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Direttore Piero Sansonetti Venerdì 5 giugno 2020 · Anno 2° numero 111 · 2,00 · www.ilriformista.it · Quotidiano · ISSN 2704-6885 Redazione e amministrazione via di Pallacorda 7 – Roma – Tel. 06 32876214 Sped. Abb. Post., Art. 1, Legge 46/04 del 27/02/2004 – Roma € 2,00 in Italia solo per gli acquirenti edicola e fino ad esaurimento copie 9 772704 688006 00605 Umberto De Giovannangeli a pagina 9 L'intervista Jean-Paul Fitoussi: «Attenti, la rabbia sociale dopo gli Usa scoppierà anche in Europa» I Pm e i giudici erano nominati illegalmente e si scambiavano piaceri. Magistratura e diritto lontanissimi AMNISTIA: SOLO COSÌ SI SANA LA FERITA DI MAGISTRATOPOLI Il Palamara-gate ha spezzato la fiducia nello Stato. Serve un nuovo patto tra cittadini e giustizia (come nel '46) A pagina 3 Piero Sansonetti I l Palamara-gate ha raso al suolo la credibili- tà della magistratura. Ha mostrato il divorzio tra la magistratura e la Giustizia. E ora che si fa? Naturalmente è urgentissima una rifor- ma molto profonda, che limiti drasticamente il potere della magistratura (che si è realizzato in questi anni in forme dichiaratamente degene- rate) e lo riporti sotto controllo. Ma serve anche qualcosa di più urgente: un atto di riparazio- ne verso quelle migliaia e migliaia di cittadini che in questi anni sono incappati nelle reti del- la magistratura e ora sanno di essere stati per- seguiti e giudicati da una struttura illegale e in parte corrotta. Per risolvere questo problema e iniziare a ricostruire un patto di fiducia tra citta- dini e Stato serve una soluzione politica. Qua- le può essere questa soluzione? Quella prevista dalla Costituzione: l'amnistia e l'indulto. Cioè dei provvedimenti di clemenza che azzerino il contenzioso e la valanga dei sospetti su una giustizia ingiusta. L'amnistia serve a questo: a concludere un capitolo oscuro nella vita dello Stato e ripartire da zero. La più famosa amni- stia fu quella del 1946, varata dal governo De Gasperi (ministro della Giustizia, Togliatti) per chiudere il capitolo del fascismo. Fu un atto di grande coraggio e fu l'inizio della pacificazione e della ripresa dell'unità nazionale. L a situazione è drammatica. Il Pil è in cadu- ta libera, i consumi pure, gli investimenti neanche a parlarne. Deficit alle stelle così come il debito. Il Paese è sull’orlo del bara- tro e della rivolta sociale. E di fronte a tutto questo che fa il presidente del Consiglio Conte? Comuni- ca che convocherà gli Stati generali dell’Economia, Basta perdere tempo, è ora delle riforme! Renato Brunetta per ascoltare le idee e le proposte delle parti socia- li e delle menti più brillanti. Ottimo intendimento. Ma è davvero il momento di fare queste ammuine? Abbiamo bisogno di effettività, di riforme, di con- cretezza, abbiamo bisogno del Parlamento, di coesione politica, quella invocata più volte dal pre- sidente della Repubblica Sergio Mattarella. a pagina 11 Il ritratto Marco Demarco a pagina 2 Pm: bocciato Sindaco: bocciato Provaci ancora, Dema... Ora l'Ue esiste e Salvini non sa cosa mettersi Quella pazza voglia di uomo debole Il maxi piano Conte G. Cazzola a p. 8 P. Guzzanti a p. 6

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Direttore Piero SansonettiVenerdì 5 giugno 2020 · Anno 2° numero 111 · € 2,00 · www.ilriformista.it · Quotidiano · ISSN 2704-6885

Redazione e amministrazionevia di Pallacorda 7 – Roma – Tel. 06 32876214Sped. Abb. Post., Art. 1, Legge 46/04 del 27/02/2004 – Roma

€ 2,00 in Italiasolo per gli acquirenti edicolae fi no ad esaurimento copie 9 772704 688006

00605

Umberto De Giovannangeli a pagina 9

L'intervistaJean-Paul Fitoussi: «Attenti, la rabbia sociale dopo gli Usa scoppierà anche in Europa»

I Pm e i giudici erano nominati illegalmente e si scambiavano piaceri. Magistratura e diritto lontanissimi

AMNISTIA: SOLO COSÌ SI SANALA FERITA DI MAGISTRATOPOLI

Il Palamara-gate ha spezzato la fi ducia nello Stato. Serve un nuovo patto tra cittadini e giustizia (come nel '46)

A pagina 3

Piero Sansonetti

Il Palamara-gate ha raso al suolo la credibili-tà della magistratura. Ha mostrato il divorzio tra la magistratura e la Giustizia. E ora che si fa? Naturalmente è urgentissima una rifor-

ma molto profonda, che limiti drasticamente il potere della magistratura (che si è realizzato in questi anni in forme dichiaratamente degene-rate) e lo riporti sotto controllo. Ma serve anche qualcosa di più urgente: un atto di riparazio-ne verso quelle migliaia e migliaia di cittadini che in questi anni sono incappati nelle reti del-la magistratura e ora sanno di essere stati per-seguiti e giudicati da una struttura illegale e in parte corrotta. Per risolvere questo problema e

iniziare a ricostruire un patto di fi ducia tra citta-dini e Stato serve una soluzione politica. Qua-le può essere questa soluzione? Quella prevista dalla Costituzione: l'amnistia e l'indulto. Cioè dei provvedimenti di clemenza che azzerino il contenzioso e la valanga dei sospetti su una giustizia ingiusta. L'amnistia serve a questo: a concludere un capitolo oscuro nella vita dello Stato e ripartire da zero. La più famosa amni-stia fu quella del 1946, varata dal governo De Gasperi (ministro della Giustizia, Togliatti) per chiudere il capitolo del fascismo. Fu un atto di grande coraggio e fu l'inizio della pacifi cazione e della ripresa dell'unità nazionale.

La situazione è drammatica. Il Pil è in cadu-ta libera, i consumi pure, gli investimenti neanche a parlarne. Defi cit alle stelle così come il debito. Il Paese è sull’orlo del bara-

tro e della rivolta sociale. E di fronte a tutto questo che fa il presidente del Consiglio Conte? Comuni-ca che convocherà gli Stati generali dell’Economia,

Basta perdere tempo, è ora delle riforme!Renato Brunetta

per ascoltare le idee e le proposte delle parti socia-li e delle menti più brillanti. Ottimo intendimento. Ma è davvero il momento di fare queste ammuine? Abbiamo bisogno di effettività, di riforme, di con-cretezza, abbiamo bisogno del Parlamento, di coesione politica, quella invocata più volte dal pre-sidente della Repubblica Sergio Mattarella.

a pagina 11

Il ritratto

Marco Demarco a pagina 2

Pm: bocciatoSindaco: bocciatoProvaci ancora, Dema...Ora l'Ue esiste

e Salvini non sacosa mettersi

Quella pazza voglia di uomo debole

Il maxi pianoConte

G. Cazzola a p. 8P. Guzzanti a p. 6

e Salvini non sa

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2 venerdì 5 giugno 2020

RITRATTO DEL SINDACO DADAISTA-MANETTARO

De Magistris, il magistrato fallitoche ha rovinato Napoli

politiche e all’intero sistema di pote-re della sinistra storica. Napoli ave-va voglia di buttare tutto all’aria e de Magistris è capitato a fagiolo. E ora? Ora gli umori della città sono cambiati, i tempi sono tornati a in-cupirsi e il modello di una città tut-ta ricreazione e commercio, ora che i turisti latitano, non regge più. Ma il sindaco punta sui giovani che vo-gliono uscire dal Panopticon de-

luchiano. E se gli altri tardano a “ripensare” Napoli, lui è lì, pron-to per le prossime elezioni re-gionali. E per un altro copione.

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ha votato sapeva bene che era un’al-tra cosa rispetto ai sindaci di pri-ma, Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino. Ma è lecito credere che dopo decenni di emer-genze, dal colera al-la crisi dei rifiuti passando per il terremoto e le continue faide di camorra, la città disillusa voles-se piuttosto un agitatore politico. Qualcuno capace fare lo sgambetto alle solite gerar-c h i e

Un professionista del “sugherismo”: l’arte di restare a galla. Quando proprio sembrava a un passo dal capolinea, in una città stremata dalla sua amministrazione, eccolo riemergere nella rissa su Di Matteo e il Palamara-gate

Marco Demarco

Ci sono partiti personali e persone-partito. De Magi-stris è tra queste, ma guai a sottovalutarlo. È sopravvis-

suto a Di Pietro che lo candidò al-le europee dieci anni fa. Ha vinto su Renzi che voleva farlo a pezzi, riu-scendo a farsi rieleggere sindaco a Napoli. Ora tiene botta a De Luca, e ce ne vuole. E l’altro giorno ha evi-tato l’ennesima sfi ducia in Consiglio comunale pur non avendo più una sua maggioranza. Come si spiega tanto galleggiamento a fronte di una carriera di magistra-to e di politico per molti versi rovino-sa? Quando si parla di De Magistris è inutile girarci intorno: il tema vero è questo. A differenza di Leonardo Di-Caprio in Prova a prendermi di Spiel-berg, deve ancora trovare il suo Tom Hanks capace di bloccarne la cor-sa. Europarlamentare lo è diventato quando ha dovuto buttare via la to-ga, per evitare che il Csm lo caccias-se dalla magistratura per come aveva accusato Mastella e indagato Prodi senza peraltro che mai nulla venis-se poi provato. E in quel caso avva-lorò la tesi secondo cui un magistrato non diventa di parte perché si candi-da, ma perché è già diventato di parte nell’esercizio delle sue funzioni. Ora, invece, pur non avendo più i numeri, può continuare a fare il sindaco gra-zie a una fitta rete di veti incrocia-ti nella quale sono rimasti impigliati un po’ tutti: dai pentastellati agli stes-si deluchiani. In questo caso confer-mando che in quanto a sugherismo - l’arte di rimanere a galla - è ormai diventato un professionista. Il fatto è che nell’uomo convivono moltitudi-ni. Per cui, proprio quando sembra-va ad un passo dal capolinea, in una città stremata dalla sua amministra-zione, con i servizi in panne, la cassa vuota, il patrimonio ingestito e i de-biti alle stelle, eccolo riemergere di colpo. Per fare cosa? Quello che gli riesce meglio: fi utare la rissa, buttar-si a capofi tto, come ha fatto col ca-so Di Matteo e le intercettazioni di Palamara; e alzare polveroni crean-do suggestive relazioni con ciò che gli è successo nella vita preceden-te, quella di pm. In sostanza, lascian-do intendere che se c’è una giustizia assoluta, lui ne è ancora l’espressio-ne, mentre lo Stato è solo il rifl esso di una discutibile legalità. Quando si definisce “ribelle” è a questo che allude: al primato della Giu-stizia sulla Legalità. Che poi è un modo per fare sempre co-me gli pare. Ora sta puntando tutto sul grande complotto: naturalmente dello Stato ai suoi danni. E si sente come un’An-tigone vittima di due Creonte. La mette così: «Mi hanno fatto fuori (da magistrato), perché fi no a quan-do indagavo su Berlusconi mi face-vano l’applauso; come cominciai a indagare a sinistra mi fecero: ma che fai, indaghi anche a sinistra?». E via

con i nomi: Nicola Mancino, ex pre-sidente, del Csm, e Giorgio Napoli-tano, al Quirinale all’epoca dei fatti. Cioè al tempo di “Toghe lucane” e di “Way not”, le inchieste che, a parti-re dalla Calabria più profonda, dove de Magistris faceva appunto il pm, avrebbero dovuto trasformare l’I-talia da così a così, liberandola da massonerie deviate e oscure trame politico-affaristiche.Ma davvero era il pm che racconta? Una buona risposta porta la fi rma di una sua vittima: Agazio Loiero. As-solto per “Why not” in primo grado, condannato in appello, definitiva-mente assolto in Cassazione, il due volte ministro ed ex governatore ca-labrese, una volta ripresosi dalla bot-ta giudiziaria, lo ha dipinto così in un libro di qualche anno fa. «Quasi tut-te le sue inchieste non hanno avuto successo. Toghe lucane: 30 indagati, 30 proscioglimenti». E il mitico esor-dio come pm, quando perse contro un morto? Il perfi do Loiero ricorda bene. I fi gli di Antonio Lo Torto, de-ceduto dopo essere stato rinviato a giudizio, pur di riscattare l’imma-

gine del padre af-frontarono l’udienza preliminare. E qui il Gup prosciolse (alla memoria) il de cu-ius. Il libro si chiude con la frase con cui Grillo, dopo averlo sostenuto come par-lamentare europeo, lo liquida di brut-to: «Di errori ne ho commessi molti, ma uno dei più imbaraz-zanti è stato Luigi de Magistris». Era suc-cesso che, di fronte

a una querela di Mastella, l’euroeletto aveva invocato - proprio lui - l’immu-nità parlamentare. Solo l’inizio di una lunga catena di contraddizioni: non

ultima quella tra un abito mentale da giustizialista manettaro e una voca-zione festaiola, da mojito salviniano.De Magistris era questo ed è di que-sto, al netto delle critiche, che ha no-stalgia. Tanto più ora che non può ricandidarsi a sindaco o tornare a in-dossare la toga; che ignora quale sarà la sua prossima dimensione, se alla Regione o altrove; e che tra lui e il Pd non si sa chi è il gatto e chi la volpe, ma che di sicuro, direbbe Bennato, si sono messi in società: almeno per eleggere Sandro Ruotolo alle supple-tive per il Senato e poi chissà, magari per ridimensionare l’onnipotente De Luca. A proposito. Il sindaco se n’è stato buono buono per tutta la prima parte della quarantena nazionale, e a diffe-renza dei colleghi che andavano con la fascia tricolore per strada a racco-mandare il distanziamento fi sico, ha preferito concedere tutta la scena al governatore regionale; e con la sce-na, neanche a dirlo, anche il lavoro sporco, i divieti, le minacce di inter-venire col bazooka e gli insulti ai cin-ghialoni beccati in strada in tenuta da jogging. Poi, però, passato il peggio, è venuto fuori come in crisi di asti-nenza: gli mancava la visibilità per-duta. Ed è stato un crescendo: ospite di Mara Venier, poi di Giletti, poi an-cora di Giletti. Proprio come ai bei tempi, quando Santoro e Ruotolo se lo portavano dietro da una trasmis-sione all’altra per polemizzare ora con Mastella ora con Briatore. Era un duellante. Un Don Chisciotte della moralità pubblica. E a Napoli diven-ne un Masaniello con la bandana, di-mostrando che l’esercizio televisivo può aiutare a modellare il personag-gio che è in te. È stata proprio questa aura “ribelle”, unita a una forte cari-ca “dadaista”, cioè irrazionale, istinti-va, contemplativa, ma anche gratuita e arbitraria, che gli ha fatto vincere due volte le elezioni a Napoli. Chi lo

