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UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA Dipartimento di ORGANIZZAZIONE AZIENDALE E AMMINISTRAZIONE PUBBLICA 1 Verbale Collegio docenti del Dottorato di Ricerca in Impresa, Stato, Mercato del 16 luglio 2003 Il giorno 16 luglio 2003 alle ore 09,00 si è riunito il Collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca Impresa, Stato, Mercato per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno: 5. Work in progress dei progetti di ricerca dei seguenti dottorandi: Pastore, Rota, Trivieri; 6. Approvazione verbale seduta precedente; 7. Comunicazioni; 8. Nomina Commissione per l’individuazione dei percorsi formativi didattico-scientifici (art. 9 reg. dottorato); 9. Obblighi e diritti dei dottorandi; 10. Varie ed eventuali Risultano presenti i proff. Presente Assente Prof. Luca Albino X Ptof. Enrico Caterini G Prof.ssa Giovanna Chiappetta G Prof. Fabrizio Criscuolo G Prof. Vincenzo Ferrari G Prof. Enrico Gragnoli G Prof. Ferdinando Grossi X Prof. Davide Infante X Prof. Pierpaolo Marano A Prof. Alessandro Montrone X Prof. Antonio Ricciardi X Prof. Albino Saccomanno X Prof. Damiano Silipo X Prof. Paolo Stancati X Il Presidente, constatata l’esistenza del numero legale dichiara aperta la seduta, assume le funzioni di segretario verbalizzante il prof. Luca Albino 1. Work in progress dei progetti di ricerca dei seguenti dottorandi: Pastore, Rota, Trivieri.

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Verbale Collegio docenti del Dottorato di Ricerca in Impresa, Stato, Mercato del 16 luglio 2003

Il giorno 16 luglio 2003 alle ore 09,00 si è riunito il Collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca Impresa, Stato, Mercato per discutere e deliberare sul seguente ordine del giorno: 5. Work in progress dei progetti di ricerca dei seguenti dottorandi: Pastore, Rota, Trivieri; 6. Approvazione verbale seduta precedente; 7. Comunicazioni; 8. Nomina Commissione per l’individuazione dei percorsi formativi didattico-scientifici (art. 9 reg.

dottorato); 9. Obblighi e diritti dei dottorandi; 10. Varie ed eventuali

Risultano presenti i proff. Presente Assente Prof. Luca Albino X Ptof. Enrico Caterini G Prof.ssa Giovanna Chiappetta G Prof. Fabrizio Criscuolo G Prof. Vincenzo Ferrari G Prof. Enrico Gragnoli G Prof. Ferdinando Grossi X Prof. Davide Infante X Prof. Pierpaolo Marano A Prof. Alessandro Montrone X Prof. Antonio Ricciardi X Prof. Albino Saccomanno X Prof. Damiano Silipo X Prof. Paolo Stancati X

Il Presidente, constatata l’esistenza del numero legale dichiara aperta la seduta, assume le

funzioni di segretario verbalizzante il prof. Luca Albino 1. Work in progress dei progetti di ricerca dei seguenti dottorandi: Pastore, Rota, Trivieri.

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Alla riunione sono stati invitati a partecipare tutti i dottorandi. Risultano presenti i dott.ri

D’Alessandro Daniele P Majo Enrico P Nocito Walter P Pastore Patrizia P Rota Dina P Torchia Francesco P Trivieri Francesco P Ciabattari Sabina P Rija Maurizio P Rolli Renato P Succurro Marianna P Veltri Anna Rita P Bufano Ida P Corasaniti Manuela P De Luca Giuliana A.G. Ferraro Olga P Marzullo Rossella A.G. Pandolfi Mauro P Rende Biancamaria A.G.

Il coordinatore invita il prof. Alessandro Montrone a presentare il lavoro di tesi della dott.ssa

P. Pastore. Il prof. Montrone introduce l’argomento del Progetto di ricerca della dottoressa, dedicato a Le

relazioni di cooperazione tra imprese. L’outosurcing strategico, enfatizzando che quest’ultima si propone di approfondire le decisioni di outsourcing nella prospettiva delle strategie di sviluppo esterno delle imprese, dei processi di creazione del valore, delle relazioni interimpresa, dell’ampliamento della base di risorse, conoscenze e competenze e dello sviluppo del vantaggio competitivo delle imprese.

