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UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE UNINETTUNO Facoltà di Scienze della comunicazione Corso di Laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità ELABORATO FINALE in Letterature Comparate Titolo: Il Maestro e Margherita: allegoria e denuncia sociale, di Michail Afanas'evič Bulgakov RELATORE CANDIDATO Prof. Nora Moll Stefano Cavaleri ANNO ACCADEMICO 2015-16

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UNIVERSITÀ TELEMATICA INTERNAZIONALE

UNINETTUNO Facoltà di Scienze della comunicazione

Corso di Laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità

ELABORATO FINALE

in Letterature Comparate

Titolo:

Il Maestro e Margherita: allegoria e denuncia sociale, di

Michail Afanas'evič Bulgakov

RELATORE CANDIDATO

Prof. Nora Moll Stefano Cavaleri

ANNO ACCADEMICO 2015-16

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INTRODUZIONE p. 2

CAPITOLO 1 . Il Maestro e Margherita: genesi dell’opera p. 6

1.1 Biografia intellettuale dell’autore p. 6

1.2 Il romanzo p.13

1.3 L’accoglienza del romanzo in Italia p.25

CAPITOLO 2. Il contesto sociale e politico russo nei primi decenni del XX

secolo p.28

2.1. La rivoluzione di ottobre : dalla caduta dello Zar alle Tesi di aprile p.28

2.2. Lo stalinismo p.33

2.3 Lo stalinismo e la politica italiana: il ruolo di Palmiro Togliatti p.39

CAPITOLO 3. La trasposizione filmica p.43

3.1. Religione e spiritualità ne Il Maestro e Margherita p.43

3.2. La versione filmica di Vladimir Bortko p.46

CONCLUSIONI p.50

BIBLIOGRAFIA p.53

SITOGRAFIA p.55

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INTRODUZIONE

La letteratura europea di fine Ottocento ed inizio Novecento ha in più occasioni

rappresentato il punto di incontro di istanze non solo di natura artistica ma anche

culturale, politica e sociale.

Specialmente nei primi decenni del XX secolo romanzieri e poeti sono stati testimoni

di eventi che avrebbero poi segnato il destino di intere collettività, se non

dell’umanità in genere, trasferendone nelle loro opere simboli e significati.

Questo è quanto è accaduto, ad esempio, a quegli autori che hanno sentito più di altri

l’influsso della psicoanalisi e delle ricerche freudiane, dando così vita ad opere in cui

il vero protagonista è l’inconscio.

Altri narratori, invece, hanno riportato nelle loro produzioni prevalentemente il clima

sociale e politico in cui vivevano ed in cui la loro opera aveva visto la luce. In alcuni

casi tale trasposizione era più o meno esplicita. Altre volte il messaggio sociale e

politico, specialmente se di denuncia, acquisiva forme meno dirette, più allegoriche e

fantasiose.

A tale riguardo un riferimento privilegiato è Il Maestro e Margherita di Michail

Bulgakov, un’opera narrativa dove si fondono indissolubilmente l’elemento artistico

e quello biografico dell’autore, sia di natura privata che intellettuale e, infine, sociale.

Il romanzo dello scrittore russo si presta a molteplici interpretazioni grazie al suo stile

fortemente simbolico che lo pone al limite tra il racconto fantastico e quello

fantascientifico, anche se ad un pubblico attento non sfugge l’istanza politico-sociale

che lo sostiene.

Il presente lavoro è orientato a porre un accento particolare sul messaggio di denuncia

rivolto al clima di assolutismo staliniano in cui testo vide la luce, senza per questo

svalutarne il forte valore di testimonianza che di cui le pagine si fanno promotrici sia

sono sotto il profilo biografico che quello religioso e spirituale. Trascurare questi

aspetti, in ogni caso, risulterebbe pressoché impossibile dal momento che la creatività

di Bulgakov fa sì che la storia di Margherita e del Maestro sia un intreccio

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inscindibile di vita privata dell’autore, sensibilità religiosa e variabili politiche-

sociali.

La tesi, inoltre, intende rispondere ad un particolare quesito e cioè come mai Il

Maestro e Margherita sia uno dei libri del Novecento, non solo tra i più letti, che si

colloca tra quelli che hanno ricevuto il maggior numero di trasposizioni filmiche.

A tale scopo il 1° capitolo includerà un paragrafo dedicato alla genesi del romanzo,

evento fortemente intrecciato con la biografia dell’autore specialmente per ciò che

concerne le molteplici difficoltà che Bulgakov incontrò durante la sua stesura. Si

trattò certamente di nodi di natura creativa, considerando l’alto spessore simbolico

dell’opera ed il livello di complessità raggiunto, pagina dopo pagina, dall’intreccio

narrativo. Non a caso, così come la tesi riporterà, Il Maestro e Margherita ha subito

numerose rivisitazioni da parte del suo autore, fino al punto da restare incompiuto.

Allo stesso tempo verranno poste in rilievo le forti opposizioni che il romanzo

incontrò da parte degli apparati di governo, che in esso videro un elemento di

disturbo nei confronti del conformismo politico-sociale che il regime espandeva

progressivamente sull’intera società sovietica.

In seguito l’attenzione si sposterà su alcuni momenti significativi del confronto tra

Bulgakov e l’apparato di potere sovietico, quali, ad esempio, la lettera inviata dallo

scrittore ai dirigenti del partito e che ricevette l’inaspettata risposta dello stesso

Stalin, il ruolo che in seguito l’autore assunse come direttore del teatro dell’Arte di

Mosca e le sue successive dimissioni, l’opera teatrale che egli compose in occasione

del compleanno di Stalin, anch’essa censurata e mai rappresentata.

Il capitolo proseguirà ricordando le rivisitazioni che Bulgakov elaborò del romanzo

ed il fatto che, come accennato, il testo non vide una conclusione vera e propria. La

narrazione, infatti, fu ultimata dopo la morte dello scrittore dalla sua terza moglie,

Elena Šilovskaja.

Il secondo paragrafo avrà come riferimento la struttura narrativa del romanzo e

metterà in rilievo il valore simbolico dei personaggi, descrivendone azioni e dialoghi.

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A tale proposito l’attenzione si dirigerà in modo particolare sulla figura di Woland, il

demone tentatore, personaggio che rinvia quasi naturalmente al Faust di Goethe e che

fa dell’opera lo scenario di un costante conflitto tra bene e male.

A tale riguardo, risulteranno significativi i personaggi di Yeshua, Ponzio Pilato,

dell’apostolo Levi.

Sul versante demoniaco, emergeranno le figure di alcuni adepti di Woland quali il

demone Azazello ed il gatto Ippopotamo.

Il Maestro e Margherita, sua amante, risulteranno proprio al centro della disputa tra

queste due forze, come lo stesso Bulgakov si trovò irretito nel confronto tra creatività

e repressione.

Il capitolo si concluderà con un breve paragrafo dedicato alla favorevole accoglienza

che il romanzo ebbe in Italia, sottolineando le sue molteplici traduzioni ed una prima

trasposizione filmica italo-jugoslava del 1972.

La tesi prosegue con il 2° capitolo dove il riferimento specifico sarà il clima sociale e

politico in cui visse Bulgakov e che fece da cornice alla genesi del romanzo.

Un primo paragrafo descriverà sinteticamente gli eventi che condussero la Russia

zarista alla rivoluzione dell’ottobre del 1917. A questo proposito risulterà inevitabile

dedicare una particolare attenzione alla figura di Lenin ed al contributo che le sue

Tesi di aprile diedero al radicale cambiamento della società russa.

Il secondo paragrafo, invece, sarà centrato sull’ascesa al potere di Stalin e sul clima

di autoritarismo che egli estese ai vari segmenti della società russa. Verrà specificato,

ad esempio, come egli valutasse ogni minimo dissenso, che provenisse dalla società o

dagli apparati di partito o dalle fila dell’esercito, alla stregua di un complotto da

punire con la morte o con la detenzione dei colpevoli in uno dei molteplici centri

dell’universo concentrazionario sovietico.

L’obiettivo di queste specifiche pagine, insomma, sarà delineare il contesto in cui

Bulgakov scrisse la sua opera e verso cui egli dirigeva la sua denuncia, scenario che

emerge nonostante l’allegoria che avvolge il testo.

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Un terzo ed ultimo capitolo risulterà essere una sintesi del rapporto che in quegli anni

intercorse tra il regime sovietico e la politica italiana, particolarmente con il Partito

Comunista e Palmiro Togliatti. Di costui verrà indicato il suo spessore politico e

l’ambiguità che, in alcuni momenti, segnò il suo operato. A tale proposito i

riferimenti saranno la lettera di Gramsci indirizzata al Comitato Centrale del PCSU e,

per intervento di Togliatti, mai consegnata ai destinatari, oltre alla contraddittoria

posizione che egli assunse nei confronti della questione inerenti i prigionieri di guerra

italiani in Russia.

Allo stesso tempo, non potrà essere trascurato il suo impegno durante la cosiddetta

svolta di Salerno e per il mantenimento della pace sociale, che fu considerevolmente

scossa a seguito dell’attentato che, nel 1948, egli subì.

Il 3° e conclusivo capitolo include un primo paragrafo che approfondirà ulteriormente

i diversi piani narrativi dell’opera sottolineandone il valore religioso che emerge,

come accennato, attraverso i personaggi di Yeshua e Pilato, e quello più

specificatamente demonologico e spirituale. A tale riguardo si proporrà un

accostamento tra Bulgakov e il filosofo e mistico armeno Gurdjeff.

La tesi si conclude con un secondo paragrafo centrato sulle molteplici versioni

cinematografiche del romanzo. Un accento particolare andrà sull’opera filmica di

maggiore rilievo e che più di altre rispecchia i contenuti del romanzo e la sua struttura

narrativa. Si tratta del film per la TV del regista russo Vladimir Bortko.

Di quest’opera verrà sottolineata la particolare adesione alla trama del romanzo ed

alla sua struttura narrativa, rilevando come lo sforzo anche tecnologico della

produzione permise al regista di rappresentare adeguatamente le molteplici scene

fantastiche che ravvivano l’intreccio narrativo. L’esito così convincente di questo

impegno intellettuale e materiale ha fatto ritenere ad alcuni critici ed estimatori di

Bulgakov che, dopo il film di Bortko, nessun altra trasposizione cinematografica

potrà rappresentare degnamente Il Maestro e Margherita.

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CAPITOLO 1 . Il Maestro e Margherita: genesi dell’opera

1.1 Biografia intellettuale dell’autore

Il Maestro e Margherita è un raro esempio di opera letteraria in cui si

incontrano tradizione culturale, biografia dell’autore e clima socio-politico del tempo.

Un simile intreccio risulta già evidente dalla complessità e dalle molteplici

rivisitazioni che segnarono la realizzazione del romanzo che venne pubblicato, tra

l’altro, solo dopo la morte dello scrittore.

Michail Bulgakov (1891-1940) iniziò una prima stesura dell’opera tra il 1928 ed il

1929. Durante l’intera fase di elaborazione del testo la sua attenzione fu rivolta

particolarmente verso alcuni caposaldi della letteratura russa dell’800, quali Gogol’ e

Dostoevskij dai quali derivò la vena messianica di cui dotò alcuni suoi personaggi,

particolarmente l’inquietante Woland.

Bulgakov, allo stesso tempo, assunse come riferimenti anche altri autorevoli

esponenti della letteratura europea. A tale riguardo basti pensare agli evidenti

richiami al Faust di Goethe, a La vita di Gesù di Ernst Renan e ad Anatole France

con il suo racconto Il procuratore della Giudea.1

Il romanzo, in occasione della sua prima stesura, si presentava con il titolo Il

consulente dal piede biforcuto o, secondo alcuni critici, Il Mago nero. In entrambi i

casi risulta evidente lo specifico significato che l’autore intendeva attribuire, già dalle

prime elaborazioni del testo, alla figura del diavolo all’interno dell’intreccio

narrativo. Una ulteriore conferma di questo orientamento è il titolo che accompagnò

la versione del 1937, ovvero Il principe delle tenebre.

Nel 1929 lo scrittore realizzò un secondo adattamento dell’opera, poco differente dal

precedente, che però distrusse appena si convinse che il suo lavoro non sarebbe mai

stata pubblicato in patria.

1 Introduzione in M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, Il Maestro e Margherita, Baldini

Castoldi Dalai, Milano, 2011, p. 2.

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Eppure gli anni tra il 1926 ed il 1929 videro l’affermarsi di Bulgakov come autore di

racconti e di testi teatrali. Nel 1926, ad esempio, il Teatro d’Arte di Mosca allestì la

rappresentazione de I giorni di Turbin, mentre il Teatro Vachtangov metteva in scena

L’appartamento di Zoja.

