Urban Taz

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STORIE PERSONE OGGETTI DI ZONE OCCUPATE TEMPORANEAMENTE limited edition

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Limited edition insert about underground culture attached to Urban magazine

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STORIE PERSONE OGGETTIDI ZONE OCCUPATE TEMPORANEAMENTE

limited edition

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Inserto speciale di URBAN maggio 2010A cura di Maria Lucia Pellicano

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sommario

10 Mutoid Waste Company

6 Fintech

5 editoriale

14 Storie

Mutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste CompanyMutoid Waste Company

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editoriale

Un inserto speciale insolito per URBAN: nessuno spazio alla pubblicità e poco spazio al colore. Un insieme di fogli per mostrare ciò che abitualmente URBAN non mostra: cosa si muove sotto la città.Lo spazio metropolitano, anche in Italia, ha vissuto l’esperienza delle TAZ – zone occupate temporaneamente – luoghi che hanno sperimentato due vite: una vita passata, istituzionale, formale, regolata da determinati codici e linguaggi; una seconda vita, rumorosa, delirante, regolata da determinati codici e linguaggi.Sarà mostrato questo nelle pagine che seguono: chiamarli semplicemente rave ci è sembrato riduttivo, perché non è stato possibile ignorare la loro storia, le persone, i pensieri, i suoi paradossi.E’ stato un viaggio sincopato, scomodo e tutto quello che ne è venuto fuori è una visione multilaterale del fenomeno techno-party in Italia dagli anni ’90 ad oggi. Siamo partiti da Roma – dai primi “sottantreno party” alla Fintech occupata – e siamo arrivati alle storie di chi c’era e ha voluto raccontarsi tra battiti di cassa, furgoni, cani, zombi beat, capannoni abbandonati e richiami punk – anarchici.

Buon viaggio!

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F I N T E C H

La TAZ è una struttura aperta, alternativa, orizzontale, non gerarchica, dove non esiste geografi a, ma spazi che vivono solo in un determinato momento: il tempo della festa.Il progetto di TAZ nasce parallelamente in diversi punti, la sua forza evocativa deriva dall’aver messo insieme il Temporaneo (T) che enfatizza l’importanza strategica del nomadismo contro ogni sedentarismo che ricerca e alimenta la presa del potere e si immobilizza nel politico; l’Autonomia (A) come dimensione individuale che spinge ad un rifi uto radicale di qualsiasi spazio organizzato; la Zona (Z) in quanto spazio materiale e al tempo stesso immateriale, mobile, transitorio e aperto alle nuove tecnologie.Chi ha vissuto l’esperienza delle TAZ (più o meno consapevolmente) si è collocato al di là di ogni riferimento storico, al di là di ogni cultura di appartenenza, formando una nuova cultura. Non esiste nessuna ideologia politica, sociale o rivoluzionaria dietro le TAZ, la differenza è proprio qui: non c’è desiderio o forza di cambiare, ma solo di costituire momenti dove gli spazi mentali si confondono con gli spazi geografi ci, una dimensione psico-geografi ca che trasporta il vissuto dei suoi protagonisti tra zone diverse, zone nomadi, percorse e attraversate temporaneamente, non più identitarie, nè istituzionali, politiche e urbane.

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I primi rave parties a Roma risalgono alla fi ne degli anni ’80 ed erano feste legali organizzate in capannoni nelle zone periferiche della città.La prima ondata di rave illegali, organizzati in posti abbandonati da occupare solo per una notte, arrivò nel 1993. La Fintech a Roma è stata la prima e la più consistente esperienza di TAZ in Italia: non era solo una fabbrica abbandonata dove montare sound per feste illegali, ma uno spazio occupato e vissuto temporaneamente. In poco tempo la Fintech divenne un punto di riferimento per le tribe di tutta Europa: punkabbestia nomadi che si muovevano da Francia, Germania e Inghilterra per transitare nella TAZ romana.

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Il suo corpo è diviso in sezioni: grandi capannoni, una palazzina adibita ad uffi ci, un’altra più bassa per la mensa, un pesante cancello verde sbarra l’ingresso. Lo stesso cancello veniva aperto ogni mattina per far entrare gli operai adibiti alla costruzione di case prefabbricate. Quando la fabbrica viene chiusa resta senza vita per quindici anni. Una volta riaperta il suo aspetto e le sue dinamiche cambiano completamente: la Fintech non apre più presto la mattina, non fa entrare operai in tuta da lavoro, non teorizza il mito della produttività e non fa più profi tto. La nuova Fintech è uno spazio diverso dove le energie - creative, distruttive, mutilate e mutilanti - sfociano senza limitazioni spazio - temporali. Il cancello della Fintech venne aperto nel senso più ampio del termine: una porta sulla coscienza collettiva e sulla conoscenza individuale da una parte; dall’altra un modo per chiudere il resto del mondo fuori, per prendere le distanze da quel sistema produttivo percepito come estraneo e inglobante.Quella della Fintech è una storia diffi cile da raccontare, una storia senza acqua corrente nè elettricità, la storia di chi ci viveva alla Fintech, di chi gestiva collettivamente una cucina, una casa comune, la storia delle grandi feste il venerdì e il sabato sera e del supermercato delle droghe durante il fi nesettimana.

