Scott, fondato nel 1889 dalla Chiesa presbiteriana si trova a

Decatur, la zona più “bianca” e

benestante dell’area di Atlanta,

mentre Spelman, fondato nel 1881

dalla Chiesa Battista, è da sempre

rivolto alle black women

afroamericane), ma uniti

nell’obiettivo comune della formazione femminile, i due college

hanno voluto incentrare il meeting

su Women, Leadership and

Sustainability. Tema che è stato

declinato in più settori, ambiente,

energia, clima, salute,

alimentazione con presentazione

anche di progetti specifici, tra cui il

“Wellness” di Spelman: un

investimento di alcuni milioni di

dollari per educare, attraverso l’attività sportiva e l’alimentazione,

le donne ad avere maggior cura

della propria persona e salute. Tutti

sono stati d’accordo: lo sviluppo

sostenibile è una questione di

fondamentale importanza per il

presente e il futuro dell’umanità e le

istituzioni formative possono, e

devono, giocare un ruolo

importante nel sensibilizzare le

generazioni più giovani. Subito dopo Atlanta, è la volta di New

Haven, la cittadina del Connecticut

resa unica dalla presenza della Yale

University (la terza negli USA per

fondazione e sempre tra le

primissime nelle classifiche

mondiali) e dei suoi dodici college,

che davvero “sono” la città con le

loro nobili architetture neogotiche.

Qui insegnano Serap Aksoy,

biologa, collega e amica della Presidente del Consiglio di

Amministrazione della Fondazione

Sandra e Enea Mattei che inquadra

il Collegio, Anna Malacrida (pure

presente), lei stessa più volte ospite

in Collegio durante i suoi periodi di

studio a Pavia, e la Nuovina

Katherina Politi, patologa, che

dirige un Laboratorio impegnato

nella ricerca sul cancro. Grazie a

loro, è facile il contatto coi Master dei due College di cui sono Fellow,

il Davenport e il Trumbull, coi quali

si inizia a parlare di future

collaborazioni. Intanto la Nuovina

biologa Francesca Scolari, allieva

della Presidente Malacrida, è già di

casa nel laboratorio di Serap e

presto potrebbero aprirsi altre

opportunità grazie a Katherina.

La terza occasione di incontro, in

luglio, è invece a Boston, più precisamente a Cambridge, nella

sede del Massachusetts Institute of

Technology, la mitica istituzione

politecnica fondata nel 1861, che

vanta 85 Premi Nobel (e anche 34

astronauti!). Questa volta si tratta di

una settimana di confronto (EucA-MIT Symposium: The Key Role of

Students Affairs in Delivering

Excellence in Higher Education),

tra una quindicina di

Rettori/Direttori di Collegi della

rete europea EucA con altrettante

persone che al MIT lavorano nel

settore della formazione non

accademica degli studenti. Al MIT

sono iscritti circa 12.500 studenti e

studentesse. Oltre il 30% arriva da quasi 130 nazioni estere, con

preminenza di Cina (20%) e India

(10%). Gli oltre selezionatissimi

4.500 studenti di livello pre laurea

(il 45% donne) vivono in

maggioranza nelle 12 residenze del

campus, che hanno quindi una

dimensione media di quasi 400

ospiti. È quindi naturale che, con

una popolazione così eterogenea e

numerosa, sia necessaria un’attività di supporto per favorire

l’interazione tra gli studenti nelle

rispettive residenze. Obiettivo del

meeting è stato proprio quello delle

condivisione tra europei e americani

delle migliori modalità perché

questa interazione si possa

realizzare, affinché lo studente sia

messo in grado di affrontare lo

studio in un clima il più sereno e

confortevole possibile e inoltre sviluppare al meglio le sue qualità

personali e le sue abilità trasversali,

quelle soft skills che anche

l’Unione Europea raccomanda

come competenze necessarie a ogni

cittadino e quindi da inserire in ogni

percorso formativo, università

comprese. Ognuno dei partecipanti

ha presentato le attività specifiche

del proprio collegio o residenza nel

settore. Al Collegio Nuovo è stato chiesto di sviluppare il tema della

formazione femminile. E farlo in

quella sede è stato sicuramene un

grande motivo di orgoglio. Come è

stato di soddisfazione per noi

europei constatare che molte delle

attività proposte nei nostri collegi

non sono diverse da quelle

promosse dai dirigenti MIT. E che

in ogni modo l’obiettivo è comune:

supportare gli studenti affinché possano trarre il meglio, anche

come persone, dai loro anni

universitari e quindi giungere alla

fine del percorso di studio non solo

con un’ottima preparazione

accademica e un vasto patrimonio

di competenze, ma pure con una personalità libera e armoniosa.

Il presente e il futuro.

Una tradizione

che continua

E ora? Il Nuovo certo non si ferma,

come non si ferma il flusso delle

Nuovine all’estero, sempre con

supporto finanziario del Collegio,

anche nel corrente anno. Lo

dimostrano ancora una volta alcuni dati concreti: quattro studentesse

(Economia, Lettere, Scienze

Politiche e Giurisprudenza) sono da

gennaio al Barnard College a New

York, una (Filosofia) è già stata a

Belgrado per un convegno Unesco

sulla sostenibilità, un’altra

(Ingegneria) è appena partita per

Seattle per un perfezionamento di

sei mesi post laurea in Ingegneria

sismica e un’altra ancora (Linguistica) per Coimbra per un

corso semestrale di portoghese

come lingua seconda, un’altra

(Electronic Engineering) è invece

appena tornata da un convegno

internazionale sulle microonde a

San Francisco. E poi ce ne sono

quattro (Filosofia, Lingue, Fisica e

Biologia) che attendono l’estate per

andare ad Heidelberg e altre sei

(Filosofia, Giurisprudenza, Economia, Scienze Politiche,

Chimica, Medicina) in attesa delle

prossime Summer School di

Ochanomizu University a Tokyo.

Per ora, e non siamo ancora a metà

anno, siamo a quota 18… senza

contare le numerose studentesse,

quest’anno nove, impegnate in

programmi Erasmus in tutta

Europa.

Una bella tradizione che continua… Non per niente, quando si è trattato

di scegliere un motto per il

Collegio, il più gettonato, anche

dalle studentesse, è stato “Il Nuovo

ti apre al mondo”.

Paola Bernardi Rettrice del Collegio Nuovo

Fondazione Sandra e Enea Mattei,

Pavia

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Qui sopra 2016, Pavia: Aiko e Yuri, studentesse

di Ochanomizu University di Tokyo

al Collegio Nuovo.

A destra 2016, New York:

Nuovine al Barnard College.

Sopra da sinistra 2015, Pechino: tre alunne

del Nuovo alla China Women’s University.