Bulgakov, proprio in questa fase della sua evoluzione artistica, divenne oggetto di un

forte opposizione da parte di organizzazioni burocratiche e politiche sovietiche. Già

nel 1926, durante una perquisizione, le autorità gli avevano sequestrato i diari e gli

appunti relativi al racconto Cuore di cane, mai pubblicato in Unione Sovietica fino al

1987.2

L’ostracismo nei confronti di Bulgakov fu messo in atto, in modo particolare, dall’

Associazione Russa degli Scrittori Proletari, i cui attacchi in genere non avevano

come obiettivo la natura letteraria delle opere bensì il loro orientamento politico ed

ideologico. L’Associazione, una vera e propria organizzazione politica che mirava a

omogeneizzare la produzione artistica sotto le insegne di partito, considerava le

opere di Bulgakov portatrici di una apologia della classe borghese, oltre ad essere

ammantate da una sorta di misticismo che poco aveva a che fare con la cultura

materialista che pervadeva la società sovietica in tutti i suoi aspetti.3

Inizialmente l’autore non fu particolarmente colpito, né praticamente né moralmente,

da queste critiche. Successivamente i suoi testi subirono attacchi durissimi da parte

della censura governativa che, nel 1929, arrivò a vietare la rappresentazione teatrale

di tutte le sue opere.4

Bulgakov, in preda ad un forte senso di frustrazione, scrisse alcune lettere alle

istituzioni governative ed a Maksim Gor’kij ( 1868-1936) lo scrittore e drammaturgo

russo considerato, in quegli anni, il nume tutelare degli scrittori sovietici. L’autore, in

quelle missive, chiedeva che venisse presa in esame la sua insostenibile situazione di

2 Note biobibliografiche, in M. A. Bulgakov, Romanzi e Racconti, Newton Compton, Roma, 2012, p. 3.

3 Cfr. M. A. Curletto, Le lettere a Stalin di Michail Bulgakov, in http://www.arcarussa.it.

4 Introduzione in M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, cit.

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esule in patria e che e gli fosse concesso, perciò, di recarsi all’estero. Ancora più

preda della disperazione per non avere ricevuto alcuna risposta, nel 1930 lo scrittore

indirizzò un’ultima lettera ai dirigenti di partito, esprimendo chiaramente il suo

disagio nel continuare a sottostare ad imposizioni burocratiche che gli impedivano di

manifestare pienamente la sua creatività artistica.5

Il 18 aprile dello stesso anno, appena dopo pochi giorni dal suicidio del poeta e

drammaturgo Vladimir Majakovskij (1893-1930), l’autore venne contattato

telefonicamente da Stalin medesimo, che gli chiese conferma della sua intenzione di

espatriare. Alcuni storici ritengono che il dittatore, con quel gesto apparentemente

magnanimo e certamente fuori dal comune, intendesse evitare che Bulgakov

diventasse un nuovo martire del regime. Insomma, secondo questa prospettiva, Stalin

non voleva che si verificasse un secondo caso Majakovskij, l’intellettuale che si era

esploso un colpo di pistola al cuore per motivi sentimentali ma anche per le forti

critiche di cui era stato oggetto da parte degli apparati governativi.6

Bulgakov, una volta a colloquio con il dittatore, non riuscì o non volle esprimere

chiaramente il suo pensiero ed infine venne meno alla sua risoluzione. Stalin, dunque,

gli offrì una sorta di incentivo affidandogli il ruolo di aiuto regista presso il Teatro

dell’Opera di Mosca.

Questo nuovo lavoro, per quanto si svolgesse in un ambito in cui avrebbero potuto

trovare spazio gli interessi letterari dell’autore, costrinse comunque Bulgakov ad una

routine priva di stimoli sia sotto l’aspetto umano che propriamente artistico. Si

trattava, praticamente, di adempiere a mansioni da impiegato, poco attinenti alle

istanze personali e artistiche dello scrittore.

Tra il 1932 ed il 1936, anno in cui l’autore si dimise dalla direzione del Teatro

d’Arte, diverse furono le sue opere che caddero sotto il taglio della censura. Egli, in

5 Cfr. M. A. Curletto, Le lettere a Stalin di Michail Bulgakov, in http://www.arcarussa.it, cit.

6 Ibidem.

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ogni caso, non assunse una posizione di aperta rottura nei confronti del potere

governativo, verso il quale continuò ad avere un rapporto ambiguo e conflittuale.

A tale riguardo Bulgakov, nel 1939, scrisse un testo sulla vita giovanile di Stalin che

doveva poi essere rappresentato a teatro in occasione del 60° compleanno del

dittatore. Anche questa sua iniziativa, però, fu vietata dalle autorità. L’autore,

probabilmente grazie a questa manifestazione di acquiescenza nei confronti degli

apparati di governo, almeno evitò di seguire la sorte toccata ad altri intellettuali russi

del tempo, destinati a perdersi mentalmente e fisicamente nell’inferno dei gulag

siberiani.

Ritornato ormai al vuoto di una vita privata solo apparentemente libera, il vero ed

unico impegno di Bulgakov fu la ripresa della stesura de Il Maestro e Margherita, di

cui elaborò una terza versione tra il 1934 ed il 1936.

Il romanzo divenne il rifugio in cui lo scrittore trovò riparo rispetto al profondo

mutamento socio-culturale a cui la società russa si stava avviando. Allo stesso tempo,

l’opera narrativa non necessitava di un riscontro immediato da parte del pubblico,

com’era invece per la rappresentazione teatrale. Come a tale riguardo scrive

Vsevolod Sacharov nella sua biografia letteraria di Bulgakov:

“ Un romanzo, infatti, può attendere che i tempi, i lettori e la sensibilità della pubblica

opinione maturino”.7

Tra il 1936 ed il 1938 l’autore rivisitò più volte il contenuto del romanzo, curando i

tratti di alcuni personaggi tra cui la stessa Margherita, mai apparsa nel contesto

narrativo fino a quando non viene citata, nel XIII capitolo, dal Maestro. Egli, inoltre,

definì stabilmente il titolo dell’opera, sostituendo quello del 1937.

Il testo non ebbe una conclusione vera e propria. Bulgakov vi lavorò fino a qualche

settimana prima della sua morte, che avvenne il 10 marzo 1940, ma la versione

7 V. Sacharov, L’addio e il volo. Biografia letteraria di Michail Bulgakov, Il Cardo, Venezia, 1995, pp. 210-211.

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definitiva fu ultimata nel 1941 dalla sua terza moglie Elena Šilovskaja, ritenuta dai

critici il riferimento che l’autore assunse per elaborare il personaggio di Margherita.8

Se è vero che lo scrittore non subì una vera e propria eliminazione fisica da parte

degli apparati di potere, il suo nome fu certamente espulso dall’elenco degli

intellettuali russi e dal panorama letterario sovietico in genere. L’ostracismo

governativo che egli aveva sofferto in vita proseguì, infatti, anche dopo la sua morte.

Solo nel 1957 Bulgakov, come letterato, riemerse dall’oblio a cui l’aveva destinato la

censura e ciò accadde quando a Mosca avvenne la rappresentazione teatrale

dell’opera I giorni di Tubin.9

Dopo pochi anni furono pubblicati alcuni romanzi e racconti, tra cui La guardia

bianca e Romanzo teatrale. Solo nel 1967, paradossalmente in piena guerra fredda, Il

Maestro e Margherita vide la sua pubblicazione in una rivista moscovita, anche se in

una edizione censurata e ridotta di ben settanta pagine rispetto al manoscritto.

La prima versione completa fu presentata ai lettori solo nel 1973, quando venne

stampata prima a Francoforte e poi a Mosca in un volume che includeva altre due

opere dell’autore, La guardia bianca e il romanzo teatrale Memorie di un defunto.

Quest’ultimo adattamento si delineò come testo definitivo fino al 1989, anno in cui la

studiosa Lidija Janovskaja, avvalendosi degli appunti lasciati dallo scrittore, ebbe

modo di elaborare la versione conclusiva del romanzo.10

Di fronte ad una tale ostilità da parte degli apparati di governo, che costrinse lo

scrittore ad un isolamento intellettuale tanto limitante al pari di una vera e propria

costrizione fisica, è lecito chiedersi in che modo e per quale motivo la produzione

letteraria di Bulgakov, ed il linguaggio metaforico da egli frequentemente utilizzato,

costituissero una minaccia per l’ordinamento statale sovietico.

8 Ibidem.

9 Ibidem.

10 Ibidem.

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Prima ancora de Il Maestro e Margherita, come accennato, furono molteplici le opere

dell’autore fortemente censurate. Uno dei casi più eclatanti di ostruzionismo da parte

delle istituzioni risultò quello, a cui si è fatto cenno, relativo al sequestro di Cuore di

cane. In questo racconto la creatività letteraria dello scrittore rivelava ancora segni di

ingenuità, anche se già emergevano le sue capacità descrittive. Egli, proprio in Cuore

di cane, si mostra molto abile nel delineare le forti contraddizioni sociali, culturali ed

economiche in cui viveva l’uomo sovietico a lui contemporaneo.11

Bulgakov, nel racconto, mette in atto questa operazione attraverso l’apparente

leggerezza di un linguaggio in cui si fondono allusione, metafora, immagine

fantastica. Lo scrittore, in questa come in altre sue opere giovanili, evidenzia una

sorta di arguzia letteraria con cui spazia da uno stile che rimanda, per un verso, alla

onomatopea ed alla ridondanza tipiche delle avanguardie artistiche. Dall’altro lato, i

suoi personaggi richiamano le figure a volte improbabili della fantascienza o,

quantomeno, del racconto fantastico. A tale riguardo basta soffermarsi proprio sulle

prime righe introduttive del racconto, quando il cane Pallino si presenta per la prima

volta al lettore:

Uuuuhhh! Guardatemi, sto morendo. La bufera nel protone mi urla de profundis e io

ululo con lei. Sono finito, finito. Un delinquente con berretto sporco, il cuoco della

mensa degli impiegati del Consiglio Centrale dell’Economia Nazionale, mi ha

rovesciato addosso dell’olio bollente e mi ha bruciato il fianco sinistro. Che bestia! … e

adesso ululo, ululo, ululo, ma serve a qualcosa?

Si tratta di un linguaggio a prima vista inoffensivo e che consente a Bulgakov,

invece, di “denunciare” e di farlo proprio mentre, almeno ad uno sguardo

superficiale, sembra che egli voglia fare altro, come se desiderasse semplicemente

disimpegnare il lettore dall’asfissiante quotidianità distraendolo dai rigidi confini

materiali ed intellettuali in cui il regime costringeva la società.

11

M. A. Bulgakov, Sabac’ e serdce, tr. it. Cuore di Cane, in Romanzi e Racconti, cit.

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Nelle pagine in cui pare che emergano null’altro che l’effimero, l’innocuo

passatempo o l’ingenuità del giovane scrittore che ambisce a stupire il lettore con

effetti speciali, si cela invece la denuncia politica e sociale. Questo meccanismo,

evidentemente, non era sfuggito agli attenti censori di regime, per nulla fuorviati

dall’irrealtà dei personaggi.

In Cuore di cane Bulgakov narra appunto di un cane, il già citato Pallino, che diventa

oggetto di studio del dottor Filipp Filippovic, un medico pronto a realizzare i più

azzardati esperimenti per consentire alle persone di raggiungere l’agognata

immortalità o produrre in loro altro genere di trasformazioni che, comunque, le

svincoli dai limiti esistenziali.

Filippovic trasforma Pallino nell’umano Pallinovic e ciò allo scopo di infondergli

bontà e virtù e di liberarlo dalle costrizioni a cui lo obbliga l’essere un cane. A

trasformazione avvenuta, però, in Pallinovic non si verifica nulla di quanto atteso dal

Filippovic, anzi si fanno strada istinti e desideri del tutto umani, spesso

inconfessabili. Né Pallinovic acquista il pieno controllo del proprio destino.

Stando così le cose, il cane risulta non diverso dall’uomo. La trasformazione non è

avvenuta. L’esperimento è fallito proprio come, sembra suggerire Bulgakov, è fallito

il tentativo del bolscevismo di affermare l’ “uomo nuovo”.

Pallinovic, dunque, è l’esito del fatto che “…l’improbabile monotonia scientifico-

ideologica riesce solo a creare un homunculus che odia e invidia tutto ciò che è

elevato e che rimane intrappolato nella sua ferinità ottusa e canina”.12

Allo stesso modo di Filippovic, lascia intendere Bulgakov, anche i bolscevichi

avevano fallito presentando al mondo un “uomo nuovo” che “… poteva apparire ad

12

R. Valle, La falsificazione del male. Anticristo e katechan nel pensiero religioso e politico russo dell’età d’argento,

in AA. VV., Sociologia: Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali, Edizioni 1-2010, Gangemi, Roma, pp. 77-

78.

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alcuni smaliziati osservatori, assai poco inclini a qualsiasi illusione poligenetica,

una specie di mostro costruito in provetta.”13

1.2 Il romanzo

Lo stile narrativo assunto da Bulgakov in Cuore di Cane, nonché la tensione verso la

denuncia sociale che accompagna il racconto delle vicende di Pallinovic, acquistano

una particolare intensità ne Il Maestro e Margherita, opera caratterizzata dalla

presenza di molteplici personaggi ognuno portatore di uno specifico valore simbolico.

Questo romanzo di Bulgakov si presenta come un libro unico che, in ogni caso, nasce

dalla combinazione di vari livelli narrativi.

Al primo stadio si collocano le vicende che hanno inizio dall’incontro tra Michail

Aleksandrovic Berlioz, direttore della rivista letteraria Massolit, e Ivan Nikolaevič

Ponyrëv, i quali si sono dati appuntamento per discutere dell’ultima composizione di

Ivan su Gesù di Nazarateh, chiamato anche Yeshua Hanozri.

Proprio questo è il momento in cui fa la sua comparsa il personaggio di Woland

(traducibile con tentatore), il demonio che resterà il filo conduttore tra i diversi

intrecci narrativi.

Ad un altro livello si collocano il racconto che Woland fa a Berlioz ed Ivan

sull’incontro tra Gesù e Pilato e, successivamente, il libro scritto dal Maestro sul

medesimo personaggio. In tal modo Bulgakov proietta il lettore in un più di una

dimensione temporale, alimentando così l’intreccio tra storie (veri e propri libri nel

libro), protagonisti e stili descrittivi.

Come accennato, l’anello di congiunzione è fornito dal personaggio di Woland, già

presente nell’epigrafe del romanzo tratto chiaramente dal Faust di Goethe:

“ … Che cosa vuoi, infine? Sono una parte di quella forza che desidera eternamente il

male e compie eternamente il bene”.14

13

E. Affinati, Cuore di cane, cervello di uomo, introduzione a M. Bulgakov, Sabac’ e serdce, tr. it. Cuore di Cane, in

Romanzi e Racconti, cit., p. 15.

