L'uomo tra esigenza d'Infinito e grido spezzato

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Elaborato finale del Laboratorio di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento Augusto Marra Matr. 133473 Classe A052

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Elaborato finaledel

Laboratorio di Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento

Augusto Marra

Matr. 133473

Classe A052

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Metadati

Questo ciclo di lezioni è stato concepito come riepilogo e approfondimento degli argomenti svolti durante l’anno, al fine di preparare al meglio l’esame di maturità. Il lavoro è rivolto in particolare ai terzi licei classici e intende essere una panoramica sulla letteratura. L’intento è quello di offrire agli studenti una visone generale dei fenomeni letterari, al fine di far sviluppare loro una maggiore capacità critica, nella consapevolezza che quanto si studia non è suddiviso in compartimenti stagni. Le slides sono di supporto a lezioni frontali e hanno un carattere multidisciplinare, in modo da favorire l’acquisizione, da pare degli studenti, di una capacità di collegamento fra le diverse materie.

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Il Cuore è fatto per l’Eternità

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L’uomo

tra esigenza d’Infinito

e grido strozzato

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Il classico ci legge più di quanto noi lo leggiamo (ascoltiamo, percepiamo). Non c’è niente di paradossale e ancora meno di mistico in questa definizione. Ogni volta

che ci confrontiamo con il classico, esso ci mette in questione. Sfida le risorse della nostra consapevolezza e

del nostro intelletto, della nostra mente e del nostro corpo.

George Steiner

Il genio è colui che coglie, in ogni epoca, che cos’è veramente l’uomo: desiderio d’Infinito.

Don Luigi Giussani

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Homo sum: nihil humani a me alienum puto.

Terenzio, Heautontimorumenos, 77

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• Inno alla Vergine Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'eterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore, non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l'amore per lo cui caldo ne l'eterna pace così è germinato questo fiore.

Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra i mortali, se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia ed a te non ricorre, sua distanza vuol volare sanz' ali.

La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in cretura è di bontate

•(Dante, Paradiso XXXIII) (3)

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I lezione

L’epoca Classica

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Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'Areòpago, disse: "Cittadini

ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche

un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza

conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo né

dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dá  a tutti la vita e il respiro e ogni cosa.

Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché

cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni,

benché non sia lontano da ciascuno di noi. “Atti, 17

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Da sempre l’uomo si è posto alla

ricerca di ciò che poteva soddisfare il

proprio desiderio di

infinito. Nell’arte e

nella filosofia questa

domanda è più evidente, più

acuta.

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• Nel mito possiamo rintracciare un tentativo di risposta a questo desiderio.

• Nascono così dei racconti orali, che hanno come protagonisti le divinità, che spiegano i vari aspetti

della vita che non possono essere conosciuti unicamente attraverso la ragione. (Persefone, Zeus,

Apollo, Afrodite)

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• Oggetto della mitologia (mytoi=racconti-legein=raccontare), dunque, è sempre qualcosa che sta al di sopra di tutti gli uomini, qualcosa che può essere vista, sperimentata o per lo meno colta per immagini: la realtà è misteriosa, non si può conoscere totalmente ma può essere intuita.

• Il mito è parte integrante della cultura di un popolo: era molto diffusa l’usanza di riferirsi ai precedenti mitici in ogni tipo di discussione.

• Essendo la mitologia un’espressione della coscienza popolare, può dar luogo a diverse versioni della stessa vicenda. (Medea)

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Il mito non è una favola: quest’ultima, infatti, tenta di creare un luogo fantastico in cui potersi rifugiare, lontano dai pericoli del mondo. Il racconto mitico, invece, non nega la tragicità della vita, né il fatto che l’esistenza umana è sofferente per i suoi limiti, ma cerca di dare un senso a tutto ciò.

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L’Eroe

Incarna il senso religioso tipico dello spirito classico: siamo di fronte ad un essere mortale, che però ha in sé qualcosa di divino, qualcosa che lo spinge a desiderare l’infinito. Sente che è chiamato ad imprese epiche eppure si rende conto del proprio limite, della propria incapacità di soddisfare la sua sete di Infinito.

Questo è il dramma dell’uomo di tutti i tempi, il dramma che anche Leopardi ci comunica nei suoi versi…

Sento ch’ad alte imprese il cor mi chiama.A morir non son nato, eterno sonoChe ‘ndarno ‘l core eternità non brama.

Canto V, Appressamento della morte, G. Leopardi

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L’Eroe

In particolare, l’eroe tragico incarna la sproporzione strutturale dell’uomo: il desiderio d’Infinito, il desiderio di giustizia di bellezza di verità, non può essere saziato dalla somma di cose finite. Solo qualcosa di assolutamente altro e di pienamente rispondente a questo desiderio potrà farlo.

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Nell’Antigone di Sofocle è ben evidente che le leggi dell’uomo non bastano:

«Dike non significa soltanto “giustizia”, ma “l’ordine dell’universo”, e dal punto di vista umano un tale ordine sembra spesso imporre una legge naturale piuttosto che morale.»

H. Lloyd-Jones

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Nella Medea il dramma dell’amore, si consuma in folle tragedia: l’uomo non riesce ad essere

artefice del proprio destino e allora si rivolge con violenza verso la sua vita. La realtà non è la

possibilità di conoscere il Mistero, per questo ogni volta che non risponde a quanto si è progettato,

la si considera crudele.

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Nel mondo romano, troviamo numerosi autori che sfruttano il patrimonio artistico

e culturale ereditato dai Greci. In particolare, Seneca si avvale, non solo delle riflessioni filosofiche elleniche ma anche dell’esperienza artistica: è lui, infatti, uno dei pochi artisti latini a

riprendere e rivalutare il genere tragico.

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Sin dall’inizio della sua produzione artistica, Seneca è molto attento al dramma dell’uomo. Utilizza spesso il genere della Consolatio, al quale si faceva ricorso per fornire argomenti filosofici per lenire il dolore.

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Nelle lettere a Lucilio indica la strada per un cammino verso la virtù: attraverso il dialogo si può raggiungere la libertà e il

dominio di sé (otium come conquista della libertà interiore e meditazione filosofica

come preparazione alla morte).

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Nella produzione tragica le domande vengono poste in maniera più drammatica. Seneca si ispira molto ad Euripide, per la sua insistente attenzione per

l’umano. È molto interessante anche il riferimento ad Ercole: secondo la filosofia stoica, questa figura

rappresentava l’uomo in lotta con le proprie passioni.

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Le tragedie senecane si caratterizzano per le sfrenate passioni che travolgono i protagonisti e provocano tragiche

conseguenze. Non c’è alcun intervento del coro a scopo moralistico e didascalico.

