Verona In 01/2004

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N ° 1 - GENNAIO 2004 - GIORNALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - WWW. VERONA- IN . IT i n VERONA

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N ° 1 - G E N NA I O 2004 - G I O R NA L E E D I TO DA L LO S T U D I O E D I TO R I A L E G I O RG I O M O N TO L L I - W W W. V E RO NA- I N . I T

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«In libreria si vendono più libri,sia pure di poco, ma i ricavi tota-li, in termini reali, diminuisco-no». La dichiarazione è di Federi-co Motta, presidente dell’Asso-ciazione italiana editori (AIE). Ilcalo dei ricavi, relativo alle vendi-te del comparto nel 2002 rispettoal 2001, si attesta attorno al pun-to in percentuale. Motta, parlan-do alla 55ª Fiera del libro di Fran-coforte, ha aggiunto che è neces-sario definire in Parlamento unquadro organico regolativo e disostegno del settore. Anche ilPresidente Ciampi, a maggio, inoccasione dei premi nazionaliper la traduzione, aveva auspica-to un’azione massiccia, pubblicae privata, a favore del libro e dellalettura.Dallo studio sullo Stato dell’Edi-toria italiana presentato dall’AIEemerge che le famiglie italianenel 2002 hanno speso circa 115euro per l’acquisto di libri: ro-manzi, guide di viaggio, manuali,libri di testo scolastici, dizionariecc. Acquisti fatti in tutti i canalie attraverso tutte le forme di ven-dita esclusa quella in abbinamen-to ai periodici. Si tratta di 44 eurocirca pro capite con marcate dif-ferenze per area geografica: ilNord Ovest rappresenta pocomeno del 30% della spesa; ilNord, nel suo insieme, è pocomeno della metà; il Sud e le Isolerappresentano il 30%; le regionicentrali il 20%.Il fenomeno dei libri venduti coni giornali rappresenta ancora unodei dati di maggiore rilievo per ilsettore. Nel 2002, su una stima di100 milioni di copie di libri ven-duti attraverso i vari canali (quisono esclusi quelli scolastici, lamanualistica universitaria, i libriacquistati da biblioteche o daglistudi professionali) altri 44,2 mi-lioni sono stati distribuiti utiliz-zando i giornali. Un ordine digrandezza veramente impressio-nante e tale da giustificare lepreoccupazioni di editori, librai edistributori sull’effetto che ope-razioni di questo tipo possono

avere su tutta la filiera produttivadel libro e in particolare su quellitascabili. Nel corso del 2003 ilprocesso è continuato con unacrescente segmentazione dell’of-ferta libraria a cui non sono ri-masti estranei i quotidiani locali.Nel primo semestre di questo2003 sono state 18,5 milioni lecopie di libri vendute con i gior-nali, con una flessione del 18%rispetto allo stesso periodo delloscorso anno. Ma nel secondo se-mestre le varie collane di librid’arte e l’enciclopedia Utet dis-tribuita con Repubblica hannoportato il valore di questo canalea cifre decisamente superiori aquelle del 2002.Rimane comunque la libreria ilcanale preferito dagli italiani perl’acquisto di libri. Ma che tipo dilibreria? Dei 15,4 milioni di ita-liani che nel corso del 2002 han-no acquistato 1 o 2 libri, esclusiquelli venduti con i giornali, il39,2% hanno scelto le librerie acatena e il 33,7% le grandi libre-rie indipendenti. È significativocome le librerie di catena conti-nuino a sopravanzare quelle in-dipendenti indicando come ilquadro concorrenziale si siafatto oggi molto più artico-lato rispetto alla tradizio-nale contrapposizionetra libreria e supermer-cato (secondo una ri-cerca dell’AIE è unadonna su quattro amettere il libro nel carrel-lo della spesa).Nel corso del 2002 il 33% dellapopolazione italiana in età com-presa tra 14 e 80 anni ha acqui-stato almeno un libro (esclusiquelli scolastici e professionali)ricorrendo a canali diversi daquello dei giornali. Rispetto al2001 questo dato non è mutato,mentre nel 2000 la percentualeera del 29%. Si può quindi parla-re di una sostanziale tenuta delsistema di vendita extraedicola,nonostante due importanti fatto-ri abbiano influito con forza sulcomparto editoriale nel corso del

2002: la legge sul prezzo, che hafissato il tetto massimo di scontoal 15% e l’incremento del feno-meno dei libri venduti con i gior-nali. Senza trarre conclusioni de-finitive il rapporto dell’AIE notache «la crescita tra il 2000 e il2001 nel numero di acquirenti èavvenuta in un periodo di fortesviluppo da parte di Feltrinelli,Fnac, Messaggerie, Mondadori,quindi di librerie con forti ele-menti di innovazione nelle for-mule commerciali, nei la-yout, nell’arredo».

Primo piano

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Nel corso del 2002 il 33% della

popolazione italianain età compresa tra 14

e 80 anni haacquistato almeno un

libro ricorrendo acanali diversi da

quello dei giornali.Rispetto al 2001

questo dato non èmutato, mentre nel2000 la percentuale

era del 29%

In copertina: Piazza Bra,all’incrocio tra via Mazzini e viaOberdan. In tempi così grigiriesce a farci sorridere.

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Cultura

Gennaio 20044

FESTIVALETTERATURA

Costruiamo un pontetra Oriente e Occidente

Nella città dei Gonzaga le massime voci della letteratura mondiale hannoavvicinato realtà apparentemente lontane, spesso ignorate, certamente scomode

Festivaletteratura è giunto al set-timo anno di vita. La manifesta-zione, che si è svolta a Mantovadal 3 al 7 settembre, ha conserva-to le caratteristiche che l’hannofatta apprezzare nel tempo: il cli-ma informale, la città come am-biente unico per le letture, glispettacoli, gli incontri con gliautori. Imre Kertesz, Anita De-sai, Jonathan Franzen, Hans Ma-gnus Enzensberger, AntoniaByatt, David Grossman, PéterEsterhazy, Tibor Fischer, ArturoPerez-Reverte e Joachim Fest so-no solo alcuni degli scrittori chehanno contribuito a definire unFestival ricco e articolato, dove

la letteratura si è declinata inpiù direzioni verso i gusti di unpubblico attento e curioso: sonostate 39.000 le presenze aglieventi con prenotazione e circa6000 agli eventi gratuiti. Con-fermate le due anime della ma-nifestazione: la proposta, accan-to a nomi più conosciuti e popo-lari, di scrittori esordienti o an-cora non tradotti in Italia chehanno affrontato temi anchecomplessi intervistati da gior-nalisti ed esperti. Successo per leiniziative che hanno coinvoltobambini e adolescenti e “Libri discambio”, con più di 2000 volu-mi scambiati.

Una manifestazione all’insegnadel divertimento culturale, cinquegiorni di incontri con autori, rea-ding, spettacoli, concerti. Così po-tremmo definire in sintesi il Festi-valetteratura di Mantova.Il cuore del programma sono statigli incontri letterari dove la grandevarietà delle proposte ha consenti-to di spaziare tra gli argomenti piùdisparati riconducibili a vari filoniculturali, tanto da poter identifica-re veri e propri percorsi.Tra questi quello della “Scritturadell’impegno”. Una finestra aper-ta sul mondo, dall’Africa all’In-dia, dall’Italia al Medio Oriente,un dialogo tra attualità e memo-ria nella consapevolezza che laconoscenza è un primo passo peril cambiamento, così come il si-lenzio protegge dalle responsabi-lità. Al Festivaletteratura 2003una serie di autori ha permesso diavvicinare questi mondi apparen-temente lontani, ignorati, questerealtà spesso scomode.Anita Desai, fra le massime vocidella narrativa indiana contempo-ranea, ha raccontato dell’incontrodi culture e lingue diverse: l’hindi,il tedesco e l’inglese, da cui ella di-stilla i suoi romanzi. La scrittriceha dipinto una realtà contraddit-toria, che per un verso relega ledonne in posizione subalterna eper l’altro le eleva alle più alte cari-che dello stato. Novanta minuti dirisposte approfondite e toccantihanno fatto viaggiare il pubblicoattraverso Messico, India, Germa-

Il cuore delprogramma sono stati

gli incontri letteraridove la grande varietà

delle proposte haconsentito di spaziaretra gli argomenti più

disparati riconducibilia vari filoni culturali

Nelle immagini alcuni momentidella manifestazione nella cittàdei Gonzaga

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nia, passato letterario, futuro poli-tico, tradizioni induiste e pregiu-dizi occidentali.Susanna Arundhati Roy vive aNuova Delhi. È diventata una del-le figure di spicco della protesta inIndia. «Mi interessa la relazionetra l’impotenza e l’essere privi dipotere – ha dichiarato –. Ora ilmondo è in uno stato precario,stiamo assistendo a una fase deli-cata di mutazione della democra-zia. Credo che dobbiamo smette-

re di parlare in termini di singoliPaesi, che sia necessario far spri-gionare i legami tra i popoli aggi-rando gli Stati. La letteratura puòavere un potere sovversivo di let-tura del mondo».Bapsi Sidhwa, scrittrice apparte-nente alla piccola comunità Parsi,ha raccontato la storia dell’India edel Pakistan descrivendone lepassioni, le gioie ma anche i con-flitti generati dallo smembra-mento di queste regioni coloniz-

Cultura

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zate dagli inglesi. Ne è risultatauna visione del mondo natural-mente pacifista, dove dovrebberoconvivere religioni, idee diverse,nel reciproco rispetto.Con Il libraio di Kabul Asne Seier-stad è riuscita a entrare nel cuorebuio dell’Afghanistan. Asne, nor-vegese, che con i suoi 30 anni èforse la più giovane e apprezzatacorrispondente di guerra d’Euro-pa, ha spiegato quali erano lecondizioni in cui ha vissuto du-

di Biagio Oppi

55 mila presenze in tre giorni,122 appuntamenti, 34 lezionimagistrali tenute da grandimaestri del pensiero contempo-raneo, italiani e non, come JackGoody, Agnes Heller, Slavoj Zi-zek, Richard Sennet, FernandoSavater, Remo Bodei, UmbertoGalimberti, Bruno Forte, Jür-gen Moltmann, Enzo Bianchi.Son questi i numeri della terzaedizione del Festivalfilosofiache si è svolto a Modena, Carpie Sassuolo dal 19 al 21 settem-bre e che ha avuto come tema lavita. Un vasto programma hacoinvolto letteratura e cinema,teatro e musica, con numerosemostre, tra cui La vita delle for-me, con oltre 300 fotografie, di-segni e opere grafiche di artistidel XX secolo: da Picasso a War-hol, da Ernst a Doisneau, daLichtenstein a Ghirri, Da Burria Vedova. Tra gli interventi lanostra attenzione si è concen-trata su Umberto Galimberti,professore di Filosofia della sto-ria all’Università di Venezia epsicanalista di formazione jun-ghiana; Enzo Bianchi, priore efondatore della Comunità diBose; Bruno Forte, professore diTeologia dogmatica presso la

Pontificia Facoltà teologica del-l’Italia meridionale di Napoli eJürgen Moltmann, professoreemerito di Teologia sistematicapresso l’Università di Tübingenche hanno dato voce a teologieed etiche della vita diverse.

UMBERTO GALIMBERTI

“La doppia vita: la giusta misura e il desiderio infinito”.

Una “scommessa vinta” quella diFestivalfilosofia, con tanta gentee tanta attenzione da parte deimedia, ma soprattutto con un’at-mosfera particolare nelle piazzedi Modena, Sassuolo e Carpi cherimandava a un’epoca in cui ilLogos era nelle piazze, dove sidiscuteva apertamente dei temifondamentali riguardanti l’esi-stenza umana. Quei tempi, oggicertamente idealizzati, sono statirievocati da Umberto Galimbertinella conferenza a Modena inpiazza Grande la mattina del 20settembre, che ha avuto come te-ma “La doppia vita: la giusta mi-sura e il desiderio infinito”.U

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Il manifesto di Festivalfilosofia2003

Susanna ArundhatiRoy: «Credo che sia

necessario farsprigionare i legami

tra i popoli aggirandogli Stati.

La letteratura puòavere un potere

sovversivo di letturadel mondo»

FESTIVALFILOSOFIA

Desiderio infinitoe sete di DioOpinioni diverse sul senso della vita

Festivalfilosofia

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Cultura

Gennaio 2004

La tesi principale, che spiega il ti-tolo, è che l’essere umano ha unadoppia vita: una biologica e l’al-tra peculiarmente umana. Fra ledue vite esiste uno scarto che ge-nera depressione e infelicità acausa del desiderio infinito che lavita umana procura. Per spiegaremeglio il concetto Galimberti haparlato della doppia temporalitàche esisteva nell’antica Grecia,costituita da un tempo ciclico eda un tempo progettuale.Il primo, in cui l’uomo vive la suavita biologica, è un tempo circo-lare che segue il corso della nasci-ta-crescita-morte dell’individuo,con una funzione sostanzialmen-te riproduttiva per la sopravvi-venza della specie. Questo tempofa sì che la vita biologica abbiasenso solo se inserita nel mecca-nismo della Natura. Il secondoinvece è il tempo progettuale, chedistingue l’uomo dagli altri ani-mali e che gli ha permesso dicreare una cultura in grado di ri-flettere e una tecnica in grado diaiutarlo a non subire passiva-mente la natura. La giusta misuraè quella che permette all’uomo diriconoscere e tenere sempre pre-sente il proprio limite, la morte,subordinando così il tempo pro-gettuale al tempo ciclico, comeAristotele ci ricorda: «Chi cono-sce il suo limite non teme il suodestino».Con il cristianesimo, secondoGalimberti, viene introdotto unterzo tipo di temporalità: il tem-po escatologico. È questo tipo ditemporalità che è destinato aprovocare dolore e paura nell’uo-mo: mentre nella Grecia anticanon c’è ricerca di senso della vita,

con il cristianesi-mo la ricerca di

questo sensodiventa unan e c e s s i t à .S c o m p a r edalla men-

ta l i t à

umana il tempo ciclico, a favoredi quello escatologico e di quelloprogettuale, con la parallela in-venzione occidentale della storia.Il concetto di storia, mutuato poida tutta la cultura occidentale,entra a far parte del comune im-maginario e determina quello diprogresso, destinando l’uomo aun fine, che ancora gli fa dimen-ticare il tempo biologico e la suastessa vita biologica. Si spiega co-sì come l’uomo moderno smarri-sca il senso della natura, sotto-mettendola e violentandola; sispiega così come diventi necessa-rio ricercare un senso della vitache la renda vivibile.Durante il dibattito con il pubbli-co la gran parte degli interventiha cercato di ridare alla vita il sen-so che Galimberti le aveva tolto,altri invece hanno tentato di sca-ricare la religione cristiana dallaresponsabilità di aver attribuitoun senso (e quindi una necessitàdi ricerca del senso) al tempo. Inrealtà Galimberti ha suggerito difare progetti, cogliere l’attimocontinuamente assaporando ilbello della vita, che è la vita stessa.Ha invitato a vivere il tempo pro-gettuale a fondo, ma con un at-teggiamento ludico, che permettedi evitare gli integralismi di ognitipo: «se ci si ricorda di esseremortali in un attimo si percepiscequanto sia inutile soffrire e farsoffrire per piccoli obiettivi»

(B.O.).

