VALENTINA COLOMBI - unive.it 2006... · ... LA GRANDE GUERRA E LA CRISI DEL MODELLO LIBERALE...

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Valentina Colombi «QUESTA BUONA GIOVENTÙ STUDIOSA». L’EDUCAZIONE DELL’ITALIANO AL REGIO LICEO PAOLO SARPI DI BERGAMO, 1859-1924

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Valentina Colombi

«QUESTA BUONA GIOVENTÙ STUDIOSA».L’EDUCAZIONE DELL’ITALIANO AL REGIO LICEO PAOLO SARPI

DI BERGAMO, 1859-1924

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INDICE DELLA TESI

INTRODUZIONE

PROLOGO. Prima della patria: gli ultimi dieci anni della dominazione austriaca

(1849-59).

Parte I. IL LICEO NELL’EPOPEA RISORGIMENTALE: LA FASE EROICA (1859-75).

I. “L’Italia s’è desta”. Dalla cacciata degli austriaci alla spedizione dei Mille.1. La scuola e la città nelle “emozionali circostanze” della liberazione. 2. Percorsi garibaldini: storie di eroi ed eroi dimenticati.

II. La scuola di fronte al compiersi dell’unità nazionale. Premessa.

1. L’educazione militare, la scuola armata.2. Ritmi e riti della patria unita nella vita scolastica.3. La scuola dei laici contro la scuola dei preti: anticlericalismo e “questione

romana” al Sarpi.

Parte II. LA FASE DEL RACCONTO E DELLA COSTRUZIONE DEL MITO RISORGI-MENTALE (1875-1914).

III. Questione di uomini. I padri del racconto e il “lungo Risorgimento” inse-gnato a scuola. 1. Il ruolo dell’istruzione classica nel panorama borghese tra Ottocento e

Novecento.2. La carriera di un professore, dalla militanza alla cattedra: l’esempio di

Pasino Locatelli. 3. Nuovi orizzonti per nuovi insegnanti: filologi, carducciani, federati.

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IV. Dalla parte dei ragazzi.1. Ai margini della scuola. Sport, cultura, natura.2. Vita studentesca a Bergamo: eventi e interventi tra fine Ottocento e inizio

Novecento.

Parte III. NUOVI MITI, NUOVI RACCONTI: LA GRANDE GUERRA E LA CRISI DELMODELLO LIBERALE (1914-24).

V. Dulce et decorum est pro patria mori. Il liceo e la guerra. 1. Dall’interventismo all’intervento.2. La scuola al fronte: mobilitazione, arruolamenti, propaganda, disciplina.3. “Ai novissimi eroi”: la prima costruzione di una memoria della Grande

Guerra.4. Appendice.

VI.Scuola vecchia, uomini nuovi. 1. Il difficile dopoguerra, dalla pace al fascismo. 2. Il caso Caterino-Riva: l’intramontabile fiducia nell’educazione autoritaria.

FontiBibliografia

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Sintesi della tesi

Questa tesi ripercorre le vicende del Liceo Paolo Sarpi di Bergamo tra Otto-cento e Novecento con l’obiettivo principale di individuare e porre in rilievotutti quegli aspetti che mettono la vita di una scuola classica in relazione con ilproblema della patria, della nazione, e delle identità, delle appartenenze, deipanorami mentali e culturali che a quel problema sono connessi. La partitura di questa ricerca è costituita dai momenti cruciali della storiad’Italia nello snodo tra i due secoli, momenti nei quali la scuola deve, conmaggiore o minore intensità nelle diverse occasioni, sintonizzarsi sulle fre-quenze dell’esterno, accettandone e assorbendone le intrusioni. Su questogrande affresco di sfondo si collocano le vicende dei singoli e dei gruppi –alunni, funzionari scolastici, insegnanti – che con quei momenti cruciali sitrovano a fare i conti, ma che vivono anche la scuola come dimensione privatae quotidiana, e che riconoscono come orizzonte d’azione privilegiato la ribaltacittadina, con un panorama culturale dominato dalla retorica dell’amor dipatria, dell’eroismo patriottico, dell’orgoglio nazionale, e, insieme, influenzatodalla non facile convivenza, a Bergamo, con una Chiesa forte e tradizionalista.Primo e principale terreno di lavoro è stato l’Archivio Storico del liceo stesso,il cui campo visivo limitato e troppo spesso autoreferenziale è stato integratoda altre fonti (in particolare, la stampa locale periodica e d’occasione) chehanno permesso di indagare i riferimenti culturali generali di alunni e profes-sori, le vicende professionali e personali di docenti e presidi, l’andamentocomplessivo dell’istruzione rispetto alle aspettative della cittadinanza, tuttiaspetti nei quali la patria ha modo di emergere quale paradigma identitariodi primaria importanza.La struttura complessiva della tesi, dunque, si articola in un intreccio di eventie di strutture in evoluzione, nel quale la “storia di scuola” s’interseca con lastoria della città tra Ottocento e Novecento: la prima parte, con le lotte risor-gimentali ancora in corso, è dedicata alla fase più “militante” del patriotti-smo, che vede gli uomini e i ragazzi di scuola chiamati a sperimentare fatti-vamente – e unanimemente – il loro senso di appartenenza nazionale nellaguerra all’oppressore straniero (concorrono a testimoniarlo con efficacia la

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presenza di alcuni alunni tra i Mille di Garibaldi, le vicende dell’educazionemilitare a scuola, e, sul “fronte interno” della lotta anticlericale, l’operato dialcuni presidi e professori fervidamente laicisti); la seconda parte tenta inve-ce di dare conto dell’articolarsi di quel senso di appartenenza in un quadro dicrescente complessità nei decenni a cavallo tra i due secoli, con l’insinuarsinegli spazi del liceo dei diversi umori provenienti dall’agone politico cittadino,puntando soprattutto a mettere in luce i rapporti che intercorrono tra la me-moria che la città elabora sul burrascoso processo fondativo della nazione e ilLiceo Sarpi inteso – in quanto liceo classico – come la fucina nella quale ven-gono forgiate le élite che di quella memoria devono farsi carico (con una spe-ciale attenzione per le forme di elaborazione autonoma che gli studenti metto-no in campo); la terza parte si sofferma infine sulla travolgente intrusionedella guerra nel chiuso delle aule e sull’onda lunga degli sconvolgimenti da es-sa generati, fino all’affermarsi del fascismo: la Grande Guerra coincide nonsoltanto con una pesante trasformazione dei ritmi dell’attività didattica –nell’adeguamento della vita di scuola al corale sforzo bellico – ma anche conun cambiamento radicale degli obiettivi formativi generali, nel momento incui all’istituzione scolastica si richiede espressamente di farsi strumento dipropaganda patriottica, un nuovo corso che non mancherà di far sentire ilsuo peso ancora nel dopoguerra, quando anche al Liceo Sarpi è possibile rile-vare i segnali di smarrimento e di disagio che costituiranno il fertile terreno digerminazione del movimento fascista prima e d’insediamento del regime poi.

ANNO ACCADEMICO: 2004-05REALTORE: Prof. Mario IsnenghiCORRELATORI: Proff. Marco Fincardi e Adolfo Scotto di Luzio.

Legenda:ASLS = Archivio Storico del Liceo SarpiBCB = Biblioteca Civica di Bergamo “Angelo Mai”

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CAPITOLO III

QUESTIONE DI UOMINI. I PADRI DEL RACCONTO E IL “LUNGO RISORGIMENTO” INSEGNATO A SCUOLA

III.1. Il ruolo dell’istruzione classica nel panorama borghese tra Ottocento eNovecento.