Dopo la presentazione del prof. Montrone, la dottoressa Pastore procede ad illustrare i

passaggi essenziali e le prospettive della tesi di dottorato in elaborazione, inquadrando il fenomeno dell’ outsourcing nel più ampio tema dell’evoluzione dei modelli organizzativi e gestionali delle aziende, indotta dalla dinamicità del contesto competitivo, dalla rapidità dei cambiamenti ambientali, dalla diffusione delle tecnologie informatiche e dalla consapevolezza da parte delle imprese di non essere autosufficienti nel controllare e governare direttamente tutte le risorse necessarie, soprattutto quelle intangibili, al proprio sviluppo. In questa direzione, si assiste allo sviluppo di accordi di collaborazione tra imprese, di tipo non competitivo e non collusivo, orientati

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alle flessibilità, all’efficienza, alla rapidità decisionale, al presidio di competenze specialistiche, con la finalità di accedere a risorse complementari possedute da altre imprese e da altri soggetti e di incrementare un vantaggio competitivo sostenibile e duraturo. Il percorso di ricerca, sottolinea, è stato orientato ad esaminare un problema di fondo: come rendere possibile ed economicamente rilevante una fertilizzazione reciproca delle risorse interne possedute dalle imprese, soprattutto competenze e conoscenze, e delle risorse esterne complementari e specifiche esistenti nell'ambiente esterno, possedute da altre imprese e da altri soggetti economici ed istituzionali. L’outsourcing in questo senso rappresenta una delle possibili soluzioni a questo problema. Esso si sviluppa, infatti, in una duplice direzione: da un lato, l'impresa si specializza e si rafforza nelle proprie attività chiave, dove presenta competenze specifiche che originano vantaggi comparativi rispetto alle imprese concorrenti; dall'altro, l'impresa organizza un sistema di relazioni esterne di tipo cooperativo (verticali ed orizzontali) con altre imprese, alle quali trasferisce proprie attività e/o funzioni, per accedere alle risorse/conoscenze esterne, complementari e funzionali al rafforzamento nel tempo della propria posizione competitiva, senza dover affrontare i costi necessari per adeguarsi alla concorrenza. Successivamente, la dottoranda si sofferma sulla classificazione, sulle motivazioni e sull’evoluzione del fenomeno. Originariamente questo processo di esternalizzazione ha riguardato soprattutto attività ritenute non critiche nella prospettiva strategica, oppure attività che pure hanno un impatto sul business aziendale tutt’altro che trascurabile, rispetto alle quali l’impresa non aveva specifiche capacità ma con l’obiettivo di recuperare efficienza, riducendo i costi operativi; migliorare la profittabilità; superare difficoltà di gestione o di controllo di determinati processi aziendali ovvero la carenza di competenze specifiche; contenere gli investimenti. Negli ultimi anni, invece, sebbene la riduzione ed il controllo dei costi rappresentino a tutt’oggi un driver significativo nell’orientare una decisione strategica di outsourcing, i benefici in termini di costo hanno assunto, in alcune circostanze, una valenza secondaria rispetto alla finalità strategica dell’impresa di creare nuovo valore e conseguire un differenziale competitivo, per singolo business ovvero a livello aziendale, nei confronti delle altre imprese attraverso l’ampliamento e l’integrazione delle competenze necessarie allo sviluppo di innovazioni. Con questa finalità la tendenza attuale è quella di affidare in outsourcing anche attività del core business, ad elevato valore strategico, e, addirittura, interi processi aziendali (Business Process Outsourcing), pur mantenendo sotto controllo diretto gli elementi strategici del processo, attraverso relazioni di collaborazione e forme di partnership che modificano le traiettorie strategiche e le architetture organizzative delle imprese, conferendo maggiore flessibilità e occasione di accesso a competenze distintive non facilmente riproducibili. In questa direzione, l’outsourcing relazionale (relationship-based outsourcing), evoluzione del più tradizionale outsourcing transazionale (transaction-based outsourcing), assume una valenza strategica in quanto consente l’accesso a risorse, conoscenze e competenze esterne difficilmente riproducibili internamente, se non in tempi lunghi e a costi molto elevati e genera diversi benefici per le imprese coinvolte. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la dottoranda illustra i vantaggi ed i rischi, di ordine strategico, economico ed operativo associati ad una strategia di outsourcing.