2015, Dubai: alunne del Nuovo

alla Insight Dubai Conference.

2016, New York: Nuovine al Barnard College.

IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 6

“Caro Sisto, dopo la tua

ultima visita alla permanente di Carlo in

occasione della mostra MO di Carlo Mo mi hai

chiesto di preparare uno scritto di circa 10.000

battute su di lui. Io non ti invito più, sappilo!

… No, sto scherzando, anzi te ne ringrazio e

approfitto per invitare te e tutti i tuoi lettori a

questa inconsueta quanto preziosa mostra che si

inaugurerà al Salone

Teresiano, Università di Pavia, il 27 di maggio.

Mo + Mo scultura e design: Carlo con la sua

scultura e Francesca (sua figlia), molto nota

designer nel campo del gioiello, con i suoi piccoli

capolavori. Finalmente l’imperitura

domanda “qualcuno ha seguito le orme del

papà?” ha trovato una risposta.

Ma torniamo a Carlo: Mo lo scultore dei grandi spazi, Mo l’artista internazionale, Mo il fabbro dogon dalla cui fucina

segreta alla mitica casa del Chiozzo, come la definisce Mino Milani, uscirono molte delle sculture che adornano Pavia. Tanti hanno parlato di lui molto più bravi ed esperti di me,

compreso tu. Così ho deciso di

parlartene come quando mi adopero quale cicerone alla mostra permanente per tanti gruppi e scuole che vengono in visita, chiamando però in mio aiuto alcuni critici e amici in una

ipotetica conversazione passeggiando tra le sue opere. La prima domanda, o la seconda, dei bambini che entrano è “Era tuo marito?” “No era mio papà, io sono la sua figlia maggiore” “Era un bravo papà?” “Un bravissimo

papà!” “Ah … meno male!” Poi l’occhio si perde in un bosco di legno e acciaio. “È lui che ha

fatto tutte queste sculture? Come era?” Facciamo rispondere Giancarlo Romani Adami, suo

adorato amico: Chi è Carlo Mo? È un uomo scettico, robusto e sentimentale, naturalmente utopista. Vive sulle rive del Ticino tra le amatissime gotiche asprezze e le colline del buon vino e dei vaghi infiniti paesaggi. Ha vissuto nel deserto come qualsiasi santo di buon nome ma delle estatiche contemplazioni, sempre travolte da una spontanea esuberanza, non ha conservato che l’amore per i pochi amici, per la bellezza e per il suo lavoro. Fa lo scultore. Di solito, nelle visite affrontiamo

tre tematiche: il materiale, la

poetica dell’artista e, a volte, la sua vita. Iniziamo dal materiale, un tema molto importante del maestro. Come tutti sanno l’acciaio inox è il materiale preferito, ma non il primo né

tanto meno l’unico. La sua ricerca

quasi ossessiva della perfezione della forma che esprimesse appieno il tratto del suo pensiero lo ha portato a molte sperimentazioni. Ma iniziamo dagli albori. Carlo era un ottimo disegnatore sin da ragazzino: suo

nonno lo aveva coltivato a questa disciplina. Era un ragazzo solo. Il padre se ne andò in Africa quando lui era piccolo. Il disegno divenne la sua vera compagnia. Ma il padre mancava. Partì. Una

sera in una tenda si accorse di aver finito carta e matita. Ma a fianco a lui dei rotoli di filo di rame lo soccorsero e così ecco la svolta. Il suo mondo si scolpisce nella terra della scultura e dalla furia della carta e della precisione

del tratto, dà libero sfogo alla forma inventata che chiude lo

spazio attraverso fili di rame. Da bidimensionale a tridimensionale. Tornato in Italia espone sia a Roma che a Milano con ottime critiche tranne una di cui rideva sempre che titolava “La mostra

del figlio dell’elettricista”.

Un giorno entra in un bar e vede un bancone in acciaio inox. Quel materiale gli piace. Lo cerca, lo trova e comincia a lavorarlo. A quel tempo l’acciaio serviva in cucina: era la proposta “high tech”, da elettricista a idraulico.

In realtà era un fabbro, mitica figura, colui che possedeva il fuoco per forgiare. Conosce tutto di quel materiale. Lo salda, lo brunisce, lo brucia, lo fonde, ne sperimenta le nervature.

La sua passione per i metalli di qualità - interviene Philippe Daverio - per quell’acciaio che pareva essere la risposta al bronzo d’una modernità che intendeva sfidare la storia e i secoli a venire, è frutto di una epica che allora si stava allargando dalle fabbriche alle abitazioni, dalle macchine ai

mobili. Vi si trovava allora una gamma intera di evocazioni nuove e inattese, dalla solidità al colore dall’inalterabilità allo splendore. La forma doveva quindi assumere ritmi che avessero il medesimo rigore, quello della geometria in opposto a quella “astratta”, levigata che rincorrevano allora i cultori del marmo e delle plastiline che gli innovatori guardavano dal alto in basso chiamandola “l’estetica dei sassi tondi”. Mo si dedica con fervore da catecumeno a questa lingua sperimentale, ma ciò che rende assolutamente curioso il suo percorso, è l’approdo al tema dopo un viaggio di svariati anni in Africa. Che c’entrava la terra della povertà conclamata con l’esperimento d’avanguardia di una società che correva con fortunata convinzione verso l’industrializzazione avanzata? L’Africa ancora coloniale fu per lui ciò che fu per molti intellettuali d’Europa il terreno della conversione agli spazi, alla luce, alla dimensione ciclopica di una

natura incontaminata. Fu il rifugio biblico degli anni di meditazione che gli anacoreti passavano nel deserto. Era il luogo di concentrazione e di condensazione e lui ne tornò con una convinzione che gli anni di lavoro andranno a dimostrare: non serve rincorrere fantasie futili, occorre concentrarsi con determinazione ancestrale sulla purezza della forma sposandola con la certezza concreta della materia. Ma, come abbiamo detto, l’acciaio non è il suo unico materiale, e dunque in varie fasi incontreremo il cemento, il marmo, il corten e il bronzo. Abbiamo degli esempi a Pavia di tutti queste

combinazioni. Davanti alla scuola elementare “Luigi Maestri” accoglie gli alunni un alto guerriero in acciaio e cemento. Ha la testa un poco reclinata. È la storia di quattro ragazzetti nel 1943. Quattro ragazzetti pavesi.

