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MONDO DIGITALE •n.2 - giugno 2005 1. INTRODUZIONE I l carattere essenziale della tecnologia (in- tesa in senso lato come produttrice di strumenti per la conoscenza e l’azione) nei confronti dell’uomo è rivelato dalla retroa- zione che le innovazioni tecniche esercitano sugli esseri umani e sulla società. Evoluzione biologica ed evoluzione tecnologica si sono intrecciate in un’evoluzione “biotecnologi- ca” in cui sono all’opera meccanismi darwi- niani e meccanismi lamarckiani. Al centro di questa evoluzione vi è una successione di “simbionti”, cioè di ibridi biotecnologici, cia- scuno dei quali è caratterizzato da dosi sem- pre più cospicue di tecnologia. La tecnologia è sempre un filtro, in quanto potenzia (o fa addirittura emergere) certe caratteristiche, fisiche o cognitive, e ne indebolisce o annul- la altre. In particolare, le tecnologie del- l’informazione hanno potenziato le capacità razional-computanti del simbionte uomo- computer a scapito delle facoltà emotive, etiche, estetiche ed espressive. Questo fil- traggio provoca nel simbionte uno squilibrio e un disadattamento crescenti, che sono ta- lora causa di rigetto e di sofferenza. La velo- cità sempre più elevata dell’innovazione tec- nica accentua lo squilibrio e spinge a delega- re alle macchine una gamma crescente di azioni, funzioni e perfino decisioni. L’attività cognitiva del simbionte è profondamente in- fluenzata da questa delega, che agevola il passaggio dall’attività scientifica, in cui si privilegia la conoscenza analitica e la capa- cità di previsione, all’attività tecnica, in cui si privilegia l’intervento pratico e la capacità di azione. Tutto ciò ha forti influenze sul corpo: se da una parte esso subisce una rivalutazio- ne rispetto alle visioni platoniche e cartesia- ne di un tempo, allo stesso tempo il riduzio- nismo informazionale favorito dalla tecnolo- gia informatica e dalla genomica tenta di ci- frare il corpo in codice, negandogli la tradi- zionale funzione di depositario ultimo dell’i- dentità personale. In questo panorama in ebollizione è difficile individuare punti di ri- ferimento: l’etica e l’estetica sono continua- mente lacerate e non hanno il tempo di con- L'importanza della tecnologia nella definizione dell’uomo è sempre più evi- dente, ma fin dalla sua comparsa la nostra specie si è ibridata con gli stru- menti che costruisce: in realtà homo sapiens è sempre stato homo techno- logicus, simbionte di uomo e tecnologia in perpetua trasmutazione. Parte dell'umanità sembra destinata ad una profonda trasformazione culturale, epistemologica e perfino fisiologica. Ma la rapidità del cambiamento, favorito in particolare dalla tecnologia dell'informazione, minaccia il nostro equilibrio biologico ed emotivo e lacera le componenti etiche ed estetiche tradizionali. Giuseppe O. Longo UOMO E TECNOLOGIA UNA SIMBIOSI PROBLEMATICA 5 3.5

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1. INTRODUZIONE

I l carattere essenziale della tecnologia (in-tesa in senso lato come produttrice di

strumenti per la conoscenza e l’azione) neiconfronti dell’uomo è rivelato dalla retroa-zione che le innovazioni tecniche esercitanosugli esseri umani e sulla società. Evoluzionebiologica ed evoluzione tecnologica si sonointrecciate in un’evoluzione “biotecnologi-ca” in cui sono all’opera meccanismi darwi-niani e meccanismi lamarckiani. Al centro diquesta evoluzione vi è una successione di“simbionti”, cioè di ibridi biotecnologici, cia-scuno dei quali è caratterizzato da dosi sem-pre più cospicue di tecnologia. La tecnologiaè sempre un filtro, in quanto potenzia (o faaddirittura emergere) certe caratteristiche,fisiche o cognitive, e ne indebolisce o annul-la altre. In particolare, le tecnologie del-l’informazione hanno potenziato le capacitàrazional-computanti del simbionte uomo-computer a scapito delle facoltà emotive,etiche, estetiche ed espressive. Questo fil-traggio provoca nel simbionte uno squilibrio

e un disadattamento crescenti, che sono ta-lora causa di rigetto e di sofferenza. La velo-cità sempre più elevata dell’innovazione tec-nica accentua lo squilibrio e spinge a delega-re alle macchine una gamma crescente diazioni, funzioni e perfino decisioni. L’attivitàcognitiva del simbionte è profondamente in-fluenzata da questa delega, che agevola ilpassaggio dall’attività scientifica, in cui siprivilegia la conoscenza analitica e la capa-cità di previsione, all’attività tecnica, in cui siprivilegia l’intervento pratico e la capacità diazione. Tutto ciò ha forti influenze sul corpo:se da una parte esso subisce una rivalutazio-ne rispetto alle visioni platoniche e cartesia-ne di un tempo, allo stesso tempo il riduzio-nismo informazionale favorito dalla tecnolo-gia informatica e dalla genomica tenta di ci-frare il corpo in codice, negandogli la tradi-zionale funzione di depositario ultimo dell’i-dentità personale. In questo panorama inebollizione è difficile individuare punti di ri-ferimento: l’etica e l’estetica sono continua-mente lacerate e non hanno il tempo di con-

L'importanza della tecnologia nella definizione dell’uomo è sempre più evi-

dente, ma fin dalla sua comparsa la nostra specie si è ibridata con gli stru-

menti che costruisce: in realtà homo sapiens è sempre stato homo techno-

logicus, simbionte di uomo e tecnologia in perpetua trasmutazione. Parte

dell'umanità sembra destinata ad una profonda trasformazione culturale,

epistemologica e perfino fisiologica. Ma la rapidità del cambiamento, favorito

in particolare dalla tecnologia dell'informazione, minaccia il nostro equilibrio

biologico ed emotivo e lacera le componenti etiche ed estetiche tradizionali.

Giuseppe O. Longo

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solidarsi. Tutto accade troppo in fretta per lecapacità di adattamento della parte biologi-ca del simbionte, quindi lo sforzo di analisi,pur necessario per la comprensione delle di-namiche in corso, non è certo sufficiente perindirizzarle. Ciò provoca la sensazione che lamarcia della tecnologia sia ineluttabile. En-tro questo “destino” s’inscrive il finalismoconsapevole ma locale dell’intervento uma-no. Questo finalismo, per la nostra enormecapacità d’intervento e per la nostra limitatacapacità di previsione, rischia di trasformarecerte contingenze miopi ed effimere in ten-denze a lungo termine potenzialmente deva-stanti per il sistema complessivo “uomo-più-ambiente”. È opportuno sottolineare che inquesto articolo si considerano soprattuttogli effetti delle tecnologie della comunicazio-ne e dell’informazione, ma altri fattori, inparticolare le biotecnologie, sono destinatead avere, a breve e a lungo termine, conse-guenze forse ancora più cospicue e difficilida prevedere.