ENZO BIANCHI

“La vita più forte della morte”.«Per esprimere la festa che atten-de l’umanità al compimento del-la storia, la Bibbia si serve del lin-guaggio simbolico. Il paradiso ècertamente l’immagine più notadella beatitudine finale. QuandoGesù dice al ladrone crocifissoaccanto a lui «Oggi sarai con mein paradiso!» il significato delparadiso appare già collocato at-torno alla figura di Cristo: ilparadiso è essere con Cristo e, at-traverso lui e in lui, con Dio. Leimmagini che si accumulano nel-la testimonianza biblica per evo-care questa realtà sono quelle

della gioia piena dell’uomo,della pienezza di vita: im-

magini che evocano ilcibo buono e abbon-

dante, l’amore e la

rante il suo soggiorno in casa dellibraio Sultan Khan, senza elettri-cità o acqua calda. L’autrice haparlato delle dure condizioni incui le donne afghane sono co-strette a vivere, del conflitto tramodernità e tradizione, tra i valo-ri-pilastro della società, come lafamiglia, il clan, e i nuovi valorida preservare, come l’educazionee l’istruzione.Marjane Satrapi ha passato la suainfanzia a Teheran dove ha cono-sciuto la rivoluzione e la guerracontro l’Iraq. L’autrice di Persepo-lis nella sua opera narra con dise-gni e dialoghi la propria biogra-fia, utilizzando lo spunto perso-nale e un’arte popolare per rac-contare la storia recente e ildramma del suo popolo «sacrifi-cato in nome del petrolio e delpotere economico». La scrittriceha manifestato la speranza che

lavoro. La conclusione è che, non-ostante la tendenza della naturaumana a proteggersi dagli altri,può capitare di incontrare qual-cuno disposto ad ascoltare le no-stre storie e a raccontarci le sue. Èquesta infatti la definizione cheGrossman dà dell’amore.Pubblico numeroso anche perl’ungherese Imre Kertész, premioNobel per la letteratura 2002. De-portato ad Auschwitz appenaquindicenne, Kertész ha confessa-to di aver sentito l’esigenza di di-ventare scrittore perché «durantegli anni della dittatura stalinistaavevo deciso di vivere liberamen-te, e dunque scrivere per me eral’unico modo per esserlo». Loscrittore ha usato parole chiare edelicate, che hanno lasciato un se-gno nella coscienza del pubblico,rapito da un personaggio straor-dinario per la semplicità, quasi

non sia lontano il giorno in cui inIran si instaurerà quella demo-crazia che è il suo sogno di sem-pre, convinta che questo sarà pos-sibile solo con l’aiuto di un Occi-dente preoccupato dei dirittiumani e delle libertà democrati-che, non solo a parole ma anchenei fatti.«Preferisco scrivere di cose chepotenzialmente potrebbero rovi-narmi, voglio che i miei libri misorprendano e mi facciano sco-prire nuove cose», ha detto DavidGrossman, uno degli scrittoriisraeliani più conosciuti e amatial mondo che a distanza di tre an-ni è tornato a Mantova per parla-re di amore e gelosia, due paroledense di significati a cui Gros-sman ha dedicato undici anni di

David Grossman:«Preferisco scrivere di

cose che potrebberorovinarmi; voglio che i

miei libri misorprendano e mifacciano scoprire

nuove cose. L’amore?Incontrare qualcunodisposto ad ascoltare

le nostre storie e araccontarci le sue»

Fest

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Giovani volontari a Festivaletteratura

Enzo Bianchi (Foto Campanini-Baracchi)

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naif, che è riuscito a ricreare e tra-smettere la memoria di una dellepagine più orrende della storiadell’uomo.Hebe de Bonafini, argentina, è sta-ta tra le fondatrici ed è la presiden-tessa dell’Associazione delle Ma-dres de Plaza de Mayo, l’organiz-zazione che riunisce le madri ar-gentine che da 25 anni scendonotutti i giovedì in piazza per denun-ciare i casi dei figli desaparecidosdurante la dittatura militare. HebeDe Bonafini, premio Unesco 1999per l’Educazione alla pace, ha fattoconoscere come queste donne ri-voluzionarie oggi utilizzino tutti iloro mezzi per esprimere non solodolore ma anche la volontà di lot-tare per la giustizia.Pedro Juan Gutiérrez è nato aMatanzas, una piccola città anord dell’Avana. Ha alternato ilmestiere di strillone a quello digelataio, poi è stato soldato zap-patore, istruttore di nuoto e di ka-jak, ma anche raccoglitore di can-na da zucchero e bracciante. Si èlaureato in giornalismo e oggi èprofessore universitario all’Avana,molto noto come scultore e poetavisual-sperimentale. Gutiérrez èautore di romanzi in cui descrivepersonaggi estremamente vitali,ma incapaci di un qualsiasi pro-getto di vita che vada al di là delquotidiano arrabattarsi per la so-pravvivenza e del perdersi nellostordimento del piacere sessuale.Per Gutiérrez la letteratura è con-flitto e sono le situazioni difficiliche creano personaggi vivi e vi-cende drammatiche. Nemmeno sichiede perché i suoi personaggiagiscano come agiscono. Sempli-cemente si immedesima in loro,

partecipa del loro sforzo di procu-rarsi qualche “folata di felicità”.Francesco Permunian, nato a Ca-varzese in provincia di Venezia eresidente a Desenzano del Garda,e Juan Octavio Prenz, nato in Ar-gentina e residente a Trieste han-no raccontato l’esilio dalla pro-pria terra. Prenz si è mostrato inrotta di collisione con l’ideologiadelle origini e delle radici a tutti icosti. Secondo il poeta, il destinoche tocca all’esiliato è quello dicondividere la sorte del paese chelo accoglie assumendone la re-sponsabilità come essere umano.Permunian ha invece testimonia-to il dolore dello strappo, che simischia al rimpianto delle occa-sioni perdute e all’amarezza dellaperdita della propria identità. Co-sì la letteratura per lo scrittore ve-neto diventa «parola ritrovata perstare in piedi», una sorta di curaper le ferite del distacco.Il tema dell’emigrazione è ritor-nato più volte in questa edizionedi Festivaletteratura. Il premioStrega Melania Mazzucco lo ha af-frontato parlando del suo ultimoromanzo Vita, dove narra delnonno Diamante, partito anchelui come tanti altri italiani all’ini-zio del Novecento verso il “sognoamericano”. L’autrice ha racconta-to com’era vivere in Italia un seco-lo fa sfatando l’immagine di unPaese bucolico e tranquillo attra-verso le testimonianze di un mon-do contadino ridotto in miseria. Ildibattito si è quindi concentratosull’attualità, fatta anch’essa dipersone costrette a lasciare i pro-pri paesi per cercare qualcosa chetroveranno, forse, a caro prezzo inun paese straniero (g.m.).

Cultura

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convivialità, la pace e la giustizia.Potremmo ancora aggiungere leimmagini della vita piena e dellaluce, dell’abbondanza e della fer-tilità, ma soprattutto sono signi-ficativi gli aspetti dell’eliminazio-ne della morte e della scomparsadelle malattie e delle sofferenze,di tutte quelle realtà che gettanoun’ombra di non pienezza, anzidi drammaticità, su ogni festastorica, su ogni festa che celebria-mo nei nostri giorni. Aspetti evi-dentemente universali, che ri-guardano ogni uomo, ogni crea-tura: non si tratta di immaginiparticolarmente “spirituali”, maumanissime, concrete, vitali. Ciòinfatti che queste immagini vo-gliono esprimere è che la festache esse intravedono deve essereuniversale: perché la pasqua, la li-berazione attesa, la salvezza invo-cata è tale solo se è per sempre eper tutti».

BRUNO FORTE

“Vita eterna, vita mortale”«Alla base del credere c’è il met-tere al centro non l’Io, ma l’altro,accettandolo anche in quegliaspetti per noi non chiari. La no-stra società non accetta la morte,la rifiuta perché essa ci fa orrore,è la negazione di tutte le nostreaspettative. Invece la morte è untema su cui occorre interrogarsi.Interpretare la morte significa in-terpretare la vita. E qui ritornanola proiezione e l’amore verso l’al-tro perché amare significa cercaredi strappare l’altro alla morte.Cristo ha dimostrato che la mor-te non è un confine ma una so-glia, è un qualcuno che ci chia-ma, è l’amore che vince, è l’affi-darsi all’altro, a Dio».

JÜRGEN MOLTMANN

“L’amore per la vita: un contri-buto teologico”.«Guardare l’altro negli occhi esforzarsi di comprendere le sueragioni, usare la testa, dove equando è possibile. Tutto que-sto richiede una conversionedel cuore che dà il frutto piùgrande: gustare la vita fino infondo, perché è in una vita vis-suta pienamente che facciamol’esperienza di Dio. Un Dio checi è vicino anche nelle tenebre:in esse aumenta la nostra fidu-cia in noi stessi. La tentazionedi cedere alla disperazione èuno dei mali maggiori all’inter-no della cristianità. Rinunciareall’idea del domani, dimenti-candosi anche del presente perritirarsi in una dimensione pri-vatistica dell’esistenza. Deman-dare tutto, come se non ci fossepiù niente da fare su questa Ter-ra, come se dovessimo cedere aldolore. Là dove si rinuncia allasperanza, si insinua e cresce labrutalità. Il ritorno all’esistenzapiena avviene attraverso la gioiadella resurrezione».

Festivalfilosofia

Molte le iniziative di Festivaletteratura rivolte ai giovani

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Spettacoli

Gennaio 2004

di Enrico Linaria

Nel variegato cartellone del Grande Teatro2003-4 che spazia dal vaudeville strappari-sate di Feydeau a un quasi metafisico vonKleist, dalla “cinematografica” Wertmülleral classicissimo Goldoni, spicca quest’anno,tra le opere delle seconda parte (andrà inscena a febbraio) Konarmija-L’armata a ca-vallo che Moni Ovadia ha liberamente trat-to dall’Armata a cavallo di Isaac Babel’.Il libro di Babel’, scrittore di origine ebreanato a Odessa nel 1894 e fucilato in un la-ger sovietico nel 1941 dopo essere stato ar-restato con l’accusa di trotzkismo, e lo spet-tacolo di Ovadia suggeriscono una miriadedi considerazioni. Andiamo con ordine: illibro esce nel 1926, viene riedito nel 1927(la versione più celebre) e nell’arco di setteanni ha altre sei edizioni tutte con modifi-che varie e tagli. Ma cosa mai aveva questolibro di così intrigante da irritare i verticibolscevichi? Soprattutto due motivi: uno èche i leggendari cosacchi dell’Armata a ca-vallo comandata dal generale Budënnyierano degli intoccabili come da noi gli alpi-ni, la nazionale di calcio o la mamma. E Ba-bel’, per via di demistificare, non scherzava.L’altro è che Babel’, sempre alla ricerca divalori umani, con quel suo dipingere uomi-ni veri (pensiamo al candido soldato Ljo-tov, che poi è Babel’ stesso, amareggiato perla moria di api causata dalla guerra), davafastidio a chi invece voleva uomini-macchi-ne da comandare a bacchetta. Del resto gliautoritarismi, neri, rossi od orwelliana-mente tecnocratici che siano, mirano aquesto. Lo attestano, per fare un esempio, leumoristiche uscite di Peppone che, stuzzi-cato da Don Camillo, prende in giro i “sen-

timentalismi” in nome della rivoluzio-ne. Ma tono di voce e quell’autoironico

risolino che gli scappa la dicono lun-ga. Babel’, per questa sua ricerca

dell’“umano”,ci lasciò lo zampi-no.Fortunatamente nel 1954fu riabilitato.La rivisitazionedel testo di Babel’da parte diMoni Ovadia (dal 3 all’8febbraio al Teatro

Nuovo) è particolarmente interessante. Dauna parte, in un gioco di rimandi, c’è il fat-to che sia proprio un pacifista e un “canto-re” della cultura e della tradizione yiddished ebraica quale Ovadia ad affrontare, colsuo teatro-musica, il testo di Babel’. Dall’al-tra (in questo mondo pericolosamente at-tratto dalla guerra più che dalla risoluzio-ne, a monte, dei problemi che la causano)c’è il tirare in ballo la letteratura di guerraforse più pregnante e profonda degli ultimicento anni: quella di autori dell’ex UnioneSovietica che sulla guerra civile iniziata nel1918 hanno prodotto autentici capolavori.Da Capaev (1923) e dalla Rivolta (1925) diDmitrij Furmanov ai Tassi (1925) di Leo-nid Leonov, dai romanzi di Sergej Sergeev-Censkij a Nel vicolo cieco (1924) e a Sorelle(1933) di Vikentij Veresaev. Come si vede,non c’è solo Babel’. E le date di pubblicazio-ne attestano come il decennio dal ’23 al ’33sia stato particolarmente prolifico. Tanto“ben di Dio”, anziché dimenticarlo, andreb-be letto nei parlamenti di tutto il mondo,per non ripetere gli stessi errori-orrori.Moni Ovaia, della possibilità che questospettacolo che lo vede in scena con diversiattori e strumentisti sia un contributo allacultura della “nonguerra”, ne è convinto:«Perché – si chiede – fare uno spettacolocosì demodé con stelle e bandiere rosse, per-ché ascoltare la voce dei Ghedali, eroi delladiaspora che sono passati per i camini tra-sformati in cenere da un mondo brutale enon più umano? Ne vale la pena: per gli uo-mini di buona volontà che non credono al-la fine della Storia, che non vogliono esseredefinitivamente consegnati al dominio diMamona, l’idolo dell’oro nel suo ultimo esubdolo travestimento del cosiddetto liberomercato che vuole il sacrificio dei nostri fi-gli, e da ultimo per gli uomini che ancoracredono alla possibilità di conquistare suquesta terra libertà, giustizia, uguaglianza ebontà».

Giovedì 5 febbraio alle ore 17 Moni Ovadiaincontrerà il pubblico nel foyer del TeatroNuovo.

