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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE CORSO DI LAUREA RELAZIONI PUBBLICHE _______________________________________________________ TESI DI LAUREA RELAZIONI PUBBLICHE E PROCESSI DI PACE Relatore Laureanda Chiar.mo prof. Nicola Strizzolo Michela de Faveri _______________________________________________________ Anno accademico 2013 - 2014

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1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE

CORSO DI LAUREA

RELAZIONI PUBBLICHE

_______________________________________________________

TESI DI LAUREA

RELAZIONI PUBBLICHE E PROCESSI DI PACE

Relatore Laureanda

Chiar.mo prof. Nicola Strizzolo Michela de Faveri

_______________________________________________________

Anno accademico 2013 - 2014

2

3

Ai miei genitori Adriana e Franco

4

5

INDICE

Pag.

Introduzione …...…………………………………………………. 7

1. Relazioni pubbliche ……………………...……………………. 11

1.1. Definizione ………………………………………………. 11

1.2. Excursus storico …………………………………………... 12

1.3. Obiettivi …………………………………………………. 21

1.4. I modelli …………………………………………………. 22

1.5. Digital Public Relations ……………………………………... 24

2. Processi di pace ……………………………………………..… 29

2.1. Definizione ………………………………………………. 29

2.2. Missioni di pace ………………………………………….. 30

2.3. Funzioni dei social media nei processi di pace ……….……... 32

3. L’ONU e la cultura della pace …………….…………….……... 39

3.1. Nascita della cultura della pace ……………………………. 39

3.2. L’UNESCO e la cultura della pace ………………………... 41

3.2.1. “The International Decade for a Culture of Peace

2001-2010” ……………………………………….. 42

3.2.2. 2010-2014: il presente …………………………….. 45

3.2.3. UNESCO Goodwill Ambassadors e Artisti per la

pace ………………………………………………. 51

4. Pace e genere femminile ………………………………………. 55

4.1. La Carta dei diritti delle donne ………………….………… 59

4.2. La Risoluzione n. 1325/2000 del Consiglio di Sicurezza

delle Nazioni Unite …………………………….…………. 61

4.3. Donne e relazioni pubbliche ………………….…………... 62

4.4. Donne di pace ………………………………….………… 64

4.4.1. Malala Yousafzai (Pakistan) ………………...……... 64

6

Pag.

4.4.1.1. Effetto Malala ……………..….…….…… 68

4.4.2. Aung San Suu Kyi (Birmania - Myanmar) ……..….. 72

4.4.2.1. Aung San Suu Kyi promotrice di Pace …... 73

4.4.2.2. Effetto Aung San Suu Kyi ………..……… 78

5. Il ruolo delle relazioni pubbliche nei processi di pace ….……….. 81

5.1. Le relazioni pubbliche fanno parte del processo di pace? …. 81

5.2. Peacemaking - Intervista a Claudio Mario Betti, assistente

al presidente della Comunità di Sant’ Egidio, Roma ………. 81

5.3. Peacebuilding - Intervista a Federico Mayor Saragoza,

Presidente della Fondazione Internazionale Cultura

della Pace, Madrid, ex Direttore Generale dell’UNESCO

dal 1987 al 1999, ex Ministro dell’Educazione e della

Scienza (1981-1982), Spagna ……………………………… 91

5.4. Peacekeeping - Intervista al Tenente Colonnello dei

Lagunari Giovanni Boggeri - dal 1994 al 2003 in

forza al reggimento lagunari “Serenissima” in Venezia,

dal 2003 al 2009 in forza al Comando del Corpo

d’armata di reazione rapida della NATO in Solbiate

Olona (VA) ed attualmente in forza alla Scuola

Telecomunicazioni Interforze di Chiavari (GE) con

l’incarico di Capo Ufficio Difesa ……………………... 100

Conclusioni ……………………………………………….………. 109

Bibliografia ……………………………………….……….………. 113

Ringraziamenti ……………………………………………………. 117

7

Introduzione

Tutto è comunicazione. Si può dire che questo periodo storico è

senz’altro caratterizzato da un forte ed impellente bisogno di essere

sempre collegati, di esprimersi, di informarsi, di pubblicarsi, di notificare

e diffondere divulgando le proprie azioni ed idee quotidianamente

usando ogni possibile modalità. La comunicazione viene attuata secondo

la prassi classica attraverso giornali, quotidiani, radio tv ma soprattutto

con l’utilizzo dei media tecnologici che hanno ampliato gli orizzonti,

abbattuto le barriere geografiche e che ci hanno portato all’esigenza del

“continuinig connected”.

Viviamo in un’era in cui tutto è comunicazione e in cui non si può non

comunicare. Disponiamo di strumenti che annullano le distanze e che

permettono di mettere in contatto e di restare in contatto con chiunque

vogliamo su questo pianeta. L’informazione si è evoluta ed ha affiancato

ai mezzi e strumenti tradizionali nuove modalità che grazie alle

tecnologie e soprattutto ad internet permettono di abbattere i confini

geografici e i visti diplomatici.

Anche la guerra e la pace vengono comunicate e gestite con l’utilizzo dei

nuovi media con un impatto decisamente più forte. I conflitti e le guerre

vengono divulgati e gestiti utilizzando le nuove tecnologie ed ottenendo

dei risultati davvero soprendenti in termini di visibilità. In questo ultimo

periodo, ISIS, il gruppo terrorista salafita che sta occupando i notiziari

del mondo, si è dimostrato particolarmente abile nell’utilizzo delle

tecniche digitali per diffondere il suo messaggio in occidente,

raggiungendo migliaia di giovani in tutto il mondo. L’ISIS in un tempo

relativamente brevissimo ha saputo attirare su di sé moltissima

attenzione ma anche moltissimo sostegno alla propria causa soprattutto

da gruppi di estremisti medio-orientali. Lo fa attraverso una precisa

propaganda organizzata e programmata che oltre a diffondere il suo

8

messaggio di terrore al mondo, è composta anche di video serie

televisive, e una strategia comunicativa efficacissima il cui perno sono i

social media.

In questo contesto di comunicazione globale si è voluto analizzare se e

come le relazioni pubbliche abbiano dato un contributo e quale esso sia

stato in una particolare area della comunicazione: i processi di pace.

Non ho trovato molti testi che affrontino in modo così specifico ed

analitico il nesso tra le modalità comunicative proprie delle relazioni

pubbliche e la loro inclusione nelle modalità operative dei processi di

pace. Questa tesi si è quindi basata su un’analisi di testi, articoli,

pubblicazioni off-line e on-line, sul materiale sulla cultura della pace

disponibile sul sito UNESCO (www.unesco.org) e in quello della

Fondacion Cultura de Paz (www.fund-culturadepaz.org/index.html),

sulle testimonianze dirette di tre protagonisti delle fasi dei processi di

pace, e si sviluppa in 5 capitoli.

Nel primo capitolo ho ritenuto importante fare un breve riassunto dei

concetti più importanti per definire le relazioni pubbliche. Ho quindi

iniziato parlando della più recente ed accreditata definizione di relazioni

pubbliche, ho raccontato come sono nate evidenziando come la storia

dell’uomo sia sempre stata un susseguirsi di relazioni pubbliche. Ho,

quindi, messo in evidenza quali sono gli obiettivi che le relazioni

pubbliche come disciplina, perseguono, ho ricordato i 4 modelli di

relazioni pubbliche definiti da Grunig e Hunt nel 1984, e ho esaminato

l’evoluzione che la disciplina ha avuto grazie all’utilizzo delle nuove

tecnologie. Ritengo che questo capitolo introduttivo alle relazioni

pubbliche sia di fatto la base di partenza per poter capire se le relazioni

pubbliche hanno un ruolo nei processi di pace e quale sia questo ruolo.

Nel secondo capitolo ho analizzato i processi di pace iniziando dalla loro

definizione ed inquadrando storicamente le missioni di pace che a partire

dalla fine degli anni ‘50 del secolo scorso, hanno avuto una parte

9

importante nelle azioni a supporto dei processi e negoziati di pace. Ho

voluto poi analizzare l’importanza che i social media hanno nell’ambito

della comunicazione dei conflitti così come nella comunicazione della

pace, e di quali siano le tecnologie maggiormente usate per promuovere

la pace.

Il terzo capitolo analizza il ruolo importante dell’ONU nel contesto dei

processi di pace, dei negoziati che portano agli accordi finali e alla

creazione di programmi speciali per lo sviluppo di una specifica cultura

della pace tra i popoli attraverso un’azione sui singoli. Ho quindi

analizzato il ruolo dell’UNESCO nella diffusione della cultura della pace

e le sue attività in tal senso a partire dal 1989 quando l’ONU gli ha

chiesto di elaborare una nuova visione della pace basata su valori

universali, fino alle attività presenti.

Il quarto capitolo analizza invece il contributo delle donne ai processi di

pace analizzando le diverse modalità comportamentali e le differenze di

genere. Ho accennato alla Carta delle Nazioni Unite dei diritti delle

donne del 1945 che afferma i diritti ed il ruolo delle donne nei conflitti

armati, alla Risoluzione n. 1325/2000 del Consiglio di Sicurezza

dell’ONU che afferma l’impatto della Guerra sulle donne ma soprattutto

il riconoscimento del contributo che esse danno alla risoluzione dei

conflitti per una pace durevole. Ho passato, pertanto, in rassegna le

caratteristiche che permettono alle donne di esercitare al meglio la

professione delle relazioni pubbliche grazie all’analisi di una tesi di

Laurea dal titolo “Donne e Relazioni Pubbliche: cosa ne pensano gli

iscritti del Triveneto”. Quindi ho voluto esaminare le vicende di due

donne che a mio avviso sono particolarmente significative nell’analisi

dell’uso delle relazioni pubbliche nei processi di pace: Malala Yousafzai,

la studentessa pakistana che, tenendo aperto un blog pubblicato sui

canali della BBC, sosteneva la lotta per il diritto all’istruzione delle donne

pakistane al punto da diventare un nemico pubblico e molto pericoloso

10

per il regime dei talebani; Aung San Suu Kyi cui il regime birmano ha

cercato di spegnere la sua voce di libertà con l’isolamento dal modo per

ben 15 anni. Ambedue sono state simboli di pace e hanno influenzato

l’opinione e i comportamenti di migliaia di persone. Aung San Suu Kyi

ha ricevuto nel 1991 il Premio Nobel per la pace mentre Malala, che è

stata insignita del Nobel per la pace proprio in questi giorni (10 Ottobre

2014) con i suoi 16 anni è la persona più giovane ad aver ricevuto il

Nobel in tutta la storia del premio.

Nel quinto capitolo ho voluto analizzare, se e come le relazioni

pubbliche siano incluse nei processi di pace, attraverso le dirette

esperienze di chi vi ha partecipato nelle fasi diverse. Ho raccolto la

testimonianza diretta di Claudio Betti della Comunità di Sant’Egidio sui

processi di pace in Mozambico, che hanno portato alla firma del trattato

di Pace tutt’ora in essere; ho avuto il grande privilegio di avere il punto di

vista della diplomazia e dell’ONU, grazie al gentile contributo di

Federico Mayor Zaragoza, che dal 1987 al 1999 è stato Direttore

Generale dell’UNESCO, sotto la cui guida il programma sulla Cultura

della Pace richiesto dall’ONU è stato creato; ho ricevuto il parere di chi i

processi di pace li ha vissuti dall’ottica militare, intervistando il Tenente

Colonnello dei Lagunari Giovanni Boggeri, che ha preso parte alle

missioni di pace sotto l’egida dell’ONU in Albania, Kosovo, Bosnia ed

Erzegovina, Montenegro, Afghanistan e Iraq.

Nelle conclusioni ho analizzato i vari contributi cercando di creare una

mappa dell’utilizzo delle modalità delle relazioni pubbliche nel processo

di pace e di come esse sono percepite dai protagonisti che lo realizzano.

11

1. Relazioni pubbliche

1.1. Definizione

La più recente ed accreditata definizione di relazioni pubbliche, frutto di

una consultazione pubblica internazionale promossa nel 2008 da PRSA 1

in collaborazione con Global Alliance 2 dice che: “Public relations is a strategic

communication process that builds mutually beneficial relationships between

organizations and their publics” (Le Relazioni Pubbliche sono un processo

comunicativo strategico che costruisce relazioni reciproche benefiche tra

un’organizzazione e si suoi pubblici). Contiene due novità concettuali

importanti: il riconoscimento delle relazioni pubbliche come processo di

comunicazione strategica e la simmetria della relazione tra

l’organizzazione e i suoi pubblici (FERPI NEWS). 3

È un’attività comunicativa continuativa, consapevole e programmata che

viene attuata per creare sviluppare e/o consolidare relazioni con stakeholder 4

e personalità influenti, che possono agevolare od ostacolare il

raggiungimento degli obiettivi, al fine di instaurare un rapporto di fiducia

e creare una buona reputazione. È la gestione strategica delle relazioni

che esistono fra una organizzazione e i suoi diversi pubblici, attraverso la

comunicazione, per raggiungere la comprensione reciproca, gli obiettivi

1 PRSA: Public Relations Society of America (www.prsa.org).

2 Global Alliance (www.globalalliancepr.org).

3 Giampietro Vecchiato, FERPI NEWS marzo 2012 (www.fe rpi . i t/ferp i/novi ta/

n o t i z i e _ f e r p i / no t i z i e _ f e r p i / c o s a - s ono - l e - r e l a z i o n i - p u bb l i c h e - l a -

nuova-def in iz ione-/not iz ia_ferpi/44026/11) .

4 Stakeholder o “portatori di interesse” (Una persona, un gruppo di persone,

un’organizzazione) sono quei soggetti i cui comportamenti, opinioni, decisioni, possono

favorire, oppure ostacolare l’organizzazione nel raggiungere i propri obiettivi (G.

Vecchiato, Manuale Operativo di Relazioni Pubbliche, FrancoAngeli, Milano, 2008

(pag. 88).

12

organizzativi e servire l’interesse pubblico 5 (Flynn, Gregory & Valin,

2008).

Storicamente La prima definizione è attribuita a Edward Louis Bernays 6,

uno dei padri delle relazioni pubbliche, che nel 1923 nel suo primo

libro ”Crystallizing Public Opinion” 7 e poi in quello più

celebre, ”Propaganda” 8 del 1928, ne parlava come la capacità di

“interpretare la relazione tra l’organizzazione e i suoi pubblici e tra questi

e l’organizzazione”, una modalità per “anticipare gli umori della gente”.

Una storia cominciata nel 1920 quando Bernays scelse di modificare il

nome della sua attività sostituendo il vecchio titolo del suo ufficio da

“Direzione Pubblicitaria” a “Ufficio di Relazioni pubbliche”,

rinominandosi “consulente in relazioni pubbliche”: era la prima volta che

veniva usato quel termine.

1.2. Excursus storico

Le relazioni pubbliche sono sempre state parte integrante della storia

della civiltà fin dalle origini. Come notava acutamente, tra gli altri, Don

5 La Società Canadese di relazioni Pubbliche durante il suo meeting annuale tenutosi a

Vancouver (British Columbia) il 7 giugno 2009, ha introdotto la nuova ufficiale

definizione di Relazioni Pubbliche (www.prconversations.com/index.php/2009/06/

introducing-a-new-maple-infused-definition-of-public-relations).

6Edward Louis Bernays (Vienna 1891 - Cambridge 1995) è stato un pubblicista e

pubblicitario statunitense di origine austriaca fu uno dei primi spin doctor ed è

considerato, assieme a Ivy Lee e a Walter Lippmann, uno dei padri delle moderne

relazioni pubbliche, di cui teorizzò nei primi anni del XX secolo le principali regole

fondanti (it.wikipedia.org/wiki/Edward_Bernays).

7 Edward L. Bernays, Cristallizing Public Opinion, Liveright Publishing Corporation, New

York, 1923.

8 E.L. Bernays, Propaganda, Liveright Publishing Corporation, New York, 1928.

13

Bates nel suo “Mini-me History” 9 (2002), la storia nota può essere letta

come un succedersi di azioni di relazioni pubbliche: infatti, mentre le

società primitive erano governate attraverso la paura e l’intimidazione, le

culture più avanzate si sono invece affidate alle discussioni e al dialogo,

sostituendo nell’esercizio quotidiano della costruzione del consenso, la

forza della parola a quella della spada.

Esempi di relazioni pubbliche ante-litteram possono essere considerati

nelle civiltà antichissime, le immagini, le statue e le riproduzioni di

guerrieri, il cui fine era di promuovere la grandezza, la forza, la potenza

di chi rappresentavano.

Fig. 1.1 - Guerriero assiro

Fig. 1.2 - Bassorilievo assiro-babilonese

9 Dan Bates, Institute of Public relations, “Mini-Me” History, Public relations from the Dawn

of civilization, (2002).

14

I re e i guerrieri di grandi civiltà come quella Sumera o Assira-Babilonese

oltre alle immagini, usavano i poemi per propagandare il loro valore in

guerra e la loro grandezza in politica.

Fig. 1.3 - Codice sumero

Anche la stessa Bibbia o altri testi religiosi, possono essere interpretati

come strumenti potentissimi per plasmare le menti, per creare consenso,

per influenzare le opinioni. Gli insegnamenti di Gesù tradotti nei discorsi

e nelle epistole degli apostoli, divennero uno strumento grandissimo di

influenza e di conversione alla sua fede.

Nella Grecia antica l’uso della parola, scritta e orale fu molto più potente

e significativo che altrove, al punto di diventare un fortissimo strumento

di integrazione sociale. Potremmo rileggere la struttura sociale di Atene

antica, come il prodotto di successo di un’operazione di relazioni

pubbliche, poiché la vita quotidiana, prevedeva discussioni con il

coinvolgimento di tutta la popolazione, sulla condotta della vita pubblica

e di quella economica oltre che, prima realtà nella storia, un sistema

politico democratico basato sulla partecipazione attiva dei cittadini.

15

Fig. 1.4 - La Scuola di Atene, (1509-1510) Raffaello Sanzio

Anche nell’impero romano la forza delle relazioni pubbliche era

notevole, lo si desume da espressioni molto usate come “vox populi, vox

dei”, e “res publicae”.

Il grande Giulio Cesare, ad esempio, capì benissimo l’importanza della

comunicazione pianificata al fine di persuadere benevolmente il pubblico

influente e lo mise in pratica redigendo puntuali rapporti bellici - quali il

DE BELLO GALLICO 10 - che hanno preparato adeguatamente la

platea romana al passaggio del Rubicone nel 49 a. C.

10 De Bello Gallico, scritto tra il 58 e 50 a.C., è sicuramente lo scritto più conosciuto di

Gaio Giulio Cesare, generale, politico e scrittore romano del I secolo a.C. In origine, era

probabilmente intitolato C. Iulii Caesaris commentarii rerum gestarum, mentre il titolo con

cui è oggi noto è un’aggiunta successiva, finalizzata a distinguere questi resoconti da

quelli degli eventi successivi. Cesare visse in prima persona tutte le vicende riguardanti

la conquista della Gallia. Uomo di grande cultura, appassionato di arte e filosofia,

descrisse minuziosamente la sua campagna militare, inserendo nella narrazione molte

curiosità sugli usi e sui costumi delle tribù barbariche con cui veniva a contatto, oltre a

tentare, nello stesso tempo, di difendere il proprio operato. Non si potrà dunque

ritenerla un’opera davvero rigorosa dal punto di vista storico, proprio perché in parte

autobiografica (it.wikipedia.org/wiki/Commentarii_de_bello_Gallico).

16

Fig. 1.5 - Commentarii De Bello Gallico (stampa del 1528).

Alcuni studiosi ritengono che egli abbia scritto il DE BELLO con il

preciso fine di propagandare sé stesso e le sue gesta. Sicuramente Cesare

aveva capito quanto fosse importante mantenere una comunicazione

continua, coordinata e gestita con il suo “pubblico” e lo fece narrando

con cadenza giornaliera le sue vicende, che corrispondevano con quelle

dell’impero romano.

A Giulio Cesare si fa risalire l’origine degli ACTA DIURNA POPULI

ROMANI 11, che furono un resoconto ufficialmente autorizzato degli

eventi importanti accaduti a Roma.

Passando ad epoche più recenti, uno dei maggiori documenti di

comunicazione pubblica del medioevo è identificato nell’Arazzo della

Regina Matilde meglio conosciuto come the Bayeux Tapestry, risalente

alla seconda metà dell’XI secolo. Si tratta di un tessuto ricamato lungo

11 Nell’antica Roma, gli Acta diurna populi romani (succintamente, Acta Diurna) furono un

resoconto ufficialmente autorizzato degli eventi degni di nota accaduti a Roma

(it.wikipedia.org/wiki/Acta_Diurna).

17

circa 14 metri, che descrive per immagini gli avvenimenti più importanti

della conquista normanna dell’Inghilterra.

Ha un valore inestimabile per le informazioni che ci trasmette sulla vita

sociale e militare dell’Inghilterra e della Normandia dell’XI secolo. Può

essere definito come eccelso trattato di comunicazione propagandistica.

Fig. 1.6 - The Bayeux Tapestry (dettaglio).

Un punto di svolta per le modalità comunicative è dato, nel quindicesimo

secolo, dalla diffusione della Bibbia di Gutenberg 12, primo testo

stampato a caratteri mobili e tradotto in tutte le lingue allora conosciute.

Con Gutenberg, si assiste al primo vero fenomeno di pubblica

comunicazione.

La propaganda, (modernamente intesa come il processo informativo

asimmetrico e unidirezionale di cui si avvalgono in casi particolari le

relazioni pubbliche) delle gesta dei re e dei potenti e i tentativi di

influenzare i sudditi senza l’uso di violenza fisica, può essere considerato

come uno tra i primi tentativi di “governo delle relazioni”. Il termine

propaganda ha avuto origine nella Chiesa Cattolica quando, nel XVII

secolo, venne creata la Congregatio de Propaganda Fide 13. Con la creazione

12 Johann Gutenberg (Johann Gensfleisch zur Laden zum Gutenberg) (Magonza, 1394-

1399 circa - Magonza, 3 febbraio 1468) è stato un orafo, inventore e tipografo tedesco,

inventore della stampa caratteri mobili, a cui dobbiamo l’inizio della tecnica della

stampa moderna (it.wikipedia.org/wiki/johann_gutenberg). 13 La Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Congregatio pro gentium

evangelizatione) è una delle nove congregazioni della Curia romana. È il dicastero che ha

18

di questo istituto si ammetteva esplicitamente la necessità di un

intermediario che facilitasse la comunicazione tra il governo e il popolo e

che sapesse gestire e coordinare l’evangelizzazione dei popoli. Niente più

iniziative personali quindi ma un’attività programmata, continuativa,

coordinata e monitorata.

