Verso ”ufficiale dell’Associazione Culturale “ L’Alveare ... · hai una fede rifletti, se...

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Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare” - Anno I - n° 6 Novembre/Dicembre DALLA PARTE DEL DOLORE Modellare sul mondo intero un’unica “ricetta” economica, politica, sociale e militare: le basi per un probabile (già esistente) impero in chiave moderna. Gli USA, rappresentanti di una discutibile visione della geopolitica mondiale, si arrogano il diritto di rappresentare il faro della demo- crazia nel mondo. Ma ci si dimentica molto spesso delle loro contraddizioni e dei loro passati e recenti “scheletri nell’armadio”. S u qualche numero precedente del nostro pur umile periodico abbiamo accennato alla guerra in Iraq, evento che ha coinvolto tutti noi in appassionati dibattiti. Ma al rapido ed apparente rag- giungimento dello scopo bellico non ha fatto seguito una fase altrettanto rapida, e soprattutto “tranquilla”, per la governabi- lità transitoria del paese. Il giudizio sull’intervento lo lasciamo a chi scriverà la storia. Ma l’aspetto che si può fin d’ora trarre è che, Al Qaida a parte, noi, mondo occidentale e portatore di “vento libertario”, siamo degli invasori! Non lo so se della peggior specie, ma sta di fatto che quella è una società diversa dalla nostra (e la nostra è diversa dalla loro!). Diversità scaturita da millenni. Diversità culturali non di facile compren- sione ma sicuramente di difficile soluzio- ne. Ciò che è stato, invece, di facile attua- zione è stato l’attacco militare: mossa che ha tratto subito i suoi frutti. Ma alla luce degli eventi degli ultimi due mesi e consi- derando le violenze militari e geopoliti- che condotte finora, vi è stata la conferma che quanto realizzato non è stata la mossa migliore. Alla faccia di chi ci accusava di essere solo antiamericani e, non ultimo, anche fiancheggiatori del terrorismo! Ma ormai, personalmente, la corda si è rotta. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’assurda, alquanto incolore e fuori luogo, reazione dell’Italia intera all’indomani, non del primo attentato di guerriglia in Iraq, ma di quello che ha coinvolto il maggior numero di soldati ita- liani dalla II guerra mondiale ad oggi. Una reazione davvero esagerata e soprattutto ipocrita. Si, esagerata! Perché quanto accaduto è la conseguenza di una guerra: una sporca guerra come tutte le altre. Mai una nazione, un popolo, o meglio per restare attuali, gruppi di lob- bies si muovono o si muoveranno in futu- ro senza il loro tornaconto. Abbandoniamo, quindi, l’idea della mis- sione umanitaria. Il dolore per le perdite umane, com- prensibile e dignitoso, lasciamolo all’inti- mità dei familiari dei caduti e non all’ipo- crisia dei massmedia e soprattutto delle nostre care ed “onorevoli”Istituzioni, vere responsabili dell’accaduto. Questo il motivo per il quale ho trovato ridicolo e fuori luogo i sermoni, quasi elettorali, dei nostri governanti. Invece, cosa abbiamo fatto? Abbiamo giocato a risiko in TV e, soprattutto, sulla testa di gente indifesa. Per poi scoprire l’atrocità della guerra quando le vittime sono “i nostri figli”. Ragazzi “onesti”,“dis- ponibili”, “con un cuore d’oro” e “con tanta voglia di vivere”. Ma maledettamen- te uguali alle altre vittime. No! Questo non lo accetto! L’indignazione per la guerra deve essere universale e non di parte. Credo che la demagogia statunitense imperante come sempre, unitamente a quella dell’”asservito” Governo italiano, non può che “accogliere” con discutibile piacere questi eventi.Perché proprio ora, ricaricando un’opinione pubblica svuota- ta e quasi indifferente alla guerra, la nostra classe politica troverà ancora con- sensi per continuare ad essere “subalter- na” a quella d’oltreoceano. Una politica che, di colpo divenuta orfa- na del contraltare sovietico, cerca di rior- ganizzare gli equilibri mondiali a suo pia- cere. In precedenza avevamo un mondo diviso verticalmente, Est ed Ovest, oggi si cerca di dividerlo orizzontalmente: a Nord i ricchi e a Sud i poveri. Questo è il vero motivo delle tante guerre “televisi- ve” condotte in prima persona oppure finanziate dalle tante lobbies vicine alle varie amministrazioni. Una concezione della democrazia e della libertà, quindi, da esportare alla “Mc Donald” al mondo sempre più globalizzato e precario. Ma l’opinione pubblica, ben inquadrata dai massmedia, ribatte ricordando(mi) il terrorismo di matrice islamica, soprattut- to la coppia Bin Laden - Saddam Hussein, e che solo gli USA, a mo’ di messia, immo- lano i loro figli per la libertà. Ma i figli di chi!? I figli del proletariato, avrebbe affer- mato oggi Pasolini. Figli sacrificati e sacri- ficabili per la (loro) libertà e per la (nostra!) pace. Mi dispiace ma non ci credo. Credo solo che siano sacrificati, ma non riesco a capire per cosa. Sinceramente bisogna avere solo i para- occhi per non rendersi conto di chi una volta amici (loro) oggi sono i loro nemici. E noi poveri comparse dovremmo subire tutti gli sbalzi di umori della politica este- ra statunitense? Garantire delle condizio- ni per un “reale” sviluppo democratico per le società ancora interessate da con- flitti e oppresse da dittature è forse un’u- topia, o forse ci vorranno ancora molte generazioni; ma credo che gli USA non siano i più indicati per questa missione. Basta dare uno sguardo alle zone del mondo satelliti di Washington per render- si conto. Inoltre la loro arroganza nel voler esportare la loro discutibile democrazia o addirittura nel modellarla ad altri popoli è davvero assurda. Peggio ancora, se sono interessati solo ad un mondo che funzioni con le loro regole (economiche). L’alto indice di ricchezza pro capite (ma è una maledetta media!) e la possente macchina bellica non sono assolutamente i parame- tri da considerare. Inoltre, nell’era moderna i primi a mac- chiarsi di un genocidio di stampo nazista sono stati proprio loro: hanno distrutto un interno popolo riducendolo (rinchiuden- dolo) nelle riserve. Il Sud America è stata una colonia per decenni. Pinochet (amico anche dello Stato del Vaticano) ha rappre- sentato il simbolo delle alleanze filoameri- cane degli anni sessanta - settanta mac- chiandosi dei crimini più efferati della sto- ria cilena. Le dittature in Argentina, a Cuba, in Grecia sono sempre state viste di buon occhio dallo “zio Sam”. E per finire proprio gli ultimi due casi (solo per que- stioni cronologiche): i Talebani, organizza- ti ed armati proprio dagli USA, e Saddam Hussein utile in passato, per fronteggiare l’Iran. Qualche lettore potrebbe a questo punto suggerirmi che tutto sommato gli USA sono almeno il migliore dei mondi possibili, la miglior democrazia possibile. … certo!? Liberista con gli altri ma prote- zionista con se stessa! Quella degli USA non è solo una politica a senso unico ma addirittura è vietato superarli. Personalmente non posso condividere questa politica. Ma posso capirli: basta che abbiano il coraggio di ammettere il loro moderno e globalizzante progetto impe- rialistico. Infine, siccome sono un cittadino italia- no, posso anche girare questi presumibili suggerimenti (per me) ai familiari delle vittime di Ustica, del Cermis, di piazza Fontana, della stazione di Bologna e del treno Italicus. Dazi che la nostra nazione ha pagato, sta pagando e che pagherà in futuro per le barrette di cioccolato del ’43. Concludo affermando che, lungi da me l’idea di voler convincere nessuno, mi dis- piace: non riesco a sentirmi americano ma purtroppo lo sono. Arturo Stabile Una manifestazione a Buenos Aires nel 1983, delle donne della Plaza de Mayo, madri e mogli dei “desaparecidos” che mostra le foto dei loro cari. Gli “scomparsi” furono circa 30.000; spesso, dopo essere stati torturati i loro corpi venivano gettati al largo dell’oceano da aerei militari, appunto perché non rimasse alcuna traccia. I l lutto, il dolore, la disperazione di 19 famiglie di soldati, militari e civili italiani morti in Iraq è diventato il lutto, il dolore, la disperazione di un intero popolo che in un giorno di novembre ha riscoperto di essere italiano, e di esserne orgoglio- so. Il rigurgito di rabbia per un’esplosione terrori- stica che ti ammazza il padre, il marito, o il figlio in missione di pace suona violenta ma sorda. E’ una rabbia che piange, composta, che si allinea in coda davanti all’Altare della Patria a Roma, che sommessamente ti porta ad abbassare le serrande, ad accostare il tricolore alla bandiera arcobaleno fuori al tuo balcone, a rispettare un religioso minuto di silenzio. E in quel silenzio preghi, se non hai una fede rifletti, se non riesci a riflettere li rin- grazi quei 19 connazionali che andarono in pace e morirono in guerra. E dopo che li hai salutati torni ad essere una neoitaliana o un neoitaliano, che forse aveva biso- gno di un dramma, di essere colpito al petto, di essere stato punito a morte per le buone intenzioni della missione, insomma di essere scosso, per risco- prire che non aveva mai smesso di essere italiano. E se tu non eri stata d’accordo a mandare in Iraq tuo padre, tuo marito o tuo figlio; se quella missio- ne di pace ti suonava sinistra perché decisa da chi lì aveva portato fino ad allora solo guerra e bombe; se non ti fidavi del fatto che a portare la pace non si può che essere accolti, bhe, in questi giorni, non puoi dire “te l’avevo detto!”, non puoi chiedere che gli altri tornino affinché non muoia un altro padre, un altro marito o un altro figlio. Non puoi sostenere la tesi che un’oasi di pace trop- po piccola in un paese zeppo di guerra, di fame, di morte, potrebbe non reggere, potrebbe non farcela, potrebbe essere colpita, potrebbe straziare il corpo di padri, di figli, di mariti. Non puoi sostenere que- sta tesi, no. Sei sicuro di non poterlo fare?! Ma tuo padre ha scelto di fare il carabiniere per- ché l’Arma era la sua missione; tuo figlio è un mili- tare perché dalla vita voleva qualcosa di più; tuo marito lavorava alla Cooperazione Internazionale perché avrebbe dato la vita pur di tendere una mano ai bisognosi; il tuo compagno ha dato la vita per filmare la vita di un soldato - missionario di pace, perché il suo lavoro consisteva nel filmare i soldati e mostrare all’Italia cosa fa un soldato di pace. E allora pensi che mentre tuo padre è andato a morire in missione di pace, tanti, troppi, padri, mariti, figli e bambini iracheni sono stati trucida- ti da una bomba intelligente nella loro di patria, solo perché qualcuno voleva loro restituire la pace. E tutto ti appare ancora più chiaro. La tua rab- bia si centuplica di mille dolori, di infiniti silenzi, di un sentimento di orrore verso la guerra che avevi sempre avuto, per principio e dal principio, ma che ora suona più vero e grave che mai. E non può essere solo retorica, non può divenire polemica politica, non oggi, non può passare sem- plicemente alla storia come il più grande smacco subito dai militari italiani dopo la seconda guerra mondiale. Deve necessariamente essere lutto, dolo- re, disperazione.Deve essere l’eco sorda di una con- sapevolezza che non riesce a gridare la sua rabbia. La consapevolezza che la guerra è … niente altro che una guerra. Elvira Ragosta Picasso. “Guernica” (particolare), 1937. La donna che grida dispe- rata per la morte del figlioletto rappresenta lo strazio della popola- zione civile, vittima innocente della guerra, massacrata dai bom- bardamenti. 1 IO NON MI SENTO AMERICANO... MA PURTROPPO LO SONO

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“Verso” ufficiale dell’Associazione Culturale “L’Alveare” - Anno I - n° 6 Novembre/Dicembre

DALLA PARTE DEL DOLOREModellare sul mondo intero un’unica “ricetta” economica, politica, sociale e militare: le basi per un probabile(già esistente) impero in chiave moderna.

Gli USA, rappresentanti di una discutibile visione della geopolitica mondiale, si arrogano il diritto di rappresentare il faro della demo-crazia nel mondo. Ma ci si dimentica molto spesso delle loro contraddizioni e dei loro passati e recenti “scheletri nell’armadio”.

Su qualche numero precedente delnostro pur umile periodico abbiamoaccennato alla guerra in Iraq, evento

che ha coinvolto tutti noi in appassionatidibattiti. Ma al rapido ed apparente rag-giungimento dello scopo bellico non hafatto seguito una fase altrettanto rapida, esoprattutto “tranquilla”, per la governabi-lità transitoria del paese.

Il giudizio sull’intervento lo lasciamo achi scriverà la storia. Ma l’aspetto che sipuò fin d’ora trarre è che, Al Qaida aparte, noi, mondo occidentale e portatoredi “vento libertario”, siamo degli invasori!Non lo so se della peggior specie, ma stadi fatto che quella è una società diversadalla nostra (e la nostra è diversa dallaloro!). Diversità scaturita da millenni.Diversità culturali non di facile compren-sione ma sicuramente di difficile soluzio-ne.