L’ammaestramento del pubblico avviene per contrasto: ad una rappresentazione

degradata dell’uomo, l’autore affida la sua condanna alla società contemporanea.

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II Lezione

Il Medioevo e L’umanesimo

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Editto di Milano 313 d. C.391 impone il cristianesimo come religione di stato

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San Benedetto da Norcia (Norcia 480 circa – monastero di Montecassino, 547 circa)

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Nei monasteri benedettini tutta la vita è orientata a Cristo, dalla preghiera del mattutino fino alla compieta. La risposta al desiderio dell’uomo si è resa incontrabile e conoscibile: il

problema, adesso, è come rimanere con Lui, è come approfondire il rapporto con Lui.

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La realtà diventa segno di Cristo: ogni circostanza è l’occasione per incontrarlo. Ecco perché nei monasteri c’è una grande attenzione a tutto: dalla bonifica delle paludi all’invenzione della birra, dalla creazione di scriptoria all’accoglienza dei pellegrini.

Addirittura inventano lo Champagne: Dom Pierre Pérignon era un monaco benedettino francese che Si occupava delle proprietà terriere del monastero e dei prodotti lì coltivati e lavorati, ed in particolar modo delle vigne, dei torchi e delle cantine. Grazie a questo incarico, attorno ai quarant'anni, "inventò" (anche se l'attribuzione è controversa) la bevanda che lo ha reso celebre: lo Champagne.

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È significativo, inoltre, l’interesse per l’educazione del popolo, per la catechesi del

popolo, che non veniva lasciato da solo in balia della sua ignoranza.

È così che nascono i cicli di affreschi che adornano le navate delle chiese o gli exultet.

Tutti i credenti devono essere educati: il modo più efficace per farlo è attraverso le immagini.

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C’è una forte valorizzazione della tradizione: dal punto di vista letterario pullulano le opere che vogliono approfondire le conoscenze fin allora ottenute. C’è un tentativo di porsi in maniera più attenta di

fronte al reale, quasi a tentare di scorgere in ogni sfaccettatura il volto di Cristo.

È in questo ambito che si sviluppa l’opera di Isidoro di Siviglia, Vescovo e dottore della Chiesa: vissuto tra il 590 e il 636 Ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politico-religiose della Spagna dominata dai Visigoti, pare da lui convertiti al cristianesimo, e come promotore e massimo rappresentante di un

risveglio della cultura e delle lettere in quei tempi.

Il suo capolavoro, che influenzò in larga misura la cultura del Medioevo, sono le Etymologiae in venti libri, enciclopedia di tutto lo scibile del tempo, composta prendendo come spunto le etimologie dei vari termini. La mole dell'opera è imponente e i temi sono i più svariati: arti liberali, religione, medicina, diritto, lingue e popoli, l'uomo e gli animali, la geografia, l'architettura, l'agricoltura, la geologia, la guerra, le armi, l'abbigliamento e i mezzi di trasporto. Tutti questi temi hanno in comune il modo in cui vengono introdotti

nell'opera ovvero attraverso una piccola introduzione e l'etimologia della parola. Per Isidoro, infatti, Coesiste, quindi, uno stretto legame tra la res e il nomen, che fa sì che

non si possa conoscere l'una senza conoscere l'altro.

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Si incomincia a dare molta attenzione alla scuola, basti pensare alle riforme di Carlo Magno, e alla cultura: molti, infatti, sono gli uomini colti che vivono presso la corte di Aquisgrana.

Alcuino di York: fu invitato da Carlo Magno, che ammirava grandemente, a trasferirsi in

Francia e stabilirsi a corte come "Maestro della Scuola

Palatina". La scuola rimase ad Aachen per la maggior parte del tempo, ma si mosse di luogo in luogo, seguendo la

residenza reale. Fu un grande erudito e teologo e partecipò al Concilio di Francoforte, dove ebbe una parte molto importante

nella definizione dei decreti di condanna dell'Adozionismo nonché negli sforzi compiuti

successivamente per la sottomissione dei recalcitranti

prelati spagnoli.

Proprio per approfondire il rapporto con il Mistero, c’è una forte rinascita degli studi, all’interno della quale spiccano figure autorevoli come:

Paolo Diacono: Nel 774 visse il crollo del regno longobardo e

per evitare rischi di prigionia si fece monaco nel Monastero di

Montecassino.Nel 782 entrò a far parte della

corte di Carlo Magno per cinque anni, dove fu apprezzato

maestro di grammatica. In quei cinque anni operò al fine di ottenere la libertà dei suoi

parenti prigionieri, in particolare il fratello Arichis,

fatto prigioniero e condotto in Francia nel 776. Nel 787 tornò a Montecassino, dove fra l'altro

scrisse l'Historia Langobardorum, la sua opera

più famosa in cui narra fra mito e storia le vicende del suo popolo dalla partenza dalla

Scandinavia all'arrivo in Italia. La scrittura del testo impegnò Diacono per due anni, dal 787

al 789.

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Proprio per approfondire il rapporto con il Mistero, cresce lo studio

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Poco dopo questo periodo, intorno al 1200, nascono nuovi ordini monastici, in particolare i cosiddetti frati

minori, fondati da San Francesco d’Assisi.

È sempre un’attenzione al reale che muove l’opera dei cristiani: Francesco, di fronte alla dilagante povertà e miseria decide di seguire Cristo dedicando la vita ad

accudire gli ultimi.

Tutta la realtà è segno di Cristo: l’uomo adesso sa bene dove andare, sa dove trovare quanto gli corrisponde e

allora lo cerca in ogni circostanza.

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Cantico di Frate Sole

Altissimu, onnipotente bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,spetialmente messor lo frate Sole,lo qual è iorna, et allumeni noi per lui.Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Ventoet per aere et nubilo et sereno et onne tempo,per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,per lo quale ennallumini la nocte:ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,la quale ne sustenta et governa,et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amoreet sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,da la quale nullu homo vivente po' skappare:guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiatee serviateli cum grande humilitate

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Nell’arte e nella letteratura l’immagine dominante è quella

dell’ Homo viator: l’uomo in viaggio verso una meta precisa, attraverso una strada sicura.

Questo è quello che traspare, ad esempio, dall’opera di Dante: la Commedia è un’allegoria della vita di ognuno, è un viaggio nel quale il protagonista sa

sempre dove andare ed è sempre guidato alla scoperta di sé da una autorità. Che differenza notiamo con i grandi romanzi dell’epoca tardoantica, nei quali l’uomo è in balia di sé stesso e di un’ambiguità sordida e crudele. (Apuleio e

Petronio).

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Tutto, dunque, si ordina a Dio, unico principio di conoscenza e di azione. Il rapporto con il Mistero è

l’unica cosa che permette la vita, è l’unico punto in cui tutto ciò che accade trova un senso.