2. L’EVOLUZIONEBIOTECNOLOGICA

Quando si riflette sui complessi rapporti trauomo e tecnologia, si fa spesso la tacita ipo-tesi che si tratti di due entità distinte e se-parate, per quanto interagenti e, inoltre, siassume che oggi l’evoluzione dell’uomo sia

lentissima o addirittura ferma, mentre latecnologia si sviluppa con grande rapidità.A volte non si percepisce che il fenomenodavvero interessante non è tanto la tecnolo-gia in sé, quanto il rapporto uomo-tecnolo-gia. L’attenzione allo sviluppo della tecnolo-gia e gli entusiasmi e i timori che essa susci-ta fanno spesso trascurare la necessità diuna riflessione critica su questi processi nelloro insieme.Qui le mie premesse sono: primo, tra uomo etecnologia non esiste distinzione netta, per-ché da sempre la tecnologia concorre a for-mare l’essenza dell’umano. Secondo, l’evo-luzione della tecnologia contribuisce poten-temente alla nostra evoluzione, anzi ormai(quasi) coincide con essa. Le due evoluzioni,biologica e tecnologica, sono intimamenteintrecciate in un’evoluzione “biotecnologi-ca”, al cui centro sta l’unità evolutiva homotechnologicus, una sorta di ibrido di biologiae tecnologia in via di continua trasformazio-ne. Homo sapiens è sempre stato contamina-to dalla tecnologia, cioè è sempre stato ho-mo technologicus (Immagine 1 - “l’evoluzio-ne biotecnologica”).In biologia si usa il termine “simbiosi” per in-dicare uno stretto rapporto di convivenza e dimutuo vantaggio tra due specie diverse. Purcon i limiti di ogni metafora, anche il rapportotra l’uomo e la tecnologia si può considerareuna simbiosi, la cui manifestazione fenotipi-ca, homo technologicus, è appunto un sim-bionte. Del resto l’uomo è in simbiosi, dasempre, non solo con i suoi strumenti ma an-che con i batteri, i cibi, i medicinali, le piante,gli animali domestici.In passato l’esistenza e la perpetua trasfor-mazione del simbionte biotecnologico era-no poco visibili, tanto da autorizzare, inmolte filosofie e in molte religioni, una vi-sione fissista della natura umana. Oggi, perla velocità e il continuo potenziamento del-la tecnologia, il fenomeno è diventato piut-tosto evidente. Da sempre il corpo umano èstato ampliato da strumenti e apparati chene hanno esteso e moltiplicato le possibi-lità d’interazione col mondo, in senso siaconoscitivo sia operativo. Tanto che non èfacile stabilire dove termini il corpo: direche esso è racchiuso nei suoi limiti topolo-gici, segnati dalla pelle, è (sotto il profilo

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IMMAGINE 1Giorgio De Chirico“Bagni misteriosi

con statua”

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comunicativo e attivo) arbitrario e sostan-zialmente inesatto.Osserviamo che l’invenzione e l’uso deglistrumenti si configura non tanto come l’ag-giunta di protesi, quanto come una vera epropria ibridazione: la protesi supplisce adun’abilità compromessa o perduta, mentre,innestandosi nell’uomo, ogni nuovo appara-to dà luogo ad un’unità evolutiva (un sim-bionte) di nuovo tipo, in cui possono emerge-re capacità - percettive, cognitive e attive -inedite e a volte del tutto impreviste, e diquesta evoluzione ibridativa non è possibileindicare i limiti. Come l’uomo fa la tecnolo-gia, così la tecnologia fa l’uomo. Molte dellecapacità del simbionte uomo-computer, peresempio, erano affatto imprevedibili e non èimproprio dire che l’unità cognitiva “uomo-col-computer” è essenzialmente diversa dal-l’unità cognitiva “uomo-senza-computer”(Immagine 2 - “la simbiosi”).

3. DISADATTAMENTIE SOFFERENZE DEL SIMBIONTE

Se non si può negare l’effetto di retroazio-ne trasformativa delle tecnologie sull’uo-mo, è anche vero che questo effetto si eser-cita in modo diverso sulle diverse compo-nenti (cognitiva, emotiva, percettiva, fisio-logica, fenotipica, genotipica ecc.) dell'u-mano, le quali si evolvono con velocità di-versa. Alcune caratteristiche, per esempioquelle emotive ed espressive, manifestanoun’evoluzione molto più lenta di altre, peresempio di quelle cognitive. Le caratteristi-che più stabili da una parte autorizzano aparlare di “natura umana” come di un datoquasi immutabile, dall’altra tendono a op-porsi all’ibridazione tecnologica: ciò causagravi problemi di disadattamento e acute

sofferenze (a questo proposito alcuni affer-mano che il corpo è obsoleto, e sostengonola necessità di una sua trasformazione ci-borganica). Si tratta delle sofferenze chesempre accompagnano la trasmutazione,la nascita, il trapasso, il cambiamento. Evo-luzione biologica ed evoluzione biotecnolo-gica sono in certa misura eterogenee e so-no eterogenee le due componenti dell'ibri-do uomo-macchina. Le sofferenze derivantida questi disadattamenti andrebbero adaggiungersi a quelle che abbiamo ereditatodalla nostra natura biologica, anche se latecnologia è riuscita, per converso, ad atte-nuare alcune delle sofferenze tradizionali.D’altra parte le sofferenze hanno come con-tropartita positiva la comparsa di capacitàinedite: fare un bilancio quantitativo o al-meno qualitativo dei pro e dei contro è ov-viamente impossibile e la valutazione è la-sciata a ciascuno (Immagine 3 - “l’ibrida-zione dell’uomo”).Poiché, secondo la mia premessa, la tecno-logia, fa parte integrante dell’uomo, l’homotechnologicus non è “homo sapiens più tec-

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La simbiosi (dal greco: vita in comune) è un’associazione stabile e strettamente integrata tra due organismidi cui uno, detto ospite, costituisce l’habitat dell’altro: l’insieme dei due si chiama simbionte. L’associazio-ne simbiotica porta vantaggi reciproci ai due organismi, che possono essere due vegetali, due animali oppu-re un vegetale e un animale. Il termine simbiosi fu coniato nel 1879 dal botanico Anton De Bary (1831-1887) aproposito della relazione tra le alghe e i funghi che vivono insieme formando i licheni. Per molto tempo il mu-tualismo, pur frequentissimo in natura, fu considerato poco più di una curiosità, ma di recente alcune teoriesimbiotiche (o simbiontiche) hanno acquisito grande importanza in biologia biologia evoluzionistica e inecologia. Di recente si è cominciato a parlare di simbiosi in termini generalissimi, con riferimento all’ibrida-zione tra biologico, meccanico ed elettronico. In questo senso l’essere umano è un simbionte di biologia e ditecnologia. Visti gli sviluppi della tecnologia il termine ha un significato molto più che metaforico.