[…] Concluse le turbolenze risorgimentali, la scuola classica poteva finalmenteaspirare a ricoprire il “ruolo essenziale nella stabilizzazione ideologica dei cetimedi”1 che la classe di governo liberale le assegnava. In sostanza, il suo compitooriginario, ovvero quello di “ammaestrare i giovani a quegli studi mediante iquali si acquista una cultura letteraria e filosofica che apre l’adito […] al conse-guimento dei gradi accademici nelle Università dello Stato”2, si ampliava acontenere anche la formazione di quei ceti essenzialmente “medi”, che alle auleuniversitarie non sarebbero mai approdati, ma che, provvisti della licenza li-ceale o anche solo ginnasiale, avrebbero cercato collocazione nei ranghi piùbassi del pubblico impiego, o in più redditizie attività commerciali e produttive.[…]Questa “generosità” nell’individuazione dei destinatari sociali dell’istruzioneclassica governativa dovette però scontrarsi con una realtà ben più complessa: ifamigerati “ceti medi” constavano di una pluralità di configurazioni socio-economiche e di destini culturali difficilmente generalizzabile, una pluralità chefaticò a riconoscersi globalmente nell’occasione formativa offerta dagli studiginnasiali e liceali. […] In questa riluttanza ad individuare uno o più solidi referenti sociali precisi, ri-siede l’ambiguità di fondo che contraddistingue l’istruzione classica, per tuttal’età liberale e oltre: la sua importante funzione di socializzazione delle classiborghesi non si accompagna ad una parallela funzione di selezione delle élite.Dal comune milieu formativo della borghesia, la scrematura sociale avveniva

1 A. Scotto di Luzio, Il liceo classico, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 71.2 Legge Casati, Titolo III, art. 188, riportato in G. Canestri – G. Ricuperati, La scuola in Ita-lia dalla legge Casati a oggi, Torino, Loescher, 1976.

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per lo più in altri modi, che non per selezione meritocratica nell’ambito del cor-so di studi […]3.D’altra parte, l’istruzione classica, che affondava le radici nei tradizionali studiahumanitatis degli antichi collegia nobilium, intrecciava i suoi destini con unambiente sociale che era decisamente più alto che basso. Si creava così unoscarto tra l’esclusività di una scuola “classica” in senso etimologico – classicus èaggettivo che originariamente indica per antonomasia gli appartenenti alla piùalta classis di contribuzione fiscale4 –, portatrice di valori pedagogici e culturaliessenzialmente elitari, e la volontà di aprire i battenti a settori più ampi dellasocietà, che però dalle élite di potere rimanevano poi di fatto esclusi. […]Insomma, l’istruzione secondaria classica, con il peso della sua eredità e leaspettative di cui viene caricata dalle classi dirigenti liberali, è destinata a porsicome un costante interrogativo nell’attività dei governi che si susseguonodall’unità al fascismo: essa non risponde a richieste formative concrete, ha unafondamentale natura programmatica, che non tiene conto adeguatamente dellereali configurazioni della società italiana. Ma questo non compromettel’importantissima funzione culturale che essa finisce per avere, anzi: il liceoclassico, proprio in virtù di questo amalgama di indeterminatezza sociale edelitarismo formativo, diventa, soprattutto a cavallo del secolo, uno dei più effi-caci e capillari mezzi di costruzione e diffusione di quelle che Alberto MarioBanti definisce “semantiche nazional-patriottiche”, che costituirono il “codice co-municativo” della borghesia italiana, nonché un “modo straordinariamente diffusoe pervasivo di immaginare la propria identità, di entrare in contatto con gli in-terlocutori ai quali ci si rivolge, di designare un’appartenenza di gruppo”5 […].È soprattutto un codice retorico, una comune sintassi di forme e contenuti, checostituiscono una vera e propria koiné semantica del mondo borghese. È ancheun modo peculiare di intendere la parola, e la parola pubblica in particolare,che trova le sue radici nell’antico precetto del movere docere delectare e la sualunga tradizione nella perdurante forza del classicismo come modello pedago-gico “alto” della società europea. […] A questo sostrato tenacemente classicista, va ad aggiungersi la volontà disuperare il plurisecolare modello retorico di stampo gesuitico, di applicare anche

3 Su questi temi fondamentale risulta A. M. Banti, Storia della borghesia italiana. L’età libe-rale, Roma, Donzelli, 1996, mentre sulla “territorialità della rappresentanza”, approfonden-done gli aspetti politologici, riflette M. Salvati, Cittadini e governati. La leadership nella sto-ria dell’Italia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1997.4 Salvatore Settis, ripercorrendo brevemente la storia della parola “classico” nella cultura oc-cidentale, ne rintraccia il primo uso traslato in senso letterario in Aulo Gellio (II sec. d. C.),classicus nel senso di “di prim’ordine”, “buono per esser letto dai classici”, vedi S. Settis, Ilfuturo del classico, Torino, Einaudi, 2004, p. 66. È ancora Settis a notare, poco oltre, la“piena (ma forse inconsapevole) consonanza con la metafora di Gellio (fondata sulle distin-zioni di censo)” della “nuova cultura ‘classica’ […] rivolta ai classici del presente”, ibidem, pp.70-71.5 A. M. Banti, Storia della borghesia cit., p. 214.

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allo studio dell’antichità quel rigore scientifico che già altrove in Europa, e spe-cialmente nel mondo germanico, stava dando i suoi frutti, esibendo nella gio-ventù prussiana trionfatrice a Sédan tutto il suo potenziale educativo. In unanuova, trasversale querelle des anciens et des modernes, si mettono a con-fronto due modi differenti di rapportarsi con l’antichità: c’è chi insiste sulla se-colare tradizione di continua riscoperta dell’humanitas dei classici attraversopiena padronanza del latino come lingua viva, e chi promuove l’esempio diinarrivabile perizia glottologica raggiunta dai tedeschi nello studio della linguagreca6.È su questa pluralità di intrecci, tra vecchi modelli e nuovi stimoli, che si inne-sta, in modo del tutto peculiare, il patrimonio retorico, iconico ed eticodell’epopea risorgimentale e della fondazione nazionale. Mentre la scuola posi-tivista s’impegna a preparare forze morali ed intellettuali in grado di competeresulla scena europea, la mai sopita – anzi, a più riprese rivendicata – tradizioneclassicista diventa un modo, anzi il modo precipuo della borghesia per con-frontarsi col passato, per guardare indietro alla ricerca di più recenti exempladi una virtù – morale, politica, letteraria – tutta italiana, di nuovi “luoghi” reto-rici, ad ampliare e radicare in senso patriottico la già folta schiera dei maioresdi riferimento.È stata da più parti sottolineata l’importanza che in questo contesto ebberoCarducci e i suoi discepoli: il poeta che “aspirava ad essere […] la voce indivi-duale dell’anima collettiva del popolo italiano”7, specie dopo la sua“istituzionalizzazione” con l’adesione alla monarchia, divenne il referente prin-cipale di quanti, nella scuola e fuori, si collocarono “lungo il filo di un’idea dellaforma letteraria intesa […] come tecnica, mezzo per dare rilievo ed efficacia allaparola”8, e specialmente alla parola poetica.E non è un rilievo puramente formale, un fatto di ricercatezza stilistica: l’amoreper la parola poetica, per un vibrante lirismo che permea anche tanta ispirataprosa del panorama retorico italiano, ha un risvolto etico e ideologico di primopiano. L’enfasi della poesia rispecchia bene quell’afflato eroico che ancora a finesecolo e all’aprirsi del Novecento – sebbene l’Italia non abbia più, o non ancora,bisogno di eroi, ma semmai di alti ingegni e alacri imprenditori, o tutt’al più dimilitari ubbidienti e disciplinati – anima i modelli comportamentali e mentalipromossi nella scuola soprattutto, ma anche nella società italiana in generale.