Insomma le parole di San Pietro: “Signore da chi andremo, solo tu hai parole che spiegano la vita”

erano il paradigma per affrontare la quotidianità. La ragione è sempre di più adaequatio rei et intellectus

La proposta cristiana era vissuta e verificata fino in fondo. Proprio per la certezza de l valore di Cristo nella

propria vita il popolo, afflitto da miseria e malattia, poteva privarsi del denaro per costruire le cattedrali, nella certezza che nulla vale se non è vissuto per Dio.

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Ma questa certezza, questa concretezza del rapporto con il Mistero inizia venire meno.

Già dalla metà del 300 inizia ad imporsi una nuova mentalità che intende il fatto di Cristo come

qualcosa di lontano, di astratto. Dio comincia ad essere relegato sugli altari come qualcosa a cui essere devoti ma che non c’entra con la vita.

Un esempio di questo è l’opera del Petrarca: grande erudito, figlio di una cultura che voleva la ragione come misura

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Vergine bella, che di sol vestita,coronata di stelle, al sommo Solepiacesti sì, che 'n te Sua luce ascose,amor mi spinge a dir di te parole:ma non so 'ncominciar senza tu' aita,et di Colui ch'amando in te si pose.Invoco lei che ben sempre rispose,chi la chiamò con fede:Vergine, s'a mercedemiseria extrema de l'humane cosegià mai ti volse, al mio prego t'inchina,soccorri a la mia guerra,bench'i' sia terra, et tu del ciel regina. Vergine saggia, et del bel numero unade le beate vergini prudenti,anzi la prima, et con piú chiara lampa;o saldo scudo de l'afflicte genticontra colpi di Morte et di Fortuna,sotto 'l qual si trïumpha, non pur scampa;o refrigerio al cieco ardor ch'avampaqui fra i mortali sciocchi:Vergine, que' belli occhiche vider tristi la spietata stampane' dolci membri del tuo caro figlio,volgi al mio dubbio stato,che sconsigliato a te vèn per consiglio.

 

Alla vergine

Vergine pura, d'ogni parte intera,del tuo parto gentil figliola et madre,ch'allumi questa vita, et l'altra adorni,per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,o fenestra del ciel lucente altera,venne a salvarne in su li extremi giorni;et fra tutt'i terreni altri soggiornisola tu fosti electa,Vergine benedetta,che 'l pianto d'Eva in allegrezza torni.Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno,senza fine o beata,già coronata nel superno regno. Vergine santa d'ogni gratia piena,che per vera et altissima humiltatesalisti al ciel onde miei preghi ascolti,tu partoristi il fonte di pietate,et di giustitia il sol, che rasserenail secol pien d'errori oscuri et folti;tre dolci et cari nomi ài in te raccolti,madre, figliuola et sposa:Vergina glorïosa,donna del Re che nostri lacci à scioltiet fatto 'l mondo libero et felice,ne le cui sante piagheprego ch'appaghe il cor, vera beatrice.

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Vergine sola al mondo senza exempio,che 'l ciel di tue bellezze innamorasti,cui né prima fu simil né seconda,santi penseri, atti pietosi et castial vero Dio sacrato et vivo tempiofecero in tua verginità feconda.Per te pò la mia vita esser ioconda,s'a' tuoi preghi, o Maria,Vergine dolce et pia,ove 'l fallo abondò, la gratia abonda.Con le ginocchia de la mente inchine,prego che sia mia scorta,et la mia torta via drizzi a buon fine. Vergine chiara et stabile in eterno,di questo tempestoso mare stella,d'ogni fedel nocchier fidata guida,pon' mente in che terribile procellai' mi ritrovo sol, senza governo,et ò già da vicin l'ultime strida.Ma pur in te l'anima mia si fida,peccatrice, i' no 'l nego,Vergine; ma ti pregoche 'l tuo nemico del mio mal non rida:ricorditi che fece il peccar nostro,prender Dio per scamparne,humana carne al tuo virginal chiostro.

 

Vergine, quante lagrime ò già sparte,quante lusinghe et quanti preghi indarno,pur per mia pena et per mio grave danno!Da poi ch'i' nacqui in su la riva d'Arno,cercando or questa et or quel'altra parte,non è stata mia vita altro ch'affanno.Mortal bellezza, atti et parole m'ànnotutta ingombrata l'alma. Vergine sacra et alma,non tardar, ch'i' son forse a l'ultimo anno.I dí miei piú correnti che saettafra miserie et peccatisonsen' andati, et sol Morte n'aspetta. Vergine, tale è terra, et posto à in doglialo mio cor, che vivendo in pianto il tenneet de mille miei mali un non sapea:et per saperlo, pur quel che n'avennefôra avenuto, ch'ogni altra sua vogliaera a me morte, et a lei fama rea.Or tu donna del ciel, tu nostra dea(se dir lice, e convensi),Vergine d'alti sensi,tu vedi il tutto; e quel che non poteafar altri, è nulla a la tua gran vertute,por fine al mio dolore;ch'a te honore, et a me fia salute.

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Vergine, in cui ò tutta mia speranzache possi et vogli al gran bisogno aitarme,non mi lasciare in su l'extremo passo.Non guardar me, ma Chi degnò crearme;no 'l mio valor, ma l'alta Sua sembianza,ch'è in me, ti mova a curar d'uom sí basso.Medusa et l'error mio m'àn fatto un sassod'umor vano stillante:Vergine, tu di santelagrime et pïe adempi 'l meo cor lasso,ch'almen l'ultimo pianto sia devoto,senza terrestro limo,come fu 'l primo non d'insania vòto. Vergine humana, et nemica d'orgoglio,del comune principio amor t'induca:miserere d'un cor contrito humile.Che se poca mortal terra caducaamar con sí mirabil fede soglio,che devrò far di te, cosa gentile?Se dal mio stato assai misero et vileper le tue man' resurgo,Vergine, i' sacro et purgoal tuo nome et penseri e 'ngegno et stile,la lingua e 'l cor, le lagrime e i sospiri.Scorgimi al miglior guado,et prendi in grado i cangiati desiri.

Il dí s'appressa, et non pòte esser lunge,sí corre il tempo et vola,Vergine unica et sola,e 'l cor or coscïentia or morte punge.Raccomandami al tuo figliuol, veracehomo et verace Dio,ch'accolga 'l mïo spirto ultimo in pace.

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III Lezione

Il Rinascimento e l’Epoca Moderna

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Nel periodo rinascimentale crolla totalmente l’ideale cristiano e inizia ad affermarsi un nuovo modo di

approcciarsi alla realtà che vede l’uomo misura di tutte le cose.

La ragione non è più capax dei, non è più capace di percepire e riconoscere l’Infinito: viene ridotta a semplice

strumento di misurazione.