In fotoIl sindaco di Napoli

Luigi de Magistris, dal 1998 al 2002 è stato

magistrato presso la Procura della

Repubblica di Napoli e poi Sostituto

Procuratore al tribunale di

Catanzaro

Ora che non può ricandidarsi a sindaco

e che non torna in magistratura,

sta puntando tutto sul grande complotto

dello Stato ai suoi danni

La tattica

Repubblica di Napoli

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3venerdì 5 giugno 2020

La credibilità della magistratu-ra è stata rasa al suolo dal Pala-mara-gate. Sebbene nei grandi giornali prevalga l’omertà. I fatti

emergono tutti i giorni e ormai hanno fatto breccia anche in alcune televisio-ni. Chi l’altra sera ha visto Porta a Por-ta, e ascoltato attentamente l’intervista al dottor Palamara, non può non esse-re rimasto basito per le sue parole. È apparsa in tutta evidenza e senza pos-sibilità di smentita la condizione di as-soluta illegalità nella quale opera la magistratura. Si è visto con chiarezza che il divorzio tra giustizia e magistra-tura è completo e antico. E che un pezzo dello Stato repubblicano si è posto vo-lontariamente contro la legge e il diritto. Tra qualche riga proverò spiegare me-glio perché. Prima però volevo antici-pare una conclusione, che a me sembra inevitabile: si è rotto il patto di fiducia tra cittadini e magistratura. Si è accerta-to che moltissimi magistrati, che in que-sti anni hanno perseguito e giudicato migliaia di cittadini, avevano ottenuto il loro incarico in modo non corretto. Si è saputo che in alcuni settori della magi-stratura era non il diritto ma la colloca-zione politica, o i rapporti di amicizia, a orientare il giudizio. È chiaro che chiun-que è autorizzato a pensare che una parte grande o piccola dei processi che si sono svolti in questi anni, o delle in-chieste che si sono avviate, non rispet-tavano il diritto e possono essere stati inquinati. Il patto di fiducia tra cittadino e magistratura è sgretolato. Per ristabi-lire le condizioni minime di rilegittima-zione della macchina della Giustizia

occorre una soluzione politi-ca. Questa soluzione è

prevista dalla Costi-tuzione: si chiama

amnistia. Più pre-cisamente, amni-

stia e indulto. I l s e n s o

d e l l ’ a m n i -stia è esat-t a m e n t e

questo: chiu-dere un capi-tolo oscuro. Ripartire da

zero. L’amni-stia più famo-

sa della nostra storia è quella

che fu concessa dal governo di

unità nazio-nale nel

1 9 4 6 , f i r -mata d a u n

ministro comunista, e cioè da Palmiro Togliatti: l’amnistia che salvava i fascisti e introduceva un elemento importantis-simo di pacificazione e di ricostruzione di un patto che era stato stravolto dal fa-scismo. Capisco che possa sembrare un eccesso polemico, ma invece non c’è niente di polemico: ci troviamo in una situazione simile. C’è il ragionevole so-spetto che molti processi possano es-sere stati inquinati da logiche che non hanno a che vedere con il diritto. Non si può convivere con questo sospetto. È irragionevole pensare che si possano rifare centinaia di migliaia di processi. L’unica soluzione è un provvedimento di clemenza. Che peraltro, prima anco-ra che iniziasse il terremoto-Palamara, era stato chiesto da diverse personalità molto autorevoli, a partire dal Papa. Torniamo all’intervista a Porta A Porta. Ha detto Palamara: «Sì, in molti settori della magistratura c’è una propensione per la politica». «Sì, spesso prevale un istinto di corporazione». «...il sistema delle correnti... accordi tra rappresen-tanti dei magistrati... attività politico as-sociativa... chi va al Csm è indicato dalle correnti, l’organizzazione interna che i magistrati si sono dati è uno strumento di potere... non rivelerò i contenuti del-

la cena con Pignatone... non so perché i trojan funzionavano a intermittenza…».Ho solo copiato qualche frase dai miei appunti. Provo a spiegare cosa se ne de-duce. Che l’Anm non è una associazione culturale né un sindacato tecnico: è un luogo dove si distribuisce il potere. Che il Csm è espressione in gran parte (mag-gioritaria) dell’Anm. Che la magistratura non è un ordine ma una corporazione e che risponde non a principi di giustizia e di legge ma agli interessi della corpo-razione, che una manina ha cancellato l’intercettazione della cena tra Palama-ra e Pignatone (nella quale si decise il nome del nuovo Procuratore di Roma), che qualcuno silenziava i trojan quando i magistrati intercettati erano eccessiva-mente di peso.Oltre a questo c’è qualcosa di più. Pa-lamara ha spiegato che le nomine ef-fettuate dal Csm, compresa quelle dei magistrati di Cassazione, sono state tutte determinate da logiche di corren-te. Dunque sono illegali. E ha precisato - per giustificarsi - che però le più im-portanti, quelle dei Procuratori delle grandi città, hanno anche - anche - te-nuto conto della competenza e dei meri-ti dei nominati. Le altre no. Quante sono le altre? Qualche decina? No: migliaia.

Migliaia di nomine irragionevoli e ille-gali. L’intera geografia della magistratu-ra frutto dell’arbitrio e di logiche di puro potere. Al di fuori della Costituzione.Per riparare all’insieme di queste so-praffazioni occorrerà una riforma da fare in tempi strettissimi, e con l’accet-ta. Che trovi il modo per riportare sotto controllo un potere uscito del tutto fuo-ri controllo. La riforma del Csm e la se-parazione delle carriere tra giudici e Pm sono le prime urgenze. Però prima di ogni altra cosa viene l’amnistia. Perché è necessario restituire ai cittadini l’idea che loro, se finiscono nella rete della magistratura, non saranno immediata-mente trasformati in merce di scambio in una battaglia di potere. Recentemente è stata presentata alla Camera una proposta di legge costitu-zionale che riforma l’amnistia e l’indul-to. La proposta è depositata dal 2 aprile scorso. Quindi è precedente all’esplo-dere di Magistratopoli. Ora diventa at-tualissima. Naturalmente non sarà facile piegare la resistenza dei 5Stelle. I parti-ti democratico-liberali che fanno par-te del governo, però, sono in grado di porre la questione come fondamenta-le per la tenuta del governo. Non è un problema secondario quello che è sul tappeto. Riguarda il ripristino dello Sta-to di diritto, della democrazia e della Costituzione.

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PALAMARA-GATE

ANCHE LE SENTENZE ERANO ILLEGALI

Piero Sansonetti

Come si fa a ricreare la fi ducia tra cittadini e Giustizia dopo lo scandalo politico più clamoroso della storia della Repubblica? Soluzione politica: amnistia

In altoLuca Palamara: l’altra sera da Vespa ha confessato le illegalità del sistema giustizia

In bassoPalmiro Togliatti, autore dell’amnistiadel ‘46

ca. Questa soluzione è prevista dalla Costi-tuzione: si chiama

amnistia. Più pre-cisamente, amni-

stia e indulto. I l s e n s o

d e l l ’ a m n i -stia è esat-t a m e n t e

questo: chiu-dere un capi-tolo oscuro. Ripartire da

zero. L’amni-stia più famo-

sa della nostra storia è quella

che fu concessa dal governo di

unità nazio-nale nel

1 9 4 6 ,

«L’avvicendamento tra due coalizioni di gover-no, nonostante alcuni iniziali e prometten-ti annunci, non ha prodotto una significativa discontinuità nelle politiche sui diritti umani

in Italia, in particolare quelle relative a migranti, richieden-ti asilo e rifugiati»: è quanto ha detto oggi Emanuele Rus-so, presidente di Amnesty International Italia, in occasione della presentazione del rapporto 2019-20. Russo ha ricor-dato come «per tutto l’anno le navi delle Ong sono state ostacolate da minacce di chiusure dei porti e da ingiusti-ficati ritardi nelle autorizzazioni all’approdo e il 2019 si è chiuso col rinnovo della cooperazione con la Libia per il controllo dei flussi migratori». Nel rapporto si eviden-zia che «nonostante l’intensificarsi del conflitto e gli abu-si sistematici contro rifugiati e migranti in Libia, le autorità italiane hanno continuato a fornire supporto alle autori-tà marittime libiche; avrebbero tra l’altro donato 10 nuo-

ve motovedette a novembre e fornito addestramento agli equipaggi libici». «L’Italia ha inoltre continuato ad assi-stere le autorità libiche nel coordinare le intercettazioni in mare, anche attraverso lo stazionamento continuo di una nave della marina militare italiana nel porto di Tripoli», si precisa.Sul fronte interno, «le politiche e la retorica anti-immigra-zione del primo governo Conte hanno continuato ad avere un forte impatto sull’esercizio dei diritti da parte di rifu-giati, richiedenti asilo e migranti, all’interno del paese così come alle frontiere». «Secondo le stime, a poco più di un anno dall’entrata in vigore del decreto legge 113/2018, che ha abolito lo status di protezione umanitaria, ad almeno 24.000 persone è stato negato uno status legale, limitando il loro accesso all’assistenza medica, all’alloggio, ai servi-zi sociali, all’istruzione e al lavoro, lasciandoli in una con-dizione di vulnerabilità a sfruttamento e abusi - si precisa

nel documento - le nuove disposizioni hanno inoltre avu-to conseguenze disastrose sulle opportunità d’integrazione per i richiedenti asilo, rimasti esclusi dalla rete di strutture di accoglienza gestita dalle autorità locali, e li hanno espo-sti a detenzione prolungata nei centri per il rimpatrio, in condizioni gravemente al di sotto degli standard e con ri-dotte opportunità di comunicare con avvocati e familiari».«Abbiamo di fronte - osserva Gianni Rufini, direttore gene-rale di Amnesty International Italia - due scenari opposti: un ritorno alla divisione, alla xenofobia, alla demagogia, al-le misure di austerità ancora una volta dirette contro i po-veri; oppure la nascita, dall’aver condiviso un periodo così drammatico, di una nuova era di cooperazione, solidarietà e unità, un’era di rinnovato impegno per ricucire le frattu-re sociali e le ineguaglianze così brutalmente messe in evi-denza dalla pandemia».© RIPRODUZIONE RISERVATA

AMNESTY: “MIGRANTI, ZERO DIFFERENZE TRA CONTE 1 E CONTE 2”

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4 venerdì 5 giugno 2020

dello Stato e di Regione Calabria, so-no arrivati a Rita Bernardini, del Par-tito radicale, che minaccia di iniziare uno sciopero della fame qualora la burocrazia statale e regionale perse-verasse nel colpevole torpore.I calabresi in carcere rappresentano il 6,2% del totale dei detenuti sebbe-ne la Calabria abbia appena il 3% del-la popolazione italiana. Quanti sono i casi come quelli di Pippo e Katy?Non lo sappiamo! Una cosa però appare certa: se i due ragazzi non avessero trovato dei nonni attenti e responsabili, il loro avvenire sarebbe

degli organi dello Stato e della Re-gione, totalmente assenti nonostan-te siano in gioco le disposizioni sui minori riconosciuti dalla Convenzio-ne di New York sui diritti del fanciul-lo del 1989 e ratifi cata dall’Italia nel 1991.Il mantenimento dei minori, fino a questo momento, è ricaduto inte-ramente sulle spalle del nonno che è l’unico della famiglia ad avere un lavoro. Siamo venuti a conoscenza del “caso” perché i nonni dei ragaz-zi, stanchi e disperati, e dopo essersi rivolti inutilmente a tutte le autorità

Katy continuano a vedere in loro «fi -gure fondamentali di riferimento e dei quali attendono il ritorno a casa» (dalla sentenza di affi do).I nonni non si sottraggono. Ed oggi i due ragazzi sono dei bravi liceali che frequentano la scuola con ottimi ri-sultati. E lo “Stato”? Non pervenuto. Il nonno ha fatto il giro delle sette chie-se per chiedere il contributo previsto da una legge dello Stato ( n. 149/2001 art.5) e da analoga legge dalla Regio-ne Calabria. Inutilmente. Il diritto è stato negato! La pigrizia della buro-crazia, s’è sommata al disinteresse

Era il 30 luglio del 2014 quan-do due fratellini, Pippo e Katy, (nomi di fantasia) nel cuore della notte hanno visto la po-

lizia piombare nella loro abitazione e portarsi via i loro genitori. Succedeva a Rosarno (RC): Pippo aveva 13 an-ni e la bambina appena 10. Il Tribu-nale dei minori di Reggio Calabria ha affi dato i due bambini ai nonni ma-terni con il compito di mantenerli, provvedere alla loro istruzione ma anche di accompagnare i ragazzi a visitare i loro genitori in carcere, per-ché, nonostante tutto, sia Pippo che

detenuto nel Carcere di L’Aquila, ave-va 30 anni, era in carcere dal 28 gen-naio 1991, in 41 bis dal luglio 1992, condannato in via defi nitiva all’erga-stolo per strage e omicidio. La stra-ge era avvenuta a Gela nel novembre 1990, che causò 8 morti e 7 feriti nel-lo scontro tra stidda e Cosa Nostra. La stidda di Francesco era defi nitiva-mente caduta quando l’ho incontrato per la seconda volta. Era il 2015, c’era il Congresso di Nessuno tocchi Cai-no nel carcere di Opera dove le stelle cadenti degli stiddari violenti erano pronte, all’incontro con Marco Pan-nella, a diventare stelle comete che brillano di una luce interiore, la lu-ce della coscienza, e illuminano una nuova via, fi nalmente orientata ai va-lori umani.Con Rita Bernardini, Elisabetta Zam-parutti, Maria Brucale, Simona Gian-netti, ogni mese, incontravamo Francesco Di Dio, che ha animato fino alla morte, il Laboratorio Spes contra spem di Opera, insieme a Orazio Paolello e a Gaetano Puz-zangaro, lo “stiddaro” che un tem-po causò la morte e ora è testimone nella causa di beatificazione di Ro-sario Livatino, il “giudice ragazzino”. Come loro, Francesco era cambiato, aveva scelto la nonviolenza. Il siste-ma carcerario, invece, è rimasto quel che è sempre stato, strutturalmen-te violento. E, di fronte alla violenza del carcere che lo ha recluso fi no alla morte, Francesco ha scelto la via del diritto e della tolleranza. Ha tolto il disturbo, si è liberato del carcere con una evasione innocente: se n’è anda-to di notte, nel sonno, senza procu-rare allarme ai suoi compagni, senza svegliare i suoi custodi, senza fare male a nessuno. Ancora una volta al-truista, attento al prossimo. Un mo-do gentile per denunciare la durezza e la volgarità del carcere e della pena, un modo dolce di raccontare la bana-lità del male proprio del diritto pena-le che rispecchia in un modo eguale e contrario il male del delitto. Ciao Francesco, dedicheremo al ri-cordo di te il primo laboratorio di Spes contra Spem, appena torniamo a Opera, la fabbrica degli uomini ri-nati, dove Caino non abita più, è di-ventato costruttore di città.© RIPRODUZIONE RISERVATA

mentare di Marco Pannella e la sua “lezione” di coerenza nonviolenta che ha sempre rifi utato la tragica dottrina ottocentesca del fi ne che giustifi ca i mezzi. Perché – diceva Marco – quel che accade è invece che i fi ni più no-bili, idee sacrosante siano pregiu-dicati e distrutti dai mezzi sbagliati usati per conseguirli. Solo di recente il dogma del carce-re duro ha visto cadere alcune delle sue più disumane e insensate pre-scrizioni, grazie all’opera della Corte Costituzionale che, nell’ultimo anno, prima ha consentito la cottura di cibi in cella e poi la possibilità di condi-viderli tra detenuti appartenenti allo stesso gruppo di socialità. Nel 2002 – rileggo nel libro Tortu-ra Democratica, scritto all’esito del viaggio nei luoghi dove non alberga la speranza – Francesco Di Dio era

Ho conosciuto Francesco la prima volta nell’estate del 2002 durante un viaggio che con Maurizio Turco ci ha condotto a scoprire un mondo av-volto nel segreto di stato, le cayenne italiane del 41 bis, macabro monu-mento della lotta alla mafia e quin-tessenza dell’isolamento. Un totem sacro e intoccabile per l’antimafi a di professione, quella giudiziaria e quel-la giornalistica, unite come un sol uomo nella gestione di un “negozio” che ha la sua bella e luccicante vetri-na, ma anche un retrobottega brut-to e cupo. Dove in vetrina è esposto il capo fine e nobile della lotta alla mafi a, mentre nel retrobottega è sti-pata la mercanzia grossolana comu-nemente usata nella lotta alla mafi a. Tutti sono allineati e coperti alla ne-cessità di conservare questo mondo. Nessuno che ricordi la “verità” ele-

un pezzo domani. Finché non è “eva-so” del tutto, uscito – come si dice – coi piedi davanti, con le parti rimaste. In piena pandemia aveva rifi utato un ricovero in ospedale, non si sa se per paura del colpo di grazia di un possi-bile contagio o per non occupare un posto letto che voleva lasciare libero per altri che lui riteneva più gravi di lui. Prima gli altri, avanti il prossimo, qualcuno che più di lui meritasse at-tenzione, soccorso, cura. Era iscritto a Nessuno tocchi Caino e al Partito Radicale. Veniva ai labo-ratori Spes contra spem nel teatro di Opera, a volte in sedia a rotelle, a volte con le stampelle. Il suo modo d’essere lo portava sempre a pensare bene, a sentire e sentirsi bene, a fa-re del bene. Era l’incarnazione del-la speranza contro ogni ragionevole speranza.