6 Su classicismo, positivismo e reazione antipositivistica, vedi ancora A. Scotto di Luzio, Il li-ceo classico cit., pp. 43-79. Per l’andamento degli studi classici tra Ottocento e Novecento,vedi S. Timpanaro, Il primo cinquantennio della «Rivista di filologia e d’istruzione classica»,in Cento anni della rivista di filologia e di istruzione classica, “Rivista di filologia e di istru-zione classica”, n. 100, serie terza (1972), pp. 386-441.7 P. Alatri, Carducci e il Risorgimento, in Il mito del Risorgimento nell’Italia unita, “Il Risor-gimento”, a. XLVII, n. 1-2 (1995), pp. 102-109.8 A. Scotto Di Luzio, Il liceo classico cit., p. 59.

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In un simile panorama, è evidente il ruolo chiave che gioca, nella propagazionedi modelli culturali nazionali per via scolastica, l’insegnamento delle lettere ita-liane, di certo anche più di quello della storia patria […]. La scuola preferisce[…] concentrare le proprie forze sulla ricostruzione del “lungo Risorgimento”della patria, a contenere e giustificare il successo di quei rivolgimenti relativa-mente brevi e spesso fortunosi che l’hanno condotta ad essere finalmente liberae unita9. Nel liceo classico italiano, “scuola della parola” e “scuola di patria”, la rievoca-zione della remota voce degli antichi deve accompagnarsi alla riscoperta delleispirate voci degli italiani che furono. È all’insegnamento dell’italiano, dunque,che dobbiamo guardare soprattutto, se vogliamo cogliere i riferimenti culturalidi fondo dell’educazione nazionale nella scuola classica.

III.2. La carriera di un professore, dalla militanza alla cattedra: l’esempio diPasino Locatelli.

Tuttavia, specialmente se rimaniamo cronologicamente vicini all’epoca dellelotte del Risorgimento politico e militare, risultano importanti i protagonistidell’insegnamento non meno dei suoi contenuti. Fino almeno agli ultimi annidell’Ottocento, infatti, si dedicheranno all’insegnamento nei licei e nei ginnasipersonaggi che il Risorgimento l’hanno vissuto in prima persona, e non di radohanno attivamente partecipato alle diverse fasi di elaborazione militare e politi-ca dell’unità italiana. Per questi uomini, spesso, l’insegnamento coincide con un’ulteriore forma diimpegno civile, ed essi hanno una coscienza particolarmente sentita del lororuolo. Nondimeno, devono fare i conti con una scuola sempre meno militante,giacché […] concluso il processo di liberazione e di unificazione della patria,alla fase attiva segue la fase “conservativa”, di stabilizzazione e radicamento de-gli assetti raggiunti: la scuola classica, fedele al suo secolare mandato di “scuola

9 Offre una testimonianza di questa netta prevalenza del racconto letterario su quello storico– che rimane a lungo marginale nei programmi, ma ancora più a lungo nella pratica – la rela-zione sugli esami di licenza del 1887-88, redatta da un’apposita Commissione formata daCarducci, Revere e D’Ancona: per quanto concerne il tema di italiano, essi notano come losvolgimento della traccia assegnata per la sessione di luglio – “Come l’Italia, già per secolidivisa, siasi ricomposta a unità di nazione; quali sentimenti, quali propositi ispira al giovanequesto glorioso rinnovamento della patria” – non sia stato centrato da molti tra i candidati:“apparve che molto spesso il professore di storia non aveva avuto tempo di giungere colle suelezioni agli avvenimenti dell’età nostra, sicché gli alunni in molti casi ricorsero a quello che, inscarsa misura e confusamente, sapevano di proprio. In qualche liceo i candidati ignari dellastoria civile, ma più esperti in quella letteraria, si fermarono a dire del risorgimento lettera-rio: di Alfieri, Parini, Foscolo, Manzoni ecc.”, Ministero della Pubblica Istruzione, Relazionidel Collegio degli Esaminatori sulla licenza liceale dell’anno scolastico 1887-88, Roma, Tip.Enrico Sinimberghi, 1889 (ASLS, fald. 52).

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della traditio”, della trasmissione di un sapere antico, deve guardare indietro,deve preoccuparsi di serbare nelle nuove generazioni la memoria di ciò che èstato, e di insegnare il rispetto per le generazioni precedenti e per ciò che hannocostruito. È un compito tutt’altro che semplice, soprattutto perché non è sostenutoda una politica univoca, da scelte precise e programmatiche da parte di chi gover-na. I nuovi contenuti nazionali e patriottici di cui vengono imbandite le tavole deiprogrammi didattici postunitari rimandano la faticosa e travagliata elaborazio-ne degli strumenti e dei modi specifici alla buona volontà dei singoli insegnanti,costretti per lo più a percorrere la secolare strada dell’apprendimento mnemo-nico, del centone, ad applicare ai nuovi contenuti gli strumenti tradizionalidella vecchia “umanità e rettorica”, cercando di adattarli all’obiettivo di valoriz-zazione poetica ed epica di quel racconto tutto da costruire.Per illustrare più concretamente questo travaglio, ci soccorre l’esempio di unodi questi “padri” del racconto risorgimentale, e cioè l’insegnante del liceo Sarpiche occupò la cattedra di italiano dal 1862 al 1892 […]. Prima ancora che insegnante, Locatelli è un intellettuale militante, che nellasua vita trova diversi modi per affermare il proprio impegno civile. Può vantare,innanzitutto, la partecipazione in prima persona ad alcuni eventi significatividel Risorgimento: nato nel 1822, nel 1848 partecipa alle Cinque Giornate e allacampagna del Tonale nella colonna guidata da Gabriele Camozzi, nella prima-vera del 1849 conosce l’esilio in Svizzera perché accusato di aver preso parte adun’insurrezione anti-austriaca, nel 1859 è sottotenente della Guardia Nazionalebergamasca. Tuttavia, il suo impegno si esprime principalmente sul versanteintellettuale: Locatelli, soprattutto e prima di tutto, è giornalista e opinionista10.È sulla carta stampata che Locatelli individua primariamente il suo spazio e ilsuo ruolo. Anche il suo impegno politico spesso è di natura “retorica”, nel sensoche si manifesta attraverso la sua abilità oratoria, come abbiamo riscontrato inoccasione della celebrazione del 3 settembre 1859. La sua vena divulgativa co-stituisce il trait d’union tra l’attività giornalistica e l’attività pedagogica: è coin-volto in diverse istituzioni culturali cittadine […].In questo quadro, risulta chiaro come egli veda nell’insegnamento un’occasioneimportante, ma non esclusiva, di esprimere se stesso e di trovare la sua dimen-sione umana e civile. Risale al 1854 la sua prima richiesta per ottenerel’abilitazione all’insegnamento ginnasiale, pur non essendo egli laureato, masemplicemente munito di un attestato di frequenza degli studi politico-legaliall’università di Pavia dal 1841 al 1844. Alla fine del 1860 viene nominato se-gretario del provveditore agli studi Gabriele Rosa, ma rinuncia a questa carica,

10 In appendice a B. Cattaneo, Il Carteggio Carlo Tenca – Pasino Locatelli. Politica, giornali-smo e letteratura tra Bergamo e Milano (1850-75), in “Bergomum”, a. LXXXVI, n. 2 (aprile-giugno 1991), pp. 151-275, si trovano: la sua vasta bibliografia, l’elenco delle sue collaborazio-ni a periodici di varia natura, nonché la repertoriazione archivistica dei documenti inediticonservati nella Biblioteca Civica di Bergamo.