Nel 1789 con la conclusione della Rivoluzione Francese e con

l’emissione della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e dei Cittadini 14, il

diritto di espressione e quello della libertà di pensiero, pilastri fondanti

della moderna comunicazione, sono stati per la prima volta sanciti

pubblicamente nell’art. 11. Ecco il suo contenuto: “La libera comunicazione

dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può

dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa

libertà nei casi determinati dalla Legge”. A sostegno dell’importanza di questo

principio, nel 1792 l’Assemblea Nazionale di Francia decise di instituire,

all’interno del Ministero dell’Interno, il “Bureau d’Esprit” primo ufficio

ministeriale che si occupava ufficialmente di propaganda, sovvenzionava

competenza per tutto quello che riguarda l’attività missionaria: dirige e coordina l’opera

di evangelizzazione dei popoli. Le sue funzioni, in origine, erano attribuite alla

Congregazione de Propaganda Fide, istituita da papa Gregorio XV con la bolla Inscrutabili

Divinae del 22 giugno 1622, che esercitava anche le funzioni oggi attribuite alla

Congregazione per le chiese orientali. Quest’ultima ne venne separata il 1º maggio 1917;

il 15 agosto 1967, con la bolla di Paolo VI Immortalis Dei, ha assunto l’attuale

denominazione (it.wikipedia.org/wiki/Congregazione_per_l’evangelizzazione_dei_popoli).

14 La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 (Déclaration des Droits

de l’Homme et du Citoyen) è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione

francese, contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell’individuo e del

cittadino. È stata emanata il mercoledì 26 agosto del 1789, basandosi sulla

Dichiarazione d’indipendenza americana. Tale documento ha ispirato numerose carte

costituzionali e il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti della

libertà e dignità umana.

19

gli editori e inviava agenti in varie parti della nazione per conquistare il

supporto dell’opinione pubblica a favore della Rivoluzione francese.

Si può affermare che i primi prototipi di relazioni pubbliche si abbiano

quando negli stati s’inizia a suddividere i compiti tra diversi poteri (Re e

parlamento, Potere Giudiziario e Potere Legislativo) che rappresentano

gruppi di portatori di interessi diversi e spesso in disaccordo.

Il XIX secolo vede nascere un primo concetto di relazioni pubbliche che

si realizzava attraverso il rapporto con i giornali e i media dell’epoca,

grazie all’avvento della borghesia e dell’opinione pubblica moderna.

L’accezione moderna di relazioni pubbliche nasce negli Stati Uniti

durante la Rivoluzione americana, quando si scontrarono due grandi

correnti di pensiero, i patrioti guidati dagli aristocratici e i conservatori

sostenuti da commercianti e proprietari terrieri.

La storia più recente delle relazioni pubbliche si può collocare all’inizio

del 1900, quando un grande gruppo di interesse, l’industria pesante

Americana, vede nei giornali e nelle forze organizzate di lavoro, una

minaccia per il proprio predominio e il proprio modello di sviluppo

capitalistico.

Secondo Bernays (1945) ci furono 4 grandi periodi di evoluzione delle

relazioni pubbliche.

Il primo periodo dal 1900 al 1914, si identifica col periodo del

giornalismo scandalistico e della pubblicità il cui obiettivo era dare

un’immagine positiva della vita reale.

Il secondo periodo, va dal 1914 al 1918 ed è caratterizzato dall’azione

dell’esercito americano per cercare di rendere popolare tutto ciò che

aveva per oggetto la guerra che si stava combattendo in Europa e alla

quale l’America stava per partecipare.

Il terzo periodo, dal 1919 al 1929, è caratterizzato dalla grande diffusione

della pubblicità industriale, basata sui medesimi principi e metodi

sperimentati durante il periodo di guerra.

20

Dal 1929 in poi iniziano le vere attività di relazioni pubbliche, che

cercano di miscelare gli interessi privati e le responsabilità pubbliche. 15

In Europa la disciplina delle relazioni pubbliche sbarca a seguito delle

truppe alleate che hanno liberato gli stati occupati durante la seconda

guerra mondiale. Le relazioni pubbliche, come attività distinte dalla

propaganda e dalla pubblicità, arrivano in Italia nell’estate del 1943,

insieme alle truppe alleate che sbarcano in Sicilia. L’Italia è il primo Paese

dell’Asse a cedere agli Alleati e quindi costituisce un interessante terreno

di sperimentazione per identificare le modalità migliori per riannodare le

relazioni con le comunità locali, dopo i tanti bombardamenti e la violenta

occupazione del territorio. Il comando Americano alleato recluta al

proprio interno relatori pubblici di origine italiana, aggiungendo a questi

anche un nucleo di italoamericani ad hoc, esterni all’apparato militare e

selezionati per l’occasione. Alcuni di questi operatori che operavano al

fianco degli Alleati durante la guerra, restano a lavorare per il comando

militare che rimane in Italia anche dopo la fine del conflitto, o anche di

passare al servizio delle prime multinazionali, soprattutto petrolifere

(Mobil, Shell, Esso), che - a Genova più che altrove- riaprono nel nostro

Paese dopo gli anni di esilio obbligato a causa dalla politica autarchica del

regime fascista. A partire dagli anni ‘50, sono quattro i centri che vedono

nascere e sviluppare in Italia la professione delle relazioni pubbliche:

Genova, dove hanno sede le multinazionali petrolifere Esso, Mobil e

Shell oltre all’Iri; Trieste dove a seguito della prolungata l’occupazione

delle truppe alleate, le compagnie marittime e assicurative cittadine

acquisiscono una cultura della comunicazione, Roma dove i primi

professionisti del mestiere imparano lavorando per l’USIS (United States

Information Service), Milano che è il centro finanziario italiano dopo la

ricostruzione economica.

15 Mario Pecchenino - Le Nuove Relazioni Pubbliche, Milano, Carocci Editore, 2013.

21

1.3. Obiettivi

Compito delle relazioni pubbliche è individuare i soggetti, siano essi

singoli o gruppi, che possono aiutare od ostacolare le attività

dell’organizzazione.

Una volta identificati questi soggetti le relazioni pubbliche determinano:

� i messaggi,

� gli strumenti,

� i canali più efficaci per comunicare con i soggetti.

Per fare questo si costruiscono relazioni simmetriche e bidirezionali

basate sul dialogo al fine di includere negli obiettivi perseguiti anche gli

interessi legittimi degli stakeholder (G. Vecchiato).

Elementi fondanti delle relazioni pubbliche sono:

� informare le persone,

� persuadere le persone,

� integrare le persone con altre persone.

Le relazioni pubbliche hanno una funzione strategica e di governance

che si sviluppa con stile imprenditoriale, il cui obiettivo è “creare relazioni

reciprocamente utili fra le organizzazioni e i loro pubblici” in un’ottica di

sostenibilità e di rendicontazione permanente. Le relazioni pubbliche

contribuiscono sostanzialmente nel processo di adattamento all’ambiente

sociale in cui opera un’organizzazione o un singolo e in cui i suoi

stakeholder agiscono, fornendo una visione ragionata dei pubblici di

riferimento, analizzando quali variabili possono essere influenti e

includendo nelle strategie dell’organizzazione, gli interessi pubblici che

sono emersi nell’ambiente sociale analizzato.

Le relazioni pubbliche sostengono i leader nelle decisioni e nella gestione

dei rischi, li aiutano nell’allineamento degli obiettivi ai valori della società

in cui si muove l’organizzazione per cui operano. In questo modo

l’azione delle relazioni pubbliche, fornendo assistenza nella costruzione

22

di comportamenti socialmente responsabili e creando relazioni

vantaggiose, permette che un’organizzazione ottenga legittimazione e

credibilità e si crei una buona reputazione.

1.4. I modelli

James Grunig e Todd Hunt nel 1984 16 hanno riassunto i quattro modelli

di relazioni pubbliche condensando cronologicamente i principi astratti

della loro possibile applicazione:

1. PRESS AGENTRY-PUBBLICITY, comprende quell’attività di

comunicazione che intende raggiungere obiettivi di promozione e

propaganda per ampliare la conoscenza e la fama dell’organizzazione che

l’attiva. Il fine di questo modello è essenzialmente la propaganda. Gli

interlocutori principali sono i giornalisti e l’obiettivo principale è

l’attivazione dell’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa per

rappresentare gli interessi dell’organizzazione o del singolo che l’ha

promossa. In questo modello sono i mass media ad essere utilizzati come

mezzo principale per raggiungere i propri obiettivi. La comunicazione è

ad una via, quindi dall’organizzazione al giornalista. Poca attenzione è

riservata alla veridicità e all’accuratezza delle informazioni diffuse. In

questo modello il rapporto tra l’organizzazione (fonte) e il giornalista

(ricevente) è sbilanciato a favore della fonte che non considera in modo

appropriato quelli che sono i bisogni del giornalista.

2. PUBLIC INFORMATION, ha l’obiettivo di frammentare le

informazioni (veritiere) al giornalista il quale le riprenderà per l’opinione

pubblica. In questo modello la comunicazione si svolge ad una via ma le

informazioni sono corrette e complete. Qui la comunicazione si svolge

16 James Grunig, Todd Hund, “Managing Public Relations”, Ed. Holt, Rinehart and

Winston, 1984.

23

dall’organizzazione al pubblico attraverso il giornalista che ha la funzione

di relatore pubblico, senza attuare azioni di ascolto o feedback. In questo

modello la comunicazione funge da mezzo per la semplice

disseminazione di informazioni.

3. TWO-WAY ASYMMETRIC, si pone come obiettivo la persuasione

scientifica, il cui fine è far accettare il punto di vista dell’organizzazione.

In questo modello si utilizzano le teorie sui comportamenti derivanti

dalle scienze sociali per persuadere i pubblici influenti a sostenere gli

interessi dell’organizzazione. La comunicazione attivata è a due vie, i

pubblici possono dare un feedback, ed è asimmetrica, l’obiettivo della

comunicazione è quello di persuadere i pubblici ad adottare posizioni e

decisioni definite dall’organizzazione. L’attività di ricerca individua le

preferenze del pubblico e ne misura gli atteggiamenti e i comportamenti

prima e dopo l’azione di relazioni pubbliche. È il modello di relazioni

pubbliche a supporto delle attività di marketing.

4. TWO-WAY SIMMETRIC, conosciuto come modello di Grunig. In

questo modello l’obiettivo è la comprensione reciproca tra

l’organizzazione e i suoi pubblici. Qui la comunicazione è a due vie e si

basa sul dialogo, ci si aspetta che le due parti coinvolte, possano

cambiare qualcosa dopo l’intervento di relazioni pubbliche. Si prevede un

influenzamento reciproco tale che sia l’organizzazione che il pubblico

inizi una negoziazione. In questo modello l’ascolto avviene prima che gli

obiettivi siano definiti. Le aspettative dei pubblici influenti sono incluse

negli stessi obiettivi, in modo da contribuire a migliorare la qualità delle

decisioni da prendere e a ridurne i tempi attuativi.

I concetti alla base della formulazione di questi modelli sono:

� direzione,

� scopo della comunicazione.

24

La direzione comunicativa può essere ad una via, quando le informazioni

sono divulgate dall’emittente verso il ricevente oppure a due vie, quando

le informazioni sono scambiate in modo equilibrato.

Nel 1992, J.E. Grunig ha sviluppato la teoria dell’efficacia ed eccellenza

delle relazioni pubbliche mettendo in evidenza le connessioni tra le

migliori pratiche nella gestione e la comunicazione simmetrica a due vie.

Gli ultimi sviluppi nelle nuove tecnologie della comunicazione hanno

spostato le modalità comunicative dall’approccio mass-media uno-a-

molti al più nuovo modello mediato da internet uno-a-uno, uno-a-molti,

molti-a-molti.

1.5. Digital Public Relations

Il cambiamento nel mondo della comunicazione introdotto dal web 2.0 17

e dall’uso massivo dei social network, ha influenzato in maniera

sostanziale anche le relazioni pubbliche al punto da diventarne parte

integrante. Mentre nelle PR tradizionali ci si relaziona con figure di

riferimento del proprio settore di competenza, il più delle volte

giornalisti, sul fronte digitale le cose cambiano e si entra in contatto

semplicemente con le persone, che siano influencer18, community manager, 19

17 Il web 2.0 è un’espressione utilizzata spesso per indicare uno stato dell’evoluzione del

world wide web, rispetto a una condizione precedente. Si indica come web 2.0 l’insieme

di tutte quelle applicazioni online che permettono un elevato livello di interazione tra il

sito web e l’utente come i blog, i forum, le chat, i wiki, le piattaforme di condivisione di

media come Flickr, YouTube, Vimeo, i social network come Facebook, Myspace,

Twitter, Google+, Linkedin, Foursquare, ottenute tipicamente attraverso opportune

tecniche di programmazione Web e relative applicazioni web afferenti al paradigma del

web dinamico in contrapposizione al cosiddetto web statico o web 1.0

(it.wikipedia.org/wiki/web_2.0).

18 Influencer: influente.

25

stakeholder, blogger 20 o giornalisti. Così come cambia l’interlocutore, così

cambia l’approccio per entrare in contatto. È stato quindi teorizzato un

cambio di paradigma nella definizione stessa di PR digitale. Se fino a

poco tempo fa l’acronimo PR era comunemente inteso come Public

Relations, oggi viene meglio espresso - almeno nel settore digital - come

People Relations. 21

Sono proprio le persone, quelle apparentemente comuni, che oggi

diventano “influencer”, sono in grado di generare passaparola in rete con

un amplificato effetto virale e che determinano il nuovo modo di fare

relazioni pubbliche, le nuove forme di conversazione e di conseguenza, il

nuovo modo di comunicare e di comunicarsi.

Le digital PR comprendono tutte quelle attività di marketing per creare

e/o aumentare il numero, e soprattutto l’importanza, delle conversazioni

on-line. L’obiettivo principale è accrescere la reputazione.

Hanno un approccio relazionale, in quanto creano materialmente

relazioni tra il brand e gli utenti, tanto che si parla di buzz marketing 22 e

19 Il community manager (online community manager) è un addetto alla gestione di una

comunità virtuale (detta anche comunità online), con i compiti di progettarne la

struttura e di coordinarne le attività. È una professione legata al web 2.0

(it.wikipedia.org/wiki/Community_manager).

20 Blogger: Il creatore e curator di un blog.

21 Tratto da: www.panorama.it/economia/lavoro/professioni-web-digital-pr.

22 Il buzz marketing, detto anche marketing conversazionale è quell’insieme di operazioni

di marketing non convenzionale volte ad aumentare il numero e il volume delle

conversazioni riguardanti un prodotto o un servizio e, conseguentemente, ad accrescere

la notorietà e la buona reputazione di un brand. Consiste nel dare alle persone motivo

di parlare di un prodotto, servizio, un’iniziativa e nel facilitare le conversazioni attorno a

tale oggetto. Il buzz marketing rappresenta la possibilità di raggiungere nel minor tempo

possibile quello che viene definito “sciame”, cioè un gruppo di utenti omogeneo per

interessi rispetto a un tema o a una categoria di prodotti/servizi. Buzz marketing è,

dunque, la strategia di coloro che, consapevolmente o inconsapevolmente, gratis o a

pagamento, utilizzano il gli strumenti del web (blog, forum, social network) per parlare e far

26

di marketing conversazionale. È una forma moderna di passaparola,

detto in gergo “WOMM” acronimo per Word-of mouth-marketing, ed è

considerato uno strumento estremamente potente. È stimato che il 90%

degli utenti prendano una decisione su un acquisto, fidandosi

principalmente delle opinioni date da persone autorevoli. Il passaparola è

quindi percepito come la forma pubblicitaria ritenuta più credibile dagli

utenti on-line.

Le digital PR sono intese come «insieme di strategie, modalità di relazione

e processi sviluppati nell’ecosistema digitale e indirizzati a nuovi

stakeholder e influencer, attraverso l’utilizzo di nuovi linguaggi, meccanismi

virali, strategie di engagement 23 e politiche di condivisione di contenuti

online.

Gli strumenti attraverso i quali operano le digital PR sono:

� blog, 24

� forum, 25

� social network, 26

parlare di beni, aziende o brand. Elemento centrale del buzz marketing è l’uso del

passaparola (it.wikipedia.org/wiki/buzz_marketing).

23 Strategie di coinvolgimento.

24 Blog: nel gergo di internet, un blog è un particolare tipo di sito web in cui i contenuti

vengono visualizzati in forma cronologica. In genere un blog è gestito da uno o più

blogger che pubblicano, più o meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma

testuale o in forma di post, concetto assimilabile o avvicinabile ad un articolo di

giornale (it.wikipedia.org/wiki/blog).

25 Forum: su internet, luogo virtuale di discussione.

26 Social network: rete sociale. La versione di internet delle reti sociali (social media) è una

delle forme più evolute di comunicazione in rete. La rete delle relazioni sociali che

ciascuno di noi tesse ogni giorno, in maniera più o meno casuale, nei vari ambiti della

nostra vita, si può così “materializzare”, organizzare in una “mappa” consultabile, e

arricchire di nuovi contatti. I principali social network sono: Facebook, MySpace,

Instagram, Twitter, Google+, LinkedIn, Pinterest, Formspring, Bebo, Friendster, Hi5,

27

� testate e riviste on line,

� social media. 27

Ning, Tagged, Meetup, e altri. Tra quelli più usati al mondo vi sono Facebook e Twitter

(it.wikipedia.org/wiki/rete_sociale).

27 Social media: in italiano media sociali, è un termine generico che indica tecnologie e

pratiche online che le persone adottano per condividere contenuti testuali, immagini,

video e audio (it.wikipedia.org/wiki/social_media).

28

29

2. Processi di pace

2.1. Definizione

Con “processo di pace”, si intende un intervento per prevenire l’inizio o

la ripresa di un conflitto violento attraverso la creazione di una pace

sostenibile. Le attività dei processi di pace si concentrano sulle cause o

cause potenziali della violenza, cercano di creare delle aspettative sociali

per una risoluzione pacifica dei conflitti e di stabilizzare politicamente e

sotto il profilo socio-economico la società che ne è afflitta.

Il processo di pace è un concetto globale che comprende la

trasformazione dei conflitti, la giustizia transizionale, la riconciliazione

delle parti, lo sviluppo, e la leadership. Mette in evidenza come la fine di

un conflitto non porti automaticamente alla pace e ad uno sviluppo

sociale ed economico stabile. Il termine Processo di Pace ha acquisito

significato sostanziale attraverso le azioni di organizzazioni come la

Commissione delle Nazioni Unite per il consolidamento della pace (UN

Peacebuilding Commission) o l’Istituto degli Stati Uniti per la Pace (United

States Institute of Peace). Un certo numero di organizzazioni internazionali

descrivono le loro attività in zone di conflitto come peacebuilding. 28

28 Peacebuilding (costruzione della pace): azione che si sviluppa al termine di un conflitto

ed è finalizzata a costruire le condizioni per una pace duratura, anche mediante

interventi economici e di monitoraggio socio-politico sul territorio. Questa operazione

prevede spesso l’organizzazione e la supervisione dei processi elettorali.

30

2.2. Missioni di pace

Nel 1956, durante la crisi di Suez 29, i tentativi di Francia e Inghilterra di

usare la forza per prevenire la nazionalizzazione del Canale di Suez da

parte del Presidente egiziano Nasser, fallirono. Questo fallimento segnò

una svolta nell’indipendenza diplomatica delle potenze europee.

L’atteggiamento ostile e contrapposto di URSS e Stati Uniti obbligò

Francia ed Inghilterra a ritirare le loro truppe e ad accettare lo sviluppo

di una forza militare delle Nazioni Unite (Formigoni 2000:413). Nacque

così la UNEF I 30 la prima forza di emergenza delle Nazioni Unite create

per assicurare e controllare la cessazione delle ostilità e per servire da

cuscinetto tra le forze egiziane e quelle israeliane.

UNEF I fu il primo intervento armato delle Nazioni Unite e fu anche il

primo ad essere definito “Missione di pace” (peace-keeping). Fu un

intervento di successo e quindi stabilì una serie di principi usati come

linee guida nei successivi interventi di mantenimento della pace. A partire

dalla fine degli anni ‘80 il numero delle missioni di Pace è aumentato in

modo considerevole.

Il concetto di Intervento civile di pace, ispirato alla visione gandhiana

dell’azione non violenta come strumento di trasformazione dei conflitti,

si sviluppa particolarmente dall’inizio di quegli anni. A seguito delle

guerre in ex-Jugoslavia, nel 1995 l’europarlamentare Alex Langer

29 La crisi di Suez fu un conflitto che nel 1956 vide l’Egitto opporsi all’occupazione

militare del canale di Suez da parte di Francia Regno Unito ed Israele. La crisi si

concluse quando l’URSS minacciò di intervenire al fianco dell’Egitto e gli Stati Uniti,

temendo l’allargamento del conflitto, costrinsero inglesi, francesi ed israeliani al ritiro.

Per la prima volta USA e URSS si accordarono per garantire la pace

(it.wikipedia.org/wiki/crisi_di_suez).

30 w w w . u n . o r g / e n / p e a c e k e e p i n g / m i s s i o n s / p a s t / u n e f i . h t m ;

i t . w i k i p e d i a . o r g / w i k i / f o r z a _ d i _ e m e r g e n z a _ d e l l e _ n a z i o n i

_ u n i t e .

31

propone l’istituzione di un Corpo civile di pace europeo, concepito come

team di specialisti capaci di intervenire in fase di prevenzione, gestione e

risoluzione del conflitto, con azioni “generatrici di pace”, finalizzate alla

mediazione, alla promozione della fiducia fra le parti, all’assistenza

umanitaria, alla re-integrazione di combattenti (specie mediante disarmo

e smobilitazione), alla riabilitazione nonché alla ricostruzione ed alla

promozione dei diritti umani.

Ampio riconoscimento del ruolo dei civili nell’azione “sui” e “nei”

conflitti internazionali viene garantito anche dalle Nazioni Unite. Con

l’Agenda per la pace 31 del Segretario Generale Boutros Boutros Ghali 32

del 1992, le Nazioni Unite hanno introdotto le categorie e le professioni

31 Nel 1992, Boutros Boutrous-Ghali, Segretario Generale delle Nazioni Unite, nel

documento denominato Agenda per la pace, affronta in maniera organica i temi della

diplomazia preventiva, della pacificazione e del mantenimento della pace, e infine quello

della costruzione della pace dopo un conflitto. Il documento fornisce una prima

definizione dei termini utilizzati.

Diplomazia preventiva è l’azione per prevenire la nascita di dispute tra le parti, per

impedire che dispute esistenti degenerino in conflitti e per limitare l’estensione di questi

ultimi quando essi si verificano.