IMMAGINE 2Arturo Nathan“Scoglio incantato”

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nologia”, ma è “homo sapiens trasformatodalla tecnologia”, dunque è, di volta in vol-ta, un’unità evolutiva nuova, sottoposta adun nuovo tipo di evoluzione in un ambientenuovo. Nell’evoluzione biotecnologica sonoall'opera sia meccanismi darwiniani (muta-zione e selezione) sia meccanismi la-marckiani (eredità dei caratteri acquisiti,per apprendimento e imitazione), in un gro-viglio difficile da sbrogliare. Inoltre i sim-bionti biotecnologici si stanno collegando arete tra loro per formare una sorta di creatu-ra planetaria, la quale potrebbe costituireun nuovo stadio evolutivo di tipo superso-cietario. Benché sia immerso nel mondo na-turale e sia quindi soggetto alle sue leggi, ilsimbionte vive anche in un ambiente artifi-ciale, fortemente segnato dalle informazio-ni, dai simboli, dalla comunicazione e, sem-pre più, dalla virtualità.È vero, si tratta di uno scenario: ma oggi ipanorami del presente e le ipotesi sul futurosi costruiscono spesso con questo metodosemiartigianale, visto che le armi della pre-visione razionale e rigorosa si stanno spun-tando contro la complessità crescente delmondo artificiale, gli effetti a volte grandio-si di fluttuazioni anche minime e la velocitàdei mutamenti. È interessante notare che difronte a queste difficoltà di previsione ac-

quistino credito di strumenti le congetture,spesso ispirate all’ottimismo o al pessimi-smo più che a valutazioni asettiche: si ricor-re cioè a una descrizione narrativa di futuripossibili che somiglia alquanto alla fanta-scienza. Queste narrazioni, peraltro, possie-dono una certa capacità diagnostica e pre-dittiva, se non altro perché nascono da sen-sibilità diffuse e rispecchiano quindi ten-denze ancora latenti ma prossime alla mani-festazione. Ma, come tutte le narrazioni do-ve scienza e fantasia si legano, anche que-ste sono intrise di attese eccessive o all’op-posto di paure ingiustificate, elementi chesi ritrovano anche nelle valutazioni acritichedell’uomo comune e le cui radici stanno nel-le valenze magiche della tecnologia. È daquesti suoi aspetti magici e pre-razionaliche derivano lo stupore miracolistico cheessa suscita, le aspettative taumaturgiche(si pensi alle attese suscitate dall’introdu-zione dell’informatica nelle scuole) e il fortecarattere mitopoietico della tecnologia: laRete ci renderebbe onniscienti e quindi on-nipotenti, le biotecnologie ci promettereb-bero un futuro di immortalità asintotica.Se la tecnologia e l’uomo sono legati in mo-do essenziale, non è corretto affermare, co-me spesso si fa, che la tecnologia disumaniz-za l’uomo. Queste preoccupazioni derivanodal mito della “purezza” che, anche a propo-sito della natura umana, come della razza,della lingua e della scienza, è duro a morire. Iproblemi non derivano tanto da uno scosta-mento progressivo da un’ipotetica naturaumana, primordiale e genuina, da conserva-re e difendere ad ogni costo, quanto dallosquilibrio crescente tra la parte biologica e laparte tecnologica del simbionte, dall’accele-razione progressiva dello sviluppo tecnologi-co, dall’impossibilità di assorbire in modoequilibrato le innovazioni e le perturbazioniche esse provocano.Non si tratta dunque di considerare la tec-nologia come un’entità esterna e invasiva,quanto di analizzare i motivi dello squilibrioe proporne i rimedi. Lo squilibrio si manife-sta come un vero e proprio disadattamento.Le valenze e le caratteristiche umane piùstabili e profonde, quelle emotive, comuni-cative, espressive, insomma i caratteri ata-vici, le eredità più legate al corpo, che pe-

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IMMAGINE 3 Max Ernst

“La vestizionedella sposa”

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scano negli strati evolutivi più lontani neltempo e che hanno avuto una parte fonda-mentale nella sopravvivenza e nello svilup-po culturale della nostra specie, certo nonspariscono di colpo solo perché la tecnolo-gia ibrida il nostro corpo e cervello con isuoi dispositivi, che inaugurano o potenzia-no facoltà più recenti, come quelle di tiporazionale e computante, e tendono a soffo-care le altre. L’adattamento richiede periodilunghi e nel frattempo si manifesta il disa-dattamento, che può arrivare al rigetto.I disagi e disarmonie dovuti all’incompatibi-lità, più o meno transitoria, tra uomo e mac-china (o meglio tra le diverse componentidel simbionte) sono sotto gli occhi di tutti.Ne sono una prova i molti sforzi che si dedi-cano alla costruzione di macchine “socievo-li” (user-friendly), con l’intento di estenderela zona di anestesia in cui possono insinuar-si le componenti artificiali. Insomma, lestrutture antiche del corpo si oppongono inqualche misura all’invasione delle più re-centi costruzioni della tecnologia e il nostrofinalismo cosciente cerca di attenuare que-sta resistenza con esiti difficili da prevederema in ogni caso gravidi di problemi. Se è ve-ro, com’è stato detto, che la tecnologia è undestino, cerchiamo almeno di analizzarlo e,se possibile, di indirizzarlo secondo ciò cheriteniamo più saggio e meno traumatico.

4. ETICA ED ESTETICANEL NUOVO SCENARIO

Qui è importante accennare al problema eti-co-estetico, che si pone in termini nuovi peril simbionte biotecnologico e per la creaturaplanetaria in via di formazione. Qual è l’e-stetica del simbionte? Qual è la sua etica?Che legame c’è tra la sua estetica e la suaetica? Quale mondo (ri)crea il simbionte?Queste domande sono molto importanti nelcaso dell’uomo a scarsa tecnologia, per ilquale etica ed estetica sono legate a doppiofilo perché entrambe pescano nella storiaevolutiva e sono “rispecchiamenti” della vi-ta e dell'evoluzione. In altre parole, l’esteti-ca, intesa come sensibilità al bello e più ingenerale come partecipazione sensibile edemotiva a ciò che ci sta intorno (esseri uma-ni, animali, paesaggi ecc.), deriva dall’im-