Il lavoro della dott.ssa Pastore si compone di tre parti. Nella prima si costruisce un quadro concettuale finalizzato alla interpretazione e comprensione degli accordi di cooperazione. Da un lato, si analizzano le nuove strategie relazionali implementate dalle imprese alla luce dei nuovi scenari competitivi e, dall’altro lato, si procede all’interpretazione dell’outsourcing nella prospettiva delle diverse teorie di impresa: la teoria dei costi di transazione; le più recenti teorie evolutive

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dell’impresa che enfatizzano il ruolo delle condizioni non cost-based e dei fattori strategici che influenzano le decisioni di outsourcing (teoria delle risorse; teoria delle competenze distintive; teoria della conoscenza; teoria delle competenze dinamiche). Al riguardo, la dottoressa Pastore, sottolinea che lo studio della letteratura è stato ritenuto opportuno ancorché necessario al fine di un inquadramento del fenomeno dell’outsourcing nei suoi vari aspetti e di consentire la riflessione attorno ai fondamenti concettuali utilizzati per “leggere” il fenomeno in oggetto. Nella seconda parte si procede ad una puntuale analisi del fenomeno dell’outsourcing strategico e della sua evoluzione, anche in termini di dimensioni di mercato e prospettive di sviluppo, con particolare enfasi sui processi di valutazione economica e strategica, attuale e prospettica, che orientano una scelta di outsourcing. Infine, l’ultima parte è dedicata alla verifica empirica dell’outsourcing strategico in Alenia Aeronautica (Campania) al fine di validare le potenzialità strategiche, economiche ed organizzative ascrivibili agli accordi di outsourcing e la capacità degli stessi di rispondere alle finalità dei partner, in linea con il principio di creazione del valore, sia in termini economici che di vantaggio competitivo, sia in termini di sviluppo di risorse, conoscenze e competenze distintive.

Il collegio manifesta vivo apprezzamento per il lavoro del dott.ssa Pastore.

Terminata la discussione sul lavoro della dott.ssa Pastore, il coordinatore invita il prof.

Montrone a presentare il lavoro di tesi della dott.ssa D. Rota.

Il prof. Montrone introduce la ricerca in corso di attuazione da parte della dottoranda Dina Rota, incentrata su “Il bilancio dell’intangibile: strumento di analisi per il valore dell’impresa. Ruolo del capitale umano”

Dopo la presentazione del prof. Montrone, la dottoressa Rota procede ad illustrare i passaggi

essenziali e le prospettive della tesi di dottorato in elaborazione, sottolineando come, negli ultimi decenni, il contesto economico in cui hanno operato e operano le imprese sia contraddistinto da cambiamenti radicali e rapidi. Cambiano i punti di riferimento, s’inventano nuovi modi di fare business; i beni e servizi consumati sono sempre più immateriali; le organizzazioni sviluppano nuove strategie e adottano categorie concettuali volte a cogliere efficacemente la rilevanza assunta dalle relazioni e dalla conoscenza. Tra queste, si propone come variabile critica nel processo di creazione del valore, il capitale intellettuale, inteso come patrimonio di informazioni, proprietà intellettuali, esperienze e soprattutto conoscenza. Nel nuovo scenario, la chiave della sopravvivenza e della competitività, per tutti i settori risiede nel come le persone riescono a combinare, gestire e commercializzare il loro know-how.. Il quesito che pertanto si pone, evidenzia la dott.ssa Rota, è se i tradizionali modelli di valutazione, a partire dal classico bilancio d’esercizio sono sufficienti per determinare il valore e il grado di vitalità di un’organizzazione. Se si guarda alle significative differenze rilevabili tra il valore di mercato e il valore contabile di importanti e numerose società, la risposta è sicuramente negativa. Anzi si realizza un vero e proprio paradosso: da un lato le risorse immateriali vengono indicate come uno dei fattori sempre più determinanti per analizzare la sostenibilità competitiva e la capacità di creare valore dell’impresa, dall’altro lato l’evoluzione della dottrina contabile impone requisiti stringenti per la loro rilevazione in bilancio. Per superare i limiti posti da modelli tradizionali di rilevazione, le società in un contesto fortemente concorrenziale, in cui mantenere un vantaggio competitivo vuol dire posizionarsi come riferimento per gli stakeholders (clienti, dipendenti, collaboratori, investitori , fornitori, partners, organi istituzionali e

