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Vergognosa intesa sull'art.18 che viene cancellato

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Tra Monti, Alfano, Bersani e Casini

VERGOGNOSA INTESA SULL’ARTICOLO 18CHE VIENE CANCELLATOLa controriforma del lavoro non migliora le condizioni dei lavoratori, dei precari e dei giovani e instaura relazioni sindacali mussoliniane

SOLO LA PIAZZA PUÒ RESPINGERE LA CONTRORIFORMALa controriforma liberista sul “mercato del lavoro” di

Monti-Fornero è ormai giunta a un passo dalla sua approvazione definitiva. Nonostante le ripetute dichiarazioni di indisponibilità a rivedere il testo della controriforma Monti si è deciso, anche su consiglio del nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, che ha continuato a seguire, minuto dopo minuto, la vicenda, a convocare i segretari dei partiti che compongono la sua maggioranza di governo per trovare un’intesa sull’art. 18 e non solo.

E l’intesa è stata trovata. Un’intesa che noi giudichiamo vergognosa e inaccettabile sia per il metodo che per i contenuti concordati. Perché scippa alle “parti sociali” una materia, quella del lavoro, che è sempre stata, almeno dal dopoguerra in poi, di loro stretta pertinenza e sancisce la fine, da destra, della concertazione con i sindacati che ne escono ridimensionati, con meno potere contrattuale per incidere sulle scelte del governo. Perché l’intesa blinda un testo che sarà difficile se non impossibile cambiare in sede parlamentare, riducendo le Camere a una mera funzione di ratifica. Perché l’intesa Monti e segretari della destra e della “sinistra” borghese dà il via a una controriforma devastante che, complessivamente, peggiora le tutele delle lavoratrici e dei lavoratori e lascia praticamente intatti i problemi del precariato e dell’inserimento dei giovani nel lavoro, accantona, appunto, il metodo della concertazione e instaura nuove relazioni sindacali mussoliniane. Perché realizza il principale e vero obiettivo di questa controriforma, ovvero la libertà di licenziamento.

All’intesa ha fatto seguito, seduta stante da parte del ministro, la compilazione del disegno di legge (ddl). Nell’art. 14 di questo è riapparsa la parola, reintegro, anche nel caso di licenziamenti per motivi economici e organizzativi. Il che ha fatto cantare vittoria al PD e alla CGIL. In realtà la minuscola, impercettibile modifica apportata nel ddl è più formale che reale. Lo sman-tellamento dell’art. 18 è pienamente confermato, così come viene confermato l’ampliamento della flessibilità in uscita che si traduce in licenziamenti più facili.

Nel ddl Monti-Fornero non c’è nulla per la riduzione del precariato. Non solo non si cancella nessuno degli oltre 40 contratti precari vigenti nel nostro Paese, introdotti a suo tempo dal “pacchetto Treu” quando al governo c’era Prodi e dalla legge 30 quando a Palazzo

Chigi c’era Berlusconi. Ma sono stati indeboliti anche gli interventi che tendevano a disincentivarne l’uso. I precari rimarranno dunque in prevalenza precari.

Ai giovani, la cui disoccupazione ha raggiunto livelli molto allarmanti, la “riforma” non offre nulla di buono. Riconferma l’apprendistato che c’era già: un contratto che può durare tre anni con trattamenti inferiori a quelli previsti nei contratti di lavoro nazionali, con libertà di licenziamento in ogni momento senza motivazioni. Si pone il vincolo di assunzione non obbligatoria del 30% per potere assumere altri apprendisti nella misure di 2 su tre lavoratori invece di 1 a 1 come è ora.

Sugli “ammortizzatori sociali” la controriforma Monti-Fornero è un’operazione di demolizione del sistema che ha funzionato sin qui, cancellando in particolare la cassa straordinaria e quella in deroga, in caso di cessazione delle attività, abolendo l’indennità di mobilità che garantivano ai lavoratori interessati il sostegno economico per un periodo di tempo sufficiente per arrivare alla pensione oppure per trovare un altro lavoro. Il tutto sostituito dal nuovo sussidio di disoccupazione denominato Aspi (Assicurazione per l’impiego) che per averne diritto, come nella vecchia indennità, occorre avere 2 anni di contributi versati e aver lavorato 52 settimane negli ultimi due anni, requisiti che difficilmente i giovani precari e disoccupati possono vantare, la durata sarà di 12 mesi ampliati a 18 per gli ultra cinquantenni e la cifra poco superiore a mille euro al mese, ridotta del 15% dopo i primi sei mesi e del 30% dopo ulteriori sei mesi. Se si confronta l’attuale sistema degli “ammortizzatori sociali”, con quello previsto nella “riforma”, composto dalla cassa integrazione ordinaria e straordinaria solo per ristrutturazione aziendale poi licenziamento e sussidio di disoccupazione, non ci vuole molto a scoprire che le tutele sono state ridotte, non aumentate.

Sul tema del “mercato del lavoro” non si può accettare quanto già definito dal governo e magari limitarsi a vigilare che in parlamento non ne vengano peggiorati i contenuti. Non si può dire che questa battaglia è conclusa. In particolare sui licenziamenti individuali va rilanciata la parola d’ordine: “L’art. 18 non si tocca”. E sul lavoro precario deve permanere la rivendicazione della cancellazione di tutti o quasi i contratti che hanno condannato più di una generazione a un lavoro supersfruttato, mal pagato, senza diritti e senza sicurezza del posto di lavoro.

Solo la piazza può respingere la controriforma!

(Estratti dell’articolo de "Il Bolscevico", organo del PMLI, n. 15/2012)

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