14 M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, cit.

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14

Il richiamo all’opera goethiana non si limita a questa frase bensì si manifesta durante

l’intera narrazione. Già il colloquio iniziale tra Berlioz ed Ivan rimanda al Prologo

sul teatro che apre il Faust, così come simili sono i nomi di alcuni protagonisti: in

entrambi i testi, infatti, c’è una donna di nome Margherita, sono presenti Mefistofele

in Goethe e Woland in Bulgakov e, poi, in ognuno dei testi si fa cenno ad una strega e

ad un gatto.15

Il monito “Non parlate mai con gli sconosciuti”16

, che introduce il 1° capitolo, da un

lato rimanda al clima politico-sociale tipico di Mosca anni venti-trenta del XX secolo,

come a ricordare gli avvertimenti autoritari delle istituzioni di partito. Per un altro

verso suona alla stregua di una vera e propria raccomandazione, da parte dello stesso

Bulgakov, a non fidarsi degli sconosciuti: tra loro, infatti, potrebbe celarsi un delatore

al servizio della polizia segreta così come potrebbe nascondersi il demonio,

espressione non solo del male, così inteso spiritualmente e filosoficamente, ma anche

simbolo dell’imprevedibilità di quel genere di eventi che bastano a sconvolgere la

propria vita.

Quest’ultima circostanza è proprio quella in cui si trovano coinvolti Berlioz e Ivan

nel momento che si incontrano agli stagni Patriaršie di Mosca ed argomentano in

merito al poema di Ivan su Gesù. Berlioz illustra il suo punto di vista, secondo cui il

testo andrebbe riscritto. Egli, infatti, è convinto che Gesù non sia un personaggio

storico e ne nega, dunque, l’esistenza. Berlioz ritiene che Ivan debba attenersi a

quest’unica verità, onde evitare di inviare ai lettori un messaggio falso e

disorientante.

Dopo aver bevuto una bibita che produce nei due protagonisti strani effetti,

specialmente in Berlioz, ecco che fa la sua prima apparizione Woland, inquietante già

nell’aspetto.

15

Cfr. J. W. Von Goethe, Faust, 1808, tr. it. Faust, Sansoni, Firenze, 1973.

16 Ibidem.

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15

In quel momento l’aria era torrida e si addensò davanti a lui (Berlioz, nota dello

studente) e ne uscì fuori, come tessuto nell’aria, un diafano signore di aspetto alquanto

singolare … Il signore era alto un paio di metri ma stretto di spalle, incredibilmente

magro e, prego notare, con la faccia beffarda.17

Woland, ancora non rivelatosi per quel che è, si avvicina ai due e chiede se possa

partecipare alla conversazione siccome è particolarmente attratto dall’argomento di

cui si sta discutendo.

Egli inizialmente si mostra sorpreso ed attratto dalla decisione con cui Berlioz

esprime le proprie convinzioni su Gesù e sull’esistenza di Dio, anche se poi afferma

di non credere che l’uomo, essendo mortale, possa decidere il suo destino.

L’inquietante Woland, infatti, rivolto al poeta pronuncia queste parole:

Mi permetta di chiederle in che modo l’uomo potrebbe dirigere se non solo non è in

grado di predisporre un piano qualsiasi neppure per un lasso di tempo ridicolmente

corto come possono essere, diciamo, mille anni, ma non è addirittura sicuro del proprio

domani. 18

A questo punto il lettore potrebbe interrogarsi sulla vera natura dell’uomo a cui si

riferisce il tentatore: si tratta, infatti, dell’individuo irretito nella finitudine che segna

l’esistenza di ognuno o Woland accenna, più o meno indirettamente, all’uomo

“sovietico”? Il tentatore, in sostanza, allude all’impotenza di ognuno di fronte ai

limiti inalienabili della condizione umana o ai vincoli (culturali-economici-politici-

burocratici) in cui il regime irretisce la società sovietica del tempo?

Verrebbe da pensare che sono accettabili entrambe le opzioni, ricordando come la

“fantasia” in Bulgakov cela, il più delle volte, un dato che fantasioso non è. Anzi, è

spesso tragicamente reale.

Woland poi chiede a Berlioz quali programmi abbia per la sera. Il direttore risponde

che sarà ad un incontro con altri letterati. A questo punto il demone lo avverte che

non potrà mantenere il suo impegno in quanto, in quella stessa ora, sarà investito da

17

M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, Il Maestro e Margherita, cit., p. 21.

18 Ivi, p. 25.

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un tram e morirà. A Ivan, poi, annuncia che in serata, appena consumatasi la tragica

fine di Berlioz, sarà condotto in manicomio.

A quelle parole i due provano un profondo disorientamento e si convincono che sono

al cospetto di un folle, oppure una spia. Woland si difende dalle accuse di Berlioz e

del poeta affermando che si trova a Mosca per adempiere ad impegni assunti in

qualità di esperto di magia nera. Poi aggiunge, in tono perentorio e zittendo così lo

scettiscismo di Berlioz, che Gesù è esistito e, a tale riguardo, ne narra l’incontro con

Ponzio Pilato, procuratore al tempo di Tiberio.

La vicenda verte sul dramma vissuto da Pilato al cospetto di Gesù, quando questi lo

libera da un terribile mal di testa ed egli resta affascinato dalla sua bontà. Il

procuratore, perciò, si dispera appena comprende che non riuscirà a salvarlo dalla

condanna a morte che lui stesso è costretto ad emettere.

A questo punto, come già accennato, il lettore viene trasportato in una diversa

dimensione temporale che è parallela, pur se cronologicamente antecedente, a quella

in cui si dipanano le vicende di Berlioz, Ivan e Woland.

Gli eventi tragici previsti dal tentatore accadono: Berlioz muore investito da un tram

guidato da una donna. Ivan, sconvolto dall’accaduto, affronta il demone accusandolo

di essere una spia o, addirittura, di essere l’artefice dell’incidente in cui Berlioz ha

perso letteralmente la testa. Woland, da vero manipolatore, a quel punto finge di non

capire il russo e riesce a mostrarsi così inoffensivo da far sì che alcune persone lo

difendano dalle ingiurie di Ivan. E’ il poeta, alla fine, che ha la peggio e finisce per

essere trasportato in una clinica psichiatrica.

A questo punto la vicenda assume contorni kafkiani: lo sfortunato Ivan, al pari del

Josef K. de Il Processo,19

subisce dure costrizioni senza avere alcuna colpa né

essendo veramente impazzito.

Così come il personaggio ideato dallo scrittore praghese può a buon diritto assumere

il valore simbolico del “diverso” (intellettualmente, socialmente, etnicamente) che

19

Cfr. F. Kafka, Der Prozess, 1925 (postumo), tr. it. Il Processo, Adelphi, Milano, 1978.

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diventa capro espiatorio, la vicenda che coinvolge Ivan sembra tratteggiare i contorni

della società sovietica di quel tempo, dove gli indesiderati, intellettualmente e

politicamente, finivano prima o poi per perdersi nei meandri di un universo

concentrazionario fatto di luoghi di detenzione a volte definiti, dalle autorità che lì

decidevano del destino di uomini e donne innocenti, “case di cura”.

Non a caso Bulgakov così descrive l’incontro tra Ivan e il direttore del manicomio il

quale, di fronte al poeta che protesta a gran voce la sua sanità mentale, dice:

“Lei non si trova al manicomio <disse tranquillamente il medico sedendosi sopra uno

sgabello bianco con le gambe cromate> ma in una clinica, in cui nessuno può trattenerla

se non ce ne è bisogno”20

Proprio in questo luogo di malcelata detenzione Ivan conosce il Maestro, che si

presenta come professore di Storia e gli racconta del suo romanzo su Pilato, censurato

proprio come erano stati censurati i libri di Bulgakov. In conseguenza di questa

ingiustizia, continua il Maestro, egli ha finito con il perdere la sua amante, una

giovane donna sposata, con la quale aveva intrattenuto una relazione segreta fino al

momento del ricovero. Il Maestro, proprio come Bulgakov, dopo gli attacchi della

critica alla sua opera, ne aveva bruciato tutte le copie e, giunto ad un livello di

sofferenza inaccettabile, aveva deciso di rinchiudersi nella clinica psichiatrica, senza

neppure comunicarlo alla sua amante.

Il Maestro prosegue la sua narrazione sostenendo che il suo sentimento era

profondamente ricambiato dalla donna, che lo aveva anche aiutato nella stesura

dell’opera poi censurata. Nella seconda parte del romanzo l’autore ne rivela il nome:

Margherita Nikolaevna. Bulgakov descrive con queste parole lo stato d’animo della

donna, profondamente addolorata per la lontananza dal Maestro e che non trova

alcuna consolazione nei beni materiali di cui è circondata:

Ma allora, era … felice? Neppure un istante! Dal momento in cui, diciannovenne, si era

sposata ed era andata a abitare nella palazzina, non aveva conosciuto la felicità. Oh, dei!

Che cosa dunque le mancava? … Che cosa mancava a questa strega, dall’occhio appena

20

Ivi, p.65.

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strabico che allora, in primavera, era apparsa con i fiori gialli? Evidentemente aveva

detto la verità; ciò che le mancava era lui, il maestro, e a nulla le servivano il giardino

privato, la palazzina gotica, il denaro. Lo amava, era sincera.21

Proprio tale infelicità diventa l’arma di cui serve Woland per circuire Margherita. Il

demone, infatti, le invia uno suo adepto, Azazello, il quale dà prova alla donna di

sapere dell’esistenza del Maestro e del sentimento che li unisce. Azazello addirittura

le cita un verso del romanzo su Pilato, oltre a riportarle dei suoi stessi pensieri rivolti

all’uomo che ama, quasi come se fosse in grado di leggerle la mente.

Di fronte allo stupore della donna, Azazello non si scompone e, anzi, insiste

invitandola per quella stessa sera a casa di uno straniero “… molto eminente”22

.

L’inviato di Woland, a quel punto, fa intendere a Margherita che, accettando, avrà

occasione di ricevere notizie riguardo al Maestro.

Margherita acconsente, disposta com’è a tutto pur di ricongiungersi all’uomo che

ama. Azazello, allora, le offre una crema e le dà istruzioni su come utilizzarla e su

cosa fare dopo essersene cosparsa il viso. A sera Margherita segue puntualmente le

indicazioni del discepolo di Woland.

La donna ritrova la sua giovinezza grazie alla crema misteriosa, anche se si rende

conto di essersi trasformata in una strega. Come tale, inforcando una scopa, vola nuda

su Mosca, dando libero sfogo alla rabbia che prova per aver perso il Maestro

distruggendo l’appartamento del critico che ne aveva censurato il romanzo.

In seguito arriva nell’abitazione dello straniero che, come il lettore facilmente poteva

supporre, è Woland stesso. Qui viene accolta da Azazello che poi la lascia sola in

quell’ambiente cupo e frequentato da persone che, nell’aspetto lugubre e

nell’abbigliamento altrettanto cupo, si somigliano.

Uno di questi, Korov’ev, spiega alla donna che dovrà fare gli onori di casa durante la

festa del plenilunio di primavera. La tradizione vuole che ogni anno in questa data il

21

Ivi, p. 179.

22 Ivi, p. 184.

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demone, nonché padrone di casa, tenga una cerimonia di cui la madrina può essere

soltanto una donna di nome Margherita e nativa del posto.

Margherita, mentre si aggira tra le stanze di quella inquietante dimora, rivede

Azazello e fa la conoscenza di altri personaggi, tra cui un gatto che la saluta

inchinandosi. L’irrealtà di questo personaggio è accentuata dal fatto, mentre compie

questa riverenza, tiene un cavallo in una zampa che, però, gli scappa e si nasconde

sotto al letto.

Margherita, dal canto suo, non mostra alcun particolare stupore di fronte a questo

strano animale, di nome Ippopotamo. Questi si rivelerà essere un gatto parlante, che a

tratti, dunque, assume sembianze quasi umane per poi ritornare ad essere animale.

Una simile presenza sembra un vero e proprio omaggio, più che un semplice

rimando, al Faust goethiano. L’attenzione va in particolare al momento in cui il

grande autore tedesco descrive la cucina della strega dove, tra i vapori che salgono da

un gran calderone bollente, fanno la loro apparizione una Gattamammona, un

Gattomammone ed i loro gattini.23

Nel romanzo di Bulgakov la presenza di Ippopotamo costituisce una ulteriore

manifestazione demoniaca, proprio come quella di Azazello. Si tratta di figure

manipolative e disorientanti, che conducono il lettore a chiedersi cosa rappresentino

effettivamente, all’interno dell’intreccio narrativo, Woland ed i suoi due discepoli.

Essi, con i loro continui trasformismi, sono espressioni del potere che si maschera per

illudere le masse oppure, al contrario, operano per il bene, mostrando agli uomini

quanto siano illusorie le promesse del potere?

Cercare una risposta, qualora sia possibile trovarne una che basti a dare conto della

complessità del romanzo, a questo punto è ancora prematuro.

Bulkgakov prosegue nella narrazione, dando vita a nuovi scenari e lasciando

intervenire nuovi protagonisti.

23

Cfr. J. W. Von Goethe, Faust, 1808, tr. it. Faust, cit., p. 104.

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20

Durante la cerimonia, inclusa nel capitolo che l’autore non a caso intitola Il grande

ballo di Satana24

, il lettore incontra lo sguardo incerto e timoroso di Margherita che è

attirato da un letto su cui siede Woland. A questo punto Bulgakov descrive in modo

alquanto diverso rispetto alla rappresentazione che ne dà nel parco, quando il demone

incontra Berlioz ed il poeta.