Francesco Di Dio ha tolto il di-sturbo, se n’è andato in silen-zio, senza lanciare un allarme. Solo nella sua cella del car-

cere di Opera, il cuore ha smesso di battere e si è addormentato per sem-pre. Lo immagino ancora vivo, diste-so sul letto, con la sua faccia sempre serena e sorridente, rotonda come una luna piena. Aveva 48 anni ed era in prigione da 30. Soffriva di mali che un po’ la na-tura gli ha infl itto, ma che la galera, con il suo carico strutturale di dolore aggiuntivo, ha reso intollerabili, più gravi e irreversibili. Dei suoi decenni di pena e dei suoi dolori, Francesco non si è mai la-mentato. I primi li ha accettati come un dovere, per i secondi a volte non veniva creduto. Come accade spes-so in carcere, dove il luogo comu-ne, anche contro ogni evidenza, è sempre lo stesso: il detenuto simu-la l’inesistente, manifesta l’inverosi-mile, proietta la propria malattia, per scamparla, per evadere da una real-tà deprimente, mortifera. Nessuno vuole intendere che il carcere è di per sé dannoso, criminale e criminogeno, aggiunge dolore a dolore, odio a odio, violenza a violenza.Francesco era altruista al punto da non considerare mai se stesso, il suo cuore che batteva a intermittenza ir-regolare, il suo respiro sempre colto d’affanno. Soprattutto il suo diabe-te, che si era incaricato di fare quello che il potere da tempo avrebbe dovu-to e non aveva voluto fare: sospende-re l’esecuzione della pena per gravi motivi di salute. Il diabete si era as-sunto la responsabilità di scarcerarlo un po’ alla volta, partendo dai piedi, amputati poco a poco, un pezzo oggi

Fratello e sorella, oggi bravi liceali, hanno per fortuna trovato supporto nei nonni. La battaglia di Rita Bernardini perché si riconosca il dovuto

Sergio D’Elia

Ilario Ammendolia

MORTO A 48 ANNI NEL CARCERE DI OPERA

Era entrato diciottenne, dopo poco è fi nito al carcere duro. Era molto malato, aveva subito amputazioni alle mani e ai piedi. Divorato dal diabete. Eppure era sempre lì, sorridente, altruista, amico

stato segnato ed in un futuro prossi-mo, molto probabilmente, lo “Stato” sarebbe stato costretto a combat-terli perché collocati dall’altra parte della barricata. In Calabria si spen-dono ogni anno milioni e milioni di euro in una presunta lotta contro la ‘ndrangheta caratterizzata da squa-droni di militari armati sino ai denti, da auto blindate di ultima generazio-ne e scortate come fossimo a Kabul, convegni a iosa e provvedimenti re-pressivi a strascico. Ma nessuno si cura di bonificare il terreno su cui il crimine attecchisce. E così un di-ritto negato oggi, si “traduce” molto spesso in un criminale da combat-tere domani. E purtroppo c’è chi dei criminali ha bisogno come l’aria per giustifi care la presenza sul territorio calabrese del più imponente appara-to repressivo dell’Europa occidentale. Il “caso” di Pippo e Katy è l’ulteriore dimostrazione di quanto faccia co-modo la “Calabria criminale” per non affrontare seriamente la questione meridionale.© RIPRODUZIONE RISERVATA

In fotoFrancesco Di Dio tra i suoi compagni al congresso di Nessuno tocchi Cainoa Opera nel 2015(foto di Lorenzo Ceva Valla)

FRANCESCO È EVASO...DOPO 28 ANNI AL 41 BIS

Calabria, i genitori sono in galerae lo Stato li abbandona

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5venerdì 5 giugno 2020

Anna Finocchiaro ha attraver-sato, nella sua Sicilia, le tap-pe importanti della carriera giuridica; laureatasi a 22 an-

ni, è stata Procuratrice al tribunale di Catania fino al 1987. Da lì in avanti, impegno politico a tempo pieno, pri-ma nel consiglio Comunale e poi in Parlamento. È stata due volte mini-stra, a vent’anni di distanza: la prima volta alle Pari Opportunità con Pro-di, nel 1996, l’ultima con Gentiloni, ai Rapporti con il Parlamento, nel 2016. Adesso fa parte del Comitato scientifi -co e a capo del gruppo di lavoro dedi-cato a Sistema economico e giustizia per l’associazione “Italia decide”.

C h e m o m e n t o v i v e la magistratura?È un momento non solo diffi cile ma anche fortemente rischioso, perché l’indipendenza della magistratura de-ve affermarsi come caposaldo della democrazia. E questa indipendenza vive se si afferma un credito di fi du-cia e di autorevolezza presso l’opinio-ne pubblica. Vede analogie con altri momenti? Siamo in un momento molto delicato, come non ricordo di averne mai visti in passato. La giustizia cammina sul-le gambe degli uomini, e delle donne. Possono esserci momenti di caduta di fi ducia ma ciò che si sta oggi maneg-giando è un passaggio nel quale è in gioco non solo un valore che appar-tiene alla magistratura, ma un fatto di civiltà. Quello dell’effi cienza giudi-ziaria e della fi ducia dei cittadini nel sistema-Giustizia è uno dei parame-tri sui quali vengono scrutinati i pae-si che vogliono appartenere agli Stati membri dell’Unione. Non è una cosa marginale. Siamo in una partita mol-

to seria.Priorità per la riforma del Csm?È un punto essenziale, e in qualche modo il Csm rappresenta l’autogo-verno e l’indipendenza della magi-stratura. Va fatto un dibattito molto profondo, e non una incursione dal sapore punitivo o peggio, restaurativo.Basterà la riforma elettorale? È uno strumento, ma non basta. Bi-sogna fare una riforma importante, per rispondere a problemi di questa gravità. Nella magistratura associata an-dava così da tempo.Non da sempre. Ricordo il peso cul-turale che avevano le correnti, an-che per la formazione dei magistrati, sull’interpretazione da dare alle leg-gi. Ricordo il dibattito sulla legislazio-ne d’emergenza durante il terrorismo. Ricordo il dibattito sui temi ambien-tali, tra anime diverse. E il confronto sulla necessità di orientare le inter-pretazioni secondo la Costituzione. C’era un perché: un pezzo di costru-zione della democrazia italiana, della fi sionomia giuridica italiana è deriva-to dalla dialettica di confronto interna alla magistratura associata. Cosa si è interrotto in questo percorso?La Costituzione viene messa con i piedi per terra dai giudici ordinari, at-traverso l’interpretazione. Ma se guar-do a questa deriva, non mi piace. È un’altra cosa, rispetto alla magistratu-ra associata.Cosa mi può dire di Palamara? Ha creduto di esercitare un ruolo, ma ha ecceduto. Però non esiste un caso Palamara. Esiste un problema di spar-tizione delle nomine che va cambiato. Mentre Bonafede festeggia l’aboli-zione della prescrizione…Io la trovo una cosa incivile, franca-mente. Tutti hanno diritto di sapere in tempi ragionevoli chi è colpevole e

chi innocente. È un problema di civil-tà. Cosa lo abbiamo scritto a fare nel-la Costituzione che il processo deve avere una ragionevole durata? Anche perché lo stigma del processo diven-ta un anticipo della condanna. Il pro-cesso oggi è la pena. Ed è contrario al diritto. Quali sono le proposte di Italia Decide?Due priorità: la riforma dell’abuso d’ufficio e della responsabilità con-tabile. Due questioni che nutrono la cosiddetta “paura della firma”, quel blocco che agisce a livello ammini-strativo per timore delle responsa-bilità che ne possono derivare non soltanto per evitare un fatto illeci-to, ma per timore delle inchieste che possono derivare da una firma. Ed ecco che i funzionari pubblici non si espongono più al punto di non auto-rizzare spese e interventi necessari, essenziali. Per non sbagliare, tengono la penna in tasca. Ne ha iniziato a parlare anche il premier Conte.

È un tema di rifl essione sul quale ri-chiamiamo il dibattito pubblico. Ne hanno parlato Conte ma anche Sa-bino Cassese, Paola Severino… sta fi -nalmente cadendo un tabù. Il nostro Paese necessita di uno sblocco di si-stema, non ci possiamo più permette-re questa ritrosia alla fi rma.Mettiamoci nei panni del funzio-nario timoroso. Sì, guardiamo dentro all’avversio-ne al rischio del pubblico funziona-rio. Quanto più incerto è il quadro di riferimento del pubblico funzionario, tanto più questa paura diventa ele-mento sistemico di blocco. E non si dà il via a lavori, a cantieri, ad appalti. E allora dobbiamo precisare cos’è l’a-buso d’uffi cio: il cittadino deve sapere cosa è lecito e cosa illecito. La preve-dibilità della condotta e quindi della sanzione è essenziale, ed è un ele-mento di garanzia. La condotta illecita del pubblico uffi ciale deve realizzar-si in relazione a leggi e regolamenti chiari. Dato che da noi leggi e regola-menti non sono chiari, ecco che l’a-

buso d’ufficio si moltiplica, diventa una costante. La burocrazia diventa carceriera di se stessa. È un sistema mostruoso, arricchito da principi di soft law: pensiamo ai prov-vedimenti Anac o a quelli AgCom. Se Anac dice che c’è bisogno di gara an-che per appalti sotto soglia, ecco che i funzionari pubblici per timore aderi-scono all’indirizzo Anac, complican-dosi ulteriormente la vita. Un cambio di passo necessario.Sì, una chiave per liberare il sistema. Se il riferimento costituzionale è quel-lo del buon andamento e della funzio-nalità della pubblica amministrazione, bisogna attenersi a questo principio. Possiamo immaginare di limitare il perimetro dell’abuso d’uffi cio oppure ripristinare l’interesse privato. Perché su cento procedimenti di abuso d’uf-ficio circa l’80% vengono archiviati o prosciolti. E allora perché bloccare tutto, dalle macchine amministrative a quelle giudiziarie? © RIPRODUZIONE RISERVATA

FINOCCHIARO: «PAESE INCAGLIATO, CANCELLIAMO L’ABUSO D’UFFICIO»

Il membro del Comitato scientifico di “Italia decide”: «Non c’è un caso Palamara, il tema è la spartizione delle nomine e non basta la riforma del Csm per ridare indipendenza alla magistratura. Stop alla prescrizione? Incivile. E basta con la “paura della fi rma”»

GIUSTIZIA DA RIFARE, PARLA L’EX MINISTRA

Aldo Torchiaro Nella fotoAnna Finocchiaro,procuratrice al Tribunale di Catania fi no al 1987. Senatrice nelle fi le del Pd dal 2006 al 2018,è stata ministra delle Pari opportunitàdel governo Prodie ministra dei Rapporti con il Parlamentodel governoGentiloni

L’Associazione Italia Decide nasce nel 2008 per iniziativa di Giulia-no Amato e Luciano Violante, Pier Carlo Padoan e Anna Finocchiaro,

Alessandro Campi e Vincenzo Cerulli Irelli, Paolo De Ioanna, Giulio Tremonti, Gianni Letta. L’Associazione – che promuove an-che la Scuola per le Politiche pubbliche – opera come collegamento tra le istituzioni, la politica, le amministrazioni, le imprese e il mondo scientifico e culturale, «propo-

nendo analisi – si legge nel loro statuto – per la soluzione dei problemi di fondo del nostro Paese, per guardare al futuro attra-verso strategie di medio-lungo periodo». Tra questi problemi spiccano le difficoltà del sistema decisionale e la esigenza di raf-forzare la cooperazione tra pubblico e pri-vato a sostegno di uno sviluppo sostenibile. Presieduta da Alessandro Palanza, ex vice segretario generale della Camera, annove-ra nel Comitato scientifico nomi di gran-de peso. Tra questi, quello dell’avvocato Fabio Pinelli. «Va riformato l’abuso d’uffi-cio, limitando il perimetro e salvaguardan-do il decisore pubblico se vogliamo che la

P.A. torni libera di procedere speditamen-te nei suoi atti di indirizzo amministrativo», dichiara l’avvocato Pinelli al Riformista. E vogliamo impegnare la politica in un pro-cesso propositivo di riforme essenziali per una civiltà giuridica degna di questo nome. Qualche esempio? Lavorare sulla reputa-zione, perché oggi la compromissione re-putazionale è un danno irreparabile e non ancora doverosamente sanzionato dalla legislazione. E scongiurare la barbarie dei dispositivi captativi, i trojan, che devono valere solo ed esclusivamente per le per-sone che sono oggetto delle indagini. Non si possono utilizzare le intercettazioni nei confronti di persone terze, neppure iscrit-te nel registro degli indagati, perché rien-trano nell’ascolto delle persone indagate. E il trojan deve essere limitato unicamen-

NO A TROJAN E INTERCETTAZIONI, LE SFIDE DI ITALIA DECIDEL’avvocato Pinelli, membro dell’associazione:

«Captatori abusivi, vanno usati solo contro la criminalità»te per contrastare i reati di criminalità or-ganizzata, così come del resto previsto dalle Sezioni Unite che nel 2016 lo aveva-no ben specificato». Pinelli denuncia inve-ce un aumento progressivo degli ambiti di applicazione dei captatori. «L’ammissibili-tà delle intercettazioni va contenuta. Og-gi da ciascuna conversazione intercettata possono scaturire nuovi filoni di inchie-sta, e possono aprirsi fascicoli a ripetizio-ne infinita». Le proposte di Italia Decide mirano a for-nire indicazioni giuridiche sostanziate dal parere di esperti e provano a proporre un rimedio per le iniziative giustizialiste in corso. Con Bonafede a via Arenula, c’è da scommetterci, avranno un gran lavoro da fare. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Al. Tor.

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6 venerdì 5 giugno 2020

LA STRANA PARABOLA DI UN QUISQUE DE POPULO

Perché gli italiani si rispec-chiano nelle scarpe lustre di Giuseppe Conte? L’antro-pologia del Primo ministro,

uscito da un sorteggio e da una cate-na di amici di altri amici, va decifrata guardando gli italiani, non lui, come il dito e la Luna. Lui funziona come una macchia di Rorschach, il test di fi gu-re senza senso in cui ciascuno vede quel che vuole, cioè se stesso. Così forse si spiega la fortuna di Conte che placa i rari turbamenti delle coscien-ze del nostro popolo. Inoltre, è una garanzia di giustizialismo e di trojan nei telefonini. Agli italiani piace che gli altri siano intercettati. Le intercet-tazioni ardono i potenti immagina-ri come fascine del rogo. Cultura del diritto? Non pervenuta. Che roba è?Poi, la politica. La nostra società sembra averne abbastanza della po-litica, complicata come il bridge quando invece è più rilassante gio-care a rubamazzetto o ad asso piglia-tutto. Ricordate i grandiosi tempi dei grandi partiti con i congressi persino delle correnti? Le divisioni fra socia-listi? Le evoluzioni e le crisi fra i co-munisti? I dotti contorcimenti nella Dc? Persino la posizione intrigan-te dei missini di Giorgio Almirante? Ricordate De Mita passato alla sto-ria come “intellettuale della Magna

Grecia”, defi nizione di Gianni Agnel-li? O il primo Berlusconi con i dispe-rati tentativi di riformare la giustizia e il processo, gli scontri titanici tra i poteri blindati di quella magistratu-ra e la politica di allora? Tutto fi nito. Non solo la Terra è tornata piatta, ma l’orizzonte della politica è diventa-to puerile: il “Vaffa Day” lo capiscono tutti. I forconi, anche. Arrestateli tutti, è più facile. Sono tutti ladri, va sem-pre forte. E le Procure al potere rea-le sono consolanti come avere per portiere un secondino, con tutto il ri-spetto per i lavoratori del ramo. È an-che facile cadere nel luogo comune e dire che gli italiani sono fatti così, e segue il barzellettaio delle furbizie e delle scorciatoie. L’aveva capito Le-opardi nel suo reportage sul Carat-tere degli Italiani, l’aveva raccontato Manzoni con la Colonna infame, la peste e l’assalto ai forni; l’aveva testi-moniato il vero Pinocchio di Collodi, disavventure di un povero ragazzo

del popolo (un altro Renzo Tramagli-no, ma col naso più lungo) e ci met-tiamo anche la cinica confessione di Mussolini poco prima della fine, quando un giornalista americano gli chiese perché avesse inventato il fa-scismo: «Non l’ho creato io – disse spudoratamente - ma è nella natu-ra degli italiani alla quale ho aggiun-to solo la coreografi a. Se fossi nato in Inghilterra sarei un Primo ministro laburista». Gran faccia tosta, ma tutti sappiamo che nel sangue italico cir-cola questa voglia di farla fi nita con la politica, con le sofi sticherie, con la cultura che se non è divisiva e pro-blematica, che cultura è. Tutto dipen-de dalla natura umana ma, ci sembra, l’evoluzione politica e culturale si misura appunto nella distanza che il bipede Sapiens sa creare allonta-nandosi dalla natura. Il Neolitico fu il più alto momento di evoluzione per-ché gli umani scoprirono i vantaggi dell’organizzazione dei compiti, delle

norme, persino dei vizi e del quieto vivere. Ma il richiamo della caverna esiste sempre e l’Italia rappresenta-ta dal governo Conte è cavernicola, benché in doppio petto. La nostal-gia cavernicola si misura dal man-cato funzionamento delle garanzie a tutela della singola persona unica e irripetibile che ha bisogno di essere protetta da chi rotea la clava.Qualcuno dirà: e che c’entra Conte, che è un uomo così pacato, elegante e ragionevole, così verboso e ovattato, così ipnotico per stanchezza indot-ta? È vero, Conte non appare come un energumeno. Ma, peggio, è una fi gura debole: è la nuova macchia di Rorschach in cui ognuno vede i suoi inconfessati istinti soddisfatti. Già, il fatto che uno sconosciuto sia arriva-to al vertice di una liberal-democra-zia solo perché conosceva qualcuno (Bonafede) che conosceva qualcun altro (Di Maio) che lo porta in gita sul Colle per fargli apprezzare il pa-

norama, è un evento unico nella sto-ria delle democrazie di tutti i tempi. Il fatto poi che lo abbia saputo incarna-re senza fare una piega e neanche un plissé, e persino guidare due diver-se maggioranze espresse dallo stes-so Parlamento, una di estrema destra e una di estrema sinistra, agiterebbe qualsiasi mente normal-democrati-ca. Però, avete visto, funziona: piace al grillismo stradaiolo, ma anche agli eredi del Pci che non si sa che cosa vedono in lui, ma ci stanno pensando. La destra a tre punte separate di Sal-vini, Berlusconi e Meloni, non lo con-sidera un ingombro da rimuovere ma un governo con cui trattare nella fase della ricostruzione.Dunque, allo stato dell’arte di que-sto maledetto 2020, il soggetto pia-ce per tautologia, come nell’antico sketch di Vianello e Tognazzi al tem-po della TV in bianco e nero, basato sulla ripetizione di due sole battute: «Tu che ne dici?», «Io dico che pia-

ce». A ripetizione. Così la pigrizia ha preso il posto del tessuto interstizia-le della cultura, mentre il livello del-la pubblica istruzione si è adattato ai livelli sempre più banali e mediocri, sostenuta rigorosamente – la pigrizia