Ciò che è stato, invece, di facile attua-zione è stato l’attacco militare: mossa cheha tratto subito i suoi frutti. Ma alla lucedegli eventi degli ultimi due mesi e consi-derando le violenze militari e geopoliti-che condotte finora,vi è stata la confermache quanto realizzato non è stata la mossamigliore. Alla faccia di chi ci accusava diessere solo antiamericani e, non ultimo,anche fiancheggiatori del terrorismo!

Ma ormai, personalmente, la corda si èrotta. La goccia che ha fatto traboccare ilvaso è stata l’assurda, alquanto incolore efuori luogo, reazione dell’Italia interaall’indomani, non del primo attentato diguerriglia in Iraq, ma di quello che hacoinvolto il maggior numero di soldati ita-liani dalla II guerra mondiale ad oggi.

Una reazione davvero esagerata esoprattutto ipocrita. Si, esagerata! Perchéquanto accaduto è la conseguenza di unaguerra: una sporca guerra come tutte lealtre. Mai una nazione, un popolo, omeglio per restare attuali, gruppi di lob-bies si muovono o si muoveranno in futu-ro senza il loro tornaconto.Abbandoniamo, quindi, l’idea della mis-sione umanitaria.

Il dolore per le perdite umane, com-prensibile e dignitoso, lasciamolo all’inti-mità dei familiari dei caduti e non all’ipo-crisia dei massmedia e soprattutto dellenostre care ed “onorevoli” Istituzioni, vereresponsabili dell’accaduto. Questo ilmotivo per il quale ho trovato ridicolo efuori luogo i sermoni, quasi elettorali, deinostri governanti.

Invece, cosa abbiamo fatto? Abbiamogiocato a risiko in TV e, soprattutto, sullatesta di gente indifesa. Per poi scoprirel’atrocità della guerra quando le vittimesono “i nostri figli”. Ragazzi “onesti”,“dis-ponibili”, “con un cuore d’oro” e “contanta voglia di vivere”. Ma maledettamen-te uguali alle altre vittime. No! Questonon lo accetto! L’indignazione per laguerra deve essere universale e non diparte.

Credo che la demagogia statunitenseimperante come sempre, unitamente aquella dell’”asservito” Governo italiano,non può che “accogliere” con discutibilepiacere questi eventi.Perché proprio ora,ricaricando un’opinione pubblica svuota-ta e quasi indifferente alla guerra, lanostra classe politica troverà ancora con-sensi per continuare ad essere “subalter-na” a quella d’oltreoceano.

Una politica che,di colpo divenuta orfa-na del contraltare sovietico, cerca di rior-ganizzare gli equilibri mondiali a suo pia-cere. In precedenza avevamo un mondodiviso verticalmente, Est ed Ovest, oggi sicerca di dividerlo orizzontalmente: aNord i ricchi e a Sud i poveri. Questo è ilvero motivo delle tante guerre “televisi-ve” condotte in prima persona oppurefinanziate dalle tante lobbies vicine allevarie amministrazioni. Una concezionedella democrazia e della libertà, quindi,da esportare alla “Mc Donald” al mondosempre più globalizzato e precario.

Ma l’opinione pubblica, ben inquadratadai massmedia, ribatte ricordando(mi) ilterrorismo di matrice islamica, soprattut-to la coppia Bin Laden - Saddam Hussein,e che solo gli USA, a mo’ di messia, immo-lano i loro figli per la libertà. Ma i figli dichi!? I figli del proletariato, avrebbe affer-mato oggi Pasolini. Figli sacrificati e sacri-ficabili per la (loro) libertà e per la(nostra!) pace. Mi dispiace ma non cicredo. Credo solo che siano sacrificati,ma non riesco a capire per cosa.

Sinceramente bisogna avere solo i para-occhi per non rendersi conto di chi unavolta amici (loro) oggi sono i loro nemici.E noi poveri comparse dovremmo subiretutti gli sbalzi di umori della politica este-ra statunitense? Garantire delle condizio-ni per un “reale” sviluppo democraticoper le società ancora interessate da con-flitti e oppresse da dittature è forse un’u-topia, o forse ci vorranno ancora moltegenerazioni; ma credo che gli USA non

siano i più indicati per questa missione.Basta dare uno sguardo alle zone delmondo satelliti di Washington per render-si conto. Inoltre la loro arroganza nel voleresportare la loro discutibile democrazia oaddirittura nel modellarla ad altri popoli èdavvero assurda. Peggio ancora, se sonointeressati solo ad un mondo che funzionicon le loro regole (economiche). L’altoindice di ricchezza pro capite (ma è unamaledetta media!) e la possente macchinabellica non sono assolutamente i parame-tri da considerare.

Inoltre, nell’era moderna i primi a mac-chiarsi di un genocidio di stampo nazistasono stati proprio loro:hanno distrutto uninterno popolo riducendolo (rinchiuden-dolo) nelle riserve. Il Sud America è statauna colonia per decenni. Pinochet (amicoanche dello Stato del Vaticano) ha rappre-sentato il simbolo delle alleanze filoameri-cane degli anni sessanta - settanta mac-chiandosi dei crimini più efferati della sto-ria cilena. Le dittature in Argentina, aCuba, in Grecia sono sempre state viste dibuon occhio dallo “zio Sam”. E per finireproprio gli ultimi due casi (solo per que-stioni cronologiche): i Talebani, organizza-ti ed armati proprio dagli USA, e SaddamHussein utile in passato, per fronteggiarel’Iran. Qualche lettore potrebbe a questopunto suggerirmi che tutto sommato gliUSA sono almeno il migliore dei mondipossibili, la miglior democrazia possibile.… certo!? Liberista con gli altri ma prote-zionista con se stessa! Quella degli USAnon è solo una politica a senso unico maaddirittura è vietato superarli.Personalmente non posso condividerequesta politica.Ma posso capirli:basta cheabbiano il coraggio di ammettere il loromoderno e globalizzante progetto impe-rialistico.

Infine, siccome sono un cittadino italia-no, posso anche girare questi presumibilisuggerimenti (per me) ai familiari dellevittime di Ustica, del Cermis, di piazzaFontana, della stazione di Bologna e deltreno Italicus. Dazi che la nostra nazioneha pagato, sta pagando e che pagherà infuturo per le barrette di cioccolato del’43.

Concludo affermando che, lungi da mel’idea di voler convincere nessuno, mi dis-piace:non riesco a sentirmi americano mapurtroppo lo sono.

Arturo Stabile

Una manifestazione a Buenos Aires nel 1983, delle donne della Plaza de Mayo, madri e mogli dei “desaparecidos”che mostra le foto dei loro cari. Gli “scomparsi” furono circa 30.000; spesso, dopo essere stati torturati i loro corpivenivano gettati al largo dell’oceano da aerei militari, appunto perché non rimasse alcuna traccia.

Il lutto, il dolore, la disperazione di 19 famigliedi soldati, militari e civili italiani morti in Iraqè diventato il lutto, il dolore, la disperazione di

un intero popolo che in un giorno di novembre hariscoperto di essere italiano, e di esserne orgoglio-so.

Il rigurgito di rabbia per un’esplosione terrori-stica che ti ammazza il padre, il marito, o il figlioin missione di pace suona violenta ma sorda. E’una rabbia che piange, composta, che si allinea incoda davanti all’Altare della Patria a Roma, chesommessamente ti porta ad abbassare le serrande,ad accostare il tricolore alla bandiera arcobalenofuori al tuo balcone, a rispettare un religiosominuto di silenzio. E in quel silenzio preghi, se nonhai una fede rifletti, se non riesci a riflettere li rin-grazi quei 19 connazionali che andarono in pace emorirono in guerra.

E dopo che li hai salutati torni ad essere unaneoitaliana o un neoitaliano, che forse aveva biso-gno di un dramma, di essere colpito al petto, diessere stato punito a morte per le buone intenzionidella missione, insomma di essere scosso, per risco-prire che non aveva mai smesso di essere italiano.E se tu non eri stata d’accordo a mandare in Iraqtuo padre, tuo marito o tuo figlio; se quella missio-ne di pace ti suonava sinistra perché decisa da chilì aveva portato fino ad allora solo guerra ebombe; se non ti fidavi del fatto che a portare lapace non si può che essere accolti, bhe, in questigiorni, non puoi dire “te l’avevo detto!”, non puoichiedere che gli altri tornino affinché non muoiaun altro padre, un altro marito o un altro figlio.Non puoi sostenere la tesi che un’oasi di pace trop-po piccola in un paese zeppo di guerra, di fame, dimorte, potrebbe non reggere, potrebbe non farcela,potrebbe essere colpita, potrebbe straziare il corpodi padri, di figli, di mariti. Non puoi sostenere que-sta tesi, no. Sei sicuro di non poterlo fare?!

Ma tuo padre ha scelto di fare il carabiniere per-ché l’Arma era la sua missione; tuo figlio è un mili-tare perché dalla vita voleva qualcosa di più; tuomarito lavorava alla Cooperazione Internazionaleperché avrebbe dato la vita pur di tendere unamano ai bisognosi; il tuo compagno ha dato la vitaper filmare la vita di un soldato - missionario di

pace, perché il suo lavoro consisteva nel filmare isoldati e mostrare all’Italia cosa fa un soldato dipace. E allora pensi che mentre tuo padre è andatoa morire in missione di pace, tanti, troppi, padri,mariti, figli e bambini iracheni sono stati trucida-ti da una bomba intelligente nella loro di patria,solo perché qualcuno voleva loro restituire la pace.

E tutto ti appare ancora più chiaro. La tua rab-bia si centuplica di mille dolori, di infiniti silenzi,di un sentimento di orrore verso la guerra cheavevi sempre avuto, per principio e dal principio,ma che ora suona più vero e grave che mai.

E non può essere solo retorica, non può divenirepolemica politica, non oggi, non può passare sem-plicemente alla storia come il più grande smaccosubito dai militari italiani dopo la seconda guerramondiale. Deve necessariamente essere lutto, dolo-re, disperazione. Deve essere l’eco sorda di una con-sapevolezza che non riesce a gridare la sua rabbia.La consapevolezza che la guerra è … niente altroche una guerra.

Elvira Ragosta

Picasso. “Guernica” (particolare), 1937. La donna che grida dispe-rata per la morte del figlioletto rappresenta lo strazio della popola-zione civile, vittima innocente della guerra, massacrata dai bom-bardamenti.

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IO NON MI SENTO AMERICANO... MA PURTROPPO LO SONO

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L’ARGONAUTA

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Da sempre l’umanità si interroga sull’e-sistenza di possibili forme di vitaintelligente al di fuori del nostro pia-

neta. Considerato che siamo gli unici “abitan-ti” all’interno del Sistema Solare, bisogna ine-vitabilmente porgere non tanto la vista, comefanno gli ufologi, ma soprattutto l’orecchio alCosmo sconfinato. Un orecchio dalle dimen-sioni di 20 – 30 metri che punti ininterrotta-mente lo spazio più profondo nella speranzadi raccogliere qualcosa.

Oggi, con le tecniche di radioastronomia,capaci di captare addirittura il flebile “boato“del Big bang, e con la conoscenza dell’evolu-zione stellare è possibile uscire dall’ambitofantascientifico degli anni ‘50 – ’60 ed appro-dare alle prime vere e concrete deduzioni del-l’esistenza o meno di vite extraterrestri.

Al contrario di come potrebbe sembrare,una volta risolto il problema tecnologico nesubentra uno forse concettualmente ancorpiù difficile. Infatti, gli eventuali segnali chericeveremmo saranno delle onde elettroma-gnetiche (radiazioni con diverse frequenze)all’interno di un fondo caotico di radiazione,poiché l’intero Universo è pervaso in lungo ein largo da interazioni elettromagnetiche. Perrendere l’idea è possibile immaginarel’Universo come una piazza affollata di gentechiassosa, e noi dovremmo sentire una labilevoce di una particolare persona. Se poi questapersona, ipotesi non tanto remota, non parla neanche lanostra lingua, la situazione si complica enormemente! Unesempio concreto di questo problema si manifesta quandovogliamo ascoltare una particolare stazione radiofonica:bisogna inevitabilmente conoscere la frequenza di trasmis-sione.

Il primo progetto per “ascoltare” il Cosmo, denominatoOzma,dal nome della principessa del fantastico paese di Oz,fu intrapreso nel 1959 dall’americano Drake. Ne seguironoaltri nei decenni successivi sia da parte americana che sovie-tica.Prima di avventurarsi in qualsiasi sorta di “osservazione”del Cosmo è giusto valutare la possibile esistenza di civiltàsu basi prettamente statistiche, considerando sia le condi-zioni fisiche ma soprattutto le condizioni biologiche, prima,e sociali, dopo, per l’eventuale formazione.