Il narratore, infatti, usa queste espressioni:

“La faccia di Woland era storta, l’angolo del labbro destro tirato verso il basso; l’alta

fronte stempiata era solcata da profonde rughe parallele alle sopracciglia circonflesse.

La pelle del viso aveva un che di cuoio, come se si fosse abbronzata una volta per

sempre”.25

La stile narrativo con cui qui sono delineate le sembianze e la postura del tentatore

richiama ancora una volta le atmosfere che avvolgono personaggi ed ambienti

attraverso cui si sviluppano, solitamente, i romanzi kafkiani. Ogni oggetto ed ogni

essere vivente, persona o animale che sia, nei due autori sono spesso tracciati con un

linguaggio che sembra appartenere a chi narra un sogno oppure un’allucinazione.

Così come Kafka giungeva a sottolineare, con il suo stile fortemente onirico ed

evocativo, l’inafferrabilità del significato dell’esistenza, Bulgakov, dal canto suo,

sembra che voglia sottolineare l’inafferrabilità del potere e delle forme simboliche

con cui esso si presenta agli uomini.

Diventa, perciò, quasi un automatismo riandare ad alcuni passi dei grandi testi

dell’autore praghese, non per fare confronti bensì per trovare conferme alla

complessità ed alla profondità del linguaggio di Bulgakov.

Ad esempio:

All’altro capo della sala, ove venne condotto K., su una pedana bassissima, anch’essa

piena di gente, era messo di traverso un tavolinetto dietro il quale, proprio sull’orlo

della pedana, sedeva un uomo piccolo, grasso, ansimante, in atto di parlare, tra grandi

risate, con uno in piedi dietro di lui… .26

24

M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, Il Maestro e Margherita, cit., p. 209.

25 Ivi, p. 205.

26 F. Kafka, Der Prozess, 1925 (postumo), tr. it. Il Processo, cit., p. 41.

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21

Oppure:

“Aveva fatto appena due passi sulla strada, quando scorse lontano due luci oscillanti;

quel segno di vita lo rallegrò ed egli s’affrettò verso le luci che a loro volta gli venivano

incontro”.27

L’atmosfera onirica in cui si muove Margherita avvolge anche gli eventi successivi,

ad esempio quando Woland le si presenta, in vestaglia, e introduce altri personaggi

con alcuni dei quali la donna ha già fatto conoscenza. Tra questi c’è anche il gatto

Ippopotamo, che, ora assumendo atteggiamenti umani, gioca a scacchi con il demone

utilizzando pedoni, alfieri, re e regine a loro volta viventi.

L’inquietante animale quasi-umano si mostra come il solo ad essere in grado di tenere

testa a Woland e a prendersi gioco di lui. Ippopotamo, infatti, è un abile trasformista

oltre ad essere dotato di una ferrea logica che nemmeno il tentatore riesce a scalfire,

se non imponendo la sua autorità.

E’ quanto accade, ad esempio, durante la partita a scacchi, dove il demone soltanto

con la minaccia è in grado di aggirare i sotterfugi messi in atto da Ippopotamo per

impedirgli di vincere.

“Ti arrendi o no?, urlò con voce terribile Woland.

………..

“Si, mi arrendo, rispose il gatto, ma unicamente perché non posso continuare a giocare

in un clima di invidiosa persecuzione”28

In questa prospettiva, la partita a scacchi tra Woland e il gatto assume la valenza

simbolica dello scontro impari tra l’espressione della creatività dell’autore, e

dell’estro artistico in genere, con il potere della censura, che spinge poeti e

romanzieri ad arrendersi al clima di “invidiosa persecuzione”.

Che i pezzi della scacchiera siano viventi, poi, produce nel lettore l’immagine del

potere che considera il destino di singoli e della società intera né più e né meno come

l’esito di una partita scacchi. Gli uomini, a loro volta, partecipano a questo gioco

27

F. Kafka, Das Schloss, 1926 (postumo), tr. it. Il Castello, Mondadori, Milano, 1972, p. 147.

28 M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, Il Maestro e Margherita, cit., p. 208.

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credendo di esserne protagonisti, di avere potere decisionale, di muoversi nelle

direzioni che prediligono. Invece, proprio come pezzi di una scacchiera, ne sono

soltanto osservatori passivi, manovrabili come pezzi di una scacchiera, appunto.

Sotto il profilo letterario, poi, il fatto che Ippopotamo si riveli un gatto parlante

rimanda in misura ancora più significativa al Faust e, in particolare, alle pagine in cui

Gattomammone e Gattamammone partecipano al dialogo tra Faust, Mefistofele e la

strega.29

Ne Il grande ballo di Satana l’autore prosegue nella descrizione della cerimonia che,

a partire dalla mezzanotte, si svolge nella dimora di Woland e durante la quale

Margherita fa la conoscenza di assassini, maniaci e corruttori. L’atmosfera in cui si

sviluppano gli avvenimenti è a dir poco surreale, proprio come se la donna si

muovesse dentro un sogno o una allucinazione, oppure, più semplicemente, come se

osservasse la realtà attraverso gli effetti di droghe.

“A Margherita parve di volare, non sapeva dove, e di vedere montagne di ostriche in

immensi bacini di pietra”.30

Anche in questa occasione Bulgakov rinuncia ad un linguaggio diretto e conferma,

invece, la scelta dell’immagine fantastica e del simbolismo onirico per descrivere

quella fetta di società moscovita che decide le sorti altrui attraverso il potere

dell’inganno, della corruzione, del denaro.

Quando l’evento giunge a termine, Woland mantiene la sua promessa: la donna viene

ricompensata con la liberazione del Maestro. Il tentatore stesso provvede a far sparire

la sua cartella dagli archivi della clinica e mostra copia del manoscritto che i due

credevano bruciato. Una sorta di magia nera provvede a riavvolgere il tempo,

riportando gli eventi alla notte precedente il distacco degli amanti. Il Maestro è di

nuovo nell’appartamento e Margherita è finalmente felice. La donna ha accanto a sé

il manoscritto del Maestro. Lo legge ed apprende della vicenda che coinvolge Pilato.

29

Cfr. J. W. Von Goethe, Faust, 1808, tr. it. Faust, cit., pp. 104-109.

30 M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, Il Maestro e Margherita, cit., p. 218

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Bulgakov, a questo punto, propone al lettore un ulteriore salto temporale. Anzi

passato e presente si intrecciano e ciò accade quando, proprio mentre Margherita è

presa dalla lettura del manoscritto, a Woland appare Levi Matteo, l’unico discepolo

di Jeshua Hanozri.

L’incontro tra i due è breve ma non per questo meno carico di simbologia sul

confronto tra bene e male, luce e tenebre, verità e menzogna. Il dialogo tra il demone

e il discepolo di Jeshua è aspro, proprio come quello tra due acerrimi nemici. Levi

rappresenta il bene, Woland ovviamente è il male. Eppure non possono fare a meno

uno dell’altro. Levi Matteo non lo sa, o non vuole accettarlo. Woland lo sa, invece, e

non ne fa mistero. Egli, infatti, così si rivolge al suo interlocutore:

“Hai pronunciato la tua frase come se non ammettessi le ombre, e neppure il male. Abbi

però la bontà di riflettere sul problema seguente: che cosa ci starebbe a fare, il tuo bene,

se il male non esistesse e che aspetto avrebbe la terra se ne sparissero le ombre

proiettate dagli oggetti e dagli uomini?” 31

Le tenebre sembrano emergere vittoriose dal confronto. Lo stesso Levi è stato

incaricato da Gesù di esortare Woland a prendere con sé il Maestro e ciò per

ricompensarlo della sua fatica letteraria. Anche Margherita è da premiare, dice Levi

Matteo, per l’amore e la devozione che ha mostrato verso il suo amante.

La ricompensa per i due deve essere il risposo, non la luce, sottolinea Levi quando il

demonio domanda “Ma perché non lo prendete con voi, nella luce?”32

La risposta di Levi al quesito di Woland sembra esprimere la rassegnazione di

Bulgakov ad essere dimenticato dal pubblico ed a barattare la sua sicurezza fisica e

mentale con l’oblio come scrittore.

Azazello, su ordine di Woland, raggiunge i due amanti e li avvelena con una coppa di

vino. Margherita e il Maestro dopo poco si risvegliano e scoprono di essere divenuti

immortali.

31

Ivi, p. 283.

32 Ibidem.

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Le vicende si concludono con il demone, i suoi discepoli, il Maestro e Margherita che

lasciano Mosca volando su strade e palazzi in groppa a dei cavalli neri.

La città, però, è nel caos più totale. Eventi straordinari sono accaduti in una

successione altrettanto straordinaria. Woland, direttamente o meno, ne è stato

l’artefice.

Proprio il demone, in qualità di esperto di magia nera, si è reso protagonista insieme

al gatto Ippopotamo di una inquietante rappresentazione durante la quale è piovuto

del denaro e sono di colpo apparsi sul palco negozi con esposti molteplici articoli di

lusso. Il pubblico ha arraffato quel che voleva ma, all’uscita dal teatro, moltissime

donne si erano ritrovate nude e i soldi si erano trasformati in carta straccia.

Finisce così l’illusione creata dai demoni, così come vita breve hanno le promesse del

potere verso una società stanca ed acquiescente.

Solo a questo punto Bulgakov libera il gatto Ippopotamo ed Azazzello dal loro

destino di messaggeri del demonio, rivelandone la loro essenza:

“La notte aveva anche strappato la folta coda e il lucido pelo di Ippopotamo e li aveva

gettati a ciuffi in mezzo alle paludi. Quello che era stato il gatto buontempone, buffone

del principe delle tenebre, adesso avevo l’aspetto di uno smilzo adolescente. Si,

Ippopotamo, il demone paggio, il miglior buffone mai esistito sulla terra volava ora

taciturno, il giovanile viso offerto alla luce fluente della luna”.33

Ed aggiunge:

“Al loro fianco, tutto scintillante nell’armatura d’acciaio, volava Azazello. Anche la sua

faccia era stata trasformata dalla luna.[…] Finalmente aveva ripreso il suo vero aspetto,

Azazel, demone del deserto assetato, demone-assassino”.34

1.3 L’accoglienza del romanzo in Italia

Come accennato nelle pagine precedenti, in URSS il romanzo di Bulgakov dovette

attendere alcuni decenni, dopo la morte dell’autore, per emergere dall’oblio in cui

33

Ivi, p. 298.

34 Ibidem.

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l’aveva confinato la censura di regime. Tale evento si verificò nel 1967, anche se, in

quella circostanza, l’opera vide le stampe in una versione fortemente censurata.

Critica e pubblico italiani, invece, apprezzarono subito il testo dell’autore russo e ciò

anche in considerazione del fatto che, nel nostro paese, i lavori di Bulgakov avevano

suscitato un particolare interesse già a partire dai primi decenni del ‘900.

Nel 1930, infatti, l’editore Casini di Roma pubblicava La guardia bianca mentre, nel

1931, l’editore Carabba di Lanciano portava alle stampe Le uova fatali.35

Considerando il clima politico di quegli anni, è lecito ipotizzare che l’attenzione

dell’Italia mussoliniana per un autore come Bulgakov rispondesse ad una mera

esigenza di critica al comunismo russo.

Il Maestro e Margherita, come accennato, nel nostro paese si affermò rapidamente e

in pochi anni venne stampato in molteplici edizioni. La prima fu quella realizzata già

nel 1967 dalla casa editrice De Donato, anche se ancora riferita all’edizione ridotta,

nella traduzione di Maria Olsoufieva. Dopo pochi mesi dello stesso anno l’editore

Einaudi pubblicò una nuova traduzione del romanzo, a cura di Vera Drisdo,

presentandola come edizione integrale. A tale iniziativa fece seguito un successo sia

di pubblico che di critica.

Un prestigioso ammiratore de Il Maestro e Margherita fu Eugenio Montale (1896-

1981), il quale dedicò al romanzo un articolo apparso sul Corriere della sera del 9

aprile 1967.36

In esso il poeta così definisce il testo di Bulgakov:

“Un romanzo poema o, se volete, uno show in cui intervengono numerosissimi

personaggi, un libro a cui un realismo quasi crudele si fonde o si mescola col più alto

dei possibili temi: quello della Passione, non poteva essere concepito e svolto che da un

cervello praticamente allucinato”.37

35

Cfr. Bibliografia Italiana essenziale, in M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. di Maria Olsoufieva, cit.

36 Cfr. Fortuna dell’opera, Ivi.

37 Nota introduttiva, in M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. Vera Drisdo, Il Maestro e Margherita, Einaudi,

Torino, 2014, p. XVII.

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Il successo di pubblico che il romanzo incontrò in Italia condusse ad una sua

diffusione attraverso molteplici edizioni. A quelle già citate degli editori De Donato

ed Einaudi se ne accompagnano altre tra cui:

Garzanti, Milano, 1973, traduzione di Vera Drisdo;

La Nuova Italia, Firenze, 1974, traduzione a cura di M. Visani;

Rizzoli, Milano, 1977, traduzione di Milly De Monticelli.38

Riguardo alle traduzioni, i principali riferimenti restano i lavori di Maria Olsoufieva e

Vera Drisdo. Le due versioni presentano alcune differenze terminologiche che non

impoveriscono certamente la qualità della traduzione ed il valore che esse assumono

per la comprensione dei molteplici significati presenti nel testo. Ecco, ad esempio,

come Vera Drisdo traduce il brano già riportato in precedenza nella versione della

Olsoufieva:

La notte aveva strappato la coda piumosa di Behemoth, gli aveva strappato il pelo e lo

aveva gettato a ciocche nelle paludi. Quello che era stato un gatto che svagava il

principe delle tenebre adesso era un giovane smilzo, un demone-paggio, il miglior

buffone che mai sia esistito sulla terra. Anche lui adesso era zittito e volava

silenziosamente, col suo giovane volto offerto alla luce che si riversava dalla luna.39

Si noti come la studiosa prediliga, per il gatto demone, l’originale nome di

derivazione ebraica Behemoth, da cui nasce la parola russa con cui tradurre

Ippopotamo, termine invece scelto da Maria Olsoufieva e da Milly de Monticelli, la

quale, per la casa editrice Rizzoli, dà questa versione del medesimo brano:

La notte aveva strappato la coda di Ippopotamo, gli aveva scorticato il pelo,

disseminandolo nelle paludi. Colui che era stato gatto, per divertire il principe delle

tenebre, ora aveva l’aspetto di un giovinetto magro, demonio-paggio, il miglior buffone

che mai sia esistito al mondo. Ora taceva e volava senza mandare un solo suono, col

giovane viso che si stagliava nella luce che versava la luna.40

38

Cfr. M. A. Bulgakov, Romanzi e racconti, Newton Compton, Roma, 2012.