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comunità locali) e comunicare agli stessi i propri tratti differenziali, nella consapevolezza che l’insuccesso nella gestione dei fattori immateriali può danneggiare pesantemente il risultato economico dell’impresa, hanno realizzato nuovi strumenti di informazione: report settoriali volti ad un apposito pubblico (Bilancio ambientale, Bilancio sociale, rapporti sul codice etico e sulla Corporate Governance) e un report omnicomprensivo definito “bilancio dell’intangibile”. Quest’ultimo viene strutturato superando i tradizionali elementi hard, per focalizzarsi su determinati elementi soft compresi in tre macroaree: Capitale Umano, Capitale Strutturale e Capitale Relazionale. Per ognuna di queste macroaree vengono individuati degli indicatori chiave (Intangibile key Indicators) di crescita e rinnovamento, efficienza, solidità e sostenibilità competitiva. Questa classificazione consente una rilevazione sistematica dei principali driver intangibili del processo di creazione di valore. L’identificazione e la classificazione del numero e delle tipologie di elementi necessari avviene sulla base di un’attenta analisi delle principali caratteristiche esterne ed interne dell’organizzazione, alla luce degli obiettivi aziendali e soprattutto della visione delle linee guida strategiche definite a monte. Lo scopo è fornire agli investitori informazioni che permettono di valutare la capacità di innovazione di un’impresa, la preparazione del management e tutto quanto può contribuire a farsi un’idea delle sue potenzialità, e cercare di rispondere a importanti interrogativi: da cosa dipende oggi il valore di un’azienda? Per quale ragione alcune imprese hanno un valore di mercato superiore al loro valore contabile? Perché aziende di successo perdono rapidamente valore e imprese prive di profitto sono sopravvalutate dagli investitori? Sull’argomento notevole risulta il fermento, riscontrabile soprattutto nei paesi del Nord Europa. L’attenzione internazionale è elevatissima e molteplici sono i gruppi di studio avviati in vari paesi e organizzazioni. L’esigenza, chiara e universalmente accettata, è quella di far emergere e tradurre in una misura il valore che viene creato dall’interazione tra capitale intangibile dell’impresa e la parte hard o tangibile, cioè gli asset che vengono normalmente contabilizzati. E’ dall’interazione fra questa due anime che ha inizio il processo di creazione del valore dell’azienda che a sua volta si riflette nel valore percepito dal cliente, dall’azionista, dagli stakeholder e, infine, dagli analisti finanziari. Tra gli elementi immateriali del patrimonio dell’impresa, le risorse umane emergono sempre più come fattori critici del successo aziendale. La formalizzazione e la rappresentazione analitica del capitale umano non è più eludibile, e il problema viene oggi riscoperto in chiave più ampia e articolata. Il divario tra la misura contabile e l’effettiva consistenza patrimoniale dell’azienda impoverisce di espressività il bilancio d’esercizio nella sua funzione informativa, sia ai fini direzionali che rispetto alle esigenze di tutela degli stakeholder, interessati alla rappresentazione veritiera e corretta della realtà aziendale. Per questo, partendo dallo sviluppo del concetto di capitale umano nel campo degli studi di Accounting, si deve giungere ad un modello di misurazione che consideri le risorse umane investimenti in grado di generare redditi futuri, giustificando l’individuazione di misure monetarie e la capitalizzazione dei costi sottostanti in quanto investimenti in asset patrimoniali in grado di apportare benefici futuri. Si tratterà in sostanza, nello sviluppo della tesi, di stabilire le finalità e l’utilità derivante dalla contabilizzazione del capitale umano e definire su quale popolazione applicarla, come applicarla, con quali criteri e con che tipi di strumenti, partendo dalle competenze distintive delle risorse aziendali che svolgono attività difficili da sostituire per il significativo valore aggiunto che forniscono all’organizzazione.