Dio viene completamente esiliato dalla vita quotidiana e, al suo posto, si prendono a modello le civiltà

classiche, come esempio di civiltà e valorizzazione dell’umano.

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Le nuove correnti di pensiero si scagliano contro il periodo medioevale, considerandolo un’epoca buia,

teatro di superstizioni e violenze.

Questo modo di porsi pregiudizievole nei confronti della chiesa e del suo messaggio, caratterizzerà i

secoli a venire e trova le sue radici nell’impossibilità di restare indifferenti alla Presenza di Cristo

Proprio perché la chiesa era stata così viva e presente nella vita del popolo, bisognava

distruggerla o quanto meno demonizzare quanto aveva fatto.

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Un esempio di tale violenza possiamo ravvisarlo nell’opera di Lutero. Costui, infatti, non opera una riforma, ma fonda una nuova

religione prendendo come pretesto i problemi della chiesa di Roma. L’unico

obiettivo è quello di sdoganarsi dal controllo della città eterna: non c’è alcun intento

riformistico, ma solo una volontà distruttiva.

La vera riforma ci sarà solo in seguito con il Concilio di Trento (1545 – 1563) quando,

senza demonizzare gli atteggiamenti finora tenuti e riconoscendosi formata da peccatori, la chiesa decise di cambiare, in alcune forme

e non nella sostanza.

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Certo non dobbiamo dimenticare che in questo periodo c’è una forte fioritura dell’arte; le diverse signorie

investivano sui giovani artisti, ma Roma continuava ad essere il centro culturale più importante.

Inoltre, assistiamo ad una significativa riscoperta dei classici, che si erano conservati, come abbiamo visto, grazie all’opera dei monaci, e che per la prima volta

vengono letti e apprezzati dai laici. (per questo parliamo di una riscoperta)

Assistiamo allo sviluppo delle corti, all’interno delle quali nasce una cultura sempre più elitaria,

sempre più rivolta a piccoli gruppi di colti, sempre più rivolta a soddisfare i piaceri dei

committenti.In questo ambiente nascono i poemi cavallereschi, che intendono esaltare i valori della nuova classe dirigente.

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La realtà non è più interessante, non è più segno.

Gli autori si rifugiano nella fantasia e nel pensiero.

Signori e cavallier che ve adunatiPer odir cose dilettose e nove,

Stati attenti e quieti, ed ascoltatiLa bella istoria che 'l mio canto muove;

E vedereti i gesti smisurati,L'alta fatica e le mirabil prove

Che fece il franco Orlando per amoreNel tempo del re Carlo imperatore.

Orlando Innamorato I, 1.

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Sembra che l’uomo si sia come svilito: infatti, ha ridotto la sua natura, ha ridotto la domanda

lasciandosi andare alla autocelebrazione.

L’opera d’arte nasce solo quando l’autore vive un dramma quando vive

fino in fondo la sua umanità

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Le più grandi opere di questo periodo hanno, infatti, a tema tutto ciò che induce l’uomo ad un interrogativo, tutto ciò che porta l’uomo ad

accorgersi del suo desiderio

L’Ariosto ci parla dell’amore non corrisposto che conduce orlando alla follia.

Machiavelli e Guicciardini si interessano della storia e della possibilità della nascita di uno stato nazionale in Italia, che garantisca

la pace.

Il Tasso parte dal suo rapporto conflittuale con la religione.

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In definitiva, possiamo

affermare che, anche se c’è una

spropositata fiducia nell’uomo

e nelle sue capacità, alla

fine ci si riscopre sempre

bisognosi di qualcuno che

compia il proprio desiderio di

felicità.

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Cartesio ritiene che criterio basilare della verità sia l'evidenza, cioè appare semplicemente e indiscutibilmente certo, mediante l'intuito. Il problema nasce nell'individuazione dell'evidenza, che si traduce nella ricerca di ciò

che non può essere soggetto al dubbio. Pertanto, dacché la realtà tangibile può essere ingannevole in quanto soggetta alla percezione sensibile (dubbio metodico) e al contempo anche la matematica e la

geometria (discipline che esulano dal mondo sensibile) si rivelano fasulle nel momento in cui si ammette la possibilità che un'entità superiore (colui che Cartesio soprannomina genio maligno) faccia apparire come reale ciò che non lo è (dubbio iperbolico), l'unica certezza che resta all'uomo è che, per lo meno, dubitando, l'uomo è sicuro di esistere. L'uomo riscopre la sua esistenza nell'esercizio del dubbio. Cogito ergo sum: dal momento che è

propria dell'uomo la facoltà di dubitare, l'uomo esiste.

Nel 77 Pascal afferma: “ Non posso perdonarla a Cartesio, il quale in tutta la sua filosofia avrebbe voluto poter fare a

meno di Dio, ma non ha potuto evitare di fargli dare un colpetto al mondo per metterlo in moto; dopodichè non sa

più che farne di Dio.”

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L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l'incapacità di valersi del proprio

intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la causa di esso non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un

altro. Sapere aude! abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza. E' questo il motto

dell'Illuminismo... Sennonché a questo Illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più

inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi.

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La ragione, però, viene intesa come misura: bisogna catalogare tutto, incasellare tutto,

avere tutto sotto controllo. È l’apice del razionalismo. Kant stesso pensa che il mondo

conoscibile si riduca a ciò che si vede e si tocca: il resto deve essere postulato, immaginato. In

tal modo il trascendente non è altro che qualcosa di posticcio che non ha nulla da dire

alla vita.

Anche la morale diventa uno sforzo titanico dell’uomo che non può essere sostenuto:  ”due cose in vita mi furono sommamente care: il cielo stellato sopra di me, la legge

morale dentro di me”

Immanuel Kant

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Il moralismo pervade l’azione dell’uomo: la rivoluzione francese nasce con l’impeto di costruire lo stato perfetto, senza però la

consapevolezza dei limiti umani.

Questo porterà al tracollo e al “terrore”: ciò che era nato per soddisfare il desiderio di

giustizia si consuma in violenza. È il trionfo della ghigliottina.

Non c’è più la capacità di affidarsi, si vuole rispondere autonomamente al proprio desiderio,

ma ogni tentativo è vano.

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(28)

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L’uomo continua ad essere sempre più al centro del mondo: si ritiene artefice della

propria fortuna, in grado di cambiare le sorti del mondo.

Si rivolge, nuovamente, alle epoche, del passato, che pone come modelli della vita

quotidiana e dell’arte.

Questa operazione risulta, però, abbastanza astratta: non si cerca di recuperare il vero

spirito dell’epoca classica, caratterizzato da uno spiccato senso religioso. Piuttosto si

cerca di recuperare una forma, una ossessione per la bellezza, per la perfezione,

ossessione che diventa sterile.