39 M. Bulgakov, M. Bulgakov, Master i Margarita, tr. it. Vera Drisdo, Il Maestro e Margherita, cit., p. 370.

40 M. Bulgakov, Master i Margarita, 1967, tr. it. Milly De Monticelli Il Maestro e Margherita, BUR Rizzoli, Milano,

1998, p. 302.

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27

Il Maestro e Margherita è stato fonte di ispirazione sia per scrittori e letterati che per

altro genere di artisti. Un esempio a quest’ultimo riguardo è il brano dei Rolling

Stones intitolato Sympathy for the Devil (1968), ispirato proprio al Woland di

Bulgakov.

Nel 1972 dal libro di Bulgakov fu tratto anche un film, di produzione italiana e

jugoslava, intitolato proprio come il romanzo, diretto dal regista serbo Aleksandar

Petrovic (1929-1994) e in cui il ruolo del Maestro venne affidato ad Ugo Tognazzi

(1922-1990).

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CAPITOLO 2. Il contesto sociale e politico russo nei primi decenni del XX

secolo

2.1. La rivoluzione di ottobre: dalla caduta dello Zar alle Tesi di aprile

Gli anni che videro nascita e morte di Bulgakov furono segnati da avvenimenti sociali

e politici di estrema intensità che sconvolsero gli assetti economici e politici su cui si

era retta, fino ad allora, la società russa.

Tali eventi trovarono la loro origine principalmente dalla partecipazione alla 1°

guerra mondiale, circostanza che contribuì ad acutizzare contraddizioni e debolezze

del regime zarista.

In primo luogo, l’esperienza del fronte mise l’esercito di fronte alla sua profonda

impreparazione sia sotto il profilo strategico che rispetto agli armamenti. Si trattava

di gravi insufficienze che rendevano le truppe del tutto incapaci di affrontare un

conflitto che si stava svolgendo secondo modalità molto diverse da quelle che

avevano regolato le guerre ottocentesche.

Non a caso la Russia patì un elevato numero di vittime, inferiore solo a quello

sofferto dalla Germania: i morti, infatti, furono un milione e 700 mila, a cui si

aggiunsero tre milioni di feriti e più di due milioni di prigionieri.41

Ogni famiglia russa, in pratica, subì la perdita al fronte di un figlio, un fratello o un

marito. I lutti andavano ad aggiungersi alla fame ed agli stenti: la produzione

agricola, infatti, si era ridotta sensibilmente data la chiamata alle armi della classe

contadina.

Questo insieme di circostanze produsse, fin dal 1915, una serie di agitazioni popolari

in gran parte del territorio russo, decretando, così, la fine dell’ondata di patriottismo

che nel 1914 aveva accompagnato l’entrata del paese in guerra.

In poco tempo il conflitto aveva mostrato tutto il suo potere distruttivo e la

popolazione, stanca di barbarie che sembravano sempre più interminabili e crudeli, ne

chiedeva la fine. I partiti liberali e moderati si fecero portavoce di questa e di altre

41

Cfr. T. Detti, G. Gozzini, Storia contemporanea, Vol. II. Il Novecento, Bruno Mondadori, Milano, 2002.

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istanze sociali: lo zar Nicola II, però, non abbandonò la sua condotta dispotica e

mostrò totale indifferenza nei riguardi delle richieste della popolazione. Il culmine

della prostesa fu raggiunto nel marzo del 1917, quando venne proclamato uno

sciopero generale che coinvolse anche i cosacchi dello zar, inviati a reprimere le

agitazioni. Essi, infatti, uscirono dai ranghi per unirsi ai manifestanti.42

Lo zar, dopo quattro giorni di proteste popolari, abdicò e venne sostituito da un

governo provvisorio di orientamento liberale, che ricevette anche il sostegno delle

potenze occidentali le quali fino ad allora avevano temuto che Nicola II, vista la

precarietà in cui versava la sua leadership, potesse uscire dal conflitto e chiedere una

pace separata alla Germania.43

In quella circostanza il paese si trovò ad essere governato da due forze politiche che

seguivano strategie alquanto divergenti: da un lato, infatti, il governo provvisorio

spingeva verso l’attuazione di una democrazia parlamentare e, allo stesso tempo, si

dichiarava favorevole alla prosecuzione del conflitto.

Dall’altro, si affermavano sempre più, nelle campagne prima e poi nelle fabbriche e

nelle città, i soviet, ossia consigli popolari che includevano contadini, operai, semplici

cittadini senza alcuna esperienza politica e che progressivamente acquisirono un tale

potere da diventare l’unica autorità di governo riconosciuta dalle masse.44

In quello stesso anno si verificarono alcuni eventi di particolare importanza e che

avrebbero dato una svolta definitiva al processo di trasformazione della società russa.

In primo luogo, il malcontento tra le fila dell’esercito si diffuse a tal punto da

condurre i soldati a continue diserzioni fino al totale sfaldamento di tutto l’apparato

militare russo. I contadini, poi, si ribellarono alle imposizioni padronali e si

impossessarono delle terre che, fino ad allora, avevano coltivato da servi della gleba.

Infine, i centri cittadini e particolarmente la capitale, dove erano collocati i pochi

42

Ibidem.

43 Cfr. E. J. Hobsbawm, Age of extremens. The short Twentieth Century, 1914-1991 (1994), tr. it. Il secolo breve. 1914-

1991, Bur Rizzoli, Milano, 2000.

44 Ibidem.

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agglomerati industriali che interrompevano la tendenza sostanzialmente agricola

dell’economia russa, furono attraversati da rivolte operaie.

Eppure il governo provvisorio decise di proseguire il conflitto, rinviando la messa in

atto delle riforme richieste dalle masse popolari, tra cui quella agraria. Tale

orientamento, paradossalmente, trovava il sostegno dei soviet, al cui interno la

corrente menscevica, appoggiata dai socialrivoluzionari, considerava così arretrata la

condizione sociale ed economica del paese da non ritenere che in Russia esistessero

le condizioni per l’affermazione del socialismo. I menscevichi consideravano la

società russa pronta, tutt’al più, per diventare lo scenario di una rivoluzione borghese

guidata da correnti liberali. Un simile atteggiamento produsse l’affermazione della

terza corrente culturale e politica che animava i soviet, ossia il bolscevismo.

I bolscevichi avevano il loro leader in Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin (1870-

1924) che, ritornato dal suo esilio in Svizzera, si produsse subito per affermare

l’opposizione al governo e per giungere alla conclusione del conflitto.

Lenin era dotato di una visione del capitalismo che travalicava i confini della Russia

ed assumeva uno spessore internazionale. Egli, in particolare, riteneva che il

capitalismo fosse una forza politica ed economica costantemente tesa alla conquista

di mercati e di spazi vitali e, dunque, per sua natura fomentatrice di conflitti su scala

mondiale.45

Un esempio, in tal senso, era proprio la guerra che ancora si stava svolgendo.

Il’ič Ul’janov, dunque, era per un pacifismo che, nella sua prospettiva, non poteva

che essere un pacifismo rivoluzionario: solo la rivoluzione anticapitalista, infatti,

avrebbe potuto produrre la fine delle ostilità.

Nello stesso tempo, egli considerava che proprio gli esiti disastrosi del conflitto

sarebbero stati l’origine della fine del capitalismo. La guerra, nata su pressioni del

45

Cfr. E. J. Hobsbawm, Age of extremens. The short Twentieth Century, 1914-1991 (1994), tr. it. Il secolo breve. 1914-

1991, cit.

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potere capitalista, poteva perciò trasformarsi in una vera e propria guerra civile

europea.

In questa luce, Lenin si distanziava dal pensiero marxista ortodosso, secondo il quale

il capitalismo sarebbe stato sconfitto dalle sue stesse contraddizioni. La fine del

capitalismo, allora, ne contemplava necessariamente l’esistenza e ne derivava, perciò,

che l’affermarsi del socialismo richiedeva per forza di cose un contesto economico-

sociale sufficientemente avanzato.

Il leader dei bolscevichi, a differenza dei menscevichi che seguivano l’orientamento

marxista, riteneva che la rivoluzione socialista si sarebbe meglio affermata nei paesi

meno sviluppati economicamente: nelle sue Tesi di aprile egli affermava che

l’arretratezza del tessuto sociale russo, invece che essere un vuoto da colmare,

costituiva una preziosa occasione per agire in funzione dell’instaurazione del

socialismo.46

Lenin considerava conclusa, con la caduta dello zarismo, la fase democratico-

borghese della rivoluzione e dunque pensava che fosse giunto il momento di passare

la guida del paese agli operai e ai contadini. Egli, perciò, favorì l’affermazione del

governo dei soviet come forma di democrazia diretta e di dittatura del proletariato.

Nel luglio di quell’anno, dopo che l’esercito fallì un’offensiva in Galizia, Mosca fu

sconvolta dalle insurrezioni di soldati ed operai i quali, insieme, chiedevano il

passaggio del potere ai soviet. Il governo provvisorio contrastò duramente le

agitazioni ed intensificò la repressione del bolscevismo a tal punto da costringere

Lenin a fuggire in Finlandia.

Ciononostante la rivolta proseguì. Lenin ritenne a quel punto mature le condizioni per

conquistare il potere non più secondo i canoni della borghesia liberale bensì mediante

la lotta armata. Egli pertanto fece ritorno in patria, fissò per il 25 ottobre la data del

congresso dei soviet e, contestualmente, dell’inizio della rivolta.

46

Cfr. S. Pons, La rivoluzione globale, Einaudi, Torino, 2013.

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Le agitazioni furono meno cruente del previsto: la sera dello stesso giorno il

congresso proclamò la repubblica sovietica e decretò in merito alla confisca delle

terre, alla loro assegnazione ai contadini oltre che riguardo alla fine della guerra.

In riferimento a quest’ultima rilevante questione, dopo vari tentennamenti dovuti alle

rigide condizioni poste dalla Germania, Lenin si fece promotore della pace separata

con il governo tedesco.47

Il novembre del 1917 vide l’elezione della Costituente, in cui la maggioranza dei voti

andò ai socialdemocratici, seguiti dai bolscevichi. Menscevichi e socialrivoluzionari

si trovarono relegati in posizioni estremamente marginali. Si trattava, dunque, del

primo Parlamento eletto liberamente, anche se fu rapidamente sciolto allo scopo di

affidare il governo ai soviet.

Anche i soviet vennero bene presto disfatti ed il potere si accentrò progressivamente

nelle mani degli apparati di partito.

A livello internazionale le grandi speranze socialiste favorite da Lenin apparvero, agli

occhi delle masse popolari provate dalla guerra, come garanzie di un mondo migliore.

Tale visione, però, non rifletteva la realtà sociale, economica e politica russa, che si

avviava lentamente verso ulteriori conflitti.48

Tali contraddizioni non indeboliscono lo spessore ideologico e politico dell’azione di

Lenin, che produsse innegabilmente un radicale mutamento della società russa con

effetti significativi anche, come accennato, al di là dei confini nazionali. Egli fornì a

popoli interi, particolarmente quelli che vivevano in condizioni di precarietà

materiale e morale, una nuova visione del mondo dotata della stessa forza simbolica

di una vera e propria religione.

Lenin, non a caso, è uno dei personaggi storici più riprodotti in Russia attraverso

dipinti e statue. Si tratta di una rappresentazione estetica della politica dove la figura

di Il’ič Ul’janov assume, in primo luogo, lo spessore di Padre fondatore, dando

47

Cfr. T. Detti, G. Gozzini, Storia contemporanea, Vol. II. Il Novecento, cit.

48 Cfr. A. M. Banti, Storia contemporanea, Donzelli, Roma, 1997.

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origine ad una evocazione che travalica i confini sia della Storia che dell’Arte per

assumere una valenza religiosa.49

L’iconografia leniniana, inoltre, include una particolare tipologia simbolica che vede

il leader del bolscevismo come “istigatore alla rivolta”, il pensatore, la vedetta e il

“buon papà”.

L’istigatore alla rivolta è colui che accelera il corso della storia sovietica, è ”… il

visionario e il profeta proiettato verso l’avvenire della dinamica irresistibile del

movimento”.50

Il pensatore è l’intellettuale le cui idee hanno tale forza da scuotere la collettività

mondiale.

La vedetta è il Lenin che, ormai vincitore, va incontro al mondo a cui offre la sua

dottrina liberatoria.

Il buon papà è il leader che si sveste dei panni dell’ideologo e del profeta, non si

rivolge più al mondo bensì si avvicina al suo popolo.