Tullio Delbo, Marchetti, Gingio Rognoni e Luigi Maestri. Erano giovani, anzi direi piccoli. 17-18

anni. Frequentavano l’oratorio di San Francesco. La loro patria era invasa e il totalitarismo di quegli anni andava loro stretto. Così

fondarono il gruppo “I crociati della libertà”. Solo il nome mi commuove. La tenerezza dell’essere giovani malgrado un destino segnato. E così, mangiandosi un gelatino sotto la

statua di Garibaldi, decisero che

se uno di loro fosse morto gli altri gli avrebbero fatto un monumento. Tullio Delbo fu instradato in Germania e Luigi evidentemente morì. Quando tutto finì, i tre ragazzi divenuti

adulti non scordarono la promessa fatta. L’acciaio e il marmo - di solito il suo prediletto era il marmo nero assoluto - li incontriamo all’entrata del Policlinico S. Matteo. L’opera si intitola

“L’Attesa”. Il fiore di acciaio e marmo sta ai piedi di uno stabat mater che vibra di canti

gregoriani. L’altra scultura dove possiamo reperire l’uso di ben altri due materiali è la “Deposizione” in

Piazza del Duomo. Qui troviamo oltre l’acciaio inox, il corten e il bronzo. Mo fu uno dei primi ad

usare il corten come materiale d’arte. È uno strano tipo di

acciaio che produce una

patina somigliante alla ruggine che lo protegge dall’usura. Molto elastico, inventato in

Germania e utilizzato in origine per costruire le chiglie delle navi. E poi il bronzo. Su quest’opera ti

voglio raccontare un aneddoto. Quando si venne a sapere che una scultura di Mo sarebbe andata a

fianco del Duomo vi fu una specie

di insurrezione. Come, una scultura astratta, per di più di acciaio, proprio lì! Impossibile immaginarselo. Fu una

meravigliosa diatriba sul nulla, in quanto nessuno sapeva niente di quella scultura. Io proposi a mio padre di pubblicarne le foto o per lo meno la descrizione. Si oppose. Si stava divertendo. La polemica

ormai infuriava. Tra sostenitori e

denigratori. La notte prima dell’inaugurazione venne installata. Completamente coperta. Al mattino verso le undici, credo, la cerimonia iniziò. Tantissima gente era presente.

Discorsi del caso e poi, ecco: l’opera venne svelata. Il silenzio in piazza fu compatto. Un meraviglioso bronzo realizzato con l’antichissima tecnica della cera persa che prevede tra l’altro che l’opera venga realizzata

dall’artista prima della fusione a dimensioni reali, apparve in tutto il suo drammatico e amoroso dolore “realistico” e il cielo di

corten trafitto da una lama di acciaio benediva il tutto. Durò credo cinque minuti o forse di più. Mi pareva di veder spuntare giullari qua e là, venditori di mele, musici e attori pronti a dare il loro

spettacolo sul sagrato della

chiesa. Un racconto antico, medioevale. Alla fine, applaudirono. Non un applauso di forma, bensì di sostanza. Perché, come credo proprio tu abbia detto, Carlo Mo era uno scultore

per le piazze, amava che le sue opere fossero di tutti e per tutti. La medioevalità e l’antico irrompono in questo strano discorso poliedrico e immagino che a questo proposito Guido

(a pagina 8)

(Continua a pagina 8)

Paola Mo

Mo+Mo Mo+Mo Mo+Mo Dal 27 maggio padre e figlia

in mostra. Scultura e design nel Salone Teresiano dell’Università di Pavia

Pagina 7 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016

VIA DARSENA, SERGIO MAGGI (PISY)

“Caro Sisto, dopo la tua

ultima visita alla permanente di Carlo in

occasione della mostra MO di Carlo Mo mi hai

chiesto di preparare uno scritto di circa 10.000

battute su di lui. Io non ti invito più, sappilo!

… No, sto scherzando, anzi te ne ringrazio e

approfitto per invitare te e tutti i tuoi lettori a

questa inconsueta quanto preziosa mostra che si

inaugurerà al Salone

Teresiano, Università di Pavia, il 27 di maggio.

Mo + Mo scultura e design: Carlo con la sua

scultura e Francesca (sua figlia), molto nota

designer nel campo del gioiello, con i suoi piccoli

capolavori. Finalmente l’imperitura

domanda “qualcuno ha seguito le orme del

papà?” ha trovato una risposta.

Ma torniamo a Carlo: Mo lo scultore dei grandi spazi, Mo l’artista internazionale, Mo il fabbro dogon dalla cui fucina

segreta alla mitica casa del Chiozzo, come la definisce Mino Milani, uscirono molte delle sculture che adornano Pavia. Tanti hanno parlato di lui molto più bravi ed esperti di me,

compreso tu. Così ho deciso di

parlartene come quando mi adopero quale cicerone alla mostra permanente per tanti gruppi e scuole che vengono in visita, chiamando però in mio aiuto alcuni critici e amici in una

ipotetica conversazione passeggiando tra le sue opere. La prima domanda, o la seconda, dei bambini che entrano è “Era tuo marito?” “No era mio papà, io sono la sua figlia maggiore” “Era un bravo papà?” “Un bravissimo

papà!” “Ah … meno male!” Poi l’occhio si perde in un bosco di legno e acciaio. “È lui che ha

fatto tutte queste sculture? Come era?” Facciamo rispondere Giancarlo Romani Adami, suo

adorato amico: Chi è Carlo Mo? È un uomo scettico, robusto e sentimentale, naturalmente utopista. Vive sulle rive del Ticino tra le amatissime gotiche asprezze e le colline del buon vino e dei vaghi infiniti paesaggi. Ha vissuto nel deserto come qualsiasi santo di buon nome ma delle estatiche contemplazioni, sempre travolte da una spontanea esuberanza, non ha conservato che l’amore per i pochi amici, per la bellezza e per il suo lavoro. Fa lo scultore. Di solito, nelle visite affrontiamo

tre tematiche: il materiale, la

poetica dell’artista e, a volte, la sua vita. Iniziamo dal materiale, un tema molto importante del maestro. Come tutti sanno l’acciaio inox è il materiale preferito, ma non il primo né

tanto meno l’unico. La sua ricerca

quasi ossessiva della perfezione della forma che esprimesse appieno il tratto del suo pensiero lo ha portato a molte sperimentazioni. Ma iniziamo dagli albori. Carlo era un ottimo disegnatore sin da ragazzino: suo

nonno lo aveva coltivato a questa disciplina. Era un ragazzo solo. Il padre se ne andò in Africa quando lui era piccolo. Il disegno divenne la sua vera compagnia. Ma il padre mancava. Partì. Una

sera in una tenda si accorse di aver finito carta e matita. Ma a fianco a lui dei rotoli di filo di rame lo soccorsero e così ecco la svolta. Il suo mondo si scolpisce nella terra della scultura e dalla furia della carta e della precisione

del tratto, dà libero sfogo alla forma inventata che chiude lo

spazio attraverso fili di rame. Da bidimensionale a tridimensionale. Tornato in Italia espone sia a Roma che a Milano con ottime critiche tranne una di cui rideva sempre che titolava “La mostra

del figlio dell’elettricista”.