Il collegio manifesta vivo apprezzamento per il lavoro della dott.ssa Rota.

Terminata la discussione sul lavoro della dott.ssa Rota, il coordinatore invita il prof. D. Silipo a presentare il lavoro di tesi del dott. F. Trivieri.

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Il prof. Silipo sottolinea il grande impegno profuso dal dott. Trivieri nel lavoro di ricerca e di sostegno alla didattica. Con riferimento ai risultati della ricerca, il prof. Silipo esprime piena soddisfazione per i risultati raggiunti, caratterizzati da originalità.

Dopo la presentazione del prof. Silipo, il dott. Trivieri procede ad illustrare i passaggi

essenziali e le prospettive della tesi di dottorato in elaborazione relativa ad una indagine empirica sulle relazioni tra strutture proprietarie e comportamento delle imprese bancarie. L’interesse per questo tema di ricerca è da ricondurre alle importanti implicazioni economiche ad esso connesse, ovvero alla questione se lo sviluppo delle imprese - e per questa via la crescita economica - sia in qualche modo influenzato dalle allocazioni dei diritti proprietari e dai meccanismi di governo societario (corporate governance) che caratterizzano le organizzazioni produttive. La necessità di indagare le strutture proprietarie e del controllo delle aziende di credito assume una rilevanza particolare se si considera che: 1) le banche rappresentano imprese estremamente importanti per lo sviluppo economico, sia perché costituiscono un canale di trasmissione della politica monetaria sia per il loro ruolo di intermediari finanziari; 2) nel corso dello scorso decennio, l’industria bancaria di molti paesi è stata interessata da numerosi cambiamenti istituzionali che hanno, tra le altre cose, mutato profondamente le configurazioni proprietarie delle aziende creditizie. Il lavoro di tesi si articola in quattro capitoli. Il primo presenta una breve rassegna della letteratura sul tema degli assetti proprietari e del governo societario sia con riferimento alle imprese non finanziarie che, con maggiore enfasi, alle imprese bancarie. Obiettivo del secondo capitolo è quello di verificare empiricamente se esistano differenze nel comportamento e nelle performance delle banche italiane distinte per tipologie di assetti proprietari. A tal fine, l’analisi è stata articolata in tre fasi principali: i)formulazione di ipotesi teoriche riguardanti le relazioni tra assetti proprietari, meccanismi di corporate governance e comportamento ed efficienza delle imprese bancarie; ii) classificazione delle aziende di credito in categorie di strutture proprietarie; iii) utilizzo di dati di bilancio per la stima di equazioni di comportamento e di profili di performance (redditività, produttività e rischio). La classificazione delle banche in categorie di strutture proprietarie ha richiesto preliminarmente la predisposizione di una mappa delle allocazioni dei diritti di proprietà nel sistema creditizio italiano che è stata disegnata per il periodo 1990-2000. Le ipotesi teoriche relative alle relazioni tra proprietà, comportamento ed efficienza (allocativa ed operativa) delle aziende di credito sono state sottoposte a verifica econometrica utilizzando un campione di 217 banche rappresentativo di tutte le strutture proprietarie individuate nel sistema bancario italiano. Le stime econometriche sono state realizzate utilizzando dati di bilancio tratti dal database BILBANK-ABI 2000; la tecnica di stima impiegata è quella della pooled regression. Le principali conclusioni ottenute nel lavoro possono essere sintetizzate come segue: 1) l’evidenza empirica sembra suggerire che la natura proprietaria influenzi il comportamento e l’efficienza delle banche. Dall’analisi econometrica emerge che, nel periodo considerato, le banche pubbliche hanno raggiunto livelli di efficienza operativa (redditività e produttività) inferiori a quelle delle banche private. Le prime, inoltre, non sembrano caratterizzarsi neppure per più alti livelli di efficienza allocativa (crediti concessi, margine di interesse) e presentano un più elevato profilo di rischiosità rispetto alle seconde; 2) con riferimento ai confronti tra le diverse configurazioni istituzionali di banche private, vanno evidenziati due risultati rilevanti: un primo è che le banche in forma di società per azioni (SpA) con proprietà concentrata presentano profili di redditività e produttività migliori rispetto alle banche della stessa categoria ma con proprietà dispersa; l’altro è che le banche popolari sembrano essere quelle che, negli anni considerati hanno fornito le migliori condizioni ai loro clienti in termini di quantità di credito erogata e di tassi di interessi praticati. L’analisi degli intrecci proprietari esistenti nel sistema bancario italiano costituisce l’obiettivo di fondo del terzo capitolo. In particolare, il lavoro ha perseguito un duplice scopo: uno è stato quello di mostrare, attraverso la costruzione di una mappa, l’evoluzione della fittissima nebulosa di partecipazioni incrociate in cui si trovano attualmente