“ È una figura tutelare, vicina a tutti, e non un profeta lontano; è l’uomo del consenso

della stabilità, della sicurezza. Il garante della coesione di un mondo sovietico

rappacificato e stanco di guerre, di qualsiasi natura queste siano”. 51

Al di là delle enfasi estetiche, la Russia si avviava, in realtà, a diventare uno Stato

“forte”, segnato dalla sospensione dei diritti civili, dall’azione censoria nei confronti

di artisti e letterati e dall’intensificarsi della lotta controrivoluzionaria.

2.2. Lo stalinismo

Già a metà del 1918 l’opposizione armata, i cosiddetti “bianchi” che per lo più

includevano socialrivoluzionari e menscevichi, si producevano in attentati contro

dirigenti di partito bolscevichi e mettevano in atto tentativi insurrezionali che

agitavano campagne e centri urbani, particolarmente Mosca.

49

Cfr. A. Brossat, Il culto di Lenin: il mausoleo e le statue, in A Est, la memoria ritrovata, prefazione Jacques Le Goff,

Einaudi, Torino, 1991, titolo originale À l’Est, la mémoire rtrovée, 1990.

50 Ivi, p. 93.

51 Ivi, p. 94.

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L’esercito, segnato ancora dalle disfatte del conflitto mondiale, era costretto a

rafforzare i suoi ranghi e, a tale scopo, ne fu affidata la guida ad una figura

particolarmente rilevante all’interno del partito, ossia Lev Trockij (1879-1940).

Questi impose una rigida struttura organizzativa fondata sulla disciplina tradizionale

e sul serrato controllo da parte dei commissari di governo. In tal modo lo stato

bolscevico si arroccava progressivamente su posizioni sempre più autoritarie,

estendendo la censura alla stampa ed alla produzione artistica, nazionalizzando il

commercio sia interno che con l’estero, assumendo il controllo dell’industria e delle

attività mercantili.52

Le contraddizioni sociali, economiche e politiche lasciavano filtrare i limiti delle

teorie leniniste e, pur se i bolscevichi restavano proiettati verso la costruzione di una

società più giusta, di fatto la dittatura del proletariato si trasformava

progressivamente in dittatura di partito.

La guerra civile tra le diverse correnti che agitavano la politica russa (bolscevichi,

menscevichi, socialrivoluzionari) divenne lo scenario in cui iniziò a mostrarsi

l’atteggiamento autoritario di Iosif Stalin (1878-1953). Questi si distinse

particolarmente per il pugno di ferro adottato durante la guerra civile e ciò sia contro

il nemico che per soffocare eventi insurrezionali. Egli, inoltre, prediligeva l’utilizzo

di milizie popolari più che delle truppe regolari., attuando così un vero e proprio

comunismo militare.53

Intanto la statalizzazione pervadeva i diversi strati della società russa: le industrie

passavano sotto la guida dello Stato, il lavoro veniva organizzato secondo principi e

regole tipicamente militari al punto da essere reso obbligatorio. Il concetto di

comunismo militare, dunque, si estendeva fino a diventare “comunismo di guerra”

che pervadeva ogni settore della società.

52

Cfr. A. Mongili, Stalin e l’impero sovietico, Giunti, Firenze, 1995.

53 Ibidem.

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Tra il 1917 e il 1920 iniziarono ad emergere ed a svilupparsi gli elementi politici ed

economici su cui si sarebbe poi sostenuto lo stalinismo, anche se questa terminologia

acquistò senso particolarmente nei primi anni ’30.54

La società russa visse una fase di recupero sociale ed economico grazie alla NEP,

ossia la Nuova Politica Economica, che prese l’avvio nel 1921 mutando

sensibilmente gli assetti prima della produzione agricola e poi di quella industriale.55

La NEP consisteva in una economia mista dove l’iniziativa commerciale privata

veniva incoraggiata solo all’interno dei confini nazionali, mentre gli scambi

commerciali con l’estero conservavano i loro vincoli con le banche e gli apparati

statali. Se perciò da un lato fiorirono piccole e medie attività imprenditoriali private, è

pur vero che lo Stato trattenne per sé il controllo e la pianificazione dei punti chiave

dell’economia nazionale.

I risultati conseguiti attraverso l’applicazione dei principi inclusi nella NEP furono,

entro certi limiti, positivi: se la Russia non emerse completamente dalla crisi in cui

era caduta tra il 1917 ed il 1920, quantomeno l’assetto economico-sociale del paese

venne fuori da quella condizione di arretratezza da cui era stato caratterizzato fin

dall’epoca zarista.56

L’iniziativa economica contribuì fortemente a consolidare il ruolo dello Stato che

andava sempre più a coincidere con il Partito comunista, procedendo così verso una

sempre più acuta burocratizzazione.

Nel 1922 la Russia, che intanto era emersa dal suo isolamento partecipando ad una

conferenza internazionale tenutasi a Rapallo, insieme a Bielorussia, Ucraina e

Transcaucasia costituì l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, a cui

aderirono poi altre regioni asiatiche dell’ex impero Zarista.57

54

Cfr. A. Romano, Lo stalinismo, Bruno Mondadori, Milano, 2012.

55 Cfr. T. Detti, G. Gozzini, Storia contemporanea, Vol. II. Il Novecento, cit.

56 Ibidem.

57 Ibidem.

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Il 1922 fu un anno significativo anche perché vide Lenin colpito dal male che poi lo

avrebbe condotto alla morte nel 1924. Il suo decesso, come era prevedibile, diede

luogo ad aspri dibattiti all’interno del partito. Tali contrasti, però, non trascesero mai

gli ambiti dell’organizzazione politica e ciò in perfetta aderenza a quella che sarebbe

stata la futura linea di condotta del PCUS (Partito Comunista dell’Unione

Sovietica),58

almeno fino agli ultimi decenni del XX secolo.

Lo scontro interno conobbe una moderata attenuazione nel 1925, quando la vittoria di

Stalin alla guida del partito mise a tacere tutte le correnti antagoniste, specialmente

quella guidata da Lev Trockij. Un bavaglio molto stretto venne così imposto al

dissenso interno ed esterno: Stalin si autoproclamò l’unico portavoce del pensiero di

Lenin, anche se adattandolo alla logica del suo autoritarismo.

Lo stalinismo ebbe effetti significativi sull’assetto economico del paese, spingendolo

verso la realizzazione dei cosiddetti piani quinquennali che, se da un lato

proponevano all’industria ed all’agricoltura obiettivi praticamente irraggiungibili,

dall’altro costrinsero l’URSS ad un forzato ammodernamento.

La linea assolutista adottata da Stalin significò il modellamento della società nei suoi

diversi aspetti. Tale obiettivo fu reso possibile dal controllo non solo delle attività

economiche e politiche ma anche di quelle artistiche e letterarie. La parola d’ordine

su cui si forgiava la società sovietica del tempo era “conformismo”. Si trattava di un

conformismo politico, economico ed anche letterario. Come, a tale riguardo, scrivono

Detti e Gozzini:

“L’obbedienza e il conformismo divennero virtù e strumenti di promozione sociale,

mentre un semplice dubbio era considerato come un boicottaggio e poteva costare il

posto di lavoro”.59

Per uno scrittore perdere il posto di lavoro voleva dire, di fatto, vedere le sue opere

censurate ed il suo nome relegato nel buio dell’oblio, cancellato perciò dalla memoria

del pubblico e della società in genere. Proprio così come accadde a Bulgakov.

58

In russo Kommunističeskaja Partija Sovetskogo Sojuza ( KPSS).

59 Ivi, p. 134.

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L’autoritarismo, comunque, non riuscì a zittire definitivamente le voci dissidenti e

ciò si verificò in politica come nell’economia e tra gli intellettuali. In quest’ultimo

ambito in alcuni casi il disaccordo veniva manifestato attraverso forme artistiche

fortemente allegoriche, così come poteva dirsi de Il Maestro e Margherita e dei

lavori di Bulgakov in genere. In altri, la critica era manifestata più palesemente.

Stalin, a sua volta, reagiva interpretando ogni minimo scetticismo nei confronti del

suo operato come se si fosse trattato di un vero e proprio complotto. A tale riguardo

la sua logica era così riassumibile:

“… una deviazione era considerata tale non per ciò che i suoi rappresentanti

sostenevano ma per il fatto che i suoi rappresentanti si rifiutavano di accettare come

affermazione vera anche il contrario di ciò che avevano sostenuto”.60

Il suo potere non a caso era caratterizzato dall’uso costante della polizia segreta e,

dopo il 1934, dall’acuirsi della repressione politica che condusse all’attuazione di un

efficiente sistema concentrazionario, fondato sui cosiddetti GuLag (Glavnoe

Upraulenie La Gerei, Amministrazione Centrale dei Campi).61

Nonostante la loro tragica estensione sul suolo russo, i GuLag costituivano solo i

vertici di un sistema carcerario ben più pervasivo, che comprendeva colonie penali ed

interi villaggi in cui erano collocati, sotto rigida sorveglianza, gruppi alquanto

numerosi di deportati.

In questo universo concentrazionario vennero reclusi, spesso fino alla loro morte,

dissidenti politici ed intellettuali critici verso il sistema o che semplicemente non si

erano allineati al conformismo staliniano.62

Le cosiddette “grandi purghe” si estesero progressivamente, tra il 1936 ed il 1938,

anche ali uomini di partito ed ai membri dell’Armata Rossa. Stalin, di fatto, intendeva

liberarsi di ogni testimonianza di un passato a lui non gradito.63

60

B. Groys, Das Kommunistische Postskrptum, 2006, tr. it. Post scriptum Comunista, Maltemi, Roma, 2008, pp. 48-49.

61 Cfr. T. Detti, G. Gozzini, Storia contemporanea, Vol. II. Il Novecento, cit.

62 Cfr. A. M. Banti, Storia contemporanea, cit.

63 Ibidem.

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Solo nel 1938 il dittatore si mostrò soddisfatto dell’obiettivo raggiunto: con una

nuova Costituzione e la destituzione della polizia segreta, Stalin decretò la fine del

cosiddetto “grande terrore”. Egli aveva prodotto una società acquiescente, dove pochi

segni di modernità si univano ad arretratezza e affermazione delle tradizioni: autorità,

gerarchia, famiglia. Eppure la popolazione, in quel clima di ottundimento sociale e

culturale, dopo i decenni di lotte e di paure trovava una risposta al suo bisogno di

sicurezza e stabilità.

Nonostante questo mutamento, di fatto solo apparente, nell’anno della morte di

Bulgakov (1940) i GuLag erano 53, con oltre 1 milione di detenuti costretti ai lavori

forzati per la realizzazione di grandi opere o perché impegnati in miniera, oppure nel

taglio di legname.

Si trattava, di fatto, di una vera schiavizzazione che produsse circa il 30% di morti tra

la popolazione concentrazionaria per fame, freddo, percosse e fucilazioni. La

condizione della società sovietica, a quel punto, era così sintetizzabile:

“Mentre la burocratizzazione e la violenza giungevano all’estremo, il partito e l’intero

sistema sovietico furono soggiogati al dominio di un autocrate e dello stato di polizia che in

lui si identificava”64

Proprio la letteratura, che aveva subito considerevolmente l’oppressione staliniana,

contribuì a fare luce su quella tragica fase storica dell’Unione Sovietica,

rappresentando, con le forme ed i contenuti che le sono propri, la vita nei lager

staliniani.

Un esempio in tal senso è l’opera di Aleksander Solzenicyn, il quale, nel 1962 e

dunque pochi anni prima che Il Maestro e Margherita venisse dato alle stampe,

pubblicò il lungo racconto Una giornata di Ivan Desinović, che illustrava la tragica

routine che segnava la vita nei campi di detenzione sovietici.65

64

Ivi, p. 136.

65 Cfr. A. Solzenicyn, Una giornata di Ivan Desinović, Einaudi, Torino 2014.

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39

2.3 Lo stalinismo e la politica italiana: il ruolo di Palmiro Togliatti

Come accennato nelle pagine precedenti, le idee leniniste ebbero una forte eco anche

oltre i confini russi rafforzando, sia in Europa che in altre aree del mondo, correnti

politiche di ispirazione comunista o comunque orientate verso la costituzione di una

società più equa.

Nel nostro paese, a partire dai primi decenni del Novecento, risultarono

particolarmente intensi i rapporti tra esponenti della sinistra italiana ed i quadri

dirigenti degli apparati di governo sovietici.

Una delle figure più emblematiche di questa dinamica storico-politica fu

indubbiamente Palmiro Togliatti (1893-1964), dal 1927 fino alla sua morte dirigente

del PCI, tranne negli anni che andarono dal 1934 al 1938.

Egli, già nel 1919 e cioè quando era membro del Partito Socialista Italiano, subì

l’influenza delle idee ispiratrici della rivoluzione russa e dell’ideologia leninista,

arrivando a fondare nel 1921, con altri intellettuali e politici tra cui spiccano i nomi di

Gramsci e Terracini, il Partito Comunista Italiano, nato da un’ala più intransigente

dello stesso PSI.66

Togliatti costituisce una figura alquanto controversa del panorama politico italiano di

quegli anni. Come ricorda Giorgio Bocca nella biografia dedicata al dirigente del

PCI, egli era considerato un uomo freddo, autoritario, quasi cinico, poco incline ai

rapporti personali e ciò sia nell’ambiente politico sia italiano che internazionale. Un

individuo, insomma, diffidente e di cui era preferibile diffidare.

Eppure, ricorda Bocca, l’Italia proletaria e di sinistra fu pronta ad insorgere in

occasione dell’attentato di cui egli fu vittima (14 luglio 1947), così come i suoi

funerali (25 agosto 1964) videro la partecipazione di 1 milione di persone, comuniste

e non, venute da ogni parte del mondo.67

66

Cfr. G. Bocca, Togliatti, Feltrinelli, Milano, 2014.