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Le voci sulla Fintech si sparsero in tutta Europa: le tribe che venivano in Italia con furgoni, cani e bambini al seguito puntavano dritto su Roma, direzione Pontina dopo il Grande Raccordo Anulare. Questo determinò un cambiamento della scena romana: nuova musica, nuovi modi di vestire, nuove energie e l’illusione di vivere uno spazio apparentemente libero. Gli ultimi momenti di vita della Fintech furono tristi e deserti, iniziarono i morti, la polizia, gli scontri ideologici, il degrado, l’ultima festa con sole dieci persone, la chiusura, la demonizzazione, la delusione di non essere riusciti a creare “il grande nulla”.

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Un capitolo a parte di questa storia, più costruttivo e meno ghettizzante, lo meritano i Mutoid Waste Company: una tribù di creativi riciclatori, meccanici, artisti, teatranti, performer e musicisti, fi gli dell’ondata industriale. Nascono a Londra nel 1984 dagli inglesi Joe Rush e Robin Cook che fondano una compagnia teatrale alternativa le cui esibizioni consistevano in spettacoli con giochi di fuoco, musica rumorista e installazioni con materiale riciclato. I Mutoid Waste Company sono esempi viventi della Junk Modernity, della TAZ vissuta come spazio mentale e territoriale creativo e aperto a contaminazioni artistiche di diverso spessore. Non solo hanno assorbito a fondo la modernità, ma, addirittura, i Mutoid si sentono già mutati: fi sicamente, psichicamente e, di conseguenza, comportamentisticamente. Nelle loro performance creano un’avvincente provocazione, una variopinta mutazione di ambiente. Il road show si parcheggia in vecchi supermarket, cantieri in rovina, vecchi hangar per bus e parcheggi inutilizzati. Questa loro mobilità consente alla Company di disporre sempre di nuovi spazi e di occupare dei posti che altre persone non potrebbero usare, ma che loro, mutati alla vita della waste land, adoperano. E la loro mobilità parla per loro stessi: la mutazione, si sa, è una faccenda complessa.

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La fi losofi a di questa insolita tribe si fonda sul concetto di mutazione intesa come evento ordinario e straordinario al tempo stesso, improrogabile, prevedibile, e i cambiamenti teorizzati dai Mutoid sono profondi, spesso destabilizzanti. Un bus può essere un appartamento o diventare un atelier e i rottami possono essere fonte di sostentamento e ci si può guadagnare vendendoli, oppure essere dei pezzi di ricambio indispensabili per delle sculture. Un bus può essere dipinto o decorato, in modo che esso stesso diventi un pezzo d’arte e se un bus non può essere lavorato se ne possono ricavare dei pezzi da utilizzare per altre macchine.

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“Noi viviamo per questa idea della mutazione dei nostri veicoli e della nostra arte” dice Joe Rush, qui chiamato Reverend Mutant Preacher King Mutoid Obi “l’idea è di rappresentare sempre qualcosa di originale e di lasciarsi trasformare. Niente è fi nito per sempre e la natura delle cose commerciabili è solo pattume: se tu non riesci a lavorare e a intervenire sopra queste cose avrai solo pattume” e la fi losofi a della mutazione si può rapportare agli uomini e alle cose. ”Di questi tempi” continua Joe “ognuno ha la sua mutazione in se stesso ed essa corrisponderà ai suoi bisogni e al suo lavoro. Gli impiegati vedranno spuntare sulle loro teste matite gigantesche, e i reporter avranno delle escrescenze a forma di block-notes e tasti martellanti di macchine da scrivere”.I Mutoid Waste Company vivono in una quantità enorme di iniziative che va dalla rivendita di rottami all’organizzazione di feste a 5 € di entrata. In qualche loro manifestazione ci sembra di riconoscere gli ultimi resti degli hippies anni Sessanta, in altre occasioni sembra di vedere un gruppo di nostalgici punk, in altre ancora abili giocolieri e musicisti bohémien, ma loro sono suscettibili a ogni paragone. Si percepiscono essenzialmente come artigiani in un momento storico dove è impossibile ignorare gli scarti dell’era post -industriale. Riecheggia il cyborg, il post- umano.