Ma, pur grossolanamente, bisogna stimare il numero diciviltà presenti nella nostra Galassia. Possiamo ricavare facil-mente (si fa per dire) il numero di civiltà legando quest’ulti-mo ad una serie di fattori: il tasso medio di formazione stel-lare negli ultimi quindici miliardi di anni, il numero di stellecon sistema planetario, il numero di pianeti in ciascun siste-ma in condizioni adatte allo sviluppo della vita, la frazione dipianeti adatti in cui la vita si sviluppa effettivamente e sievolve verso forme molto complesse, la frazione di questipianeti su cui si sviluppano forme di intelligenza, la frazionedi questi in cui le forme di vita intelligente sviluppano inte-resse per le comunicazioni interstellari ed infine la duratamedia di una civiltà tecnologicamente avanzata.

Fra tutte queste dipendenze da parametri esterni l’unicoad essere sicuro è il tasso di formazione stellare! Per il restobisogna fare delle ipotesi del tutto gratuite. Infatti, in gene-rale si suppone che in ogni Sistema Solare ci sia attorno aduna stella un solo pianeta adatto alla vita e che, laddove cisono condizioni adatte allo sviluppo della vita, questa evol-va sempre naturalmente verso forme di vita intelligente. Manon è detto che tutte le forme di vita intelligente diventino

tecnologicamente avanzate esoprattutto interessate allo svilup-po di comunicazioni interstellari.Si assume, quindi, che solo unaciviltà su mille sia interessata oche sviluppi tecnologia percomunicare con altri sistemi pla-netari.

L’ultima considerazione, a mioavviso la più importante per ilrisvolto nella vita sociale, è legataalla durata di una civiltà tecnolo-gicamente avanzata. La nostra hapoco più di cento anni e le tecni-che per captare segnali extrasola-ri hanno meno di quarant’anni.Potrà durare secoli o millenni, oanche molto meno, dipende dallanostra capacità di rispettare l’am-biente e di non avviarci verso cata-strofi nucleari o verso la distruzio-ne dell’ambiente per eccesso ditecnologia. L’aumento dell’effetto serra e la rarefazione dellostrato di ozono, congiuntamente allo sfruttamento intensivodelle ricchezze naturali, sono segnali premonitori inquietanti.

Supponendo un tempo di diecimila anni, otteniamo nellaVia Lattea circa seicento civiltà in grado di comunicare connoi! Date le ipotesi fatte, il nostro appare come un contoestremamente incerto, ma comunque Drake, e con lui i piùappassionati fautori del progetto SETI (Search for extra – ter-restrial intelligence), Cameron, Sagan, Ponnamperuma, hannoperseverato in questa ricerca, che qualcuno (ottimista per laverità) ha paragonato alla ricerca di una bottiglia con un mes-saggio nell’oceano. In realtà l’impresa è molto più ardua.Malgrado ciò i proseliti sono cresciuti di numero, si sonotenuti convegni scientifici sull’argomento, e l’Unione

Astronomica Internazionale ha fondato un’ap-posita commissione dedicata alla bioastrono-mia. Da questa piccolissima riflessione si evin-ce come vi sono, attualmente, ancora grossissi-mi ostacoli per una valutazione generale delproblema. Non è ancora chiaro quanto l’inne-sco della vita possa essere “frequente”. Ed èproprio per questo aspetto che si apre un bara-tro sotto i piedi della conoscenza biologicaextraterrestre.

Potrebbe essere proprio questa lacuna lacausa di un numero così basso di civiltà nellaVia Lattea, poiché non è da escludere la possi-bile esistenza di materia vivente basata su siste-mi materiali molto diversi dai nostri.

Secondo il chimico Shapiro e il fisicoFeinerg, ci sono solo tre condizioni essenzialiper l’innesco della vita e cioè: disponibilità dienergia, un sistema di materia capace di intera-gire con l’energia e di usarla per diventare un

sistema ordinato, ed infine abbastanza tempo a disposizioneper costruire quella complessità che è associata alla vita. Fral’altro,essi non escludono la possibilità di forme di vita in unliquido diverso dall’acqua, come per esempio l’ammoniaca,e una vita basata su minerali invece che sul carbonio.Tuttavia, per questo particolare, ma al tempo stesso affasci-nate, problema si possono fare infinite ipotesi sul numero,grado di sviluppo, distanza da altre civiltà, sul loro interesseo meno di comunicare con altri sistemi solari, sul modo incui potrebbero farlo, ma finché non riceveremo un segnaleinequivocabile di natura artificiale le nostre ipotesi resteran-no tali.

Arturo Stabile

ALLA RICERCA DI INTELLIGENZE EXTRATERRESTRIRadioastronomia e bioastronomia: due motori di ricerca sulla “rete” dell’Universo.

Affinché si inneschi un processo vitale fuori dal nostro Sistema Solare devono essere soddisfatte contemporaneamente “impossibili” condizioni fisiche e chimiche, oltre allaconsapevolezza tecnologica e sociale di altre civiltà. Ad oggi solo un modello statistico ci incoraggia a proseguire la ricerca.

SEST il primo radiotelescopio installato nell’osservato-rio dell’ESO a La Silla (Cile); ha un diametro di quin-dici metri.

Van Gogh. “Notte stellata”, 1889.

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ATTUALITA’: ECONOMIA

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Il 26 marzo 2003 èstato approvato iltesto della legge

delega per la riformadel sistema fiscalestatale. La riformasarà attuata con piùdecreti legislativi daemanare entro dueanni dalla data dientrata in vigoredella legge. Secondotale riforma, il nuovosistema tributario sibaserà su cinqueimposte: Imposta sulreddito (IRE),Imposta sul redditodelle società (IRES),Imposta sul valoreaggiunto (IVA),Imposta sui servizied Accisa.

Il codice unico siarticolerà in unaparte generale ed inuna parte speciale.Nella parte generalevengono disciplinatii principi generaliche dovranno carat-terizzare il nuovosistema fiscale ed inparticolare i principidi legalità, capacitàcontributiva, ugua-glianza, l’adeguamen-to ai principi fonda-mentali dell’ordina-mento comunitario,il divieto della dop-pia imposizionefiscale, il progressivoinnalzamento dellimite per la com-pensazione del credi-to di imposta ecc.

La parte speciale èinvece destinata alle singole imposte: a) Imposta sul red-dito (IRE). L’IRE sostituirà l’IRPEF, la nuova imposta pre-vederà in luogo delle attuali 5 aliquote, 2 aliquote (23%per i redditi fino a 100.000 euro e 33% per i redditi supe-riori a 100.000 euro).

Ecco le principali novità rispetto all’IRPEF: verrà intro-dotta una soglia di reddito minimo escluso da imposizio-ne, tenendo conto anche delle condizioni dei familiari. Ledetrazioni di imposta verranno progressivamente sosti-tuite con le deduzioni dal reddito con particolare riguar-do per i redditi medio-bassi, e articolate in funzione difamiglia, casa, sanità, istruzione, formazione, ricerca e cul-tura, previdenza, assistenza all’infanzia, non profit e attivi-tà in campo sociale, volontariato, attività sportiva giova-nile, ecc.Tra i soggetti passivi verranno ricompresi anchegli enti non commerciali, che saranno sottratti dalla tas-sazione IRPEG.

b) Imposta sul reddito della società (IRES). Sostituiràl’IRPEG, avrà un aliquota pari al 33%; Ecco le principalinovità rispetto all’IRPEG: la società controllante, in casodi gruppo, potrà determinare un’unica base imponibileper il gruppo di imprese su opzione delle singole societàche vi partecipano ed in misura corrispondente allasomma algebrica degli imponibili di ciascuna. Le plusva-lenze realizzate su partecipazioni in società, residenti onon, riconducibili alla categoria delle immobilizzazionifinanziarie verranno esentate da imposizione sui redditi acondizione che svolgano un’effettiva attività commercia-

le, risiedano in unpaese diverso daquelli a regime fisca-le privilegiato esiano detenute inter-rottamente da alme-no un anno.

Saranno contem-poraneamente inde-ducibili le minusva-lenze iscritte e realiz-zate in relazione atali partecipazioni.Per quanto riguarda ifinanziamenti verràintrodotto un limitealla deducibilitàdegli oneri fiscalirelativi a finanzia-menti erogati ogarantiti da soci chedetengano una par-tecipazione superio-re o pari al 10% attra-verso la definizionedi un rapporto traquota di patrimonionetto posseduta equota di indebita-mento nei confrontidel socio. Verrà inol-tre data facoltà allesocietà di capitali icui soci siano altresocietà di capitaliche detengano unapartecipazione supe-riore o pari al 10% dioptare per il regimedi trasparenza fiscalegarantendo anchecon il proprio patri-monio le obbligazio-ni fiscali.Verrà intro-dotto inoltre unsistema agevolativoper quelle impreseche sosterranno

spese in formazione, ricerca e innovazione tecnologica.Verrà abolita la Dual Incombe Tax.Verrà introdotto un

sistema agevolativo permanente per quelle imprese chesostengono spese in innovazione tecnologica, ricerca eformazione.

Tuttavia l’introduzione dell’IRES, ormai alle porte, non èmolto chiara specie per quanto riguarda le questioni sullapartecipation exemption, i crediti di imposta sui redditiesteri, il pro rata patrimoniale, la thin capitalization e ilcapital gain.

c) Imposta sul valore aggiunto. La principale novità cheriguarderà l’IVA sarà costituita da una progressiva riduzio-ne dei casi di indetraibilità dell’imposta. Inoltre per rag-giungere finalità etiche verrà introdotto un sistema checonsentirà l’esclusione dalla base imponibile del corri-spettivo che il consumatore finale destinerà a finalità eti-che.

d) Imposta sui servizi (ISE). I seguenti tributi: imposta dibollo, imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale,imposta sulle assicurazioni, tassa sulle concessioni gover-native e tassa sui contratti di borsa verranno sostituiti daun’unica imposta: l’Imposta sui Servizi.

e) Accisa. La riforma tenderà ad effettuare una riorga-nizzazione ed una semplificazione dei sistemi di prelievo,controllo e rilascio delle autorizzazioni.

E’ prevista inoltre una graduale eliminazione dell’IRAP.

Pasquale Durso

LA RIFORMA DEL SISTEMA FISCALE STATALELe principali caratteristiche del nuovo sistema tributario italiano.

Ire, Ires, Iva, Imposta sui Servizi, Accisa: saranno le nuove imposte che caratterizzeranno il nuovo codice unicoin materia tributaria.

IL BILANCIO SOCIALE

Agli inizi degli anni ’70 Milton Friedman sosteneva cheil vero dovere sociale dell’impresa, in un mercato aper-to e competitivo, è ottenere i più elevati profitti produ-

cendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più effi-ciente possibile.

In base a queste affermazioni si deduce che l’unica mis-sion dell’azienda era quella di operare in condizioni di mas-sima efficienza; così facendo si generavano sempre più pro-fitti a cui si associavano livelli di occupazione sempre piùelevati e quindi maggiore ricchezza collettiva.

Nella società odierna il contesto è profondamente cam-biato, in quanto i consumatori tendono ad essere semprepiù esigenti nei confronti delle imprese, non solo in terminidi prodotti offerti, ma anche per quanto riguarda l’imple-mentazione di strategie rilevanti dal punto di vista sociale.

In ambito mondiale si va sempre più affermando l’ideache l’attività aziendale non deve essere solo improntataesclusivamente al raggiungimento di obiettivi economici,ma deve seguire dellelinee guida fortementecaratterizzate da unacerta componenteetica e sociale. Infattiun nuovo principioguida si sta affiancan-do a quelli tradiziona-li circa le modalità disvolgimento dell’attivi-tà di impresa: laresponsabilità sociale.

Per coniugare lalogica del profitto conquella della responsa-bilità sociale è neces-sario realizzare strate-gie di fidelizzazionedella clientela, tenen-do però fortementepresenti i valori ed iprincipi che la colletti-vità ritiene di fonda-mentale importanzaed ai quali non inten-de rinunciare per nes-suna ragione al mondo. Un’impresa per essere socialmenteresponsabile deve osservare tutta una serie di prescrizioni,quali ad esempio la promozione ed il sostegno di attività chefavoriscano la coesione sociale e la qualità della vita dellepopolazioni, la prevenzione del degrado ambientale e lasicurezza del proprio ambito lavorativo.A tal fine l’impresaaccanto al bilancio d’esercizio dovrebbe effettuare la reda-zione del bilancio sociale e del bilancio ambientale. Nelprimo sono contenute informazioni circa l’utilizzo di risor-se naturali consumate dall’impresa, nel secondo invece sonocontenute informazioni circa le relazioni sociali che l’im-presa intrattiene con la comunità in generale.Oggi, in Italia,sono 58 le imprese che redigono il bilancio sociale e quasitutte includono in esso anche le informazioni ambientali.