mersione e dal contatto che abbiamo avutocon l’ambiente durante la nostra lunghissi-ma storia evolutiva. Questa storia comuneha prodotto in ciascuno di noi una sensazio-ne di armonia con l’ambiente, sensazioneforte ma difficile da definire in modo preci-so, tanto che “spiegare” che cosa sia il belloè molto arduo. Potremmo quindi dire chel’estetica è il sentimento soggettivo dell’im-mersione armonica nell’ambiente. D’altraparte, certe nostre condotte sono utili amantenere quest’armonia e questo recipro-co adattamento tra noi e l’ambiente, mentrealtre condotte minano e indeboliscono que-st’armonia. I comportamenti armonici rien-trano nell’etica, anzi la costituiscono: si puòquindi dire che l’etica è il sentimento di ri-spetto e di azione armonica con l’ambientedi cui facciamo parte. Di conseguenza l’eti-ca ci consente di mantenere l’estetica e l’e-stetica ci serve da guida nell’operare etico.In un certo senso, quindi, etica ed esteticacoincidono (o sono “isomorfe”) perché deri-vano entrambe dalla forte coimplicazionetra specie e ambiente: sono le due faccedella stessa medaglia.Bisogna aggiungere che l’etica e l’esteticasono storiche, cioè si evolvono, sia a livellodi specie sia a livello di individuo: le espe-rienze fatte in un contesto che varia produ-cono novità etiche ed estetiche, che sem-brano trovare il loro corrispettivo fisiologi-co concreto nell’attivazione di circuiti cere-brali specifici. Per effetto della separazionecartesiana e baconiana tra le componentidell’uomo e tra uomo e natura e per effettodel pensiero scientifico e della tecnologia,da tempo, e oggi più che mai, l’etica, cioèl'insieme dei comportamenti “giusti” per lasopravvivenza dinamica armoniosa, è sot-toposta ad una tensione fortissima, e ciòsembra avere conseguenze importanti an-che per l’estetica. Etica ed estetica sonomodificate anche dal forte effetto semplifi-cante che la tecnologia opera sull’immagi-ne del mondo e dell’uomo. Tutto ciò ha por-tato ad una grave crisi dell’estetica cui for-se non è estraneo il processo di astrazionee di codifica che è alla base del formalismoscientifico e non solo scientifico: al contra-rio dei messaggi della natura, i segni e i co-dici dell’uomo sono arbitrari. In musica, in

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architettura nelle arti figurative e in parteanche nella narrativa l’estetica è stata scar-dinata: all’armonia tra l’uomo e la sua im-mersione evolutiva nella natura è stata so-stituita l’arbitrarietà segnica e combinato-ria, come dimostrano certe tendenze musi-cali o pittoriche (Immagine 4 - “l’arbitra-rietà del codice”).Con l’estroflessione cognitiva rappresenta-ta dalle macchine informatiche e dalla Reteil problema etico-estetico si pone in termininuovi: il comportamento etico-estetico hala sua base nelle connessioni cerebrali, macon l’ibridazione ciborganica la nozione diconnessione cerebrale si allarga a compren-dere sia le connessioni biologiche (endocra-niche) sia quelle artificiali (esocraniche maanche endocraniche, ottenute con l’impian-to nel cervello di circuiti e piastrine). Allorala domanda diventa: quali connessioni “ce-rebrali” in senso generalizzato (biologiche eartificiali) sono attivate dalle esperienze e aquali comportamenti etico-estetici portaquesta attivazione? Inoltre: come interagi-scono questi nuovi collegamenti con il com-plesso delle connessioni preesistenti? Eccoil significato concreto delle domande postesopra. Nel caso del simbionte si può parlaredi rispecchiamento della “vita”? O di “armo-

nia” o addirittura di “coincidenza” tra eticaed estetica, o di “rispetto” per le esigenzevitali, biologiche o d'altro tipo del sistemaglobale? Qual è l’evoluzione del simbionte?E in quale “ambiente” o “mondo” avvienequesta evoluzione?Anche se possono sembrare troppo “filosofi-che”, queste domande sono importanti, per-ché vanno alla radice del nostro rapporto conle macchine e della nostra evoluzione biotec-nologica e gettano nuova luce sull’importan-za ineludibile di quel mistero inafferrabileche è il corpo.

5. LA CREATURA PLANETARIA

Abbiamo parlato di disadattamenti all’in-terno del simbionte homo technologicus,ma anche nella società si possono osserva-re fenomeni di squilibrio. Per esempio siosserva un divario tra i Paesi dotati e i Pae-si sprovvisti di tecnologie informazionali(digital divide), divario che sembra addirit-tura allargarsi. All’interno di ogni Paese siosservano poi divari di alfabetizzazione trastrati sociali, fasce d’età e via dicendo. C’èpoi, a livello diverso, un divario crescentetra le competenze costruttive dei pochi pro-gettisti e le competenze puramente mani-polative dei molti utenti. Si osserva ancheuna forte disparità tra domanda e offerta ditecnologia informatica: mentre per le tec-nologie del passato l’offerta seguiva la do-manda e di rado si osservava il contrario,oggi l’offerta di macchine e sistemi nuovi ècosì incalzante da provocare disorienta-mento e una certa incapacità nell’uso di ciòche esiste. La domanda viene creata dal-l’offerta. Per esempio, nel caso della didat-tica, molti insegnanti rifiutano i computerperché non sanno usarli, altri li vogliono,ma non sanno che cosa farsene e li usano inmodo improprio, o meglio nei modi propridelle tecnologie precedenti. Si tratta certodi fenomeni transitori, ma non per questomeno degni di attenzione.Quanto agli aspetti socioeconomici, non bi-sogna dimenticare che dietro tutto ciò c’èun vasto e potente apparato economico, ali-mentato dal denaro e intessuto di tecnolo-gia, autoreferenziale, privo di ideologie fortie animato solo da una vaga ma potente ten-

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IMMAGINE 4René Magritte

“La vittoria”

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denza, tipica degli organismi biologici, almantenimento e al rafforzamento delle pro-prie strutture. I collegamenti a rete semprepiù fitti rendono appropriata la metaforadella creatura planetaria di cui assisterem-mo ai primi stadi di formazione. Valendosidell’apparato e della tecnologia e innervan-dosi nella Rete, questa creatura tenderebbead assoggettare a sé tutti i desideri e tuttele aspirazioni individuali, all’insegna di unacieca e acefala volontà di essere (Immagine5 - “la creatura planetaria”).Questo disegno imperialistico (non delibe-rato ma non per questo meno preciso), hacome contraltare la presenza di strati di po-polazione emarginati, che rifiutano di dele-gare le proprie prerogative e di farsi egemo-nizzare dall’economia di mercato e dalleanonime tecnologie che la sostengono.Queste frange sono portate a rovesciare lasituazione con azioni di sabotaggio e dopol’undici settembre sappiamo bene che nonsi tratta solo di ipotesi teoriche. Il sabotag-gio ha buone probabiltà di riuscita per lafragilità dell’apparato tecnoeconomico, fra-gilità dovuta alla programmatica carenza diridondanza nelle costruzioni tecnologiche:in questo le strutture artificiali sono moltodiverse da quelle naturali, che manifestanouna grande robustezza per la presenza diricche componenti vicarianti e ripetitive.