Un giorno entra in un bar e vede un bancone in acciaio inox. Quel materiale gli piace. Lo cerca, lo trova e comincia a lavorarlo. A quel tempo l’acciaio serviva in cucina: era la proposta “high tech”, da elettricista a idraulico.

In realtà era un fabbro, mitica figura, colui che possedeva il fuoco per forgiare. Conosce tutto di quel materiale. Lo salda, lo brunisce, lo brucia, lo fonde, ne sperimenta le nervature.

La sua passione per i metalli di qualità - interviene Philippe Daverio - per quell’acciaio che pareva essere la risposta al bronzo d’una modernità che intendeva sfidare la storia e i secoli a venire, è frutto di una epica che allora si stava allargando dalle fabbriche alle abitazioni, dalle macchine ai

mobili. Vi si trovava allora una gamma intera di evocazioni nuove e inattese, dalla solidità al colore dall’inalterabilità allo splendore. La forma doveva quindi assumere ritmi che avessero il medesimo rigore, quello della geometria in opposto a quella “astratta”, levigata che rincorrevano allora i cultori del marmo e delle plastiline che gli innovatori guardavano dal alto in basso chiamandola “l’estetica dei sassi tondi”. Mo si dedica con fervore da catecumeno a questa lingua sperimentale, ma ciò che rende assolutamente curioso il suo percorso, è l’approdo al tema dopo un viaggio di svariati anni in Africa. Che c’entrava la terra della povertà conclamata con l’esperimento d’avanguardia di una società che correva con fortunata convinzione verso l’industrializzazione avanzata? L’Africa ancora coloniale fu per lui ciò che fu per molti intellettuali d’Europa il terreno della conversione agli spazi, alla luce, alla dimensione ciclopica di una

natura incontaminata. Fu il rifugio biblico degli anni di meditazione che gli anacoreti passavano nel deserto. Era il luogo di concentrazione e di condensazione e lui ne tornò con una convinzione che gli anni di lavoro andranno a dimostrare: non serve rincorrere fantasie futili, occorre concentrarsi con determinazione ancestrale sulla purezza della forma sposandola con la certezza concreta della materia. Ma, come abbiamo detto, l’acciaio non è il suo unico materiale, e dunque in varie fasi incontreremo il cemento, il marmo, il corten e il bronzo. Abbiamo degli esempi a Pavia di tutti queste

combinazioni. Davanti alla scuola elementare “Luigi Maestri” accoglie gli alunni un alto guerriero in acciaio e cemento. Ha la testa un poco reclinata. È la storia di quattro ragazzetti nel 1943. Quattro ragazzetti pavesi.

Tullio Delbo, Marchetti, Gingio Rognoni e Luigi Maestri. Erano giovani, anzi direi piccoli. 17-18

anni. Frequentavano l’oratorio di San Francesco. La loro patria era invasa e il totalitarismo di quegli anni andava loro stretto. Così

fondarono il gruppo “I crociati della libertà”. Solo il nome mi commuove. La tenerezza dell’essere giovani malgrado un destino segnato. E così, mangiandosi un gelatino sotto la

statua di Garibaldi, decisero che

se uno di loro fosse morto gli altri gli avrebbero fatto un monumento. Tullio Delbo fu instradato in Germania e Luigi evidentemente morì. Quando tutto finì, i tre ragazzi divenuti

adulti non scordarono la promessa fatta. L’acciaio e il marmo - di solito il suo prediletto era il marmo nero assoluto - li incontriamo all’entrata del Policlinico S. Matteo. L’opera si intitola

“L’Attesa”. Il fiore di acciaio e marmo sta ai piedi di uno stabat mater che vibra di canti

gregoriani. L’altra scultura dove possiamo reperire l’uso di ben altri due materiali è la “Deposizione” in

Piazza del Duomo. Qui troviamo oltre l’acciaio inox, il corten e il bronzo. Mo fu uno dei primi ad

usare il corten come materiale d’arte. È uno strano tipo di

acciaio che produce una

patina somigliante alla ruggine che lo protegge dall’usura. Molto elastico, inventato in

Germania e utilizzato in origine per costruire le chiglie delle navi. E poi il bronzo. Su quest’opera ti

voglio raccontare un aneddoto. Quando si venne a sapere che una scultura di Mo sarebbe andata a

fianco del Duomo vi fu una specie

di insurrezione. Come, una scultura astratta, per di più di acciaio, proprio lì! Impossibile immaginarselo. Fu una

meravigliosa diatriba sul nulla, in quanto nessuno sapeva niente di quella scultura. Io proposi a mio padre di pubblicarne le foto o per lo meno la descrizione. Si oppose. Si stava divertendo. La polemica

ormai infuriava. Tra sostenitori e

denigratori. La notte prima dell’inaugurazione venne installata. Completamente coperta. Al mattino verso le undici, credo, la cerimonia iniziò. Tantissima gente era presente.

Discorsi del caso e poi, ecco: l’opera venne svelata. Il silenzio in piazza fu compatto. Un meraviglioso bronzo realizzato con l’antichissima tecnica della cera persa che prevede tra l’altro che l’opera venga realizzata

dall’artista prima della fusione a dimensioni reali, apparve in tutto il suo drammatico e amoroso dolore “realistico” e il cielo di

corten trafitto da una lama di acciaio benediva il tutto. Durò credo cinque minuti o forse di più. Mi pareva di veder spuntare giullari qua e là, venditori di mele, musici e attori pronti a dare il loro

spettacolo sul sagrato della

chiesa. Un racconto antico, medioevale. Alla fine, applaudirono. Non un applauso di forma, bensì di sostanza. Perché, come credo proprio tu abbia detto, Carlo Mo era uno scultore

per le piazze, amava che le sue opere fossero di tutti e per tutti. La medioevalità e l’antico irrompono in questo strano discorso poliedrico e immagino che a questo proposito Guido

(a pagina 8)

(Continua a pagina 8)