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Bisogna sottolineare, però, che l’interesse dell’uomo nasce sempre a partire dalla realtà: l’interesse per i classici rifiorisce quando vengono

scoperti gli scavi di Pompei ed Ercolano.

Poi tutto questo impeto di scoperta si perde nel tentativo di manipolare la realtà, di ordinarla

alla propria misura. Nasce così il Neoclassicismo, movimento culturale nel quale

è il formalismo a farla da padrone.

La bellezza perde di consistenza perché non rimanda più a nulla, ma è lo stanco

ripetersi di vecchi modelli.

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Quanto appena detto, si può comprendere dalla scarsa produzione artistica prodotta da questo

movimento culturale.

Nell’arte figurativa abbiamo una maggiore creatività: si tentano di applicare i canoni classici alle opere contemporanee. Questo

era facilitato dal fatto che cerano stati nuovi ritrovamenti archeologici.

In ambito letterario c’è una stanca riproposizione di modelli antichi, senza alcun tentativo di immedesimazione.

Vedono la luce numerose traduzioni di testi classici, tra le quali spicca quella dell’Iliade

ad opera di Vincenzo Monti.

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Tutto il problema del movimento neoclassico è una ripresa erudita dei

classici, senza nessun tentativo di immedesimazione: non ci si lascia

interrogare da quanto si ha di fronte, ma lo si riproduce in maniera disincantata.

Quando, invece, si paragonano i modelli classici

con la propria esperienza nasce l’opera d’arte.

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Foscolo

In morte del fratello Giovanni

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendodi gente in gente, me vedrai sedutosu la tua pietra, o fratel mio, gemendoil fior de' tuoi gentili anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendoparla di me col tuo cenere muto,ma io deluse a voi le palme tendoe sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secretecure che al viver tuo furon tempesta,e prego anch'io nel tuo porto qu ïete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!Straniere genti, almen le ossa rendeteallora al petto della madre mesta.

Catul. 101

Multas per gentes et multa per aequora uectusaduenio has miseras, frater, ad inferias,ut te postremo donarem munere mortiset mutam nequiquam alloquerer cinerem.quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum.heu miser indigne frater adempte mihi,nunc tamen interea haec, prisco quae more parentumtradita sunt tristi munere ad inferias,accipe fraterno multum manantia fletu,atque in perpetuum, frater, aue atque uale. Di mare in mare, da un popolo all'altrovengo a queste tue misere esequie, fratello,per donarti l'ultima offerta che si deve ai mortie invano parlare alle tue ceneri mute:ora che la sorte a me ti ha strappato,cosí crudelmente strappato, fratello infelice.Pure, amaro dono per un rito estremo,nell'uso antico dei padri accogli l'offertache ora ti affido: cosí intrisa del mio pianto.E in eterno riposa, fratello mio, addio.

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Un uomo impegnato con la realtà come il Foscolo non può fermarsi al semplice

scimmiottamento dei classici.

Ha bisogno di qualcosa che risponda al suo desiderio, non sa che farsene di forme vuote

da riempire con inutili arabeschi.

Vuole sapere chi soddisferà il suo desiderio di giustizia, il suo desiderio

deluso di avere una patria, il suo desiderio di amore, il suo desiderio di

vita.

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Di se stesso

Non son chi fui; perì di noi gran parte:questo che avvanza è sol languore e pianto.E secco è il mirto, e son le foglie spartedel lauro, speme al giovenil mio canto.

Perché dal dì ch'empia licenza e Martevestivan me del lor sanguineo manto,cieca e la mente e guasto il core, ed artela fame d'oro, arte e in me fatta, e vanto.

Che se pur sorge di morir consiglio,a mia fiera ragion chiudon le portefuror di gloria, e carità di figlio.

Tal di me schiavo, e d'altri, e della sorte,conosco il meglio ed al peggior mi appiglio, e so invocare e non darmi la morte.   

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Il desiderio d’infinito fa luce su di una sproporzione propria dell’uomo: essere finito,

ma desiderare tutto.

A questa domanda, che troverà il suo apice nella poesia leopardiana, Foscolo vuole

trovare una risposta, una risposta che gli dia pace.

Ciascun confusamente un bene apprende 

nel qual si queti l'animo, e disira; 

per che di giugner lui ciascun contende.

Dante, Purgatorio XVI, vv.127-129

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Forse perché della fatal quïetetu sei l'immago a me sì cara vienio Sera! E quando ti corteggian lietele nubi estive e i zeffiri sereni,

e quando dal nevoso aere inquïetetenebre e lunghe all'universo menisempre scendi invocata, e le secretevie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co' miei pensier su l'ormeche vanno al nulla eterno; e intanto fuggequesto reo tempo, e van con lui le torme

delle cure onde meco egli si strugge;e mentre io guardo la tua pace, dorme

quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

Alla sera

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IV Lezione

Romanticismo

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L’uomo, dunque, si accorge che non si basta, si accorge della menzogna

illuminista e cerca qualcosa che possa soddisfarlo.

L’uomo diventa Wanderer, viandante alla ricerca dell’Infinito. Nasce così il

movimento romantico.

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Scendo dalla montagna,la valle è nebbiosa, il mare ribolle,cammino in silenzio, scontento,e sempre sospirando chiedo: dove?Sempre: dove?

qui il sole mi sembra tanto freddo,il fiore appassito, la vita ormai passata,e ciò ch’essi dicono mi sembra vuoto rumore,io sono straniero ovunque

Dove sei, amata terra mia?Cercata, presagita, e mai conosciuta!La terra, la terra verde di speranze,la terra dove fioriscono le mie rose,

Dove i miei amici vanno girovagando,dove i miei morti risorgono,la terra che parla la mia lingua,terra mia, dove sei tu?

Cammino in silenzio, scontento,e sempre sospirando chiedo: dove?Sempre: dove?

Un Sussurro di spiriti mi risponde:«Là dove tu non sei, là è la felicità»

Wanderer, F. Schubert

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La negazione in Leopardi, ad una attenta lettura della sua opera, sembra essere

posticcia, sovrapposta malamente ad un grido umano desideroso di risposta, ad un

cuore così autentico da non poter non riaffermare la positività del destino.

Soprattutto nei canti leopardiani sembra essere descritta, in maniera profetica, tutta

la traiettoria dell’esistenza umana.

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C’è un primo fattore con cui l’uomo osserva se stesso vivere e che Leopardi chiama “la

sublimità nel sentire”.

Si tratta dello struggimento, dell’emozione, del timore enigmatico che si generano di fronte

alla sproporzione tra l’uomo e la realtà.