Siccome allo stato attuale non esiste alcuna normativanazionale che disciplini la redazione del bilancio sociale, leimprese che decidono di optare per la stesura dello stesso uti-lizzano diversi modelli a seconda delle proprie esigenze.Quattro sono i principali modelli utilizzati per la redazionedel bilancio sociale. Modello I.B.S. (Istituto Europeo per ilBilancio Sociale): introduzione metodologica, identità del-l’impresa, rendiconto di valore, relazione sociale, sistema dirilevazione, proposta di miglioramento, attestazione di con-formità procedurale.Modello comunità e impresa:analisi deltessuto economico e sociale, prospetto di raccordo tra bilan-cio d’esercizio e bilancio sociale, analisi di tutti gli stakehol-ders, budget sociale, autovalutazione della qualità sociale.Modello G.R.I. (Global Reporting Iniziative): visione e strate-gia aziendale, profilo aziendale, struttura di governo e siste-mi di gestione, indicatori di performance sociale. ModelloG.B.S. (Gruppo di studio per il Bilancio Sociale): identitàaziendale, produzione e distribuzione di valore aggiunto,relazione sociale.

Pasquale Durso

Struttura e contenuto di uno strumento di raccordo tra lalogica del profitto e l’etica sociale.

Magritte. “Figlio dell’uomo”.

Van Gogh. “Terrazza del caffè la sera, Place du forum, Arles”,1888

Un nuovo strumento di responsabilitàsociale e ambientale.

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Sbarcato con 700 Turchi alla marina di Agropoli, ilBarbarossa aveva attraversato il varco di Vesole edera piombato improvvisamente su Felitto. I

Felittesi avevano avuto appena il tempo di serrare leporte. Dall’alto della porta Nord gli abitanti inorriditiavevano visto il fumo e le fiamme altissime levarsidagli incendi di Pazzano e del Casale, la pazza corsadelle donne verso il fiume, il salto di molte di esse dalponte pur di non cadere nelle mani dei Turchi, aveva-no udito le grida di disperazione, di tortura e di mortedei prigionieri, avevano visto impalare tutti i maschidella famiglia Allegro, la prima del Casale.

Era il quarantesimo giorno di assedio ed i Felittesierano ormai allo stremo: il grano era terminato datempo e anche se ce ne fosse stato ancora sarebbestato impossibile cuocere il pane perché ogni pezzo dilegno, ogni fascina, ogni stecco erano stati bruciati perfar bollire l’acqua e l’olio da gettare sui nemici: perquesto si bruciavano le travi e le astelle dei solai, i can-nicciati. Si diroccavano le case per prenderne le pietreda far precipitare sugli assalitori. Le corde degli archi edelle balestre consumate erano state sostituite daicapelli intrecciati delle donne. Anche il latte delledonne era stato sottratto ai neonati per farne formag-gio.

I pochi pozzi dentro le mura erano da tempo svuota-ti e solo con terribili rischi,durante le notti senza luna,i più coraggiosi, strisciando come serpi dalla piccolaporta del Calaturo, riuscivano ad arrivare giù fino alfiume a far rifornimento d’acqua.

Anche il Barbarossa era però in difficoltà: Felitto noncedeva, l’ultimo assalto gli era costato trentadue uomi-ni tra i migliori, tutti gli abitanti dei dintorni eranoscappati facendo terra bruciata, per miglia e miglianon si trovava un sacco di grano, una gallina, unacapra, si erano già manifestati tra i suoi i primi casi dipeste e poi era in forte apprensione per la sua flottasotto Agropoli, nella baia di San Marco, troppo, troppovicina alle terre dei conti di Capaccio.

In dispensa erano rimaste quattro giummelle di fari-na, otto uova, una scorza di formaggio di pecora.Donna Isolina Alibrandi si avvicinò al marito, donMaclodio Arrivabene, feudatario di Felitto, che ormaiquasi non si muoveva più dal punto più alto del castel-lo per tener d’occhio ogni movimento del nemico.“Faivenire la cuoca” disse don Maclodio senza voltarsi. Dapiù di una settimana si era convinto che non potevaresistere più a lungo, l’ultimo assalto dei Turchi dallaparte della rupe di S. Nicola era stato terribile. Soloun’astuzia poteva salvarli, don Maclodio del restoaveva partecipato a diversi assedi, tra gli assedianti etra gli assediati, ed era convinto che anche ilBarbarossa, lontano da più di un mese dalle sue basi econ terra bruciata attorno per miglia e miglia, dovessetrovarsi a mal partito.

“Fate un impasto con le uova e la farina, ménatelobene”cominciò a dire don Maclodio sempre senza vol-tarsi alla moglie e alla cuoca esterrefatte, convinte cheal signore e padrone la tensione ed il sonno arretratoper il lungo assedio avessero scombussolato il cervel-lo.

“Riducete l’impasto a tocchetti, lavorate bene i toc-chetti con le mani e ricavatene dei funicelli di pasta”;

LEGGENDA DEL FUSILLO DI FELITTOAssediati dal Barbarossa: i Felittesi guidati da don Maclodio, finsero vettovagliamenti sufficienti a resistere, elaborando per la prima volta il noto formato di pasta.

poi don Maclodio cavò dalle tasche del farsetto due fer-retti di ferro dolce a sezione quadrata che la mattina siera fatti fare da mastro Michele, il fabbro, sulla spianatadi legno;“li lavorerete con questi”. Così don Maclodiopoggiò le mani a palme aperte sul parapetto di pietra“in modo che nel funicello per quanto é lungo si formiun canale e non si attacchi al ferro quando l’andrete asfilare”.“Badate che devono essere lunghi un palmo emezzo e doppi non meno dell’intestino di un pollastro!Li stenderete poi su un graticcio e li farete asciugareper due giorni”.

Le donne s’allontanarono convinte del tutto che alloro rispettivamente marito e padrone avesse dato divolta il cervello. Don Maclodio però non era pazzo,sapeva che le guerre e soprattutto gli assedi si vinceva-no soprattutto per fame, sapeva che la fame e lo scora-mento crescevano soprattutto alla vista o alla supposi-zione della ricchezza del nemico.

Doveva tentare qualcosa di simile, doveva dare alBarbarossa l’impressione che i Felittesi avessero ciboper resistere ancora molto a lungo, nelle mura nonc’era però una goccia di latte e allora si ricordò di tuttigli strani piatti di fortuna che aveva conosciuto duran-te i numerosi assedi e guerre cui aveva partecipato epensò di prepararne uno, il più ricco e corposo che sipotesse con quella poca roba che aveva in dispensa.Eradel resto, cosa stranissima per un feudatario, cuocodilettante, e, facendo tesoro delle conoscenze culinarieche aveva appreso nei diversi posti in cui le guerre, lecacce e le scorribande l’avevano portato, non era raroche trascorresse lunghe giornate invernali nella grandecucina del castello a provare piatti che aveva conosciu-to in altri posti aggiungendovi, magari delle variantipersonali,o a sperimentarne di sua assoluta invenzione.

Con una lunghissima parabola, il paniere sapiente-mente involto in un panno di lino, scagliato dalla bale-stra di Mattia della Farneta, il miglior balestriere diFelitto planò proprio davanti alla tenda del Barbarossa,giù, giù all’Isca tra il fiume ed il torrente.

La notte seguente le sentinelle videro come al solitoaccendersi i bivacchi nel campo dei Turchi ma, all’alba,al diradarsi della caligine azzurrognola, l’Isca apparve

Rita Corrente. “Scorcio di Felitto”

MEMORIE IN CORSO

deserta, solo qualche debole pennacchio di fumo deibivacchi ormai quasi tutti spenti, il Barbarossa avevatolto l’assedio, ingannato dalla beffa dei Felittesi, chegli avevano scagliato sul campo un paniere di fusilli,facendogli credere di avere i magazzini pieni di chissàancora quale bendidio, oppure, più verosimilmenteperché preoccupato dalle notizie che aveva avutosulle ultime mosse dei conti di Capaccio.

E così, secondo quanto sono riuscito a capire a fati-ca scorrendo moltissime volte uno sbiaditissimomanoscritto in tardo latino trovato,mi guardo bene daldire dove e quando, pare siano nati i “fusilli” di Felitto.Peccato che nel manoscritto si dica niente,e non pote-va essere diversamente, del condimento canonico deifusilli, ragù di castrato o, per gli stomaci più delicati,misto di castrato e vitello: non dispero però di scovarealtrove un qualche altro manoscritto, magari più

recente, che chiarisca anche questo mistero.Solo per dovere di cronista coscienzioso, devo anco-

ra riferire che, in un post scriptum del mio manoscrit-to, é detto che il Barbarossa, tolto l’assedio a Felitto,invece di dirigersi verso la marina, s’internò alla ricer-ca di Campora, paese, gli avevano riferito, di ricchipastori,e non trovandola perché sperduta tra foltissimiboschi, invertì la marcia sperando di sorprendereAlbanella:non scovò neppure Albanella perché tutta lazona, per moltissimi giorni, pare sia stata immersa inuna foltissima nebbia, tanto fitta da tagliarsi quasi colcoltello.Alla fine il post scriptum afferma addirittura che ilBarbarossa, dopo averli fatti vagliare ai suoi assaggiato-ri ufficiali, abbia mangiato e molto gustato tutti i fusil-li speditigli da don Maclodio; e qui il valore storico delmanoscritto, a mio parere scade di molto per cui, percautela, titolo questa rigorosa elaborazione del miomanoscritto “leggenda del fusillo di Felitto” e non “sto-ria del fusillo di Felitto” come, con lo sconsideratoentusiasmo del ricercatore neofita, avevo deciso all’i-nizio della mia lettura.

Giuseppe Pagnotto

Rita Corrente. “Via Posterola”

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Come concetto è uno di quelli al quale è difficilespellarci la coda, o meglio, cavargli il ragno dalbuco; cercheremo di essere quanto più semplici

possibili per definire tale “rappresentazione mentale”,ricorrendo alla nostra esperienza quotidiana, senzaappellarci a nessuna “menata” filosofica o quant’altro.

In primo luogo potremmo affermare che non esisteun concetto, oppure un oggetto che abbia in sè unabellezza oggettiva, universalmente riconosciuta datutti, poiché se è vero che siamo noi esseri umani adefinire tale concetto, è anche vero che è compresosolo da noi stessi: noi non possiamo sapere che nepensa un“Equus asinus”di una“ C y n o d o ndactylon” ev i c e v e r s a .Quello chesappiamo, subase empirica,è che l’asinomangia la gra-migna e non sichiede se èbella o brutta,e nemmeno lapianta fa lostesso nell’es-sere mangiata.

Dal momen-to che tale“astrazione” èr iconosciutasolo da noiesseri umani,parliamo dellabellezza diquesto “esse-re” dando lap r e c e d e n z aall’universo della donna un po’ per galanteria, masoprattutto perché è la prima della lista nell’associa-zione mentale col concetto di bellezza.

Affermare che oggi, rispetto al passato,di belle donnese ne vedono di più ad ogni angolo della strada vor-rebbe dire che al Parlamento è passata la legge sullalegalizzazione della prostituzione. Battutacce a parte,quello che si vede oggi non sono delle belle donne,madelle donne.

Per meglio dire, esteticamente ben modellate; unagglomerato di tette e culi celate giusto quel tanto danon violare la legge, poiché il senso della buona crean-za sono anni che è stato abrogato; lo stesso discorsovarrà anche per gli uomini in un prossimo futuro, maquesto è un altro discorso, in quanto le parole su cui cidobbiamo soffermare per non perdere il filo del dis-corso sono:“esteticamente” e “modellate”.

È ovvio che l’idea di bellezza si rifà in primo luogoad un fattore estetico e su questo non ci piove. Comeè pure ovvio, grazie alla tecnologia, il tentativo di pre-servare nel tempo tale bellezza estetica col “modella-re”, rifare,“liftare”quello che un tempo fu;di tutto que-sto dobbiamo ringraziare la nostra cultura che c’infi-nocchia il cervello quotidianamente con la dicotomiabello-eterno. In più, è luogo comune affermare che labellezza è un valore effimero e caduco, tuttavia nel suobreve istante di vita ”tira”che è una meraviglia e Dario

LA MAGNETICA DEMOCRAZIA DELLA BELLEZZA

Per selezione o per privilegio ogni essere umano appare “bello” se in armonia con la Natura.

il Grande, già al tempo dei Persiani, ne sapeva qualcosatanto da coniare il rinomato proverbio:“Tira più un pelodi donna che cento paia di buoi”. Infatti, un essereumano esteticamente bello si tira dietro sempre unacaterva di spasimanti e pretendenti (al di là delle centopaia di buoi).A questo punto possiamo ipotizzare ancheuna teoria plausibile sulla dicotomia bellezza - stupiditàaffermando che un essere umano “ben fatto” non habisogno di cercare, di adattarsi oppure d’ingegnarsi poi-ché sono gli altri che vengono a lui: sono at - “tira” - ti.Quindi,questa benedetta “bellezza”non necessita di affi-narsi più di tanto sotto quegli aspetti che non siano

estetici, per-ché ha a porta-ta di manotutto quello dicui ha biso-gno,al di là delfatto che tale“ c o n n o t a t oesteriore” siausato perriprodursi, perpiacere o perpotere.