Mo+Mo Mo+Mo Mo+Mo Dal 27 maggio padre e figlia

in mostra. Scultura e design nel Salone Teresiano dell’Università di Pavia

Foto di Graziano Perotti

IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 8

Ballo amerebbe intervenire: l’origine ligure del marinaio - abituato a lottare contro le tempeste, in un lembo di terra avara, addossata alle montagne – persiste nell’abitudine di parlare pochissimo e soprattutto nella tenacia che non gli fa mai abbandonare le cose a metà, anche quando possono essere ineluttabili. Questa tenacia in lui diventa anche generosità, ottimismo nella lotta aperta: la sua tendenza affettiva lo spinge alla totale partecipazione. Ecco perché nei sentimenti, alla fine, è semplice: sì o no, o tutto o niente. Odia le mezze misure, i compromessi, i sotterfugi; sente il rapporto sociale (che per lui culmina nell’amicizia) in modo antichissimo, primario. Eppure se carico di un affettività tanto intensa, è attratto dall’atmosfera spesso nebbiosa di Pavia, dove vive da ormai molti anni, sulle rive del Ticino: il fatto è che ormai sa, per diretta e lunga esperienza, che le sfumature, l’inconscio, le forze irrazionali, non possono tagliarsi, esistono e confondono i limiti. Il suo sforzo è dunque di non ignorare questo mistero che è in noi, ma di esprimerlo, di farlo sentire dentro le forze suggestive della costruzione stessa. È così che la componente costruttivista, nelle sue sculture, si accende anche del più irrazionale espressionismo astratto: che diventa emblematico, con simbologie chiuse, misteriose. Ciò spiega del resto perché

abbia scelto come residenza Pavia: una delle città europee più ricche di fascino segreto, da scoprire a poco a poco. Pavia è una città che stupisce sempre, anche chi la conosce a lungo, perché, pur essendo viva, di

oggi, ha saputo conservare - in certe vie, in certi angoli - il carattere medioevale, duro, disperato quasi, addirittura dell’ epoca in cui era la capitale longobarda: le torri antiche ne sono già un esempio, nel loro

slancio di costruttivismo scabro, ma tutta l’atmosfera, in apparenza mite - coi muri grigi, le zone silenziose, i palazzi, le basiliche, le inferriate - fa sentire il fascino aspro e tuttavia avvolgente di una

presenza quasi fuori tempo. Nella pianure lombarda, tra il verde umido, Pavia appare sempre misteriosa nella sua vitalità segreta. Per questo il costruttivismo e l’impressionismo non diventano, nelle sculture di Mo, generiche tendenze: rivivono attraverso gli incontri della formazione genovese e della civiltà medioevale di Pavia; soprattutto, rispondono alle sue più profonde esigenze verso la forma essenziale, sentita per indole con partecipazione espressiva … Le sculture di Mo ci riportano così, con forza plastica, proprio alle radici dell’uomo: alle sue origini, anche se ormai siamo costretti a vivere con ansia in piena civiltà consumistica. Che fare, caro Sisto, quando si parla d’arte? I discorsi si mischiano e d’altro canto perché tenerli ordinati, non stiamo facendo lezione. A questo punto

affiderei la conclusione alla voce, nervosa ma sempre pacata, di Kengiro Azuma, grande scultore e grande amico: La forma poetica è ben precisa. Idea molto chiara sempre mantenendo il ritmo e l’armonia del volume. Equilibrio tra forma e spazio è musicale. La struttura della forma è architettonica e monumentale, imponente. Aveva grande capacità tecnica per esprimere suo pensiero, emozione e sentimento. Ricerca coerentemente ma contiene anche sottile sentimento umano. La scultura di Carlo Mo è sua poesia. “

Paola Mo

(da pagina 6-7)

LE FOTO (di Barbara Pinca - Associazione Pavia Fotografia):

in questa e nelle due pagine

precedenti Opere di Carlo Mo

esposte nel giardino dell’abitazione-atelier

dell’artista.

Qui a sinistra La “Deposizione”

in piazza Duomo

I TESTI: Carlo Mo a Genova

La Scultura e l’Acciaio

edizione Ibis 2006

Philippe Daverio, in Carlo Mo

Disegni, modelli, sculture,

grandi opere. Catalogo.

Credito Valtellinese 2009

Pagina 9 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016

Un anno

fa, il 30

aprile

2015, si

spegneva

Emilio

Gerelli,

professore

emerito

dell’

Università

di Pavia.

Per i lettori delle

riviste

economiche

durante gli anni

’60 era

immancabile

trovare in calce i

ringraziamenti a

Emilio Gerelli, per i

suggerimenti

ricevuti. Fu questo il

primo impulso che

m’indusse a saperne

di più su quel

giovane professore,

così diverso, per

maggiore modernità,

dai colleghi più

anziani, e invece più

simile allo stereotipo

che noi avevamo dei professori

inglesi e americani. Pensavamo che

non si sarebbe fermato molto a

Pavia e che si sarebbe presto

trasferito ad Università di maggiori

dimensioni, ma non fu così. Pur

sollecitato da Atenei prestigiosi,

Gerelli restò fino all’ultimo a Pavia

della cui vita culturale divenne

presto un animatore, dirigendo per

quasi quarant’ anni il mitico Istituto

di Finanza. Chiesi allora la tesi a

Gerelli, che mi propose un lavoro

sulle iniziative più recenti, adottate

dal Governo Federale degli Stati

Uniti, per rendere più efficiente il

processo di bilancio. Entrai così

nell’Istituto di Finanza di Pavia,

erede della tradizione di Benvenuto

Griziotti, che Gerelli stava

inevitabilmente, ma con grande

equilibrio, adeguando alle più

moderne evoluzioni della disciplina,

allentando i legami col diritto

tributario e introducendo, accanto a

quello tradizionale della tassazione,

lo studio della spesa pubblica (per

altro praticato dalla “Scuola

italiana” d’inizio secolo XX e

riscoperto dalla letteratura

anglosassone degli anni ’50). Fu

così che arrivai a Gerelli ed ebbi

l’opportunità di svolgere alcune

occasioni di lavoro comune, che

testimoniano la ricchezza della

persona e le sue molteplici qualità.

Anzitutto, di ritorno da un soggiorno

di studio presso la Brookings

Institution di Washington, Gerelli

propagandò l’adozione anche in

Italia dell’analisi costi-benefici

(Cost Benefit Analysis - CBA) per la

valutazione su basi economiche

degli investimenti pubblici sul

modello sviluppato dal Governo

Federale degli Stati Uniti fin dai

tempi del New Deal. Si trattava

dell’argomento della mia

tesi di laurea e Gerelli mi chiese di

fare una rassegna della letteratura in

materia, dal contributo originale e

divulgativo di Ekstein a quello più

teorico di Mishan. Al Ministero del

Bilancio e della Programmazione

Economica, allora retto da Giorgio

La Malfa, fu in effetti insediato un

“Nucleo di valutazione” per

verificare - secondo i criteri

dell’analisi costi-benefici - la

convenienza economica di progetti

di investimento pubblico. Gerelli,

per altro, raccomandava prudenza

nell’adozione di valori virtuali (in

specie i prezzi ombra), suggerendo

di non discostarsi eccessivamente

dai valori di mercato, per il rischio

che vi era ad affidarsi a valori

solamente virtuali e passibili di

stime senza fondamenti empirici e

quindi facilmente manipolabili. Il

nucleo cominciò il proprio lavoro,

ma fu bloccato dai politici e dagli

alti burocrati che si vedevano

espropriati di parte rilevante del loro

potere decisionale. Ed è quello che è

successo, in simili iniziative adottate

in seguito, fino all’odierna

“Spending Review”. Con

conseguenze che conosciamo bene

sulle modalità effettive delle

decisioni d’investimento pubblico

nel nostro paese. Il contributo più

conosciuto di Gerelli fu

l’inserimento dell’economia

ambientale nell’ambito della

disciplina di Economia pubblica.