Pacificazione è l’azione per condurre le parti ostili all’accordo, essenzialmente attraverso

mezzi pacifici come quelli contemplati nel Capitolo VI dello Statuto delle Nazioni

Unite.

Mantenimento della pace è il dispiegamento di una presenza delle Nazioni Unite sul

campo, previo consenso di tutte le parti interessate, che normalmente implica personale

militare e/o di polizia e spesso anche civili. Il mantenimento della pace è una tecnica

che aumenta le possibilità sia per la prevenzione del conflitto che per la creazione della

pace.

Costruzione della pace dopo il conflitto, è l’azione volta a individuare e appoggiare le

strutture che tenderanno a rafforzare e consolidare la pace al fine di evitare una ricaduta

nel conflitto (www.conflittidimenticati.it/cd/a/14779.html).

32 Boutros Boutros-Ghali, diplomatico egiziano (1922) è stato Segretario Generale delle

Nazioni Unite dal 1992 al 1996 (en.wikipedia.org/wiki/boutros_boutros-ghali).

32

di peacekeeping 33, peacemaking 34 e peacebuilding 35, nelle quali i civili sono

equiparati formalmente ai militari pur mantenendo un ambito proprio di

azione.

2.3. Funzione dei social media nei processi di pace

Tra le nuove generazioni si fa ormai un grande uso del termine social

innovation, riferendosi a quel tipo di progresso che affronta bisogni

sociali creando soluzioni basate sulla collaborazione. Una forma di

innovazione che tocca idee, prodotti e servizi con l’obiettivo di disegnare

una realtà che sappia ascoltare e far vivere meglio. Geoff Mulgan, nel

libro “Social innovation” (Egea), 36 parla di “progetti capaci di risolvere i bisogni

della contemporaneità, attraverso la partecipazione sociale”.

L’uso degli smartphone e dei social network permettono un approccio molto

più dinamico nei processi di pace, rispetto a quanto è stato possibile fare

finora con i media tradizionali. È ormai assodata l’importanza delle

organizzazioni non governative nei processi di pace, sottolineando come

le organizzazioni non governative (ONG) dispongano di tutti gli

strumenti necessari per lavorare sull’opinione pubblica, condizione

indispensabile per il raggiungimento di soluzioni politiche, ma anche

l’emergere di nuove forme di contatto come blog, micro-blog, social network

ben noti come Facebook e Twitter, Skype e altri strumenti web, sono

33 Peacekeeping: operazioni di mantenimento della pace (it.wikipedia.org/wiki/peacekeeping).

34 Peacemaking: processo di pacificazione (en.wikipedia.org/wiki/peacemaking).

35 Peacebuilding: (in italiano letteralmente “consolidamento della pace”) è un termine

usato all’interno della comunità internazionale per descrivere quei processi e quelle

attività coinvolte nella risoluzione dei conflitti armati al fine di stabilire una pace

sostenibile e assicurare la protezione di diritti umani fondamentali

(it.wikipedia.org/wiki/peacebuilding).

36 Mulgan Geoff, Social innovation, Milano, Egea, 2013.

33

diventati una finestra su un mondo altrimenti inaccessibile.

All’improvviso, è diventato possibile (ri)trovare su Facebook vecchi e

nuovi amici, chattare su Skype nonostante le frontiere chiuse e,

soprattutto, esprimere sostegno, comprensione e apertura verso “l’altra”

parte del mondo senza attendere l’autorizzazione dei governi locali. In

effetti, la crescente popolarità di questi strumenti ha spinto molti

organizzatori di incontri bilaterali a inserire i nuovi media nei loro

momenti di formazione.

Senza dubbio, la penetrazione di internet resta bassa in alcuni paesi ma,

con il calare dei costi e con l’aumentare della velocità, non c’è dubbio che

il mondo della comunicazione online e mobile diventerà con ogni

probabilità, uno strumento importante nelle mani della società civile e

degli attivisti politici.

“I blog raggiungono una platea specifica, non altrimenti raggiungibile da attivisti

indipendenti che non hanno risorse e tanto meno aiuti da parte del governo”, sostiene

Anna Dolidze, avvocatessa e scrittrice georgiana che si batte per il

rispetto dei diritti umani nel Caucaso. “Il loro impatto nel fornire informazioni

alternative è significativo, tanto che io penso che in quei Paesi in cui il governo

controlla i media più influenti, come la TV e la radio, questo possa essere uno

strumento efficace e a costo molto basso, fondamentale per diffondere informazioni”. 37

Eppure, nonostante i rischi, la crescente popolarità di siti come

Facebook e di altri strumenti per esprimere le proprie opinioni, come i

blog, offre nuove potenzialità ai social media e altri strumenti online per

riempire il vuoto di informazione. Benché questi strumenti non siano in

sé sufficienti a raggiungere il fine, potrebbero avere un potenziale

significativo come parte integrante di altre iniziative più tradizionali per

la trasformazione, gestione e risoluzione dei conflitti.

“Questi nuovi strumenti possono essere impiegati per fomentare la violenza così come

per promuovere la pace”, ha scritto Ivan Sigal, direttore di Global Voices

37 www.balcanicaucaso.org/aree/armenia/web-2.0-e-rivoluzioni-45650.

34

Online, in una ricerca (“Digital media in conflict-prone societies”) 38

redatta per il Centro per l’assistenza internazionale ai media (CIMA).

“Tuttavia è possibile creare sistemi di comunicazione che incoraggino il dialogo e le

soluzioni politiche non violente”, ha aggiunto l’ex ricercatore sui media civici

presso l’Istituto per la pace statunitense.

Micael Bogar, project manager al Centro per i social media dell’American

University 39 concorda, ma sostiene che molti di quanti lavorano nel

campo della risoluzione dei conflitti, continuano a non essere interessati

ad utilizzare strumenti a basso costo o a costo zero, neppure se questi si

dimostrassero più efficaci di ciò che esiste attualmente. E, dato che i

finanziatori internazionali non sono generalmente interessati ad iniziative

a basso costo, le ONG possono anche ricevere sovvenzioni maggiori per

attività che risultano essere poco efficaci o insostenibili.

Ciò nonostante, i soggetti consapevoli che costruire la fiducia e creare

amicizie sono processi che devono avvenire su base regolare, possono

usare strumenti come Facebook e Skype per evitare linee telefoniche

intercettate, attraversare i confini dei cessate il fuoco e le frontiere chiuse,

prima e specialmente dopo, gli incontri veri e propri.

La Bogar è comunque cauta, ritenendo che gran parte della società civile

attualmente impegnata nelle iniziative di peace building non prenda

seriamente questo lavoro. Coloro che davvero lavorano per costruire la

pace hanno un carattere radicale, diverso dagli altri, sostiene. “Io penso

che quando in un attivista o in un operatore per la risoluzione dei

conflitti sono presenti questi elementi fondamentali, la naturale

conseguenza è quella di entrare nei social media”, sostiene la Bogar.

“Quanto a quelli che non li utilizzano, o sono più vecchi e inconsapevoli

della loro esistenza, oppure semplicemente non sono interessati ad

38 Ivan Sigal, in “Digital Media in Conflict-Prone Societies”, (CIMA).

39 Micael Bogar (www.american.edu/profiles/staff/bogar.cfm).

35

utilizzare strumenti a basso costo quando possono ricevere grandi

sovvenzioni continuando a fare quello che fanno”.

Sul tema è intervenuta anche l’Università degli Studi di Udine, che ha

condotto innumerevoli studi transfrontalieri sulle reti sociali di Facebook

all’interno dei paesi dell’ex Jugoslavia, basati sulla seguente ipotesi di

ricerca: l’utilizzo di queste forme di comunicazione influenzano un

maggiore senso di vicinanza, amicizia, fiducia e solidarietà tra le persone

(condizioni necessarie per i processi di peace building)?

Come sostenuto nell’articolo di Valentina Bernardinis e Nicolo Strizzolo 40 le basi della ricerca risiedono in diverse esperienze riportate dalla

letteratura sull’argomento.

“Una fra le altre è l’utilizzo delle ICT per l’appianamento dei dissidi con videogiochi

che impegnino gli studenti in negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi (Burak,

Keylor and Sweeney, 2005)

Anche i videogiochi quindi possono coadiuvare interventi per la risoluzione e la

gestione dei conflitti, anche all’interno di contesti educativi (Veletsianos, Eliadou,

2009): la variabile determinante non è la tecnologia in questi casi ma le opportunità

che la tecnologia offre combinata a determinate pedagogie. Diventa pertanto

determinante conoscere e sviluppare questa combinazione di opportunità tecnologia e

pedagogie che le sfruttino al meglio.

In altri casi si sono utilizzati invece “warblog” 41 e “peaceblog” 42 per far comprendere

agli studenti le dinamiche di base per la pace, sono costituite dalla socializzazione che

avviene all’interno d’interazioni tra persone di diversa estrazione e cultura; pertanto, le

tecnologie Web 2.0 possono alimentare forme di comunicazione e collaborazione,

struttura base dei processi di peace building (Veletsianos, Kleanthous, 2009).”

40 www.agendadig i ta le .eu/competenze-digitali/1021_il-ruolo-dei-social-media-

nei-processi-di-pace-casi-di-studio.htm.

41 Termine coniato da Matt Welch, giornalista e blogger americano

(mattwelch.com/warblog.html).

42 www.thepeaceblog.org; peaceblog.wordpress.com/; powerfulpeace.wordpress.com/;

peacetour.org/blog; preschoolersandpeace.com/blog.

36

L’esperienza del Laboratorio Internazionale della Comunicazione

(Università di Udine e Università degli Studi Cattolica del Sacro Cuore 43), fondato a Roma dall’Università Cattolica nel 1963, inizialmente con la

denominazione Corsi estivi di lingua e cultura italiana, poi trasformata,

nel 1980, in Laboratorio internazionale della comunicazione, si è

dimostrata una tra le maggiormente significative nell’ambito di questi

studi.

Il Laboratorio è condotto in collaborazione con l’Università Cattolica di

Milano e l’Università di Udine che, concordemente, la sponsorizzano. Le

istituzioni a supporto sono la regione Friuli - Venezia Giulia, il Comune

di Gemona, la provincia di Udine e la fondazione Crup. Il Laboratorio,

che per l’originalità della sua impostazione si è affermato, a livello

internazionale, come uno dei più prestigiosi corsi estivi di lingua e cultura

italiana, si rivolge a giovani studiosi, artisti, professionisti nel campo della

comunicazione letteraria, cinematografica, teatrale, giornalistica e delle

arti figurative, buoni praticanti della lingua italiana e si mostrano

interessati ad aggiornarsi sulla realtà italiana contemporanea (lingua,

letteratura, storia, arte, scienze, sociologia, politica, musica, teatro,

cinema, costume).

Molti partecipanti al Laboratorio delle scorse edizioni si distinguono oggi

in ruoli chiave - nei rispettivi paesi - nella diffusione della cultura italiana

nelle università, negli istituti italiani di cultura, nei centri media. Altri

sono artisti, altri ancora hanno un ruolo nelle istituzioni pubbliche o nelle

aziende che hanno relazioni economiche con l’Italia.

Tra gli obiettivi del Laboratorio, infine, ci sono anche le relazioni

interculturali che si instaurano tra giovani e meno giovani che andranno a

occupare o già occupano ruoli da intellettuali nella classe dirigente dei

Paesi coinvolti, relazioni rese da alcuni anni ancora più intense dalle

piattaforme social che il Laboratorio utilizza (Facebook e Twitter).

43 www.labonline.it.

37

Bernardinis e Strizzolo riportano che, “sempre Veletsianos, Kleanthous,

(2009), in un’approfondita ricostruzione della letteratura scientifica sull’argomento,

individua le tecnologie che sono state maggiormente usate per promuovere la pace:

- ‘Learning Management Systems’ (LMS) o ‘Virtual Learning Environments’

(VLEs);

- il web 2.0 con blog;

- wikis, social networking online;

- siti per la condivisione di video.

Altri fonti indicano la mail, la videoconferenze e telefoni cellulari per la condivisione

di informazioni e comunicazioni orientate alla comprensione reciproca.” 44

Interessante la citazione degli autori nei confronti di un’altra esperienza

di costruzione di pace attraverso le ICT e cioè il ruolo della piattaforma

“Peace Revolution” 45. Rivoluzione Pace si sforza infatti di portare la

pace nel mondo, sostenendo le persone a trovare la pace interiore e la

condivisione della pace con le loro famiglie, amici e comunità, da qui lo

slogan PIPO o pace In, pace Out. Quindi, al fine di cambiare il mondo,

dobbiamo cominciare dal cambiare noi stessi. L’approccio unico che

distingue Rivoluzione Pace da altre iniziative di pace è l’inclusione di tre

componenti che supportano lo sviluppo personale dei loro membri

denominati Aka Rebels Pace. Essi coltivano la pace interiore attraverso la

meditazione, partecipando a un programma di auto-sviluppo in linea,

aderendo ad un training di pace faccia-a-faccia interna in diverse parti del

mondo, ad esempio con i bambini dei campi profughi in Africa, unendo

l’organizzazione di speciali attività on-line di pace interiore “Special Ops”

e diffondendo il concetto di Pace In Peace Out organizzando attività

PIPO.

44 Cfr. nota n. 40.

45 peacerevolution.net.

38

Altrettanto significativa da citare è anche l’attività della piattaforma

“Everyday rebellion.” 46

Infine aggiungono: “pare inoltre dimostrato che il social networking sia

fondamentale per il reinserimento di ex combattenti nella vita civile e in quella

lavorativa. Su queste basi, il “World Bank’s Transitional Demobilization and

Reintegration Program” (TDRP) sta sponsorizzando un progetto sull’utilizzo delle

ICT per le peace buiding, ma a parte le premesse, non vengono offerte ancora

validazioni scientifiche degli output di questo percorso (Lamb, 2013).

Una ricerca della Georgia Tech sta portando i suoi frutti attraverso il software

“Aggie” che aggrega e analizza in tempo reale flussi multipli di diversi social media e

blog contemporaneamente. Gestisce grandi volumi di informazioni che estraggono in

tempo reale parole chiave, analizza il contenuto e valuta l’incidenza monitorando gli

argomenti (Best, 2013).

Il sistema venne testato nelle elezioni del 2011 in Nigeria. Arrivato il momento delle

urne, il software, che in tempo reale tagga e registra i report dei ballottaggi e le

eventuali irregolarità nelle elezioni segnalando i casi di frode, aveva ignorato i segnali

dei primi focolai di violenza (seguiti da violente sommosse con numerosi feriti e morti).

È stato così che il software - riconfigurato - oggi ha anche il compito di evidenziare

violenze nei flussi di discorso nel web. Questo ha permesso di inviare forze di sicurezza

lì dove provenivano sintomi di violenza e sospetti di frodi elettorali in maniera da

prevenire disordini ma anche di garantire elezioni trasparenti e democratiche. I

progettisti del sistema credono che usando il software “Aggie” si possano rendere

servizi di monitoraggio e di trasparenza in tempo reale alle elezioni, attenuando i

flussi di violenza e garantendo così un sostegno importante ai paesi in cerca di pace e

democrazia”.

46 www.everydayrebellion.net.

39

3. L’ONU e la cultura della pace

3.1. Nascita della cultura della pace

La Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace, adottata 47

dall’Assemblea General delle Nazioni Unite, il 12 novembre 1984

durante la 57a Seduta plenaria, sottolinea che: “per garantire l’esercizio del

diritto dei popoli alla pace, è indispensabile che la politica degli stati tenda alla

eliminazione delle minacce di guerra, all’abbandono del ricorso alla forza nelle

relazioni internazionali e alla composizione pacifica delle controversie internazionali

sulla base dello Statuto delle Nazioni Unite”.

Storicamente il concetto di Cultura di Pace, viene formulato o meglio,

istituzionalizzato, per la prima volta nel 1989 al Congresso Internazionale

ONU sulla Pace in Costa d’Avorio. Il Congresso raccomandò

all’UNESCO 48 di lavorare per costruire una nuova visione della pace

basata sui valori universali di rispetto per la vita, di libertà, di giustizia, di

solidarietà, di tolleranza, dei diritti umani e dell’uguaglianza tra uomo e

donna. Secondo l’ONU, per creare una cultura di pace, si deve agire su

due livelli: a livello politico statuale ed a livello culturale e quindi

soggettivo personale.

Questa iniziativa nasce in un contesto internazionale influenzato dalla

caduta del muro di Berlino e dalla conseguente scomparsa delle tensioni

legate alla guerra fredda.

Nel 1994 si tiene il primo Forum Internazionale sulla cultura di pace in

San Salvador. L’anno dopo, la 28a Conferenza Generale dell’UNESCO

introduce il concetto di cultura della pace per il quinquennio 1996-2001,

durante il quale viene sviluppato il progetto “Towards a Culture of

47 it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_sul_diritto_dei_popoli_alla_pace.

48 Agenzia delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, fondata nel

1948 ha sede a Parigi.

40

Peace” (Verso una cultura di pace). Organizzazioni non governative,

associazioni, giovani e adulti, media nazionali, locali e leader religiosi

attivi per la pace la nonviolenza e la tolleranza, si impegnarono nel

diffondere in tutto il mondo una Cultura di Pace attraverso l’educazione,

la scienza, la cultura e la collaborazione tra le nazioni. Dove c’è cultura

diffusa c’è rispetto universale per la giustizia, la legge, i diritti dell’uomo e le

libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione,

come la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli.

Nel 1997 tutti i premi Nobel per la pace sottoscrivono, su proposta di

Mairead Corrigan-Maguirre (Irlanda del Nord, 1976) e Adolfo Perez

Esquivel (Argentina, 1980), i membri dell’IFOR (International fellowship of

reconciliation) un appello all’ONU per istituire un anno internazionale per

una cultura di pace. L’appello viene sostenuto anche da numerose

eminenti personalità e organizzazioni. Lo stesso anno l’Assemblea

generale delle Nazioni Unite proclama l’anno 2000 «Anno internazionale

per la cultura di pace». L’UNESCO viene subito incaricata di diffondere

un manifesto in cui si chiede alle persone di sottoscrivere alcuni impegni

concreti riguardo una cultura di pace. Questo manifesto viene

sottoscritto, nel corso del 2000, da 65 milioni di persone in tutto il

mondo pari a un cinquantesimo dell’intera popolazione mondiale.

Il 10 novembre 1998 l’Assemblea generale dell’ONU, con la Risoluzione

n. 53/25 49, ha proclamato il periodo 2001-2010 “Decennio

internazionale della promozione di una cultura della nonviolenza e della

pace a beneficio dei bambini del mondo”, e il 6 novembre 1999 con la

Risoluzione n. 53/25 ha emesso la “Dichiarazione e programma sulla

cultura della pace.” 50

49 www.unesco.org/cpp/uk/declarations/2000.htm.

50 decade-culture-of-peace.org/resolutions/resa-53-243b.html.

41

Fig. 3.1 - Simbolo della cultura della Pace

3.2. L’UNESCO e la cultura della pace

“Dato che è nella mente degli uomini che si prepara la guerra, è nella mente degli

uomini che la pace deve essere costruita”. (UNESCO Costitution 1948). 51

Questo è il preambolo della Costituzione dell’UNESCO -

Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la

cultura - unica agenzia delle Nazioni Unite ad avere, nel suo atto

costitutivo, un mandato sulla costruzione e sulla difesa della Pace.

Per l’UNESCO la pace è molto più che il risultato di trattati tra governi o

di accordi tra persone potenti: la pace risulta dal modo in cui un popolo

si relaziona con un altro popolo, nel rispetto dei reciproci diritti e doveri

riconosciuti dalla comunità internazionale. Non è quindi la forma di

governo che garantisce la pace né tanto meno un insieme di trattati o

accordi internazionali. La pace è garantita solo ed esclusivamente dal

comportamento e dalle scelte degli individui che insieme costituiscono il

51 portal.unesco.org/en/ev.php-rl_id=15244&url_do=do_topic&url_section=201.html.

42

comportamento e le scelte di un popolo. Non basta relegare agli attori

statuali la salvaguardia della Pace. Serve agire sugli individui per una

cultura diffusa che affronti non solo i conflitti tra Stati o all’interno degli

stessi ma il conflitto in sé come componente del vivere umano.

L’aggressività e il conflitto sono componenti costitutive di un continuo

processo di individuazione e socializzazione, cognitivo e affettivo allo

stesso tempo. Le forme di elaborazione del conflitto possono portare ad

esiti cooperativi o antagonistici. La loro affermazione ed il loro

consolidamento istituzionale prendono le forme della mutualità del

dialogo e della guerra.

La Risoluzione n. 50/173 delle Nazioni Unite 52 (27 febbraio 1996)

richiede all’UNESCO di redigere un rapporto sulla promozione

dell’educazione alla pace, ai diritti umani, alla cooperazione

internazionale e alla tolleranza, rapporto che viene consegnato al

Segretario delle Nazioni Unite all’inizio del 1997. 53

3.2.1. “The International Decade for a Culture of Peace”

Come già accennato sopra, la decade 2001-2010 è stata dichiarata

dall’ONU “The International Decade for a Culture of Peace and Non-

Violence for the Children of the World”. 54 Due gli aspetti enfatizzati: le

attività di educazione alla pace per i bambini e la costruzione di una

strategia organizzativa mettendo in rilievo l’importanza delle partnership

e delle nuove tecnologie informatiche.

52 www.un.org/documents/ga/res/50/a50r173.htm.

53 “Report on educational activities in the framework of the UNESCO transdisciplinary project

entitled Towards a culture of peace” (www.un.org/documents/ga/docs/51/plenary/a51-

395.htm).

54 www3.unesco.org/iycp/uk/uk_sum_decade.htm.

43

L’UNESCO come agenzia leader per la Cultura della Pace per la Decade

2001-2010, intensifica e mobilizza gli sforzi sulla cultura della Pace a

livello nazionale non solo attraverso canali istituzionali quali le

Commissioni Nazionali degli Stati di appartenenza ma soprattutto

attraverso il coinvolgimento nelle proprie attività di Organizzazioni non

governative.

Molte le attività svolte durante la decade 2001-2010 a sostegno della

Cultura della Pace, segnalo quelle che a mio avviso hanno utilizzato

maggiormente modalità afferenti alla disciplina delle Relazioni Pubbliche,

ponendo in rilevanza, la conoscenza reciproca, l’ascolto, il dialogo

partecipativo, la comunicazione bidirezionale, i comunicati, le

pubblicazioni, gli eventi, l’uso del web e delle nuove tecnologie.

a) Educazione alla non violenza 55

Le attività educative volte all’uso della non violenza, sono state

principalmente attuate attraverso un programma di training sulla

mediazione e sulla risoluzione dei conflitti in modo non aggressivo.