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quando, all’inizio dell’anno scolastico 1862-63, viene chiamato a supplire allacattedra vacante di lettere italiane al R. Liceo non ancora intitolato a Paolo Sarpi.Da questa data, l’insegnamento diviene la sua occupazione fissa e principale fi-no al pensionamento, avvenuto nel 1892. Rimane comunque costante il suoimpegno giornalistico, al quale Locatelli affianca un attivismo davvero inesau-ribile nelle vesti di animatore culturale nei più svariati campi del sapere stori-co-artistico e storico-letterario (soprattutto, ma non solamente, d’interessestrettamente bergamasco). Inoltre, come tutti gli uomini colti ed eruditi del suotempo, non si sottrae – senza troppo successo, per la verità – alla pratica lette-raria, dalla poesia drammatica, alla novella, ai componimenti d’occasione. Locatelli, dunque, per certi versi si discosta parecchio dalla vecchia figuradell’umanista cattedratico, munito di bacchetta e di Regia Parnassi, che pureera ancora diffusa nella scuola italiana assurta a scuola nazionale. Però fa partedi una generazione che ha conosciuto sia le bacchettate, sia la Regia Parnassi, enon può prescindere da questa sua formazione scolastica e dagli strumenti ac-quisiti attraverso di essa11 nella sua professione di insegnante, anche perché,oltre a essere un autodidatta nel suo approccio allo studio delle lettere, non haneppure una preparazione specificatamente pedagogica (cosa che, peraltro, ac-comuna tanti, troppi, insegnanti della scuola postunitaria). Locatelli perciò misembra un degno rappresentante di questa prima generazione di professori ita-liani, fortunosamente approdati a una scuola affamata di personale docente lai-co e ideologicamente affidabile, e costretti a conciliare il vecchio con il nuovo, ea trovare da sé la propria strada all’insegnamento.Nel suo caso, abbiamo la fortuna di disporre – all’interno del suo vasto archivioconservato nella Biblioteca Civica di Bergamo – di diverso materiale inerentealla sua professione: appunti preparatori, lezioni svolte, repertori di temi asse-gnati alle diverse classi che si sono avvicendate alle sue cure in trent’annid’insegnamento. Insegnamento che, com’è noto, si componeva di due rami le-gati tra loro: la letteratura italiana e la “composizione” di testi. Soffermiamoci innanzitutto sull’insegnamento della letteratura, che costituiscela vera novità nei programmi di italiano della scuola postunitaria. Constava diuna parte storica in senso stretto, organizzata in una preliminare panoramicagenerale, e in diverse monografie più specifiche incentrate sui diversi generi

11 A tal proposito, non dimentichiamo – ne riparleremo anche fra breve – quanto si diceva aproposito della perdurante centralità della parola, della retorica, del gusto del “bel parlare”nel panorama formativo postunitario, centralità che incentivava gli insegnanti a mantenerevivi ed operanti i vecchi strumenti e moduli didattici. Severo, a questo proposito, il giudizio diAntonio Santoni Rugiu: i professori “si sentivano investiti di una missione culturale per latrasmissione di un sapere privilegiato, necessario per entrare a buon diritto nella casta delleprofessioni, dell’Amministrazione, dell’Esercito. […] Il professore italiano si sentiva tenuto afar lezione in chiave di eloquenza: nella miseria della sua condizione trovava una compensa-zione figurando come un brillante conferenziere”, A. Santoni Rugiu, Il professore nella scuolaitaliana, Firenze, La Nuova Italia, 1973 (1959), p. 117.

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letterari; e di una parte antologica che forniva gli esempi più rappresentativi tragli autori dei diversi generi […]. Ovviamente, Locatelli si avvaleva di libri di testo in appoggio alle sue lezioni (necita parecchi nei suoi appunti, ma a partire dagli anni Settanta utilizzò quasisempre il vecchio Ambrosoli già in uso nel ginnasio asburgico, in concomitanzacon il Disegno storico della Letteratura italiana di Raffaello Fornaciari12), maciò che dava la cifra all’insegnamento era la sua preparazione personale: vi sonopagine e pagine di lezioni confezionate sui più diversi argomenti, vere e proprieconferenze13, che verosimilmente gli saranno servite – man mano aggiustatesulla scorta dell’esperienza – per diverse generazioni di scolari (e forse gli sa-ranno tornate utili anche in qualche orazione extra-scolastica). Vediamo la lezione di apertura del suo corso in prima liceo. È molto interes-sante, perché è una testimonianza del suo modo di intendere l’insegnamentodella letteratura, e del senso che egli dà a questa materia […]. Dopo aver prospettato ai suoi scolari le meraviglie di questa lussureggiante di-sciplina, paragonandola ad un itinerario che si snoda nel più vario e incantevoledei paesaggi – “con alberi e colline, e vedute e cascate e rigagnoli e fiumi e cre-ste ispide e nevose e burroni scoscesi, e capanne, e pascoli e mandrie, campani-li, chiese, palagi e castelli ”- in una sorta, insomma, di captatio studii, Locatellisi sofferma su quelli che furono, come annota a margine, i “difetti passati”dell’insegnamento delle lettere, quando, ai suoi tempi, tutto lo studio delle let-tere si risolveva in base a “prescritti” da “mandare alla memoria”, “e guai a chin’usciva!”: “l’arte della parola, incatenata come un malfattore al tavolo del pre-cettore” non poteva “spaziare libera pei campi della creazione e farsi anch’essacreatrice”14. Vi è dunque un nesso preliminare tra la qualità e la libertà dellelettere – e delle arti in genere –, le quali raggiungono espressioni più alte e sin-cere solo se sono prive di vincoli formali ed estetici (ma il pensiero corre natu-ralmente anche a quelli politici) e rispondono invece “alle aspirazioni, ai biso-gni, al tempo ed agli uomini”. La letteratura è dunque in questo senso uno stu-dio “vitale”, legato al presente, aperto allo scambio con gli altri popoli:

12 Secondo Marino Raicich, il manuale di Francesco Ambrosoli “nelle statistiche delle adozio-ni di quegli anni [ancora dopo il 1880] aveva una netta prevalenza, senza essere insidiato […]dal troppo povero Disegno di Raffello Fornaciari, che semmai lo affiancava, non lo sostitui-va”. Il successo dell’Ambrosoli era dovuto al fatto che “oltre agli altri non pochi pregi, avevaquello di presentare, fuse insieme, la storia letteraria e l’antologia di testi. E lo riteneva ottimoun giudice autorevole come Carducci che, all’alba dello Stato unitario, lo aveva suggeritoall’amico editore Gaspero Barbéra”. M. Raicich, Di grammatica in retorica. Lingua scuolaeditoria nella Terza Italia, Roma, Archivio Guido Izzi, 1996, p. 254.13 Non sono scritti datati, né databili con precisione, ma per lo stile e la calligrafia sembrereb-bero appartenere per lo più al primo periodo del suo insegnamento, e annotati e commentatipoi in momenti successivi: probabilmente si tratta di materiali che Locatelli preparò agli albo-ri della sua carriera, e che costituirono anche in seguito il supporto principale dei suoi corsi.14 Letteratura Italiana. Introduzione. I° corso (BCB, Archivio Pasino Locatelli, fald. 41 R. 13(12), foglio 255, verso).