67 Ibidem.

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L’evento coinvolse uomini e donne di potere e diverse figure emergenti nel panorama

politico mondiale. Si chiede perciò Bocca:

“Che cosa è che essi e gli italiani piangevano di quell’uomo? Perché i grandi e alteri

capi del movimento comunista, da Stalin a Mao, da Trotckij a Dimitrov, lo hanno

ascoltato, ne hanno segnato i consigli e comunque lo hanno rispettato?”68

Una risposta al quesito, ipotizza Bocca riportando pareri e testimonianze di politici ed

intellettuali che avevano conosciuto e frequentato Togliatti, è nella coerenza morale e

politica dell’uomo e nel suo forte senso dello Stato, che non vacillò nemmeno quando

le Istituzioni coincisero con l’apparato fascista.

Togliatti, nel 1926, si trasferì a Mosca come capo delegazione del PCI in occasione

dell’Internazionale Comunista, rientrando in patria dopo ben diciotto anni. Egli si

allontanò dalla capitale russa nel 1936 per raggiungere Madrid, uno degli scenari più

cruenti della guerra civile spagnola. Fuggì dalla città spagnola, ormai caduta sotto il

controllo delle truppe franchiste, per rifugiarsi a Mosca, dove riprese a tessere la tela

dei rapporti tra comunisti italiani e dirigenza sovietica.

La permanenza in Russia lo rese inevitabile testimone dell’ascesa di Stalin al potere e

delle sue politiche economiche, nonché delle lotte interne al PCUS e dell’assolutismo

staliniano nei confronti dei dissidenti.

In quegli anni Togliatti, come accennato, assunse un ruolo di mediatore tra il regime

autoritario sovietico e le scelte dei comunisti italiani, compito che andò sempre più a

consolidarsi negli anni successivi e ciò non sempre per diretta volontà del

protagonista.

Un esempio a tale riguardo risale già ai primi tempi del suo arrivo a Mosca, quando,

appena nell’ottobre del 1926, Antonio Gramsci indirizzò una lettera alquanto

controversa ai quadri dirigenti del PCUS. L’intellettuale italiano, infatti, riconosceva

il loro ruolo di guida per i comunisti italiani e ciò particolarmente in un momento

storico in cui sull’Italia calava sempre più l’ombra della dittatura fascista. Gramsci,

68

Ivi, p. 22.

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nella missiva, inoltre mostrava evidenti apprezzamenti per la NEP e la politica russa

nel suo insieme pur lasciando trasparire la sua critica verso l’atteggiamento assunto

dalla leadership di partito nei confronti dei dissidenti.

Togliatti, ricevuta la lettera ed esaminatone il contenuto, decise di non seguire le

direttive di Gramsci, limitandosi a mostrare lo scritto ad alcuni esponenti di partito,

tra cui Bucharin, ma non ai membri del Comitato Centrale. Egli ritenne le

considerazioni dell’intellettuale lesive per quel che concerneva i rapporti tra

comunisti italiani e PCUS, specialmente in una fase politica così delicata come quella

che stava attraversando il partito sovietico, con le sue lotte interne, e l’Italia, con la

progressiva affermazione del fascismo.69

Un’altra questione rilevante, che vide coinvolto Togliatti ed altri quadri del PCI,

risultò quella inerenti i nostri prigionieri di guerra in Russia. Anche in tal caso le

testimonianze storiche sull’atteggiamento del politico italiano in merito alle

condizioni in cui versavano i militari dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) sono

alquanto controverse. Da un lato, infatti, emergono affermazioni piuttosto critiche, se

non ciniche, di Togliatti verso i prigionieri e ciò particolarmente quando il politico si

trovava ancora in Russia. Dall’altro, al suo rientro in Italia, egli manifestò una

relativa comprensione verso quei soldati, senza però mai arrivare a valutare

pienamente il fatto che essi si erano trovati a combattere in territorio russo non per

scelta ma in quanto obbligati da Mussolini.70

Un altro momento particolarmente rilevante in merito al rapporto tra Togliatti e

l’URSS è la cosiddetta “svolta di Salerno”, dove il politico italiano ebbe un ruolo

molto significativo. Egli, infatti, dopo un incontro con Stalin tenutosi a Mosca nel

1944, al suo ritorno in Italia si fece portavoce dell’orientamento sovietico teso a

consolidare un compromesso tra i partiti antifascisti, ancora impegnati nel nord-Italia

69

Ibidem.

70 Cfr. A. Guerra, Comunismi e comunisti: dalle “svolte” di Togliatti e Stalin del 1944 al crollo del comunismo

democratico, Delalo, Roma, 2005.

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nella lotta ai nazisti, la Monarchia ed il nuovo Governo Badoglio, appena

riconosciuto dalla stessa Unione Sovietica. L’obiettivo di una simile iniziativa era

favorire l’accantonamento momentaneo della questione istituzionale e del rapporto

tra forze politiche di diverso orientamento ideologico. Questo compromesso,

nell’ottica dei sovietici, risultava necessario ai fini della piena liberazione dell’Italia

dal nazi-fascismo e ciò in virtù di una definitiva sconfitta del III Reich su tutto il

suolo europeo. Se in quel momento il progetto, per quanto potesse apparire azzardato,

aveva una sua funzione, nel dopoguerra la svolta di Salerno causò a Togliatti, ed ai

dirigenti del PCI che vi avevano collaborato, l’accusa di essersi compromessi con le

forze monarchiche e con gli elementi residuali del fascismo.

Il clima di sospetto che avvolgeva l’operato del dirigente comunista non indebolì lo

spessore del ruolo che Togliatti ebbe nell’orientare l’evoluzione, a volte

contraddittoria, della sinistra italiana ed i suoi rapporti con lo stalinismo e ciò, in

particolare, quando cominciò ad emergere che la via verso il socialismo non

coincideva più con l’ideologia e la politica sovietiche. A tale proposito, il dirigente

comunista manifestò il suo disaccordo con le politiche sovietiche nel suo Memoriale

di Yalta, in cui affiancava alla critica verso l’URSS la sua idea di una via italiana al

socialismo.71

La figura di Togliatti vide confermato il proprio valore in alcuni dei momenti più

critici che, in quegli anni, attraversò il nostro paese. A tale riguardo, è opportuno

ricordare come in occasione dell’attentato al dirigente del PCI l’Italia sembrava stesse

scivolando nuovamente verso la guerra civile. Se ciò non accadde si deve all’appello

radiofonico che lo stesso Togliatti, dal letto di ospedale, inviò al paese, invitando tutti

i manifestanti a mantenere la calma e a salvaguardare la pace faticosamente raggiunta

dopo anni di guerra e devastazioni.72

71

Cfr. C. Spagnolo, Il memoriale di Yalta: Togliatti e la crisi del movimento comunista internazionale (1956-1964),

Carocci, Roma, 2007.

72 Cfr. G. Bocca, Togliatti, cit.

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CAPITOLO 3. La trasposizione filmica

3.1. Religione e spiritualità ne Il Maestro e Margherita

Lo spessore simbolico della creatività di Bulgakov fa sì che Il Maestro e Margherita

possa essere interpretato da più angolazioni, ognuna delle quali rimanda ad un aspetto

specifico dell’animo umano fino a disegnarne la sua complessità. Ciò è tanto più vero

lì dove la narrazione sembra assumere una forma fine a se stessa, quasi come se lo

scrittore volesse soltanto intrattenere il lettore con un espediente letterario tra il

ludico ed il fantastico.

Al contrario, come è stato già affermato, nel romanzo nulla è semplice gioco di

parole, niente è casuale e ciò sia in merito ai contenuti che relativamente alla forma

con cui essi sono presentati all’esterno. Come a tale riguardo scrive il saggista russo

V. Sacharov:

“La componente fantastica e quella satirica non erano per Bulgakov fini a se stesse,

bensì il mezzo per giungere a toccare in modo creativo, e penetrare in profondità,

l’esistenza intima e l’anima dell’uomo”.73

Nei precedenti capitoli, ad esempio, la riflessione su Il Maestro e Margherita ha

assunto come riferimento privilegiato la prospettiva storico-sociale.

Attraverso le molteplici versioni del romanzo emerge in misura sempre più rilevante

l’intento di Bulgakov di dare vita ad un testo letterario che potesse diventare

un’attendibile testimonianza della complessa fase storica di cui egli, insieme

all’intera società sovietica, era protagonista.

Il Maestro e Margherita, dunque, è legittimamente interpretabile alla stregua di un

vero e proprio romanzo storico “… ricco di dettagli di costume precocissimi e di

caratteri umani irripetibili… “74

il cui valore è tale da non attenuarsi nemmeno di

fronte ad indagini specialistiche sia storiche che sociologiche.75

73

V. Sacharov, L’addio e il volo. Biografia letteraria di Michail Bulgakov, cit., p. 223.

74 Ivi, p. 228.

75 Ibidem.

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Le maschere che indossano i vari personaggi del libro lasciano comunque intravedere

le espressioni degli uomini “in carne ed “ossa” che, in quei tempi, soggiacevano

all’assolutismo staliniano. Allo stesso tempo, all’interno della trama, si fa strada una

consistente componente religiosa che ha tra le sue principali espressioni la figura di

Yeshua. Costui è al centro di un’aspra contesa tra bene e male che emerge in più di

una circostanza: tale conflitto trova uno dei suoi simboli, ad esempio, in Ponzio Pilato

quando egli cede alla paura e condanna il suo benefattore. A tale riguardo Sacharov

scrive:

“Perciò Bulgakov fa del procuratore un uomo solo, che ha ceduto alla viltà, questo

difetto primario degli uomini di potere. Pilato non è devoto a Dio, bensì al Diavolo

…”.76

Pilato è il male (sintetizzabile in vigliaccheria, puro interesse personale, assoluta

mancanza di sensibilità, se non verso se stesso) che si contrappone alla infantile

ingenuità di Yeshua, la cui inclinazione alla bontà ed alla purezza d’animo lo

avvicina ad alcuni personaggi della letteratura mondiale. E’ il caso, ad esempio, del

don Chisciotte di Miguel de Cervantes (1547-1616), in cui l’altruismo ed una

innocente megalomania sfociano spesso nel delirio, conducendo l’eroe a compiere

atti le cui conseguenze gli si ritorcono contro ed alimentano ulteriormente la sua

perdita di contatto con la realtà.

In alcuni brani dell’opera, don Chisciotte sembra uscire proprio dalla penna di

Bulgakov, come quando si rivolge all’oste, la cui locanda egli ha scambiato per un

castello, il quale finge di credergli solo per poter poi ridere delle sue allucinazioni:

“… questa notte nella cappella di questo castello farò la veglia d’armi e domani, come

ho detto, si compirà il mio ardente che tanto desidero, permettendomi di andare, in

regola con la tradizione, per tutte e quattro le parti del mondo in cerca di avventure in

favore dei bisognosi, come è obbligo della cavalleria e dei cavalieri erranti, quale io

sono …”77

76

Ivi, p. 218.

77 M. de Cervantes, El ingegnoso Hildago Don Chisciotte de la Mancha, 1605, tr. it. Don Chisciotte della Mancia,

Garzanti, Milano, 2000, pp. 27-28.

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Attraverso il personaggio di Yeshua, inoltre, Bulgakov si avvicina ancora una volta

ad un’altra figura rilevante della letteratura russa e cioè Dostoevskij. L’ingenuità del

personaggio di Bulgakov, infatti, ricorda quella del principe Miškin, protagonista del

L’idiota.78

I due personaggi sono in più accomunati da un profondo senso religioso, che in

Miškin emerge più volte traducendosi in compassione e desiderio di equità. Ecco un

esempio:

“Secondo me, uccidere perché si è ucciso rappresenta una punizione

incomparabilmente più terribile dello stesso delitto commesso, venire giustiziato in

base a un verdetto è molto più terribile che venire ucciso da briganti”79

In conclusione, dall’immagine del Yeshua di Bulgakov sembra che si faccia strada la

figura del Cristo moderno, così definito da Sacharov:

“… un Cristo buono, saggio e ironico, colmo di fede, di speranze e di amore, che si

contrappone all’idea della disperazione e della morte universale”80

A questi piani interpretativi se ne affianca un altro dove il romanzo di Bulgakov

assume tonalità che lo rendono una sorta di racconto dell’occulto o, meglio ancora,

una narrazione in cui l’elemento spirituale trascende ogni altra componente, rendendo

insufficienti i riferimenti sociali ed autobiografici per una piena e definitiva

comprensione del romanzo.

La costante presenza del demone all’interno dell’intreccio narrativo sembra che renda

il romanzo una specie di resoconto iniziatico che rimanda a filosofie spiritualiste

come, ad esempio, quella di Gurdjief.81

A tale riguardo c’è un elemento biografico dell’autore che confermerebbe l’influsso

del pensiero di Gurdjief sull’attività creative dello scrittore russo: dal 1919 al 1921,

infatti, entrambi si trovavano nel Caucaso.

78

Cfr. F. Dostoevskij, Idiòt, 1869, tr. it. L’idiota, Feltrinelli, Milano, 2005.

79 Ivi, p. 47.

80 V. Sacharov, L’addio e il volo. Biografia letteraria di Michail Bulgakov, cit., p. 229.

81 Georges Ivanovič Gurdjief (1872-1942), filosofo e mistico armeno.

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Una simile molteplicità di livello interpretativi conferma la profondità del romanzo di

Bulgakov e ne spiega le diverse versioni sia teatrali che, principalmente,

cinematografiche.

3.2. La versione filmica di Vladimir Bortko

Il romanzo di Bulgakov è una tra le opere letterarie più tradotte in produzioni

cinematografiche.