Da una parte l’uomo sembra essere limitato da una realtà cinica (dialogo tra la natura ed un islandese), d’altra parte, di fronte alla vastità del creato l’uomo prende coscienza del suo

desiderio.

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L’inno che meglio dice di questa sproporzione è Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel

monumento sepolcrale della medesima.

Tal fosti: or qui sotterraPolve e scheletro sei. Su l'ossa e il fangoImmobilmente collocato invano,Muto, mirando dell'etadi il volo,Sta, di memoria soloE di dolor custode, il simulacroDella scorsa beltà. Quel dolce sguardo,Che tremar fe', se, come or sembra, immotoIn altrui s'affisò; quel labbro, ond'altoPar, come d'urna piena,Traboccare il piacer; quel collo, cintoGià di desio; quell'amorosa mano,Che spesso, ove fu porta,Sentì gelida far la man che strinse;E il seno, onde la genteVisibilmente di pallor si tinse,Furo alcun tempo: or fangoEd ossa sei: la vistaVituperosa e trista un sasso asconde.

Così riduce il fatoQual sembianza fra noi parve più vivaImmagine del ciel. Misterio eternoDell'esser nostro.

Oggi d'eccelsi, immensiPensieri e sensi inenarrabil fonte,Beltà grandeggia, e pare,Quale splendor vibratoDa natura immortal su queste arene,Di sovrumani fati,Di fortunati regni e d'aurei mondiSegno e sicura speneDare al mortale stato:Diman, per lieve forza,Sozzo a vedere, abominoso, abbiettoDivien quel che fu dianziQuasi angelico aspetto,E dalle menti insiemeQuel che da lui movevaAmmirabil concetto, si dilegua.

(L’immagine dell’essere, l’immagine della vita)

Desiderii infinitiE visioni altereCrea nel vago pensiere,Per natural virtù, dotto concento;Onde per mar delizioso, arcanoErra lo spirto umano,Quasi come a diportoArdito notator per l'Oceano:Ma se un discorde accentoFere l'orecchio, in nullaTorna quel paradiso in un momento.

Natura umana, or come,Se frale in tutto e vile,Se polve ed ombra sei, tant'alto senti?Se in parte anco gentile,Come i più degni tuoi moti e pensieriSon così di leggeriDa sì basse cagioni e desti e spenti?

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La realtà è un fattore che ci costituisce ed è grande come sorgente di emozioni, eppure è così fragile di fronte alla finitezza delle cose.

La verità di Leopardi non può essere una negazione, ma è il riconoscimento di quel

Mistero eterno / dell’esser nostro

Vediamo come il genio sia espressione di ciò a cui l’uomo è destinato e il suo grido

non può che affermare l’attesa per cui l’uomo è fatto.

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Eppure Leopardi stesso descriverà la vita dell’uomo come: Vecchierel bianco, infermo, / mezzo vestito e scalzo, / con gravissimo fascio

in su le spalle (Canto notturno di un pastore errante dell’Asia vv. 21-23) che va a finire nel

nulla: Abisso orrido, immanso / ov’ei precipitando, il tutto oblia ( Canto notturno…

vv. 35-36)

Ma il poeta non riesce a fermarsi alla constatazione del limite, il suo cuore è evidentemente fatto per cose grandi e

rivolge i suoi interrogativi alla Luna, certo che una risposta ci debba essere.

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Vecchierel bianco, infermo,Mezzo vestito e scalzo,Con gravissimo fascio in su le spalle,Per montagna e per valle,Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,Al vento, alla tempesta, e quando avvampaL'ora, e quando poi gela,Corre via, corre, anela,Varca torrenti e stagni,Cade, risorge, e più e più s'affretta,Senza posa o ristoro,Lacero, sanguinoso; infin ch'arrivaColà dove la viaE dove il tanto affaticar fu volto:Abisso orrido, immenso,Ov'ei precipitando, il tutto obblia.Vergine luna, taleÈ la vita mortale.vv. 21-38

Pur tu, solinga, eterna peregrina,Che sì pensosa sei, tu forse intendi,Questo viver terreno,Il patir nostro, il sospirar, che sia;Che sia questo morir, questo supremoScolorar del sembiante,E perir dalla terra, e venir menoAd ogni usata, amante compagnia.E tu certo comprendiIl perché delle cose, e vedi il fruttoDel mattin, della sera,Del tacito, infinito andar del tempo.Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amoreRida la primavera,A chi giovi l'ardore, e che procacciIl verno co' suoi ghiacci.Mille cose sai tu, mille discopri,Che son celate al semplice pastore.Spesso quand'io ti miroStar così muta in sul deserto piano,Che, in suo giro lontano, al ciel confina;Ovver con la mia greggiaSeguirmi viaggiando a mano a mano;E quando miro in cielo arder le stelle;Dico fra me pensando:A che tante facelle?Che fa l'aria infinita, e quel profondoInfinito seren? che vuol dir questaSolitudine immensa? ed io che sono?vv. 61-89

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia

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La vita dell’uomo è dominata da una tensione ultima, dalla tensione ad una risposta ultima.

C’è come un “pensiero dominante”, che acquista in ogni uomo un’immagine definita

che è proprio l’immagine che lo fa vivere

Per ognuno c’è questa identificazione della felicità e del destino. Così si vive ed esiste.

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Dolcissimo, possenteDominator di mia profonda mente;Terribile, ma caroDono del ciel; consorteAi lùgubri miei giorni,Pensier che innanzi a me sì spesso torni.Di tua natura arcanaChi non favella? il suo poter fra noiChi non sentì? Pur sempreChe in dir gli effetti suoiLe umane lingue il sentir proprio sprona,Par novo ad ascoltar ciò ch'ei ragiona.Come solinga è fattaLa mente mia d'alloraChe tu quivi prendesti a far dimora!Ratto d'intorno intorno al par del lampoGli altri pensieri mieiTutti si dileguàr. Siccome torreIn solitario campo,Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei.Il pensiero dominante, vv. 1-20

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Ma tutto quello che sorge di attraente di esaltante nello scontro tra io e realtà ha la

consistenza di un sogno …

Che mondo mai, che novaImmensità, che paradiso è quelloLà dove spesso il tuo stupendo incantoParmi innalzar! dov'io,Sott'altra luce che l'usata errando,Il mio terreno statoE tutto quanto il ver pongo in obblio!Tali son, credo, i sogniDegl'immortali. Ahi finalmente un sognoIn molta parte onde s'abbella il veroSei tu, dolce pensiero;

Sogno e palese error. vv. 100-111

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Tutto sembra svanire, l’ultima parola sembra il dolore. La bellezza della natura non è un estremo

richiamo positivo, ma l’accusa verso il cinismo della matrigna.