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Usciamo e presentiamoci dinnanzi alle innumere generazioni, e mettendo a base la no-stra, e desumendo da essa il genio della patria, cerchiamo sapere qualche cosa anche dialtre patrie e di altre popolazioni. Da ciò più esteso il campo dei raffronti, mezzo sicuro asomministrarci più profondo e utile insegnamento.15

La conoscenza del proprio “genio” nazionale, si ottiene attraverso l’approfonditostudio della lingua italiana e delle sue produzioni letterarie più significative,“per prender in confidenza ed amare i nostri grandi, e formar sopra di essi ilfondamento del gusto”16. Il culto del passato nazionale, così generoso di fasti,non deve tradursi in uno sterile orgoglio di sapore nostalgico: esso serve “perfarci più forti a cogliere argomento di dignità e desiderio di emulazione”:

Credo mio dovere di sollecitarvi [a] […] quell’amore per le cose patrie che deve special-mente essere proprio de’ vostri anni giovanili. In questa scuola tutto può ispirare sensidi devozione alle nostre grandi memorie ed ai grandi monumenti che ci rimangono.17

Per illustrare inoltre quale sia l’“ufficio” della letteratura, definito in primis co-me “civile e umanitario per eccellenza” – per questo essa è “il sintomo del mag-giore o minore progresso di un paese e di una nazione”18 –, Locatelli si dilungain un excursus più propriamente storico, che lega le vicende letterarie alla sto-ria politica della penisola italiana. La tradizionale scansione epocale tra civiltà ebarbarie vede lo svolgersi parallelo della grandezza e della pochezza delle lette-re italiane: floride sotto Roma, annullate dalle invasioni barbariche, rinate collaciviltà dei comuni vincitori sul Barbarossa e coi Vespri siciliani (“vedete […]come ci volesse gran vigoria d’intelletto perché una nazione, caduta in tanto av-vilimento e con addosso tanto peso di barbarie potesse risquotersi [sic!]. Mal’Italia lo poté”19), precipitate sempre più in basso allorquando “la poesia caddein molto discredito, come arte prostituita, arte poltrona, arte esercitata per lopiù da piaggiatori, che alle mense dei grandi e dei ricchi acquistavano colla viltàil pane quotidiano”20, fino alla recente riscossa che diede il via al Risorgimentonazionale:

[…] durante la dominazione austriaca e le conseguenze della pace del 1815 Berchet,Manzoni, Guerrazzi, Giusti, Piccolini mostravano in Italia come la Letteratura possa ser-vire ai bisogni della nazione e rompere le tenebre ed insegnare a quali sensi la gioventùdebba crescere ed istruirsi. 21

[…] Qual è invece il fine della letteratura, l’ideale cui essa deve tendere?

15 Ibidem, (foglio 256, recto).16 Ibidem, (foglio 257, recto).17 Ibidem, (foglio 258, recto).18 Ibidem, (foglio 261, recto).19 Ibidem, (foglio 262, recto).20 Ibidem, (foglio 262, verso).21 Ibidem.

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Ritenuta come mezzo civilizzatore, deve intendere a questo. Le lettere devono in ogniloro ramo essere ministre di giustizia e verità. Se dovremo altamente encomiare gliscrittori italiani del decimosettimo secolo per la squisita forma delle loro opere, non po-tremo però mai imitarne il concetto, vuoto o poco civilizzatore […]. I poeti cantavanonon per la nazione, ma per solazzare i tiranni della nazione, sicché lo scopo era capo-volto […].22

Seguono, dal Trecento in qua, i più alti esempi di letteratura autenticamentecivile:

Dante avea ben capito il fine vero e grande della letteratura, e Dante fu poeta e letteratostupendamente civile. Alfieri intravide quale fosse il bisogno de’ suoi connazionali e liscuoteva aspramente col fiero suo verso. Parini colla sferza dell’ironia metteva a nudo leignominie della educazione e della vita dei ricchi e dei nobili del tempo suo: Foscolosposava a’ sensi squisiti d’attico gusto i sensi del patriota e dell’anima generosamentesdegnosa: Piccolini coll’Arnaldo protestava artisticamente contro il connubio sacrilegodel trono coll’altare; Giusti col riso [condito?] alle grazie dell’idioma toscano mettevasidinnanzi ai grossi ed ai piccoli principi e con coraggio pari a chi incontra i pericoli dellebattaglie li poneva in dileggio sinché rideva l’Italia e si incoraggiava negli odii controall’oppressore; mentre i beffati si mordevano a sangue le labbra!23

Lo studio della letteratura è, ovviamente, quello più ideologicamente scoperto,proprio perché presuppone l’allestimento di un racconto, che non può esisteresenza un punto di vista. E il punto da cui Locatelli addita ai suoi scolari le gloriee le miserie di ciò che è stato è, come si nota facilmente, fortemente“politicizzato”: è una visione in cui gli antichi precetti della retorica, e gli splen-dori estetici dell’arte della parola in tutte le sue forme, si sostanziano del nuovosodalizio di civiltà e progresso cui ciascuna nazione – e in primis la nazione ita-liana, memore delle sue grandezze passate – è chiamata a contribuire.Questa sostanza politica è tutto sommato nuova, nel primo periodo di inse-gnamento storico-letterario dopo l’unità: sarà stata probabilmente percepitacon forza dagli scolari più attenti e appassionati. […]Naturalmente, non tutte le lezioni, anche di letteratura, avranno avuto questapregnanza ideologica. Anzi, la parte storica, di fatto, sembra fungere più chealtro da inquadramento ai brani antologici che costituiscono altrettanti saggidei diversi stili di “composizione” testuale, sia poetica che prosastica. Infatti,pur senza sminuire l’impegno da lui profuso nell’affermare l’“ufficio civile”della letteratura – dal quale si evince la carica militante che animò la sua pro-fessione, per tutta la sua lunga ed onorata carriera – a quanto pare, nella prati-ca Locatelli finiva per assegnare più ampio spazio alla parte retorica del suo in-segnamento, con lo scopo di affinare le capacità espressive ed espositive deglialunni attraverso la valorizzazione linguistica e formale degli esempi letterari

22 Ibidem, (foglio 263, recto).23 Ibidem, (foglio 263, verso).

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proposti. Le preoccupazioni che egli manifesta nelle relazioni sullo stato dellasua materia vanno tutte in questa direzione: spesso lamenta l’impreparazionedegli alunni che provengono dagli studi ginnasiali, e si sforza moltissimo diporvi rimedio attraverso il costante esercizio, in classe e a casa.

