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1 Il valore delle parole Classe IV D a.f.m. dell’ I.T.C “Vittorio Veneto- G.Salvemini” di Latina (26/03/2014) Dato il pochissimo tempo a disposizione si è preferito lavorare sulla lingua letteraria, riportando qualche esempio attestante lo sforzo del nuovo che avanza in quel periodo storico. Riflessioni linguistiche: E’ l’ espressionismo formale che domina il clima delle opere artistico-letterarie del periodo relativo agli anni della Prima guerra mondiale e che troviamo chiaramente esplicitato in diversi autori e ambienti, una sorta di negazione dei valori della tradizione, di opposizione sui generis degli autori al clima del tempo, ma anche affermazione di esigenze creative che trovano sfogo in un linguaggio tipico del momento. Si ha un italiano poetico diverso rispetto al passato, nuovo. Si chiude il contatto con la lingua della tradizione, con gli alti e spericolati urli di D’Annunzio, con la retorica tipica del momento. In Camillo Sbarbaro la svolta si realizza mantenendo l’ endecasillabo e l’ enjambements e preferendo un lessico umile, medio e una prosa che racconta. Evidenti i legami temporali della narrazione: quando, volta, poi, allora, ora, talora, ecc. e i nessi argomentativi: poiché, se, perché. Non manca l’ allocutività: i pronomi lei, lui, tu , fermi segni di un necessario dialogo con se stesso e gli altri. Forme legate al passato, ma che non rimandano ad esso, espressione invece di una potenziale energia rinnovata e presente dell’ eloquio poetico sono: ei, seco, core, crine, guisa, ecc., così come le apocopi: pueril, man, cor, par, mattin. Ancora gli iperbati: “Inerte vorrei esser fatto”; i settentrionalismi : credenza, gotto e le analogie: “Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi”. Superbi i tentativi riusciti dei “Vociani” che fanno esplodere le forme, formano nuove parole tramite suffissi e prefissi, allargano gli echi fonici, aprono i significati a plurime sembianze, avanzano nuovi aggregati. In Giovanni Boine il libero esercizio poetico (Frantumi, 1915) porta a forme con suffissazione zero nei deverbali: rannicchio, sprofondi, rovesci, spalanco; prefissi e suffissi nei verbi denominali: s’inombrano, divallo, svalico, dissacca, cresposo. Il senso delle parole è allargato con gli epiteti fusi: rapide-vaste, molle- distesa, rauca-smarrita e mediante analogie comparate: riso-rifugio, cunicoli-biscie, occhio- dolore. La preposizione di è condensata nella metafora: “un assedio d’ ansia”. Belli i suffissi in erìa: polemicheria, in ume: esteticume, in aio: salottaio, in mento: sintetizzamento; aggettivi inventati: pipistrellare crepuscolo, ragnatelose intelligentie, impiegatesca marsina. Lo stesso lavoro si ritrova in Piero Jahier : silenzio contabile, ditone inchiostroso e i derivati: duriore, puzzosa, come nella transitivizzazione di intransitivi: “ti posso arrivare”. In Clemente Rebora (Frammenti lirici, 1913) la transitivizzazione dell’ intransitivo: 1 il turbine scorrazza campi e ville, che tripudi conflaga, preferenza per i verbi con prefisso s-: snevati, spastata. Ponderoso è l’ uso di infiniti sostantivati: dubbiar, titubar e participi con funzione di aggettivi: ampliati interluni, oltreché di sostantivi in io: vocìo, crepolìo. Non come preziosità, ma varianti dalla norma i dantismi : s’ indraca, addolcia, deliba e gli arcaismi: zonzando. Tipiche le consonanti doppie: sguazza, spezza, schizza, strizza. 2 Sia con i Vociani che con Ungaretti la grammatica è percorsa dal nuovo con attacchi caratterizzati da congiunzioni copulative o avversative che si riferiscono a un non detto, proprio dell’ oralità. 3 1 COLETTI VITTORIO, Storia dell’ italiano letterario, Dalle origini al Novecento, Einaudi, Torino, 2000, pp. 416-419 2 Ibidem, pp.419-420 3 Ibidem, p. 424

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Il valore delle parole

Classe IV D a.f.m. dell’ I.T.C “Vittorio Veneto- G.Salvemini” di Latina (26/03/2014)

Dato il pochissimo tempo a disposizione si è preferito lavorare sulla lingua letteraria, riportando qualche

esempio attestante lo sforzo del nuovo che avanza in quel periodo storico.