– da esibizioni di ignoranza crassa da parte di conduttori televisivi e di te-legiornali. Al popolo viene sommi-nistrata quasi quotidianamente una predica papale, una presidenziale e una conferenza stampa di Giusep-pe Conte, come elisir anestetico. La Giustizia più desiderabile? Manette a manetta. I detenuti non sono es-seri umani, ma neanche gli indagati o i sospettati, anche in via ipotetica. Chi, poi, debba essere sospettato, lo decidiamo noi e voi lo saprete at-traverso la pubblicazione pilotata di frammenti di intercettazione che scegliamo noi. Stampa e commenta-tori, come l’intendence di Napoleone, seguiranno. Anzi, ormai precedono. L’Italia del 2020, breve memo per gli analisti del futuro, era un Paese in-torpidito e abituato alla pappa fatta, politicamente parlando. La questio-ne dei diritti civili, per fare un esem-pio, può andare benissimo se si parla dell’America, ma non di fatti nostri. Decade, di conseguenza, l’uso dei verbi e dei tempi complessi. Non è

che Conte ignori il congiuntivo. Gli si è atrofi zzato il pensiero ipotetico. Il linguaggio collettivo unifi cato, nel frattempo, è cresciuto nel tono pia-gnone e omicida, ma con tanta soli-darietà ecosostenibile. Bonifi cato il campo delle questioni di principio abbandonate come iscrizioni egizie, Conte appare perfetto: loquace sen-za dire nulla che non abbia già det-to, fornisce indicazioni stradali per la scorciatoia. Il Covid-19 con l’infu-sione televisiva del Primo ministro usato anche come salvaschermo nei telegiornali ha sigillato il sarcofago della democrazia liberale, tanto che la mummia sembra che stia benissi-mo. Dal vetro, sembra quasi viva.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il successo di Conte, l’analcolico biondo

che fa dormire il mondoPaolo Guzzanti

Il premier è la macchia di Rorschach di un Paese che si trascina, che ama le semplifi cazioni e i predicozzi all’acqua di rose. Che dire di lui? «Io dico che piace». Come nel vecchio sketch di Tognazzi e Vianello che ripeteva ossessivamente la stessa battuta

La gente ne ha abbastanza della vecchia politica

complicata comeil bridge: Giuseppi

è “facile”, comeil rubamazzetto

Non è che non amii congiuntivi. È che i tempi

complessi sono decaduti e gli si è

atrofizzato il pensieroipotetico

In altoPaolo Guzzanti

A sinistraIl premier Giuseppe Conte

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7venerdì 5 giugno 2020

Renzi, fari puntati sulla giustizia: «Davigo dice bestialità, serve civiltà»

«La legislatura andrà avan-ti fino al 2023, la sua scadenza naturale» as-sicura Matteo Renzi

nella terrazza della galleria Borghe-se dove ha scelto di presentare La mossa del cavallo, il suo ultimo libro (Marsilio nodi). Nella sala accanto c’è il magnifico blocco marmoreo con cui Bernini raffigurò Enea, il padre Anchise sulle spalle e il piccolo Asca-nio, il paradigma artistico di quello che dovrebbe essere il patto sociale tra generazioni, ciascuno salva l’altro per salvare se stesso. La statua è an-che la copertina del libro perché “la mossa del cavallo” non è aver scan-sato il voto e aver impedito i “pie-ni poteri” a Salvini nell’agosto 2019 bensì, «senza smettere di piangere i morti», co- gliere nel post C o - vid «la

più grande occasione di crescita e cambiamento che questo paese ha avuto negli ultimi trent’anni». E per questa sfi da «non servono nuo-ve squadre di governo, allargamenti, rimpasti» bollate da Renzi come di-scussioni “secondarie”. Sempre che Conte riesca a scansare tre trappole pronte a scattare. L’uscita de La mossa del cavallo ar-riva, non a caso, quando l’Italia inizia la Fase 3, quella - in teoria - della ri-presa e della ripartenza. Renzi parla dopo che il Presidente della Repub-blica ha indicato nell’“unità mora-le” e nel “comune destino” che non possono appartenere né alla mag-gioranza né all’opposizione, l’unica modalità per ripartire insieme. Dopo che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il presidente di Con-findustria hanno parlato di «nuovo contratto sociale tra politica, impre-sa e lavoratori». Dopo che Silvio Ber-lusconi ha detto ok a «un tavolo con tutti a sedere». Dopo che il premier Conte mercoledì ha annunciato gli Stati generali dell’economia dove «le

migliori menti, le eccellenze oltre che i portatori d’interessi nei va-ri settori» potranno contribuire a progettare l’Italia post Covid e fi -nanziata da circa 300 miliardi in arrivo da Bruxelles tra Recovery

fund, Bei, Sure e Mes. Quello di Conte non è ancora un progetto. Non è nep-pure il libro dei sogni. È la lista del-le cose da fare, bloccate da sempre dalla politica e che ora solo la politica può sbloccare per trasformare la crisi in occasione. Conte ha riconosciuto agibilità politi-ca a Italia viva sui suoi temi - cantieri, opere pubbliche, famiglia, sanatorie per stranieri la-voratori, giustizia invece di giusti-zialismo, riaper-ture, scuola - e questo ha certa-mente contribui-to a stabilizzare la maggioranza. Ma chi non è sta-bilizzato è pro-prio Giuseppe C o n te . Pa r l a -mentari di minoranza, e sotto trac-cia anche parecchi del Pd, indicano almeno tre circostanze in cui il pre-mier, al quale viene riconosciuta “una resistenza da muro di gomma”, può rischiare di perdere lo scettro del

comando. Il primo: «Bruxelles darà i fondi solo sulla base di progetti ese-cutivi, reali mentre noi siamo ancora alla convocazione degli Stati generali dell’economia. Francia o Spagna fan-no gli Stati generali per decidere cosa fare?». Il secondo motivo è che Con-te non riesca ad affrancarsi da un Mo-vimento 5Stelle indebolito, senza più una vera guida né una linea politica.

«Il premier deve spezzare adesso le catene del giu-stizialismo, del no alle grandi opere, alla sem-plificazione…» è la richiesta che non da oggi gli è stata recapita-ta. Al momen-to è un continuo baratto: via Au-

tostrade, sì-forse al ponte sullo Stret-to (che non piace ai 5Stelle); riforma dell’abuso di uffi cio perché gli ammi-nistratori per non rischiare tengono tutto fermo e però più controlli an-timafi a. La terza circostanza che può

piegare Conte è quella più drastica: la crisi del lavoro e dell’economia. Ieri l’Istat ha registrato che causa Covid nel mese di aprile 274 mila persone hanno perso il lavoro a fronte di cir-ca 700 mila che neppure lo cercano (inattivi). A settembre rischia di es-sere peggio. Anche perché la Fase 1 e la Fase 2 non hanno ancora portato quel sollievo di cash previsto per fa-miglie e piccoli imprenditori. Il detonatore, infallibile, è già armato: i circa 300 miliardi (al netto del bazo-oka della Bce che ieri ha garantito la copertura nell’acquisto dei titoli fi no al 2022) destinati a Roma. Sono tan-ti soldi, quanti nessun governo ne abbia mai visti. Li faranno gestire a Conte? Non a caso il premier ha ras-sicurato: «I fondi Ue non sono il teso-retto di cui potrà disporre il governo di turno». E subito dopo: «Dovremo saper spendere bene questi soldi». Il punto debole. E il punto di forza di Giuseppi. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Claudia Fusani

Bruxelles darà i fondi solo sulla base di progetti esecutivi che ancora non esistono. C’è poi il fatto che il presidente del Consiglio non riesce davvero ad affrancarsi dal Movimento cinque stelle

In fotoMatteo Renzi, leader di Italia Viva

LA TENUTA DEL GOVERNO

in seguito a una polemica del magistra-to simbolo dei Cinque Stelle, Nino Di Matteo, noi non abbiamo avuto dubbi a schierarci in Senato dalla parte del mi-nistro, pronunciando parole chiare con-tro ogni forma di giustizialismo: «Se noi

troppo per la quale. «Tutto quanto gravi-ta intorno al tema della prescrizione è in-dicativo di un certo modo di intendere la politica e la comunicazione. E in tal sen-so Alfonso Bonafede è il simbolo di que-sto approccio. Ricordo perfettamente il momento in cui lo vidi con indosso la divisa della polizia penitenziaria in occa-sione dell’arrivo in Italia di Cesare Batti-sti. L’esposizione del corpo del detenuto in uno show di terza categoria non solo era un atto indecente, ma si accompa-gnava alla messa in mostra degli agenti di polizia penitenziaria – loro sì poten-zialmente esposti a un rischio concreto, solo per poter fare della comunicazio-ne da avanspettacolo – e addirittura al disvelamento video di un agente sotto copertura che avrebbe dovuto, per evi-denti ragioni, restare anonimo», appun-ta Renzi. Lui e Bonafede si sfidarono a Firenze, nel giugno 2009. L’allora candidato Ren-zi ne uscì con il 60% tondo dei consen-si, Bonafede portò a casa un magro 1,8%. «E tuttavia quando Bonafede - affonda ancora Renzi ne La Mossa del Cavallo

- elevato alla carica di Guardasigilli dal-la cultura giustizialista, ha provato sul-la sua pelle l’attacco del giustizialismo,

Negli scacchi il cavallo fa la mossa che spariglia, che non puoi aspettarti: perché fa due passi in una direzione e il ter-

zo di lato. E il libro di Matteo Renzi uscito oggi per Marsilio è così: parte come non ci si aspetta. Con l’uomo che tutti taccia-no di incontenibile boria che si presenta al lettore in trasparenza: «Ero l’uomo più potente d’Italia, non lo sono più», scrive Renzi. «Questo non mi ha procurato né depressione né nostalgia, ma insegna tanto, credetemi. Gli stessi che prima elemosinavano una parola, un sms, uno sguardo sono spariti. Centinaia di bene-fi ciati hanno ricevuto, osannato, adula-to, e poi, all’improvviso, si sono scoperti critici del giorno dopo. Davanti a questo, hai due possibilità: puoi lasciarti andare alla rabbia o imparare la canzone degli Oasis Don’t Look Back in Anger e sor-ridere al mondo». Quel sorriso diventa amaro quando toc-ca le corde della giustizia. «Per noi conta la giustizia, non il giustizialismo», tito-la il leader di Italia Viva. Che non lesina sconti e non va, recuperando il suo stile,

Aldo Torchiaro fossimo come lei, caro ministro, lei oggi andrebbe a casa, coperto di ridicolo. Ma per sua fortuna e per fortuna degli italiani noi non siamo come voi. Per noi conta la giustizia, non il giustizialismo».Nondimeno, quando Renzi presenta il

Alla presentazione del suo nuovo libro, “La mossa del cavallo”, il leader di Italia Viva pone al centro la sfi da al giustizialismocui dedica ampio spazio nel suo saggio: «Bonafede ha provato sulla sua pelle la gogna, ma al Senato ci siamo schierati con lui»

volume davanti ai giornalisti, alla Galle-ria Borghese, mette in chiaro: «Davigo dice bestialità giuridiche, va ricostruita una civiltà del diritto. Quando la magi-stratura svolge un ruolo politico, quello è un momento pericoloso per il Paese». E al Riformista che gli chiede di prescri-zione e riforma Csm, assicura: «Daremo battaglia. Ci faremo sentire. Ma il gover-no deve durare fi no al 2023». Ora rima-ne da scrivere la futura Mossa del Cavallo di Renzi e dei suoi: pungolare il gover-no Conte al fi ne di orientarlo, logorarlo quotidianamente dall’interno o al pros-simo casus belli, passata l’estate, creare l’incidente per farlo cadere? Nella gran-de partita a scacchi della politica occor-rono freddezza, strategia e tenacia. Che all’autore della Mossa del Cavallo non mancano. È invece mancata la certo-sina pazienza degli scacchisti provetti, che giocano partite lunghe, intermina-bili, con tempi dilatati. L’ambizione però non difetta. E Machiavelli, che Renzi ben conosce, diceva: «Dove c’è una gran-de volontà non possono esserci grandi diffi coltà». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ma il vero punto è la questione sociale ed economica: l’Istat ha

registrato come a causa del Covid 274mila persone

abbiano perso il lavoro

La crisi

I TRE OSTACOLI CHE POSSONO FAR CADERE IL PREMIER

In fotoUrsula von der Leyen

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stenibile. Per raggiungere questo obiettivo – continua – sfrutteremo anche le numerose opportunità of-ferte dalla rete Hubject, al fine di creare una vera autostrada elettri-ca che attraversi il Continente, con-ducendo gli europei fuori da questo periodo difficile e verso una so-cietà davvero aperta».La joint venture di e-mobility di Hubject è stata fondata nel 2012, coinvolge oltre 600 partner com-merciali e vanta 200mila punti di ricarica in tutto il mondo. Alle-go, Innogy e il Gruppo Bosch rap-presentano delle realtà leader nel

19.500 punti in Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi.«Enel X offre ai conducenti di vei-coli elettrici un’esperienza di ri-carica uniforme in tutta Europa senza doversi preoccupare di dove ricaricare i veicoli elettrici all’este-ro o di stipulare contratti con altri fornitori», spiega Francesco Ven-turini, Ceo di Enel X. «Abbiamo fi-nalizzato questo progetto in piena sicurezza e, guardando al futuro, continueremo a lanciare iniziative di eRoaming simili per promuove-re la ripresa economica attraverso il nostro modello di business so-

di ricarica di veicoli elettrici in tut-to il mondo.Il nuovo slancio alla mobilità soste-nibile è stato realizzato attraverso la connettività eRoaming assieme all’operatore olandese della rete di ricarica di veicoli elettrici Allego, a Robert Bosch GmbH e alla società tedesca Innogy. Nel quadro del-la piattaforma di mobilità elettrica Hubject, tale collaborazione con-sentirà agli utenti dell’app Juice-Pass di Enel X di ricaricare, senza dover stipulare nuovi contratti nel-le stazioni di ricarica gestite, dal-le tre società in una rete di oltre

