Uomini che hanno paura della (loro) prevenzione...schio di carcinoma prostati co, che ogni anno...

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Un'indagine italiana e una europea svelano un livello d'ignoranza incredibile degli uomini a proposito del proprio apparato urogenitale e su ciò che bisognerebbe fare per mantenerlo in salute. Molte volte sono ancora le donne a «salvare» i loro compagni avvertendoli dei rischi che corrono SCENARIO ONCOLOGIA 1

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Un'indagine italiana e una europea svelano un livello d'ignoranza incredibile degli uomini a proposito del proprio apparato urogenitale e su ciò che bisognerebbe fare per mantenerlo in salute. Molte volte sono ancora le donne a «salvare» i loro compagni avvertendoli dei rischi che corrono

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I maschi persistono nel rifiutare di occuparsi attivamente della propria salute genitale. Un po' per ignoranza, molto per timore. Così tanti casi di carcinoma alla prostata vengono scoperti tardi e troppi ragazzi si sposano senza affrontare e risolvere eventuali difficoltà riproduttive

Uomini che hanno paura della (loro) prevenzione

L a prostata? «Per carità, io non ce l'ho. È lina malattia seria». «È da qualche parte vicino al­

l'intestino». «Ce l'hanno an­che le donne». Sono alcune delle risposte date dagli italia­ni quando è stato chiesto loro che cosa sia questa ghiandola. Che, no, le donne non hanno. E non è neppure una malattia ma una ghiandola, appunto, che può ammalarsi.

Quando succede c'è da im­maginare che le cose vadano pure peggio, perché stando a un'indagine Doxa per la So­cietà Italiana di Urologia con­dotta sui maschi over 50 solo uno su due, per esempio, co­nosce i sintomi del tumore al­la prostata: tanti li confondo­no con quelli dell'ipertrofia prostatica benigna, l'ingros­samento della ghiandola mol­to frequente con l'andare de­gli anni. La ricerca è stata pre­sentata in occasione dell'avvio di Movember, la campagna mondiale di sensibilizzazione sulla salute maschile che si tiene ogni anno a novembre e certifica senza mezzi termini l'ignoranza degli uomini in materia di prostata e di be­nessere uro-andrologico in generale: gli over 50 per esempio sanno di essere a ri­schio di carcinoma prostati­co, che ogni anno colpisce 35mila italiani facendo 7inila vittime, ma uno su tre non ne ha al cima paura perché lo giu­dica più curabile di altri e ap­

pena il 4 per cento sa che si può fare prevenzione. Corol­lario, gli uomini manco ci pensano a sottoporsi alle visi­te di controllo. Invece dopo i 45 anni è consigliabile sotto­porsi a una visita da urologo o andrologo ed eventualmente all'ecografia. Il Psa (l'esame dell'antigene prostatico spe­cifico) da solo non basta, ima piccola quota di pazienti ha il tumore anche se il valore è basso e anche se è alto non in­dica necessariamente un tu­more: serve la visita, temuta ma in realtà molto rapida. «La prevenzione attraverso la dia­gnosi precoce è l'arma miglio­re che abbiamo a disposizio­ne: oltre il 90 per cento dei tu­mori alla prostata guarisce se si intercetta negli stadi inizia­li» spiega Vincenzo Mirone, docente di urologia dell'Uni­versità Federico n di Napoli e responsabile comunicazione di Siu, che promuove la cam­pagna Movember in Italia.

Conoscere il proprio livello di rischio è indispensabile, perché, per esempio, la fami­liarità conta molto (e il peri­colo sale anche se in famiglia ci sono donne che hanno avu­to un tumore al seno perché sono entrambi carcinomi or-mono-sensibili), poi serve non mettere la testa sotto la sabbia: gli uomini non solo non vogliono sentirsi malati, non parlano proprio mai della salute del loro apparato geni­tale. Un papà su quattro non ne ha mai discusso con i figli

maschi, al contrario di quel che accade fra mamma e fi­glia, visto che le donne in­staurano fin da giovanissime una routine di controlli dal gi­necologo.

«Il pediatra a 16 anni "la­scia" i ragazzini, che però non vanno a parlare di eventuali problemi della sfera genitale con il medico di famiglia — dice Mirone —. Così, visto che manca la visita di leva dove un tempo si riuscivano a inter­cettare alcuni problemi, tanti arrivano a sposarsi e oltre senza essersi mai fatti visita­re, ignari di eventuali disturbi che possono minare la fertili­tà, inconsapevoli di come fun­ziona il loro apparato uroge­nitale, all'oscuro del program­ma di controlli che sarebbero opportuni per mantenersi in salute».