TEATRO NUOVO

«Per chi non credealla fine della Storia»

Dal 3 all’8 febbraio“Konamija-L’armata a

cavallo” di Moni Ovadia,liberamente tratto dal libro di

Isaac Babel’, scrittore diorigine ebrea nato a Odessa

nel 1894 e fucilato in un lagersovietico nel 1941 dopo essere

stato arrestato con l’accusa di trotzkismo

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Dal 22 gennaio al 2 febbraio 2004

«I latini tutti fian mietuti a centoa cento e fian distrutti». Le parolele pronuncia Norma, la protago-nista della tragedia lirica in dueatti di Vincenzo Bellini (Catania1801- Puteaux, Parigi 1835) chedal 22 gennaio al 2 febbraio 2004sarà in scena al Teatro Filarmoni-co, per la regia di Hugo de Ana,con la direzione di PiergiorgioMorandi.Il libretto di Felice Romani, trattoda Norma ou L’infanticide, di Ale-xandre Soumet, ci presenta unpersonaggio che, a dispetto delnome, si costruisce sugli eccessi –presenti anche nella musica conimpennate acute e tante fioriture– fino a diventare una delle figureoperistiche più grandiose del-l’Ottocento. Forse proprio perl’impeto che la caratterizza, laprima rappresentazione dell’o-pera al Teatro alla Scala di Mila-no, il 26 dicembre 1831, fu accol-ta con perplessità, ma al terminedella seconda recita la travolgen-te forza espressiva del drammabelliniano suscitò grande entu-siasmo. A queste prime rappre-sentazioni assistette anche Doni-zetti, che così annotò: «Da quat-tro sere vado a teatro per risenti-re l’opera di Bellini fino all’ulti-ma scena. Originalissima è lachiusura di questo pezzo, comepure di squisita fattura è l’intro-duzione che termina con un coromarziale, forte e vigoroso; ed è

un pezzo nuovissimo per la for-ma e lo svolgimento».Lo stesso Wagner scelse le musichedell’opera belliniana: «Il sotto-scritto – scrisse sul manifesto cheannunciava un concerto a Riga,l’11 dicembre 1837 – crede di nonpoter meglio provare la sua stimaper il pubblico di questa città chescegliendo la Norma. Quest’opera,tra tutte le creazioni di Bellini, èquella che alla più ricca vena me-lodica unisce con la più profondarealtà la passione più intima».Nel 1931, ricorrendo il centenariodella prima rappresentazione,Mascagni pubblicò ne “La Lettu-ra” un appassionatoarticolo, nel quale,con riferimento aNorma, tra l’altrosi legge: «Capola-voro dell’umanità,essa è uno di quei mira-coli che non si analizzano enon si discutono più, come nonsi discute più l’architettura delPartenone».L’opera in scena al Teatro Filar-monico vedrà il debutto naziona-le nella parte di Norma del sopra-no Dimitra Theodossiou, di cui iveronesi ricordano la splendidainterpretazione di Leonora, nelTrovatore, esordio assoluto del-l’artista greca in Arena nella sta-gione lirica 2002, anno in cui le fuassegnato il “Verdi d’oro” comemiglior soprano in occasione del

centenario verdiano. La Theodos-siou, che tornerà con Trovatore inArena nell’estate 2004, si è postaall’attenzione internazionale qua-le Odabella nella produzione1999 di Attila del Teatro Comu-nale di Bologna e del Teatro Regiodi Parma, ruolo che l’ha consa-crata come una delle voci più im-portanti del repertorio verdiano ebelcantistico. L’artista sarà a Vero-na proveniente da Baltimora eAtene, dove a novembre e dicem-

Spettacoli

inVERONA 9

TEATRO FILARMONICO

Norma di Bellinida Tokyo a VeronaDefinita da Mascagni «capolavoro dell’umanità» la tragedia

in due atti fu rappresentata nel 1831 al Teatro alla Scala.L’interprete sarà la soprano Dimitra Theodossiou

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bre ha interpretato Leonora. Nel2003 è stata inoltre impegnata nelruolo di Lucrezia nella nuovaproduzione de I due foscari, alTeatro alla Scala, diretta dal mae-stro Riccardo Muti; come Travia-ta a Seoul e come Norma a Tokyocon lo stesso allestimento curatoda Hugo de Ana, che ora debuttaa Verona in “prima” europea.Nelle vesti di Pollione sarà Krist-jan Johannsson. Il tenore, di ori-gine islandese e residente a De-senzano del Garda, di recente haavuto unanime consenso di pub-blico e critica con l’interpretazio-ne di Turiddu e Canio nella nuo-va produzione di Cavalleria Ru-sticana e Pagliacci messa in scenaal Teatro Verdi di Trieste; grandesuccesso ha riscosso anche l’inter-pretazione di Otello al New Na-tional Theater di Tokyo. Nel 2004tornerà a Trieste per debuttare neI Cavalieri di Ekebù di Zandonai.Johannsson ha esordito nel ruolodi Rodolfo nella Bohème al TeatroNazionale di Islanda attirandol’attenzione dei maggiori teatri

d’opera di Gran Bretagna e Italia.Il suo debutto al teatro dell’Operadi Chicago ebbe luogo nel 1989 inTosca ed è spesso tornato in que-sto teatro per cantare in Mefisto-fele, Turandot, Aida, Un ballo inmaschera e Andrea Chénier. Si èesibito a Vienna per la prima vol-ta nel 1991 in Tosca poi in ManonLescaut, Andrea Chénier, Aida eTrovatore. Il suo debutto al Me-tropolitan fu nel 1993 nel ruolodi Manrico nel Trovatore ed è tor-nato qui ad ogni stagione, primanel ruolo di Turiddu in CavalleriaRusticana e successivamente nel1994 e nel 1995 come Radames inAida. Il suo debutto alla RoyalOpera House - Covent Garden èavvenuto nel 1994 con Aida. Il2000 lo ha visto protagonista aBudapest del Trovatore, a Modenaper Otello, a Berlino per Giocon-da, a Vienna nuovamente perOtello.Noto al grande pubblico fin dalperiodo in cui è stato assistentedel maestro Riccardo Muti, Pier-giorgio Morandi ha diretto molti

concerti sinfonici con altre im-portanti orchestre di livello inter-nazionale, quali l’Orchestra diSanta Cecilia di Roma, BayerischeRundfunk Orchestra, Tokyo Phil-harmonic Orchestra, BudapestPhilharmonic Orchestra, London

Philharmonic e London Sym-phony Orchestra. Morandi ha in-oltre diretto produzioni operis-tiche nei più importanti teatri delmondo. Nel 2004, oltre a Normaal Teatro Filarmonico, dirigeràanche Trovatore in Arena.

Spettacoli

Gennaio 200410

Atto primo. La storia d’amoretra Norma, sacerdotessa e figliadi Oroveso, capo dei Druidi (sa-cerdoti celtici) e Pollione, pro-console romano, è ormai finita.Quest’ultimo, pur avendo avutodue figli da Norma, ama, ricam-biato, un’ancella del tempio diIrminsul, Adalgisa. I Galli atten-dono da Norma il segnale deldio che li inciti ad iniziare unaguerra contro gli oppressori ro-mani. Ma Norma tergiversa nel-la speranza che la pace possarinsaldare il suo vincolo d’amo-re con Pollione. Per uno stranoscherzo del destino la sacerdo-tessa viene a sapere proprio daAdalgisa il nome dell’uomo chel’ancella ama: Pollione. Normaesplode in un accesso d’ira e mi-naccia vendetta.

Atto secondo. Pollione, che èstato richiamato a Roma, vuolerapire Adalgisa e portarla consé, ma la giovane non lo vuole

più e tenta di convincerlo, senzasuccesso, a tornare con la madredei suoi figli. Norma chiama araccolta il popolo, spiega che lapace è finita: è ora di iniziare laguerra. Mentre i Galli intonanoil canto di battaglia, si annunciache un soldato romano è appe-na stato arrestato di fronte al-l’altare delle sacerdotesse. Nor-ma allontana il popolo dichia-rando che sarà lei a interrogareil romano: gli farà confessare ilnome della sacerdotessa che si èresa complice del sacrilegio.Trovandoselo davanti agli occhigli promette la vita, ma in cam-bio Pollione dovrà rinunciaread Adalgisa. Norma è sul puntodi denunciare Adalgisa, ma in-vece, nell’incredulità generale,accusa se stessa. Pollione capisceallora che il suo unico veroamore è lei, Norma. Ma è tardi.La sacerdotessa sale al rogo se-rena, stringendo per mano l’a-mato Pollione.

Il Teatro Filarmonico

DimitraTheodossiou,Norma

KristjanJohannsson,Pollione

RiccardoZanellato,Oroveso

Chiara Chialli,Adalgisa

L’argomento dell’operaPiergiorgioMorandi,direttore

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di Alessandra Motta

Approda al Piccolo Teatro di Mi-lano una delle ultime opere deldrammaturgo greco Euripide: LeBaccanti , per la regia di LucaRonconi, in scena da 2 al 28 feb-braio 2004.Il testo, tra i più complessi e affa-scinanti della letteratura occiden-tale, torna a proporci le domandedi sempre: esistono gli dei? Comeè possibile avere fede? Si può ce-dere al lato ferino che giace nasco-sto in ciascuno di noi? La tragediaoffre notevoli spunti su cui riflet-tere e che rimbalzano sul nostropresente: il dissolvimento dellestrutture sociali, il declino dell’an-tico modello di polis, il problemadella condizione femminile, laquestione dello straniero...Il viaggio di Ronconi nell’univer-so di relazioni fra umano e divinoci porta a Tebe, nel cuore di unastoria atroce di morte e follia, difede e laicismo.Dioniso (Massimo Popolizio) fi-glio di Zeus e di Semele e nipote

di Cadmo, dalla Lidia arriva a Te-be con una schiera di Menadi (leBaccanti). Vuole imporsi comedio nella città dove un fulmine haincenerito la madre. E cominciaforzando tutte le donne di Tebe atrasferirsi sul monte Citerone, do-ve si celebrano i suoi riti orgiasti-ci. Al nuovo culto si adeguano ilprofeta Tiresia e l’antico re Cad-mo; vi si oppone, invece, con fero-ce caparbietà, Penteo (GiovanniCrippa), il giovane sovrano, che faimprigionare Dioniso.Intanto un servo giunge dal Cite-rone e racconta a Penteo come leMenadi sentendosi braccate sisiano trasformate in furie, com-piendo strage di armenti, deva-stando villaggi. Penteo decide dimandare truppe contro le donneinvasate ma Dioniso lo distogliedal proposito e gli suggerisce diandare a spiare tra i boschi le Me-nadi travestito da donna: lo gui-derà lui stesso. Sul Citerone Pen-teo sarà fatto a pezzi dalla madreAgave, convinta di uccidere unafiera.

Nell’opera domina un forte inte-resse per i fenomeni mistici e irra-zionali, che si era andato diffon-dendo nell’Atene degli ultimi annidel sec. V a.C. D’altra parte Dioni-so non è solo il dio orgiastico edell’estasi, ma anche della tran-quillità edonistica consistente nelvivere serenamente giorno pergiorno, accettando i valori tradi-zionali senza valicare i limiti dellacondizione umana.Di fronte a questa saldatura framisticismo estatico ed etica tradi-zionale l’intransigenza di Penteo,rappresentante di una sottilequanto improduttiva “sapienza”,viene a porsi come hybris (super-bia) attirando la punizione deldio. La connotazione espressivache Ronconi suggerisce a Penteosi traduce in un atteggiamentod’ingenua caparbietà, in un’insa-na fiducia nel potere che il re haereditato per ragioni di discen-denza e in un limitato acume nel-l’interpretare i segni di un cultoche proviene dalle viscere dellaterra.

Spettacoli

inVERONA 11

Massimo Popolizio è Dioniso(Foto Marcello Norberth)

PICCOLO TEATRO DI MILANO

L’irrazionale e il potereQuale fede ci appartiene? In scena dal 2 al 28 febbraio 2004 Le Baccanti

di Euripide offrono spunti per riflessioni che rimbalzano sul nostro presente

Il dissolvimento dellestrutture sociali,

il declino dell’anticomodello di polis,il problema della

condizione femminile,la questione dello

straniero...

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Spettacoli

Gennaio 2004

CENTRO MAZZIANO

Le immagini della fedenella storia del cinemaA marzo 2004, nella sala di via Madonna del Terraglio, pellicole di Bresson,

Dreyer, Buñuel e Agostini. In aprile convegno sul tema “Comunicare l’invisibile”

proposti saranno: Il diario di uncurato di campagna (1950) di Ro-bert Bresson, Ordet - La parola(1955) di Carl Theodor Dreyer,Nazarin (1958) di Luis Buñuel e Idialoghi delle carmelitane (1960)di Philippe Agostini.Sabato 3 aprile si terrà il secondoappuntamento. Nella sala cine-matografica che ospita le proie-zioni dell’associazione, in via Ma-donna del Terraglio, il pomerig-gio sarà interamente dedicato aun convegno di studi dal titolo:Comunicare l’invisibile. Espressio-ni artistiche contemporanee dellaPresenza di Dio. In esso esperti e

di Martino Paradis

Da 30 anni il Centro Mazziano distudi e ricerche continua a pro-porre ai soci e alla città di Verona

rassegne cinematografiche,convegni di studio, corsi di

formazione, pubblicazioni.Fondato il 18 febbraio1974 da un prete dell’isti-tuto don Mazza, don Do-menico Romani, il Cen-tro, che ha sede in via SanCarlo, nel quartiere di San-

to Stefano, per il trentesimoanno di attività ha in calen-

dario varie iniziative, tra cui

una interessa la città e la Diocesi,che dal 2002 sta celebrando il Si-nodo della Chiesa veronese. Co-me contributo a questo appunta-mento il Centro Mazziano, in ac-cordo con la Segreteria del Sino-do, ha organizzato due appunta-menti per la prossima primavera.Il primo è cinematografico. Apartire da mercoledì 10 marzo sa-ranno infatti proposti, sotto il ti-tolo L’ombra e la grazia. Immaginidella fede nella storia del cinema,quattro capolavori che hanno in-terpretato, in luoghi e con stili di-versi, i dilemmi dell’essere umanodi fronte al trascendente. I titoli

Un’iniziativa che sicolloca nell’ambitodella celebrazione

del Sinodo diocesano.Il coordinatore del

Centro, Carlo Ridolfi:«Le pellicole aiuteranno

a “Comunicarel’invisibile” cercando diraggiungere i cuori e le

menti delle persone»

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Diario di un curato di Campagna (1951)

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Due film, uno turco e l’altro albanese,hanno vinto ex aequo il Premio Paolo Orsiche una giuria internazionale attribuiscenell’ambito della Rassegna Internazionaledel Cinema Archeologico di Rovereto,giunta ad ottobre alla XIV edizione. Sitratta della più importante manifestazioneeuropea del settore, che raccoglie le pro-duzioni documentaristiche sul tema dellaconservazione e della valorizzazione delpatrimonio culturale mondiale.I film vincitori sono La diga sull’Eufrate(Turchia 2001), per la regia di PaxtonWinters e Homo Balcanicus - Lago di Pre-spa (Albania 2002), per la regia di EsatMusliu. Il premio attribuito dal pubblico èandato invece al regista Marco Visalberghi,per il film Ercolano, gli scheletri del mistero.

• La diga sull’Eufrate. Nel giungo 2000 imedia dettero ampio rilievo all’inondazio-ne dell’antica città di Zeugma dovuta allaDiga di Birecik, nella Turchia sud-orienta-le. Il livello delle acque dell’Eufrate si alzòfino a sommergere l’importante città ro-mana che unisce l’Anatolia e la Mesopota-mia. Il documentario racconta la storia delsalvataggio di 700 m2 di mosaici avvenutoattraverso una paziente rimozione e l’eso-do forzato della popolazione minacciatadalle acque. Il film, sollevando dibattiti

sullo sviluppo programmato, si chiede co-me le storie che hanno perso il loro habitatpossano ricollocarsi in un contesto cultu-rale diverso, quali nuove storie siano natein seguito all’inondazione e quali misterisiano stati persi per sempre nelle acqua si-lenziose dell’Eufrate.