E i brutti chefine hannofatto allora?Per non “estin-guersi” si sonoingegnati. Sisono evoluti. Eil sig. Darwincon la sua teo-ria sull’evolu-zione dellaspecie ne saqualcosa: inpoche parole,la Natura c’in-segna che se

una specie non ha i requisiti necessari per preservarsinel tempo, o si estingue, oppure inizia a sviluppare e adaffinare delle qualità che le permettono la sopravviven-za. In questo caso le qualità sono interiori (bellezza inte-riore?) e seppure con un po’ di sforzo, permettono diattirare a sé altri esseri consentendo ai “non belli”di pre-servare la propria specie.

Sicuramente vi capita spesso d’incontrare delle per-sone esteticamente non belle,ma che emanano un fasci-no, uno charme, insomma un’energia della quale sieteistantaneamente rapiti: la potete osservare nei loroocchi, nei loro modi di fare, di pensare, di amare la vita,il mondo e voi compresi.

La morale della favola è che, se pensiamo al concettodi bellezza, associandolo e definendolo solo ed esclusi-vamente in termini estetici, si corre il rischio di divenirfutili ed effimeri, poiché valutiamo le persone e le coseche ci circondano solo in termini di “forma” e non dicontenuto, le prendiamo in considerazione per quelloche appaiono e non per quello che effettivamente sono.

La bellezza è armonia dove il tutto si fonde in una solaentità, evolvendosi e magnificandosi nei suoi molteplicied infiniti aspetti,e che noi comuni e miseri mortali nonabbiamo ancora imparato a comprenderla nella suaessenza, sebbene le abbiamo dato il nome di Natura.

Alexander Perito

Botticelli. “La nascita di Venere”, 1484 circa.

PANE, FIABA E FANTASIA

Ciò che distingue chiaramente la favola (“Il Ronzìo”anno I numero 5 pag. 8) dalla fiaba è che, mentre lafavola, anche se fa parlare gli animali, coglie i suoi

temi dalla realtà della vita quotidiana e vuole offrire uninsegnamento morale, la fiaba inve-

ce si stacca del tutto dalla realtà,si avvale di elementi fanta-stici, immaginari; nel suo

mondo entrano fate, maghi,spiritelli dei boschi e dellefonti, giganti e nanetti, tali-smani preziosi (come anelli

fatati, lampade magiche,portentosi stivali), genibuoni e cattivi e i solitianimali che parlano epensano da uomini.Gli eroi delle favole nonconoscono ostacoli,

volano attraverso lo spa-zio, scendono fino al centrodella Terra, percorrono paesiignoti, quasi sempre esoticie misteriosi, affrontano

mostruosi draghi o terribili sovrani sempre con esito felice(il lieto fine è d’obbligo) e se si innamorano di fanciulle bel-lissime e di principi azzurri.

Tramandate oralmente dalle mamme e dalle nonne di tuttii paesi, le fiabe nascondono spesso gli umori e i caratteritipici di una gente, ma nello stesso tempo sembrano nonavere una patria: qualcuno ha potuto persino dimostrareche le fiabe cinesi, quelle indiane, arabe, europee o degliindigeni dell’Africa e dell’America hanno un fondo comunee sembrano addirittura avere la stessa origine, con perso-naggi ed ambienti diversi, ma trame e significati molto simili.

La loro importanza, come patrimonio di una nazione, fuscoperta nel secolo scorso, quando scrittori romantici comin-ciarono a trascriverle raccogliendole dalla viva voce delpopolo e pubblicandone ampie raccolte (famose quelle deifratelli tedeschi Grimm e del danese Andersen). Ma già datempo ne erano state trascritte in Italia (Il cunto de li cuntidel napoletano Basile o le fiabe teatrali di Carlo Gozzi) e inFrancia da Perrault (l’autore di Cappuccetto Rosso,Cenerentola e Pollicino).

Racconti per bambini senza intendimenti morali, a voltepersino maliziosi, ma importanti perché, proprio per la lorodestinazione ai più piccoli, sono liberi dai legami con larealtà e aprono le porte ai campi della fantasia.

Ma anche il nostro tempo ne è testimoniato: lo scrittoreItalo Calvino ha raccolto il patrimonio fiabesco italiano,oltre a scriverne di originalissime lui stesso.

La Fiaba

.

La seconda parte del nostro viaggio neigeneri della cultura popolare.

SOCIETA’ LETTERATURA

Pinocchio di Collodi

AQUARESI NEL MONDO II

Il giorno otto dicembre si è svolta a Scandicci (FI) la riedi-zione di “Aquaresi nel mondo”, un happening paesano sullacondivisione della memoria.

In quella occasione la “Corale San Lucido” di Aquara soste-nuta anche dall’Associazione Culturale “L’Alveare” ha tenu-to un concerto di canti natalizi i cui proventi saranno devo-luti all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze.

Di questo evento e dell’intera giornata potrete consultare lacronaca fotografica sul nostro sito www.associazionelalvea-re.it, ciccando su “Aquaresi nel mondo”

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L’ALTRO NATALE

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Il periodo delle feste diNatale e diCapodanno è sempre

caratterizzato da un’at-mosfera gioiosa, dolce,quasi magica! Anche ipreparativi sono unappuntamento da nonmancare come l’albero ela realizzazione di dolci epietanze varie, pretta-mente natalizi. Ma dadove provengono tuttequeste usanze, queste tra-dizioni che sembrano tra-smettersi inalterate dagenerazioni in generazio-ni?

Secondo alcuni studi,generalmente, le creden-ze e le tradizioni nataliziecostituiscono un miscu-glio di resti della venera-zione di Saturno e diusanze prettamente cri-stiane, avendo, anche seoggi si è persa completa-mente traccia delle matri-ci iniziali.

L’albero di Natale, simbolo per eccellenza ed utiliz-zato dall’ottavo secolo in poi, secondo l’archeologaKaloghiris, proviene dal Medioriente e non da tradizio-ni germaniche come erroneamente creduto. Questatesi si basa su un testo siriaco, i cui resti sono espostial Museo Britannico. Il testo fa riferimento ad un tem-pio costruito nel 1512 da Anastasio I a nord della Siriadove era possibile vedere due enormi alberi in ottone.Colui che, invece, ha consolidato l’abete come alberonatalizio è stato, secondo la tradizione, San Bonifazio,che per far dimenticare la sacralità, attribuita dai paga-ni alla quercia, pose l’abete come simbolo cristiano especialmente come simbolo natalizio.

Certamente col passar dei secoli il significato dell’al-bero ha preso diverse forme. Inizialmente simboleg-giava la gioia dell’uomo per la nascita di Cristo, suc-cessivamente è stato “riempito” con vari oggetti,soprattutto cibo, vestiti e quant’altro di carattere quo-tidiano, simboleggiando così l’offerta di doni divini.Queste “acconciature” in seguito sono state intesecome fattore decorativo ed infine l’albero ha raggiun-to il suo ultimo compito: luogo ai cui piedi depositarei regali.

L’attuale Natale è dovuto a Charles Dikens.E’propriograzie alle sue opere, ambientate nel periodo natalizio,se oggi il Natale rappresenta una delle feste più attesedurante l’anno e l’albero ne è sicuramente il simbolo.

Altra usanza è la calza. La tradizione riallaccia que-st’usanza al seguito di una leggenda, di cui però non siriesce a risalire al paese di origine.Tale leggenda narradelle difficoltà incontrate da un povero uomo, rimastovedovo, nel garantire alle tre figlie una dote per ilmatrimonio. Ma in una notte d’inverno quando tuttidormivano San Vasilios (il Babbo Natale dei Greci),conoscendo la situazione, decise di depositare in alcu-ne calze, poste vicino al camino par asciugarsi, tre sac-chettini con dell’oro. Ma per essere sicuro di non esse-re scoperto lanciò i pacchettini dal comignolo. Perciò

ORIGINE DELLE TRADIZIONI NATALIZIEL’albero, la calza, le ricette, il gioco delle carte, le cartoline: gli elementi comuni di una festa davvero “diversa”.

oggi continuano ad appen-dere la tradizionale calzadurante il giorno delNatale ortodosso (coinci-dente con la “missione”della nostra Befana) con lasperanza, mai vana tra l’al-tro,che arrivi San Vasilios ela riempi.

E’ sorprendete notarecome la calza sia presentequasi ovunque nel mondoanche se con piccolevariazioni. In Francia, adesempio, i bambini la met-tono accanto al cammino,in Olanda la riempiono dipaglia e di carote per lerenne di Babbo Natale. InUngheria i bambini lucida-no le scarpe prima di met-terle accanto al camminoo alla finestra. In Italia, inorigine, i bambini lasciava-no le loro scarpe fuori,durante l’epifania, perritrovare la Befana. Infine aPortorico i bambini metto-

no sotto i loro letti verdura e fiori per i cammelli dei remagi. Poi ci sono le pietanze. Il più caratteristico ditutti è il tacchino. Eppure la sua provenienza non èeuropea.Arrivato dal Messico nel 1824, in Europa il tac-chino diventò simbolo di benessere.

A Capodanno si usa giocare a carte nelle nostre caseo, per chi ha la possibilità, nei casinò. Nel Medioevo ilmazzo delle carte si chiamava trappola. Le carte sonodiventate conosciute in Europa grazie ai popolidell’Oriente, ed in particolare sono stati gli Arabi conle loro conquiste in Spagna.

Ad Est rivendicano la paternità delle carte i Bramanie i Cinesi. Essi credevano che il gioco delle carte aCapodanno fosse circondato da un’aureola di indovinoe di magia, per questo si crede ancora oggi che chidovesse vincere a carte a Capodanno vincerà per tuttol’anno.Anche le cartoline sono un tassello importanteper il puzzle del Natale. Messaggi di amore, amicizia, diaugurio di buona salute, ecc. Un augurio di buona salu-te strettamente legato alla nascita del Salvatore; unmessaggio intimo e fraterno come l’icona del presepecattolico. La cartolina è considerata un’invenzioneinglese. Si pensa che il suo inventore fu Willam Endleye che la prima fu disegnata nel 1842. Dopo alcuni annila cartolina divenne di moda anche in America, inAustralia ed in Nuova Zelanda. La Danimarca è consi-derata il paese più famoso per la vendita di cartoline(ogni anno almeno cinquanta milioni!).

Tutte queste usanze e tante altre ci fanno riflettere suquanti aspetti accomunano popoli diversi e tanto lon-tani; come tanti popoli adottano usanze di popolidiversi, o almeno che sembrano tanto diversi tra loro;come tanti popoli diversi hanno contribuito per crea-re questa atmosfera natalizia che noi oggi riconoscia-mo come quella nostra, familiare atmosfera natalizia.Edè questa veramente la bellezza e lo spirito del Natale,l’amore, la pace e l’unità di tutti i popoli.

Georgia Gratsia

Gerard David. “Natività”. La composizione trova un principiod’ordine nella luce, che si irradia dalla figura del Bambino.

Botticelli. “Adorazione dei Magi”, 1475

HANNO RUBATO IL NATALE

Ufuocu è sempre al suo posto. Marchio diattesa sulla piazza.Matrice di tizzoni pen-sili ppi quannu si ia a la messa.

Un tempo antifurto satellitare, surrogato bene-volo di cometa. Now un po’ più vanitoso e crepi-tante. Le sue lingue vezzi da serata di gala intor-no allo struscio pallido borghese di mezzanotte:vestiti competitivi rilasciano mani che a stentosfiorano l’acquasantiera.

Scambiatevi un segno di pace. Auguri depen-nati, misti ad aperitivi. “Io e te ce li siamo giàfatti?”. Cosa? Gli auguri o gli affari nostri?Eppure il ladro districa rovi di zeppule scaurate,ingoia ruospi ccu l’alici.

Attenuanti generiche? Nient’affatto. Solo alibi.Perché prima e dopo il castagnaccio esiste unacontinuità dolciaria che ha annacquato ognicauta attesa. E pazienza se il capretto riesceancora a farsi desiderare, se la lasagna somigliaa quella di domenica scorsa.

Così come il presepe, sempre più simile ad unagriturismo; o l’albero, oramai abbaroccato; ed iregali fluorescenti perché Babbo Natale ® non viinciampi. Tredicesima di avvento. Tredicesimastrada. I suoi negozi. Il ladro c’è stato sere addie-tro. Sempre troppe vetrine e pochi specchi. Comeavrei potuto riconoscermi in quel sole di mezza-notte?!

Fioravante Serraino

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L’ALTRO NATALE

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Oltre alle usanze comuni quasi in tutto il mondocristiano, a Natale e a Capodanno, vi sonoanche usanze diverse da popolo a popolo ed

addirittura da paese a paese. E’ interessante, quindi,vedere cosa si usa organizzare in altri paesi o città.

In Svezia all’alba del 13 dicembre la “Lucia“, simbolodella luce, è rappresentata in ogni famiglia dalla figliamaggiore. La ragazza vestita con un soprabito lungo ebianco, con un cerchio di candele accese in testa,passa di casa in casa offrendo del caffè caldo o deibiscotti cantando delle canzoni tradizionali.