Nuovo impulso alla mobilità elettrica da parte di Enel X, la business line di Enel dedicata allo sviluppo di

prodotti innovativi e soluzioni di-gitali che da anni stanno concor-rendo a rivoluzionare il settore energetico e il suo impiego nelle città, le case, l’industria e la mobi-lità. La società ha triplicato la rete di punti di ricarica pubblici di vei-coli elettrici in Europa. Dagli attua-li 10.500 già attivi si passa a oltre 30mila punti. Enel X conta com-plessivamente circa 100mila punti

fare, la green economy, la formazione permanente, l’istruzione e la ricerca, ecc.), sulla base non più di promes-se menzognere ma di precisi progetti transnazionali. Per farla breve, se sta al gioco, un Paese deve caricarsi di tutto il pacchetto: potrà ottenere ri-sorse preziose per la rinascita, con-cedendo in cambio sovranità (come scrisse Lorenzo Bini Smaghi all’inizio della discussione su quanto allora ri-guardava i cosiddetti “eurobond”). È illusorio, pertanto, ipotizzare un go-verno o anche una convergenza tra le principali forze politiche del Pa-ese. Entrare nella logica del Piano Marshall, made in Eu, significa par-tecipare a un salto di qualità dell’inte-grazione europea. Come i comunisti nel dopoguerra, di stretta osservan-za sovietica, non potevano accettare il piano Marshall che comportava la scelta delle libertà politiche ed eco-nomiche, della democrazia e dell’e-conomia di mercato, così i sovranisti nostrani ed europei dei giorni nostri sono costretti ad arrampicarsi su-gli specchi per sottrarsi alla trappola in cui si sono cacciati rilanciando di continuo nuove rivendicazioni verso Bruxelles nella speranza di incassa-re solo dei no. Salvini e Meloni si tro-vano nella stessa posizione del bullo che intima alla ragazza a cui ha dato un passaggio in auto un secco «me la dai o scendi»; e che viene messo in crisi quando riceve una risposta af-fermativa tanto da indurlo a discen-dere lui dall’auto e a fare ritorno a piedi. Conte ha una carta da giocar-si: cercare, nell’occasione degli Stati generali, un dialogo e un accordo con le parti sociali, che in fondo rimango-no, all’interno di una società liquida e scompaginata, degli interlocutori seri, rappresentanti di interessi reali - cor-rispondenti, nella loro sintesi, a quelli generali - e che non agiscono al so-lo scopo di imbonire l’opinione pub-blica per guadagnarne un consenso purchessia. © RIPRODUZIONE RISERVATA

sta (lasciamo l’ex generale Pappalar-do a recitare la comica fi nale vestito di arancione) Giorgia Meloni e Mat-teo Salvini non hanno torto. Sono coerenti con la loro strategia politi-ca che vedono in procinto di essere sconfi tta. Lo sforzo fi nanziario dell’U-nione (che raccoglie delle istanze po-ste dal nostro Paese, in precedenza neglette) non ha carattere congiun-turale (a queste fi nalità hanno prov-veduto i singoli Stati con le misure d’emergenza adottate e la Bce con l’acquisto dei titoli pubblici dei Paesi in maggiore diffi coltà); ma rappresen-tano una svolta di carattere struttu-rale che prima di essere finanziaria ed economica, è politica. La gestio-ne di un pacchetto di risorse - solo dal Next Generation Europe l’Italia si aspetta 172 miliardi nell’ambito del bilancio poliennale 2020-2027 di cui 81-82 miliardi a fondo perduto (il che non signifi ca “spendili come ti pare”, ma soltanto che non li devi restitui-re) - sarà rivolta verso obiettivi comu-ni, scelte di indirizzo innovative (le infrastrutture, i servizi, le nuove tec-nologie, le riforme dei sistemi di wel-

si convinse, sulla base di rapporti dei Servizi, che il vero obiettivo del pia-no Marshall consisteva nella creazio-ne di qualche organismo europeo che avrebbe facilitato l’interferenza degli Usa negli affari economici e politici dei Paesi europei. Alla fi ne prevalse, attraverso il Cominform, la direttiva staliniana, la quale, con riferimento ai partiti comunisti dell’Occidente, pro-clamava che «per far fallire il Piano Marshall sono necessari gli sforzi di tutte le masse democratiche europee antimperialiste (in Francia, in Italia, in Inghilterra, ecc. ndr)» a cui era affi da-to il compito di «sventolare la ban-diera della difesa dell’indipendenza e della sovranità del propri Paesi». Da quel momento cominciò la lotta con-tro «le conseguenze catastrofi che del Piano Marshall». Abbiamo già sugge-rito di usare cautela nei voli pindarici della Storia. Ma viene spontaneo giu-stapporre – magari a parti invertite e con altri protagonisti – le argomenta-zioni, persino le parole di allora con quelle che trasudavano, con toni più o meno volgari, dalle piazze romane del 2 giugno. Ma dal loro punto di vi-

per quei tempi) venne proposto dal segretario di Stato dell’Amministra-zione Truman, George Marshall. Taluni aspetti signifi cativi di quel pas-saggio storico sono descritti nel sag-gio di Elena Aga-Rossi e di Victor Zaslavsky Togliatti e Stalin (il Mulino, 1997). Gli autori ricordano che gli aiuti americani vennero offerti a tutti i Pa-esi europei, compresa l’Urss e gli Stati destinati a divenire, in un breve arco di tempo, satelliti di Mosca. Quelle ri-sorse facevano gola a molti governi di nazioni che dovevano curare le ferite umane e materiali determinate da un aspro confl itto che aveva attraversato i loro territori seminando morte e di-struzioni. L’Urss e taluni governi della sua area d’infl uenza (in particolare la Cecoslovacchia e la Polonia) presero parte ad alcuni incontri a livello inter-nazionale per discutere del Piano. E ovviamente questa linea di condotta del Paese-guida orientò un atteggia-mento di prudenza degli stessi parti-ti comunisti dell’area occidentale. In seguito all’inasprimento dei rappor-ti tra i Paesi vincitori della Seconda Guerra mondiale, il governo sovietico

Parlare di Stati generali - come ha fatto Conte impegnando-si a diramare la convocazio-ne - è sempre impegnativo. Il

pensiero corre a quell’episodio stori-co da cui prese avvio la Rivoluzione francese. Poi un secolo dopo venne - raffi gurato in un quadro - la rappre-sentazione del Quarto Stato. Vi erano sempre però dietro a quegli Stati un cumulo di interessi forti, che cerca-vano uno spazio di potere che gli era precluso. Oggi sono cambiati gli inte-ressi in campo e la loro stessa rappre-sentanza. L’esempio da seguire non è quello di convocare centinaia di per-sone (con il distanziamento sociale ci vorrebbe uno stadio) per prendere nota della Babele delle loro rivendi-cazioni. Il modello non può che esse-re le Grand Dèbat condotto, in prima persona, da Emmanuel Macron allo scopo di recuperare lo smarrimen-to dell’opinione pubblica dopo l’e-splosione della protesta dei gilet gialli. Agli Stati generali il governo deve por-tare una proposta. Che è negli eventi di questi mesi e si chiama Europa. Partecipando al War Room di Enri-co Cisnetto, Mario Monti ha fatto una considerazione importante che indu-ce a rifl ettere sul salto di qualità che il Paese è chiamato a compiere: «Que-sta volta – ha detto l’ex premier – il piano Marshall l’Europa se lo è fatto da sola». Ed è vero. Solo l’Unione, in un mondo sconvolto dalla crisi sa-nitaria, sta tentando di promuovere una via d’uscita e di ripresa attraver-so un’impostazione multilaterale che a livello globale non viene soltanto trascurata ma è addirittura combat-tuta apertamente dalla potenza a cui la storia, dopo il 1989, aveva offerto la guida dell’intero pianeta. È sem-pre sbagliato spiegare le cronache del presente con le storie del passato. Ma, a pensarci bene, ci sono delle analo-gie tra il pacchetto di misure (2400 miliardi) messe in campo, in una pro-spettiva poliennale dalle istituzioni europee e il Piano che nel 1947 (per un ammontare di 13 miliardi di dolla-ri tra il 1948 e il 1951, un cifra enorme

E-mobility, Enel X triplica i punti di ricarica Ue

Leghisti come i comunisti nel ‘47«No al Piano Marshall dell’Ue!»La svolta europea liquida la strategia sovranista

VELENI E SOSPETTI SUGLI AIUTI COME AI TEMPI DI STALIN

Giuliano Cazzola

A latoIl leader della LegaMatteo Salvini

settore dell’energia e dei servizi. La prima conta oltre 15mila pun-ti di ricarica pubblici nell’Unione Europea attraverso la piattaforma Hubject; Innogi circa 4.000; Bosch circa 550. Enel X, per il progetto, ha messo a disposizione un’infrastrut-tura pubblica di circa 10.500 punti di ricarica. Nell’ottica di favorire la mobilità elettrica e di decarboniz-zare il settore dei trasporti, la so-cietà prevede di ampliare la propria rete, tra pubblici e privati, dagli at-tuali 100mila punti a circa 736mila entro il 2022.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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9venerdì 5 giugno 2020

alla luce di quanto fatto da Trump.

Alla luce degli effetti che la pan-demia può e già sta determinan-do sul piano sociale, economico, occupazionale, l’Europa può es-sere anch’essa un vulcano pron-to a eruttare?Direi proprio di sì. L’Europa, non dimentichiamolo, è la sola regio-ne del mondo ad aver conosciuto la disoccupazione di massa per più di trent’anni e non ha ancora fi nito. A ciò va aggiunto che esiste un irri-solto problema di integrazione non solo sociale ma per molti versi so-prattutto culturale, dei nuovi im-migrati. E altro dato preoccupante è che l’Europa, come tale, non ha nessuna politica verso questa nuo-

va p o p o l a z i o -ne. Si continua a chiudere gli oc-chi: basta vede-re cosa accade in Italia e in Grecia.

Il sovranismo di Trump ha fatto proseli-ti in Europa. Quello di The Donald può ri-sultare un mo-

dello vincente anche qui da noi, in Europa?Più che emuli, gli adulatori euro-pei di Trump assomigliano sempre più a delle macchiette. Vede, Tru-mp può avere un sovranismo per-ché l’America è un grande Paese, una federazione di Stati. In Europa il sovranismo non esiste perché i Pa-esi “federati” nell’Unione europea non hanno sovranità. Per avere so-vranità occorrerebbe costruire una vera federazione europea, gli Stati

«Quello americano è un vulcano in ebollizione. E lo è perché la rivolta sempre più estesa de-

gli afroamericani è determinata da una serie di concause che vanno ol-tre la brutalità atroce di atti come quello di Minneapolis. Dietro la rab-bia innescata dall’uccisione di Ge-orge Floyd c’è un malessere sociale crescente, diventato insopporta-bile, di una parte della popolazio-ne americana, i neri, che ha pagato pesantemente, in termini di morti e di ghettizzazione, le conseguen-ze della folle gestione di Trump dell’emergenza Covid-19. Una ge-stione irresponsabile, che ha por-tato allo scoperto, tragicamente, ciò che ha prodotto lo smantella-mento di quella che resta, con tut-ti i suoi limiti, la più importante e progressiva riforma della presiden-za Obama: l’assistenza pubblica nel campo della sanità. Al momen-to della sua elezione, Trump aveva promesso che uno dei suoi primi atti presidenziali sarebbe stato la “sepoltura” dell’Obamacare. È sta-to di parola. E i risultati sono sot-to gli occhi di tutti». A sostenerlo, in questa intervista al Riformista, è uno dei più autorevoli economisti ed intellettuali europei: Jean-Paul Fitoussi, Professore emerito all`In-stitut d`Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma. È attualmente direttore di ricerca all’Observatoire francois des conjonctures economi-ques, istituto di ricerca economica e previsione, autore di numerosi sag-gi, l’ultimo dei quali è Il teorema del lampione. O come mettere fi ne alla sofferenza sociale (Einaudi).

Professor Fitoussi, l’America è attraversata da una rivolta degli afroamericani, ma non solo, che si estende a macchia d’olio e si radicalizza. Cosa c’è dietro que-sta rivolta a cinque mesi dalle elezioni presidenziali?L’estensione, la profondità, la ra-dicalità di questa rivolta è data da una combinazione di diversi ele-menti. C’è un problema “nero” che attraversa da sempre la storia de-gli Stati Uniti d’America e che non è stato risolto con la cooptazione dell’“aristocrazia” nera nell’establi-shment politico. Il secondo ele-mento è che quelli che sono stati più colpiti dal Coronavirus, in per-centuali pazzesche, sono stati pro-prio gli afroamericani. E sempre gli afroamericani sono i più colpiti dal-la crisi economica, dalla disoccu-pazione che la crisi pandemica ha moltiplicato. Questo “virus” sociale non solo non è stato debellato dal-la presidenza Trump, ma al contra-rio è stato rafforzato, reso ancor più pervasivo. Ecco perché l’America è un vulcano in ebollizione. E un at-to barbaro come quello commesso a Minneapolis ha ravvivato tutte le ferite del popolo nero. Mi lasci ag-giungere che Trump non è un feno-meno isolato, ma s’incardina in una

crisi di leadership che non riguarda solo l’America. Il problema essen-ziale, la grande “Questione” irrisol-ta è quella delle diseguaglianze. In una situazione di crisi la gente non ha più fi ducia nei Governi. I partiti e i leader populisti cavalcano que-sto malessere sociale, lo usano co-me arma da rivolgere contro gli “establishment”. In questo, Trump è fi glio dei tempi. Che certo non sono dei più felici”.

La minaccia di usare l’esercito contro i “ladroni della suburra”. Farsi immortalare con una Bib-bia in mano attorniato da mini-stri, tutti bianchi. Come si può leggere politicamente la rispo-sta di Donald Trump alla rivolta in corso?La risposta è, a mio avviso, molto semplice: Trump ha scelto di rap-presentare l’America bianca, infi-schiandosene altamente di provare ad essere il presidente di tutti. Negli Stati Uniti è avvenuto un cambia-mento profondo, specie nell’ultimo decennio: i neri votano democrati-co, i bianchi votano repubblicano. Ma se l’80% del voto dei neri era or-mai considerato un dato acquisito per i Democratici, il problema sem-mai era convincerli a votare in mas-sa, quello che ha segnato le ultime elezioni in particolare, è che una gran parte del voto dei bianchi si è indirizzato verso Trump. Si è tratta-to, come qualcuno l’ha defi nita, del-la rivolta dei “piccoli bianchi”, quelli che non sono stati favoriti dalla glo-balizzazione, una sorta di gilet gial-li americani, quelli che vivono tra le due coste, quelli che hanno su-bito il processo di deindustrializ-zazione e di desertificazione del territorio, delle città svuotate e so-cialmente distrutte come Detroit. Trump si gioca ancora questa carta: i bianchi contro i neri. E lo fa radica-lizzando ancor più le sue posizioni, portando ad un punto limite la sua immagine di presidente Law and Order. Trump non è una riedizione di Donald Reagan o dei Bush, pa-dre e fi glio. Semmai il suo modello è la “lady di ferro” inglese: Marga-ret Thatcher, ogni atto della quale era preso in funzione e a favore del-la “sua Inghilterra”, anche se questo voleva dire una contrapposizione durissima, quasi “militare”, con i sindacati. I Democratici americani, ma assieme a loro anche i progres-sisti europei, dovrebbero seriamen-te interrogarsi sull’aver lasciato ad un miliardario sovranista la ban-diera della critica ad una globaliz-zazione fi nanziaria che, per come è stata gestita o subita, ha incremen-tato le disuguaglianze sociali non solo tra i Nord e i Sud del mondo, ma all’interno stesso dell’Occidente industrializzato.

In un’intervista a Il Riformi-sta, Furio Colombo ha afferma-to, per l’appunto, che quella di Trump è stata la vittoria dell’A-

merica dei bianchi contro l’Ame-rica nera che aveva vissuto il suo momento di riscatto con la pre-sidenza Obama. Si dice che l’ex presidente sia oggi il vero regi-sta della campagna di Joe Biden, che fu peraltro suo vice alla Casa Bianca. Guardando con gli occhi dell’oggi, quale giudizio si sente di dare della presidenza Obama? Obama aveva suscitato entusia-smo evocando “Change” e “Ho-pe” e affermando che “Yes, we can”. Ha rispettato in pieno que-ste promesse?No, e non per sua colpa. Semplice-mente, non ha potuto. Per Obama “Change” non significava ritocchi, aggiustatine, ma costruire infra-strutture, migliorare il sistema di Welfare e questo, insisto, gli è sta-to impedito. E lo stesso discorso vale per “Hope”, perché Il potere di un Presiden-te in America non è assoluto, e Obama non ha potuto agire sul terreno crucia-le: la lotta alla di-seguaglianza. Se gli impediscono di riformare, e non solo “ritoccare”, il sistema di welfa-re, allora il cambiamento è minato. Obama ci ha provato in tutti i mo-di, e alcuni risultati importanti li ha ottenuti: l’“Obamacare”, permetteva agli americani di possedere le loro case nella crisi fi nanziaria. E a con-to positivo c’è da mettere anche il piano di rilancio dell’economia Usa che ha dato importanti risultati in termini occupazionali. Questi me-riti gli vanno riconosciuti, tanto più

Uniti d’Europa. Per provare ad esi-stere come attore protagonista in un mondo globalizzato, l’Europa deve mettersi in condizione di decide-re. Quello che non è più derogabi-le è una vera riforma strutturale non tanto e non solo sul piano economi-co, quanto su quello delle istituzio-ni e del Governo europei. Un solo esempio: una riforma strutturale si-gnifi ca che l’Europa non si regge più su un’unica “gamba fi scale”, la Bce, ma fi nalmente adotta un titolo pub-blico sul debito e sugli investimen-ti: quel titolo sono gli Eurobond. Se non si fa questo, ricominceremo dal tempo della crisi e dal debito sovra-no. È ridicolo pensare che oggi il singolo Paese europeo possa avere la sua sovranità come prima.