Non a caso l'indagine Doxa segnala che un over 50 su tre non è mai andato dall'urolo­go, uno su quattro non si è mai sottoposto all'esame del Psa; un'analoga ricerca del-l'European Association of Urology su oltre 2.500 perso­ne di cinque Paesi lo ha con­fermato anche a livello euro­peo. Gli uomini sanno poco della salute uro-genitale, pre­feriscono non pensarci, sotto­valutano i sintomi. Quindi ar­rivano pure tardi dal medico: il 43 per cento afferma che non si rivolgerebbe immedia­tamente al dottore se notasse sangue nelle urine, solo il 17 per cento ipotizza che avere

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dolori al basso ventre possa essere la spia di qualcosa di serio. E tanti, anche quando iniziano a pensare che forse dovrebbero sottoporsi a una visita, tergiversano a lungo: l'attesa media prima di pren­dere un appuntamento varia da uno a sette mesi, c'è perfi­no un 3 per cento che rifiute­rebbe la visita nonostante i sintomi.

Un bel problema, come sot­tolinea Mirone: «Il tumore al­la prostata oggi può essere cu­rato, ma se la diagnosi arriva in tempo. Purtroppo all'inizio spesso non dà sintomi ecla­tanti: il bruciore alla minzio­ne, il getto ridotto e simili so­no segni dell'ingrossamento della ghiandola, quasi mai ci sono in caso di tumore nei primi stadi, quando è più cu­rabile. L'unica strada per una vera prevenzione passa perciò da visite regolari dallo specia­lista». Prendendo magari spunto dalle donne, che han­no una sensibilità molto più alta in merito ai controlli di routine.

E sono spesso «salvavita» anche per gli uomini, perché non di rado sono loro ad ac­corgersi se qualcosa non va. Sottolinea Hein Van Poppel, segretario generale aggiunto delT'European Association of Urology «Le patologie dell'uo­mo coinvolgono anche la partner, che dovrebbe tra­smettere a lui la cultura della prevenzione incoraggiandolo a parlare dei propri sintomi. La donna è fondamentale, può e deve partecipare alle conversazioni fra l'uomo e il medico». Perché se lui tace, sia almeno lei a spiegare quel che non va.

Elena Meli

99 Il ruolo delle partner Le malattie maschili in realtà coinvolgono anche le donne, che spesso sono decisive nell'indurre i compagni a parlare con il proprio medico

L'indagine Doxa svolta per la Società Italiana di Urologia segnala anche che un over 50 su tre non è mai andato dall'urologo, uno su quattro non si è mai sottoposto all'esame del Psa

L'iniziativa

Illuminare di blu cinque statue, simbolo della virilità: dall'Ercole Farnese ai Bronzi di Riace, per richiamare l'attenzione sul tumore alla prostata: è la campagna Novembre Azzurro dell'associazio ne Europa Uomo, che fino al 2 dicembre in Piemonte, Lombardia, Lazio, Campania e Calabria distribuirà materiale informativo e organizzerà iniziative di educazione. Info sul sito: www.novembr eazzurro.it.

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I numeri dell'inconsapevolezza Fra gli uomini con più di 50 anni

e

il 5 4 % pensa che ie donne abbiano la prostata

Il 3 1 % non ha paura del tumore alla prostata perché io considera più curabile di altri

Il 4 9 % non conosce i sintomi

Il 2 0 % non ha mai fatto accertamenti mirati per la prostata (23% fra i 50 e i 60 anni)

%

Il 3 4 % non sa dove si trovi la prostata

Il 4 % non ne ha paura perché sa che si può fare prevenzione

Il 3 7 % non è mai stato dall'urologo (45% nell'intervallo 50-60 anni)

1158% non ha mai parlato della salute della prostata neanche col medico di medicina generale

Fonte: Movember, Indagine Doxa, SIU, Indagine EAU

Il tumore alla prostata

tv iiii Itti

35 mila I nuovi casi di ogni anno in Italia

^ k il 20% di tutti ^ ^ inuovi tumori

diagnosticati negli uomini con più di 50 anni

l s uS La probabilità per un maschio di sviluppare prima o poi un tumore alla prostata

I SINTOMI

II tumore della prostata cresce spesso lentamente, per questo può non dare segnali per molti anni. Quando è abbastanza voluminoso da esercitare pressione sull'uretra procura disturbi simili a quelli dell'ipertrofìa prostatica benigna

^ ^ Indebolimento del getto delle urine

^ ^ Frequente necessità di urinare, sia di giorno che di notte

Incontenibile stimolo ad urinare

Possibile dolore alla minzione

Presenza di sangue nelle urine

CdS

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Oggi la chirurgia è «selettiva» e può essere personalizzata

Due italiani svi tre san­no che per risolvere un tumore alla pro­stata c'è l'intervento

chirurgico. Il bisturi tuttavia è molto temuto per i possibili effetti collaterali: può infatti portare a difficoltà di conti­nenza e di erezione, se vengo­no lesionati i nervi che la co­mandano.