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incapsulate le maggiori banche del nostro paese; l’altro è rappresentato dal tentativo di misurare il peso delle cross-ownership che legano i grandi gruppi creditizi italiani. La mappa presentata nel lavoro mostra la situazione degli incroci azionari lungo tutto il periodo in cui le cross-ownership sono divenute un fenomeno rilevante nell’industria bancaria italiana. Essa riporta non solo le quote proprietarie degli azionisti coinvolti nella ragnatela degli intrecci, ma anche il grado di controllo a quelle quote associato. In altri termini, si tratta di una mappa non solo della proprietà ma anche del controllo delle maggiori aziende creditizie italiane. Il secondo obiettivo è stato perseguito implementando, per ogni anno del periodo 1997-2000, una versione modificata dell’indice di Herfindahl-Hirschman (HHI) e, quindi, calcolando la differenza tra i valori ottenuti da questo indice e quelli forniti dal tradizionale HHI. Poiché il Modified Herfindahl-Hirschman Index (MHHI), a differenzia del HHI, rappresenta una misura corretta della concentrazione settoriale allorché le imprese sono legate da intrecci proprietari, la rilevanza delle cross-ownership è misurata in termini della concentrazione industriale che esse determinano. L’implementazione del MHHI ha richiesto l’impiego di tre ordini di osservazioni empiriche: la quota proprietaria posseduta dagli azionisti di ciascuna impresa; la quota di mercato di ogni impresa; una misura del grado di controllo societario esercitato da ogni azionista per effetto dei diritti proprietari detenuti. Il problema di come misurare il grado di controllo societario di ciascun membro di un corpo votante è stato ampiamente affrontato nella letteratura economica, con il risultato che numerosi indici, noti come indici di potere, sono stati elaborati. Tra questi, i due indici più comunemente utilizzati sono quello di Shapley-Shubick (1957) e quello di Banzhaf (1963). Le principali conclusioni ottenute nel lavoro possono essere sintetizzate come segue: 1) i valori dell’indicatore di potere mostrano che alcune delle grandi banche interessate dai processi di privatizzazione degli anni novanta apparivano, alla fine del 2000, di fatto ancora a controllo pubblico; 2) per effetto degli intrecci proprietari tra i maggiori gruppi creditizi italiani, i valori del tradizionale HHI sono sempre inferiori a quelli del MHHI. Nel periodo preso in esame, il primo indice sottostima sistematicamente il livello della concentrazione esistente nell’industria bancaria del paese. In particolare, i valori ottenuti dall’implementazione del MHHI mostrano che, per effetto degli incroci proprietari, la concentrazione nell’industria bancaria del paese - alla fine del 2000 - risultava sottostimata per oltre il 22%. Tale risultato appare indipendente dalla misura adottata nel calcolo delle quote di mercato utilizzate nelle due versioni dell’indice di concentrazione. In media, nei quattro anni considerati nell’analisi, le partecipazioni azionarie incrociate tra i grandi gruppi creditizi nazionali avrebbero accresciuto la concentrazione dell’industria bancaria italiana nella misura di circa il 18%. L’obiettivo perseguito nel quarto capitolo è stato quello di indagare sul piano empirico se e in che misura la formazione dei conglomerati bancari e l’instaurarsi di legami proprietari tra le grandi aziende creditizie italiane abbiano influenzato il livello della competizione nel settore bancario del nostro paese nel corso degli anni novanta. Il lavoro è stato articolato in tre fasi principali. In un primo momento è stata disegnata una mappa relativa alla composizione dei gruppi bancari presenti nel settore creditizio del nostro paese nel periodo 1994-2000. Le informazioni di questa mappa - unitamente a quelle fornite dalla mappa degli intrecci proprietari - sono state quindi utilizzate per classificare le banche italiane rispetto a due criteri: 1) se esse siano indipendenti oppure appartengono a gruppi e, in questo secondo caso, 2) se esse siano legate oppure no da intrecci proprietari. Una volta ottenuta tale tassonomia di categorie di imprese bancarie, si è proceduto a stimare per ognuna di esse un modello empirico di tipo non strutturalista proposto nell’ambito del filone di studi noto in letteratura come New Economic Industrial Organisation. Il modello a cui si fa riferimento è la statistica proposta da Panzar e Rosse (1987) che permette di calcolare il grado di competizione esistente in un settore industriale misurando l’elasticità dei ricavi delle imprese rispetto ai costi dei fattori produttivi. I risultati delle stime econometriche, effettuate utilizzando un panel sbilanciato di 500 imprese bancarie con dati relativi ad un arco temporale di 7 anni (1994-2000), suggeriscono almeno tre rilevanti conclusioni. La prima è che, nel periodo di tempo considerato, le banche italiane sembrano aver operato in condizioni di concorrenza monopolistica.