Già nel 1° capitolo del presente lavoro si è fatto riferimento al film del 1972, italo-

jugoslavo, per la regia di Aleksander Petrovic e con la partecipazione dell’attore

italiano Ugo Tognazzi. La particolarità di quest’opera è che essa assume come

riferimento la versione del romanzo apparsa sulla rivista Moskova tra il 1966 ed il

1967, oltre al fatto che intreccia i vari capitoli secondo una trama che si distanzia

sensibilmente dalla struttura originale della narrazione.82

Quella di Petrovic, comunque, è la prima trasposizione filmica del romanzo di

Bulgakov. Ciò è vero, però, se non si tiene conto dell’opera di Andrzej Waida (1926)

Pilato e gli altri (1971), che si concentra soltanto sui capitoli del romanzo che vedono

come protagonista Gesù e Pilato.83

Sempre polacca è la versione televisiva de Il Maestro e Margherita del 1988, che

ebbe come sceneggiatore e regista Maciej Wojtyszko (1946).

In Unione Sovietica, in particolare, la prima trasposizione cinematografica del

romanzo venne realizzata nel 1994, con la regia di Yuri Kara (1954). In questa

circostanza, però, la produzione del film fu ostacolata in misura considerevole sia da

questioni di carattere economico che dal clima di diffidenza con cui il progetto di

Kara venne accolto dagli estimatori di Bulgakov. Costoro, infatti, si mostrarono

alquanto scettici riguardo alla possibilità di tradurre in immagini filmiche la ricchezza

simbolica e la molteplicità di significati contenuti nel romanzo.

82

Cfr. Il Maestro e Margherita, un percorso per immagini, http://www.ivanolandiblogspot.it, 2014.

83 Cfr. G. Fofi, Come in uno specchio. I grandi registi del cinema, Donzelli, Roma, 1995.

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Il film riuscì ad essere presentato al pubblico solo nel 2005 e ciò avvenne in

occasione della Festival Internazionale del Cinema di Mosca. Eppure, a causa di

dissidi tra regista e produttori, l’opera poté essere proiettata nelle sale

cinematografiche sovietiche solo nel 2011.84

Il Maestro e Margherita giunge alla sua piena trasposizione filmica nel 2005 grazie

allo sceneggiatore e regista russo Vladimir Bortko (1946), che realizzò una serie TV

articolata in dieci episodi, ognuno della durata di 52 minuti, trasmessa sul canale di

stato Rossya.

Bortko si era già confrontato con la ricchezza creativa di Bulgakov avendo curato, nel

1987, una versione televisiva di Cuore di cane. 85

Con il regista russo l’intera struttura simbolica del romanzo trova finalmente spazio

sullo schermo grazie all’utilizzo di moderne tecnologie e ad uno staff di ben duecento

persone impegnate nella concretizzazione degli effetti speciali, che occupano circa tre

ore dell’intera narrazione.

La sceneggiatura di Bortko, inoltre, rispetta accuratamente la struttura del romanzo,

riportandone fedelmente trama e dialoghi.

Un’ulteriore caratteristica di quest’opera, che evidenzia l’intento del regista di aderire

quanto più possibile alla componente simbolica del testo, è che ogni scena è

tinteggiata da un particolare colore in base all’epoca in cui si svolge. La

Gerusalemme di Yeshua e Pilato, ad esempio, è descritta attraverso immagini

immerse in un’atmosfera dove prevalgono sfumature giallo-viola. La città di Mosca,

invece, è disegnata con un inquietante bianco e nero, mentre le apparizioni di Woland

sono accompagnate da una speciale vivacità cromatica.

Il dialoghi del film, come accennato, rimandano alla struttura narrativa del romanzo e

ciò a cominciare fin dalle prime scene, ad esempio lì dove Berlioz ed Ivan discutono

sull’esistenza di Gesù. Particolarmente fedele al testo è lo scambio di battute tra

84

Ibidem.

85 Cfr. Introduzione, in M. A. Bulgakov, Sabac’ e serdce, tr. it. Cuore di Cane, in Romanzi e Racconti, cit.

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Berlioz e la proprietaria del chiosco da cui acquistano quella strana bevanda (“succo

di albicocca, ma caldo”) che poi causa a Berlioz le sue strane allucinazioni.

E’ evidente, nel regista, l’intento di mettere in rilievo lo spessore simbolico del

romanzo anche attraverso i numerosi effetti speciali che ripropongono le scene

fantastiche che ne arricchiscono le pagine. E’ quanto accade, ad esempio, quando

Bortko ripropone cinematograficamente le fantasie di Berlioz che, dopo la sua

bevuta, vede Ivan ondeggiare nell’aria, così come viene reso con efficacia il viaggio

di Margherita quando attraversa Mosca a cavallo della scopa.

Un altro momento tra i più significativi, sia sotto il profilo puramente narrativo che

per l’utilizzo di effetti speciali, è quello che vede Woland eseguire il suo spettacolo di

magia nera a teatro. Particolarmente inquietante è la scena in cui il gatto Ippopotamo,

che nel film mantiene il nome di Behemoth, stacca dal collo la testa del direttore del

teatro, per poi rimetterla al suo posto su richiesta del pubblico.

Altrettanto intense sono le scene in cui il pubblico si agita per i soldi che cadono dal

cielo, così come quando tutti corrono fuori dal teatro in preda all’euforia e, allo stesso

tempo, al terrore.

Bortko rileva l’elemento fantastico, quasi visionario, dell’opera di Bulgakov anche

attraverso la scelta degli attori, i cui tratti somatici a volte non hanno bisogno di

particolari ritocchi per apparire una sorta di maschere oniriche, che solo

stentatamente celano l’inquietudine che attraversa i personaggi.

Allo stesso tempo, il regista sottolinea la centralità di Woland affidandone il ruolo ad

un attore che, per caratteristiche fisiche e stile di recitazione, si distanzia fortemente

dai personaggi che lo affiancano. Se questi sembrano, in alcune circostanze, una

specie di giullari di corte o così allegorici da perdere definitivamente ogni residuo di

concretezza, Woland invece è serio, riflessivo, insomma credibile, sempre attento a

quanto gli sta intorno ed a quello che dice. Le sue parole non sembrano giudizi di chi

è deputato a valutare l’operato degli uomini per poi emettere la sentenza, bensì

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insegnamenti che un maestro vuole lasciare ai suoi discepoli prima di riprendere il

suo cammino.

Woland, insomma, appare il personaggio meno fantasioso del film, così come forse

Bulgakov voleva per il suo demone romanzato.

L’opera di Bortko, dunque, costituisce un perfetto equilibrio di suoni, colori,

immagini, intreccio narrativo e stile di recitazione. Il risultato finale fa del prodotto

del regista russo la traduzione filmica più completa de Il Maestro e Margherita.86

86

Cfr. Il Maestro e Margherita, un percorso per immagini, http://www.ivanolandiblogspot.it, 2014, cit.

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CONCLUSIONI

Il presente lavoro ha assunto come idea di partenza un interrogativo in merito alle

molteplici versioni filmiche in cui è stato tradotto Il Maestro e Margherita. Come è

stato sottolineato, quest’opera, infatti, non solo è una delle più lette ma è anche quella

che più ha suscitato l’interesse di artisti impegnati in campi diversi dalla letteratura,

particolarmente nel cinema.

Nelle pagine precedenti, perciò, si è voluto ipotizzare che l’origine dell’interesse dei

cineasti sia nello spessore simbolico del romanzo e nella sua capacità di produrre

immagini che sollecitano sensibilmente la fantasia, e l’emotività, dello spettatore.

Bulgakov, infatti, sa rivolgersi non solo alla razionalità del lettore ma lo invita anche

ad andare con la mente oltre le pure apparenze per coglierne i significati sottesi, certo

meno visibili ma non per questo di minore valore.

Solo così facendo Bulgakov ha potuto far pervenire al lettore il suo messaggio di

denuncia sociale e, nello stesso tempo, di apertura verso nuove possibilità di vita

materiale, intellettuale e spirituale. Certo, questo messaggio si palesò solo dopo

decenni dalla morte dello scrittore e ciò proprio a causa dell’ostracismo messo in atto

dal regime sovietico nei suoi confronti.

Passarono anni, dunque, affinché il pubblico conoscesse il valore de Il Maestro e

Margherita, ma almeno il suo autore non si perse nel buio profondo dei GuLag

sovietici, così come accadde ad altri intellettuali russi del tempo.

A tale riguardo, la tesi lascia intravedere la possibilità che non sia un caso che i

registi più coinvolti nella trasposizione filmica del romanzo di Bulgakov provengano

dall’Europa dell’Est e dalla stessa Unione Sovietica. Costoro, forse più di altri loro

colleghi che vivevano e vivono in sistemi democratici, compresero immediatamente

l’enorme impegno, fisico ed intellettuale, sostenuto dall’autore per riuscire a dare

spazio alla propria creatività artistica in un clima di conformismo, anzi di vera e

propria oppressione materiale e mentale, come quello della Russia di Stalin.

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Non tutte le versioni cinematografiche, però, sono state all’altezza dell’impegno

assunto. In alcuni casi il prodotto finale si è allontanato sensibilmente dalla trama

originale dell’opera. È questo il caso, ad esempio, del film italo-jugoslavo del 1972

con la regia di Aleksander Petrovic.

Non è così, invece, per la versione filmica realizzata dal regista russo Vladimir

Bortko e trasmesso a puntate su un canale della Tv di stato. L’opera, in questo caso,

rispetta trama e struttura del romanzo di Bulgakov. Inoltre, grazie all’ausilio di un

consistente apparato tecnologico e di personale altamente specializzato, Bortko

valorizza pienamente l’elemento fantastico ed allegorico del testo soddisfacendo così

gli estimatori di Bulgakov che, in alcune occasioni, hanno manifestato il loro

scetticismo riguardo alla possibilità che le immagini filmiche potessero rendere

appieno il valore allegorico e fantastico de Il Maestro e Margherita.

Il film di Bortko, insomma, può essere legittimamente ritenuto un vero e proprio

omaggio al lavoro creativo di Bulgakov.

Dunque è vero che lo scrittore, come già è stato sottolineato, non scomparve nei

campi di detenzione di Stalin. È altrettanto vero, comunque, che il regime si accanì

particolarmente sulle sue opere giungendo a censurarle tutte. A tale riguardo è

significativo che già nel 1926 il lungo racconto Cuore di Cane fosse sequestrato dalle

autorità per poi essere portato alla conoscenza dei lettori solo nel 1987, quasi come

segno premonitore dell’imminente crollo del regime. Nel frattempo, però, il nome

dell’autore era stato cancellato per diversi decenni dalla memoria dei lettori e della

società sovietica in genere.

È risultato perciò inevitabile che la tesi prevedesse, tra un capitolo iniziale su alcuni

aspetti della vita personale di Bulgakov e della sua opera ed uno finale centrato sul

film di Bortko, anche un capitolo centrale in cui si rilevasse il clima politico in cui

visse e lavorò Bulgakov.

La tesi, allo stesso tempo, non ha voluto trascurare il forte simbolismo religioso e

spirituale che pervade il romanzo. Da un lato, infatti, c’è il demone tentatore Woland,

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protagonista indiscusso dell’opera a cui, alla fine, anche il Maestro e Margherita

dovranno essere riconoscenti.

Dall’altro lato c’è la presenza di Yeshua, il cui sacrificio indica qual è il limite tra il

bene ed il male.

Woland, infatti, compie buone azioni ma solo per un tornaconto personale e a partire

dalla sua stessa natura demoniaca.

Yeshua, invece, è egli stesso il bene.

In tal modo, il romanzo si inserisce nella tradizione filosofica e spiritualistica che

orienta in genere la letteratura russa particolarmente dell’Ottocento, i cui principali

esponenti sono Tolstoj e Dostoevskij.

In conclusione, si può legittimamente affermare che l’opera di Bulgakov aggiunge ai

suoi valori quello di essere un ponte tra i classici del XIX secolo e la letteratura russa

moderna.

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BIBLIOGRAFIA

Testi primari

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Saggi critici e manuali

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Dostoevskij F. , Idiòt, 1869, tr. it. L’idiota, Feltrinelli, Milano, 2005.

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Solzenicyn A., Una giornata di Ivan Desinović, Einaudi, Torino 2014.

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SITOGRAFIA

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RINGRAZIAMENTI

Voglio dedicare questa tesi di laurea alla mia famiglia.

Il primo pensiero è per mia moglie, Maria Elena, che mi ha permesso, e incoraggiato

nei momenti più difficili di questo lungo viaggio e per le mie due splendide figlie,

Giada e Beatrice, alle quali spero di trasmettere voglia entusiasmo e curiosità per lo

studio.

Ringrazio la prof. Nora Moll, non solo per la fiducia accordatami accettando il ruolo

di relatore, ma soprattutto per avermi fatto scoprire i capolavori della letteratura.

Ringrazio mia mamma e mio papà per la curiosità dei miei studi.

Ringrazio i suoceri per avermi dato sempre una parola d’incoraggiamento.

Un ringraziamento a Rosario per i suoi preziosi consigli, competenze, testi e per aver

condiviso momenti di studio.

Ringrazio Alfonso per il suo supporto e le sue competenze aiutandomi e

accompagnandomi nella realizzazione della tesi.

Ringrazio la Facoltà di Scienze della Comunicazione e tutti coloro che vi lavorano,

ricorderò sempre con piacere tutti i professori, perché da ognuno di essi ho avuto

modo di imparare qualcosa.

Ringrazio tutti quelli del corso di laurea con cui virtualmente o realmente ho

condiviso tante esperienze universitarie e in particolar modo: Mimmo, Daniela,

Simonetta e Ivano.

Per ultimo ma non meno importante ringrazio me stesso, per essere riuscito ad

ottenere questo traguardo, affrontando le difficoltà incontrate senza mai abbattermi.

E grazie a tutti!

Stefano