In alcuni paesini della Svezia i contadini, durante lavigilia di Natale, versano fuori dalla case e nel terrenodel grano, per festeggiare insieme agli uccelli. InInghilterra in alcune zone vi è l’usanza di festeggiare lavigilia all’aperto con delle mele (retaggio delle festepagane). Quando cala il buio gli agricoltori vanni neicampi e, sedendosi a cerchio intorno agli alberi piùvecchi, devono birra, cantano per la durata della nottee sparano ai rami degli alberi per cacciare gli spiriticattivi, mentre in precedenza ponevano dei dolci allabase dell’albero perassicurarsi pressogli spiriti un buonraccolto.

Nella exJugoslavia le casa-linghe spruzzanosulle tovaglie delvino per non imba-razzare i loro invita-ti se dovesserosporcare! In Russiasi usa vestire dibianco una ragazzadella casa per rap-presentare laMadonna. InSpagna, aBarcellona, duranteil Medioevo vi eraun’usanza davveroparticolare: la ceri-monia del pavone.Il giorno di Natale ilre portava nella salada pranzo su di unpiatto d’oro unpavone. Lo seguivain questo corteo ungran numero di gen-tiluomini, inservien-ti e guardie delcorpo. Nella sala da pranzo si trovava la regina. Il re leconsegnava il pavone per offrirlo a volontà a tutti i pre-senti. Quelli che ricevevano, ed era un onore, un po’ dipavone erano costretti a giurare davanti ai presenti dicompiere atti valorosi o in guerra o nella corrida.

In Grecia si usa preparare una torta chiamata “vassi-lopita” che rappresenta l’antico pane festivo offertoanticamente agli dei per le feste dell’agricoltura. Oggiquesta tradizione si è rivestita di carattere cristiano e siusa offrire la torta dedicandola a Gesù, alla Madonna, aSan Vassilios, alla casa, ai membri della famiglia ed aipoveri. All’interno si usa mettere una moneta e a chicapita di trovarla sarà benedetto a fortunato per tuttol’anno.Tale tradizione deriva da Costantinopoli,poiché

San Vassilios, dovendo restituire delle ricchezze sot-tratte al popolo, decise di inserire in delle torte mone-te, anelli, e quant’altro era stato usurpato.All’indomanidistribuì a tutti i cristiani una torta.Ma ecco che avven-ne il miracolo, poiché ognuno trovo nella torta il pro-prio oggetto! Da allora ogni anno alla festa di SanVassilios (Capodanno) si preparano tali torte.

Ancora in Grecia i bambini suonano e cantano can-zoni augurali durante la vigilia di Natale e a Capodannopresso le case ed i negozi. Ai bambini viene dato incambio qualche dolcetto o qualche moneta. Questausanza e soprattutto le canzoni rappresentano un attoteleturgico che secondo l’opinione laica è un asuspi-cio per il benessere.

Infine, sempre in Grecia, all’inizio del nuovo anno sicelebra l’Epifania.La prima testimonianza per tale festaè dovuta a Klimis di Alessandria agli inizi delCristianesimo. In questo giorno si celebra il battesimodi Cristo e di conseguenza la santificazione delleacque. Perciò, dopo la messa, il celebrante, seguito dalpopolo, si reca nel luogo più vicino in cui sia presente

dell’acqua e vibutta una croceper benedire leacque. Quandoquesto luogo è ilmare,un fiume,unlago, dei giovani situffano perriprendere lacroce. Chi ciriuscirà saràbenedetto pertutto l’anno.

Anche in diversezone di Italia visono particolariusanze: in Sicilia icontadini preleva-no a mezzanotteacqua dai pozzi ela cospargono suiloro animali cre-dendo che l’acquasia benedetta poi-ché nello stessomomento nasce ilSalvatore delmondo.

In Sardegna, sicrede che chinasce la notte diNatale e soprat-

tutto a mezzanotte porti la benedizione non solo aisuoi familiari ma anche alle sette case più vicine. AVenezia, nel Medioevo, il doge ed il popolo si recavanosull’isola vicina di San Giorgio per inginocchiarsidavanti alla salma di Santo Stefano. Sulla spiaggia del-l’isola aspettavano delle gentildonne veneziane vestitein nero e adornate di gioielli per accogliere il doge eper accompagnarlo fino al tempio. Dopo la fine dellamessa tutto il celebre corteo montava sulle gondole e,dopo aver attraversato le acque, ritornava in piazza SanMarco, dove cominciava una grande festa che conti-nuava fino al mattino.

Georgia Gratsia

USANZE DA TUTTO IL MONDO

Sinter Claas (Santa Claus per gli Inglese), il San Nicola Olandese, è il predecessore diBabbo Natale. Secondo la leggenda, Sinter Claas visita le case il 5 Dicembre, vigiliadi San Nicola, accompagnato da un sinistri assistente che porta una frusta per casti-gare i ragazzini cattivi.

Domenica 13 ottobre 2003: fra i partecipanti alla Marcia dellaPace.

DANZA PREGHIERA E MILITANZA

Vi scriverò per ricordi, frammenti, per singhiozzi dibellezza. Bastia Umbra, Santa Maria degli Angeli,Assisi. Ci siamo quasi. E’ lì Assisi: indicata a dito,

brandita, scandita.E i colori di quell’onda anomala esplo-

devano come le “bolle private” di chi vi nuotava.Increspature iridescenti si infrangevano sul grigio dop-

piopetto della collezione autunno inverno. C’era ogniumanità su quel bagnasciuga d’asfalto.Tutta la gente.Vivala gente. Nessuna relazione pericolosa. Non più “scarperotte bisogna andare”. Solo passione e spettacolo, dove l’attore e lo spettatore si confondono.

Delegazioni e sindaci “improbabili” armati di gonfaloni.Geografia di campanili, fitti come dovrebbero essere gliaghi di pino di una democrazia. Repubblica. Res publica.

In cui ritrovare e spalmare identità, il cioccolato sulpane, come antiche merende offerte da dolcissimi occhiblu.“Non più, non più questo è possibile”mi dicevano.Nonvedi!?. Adolescenti oramai perduti dietro i loro sogni dicomunicazione interrotta, gli adulti arruolati in bancadopo rivoluzioni autoreferenziali, i vecchi sognatori stan-chi.“Non più questo è possibile”, mi dicevano. Ed io, disar-mato dalla paterna ironia del Capo di Buona Speranza,mi ero abbandonato all’inesportabile fato.

Eppure ero tra loro. Censurati, contati, ma vivi di prece-denti solitudini ed impotenze.Alle prese con mute intran-sigenze e rabbiose devozioni. Umane omissioni ed auto-censure. Come ciclisti gregari in fuga.

Ma mai l’uomo della folla era stato così poco solo. Poiscorgi affinità meno rituali degli incontri. Un trattoredella Durso che dissoda campi giamaicani.Allora c’erava-mo già, traslati, bagnati di sole. E poi l’incontro conGiuliano Giuliani, il padre di Carlo, “ragazzo” morto aGenova. Un faro, un’acqua di porto in quel mare; che silasciava blandire dalla solidarietà e dall’affetto: “quantisiamo, quanti siamo...e mi dicono che altri sono ancora aPerugia”. Contento come un generale che copriva la ritira-ta a migliaia di figli di madre. “Tra due minuti è quasigiorno, è quasi casa, è quasi amore”, signor generale.

Alla fine, risalendo controverso quell’enorme arteria pul-sante - pensante ossigeno, tutto apparve più chiaro, nitidodi una tramontana invocata a spazzare i nidi d’ombradelle nostre ipocrisie salottiere.

Scintille di saldatura balenarono; erano versi assoluti diPasternak:“Io sento per loro, per tutti / come se fossi nellaloro pelle / mi sciolgo come si scioglie la neve, / come ilmattino aggrotto le ciglia. / Con me sono persone senzanomi, / alberi, bimbi, gente casalinga. / Io sono vinto dacostoro, / e solo in questo è la mia vittoria.”.

Fioravante Serraino

TESTIMONIANZE

Una rassegna di curiosità legate all’anima popolare del Natale.

Goya. “Il 3 maggio 1808 a Madrid: fucilazione alla montagnadel principe Pio”,

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TERRITORIO

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Molti sono i problemi che affliggono la Valle delCalore; e molte sono le cause che li generano.Una di queste, a mio parere, è il modo con cui

siamo abituati a porci nei loro confronti.Io vivo a Roccadaspide, ma sento di appartenere

all’intera Valle del Calore, non perché non ami il miopaese, ma perché come qualcosa di inseparabile datutti coloro che vi abitano. Da quando ho fatto la scel-ta di restare a vivere qui,oltre ad aver colto tutto il posi-tivo che ho trovato, mi sono rimboccatole maniche per migliorare il migliorabile,affinché in questo posto potessi vivere almeglio la mia vita. Penso che sia un senti-mento comune a qualsiasi persona diogni età e latitudine: il voler migliorare lapropria condizione. Fa parte della naturaumana, non si spiegherebbe il progresso,altrimenti.

La nostra Valle possiede enormi poten-zialità: il fatto che fino ad ora sia statofatto così poco, ci può scoraggiare da unlato, ma dall’altro ci deve far ben sperare.Svincolati da termini di paragone (farpeggio è difficile!), dobbiamo pensare aimargini di miglioramento che abbiamo.Tutto questo non ha nessuna pretesa dioriginalità non tanto per le singole paro-le, ma per il concetto espresso. Infatti inogni occasione pubblica,convegni o altroche ho seguito, tutti i politici di profes-sione di questa Valle, hanno puntualmen-te ripetuto tali concetti fino alla loro noia(perché quella degli uditori è arrivata undecennio prima!); così facendo sonodiventati gli imprenditori di loro stessi: sisono inventati una redditizia professione,se si considera il reddito medio degli abi-tanti della Valle.Addirittura, soprattutto inperiodi elettorali, sono venuti anche “dafuori” a raccontarcele, dimostrazione del fatto che lacrisi si fa sentire anche nelle città come Salerno,Napolie Roma! E noi sempre qui fermi, chi a credere, chi asperare. La maggior parte di noi però resta lontano edindifferente da tutto ciò che accade, perché ci sonosempre cose più importanti a cui pensare: il terreno dacoltivare, le partite, gli amici al bar, ed altre occupazio-ni dello stesso genere; il risultato è quello di lasciare lalibera iniziativa “ai pochi” ed ai loro fedelissimi “furbi”.Il nocciolo è la nostra latitanza sulle questioni che ciappartengono.La situazione della Valle è critica in prin-cipal modo per il nostro atteggiamento; esso favoriscesolo chi si nutre di questo disagio, e nessun altro.Neanche i “furbi”che credono di aver raggiunto chissàquale posizione, grazie al loro politicante di riferimen-to, godono di questo lassismo. Magari non se ne ren-dono conto,e a chi resta fuori possono apparire anchecome esempi da emulare,ma essi rappresentano solo “iportantini”della Valle verso lo spopolamento.

È lo spopolamento il rischio che corriamo, ed a que-sto dobbiamo ribellarci. Senza particolari rivoluzioni,senza la discesa in campo di nuovi o riciclati politici,perché il da farsi non riguarda solo chi vuol fare politi-ca, ma la società civile tutta. Essa, riprendendo il con-trollo di ciò che le appartiene, non delegando più, maagendo direttamente con la propria testa ed il proprio

NON MI MUOVO DA QUItalento in ogni “momento” della Valle, dovrebbe interve-nire direttamente sul suo futuro, in modo da cambiare ecoltivare con le nostre mani la nostra terra. A questopunto automaticamente si risolverà anche un altro pro-blema, quello di una classe politica assolutamente ineffi-ciente ed inadeguata: li “costringeremo” a darci quelloche vogliamo, non quello che vogliono!

Ma il punto resta: dobbiamo rivedere le nostre aspetta-tive e non adattarci ad una situazione trovata che sembra

“naturale”,perché naturale non è.Dobbiamo imparare adallargare i nostri orizzonti, misurarci con obiettivi piùgrandi, non continuare a rattoppare un vestito vecchio.Pretendere di più senza andare a cercarlo altrove macostruirlo qui, nella nostra Valle. Smetterla di pretendereche la nostra vita debba essere migliorata da terzi.

Ovviamente non si può sperare che venga fatto da chisi è già formato perché ormai adattato alla situazione tro-vata; né dai pochi che se ne nutrono e quindi non hannonessun interesse a far cambiare il vento; né da chi è statogià sconfitto ed è privo di forze per rimettersi in gioco.Invece l’onere cade tutto sui giovani:devono essere pron-ti a fare una scelta coraggiosa, controcorrente, e conmeno garanzie delle altre, ma di certo sarà la più nobilee, dopo la “traversata del deserto”, quella con il più altogrado di appagamento.

Siamo noi che dobbiamo scegliere di iniziare a coope-rare, in modo da creare una forza d’impatto che riesca acambiare la tendenza del momento:non da soli con i pro-pri individualismi, ma insieme.