Questi training sono stati realizzati soprattutto in Europa dell’est, nel

medio oriente e in Africa dal 1996 al 2010. Hanno contribuito alla

formazione dei mediatori di pace con training sul dialogo partecipativo,

ascolto degli stakeholder influenti, meeting e contatti diretti con le

autorità nazionali. Programmi specifici per i bambini in età scolare,

prevedevano giochi sulla costruzione della pace i cui risultati venivano

postati su specifici website. Il volume “Best practice on Conflict Resolution in

and out of School” 56 è stato pubblicato con i contributi delle associazioni,

insegnanti, educatori alla pace ed è stato incluso in un kit di educazione

alla non violenza utilizzato da insegnanti e trainers.

55 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-peace-and-

non-violence.

56 unesdoc.unesco.org/images/0012/001266/126679e.pdf.

44

b) Premio UNESCO per l’Educazione alla pace (1981-2009) 57

Questo riconoscimento è stato assegnato ad individui, organizzazioni o

gruppi la cui azione in favore della promozione e, in particolar modo,

modo dell’educazione alla Pace fosse riconosciuta internazionalmente.

Trai i vari premiati ricordiamo Madre Teresa di Calcutta (1992),

l’Associazione delle Madri della Plaza de Mayo, Argentina, (1999), la

Città Scuola Montessori, India (2002).

La modalità dell’evento-Premio internazionale è stata scelta in questo

caso dall’UNESCO per creare consenso e accrescere consapevolezza tra

i propri partner e stakeholder scegliendo dei soggetti che attraverso il

loro vissuto rappresentavano dei simboli di Pace.

c) Premio UNESCO Città per la pace (1996- 2005) 58

Questo Premio si è principalmente orientato verso quelle città in cui

venivano applicate iniziative di rafforzamento della coesione sociale,

nelle quali si miglioravano le condizioni di vita delle periferie svantaggiate

e che sviluppavano un costruttivo dialogo interculturale, elementi

necessari per lo sviluppo di un armonioso ambiente urbano.

Il Premio è stato cancellato nell’anno 2005.

d) “Community Radio”

Questo programma dell’UNESCO intendeva sostenere a livello locale lo

sviluppo della comunità dei media, dando a gruppi sociali isolati o

svantaggiati la possibilità di partecipare al miglioramento di strategie e

progetti che promuovessero il dialogo e rafforzassero le singole

esperienze. Il progetto, che prevedeva l’utilizzo di stazioni radio in

abbinamento all’accesso ad internet, permetteva di superare le barriere

linguistiche e la mancanza di infrastrutture nelle comunità rurali,

57 unipd-centrodirittiumani.it/it/news/premio-unesco-per-leducazione-alla-pace-2008/1085.

58 portal.unesco.org/culture/en/ev.php-url_id=2477&url_do=do_topic&url_section=201.html.

45

fornendo risposte alle interrogazioni dirette degli ascoltatori e la

possibilità di condividere informazioni e conoscenze.

e) Supporto alla comunicazione partecipativa e al libero flusso di

informazioni e conoscenza.

Con questo obiettivo l’UNESCO ha attivato una serie di azioni a

supporto dei media indipendenti nella promozione della cultura della

pace. Un esempio per tutti: il programma “UNESCO SOS MEDIA”, 59

attivato nei paesi dell’ex Jugoslavia. Durante la guerra in Bosnia-

Erzegovina e dopo la sua conclusione, attraverso questo programma

sono stati sostenuti concretamente, con finanziamenti e strumentazione,

i media indipendenti che operavano per garantire l’informazione durante

il periodo bellico. L’UNESCO ha contribuito alla creazione delle

condizioni per la libertà di stampa durante il periodo di transizione di

quei paesi.

Per comunicare queste attività sono stati utilizzati prevalentemente i

media classici in modo particolare si è fatto uso di comunicati stampa,

articoli sui quotidiani o stampa specializzata, postati sui siti web

istituzionali, diffusi via radio.

3.2.2. 2010-2014: il presente

Le diverse politiche operative dell’Organizzazione dovute

all’avvicendamento dei Direttori Generali e la crisi economica che dal

2008 ne condiziona le attività, hanno cambiato gli orientamenti dei suoi

programmi nell’ambito della cultura della pace. Se fino a metà degli anni

2000 la Cultura della Pace in tutte le sue declinazioni, era una priorità nei

59 www.unesco.org/webworld/fed/temp/communication_democracy/assist_new.htm.

46

programmi UNESCO, gli ultimi periodi (dal 2008 ad oggi) hanno visto

un differente coinvolgimento nei confronti di questo argomento.

Le attività che l’UNESCO attualmente implementa a sostegno della

cultura della pace rientrano in un programma denominato “Culture of

Peace and non Violence”. 60

Al fine di promuovere le condizioni perché la pace possa essere una

realtà tangibile per tutti, l’UNESCO ha stabilito un nuovo programma

per migliorare una cultura di pace e non-violenza a livello globale,

regionale, nazionale e locale, che persegue i seguente risultati:

� principi fondamentali della pace universalmente condivisi da

assegnare da culture diverse, grazie ad un dialogo autentico e integrato

nelle politiche pubbliche;

� la tensione tra universalità e particolarismo, identità culturali e la

cittadinanza in un mondo globalizzato analizzato e meglio compreso;

� la pace di tutti i giorni per essere concepito come esperienza di vita

quotidiana, non solo nei periodi di conflitto, ma anche in tempi

normali.

Tre sono gli obiettivi principali che vengono perseguiti: 61

1. sviluppare un nuovo approccio politico, concettuale e programmatica

a favore di un forte impegno da parte degli Stati e della società civile a

coltivare “la pace di tutti i giorni” che coinvolge donne e dei giovani,

(es: attraverso le nuove tecnologie e social media);

2. migliorare la comprensione globale del mondo e decostruire le idee

preconcette, ponendo l’accento sul futuro come aspirazione

umanistica (es: attraverso la definizione di linee guida per un

programma globale su valori condivisi);

60 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-peace-

and-non-violence.

61 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-peace-

and-non-violence/main-areas-of-action.

47

3. promuovere un movimento globale in favore degli ideali e la pratica di

una cultura di pace e non-violenza con particolare attenzione ai

giovani l’impegno civico e la partecipazione democratica (es: con la

creazione di “poli di pace”).

Tra i programmi attualmente sviluppati si ricordano:

� PeacEducation - Educazione alla pace. 62 Vengono approfondite e

sviluppate nelle scuole attività di educazione alla Pace alla prevenzione

dei conflitti e alla convivenza. Queste attività sono sviluppate in

Africa, in Asia e Medio Oriente, in America latina e nei Caraibi.

Queste attività prevedono oltre all’aspetto educativo, l’attività

partecipativa dei ragazzi ad eventi quali mostre, dialoghi tra

rappresentanti di diverse culture, l’ascolto partecipativo.

� Communicating Peace 63 - I mezzi di comunicazione quali strumenti per

rafforzare l’atteggiamento di Pace e non violenza. L’UNESCO

sostiene e promuove il ruolo positivo che i media, sia tradizionali che

nuovi media, hanno nella cultura della pace e la loro capacità di

aiutare le comunità a convivere nelle loro differenze in armonia. A

questo scopo sono stati sviluppati dei progetti sui media e sulla

letteratura dell’informazione ad uso dei professionisti della

comunicazione e delle relative comunità di stakeholder, per opporsi

gli appelli alla violenza e alla diffusione dei conflitti in quelle aree del

pianeta maggiormente a rischio (Sud Sudan, Uganda, Cile).

� New Citizenship for Young Women and Men 64 - Nuove Cittadinanze per

Giovani, Uomini e Donne.

62 www.unescobkk.org/news/article/dialogue-on-peace-and-education-reform-in-myanmar.

63 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-

peace-and-non-violence/main-areas-of-action/communicating-peace.

64 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-

peace-and-non-violence/main-areas-of-action/new-citizenship-for-young-women-and-

men.

48

� Il programma di azione per “La cultura della pace e non violenza”

enfatizza la situazione di donne e giovani, che sono colpiti in modo

sproporzionato dai conflitti e dalla crisi globale quando invece

dovrebbero essere attori principali di una cultura della pace. Questo

programma dell’UNESCO ritiene quindi che donne e giovani

debbano essere provvisti di conoscenza, competenze e informazioni

necessarie per essere all’altezza delle trasformazioni sociali, etiche,

politiche, ambientali. Questo programma è attivo negli stati arabi, in

medio oriente, in America latina e in Africa. Si tratta essenzialmente di

programmi educativi attivati attraverso i canali scolastici esistenti in

loco o in supporto ad essi.

� Mutual understanding through Cultural Heritage 65 - Reciproca

comprensione attraverso il Patrimonio culturale. Attività principale di

questo programma è il progetto “Heritage and contemporary creativity as

tools for building peace through dialogue” (Patrimonio e creatività

contemporanea quali strumenti per costruire la pace attraverso il

dialogo). Con questo progetto si promuovono gli approcci innovativi

e creativi che esaltino la cultura quale mezzo di sviluppo sociale,

economico ed umano. Vengono incoraggiati la creatività, le industrie

culturali, i patrimoni culturali in ogni loro forma come strumenti

potenti e unici per favorire la creazione di lavoro, coesione sociale e

mutua comprensione. L’obiettivo di questo programma è creare una

struttura per migliorare la cooperazione internazionale e la

costruzione della Pace. Tra i vari progetti cito, “Heritage and

Dialogue” il cui intento è di apprendere dal passato per promuovere il

dialogo per la riconciliazione e la comprensione interculturale nel Sud

Est Europeo e oltre. Coinvolgendo 12 nazioni (Albania, Bosnia

65 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/culture-of-

peace-and-non-violence/main-areas-of-action/mutual-understanding-through-

cultural-heritage.

49

Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Montenegro, Romania,

Serbia, FYROM, Slovenia e Turchia) è considerato un progetto pilota

in ambito UN per porre le basi per la Pace e la riconciliazione

attraverso il patrimonio culturale. Tra le maggiori iniziative:

� summit dei capi di Stato del sud-est Europa per incrementare la

diplomazia culturale; 66

� Youth and Heritage: progetto che intende stabilire uno spazio dove

creare eventi e iniziative culturali all’interno del Museo Statale di

Auschwitz: 67

� mostre itineranti che parlino dell’identità culturale e che promuovano

il dialogo interculturale. 68

L’organizzazione ha deciso che il sito web www.unesco.org divenga lo

strumento per eccellenza della comunicazione istituzionale

dell’organizzazione, quindi le informazioni relative alle sue attività

vengono qui postate e sono a libero utilizzo dei media.

Oltre al sito istituzionale, da circa 3 anni l’UNESCO utilizza i social

network e particolare facebook, twitter e youtube per comunicare con i

propri pubblici.

66 www.unesco.org/new/en/bureau-of-strategic-planning/themes/special-

events/summits-of-south-east-europe.

67 w w w . u n e s c o . o r g / n ew/ e n/ v e n i c e / a b o u t - t h i s - o f f i c e / s i n g l e -

v i e w / n ew s/s e c o nd _ s ou t h _ e a s t _ e u r o p e _wo r l d _ h e r i t a g e _ y ou t h_ f

o r um .

68 w w w . u n e s c o . o r g / n e w / e n / v e n i c e / r e s o u r c e s - s e r v i c e s / h o s t -

fac i l i t ies/special -events/imagining-the-ba lkans.

50

Fig. 3.2 - Analisi del traffico quotodiano dei visitatori del sito Unesco tratto da UNESCO

Visibility Report July-August 2014

Figg. 3.3 - Statistiche visitatori del sito www.unesco.org tratte da UNESCO Visibility Report

July 2014

Figg. 3.4 - Statistiche visitatori del sito www.unesco.org tratte da UNESCO Visibility Report

August 2014

51

Fig. 3.5 - Analisi dell’origine geografica dei visitatori del sito www.unesco.org, tratto da

UNESCO Visibility Report July-August 2014

3.2.3. UNESCO Goodwill Ambassadors e Artisti per la pace

Gli Ambasciatori di Buona Volontà dell’UNESCO e gli Artisti

UNESCO per la pace 69 sono celebrità di fama internazionale che

perorano la causa dell’organizzazione attraverso la loro professione di

artisti. La loro attività 70 si articola soprattutto attraverso l’organizzazione

di eventi, concerti musicali, performance teatrali, campagne mediatiche,

appelli e dichiarazioni a favore di e in sostegno ai programmi

dell’organizzazione e in modo particolare ai programmi di cultura della

pace. Tra gli Artisti UNESCO per la Pace ricordo tra gli altri: Marisa

Berenson, attrice (Italia), Manu Dibango, percussionista (Camerun),

Joaquin Cortés, ballerino (Spagna), Gilberto Gil, cantante (Brasile),

Celine Dion, cantante (Canada), Milton Masciadri, contrabbassista

(Uruguay), World Orchestra for Peace, orchestra (GB), Jordi Savall,

chitarrista (Spagna), Marcus Miller, jazzista (USA).

Gli Artisti UNESCO per la pace si fanno ambasciatori del messaggio di

cultura di Pace dell’UNESCO e lo diffondono soprattutto attraverso

69 www.unesco.org/new/en/goodwill-ambassadors/artists-for-peace.

70 www.unesco.org/new/en/goodwill-ambassadors/welcome-message.

52

eventi e la loro attività artistica. Lavorano con l’UNESCO per rafforzare

e diffondere il rispetto per il pluralismo, per il dialogo interculturale, lo

spirito di riconciliazione, la giustizia sociale.

Qui gli strumenti di comunicazione utilizzati sono soprattutto quelli

denominati BELOW THE LINE come promozioni, sponsorizzazioni,

eventi.

Negli ultimi 2 anni, particolarmente attivo nell’azione di sensibilizzazione

dell’opinione pubblica a supporto dei processi di Pace è l’attore Forest

Whitaker UNESCO Goodwill Ambassador e inviato speciale per la Pace

e la Riconciliazione. Per promuovere la pace nelle zone di conflitto,

Whitaker da vita a diverse iniziative di dialogo e di informazione come il

progetto “Cinema for Peace” 71 in Sud Sudan, che prevede la proiezione

di film sul tema della pace e della riconciliazione e promuove il dialogo

tra gli spettatori.

Fig. 3.6 - Forest Whitaker riceve nel 2007 il Premio Oscar come miglior attore per la

sua interpretazione nel film “L’Ultimo Re di Scozia”

71 w w w . u n e s c o . o r g / n e w / e n / m e d i a - s e r v i c e s / s i n g l e -

v iew/news/fore s t_wh i take r_he lps_bu i ld_peace_ through_the_power

_of_c inema_ in_ sou th_sudan .

53

Fig. 3.7 - F. Whitaker parla in un convegno dell’UNESCO

Fig. 3.8 - F. Whitaker e Irina Bokova, Direttrice Generale dell’UNESCO

Fig. 3.9 - F. Withaker in visita a Hope North, Uganda del Nord

Fig. 3.10 - F. Withaker in visita a Hope North, Uganda del Nord

54

55

4. Pace e e genere femminile

Mentre gli uomini hanno sempre compiuto le loro scelte ed intrapreso le

loro azioni convinti di esser stati chiamati dalla storia, le azioni delle

donne nascono sotto la spinta dell’innato senso di responsabilità e di

protezione della famiglia.

Le donne si sono sempre distinte per la loro innata propensione alla

protezione, alla mediazione e quindi alla pace.

Le differenze tra uomini e donne sono state storicamente ricondotte a

due distinte dimensioni, quella afferente al sesso, come modalità naturale

e biologica che contraddistingue diversamente i soggetti in virtù della

loro funzione riproduttiva, e quella concernente il genere che, invece,

richiama l’intervento della cultura umana ed ha più propriamente a che

fare con le differenze socialmente costruite. Quest’ultima dimensione

trova piena affermazione in ambito scientifico e sociologico solo in anni

più recenti, più precisamente a partire dagli anni ‘70, grazie alla

produzione di matrice femminista. Al contrario, prima di questo periodo

si presupponevano differenze anatomiche e fisiologiche tra i sessi - date

per esempio dai differenti apparati riproduttivi, tratti sessuali secondari e

corredi cromosomici - in grado di garantire l’allontanamento delle donne

dall’ambito pubblico e del potere, in base alla loro funzione affettiva e

procreativa. Una simile impostazione è rinvenibile già nella visione

aristotelica della società politica, in cui oltre a delinearsi la coincidenza tra

la distinzione vita privata/vita pubblica e quella tra dimensione

domestica/dimensione politica, trova una chiara espressione il rapporto

di dominio sociale dell’uomo sulla donna, la quale, al pari di schiavi e

ragazzi, viene descritta come priva delle capacità deliberative. In linea

con queste considerazioni nel saggio “Politica” il filosofo afferma che

“non è la stessa temperanza d’una donna e d’un uomo, e neppure il coraggio e la

56

giustizia […], ma nell’uno c’è il coraggio del comando, nell’altra della

subordinazione, e lo stesso vale per le altre virtù”.

Per un lungo periodo, quindi, il pensiero scientifico occidentale, così

come i miti e le speculazioni filosofiche, è stato contrassegnato dalla

rigida e netta contrapposizione tra la sfera privata e quella pubblica, tra la

dimensione dei sentimenti e dell’affettività e quella della ragione e del

calcolo economico. Una contrapposizione che ha portato alla

teorizzazione della subalternità ed inferiorità del femminile rispetto al

maschile. In linea con queste osservazioni si collocano gli apporti di

alcuni principali sociologi classici e moderni che, pur non addentrandosi

in maniera specifica sull’argomento, hanno tuttavia contribuito a

riproporre ed in parte rafforzare, la natura patriarcale dell’ordine sociale,

nonché il cosiddetto mito delle sfere separate. Si può dunque

chiaramente affermare, che il passaggio alla modernità abbia contribuito

ad ampliare le differenze di genere, determinando una separazione

sempre più netta tra mondo dei rapporti familiari e mondo dei rapporti

economici, tra economia domestica ed economia aziendale (Ruspini,

1999). E così, riprendendo le parole di Saraceno (1992), per un lungo

periodo di tempo l’essere donna si è espresso esclusivamente “per

appartenenze a luoghi privatissimi: il corpo e la famiglia”. Sotto la spinta dei

movimenti di liberazione femminile sviluppatisi negli Stati Uniti ed in

Europa a partire dagli anni ‘70, avviene un cambiamento di rotta,

attraverso un approccio che privilegia “l’interrogazione sulla presunta

naturalità con cui economisti, legislatori, politici, sindacalisti dell’epoca hanno

affrontato la differenza di funzioni tra uomini e donne nella società e la questione

della lavoratrice, fino a problematizzare la stessa divisione sessuale del lavoro”

(Saraceno, 1988).

I contributi sulla divisione sessuale del lavoro sino a questo momento

esaminati, passando da modelli sostenuti da ragioni biologiche di

presunta superiorità maschile, propri della fine dell’800, a teorie fondate

57

prevalentemente sul ruolo della socializzazione primaria di richiamo

psicanalitico, concorrono a riprodurre il rapporto dualistico tra uomini e

donne, tra mercato e famiglia, legittimando e giustificando una rigida ed

irremovibile differenza di genere. La donna viene considerata come

maggiormente incline ad occuparsi di determinate attività, afferenti alla

sfera affettiva e domestica, distinte da quelle “naturalmente” attribuibili

all’uomo: all’appartenenza sessuale corrisponde cioè un ruolo rigoroso,

ascritto a livello sociale ed immodificabile dal punto di vista temporale

(Dall’Agata, 1995). Una simile impostazione predomina nella cultura

borghese e positivista della fine del XIX secolo e perdura sino alla prima

metà del XX.

Fondamentali per fornire nuove conoscenze ed introdurre nuove

prospettive di indagine ed approcci interpretativi sono gli studi di

genere o gender studies, come vengono chiamati nel mondo anglosassone,

rappresentando un punto di vista multidisciplinare e interdisciplinare allo

studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di

genere.

Questi studi non costituiscono un campo di sapere a sé stante, ma

rappresentano innanzitutto una modalità di interpretazione. Sono il

risultato di un incrocio di metodologie differenti che abbracciano diversi

aspetti della vita umana, della produzione delle identità e del rapporto tra

individuo e società, tra individuo e cultura. Per questo motivo una

lettura gender sensitive, attenta agli aspetti di genere, è applicabile a

pressoché qualunque branca delle scienze umane, sociali, psicologiche e

letterarie, dalla sociologia alle scienze etnoantropologiche, alla letteratura,

alla teologia, alla politica, alla demografia ecc.

Come la storia ci ha mostrato nella maggior parte dei casi le donne si

ritrovano a ottenere potere economico soltanto per via ereditaria o per

matrimonio. In diversi paesi asiatici esse hanno acquisito in questo modo

addirittura il potere politico; Benazir Bhutto in Pakistan, Sonia Gandhi in

58

India o Aung San Suu Kyi in Myanmar, hanno potuto svolgere i loro

percorsi politici di premier o ex premier unicamente per il fatto di essere

figlie, mogli o vedove di uomini importanti e di potere. 72

Anche la conquista della Carta dei diritti delle donne ha rappresentato un

importante esempio di pacifismo femminile e femminista, affermando

che la condizione femminile nella società è il metro principale per

misurarne il reale progresso, e che la costruzione di un mondo di pace

non potrà mai prescindere dalla valorizzazione dei servizi resi dalle

donne alle comunità locali, nazionali e alla comunità internazionale.