Riguardo agli esercizi, li ho tenuti a voce in iscuola, a mezzo di ripetizioni, di commenti,di recitazioni di brani a memoria di prosa e di poesia, ed in iscritto con componimenti diargomento svariato e meglio adatti assegnati agli scolari ogni settimana […]. Nelle lezio-ni da me date […], ebbi di mira di richiamare l’attenzione degli scolari sopra le materiedel programma, ma specialmente di tenerli esercitati nella difficile arte del comporre.24

Non è un caso, dunque, che impieghi gli ultimi mesi della sua breve e precocevecchiaia, per non abbandonarsi all’“ozio increscioso”25 cui lo costringe la suaindesiderata posizione di ex (vedremo più avanti i suoi tentativi di ritardare ilpiù possibile il pensionamento), alla compilazione di un testo scolastico come ilManuale dell’arte del comporre26, dato alle stampe nel 1894, anno della suamorte. Una scelta che […] ci dice molto della fiducia che il vecchio professoreripone nella centralità della parola, del suo valore estetico ed espressivo, nellaformazione dei giovani borghesi ancora a fine Ottocento, tanto da dedicargliquello che possiamo considerare il suo “testamento scolastico”. Con questo manuale Locatelli si propone di fornire esempi commentati di com-posizioni di italiano, dedicati agli scolari […]. È proprio in quanto è destinatoagli alunni che esso è, per noi, particolarmente interessante: ci suggerisce qualiaspettative Locatelli avesse sugli esiti del suo insegnamento, sulla resa degliscolari cui assegnava quelle tracce (tracce che effettivamente utilizzò in tuttol’arco della sua carriera d’insegnante: possiamo riscontrarlo negli elenchi dellecomposizioni svolte a casa e a scuola, che egli annualmente faceva compilareagli alunni)27.Dalla lettura delle “osservazioni preliminari” che introducono il manuale, si de-lineano l’orizzonte pedagogico cui Locatelli fa riferimento, le sue priorità cultu-rali, la coscienza del suo ruolo, il suo sguardo su coloro che attendono al“noviziato dell’imparare”28. Ciò che emerge più chiaramente è il suo legame con modelli passati, che, purnella consapevolezza delle nuove richieste che la scuola è chiamata a soddisfare,rimangono per lui imprescindibili. Allo sviluppo delle tecniche dell’eloquenza,della capacità di esprimersi compiutamente in ogni contesto, del buon gusto

24 Relazione finale per l’anno scolastico 1871-72, minuta, (BCB, Archivio Pasino Locatelli,Carteggio, fald. 35. R. 4, lettere H-L).25 Ibidem, p. 9.26 P. Locatelli, Manuale dell’arte del comporre. Osservazioni ed esercizii pratici, Bergamo,Bolis, 1894.27 Se ne contano moltissimi in BCB, Archivio Pasino Locatelli, fald. 41. R. 13 (13) e fald. 39. R.1 (2).28 P. Locatelli, Manuale cit., p. VIII.

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formale, Locatelli dà un valore educativo e morale importantissimo. Leggiamole brevi pagine in cui, per sua stessa ammissione, “è proprio il vecchio laudatortemporis acti, che parla”29:

Un buon maestro d’umanità delle vecchie scuole lasciava nell’animo del giovinetto cotaliimpressioni, che gli duravano per la vita. Ed era un beneficio; un beneficio grande, chepoteva avere qualche favorevole influenza anche nella parte morale dell’educazione.L’animo alla fine per la luce del bello ingentilisce e ravviva. Oggi che si specula sul tem-po, perché s’affretti il dì del guadagno, la principale cura dell’istruzione sta nel superarebene o male i corsi prescritti e nell’ottenere un grado accademico; pochi assai si curanodel correttivo di qualche bricciolo di ispirazione, che in tempo avvezzi il giovine ad ele-varsi alquanto dai registri del tornaconto.30

Quanti insegnanti come Locatelli, nella scuola classica dell’Italia unita, avrannoavuto ancora quest’incrollabile, nostalgica fiducia nella rilevanza formativa diquella che potremmo definire l’“educazione alla parola”, vetusta eredità deicollegi d’ancien régime? Si tratta di una rilevanza che – è importante sottoli-nearlo – sovrasta il racconto storico e letterario, e in qualche modo lo orienta elo condiziona, ammantandolo di quella patina retorica che sarà percepita concrescente fastidio dalle generazioni future. Ciò vale anche e soprattutto per il racconto della genesi – letteraria, ideale, po-litica – della nazione. Se scorriamo le tracce dei temi raccolte da Locatelli nelsuo manuale, in mezzo a tanti innocui esercizi di stile come “La Vigilia di Nata-le”, o “La vendemmia”, incontriamo diversi temi che hanno una sostanza na-zionale e risorgimentale. Poiché Locatelli distingue i componimenti in tre gene-ri – narrativo, descrittivo, dimostrativo – scegliamo, per ogni gruppo, qualcheesempio significativo di temi che avranno solleticato l’amor patrio dello scolaro,spingendolo ad arditi voli retorici sulla storia dei suoi avi e del suo popolo. Inrealtà, la distinzione operata da Locatelli appare un po’ arbitraria, ma dà contodell’importanza attribuita alle finalità retoriche che si prefigge l’esercizio, peraltro sempre diffusamente ribadite dall’autore nei suoi commenti. Va detto,inoltre, che si tratta di tracce sempre molto generiche: alcune sono addiritturalapidarie, a ulteriore prova di una pratica estenuante di iterazione dei modelli,che non avevano bisogno di spiegazioni perché si reggevano, sostanzialmente,per antonomasia.Nei temi di genere narrativo rientrano tutte le tracce che invitano a raccontareun episodio, sia esso un esempio di vita vissuta, un mito o una parabola, unfatto storico. Di quest’ultimo tipo ce ne sono moltissimi, ma vorrei riportarnesoltanto qualcuno di carattere più prettamente “risorgimentale”. Il primo ci ri-porta agli stoici primordi delle lotte di liberazione: “Maroncelli allo Spielberg”.Il commento del professore è illuminante:

29 Ibidem, p. IX.30 Ibidem, pp. XI-XII.

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È giunto alfine il permesso da Vienna di tagliare al povero Maroncelli la gamba, che gliminaccia cancrena. […]Alla dolorosa operazione, ben altrimenti fatta che coi mezzi adoperati dalla modernachirurgia, assiste lo stesso Pellico ed alcuni custodi di quel carcere. Il Maroncelli soffreimpassibile i lunghi tormenti del ferro, che gli sega le carni e l’osso […].Sarebbe vano indicare in qual misura di stile questo lagrimevole episodio deve essereesposto. Basti ricordare l’immortale precetto di Orazio: Si vis me flere, dolendum estprimum ipse tibi. E l’animo vostro gentile e patriottico come potrà non essere profon-damente commosso al ricordo di quei primi martiri dell’indipendenza nazionale?31

Per riprodurre lo stile “lagrimevole” confacente ad un simile episodio, lo scola-ro è chiamato a viverlo in prima persona, a “commuoversi”, a soffrire insieme aquel martire. Già qui si può notare la contraddizione tra la finzione della scrit-tura e la realtà del sentimento, tra la natura retorica dell’esercizio e la pretesadella sua pregnanza morale ed emotiva, una pretesa in cui insegnanti come Lo-catelli avevano piena e cieca fiducia. Ma veniamo ad un altro esempio: “La notte del 23 marzo 1849”. Qui si richiedesostanzialmente di produrre una versione romanzata della notte seguente allasconfitta di Novara, creando una cornice scenografica adeguata – “echeggianoancora per la buja campagna alcuni scoppi di cannone: la notte è fosca, burra-scosa, fredda per le nevi di fresco cadute”32 –, e concentrando l’attenzione suidue protagonisti, Carlo Alberto e Vittorio Emanuele: il primo è l’eroe tragico,costretto dagli eventi disastrosi a partire “per la terra d’esiglio dalla quale nondoveva più ritornare”; il secondo è l’eroe da romanzo, animato dalla “coscienzadivinatrice di poter giovare alla patria”: “tanta fiducia nelle sorti del paese è ciòche qualifica l’eroe; è il merito impareggiabile del principe patriota”33.L’approccio letterario al fatto storico è considerato un’attrattiva infallibile perla fantasia giovanile, e dunque un sicuro fondamento per l’affezione alla patriae alla sua storia. Il potere fascinatorio attribuito alla parola poetica, letteraria è ancora più evi-dente in temi di tipo descrittivo come questo, “L’Italia nostra”:

Non parliamo della sua storia; descriviamola piuttosto nelle sue condizioni fisiche e geo-grafiche. Ma badate, amici cari, che non deve essere la soluzione di un quisito di geogra-fia, o di statistica […]. Ingegnatevi insomma a raccogliere quanto si può dire di meglio del paese nostro, facen-done […] un quadro dipinto a vivaci colori. Questa Magna parens frugum, cantata dapoeti antichi e moderni, nazionali e stranieri, abbia da noi un inno ispirato da quell’amorsanto, che oggi, dottrine nuovissime, vorrebbero strappare dal nostro cuore.34

31 Ibidem, pp. 29-30.32 Ibidem, p. 39.33 Ibidem, p. 40.34 Ibidem, p. 270.

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Evocare le mille attrattive del “bel paese”, la sua varietà di ambienti, di ricchez-ze naturali, è un modo per ribadire l’amore verso la propria terra, per darglicorpo e sostanza, nonché, si noti, per difenderlo dalla feroce invasione delleideologie internazionaliste (antinazionali perché sovranazionali).I temi di genere dimostrativo sono quelli di natura più eminentemente oratoria,e dunque “richiedono menti più educate e mature”. Locatelli si premura di spe-cificare che comunque anche gli alunni dall’ingegno più pronto non dovrannoessere chiamati a misurarsi con la critica letteraria in senso stretto – anche setracce di questo tipo, specie su Dante, non mancano –, perché a questo lascuola secondaria ancora non li prepara: essi devono sempre e comunque atte-nersi all’imitazione, perché è con la ripetizione degli esempi che si affinano glistrumenti critici. Numerose sono le sentenze e le citazioni da commentare, me-scolate ad altrettanti temi che propongono disquisizioni morali e filosofiche. Inquesto gruppo “dimostrativo”, le tracce di riflessione storica e patriottica sonoquelle che più espongono i convincimenti dello scolaro allo sguardo severodell’insegnante. “Roma dei Cesari, Roma dei Papi, Roma degli Italiani”;“Quanto abbia di vero l’opinione che le Lettere e le Arti per fiorire abbisogninodella libertà politica”; “Le glorie del nostro passato non siano argomento di va-ne millanterie, ma stimolo a non mostrarcene immeritevoli”: sono temi che inqualche modo presuppongono l’adesione agli ideali del Risorgimento naziona-le. Ma è legittimo chiedersi quanto questa adesione fosse poi autenticamentesentita, e quanto, invece, tracce simili non abbiano rappresentato l’occasione dimettere in atto virtuosismi e artifici mimetici vanamente formali.Il problema non è di poco conto: non dobbiamo dimenticare che siamo in pre-senza di quella che possiamo definire una “palestra della parola”, che non di-sdegna, anzi promuove procedimenti meccanici come “il trascrivere el’imparare a memoria”:

[i quali] giova[no] ad informare un poco anche meccanicamente l’orecchio alla forma-zione del periodo, alla ripartizione de’ suoi membri, alla stessa sua armonia, a fare usoesatto dei tempi e dei modi del verbo, intanto che la mente giovane e fresca fa accolta divoci, di frasi, che poscia, derivate dalla memoria, potranno cadere quasi involontaria-mente dalla penna di chi scrive.35

Questo sezionamento del discorso, l’inventariazione dell’espressione scritta edei suoi automatismi – tutto ciò, insomma che costituisce l’insieme dei fonda-menti dell’insegnamento retorico –, ha un potere, a mio avviso, ulteriormentepenalizzante nella trasmissione di un patrimonio di valori che già fatica sempredi più a trasmettere il suo pathos originario. Siamo di fronte ad un vero e proprio processo di corrosione dell’immediatezzaemotiva del patrimonio nazionale e patriottico che ha origine nella stessa natu-ra, poetica e letteraria, della diffusione dell’ideale nazionale agli albori del

35 Ibidem, p. 301.

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Risorgimento, quando cioè, all’inizio dell’Ottocento, “il tema della nazione sisganciò del tutto dall’ambito dell’ingegneria costituzionale […] e si proiettònello spazio della produzione poetica, narrativa, melodrammatica o pittorica”36:proprio la fisionomia emotiva e simbolica di questo patrimonio, particolar-mente adatto a tradursi in “paideia”, in bagaglio educativo37, costituisce la suavia d’accesso alla scuola, una scuola però i cui orizzonti didattici rimangono,anche dopo l’unità, e anche per via di professori come Locatelli, fondamental-mente quelli pre-nazionali. In definitiva, mi pare che sia attraverso questa scuola – una scuola che non ri-nunciando ad essere “scuola del bel dire” con lo stato unitario vuole essere an-che il canale privilegiato di mantenimento in vita e di diffusione dei sacri testiche cantano e raccontano la nazione – che avviene l’inquadramento retorico ditutto questo patrimonio letterario e narrativo.Poiché questo inquadramento retorico passa attraverso la pratica dell’imitazione,della riformulazione di esempi letterari sulla base di brani che col tempo sonodiventati canonici, il rischio – sempre più concreto man mano che il contestogenerale della vita e delle aspirazioni dei ragazzi si allontana dalla effettiva ope-ratività dei modelli proposti – è quello del “raffreddamento mnemonico”38 delracconto del Risorgimento e delle sue glorie, un racconto nel quale martiri ederoi – reali o presunti, remoti o recenti che siano – finiscono per diventare dellemacchiette stereotipate da riprodurre fedelmente per poter prendere unbell’otto in italiano. Ma c’è di più: si perde qualcosa, e non di irrilevante, nello scarto tra la promo-zione della consentaneità, dell’empatia cogli eroi passati, e la richiesta – cheabbiamo già notato e che è spesso riformulata in questi decenni postunitari – diguardare avanti, di chinare la schiena e lavorare duro, nel quotidiano, perchéquesto esigono i tempi nuovi. I modelli rimangono lì, dolenti e severi, ad addi-tare la strada intrapresa; ma le necessità sono diverse, ciò che essi fecero, e isentimenti che li animarono, all’oggi non servono più, perché altre sono le metecui la nazione finalmente unita deve puntare. In sostanza, mi sembra esserci – oltre a quella che abbiamo definito la fiducianell’“educazione alla parola” – un altro elemento proprio della metabolizzazio-ne scolastica dei valori e del racconto del Risorgimento, che li espone ad unapericolosa deriva retorico-formale, e cioè la fiducia che essi costituiscano unpatrimonio sempre valido e riproducibile, traghettabile intatto di generazionein generazione.

36 Vedi ancora A. M. Banti, La nazione del Risorgimento cit., p. 29.37 Ancora Banti ricorda: “per la generazione […] composta da individui nati dopo il 1815 […] ifamiliari (e talvolta anche gli insegnanti) cominciano a diventare le fonti dei primi messaggidi carattere nazional-patriottico”, ibidem, p. 40. 38 L’espressione è stata utilizzata da Adolfo Scotto di Luzio nell’ambito di un seminario per ilaureandi del corso di Storia Contemporanea, tenuto il 28 maggio del 2004.