Forse s'avess'io l'aleDa volar su le nubi,E noverar le stelle ad una ad una,O come il tuono errar di giogo in giogo,Più felice sarei, dolce mia greggia,Più felice sarei, candida luna.O forse erra dal vero,Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:Forse in qual forma, in qualeStato che sia, dentro covile o cuna,È funesto a chi nasce il dì

natale. vv. 133-144

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Ma la poesia di Leopardi sembra andare oltre lo scetticismo, oltre il no oltre la

negazione.

Raggio divino al mio pensiero apparve,Donna, la tua beltà. Simile effettoFan la bellezza e i musicali accordi,Ch'alto mistero d'ignorati ElisiPaion sovente rivelar.

vv. 33-37

La bellezza della donna è richiamo a qualcosa di oltre , “raggio divino”, sembra custodire un mistero di felicità, qualcosa d’oltre, di più felice: la bellezza della donna richiama a tutto questo.

VagheggiaIl piagato mortal quindi la figliaDella sua mente, l'amorosa idea,Che gran parte d'Olimpo in sé racchiude,

vv. 37-40

L’uomo si innamora dell’immagine che sta dietro la figura della donna. Questa immagine è figlia della sua mente perché questo riconoscimento avviene nella sua coscienza.

Aspasia

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Aspasia

Tutta al volto ai costumi alla favellaPari alla donna che il rapito amanteVagheggiare ed amar confuso estima.vv. 41-43

L’uomo crede di amare e di vagheggiare, confondendo la donna con quello a cui la donna stessa lo richiama e che proprio quella donna gli ha suscitato.

Or questa egli non già, ma quella, ancoraNei corporali amplessi, inchina ed ama.Alfin l'errore e gli scambiati oggettiConoscendo, s'adira; e spesso incolpaLa donna a torto. A quella eccelsa imagoSorge di rado il femminile ingegno;E ciò che inspira ai generosi amantiLa sua stessa beltà, donna non pensa,Né comprender potria. Non cape in quelle

Anguste fronti ugual concetto. vv. 44-53

Ad un certo punto la donna si rivela impari a sostenere il paragone con l’immagine che ha suscitato e l’uomo si adira.

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Questo canto che abbiamo appena letto, afferma che c’è qualcosa d’altro che

richiama l’uomo oltre le cose, qualcosa che è ben più grande della realtà che lo suscita.

Nonostante il limite dell’uomo, che Leopardi stesso contemplava, la realtà è percepita come segno . Quando un uomo non è definito dal proprio limite significa

che grida e afferma la presenza di qualcosa d’altro.

Il giudizio di negatività del poeta è una scelta non è una ragione.

Page 92: L'uomo tra esigenza d'Infinito e grido spezzato

C’e stato però un istante in cui Leopardi ha riconosciuto questa presenza, un istante in cui l’ha riconosciuta e l’ha

chiamata palesemente.

Compone, allora, il suo inno non a una delle tante donne di cui si era innamorato, ma alla Donna con la D maiuscola, alla Bellezza con

la B maiuscola. È l’inno a quella amorosa idea che è intuita come una presenza reale.

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Cara beltà che amoreLunge m'inspiri o nascondendo il viso,Fuor se nel sonno il coreOmbra diva mi scuoti,O ne' campi ove splenda

vv. 1-5

O bellezza che ti nascondi dietro il volto di una donna, o che “nascondendo il viso”, mi appari nel sogno notturno, che mi desti l’attrattiva attraverso l’ombra della notte, oppure che ti nascondi dietro uno spettacolo della natura.

Alla sua donna

Più vago il giorno e di natura il riso;Forse tu l'innocenteSecol beasti che dall'oro ha nome,Or leve intra la genteAnima voli? o te la sorte avaraCh'a noi t'asconde, agli avvenir prepara?

vv. 6-11

Dove sei Bellezza, Bellezza con la B maiuscola, che ti nascondi dietro il fascino di un sogno notturno, o dietro uno spettacolo della natura? Forse tu sei vissuta nell’età dell’oro, di cui le fiabe narrano o forse tu verrai nelle età future.

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Alla sua donna

Viva mirarti omaiNulla spene m'avanza;S'allor non fosse, allor che ignudo e soloPer novo calle a peregrina stanzaVerrà lo spirto mio.

vv. 12-16

Altro che negazione! Di vederti viva in quest’arido suolo non c’è più nessuna speranza né di incontrarti, o Bellezza, a meno che io t’incontri quando, per uno strano “novo calle”, per uno strano sentiero, “a peregrina stanza”, a una dimora ignota, il mio spirito verrà.

Già sul novelloAprir di mia giornata incerta e bruna,Te viatrice in questo arido suoloIo mi pensai.

Da ragazzo credevo di trovarti un giorno o l’altro fra le strade del mondo.

Ma non è cosa in terraChe ti somigli; e s'anco pari alcunaTi fosse al volto, agli atti, alla favella,Saria, così conforme, assai men bella.

Fra cotanto doloreQuanto all'umana età propose il fato,Se vera e quale il mio pensier ti pinge,Alcun t'amasse in terra, a lui pur foraQuesto viver beato:

vv. 16-27

Se io, che cerco di immaginarti, riuscissi a trattenere questa immagine che nella mia fantasia avviene, se io riuscissi a trattenerla sempre, sarei felice già in questo tentativo di immaginazione.

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Alla sua donna

E ben chiaro vegg'io siccome ancoraSeguir loda e virtù qual ne' prim'anniL'amor tuo mi farebbe.

Se io tenessi desto l’amore a te, seguirei ancora lode e virtù e come quando ero ragazzo cercherei ancora la nobiltà della vita.

Or non aggiunseIl ciel nullo conforto ai nostri affanni;E teco la mortal vita sariaSimile a quella che nel cielo india.

vv. 28-33

Ma il destino, il cielo, non ci permette, in mezzo ai nostri affanni, di tener desta e viva questa immagine.

Per le valli, ove suonaDel faticoso agricoltore il canto,Ed io seggo e mi lagnoDel giovanile error che m'abbandona;E per li poggi, ov'io rimembro e piagnoI perduti desiri, e la perdutaSpeme de' giorni miei; di te pensando,A palpitar mi sveglio. E potess'io,Nel secol tetro e in questo aer nefando,L'alta specie serbar; che dell'imago,

Poi che del ver m'è tolto, assai m'appago. vv. 34-44

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Alla sua donna

Se dell'eterne ideeL'una sei tu, cui di sensibil formaSdegni l'eterno senno esser vestita,E fra caduche spoglieProvar gli affanni di funerea vita;

Se tu bellezza sei uno degli abitanti dell’iperuranio di Platone, del mondo ideale dove tutte le cose sono perfette, se sdegni che l’eterno senno sia rivestito di carne, se sdegni di portare gli affanni della nostra vita mortale e perciò te ne stai nel tuo limbo lassù.