Professor Fitoussi, per chiudere con l’America. Tra cinque mesi si vota per decidere chi sarà il nuo-vo inquilino della Casa Bianca. Joe Biden può farcela? Il candi-dato dei Democratici ha il pro-filo giusto per compiere questa impresa?Biden può battere Trump, ma non direi che sia un candidato forte. I Democratici non hanno trovato un candidato tipo Obama. Se riuscirà a spuntarla, è perché la maggioran-za degli americani, una maggioran-za che deve essere ben distribuita nei vari Stati vista la legge elettora-le vigente, è stanca, delusa, arrab-biata verso Trump, soprattutto per come ha gestito, con incapaci-tà e violenza, la crisi pandemica.© RIPRODUZIONE RISERVATA

FITOUSSI: «DOPO LE RIVOLTE USA, L’EUROPA PRONTA A ESPLODERE»

«Dietro la rabbia innescata dall’uccisione di George Floyd c’è un malessere sociale crescente, diventato insopportabile. La gestione del Covid da parte di Trump è stata folle e l’hanno pagata i neri»

INTERVISTA ALL’INTELLETTUALE FRANCESE

Umberto De Giovannangeli

«Su di noi pesa la disoccupazione

di massa che non è ancora

fi nita e la mancata integrazione»

In altoL’economista francese Jean-Paul Fitoussi

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Nel libro si trova poi un utile accen-no alle innumerevoli fallacie dell’ar-gomentazione, autentici tranelli del ragionamento, che ci impediscono di procedere logicamente in una di-scussione. Sul processo: in una in-tervista Carofi glio ha osservato che il pubblico ministero non deve ritener-si arbitro del bene e del male e nean-che giudicare. Il suo è un compito più tecnico. E nel romanzo leggiamo che l’accusa non può limitarsi a propor-re, tra due storie, quella più probabi-le. L’onere della prova è interamente a carico dell’accusa, dunque questa deve proporre l’unica spiegazione accettabile (non possono esserce-ne altre), per superare lo scoglio del dubbio ragionevole (che può invece essere invocato dalla difesa anche solo prospettando una spiegazione

possibile). Sante parole. Carofi glio ha fatto e fa politica, ma di questa ci of-fre una versione saggia e, forse, l’uni-ca accettabile: «Cambiare il mondo è, nella migliore delle ipotesi, un risul-tato preterintenzionale delle nostre azioni». Saperlo predispone a misu-ra e prudenza.Infi ne, sono debitore a Carofi glio di una meravigliosa citazione sul fat-to che non ci si rassegna alla morte. Non è di Elias Canetti (pure presente in queste pagine) ma di Mastroianni: «Mi piace cenare con gli amici. Allora perché devo morire?».© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dire che la verità è ambigua non si-gnifica aspirare all'ambiguità, ma solo riconoscere il tragico della vita (che consiste nel fatto che ognuno ha le sue ragioni). L’uccisione di Bin La-den è stata un omicidio doloso o un atto di giustizia sostanziale? È leci-to torturare un terrorista per farsi ri-velare dov’è una bomba che sta per esplodere? Il diritto si intreccia con la rifl essione etica: si dedica un am-pio spazio all’esperimento mentale del “dilemma del carrello”, di Philip-pa Ruth Foot. La capacità di trova-re le risposte ai confl itti si basa sulla capacità di convivere con l’incertez-za, con l’opacità del reale. (una “ca-pacità negativa” per il poeta Keats).

Nei confronti dell’ultimo ro-manzo di Gianrico Carofi-glio, La misura del tempo(Einaudi, Stile Libero) can-

didato al premio Strega (probabil-mente il favorito, accanto a Veronesi), ho un accordo totale sul piano eti-co-fi losofi co e un atteggiamento più tiepido sul piano letterario. Provo a spiegarmi.La scrittura non è il suo punto di for-za. In una intervista ha sottolineato che la scrittura è «andare nelle zone d’ombra», ma ho l’impressione che la lingua di questo libro, pure educata, sobria, affabile, non costituisca in sé un mezzo conoscitivo. Nella pagina di un romanzo, poniamo, di Calvino o di Gadda (due esempi alti, comun-que stilisticamente agli antipodi) ci sono delle parole e espressioni che si accendono - aggettivi inconsue-ti, accostamenti verbali sorprenden-ti -, e ancora metafore, similitudini, ossimori, etc. che suggeriscono una prospettiva altra, straniata da cui mettersi per guardare le cose. Nel loro caso lo stile, lievemente o for-temente deviato dalla “norma” ac-cettata, ci permette di esplorare la realtà. Ogni romanzo è anche una straordinaria avventura dentro la no-stra lingua. Non così Carofiglio (se a qualcuno manca l’aria, nel suo li-bro, sarà inesorabilmente «come per un pugno allo stomaco»...), e nem-meno Camilleri, con il suo dialetto stucchevole da esportazione. E non si tratta solo di genere. Non ho nul-la contro la letteratura di genere, che soddisfa anzitutto legittimi bisogni di intrattenimento (certamente Ca-rofi glio, Camilleri, Lucarelli, Carlotto, Manzini, etc. sono eccellenti artigia-ni). Oltre al fatto che il noir o crime story è stato ampiamente sdogana-to: si pensi a Gadda e Sciascia (con i loro gialli senza soluzione, che pure esasperano l’appassionato del gene-re), a Fruttero & Lucentini (che non amo particolarmente), o fuori dei no-stri confi ni ai Dürrenmatt, Simenon, Chandler. E anche se poi gli autori di gialli - uso il termine impropriamen-te come sinonimo di noir - un com-plesso di inferiorità ce l’hanno, visto che nelle interviste citano sempre come “giallisti” Eschilo, Shakespeare, e perfi no l’autore della Bibbia (Abele e Caino o la fanciulla e i vecchioni...). Ma, ripeto, nessun pregiudizio nega-tivo: i guai cominciano solo quando

Carofi glio, lezione di dirittoma la letteratura è altra cosa La lingua educata e sobria: ma vi ricordate Calvino? Filippo La Porta

Al centroLo scrittore Gianrico Carofi glio, autore di “Testimone inconsapevole” (2004), “La regola dell’equilibrio” (2014) e “La misura del tempo” (2019)

la letteratura di genere mostra ambi-zioni troppo alte o quando anche la cosiddetta letteratura d’autore viene percepita come mero intrattenimen-to («Ho letto la Metamorfosi di Kafka: carino...»).E ora passo invece, per usare un lin-guaggio giudiziario, alla “difesa” di Carofi glio. Per Pasolini la “forma” di un romanzo non è solo la lingua, ma anche i personaggi. Nella Misura del tempo l’io narrante, l’avvocato Guido Guerrieri - che accetta un caso diffi -cile (la difesa del fi glio di una antica amica, Lorenza) - appare ben inciso, con una psicologia defi nita e insieme sfuggente, ricca di interessanti con-traddizioni. La sua percezione del

tempo avvolge ogni evento, e viene descritta con un linguaggio preciso. Ed è proprio lui l’asse del romanzo, ciò che cattura il lettore ancor più del brio narrativo. Ma accennavo ad una adesione più profonda. Tutto il ro-manzo è una apologia della letteratu-ra e una critica a certo giustizialismo che ha smarrito le proprie ragioni. Guerrieri pensa che un giurista do-vrebbe passare il tempo a leggere buoni romanzi, a vedere buon cine-ma e buona televisione, a «nutrirsi di buone storie», poiché l’arte del rac-conto ci ricorda che non esiste mai «una sola risposta di fronte ai dilem-mi umani. Essi sono inevitabilmente ambigui».

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Lo scrittore, che è un ex magistrato, in una intervista ha osservato che il pubblico ministero non deve ritenersi arbitro del bene e del male e neanche giudicare. E nel

romanzo leggiamo che l'accusa non può limitarsi a proporre, tra due storie,

quella più probabile

Il processo

"LA MISURA DEL TEMPO" TRA I FAVORITI DELLO STREGA

Page 11: Venerdì 5 giugno 2020 · Anno 2° numero 111 · € 2,00 · www ...Il Palamara-gate ha spezzato la fi ducia nello Stato. Serve un nuovo patto tra cittadini e giustizia (come nel

11venerdì 5 giugno 2020

La situazione è drammatica. Il Pil è in cadu-ta libera, i consumi pure, gli investimenti neanche a parlarne. Defi cit alle stelle così come il debito. Il Paese è sull’orlo del bara-

tro e della rivolta sociale. E di fronte a tutto questo che fa il presidente del Consiglio Conte? Comuni-ca che convocherà gli Stati generali dell’Economia, per ascoltare le idee e le proposte delle parti socia-li e delle menti più brillanti. Ottimo intendimento. Ma è davvero il momento di fare queste ammuine, di convocare 20, 30, 40, 50 interlocutori nella Sa-la verde di Palazzo Chigi per sentire le loro grida di dolore? Abbiamo bisogno di effettività, di riforme, di con-cretezza, abbiamo bisogno del Parlamento, di coesione politica, quella invocata più volte dal pre-sidente della Repubblica Sergio Mattarella. Abbia-mo bisogno di un patto economico e sociale come richiesto dal governatore della Banca d’Italia Visco; abbiamo bisogno di una visione comune, come in-dicato in un suo recente intervento dal leader del Pd Zingaretti e come, sempre sul Corriere della Se-ra, ha detto due giorni dopo, con altrettanta deter-minazione e chiarezza, il presidente Berlusconi. Di fronte a tutte queste richieste, grida d’allarme sul dramma che sta vivendo il nostro Paese, il presi-dente Conte risponde con una conferenza. Dicia-mocela tra di noi: se gli Stati generali fossero una cosa seria ci vorrebbero due o tre mesi per orga-nizzarli, ma se aspettiamo 2 o 3 mesi le imprese italiane sono già morte. Se invece sarà una riunio-ne così, organizzata all’impronta, non servirà certa-mente a niente. Se non a fare confusione e perdere tempo.Venga in Parlamento, il presidente Conte, a dire cosa vuol fare e a cercare la coesione e la conver-genza sul Piano Nazionale delle Riforme, sulla leg-ge di Bilancio da anticipare entro l’estate, sui nuovi

decreti, sui disegni di legge delega per le riforme, sui collegati alla Legge di bilancio. E venga in Par-lamento a chiedere un altro discostamento, che il centrodestra sarà prontissimo a votare, se coinvol-to nella visione comune sul futuro del Paese. Ma “a gratis”, come si dice, non ci sarà nessun voto favo-revole del centrodestra su un terzo discostamento. Abbiamo già dato appoggio a due discostamenti votandoli, e il secondo con voti determinanti al Se-nato, in cambio di niente. E poi Conte chiarisca una volta per tutte cosa vuol fare del Mes, del fondo Salva-Stati, di questi 37 mi-liardi, che sono gli unici, al pari delle risorse della Banca Europea per gli Investimenti, disponibili da subito.Relativamente ai primi tre pilastri, il Mes ha una do-tazione pari al 2,0% del Pil dell’Eurozona; mentre sono pari a 100 miliardi le disponibilità per il Sure e 200 miliardi la dotazione complessiva per la Bei. Per l’Italia, le risorse potenzialmente a disposizio-ne sono pari, dunque, a quasi 100 miliardi euro: 37 miliardi dal Mes, 20 miliardi dal Sure e circa 35-40 miliardi dalla Bei. I fondi del Mes sono dei presti-ti da utilizzare esclusivamente per spese sanitarie dirette e indirette, quelli del Sure sono anch’essi dei prestiti da utilizzare per le politiche di salvaguardia occupazionale, quelli della Bei prestiti per la mo-dernizzazione delle imprese. Come noto, lo strumento che più ha destato po-lemiche è il Mes, il famoso fondo “Salva-Stati”, già utilizzato per risolvere la crisi greca e cipriota, che tanto ha allarmato la componente sovranista di maggioranza e opposizione. Lo strumento è vi-sto, infatti, come un cavallo di Troia per far entra-re la Troika (Ue, Bce e Fmi) in Italia, per assumere il controllo della nostra economia e delle nostre im-prese attraverso il paradigma ricattatorio “soldi in cambio di commissariamento”, anche se utilizza-to nella forma “light” stabilita dall’ultimo Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo. A noi sembra che ci sia stata una interpretazione

molto ideologica del Mes, sia da parte dei sovra-nisti che l’hanno avversato, sia da parte (anche se non nella stessa misura) degli europeisti che l’han-no invocato, senza prima aver visto i dettagli. La domanda che vogliamo porci, una volta per tutte, è la seguente: a prescindere dalle visioni ideologiche, il Mes, a livello meramente fi nanziario, conviene? Per dare una risposta defi nitiva a questa domanda bisogna considerare due variabili: il costo dell’ope-razione e la velocità nell’avere a disposizione i fon-di. In ogni caso, la comparazione deve essere fatta con l’opzione alternativa, ovvero quella dell’indebi-tamento “autoctono”, da parte del nostro Governo, sul mercato dei titoli di Stato. Il prestito Mes do-vrebbe quindi essere paragonato con l’operazione di emissione di un Btp di durata analoga. Innanzitutto, una constatazione. Il prestito Mes è a costo zero. Come reso noto dal Mes stesso, infat-ti (per questo si legga la pubblicazione Out of the Box: A new ESM for a new crisis, fatta dal Mes stes-so sul suo sito), il rating elevato (AAA) permette all’istituzione di indebitarsi a 10 anni ad un rendi-mento pari al -0,05%. Per venire incontro alle esi-genze della crisi, il board del Mes ha, inoltre, deciso di tagliare le commissioni up front, dallo 0,5% al-lo 0,25%. Il tasso d’interesse marginale è anch’esso stato ridotto dal precedente 0,35% all’attuale 0,1%. Quindi, facciamo due conti sul retro di una busta. Se l’Italia chiede un prestito di 10 anni, i costi to-tali del Mes si aggireranno intorno allo zero. Se la richiesta è per un prestito di 7 anni, allora il costo totale del fi nanziamento, incluse le fees, è negati-vo, pari a circa -0,15%. Un tasso negativo signifi ca che all’Italia sarà restituito parte del denaro preso a prestito. È come se il Mes pagasse all’Italia una tas-sa per avere il prestito. Sembra assurdo, ma queste sono le condizioni dei mercati finanziari attua-li, per effetto della politica di tassi negativi decisa dalla Bce. Questo è ciò che rende lo strumento di sostegno alla crisi pandemica molto attraente. Ri-cordiamo, a titolo comparativo, che attualmente il

rendimento sul Btp decennale italiano si aggira at-torno all’1,6% sul mercato secondario. Certamente, il prestito andrà poi restituito negli anni. Per farlo, il Governo dovrebbe indebitarsi per reperire le ri-sorse e le condizioni di mercato che ci saranno nei prossimi 10 anni sono impossibili da predire. Ma potrebbe trovare le risorse anche nel maggior get-tito a disposizione che si genera nel caso, sperato, che l’economia si riprenda. Se poi anche l’infl azio-ne dovesse tornare a crescere nel prossimo decen-nio, ipotesi del tutto realistica, il costo del debito, per via dell’effetto Fischer, in termini reali, si ridur-rebbe drasticamente. C’è poi un’altra considerazio-ne da fare. I soldi del Mes sono già a disposizione. Nel caso il Governo decidesse invece di fi nanziar-si sui mercati, il Tesoro dovrebbe immediatamente emettere nuovi titoli di Stato per 37 miliardi, ripro-grammando tutta la sua strategia di funding per l’intero anno. Una operazione impossibile da rea-lizzarsi in poche settimane. Questi riportati sono dei meri calcoli fi nanziari, le famose “carte sul tavolo” che il premier Conte vo-leva vedere. Ora che le ha viste e che quindi può valutare i costi delle sue alternative, deve prende-re una decisione. Immediata, perché, come dice-vamo, la richiesta dei fondi Mes va fatta subito per avere le risorse in tempo utile, prima che sia trop-po tardi. Le carte adesso ci sono tutte, le decisioni ancora no.Non si va lontano mandando la palla in tribuna. Non si mostra leadership in un momento dram-matico come questo lavandosene le mani e rin-viando tutto alle decisioni del Parlamento. Non decidere subito per il Mes, da parte del Governo Conte, equivale a dichiarare la propria impotenza politica di fronte all’emergenza economico-fi nan-ziaria. E l’impotenza politica, in questo momen-to, signifi ca crisi di maggioranza, crisi di Governo. Senza credibilità nei confronti del Paese non si va da nessuna parte. O meglio, si va a casa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Cosa rimane de “La Bestia” di Salvini Matteo e soprattutto del suo attenden-te con compiti di agit-prop, il deferente Morisi Luca? La sensazione che tutto si

sia inabissato come un ippopotamo, se solo que-sti ultimi non meritassero d’essere associati alle piccinerie del sovranismo populista. O almeno così è sembrato a noi. S’intuisce però un possibi-le risveglio, dove la crisi economica svolge la sua parte. Vittorio Gassman ne L’audace colpo dei soliti ignoti, quando gli viene chiesto di mostra-re prontezza di spirito, pronuncia esattamente: «Nun se dorme su la fregna», antico adagio da romani scafati e gagliardi. Che stia accadendo proprio questo a Morisi e colleghi? Ignoro dove siano con precisione domiciliati i responsabi-li della centralina di propaganda del “Capitano” (sono gli attendenti ad appellarlo così, suggeren-do visioni da palazzina comando frequentata da “Il Tromba”), tuttavia, proseguendo con il lessico

militare, pare davvero stiano “battendo la fi acca”. Assodata la percezione della loro assenza appa-rente, per saperne di più, getto un amo nella rete social accompagnato da una implicita nota: chi li ha (più) visti? Lancio e attendo pazientemente le risposte, nel frattempo torna in mente una foto dove l’intera squadra bestiale, outfi t da applicati di segreteria, sciarpa con nodo a cappio, si mo-stra orgogliosa insieme al Superiore durante una sosta dal lavoro, il pollice sollevato nel gesto che fu di Guido Angeli, faccine tutte identiche, picco-li uomini medi, in tutto medi, compreso il fi glio dell’attuale presidente della Rai, Leonardo Foa.Tra le risposte ricevute ne scelgo appena tre: «È sotto la lente per possibile abuso delle risor-se pubbliche», e ancora: «Credo abbia rallenta-to i propri ritmi essendo stata istituita durante il lockdown la commissione parlamentare sul-le fake news». E ancora leggo che il Viminale ha tagliato una ingente spesa di 500mila euro che serviva per fi nanziare proprio La Bestia: si trat-tava degli stipendi dei suoi collaboratori, segue un elenco dettagliato delle singole retribuzioni