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Questo risultato è sostanzialmente coerente con quello ottenuto dagli altri contributi che hanno applicato la statistica H di Panzar e Rosse al sistema creditizio del nostro paese. Una seconda conclusione importante è che - una volta distinte per categorie istituzionali - le banche italiane maggiormente competitive sembra siano state le Popolari, mentre quelle con il minor grado di competizione appaiono essere state le banche di credito cooperativo (BCC). Infine, ed è il risultato chiave del lavoro, l’evidenza empirica ottenuta, se da una parte non fornisce indicazioni univoche in merito agli effetti sulla competizione connessi alla formazione dei conglomerati bancari, dall’altra sembra indicare che - se non tiene conto della peculiare categoria di banche rappresentata dalle BCC - la presenza degli intrecci azionari tra banche ha rappresentato un fattore di limitazione della concorrenza nel sistema creditizio del nostro paese.

Il collegio manifesta vivo apprezzamento per il lavoro del dott. Trivieri. Alle ore 11,30, terminata la discussione, si allontano i dottorandi e il collegio prosegue la

riunione, secondo l’ordine del giorno. 2. Approvazione verbale seduta precedente

Il verbale viene approvato. 3. Comunicazioni

Niente. 4. Nomina Commissione per l’individuazione dei percorsi formativi didattico-scientifici (art. 9 reg. dottorato); Il Collegio dei docenti, dopo un’accurata discussione, nomina la Commissione che avrà il compito di individuare i criteri di valutazione dei percorsi formativi dei dottorandi sia scientifici che didattici (in particolare per i dottorandi del 1°anno di corso) nella seguente composizione: Prof. Antonio Ricciardi, Prof. Davide Infante, Prof. Enrico Caterini. 5. Obblighi e diritti dei dottorandi

Il coordinatore, al fine anche di evitare trattamenti differenziati, presenta al collegio un promemoria dei diritti e degli obblighi dei dottorandi, desumibili dalla legge, dal Regolamento d’Ateneo e dal Regolamento interno.

Il coordinatore ricorda che, a norma dell’art. 2 Regolamento d’Ateneo, i corsi di dottorato devono prevedere attività didattiche e appropriate attività di ricerca finalizzate: ad ampliare e consolidare la formazione di base e l’acquisizione di opportune conoscenze specialistiche, conseguite anche attraverso la frequenza di moduli didattici; ad acquisire specifiche tecniche operative e metodologie di ricerca, attraverso la frequenza di qualificate strutture produttive e/o di ricerca; a sviluppare un appropriato progetto di ricerca, volto all’acquisizione di risultati originali, possibilmente suscettibili di pubblicazione. Tale ricerca costituisce la base per l’elaborazione della tesi di dottorato. Gli obiettivi formativi e i programmi di studio del dottorato devono essere pubblicizzati. In base a tale articolo, quindi, il Collegio dovrà quindi determinare almeno i percorsi formativi dei dottorandi iscritti al primo anno e le modalità di esame (qualora previsto) se nel piano di formazione saranno inseriti insegnamenti impartiti nei corsi di laurea (art. 50). Il Collegio dovrà, inoltre, sempre sulla base di tale articolo, invitare i dottorandi a pubblicizzare i risultati parziali

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delle loro ricerche, inizialmente nell’ambito di appositi seminari, organizzati dal Collegio stesso e rivolti a tutti i dottorandi; successivamente, acquisito il parere dei supervisori, in Riviste nazionali o internazionali.