• Homo Balcanicus - Lago di Prespa. Nelcuore dei Balcani c’è uno specchio d’ac-qua, il lago di Prespa, diviso tra tre stati:Albania, Macedonia, Grecia. Da quelleparti la gente e i ritmi di vita sono rimastigli stessi dai tempi remoti: per l’Homo bal-canicus, le frontiere non sono nient’altroche delle linee d’acqua, segnate e sfumatedal movimento regolare delle onde. EsatMusliu è uno dei più importanti registi al-banesi, già attivi per la TV di stato e oraimpegnato nella valorizzazione del patri-monio del paese per una delle TV privatesorte in Albania negli ultimi anni.

• Ercolano, gli scheletri del mistero. Il filmtrae origine da uno straordinario progettodi ricerca che ha coinvolto archeologi, vul-canologi, antropologi e che recentementeha trovato pubblicazione sulla rivista “Na-ture”. Mira a gettare nuova luce sui misteriche ancora circondano la terribile eruzio-ne del Vesuvio avvenuta nel 79 a.C. In un

calibrato alternarsi di elaborazioni al com-puter, sequenze in docudrama ed esperi-menti di laboratorio, si visualizza una de-tective story scientifica che documenta l’ul-timo giorno di vita degli abitanti di Erco-lano (M.Z.).

Spettacoli

inVERONA 13

ROVERETO - CINEMA ARCHEOLOGICO

Il Premio della XIV Rassegna a Turchia e Albania

Il manifesto della XIV Rassegna internazionaledel Cinema archeologico di Rovereto

studiosi di cinema, musica, arte eletteratura si confronteranno perapprofondire come nel Novecen-to diverse forme espressive abbia-no affrontato l’ambito religioso ela sua crisi.Non è casuale, ovviamente, lascelta delle pellicole proposte.Bresson trae il suo film dall’omo-nimo capolavoro letterario diGeorges Bernanos. (Anzi: la sua èl’unica versione che convince al-l’epoca lo scrittore, che aveva giàrifiutato due sceneggiature diJean Aurenche e di padre Bruck-berger). Il giovane e dolentissimocurato di Ambricourt è, nel ro-manzo e forse ancor più del film,una figura “eroica”. Di un eroismoparticolare, umano, troppo uma-no. Basterebbe solo una sequenza

iniziale, per richiamarlo alla me-moria. Dopo una notte insonne,per i dolori dovuti al male che losta martirizzando e per i rumoridi una vicina balera, il protagoni-sta si lascia andare a una riflessio-ne interiore sul suo desiderio diavere vicino qualcuno. Desideriodi una normalità assoluta, manon per lui (e per Bernanos e perBresson). Tanto che alla voce fuo-ri campo che esprime queste pa-role segue immediatamente, nelsonoro, un triplice canto di gallo.Come se si trattasse di un tradi-mento.Penultimo film del sommo auto-re danese Carl Theodor Dreyer,Ordet racconta invece di un mira-colo. Ma non si tratta di una diquelle epifanie con effetti speciali

a cui tanto cattivo cinema, e tantapessima agiografia, ci hanno abi-tuato. La follia del giovane Johan-nes, che ripara una situazione fi-no a un attimo prima irreversibi-le, è il delirio di un mistico, lamessa in opera della scommessadel tutto illogica, e pure resa pos-sibile dalla forza di una fede, chemette in scacco la morte. Alcunicritici definiscono oggi il capola-voro di Dreyer come “lento”. Cer-to, l’uso della macchina da presa edel montaggio messi in atto dalmaestro danese non è quello for-sennato di mille film statunitensi,ma l’alternarsi di interni quasipittorici e di panoramiche di am-pio respiro all’esterno resta ancoroggi, e per sempre, una dimostra-zione di come il più alto contenu-

«Esiste una tensioneumana verso

l’invisibile che nellasua versione più

debole produceraffazzonati

sincretismi new-age.Nei casi migliori,

quelli che noncancellano le radici

ebraico-cristiane dellanostra cultura, dà

invece vita aproduzioni artistiche

che lasciano tracce benpiù durature»

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to etico possa essere espresso conla più magistrale tecnica cinema-tografica.«Grazie a Dio, sono ateo», dicevaBuñuel, con la provocazione tipi-ca di chi aveva frequentato da vi-cino il surrealismo. Eppure, que-sto non credente dichiarato, harealizzato alcune delle opere piùprofonde sul senso del sacro chela storia del cinema ricordi. Naza-rin è una di queste. Siamo in Mes-sico alla fine dell’Ottocento. L’a-bate Nazarin incontrerà una seriedi eventi e di persone che porte-ranno la sua fede a una escalationpratica sempre più inaspettata esempre più radicale. Ospita unaprostituta accusata di omicidio.Guarisce una bambina. Predica epratica il Vangelo e finisce in pri-gione. Premio speciale della giu-ria a Cannes il film, che esprimeuna magnifica riflessione sul rap-porto tra mezzi e fini, è tratto dalromanzo di Benito Pérez Galdos.Ancora a Bernanos si ispira I dia-loghi delle Carmelitane, di PhilippeAgostini. L’epoca è quella dellaRivoluzione francese. Nella vitadel carmelo, con tutte le sue con-traddizioni e i suoi aspetti comu-nitari, irrompe il Terrore. Tantoche le suore faranno voto di mar-tirio e saranno giustiziate sullaghigliottina. Non si può qui di-menticare il magnifico stuolo diattrici (Jeanne Moreau, Alida Val-li) e attori (Pierre Brasseur, Jean-

Spettacoli

Gennaio 200414

L’attività del MazzianoL’attuale gruppo dirigente del Centro Mazziano, diretto da CarloRidolfi, sta lavorando per strutturare le attività dell’associazionein tre direzioni.Il Comitato esecutivo coordina e controlla tutte le azioni culturalie organizzative del Centro, con particolare attenzione alla pro-grammazione cinematografica.La redazione di “Appuntamenti”, mensile di confronto e collega-mento con i Soci, che nel 2004 toccherà i ventisette atti di vita, nerealizza sia la tradizionale versione a stampa che, dal 2003, unaedizione on line, rintracciabile sul sito www.centromazziano.it. Inoccasione del trentennale, si provvederà alla pubblicazione del n°1 di un “Annuario di Appuntamenti”, che raccoglierà gli articolipiù significativi apparsi sul web nell’anno precedente.Il gruppo SI.SI.FO (Sistemi e Sentieri per la Formazione) di re-cente costituzione ma che riprende di fatto una tradizione di at-tività ben presente nella storia del Centro Mazziano, si occupa diprogettare e realizzare azioni formative nelle scuole di ogni ordi-ne e grado, nei centri culturali circoscrizionali, in comuni dellaprovincia e non solo. (Centro Mazziano, tel. 045.918485).

Louis Barrault) che prestano laloro sapienza interpretativa aipersonaggi della vicenda.Agostini, già direttore della foto-grafia di Bresson, senza raggiun-gerne i livelli, riesce tuttavia a li-cenziare un’opera severa nella resadrammatica e spettacolare.Non sono che quattro esempi del-l’ampia filmografia disponibile suquesto tema. Nel suo giornale online “Appuntamenti” il CentroMazziano ha infatti raccolto undossier sulle espressioni artistichedel sacro di quasi duecento titoli.«Si tratta comunque di quattrograndi film che possono ricon-durre lo spettatore ai temi delconvegno del 3 aprile – spiega ilresponsabile del Centro Mazzia-no, Carlo Ridolfi –. Le pellicoleaiuteranno a capire come e chi,nel Novecento, ha cercato diesprimere in forme diverse la ten-sione al trascendente, aiuterannoa “Comunicare l’invisibile” cer-cando di raggiungere i cuori e lementi delle persone. Esiste infattiuna tensione umana verso questoinvisibile che nella sua versionepiù debole produce raffazzonatisincretismi new-age. Nei casi mi-gliori, quelli che non cancellanole radici ebraico-cristiane dellanostra cultura, dà invece vita aproduzioni artistiche che lascianotracce ben più durature di tantifilm, dischi, quadri o libri cheammorbano i nostri sensi».

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diversificata e i palati si sono affi-nati. La visione di questi film nonè più rimasta allo stadio intellet-tual-emozionale ma è diventataanche una “necessità”. Dopo il1990 l’immigrazione ha comin-ciato ad essere per l’Italia unarealtà nuova: ingombrante, sti-molante, rigeneratrice, degradan-te a seconda dei punti di vista. Co-munque nuova, da osservare, dacapire. Gli strumenti dell’infor-mazione e della sociologia nonbastavano più. La cultura – si èpresto passati alla “intercultura” –rappresentava un passo in avanti.Il cinema offre, per questa opera-zione, innegabili vantaggi».Annamaria Gallone, una delle fi-gure più importanti per la diffu-sione del cinema africano in Italia,sostiene che «c’è stato un cambia-mento enorme negli ultimi 15 an-ni. Inizialmente il cinema africanoera oggetto di curiosità, principal-mente per africanisti, nel sensonon solo di studiosi ma anche diappassionati, mentre i critici toutcourt non erano interessati. Nellaprima metà degli anni Novanta èdiventato di moda, per poi rien-trare in una sorta di circuito na-scosto. Nel frattempo però i filmafricani sono usciti dal ghetto e so-no diventati film universali. Criticie addetti ai lavori lo consideranoormai sempre più “cinema” e sem-pre meno “cinema africano”. Moltidei film recenti sono meno legatiad aspetti folcloristici e tradizio-nali per aprirsi a temi universali,

con minor ambientazione rurale emaggior ambientazione urbana».Che cosa significa dunque oggiuna rassegna di cinema africanoper una città come Verona? (Larassegna è organizzata da Nigri-zia e da Centro missionario dioce-sano-Cmd, a cui si sono aggiuntirecentemente Movimento laiciAmerica latina-Mlal e Ammini-strazione comunale). Significasempre più attenzione al mondodella scuola e a quello dell’immi-grazione, o – in termini più bu-rocratici – “servizi al territorio”:corsi di formazione e aggiorna-mento per insegnanti, proiezioniguidate per le scuole, feste e mo-menti di confronto con associa-zioni di immigrati, presentazionidi libri, mostre… Spiega Stefano Gaiga, che lavoraper il Cmd e segue l’organizzazio-ne della Rassegna da oltre 15 anni:«Proiettare film di attori o registitunisini, marocchini o senega-lesi è anche un modo per ac-cogliere la presenza dei loroconnazionali in Italia e valo-rizzarne le culture di origineal di là delle strumentalizza-zioni politiche, delle polemi-che e degli atteggiamenti raz-zisti, che purtroppo qui in Ve-neto sono stati anche assai for-ti e talvolta sono ancora pre-senti. Il vaccino contro il raz-zismo deve essere iniettatoprima di tutto nelle scuole.Pensiamo alle esigenzedegli studenti, ormai

sempre più numerosi, figli di im-migrati africani. La scuola diventaun terreno privilegiato dove semi-nare e coltivare nuove sensibilitàper favorire quella cultura dellaconvivenza dove le diversità nondiventano occasioni di scontro,ma incontro di ricchezze. La spe-ranza più forte è che la Rassegnadiventi una struttura sempre piùstabile e indipendente e al tempostesso luogo simbolico e spazioculturale dove incontrarsi per for-mare insieme una “comunità civi-le” che non può prescindere dallecomunità di immigrati residenti aVerona».

Spettacoli

inVERONA

La scuola come luogoprivilegiato dove

coltivare una culturadella convivenza che

sappia vedere nelladiversità una

ricchezza

di Diego Marani

Si è conclusa lo scorso 5 dicembrela XXIII Rassegna del Cinema afri-cano. In quasi 25 anni di attività ècertamente cresciuta la qualitàdella proposta culturale e insiemeil livello di dialogo tra le cultureafricane, la città di Verona e l’Italia.Certamente è stata una manifesta-zione pioneristica: registi che nellacittà scaligera si sono fatti cono-scere, come Idrissa Ouédraogo(Burkina Faso), AbderrahmaneSissako (Mauritania) o YoussefChahine (Egitto) vengono ammi-rati e premiati da critica e festivaldi tutto il mondo.«Il pubblico vent’anni fa parevadisposto ad applaudire tutto –spiega Pier Maria Mazzola, già di-rettore di Nigrizia, il mensile deiComboniani – per fede nella cau-sa, per incoraggiamento, per“principio”. Poi la produzione si è

CINEMA AFRICANO

Queste pellicolecostruiscono la pace

Quasi 25 anni di Cinema africano hanno consentito ai veronesi di conoscere culture diverse dalla loro. Razzismo, odio e guerra si vincono anche così

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forma, recuperando così la tradi-zione. Questo aspetto unifica laricerca, pur così diversificata, de-gli artisti più giovani in mostra, elo si può riscontrare visitando leNuove acquisizioni e donazioni re-centi della Collezione Civica diPalazzo Forti, che verranno rial-lestite dopo la chiusura della mo-stra in corso.Solo tre sale prima della Manzellisi trova, infatti, un’opera di CindySherman del 1984 presente nellaCollezione Civica della Galleria.Nella sala che apre la sezione inti-tolata La rappresentazione impro-babile, ci si può fermare a riflette-re sull’opera di quest’artista ame-

Mostre

Gennaio 2004

PALAZZO FORTI

Picasso, Bacon...e alcuni giovani talentiLa mostra La creazione ansiosa non offre solo la visione di opere realizzate

da grandi e indiscussi maestri ma propone anche nuovi linguaggi espressivi

di Milena Cordioli

La mostra in corso a Palazzo For-ti, La creazione ansiosa da Picassoa Bacon, oltre ad offrire al pubbli-co la visione di grandi capolavoridell’arte moderna, proposti inuna chiave di lettura assoluta-mente nuova ed affascinante,permette di scoprire i linguaggiespressivi di alcuni giovani artisticomparsi sulla scena internazio-nale. La mostra indaga il temadell’angoscia come principiocreativo per l’uomo contempora-neo, dagli enigmi della forma fi-no all’ebbrezza della sua devasta-zione e viceversa, con un percor-so che si apre e si richiude su sestesso costantemente. Il dialogoserrato fra le opere cattura lette-ralmente lo spettatore.Così nelle sale alpiano terra si

rimane intrappolati in una rete disguardi, tra i ritratti di Schad(siamo con lui negli anni trentadel ’900) e lo sconcertante “auto-ritratto” della giovane artistaMargherita Manzelli, nata a Ra-venna nel 1968. Lei si presentaimprigionata nella morsa ango-sciante del tempo, fra l’invecchia-mento precoce del suo volto e l’e-silità del corpo adolescenziale,distesa su una coperta a scacchi,vero tripudio di luce e colore incontrasto con lo sfondo, domina-to da un’oscurità pregna di segre-ti inconfessabili. La Manzelli ri-prende il linguaggio classico dellapittura, segnando una nuova rot-ta nel cammino dell’arte contem-poranea, che esprime un nuovostato d’inquietudine interno alla