6. LA DELEGA TECNOLOGICA

Nel Novecento la tecnologia, per ragionieconomiche e per il suo carattere autocata-lizzante, ha subito una forte accelerazione.Ma l’entità del fenomeno non si spieghereb-be senza tener conto di una novità fonda-mentale: accanto alle tecnologie della ma-teria e dell’energia è sorta la tecnologia del-l’informazione, che ha costruito le macchinedella mente, cioè i sistemi di elaborazione edi trasmissione dei dati, computer e reti.Grazie a questi sistemi, la tecnologia è lette-ralmente esplosa. D’ora in poi mi soffer-merò soprattutto sulla tecnologia dell’infor-mazione e della comunicazione, le cui con-seguenze a livello cognitivo, culturale, so-ciale e tecnico, sono enormi.Le macchine della mente rendono molto evi-dente un fenomeno che riguarda tutta la

tecnologia: la delega, cioè il trasferimentoalle macchine di funzioni, attività, capacitàe perfino decisioni che un tempo apparte-nevano all’uomo. Il fenomeno della delega èpresente in ogni società un minimo com-plessa e si configura come ripartizione deicompiti tra i membri della società. Nasconocosì le figure professionali, che vanno dalbarbiere all’avvocato al medico. Ma oggi,accanto alla delega specialistica, si manife-sta sempre più anche la delega tecnologica,operata cioè a favore delle macchine. Que-sto tipo di delega è ormai obbligato: abbia-mo affidato alle macchine tanta parte dellenostre attività che è impensabile riappro-priarcene. La delega comporta ovviamenteun rassicurante scarico di responsabilitàanche in ambiti in cui le conseguenze diquesta abdicazione potrebbero essere in-quietanti (medicina, insegnamento).A questo proposito è bene ribadire esplici-tamente che ogni tecnologia è un filtro, nelsenso che il simbionte biotecnologico deri-vante dall’adozione di una data tecnologiasa fare certe cose meglio del simbionte pre-cedente ma fa peggio certe altre cose. In-somma la tecnologia non aumenta le nostreprestazioni e capacità in modo uniforme: sequalcosa si guadagna, qualcosa si perde. Lavideoscrittura, accanto agli evidenti vantag-gi che offre, altera in modo irreversibile lostile della scrittura e indebolisce molto lanostra capacità di tracciare le parole a ma-no, con la penna. L’uso delle calcolatrici haportato al trasferimento (delega) della ca-pacità computante dal bambino alla mac-china, per cui solo nella simbiosi (irreversi-

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IMMAGINE 5Max Ernst"Tutta la città"

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bile) con il suo apparecchietto il bambinopuò far di conto.

7. CONSEGUENZE CULTURALIED EPISTEMOLOGICHE

Sulla cultura la tecnologia informazionale haeffetti imponenti: essa ridefinisce radical-mente molti concetti importanti. Termini co-me “libertà”, “democrazia”, “intelligenza”,“realtà”, “storia”, “tempo”, “memoria” han-no oggi significati nuovi e talora irriconoscibi-li e sorprendenti. E per lo più questi muta-menti di significato sono inavvertiti sia per-ché sono lenti, quasi impercettibili, sia per-ché avvengono “durante il gioco”: non esisto-no cioè momenti, in cui l’uso del termine, peresempio “intelligenza”, venga sospeso perun certo tempo da un giudice o arbitro ester-no il quale spieghi - a quanti hanno fin lì usa-to questo termine in un’accezione che sem-brava chiara a tutti e da tutti era tacitamenteaccettata - che esso ha ormai assunto un al-tro significato, in seguito per esempio alle ri-cerche sull’intelligenza degli animali, sull’in-telligenza artificiale o sull’intelligenza emoti-va. Non esiste insomma un arbitro che dica:“signori, voi continuate a parlare di “intelli-genza” come ne parlavate trent’anni fa, mabisogna che riconosciate esplicitamente cheoggi il termine ha un altro significato: è perquesto che non vi capite più”. In assenza diquesto momento di sospensione, accade chelo slittamento semantico sia percepito da al-cuni, più sensibili e informati, e non da altri,meno attenti o più conservatori: nascono co-sì incomprensioni e ambiguità, che durano fi-no a quando la situazione diventa insosteni-bile e non si può fare a meno di ridiscutere iltermine, cambiandone le regole d’uso.Cospicue sono poi le conseguenze del-l’informatica su alcune discipline particola-ri. In matematica l’introduzione dei calcola-tori ha messo in crisi la nozione classica didimostrazione e ha consentito lo sviluppodi intere branche (la teoria degli automi, ilinguaggi formali, la teoria della computa-zione), che si distinguono da quelle tradi-zionali per l’importanza attribuita alle risor-se (tempo, denaro, potenza di calcolo), aiprocedimenti per raggiungere i risultati e al-la loro precisione. In fisica è stato proprio

grazie al calcolatore che si sono scoperti (oforse riscoperti) gli effetti di complessitàche hanno portato ad una profonda revisio-ne concettuale dei sistemi dinamici e allaformulazione teorica del cosiddetto caosdeterministico. Il calcolatore ha consentitouno sviluppo straordinario della simulazio-ne, influenzando notevolmente la nostrapercezione del tempo. L’informatica ha con-sentito e imposto, un nuovo tipo di analisigrammaticale e strutturale delle lingue, pre-ludio e conseguenza del tentativo (ispiratoad un tipico mito informazionale) di costrui-re il traduttore universale. Con l’avventodell’intelligenza artificiale ci siamo avventu-rati verso nuove concezioni sull’apprendi-mento, sull’epistemologia e sul rapportomente-corpo. L’intelligenza artificiale ha av-viato un’importante ricerca di epistemolo-gia sperimentale improntata al riduzioni-smo mentalistico (di cui, puntualmente, hapoi scoperto le limitazioni). Inoltre, la realtàvirtuale ci promette fantastiche passeggia-te in un ciberspazio di cui non si conosconoancora né i confini né il paesaggio.Infine, si è scoperto che accanto al mondodella materia, studiato da secoli, esiste ununiverso dell’informazione, della struttura,del significato, dell’ordine. A partire dal se-condo dopoguerra è cominciata un’indagi-ne sistematica di questo universo ed è stataformulata una sorta di teoria generale del-l’informazione, che ha dato risultati moltointeressanti. Si è scoperto che nel mondodell’informazione vigono leggi diverse daquelle cui ci ha abituato la fisica classica etalora sorprendenti. Per esempio non valeun principio di conservazione dell’informa-zione (la quale si moltiplica e non si divideper il numero degli utenti). L’informazione ècostituita da differenze rilevabili, interpreta-bili e sfruttabili per conseguire scopi pratici.Ogni messaggio (o assenza di messaggio)può rinviare ad altri possibili messaggi di-versi: possiamo essere consapevoli di nonricevere una lettera.Il significato di un messaggio non sta nelmessaggio, ma nell’interazione tra messag-gio e destinatario, perché quest’ultimo in-terpreta l’informazione in base ai suoi inte-ressi, alla sua storia personale, alle sue ca-pacità, al suo rapporto con la sorgente del

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messaggio. La stessa energia sonora modu-lata (la stessa frase) può scatenare reazionidiversissime in ascoltatori diversi. L’assen-za di messaggi costituisce un messaggio.Nell’universo dell’informazione ogni cosapuò rappresentare qualsiasi altra cosa; na-scono così i codici: le lingue naturali, i lin-guaggi formali, le simbologie settoriali especialistiche. È davvero un mondo “crea-to” dall’uomo (e più in generale dagli orga-nismi viventi), il cui studio ha portato allanascita di discipline nuove, dalla semiologiaalla cibernetica, dalla teoria dei sistemi al-l’intelligenza artificiale alla teoria dei con-trolli, che si situano all’incrocio di settori untempo lontani e separati.