«L'operazione però oggi si sceglie solo se il paziente ha un rischio intermedio o eleva­to — specifica Francesco Montarsi, direttore dell'unità di urologia dell'Irccs Ospeda­le San Raffaele di Milano —. In questi pazienti l'asporta­zione della prostata è indicata ma, se ci si affida a un centro

di esperienza, la probabilità di effetti collaterali seri è dav­vero contenuta, anche con la tecnica tradizionale».

L'operazione standard pre­vede l'accesso diretto o in la­paroscopia; da qualche anno si è affermata anche la chirur­gia robotica, con il robot Da Vinci che fa da «tramite» fra medico e bisturi.

L'urologo infatti comanda gli strumenti chirurgici da una consolle, con diversi van­taggi: la cicatrice è più piccola e il recupero più rapido, si perde meno sangue (di fatto azzerando la necessità di tra­sfusioni), il ricovero è di ap­pena due giorni.

E si riduce il rischio di con­seguenze su continenza e ca­pacità di erezione perché il campo operatorio è ingrandi­to dalla telecamera del robot.

Come spiega Montarsi, «è come operare al microscopio: la visione più dettagliata ridu­ce il pericolo di ledere le strut­ture circostanti. Oggi negli Stati Uniti si operano con il robot il 95 per cento dei casi, in Europa circa l'8o per cento. un laser che viene portato nel­la zona da trattare attraverso un catetere. Il farmaco una volta attivato occlude i vasi sanguigni della zona, taglian­do il nutrimento al tumore ed eliminandolo selettivamente: bastano due giorni di ricovero e la probabilità di effetti colla­terali su continenza ed erezio­ne è bassa. Il San Raffaele è l'unico centro italiano dove

sono stati trattati alcuni pa­zienti e Montarsi sottolinea: «Non è una panacea e i casi devono essere selezionati con attenzione, ma è un'utile ar­ma in più. Ad oggi non viene rimborsata dal Servizio Sani­tario (il costo è di circa 2omila euro, ndf), inoltre non esone­ra dalla necessità di controlli successivi: con qualunque in­tervento, dal bisturi alla radio­terapia, la malattia prima o poi può tornare».

E.M. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Sicurezza Le nuove tecniche riducono il pericolo di incontinenza e disfunzione erettile

Gravità L'operazione si sceglie solo se il paziente ha un rischio intermedio o elevato

L'indagine L'urologo? «Uno specialista delle ossa»

La prostata è un mistero per gli uomini, meno per le donne: il 28% delle signore sa dire dove si trova, contro il 22% dei maschi. Ma l'ignoranza al maschile non finisce qui: l'indagine dell'European Association of

Urology ha mostrato che anche altri temi fondamentali per la salute di lui sono sconosciuti ai più. La disfunzione erettile, per esempio, colpisce un ultracinquantenne su due, ma nessuno ne parla e il 75% degli intervistati ha ammesso di non sapere che i numeri del problema fossero questi; l'85% non ha idea di quanto sia diffusa l'incontinenza, che

pure riguarda quasi 500mila italiani. Non va meglio per il tumore del testicolo, il più comune e diffuso fra 18 e 44 anni: solo il 18% degli intervistati lo conosce, e il 70% degli europei ha ammesso che non sarebbe in grado di riconoscerne i sintomi. Quanto agli italiani, oltre l'80% non sa distinguere i segnali di questo tumore né quelli delle patologie prostatiche.Infine: il 40% degli intervistati non ha saputo definire chi sia l'urologo, il 10% non ne ha mai sentito parlare, il 15% ha detto che è una specialista del sistema nervoso, circolatorio o dell'apparato scheletrico.

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La campagna «Movember» Per vivere quanto le donne

I tumore alla prostata si può curare sempre meglio, a patto di diagnosticarlo in tempo. Anche gli italiani lo sanno: il 76% pensa che sia guaribile, la maggioranza conosce l'opzione dell'intervento chirurgico. Solo uno su

quattro però ha sentito parlare delle nuove terapie ormonali orali che possono stabilizzare la malattia a lungo termine: «Sono cure "chemio-free" utili anche in pazienti con tumore aggressivo, metastatico già alla diagnosi, che associano alla terapia ormonale classica nuove molecole che si possono somministrare per bocca a domicilio — spiega Vincenzo

Mirone — Ciò comporta vantaggi in termini di tollerabilità, qualità di vita e impatto sulla quotidianità, aprendo la prospettiva di una possibile cronicizzazione del tumore anche nelle forme ad alto rischio, più aggressive». Migliorare la conoscenza delle cure è uno degli obiettivi della campagna Movember ( https://ex.movember.com/it), che finanzia progetti sulla salute al maschile con lo scopo di ridurre del 25% le morti premature entro il 2030, riducendo anche la differenza di aspettativa di vita con le donne: gli uomini in media vivono tuttora sei anni di meno.