Attualmente, come avvenuto in passato nei momenti più difficili di

conflitti nazionali e internazionali, le donne tentano ancora di rifiutare la

logica delle armi per imporre l’ordine sociale, culturale e religioso. E

continuano a farlo attraverso una forte opposizione alle armi, usando il

dialogo, l’inclusione, l’ascolto, assumendo una responsabilità individuale

di resistenza alla guerra e a tutto ciò che comporta. Esempi recenti sono

Le madri di Plaza de Mayo 73 che da 30 anni non hanno mai dimesso i

72 TH. Durrani, Schiava di mio marito, Bergamo, Fabbri Editore, 2004.

73 Madri di Plaza de Mayo è una associazione formata dalle madri dei desaparecidos,

ossia i dissidenti scomparsi durante la dittatura militare in Argentina tra il 1976 e il

1983. L’associazione è dedita all’attivismo nel campo dei diritti civili ed è composta da

donne che hanno tutte lo stesso obiettivo: rivendicare la scomparsa dei loro figli e

ottenerne la restituzione, attività che hanno svolto e svolgono da oltre un trentennio. I

figli delle madri di Plaza de Mayo sono stati tutti arrestati e tenuti illegalmente

prigionieri (“desaparecidos”: letteralmente “scomparsi” in spagnolo) dagli agenti della

polizia argentina in centri clandestini di detenzione durante il periodo che nella storia

argentina viene annoverato come la guerra sporca, così chiamata per i metodi illegali ed

estranei ad ogni diritto utilizzati dalla giunta militare, e la maggioranza di loro è stata

prima torturata ed in seguito assassinata, e fatta sparire nella più assoluta segretezza. Il

loro emblema, un fazzoletto bianco annodato sulla testa, è il loro simbolo di protesta

che in origine era costituito dal primo pannolino, di tela, utilizzato per i loro figli

neonati. Il loro nome è originato dal nome della celebre piazza di Buenos Aires, Plaza

de Mayo, dove queste donne coraggiose si riunirono per la prima volta e da allora, ogni

59

loro fazzoletti bianchi con i quali si coprivano il capo e dove apparivano

incisi i nomi e le date dei loro figli e nipoti “desaparecidos” comunicando

al mondo in modo non violento la loro personale tragedia e creando

reazioni come sorpresa, consapevolezza ed empatia nelle folle e

nell’opinione pubblica mondiale. E come fecero e continuano a fare Le

Donne in nero israeliane 74 “che opposero al linguaggio violento dell’ideologia e della

propaganda militarista, una forma di comunicazione silenziosa, espressa attraverso il

loro corpo esposto sulle strade e sulle piazze. Il nero, colore del lutto e della perdita,

venne consapevolmente assunto come strumento di denuncia del prevalere di una

cultura della morte”. 75

La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su “Donne

pace e sicurezza”, approvata all’unanimità all’inizio del nuovo millennio

di cui parlo più avanti, menziona esplicitamente l’impatto della guerra

sulle donne e il loro prezioso contributo, speso generosamente e senza

risparmio, per una pace duratura e definitiva.

4.1. La Carta dei diritti delle donne

La Carta delle Nazioni Unite del 1945 76 pone i suoi fini e i suoi principi

nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e allo stesso

tempo afferma l’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne, dichiarando i

diritti e il ruolo delle donne nei conflitti armati. Fu solo a partire dal 1969

giovedì pomeriggio, esse si ritrovano nella piazza e la percorrono in senso circolare,

attorno alla piramide che si trova al centro, per circa mezz’ora

(it.wikipedia.org/wiki/Madri_di_Plaza_de_Mayo).

74 Le donne in nero è un movimento pacifista, nato in una piazza di Gerusalemme nel

gennaio 1988 (anno della prima intifada) per manifestare contro l’occupazione israeliana

della Cisgiordania e di Gaza (it.wikipedia.org/wiki/donne_in_nero).

75 www.casadelledonnetorino.it/index.php/donne-in-nero.

76 www.onuitalia.it/nu/statuto/introduzione.html.

60

che i bisogni delle donne e delle bambine nei conflitti armati, furono

presi in considerazione dalla Commissione sullo status delle donne, 77

affermando che alle donne e ai bambini sarebbero dovute essere

accordate delle protezioni speciali in caso di emergenze e di conflitti

armati. In conseguenza di ciò, nel 1974 l’Assemblea Generale delle

Nazioni Unite approva la Dichiarazione sulla Protezione delle Donne e

dei Bambini nelle emergenze e nei conflitti armati. 78 Dall’anno seguente

sono state organizzate le Conferenze Mondiali sulle Donne delle Nazioni

Unite, la prima nel 1975 a Mexico City poi a Copenhagen nel 1980, a

Nairobi nel 1985, a Beijing nel 1995. Nel 2000, durante la Conferenza

Pechino+5, 79 ventitreesima sessione speciale dell’Assemblea Generale

intitolata “Donne 2000: uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il

ventunesimo secolo”, furono rinnovati gli impegni presi a Pechino nel

1995. In tutti questi incontri si voleva ribadire la connessione esistente

tra l’uguaglianza di genere, lo sviluppo e la pace. Si affermò soprattutto

l’importanza della partecipazione delle donne alle lotte contro il

colonialismo, il razzismo, la discriminazione razziale e la dominazione

straniera per poi rafforzare gli sforzi per l’educazione, il ristabilimento e

il mantenimento della pace.

Per la prima volta le violenze quotidiane contro le donne furono definite

come un ostacolo al raggiungimento della pace.

77 La Commissione sullo Status delle Donne (Commission on the Status of Women,

CSW) fa parte del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e si

occupa dell’uguaglianza di genere e di promuovere lo sviluppo della condizione

femminile. Ogni anno rappresentanti degli stati membri si riuniscono presso il Palazzo

di Vetro di New York (www.onuitalia.it/notizie-febbraio-2011/541--la-commissione-

sullo-status-delle-donne).

78 www.ohchr.org/en/professionalinterest/pages/protectionofwomenandchildren.aspx.

79 www.un.org/womenwatch/daw/followup/beijing+5.htm.

61

4.2. La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n.

1325/2000 80

La Risoluzione n. 1325/2000, approvata all’unanimità dal Consiglio di

Sicurezza dell’ONU il 31 ottobre del 2000, è la prima Risoluzione in

assoluto che menziona esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne

ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace

durevole.

Quattro sono gli obiettivi che la Risoluzione n. 1325/2000 si prefigge:

1. assicurare una maggiore partecipazione delle donne a tutti i livelli

decisionali, con particolare riguardo agli organismi preposti alla

prevenzione, gestione e risoluzione dei conflitti;

2. prevedere una maggiore partecipazione delle donne nei processi di

mantenimento della pace e della sicurezza nazionale, riconoscendo

che le stesse, unitamente ai fanciulli, rappresentano la parte di

popolazione più colpita dalle conseguenze di un conflitto armato;

3. adottare una “prospettiva di genere”;

4. formare il personale sui diritti delle donne.

La Risoluzione invita inoltre tutti gli attori coinvolti ad incrementare la

partecipazione delle donne nella risoluzione dei conflitti e ad incorporare

la prospettiva di genere in tutte le azioni di pace e sicurezza delle Nazioni

Unite. Richiama tutte le parti coinvolte nel conflitto ad applicare misure

specifiche per la protezione delle donne e delle ragazze dalle violenze di

genere, in modo particolare i rapimenti e ogni altra forma di abusi

sessuali, in situazioni di conflitto armato. La Risoluzione fornisce

mandati operativi, che hanno dirette implicazioni sugli Stati Membri e

sulle istituzioni del sistema delle Nazioni Unite.

80 www.unr ic .org/ i t/a ttua l i ta/27089-consig l io- s i curezza -onu-donne-

per-una-pace -sosten ibi l e .

62

4.3. Donne e relazioni pubbliche

Le caratteristiche principali dell’essere donna rispetto alle relazioni

pubbliche, sono state analizzate dalla tesi di laurea di Daniela Mian

intitolata “Donne e Relazioni pubbliche: cosa ne pensano gli iscritti del Triveneto”

laureatasi in Relazioni pubbliche all’Università di Udine, che ha

apportato, a mio avviso, delle interessanti riflessioni riguardo all’apporto

del contributo femminile nelle relazioni pubbliche verificando l’esistenza

e l’origine di modalità comunicative diverse tra uomini e donne,

evidenziando l’eventuale valore aggiunto femminile. Daniela Mian scrive:

“Di certo l’industria delle RP è tra quelle che per prima ha valorizzato al meglio le

donne e le loro potenzialità evitando di sprecare risorse preziose. Ricerche

internazionali sembrano, infatti, confermare una correlazione positiva tra la presenza

femminile nelle aziende e le performance economico/finanziarie. Le donne sembra

applichino nella gestione aziendale criteri etici più rigorosi e adottino profili di

rischio/rendimento più adeguati. Sembra non ci siano più dubbi anche sul fatto che

nel condurre le aziende le donne utilizzino doti innate, (es.: l’empatia, l’intelligenza

emotiva), che consentono loro di relazionare e comunicare più efficacemente con i

diversi stakeholders. Parliamo di leadership al femminile, fatta di condivisione,

mediazione e partecipazione. Una modalità multitasking sviluppata in anni di

doppia attività (casa/lavoro), di complessità da affrontare, di capacità di problem

solving maturate sul campo, di versatilità e di maggiore sensibilità”. Una ricerca

che ha svolto tra ottobre e dicembre del 2009 ha anche rilevato che: “Le

donne risultano comunicare in maniera “diversa”, e tra le caratteristiche citate dagli

intervistati l’empatia (78%) ne è la prima causa, a seguire la disponibilità al

colloquio e alla negoziazione. Il valore aggiunto che forniscono alla professione è dato

da una maggiore ricerca di partecipazione e condivisione nelle relazioni (61%) e una

maggiore attenzione all’etica e alla responsabilità sociale (39%).” “Biologia cultura, e

a volte stereotipi, ma soprattutto intuito (77%), tenacia e determinazione (65%),

63

impegno, passione e versatilità finiscono per determinarne, lungo il cammino, i loro

successi”.

La discussione sui temi eviscerati da questa interessantissima tesi ha

avuto un ulteriore approfondimento da parte del Prof. Giampietro

Vecchiato (Vicepresidente Ferpi nel 2010 e responsabile della ricerca) e

dalla prof.ssa Maria Paola La Caria (Consiglio Direttivo Ferpi), la quale in

occasione di una indagine dell’Ateneo di Udine svolta nel 2010, ha

aggiunto: “Il 100% degli intervistati concorda nel definire fondamentale il ruolo

delle pierre nelle aziende e sul fatto che le donne riescono a dare un valore aggiunto

alla posizione, perché cercano una maggior condivisione di problemi e decisioni (61%

dei casi) ma anche per una maggior attenzione all’etica e alla responsabilità sociale

(38%)”. 81

Per La Caria le donne di successo nelle relazioni pubbliche riescono ad

imporre un loro stile: «Spesso siamo noi stesse a sceglierci un ruolo

meramente esecutivo, perché siamo brave a fare e perché pensiamo di

essere “meno capaci” degli uomini a decidere. Le donne che ce l’hanno

fatta hanno imposto un loro stile, diverso da quello maschile. Cercando

costantemente condivisione, praticando le doti dell’ascolto e

dell’accoglienza, senza farsi mettere i piedi in testa».

Queste, come altre componenti della immensa opera di pace portata

avanti ostinatamente dalle masse femminili del mondo, sono

caratteristiche naturali insite nelle donne e del tutto derivanti dalla loro

inclinazione all’accoglienza, all’aiuto vicendevole, alla disponibilità e al

sacrificio, all’amore disinteressato, alla sensibilità, all’attenzione. Per cui si

può davvero affermare e concludere che la donna come testimone,

messaggera, educatrice e maestra di pace, non si sente mai chiamata dalla

storia, ma solo dalle necessità sue e dei suoi simili, co-protagonisti e

comprimari dell’avventura della storia. La sua particolare vocazione a

81 www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/management/relazioni-pubbliche-il-manager-

donna/notizia_rp/41677/8

64

promuovere la pace in ogni ambito della vita familiare, sociale,

economica e politica a tutti i livelli, ha imposto e fatto riconoscere nel

mondo la donna come grande mediatrice di pace.

4.4. Donne di pace

4.4.1. Malala Yousafzai (Pakistan)

Malala Yousafzai, nata il 12 luglio 1997 a Mingora, è una bambina

pachistana che ama andare a scuola e che ama studiare. La passione per

lo studio le è stata trasmessa dal padre, preside di alcune scuole nella loro

regione di origine. Malala è conosciuta per il suo impegno per

l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione delle donne

della città di Mingora nella valle dello Swat, diritto che è stato bandito da

un editto dei talebani.

Il 10 Ottobre 2014 viene insignita del Premio Nobel per la Pace con

questa motivazione: “Nonostante la giovane età, Malala Yousafzay, ha

già lottato per molti anni per il diritto delle ragazze all’educazione e ha

dimostrato con l’esempio che i bambini e i giovani, possono contribuire

a migliorare la loro situazione. Lei l’ha saputo fare nelle circostanze più

pericolose. Attraverso la sua eroica lotta, è divenuta la portavoce del

diritto delle ragazze all’educazione”. 82

È la persona più giovane ad essere stata insignita del Nobel nella storia di

tutte le categorie del premio.

Subito dopo aver appreso dell’assegnazione del Nobel per la Pace, ha

tenuto a Birmingham dove studia, una conferenza stampa in cui ha detto

di “provare orgoglio per essere la prima pachistana ad avere avuto il

Premio Nobel”. Questo riconoscimento, ha assicurato, “per me non è il

82 www.nobelprize.org/nobel_prizes/peace/laureates/2014/press.html.

65

punto d’arrivo ma l’inizio di una più forte battaglia per i diritti dei

bambini allo studio. Ce ne sono 57 milioni che non possono studiare”.

Malala ha raccontato di aver parlato telefonicamente con Kailash

Satyarthi (l’attivista indiano anch’egli insignito del Premio Nobel per la

Pace 2014 per la sua lotta in India per la liberazione dei bambini dalla

schiavitù) e di aver accettato di lavorare con lui per la causa comune.

Malala e Satyarthi hanno simbolicamente stabilito di invitare i rispettivi

premier (il pachistano Nawaz Sharif e l’indiano Narendra Modi) alla

cerimonia di consegna del Premio a Dicembre 2014 ad Oslo. Un invito

interpretato come altro ponte lanciato per la pace.

Fig. 4.1 - Malala Yousafzai (AP/Walsh)

Malala scrive già a 12 anni e comunica la sua visione della guerra

attraverso un blog che lei cura per la BBC, 83 Nel suo blog è stata per 3

anni l’instancabile testimone delle azioni del regime dei talebani

soprattutto contro le donne e il loro diritto all’istruzione in Pakistan. Ha

83 news.bbc.co.uk/2/hi/south_asia/7834402.stm.

66

documentato la loro occupazione militare e le loro azioni di guerra

quotidiane.

La testimonianza di questa dura realtà vista con gli occhi puliti, incantati

e stupiti di una ragazzina di 12 anni, è servita a sensibilizzare l’opinione

pubblica mondiale alla causa dell’istruzione come unico strumento per

garantire ai bambini un futuro migliore e alle donne l’emancipazione.

Malala tiene un diario, ma è un diario moderno, è un blog che viene

pubblicato sul sito della BBC e che ha la potenzialità di comunicare le

sue parole ed i suoi pensieri al mondo intero.

Il messaggio diffuso dalle sue parole creava una “dannosa”

consapevolezza dei propri diritti, in modo particolare dei diritti

all’istruzione delle bambine pakistane, e influenzava il pensiero di altre

bambine che come lei amavano andare a scuola aprendo così un varco

verso un’altra possibile realtà. Tutto questo per il regime dei talebani non

era tollerabile, quella voce doveva tacere. Organizzano allora un attentato

alla sua vita, il 12 ottobre 2012, sparandole alla testa mentre era sul bus

che la riportava a casa da scuola e ferendo le altre ragazze che erano con

lei.

Malala però si salva e diventa un simbolo, un emblema della lotta per i

diritti e per la pace e da quel momento in poi, grazie ai media, è seguita e

sostenuta a livello mondiale.

È stata nominata per l’International Children’s Peace Prize, premio

assegnato da KidsRights Foundation per la lotta ai diritti dei giovani

ragazzi.

Il 12 luglio 2013, giorno del suo sedicesimo compleanno, Malala, a testa

alta, coperta da uno scialle di Benazir Bhutto (nota politica Pakistana

assassinata nel 2007) con la consapevolezza di essere il simbolo di chi

vuole difendere i propri diritti, 84 è invitata a parlare all’assemblea delle

84 Malala all’ONU: “Parlo per chi non ha voce, i talebani non mi ridurranno al silenzio” (articolo

da “La Repubblica” 12 luglio 2013).

67

Nazioni Unite per chiedere ai leader del mondo di impegnarsi per

l’istruzione, garantendola a tutti, senza discriminazioni.

Il 10 ottobre 2013 è stata insignita del Premio Sakharov per la libertà di

pensiero. L’annuncio è stato dato dal presidente del Parlamento

Europeo, Martin Schulz, che lo ha motivato dicendo che Malala è una

ragazza eroica.

Grazie al suo immenso coraggio, ora è la più giovane persona insignita

del premio Nobel per la pace, per la sua lotta in difesa del diritto

all’istruzione. La candidatura era stata proposta dal partito laburista

norvegese, e sostenuta dall’organizzazione change.org oltre che da

importanti personalità politiche e da star come Angelina Jolie e

Madonna.

La storia di Malala e soprattutto la risonanza e l’immenso numero di

lettori e sostenitori che l’hanno seguita e sostenuta in tutto il pianeta, ci

mostra come i social network ricoprano un ruolo importantissimo ed

aprano nuove prospettive nei dialoghi di pace. Il condividere con il resto

del mondo la sua terribile quotidianità, ha creato tra i suoi lettori

consapevolezza, ha fornito loro informazioni sulle sue condizioni di vita

e sulla negazione quotidiana dei suoi basilari diritti. Ha creato opinione

pubblica, ha influenzato il pensiero dei suoi lettori e degli influenti del

suo paese. Ha contribuito, forse non propriamente in modo del tutto

conscio, per dirla con Veletsianos Eliadou, “alla costruzione della pace

attraverso la comprensione dell’agire situato con la narrativizzazione dell’altro,

presente online” (2009).

“Strumenti come i telefoni cellulari e i social network, permettono un approccio

dinamico nei processi di pace, rispetto a quanto è stato possibile fare finora con i media

tradizionali. Nel dialogo per la pace, la possibilità della comunicazione social assume

68

un’importanza straordinaria” (Valentina Bernardinis, Nicola Strizzolo,

2014). 85

Su Facebook nelle pagine dedicate a Malala Yousafzai le adesioni sono

più di 70.000, mentre recentemente su Twitter Malala ha dato il via alla

campagna web #BringBackOurGirls.

Nel 2013 Malala Yousafzai è stata inserita dal periodico inglese TIME tra

le 100 persone più influenti al mondo. 86

Fig. 4.2 - Malala Yousafzai nello STUDIO OVALE, 11 ottobre 2013

4.4.1.1. Effetto Malala

La petizione lanciata da Malala all’Onu, chiede ai leader del mondo, fondi

per nuovi insegnanti, aule e libri. È stata firmata da quasi 4 milioni di

persone a sostegno di 61 milioni di bambini che non vanno a scuola, di

cui le adolescenti che non possono studiare sono 34 milioni. La petizione

chiede anche l’immediato stop allo sfruttamento di bambini nei luoghi di

lavoro, stop ai matrimoni e al traffico di minori.

In un rapporto pubblicato il 12 luglio 2013, in occasione del Malala Day,

da Unesco e Save the Children 87 si legge: “57 milioni di bambini senza

85 www.agendadig i ta le .eu/competenze-digitali/1021_il-ruolo-dei-social-media-

nei-processi-di-pace-casi-di-studio.htm.

86 time100.time.com/2013/04/18/time-100/slide/malala-yousafzai.

69

scuola”: nel mondo circa 57 milioni di bambini, dai 5 ai 15 anni, non vanno a

scuola perché colpiti dagli scontri o arruolati nei corpi armati”. Nel 2012, sono

stati 3.600 gli attacchi di vario tipo per impedire ai bambini l’accesso

all’educazione, tra i quali si contano violenze, bombardamenti di scuole,

reclutamento dei minori in gruppi armati, torture e intimidazioni contro

bambini e insegnanti, sfociate in morti o ferimenti gravi. Inoltre,

prosegue il rapporto, “resta scandalosamente bassa la quota di fondi destinati

all’educazione nelle emergenze umanitarie, passando addirittura dal 2% del totale dei

fondi umanitari in emergenza del 2011 all’1,4% del 2012, dunque ben al di sotto

del 4% richiesto dalla comunità internazionale nel 2010”.

Gordon Brown, inviato dell’ONU per l’istruzione globale ed ex premier

britannico, ha affermato che “L’istruzione interrompe il ciclo della povertà e può

garantire migliori condizioni di salute e prospettive di lavoro. È arrivato il momento

di lanciare una campagna e di mettere l’istruzione al primo posto (…)”. Dopo

l’aggressione, il mondo si è mobilitato per sostenere Malala. Definendo

“oscena” la lotta per garantire l’istruzione, i talebani hanno provocato

una reazione a livello mondiale e una ‘petizione globale’ per chiedere più

diritti per le bambine”, ha aggiunto Brown. Un tema caro anche al

segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon che ha lanciato la

campagna “Education first” e che dice: “Sono cresciuto in una società dilaniata

dalla guerra e dalla povertà. Le scuole erano state distrutte, ma l’UNESCO,

l’Unicef e altre organizzazioni internazionali, fornivano libri e materiale scolastico,

necessari per la ricostruzione”.

Numerosi capi di Stato e personaggi famosi hanno preso le difese di

Malala. L’Unicef ha voluto chiamare la sua campagna “Stand with

Malala” 88, scegliendo come ambasciatrice la teen popstar Selena Gomez,

per sensibilizzare sull’argomento governi e istituzioni ma anche giovani

87 unesdoc.unesco.org/images/0022/002216/221668e.pdf.

88 www.unicef.it/doc/4189/condanna-attentato-alla-studentessa-malala-in-

pakistan.htm.

70

dell’età di Malala. Intanto su internet si moltiplicano i messaggi di

solidarietà. E la cantante Madonna si è spogliata dedicandole la sua

“Human Nature”. La pop star ha tenuto un discorso durante la

performance allo Staples Centre di Los Angeles: “Ho pianto”, ha detto. E

ancora: “Vi rendete conto della malattia e dell’assurdità di tutto questo? Bisogna

proteggere chi sostiene i diritti delle donne”, ha gridato prima di mostrare il

nome di Malala sulla sua schiena. Anche il Presidente della Camera dei

Deputati Gianfranco Fini e il Nobel Dario Fo hanno inoltrato la lettera

ufficiale di candidatura al Nobel per Malala.

La campagna web #BringBackOurGirls iniziata su Twitter da Malala, ha

come obiettivo riuscire ad esercitare una maggiore pressione sulle

autorità nigeriane, affinché le 300 ragazze rapite dal dormitorio del loro

collegio il 15 aprile 2014, vengano restituite alle famiglie. Anche Hilary

Clinton, ex segretario di stato americano, partecipa attivamente

all’iniziativa che rivendica il diritto all’istruzione femminile

Malala vorrebbe essere a scuola e studiare con le sue compagne, e invece

è costretta a vivere lontana dal Pakistan.

Malgrado sia ormai conosciuta in tutto il mondo ed abbia ricevuto il

Premio Nobel per la Pace, Malala continua ad essere un obiettivo da

colpire. Almeno così ha detto Shahidullah Shahid, portavoce di un

gruppo talebano ancora ben deciso a farla pagare alla ragazza così come a

tutti i nemici dichiarati del regime talebano. Ciononostante, Malala ha

risposto con un segno di pace. “Serve dialogo con i talebani”, ha detto. “È

necessario dialogare con i talebani per ottenere la pace”, ha poi continuato la

giovane in un’intervista con la BBC dove ha anche ricostruito il giorno

dell’attentato.