Tony Oursler. Hello? (1996)

Margherita Manzelli. S, (2000)

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nascimentale, oltre a Richard Bil-lingham, altro giovane artista cheutilizza la fotografia come mezzoespressivo, troviamo la grandestampa digitale di Olga Tobreluts,nata a Leningrado nel 1970.Nella sua opera il linguaggio del-l’arte si confronta con quello del-la pubblicità, per riflettere sul si-gnificato estetico della bellezzanel mondo contemporaneo, arri-vando a scoprire la sua regressio-ne nel linguaggio mediatico dicomunicazione di massa. Abban-donata definitivamente la sacrali-tà del mito antico, l’ideale preci-pita nell’effimero, nel continuomutamento della moda in corso:un dio greco oramai vesteLacoste.Il problema della bellezza e perfe-zione della forma divenuti valoriartificiali e corruttibili, ritornanella tela di Debora Hirsch, espo-sta nella sezione Il brivido dellavisione, dov’è suggerito un suopossibile dialogo a distanza con ladonna allo specchio di Cagnacciodi San Pietro, opera del 1927. Co-me quest’ultima cerca nello spec-chio una forma rassicurante matrova solo un’enigmatica figurarivolta altrove, così la donna delXXI secolo, riflessa nell’operadella Hirsch, scopre il dolore diuna bellezza artificiale illusoria elo spettro di un inevitabile dete-rioramento, proprio negli effime-ri modelli femminili che la socie-tà, come uno specchio distorto, leoffre. Del resto tutta la ricerca diDebora Hirsch si muove in que-sta direzione, passando dal me-dium tradizionale della pittura aquello moderno dell’espressionemultimediale; realizza dei videocon personaggi virtuali (ben tresono esposti in mostra) attraver-so i quali indaga i limiti della co-municazione artificiale e ilsuo processo d’alienazione.Un’altra installazione-vi-deo di forte impatto èquella dell’artista ame-ricano Tony Oursler,per la fittizia ma “in-gombrante” presenzadel fantoccio, su cui èproiettato il volto diun’attrice, impegnata adinterpretare uno statod’angosciosa allucina-zione quotidiana. Nato aNew York nel 1957, l’arti-

Mostre

inVERONA 17

sta ha raggiunto, con la violenzaespressiva e l’indagine socialedelle sue installazioni, grande ri-conoscimento negli ultimi anni;con occhio attento Palazzo Fortiha voluto omaggiarne l’impor-tante ricerca, con una mostrapersonale allestita nelle sale delpalazzo nel 1999.Con la Hirsch troviamo ancheVanessa Beecroft, ed entrambe leopere delle due artiste provengo-no dalla collezione di PalazzoForti. Nata a Genova nel 1968, lagiovane artista è famosa per lesue fotografie, che ritraggonomodelle silenziose e assorte, in unimpianto scenico raggelato, doves’arresta ogni respiro. La costru-zione classica della composizio-ne, popolata di presenze umaneridotte ad enigmatici manichiniin posa, riconduce l’opera a piùlontane ricerche metafisiche, do-ve la vita e la sue forme si pro-pongono come un mistero senzatempo: pochi metri più in là, nel-la stessa sala, ci si accorge che ilmanichino di De Chirico ha giàsegnato la via.Cindy Sherman, Olga Tobreluts,Debora Hirsch, Vanessa Beecroftsono giovani artiste (forse rap-presentano una virata al femmi-nile nelle nuove ricerche artisti-che?) presenti nella CollezioneCivica di Palazzo Forti. Le loroopere si potranno ritrovare, indialogo con altri artisti, nelle saledi Palazzo Forti, dopo questa mo-stra e con loro sarà possibile rin-contrare anche l’opera di SilvanoGirardello, Claudio Costa e lesculture di Antonio Violetta, at-tualmente esposti anche loro vi-cino ai maestri “storici” della mo-dernità.

La creazione ansiosa da Picasso a Bacon chiude l’11 gennaio 2004.Palazzo Forti, tel.045.8001903

ricana, che si è affermata nel cir-cuito internazionale dell’arte gra-zie alla sue immagini fotografichedi altissima qualità, drammatiz-zate dall’effetto luministico cheguarda alla pittura di Caravaggio.In mostra ce ne sono due, il sog-getto come sempre è l’artista stes-sa e il taglio compositivo dellascena, come la luce appunto, è le-gato al contenuto: la ricerca diun’identità in continua fuga e tra-sformazione. La Sherman ricorrepersino all’uso di protesi defor-manti, come nell’opera del 1984.Accanto alla Sherman, nella sug-gestiva disposizione “a quadreria”che richiama una pinacoteca ri-

Le Nuove acquisizionie donazioni recenti

della CollezioneCivica di Palazzo

Forti verrannoriallestite dopo la

chiusura della mostrain corso

Debora Hirsh.Sopra: Senza titolo, 2000A sinistra: Lud Evian Ah come Mad Ya,2003

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Il più celebre fotografodi guerra fu Robert

Capa che iniziò la suaattività nel 1936documentando il

conflitto in Spagna.Quelle immagini

rimangono un pilastronella storia della

fotografia

yer a mostrarci le immagini di unmondo che fatica a trovare una di-mensione pacifica del vivere.Il mestiere di fotoreporter legatoai conflitti nasce nel 1855, durantela guerra di Crimea, che vide In-ghilterra, Francia e Turchia com-battere contro la Russia.William Howard Russel è un bra-vo giornalista britannico che inviaalla redazione di “Times” le suecorrispondenze, dalle quali emer-ge che le truppe britanniche sonodecimate dai combattimenti e dal-le pessime condizioni igienichedelle trincee. Per calmare l'opinio-ne pubblica la casa reale pensa diinviare sul posto qualcuno che do-cumenti con le immagini l’esattocontrario di quanto Russel scrive.Viene scelto il migliore, RogerFenton, fotografo della famigliareale, che diventa così il primo

manipolatore della storia della fo-tografia. Quella del fotoreporter diguerra è quindi una professione acui manca un’origine nobile, mache comunque permise di trasfor-mare una guerra atroce in unapasseggiata, a testimonianza di co-me attraverso l’obbiettivo dellamacchina fotografica passa sem-pre e solo quello che il fotografovuole far vedere.Senza dubbio la guerra più segui-ta dai fotografi dell’Ottocento fuquella civile americana, soprat-tutto grazie a Matthew Brady e al-la sua squadra. Altri famosi foto-grafi del tempo furono AlexanderGardner e Timothy O’Sullivan.Gardner, nel 1865, pubblicò duealbum con un centinaio di imma-gini, la gran parte di O’Sullivan,in cui si trovano documentatieventi eccezionali, come il presi-

dente Lincoln in visita al quartiergenerale nordista.Con la prima guerra mondiale dauna parte torna l’uso strumentaledella fotografia per fini di propa-ganda, con tanto di retorica na-zionalista; dall’altra allo stuporesuscitato dalle prime immaginiraccapriccianti si sostituisce gra-dualmente una certa morbosità,ben descritta nelle considerazionidi Elias Canetti: «Il terrore susci-tato dal morto quando giace da-vanti a chi lo guarda è compensa-to dalla soddisfazione: chi guar-da, non è lui il morto». Le imma-gini della prima guerra mondialefanno il giro del mondo grazie al-le cartoline illustrate e a rivistecome “L’illustrazione italiana”,“L’illustration” francese e i sup-plementi di giornali come il “NewYork Times”.Il più celebre fotoreporter diguerra fu certamente AndréFriedman, che iniziò la sua attivi-tà nel 1936 documentando laguerra di Spagna. Allo scoppiodel conflitto si trovava in Franciae per passare la frontiera gli fu ne-cessario utilizzare un nome chenon tradisse la sua origine unghe-rese: fu così che nacque il mito diRobert Capa. Le immagini diquella guerra rimangono un pila-stro nella storia della fotografia,per come egli seppe rappresenta-re, più che gli orrori del conflitto,la dignità di un popolo sofferentema vivo. Capa morì in Indocinanel 1954 a causa di una mina.

Mostre

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FOTOGRAFIA

Fotoreporter di guerraagli Scavi scaligeri

A marzo la seconda parte della mostra dedicata al fotogiornalismo di guerra.Storia di una professione nata non per documentare ma per mistificare

Di Gianni Calafà

A marzo 2004 il Centro inter-nazionale di fotografia scaviscaligeri ospiterà la secondaparte della mostra dedicata alfotogiornalismo di guerra.Un’abbondante documenta-zione farà rivivere i principaliavvenimenti di una storia chenecessita di essere aggiornatain tempi tragicamente rapidi.La prima parte della mostraera stata allestita l’11 settem-bre 2002 e aveva come titoloDa New York a Kabul, 7 foto-grafi in un mondo in conflitto.Allora furono gli scatti di Ale-xandra Boulat, Ron Haviv,Gart Knight, Antonin Kra-tochvil, Christoper Morris, Ja-mes Nachtwey e John Stanme-

James Nachtwey. Le conseguenze dell’occupazione israeliana di Jenin (2002)

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Ferdinando ZampivaPrete da SpreaLa Grafica Editricepp. 140, euro 13,00

L’erboristeria innamorata, il ri-cettario della tenerezza, la scienzache diventa poesia. «Dal porta-mento mistico, simile a un anticocandelabro» è il verbasco, chepredilige i terreni sassosi e arsi; ilcamedrio, invece, ha «fiorellini dicolore rosso porporino, disposti aspiga»; è cosa indescrivibile «ilgiallo vivo intenso al margine deiboschi ancora brulli» della camo-milla. Sono alcune delle erbe chedon Luigi Zocca, el prete da Sprea,privilegiava utilizzare nelle sue ri-cette. La loro descrizione precisa,perfino commossa, è di FernandoZampiva, l’erborista di Arzigna-no scomparso pochi mesi fa,scrittore di libri fondamentali,non solo per la conoscenza del-l’erboristeria popolare, ma ancheper la storia, le fiabe e le tradizio-ni della Lessinia Orientale.Se c’è stato un allievo dello straor-dinario prete, che esercitò il suoministero come parroco di Spreadal 1918 al 1951, questi fu Fer-nando Zampiva. «Non lasciòniente di scritto» afferma Zampi-va nel suo libro Prete da Sprea, lacui prima edizione è uscita nelmarzo 2002 per i tipi de La Grafi-ca di Vago di Lavagno. In questaprecisazione è racchiuso il punti-glioso e paziente lavoro dell’auto-re che, decifrando le epistole, le

ricette scritte con il lapis su fo-glietti volanti e gli insegnamentiorali di don Zocca, ha dato, conla consueta semplicità letteraria ela raffinata impaginazione grafi-ca, la precisa descrizione di uncentinaio di prodigiose ricette,tante sono quelle che si sono po-tute ricostruire. «Attenzione, lericette del prete da Sprea non so-no acqua calda», si premurava disottolineare Zampiva quando,invitato a parlare di erbe e di ri-medi naturali, raccomandava diseguire scrupolosamente le dosi ela composizione di unguenti, in-fusi o decotti. «Molti degli ingre-dienti sono erbe dalle caratteri-stiche tossiche, o velenose, che,usate in quantità errate, potreb-bero provocare effetti indesidera-ti e pericolosi». Perché il prete, lecui vicende furono spesso am-mantate da un alone di magia edi leggenda, fu prima di tutto ungrande erborista, la cui capacitàscientifica si univa a quella delpastore di anime, pronto ad aiu-tare, ad ascoltare e a curare deltutto gratuitamente. Zampiva neha raccolto anche il pregio delladivulgazione scientifica con unaforma comprensibile a tutti. Co-me don Zocca, nel «giardino delbuon Dio», a Sprea, aveva riabili-tato e raffinato rimedi curativiantichissimi, così Zampiva hasalvato dall’oblio gli insegna-menti di una scienza che, primadi essere codificata, studiata ecomprovata, era stata applicata e

sperimentata, a livello popolare,per millenni.A leggere le pagine di Zampiva siimparerà a riconoscere la forma eil colore, a intuire il profumo e lafragranza delle erbe, si scopriràdove andarle a cercare, grazie alleannotazioni precise perfino suipendii, i boschi e i viottoli sassosiche, intorno a Sprea, sulla dorsaletra la veronese Valle di Illasi e lavicentina Valle del Chiampo, so-no l’habitat privilegiato di unafarmacia a cielo aperto. Ma que-sto libro dedicato al prete daSprea è più di un semplice ma-nuale, è un racconto devoto, ri-spettoso e discreto della vita diun uomo che seppe farsi volerbene anche dopo il suo trasferi-mento in città, nel 1951, che pre-cedette la sua morte improvvisa,avvenuta in seguito a una banalecaduta in chiesa nel 1954.Le leggende, quali quella dell’au-tomobile che si rifiutava di parti-re per impedire agli squadristi fa-scisti di prelevare il prete e por-tarlo a Verona, corsero quanto lasua fama di guaritore e tauma-turgo, offuscandone quasi il valo-re scientifico. Merito di FernandoZampiva se, di don Luigi Zocca,finalmente è stato restituito l’in-tero spessore di uomo e di stu-dioso. Ora il ricordo li unisce en-trambi, entrambi a raccogliere leerbe in cielo e a curare gli angelidel Paradiso.

Alessandro Anderloni

Libri

Gennaio 200420

“El prete da Sprea”pubblica le sue ricette

Don Luigi Zocca lasciò solo appunti su foglietti volanti. Ferdinando Zampiva,scomparso alcuni mesi fa, ha pazientemente raccolto e decifrato quelle note

Nel volume troviamola precisa descrizione

di un centinaio diprodigiose ricette,

tante sono quelle chesi sono potute

ricostruire

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Libri

inVERONA 21

Torna il baco da setaSensibilità, intelligenza, rigore scientifico. Un libro che merita per come l’autore

ha saputo raccontare “la storia vera” delle filande e della vita attorno ad esse

tradire il rigore scientifico. E infat-ti la piacevolezza del racconto noncontrasta l’esattezza dei terminitecnici, che sono numerosi, com-plessi e che ci aiutano a capire.La parte dialettale completa l’o-pera e contribuisce a renderla vi-va, quotidiana. In questo modol’autore ha evitato l’errore di sra-dicare il tema dal contesto storicolinguistico: «mi è sempre piaciutorisalire all’origine, all’autenticità,all’etimologia – spiega Pretto –,perché lì, secondo me, abita lastoria vera, magari minuscola maonesta. In questo caso il risalirealle fonti ha rappresentato l’a-spetto certamente più rigorosoma allo stesso tempo più gioiosodell’impresa».