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Se siete tentati di pensare che i Mutoid Waste Company siano un gruppo di scoppiati e che le loro attività siano senza senso, vi sbagliate. E sbaglia chi crede che la Company sia in ferie permanenti. I Mutoid sono un gruppo di lavoro che si dedica alle sue speciali attività con abbastanza impegno da riuscire ad autofi nanziarsi. Al contrario degli hippies, pensano che non sia suffi ciente sentirsi, alternativi e felici, ma separati dalla società. Credono nel duro lavoro, negli spazi aperti e autogestiti, nella creatività e nelle potenzialità insite negli oggetti e nei luoghi di uso comune.

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S T O R I E

In questo viaggio abbiamo avuto la possibilità di parlare con alcune persone che hanno vissuto l’esperienza delle TAZ.

Incontro Andrea, conosciuto nell’ambiente come Kinopi, in un noto centro sociale di Roma. Lui è uno di quelli che si presenta con i suoi cani, dreadlocks e un po’ di reticenza nel raccontarsi. Gli spiego il progetto di Urban Taz e dopo due birre si scioglie. Vuole raccontarmi della Fintech, di come lui la ricorda:

Sai la Fintech non era esattamente un bel posto: non lo era all’inizio, appena occupata in pianta stabile, meno ancora lo divenne quando cominciarono ad arrivare le tribe francesi. C’erano i camion rubati. Qualcuno faceva la rapina poi portava la refurtiva alla Fintech dove veniva spartita e una parte restava in vendita a chi passava. C’era la droga: tanta, buona, a tutte le ore. Pasticche, emmedì, trip, ketamina tanta tanta, oppio. Il posto era lunare. Grandi capannoni vuoti in mezzo al niente. Il sabato sera qualcuno montava l’impianto dentro un capannone scelto senza nessun criterio apparente. Il posto era sporco. Cani, punkabbestia, bambini. Puzzava abbastanza. Nessuno rimuoveva i rifi uti, nessuno puliva. C’era la buona abitudine di usare come bagno il primo angolo che capitava a tiro.

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S T O R I E

Poi c’erano i morti. La prima era stata Selene, morta folgorata mentre pisciava sul trasformatore dell’alta tensione. Per attingere l’energia necessaria alla festa qualcuno aveva aperto la casetta del trasformatore dimenticando di chiudere sia la porta che la grata di protezione. Qualche ora dopo trovarono il cadavere, ma la festa continuò perchè “così avrebbe voluto Selene”, almeno questo dissero poi gli organizzatori.Curley morì per un difetto cardiaco che nemmeno sapeva di avere. Non era mai stato visitato da un medico per un elettrocardiogramma. Aveva un fi glio, allora bambino, che razzolava lurido e inconsapevole in mezzo alla Fintech.

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Mentre parlo con Kinopi arriva anche Stek che si siede vicino a noi e vuole dire la sua sulle TAZ:

L’aspetto nomade è sicuramente l’aspetto più poetico e più bello in un certo senso, anche se poi se vai a vedere ha anche i suoi lati ombrosi, però rappresenta la grande scelta, no? La scelta della libertà, che poi è una libertà tra virgolette, perchè poi sei schiavo della sopravvivenza, per cui sei libero fi no ad un certo punto. La bellezza del rave è che abbraccia tanti e abbraccia sia quelli che hanno fatto questo passo e quindi le tribe, sia quelli che semplicemente si sfogano nel weekend. Questo perchè il rave è, o comunque dovrebbbe essere, il posto dove si abbattono le aree, le fasce sociali, le appartenenze e in questa TAZ di liberazione liberata conta solo la musica, il ballare, l’espandersi e il rapportarsi, dovrebbe essere un momento così, che poi si siano create delle sclerotizzazioni che hanno portato nel rave delle logiche che invece avrebbero dovuto restarne fuori, beh, questo succede quando i fenomeni in qualche modo si gonfi ano e dilagano. C’è stato un impoverimento rispetto alla fi losofi a originale, però, tu lo sai bene, c’è anche un gran discutere intorno a questa cosa e tanta gente qui si è messa in discussione. Si è perso qualcosa, ma già dalla Fintech come diceva Kinopi.

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S T O R I E

Se ci penso adesso, la prima cosa che ho percepito dei rave, è stata l’empatia, non la droga - perchè ridi non mi credi eh?! - sì davvero l’empatia, che non sapevo neanche cosa fosse. Semplicemente per me era sentire tanto l’energia delle altre persone a livello proprio di pelle. Era il fascino di condividere la libertà che ti dicevo prima. Quello che è successo dopo è colpa di chi non l’ha saputa gestire questa libertà. La prossima volta fai un inserto sulla libertà, no, in realtà lo stai già facendo adesso.

Finiamo le nostre birre, Kinopi e Stek riprendono il furgone, la loro casa, li ringrazio e ci salutiamo.

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