8. L’ARBITRARIETÀ DEI CODICIE IL CORPO

La “scoperta” dell’informazione ha avutoconseguenze culturali e scientifiche impor-tantissime: da quando si parla di informa-zione, sembra che tutto sia diventato infor-mazione e che la materia e l’energia sianoscomparse nel nulla. Questo riduzionismoinformazionale da una parte sta alla basedel tentativo di ridurre l’essere umano apuro codice (sequenziamento del genomae prospettive del postumano disincarnato)e dall’altra ha sostanziato il tentativo del-l’intelligenza artificiale funzionalista disvincolarsi dal corpo. Ma l’informazione hasempre bisogno di un supporto materialecon il quale ha rapporti che non si possonoliquidare considerandoli occasionali einessenziali. Così la scoperta della naturaarbitraria dei codici, che tanta parte haavuto nelle rivoluzioni culturali, artistiche(si pensi al cubismo e alla dodecafonia) etecnoscientifiche del Novecento deve fare iconti con l’intimo legame tra un codice e lasua incorporazione fenomenica in un sup-porto (Immagine 6 - “la pesantezza dellamateria”).È proprio la natura del supporto a limitarel’arbitrarietà del codice: nel caso dell’onto-genesi umana, per esempio, l’interazionecostruttiva del fenotipo con l’ambiente incui è immerso introduce nello sviluppo del-l’organismo una serie di vincoli che nonpossono essere trasgrediti e, per converso,

una serie di variazioni imprevedibili a priori.È anche questo il motivo del fallimento del-l’ambizione dell’intelligenza artificiale fun-zionalista forte, che vorrebbe replicare l’in-telligenza umana su un supporto diversodal supporto sistemico tradizionale “cervel-lo-nel corpo-nell’ambiente”, tanto che latendenza attuale (rappresentata dalla robo-tica) è quella di aggiungere al cervello artifi-ciale disincarnato un supporto (corpo) arti-ficiale grazie al quale simulare l’interazionestorico-evolutiva con l’ambiente.Torniamo ora all’evoluzione biotecnologica,la quale, come si è detto, rispetto alla len-tezza dell’evoluzione biologica, retta daifarraginosi meccanismi darwiniani di muta-zione e selezione, è segnata da mutamentisempre più rapidi e affannosi, come se man-cassero retroazioni negative equilibratrici afrenarne la corsa: i lenti processi collaudatidella natura, che procede per tentativi ederrori, sono spesso cortocircuitati da mec-canismi di attuazione di tipo lamarckiano,grazie ai quali gli adattamenti immediati al-le novità tendono a radicarsi subito nellastruttura profonda della società. La rapiditàdi questa evoluzione si accompagna peral-tro ad una grande fragilità. Tra le due evolu-zioni si possono riscontrare continuità e in-sieme discontinuità, e questi aspetti diven-gono visibili soprattutto quando si conside-ra il corpo, sempre più mediato e trasforma-to dalla tecnologia.

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IMMAGINE 6 Mario Sironi: “Il gasometro”

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In particolare sono interessanti gli effettiprodotti dalla telematica e dalla realtà vir-tuale, le quali in sostanza operano una dif-fusione comunicativa e, rispettivamente,percettiva e operativa del corpo. Per esem-pio con gli strumenti della realtà virtuale, ilcorpo si estende nello spazio in modi ineditifino ad occupare tutto il globo. La distanzaviene annullata e la sensibilità viene dislo-cata, ma in modo paradossale, negandonel’attributo primo, quello della prossimità odella presenza, dunque attraverso l’artificioe la simulazione. Con la realtà virtuale, il po-tenziamento del corpo avviene, in ultimaanalisi, attraverso il suo opposto, cioè la ne-gazione: si può fare un viaggio lunghissimosenza muoversi dalla poltrona, dunque sen-za attuare la dislocazione spaziotemporaledi cui il corpo ha (aveva) bisogno per perce-pire, dunque per esistere.La tele-azione comporta una tele-esistenzae la perdita del mondo spaziotemporale del-la realtà a vantaggio di un mondo tele-spa-ziotemporale manipolabile a volontà. Larealtà virtuale ci dona tecniche di sostitu-zione che preludono all’ubiquità, ma atte-nuano e alienano (o, secondo alcuni, ucci-dono) la percezione immediata. L’onnipre-senza e l’inerzia totale vanno di pari passo.Allo stesso tempo la realtà virtuale ci con-sente di assumere apparenze stravaganti ochimeriche, presentando agli altri una per-sonalità e un aspetto arbitrari.Se è vero che oggi il corpo viene rivalutato enon è più soggetto agli anatemi di tutta unatradizione filosofica e religiosa che privilegia-va l’anima o la mente, è anche vero che vi èuna tendenza a separare il corpo dalle suefunzioni essenziali e questa separazione, chesi concreta in un’attenuazione o negazionedel corpo ad opera della tecnologia, compor-ta ancora una volta sofferenza. Ecco perché ibambini, ancor più che gli adulti, dovrebberogodere dell’immersione totale, di corpo-mente, nell’esperienza vivificante e salubredi essere al mondo e nel mondo. Uno svilup-po ipertrofico della mente, come quello in-dotto e agevolato dalle macchine dell’infor-mazione a scapito dell’esperienza diretta edell’interazione fisica con gli altri esseri vi-venti comporta un appiattimento o addirittu-ra un’atrofia di alcune impoortanti capacità

umane. La nostra mente vive e si sviluppanell’interazione con le menti altrui e questainterazione è tanto più efficace e nutrientequanto più passa per la ricchezza e la com-plessità espressiva del corpo.La rinuncia al corpo, o la sua repressione,indurrebbe una grave deprivazione delle ca-pacità comunicative nel senso più ampio,che negli uomini sono così raffinate e sonofonte di tanta soddisfazione. Gli umani han-no una predisposizione originaria alla co-municazione, all’interpretazione dei segni,al gioco linguistico, alla menzogna, al tea-tro, alla recitazione e così via: siamo fram-menti di qualcosa di più ampio, siamo inuna simbiosi che non è solo di tipo comuni-cativo e cognitivo ma anche di tipo fisiopsi-cologico molto profondo. La comunicazionenon è in primo luogo un’esperienza concet-tuale, bensì un’attività globale della perso-na intesa come unità di mente e corpo: sen-za sosta parliamo, raccontiamo le storie, ar-gomentiamo, recitiamo, e questo comuni-care diffuso e continuo è basato sulla no-stra natura corpo-mentale originaria, costi-tuita dal nostro essere in comunicazione giàprima di comunicare esplicitamente.La tecnologia dell’informazione introduce inquesta variegata complessità drastiche me-diazioni e semplificazioni che portano aduna sorta di omologazione verso il basso.Ciò agevola la comunicazione tra uomo emacchina e quindi è utile per sfruttare glistrumenti, e inoltre aumenta il raggio comu-nicativo, consentendoci di entrare in contat-to, sia pur mediato, con persone lontanissi-me. Allo stesso tempo, tuttavia, impoveri-sce la comunicazione umana: il lessico si ri-duce, le strutture grammaticali e sintattichesi uniformano a pochi modelli. E il corpo sieclissa: impoverendosi il veicolo, anche l’e-spressione e la comunicazione rischiano diirrigidirsi in formule stereotipate.