Inizialmente, Gerelli s’interessò del

controllo di breve periodo anche in

base alle responsabilità che aveva

assunto presso l’Organizzazione per

la cooperazione e lo sviluppo

economico – Ocse. Gerelli anzitutto

si occupò della scelta degli strumenti

di controllo (con una malcelata

preferenza per gli incentivi

economici, rispetto alla regolazione

diretta). Diede poi un apporto

decisivo alla formulazione della

regola aurea “inquinatore-pagatore”,

poi seguita dall’Unione Europea e

da molti dei paesi membri. Ma

Gerelli si occupò anche delle

implicazioni di lungo periodo del

degrado ambientale, e su questo

punto ci trovammo in disaccordo.

Erano gli anni in cui era stato

pubblicato il celebre rapporto del

Massachusetts Institute of

Tecnology-MIT I limiti dello

sviluppo, in cui si preconizzava il

crollo delle economie avanzate,

causa l’interazione di macro-

fenomeni congiuntamente distruttivi

(inquinamento, occupazione dello

spazio agricolo, cambiamento

climatico, dinamica demografica e

altri ancora). Gerelli era convinto

che queste previsioni non si

sarebbero realizzate per effetto

dell’azione delle forze di mercato e

dei cambiamenti tecnologici che

queste avrebbero provocato. Ancora

una volta Gerelli palesava la propria

fiducia nel mercato e nella sua

capacità di conseguire e mantenere

un equilibrio efficiente, sia nel breve

sia nel lungo periodo. Modestamente

io ero più pessimista e ritenevo che

il ruolo dell’intervento pubblico

andasse invece rafforzato. Di qui il

passo fu breve ad allontanarsi dalle

misure più convenzionali (Prodotto

Interno Lordo, aggregato o pro-

capite, Indici dei Consumi e della

Ricchezza, etc.) per passare a quelle

che cercano di valutare l’effettivo

benessere tramite un insieme di

elementi. Ancora una volta Gerelli

aderì di conseguenza alla nascente

“Economia della felicità” e all’uso

dei suoi indicatori, in particolare al

cosiddetto “Subjective Well-Being”

(SWB), vale a dire la percezione che

gli individui hanno della propria vita

e del grado di soddisfazione che

provano per essa. Ricordo le lunghe

discussioni sull’argomento, nel suo

ovattato studio nell’Istituto di

Finanza. Ovattato, ma non nel senso

della turris eburnea. Gerelli era

infatti uno studioso rigoroso, ma

riteneva che i risultati delle ricerche

scientifiche dovessero essere

divulgati a un uditorio più ampio di

quello degli specialisti. Di qui i suoi

libri facilmente accessibili sulla

politica ambientale e dintorni, la

lunga collaborazione con “Il Sole 24

ore”, l’organizzazione di Convegni

annuali in cui gli studiosi più

qualificati sugli argomenti più

attuali ne discutevano per una platea

di operatori economici. Di qui la

disponibilità ad accettare incarichi

pubblici, in particolare quello di

sottosegretario al Ministero

dell’ambiente, ma anche quello di

presidente della Commissione spesa

pubblica, da lui guidata in

particolare con riferimento ai piani

di consolidamento della finanza

pubblica italiana, che cominciarono

a proliferare (inascoltati) verso la

metà degli anni ‘80. E, infine, la

creazione di una vera scuola, i cui

allievi erano sostenuti non solo dai

consigli scientifici del Maestro, ma

anche per le loro esigenze di

carattere materiale. E per gli allievi è

oggi difficile cancellare il ricordo

delle robuste strette di mano e del

sorriso squillante di quando si

entrava nello “studio ovattato”, dove

fino all’ultimo Gerelli ha diffuso il

suo ottimismo, la sua fiducia nel

futuro e anche il suo attaccamento

per tutte le cose che rendono bella la

vita.

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Il giornale di Socrate al caffè

Direttore Salvatore Veca - Direttore responsabile Sisto Capra Editore Associazione “Il giornale di Socrate al caffè”

(iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)

Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia

0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected] Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia

Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia

Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002

dell’euroscetticismo, dei muri, dei

fili spinati e del ritorno delle poli-

tiche di chiusura nazionale, “è

tempo di uscire da ambiguità, e-

sitazioni e lentezze nell’andare

oltre e mettere pienamente in at-

to forme di unione più stretta, fa-

cendo leva sull’eurozona: Unione

bancaria, fiscal capacity europea,

fondo europeo per la disoccupa-

zione, governance economica”.

Ma la politica è rimasta naziona-le. E’ stata condizionata da una

visione angusta dell’interesse na-

zionale e da pulsioni demagogi-

che sfociate nell’antipolitica e

nell’antieuropeismo. La politica è

risultata così sempre meno capa-

ce di guidare le decisioni europee

e anche solo di raccontarle. Ab-

biamo bisogno non solo di una

sfera pubblica europea, ma di u-

na vera e propria competizione

politica europea. Di una politica

lungimirante, di una visione

dell’interesse comune europeo,

nel mondo, alla luce del meglio

che siamo riusciti a fare, in un

complesso processo per prove ed

errori. Il punto difficile è che ab-

biamo bisogno di sottrarci alla lo-

gica ossessiva del breve termine,

propria delle democrazie rappre-

sentative, preservando il caratte-

re democratico delle nostre for-

me di vita. Hic Rhodus, hic salta.

Ma solo così la politica potrà as-

sumere primazia nel disegnare i

lineamenti di un’Unione politica,

economica, sociale e culturale

che contribuisca a ridisegnare

l’ordine mondiale. Nelle ultime

pagine, dedicate al ricordo di Al-

tiero Spinelli, mi soffermo su un

solo punto, a proposito di chi fece

fare tanti anni fa a Napolitano la

“testa di ponte” con il Partito co-

munista italiano nel suo appren-

distato europeista. In una pre-

messa del marzo 1986 a una se-

conda parte della sua autobiogra-

fia, rimasta solo abbozzata, Spi-

nelli scrive, a proposito delle

sconfitte sue e del Movimento fe-

deralista, “nessuna di quelle

sconfitte ha però lasciato in me

quel rancore contro la realtà che

così spesso alligna nell’animo de-

gli sconfitti. Bisogna sentire che

il valore di un’idea, prima ancora

che dal suo successo finale, è di-

mostrato dalla sua capacità di ri-

sorgere dalle proprie sconfitte”.