per ogni addetto alla comunicazione; per amore d’eleganza e stile eviteremo di riportare il detta-glio. Miserie spicciole, molto meglio fare caso al-la narrazione antropologica, datemi retta.Di sicuro, l’arrivo della pandemia gli ha tolto di bocca, sia pure temporaneamente, il tema cal-do dei migranti parassiti, la ringhiosa e tatuata propaganda d’ogni razzismo rionale, perfetta per istigare a un presunto orgoglio xenofobo, il tipico prêt à porter della destra che voglia rifarsi al na-zionalismo, non certo quello di Luigi Federzoni che confl uirà nel fascismo mussoliniano, sem-mai quell’altro di zio Lino, risentito per avere pa-gato quattro euro una Fanta al chioschetto sotto la Tour Eiffel. Addolora semplifi care così il discorso, come fa-rebbe altrove una Selvaggia Lucarelli, ma pur-troppo il contesto temiamo sia proprio questo, e nel pensarlo vengono in mente i volti di molte fi nte bionde dallo sguardo carnivoro, pura cele-ste nostalgia dell’eterno fascismo in Smart, vi-stosi orecchini, pomeriggi in palestra, tatuaggi suprematisti, tra leggenda gotica e simboli tan-

trici, il pinscher come amuleto. E vi scongiuro, nessuno accenni ai consensi del-la Lega in picchiata, e Salvini costretto anche lui a indossare gli occhiali da moderato tributarista, e Zaia pronto a scaldarsi, resta che il carburante subculturale della destra leghista razzista identi-taria non può che nutrirsi dei suoi abituali succhi gastrici di livore pop, se così non fosse bastereb-be un Berlusconi Silvio, o il suo prestanome, per coagulare una decorosa area, come dire, mode-rata, conservatrice in senso liberale. Suscita qua-si un senso di lutto non rivedere il Salvini Matteo che impugna un fucile mitragliatore su sugge-rimento proprio del Morisi Luca o addirittura a cavalcioni sulla bomba fi ne-di-mondo come il personaggio del maggiore T. J. “King” Kong nel fi lm Il dottor Stranamore. Parafrasando i fonda-mentali della gastroenterologia, appena men-zionati insieme ai suoi succhi, l’alfa da cui tutto ciò ha avuto inizio, sappiate che l’orrore è anco-ra pienamente lì, sottotraccia, a fermentare. Nun se dorme su...© RIPRODUZIONE RISERVATA

Gli Stati generali sarebbero un’ottima cosa se si potessero dedicare agli incontri con gli esperti due o tre mesi. Ma di lì ad allora molte aziende potrebbero essere già morte. Invece di perdere tempo, il premier cerchi il supporto del Parlamento

Che fi ne ha fatto Luca Morisi? Lo chiedo un po’ sui social, ma la risposta è banale. Meglio attenersi all’osservazione antropologica. E allora si capisce che il popolo a cui i sovranisti parlano è ancora lì sottotraccia

Il Paese affonda, Conte fa ammuina: se vuole le riforme le discuta in Aula

La Bestia di Salvini batte la fiaccaMa attenti: quella cultura è viva...

INTERVENTI

Renato Brunetta

Fulvio Abbate

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Se amite stesso...

Se amila tua città...

Se amila tua nazione...

Se amila tua famiglia...

Se amii tuoi amici...

Fermiamo il Coronavirus tutti insieme!

NELLA FASE 2 CONTINUA A OSSERVAREIL DISTANZIAMENTO SOCIALE.

È L’UNICO RIMEDIO CERTO CHE HAIPER PROTEGGERE TE STESSO E I TUOI CARI.

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Il Consiglio comunale di Napoli ha scritto l’ ennesima, bruttissima pa-gina per la città. Partiamo da un dato

inconfutabile: il consesso civico non ri-esce a svolgersi per mancanza del nu-mero legale, è già accaduto un’infi nità di volte. Il sindaco Luigi de Magistris è, ormai da due anni, privo di maggio-ranza e la Giunta non riesce a far ap-provare i provvedimenti proposti. Una paralisi politico-amministrativa totale che penalizza e umilia la città, già se-gnata dall’emergenza-Covid, e la con-danna a un’insostenibile agonia. Del tutto evidente come tali calcoli risulti-no totalmente estranei agli interessi ed al destino della città. I Cinque Stelle si dichiarano da sempre all’opposizione, tale è anche la posizione di Italia Viva, rappresentata da tre consiglieri. Ricor-do che de Magistris è stato protagoni-sta di polemiche, anche scurrili verso il leader di tale movimento Matteo Ren-zi, quando questi era premier. Il gruppo “La Città”, rappresentato sempre da tre consiglieri guidati da Diego Venanzoni, si dichiara fi eramente alternativo al sin-daco. Ebbene, nonostante l’opposizio-ne all’amministrazione in carica conti ormai 22 consiglieri, non riesce a trova-re la sintesi e l’unità indispensabili per porre fine alla travagliatissima e ora-mai inconcludente parabola del sinda-co arancione. Esaminiamo con ordine le posizioni dei diversi gruppi consilia-

ri che potevano, fi rmando il documen-to di contestuali dimissioni, decretare la decadenza del sindaco e che si sono invece sono sottratti. I Cinque Stelle fi r-marono già alcuni mesi fa l’atto di sfi du-cia a de Magistris. Che cosa è cambiato da allora? Nulla, le diffi coltà nell’azio-ne amministrativa si sono al contrario drammaticamente amplificate, tanto che lo riconoscono gli stessi rappre-sentanti grillini al Comune. Ancor più paradossale e incomprensibile il die-trofront del neonato gruppo “La Città”, composto dal citato Venanzoni e dal-le consigliere Giova e Quaglietta, che hanno lasciato il Partito democratico perché “troppo tenero e acquiescente” verso de Magistris. Ebbene, i democrat assumono l’iniziativa, attraverso il do-cumento di dimissioni, di sfi duciare il primo cittadino e Venanzoni and com-pany che cosa fanno? Si sfilano. Stu-pefacente, davvero. La scelta di Italia Viva appare altrettanto illogica. Ormai critica e distante dall’amministrazio-ne, evita la scelta delle dimissioni con-sentendole di continuare a galleggiare. L’impressione che si ricava è quella di un ceto politico interessato al picco-lo cabotaggio, alla conservazione del-lo scranno in Consiglio e all’esigenza, per quanti sono interessati alla candi-datura alle regionali, di poterla gestire da Via Verdi o di assicurarsi un paraca-dute alle prossime elezioni comunali.

segue a pagina 14

Lo street artist napoletano Jo-rit Agoch ha omaggiato George Floyd, il 46enne ucciso a causa

dell’intervento violento della polizia a Minneapolis. Come? Con un gran-de murales su un tetto nel quartiere di Barra, a Napoli est, in cui sono raf-fi gurati i principali attiviti afroameri-cani. Leggi su ilriformista.it

Quaranta scatti inediti del regi-sta e attore romano Carlo Ver-done saranno esposti al Museo

Madre di Napoli in occasione de La Milanesiana. Il prossimo 30 luglio, in occasione dell’opening, il museo napoletano ospiterà un incontro tra Verdone e Paolo Mereghetti. Leggi su ilriformista.it

Jorit omaggiaGeorge Floydcon un murales

Gli scatti ineditidi Verdoneal museo Madre

ALL'INTERNO

Bruno Buonanno a pag 14

La Regione fa la spesacon i soldi del Governo

La sanità

a pag 15

Orari e comunicazioniLite avvocati-Tribunale

La giustizia

DE MAGISTRIS È FINITOMA QUEL VOTOUCCIDE PURE NAPOLI

L’intervento A che serve prolungare questa agonia?

Parte dell’opposizione ha risparmiato la sfiducia al primo cittadinoI consiglieri hanno salvato il posto ipotecando il futuro della comunità

ilriformista.it Venerdì 5 giugno 2020

Il ricordo

La mostra

L’allarme Sempre più detenuti decidono di farla fi nita

IL GARANTE: TRE CASI NEGLI ULTIMI SEI MESIIN CAMPANIA È BOOM DI SUICIDI IN CARCEREViviana Lanza

Dei 21 casi di suicidi in carcere registrati negli ultimi mesi in Italia, tre si sono verifi cati in penitenziari della Campania. E il dato è an-cora più preoccupante se si pensa che, nel 2019, i gesti estremi in

cella sono aumentati del 41 per cento e almeno un detenuto su 900 ha tentato di togliersi la vita perché esasperato dalle condizioni della de-tenzione. A denunciarlo è Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania, secondo il quale “il carcere non può togliere la libertà e anche la vita” e, nei penitenziari, servono altre fi gure sociali oltre quelle “classiche” degli educatori. Il Riformista vi racconta le storie degli ultimi tre reclusi suicidatisi nelle carceri della Campania. a pag 15

S aranno 66 gli studenti federi-ciani premiati quest’anno nel corso della manifestazione

“Buon Compleanno Federico II”. Og-gi alle 11.30 il rettore Arturo De Vivo inaugurerà l’evento con il ministro Gaetano Manfredi che per la prima volta tornerà nell’ateneo che ha di-retto per anni. Leggi su ilriformista.it

Festa virtualeper i 796 annidella Federico II

“Cos’hai di pronto? Mandami un elenco di progetti fi nanziabi-li e vedrò cosa posso fare…”.

Non so se sia esattamente ciò che De Luca, attivissimo gestore del banco-mat regionale, ha detto a de Magistris durante il loro ultimo incontro istitu-zionale, quello precedente la rottura sugli orari della movida. Ma presumo lo sia dall’elenco che dopo qualche giorno il sindaco ha inviato al gover-natore. Probabilmente, sapete già qualcosa in merito, sebbene, giusta-mente, i giornali non abbiano dedica-to molto spazio alla cosa. Ma vi invito in ogni caso a dare un’occhiata a que-sta singolare lista della spesa. Dopo averla letta, ancora disorientato, mi sono fatto queste domande. È dun-que così che Comune e Regione in-tendono “riprogettare” Napoli, cioè la terza città d’Italia, dopo il lockdown e nel vivo dell’emergenza socio-sa-nitaria? Sono queste le priorità e le massime aspirazioni? Possibile che, mentre altre città si pongono obietti-vi di tutt’altra natura, alcuni di porta-ta sicuramente strategica riguardanti l’assetto urbanistico e la nuova iden-tità da costruire dopo la crisi, qui tut-to si riduca a una sorta di “a fra’, che te serve?”. Da una parte. E, dall’al-tra, a una svogliata prospettazione di progetti che presi singolarmente so-no sicuramente degni di considera-zione, ma messi insieme fanno una indecorosa, improponibile e scon-certante accozzaglia? Ora vedete un po’ voi se esagero. Riporto dal testo ufficiale, consentendomi solo qual-che taglio funzionale a una lettura più veloce. “Cultura e turismo: ‘ARTErie’, progetto esecutivo in breve tempo, richiesta fi nanziamento: 450.000 eu-ro; ‘Creator Vesevo, in cammino tra le gemme Unesco da Napoli a Pom-pei’, il Comune chiede di rimodula-re una parte degli eventi, anche sul 2021. Commercio: risorse per le bot-

teghe storiche e non, la promozione di prodotti locali, la programmazione del Natale delle vie del commercio e dell’artigianato, e il piano luci artisti-che per i centri storici... Lavoro: avvio di una sperimentazione che individui Napoli come Comune-pilota nell’at-tuazione di una politica integrata la-voro-welfare su una fascia di cittadini ad alto rischio di esclusione sociale; risorse per 10 milioni per l’attuazione della nuova fase della Garanzia Gio-vani. Mobilità sostenibile: risorse per la incentivazione dell’uso della bici-cletta e la realizzazione di bike lane. Sport: risoluzione questione stadio Collana; accelerare procedure di nuo-va progettazione e nuova gara per il palazzetto Fritz Dennerlein; comple-tamento lavori stadio caduti di Bre-ma”. Seguono altre poche righe con vaghe richieste per le politiche abita-tive e i parchi. Tutto qui. Non so co-sa sia, ma me ne vado per un’idea: il progetto “Arterie”; non commento la fumisteria delle sperimentazioni e dei progetti-pilota; e non mi indigno per il semplice riferimento, nel capi-toletto sulla casa, in una città in cui ancora si muore di abusivismo, al-la necessità di garantire “un abitare dignitoso”. Ma mi insospettisce, in questo freddo elenco, il fatto che l’u-nico punto in cui si avverte una cer-ta vibrazione emotiva sia quello delle piste ciclabili. Qualche striscia sull’a-sfalto e via? Sarà dunque questa la Napoli del futuro? Non un accenno ai grandi progetti, non una sollecita-zione su Bagnoli o le bonifi che nell’a-rea orientale. E neanche una parola sul Centro direzionale che fi no a ieri era indicato dal sindaco come il luo-go simbolo della rigenerazione urba-na e ora, invece, non merita neanche una citazione in un improbabile, ma comunque avvilente, programma per il futuro.© RIPRODUZIONE RISERVATA

La città del futuro?Non può essere questaMa se lo è, allora addioMarco Demarco

Le priorità indicate dal sindaco al governatore

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L’annuncio Presto attiva anche l’app per il tracciamento

LA PROMESSA DI ARCURI: ENTRO IL 2020TAMPONE PER UN TERZO DEGLI ITALIANI

Al 31 dicembre il 28 per cento della popolazione italiana sarà sot-toposto tampone, quasi un italiano su tre: lo ha dichiarato il com-missario all’emergenza coronavirus, Domenico Arcuri, durante

la conferenza stampa di aggiornamento sul Covid. Quanto all’app Immuni per il tracciamento, “so-no già un milione e 150mila gli italiani ad averla scaricata, è un risultato confortante. Da lune-dì entrerà a pieno regime nelle regioni pilota e dalla settimana successiva in tutta Italia”, ha sottolineatoil commis-sario. Leggi su ilriformista.it

Bernardino Tuccillo*

la conferenza stampa di aggiornamento sul Covid. uanto all’app Immuni per il tracciamento, “so-

no già un milione e 150mila gli italiani ad averla scaricata, è un risultato confortante. Da lune-

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14 IL Venerdì 5 giugno 2020

“La movida? Ma ci rendiamo conto che qui c’è solo degrado? Per attirare la gente da queste parti ser-vono sorveglianza, eventi, incentivi allo shopping

e proposte per lo svago delle famiglie”. È quello che pensa la stragrande maggioranza dei commercianti e dei residen-ti nel Centro direzionale, dopo che il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha annunciato di voler rivitalizzare il quartiere nella speranza di decongestionare altre zone della città. Ma il primo cittadino ha mai trascorso una serata tra i gratta-cieli del Centro direzionale? È sabato sera. Ora immaginate una ragazza che arriva nel quartiere per trascorrere qual-che ora in compagnia delle amiche. Primo obiettivo: par-cheggiare l’auto. Impresa epica ma non utopica, basta fare qualche giro nei sottopassaggi che, attraverso le scale, con-ducono all’aperto tra gli edifi ci che ricordano New York. Ebbene, dopo aver attraversato spazzatura, vestiti e ogget-ti abbandonati, si è fuori dal parcheggio. Ora non resta che godersi la serata. Peccato che, camminando tra i grattacie-li, si scorgano soltanto ragazzini che fumano, urlando frasi incomprensibili, e persone poco raccomandabili. A fare da cornice il buio e bottiglie di birra lasciate qua e là dall’in-civile di turno. Si intravede qualche auto di una società di vigilanza privata pagata dai commercianti. Due guardie giurate, però, servono a poco in un’area molto vasta come quella che comprende le varie isole del Centro direzionale. È un po’ co-me trovarsi in un duello e pretendere di vincere con le pistole ad acqua. Ma forse c’è qualco-sa da fare. Un cinema? Non pervenuto. Un ri-storante? Quelli che ci sono preparano il pran-zo, principalmente, per chi lavora in zona. Un teatro? Questo scono-sciuto. Un bar? Diffi cile che restino aperti di sera.“Perché è pericoloso – spiega il titolare di un locale nell’isola E4 - Non credo che le persone verrebbero qui. Ma a fare cosa poi? C’è solo brutta gente”. Ma c’è chi non la pensa così e, nell’otto-bre scorso, ha deciso di aprire una discoteca. “Il posto ha un potenziale altissimo - osserva Giorgio Ragone, titolare del “The Wall” – e, se curato, ha il suo fascino. Quello che serve, però, è un progetto urbanistico e un format facile per il pubblico e appetibile per gli imprenditori”. E, mentre da Palazzo San Giacomo si attendono i dettagli di questo inno-vativo piano di rilancio del Centro direzionale, c’è già chi ha le idee chiare: “Non ci penso proprio a far girare mio fi glio di notte. Altro che movida, è una follia uscire qui la sera”, avvisa una mamma che vive a pochi passi dai grattacieli. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Durerà fi no al 31 luglio l’emer-genza sanitaria proclamata dal governo. Ma molto pri-ma, entro il 17 giugno, la Re-