Quando il tumore va solo «sorvegliato» Strategie

I l tumore della prostata può essere curato con chi­rurgia e radioterapia e cro­nicizzato con ormonotera­

pia, chemioterapia e terapia radio metabolica, però, spie­ga Riccardo Valdagni, diretto­re del Reparto di Radioterapia Oncologica ì e del Program­ma Prostata dell'Istituto dei Tumori di Milano: «Quando il tumore non è aggressivo si dovrebbe evitare di sottopor­re il paziente a inutili terapie che possono causare signifi­cativi effetti collaterali. Que­sto perché da più di 15 anni quando parliamo di tumore alla prostata non intendiamo più "il" tumore alla prostata, ma uno spettro di malattie che vanno dalle forme aggres­sive, che necessitano di cure immediate, a forme cosiddet­

te indolenti, non aggressive, che non hanno le caratteristi­che di tumore maligno: per esempio non danno metasta­si. Questi tumori possono non essere sottoposti ad alcu­na terapia».

Ma allora non si fa nulla? «Si fa quella che si chiama

sorveglianza attiva, il che si­gnifica che il paziente diventa un "sorvegliato speciale", che viene visitato 2 volte all'anno, che misura il Psa 4 volte l'an­no e ripete una biopsia dopo 1, 4, 7 e 12 anni. Se tutto con­ferma una malattia non ag­gressiva, la persona prosegue con l'osservazione»

E se il paziente non se la sente di stare a guardare?

«Non è quasi mai così, se lo si informa che la sorveglianza attiva è sicura e suggerita da tutte le linee guida mondiali. Nella nostra casistica, più del 95% dei pazienti con malattia indolente sceglie la sorve­glianza».

Da quanto tempo si prati­ca la sorveglianza attiva?

«La strategia è nata all'ini­

zio degli anni duemila, dal­l'esigenza di evitare terapie inappropriate per eccesso. Se non c'è bisogno di trattare, cioè se la malattia non cambia caratteristiche e comporta­mento, diventando più ag­gressiva, evitare cure non ne­cessarie significa risparmiare al malato inutili effetti collate­rali consentendogli di mante­nere la sua qualità di vita. Sen­za contare il risparmio di inu­tili costi al Servizio Sanitario Nazionale, anche se non è questo il motivo fondante ma il benessere del paziente».

Ci sono dati solidi a soste­gno di questo approccio?

«Esistono studi specifici, con numeri precisi, che ne provano l'efficacia. Nel nostro Istituto dal 2005 abbiamo se­guito in sorveglianza oltre mille pazienti e siamo il sin­golo Centro in Europa che ha seguito più pazienti. Dal 2007 partecipiamo al più grande studio multicentrico interna­zionale sulla sorveglianza atti­va, Prias, che ha arruolato ol­tre 7 mila pazienti. Dal 2014

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siamo membri del Consorzio Gap 3 sulla sorveglianza attiva (unico centro italiano) pro­mosso dalla Movember Foun­dation che sta valutando oltre 17 mila pazienti "osservati" dai maggiori centri nel mon­do. Due anni fa abbiamo pub­blicato una ricerca su 800 per­sone, e i risultati hanno con­fortato la nostra tesi. E il fatto che la sorveglianza attiva sia sicura è dimostrato dal fatto che dopo 15 anni non abbia­mo avuto né un decesso per tumore alla prostata, né meta­stasi. Quindi il nostro stadio, come del resto altri a livello internazionale, dimostra che con la sorveglianza attiva, se ben condotta, si può vivere bene e sicuri, anche conside­rando che dopo 10 anni circa il 4096 dei pazienti è ancora in sorveglianza. Però bisogna es­sere certi che il tumore sia non aggressivo».

Come si fa a essere sicuri che il tumore sia indolente?

«Lo si accerta con una biopsia. La valutazione va as­sociata poi ad altri esami stru-mentali,come ad esempio ri­sonanza magnetica multipa-rametrica e visita specialisti­ca, che aiutano ad assicurare che il tumore sia confinato nella prostata».

Luigi Ripamonti © RIPRODUZIONE RISERVATA

Che cos'è

La sorveglianza attiva è un approccio terapeutico che cerca di evitare trattamenti inutili. In quest'ottica il paziente diventa un «sorvegliato speciale», che viene visitato due volte all'anno, che misura il Psa quattro volte l'anno e ripete una biopsia dopo 2,4,7 e 10 anni. Se tutto conferma una malattia non aggressiva la persona prosegue con l'osservazione attiva

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