E, ancora, “Chiunque si accinge a

una grande impresa lo fa per da-

re qualcosa ai suoi contempora-

nei e a sé, ma nessuno sa in re-

altà se egli lavora per loro o per

sé, o per loro e per i suoi figli … o

per una più lontana, non ancora

nata generazione, che riscoprirà

il suo lavoro incompiuto e lo farà

proprio”. La politica come visione

e coraggio, la politica come pas-

sione, la consapevolezza storica e

il senso del passato, la lungimi-

ranza come v i r tù de l l a

leadership: sono i temi centrali

dell’intensa introduzione a questo

libro. Così il cerchio è completato

e le mie osservazioni possono

concludersi, non senza gratitudi-

ne per l’autore di Europa, politica e passione. Il Sileno si associa,

una volta tanto, senza esitazione.

Salvatore Veca

Luigi Bernardi

Dipartimento di Giurisprudenza Università di Pavia

… DALLA PRIMA PAGINA

IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016 Pagina 10

FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

Il fiorire in questi tempi

di interventi di artisti,

di allestimenti di mostre

(grafiche, sculture,

quadri...), di semplici

ridipinture partecipate di

soffitti e pareti nei luoghi

deputati alla cura

(ospedali, ambulatori

pubblici, spazi di attesa

in quelli privati) riporta

all'attenzione quanto

sia importante

per il benessere psichico

di un malato (e forse,

probabilmente, di quanto

possa aiutare o agevolare

la sua guarigione) ... la

... bellezza.

Sì, la bellezza in tutte le esperienze

sensoriali possibili ed esperibili,

dalle modalità subliminali a quelle

di partecipazione attiva e cosciente.

Ricordo, oggetto di lunghe

chiacchierate nel suo studio

milanese di via Borgazzi 11, le

interrate antiburocratiche di un

Maestro della pittura italiana, Mario

Ballocco, docente proprio di

cromatologia all’Accademia di

Brera. Il grande vecchio aveva

occhi grigio azzurri fulminanti che si

accendeva quando spiegava quanto

pesasse, misurata con le teorie

gestaltiche dell’arte, la

qualità cromatica dell’ambiente sul

benessere della psiche.

Sottolineando anche l’importanza

della luce, elemento fondamentale

per l’attivazione del complesso

sistema neurochimico delle

endorfine (gli ormoni del piacere) a

partire dall’orientamento delle

finestre; cui aggiungeva i dati dei

suoi studi sugli effetti del verde o

dell’azzurro. Chiamati a sostituire il

bianco ansiogeno e allarmante,

nemico della identità soggettiva

costruita sull’esperienza quotidiana

dei colori della natura. Sosteneva

Ballocco il valore positivo della

tinteggiatura dei soffitti delle camere

di degenza: «Il bianco da guardare

tutto il giorno da sotto in su annoia e

deprime. Induce a pensieri neri!». E

aggiungeva: «Rifletti sull’angoscia

di una persona sull’ambulanza.

Pensa alla sua fragilità del momento

e all’ansia/ paura per ciò che ancora

di ignoto gli stia succedendo.

Aggravato dal tremendo ululare

della sirena … Lo aiuterebbe di

certo un colore tenero e intenso

insieme, come un bel cielo, ad

esempio ... Per non parlare del rosso

sangue delle fasce sulle divise degli

operatori. Persin peggiore del bianco

funereo dei camici indossati dai

medici ...».

Riflessioni inquietanti per il giovane

medico che allora ero; non sapevo se

condividerle, immerso nella

consuetudine della pratica

organizzativa del sistema sanitario.

Qualcuno forse raccolse i

suggerimenti del grande artista,

almeno se penso alle divise degli

operatori nelle sale chirurgiche; ma

le corsie e le camere di degenza

degli ospedali, salvo rarissime

eccezioni, sono ancora

squallidamente bianche. Tristemente

bianche. Rivoluzionate soltanto

dalle altrettanto rare incursioni di

medici o volontari “col naso rosso

del pagliaccio” che talora ravvivano

l’atmosfera nei reparti pediatrici. Ma

tutti gli altri? Penso agli oncologici,

ma non solo, cupi e ansiogeni anche

per i visitatori.

Dicevamo, leggevamo, che qualcosa

di muove, sporadicamente grazie

alle iniziative di qualcuno che ci ha

pensato. Eccezionale la sala

cinematografica anche per letti e

carrozzine al Gemelli di Roma; più

numerose e semplici da realizzare le

affissioni a parete di manifesti o

quadri, prestati o donati da artisti

coinvolti in questi processi di

umanizzazione degli spazi della

cura. Quando non addirittura

vivacizzati da azioni collettive

(secchio e pennello) di cui sono stati

protagonisti pazienti e infermieri,

parenti e medici. Consapevoli questi

ultimi che la passività non aiuta la

terapia, i cui effetti sono enfatizzati

da stimoli positivi che distraggono e

coinvolgono i degenti in processi

creativi. Il divertimento partecipato

agevola i processi di guarigione,

traghettando il malato da una

posizione di oggetto nelle mani dei

curanti in un soggetto attivo e

collaborativo, complice di attività

che lo riavvicinano a una

quotidianità normale. Allontanando,

non solo idealmente, la separatezza

dal mondo esterno e dalla vita che

scorre. Fuori insomma dal recinto

sanitario. Intuizione già espressa dal

vecchio Ippocrate 2500 anni orsono.

Speriamo che gli esempi ancora rari

ma sempre più numerosi di Torino e

Modena, Roma e Pesaro … possano

diffondersi pur con la fatica di cui

siamo consapevoli.

Anche Pavia ha detto la sua. Con

una sola grande opera per ora (vedi

foto), all’ingresso del D.E.A.

(Dipartimento di Emergenza e

Accettazione del Policlinico San

Matteo), guidata da Laura Tonari,

docente a Brera, cui ci auguriamo

altre iniziative si aggiungano. Anche

meno impegnative, da studiare e

proporre forse agli studenti delle

scuole d’arte pavesi, che potrebbero

dare utili contributi, facendosi carico

di attività … da valersi pure come

crediti formativi. Altre iniziative

però si possono attivare con

impegno complessivo minore. Penso

ai gruppi di lettura collettiva, per i

reparti pediatrici e di lungo degenza,

per le case di riposo, dove i lunghi

tempi di permanenza nelle strutture

si gioverebbero di momenti di

rottura dei ritmi sempre uguali delle

giornate … con la bellezza appunto

della lettura ad alta voce di pagine di

romanzi e racconti. Facili da

organizzare e di accertato positivo

riscontro e risultato.