gione dovrà consegnare al Ministero della Salute il progetto di riorganizza-zione assistenziale per un eventuale Covid-bis. Diventano operativi gli stu-di messi a punto dalla direzione gene-rale della programmazione sanitaria, diretta da Andrea Urbani, e di quella per la programmazione professiona-le, guidata da Rossana Ugenti, con un fi nanziamento statale straordinario di tre miliardi e 200 milioni di euro, già suddiviso per le singole Regioni. Au-menteranno le terapie intensive, sa-lirà il numero delle semintensive ma soprattutto ci saranno fi nanziamenti per il personale medico e paramedico da utilizzare nelle strutture sanitarie e per il potenziamento della medici-na territoriale. Occupiamoci dei nu-meri: le attuali 335 terapie intensive della Campania diventeranno 834, le semintensive saranno 406 con un fi -nanziamento complessivo di circa 164 milioni. Oltre 22 milioni sono mes-si a disposizione dalla direzione della programmazione professionale per il personale da utilizzare nelle strutture Covid disseminate su tutto il territorio regionale. Aria fresca e tonifi cante per la nostra sanità e un paio di settimane di super lavoro per il governatore Vin-cenzo De Luca e per Nino Postiglione, direttore della tutela della salute: una volta consegnato il “pacchetto-Cam-pania” al Ministero, dovranno aspet-tare i classici 30 giorni per sapere se l’operazione è stata approvata o tor-nerà al mittente per modifiche e va-riazioni. L’operazione viene seguita con attenzione da Lorenzo Medici, se-gretario regionale della Cisl Funzione Pubblica: “È prevista un’azione tonifi -cante per la nostra sanità perché, con questo fi nanziamento, si potenzierà la rete dei posti letto di terapia intensiva

e semintensiva, ma anche perché ci si occuperà dell’assistenza territoriale e del personale necessario nei repar-ti Covid”. I direttori generali di tutte le strutture ospedaliere, sanitarie e uni-versitarie che hanno assistito pazienti Covid dovrebbero disporre già dell’e-lenco di cosa serve, lista destinata a passare all’esame di Postiglione e De Luca. “Come sindacato - avverte Me-dici – siamo convinti che l’operazione sarà trasparente e portata avanti con la collaborazione dei sindacati, evitan-do lavori in stanze segrete. I problemi vanno affrontati con serietà: il Lore-to mare, per esempio, è diventato una struttura Covid. Ora ha pazienti ze-ro. Ma non può rimanere imbalsama-to con dipendenti che stanno lì senza far niente. Quell’ospedale – continua Medici - dovrebbe diventare un Dea di primo livello e funzionare come polo polispecialistico con moderne tecno-logie e ambulatori a disposizione dei cittadini. Stesso discorso per Bosco-trecase, per gli ospedali modulari di Ponticelli, Caserta e Salerno e per tutti

gli altri centri sanitari di provincia che hanno assistito pazienti colpiti dal Co-ronavirus”. Ultimi giorni di emergenza perché, seguendo le indicazioni di Sa-bino Cassese, si prepara a rientrare nei ranghi anche la Protezione Civile. “Il governo l’ha sistemata impropriamen-te in prima fi la, ma le emergenze sani-tarie sono di competenza esclusiva del governo; molti decreti del presidente del Consiglio probabilmente sareb-bero stati di competenza del ministro Speranza. Comunque il personale del-la Protezione Civile non ha competen-ze in campo sanitario, settore in cui abbiamo ancora il problema delle Cro-ci con volontari di comodo. Abbiamo altri volontari ‘retribuiti’ anche nella Protezione Civile. Così non va - chio-sa il segretario della Cisl – L’occasione che ci viene offerta deve rendere più effi cienti e sicuri gli ospedali, far assu-mere medici e paramedici creando fi -nalmente una sinergia effi ciente con la medicina territoriale. Arriveranno i fi -nanziamenti, evitiamo inutili sprechi”.© RIPRODUZIONE RISERVATA

La Regione lavora al piano per potenziare la sanità in caso di epidemia-bisPrimo obiettivo: rafforzare le terapie intensive. I sindacati: evitiamo gli sprechi

POSTI LETTO E PERSONALECON I SOLDI DEL GOVERNO Bruno Buonanno

In altopersonale medico

al lavoro

MOVIDA AL CENTRO DIREZIONALE LE PERPLESSITÀ DEGLI ESERCENTI:“INUTILE SENZA SICUREZZA ED EVENTI”

I posti in terapiaintensivache la Regionepunta ad attivaresfruttando i fondimessi a disposizionedal governo

834

Nuova vita per il quartiere?

IL FUTURO DELLA COMUNITÀ

soluta paralisi dell’azione ammi-nistrativa. Oggi chi si è rifiutato di porre fine a questa tragicommedia rimanda all’approvazione del pros-simo bilancio di previsione, prean-

nunciando il voto categoricamente negativo. A me pare che prolunga-re l’agonia non sia utile allo stesso de Magistris, che, se dovesse su-perare le vicinissime elezioni re-

segue da pagina 13

Ciò che più interessa, in questa fa-se, è, ovviamente, il bene della città. Siamo al cospetto di un’am-ministrazione che ha portato il di-savanzo di bilancio (censurato severamente dalla Corte dei Con-ti) dagli 800 milioni dell’era Jervo-lino ai due miliardi e 400 milioni attuali, alla paralisi del trasporto pubblico locale, alla chiusura della stragrande maggioranza dei parchi pubblici e degli spazi di verde at-trezzato, al sostanziale fallimento delle sue società partecipate. Se ci trovassimo di fronte alla possibili-tà di definire un programma di fine legislatura sostenibile e realisti-co, sarebbe interesse di tutti che la consiliatura giungesse alla sua na-turale scadenza. Ve ne sono ogget-tivamente le condizioni? Di sicuro non si possono ignorare la citata, attestata, assenza di una maggio-ranza a sostegno del sindaco de Magistris, una squadra di governo arroccata e autoreferenziale, la as-

gionali indenne, si troverebbe nella proverbiale condizione dell’“anatra zoppa”, senza la possibilità di pun-tare a un nuovo mandato al Comu-ne e, giunto al 2021, a due anni dalle

elezioni politiche, si troverebbe “disoccupato” politicamente. An-cor più gravi sarebbero gli effetti di una mancata interruzione anti-cipata della consiliatura per la cit-tà: con l’incancrenirsi dei già gravi problemi quotidiani, resi ancor più drammatici dal Covid e dall’esi-genza di affrontare la ripresa con una diversa qualità dell’azione di governo, che richiederebbe for-za, coesione, visione e una rinno-vata, dinamica e moderna idea di città. Insomma, mercoledì scorso, in Consiglio comunale, sono usciti sconfitti sindaco, maggioranza, op-posizione ma - ed è questo ciò che più allarma - l’intera nostra comu-nità ha perso la preziosa occasione di avviare il necessario, ineludibile percorso di riscatto e cambiamento.

Bernardino Tuccillo *ex assessore comunale di Napoli© RIPRODUZIONE RISERVATA

“Staccate la spina a Dema, altrimenti Napoli è spacciata”Il dibattito politico in città

Francesca Sabella

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15Venerdì 5 giugno 2020 IL

Il numero delle udienze in Tribunale raddop-pierà da lunedì ma il fatto di dover ricevere per via telematica la comunicazione di quelle che

saranno trattate e di persona, e con un orario compresso fra le 9 e le 10,30 del mattino, quel-la dei rinvii alimenta tra gli avvocati nuovo mal-contento. E alla vigilia dell’entrata in vigore delle nuove linee guida adottate dal presidente del Tribunale Elisabetta Garzo con l’aumento da tre a sei del numero di processi trattati ogni giorno davanti alle sezioni collegiali del settore penale e da cinque a dieci quello delle udienze davanti al giudice monocratico, si rischia a Napoli un nuo-vo caso. Ordine degli avvocati e Camera pena-le stanno studiando il decreto presidenziale per valutare eventuali iniziative, intanto i penalisti del gruppo Sostituzioni penali Covid hanno sti-lato un documento per dare unica voce al coro di critiche sollevato da un gran numero di avvoca-ti ed esternato in larga parte sulle pagine social. “Il sistema, è inutile negarlo, appare largamente inadeguato per la gestione delle quotidiane in-combenze a cui i colleghi devono fare fronte e

peraltro rischia di diventare pericoloso mano a mano che il periodo di sospensione straordina-ria dei termini esaurirà i suoi effetti e costringerà gli avvocati a confrontarsi nuovamente con le ordinarie, perentorie scadenze previste dal co-dice di rito”, si legge nel documento laborato dall’avvocato Francesco Benetello e sottoscritto dal gruppo Sostituzioni penali Covid che hanno comunque apprezzato l’impegno del presiden-te Garzo a rivedere le linee guida come chiesto dai penalisti. Il problema riguarda in particolare la nuova organizzazione delle udienze e la scelta dei rinvii comunicati in udienza in una ristretta fascia oraria. “Se da un lato è chiara la fi nalità di questa novità (sgravare il personale di cancelle-ria dall’onere di provvedere alle comunicazioni dei rinvii, soprattutto alla luce dell’enorme arre-trato accumulato in questi mesi con centinaia di differimenti non ancora comunicati ai difensori), dall’altro - ragionano gli avvocati nel documen-to inviato alla presidente Garzo e al presidente degli avvocati Antonio Tafuri - ci sfugge l’op-portunità della disposizione”. Il timore è che si

creino assembramenti, visto che ci sono giudi-ci monocratici che in media si trovano a gestire ruoli di udienza con 35 o 40 fascicoli. “Ciò signi-fi ca che tra le 9 e le 10,30 un magistrato si trove-rebbe a dover differire circa 30 processi, il che comporterebbe un potenziale affl usso in aula di 40-50 persone e praticamente in contempo-ranea” fanno notare gli avvocati. Il piano di va-lutazione dei rischi a Palazzo di giustizia, per la cosiddetta Fase Covid, ha vietato il contempora-neo affl usso di più di 25 persone, ulteriormen-te ridotto per le aule al quarto livello che sono meno capienti. “Ancora non riusciamo a com-prendere il motivo per il quale dobbiamo es-sere fi sicamente presenti in Tribunale ma non possiamo chiedere che nei processi destinati al rinvio si possano, al contrario, svolgere altre atti-vità, parimenti veloci e di pronta defi nizione co-me riti alternativi, richieste di messa alla prova, questioni preliminari” concludono gli avvocati.

Vivilan© RIPRODUZIONE RISERVATA

delle carceri in Campania. Dall’ini-zio dell’anno in Italia si sono registra-ti 21 suicidi, tre in Campania dal 27 febbraio ad oggi. Le galere servono a togliere la libertà, non la vita”, tuo-na Ciambriello. “Ogni suicidio - ag-giunge - ha una risposta diversa ma comunque propone sicuramente delle domande e le sintesi esplicati-ve non funzionano per spiegare gesti di disperazione così gravi. La scel-ta di una persona di togliersi la vi-ta non deve mai, da nessuno, essere

strumentalizza-ta”. Ciambriello punta l’attenzio-ne su un dato comune ai sui-cidi degli ulti-mi tempi: “Mi colpisce il fat-to che, tra gli ultimi suicidi in Italia, ci sia-no persone che avevano appena fatto ingresso in istituto ed era-no state colloca-te in isolamento sanitario pre-cauzionale”. La maggior parte di chi ha scelto di

togliersi la vita, quindi, non era in cel-la da molto tempo. Cosa abbia spinto queste persone a un gesto così estre-mo? Quali paure e quali angosce fanno leva su di loro al punto da deci-dere di non darsi nemmeno più una possibilità? “Dietro una scelta di sui-cidio - spiega il garante regionale dei detenuti che da anni si impegna in

Dario aveva 38 anni, era nato e cresciuto nel Salernitano ed era arrivato nel carcere di Secondigliano per un’accusa

legata a un reato odiosissimo, violen-za sessuale. Era in attesa di giudizio, come la maggior parte dei detenu-ti nelle carceri italiane. Il 27 febbraio lo hanno trovato impiccato nella sua cella mentre il mondo fuori comin-ciava a fare i conti con l’epidemia da Coronavirus . È stato un caso di suici-dio. Emil, 32 anni, era arrivato in Italia dalla Romania ed era fi nito nel carce-re di Aversa per espiare una condan-na per il reato di rapina. A novembre avrebbe riacquistato la libertà, ma non ce l’ha fatta ad aspettare: lo han-no trovato il 5 aprile scorso impic-cato. Suicidio anche in questo caso. Lamine aveva 28 anni, era algerino. Si è suicidato il 5 maggio scorso, asfi s-

TRE SUICIDI IN POCHI MESIQUANDO IL CARCERE TOGLIELA LIBERTÀ E ANCHE LA VITAsia da gas la causa del decesso stabi-lita dai medici. È stato trovato senza vita nel reparto Danubio ma prove-niva dal reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere dove circa un mese prima altri detenuti avevano denunciato di aver subìto presunti pestaggi. Dario, Emil e Lamine sono i tre detenuti morti suicidi in istituti di pena campani i cui nomi sono fi niti nell’elenco dei 21 casi registrati dall’i-nizio del 2020 nelle carceri di tutta Italia. Sono nomi le cui storie fini-scono archivia-te come “eventi critici” e usate per statistiche che rendono le dimensioni di un bilancio sempre dram-

matico, pro-v a n d o

a ri-

p o r -t a r e

l a q u e -stione della vivibilità in carcere tra

i temi delicati per i quali viene richie-sto un maggiore impegno da parte della politica e delle istituzioni. Un nuovo grido di allarme arriva dal ga-rante dei detenuti della Campania, Samuele Ciambriello: “L’emergen-za Coronavirus ha pesato enorme-mente sulla già precaria situazione

La denuncia del garante dei detenuti: in Campania cresce il numero delle persone che si uccidono in cellaNel 2019 impennata di atti autolesionistici. Ciambriello: gli educatori non bastano, servono altre fi gure sociali

A sinistra vita in carcere

Viviana Lanza

ORARI E COMUNICAZIONI, AVVOCATI CONTRO IL TRIBUNALEI legali contestano le misure varate dalla presidente Garzo per incrementare le udienze e sveltire i processi

“Sistema inadeguato per gestire le incombenze quotidiane, così si rischiano confusione e assembramenti”

L’incremento dei suicidi nei penitenziari della Campaniaregistrato nel 2019

+41%

L’INCHIESTA

Campania per i diritti di chi è reclu-so in carcere - può esserci solitudine, disagio psichico, trattamento som-mario con psicofarmaci, assenza di speranza, disperazione per il proces-so o la condanna, abusi. Non è possi-bile ricondurre a una la motivazione”. È chiaro che ci sono aspetti su cui occorre soffermarsi con riflessioni più ampie. “Non si può morire di car-cere in carcere - ribadisce Ciambriel-lo - Invito le istituzioni ai vari livelli, il Ministero della Giustizia, gli operatori del privato sociale, a una rifl essione perché accanto alla precarietà ende-mica del carcere si stanno aggiun-gendo vulnerabilità e disagi in questo periodo di Covid”. Il particolare mo-mento storico vissuto attualmente con gli effetti dell’isolamento causa-to dalla pandemia possono aver avu-to un peso, ma il discorso appare più complesso. Ciambriello pone anche l’accento sulla necessità di misu-re mirate. “In questo senso occorre prevedere un incremento di figure sociali sostanziali, altro che un con-corso per 95 educatori in tutta Italia. Bisogna andare oltre l’attuazione di quel protocollo anti-suicidiario che si applica in condizioni normali ma che non dà buoni risultati”. Dall’ul-tima relazione annuale sulle car-ceri emerge che a fronte di un calo dei decessi per morte naturale negli istituti campani (-13%) si è registra-to nel 2019 un aumento dei suicidi (53 casi, il 41% in più rispetto al pas-sato) e una preoccupante impenna-ta dei tentativi di suicidio (1198 casi). Vuol dire che un detenuto ogni 900 ha provato a togliersi la vita in cella. © RIPRODUZIONE RISERVATA

I suicidi registrati dall’inizio del 2020 nelle carceri di tutta Italia,tre dei qualiin penitenziaridella Campania

Tra gli ultimi casifi gurano quelli di soggettiappena entratinei penitenziarie subito messiin isolamento sanitarioper precauzione

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Se amite stesso...

Se amila tua città...

Se amila tua nazione...

Se amila tua famiglia...

Se amii tuoi amici...

Fermiamo il Coronavirus tutti insieme!

NELLA FASE 2 CONTINUA A OSSERVAREIL DISTANZIAMENTO SOCIALE.

È L’UNICO RIMEDIO CERTO CHE HAIPER PROTEGGERE TE STESSO E I TUOI CARI.