9. LA SCIENZA SUPERATADALLA TECNOLOGIA

Nella seconda metà del Novecento ha avutoluogo un altro fenomeno di enorme portatapratica e concettuale, che descriverei comeil sorpasso della scienza da parte della tec-nologia. Per i Greci conoscere qualcosa

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equivaleva a possederne una teoria esplici-ta ed espressa in termini precisi (oggi di-remmo mediante una formula o un algorit-mo). L’Occidente ha ereditato questa pro-pensione alla razionalità esplicita e alla pre-cisione teorica e ha sempre reputato l’intel-ligenza speculativa che costruisce i teoremidella matematica o gli edifici della filosofiateoretica, superiore all’intelligenza pratica,che ci consente di attraversare incolumi unastrada o di guidare un’automobile nel traffi-co cittadino. Inoltre il culmine della scienzaoccidentale viene raggiunto con il formali-smo matematico.Oggi tuttavia il quadro sta cambiando. Latecnologia, in particolare quella legata all’e-laborazione e alla trasmissione dell’infor-mazione, si sviluppa in modo così rapido etumultuoso che la teoria non riesce più astarle dietro. La velocità e la complessitàdella tecnologia impediscono spesso allascienza di tracciarne un quadro esplicativocoerente e completo e di fornire rispostecerte ai problemi applicativi: che cosa acca-drà se userò il tale farmaco, se devierò ilcorso di questo fiume, se modificherò il cor-redo genetico di quella specie? Per entraresul mercato e nelle nostre case la tecnolo-gia non aspetta più la scienza e le sue pa-tenti di legittimità.In certa misura è sempre stato così: moltetecniche elementari non hanno mai avutobisogno di una giustificazione teorica, macon l’aumentare della complessità, diciamodalla metà dell’Ottocento in poi, sempre piùspesso le applicazioni erano frutto di rigoro-si studi scientifici, ed era anzi sembrato ne-cessario ricorrere in ogni caso ad una preci-sa base teorica.Non intendo certo sbrogliare l’intricatissimorapporto tra scienza e tecnologia, ma solo ri-levare che oggi, soprattutto grazie all’impie-go delle tecnologie informatiche e della si-mulazione, la nostra capacità di agire ha su-perato di molto la nostra capacità di prevede-re. È interessante anche osservare che, in ge-nere, gli utenti degli strumenti tecnici non sicurano affatto di comprenderne il funziona-mento. La tecnologia è importante per ciòche ci consente di fare, non di capire.Il fatto che oggi molti ritrovati tecnici nonabbiano una spiegazione teorica, di tipo

scientifico, comporta una trasformazionedello statuto epistemologico della tecnolo-gia, che si accompagna ad un’altra profon-da trasformazione: la tecnologia tende aprodurre non più “macchine” isolate e benindividuabili, come in passato, bensì “com-plessi” artificiali privi di confini definiti,spesso dotati di una struttura articolata (ditipo quasi organico) ma non sistematica,che s’intersecano in modo frastagliato equasi caotico con altri prodotti artificiali onaturali. Per esempio i prodotti della biotec-nologia s’infiltrano in modo difficile da di-stricare nei prodotti dell’evoluzione natura-le. Il caso delle biotecnologie è interessanteanche perché manifesta il carattere incom-piuto che oggi ha assunto in molti casi laprogettazione: si costruisce un “embrionetecnologico” e poi lo si lascia sviluppare inun ambiente favorevole, con il quale può in-teragire in modi imprevedibili e svilupparsiin direzioni talora sorprendenti.Alla luce di queste considerazioni apparemolto appropriato l’uso del termine brico-lage che alcuni autori hanno proposto perindicare sia i processi sia i prodotti dellanuova tecnologia. Così si può dire ad esem-pio che Internet, il software, molte partidelle biotecnologie e altri settori tecnicimolto importanti sono oggetto di bricolagepiù che di programmazione organica e ra-zionale (Immagine 7 - “la progettazione ra-zionale”).Il bricoleur recupera materiali, dispositivi,strutture e metodi di seconda mano (cioè

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IMMAGINE 7Antonio Sant'Elia“Caseggiato”

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già usati per altri scopi) e li (im)piega allenuove necessità, quando non può o nonvuole usare nulla di più adatto. Il bricolagenon è solo una forma di progettazione e co-struzione alternativa rispetto ai classiciprincipi dell’ingegneria e dell’architettura:per il legame inscindibile tra conoscenza eazione, esso è anche un modo diverso di ve-dere il mondo: possiede cioè un forte conte-nuto epistemologico. Infatti, costringendocia ripensare il modello canonico della pro-gettazione, il bricolage ci fa scoprire (mi-cro)processi cognitivi tipici della progetta-zione che vengono di solito occultati dalmodello ingegneristico tradizionale.Mentre la progettazione ingegneristicaclassica persegue un ordine intrinseco adun piano intenzionale esplicito e prestabili-to, frutto della finalità cosciente, nel brico-lage l’ordine emerge a posteriori e seguedall’interpretazione di una serie di azionicontingenti e di interventi d’improvvisazio-ne. Intenzioni, piani, azioni e risultati sonolegati, ma in modo debole, come debole è illegame tra i metodi e i materiali usati e il ri-sultato. Il progetto è locale, contingente,pronto a riadattarsi alle circostanze nuoveche scaturiscono dall’impiego di un mate-riale, e il materiale è impiegato perché è aportata di mano e quindi è utile ed econo-mico, benché non sia il migliore possibile inassoluto. La centralità cede il passo alla lo-calità, l’unità progettuale alla molteplicitàcoordinata e variabile, la fissità al dinami-smo, la rigidità alla flessibilità. Per questesue caratteristiche, il bricolage può esserel’unica strategia d’azione in condizioni diincertezza, quando non si voglia correre unrischio eccessivo o mettere a repentaglio ri-sorse limitate e preziose. Il bricolage, privi-legiando la località a scapito della centra-lità del processo progettuale, ne accentuala flessibilità e la disseminazione: ciò corri-sponde a una vera e propria creatività diffu-sa, che trova nella Rete il suo modello topo-logico più adeguato.Come ho detto, a cominciare dalla metà delNovecento la tecnologia ha assunto una ve-locità tale da non permettere a volte allascienza di giustificare e spiegare teoricamen-te, neppure a posteriori, il funzionamento deiritrovati tecnologici.