Riflessioni linguistiche:

E’ l’ espressionismo formale che domina il clima delle opere artistico-letterarie del periodo relativo agli anni

della Prima guerra mondiale e che troviamo chiaramente esplicitato in diversi autori e ambienti, una sorta

di negazione dei valori della tradizione, di opposizione sui generis degli autori al clima del tempo, ma anche

affermazione di esigenze creative che trovano sfogo in un linguaggio tipico del momento. Si ha un italiano

poetico diverso rispetto al passato, nuovo. Si chiude il contatto con la lingua della tradizione, con gli alti e

spericolati urli di D’Annunzio, con la retorica tipica del momento. In Camillo Sbarbaro la svolta si realizza

mantenendo l’ endecasillabo e l’ enjambements e preferendo un lessico umile, medio e una prosa che

racconta. Evidenti i legami temporali della narrazione: quando, volta, poi, allora, ora, talora, ecc. e i nessi

argomentativi: poiché, se, perché. Non manca l’ allocutività: i pronomi lei, lui, tu , fermi segni di un

necessario dialogo con se stesso e gli altri. Forme legate al passato, ma che non rimandano ad esso,

espressione invece di una potenziale energia rinnovata e presente dell’ eloquio poetico sono: ei, seco, core,

crine, guisa, ecc., così come le apocopi: pueril, man, cor, par, mattin. Ancora gli iperbati: “Inerte vorrei esser

fatto”; i settentrionalismi : credenza, gotto e le analogie: “Grappolo mi cocessi sui tuoi sassi”. Superbi i

tentativi riusciti dei “Vociani” che fanno esplodere le forme, formano nuove parole tramite suffissi e

prefissi, allargano gli echi fonici, aprono i significati a plurime sembianze, avanzano nuovi aggregati. In

Giovanni Boine il libero esercizio poetico (Frantumi, 1915) porta a forme con suffissazione zero nei

deverbali: rannicchio, sprofondi, rovesci, spalanco; prefissi e suffissi nei verbi denominali: s’inombrano,

divallo, svalico, dissacca, cresposo. Il senso delle parole è allargato con gli epiteti fusi: rapide-vaste, molle-

distesa, rauca-smarrita e mediante analogie comparate: riso-rifugio, cunicoli-biscie, occhio- dolore. La

preposizione di è condensata nella metafora: “un assedio d’ ansia”. Belli i suffissi in erìa: polemicheria, in

ume: esteticume, in aio: salottaio, in mento: sintetizzamento; aggettivi inventati: pipistrellare crepuscolo,

ragnatelose intelligentie, impiegatesca marsina. Lo stesso lavoro si ritrova in Piero Jahier : silenzio

contabile, ditone inchiostroso e i derivati: duriore, puzzosa, come nella transitivizzazione di intransitivi: “ti

posso arrivare”. In Clemente Rebora (Frammenti lirici, 1913) la transitivizzazione dell’ intransitivo: 1 il

turbine scorrazza campi e ville, che tripudi conflaga, preferenza per i verbi con prefisso s-: snevati, spastata.

Ponderoso è l’ uso di infiniti sostantivati: dubbiar, titubar e participi con funzione di aggettivi: ampliati

interluni, oltreché di sostantivi in io: vocìo, crepolìo. Non come preziosità, ma varianti dalla norma i

dantismi : s’ indraca, addolcia, deliba e gli arcaismi: zonzando. Tipiche le consonanti doppie: sguazza,

spezza, schizza, strizza.2 Sia con i Vociani che con Ungaretti la grammatica è percorsa dal nuovo con

attacchi caratterizzati da congiunzioni copulative o avversative che si riferiscono a un non detto, proprio

dell’ oralità.3

1 COLETTI VITTORIO, Storia dell’ italiano letterario, Dalle origini al Novecento, Einaudi, Torino, 2000, pp. 416-419

2 Ibidem, pp.419-420

3 Ibidem, p. 424

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Con la poesia crepuscolare il tono dimesso diventa assoluto protagonista di realtà provinciali cantate come

scoperta di un mondo separato dalla vita ma reale e concreto. In Gozzano subentra l’ ironia con citazioni

straniate. Il suo tono prosastico fu accolto ed esteso successivamente nell’ ambito di molte liriche.4 In

funzione antiretorica per esempio è in lui l’ estensione dell’uso della minuscola anche riferendosi al proprio

nome, vedendosi “come quella cosa vivente – detta guidogozzano”.5

Esempi di scrittura:

1914, PAPINI, “Il cerchio si chiude” : “Per ora siamo al principio. Sostituzioni parziali dove c’è ancora la

parte della personalità nella scelta delle cose grezze mescolate a quelle elaborate. Ma se il metodo

prendesse piede e si spingesse alle ultime conseguenze più rigorose ne verrebbe che il miglior quadro di

natura morta è una camera mobiliata; il miglior concerto l’ insieme dei rumori d’una città popolosa; la

miglior poesia lo spettacolo d’una battaglia colla sua cinematografia sonora; la più profonda filosofia quella

del contadino che vanga o del fabbro che martella senza pensare a nulla”.6

BOCCIONI, “Il cerchio non si chiude” : “ L’ arte non è che materia prima elaborata:ma è proprio questa

materia elaborata fino al dissanguamento e chiamata ARTE che noi ci rifiutiamo di accettare a priori, e

vogliamo creare delle opere che siano accertamenti di realtà, e soprattutto di nuove realtà, non ripetizione

tradizionale di apparenze”.7

11 maggio 1912, MARINETTI, “Manifesto tecnico della letteratura futurista”: “ Per avviluppare e cogliere

tutto ciò che vi è di più fuggevole e di più inafferrabile nella materia, bisogna formare delle strette reti

d’immagini o analogie, che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni.

Per dare i movimenti successivi di un oggetto bisogna dare la catena delle analogie che esso evoca, ognuna

condensata, raccolta in una parola essenziale”.8

4 MARAZZINI CLAUDIO Breve storia della lingua italiana, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 203

5 MIGLIORINI BRUNO, Storia della lingua italiana, Bompiani, Milano, 2004, p. 628

6 ASOR ROSA ALBERTO, Novecento primo, secondo e terzo, Sansoni, Milano, 2004, p. 135

7 Ibidem, p. 136

8 Ibidem, p. 134

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27 agosto, 1916, Ungaretti, “San Martino al Carso” (da L’ Allegria)9:

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

Ma nel cuore

nessuna croce manca

E’ il mio cuore

Il paese più straziato.

Il lavoro condotto si basa su una sorta di mescolanza ibrida di scritti che hanno in comune il periodo storico

e l’ ambiente letterario italiano, che è servita a far riflettere su questioni di stile e forma, reputando le

parole le antiche ancelle del pensiero e mezzo sapiente di riflessione in tutti i tempi. La frantumazione della

forma, gli innumerevoli stratagemmi stilistici usati dai poeti riflettono e fanno riflettere sul grande

patrimonio intellettuale che esse rappresentano. Vi è negli scritti scelti una concentrazione sul lessico e un

atteggiamento privo di prosopopea che fa risaltare di rimando l’ umanità che sottendono. In fondo la

bellezza umana è anche in questo: lasciarsi guidare dal segno del semplice, della realtà quotidiana e delle

piccole cose, ma anche giocare, trasformare la realtà mediante il fervido concatenarsi dei lemmi, dei suoni

e dei significati. Mediante la scelta dei brani su indicati vogliamo confermare anche noi il valore insito nella

lingua e le potenzialità ad essa legate, certi che spesso è nei momenti di difficoltà, sia personale che storica,

che tali energie generano creazione, attuano una forza che diventa vitale e fervida di novità, di significati,

recando in sé i germi di una rinascita tanto desiderata quanto connaturata allo spirito umano, propria dell’

umanità, specialmente in un frangente storico come quello considerato. Crediamo anche che una

riflessione circoncisa su alcuni pochi scritti abbia favorito una predisposizione comune al dialogo e all’

estensione critica del lavoro effettuato.

9 GUGLIELMINO SALVATORE, Guida al Novecento, Profilo letterario e antologia, Principato, Milano, 1978, pp. 412-413

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Ci scusiamo comunque della brevità dell’ elaborato che per mancanza di tempo non si è riusciti a

estendere, ma la cui densità di preparazione non ci ha lasciato più poveri.

BIBLIOGRAFIA

ASOR ROSA ALBERTO, Novecento primo, secondo e terzo, Sansoni, Milano, 2004, p. 134-136

COLETTI VITTORIO, Storia dell’ italiano letterario, Dalle origini al Novecento, Einaudi, Torino, 2000, pp. 416-420, 424

GUGLIELMINO SALVATORE, Guida al Novecento, Profilo letterario e antologia, Principato, Milano, 1978, pp. 412-413

MARAZZINI CLAUDIO Breve storia della lingua italiana, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 203

MIGLIORINI BRUNO, Storia della lingua italiana, Bompiani, Milano, 2004, p. 628

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