Giorgio Montolli

Il libro racconta la trasformazio-ne che da un insieme di ovettiporta alla produzione della seta einsieme le vicende di uomini edonne che per buona parte del se-colo scorso hanno vissuto su que-sta metamorfosi. Gli autori,Glauco Pretto e Maria Girelli,narrano questa storia appassio-natamente perché hanno vissutosulla loro pelle le vicende delle fi-lande padane, dagli inizi a oltre lametà del ’900. Si tratta di una te-stimonianza assai nitida, ancheper l’età degli autori (Pretto è na-to nel 1928, Maria Girelli è ultra-novantenne) arricchita da fine-stre di approfondimento storico,culturale e scientifico, da prezioseimmagini d’epoca.La prima parte del libro fotografal’aspetto prevalentemente artigia-

Glauco Pretto contributi di Maria GirelliVita col baco da seta.Dal seme alla matassaCasa editrice Mazzianapp. 208, euro 25,00

La filanda in una foto degli anni ’30

nale e domestico dell’allevamen-to del baco. Si parte dal seme, dalcalore necessario per la schiusa, alnutrimento delle piccole larvecon foglie di gelso, le cui pianterimangono a distanza di decenninelle campagne come testimo-nianza ancora visibile di un mon-do scomparso. Quindi si passa al-le strutture, a partire dalle peagnè,baldacchini di legno a castello chefungevano da lettiera.Il ciclo del baco è descritto minu-ziosamente nei suoi tre mesi di vi-ta attraverso i periodi della furia,del bosco, della raccolta, della cerni-ta dell’ammasso, così come la vitadegli uomini e delle donne che daquel ciclo dipendevano nel bene,quando la seta prodotta era dibuona qualità, e nel male, quandoqualche malattia compromettevatante giornate di lavoro.Un capitolo è dedicato alla filan-da, definita dagli autori “tempiodella seta”. È proprio qui infattiche, con un lavoro di alta preci-sione, le filandine ricavavano ilprezioso filo d’oro, dipanandoloda quello straordinario gomitoloche era il bozzolo. L’organizzazio-ne del lavoro aveva portato a dellevere e proprie specializzazioni trale donne. Il libro ci spiega i ruolidella scopinatrice, della filatrice,dell’annodatrice, dell’assistente,le varie mansioni accessorie e incosa consisteva un mestiere esclu-

sivamente maschile come quellodel fochista.Le ultime pagine riguardano lacondizione della donna nella fi-landa; ad esempio si narra dei ca-stighi cui era sottoposta in seguitoall’accusa di avere sciupato la setao prodotto filo scadente. In ap-pendice è possibile leggere le poe-sie del mondo della seta, i docu-menti e i proverbi.Pretto, che nel mondo del baco daseta è nato e ha vissuto tutta la suagiovinezza, spiega come durante la

scrittura dellibro abbiavoluto mante-nersi fedele adue obiettivi:rendere scor-revole la nar-razione senza

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Libri

Giancarlo GrandisIl dramma dell’uomo - Eros, Aga-pe e Amore - Carità nel pensieroantropologico di Antonio Rosmi-ni Serbati 1797-1855Paolinepp. 422, euro 20,00

Pensatore per il Terzo Millennio:così lo additano i più grandi stu-diosi del Roveretano. Profeta nonpiù scomodo, famoso per il suosaggio/denuncia Delle cinque pia-ghe della Santa Chiesa, GiovanniPaolo II lo ha recuperato allaChiesa dopo più di un secolo dioblio e nella Fides et Ratio lo haannoverato tra i grandi pensatoricristiani dell’epoca moderna, chenell’ambito dell’Occidente han-no condotto una coraggiosa ri-cerca sul fecondo rapporto tra fi-losofia e parola di Dio. Nato nel

vicino Rovereto nel 1797 è mortoa Stresa nel 1855, dove si era riti-rato dopo la sfortunata missioneromana affidatagli dal governopiemontese nella quale si propo-neva a Pio IX un’Italia federale. Ilegami di Rosmini con Verona fu-rono molteplici. Essi passano at-traverso le eminenti figure diBertoni, Cesari, soprattutto dellaCanossa che ebbe ospite più voltenella sua casa a Rovereto. Neglianni ’50 del secolo scorso la figu-ra di Rosmini fu grandementestimata da Giovanni Calabria chegià allora auspicava la sua beatifi-cazione. In un appello al clero e aicattolici italiani in occasione del-l’Anno Santo così scriveva: «Èpresente in mezzo a noi (…) unodegli operai di Dio più insigni ebenedetti, dei quali noi sembria-mo ignorare la benefica presenza,

della cui opera non ci gioviamo, eal quale, invece, anche se defuntoquasi un secolo fa, il Signore, conle grazie elargite, come si crede,per intercessione di Lui, sembraci inviti a guardare affinché neabbiamo luce di esempi e normedi vita». E più avanti: «Cercare laverità su Rosmini, accoglierla,farla conoscere, e rendere omag-gio non tanto a lui, quanto allagiustizia, alla carità, alla Chiesastessa di Gesù Cristo; la quale, neabbiamo una grande speranza, inun giorno forse non lontano,esulterà per il trionfo e la esalta-zione di questo suo figlio insi-gne».In questi giorni è in libreria unsaggio del sacerdote veroneseGiancarlo Grandis che di Rosmi-ni delinea e approfondisce la vi-sione di uomo mostrando, attra-verso una lettura trasversale dellasua poderosa opera (ha scrittopiù di 60 volumi) e delle più ditredicimila lettere, come l’amore,nel suo significato di esperienzadi dono di sé costituisce, per que-sto grande pensatore, l’orizzonteadeguato per conoscere l’uomo eil suo dramma in rapporto allesue costitutive relazioni: col mon-do, con gli altri uomini, con Dio.Riportiamo qui il lusinghierogiudizio, contenuto in quarta dicopertina, che di questo saggioformula il prof. Giuseppe Loriziodella Università Lateranense inRoma, uno dei più noti studiosidella genesi del pensiero rosmi-

niano nel contesto della culturaeuropea dell’Ottocento attraver-sata da un grande travaglio siasul piano politico che intellettua-le e religioso: «Il grande pregio eanche il rischio (“ma dove au-menta il pericolo, aumenta ancheciò che salva” - F. Hölderlin) diquesto notevole saggio, sgorgatodalla penna di don GiancarloGrandis, sta nel proporre una let-tura complessiva e trasversale delpensiero antropologico del piùgrande filosofo e teologo dell’Ot-tocento italiano, assumendo co-me chiave di lettura il binomioeros/agape. Tale prospettiva gli èsuggerita dal carattere degli studidell’Istituto Giovanni Paolo II sumatrimonio e famiglia, dovel’autore si è formato accademica-mente. Senza mai tradire i testi e icontenuti delle opere e delle let-tere di Antonio Rosmini, il librodi Grandis, documentato e riccodi fascino, mentre raccoglie edaccoglie il meglio della letteratu-ra e delle interpretazioni rosmi-niane fin qui avanzate, siamo cer-ti che risulterà di sicura utile let-tura sia per gli addetti ai lavori(chiamati ad interloquire edeventualmente reagire con que-sta originale ermeneutica) sia percoloro che per la prima volta, osporadicamente, non senza ti-more e tremore, si accostano adun pensiero così fecondo e altempo stesso complesso, nel suocontinuo andirivieni fra fede eragione, teologia e filosofia».

Rosmini, la conoscenzafondata sull’amore

Il dono di sé diventa per il filosofo l’orizzonte per conoscere l’uomo e il suodramma, in rapporto alle sue relazioni con il mondo, gli altri uomini e Dio

I legami di Rosminicon Verona furono

molteplici. Negli anni’50 del secolo scorso lafigura del Roveretano

fu grandementestimata anche da

Giovanni Calabria

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Va ricordato ancora FrancescoMaria Alghisi cui si deve, nel secoloXVIII, la sistemazione e cataloga-zione dei libri di San Zeno arric-chita nel 1720 dal lascito del cardi-nale Alvise Priuli. Questo abatecommendatario donò agli Zenonila propria biblioteca e stabilì unarendita annua per il mantenimen-to di un bibliotecario.La biblioteca del Priuli fu fatta co-incidere con quella del monastero,come testimonia l’austriaco Adal-bert Blumenschein che, sicura-mente dopo il 1771, tentò inutil-mente di entrare in San Zeno di cuiscrive «la biblioteca, donata da uncardinale ai padri Benedettini cheuna volta risiedevano qui, deve es-sere molto bella e molto ricca». Ri-trovando il disperso inventario deibeni del Priuli l’autrice ha potutoridimensionare la consistenza dellascito, un terzo dell’intero posse-duto zenoniano, senza nulla toglie-re alla generosità del Priuli.Nella seconda parte del volume,una sorta di passeggiata tra gliscaffali, si sbirciano dorsi (ma an-che i tagli) dei libri disposti sui pal-chetti secondo le diverse materie

Libri

inVERONA 23

(dalle sacre scritture alla medicina)e si impara a conoscere le passioniintellettuali dei monaci di San Ze-no attraverso le loro letture.Bisogna infine sottolineare l’im-portanza dell’appendice docu-mentaria in cui sono riportati i do-cumenti fondanti la ricerca, oltrealla trascrizione dei due cataloghisettecenteschi della biblioteca chepermettono agli studiosi una co-noscenza diretta del patrimonio li-brario zenoniano.

Alessia ParolottoLa biblioteca del monastero di San Zeno in Verona (1318-1770)Della Scalapp. 300, euro 28

Strano destino quello della biblio-teca del monastero di San Zeno.Prima biblioteca pubblica di Vero-na, dal momento che nel 1770, allasoppressione del cenobio, la citta-dinanza ottenne dalla Serenissimadi conservare in Verona i libri degliZenoni. Una raccolta libraria chedal primo medioevo si era ingran-dita nei secoli a riflettere gusti epassioni dei monaci che avevanoabitato il monastero. Nonostantequesto la biblioteca di San Zeno èstata ignorata dagli studiosi, fattisalvi alcuni saggi di Mario Carrararisalenti agli anni Cinquanta delsecolo scorso. A colmare questa la-cuna è oggi il volume La bibliotecadel monastero di San Zeno (1318-1770) di Alessia Parolotto.Nella parte storica, ove le vicendedei libri si intrecciano a quelle deimonaci in una narrazione puntua-le, ma godibile al vasto pubblico,molte sono le figure che si staglia-no; tra gli altri, il monaco Jacopo diUtrecht che, morto nel 1620, lasciòai confratelli il proprio thesauruslibrorum principium bibliothecaenostrae, ed ancora don MauroHaymb, strenuo difensore dellapermanenza dei confratelli tede-schi entrati in San Zeno nel 1427 edefinitivamente allontanati nel1637 con l’uccisione a pugnalatedell’Haymb stesso. Un fatto di san-gue non isolato nella storia delmonastero dal momento che giànel 1223 il chierico Avanzo in SanZeno uccise l’abate Riprando, suofratello.

Una raccolta libraria,quella zenoniana, chedal primo medioevo si

era ingrandita neisecoli a riflettere gustie passioni dei monaci

che avevano abitato il monastero

San Zeno, la biblioteca del monastero

Nel volume le vicende dei libri si intrecciano a quelle dei monaci. Molte lefigure che si stagliano, come quella di don Haymb, morto assassinato nel 1637

Ritratto di benedettino di San Zeno

Riproduzione ottocentesca dellaBasilica di San Zeno

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Gian Maria Varanini, Ugo Sau-ro, Carlo Simoni, Eugenio TurriIl lago di GardaCierre edizionipp 450, euro 49,50

Libri

Gennaio 200424

Berto BarbaraniLe invenzioni del Cerusico ColtelliDella Scalapp. 96, euro 7,00

Il testo proposto in questo libroformato tascabile è l’unico ten-tativo che si conosca di Barbara-ni di creare un racconto surrea-lista, che prende spunto dal te-ma della metamorfosi. Il Cerusi-co Coltelli è infatti l’inventore diprocedimenti kafkiani per sosti-tuire e modificare nasi e orecchi.«Se Barbarani voleva creare unpersonaggio eterno ed universa-le – scrive nella presentazioneGiorgio Maria Cambié – lo hafatto nella deliziosa descrizionedell’“uomo colla”. È il fedele ri-tratto dell’adulatore parassitache si attacca alla sua vittima si-no a succhiarne il sangue. Perso-naggio eterno, presente in tuttele società del modo da sempre eper sempre».

Antiche ricette di una drogheriaFerrario 1883-2002Cierre edizionipp.129, euro 11,00

Fare il sapone, dorare le cornici,miscelare il caffè, sverniciare illegno... Il libro contiene “la sa-pienza” della drogheria Ferrario.Una delle botteghe storiche diVerona, che ha chiuso definitiva-

Il lago di Garda si è affermato,nel corso del Novecento, comeuna delle maggiori regioni turi-stiche europee. Una caratteriz-zazione che, si direbbe inevita-bilmente, rischia di diffonderedi questo territorio un’immagi-ne stereotipata, modellata in-nanzitutto sulle esigenzedell’“industria del forestiero”.Cierre edizioni, nella collana“Bacini idrografici”, ha pubbli-cato nel 2001 il volume Il lagodi Garda. Obiettivi di fondo diquesta nuova lettura del terri-torio gardesano sono una defi-nizione aggiornata dei suoi ca-ratteri ambientali, l’evocazionedello spazio vissuto del lago,una ricostruzione del passatolocale capace di cogliere, nell’i-dentità attuale, l’incrocio di di-stinte identità culturali, ereditàstoriche, fisionomie economi-che e realtà amministrative,mettendo in luce le disconti-nuità tipiche di una regione diconfine com’è quella gardesa-na, la cui storia meno di altre sipresta a interpretazioni linearie a periodizzazioni codificate.Oltre ai confini di volta in voltatracciati dal potere politico emilitare, altre linee di distinzio-ne connotano la realtà gardesa-na, linee che affondano le loroorigini nella storia della terra enell’evoluzione dell’ambiente.Questa suggestione paesisticarappresenta non solo una cifrainconfondibile dell’immaginegardesana, ma anche la visua-lizzazione del contrasto di vi-cende, di economie, di culturefra la costa, investita dalla finedell’Ottocento dalla grande

trasformazione indotta dallafrequentazione turistica, e unentroterra montano a lungoignorato dai flussi del cambia-mento. Un cambiamento cosìprofondo da ridefinire non solol’aspetto dei luoghi, ma anchevocazioni produttive e mentali-tà, ritmi del tempo collettivo ecultura diffusa.Questo lavoro muove tuttaviada un atteggiamento che nonvuole risolversi in una denun-cia, piuttosto in uno sguardocapace di riconoscere, obietti-vamente, i valori e le suggestio-ni di cui il paesaggio benacenseè tuttora depositario. La storiapassata, da cui vengono testi-monianze dell’arte, della cultu-ra materiale e saperi tradizio-nali che riflettono vocazioni so-lo appannate dalla monocoltu-ra turistica; la storia recente,fonte di problemi nuovi e inmolti casi insoluti; la storia cheviviamo, alla quale spettano lescelte che tracceranno il voltofuturo del più mediterraneo deilaghi prealpini.Bell’Italia. Quasi cinquecentopagine per raccontare il lago diGarda “meraviglia della natu-ra”… specchio blu incastonatotra le Alpi e la pianura… L’ico-nografia, con le foto di ieri e dioggi, i manifesti e i disegni d’e-poca, è un gran bel vedere.L’Arena. Un volume che costi-tuisce un salto di qualità rispet-to alle pubblicazioni sul nostrolago… Riesce a coniugarestraordinarie fotografie conventi saggi rigorosi ed esaustivi,che rispondono a chi prova ilpiacere di porsi domande.