Bellezza quindi come ausilio alle

terapie, come parte di una terapia

concepita in senso estensivo e

creativo, che si potrebbe tradurre in

altre infinite possibilità terapeutiche

fuori dai perimetri degli istituti di

cura. Mi giunge infatti notizia di più

di un esperimento attuato con

successo in Olanda e Stati Uniti,

rappresentato da piccoli gruppi di

soggetti, anche con disagio psichico,

impegnati in una pratica terapeutica

di recupero della bellezza delle città. Come? Ma attraverso la pulitura dai

muri imbrattati dai writters!!

Con costanza e abilità, corvée di

benedetto e utilissimo lavoro

terapeutico. Per chi lo esegue e per

la collettività intera che recupera la

bellezza degli spazi urbani deturpati.

Spunto su cui riflettere. Magari da

sperimentare anche qui da noi.

Giorgio Forni

FONDAZIONE

SARTIRANA

ARTE

Pagina 11 IL GIORNALE DI SOCRATE AL CAFFÈ numero 113 - MAGGIO-GIUGNO 2016

Per una Fondazione come

la nostra, che si è sempre

occupata solo di arte

(cultura artistica),

restaurando un castello

diruto e collezionando

opere e oggetti

(dalla grafica agli arredi,

dalla scultura e pittura

ai vetri di Murano,

dagli argenti di design

ai gioielli e alla moda…),

il passo è forte. Delicato e impegnativo.

Per competenze che non abbiamo

e per la cura/attenzione che le

persone richiedono.

Ben diverse (e delicate, appunto),

da quelle richieste da abiti e

oggetti, pur delicati e preziosi,

come sono quelli di cui ci

occupiamo da oltre trent’anni;

raccogliendoli e portandoli in giro

per il mondo, ormai in forse più di

quaranta Paesi, a documentare e

illustrare “genio -creatività -

fantasia - abilità italiane”.

Non dico che la missione sia

attività sine cura. Ma occuparsi di

ragazzi soli è tutta un’altra storia.

Riflessione banale se volete. Ma

alla base di una decisione non

rinviabile in tempi come quelli

che viviamo, di emergenza

continua.

Decisione presa buttando il cuore

oltre l’ostacolo, valutando oltre

alle buone intenzioni che

non si discutono anche

le numerose

difficoltà da superare.

Cercando prima di tutto di offrire

le nostre risorse a chi di questi

problemi si è da tempo occupato,

maturando esperienza sul campo e

capacità organizzative e di

gestione che non si improvvisano.

Dire “ci siamo” significa offrire

uno spazio di accoglienza

adeguato a chi casa non ha, né

famiglia, né risorse, in un Paese

ancora sconosciuto, raggiunto per

sfuggire a guerre e carestie.

Una casa e un sostegno a

riavvolgere un film da

dimenticare, per ricominciare un

percorso di vita dignitoso, e se

possibile sereno.

Con l’aiuto di figure e professioni

capaci di svolgere il ruolo di

accompagnamento a una

autonomia soggettiva di giovani

altrimenti senza riferimenti e

senza mezzi individuali per

strutturarsi un presente equilibrato

e costruirsi un futuro.

Bella sfida, da attuare senza

retorica buonistico-filantropica,

ma con la necessaria serie di

azioni concrete che si chiamano

casa, cibo, educazione,

formazione.

Perdonate se è poco.

Sarà, ci proviamo.

Una goccia nel mare

questa nostra

disponibilità a fare da

famiglia ad un piccolo

gruppo di giovani

migranti non

accompagnati.

Migranti per necessità

da situazioni

impossibili a viversi.

Sarà meglio di nulla.

Una piccola proposta

per un bisogno

immenso che richiede

risposte. Da ciascuno

secondo le sue

possibilità.

La nostra Fondazione dispone di

un grande edificio dismesso sul

quale, ai tempi della Via

Francigena, avevamo ipotizzato la

destinazione a ostello per i

pellegrini e risorsa di accoglienza

turistica a basso costo.

Per dotare anche il territorio

lomellino di una struttura che

potesse servire da base al flusso

anche allora auspicato di

viaggiatori curiosi di conoscere il

nostro territorio di risaie, boschi e

piccoli tesori d’arte.

Progetto accantonato, ma che ora

potrebbe riprendere attualità e

senso.

Con la necessaria benedizione

dell’Ente locale e di una rete di

sinergie che proveremo a costruire

nei prossimi mesi.

Un tentativo ancora in fase di

studio, ma già un primo passo.

Infatti sono in corso importanti

contatti con organizzazioni

territoriali del volontariato già

attive nel settore dell’accoglienza

ai migranti.

Prima fra tutte Oltremare di

Vigevano che potrebbe essere il

capofila accreditato del progetto,

grazie a quella icona della

solidarietà che è da anni il suo

Presidente Francesca Iole

Barrettoni. Solo per citare il

primo importante contatto che

ci ha dato il coraggio di provare a

dare concretezza a un disegno

ancora da scrivere.

E da scrivere secondo le regole

difficili e complicate dei bandi del

Ministero dell’Interno e della

Unione Europea. Ostacolo non da

poco per degli “artisti” come noi

siamo. Ma il quadro si sta

definendo in modo sempre meno

confuso, anche grazie a iniziative

già varate e in corso di

valutazione da parte di un gruppo

di amici responsabili di alcune

cooperative sociali, la più

importante delle quali, attiva nel

pavese a Suardi, già da dodici

anni, che ha presentato la propria

richiesta di sostegno al bando

“never alone”.

Lavori in corso.

A Emma Bonino, ispiratrice,

durante l’incontro di alcuni mesi

fa al Collegio Nuovo, della nostra

“uscita dall’ipocrisia buonista

dello stare alla finestra” …

daremo per prima la buona

notizia.

Cancellando uno per uno, di volta

in volta, tutti i se, i forse, i come

faremo, che ancora ci assillano.

Giorgio Forni

NNNEVEREVEREVER

AAALONELONELONE

Una casa Una casa Una casa

e un sostegno e un sostegno e un sostegno

per giovani per giovani per giovani

migranti non migranti non migranti non

accompagnatiaccompagnatiaccompagnati

Nella foto in basso a sinistra

Emma Bonino

con Giorgio Forni.

A destra

La fiammante Gilera 300

che costituisce

il primo dono/contributo

al “progetto migranti”.

Bella e veloce, 3-4 mila

euro di valore da

monetizzare. Di buon

auspicio per la raccolta

avviata, alla quale già

stanno aderendo amici

artisti e designer, tra i

quali Versace, la

Fondazione Ken Scott,

Tenconi, Lodola,

Pomodoro, Alberti.

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