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È una convinzione insita nel modello pedagogico classico, che incentra il suomandato educativo nella trasmissione del thesaurus dell’antichità. Ma è ancheun portato di quella coesione generazionale che ha visto gli ultimi protagonistidel Risorgimento riconoscersi nelle lotte dei loro padri: perché se è vero che “ilRisorgimento è un fenomeno generazionale”39, è anche vero che esso coinvolgepiù generazioni biologiche che si configurano come eticamente e culturalmentecompatte, per le quali quel racconto e quei valori sono stati vivi e vitali. È con la conclusione della fase di lotta che subentra effettivamente il problemadell’avvicendamento generazionale: l’esperienza della generazione che ha fattoil Risorgimento si esaurisce – per vecchiaia, per usura – nel momento in cui lasua eredità di ideali e di valori si trova a dover fare i conti con i nuovi orizzontipositivisti – con la fiducia nella scientificità ed oggettività del dato reale, con glientusiasmi generati dal progresso tecnico e tecnologico –, e con le nuove fron-tiere economiche e politiche, con i nuovi scenari in cui la potenza degli stati sigioca sul campo del primato economico e produttivo e del protagonismo nelloscacchiere geo-politico mondiale. Sempre meno lambito dall’onda lunga dellapregnanza emotiva che lo aveva caratterizzato per tutto il periodo di incubazio-ne e di attuazione del processo risorgimentale, il patrimonio di quella genera-zione non può più conservarsi intatto: l’illusione della sua incorruttibilità loespone ad un ulteriore rischio di scollamento dal mondo che cambia.Va sottolineato che la scuola classica è luogo peculiare e spesso esclusivo diquelle persistenze: il mondo le cambia attorno, ma in mancanza di operazionidi riforma serie e radicali e di un dirigismo governativo più incisivo e menoaleatorio, chi veramente fa la scuola sono gli uomini che la vivono. Uomini che,proprio in virtù del mito della riproducibilità in infinitum del Risorgimentocome l’hanno vissuto, insieme alla fiducia della continuità tra generazioni, nelcui rassicurante abbraccio sono nati e cresciuti, non sono per lo più in grado diaccettare e assecondare l’avanzare del nuovo.Nell’agosto del 1888 Locatelli e un altro veterano del liceo Sarpi, in cattedra dal1850, il professore di fisica Giuseppe Venanzio – entrambi neanche settantenni– ricevono dal ministero il cortese invito a ritirarsi dall’insegnamento. Venan-zio scrive all’amico e collega una lettera per informarsi sulle sue intenzioni,esprimendo un senso di smarrimento che possiamo immaginare accomunassemolti anziani professori sopravvissuti al mutamento dei tempi:

Seppi […] che come a me, anche a te il governo ha mandato il consiglio di chiedere ilcollocamento a riposo. […] A me pare di cascar dalle nuvole, perché ai miei tempi, anzi-ché fare simili complimenti ai vecchi insegnanti, si usava ogni sorta di riguardi per ani-marli a continuar nell’ufficio.

39 A. M. Banti, La nazione del Risorgimento cit., p. 33.

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Il mondo si è così trasformato in pochi anni, che davvero io non ne capisco più nulla; edè perciò che nell’attuale contingenza io non so a quale partito appigliarmi.40

Questo spaesamento, che porta Venanzio ad accettare la proposta di giubilazio-ne, e ritirarsi del tutto a vita privata nella sua casa in collina41, non sembracontagiare anche Locatelli. Egli rifiuterà recisamente la proposta del ministero,e resterà in cattedra ancora per quattro anni. Ancora nel 1892, inoltre, quandoè già in congedo da due mesi per malattia, giocherà tutte le carte possibili perevitare il pensionamento e mantenersi in aspettativa nonostante il suo decli-nante stato di salute:

Egregio Sig.r Preside,Pur troppo non posso dirle che col 20 del mese sarò in grado di ripigliare i miei impegni.Immagini se lo farei volentieri; ma una stella maligna mi perseguita e per forza bisognarassegnarsi. In ogni modo ho scritto a Roma per ottenere altra licenza. In tal modo avròabbastanza tempo per provvedere ai casi miei e regolarmi secondo lo stato di mia salute.[…] Capisco che sarà un disturbo ed un imbroglio per lei e per altri, […] e l’assicuro chene sono anche troppo afflitto ed avvilito.42

Ma al tramonto del secolo che ha visto l’Italia farsi libera ed unita, per i prota-gonisti del Risorgimento, eroi e cantori dell’epopea nazionale, anche nellascuola c’è sempre meno spazio. A settembre Locatelli è costretto ad arrendersi.Scrive al professore di latino e greco, Augusto Corradi:

Accuso ricevuta della Lettera 17 and[ante] mese N° 553, colla quale mi annuncia il miocollocamento a riposo […].La ringrazio poi dei sentimenti tanto benevoli da Lei espressi a mio riguardo e si assicuriche mi riesce veramente penoso distaccarmi da un Istituto, nel quale per una così lungaserie d’anni ho prestata l’opera mia […].43

Si firma “Professor Pasino Locatelli”, a riaffermare in extremis l’identità che gliviene a forza negata. Il 24 settembre 1894, a pochi giorni dalla sua morte, l’esecutore testamentariodel professore scrive al preside per comunicargli il lascito di tutta una serie dilibri e di opere del defunto in eredità al liceo44.

40 Lettera di Giuseppe Venanzio a Pasino Locatelli, Colle S. Vigilio (Bergamo), 14 agosto1888 (BCB, Archivio Pasino Locatelli, Carteggio, fald. 35. R. 8., lettere T-Z). Venanzio decisepoi di accettare il collocamento a riposo […].41 Fuori dalla sua abitazione sul colle di S. Vigilio è stata posta, a un anno dalla sua morte, unatarga in sua memoria: “In questa casa avita / abitò e morì Giuseppe Venanzio / matematico,fisico e filologo / per quasi nove lustri / professore negli atenei di Bergamo / All’uomo degnodi memoria / colleghi, discepoli e ammiratori / posero / N. 1821 – M. 1899”. Venanzio aveva alungo insegnato anche all’istituto tecnico, v. L. Tironi, Il liceo-ginnasio di Bergamo cit., p. 177.42 Lettera di Pasino Locatelli al preside del R. Liceo Sarpi Moisè Treves, Bergamo, giugno1892 (ASLS, fald. 82).43 Lettera di Pasino Locatelli ad Augusto Corradi, Bergamo, 18 settembre 1892 (ASLS, fald. 82).

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Queste le significative parole di congedo che solo poco tempo prima Locatelliponeva a chiusura del suo Manuale, parole nelle quali è evidente la sua fiducianel filo che lega le generazioni, maestri e allievi, padri e figli:

È […] sicuro che dei buoni maestri i buoni scolari serbano memoria per tutta la vita.E quale migliore conforto per un insegnante invecchiato nella scuola del potere riviverenel cuore di una generazione, che succede a quella, a cui esso apparteneva?45

44 Lettera dell’esecutore testamentario di Pasino Locatelli, Antonio Pellegrini, al preside delR. Liceo Sarpi, Bergamo, 24 settembre 1894 (ASLS, fald. 82).45 P. Locatelli, Manuale cit., p. 309.