“Il lago di Garda”Uno sguardo capace di riconoscere obiettivamente i valorie le suggestioni di cui il paesaggio benacense è depositario

Obiettivi di questanuova lettura del

territorio gardesanosono una definizione

aggiornata dei suoicaratteri ambientali,una ricostruzione delpassato locale capace

di cogliere l’incrocio didistinte identità

culturali, ereditàstoriche, fisionomieeconomiche e realtà

amministrative

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lesine durante il secondo do-poguerra. Protagonista è Al-do, la cui storia tragica si con-fronta con quella della pro-pria comunità che lo rifiutabandendolo dalla storia co-mune. Il seme di Caino si è in-nestato nella vita di questegenti – ma quanto è presenteanche nella società attuale? –e il sacrificio aprirà alla spe-ranza. Un libro-parabola cheinduce alla riflessione pro-fonda sui temi della violenzae della fede cristiana.

Gaetano BellorioAllearsi col ventoPaolinepp. 300, euro 16,53

È stato chiesto all’autore diriassumere in trenta secondiil contenuto del romanzo.Dopo un primo tentenna-mento di fronte a un’impresache pareva impossibile, Bello-rio ha risposto: Allearsi colvento è il romanzo dell’incon-tro e degli incontri. Ebbene,nella sua stretta sinteticità larisposta esprime perfetta-mente il nucleo della narra-zione, la quale, anche se siespande in sette diverse storieche si riunificano alla fine inuna sola, i l romanzo è uncontinuo incontrarsi di per-sone e, attraverso esse, di cul-ture diverse che oggi moltipossono considerare diver-genti. La sua attualità sta qui.L’autore, attraverso chiavinon facilmente immaginabili,ha riunito mondi (ebraico,musulmano, cristiano) oggiin conflitto aspro e lo ha fattoattraverso una panoramica“mediterranea” della quale hamantenuto anche la bellezzaestetica.

Claudio ImprudenteIl Principe del LagoEricksonpp. 144, euro 12,91

Una favola sulla paura del diversoe sul coraggio della solidarietà.Giangi, l’ultimo personaggiouscito dalla fantasia di ClaudioImprudente e protagonista diquesta favola è un bambino cheun giorno, per caso, cade dentroun libro. Ha inizio una movimen-tata vicenda che lo porterà alla ri-cerca del Principe del lago (scom-parso misteriosamente dal suo re-gno di Pititì Pitità), a conoscereindividui singolarissimi, a visitareluoghi incantati, ad affrontareprove di abilità e coraggio, a dubi-tare di sé, delle sue convinzioni ealla fine, attraverso l’incontro conla diversità, a trovare — come intutte le fiabe — il vero tesoro. Fre-sca, avvincente e con la rara qua-lità di saper stupire e far riflettere,questa favola è pensata per rac-contare, in modo semplice e pia-cevole, le difficoltà e i timori chesuscita il contatto con la diversitàe per aiutare a superarli. Arricchi-to di deliziose illustrazioni a colo-ri, il volume è rivolto a bambini eragazzi della scuola elementare emedia, ai loro insegnanti e ai lorogenitori, come spunto e strumen-to di lavoro nell’educazione sulladiversità e alla solidarietà.Claudio Imprudente è uno deifondatori di Maranà-tha, una co-munità di famiglie per l’acco-glienza, ed è presidente del Cen-tro Documentazione Handicapdi Bologna. Ha ideato il “ProgettoCalamaio”, che propone percorsiformativi sulla diversità e sullanuova cultura dell’handicap almondo della scuola e del lavoro.Attraverso di esso ha realizzato, indieci anni di attività, più di tremi-la incontri con i ragazzi delle

scuole italiane. È inoltre scrittore,giornalista e direttore della rivista“Hp-Accaparlante” e al vertice diun'équipe di formatori sul temadella diversità. Ama definirsi non“disabile” ma “diversabile” e lo sipuò contattare all’indirizzo di e-mail [email protected].

Claudio ImprudenteUna vita imprudenteEricksonpp. 272, euro 15,90

Un’autobiografia che a volte fa sor-ridere, a volte fa piangere ma chespinge ad affrontare il problemadella diversità. Questo libro, scrittocon grande autoironia, raccoglie lasfida della “diversabilità” e rappre-senta una provocazione per i “nor-modotati gravi”, che non sannoandare oltre la loro ristretta visua-le. Il volume è anche dedicato ai di-versabili che non trovano il corag-gio di rendersi più visibili. È un li-bro fatto di risposte concrete e cheallo stesso tempo pone nuove do-mande ammettendo di non averein tasca facili soluzioni.Claudio Imprudente è un anima-tore diversabile attivo nei vari cam-pi della cultura (è presidente delCentro documentazione handicapdi Bologna); incontra i bambininelle scuole dell’infanzia, proponele sue fiabe a quelli delle elementa-ri, gioca con i ragazzi delle superio-ri, parla ai genitori, dialoga nei cor-si di formazione con gli insegnanti,è ospitato in convegni e trasmissio-ni televisive. L’imprudenza dell’au-tore sta proprio nella frenetica pro-mozione di una cultura che mettain primo piano la persona nel ri-spetto e nella valorizzazione dellasua diversità, nella consapevolezzache in questo modo si crea unmondo più abitabile.(Il volume è richiedibile al numeroverde della Erickson: 800 844052).

Libri

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mente i battenti aperti cento-vent’anni fa, rivive in queste pa-gine, facendo r iaffiorare unmondo sempre più lontano.

Mario BerteraTorna marzo su questa terra.Amore e guerra tra il Garda e ilBaldo, dall’autunno 1943 allaprimavera 1945 Il Segno dei Gabrielli editoripp. 352, euro 19,00

Dalle sponde veronesi del Lagodi Garda, e precisamente da Tor-ri del Benaco, si dipana la narra-zione di storie di donne e di uo-mini che, per effetti diversi deldestino, si ritrovarono insiemeper contribuire alla Resistenzapartigiana, trovando nell’am-biente del Monte Baldo lo sfon-do di numerose vicissitudini.Questa lunga storia, costruitagrazie a uno scrupoloso lavoropreliminare di indagine storica esociale unito ad un attento recu-pero delle tradizioni locali, ac-compagna il lettore tra azioni diguerra e intense storie d’amore.

Mario Motton Il seme di CainoIl Segno dei Gabrielli editoripp. 150, euro 10,00

Da un autore veronese un ro-manzo avvincente ed emozio-nante ambientato nel basso Po-

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Gennaio 200426

I muri e i monumentidi Verona rivelanochiaramente che i

monti che circondanola città sono in

massima parte diorigina marina.

La nostra è una cittàrossa di marmo e

gialla di tufo, anche sequesti termini sono

usati in modoimproprio...

di Guido Gonzato

Se visitando una città che non co-nosciamo osserviamo i muri dellevecchie case o dei monumentipossiamo farci un’idea immediatadella geologia della zona che cir-conda la città. Infatti, tutte le cittàantiche sono state costruite preva-lentemente con materiali disponi-bili nelle vicinanze.I muri e i monumenti di Veronarivelano chiaramente che i montiche circondano la città sono inmassima parte di origina marina.Verona è una città rossa di marmoe gialla di tufo, anche se questi ter-mini sono usati in modo impro-prio, come vedremo più avanti.Il rosso e le varie tonalità di rosadella città sono dati da una pietrachiamata Rosso Ammonitico,

detto anche Marmo Rosso di Ve-rona, proveniente perlopiù dallamedia e alta Lessinia. Il Rosso eraed è considerato una pietra dipregio, e con esso furono costruitii monumenti più importanti, co-me l’Arena. Di minor qualità mapiù abbondante è il Tufo di Avesa,una pietra porosa giallastra e me-no resistente, utilizzato soprattut-to per l’edilizia popolare; con iltufo sono stati costruiti parte delcampanile di S. Zeno e i bastioniaustriaci.Altre pietre usate a Verona sono ilMarmo di S. Ambrogio e la Pietradi Prun, o Scaglia Rossa. Il primoera impiegato per costruzioni dipregio; come pietra da costruzio-ne è perfino migliore del RossoAmmonitico, anche se non altret-tanto bello. La Pietra di Prun, og-gi estratta nelle cave presso Fossee S. Anna d’Alfaedo, è un magni-fico materiale per realizzare tetti epavimentazioni.

NÉ MARMI, NÉ TUFO

Occorre chiarire una cosa che po-trà sorprendere i non esperti: il

cosiddetto Marmo Rosso di Vero-na non è un marmo, e il Tufo diAvesa non è un tufo. Geologi emarmisti utilizzano gli stessi ter-mini, ma con significati ben di-versi. Per i marmisti, “marmo” èsostanzialmente qualunque pie-tra calcarea che possa essere luci-data; “tufo” è invece qualunquepietra porosa.Per i geologi, invece, un marmo èesclusivamente un calcare che ab-bia subito qualche tipo di trasfor-mazione fisico-chimica, come unforte riscaldamento o una fortepressione. Non avendo subitoqueste trasformazioni, il RossoAmmonitico non è un marmo. Iltufo è per i geologi una pietraesclusivamente di origine vulca-nica: nelle colline di Verona sonopresenti anche veri tufi vulcanici,ma sono troppo friabili per poteressere utilizzati per le costruzioni.Quindi, in tutta Verona non c’èun solo monumento di marmo...o meglio, c’è qualche dettaglio ar-

Ambiente

TERRITORIO

I fossili nei monumentidi Verona

L’ammonite di Corso Portoni Borsari, le Belemniti in Duomo, la conchiglia di Grifea in Cortile Mercato Vecchio, il riccio di mare all’Hotel Due Torri...

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Ammonite in Corso Portoni Borsari

Inoceramus Sp.Disegno di Antonella Scolari

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Belemniti all’interno del Duomo Conchiglia di Grifea in Cortile Mercato Vecchio

Facciata dell’Hotel Due Torri: in alto a sinistra la sezione del guscio di un riccio

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chitettonico costruito con mar-mo proveniente dalla Toscana,come ad esempio parti del Duo-mo e di S. Zeno. Continueremoad usare i termini “marmo” e “tu-fo” in senso lato.

PIETRE DAL FONDO DEL MARE

Quasi tutte le pietre che troviamosui monti di Verona hanno origi-ne marina, e tutte conservano levestigia degli animali e dellepiante che vivevano in quegli an-tichi mari: fossili di conchiglie,ricci di mare, alghe, e così via.Originariamente, il Rosso Am-monitico era un sedimento cal-careo incoerente: un sottile fan-go, che si depositò verso la finedel Giurassico, circa 130 milionidi anni fa, quando il territorioveronese era un fondo marino diuna certa profondità. In seguito,questo fango si consolidò fino atramutarsi in solida roccia; que-sto fenomeno è noto ai geologicol nome di litogenesi.Già nel nome, il Rosso Ammoni-tico rivela la sua caratteristicaprincipale. Ammonitico, ricco diAmmoniti: quelle conchiglie aspirale che tanto spesso si posso-no vedere nei marciapiedi. In Fo-to 1 è mostrata una delle grosseAmmoniti che si possono ammi-rare in Corso Porta Borsari. LeAmmoniti erano molluschi cefa-lopodi, cioè della stessa classedelle seppie o dei polpi odierni.Vivevano nei mari del Giurassicoe del Cretaceo, nei periodi geolo-gici durante i quali si formaronoil Rosso Ammonitico e la ScagliaRossa. Alla loro morte, i guscidelle Ammoniti si depositavanosul fondo e si fossilizzavano; oggipossiamo incontrare i loro resti

nelle lastre e nei blocchi di mar-mo rosso, e spesso (sebbene me-no evidenti) anche nelle lastre diPietra di Prun.Le Ammoniti non erano gli unicianimali presenti nell’antico maredei Monti Lessini. Passeggiandoper Verona con occhio attento sipossono incontrare i resti di Echi-noidi, cioè ricci di mare, e di Be-lemniti. Anche questi erano mol-luschi cefalopodi, di aspetto simi-le agli attuali calamari o alle sep-pie. Come le seppie, possedevanouna conchiglia interna a forma dicono allungato, detta “rostro”;questo “osso di seppia” si fossiliz-zava con facilità. La Foto 2 mostra

fossili tenuti insieme da una ma-trice calcarea. Questa caratteristi-ca rende la Pietra di Avesa unmateriale da costruzione medio-cre, perché la scarsa uniformitàdella roccia la rende più facil-mente attaccabile dagli agenti at-mosferici.Anche la Pietra di Avesa si formòin ambiente marino, ma in unperiodo molto più recente: l’Eo-cene, circa 45 milioni di anni fa.A quel tempo, stava iniziando ilsollevamento del territorio vero-nese fuori dal mare. Il fondo ma-rino era ormai poco profondo,qua e là emergevano le prime iso-le. La Pietra di Avesa si formò da

Le conchiglie dei molluschi e igusci dei r icci di mare e deiNummuliti sono più resistentidella matrice calcarea che li con-tiene, quindi tendono a sporgere.La Foto 3 mostra una bella con-chiglia di Grifea visibile in Corti-le Mercato Vecchio; sono visibilianche frammenti di gusci diNummuliti. Le conchiglie di gri-fea sono caratteristiche di unostrato di calcare sul Monte On-garine di Avesa, sopra le vecchiecave Zampieri: ecco che da unparticolare geologico possiamorisalire alla provenienza precisadel materiale con cui i palazzi delCortile vennero costruiti.La Foto 4, infine, mostra un det-taglio della facciata dell’HotelDue Torri, in Piazza S. Anastasia.Questa pietra non sfigurerebbein un museo: osservate in alto asinistra il guscio sezionato di unriccio di mare, diversi tipi diNummuliti e altri Foraminiferi,frammenti di alghe calcaree e almicroscopio si potrebbero osser-vare numerosi altri resti di orga-nismi.La scelta di un materiale da co-struzione ricco di fossili non èmai una buona idea, per i motiviprecedentemente spiegati. L’ec-cessiva abbondanza di fossili haprovocato il cattivo stato di con-servazione del Teatro Romano:la gradinata fu costruita in RossoAmmonitico, ma per tutto il re-sto i Romani impiegarono il cal-care estratto dal colle sovrastan-te. Questo materiale è compostoda gusci calcarei tenuti insiemeda una matrice calcareo-argillo-sa... non sorprende che, oltre allagradinata, si sia conservato benpoco.

due fossili di Belemniti che sipossono osservare sul pavimentodel Duomo, appena entrati sullasinistra.