Voglio ricordare inoltre che è uscito in tutto il mondo il suo libro

autobiografico “Io sono Malala” al quale è seguito anche quello di Viviana

Mazza, pubblicato per Mondadori e intitolato: “La storia di Malala”

71

Una giovane donna ancora una ragazza ma una grande messaggera di

pace, aiutata dalla sua competenza propria di tutti i giovani di oggi,

dell’utilizzo delle immense risorse comunicative che i social network

offrono.

Malala comunica con i social media in particolare con facebook e twitter

(19600 followers).

Fig. 4.3 - Pagina Facebook di Malala

Fig. 4.4 - Pagina Twitter di Malala

72

Malala usa la sua influenza mediatica per sostenere campagne a favore

delle donne nei conflitti militari come quella lanciata a luglio 2014 per

riportare a casa le 300 ragazze nigeriane rapite, dalla scuola dove

studiavano, dai fondamentalisti islamici. 89 90

4.4.2. Aung San Suu Kyi (Birmania - Myanmar)

Aung San Suu Kyi è nata a Rangoon (capitale della Birmania) il 19

giugno del 1945. Suo padre era Aung San, generale birmano che passò

alla storia per le negoziazioni avvenute nel 1947 per l’indipendenza della

Birmania dal Regno Unito e venne ucciso, quando lei aveva appena due

anni, da alcuni avversari politici, ma i suoi ideali di indipendenza e

integrità politica non verranno mai meno e saranno sempre presenti nei

suoi discorsi. La madre Daw Khin Kyi diventa la sua unica figura di

riferimento, la quale avendo un grande successo popolare, ottiene la

nomina di ambasciatrice in India nel 1960.

Il ruolo di ambasciatrice della madre, permette a Aung San Suu Kyi di

viaggiare in l’India e all’estero, e questo le permette di avvicinarsi ai

precetti buddisti: verità, giustizia e compassione, che sono “spesso i soli

baluardi contro un potere inumano”. 91 Frequenta le figlie di Indira

Ghandi, (Sanjay e Rajiv), e vive i primi sentori della democrazia

scoprendo il significato della non-violenza, precetto predicato dal

mahatma Gandhi.

89 AUNG SAN SUU KYI 2001-1901, UN SECOLO DA NOBEL Viaggio a ritroso nel

Premio che compie cento anni, 22 maggio 2001 (www.educational.rai.it/mat/ri/nosuukyi.asp).

90 www.edscuola.it/archivio/antologia/recensioni/aung_san_suu_kyi.htm.

91 www.youtube.com/watch?v=vHTFrNfjzSo - www.youtube.com/watch?v=W1S_k1-

lKVM.

73

Nel 1967, presso la Oxford University, si laurea in Filosofia, Scienze

Politiche ed Economia. Nel 1969, si trasferisce a New York dove inizia a

lavorare per le Nazioni Unite. Nel 1972 sposa Michael Aris, professore di

letteratura tibetana ad Oxford, da cui ha due

figli, Alexander (1977) e Kim (1988).

4.4.2.1. Aung San Suu Kyi promotrice di pace

Il 26 agosto 1988, Aung San Suu Kyi lascia Oxford e torna in

Birmania per accudire la madre malata, e subito si rende conto

dell’insostenibilità della situazione politica del suo Paese, che in quegli

anni aveva visto la salita al potere del generale Saw Maung, responsabile

di aver istaurato un rigido regime militare che a tutt’oggi è presente in

Birmania.

Il suo ritorno in Birmania avviene in un periodo particolarmente

impetuoso, quando si chiedono le dimissioni del generale Ne Win,

dittatore in carica dal 1962. Alle richieste del popolo di libertà e di norme

democratiche il Governo risponde con la sospensione dei corsi

universitari e la chiusura delle scuole. Il 26 luglio il generale Ne Win a 77

anni annuncia le sue dimissioni, illudendo il popolo birmano della

prospettiva di un reale cambiamento favorevole.

Comincia l’attività di Aung San Suu Kyi a sostegno della libertà.

A Shwedagon nel 1988 tiene il famoso comizio di fronte a

cinquecentomila persone.

74

Fig. 4.5 - Aung San Suu Kyi raggiante alla vittoria elettorale

Fig. 4.6 - Campagna a sostegno della libertà di Aung San Suu Kyi e del popolo birmano

Insieme a stretti collaboratori fonda il partito democratico, la National

League for Democracy (NLD), e ne diviene segretaria generale. Percorre

il paese fermandosi in molti posti a parlare ed incitare la gente a non aver

paura, a resistere allo stato di oppressione, a confidare in un prossimo

avvento della libertà e della democrazia. Intanto lo State Law and Order

Restoration Council (SLORC), cioè il partito al potere, annulla, nel

1990, i risultati delle elezioni perché favorevoli alla NLD e ricorre ad

ogni forma di violenza materiale e morale, continuando con le sue gravi

misure contro i cittadini e in particolare contro gli esponenti del partito

democratico. E questo nonostante i richiami che da tanti governi

stranieri giungono ai capi birmani e li invitano ad una politica più

conciliante e ad un dialogo con la NLD.

75

Nel 1989 erano cominciati per Aung San Suu Kyi gli arresti domiciliari,

che sarebbero durati sei anni. Tuttavia appena libera, Aung San torna

vicina al suo popolo, ascolta la voce della sua gente, vuole sapere dei suoi

bisogni, scrive, tiene i discorsi settimanali o “della domenica” presso la

sua casa di Rangoon e di fronte alle migliaia di persone che ogni volta si

radunano per ascoltarla. Le esorta ad avere fiducia, a credere nella forza

dell’amore, del bene, nella non-violenza, a considerare necessaria la

vittoria finale di questi valori perché sono propri dell’uomo, della sua

natura, della sua civiltà. Li spinge a ritenere le richieste dello spirito

superiori a qualunque altra richiesta, a non smarrire i precetti della

religione, del buddismo, per i quali fondamentali sono la tolleranza, la

collaborazione, la pace e le azioni che ad esse tendono.

Suu Kyi insegna al suo popolo non a rassegnarsi, non a subire

passivamente ma ad operare, ad agire per correggere il male, a lottare per

eliminarlo perché così vuole la religione buddista della quale è fedele

seguace. Ma Aung Suu Kyi soprattutto mostra al popolo birmano

l’isolamento forzato in cui il paese vive da decenni, parla della necessità

di un reale cambiamento, realizzabile solo con la ritirata dei militari che

da troppo tempo occupano il potere illegittimamente. Afferma che in

Birmania è necessaria un’autorità eletta democraticamente, in grado di

rimettere il paese sullo stesso livello del resto del mondo. Suu Kyi con la

sua capacità oratoria e con le sue argomentazioni, è in grado di sollevare

le masse e promuoverne il loro volere. Il regime birmano è consapevole

di questa sua forza e nel 1989 la confina agli arresti domiciliari con la

clausola che avrebbe potuto lasciare il Paese, senza però, poterci

ritornare.

Aung San Suu Kyi rifiuta di lasciare la Birmania e inizia la sua lotta dalle

mura di casa.

76

Nel 1990, in Birmania si svolgono le elezioni che si traducono in una

vittoria schiacciante per Aung San Suu Kyi, ma il regime rigetta il voto e

riprende il potere con la forza.

A quel punto la storia di Aung San Suu Kyi supera i confini birmani e

diventa un caso mondiale, tanto da farle ricevere il premio Nobel per la

Pace nel 1991, per essere divenuta simbolo dell’opposizione democratica

e non violenta al regime militare del suo paese. Con i soldi del premio fa

realizzare un progetto sanitario e d’istruzione per la gente del suo Paese.

Nel 1995 dagli arresti domiciliari passa ad uno stato di semi libertà, ma

continua a non poter lasciare la Birmania (pena l’impossibilità di

rientrarvi) e a non poter vedere i propri familiari. Nel 1999 suo marito

dopo una lotta di 2 anni contro un tumore, muore, senza che lei abbia

potuto rivederlo.

Nel 2002 l’intervento dell’ONU costringe il regime birmano a concedere

maggiore libertà ad Aung San Suu Kyi, ma quella che poteva sembrare

una vittoria, si trasforma in un’occasione per i suoi avversari politici di

attentare alla sua vita. Nel 2003, durante uno spostamento con a seguito

molti dei suoi sostenitori, un gruppo di militari apre il fuoco uccidendo

molte persone, senza però, riuscire ad ucciderla. Dopo l’accaduto, Aung

san Suu Kyi torna agli arresti domiciliari e, nonostante le continue

pressioni degli Stati Uniti d’America e dell’Europa, tale pena le viene

confermata anche per gli anni a venire. Nel frattempo inizia ad avere

problemi di salute ed è costretta d un intervento e a diversi ricoveri

ospedalieri.

Il 3 maggio 2009, un fanatico religioso di origine americana raggiunge a

nuoto la casa di Aung San Suu kyi, che assurdamente viene processata e

condannata per aver violato gli arresti domiciliari. In realtà l’incursione

dell’americano fu utilizzata per estrometterla dalla scena politica, mentre

il regime faceva passare un referendum con cui otteneva il

riconoscimento dal popolo per la continuità del regime sotto forma

77

civile ed escludendo definitivamente la Lega Nazionale per la

Democrazia.

L’11 giugno del 2009, Aung San Suu Kyi viene condannata ad una pena

di 3 anni di lavori forzati (passata poi a 18 mesi di arresti domiciliari) per

una fantomatica violazione della norma sulla sicurezza.

Il 13 novembre 2010, Aung San Suu Kyi ritorna ad essere finalmente una

donna libera.

Aung San Suu Kyi, fino a questo momento aveva comunicato

direttamente con il popolo e con i suoi sostenitori con comizi,

conferenze, raduni. Nel lungo periodo di detenzione il modo è cambiato

e con lui il modo di comunicare, ad Aung San era stata negata la

conoscenza e l’utilizzo delle nuove tecnologie, dai cellulari alle mail,

all’uso di internet. Nonostante il basso numero di internauti in Birmania,

a causa dell’elevato costo dei computer e cellulari, della rete poco diffusa

e del continuo ferreo controllo dell’utilizzo di internet da parte del

regime, appena ha potuto Aung San Suu Kyi ha iniziato a far uso delle

nuove tecnologie per comunicare con i suoi sostenitori. Uno dei suoi

strumenti preferiti è youtube dove posta i suoi discorsi e dà informazioni

sulle sue attività. 92

Inoltre, ha il sito web www.nldburma.org e il suo profilo Facebook è

seguito ad oggi (ottobre 2014) da 949,998 followers.

92 www.facebook.com/aungsansuukyi?fref=nf.

78

Fig. 4.7 - Pagina facebook di Aung San Suu Kyi

E un profilo Twitter

Fig. 4.8 - Aung San Suu Kyi su Twitter

4.4.2.2. Effetto Aung San Suu Kyi

In tutto il mondo Aung San Suu Kyi è diventata un’icona della non-

violenza e della pace, tanto che numerosi cantanti e gruppi musicali, tra

cui il cantautore irlandese Damien Rice, il gruppo rock irlandese U2, il

79

gruppo rock statunitense R.E.M, il gruppo rock punk statunitense Green

day, il gruppo rock britannico Coldplay, hanno espresso solidarietà nei

suoi confronti e le hanno dedicato brani musicali per sostenere la sua

causa. In particolar modo, gli U2 le hanno dedicato un brano intitolato

“Walk On” (“Vai avanti”) contenuto nel loro album “All that You Can’t

Leave Behind”. Il regime birmano ha dichiarato illegale importare,

detenere o ascoltare in Birmania l’album della band irlandese in cui è

contenuto il brano “Walk on”. La sanzione prevista è la reclusione da tre

a vent’anni.

Nel 1997 il sassofonista Wayne Shorter e il pianista Herbie Hancock

incisero sull’album 1+1 un tema intitolato “Aung San Suu Kyi” che vinse

il Grammy Award come migliore composizione jazz.

Nel 2003 ad Aung San Suu Kyi fu assegnato sia l’MTV Europe Music

Award che il Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e

Giornalismo, sezione Premio Speciale della Giuria.

Nel 2011 il regista francese Luc Besson ha diretto il film “The Lady” sulla

vita del premio Nobel birmano.

80

81

5. Il ruolo delle relazioni pubbliche nei processi di pace

5.1. Le relazioni pubbliche fanno parte del processo di pace?

In questa parte ho voluto analizzare il ruolo che le relazioni pubbliche

hanno nel contesto del processo di pace, dialogando con chi, a titolo

diverso, i processi di pace li prepara, li costruisce, li difende.

Il percorso seguito per queste interviste è quello delle fasi del processo di

pace: peacemaking, peacebuilding, peacekeeping e per ogni stadio ho

intervistato un soggetto che con le proprie attività, rappresenta

idealmente quel segmento del processo di pace.

5.2. Peacemaking - Intervista a Claudio Mario Betti, assistente al presidente

della Comunità di Sant’ Egidio, Roma

1. Signor Betti, la Comunità di Sant’Egidio è ed è stata protagonista

attiva di molti importanti processi di Pace, dal Mozambico, al

Kosovo, dall’Albania al Guatemala solo per citarne alcuni, riuscendo a

concludere veri e propri accordi di Pace duratura riconosciuti

internazionalmente. Le modalità che voi utilizzate nei processi di Pace

sono state definite dall’ ex Segretario dell’ONU, Boutros-Ghali il

“Metodo di Sant’Egidio” e utilizzano la conoscenza degli attori sociali

coinvolti, l’ascolto reciproco, il dialogo e la costruzione di relazioni

basate sulla fiducia. Queste modalità sono proprie anche alla

disciplina delle Relazioni Pubbliche, che prevede che si avviino una

serie di attività di comunicazione il cui obiettivo è creare un clima di

consenso e favore nei confronti del soggetto che comunica e verso le

sue proposte presso quei pubblici e stakeholder che possono incidere

direttamente o indirettamente sul raggiungimento degli obiettivi

82

perseguiti. Si può affermare che la Comunità di Sant’Egidio utilizza le

relazioni pubbliche durante i Processi di Pace?

Non avevo mai considerato che nei processi dei negoziati di Pace sono utilizzate le

modalità proprie delle relazioni pubbliche ed è interessante per me vedere quanto del

lavoro che conduce ai processi di Pace sia un lavoro di relazioni pubbliche. In effetti, il

processo di pace è un grande esercizio di relazioni pubbliche con azioni pianificate,

coordinate e continuative, mirate ad alcuni attori, che ha l’obiettivo di creare un clima

di consenso e fiducia tra le parti coinvolte. Per vedere come la Comunità di

Sant’Egidio le utilizza, seppur finora in modo non del tutto consapevole, racconto del

processo di pace del Mozambico (1989-1992) cui ho partecipato direttamente. Questo

processo nasce dall’impegno che la Comunità di Sant’Egidio, ha avuto per anni nel

paese essendo presente, - grossroot - dal 1976 in poi. Il processo di pace vero e proprio

avviene alla fine degli anni ‘80 e dura 27 mesi, fino al 1992. Un processo lungo che è

stato chiaramente preparato da una lunga attività di relazioni nel paese. Abbiamo

iniziato con l’identificazione di quelli che per noi erano i pubblici di riferimento o

meglio i nostri stakeholder: il governo, la popolazione e la società civile (anche se la

società civile allora era schiacciata dalla guerra) e la comunità internazionale. La

prima fase di lavoro di relazioni pubbliche si è concentrata sul governo, attivando una

fase di ascolto di comprensione e di dialogo al fine di costruire una relazione fiduciaria.

Come abbiamo agito: essenzialmente con una vicinanza continua e con un dialogo

continuativo con il partito. Una volta capite le esigenze, sono stati mandati aiuti al

paese, soprattutto aiuti alimentari. Sono stati intensamente coltivati i rapporti

all’interno del partito comunista mozambicano che hanno avuto il loro culmine nella

visita dell’allora Presidente Samora Machel a Roma e dal Papa. Il Presidente

Samora Machel, si sentì accettato dalla comunità internazionale e quindi questo

permise che si sviluppassero le condizioni per cominciare la trattativa. Quest’attività

con il governo, è stata effettivamente un’attività di relazioni pubbliche, fatta di dialogo,

ascolto e creazione di rapporti fiduciari da ambo le parti, che ha permesso alla

Comunità di Sant’Egidio di divenire uno dei principali interlocutori esterni al mondo

83

comunista mozambicano. Il Mozambico era allora governato da un partito di stretta

osservanza leninista, che aveva pochissimi rapporti all’esterno del mondo comunista. I

suoi rapporti erano in concreto, limitati ai partiti comunisti dell’area sovietica oppure

agli altri grandi partiti comunisti come quello italiano. In questa situazione la

Comunità di Sant’Egidio ha rappresentato per il governo mozambicano, uno dei

pochi interlocutori non comunisti, un interlocutore ritenuto importante al punto che il

Presidente della Comunità Andrea Riccardi è stato invitato a parlare al congresso del

governo.

Nella seconda fase abbiamo avvicinato i guerriglieri della Renamo. Con i guerriglieri

il rapporto è stato molto più complicato, si doveva chiarire soprattutto chi eravamo. In

questa fase ci fu di grande aiuto il vescovo mozambicano Jaime Goncalves che era della

stessa tribù e regione del capo della guerriglia, che potremmo definire come un

“influencer” nel contesto della trattativa.

Anche nel rapporto con i guerriglieri della Renamo il lavoro fatto è stato un lavoro di

relazioni pubbliche. Abbiamo, infatti, utilizzato avvicinato un “influencer” come il

vescovo Goncalves che ci ha permesso di farci conoscere, di conoscere i guerriglieri e

soprattutto di dialogare con loro creando un clima di accettazione della nostra

presenza finalizzata ad una proposta di pace. La Comunità di Sant’Egidio ha

avvicinato con le modalità del dialogo e dell’ascolto, i guerriglieri della Renamo e li ha

coinvolti in una trattativa di pace, cosa che non faceva assolutamente parte dei loro

piani. Questa loro apertura che inizialmente sembrava impossibile, ha permesso di

costruire una negoziazione e un clima di pace. In sostanza avevamo costruito una

“Public Relation Enterprise” che prendeva azione nei luoghi della Renamo,

all’interno della giungla dove andavamo a incontrare queste persone. E anche in

questa situazione l’importanza della creazione dei rapporti personali con i grandi

stakeholder che sono sia il governo (Presidente, Ministro degli Esteri, Ministro della

Guerra) che la guerriglia nella persona del loro capo, è stata fondamentale.

La terza fase importante di PR è stata con la comunità interazionale: non era

sufficiente essere riconosciuti dal governo e dalla guerriglia, bisognava anche essere

riconosciuti e avere credibilità all’interno della comunità internazionale. Abbiamo

84

quindi agito attraverso un intensissimo processo di colloqui in tutti gli Stati interessati

al problema della pace in Mozambico come Portogallo, Stati Uniti, Francia, Gran

Bretagna, Sud Africa, fino a giungere alle Nazioni Unite e ricevendo la

legittimazione ad iniziare il processo di pace. Questo clima di apertura, ha permesso

alla Comunità di Sant’Egidio ad iniziare la negoziazione con la parte armata grazie

alla relazione di fiducia costruita con il governo.

Abbiamo attivato varie azioni di comunicazione per creare un clima di consenso,

soprattutto nell’attività con la comunità internazionale. L’ascolto delle aspettative del

governo e dall’altra parte dei guerriglieri, è stato un altro passaggio, direi fondamentale

ed imprescindibile, nella nostra azione di preparazione al negoziato di pace,

l’attenzione a quello che sia il governo che la guerriglia volevano, è stata una delle

chiavi del successo di questo processo di Pace. Noi non abbiamo attivato un processo di

pace classico in cui bisognava mettere d’accordo due parti, nel caso del Mozambico, la

Comunità ha saputo interpretare i bisogni reali della popolazione, la pace, e ha capito

le paure e i desideri delle due parti (governo e guerriglia), ha portato tutto lo scenario,

mettendo ogni pezzo al posto giusto, su un piano politico. Questo risultato non era

riuscito a molti altri che si erano impegnati precedentemente nello stesso paese o per

esempio nel processo di pace in Angola, contemporaneo a quello del Mozambico,

proprio perché non c’è stata una reale attenzione alle esigenze della popolazione.

Il processo di pace del Mozambico è stato il risultato di un lavoro certosino fatto di

relazioni interpersonali e di relazioni pubbliche messe in atto dalla Comunità di

sant’Egidio con i 3 diversi attori del negoziato (Governo, guerriglieri, società e

comunità internazionale) relazioni che hanno funzionato per tutti i 27 mesi della

trattativa. Devo ammettere però che durante il processo di preparazione al negoziato

non c’era la consapevolezza di utilizzare modalità proprie delle relazioni pubbliche, di

fatto, però lo si faceva.

85

2. Nelle modalità di relazioni pubbliche si parla di ascolto, di valori

condivisi e di inclusione negli obiettivi da perseguire, delle aspettative

degli stakeholder e dei pubblici influenti. Come questi aspetti sono

stati considerati nella costruzione dei processi/trattative di Pace di cui

si è occupata la Comunità di Sant’Egidio?

L’ascolto degli attori principali e l’inclusione dei valori condivisi dalle parti sono il

lavoro basilare che si fa nelle fasi della mediazione. Infatti, perché una mediazione

riesca, è fondamentale e necessario, che tutte le parti coinvolte non perdano qualcosa

ma guadagnino qualcosa, deve essere win-win process. Il primo discorso che il Prof.

Riccardi fece alle due delegazioni riunite (governo e guerriglieri della Renamo), fu che

esisteva un bene comune tra i due che consisteva nell’essere mozambicani. L’essere

mozambicani, dopo 17 anni di guerra tra le parti, era realmente l’unica cosa che

avevano in comune e che permetteva di edificare il dialogo su questo unico comune

termine. La chiave di svolta nell’avvicinare le parti, è quindi stata che nell’essere

mozambicani hanno potuto “riconoscersi fratelli”. Ovviamente questo riconoscimento

non era da solo sufficiente, ed è stato necessario costruire tutto un negoziato di pace

intorno a questo termine di partenza.

Direi comunque che lavorando nei processi di Pace, la Comunità di Sant’Egidio

inizia col capire quali sono le aspettative delle parti coinvolte. La difficoltà sta

nell’identificare il comune denominatore tra le parti prima che il processo di Pace

abbia inizio, in modo da garantire a tutti che qualcosa di “nuovo” ma di interesse

comune, esiste. Si può quindi dire che il processo di pace nelle sue varie fasi, sia un

esercizio complesso di relazioni pubbliche. È fondamentale trovare le modalità più

adatte per gestire il “pubblico di riferimento” sia esso composto da rappresentanti di

governo, guerriglieri o popolazione, è con loro che si devono costruire fiducia e

disponibilità per giungere ad un dialogo possibilmente costruttivo.