Di sicuro è più semplice andare via, ci sono opportuni-tà per ogni tipo di ambizione in città, soprattutto se sidecide di andare lontano. Ma ogni luogo, ogni mestiere,

E’ necessaria una nuova coscienza civile per marginalizzare la classe politica autoreferenziale della Valle del Calore.

Noi siamo il fiume e “loro” la valle. Noi siamo tutto quello che dovrebbe scorrere e mai stagnare rispetto all’immobilità orografica che ci impedisce di crescere oltre l’o-rizzonte di uno stiracchiato presente.

Renato Guttuso. “La gita in campagna, bozzetto di scena, quadro Ie III”, 1954.

richiede una dose di sacrifici, il fatto è checambia solo la nostra propensione a farli.Ulteriore impedimento è il fatto chesiamo tutti dispersi nei vari paesini, lonta-ni gli uni dagli altri, molti di noi sono uni-versitari, quindi vivono il paese a “sin-ghiozzo”.Tutti questi fattori con l’aggiun-ta dei problemi personali, le proprie fru-strazioni e i propri successi, contribuisco-no a rendere ancora più difficile l’inizio diquesto processo di “collaborazione atti-va”. Inoltre la sensazione di essere soli e ladifficoltà ad incontrarsi,a trovare un grup-po con cui parlare e condividere questeesigenze per potersi organizzare ed affi-nare le nostre idee è un ulteriore impedi-mento. Quindi il risultato è che certe pul-sazioni, certe esigenze, muoiono nel pri-

vato di ognuno di noi, contribuendo solo a far crescerel’insoddisfazione personale, anticamera della voglia discappare altrove o del malessere di vivere in un postoche ci “sta stretto”.Coloro che possono vanno via,aggra-vando ulteriormente la qualità della vita di chi è in loco;chi resta, invece, ha solo la possibilità di adattarsi alla“meno peggio”, sempre alla ricerca di una posizionemigliore del vicino di casa: una guerra tra poveri!

Ecco che le energie positive qui esistenti si disperdo-no affievolendosi, invece di unirsi e rinforzarsi così dapotersi sviluppare.

La mia speranza è che si possa avviare finalmente que-sto processo di cambiamento. Non so se mai si farà. Nelmio piccolo ci sto già provando;ne conosco altri che giàda tempo si stanno impegnando, altri invece, si sono dapoco avviati:mi auguro di conoscerne sempre di più! Secon queste righe ho contribuito a non far sentire solauna persona che ha di queste esigenze e non riesce adesternarle, ne sono contento. La mia convinzione è chesiamo in tanti, ma, se non ci si confronta, da soli con ipropri limiti non si va da nessuna parte. Mi auguro per-tanto di poter vivere il giorno in cui si inizierà a colla-borare tutti insieme per risolvere i problemi comuni checi appartengono. Con uno spirito nuovo per questitempi, ma di sicuro non nuovo per la storia umana.

Mimo D’Angelo

Rembrandt. “I sindaci dei drappieri”, 1662.

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TERRITORIO

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L’abbandono, l’indifferenza e la scarsa sensibilitàhanno accelerato il processo di degrado di buonaparte del patrimonio artistico, monumentale e

ambientale del nostro territorio. Numerosi edificiecclesiastici, rimasti inagibili per molti anni a causa delsisma del 1980, sono stati riaperti al culto, alcuni ripro-ponendo le caratteristiche architettoniche e decorati-ve originarie,altri mostrando un aspetto stravolto nellostile e nei materiali costruttivi.Antichi manieri e palaz-zi signorili appartenenti a privati hanno subito, oltre aidanni derivati da calamità naturali di ogni genere,un’alterazione estetica per lavori di ristrutturazioneeffettuati con materiali moderni, assolutamente incon-ciliabili con l’istanza storica della struttura. A ridossodei centri abitati o sparsi nelle campagne si incontra-no spesso dei ruderi, più o meno accessibili, di con-venti medievali, dove gli ordini mendicanti svolgevanoil loro ministero e le loro opere umanitarie e culturali.In essi, ridotti il più delle volte a cumuli di pietre espo-ste all’intemperie e al libero arbitrio di chiunque, sisente ancora l’eco dei cori gregoriani che accompa-gnavano le giornate dei monaci impostate, secondo ilmotto benedettino, sull’ “ora et labora“, sulla medita-zione e sul lavoro nei campi in genere. Ma in questoenorme patrimonio artistico e culturale vi rientranoanche sculture (marmoree, lignee, in pietra), pitture(affreschi, tele, pale), e quant’altro orna gli ambientidegli edifici storici e non solo.Tutto questo, a mio avvi-so, andrebbe preservato e conservato con ogni mezzo,strappandolo all’oblio e quindi alla totale scomparsa.Attuando, a tal fine, una giusta e mirata politica di valo-rizzazione e fruizione di tali beni, si otterrebberoimportanti risultati nella conservazione e, quindi, tra-smissione di essi alle generazione future, nell’espan-sione del flusso turistico verso le nostre piccole realtà,creando itinerari alternativi ai maggiori poli di attra-

zione turistica della zona (Paestum,Velia, Padula ecc.),con un riflesso positivo anche nel campo occupazio-nale. L’ambiente, poi, è anch’esso abbandonato a sestesso ed esposto a rischio, a parte le poche aree cura-te e salvaguardate. Spesso, maggiormente in prossimitàdi ponti, piccoli corsi d’acqua e di fontane pubbliche,la prima cosa che salta alla vista del visitatore non è ilpaesaggio idilliaco e bucolico, circondato da una natu-ra composita,ma delle piccole e sparse discariche abu-sive, generate da individui che senza scrupoli e senzarispetto per niente e per nessuno agiscono indisturba-ti come fossero i padroni del mondo. Queste piccole“oasi” d’immondizia rischiano di diventare sempre piùgrandi e di trasformarsi in vere e proprie bombe eco-logiche, sempre pronte a disperdere nell’ambiente cir-costante, quindi nel terreno, nelle acque superficiali e,ancora peggio, nelle falde sotterranee, i loro agentiinquinanti. Negli ultimi tempi, per fortuna, si nota daparte delle istituzioni locali (comuni, comunità monta-ne, ecc.) una maggiore attenzione verso queste pro-blematiche. Ciò è dovuto ad una forte politica di sensi-bilizzazione da parte delle istituzioni nazionali:Ministero dei Beni Culturali, Ministero dell’ambiente,Parchi Nazionali ecc., all’impegno di varie organizza-zioni di volontariato sia a carattere nazionale che loca-le (WWF, Legambiente, Pro-Loco, ecc.), ad un maggioresenso civico della gran parte dei cittadini, che si sento-no sempre di più parte integrante della realtà in cuivivono, tutelata e rispettata nel miglior modo possibile.

Tutto ciò è degno di plauso ma è sempre poco. Daqueste poche righe parte l’invito, anzi il grido, rivoltoalle istituzioni pubbliche, private, ecclesiastiche, alleassociazioni culturali, umanitarie, di volontariato, ai cit-tadini e a tutti gli uomini di buona volontà:“salviamo ilsalvabile“.Luigi MarinoRoscigno Vecchia. P.zza G. Nicotera, la fontana.

IL VACCINO ANTIDISCARICANel corso della sua breve e stentata vita, molti

sono stati i caratteri negativi attribuiti al ParcoNazionale del Cilento e del Vallo del Diano,pun-

tualmente elencati e ripetuti da vari personaggi neiconvegni, nelle riunioni, sulla stampa, o semplicemen-te nelle discussioni da piazza o da bar.

Il povero Parco é stato accusato di essere “troppogrande” ed ingombrante, di “limitare la libertà dicomandare in casa propria”, di ”limitare lo sviluppoeconomico” delle aree in esso incluse, di favorire unosviluppo esponenziale dei cinghiali che, come si leggetestualmente in un articolo sul giornale “LaRepubblica”“mangiano le vipere, devastano i raccolti”e quindi, sillogisticamente, di essere responsabilianche della presunta diminuzione delle vipere.

Insomma poco c’é mancato che, nelle valli delCalore, del Tanagro e dell’Alento, nonché lungo il lito-rale cilentano, il classico anatema “piove, governoladro” non sia stato sostituito dal “piove, parco ladro”.

Adesso però si é alla disperata ricerca di un sito dove

costruire, inutile inzuccherare la pillola, meglio chia-mare le cose con il loro nome,“la pattumiera nuclea-re d'Italia”, il posto dove “seppellire” 88.000 tonnella-te di scorie nucleari di cui 8000 ad alto rischio.

Il sito scelto, per adesso perché le proteste dellepopolazioni e delle amministrazioni locali sono altis-sime, è Scanzano Ionico in Basilicata: non sto adesso adiscutere se, come e dove costruire il sito, però pren-do atto con un sospiro di grande sollievo che tra i “cri-teri di esclusione” c’è l’essere aree sottoposte a vin-coli; insomma in un Parco naturale non è possibilecostruire un sito di stoccaggio di scorie nucleari. Sepoi si prende in considerazione in particolare la Valledel Calore e si scorrono i “criteri di esclusione”, ven-gono i brividi e viene voglia di innalzare una grandestatua al Parco che per noi ha funzionato come vero eproprio “vaccino antidiscarica nucleare”!

Giuseppe Pagnotto

SALVA L’ARTE E METTILA DA PARTEUn allarme ambientale ed artistico che rischia di cadere inascoltato dall’alto della comoda torre dell’indifferenza culturale.

I nostri beni culturali, artistici, architettonici e ambientali hanno bisogno di un riconoscimento “della memoria” e non “alla memoria”.

RIFLESSIONI

Lo spaventoso fungo atomico.

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Tiziano, “Miracolo del marito geloso”,1511

ASSOCIAZIONISMO

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Un’Associazione Turistica Pro Loco,come tutti sanno, opera per il rag-giungimento di finalità quali la pro-

mozione e lo sviluppo del luogo medianteuna serie di iniziative culturali, ricreative, disolidarietà sociale, di recupero ambientale,in maniera da rendere più gradito il soggior-no dei turisti e la qualità della vita dei resi-denti. La Pro Loco di Aquara (ormai al suoventesimo anno di vita), che nel corso dellasua lunga esistenza aveva tenuto fede aquanto è scritto nel “codice genetico” diogni Pro Loco, negli ultimi tempi avevamostrato segni di stanchezza e di prostrazio-ne, che l’avrebbero portata a morte sicura sealcuni ragazzi non avessero sentito il deside-rio di restituirle la dignità, la funzione, ilruolo, in una parola sola, l’importanza che adessa compete. E’ così che, dopo una serie diriunioni preliminari, facendo partecipe unnumero sempre crescente di persone, si èarrivati alla individuazione di un nuovoConsiglio di Amministrazione.

Il primo obiettivo che il giovane C.d.A. siè dato è stato quello di creare attorno a séun gruppo di persone che condividesserol’entusiasmo, il piacere, la voglia di stareassieme e di dar vita ad una serie di iniziati-ve capaci di coinvolgere l’intera popolazio-ne di Aquara.

Per ottenere ciò si è pensato in primoluogo di dare all’Associazione un’immaginedi “apoliticizzazione”, cercando di riconcilia-re, di riavvicinare i due schieramenti che, nelcorso della recentissima tornata elettoraleamministrativa, si sono contrapposti e fare inmodo di ricomporre la frattura che in similicircostanze si crea. Come una qualsiasi mac-china nuova, anche la Pro Loco ha avuto unafase di rodaggio; ma adesso, a distanza dicirca tre mesi, essa sembra aver superato

positivamente il perio-do di prova, tant’è chesi sono moltiplicati gliincontri e si sonomobilitate tante perso-ne che hanno messoin campo inaspettatacreatività, inusitatitalenti, instancabilienergi. La prova di ciòè data dalle manifesta-zioni promosse per questo scorcio d’anno,quali il concorso a premi “Dolce Natale”, l’al-lestimento di presepi per le vie del paese edun concerto di musica per banda e cantantilirici,ma in particolar modo per il 2004, il cuiprogramma presenta una rievocazione stori-ca del Carnevale aquarese, un momento diriflessione sull’ambiente, ma soprattutto ilprogetto “L’acchiappasogni”, che prevede larealizzazione di una manifestazione culturaleed artistica estiva, della durata di circa diecigiorni, le cui attività saranno mirate al recu-pero delle radici locali ed al confronto con leculture “altre”. Dobbiamo tutti rimboccarcile maniche intorno a questi progetti comuniche hanno, come è facile intuire, il fine pri-mario di migliorare la qualità della vita delnostro paese, favorendo l’afflusso di gente,dituristi, da altre parti, rendendo confortevole

RINASCE LA PRO LOCO DI AQUARA: SPERANZE E PROGETTI

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il soggiorno a chi,emigrato, ritorna, anche seper un breve periodo,a rivedere i luoghi chelo hanno visto nascere, muovere i primipassi, fare le prime scoperte della vita.

C’è solo da augurarsi, che il nostro lavorosia proficuo e produttivo e che possa servi-re a tutti noi, al di là degli schieramenti edelle divisioni ideologiche, a far capire chelavorare insieme incoraggia a consolidare, arafforzare, a fortificare la coscienza socialeed aiuta a recuperare quei valori che, in unasocietà incentrata sull’egoismo più sfrenato,sono diventati oramai anacronistici.