SPIAGGE FOSSILI

Nel Rosso Ammonitico e nellaScaglia Rossa la presenza di fossi-li è sporadica, mentre nella Pietradi Avesa si può dire che la rocciastessa è un impasto grossolano di

sabbie e fanghi ricchissimi diconchiglie di molluschi, ricci dimare e soprattutto i caratteristiciNummuliti: organismi unicellu-lari di dimensioni enormi, fino aqualche centimetro di diametro,che si costruivano un guscio aforma di disco appiattito. Il ter-mine Nummuliti proviene dal la-tino nummus, moneta; infatti so-migliano a monetine di pietra.

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Ambiente

• CELLE A COMBUSTIBILE PER AUTO ELETTRICHE

Rendere l’aria più respirabile e il nostropianeta meno inquinato è sicuramente ilgrande obiettivo che la scienza perseguecon tenacia. In modo particolare, negli ul-timi decenni, si parla molto di possibili al-ternative al vecchio motore a scoppio: autoelettriche, a idrogeno, a energia solare. IlFestival della Scienza di Genova ha recen-temente affrontato questi problemi con ilfisico Giulio Alberti e il chimico DavideBarreca, entrambi ricercatori del CNR, iquali hanno spiegato che le celle a combu-stibile sono in grado di fornire elettricitàtramite una reazione chimica, senza alcunmovimento meccanico e, se alimentate adidrogeno, non emettono sostanze inqui-nanti.Il primo problema da affrontare riguardaproprio l’idrogeno che, essendo difficil-mente trasportabile e altamente infiamma-bile risulta una sostanza non facile da ge-stire. Una possibile soluzione consiste nel-l’utilizzo del metanolo, dal quale, tramiteun processo di reforming, si riesce a ottene-re l’idrogeno da inserire nella cella combu-stibile. In questo modo si potrebbero sfrut-tare le attuali modalità di distribuzione delcarburante e gli stessi serbatoi delle nostreauto, producendo però alcune sostanze in-quinanti, anche se in quantità decisamenteinferiori rispetto alle attuali. Questo proce-dimento è invece già fattibile per quanto ri-guarda l’energia portatile, e infatti a breveavremo batterie per telefoni cellulari a lun-ghissima durata. Quindi il lavoro di ricercasulle celle a combustibile è completamentediverso a seconda degli impieghi dell’ener-gia prodotta e infatti il discorso si complicaquando diventa ingente la dose di energiarichiesta. Nel caso di elettricità stazionaria,per le abitazioni e per le fabbriche, la dire-zione seguita è quella della riduzione della

temperatura necessaria per il processo,perché temperature troppo elevate rendo-no facilmente deteriorabili i materiali uti-lizzati.Gli ostacoli non sono solo tecnici, ma an-che economici considerando che oggi perprodurre 1 Kw occorrono circa mille dolla-ri. Ma ormai il processo è partito e sta dan-do risultati sempre più incoraggianti. Lecase automobilistiche attendono che si ar-rivi a un livello base molto alto, in modotale da non subire gli inconvenienti provo-cati dai continui aggiornamenti tecnologi-ci, come è avvenuto nel mondo dei PC.Non c’è dubbio che questo sia il compro-messo migliore, tra le energie alternative ela realtà attuale. Una strada realmente per-corribile e in grado di mostrare i suoi risul-tati immediati.

• LA GUERRA DEL FUOCO

“La guerra del fuoco” era il tema di una tavo-la rotonda che a Genova ha visto coinvoltinell’ordine: Gennaro De Michele, Responsa-bile ENEL Ricerca; Antonio D’Alessio, do-cente d’Ingegneria Chimica all’UniversitàFederico II di Napoli; Eliseo Ranzi, docentedi Impianti Chimici al Politecnico di Mila-no; Leonardo Castellano, docente di FisicaNumerica e Tecniche di Simulazione per ilpolo didattico e di ricerca di Crema; PeterRoberts, direttore dell’International FlameResearch Foundation; Guido Saracco, do-cente di Impianti Chimici al Politecnico diTorino.L’uomo da 50 milioni di anni utilizza il fuo-co come fonte di calore ed energia ma i pro-cessi chimici attivi nella combustione sonoancora, in buona parte, misteriosi. «L’unicomodo per ridurre l’inquinamento è fare ilprocesso di ossidazione senza ossidare l’azo-to – ha dichiarato De Michele –, per farequesto bisogna continuare gli studi sullacombustione che da anni sono arenati.».Nella fiamma oltre che all’emissione di ossi-do d’azoto è presente un altro nemico dellasalute, le nanoparticelle. «Questo particolatomolto sottile – ha detto D’Alessio – si emanacon ogni tipo di combustione. La stessamortalità umana è correlata alla presenza dipolveri sottili nell’aria e più le particelle sonopiccole più l’effetto è forte».L’obiettivo finale di ogni ricerca sulla fiam-ma è quello di bruciare qualsiasi combusti-bile con emissione zero (tranne CO2). L’uni-co modo per ottenere questo ambizioso ri-sultato è quello di analizzare la chimica dellacombustione. Castellano ha mostrato in chemisura un modello matematico può aiutarein questo tipo di ricerche, mentre Roberts haesposto i suoi studi sulla forma della fiam-ma, con particolare attenzione alla sua aere-rodinamicità.

DAL FESTIVAL DELLA SCIENZA

A quando in città le auto a idrogeno?Ecco i problemi ancora da risolvere

Il particolato che deriva dalla combustione è il grande

nemico della salute.Le celle a combustibile sono in grado di fornire elettricità

tramite una reazione chimica,senza alcun movimento

meccanico e, se alimentate adidrogeno, non emettono

sostanze inquinanti

Da giovedì 23 ottobre a lunedì 3novembre a Genova, nell’ambi-to della terza edizione del Festi-val della Scienza, sono stati pre-sentati 170 eventi, di cui circa100 tra conferenze e tavole ro-

tonde, più di una ventina dimostre, ma anche spettacoli eletture. L’obiettivo era quello diavvicinare la gente ad un mon-do fitto di scoperte e dare rispo-ste alle tante curiosità, creando

un confronto interdisciplinareper andare oltre i limiti chespesso confinano la scienza lon-tano dalle materie umanistiche.Ancora una volta il Festival èstato per tutti: per gli adetti ai

lavori, che hanno trovato con-tributi stimolanti e aggiornati;per il semplice cittadino, che hapotuto visitare i laboratoriaperti al pubblico e incontrare iricercatori al lavoro.

Festival della Scienza.G

iovani in laboratorio

Gennaio 200428

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di Alessandra Motta

Il 2003 è stato Anno europeodelle persone disabili. Sonostate tante le occasioni per sot-tolineare la necessità di unacultura che metta al primopiano la persona nel rispetto enella valorizzazione di un di-verso modo di essere abile. Aldi là delle parole l’Universitàdi Verona è un esempio con-creto di quanto si può fare ariguardo.

Nel nostro Ateneo dal 1998 è at-tivo in via San Francesco 22,presso la Facoltà di lettere e filo-sofia, al piano terra, un Centrodisabili a cui si rivolgono gli stu-denti iscritti all’Università: at-tualmente circa 60 giovani affettida disabilità sia fisiche che psi-chiche.Il Centro è nato per consentirel’accesso al sapere anche a quellepersone che per la loro condizio-ne potrebbero incontrare diffi-coltà di inserimento o di integra-zione. Tra le finalità garantire ildiritto allo studio a tutti e abbat-tere le barriere del pregiudiziofornendo un servizio che è diven-tato un parametro di valutazionedella qualità universitaria.Le attività del Centro disabili so-no pensate e supervisionate dauna Commissione disabilità, i cuimembri sono stati nominati dalrettore in qualità di referenti perle varie facoltà. Presiede la Com-missione il professor FrancescoLarocca, docente di Pedagogiaspeciale per l’handicap presso laFacoltà di lettere e filosofia, corsodi laurea in Scienze dell’educa-zione. Collaborano con il Centrodisabili anche dieci studenti uni-versitari a contratto (150 ore) euna quarantina di volontari chededicano parte del loro tempo alservizio di accompagnamento.Agli studenti disabili provenientidalle scuole superiori che si pre-sentano per informazioni, l’Uffi-cio del Centro disabili fa cono-

scere gli ambienti, i servizi, lemodalità di accesso all’Universi-tà, comprese le agevolazioni pre-viste per legge: come ottenere l’e-senzione totale dalle tasse univer-sitarie, dalle spese per il traspor-to, oppure una borsa di studio se-condo i criteri previsti per i por-tatori di handicap. Si analizzanoanche le richieste per individuarele modalità specifiche per lo svol-gimento delle prove di ingresso,come la possibilità di raddoppia-re il tempo della prova. Insommavengono fornite un certo numerodi notizie utili che consentono diinserirsi con tranquillità in unambiente che dimostra di cono-scere il problema e di affrontarlocon serietà e competenza.Con l’inizio delle lezioni si met-tono in moto tutta una serie diservizi che hanno lo scopo di ga-rantire le pari opportunità. Anzi-tutto è riservato il posto a lezio-ne. Chi ha difficoltà di movimen-to viene accompagnato ai corsi,agli esami, a pranzo, alla posta-zione PC e nelle ore libere dellagiornata universitaria. Il perso-nale del Centro disabili aiuta nelreperimento e nella compilazio-ne dei moduli per le varie richie-ste e certificazioni, come avvieneper l’immatricolazione, per acce-dere al servizio mensa o per l’i-scrizione agli esami e alla succes-siva registrazione dei voti. Lostesso supporto è offerto per ilreperimento e l’organizzazionedel materiale didattico. Esiste an-

che un servizio di interpretariatoper non udenti.Il Centro disabili si mantiene all’a-vanguardia anche grazie al sup-porto scientifico. In collegamentocon la cattedra di Pedagogia spe-ciale per l’handicap le ricerche ri-guardano l’integrazione dei sordinella Scuola secondaria superioree nell’Università; l’integrazionedei non vedenti; il recupero di sog-getti craniolesi post-comatosi;anoressia e bulimia; integrazionedi disabili mentali; le ricerche sudisabilità rare. La cattedra di Peda-gogia speciale da dieci anni orga-nizza anche gli “Incontriaperti”che ospitano nelle aule del-l’Ateneo scaligero persone chia-mate a confrontarsi con la realtàdell’handicap e del disagio. Glistudenti hanno così modo diconfrontarsi con questa realtà,oltre che sperimentare sul campoquanto hanno approfondito suilibri di testo.Il Centro aspira a diventare unCentro di documentazione e giàora può offrire informazioni re-lative a convegni, corsi di forma-zione, associazioni di volontaria-to, attività sportive e ricreative.Infine, dall’8 gennaio 2004, ilmartedì pomeriggio, partirà pres-so il Centro disabili il servizio“Sportello help ascolto”, curatodalla dottoressa Tanja Cavaliere.

Centro disabili dell’Università diVerona, tel. 045.8028786.E mail: [email protected]

Formazione

inVERONA 29

UNIVERSITÀ

Il diritto allo studiodei “diversabili”

L’Ateneo di Verona all’avanguardia nel settore dell’handicap. Sono circa 60 i giovani che possono studiare perché utilizzano i servizi del Centro disabili

Tra le finalità delCentro disabili quelledi garantire il diritto

allo studio e diabbattere le barrieredel pregiudizio. Un

servizio che è unparametro di

valutazione dellaqualità universitaria e

che fa di Verona unapunta di diamante

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Sport

Gennaio 200430

di Ettore Ivaldi

Sono passati 40 anni dall’anno difondazione del Canoa Club Vero-na. Una società che oltre a regala-re grandi risultati sportivi ha sa-puto entrare nel cuore della gentecontribuendo a mantenere vivo ilfiume Adige, un po’ trascuratodalla città, che per secoli ha datoenergia e lavoro a molti veronesi.Il Windtex Canoa Club Verona(così si chiama oggi) ha al suo at-tivo numerosi successi sportivi,con atleti nelle diverse squadrenazionali, ma anche dirigenti etecnici federali nati e cresciutisulle acque dell’Adige. Ricordia-mo che lo scorso luglio la dicias-settenne Marialuisa Maiorano,atleta della società sportiva scali-gera, ha conquistato una meda-glia d’argento ai Campionati delmondo Junior, specialità Sprint,svolti in Germania.Il club, fin dai primi anni ’60, ha

CANOA

Cavalcano le ondeIl Canoa Club di Verona festeggia i 40 anni di attività. Dagli scafi in legno e telaai materiali moderni. E per imparare si può scendere l’Adige con il “Canoa taxi”

questo modo hanno avvicinato alfiume, e quindi alla natura, moltefamiglie veronesi. Una bella ini-ziativa che ha lanciato “l’andaresul fiume” e che prosegue consempre più appassionati.Oggi la tecnologia ha portatostraordinarie innovazioni sui ma-teriali. Ci sono canoe in polietile-ne indistruttibili e molto corte,tanto da poter essere trasportatenel baule di un’automobile. Gra-zie a queste imbarcazioni, e almateriale d’abbigliamento moltoresistente, questo sport è semprepiù accessibile e sicuro. In pocheore di lezione si possono impara-re le tecniche di base e con un po’di pazienza acquisire quell’espe-rienza necessaria per le grandi di-scese sui torrenti alpini o sui ca-nali artificiali.Tra le novità dei prossimi anni il

Con l’inizio degli anni’80 a Verona si assiste

al boom di questapratica sportiva. Sono

infatti in tanti ascendere l’Adige

pagaiando, siorganizzano i primi

corsi e Corte Doganadiventa la sede

naturale della società

nel suo statuto l’impegno di farconoscere le sue attività. Erano itempi in cui le canoe erano fattecon telai in legno ricoperti di telae anche scendere un fiume comel’Adige poteva diventare una verae propria avventura.Quando alla tela si sostituì la ve-troresina la canoa fece un bel sal-to in avanti: non c’erano più pro-blemi di tenuta e gli atleti si pote-rono concentrare sul migliora-mento tecnico. Con l’inizio deglianni ’80 a Verona si assiste alboom di questa pratica sportiva.Sono infatti in tanti a scenderel’Adige pagaiando, si organizzanoi primi corsi e Corte Dogana di-venta la sede naturale della socie-tà. Si consolida l’iniziativa “Ca-noa taxi”, che consiste in discesesu imbarcazioni doppie guidateda esperte guide fluviali che in

Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio [email protected]

Lungadige Re Teodorico, 1037129 -Verona. Tel. 045592695

StampaNovastampa di Verona

Autorizzazione del Tribunale di Verona n° 1557

del 6 novembre 2003

Progetto editorialeProporre temi di attualità e cultura, stili di vita per la

crescita della persona.

N° 1 Copia omaggio

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montol l i

inVERONA

trasferimento della sede dallaVecchia Dogana in quartiere Fi-lippini, bella ma obsoleta, all’exgasometro di Ponte Catena; saràanche costruito e messo a dispo-sizione dei canoisti un canale ar-tificiale alla diga del Chievo.La speranza è che gli amministra-tori si adoperino per valorizzarerealtà come queste, che se purpiccole sono portatrici di grandiemozioni.

Canoa Club, Corte Dogana 6,tel. 045.8035636

Page 31: Verona In 01/2004

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Fotolito e video-impaginazione

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Page 32: Verona In 01/2004

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