O s'altra terra ne' supremi giriFra' mondi innumerabili t'accoglie,E più vaga del Sol prossima stellaT'irraggia, e più benigno etere spiri;Di qua dove son gli anni infausti e brevi,Questo d'ignoto amante inno

ricevi. vv. 45-55

Questo è il grido naturale dell’uomo, è il grido

dell’uomo che la natura ispira, è il grido, la

preghiera dell’uomo a che Dio gli diventi compagno

ed esperienza, milleottocento anni dopo

che ciò era accaduto.

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Nel panorama descritto, l’esperienza di Alessandro Manzoni, rappresenta un’eccezione

considerevole.

La prospettiva che abbraccia il Manzoni, inizialmente, è più vicina all’ideale illuminista che a quello romantico.

Per un periodo della sua giovinezza, soggiorna a Parigi. Qui entra in contatto

con l’enturage colta della capitale francese: intellettuali ispirati dai principi

che erano stati il cardine della Rivoluzione Francese e del Neoclassicismo.

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Successivamente, in particolare dopo la conversione, si lascerà coinvolgere dal clima patriottico, che caratterizzava la sua epoca: la sue opere tenteranno di inculcare nel popolo

una coscienza nazionale, esaltando la libertà e l’auto determinazione dei popoli. A questo proposito sono significativi l’Adelchi o il 5

maggio.

Influenzato da queste amicizie e da questo ambiente, compone operette di ispirazione neoclassica (Urania e A Partenide). Anche

politicamente subisce il fasciono delle ideologie transalpine: è fermamente convinto

della possibilità dell’uomo di cambiare il mondo, della possibilità di creare entità

statali e sociali in cui fosse applicato l’ideale di giustizia e di bene.

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Come già accennato, l’evento decisivo, che segnò tutta la sua produzione artistica, fu

l’incontro con il cristianesimo: questo fatto, che irrompe nella sua vita, diventa il punto d’ordine di tutta la sua esistenza. Non può più vivere e, dunque, non può più scrivere

senza tenere presente ciò che gli è accaduto.

Tanto è vero che il primo componimento che realizza dopo la conversione, sono gli Inni Sacri: carmi nei quali cerca di esaltare

gli aspetti decisivi del culto cristiano, tentando un paragone con la quotidianità.

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Questa è la cosa interessante dell’opera manzoniana: il fatto cristiano investe

ogni aspetto del reale.

Possiamo dunque affermare che il Manzoni è passato da una visione del mondo

razionalista ed illuminista ad una visione del mondo cristiana. È passato da uomo

immobile a Homo Viator.

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A questo proposito è interessante un paragone tra I Promessi Sposi e la Commedia di Dante: entrambi

gli autori si pongono il problema della lingua, proprio perché l’arte cristiana ha un respiro

universale, il messaggio di Cristo deve essere comunicato nel modo più comprensibile possibile.

Entrambi ci raccontano di un viaggio, un viaggio che vede davanti a sé una meta chiara,

che verrà raggiunta grazie al volere divino.

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Il fatto che Manzoni decida di scrivere un romanzo storico, non è una scelta casuale: il suo tentativo è

quello di proporre una testimonianza di vita cristiana oggettiva, realmente vissuta. Insomma,

siamo davanti ad un paradigma.

La vita dei protagonisti è drammatica, spesso sembra volta alla tragedia, ma anche nei

momenti più difficili c’è il sostegno di una fede popolare, di una fede vera.

Tutto quanto accade è occasione per la scoperta si sé e per il compimento del

proprio Destino.

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Il cristianesimo, per Manzoni, non è un’ideologia capace di risolvere

magicamente i problemi della vita, ma l’incontro che realmente risponde a ciò che

ogni uomo desidera, non prescindendo dalla drammaticità della vita. Cristo ci

raggiunge là dove siamo.

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Fonti iconografiche

(1) E. Matisse, Icaro, serigrafia da gouache ritagliata, Greg Kucera Gallery, Seattle.

(2) Caravaggio, Sette opere di Misericordia, olio su tela, Pio Monte della Misericordia, Napoli.

(3) Antonello da Messina, L’Annunciata, tempera e olio su tavola, Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, Palermo.

(4) T. Shilippoteaux, San Paolo che predica all'Areopago, incisione. The Provincial Museum of Alberta.

(5) Anonimo della scuola di Rodi, Laocoonte e i suoi due figli lottano coi serpenti, scultura greca, Museo Pio-Clementino, Roma.

(6) Piero della Francesca, Resurrezione, affresco, Museo Civico, Sanspolcro.

(7) Anonimo, Testa colossale di Costantino, statua in marmo, Musei Capitolini, Roma.

(8) Anonimo, L'abate Desiderio offre la Regola a san Benedetto, miniatura, Biblioteca di Montecassino.

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Fonti iconografiche

(9) Anonimo, Monaci amanuensi, miniatura, Biblioteca di Montecassino.

(10) F. Napoletano, Totila e San Benedetto, olio su tela, Chiesa di S. Benedetto, Norcia.

(11) Giotto, Storie di S. Francesco, affreschi, Basilica Superiore, Assisi.

(12) Anoniomo, Exultet, Archivio Capitolare di Bari.

(13) Anonimo, Exultet, Archivio Capitolare di Troia (FG).

(14) Anonimo, Exultet, Archivio della Cattedrale, Bari.

(15) Anonimo, Exultet Barberini, Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma.

(16) B. E. Murillo, Isidoro di Siviglia, Cattedrale di Siviglia.

(17) Anonimo, Paolo Diacono, miniatura, Biblioteca Laurentiana, Firenze.

(18) S. Botticelli, Ritratto di Dante, tempera su tela, collezione privata, Ginevra.

(19) Duomo di Siena.

(20) Chiesa di S. Fortunato, Todi (PG).

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Fonti iconografiche(21) Duomo di Gubbio (PG).

(22) Duomo di Arezzo.

(23) Michelangelo, Madonna della scala, bassorilievo marmoreo, Casa Buonarroti, Firenze.

(24) Leonardo da Vinci, Uomo Vitruviano, disegno, Galleria dell’Accademia, Venezia.

(25) Caravaggio, Cena in Emmaus, olio su tela, National Gallery, Londra.

(26) Frans Hals, Ritratto di René Descartes, Statens Museum for Kunst, Copenhagen.

(27) E. Delacroix, La libertà che guida il popolo, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

(28) A. Canova, Paolina Borghese, statua in marmo, Galleria Borghese, Roma.

(29) C. D. Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, olio su tela, Kunsthalle, Amburgo.

(30) Pietro da Cortona, Trionfo della Divina Provvidenza, affresco, Palazzo Barberini, Roma.