Alberico Nicoletta

LETTERE

Ritornando ad Aquara quest’estatemi sono reso conto che soprattuttoi giovani, molti dei quali miei

amici, sono sprofondati in un bagno diozio perdendo di vista qualsiasi obiettivoe lasciando le idee e la fantasia nel como-dino. Ho notato da parte di molte perso-ne un’apatia che le spingeva soltanto acriticare il lavoro, casomai sbagliato,degli altri, senza fare assolutamente nullaper migliorare ciò che secondo loro nonandava. Alcuni hanno persino avuto daridire su come veniva fissato un chiodonel muro, senza, però, alzarsi, prendere ilmartello e cercare di inchiodarlo inmodo migliore.

Arrivato a questo punto non ho potutofare a meno di chiedermi cosa spingessequeste persone a comportarsi così.

Ebbene,secondo me è proprio l’invidiala rovina più grande delle realtà comeAquara: dico questo, perché è inconcepi-bile che in un paesino di meno di due-mila abitanti i giovani debbano esseredivisi,debbano remare in direzioni oppo-

ste, debbano darsi, nel vero senso dellaparola, ”la zappa sui piedi gli uni controgli altri”.

Credo che questo modo di fare e dipensare non porti a nulla di buono enon sia costruttivo per il paese, che con-tinuare a contrastare chi cerca di farequalcosa solo per il gusto di metterlo indifficoltà, fino ad auspicare il fallimento.Credo sia vergognoso e deplorevole,soprattutto in una realtà in cui la colla-borazione rappresenta, forse, l’unicafonte di ricchezza e di progresso.

Queste poche parole, dettate anchedalla rabbia, assolutamente non devonoessere prese come un richiamo, macome un invito … si proprio un invito… a dimenticare la cattiveria, a dimenti-care le antipatie, a dimenticare le fedipolitiche (nel senso di anelli) ed a colla-borare, affinché tra qualche anno tuttipossano dire ai propri figli e nipoti:”Questo paese è anche un po’ mio per-ché quel giorno c’ero anche io in quellapiazza a fissare quel chiodo che non

voleva entrare”.Ora vorrei concludere, a paradigma di

un villaggio universale, riportando iltema di un bambino di una scuola ele-mentare tratto da “Io speriamo che me lacavo”, in quanto credo che sia un’ottimamedicina per riacquistare un po’di umil-tà e soprattutto liberarsi da emozioni,sensazioni e sentimenti che in alcunicasi possono risultare dannosi per noistessi e per chi ci circonda: ”Io preferi-

sco la fine del mondo, perché non hopaura, in quanto che sarò già morto daun secolo. Dio separerà le capre daipastori, uno a destra e uno a sinistra, acentro quelli che andranno in purgato-rio. Saranno più di mille miliardi, piùdei Cinesi, fra capre, pastori e mucche.Ma Dio avrà tre porte. Una grandissima(che è l’Inferno), una media (che è ilPurgatorio) e una strettissima (che è ilParadiso). Poi Dio dirà: <<Fate silenziotutti>> e poi li dividerà.A uno quà a unaltro là. Qualcuno che vuole fare ilfurbo vuole mettersi di qua’, ma Dio lovede. Le capre diranno che non hannofatto niente di male, ma mentiscono. Ilmondo scoppierà, le stelle scoppieran-no, il cielo scoppierà, Arzano si farà inmille pezzi. Il sindaco di Arzano e l’as-sessore andranno in mezzo alle capre.Ci sarà una confusione terribile, Martescoppierà, le anime andranno e torne-ranno dalla terra per prendere il corpo,il sindaco di Arzano e l’assessoreandranno in mezzo alle capre. I buonirideranno i cattivi piangeranno, quellidel purgatorio un po’ ridono e un po’piangono. I bambini del limbo divente-ranno farfalle. Io speriamo che me lacavo.”

Un sano invidioso, Zairo Ferrante

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

INVIDIO, ERGO SUM

Pellizza da Volpedo. “La fiumana”, 1895-96.

In occasione delle festività natalizie laPro Loco Aquara organizza per il giorno27 Dicembre un concorso a premi didolci Natalizi.“Il Ronzio” è lieto di invi-tare tutti voi a presenziare l’evento e, perchi ha voglia, di concorrere con un per-sonale ed originale dolce.Per informazioni ed iscrizioni (entro enon oltre il 21 Dicembre) rivolgersi aisignori Giusy Sorgente (tel.0828962044)ed Alberico Nicoletta (tel. 0828962040).Per visionare il regolamento:www.associazionelalveare.it (categoriaLe manifestazioni)

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La cittadinanza esprime un legame tra l’individuo e loStato che comporta il diritto e il dovere di ogni cittadinodi partecipare alla vita e allo sviluppo del paese. Questa

partecipazione si realizza attraverso il diritto di voto, la candi-datura alle elezioni, l’adesione ad un partito politico e quindinel poter esprimere le proprie idee ed opinioni sulla politicanazionale.

La nostra Carta Costituzionale, pubblicata nel 1948, all’arti-colo 48 stabilisce che “sono elettori tutti i cittadini, uomini edonne, che hanno raggiunto la maggiore età”.Analizzando laprima parte del primo comma del suddetto articolo, si evince,quindi, che il corpo elettorale è costituito da tutti i cittadini:uomini e donne, senza discriminazioni di carattere sessuale,economico o culturale.

“Il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo eser-cizio è un dovere civico.” La personalità del voto fa si che cia-scun elettore si rechi alle urne personalmente, senza avere lapossibilità di delegare altri in sua rappresentanza, tranne alcu-ne eccezioni riguardo agli elettori fisicamente impediti chepossono farsi accompagnare nella cabina elettorali, o le facili-tazioni per i degenti nelle case di cura e per i marittimi imbar-cati.

Il voto è uguale: tale principio esclude i voti plurimi, cioè ilvotare per più volte su uno stesso punto,e i voti multipli, cioèvotare in più circoscrizioni, prevedendo anche in queste ipo-tesi delle eccezioni tassative riguardo a determinate categoriedi persone. Infine la libertà e la segretezza sono due principicomplementari tra loro perché il voto è veramente libero, ecioè frutto di convinzioni personali, non estorto né con pres-sioni né con minacce, soltanto quando è segreto, vale a direquando,per le modalità con cui viene esercitato,nessuno puòconoscerlo.

“Il suo esercizio è un dovere civico”.Fino al 1993 il suo eser-cizio è un vero e proprio dovere civico, infatti, l’elettore chenon fosse andato a votare era iscritto per trenta giorni in unelenco esposto nell’albo comunale, ed il certificato di buona-condotta “marchiato” da un “non ha votato”. Ora tale menzio-ne è stata brigata, perciò l’unico significato che può darsiall’espressione “dovere civico” è quello di esprimere la posi-zione di interessamento del cittadino alla comunità a cui par-tecipa, e che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostaco-li che si frappongono all’esercizio del voto, ad esempio age-volazioni tariffarie per coloro che sono costretti a spostarsiper votare. Nel 2000 la legge costituzionale n° 1 ha introdot-to il seguente comma:“La legge stabilisce requisiti e modalitàper l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’e-stero e ne assicura l’effettività.A tale fine è istituita una circo-scrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sonoassegnati seggi nel numero stabilito da norme costituzionali esecondo criteri determinati dalla legge”. La norma ha ricono-sciuto ai cittadini italiani residenti all’estero l’esercizio deldiritto di voto stabilendo requisiti e modalità e assicurandonel’effettività con l’istituzione della circoscrizione Estero, risol-vendo una questione che dal 1993 è stata dibattuta inParlamento circa una decina di volte senza mai giungere arisultati concreti. La così tanto discussa circoscrizione Esteroè finalmente istituita nel 2001 con legge n° 1 e servirà a nomi-nare già dalla prossima tornata elettorale, dodici dei seicento-trenta deputati, e sei dei trecentoquindici senatori. La circo-scrizione Estero è suddivisa in quattro ripartizioni: Europa,Turchia e i territori della Federazione Russa;America centralee settentrionale; America meridionale; Africa, Asia, Oceania eAntartide. Gli elettori residenti e votanti nella relativa riparti-zione possono candidarsi alla circoscrizione Estero, mentrenon possono candidarsi in una circoscrizione nazionale ameno che non abbiano optato per l’esercizio del voto in Italianella circoscrizione in cui sono iscritti. In caso contrario vote-ranno i rappresentati della circoscrizione Estero attraverso ilvoto per corrispondenza, da inviare alla rappresentanza con-

IL VOTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTEROIl diritto – dovere di voto, come esercizio civico, riconosciuto ai cittadini italiani all’estero.

OSSERVATORIO

Bimestrale dell’Associazione Culturale “L’Alveare”Viale della Vittoria, 41 - 84020 Aquara (SA)C.F. 91030050651.

Iscritto al n° 1130 del registro della stampa periodica del tribunale di Salerno il 30/12/2002

Tiratura: 1000 copie.

Distribuzione: Albanella, Aquara, AltavillaSilentina, Baronissi, Bellosguardo, CapaccioScalo, Castelcivita, Castel S. Lorenzo,Controne, Corleto Monforte, Felitto, Lancusi,Ottati, Roccadaspide, Roscigno, Sant’Angeloa Fasanella, Serre.

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E-mail: [email protected]

Sito internet: http//www.associazionelalveare.it

Presidente: Arturo Stabile

Direttore responsabile: Elvira Ragosta

Coordinamento editoriale: Fioravante Serraino

Redazione: Gianpietro Consolmagno, PasqualeDurso, Georgia Gratsia, Marco Marino, RobertoMarino, Vincenzo Scotillo, Antonio Stabile.

Collaboratori: Angela Accarino, LeonardoAmendola, Lucido Andreola, ValeriaConsolmagno, Jorge Cuadrelli, Mimo D’Angelo,Mario De Laurentis, Roberto De Luca, Sara DiBello, Giovanna Dorato, Zairo Ferrante, SavinoGaudio, Gilda Marino, Marco Marino, AlbericoNicoletta, Giuseppe Pagnotto, Alexander Perito,Pasquale Sorgente.

Foto: Italo Sabetta

Progetto grafico: Medi@rt - Viale Certosa, 1520149 Milano - Tel. 02 39211315

Stampa: CTM – C.so Europa, 92 Matinella (SA)

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solare dello Stato in cui risiedono.E’ chiaro che questa moda-lità comporta una sua prima lacuna, perché urta contro ilprincipio della personalità del voto che non prevede il votoper corrispondenza.

Un altro aspetto da evidenziare è, come,e fino a che punto,gli elettori all’estero verranno sufficientemente informati sul-l’andamento della politica nazionale e delle valutazioni degliItaliani a riguardo, al fine di esprimere il loro voto nella piùtotale libertà.

Questo punto solleva un altro aspetto significativo: l’inte-resse che gli Italiani residenti all’estero potranno avere avotare rappresentanti al Senato e alla Camera dei Deputatidal momento che la loro vita ormai si svolge in un altropaese, perché è in quel luogo che loro hanno interesse adeleggere rappresentanti che rispettino e tutelino i loro dirit-ti - doveri di cittadini. Senza pensare anche alle ulteriorispese che questa circoscrizione Estero comporterà.

Le mie domande non sono un attacco a tutti quegli emigratiche, purtroppo per motivi di lavoro, sono stati costretti alasciare la loro terra nativa, perché ho avuto modo di consta-tare personalmente, attraverso amici e parenti emigrati, qualè il loro attaccamento, il loro desiderio di ritornare in Italia,qualcosa che nessuno può capire se non è stato lontano dallasua terra per così tanto tempo come i nostri connazionaliall’estero.

Però non posso fare a meno di chiedermi se alle prossimeelezioni politiche tutti i buoni propositi enunciati nellerecenti disposizioni di legge saranno in grado di farci rag-giungere risultati concreti tali da rendere effettivamente partecipi gli Italiani all’estero alla vita politicanazionale, attraverso l’elezione di senatori e deputati che siaespressione della maggioranza degli elettori e che rispecchi-no la loro volontà politica.

Di leggi in Italia se ne promulgano tante, troppe forse, emolte di queste non soddisfano le esigenze della collettivitàanche perché, in molti casi, ai fini pratici diventa difficileapplicarle. Speriamo che questo non sia uno di quei casi.Comunque sia, potremmo veramente valutare l’effettivitàdelle disposizioni in materia, soltanto dalle prossime elezionipolitiche, augurandoci che nel frattempo gli Italiani all’esterosi facciano un’idea chiara della situazione attuale e anche diquella passata e, consapevoli di questo loro nuovo diritto,possano contribuire a fare una scelta ponderata e consape-vole dei nostri rappresentanti alla Camera e al Senato dellaRepubblica.

Angela Accarino

Monet. “Il parlamento di Londra”, 1904.

Il valore civile ed i limiti pratici di una riforma costituzionale che ha istituito la circoscrizione Estero, attesa allaprova della prossima tornata elettorale.

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