In relazione ai diritti e agli obblighi il coordinatore ricorda che i dottorandi sono obbligati ad una frequenza assidua del corso di dottorato (art. 36); allo svolgimento di attività di studio e di ricerca (art. 36); alla presentazione al Collegio, a conclusione di ogni anno, di una relazione sull’attività di ricerca svolta (art. 36). I dottorandi non possono svolgere attività lavorativa senza la preventiva autorizzazione del Collegio docente (lo svolgimento di attività lavorative in assenza di autorizzazione preventiva porta all’esclusione dal corso di dottorato) (art. 46). I diritti possono essere così schematizzati: 1 I dottorandi con borsa hanno diritto al pagamento della stessa dietro presentazione dell’attestato

di frequenza (bimestrale) rilasciato dal Coordinatore (art. 37: in base a tale articolo non sono ammessi attestati di frequenza rilasciati dai soli supervisori, ma devono essere siglati anche dal Coordinatore).

2 I dottorandi possono svolgere una limitata attività didattica sussidiaria o integrativa dei corsi per non più di trenta ore e a condizione che ciò non comprometta l’attività di formazione alla ricerca (art. 41). L’attività didattica in oggetto non può essere confusa con quella disciplinata dall’art. 100 dPR 382/80 e succ. mod. e int., in quanto tale attività si svolge in piena autonomia, mentre le attività sussidiarie o integrative consentite ai dottorandi devono svolgersi sotto la supervisione di uno dei componenti il Collegio docenti (art. 41). I dottorandi, pertanto, possono svolgere attività di tutorato, esercitazione e insegnamento integrativo, sempre nei limiti delle trenta ore. A norma del regolamento del Dottorato in Impresa, Stato Mercato i dottorandi del primo anno non possono svolgere nessuna attività didattica. Il divieto di assumere insegnamenti ex art. 100 dPR si applica ai dottorandi con borsa e senza borsa. Queste regole si applicano a partire dall’anno accademico 2002-2003, ovvero per i dottorandi iscritti al XVII ciclo e successivi. Ai dottorandi del XV e XVI ciclo il vecchio regolamento universitario consentiva anche l’assunzione di insegnamenti ex art. 100 dPR. Tale regolamento continua a produrre effetti in quanto richiamato dal bando di ammissione.

3 I dottorandi possono approfondire la loro preparazione, partecipando ad attività culturali esterne all’UNICAL; tali attività non possono superare complessivamente la metà della durata del corso di dottorato (art. 44). I dottorandi che si assentano dalla sede per un periodo inferiore ad un mese devono comunicarlo al Coordinatore. I dottorandi che si assentano dalla sede per un periodo superiore ad un mese devono essere autorizzati: A. per periodi di formazione presso Università o Istituti di ricerca italiani e stranieri: dal Coordinatore per periodi inferiori o uguali a sei mesi; dal Collegio per periodi superiori. (art. 44). B. per partecipazione a scuole, workshop, seminari: dal Coordinatore per soggiorni di durata inferiore o uguale a tre mesi e per iniziative che si svolgono in Italia; dal Collegio per periodi superiori e per iniziative che si svolgano all’estero.

Dopo ampia ed approfondita discussione il Collegio approva e decide di comunicare il

promemoria a tutti i dottorandi.

Page 10: UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA · Rolli Renato P Succurro Marianna P Veltri Anna Rita P Bufano Ida P Corasaniti Manuela P De Luca Giuliana A.G. Ferraro Olga P Marzullo Rossella A.G.

UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA Dipartimento di ORGANIZZAZIONE AZIENDALE E AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

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5. Varie ed eventuali

Niente Null’altro essendovi da deliberare, il Presidente dichiara sciolta la seduta alle ore 13.00 Fatto, letto e sottoscritto. Il Segretario Il Presidente (prof. Luca Albino) (prof. Albino Saccomanno)