86

3. Le relazioni pubbliche non si rivolgono alla generalità del pubblico,

ma a categorie particolari di intermediari a loro volta capaci di

influenzare il grande pubblico e quindi le comunità, gli Opinion

Leader e gli Opinion Maker. Secondo la Vostra esperienza, quanto è

importante il peso politico/sociale degli Opinion Leader o degli

Opinion Maker nei Processi di Pace? Come agite con loro?

Nel caso del Mozambico, essendo la civiltà mozambicana molto complessa era

difficilissimo trovare degli Opinion Leader o Opinion Maker. Invece direi che da un

punto di vista internazionale era chiaro che bisognava rivolgersi ai governi che avevano

più potere nei confronti delle due parti. Penso al Sud Africa nei confronti della

guerriglia poiché erano coloro i quali la pagavano, e per quanto riguarda la comunità

internazionale penso all’Italia nella figura del partito comunista italiano, e ad altre

grandi organizzazioni come le Nazioni Unite oppure agli stessi Stati Uniti nei

confronti del governo cosiddetto legittimo. Queste sono le modalità che noi abbiamo

attuato e che erano in quel momento, le uniche possibili.

La mia esperienza diretta mi fa dire che nei processi di Pace ci sono pochi Opinion

Leader o Opinion maker. Penso però a Giovanni Paolo II e al discorso che ha fatto

sul dialogo interreligioso che è stato fondamentale, oppure all’influenza che nel contesto

dell’attuale guerra in Siria ha avuto Papa Francesco che con la sua azione è riuscito a

fermare l’intervento americano in Siria e ha convinto il presidente Bashar al-Assad a

distruggere le sue armi chimiche.

La Comunità si è sempre mossa lontano dalla mediaticità e quindi intessendo, come si

diceva prima, relazioni interpersonali a vari livelli raggiungendo gli attori principali

della potenziale negoziazione e creando le condizioni perché questa avvenga, ma

l’azione della comunità di SE si svolge lontano dai riflettori.

87

4. In quale dei Processi di Pace cui la Comunità di Sant’Egidio ha

partecipato l’utilizzo delle Relazioni Pubbliche è stato particolarmente

rilevante e perché?

Come accennato prima, il processo di pace del Mozambico sicuramente è il caso più

significativo dal punto di vista delle modalità attuative. La Comunità di Sant’Egidio

ha lavorato a circa 30 conflitti e l’identificazione dei Stakeholder, la costruzione di

relazioni, l’ascolto alle esigenze delle parti coinvolte per inglobarle nel processo di pace,

è stato fatto un po’ ovunque ed è fondamentale e necessario, ove non si fa si arriva

facilmente al fallimento. Sant’Egidio nella sua azione a favore della pace cerca sempre

il dialogo, il confronto, l’ascolto partecipativo, anche se non sempre si arriva al

risultato auspicato. Però va considerato che, benché il processo avviato comprenda tutti

questi elementi che sono propri anche delle relazioni pubbliche, se gli stakeholder

principali non vogliono si arrivi alla risoluzione, purtroppo si va alla guerra.

5. Ci sono studi che affermano che più del 50% degli accordi di Pace

falliscono entro 5 anni dalla firma del trattato. Spesso questo

fallimento è dovuto al fatto che le donne e le loro opinioni non sono

state incluse nei “decision making”. Secondo la vostra esperienza qual è

l’apporto delle donne nei Processi di Pace e quale è la principale

caratteristica femminile che favorisce la felice conclusione di un

Processo di Pace?

La partecipazione delle donne per la buona riuscita dei processi di pace è

fondamentale, anche se secondo i dati a mia disposizione, non esistono al momento

processi di pace ai quali partecipino direttamente le donne. Il coinvolgimento delle

donne nei processi di pace veri e propri, secondo la mia esperienza, non accade quasi

mai. Ritengo che sia una mancanza fondamentale nell’ambito della gestione dei

88

processi di pace. Potrei dire che spesso sono coinvolte nelle fasi accessorie. Mi spiego: il

processo di pace è composto di varie fasi:

� fase del peacemaking;

� fase del peacebuilding;

� fase del conflict transformation o peacekeeping.

In tutto questo processo le donne sono coinvolte nella parte del peace building e in

quella del conflict transformation, ma non sono mai coinvolte nella parte relativa al

peace making nella quale vengono prese le decisioni. Una spiegazione di questa

situazione è che numericamente meno donne, anche se questo dato è in crescita,

partecipano alla guerra armata, e quindi in fase di negoziazione di un processo di

pace, per fermare la guerra bisogna parlare con gli uomini (statisticamente la maggior

parte di chi è a capo di una parte in guerra, è di sesso maschile). Il fatto che le donne

non abbiano un ruolo attivo nella fase del peacemaking, dal mio punto di vista è una

grave mancanza. Il processo di pace in sé, quindi il peacemaking che deve servire a

fermare la violenza, è fatto sostanzialmente da uomini; non mi è mai accaduto di

trovare al tavolo dei negoziati una controparte donna. Recentemente però, trattando il

problema del Centrafrica, il governo centrafricano era rappresentato da donne. Va

considerato che la fase del peacemaking ha sostanzialmente una struttura politica,

quindi proprio per questo è difficile che si possano notare differenze tra i generi, le

decisioni sono strettamente politiche. Sono utilizzati degli strumenti che sono neutri che

non hanno quindi possibilità di interpretazione.

Cosa diversa è voler rendere la pace duratura e non prendere in considerazione le

donne nella costruzione di una società pacifica, cosa che ritengo un errore gravissimo.

Secondo la mia esperienza, il processo di Pace in sé è veramente neutro, mi spiego: il

primo Ministro donna che ha firmato l’accordo di pace per il Centrafrica, si è

comportata come primo ministro e NON come la signora primo ministro, svolgeva un

ruolo totalmente istituzionale. Però una volta fatto l’accordo di pace sul Centrafrica,

la sua implementazione ha bisogno di tutte le componenti, quindi la politica, la società

civile e le donne, le rappresentanze religiose e ad ogni componente bisogna assegnare il

suo ruolo. Il fatto che talvolta le donne non siano inserite nella ricostruzione è un

89

gravissimo errore poiché esiste una specificità nella ricostruzione ed esiste una

specificità nel costruire una società pacifica che non è tipica degli uomini.

Personalmente nella fase dell’interruzione della violenza (peacemaking), non mi è mai

capitato di vedere donne sedute al tavolo delle trattative. Fanno parte dei team di

mediazione che noi creiamo, ma non ho esperienza di team delle controparti in cui ci

fossero donne al tavolo delle trattative. Nel team dei mediatori le donne sono presenti

ma nel team dei mediati non le ho mai incontrate. Ribadisco che lo ritengo un errore

grave in quanto viene esclusa la metà della società civile e le sue esigenze, ritengo però

che sia altrettanto un errore inserire le donne se non hanno un ruolo preciso.

Voglio citare un esempio positivo del coinvolgimento delle donne cui noi della

Comunità di Sant’Egidio abbiamo assistito e che fa parte della comprensione delle

dinamiche della società coinvolta nel processo di pace e nel post accordo. Nel

Mozambico dopo la fine della guerra, c’era il grave problema dell’AIDS che stava

uccidendo più persone che la guerra stessa – si stima ne abbia uccise circa un milione e

mezzo e ne avrebbe probabilmente uccise un numero indefinibile - a questo punto la

Comunità di Sant’Egidio ha iniziato a fare un lavoro di cura dell’AIDS, ma ci

siamo accorti che la cura in sé non bastava in quanto le persone non andavano a farsi

curare. A questo punto la Comunità di Sant’Egidio ha cercato di trovare una

soluzione a questa diffidenza e l’ha trovata in alcune donne mozambicane che alla

luce delle definizioni di relazioni pubbliche potrei chiamare “Influencer”. Sono state

individuate alcune donne – anzi un gruppo consistente di donne - che avevano

accettato di farsi curare dall’AIDS dalla Comunità di Sant’Egidio ed erano

“guarite”. Queste donne sono state incaricate di testimoniare che la cura poteva

aiutare le persone in questa lotta e l’hanno fatto talmente bene che sono divenute le

principali promotrici della cura al punto che oggi sono loro che portano avanti il

programma di cura contro l’AIDS in Mozambico– definito WOMEN for Life.

Esse si sono fatte testimoni della loro personale vicenda positiva creando un clima di

consenso e fiducia verso la cura e la Comunità che la elargiva. Di contro, anche degli

uomini avevano ricevuto le stesse cure, ma con loro non ha funzionato. Gli uomini

culturalmente, non potevano rendere conto della loro debolezza – l’aver contratto una

90

malattia - avrebbero indebolito la loro posizione all’interno della loro società. La

donna ha un altro atteggiamento e tutta un’altra forza che nella ricostruzione di un

paese, e nel porre le basi per la ricostruzione delle trame sociali, diventa un volano

potentissimo ed insostituibile. La donna realizza le condizioni perché si crei una

società pacificata e pacifica, penso al contributo che per esempio hanno dato le suore

nelle guerre occupandosi degli orfani. Il recupero degli orfani di guerra è

importantissimo nella ricostruzione di un paese che esce da un conflitto, l’uomo non è

in grado di farlo. L’uomo che si è occupato di guerra quasi mai è in grado di occuparsi

di costruire la pace.

Ritengo che la presenza di donne nei team di mediazione sia fondamentale perché esse

sono in grado di percepire necessità, bisogni, possibilità che i mediatori uomini nello

stesso ruolo, non sono in grado di comprendere.

Il processo di pace è il risultato di sinergie varie e complesse tra politici, uomini, donne,

religiosi e laici e nei team di mediazione e nella fase di ricostruzione le donne hanno

un ruolo fondamentale ed imprescindibile.

Fig. 5.1 - Il logo della Comunità di Sant’Egidio

91

5.3. Peacebuilding - Intervista a Federico Mayor Saragoza, Presidente della

Fondazione Internazionale Cultura della Pace, Madrid, ex Direttore

Generale dell’UNESCO dal 1987 al 1999, ex Ministro dell’Educazione e

della Scienza (1981-1982), Spagna

1. Prof. Mayor, che cos’è per lei la pace?

La pace è rispetto per la vita.

La pace è il bene più prezioso dell’umanità.

La pace è più che la fine di un conflitto armato.

La pace è una modalità di comportamento.

La pace è un impegno radicato ai principi di libertà, giustizia, uguaglianza e

solidarietà tra tutti gli esseri umani.

La pace è anche un accordo armonioso dell’umanità con l’ambiente.

Oggi nel XXI secolo, la pace è alla nostra portata.

Dalle origini dei tempi, il potere assoluto maschile ha applicato, senza eccezione, il

proverbio perverso che dice: “Si vis pacem, para bellum”, “Se vuoi la pace, prepara la

guerra”. Gli esseri umani erano invisibili, anonimi, confinato in un piccolo spazio, sia

territoriale e intellettualmente, timoroso. Le donne erano “inesistenti”, e quando per

caso per regioni dinastiche sono apparse negli scenari del potere, erano logicamente “ad

imitazione” dello “stile maschile” nella governance.

Come accade con la libertà e la giustizia... la pace non arriva dall’alto, ma da una

paziente e costante costruzione della pace personale.

Il passaggio da una cultura di imposizione, dominazione, violenza e guerra ad una

cultura di dialogo, di conciliazione, l’impegno e la pace, è ora, per la prima volta

fattibile, in quanto:

i) le nuove tecnologie di comunicazione e informazione stanno progressivamente

fornendo a tutti gli abitanti della Terra una coscienza globale;

ii) progressivamente, tutti possono esprimere liberamente le loro opinioni, pensieri,

invenzioni e sogni;

92

iii) le donne stanno prendendo parte al processo decisionale. Nelson Mandela ha detto

che solo quando la parità nei governi e nel processo decisionale avrà luogo, la

cultura della pace, il passaggio storico dalla forza della Guerra alla forza della

parola, sarà possibile.

Il concetto di pace è stato sviluppato attraverso:

la Dichiarazione e il Programma d’Azione per una Cultura di Pace (Http://fund-

culturadepaz.org/eng/DECLARACIONES/declarationProgrammeCoP.pdf)

la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla formazione scolastica

dei figli del Mondo in una Cultura di Pace e Non-Violenza (http://www.un-

documents.net/a56r5.htm), e con la Carta della Terra

(http://www.earthcharterinaction.org/content/pages/Read-il-charter.html).

L’articolo 1 della dichiarazione sulla tolleranza del 1995, adottata dalla Conferenza

dell’UNESCO, stabilisce anche che pace e tolleranza sono raggiunte solo quando

esiste il rispetto per tutti gli altri esseri umani, il rispetto è la pietra miliare della

costruzione della pace.

2. Basandosi sulla sua esperienza, che cos’è un processo di pace?

Un processo di pace è pluridimensionale, dove il primo livello è decidere di porre fine

alla violenza e quindi creare le condizioni per vivere pacificamente insieme.

Il processo di pace, inizia con un primo accordo “segreto” tra le parti, in questo

periodo la giustizia transizionale ha un ruolo cruciale.

Dalla mia esperienza posso dire che, un inizio positivo si ha quando le discussioni

riguardano solo il futuro, con l’obiettivo di un nuovo contesto per i figli di entrambe le

parti, tralasciando nelle decisioni dei successive passi da intraprendere, le sensazioni

del presente e le azioni del passato. Il passato è già stato scritto. L’unica cosa che deve

essere preso in considerazione sempre sono le vittime. L’unica cosa che può ora essere

scritta in modo diverso è il futuro. Il futuro può essere reinventato.

93

È nella prima “strategia del processo”, dove io ritengo che la comunicazione e le sue

“nuove modalità” siano particolarmente rilevanti, in quanto esso puntano sulla

fattibilità del processo, e soprattutto perchè i messaggi possono generare la speranza che

le future generazioni saranno in grado di vivere e di agire in modo diverso.

3. “Il ruolo strategico delle relazioni pubbliche si esprime nell’assistere

un’organizzazione, un’istituzione o anche un singolo, nel

raggiungimento degli obiettivi con un’attività coordinata, continuativa,

consapevole e programmata di coordinamento e gestione dei sistemi

di relazione che si attivano tra l’organizzazione e i vari segmenti dei

suoi pubblici influenti. Compito delle relazioni pubbliche è

individuare i soggetti che possono aiutare oppure ostacolare le attività

dell’organizzazione. Questi soggetti sono definiti stakeholder, cioè tutti

quei soggetti che si sentono in diritto di far valere la propria opinione nei

confronti dell’organizzazione. Una volta individuati sarà compito delle

relazioni pubbliche, individuare i messaggi, gli strumenti e i canali più

efficaci per comunicare con questi strumenti. Per raggiungere questo

obiettivo le relazioni pubbliche si impegnano a costruire relazioni

simmetriche e bidirezionali, un dialogo per implementare negli

obiettivi dell’organizzazione i legittimi interessi degli stakeholder.

Strumenti fondamentali di questa disciplina sono il dialogo, l’ascolto

reciproco, la capacità di includere nelle proprie strategie le aspettative

dei nostri stakeholder, per arrivare alla costruzione di relazioni basate

sulla fiducia per rafforzare la propria credibilità sociale, ambientale e

la propria reputazione”. Basandoci su questi concetti, quale secondo

Lei è il valore aggiunto dato dall’attività di relazioni pubbliche in un

processo di pace?

94

La domanda in se è già una risposta eccellente: “Una volta individuati gli

stakeholder, sarà compito delle relazioni pubbliche, individuare i messaggi, gli

strumenti e i canali più efficaci per comunicare con questi strumenti”.

Vorrei sottolineare l’importanza fondamentale della “reciprocità”, che è

particolarmente difficile a causa dell’odio, riluttanza a concordare con quelli che sono

stati i nemici durante molte volte... e dove, naturalmente, i media possono svolgere un

ruolo straordinario.

In realtà, è essenziale a questo proposito, avere sin dall’inizio una “mappa “ di come i

media potranno presentare la situazione e I relativi ostacoli.

Dal mio punto di vista, le attività di pubbliche relazioni, contribuiscono in modo

sostanziale a presentare l’immagine della situazione in una modalità tale da

contribuire al successo del processo di pace.

4. Può raccontarmi di qualche sua esperienza diretta di processi di pace

e, se c’è stato, di un suo diretto uso nei processi di pace, di relazioni

pubbliche?

Nella mia vita ho partecipato a vari processi di pace. In Salvador sono stato chiamato

dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Javier Pérez de Cuéllar che mi ha

chiesto di intervenire alla fine del processo di pace e prima della firma dell’accordo di

Chapultepec (http://es.wikipedia.org/wiki/Acuerdos_de_Paz_de_Chapultepec).

Durante questa fase del processo i media hanno giocato un “ruolo positivo”,

sottolineando l’importanza della “pace armata” che era stata realizzata da entrambe

le parti, grazie all’intervento di Oscar Santamaría, Ministro degli Affari Esteri di

El Salvador e il Sánchez Seren Comandante del Fronte Farabundo Martí di

Liberazione Nazionale, il quale è attualmente il Presidente costituzionale di El

Salvador. I media, con il contributo di grandi scrittori, come il poeta Galindo,

(es.wikipedia.org/wiki/david_escobar_galindo) hanno supportato le fasi

finali del processo di pace.

95

In qualità di Direttore Generale dell’UNESCO e rappresentando le Nazioni Unite,

ho visitato l’allora Presidente del Salvador Alfredo Cristiani, e il quartier generale

degli insorti, per stabilire con loro una modalità di dialogo.

Tra le varie azioni iniziate a supporto dei questo processo di Pace, voglio ricordare che

l’UNESCO ha rapidamente istituito nel paese diverse “radio libere”, promuovendo

una partecipazione speciale delle donne, che come promotrici di pace sono molto

efficienti, con il programma “Buenos días, mujer”, in cui il microfono era dato

esclusivamente a loro.

A seguito dell’iniziativa del Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros

Boutros-Ghali, nel 1992 sono stato personalmente coinvolto nella riavvio del processo

di pace Guatemala, inizialmente avviato nel 1987 dal presidente Vinicio Cerezo,

dopo l’importante incontro tenutosi nella città di Esquipulas (Guatemala).

Ho iniziato la mia azione convocando il primo incontro tra le parti a “Los Montes de

Heredia”, in Costa Rica. I cinque rappresentanti del governo erano presieduti da José

Lobo, Presidente del Parlamento del Guatemala, mentre i cinque rappresentanti della

guerriglia erano presieduti da Rodrigo Asturias, figlio del Premio Nobel Letteratura

Miguel Ángel Asturias. Questo è stato un “incontro segreto”, al fine di decidere se

entrambe le parti fossero o meno convinti di ri-avviare il processo di pace. Ricordo

vividamente che l’inizio è stato molto turbolento, perché entrambe le parti si

esprimevano in modo offensivo, lasciando ampio spazio alle loro emozioni. Ho quindi

ritenuto che si dovesse iniziare in un altro modo e annunciando una pausa di venti

minuti ho detto loro “Sono qui per porre rimedio alla situazione attuale, offrendo ai

vostri figli un quadro diverso per la loro vita. Se vi ostinate a parlare del presente o del

passato, me ne andrò subito e il negoziato non avrà luogo. Se invece immaginate di

lavorare per una vita diversa per le prossime generazioni, per i vostri figli e nipoti,

allora rimarrò e giungere ad alcune conclusioni positive di questo incontro”. Dopo circa

dieci minuti, entrambi i presidenti hanno affermato che, accettavano di parlare del loro

futuro comune e non del loro passato, in questi primi passi dell’accordo di pace.

96

Governo e guerriglia ebbero altri “incontri segreti” alcuni dei quali nella sede centrale

dell’UNESCO. Gli “incontri ufficiali” del processo di pace iniziarono all’ El

Escorial, in Spagna, quattro anni più tardi.

Anche in questa occasione mi sento di sottolineare il ruolo positivo svolto dai media,

che affrontando in modo tempestivo le dinamiche del processo di pace, esaltandone i

lati positivi, dopo che le “domande di giustizia di transizione” erano state

regolarmente concordate, hanno indicato la necessità che venisse istituita una

“Commissione della Verità”. Penso che sia particolarmente rilevante istituire

“Commissioni di verità” al fine di risolvere veramente quello che è successo nel

“passato” e per dare una giusta collocazione alla memoria storica che è

particolarmente rilevante in tutti i processi di pace e dove i media hanno ancora un

ruolo molto rilevante.

Nel processo di pace della Colombia, la situazione era particolarmente complessa,

perché non solo le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), ma

soprattutto i paramilitari, insieme al traffico di droga, rendevano estremamente

complessa la situazione che si discuteva e gli eventi successivi, rendendo particolarmente

difficile ogni soluzione.

Anche in questa occasione il ruolo dei media nel contrastare la “soluzione militare”

dell’ex presidente Alvaro Uribe si è dimostrata estremamente rilevante per la

definizione dell’accordo.

5. Secondo la Sua esperienza esiste un diverso atteggiamento tra donne e

uomini nella conduzione di processi e trattative così delicati?

Sì. Ho già accennato al presidente Nelson Mandela a quando a Pretoria, nel 1996,

mi diceva che la cultura della pace sarà una realtà solo quando ci sarà una elevata

partecipazione delle donne nel processo decisionale. Le donne sono fondamentali perchè

agiscono secondo i loro valori intrinseci e non per imitazione. “Le donne rimandano

97

sempre la violenza”, mi diceva Nelson Mandela, mentre gli uomini richiedono di

utilizzare la forza. Per le donne non è così.

Durante la negoziazione, le donne mantengono l’essenziale rispetto per la vita,

rispettano la dignità di tutti gli esseri umani. A volte, il cuore prevale sulla mente.

Questo deve essere accettato. È logico, ma è necessario un grande sforzo per

“posticipare la violenza”.

6. Nella sua lunga carriera di ministro, diplomatico e di instancabile

tessitore di equilibri di pace, ha conosciuto molte persone che hanno

avuto dei ruoli fondamentali nei processi di Pace. Tra queste persone

ci sono molte donne. Ne ricorda qualcuna che Lei considera

particolarmente significativa e capace di rappresentare un esempio di

relatore pubblico nei processi di pace?

Penso a tre donne in modo particolare.