La scienza si è così ridotta a difendere posi-zioni via via più difficili, tanto più che le ra-dici dell’accelerazione tecnologica non so-no da ricercarsi all’interno dello svilupposcientifico, bensì nell’ambito della tecnolo-gia stessa. Infatti è stata l’informatica che,con il calcolatore, ha fornito all’innovazioneuno strumento, o meglio un metastrumen-to, flessibile e leggero che ha impressoun’accelerazione fortissima alle pratichedella progettazione. Anzi, ha indotto unaprofonda trasformazione di queste prati-che, poiché ha aperto la strada alla simula-zione, una sorta di progettazione-costruzio-ne virtuale che si pone a metà strada fra lateoria e l’esperimento. La simulazione è fa-cile, rapida, economica, divertente: ce n’èd'avanzo per far dimenticare l’ardua com-plessità delle argomentazioni e delle espe-rienze tradizionali.Il grande sogno dell’Occidente, che da Pla-tone in poi, passando per Cartesio e Leib-niz, giunge fino ad Einstein, di spiegare o diricostruire il mondo per via linguistica, ra-zionale e formale, non si è avverato. Anzi,quando sembrava prossimo all’attuazione,ha cominciato ad allontanarsi sempre più.Questo indebolimento della scienza fisico-matematica ha anche ragioni interne: glistrumenti informatici ci hanno permesso di(o costretto a) scoprire le dosi massicced’incertezza, di complessità e di disordineche si celano nelle pieghe di una realtà chefino alla metà del Novecento (e nell’imma-ginario collettivo anche molto dopo) si rite-neva invece caratterizzata da un’estremasemplicità soggiacente, che prima o poi sa-rebbe stata disvelata e riassunta in un’uni-ca formula.La crisi della scienza occidentale dimostraforse che essa non è, alla fin fine, una con-quista irreversibile, ma un evento storicocome tanti altri: è caduto l'Impero romano,cadrà, tristemente, anche la scienza che noiconosciamo, come aveva intuito Ortega yGasset, la scienza occidentale è un fenome-no singolare, una sorta di fluttuazione stati-stica limitata nel tempo e nello spazio, chenon si ripeterà perché è scaturita dalla con-comitanza di una miriade di condizioni rare.Invece la tecnologia fa parte dell’essenzadell’uomo, è legata a bisogni primari e

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profondi, alla stessa sopravvivenza, è radi-cata nell’evoluzione che ha portato alla na-scita dell’homo sapiens e che oggi sta por-tando all’homo technologicus. Ecco perchéla tecnologia accompagna da sempre l’uo-mo e non è un episodio passeggero.

10. UN’EPISTEMOLOGIATECNOLOGICA?

Dall’eventuale declino della scienza nellasua forma attuale non segue naturalmenteche debba scomparire l’attività mentale econoscitiva: essa potrebbe assumere formeinedite e sorprendenti, legate soprattuttoallo sviluppo tecnologico. Le conseguenzedi questo mutamento di gusto e d’interes-se, infatti, comportano, e seguono da, unaprofonda svolta epistemologica di cui è re-sponsabile in primo luogo proprio la tecno-logia. Non è affatto vero che la tecnologiasia “solo” produttrice di strumenti e che glistrumenti non abbiano alcun effetto sui mo-di e le forme della conoscenza. Anzi il pro-blema epistemologico sembra oggi oscura-to dalla velocità dell’innovazione tecnologi-ca e dalle ansie e dagli entusiasmi che essasuscita, ma non si dimentichi che azione econoscenza sono profondamente intreccia-te tra loro: gli strumenti sono sempre cata-lizzatori e filtri di conoscenza, quindi la tec-nologia è matrice di cultura.Del resto anche il nostro primo strumento,che è il corpo nella sua interezza, è portato-re di una conoscenza più ampia di quellaconsapevole che la scienza ha finora estrin-secato: il fatto che siano stati foggiati stru-menti matematici capaci di formalizzare,sia pure senza il confortevole sostegno del-l’intuizione, anche certe situazioni limite o“patologiche” rispetto alla normalità quoti-diana (i paradossi della meccanica quanti-stica e i fenomeni caotici, che sempre più sirivelano onnipresenti in natura) può essereun segnale che la nostra struttura biologicasupera, in capacità descrittiva inconsape-vole, l’abilità di descrizione e interpretazio-ne che finora siamo riusciti ad esplicitare informa afferrabile e razionale. Quindi checosa c’impedisce di pensare che anche glistrumenti che stiamo costruendo, quandosuperino un certo livello di complessità e di

interazione comunicativa con gli esseriumani, siano in grado di (farci) compiere unbalzo cognitivo? Di (farci) scoprire cioèqualcosa di radicalmente nuovo e originalenella natura o nel mondo artificiale che cistiamo costruendo intorno e di attuare unasvolta conoscitiva radicale?Insomma, il vuoto epistemologico che lascienza minaccia di lasciarsi dietro è viavia colmato dalla tecnologia, anche se conmateriali molto diversi e in modi inattesi.Per esempio la tecnologia produce sistemidi cui, come ho detto, ci serviamo senzacapirne bene il funzionamento, e spessonon c'interessa affatto comprenderlo.Mentre la scienza ha sempre cercato di fa-re affiorare la complessità soggiacente perridurla e darne una descrizione sempliceattraverso le teorie, la tecnologia tende anascondere la complessità dei manufattisotto una superficie o “interfaccia” digrande semplicità ed efficacia operativa: èvero che la semplificazione offerta dallatecnologia riguarda il mondo artificiale,ma il mondo artificiale si presenta ormai,all’homo technologicus che stiamo diven-tando, come il mondo tout court. Così l’in-differenza teorica della tecnologia si uni-sce alla sua potenza semplificativa e omo-logante nei confronti della realtà. Siamoindotti ad usare i suoi strumenti con lastessa inconsapevole disinvoltura con cuiusiamo gli organi del nostro corpo, mamentre per il funzionamento intimo di que-sti ultimi proviamo un grande interesse,per quello dei dispositivi tecnici nessuno.Va bene tutto, purché funzioni.Insomma, è come se la conoscenza, la-sciandosi alle spalle una lunga storia diastrazione progressiva e di formalizzazio-ne, stesse cominciando ad incorporarsi nelnuovo simbionte uomo-macchina, cioè nel-l’homo technologicus, e nella “creaturaplanetaria” di cui Internet è il primo nucleo.In questo senso, la tecnologia, specie quel-la informatica, segna, dopo un lungo viag-gio, un ritorno all’unità e alla completezzamultimediale della conoscenza, quale forsec'era agli inizi della nostra storia: ma è unritorno filtrato e mediato da un codiceastratto, quello binario, e gli effetti di que-sto filtro sono tutti da scoprire.

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Bibliografia[1] Bateson Gregory: Verso un’ecologia della men-

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GIUSEPPE O. LONGO è ordinario di Teoria dell’informazione nella Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trie-ste. Si occupa di codifica di sorgente e di codici algebrici. Ha diretto il settore “Linguaggi” del Laboratoriodella “International School for Advanced Studies” (Sissa) di Trieste e il Dipartimento di Informazione del“Centre Internationale des Sciences Mécaniques” (Cism) di Udine. Socio di vari Istituti e Accademie, s’inte-ressa di epistemologia, di intelligenza artificiale e del rapporto uomo-tecnologia. È traduttore, collaboracon il Corriere della Sera, con Avvenire e con numerose riviste. È autore di romanzi, racconti e opere teatra-li tradotti in molte [email protected]