Rigoberta Menchú, Premio Nobel per la Pace nel 1992, che ci ha dato un fantastico

esempio di come, nonostante avesse tante pressioni sul suo cuore, ( la madre, il padre e

alcuni fratelli sono stati uccisi e torturati), è stata in grado di superare tutte queste

sofferenze e ha saputo giocare un ruolo cruciale nel processo di pace del Guatemala e

nella “Commissione della Verità” che lo ha seguito. Nel 1993, le ho dedicato una

poesia che iniziava come segue: “Cada día / un gesto de amor, / Una palabra, /

Una sonrisa. / Cada día, / Una semilla / Sembrar, / sembrar, sembrar... / ¿Qué

Importa la Cosecha? / Lo que Importa / es cada instante / Unico, fugaz /

irrepetible /...”

Piedad Córdoba avvocato e politica colombiana, che attualmente sta svolgendo un

audace e coraggioso lavoro per la pace in Colombia guidando il gruppo “Colombianos

por la Paz” e ricoprendo un ruolo di mediatore che si è rivelato estremamente utile.

Attualmente questo processo viene seguito a L’Havana (Cuba).

98

Altra donna, per me, particolarmente importante è Nidia Díaz che era il numero due

del gruppo armato dei ribelli di El Salvador (Frente Farabundo Martí). Al momento

giusto si è rivelata uno dei partner più intelligenti per garantire il successo del processo

di pace di El Salvador. Oggi Nidia Diaz è un autorevole membro del governo di El

Salvador, ed è una donna-simbolo della costruzione della pace nel suo paese.

7. Gli antichi romani dicevano “si vis pacem, para bellum”. In questo

momento storico così travagliato e difficile, in cui ogni equilibrio

politico è facilmente alterabile da molteplici e talvolta imprevedibili

fattori, secondo Lei è ancora valido questo principio e se sì, perché?

Come ho già detto, non ritengo che questo proverbio romano sia “valido”. Al

contrario, promosso dai produttori di armi, è stato il motivetto di sottofondo di scontri,

conflitti, invasioni. Le soluzioni istituzionali a favore della diplomazia, a favore degli

accordi di pace, sono state contrastate da coloro che pensano che quello che conta è il

potere egemonico.

Nel 1919, il presidente americano Thomas Woodrow Wilson cercò di porre fine al

“tempo della guerra” istituendo a Ginevra, la Lega o Società delle Nazioni, riunendo

insieme con una Corte permanente di pace a livello mondiale, tutti i firmatari.

All’epoca, il partito repubblicano americano ha reagito immediatamente e -questo è

una contraddizione che deve essere resa nota - gli Stati Uniti del Nord America non

sono mai stati un membro della Società delle Nazioni, creata dal loro presidente

Wilson.

Dopo la seconda guerra mondiale, il disegno perfetto del presidente americano

Roosevelt per il sistema delle Nazioni Unite, con le sue istituzioni specializzate in

lavoro, salute, cibo, educazione, scienza e cultura, sviluppo, bambini, non è stato

applicato, perché di nuovo anche in questa circostanza l’incipt “Noi, i popoli...” è

stato sostituito dagli Stati membri, escludendo la società civile, e permettendo che solo

alcuni dei membri delle Nazioni Unite avessero il veto al posto del voto. Dopo la

99

caduta del muro di Berlino simbolo dell’Unione Sovietica, senza che venisse versata

una sola goccia di sangue, al suo posto si è sviluppata una comunità di Stati

indipendenti. Le ambizioni egemoniche del Partito Repubblicano degli Stati Uniti

hanno nuovamente portato alla governance mondiale un gruppo plutocratico,

traducibile nei vari G7, G8, G20. Oggi, più di 3 miliardi di dollari vengono investiti

giornalmente in spese militari e di armamento, mentre circa 50.000 persone, la

maggior parte bambini, muoiono di fame.

Ora, è più urgente che mai a mettere in pratica le priorità del “nuovo inizio” sancito

dalla Carta della Terra: cibo per tutti; accesso all’acqua; servizi sanitari; tutela

ambientale; istruzione per tutti; pace.

Non c’è pace senza giustizia sociale.

Non c’è pace se l’uguale dignità umana non è rispettata.

8. Lei che è un grande comunicatore e che ha fatto del dialogo e della

parola la sua arma per combattere l’indifferenza e per creare

consapevolezza nelle persone soprattutto a difesa della Pace, come

vede il futuro delle relazioni pubbliche in questo momento così

particolare della nostra storia?

Come ho detto prima, credo che in questo momento gli esseri umani, sempre invisibili,

anonimi, obbedienti, sottomessi, possono, per la prima volta nella storia, prendere in

mano le redini del loro destino comune.

Possono esprimere se stessi, e possono quindi partecipare alla costruzione di una vera

democrazia; sono cittadini del mondo con una coscienza globale e, cosa estremamente

rilevante, per la prima volta le donne, con la parità di genere, possono svolgere il ruolo

fondamentale che nella nuova era appartiene a loro.

La comunicazione pubblica, le pubbliche relazioni, ora dipenderanno anche

progressivamente del “grande dominio” (militare, finanziario, energetico, mediatico,

digitale) e il “potere dei cittadini” potrà essere pienamente espresso nel cyberspazio.

100

Lo stato attuale dei media è una vergogna: la maggior parte sono la “voce padrone”.

Libera espressione, media liberi, e libere pubbliche relazioni! Questo è il pilastro

principale per un futuro migliore per l’intera umanità.

Fig. 5.2 - Federico Mayor Zaragoza

5.4. Peacekeeping - Intervista al Tenente Colonnello dei Lagunari Giovanni

Boggeri - dal 1994 al 2003 in forza al reggimento lagunari “Serenissima”

in Venezia, dal 2003 al 2009 in forza al Comando del Corpo d’armata di

reazione rapida della nato in Solbiate Olona (VA) ed attualmente in forza

alla Scuola Telecomunicazioni Interforze di Chiavari (GE) con l’incarico

di Capo Ufficio Difesa

1. Tenente Colonnello Boggeri, Lei ha partecipato direttamente a molte

missioni di peacekeeping cui l’Italia ha aderito fra le quali le missioni in

Albania, Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Afghanistan ed Iraq. Ci può

definire, secondo la sua esperienza diretta, cos’e’ un processo di pace?

Un processo di pace è la fase fondamentale del passaggio da una situazione di

conflittualità ad una situazione di pace stabile. Un processo di pace si realizza con

l’interazione di innumerevoli attori, tutti assolutamente indispensabili: parti in

101

conflitto, organizzazioni internazionali, governi nazionali, autorità locali,

organizzazioni non governative, forze militari di “peacekeeping”. Tutte le parti in

causa devono interagire tra loro partendo dalla ricerca del dialogo tra le parti in

conflitto, presupposto fondamentale per arrivare ad un accordo che assicuri almeno la

sospensione delle ostilità.

2. Quali erano generalmente i compiti che vi venivano assegnati nelle

missioni di consolidamento della pace?

Missione in Albania (1997)

Nella prima missione alla quale ho partecipato, la missione “ALBA” in Albania,

nel 1997, l’Italia, per la prima volta, ha assunto la guida di una Forza

Multinazionale. Questa missione era stata attivata sia su mandato dell’OCSE che

dell’ONU (Risoluzione n. 1101) su richiesta del Governo Albanese. Il fine della

missione era riportare la legalità nel Paese e assistere le autorità locali nel previsto

processo elettorale, dopo che il paese era stato investito da una gravissima crisi interna

dovuta al progressivo deterioramento dell’economia. La crisi ha avuto come

conseguenze l’insorgere di violente proteste da parte di larghi strati della popolazione,

l’acuirsi del fenomeno dell’emigrazione clandestina, soprattutto verso l’Italia e lo

sfaldamento delle Forze Armate e della Polizia. In questo contesto le attività

principali della Forza Multinazionale erano quelle di mantenimento dell’ordine

pubblico e della legalità, in cooperazione con le forza albanesi, di supporto delle

autorità albanesi nella preparazione delle elezioni e di distribuzione di aiuti

umanitari alla popolazione.

Missione in Bosnia (1998)

Nella mia seconda missione, a Sarajevo, in Bosnia, nel 1998, il compito della Forza

Multinazionale della NATO (Stabilisation Force – SFOR), era quello di fare si

che venisse rispettato quanto stabilito dagli Accordi di Dayton del dicembre 1995,

102

all’indomani della formale cessazione delle ostilità tra le entità generate dalla

disgregazione dell’ ex Yugoslavia. In particolare la Task Force di cui facevo parte

aveva il compito principale di attivare una serie di pattugliamenti e di presidi fissi per

il controllo del territorio e la difesa di alcune infrastrutture fondamentali nell’area di

Sarajevo e di Pale.

Missioni in Kosovo (1999 - 2000)

Nelle due successive missioni, svolte in Kosovo, la prima a Dakovica tra il 1999 ed il

2000 e la seconda a Pec/Peje nel 2001, la Task Force di cui facevo parte era

inserita nella Forza Multinazionale della NATO (Kosove Force - KFOR), entrata

in Kosovo il 12 giugno 1999 su mandato delle Nazioni Unite.

La Risoluzione 1244 era stata adottata dal Consiglio di Sicurezza, nel tentativo di

porre rimedio alla crisi umanitaria che stava colpendo quella regione, con scontri

quotidiani tra le forze militari della Repubblica Federale di Jugoslavia e le forze

paramilitari dell’Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK) (Esercito di liberazione del

Kosovo) ed azioni violente sistematiche ai danni della popolazione civile. I compiti

principali di KFOR erano i seguenti

� assistere il ritorno e il dislocamento dei rifugiati;

� assistere il processo di ricostruzione e sminamento;

� garantire la sicurezza e l’ordine pubblico; ed in particolare la sicurezza delle

minoranze etniche;

� garantire la sicurezza del patrimonio storico

� garantire il rispetto dei confini e la sicurezza di confine;

� ottenere la consegna, in tutto il Kosovo, di armi, munizioni ed esplosivi;

� sostenere lo stabilimento di istituzioni civili, di un sistema giudiziario e penale, di

un processo elettorale, della legge e dell’ordine pubblico, e di altri aspetti della vita

politica, economica e sociale della provincia.

In questo contesto la Task Force di cui ho fatto parte, attraverso pattugliamenti e

presidi fissi, proteggeva alcune enclave ortodosse e controllava alcuni valichi di frontiera

103

con il Montenegro e le principali vie di comunicazione intorno agli abitati di

Dacovica/Giacova e Pec/Peje.

Missione in Iraq (2004)

La missione “Antica Babilonia” svolta in Iraq, presso An Nassiria, nel 2004 aveva

i seguenti obiettivi:

� ricostruzione del “comparto sicurezza” iracheno attraverso l’assistenza per

l’addestramento e l’equipaggiamento delle forze, a livello centrale e locale, sia nel

contesto della NATO sia sul piano bilaterale;

� creazione e mantenimento della necessaria cornice di sicurezza;

� concorso al ripristino di infrastrutture pubbliche ed alla riattivazione dei servizi essenziali;

� rilevazioni radiologiche, biologiche e chimiche;

� concorso all’ordine pubblico;

� polizia militare;

� concorso alla gestione aeroportuale;

� concorso alle attività di bonifica, con l’impiego anche della componente cinofila;

� sostegno alle attività della Coalition Provisional Authority (CPA);

� controllo del territorio e contrasto alla criminalità.

In particolare, la Task Force di cui facevo parte, aveva il compito di garantire la

piena funzionalità delle principali vie di comunicazione intorno alla città di An

Nassiria, di proteggere la sede della CPA in questa città ed alcune infrastrutture

fondamentali, di pattugliare il territorio della regione insieme alle forze irachene e di

addestrarle.

Missione in Afganistan (2005)

Nell’ultima missione alla quale ho partecipato, nel 2005, sono stato impegnato presso

il Quartier Generale della Forza Multinazionale denominata International Security

Assistance Force (ISAF), in quell’anno sotto comando italiano. Nell’ambito della

rotazione dei Comandi NATO per la condotta di ISAF, l’Italia, a partire dal 4

agosto 2005 e per nove mesi, ha avuto la leadership dell’ISAF, schierando in

104

Afghanistan il Comando NRDC-ITA (NATO Rapid Deployable Corps-Italy) al

comando del Generale di Corpo d’Armata Mauro Del Vecchio.

L’ISAF, il cui quartier generale si trova a Kabul, opera sotto mandato dell’ONU con le

risoluzione del 20 dicembre 2001 e del 13 ottobre 2003, allo scopo di proteggere le istituzioni

afghane e la popolazione locale dai talebani e dagli altri gruppi terroristici operanti nel paese,

addestrare le forze di sicurezza afghane e supportare le autorità locali nell’opera di ricostruzione

ed assistenza della popolazione. In particolare nel periodo di mia permanenza in ISAF

abbiamo gestito sia il completamento della fase 2 della missione, relativa all’ampliamento verso

Ovest dell’area di responsabilità della missione, sia la parte embrionale della fase 3,

caratterizzata dall’assunzione da parte delle forze di ISAF della responsabilità delle province

meridionali dell’Afghanistan, dove fino ad allora operavano solo le forze della missione a guida

statunitense denominata “Enduring Freedom”.

3. Come reagivano alla vostra presenza le popolazioni con le quali siete

entrati in contatto durante le missioni di consolidamento della pace?

Personalmente non ho mai assistito ad eventi che evidenziassero ostilità delle

popolazioni locali nei confronti dei soldati della Forza di Pace. E ciò vale in

particolar modo per gli Italiani. Il fatto che noi Italiani abbiamo la capacità di essere

benvoluti per l’umanità e l’altruismo con il quale operiamo, dalla mia esperienza

diretta ho potuto vedere che non è un luogo comune ma una ineluttabile realtà.

Un esempio su tutti. Nel 2004 in Iraq, durante uno dei combattimenti che hanno

visto coinvolti gli uomini della Task Force “Serenissima” contro forze ostili locali, gli

abitanti dei quartieri dove si combatteva, durante le fasi di quiete tra una sparatoria e

l’altra, si avvicinavano ai nostri soldati e gli porgevano del cibo e dell’acqua in segno

di amicizia e gratitudine.

105

4. Come sono cambiate secondo lei, le missioni di peacekeeping da quando

nell’esercito italiano c’e’ la presenza delle donne?

La presenza delle donne nell’Esercito Italiano, ed in generale nelle Forze Armate

Italiane, è stata stabilita dalla legge 20 ottobre 1999 n. 380. Pertanto io ho avuto

modo di sperimentare in prima persona gli effetti di tale cambiamento nelle missioni di

peacekeeping.

Questi effetti sono molto vari e ritengo tutti molto positivi.

Ad esempio, da un punto di vista meramente tattico, il fatto di poter disporre di

personale femminile all’interno delle unità che sono chiamate ad operare sul terreno,

permette di poter controllare e soprattutto perquisire con minori problemi le donne.

Inoltre la presenza femminile risulta di grande aiuto nello svolgimento alcune attività

tipiche di ogni missione di pace, quali, ad esempio, la distribuzione di aiuti umanitari

o l’assistenza medica alla popolazione locale, caratterizzate da uno stretto contatto con

le popolazioni locali ed in special modo con donne e bambini.

5. Attraverso l’attività di relazioni pubbliche si cerca di orientare

opinioni, atteggiamenti, comportamenti e decisioni degli stakeholders o

dei soggetti che possono agevolare od ostacolare il raggiungimento

degli obiettivi di un’organizzazione. Il processo di comunicazione è

basato su un reciproco scambio fondato sul dialogo e sul

riconoscimento dell’altro. In questo processo, l’ascolto attivo

dell’altro ha una fondamentale importanza in quanto costituisce la

chiave del cambiamento per far si che la comunicazione divenga

reciprocita’ e condivisione. Ci puo’ illustrare come secondo lei questi

concetti base della teoria delle relazioni pubbliche sono stati applicati

ai processi di pace ai quali lei ha partecipato e quali sono stati i

risultati che ha visto?

106

Le Relazioni Pubbliche e la Comunicazione Interculturale rivestono un ruolo molto

importane nella formazione degli Ufficiali ed in particolare di quelli destinati a

ricoprire ruoli apicali all’interno delle Forze Armate. Questo aspetto denota già

quanto i vertici militari siano consapevoli che la capacità di sapere dialogare con le

parti in causa e di gestire le relazioni complesse tra tutti gli attori di una missione di

pace, siano capacità che un Comandante deve avere.

Infatti il rapporto efficace con gli “stakeholders” e il perseguimento del dialogo tra tutti

i soggetti rilevanti, sono aspetti che fanno parte integrante degli obiettivi che ogni

Comandante persegue nella pianificazione e nella condotta di una missione. E ciò

riguarda i Comandanti a tutti i livelli, a partire da quelli di un piccolo Distaccamento

locale, per passare ai Comandati di Task Force fino ad arrivare al Comandante della

Forza di Pace.

Inoltre, all’interno dello Staff di ogni Comandante, è previsto esistano figure che si

occupano di “Cooperazione Civile e Militare” e di “Comunicazione Operativa”.

La “Cooperazione Civile-Militare” è uno strumento operativo nelle mani del

Comandante militare per portare a compimento la missione in una operazione di

supporto alla pace. Si cerca di raggiungere il compimento della missione con

l’ottimizzazione delle relazioni con la popolazione, con le autorità locali e con le

organizzazioni internazionali governative e non governative, e soprattutto attraverso la

creazione un ambiente favorevole all’assolvimento della missione stessa.

Attraverso la “comunicazione operativa”, si sviluppano strategie ed azioni

comunicative allo scopo di creare, consolidare o incrementare il consenso della

popolazione nei confronti dei contingenti militari impegnati in missioni fuori area.

Oltretutto i Comandanti di più alto livello dispongono di “Assistenti Politici” e di

“Assistenti Giuridici” che li supportano nella gestione delle relazioni con gli

“stakeholders”.

L’approccio che sia ha nei confronti degli interlocutori locali “istituzionali” e dei

rappresentanti della popolazione è sempre quello dell’ascolto e dell’analisi delle diverse

problematiche. Evidentemente le richieste della popolazione civile sono da mettere in

107

sistema con gli obiettivi della missione, con le problematiche legate alla sicurezza

dell’area e con le risorse economiche a disposizione dei Comandanti.

6. Può raccontarmi di qualche sua esperienza diretta di processi di pace

e, se c’è stato, di un suo diretto uso nei processi di pace, di relazioni

pubbliche?

Personalmente non ho mai fatto un uso diretto di Relazioni Pubbliche durante le mie

missioni ma ne ho toccato con mano quotidianamente gli effetti. In tutti i teatri

operativi in cui mi sono trovato ad operare, ho vissuto momenti di fortissima tensione

che sono stati risolti grazie al dialogo tra le parti in combinazione con un’efficace

risposta militare. Inoltre, in ogni missione di pace ho assistito e partecipato

all’organizzazione e alla conduzione di operazioni di distribuzione di aiuti umanitari

che hanno come presupposto imprescindibile, un’efficace rete di contatti tra le autorità

locali, la popolazione locale e i rappresentanti della Forza di Pace.

7. Gli antichi Romani dicevano “si vis pacem, para bellum”. In questo

momento storico così travagliato e difficile, in cui ogni equilibrio

politico è facilmente alterabile da molteplici e talvolta imprevedibili

fattori, secondo lei è ancora valido questo principio e se sì, perché?

Ritengo che questo principio sia assolutamente ancora valido perché a mio avviso,

penso che la pace sia un bene fondamentale che è necessario difendere. Ritengo inoltre

che per la sua difesa, la deterrenza rivesta un ruolo molto rilevante. Tante sono le

minacce e le tensioni che gravitano intorno ai confini dell’Italia e dell’Europa che

pensare di poter prescindere dal disporre di uno strumento militare credibile ed

efficiente ritengo, purtroppo, sia una mera utopia. Logicamente il sistema di difesa

108

italiano si fonda sulla rete delle alleanze internazionali di cui l’Italia è parte, prima

fra tutte la NATO.

8. La comunicazione e le relazioni pubbliche hanno cambiato le loro

modalità comunicative integrando strumenti come i social media nella

loro quotidianità. Secondo il suo punto di vista, i processi di pace e/o

le missioni di pace come possono utilizzare queste nuove tecnologie

rendendole uno strumento di pace?

La “comunicazione operativa” militare impiega tutti i mezzi di comunicazione

disponibili per veicolare messaggi volti al perseguimento degli obiettivi di una missione.

Stampa, volantini, cartellonistica, messaggi audio e video e, naturalmente anche

l’impiego della rete e dei social network sono ampiamente utilizzati nella varie fasi

delle operazioni militari.

Fig. 5.3 - Uno dei Logo delle UN Peacekeeping missions

109

Conclusioni

Dopo aver approfondito e analizzato i possibili punti di contatto tra la

disciplina delle relazioni pubbliche e i processi di pace sono emersi, a

mio avviso, degli spunti interessanti e rilevanti.

La storia dell’umanità è un incessante esercizio di relazioni pubbliche i

cui metodi si sono semplicemente raffinati e strutturati in tempi recenti

dotandosi di metodologia e diventando una disciplina utilizzata

trasversalmente.

Le donne, diversamente dagli uomini, sono predisposte alla mediazione

al dialogo e al rispetto per gli altri, caratteristiche che ne fanno delle

ottime relatrici pubbliche e le porrebbero di diritto ai tavoli dei processi

di pace. In realtà solo il 3 per cento degli accordi di pace è firmato da

donne, solo l’8 per cento vede la presenza femminile nei negoziati che li

precedono, solo il 12 per cento del corpo diplomatico è di sesso

femminile. Il loro ruolo importante e fondamentale è stato sottolineato e

riconosciuto unanimamente dai miei intervistati.

Dialogare con le eminenti personalità che mi hanno cortesemente

rilasciato le interviste su questo argomento, mi ha permesso di arrivare

alle seguenti conclusioni.

Le persone intervistate hanno ammesso di non avere mai considerato

che parte delle loro azioni nelle fasi dei processi di pace, sono azioni di

relazioni pubbliche. Emerge che la disciplina non è ancora chiaramente

percepita come strumento di negoziazioni. In realtà, parlando con

ognuno degli intervistati, l’utilizzo delle modalità delle relazioni

pubbliche nelle iniziative che loro competevano è emerso chiaramente.

Considerando che il processo di pace si svolge per fasi:

� Peacemaking

� Peacebuilding

� Peacekeeping

110

ho voluto analizzare i contributi degli intervistati secondo questo ordine

di azione.

Nella fase 1 “Peacemaking”, in cui possiamo collocare l’azione della

Comunità di Sant’Egidio, si svolge un vero e proprio ruolo di

mediazione. Da quanto testimoniato da Claudio Mario Betti riguardo al

processo di pace in Mozambico, le modalità operative proprie della

disciplina delle relazioni pubbliche utilizzate nella fase di “Peacemaking”

sono state le seguenti:

� analisi dello scenario;

� individuazione dei pubblici (stakeholder, influenti, influenzatori delle

issue);

� mappatura del potere;

� definizione delle modalità di coinvolgimento dei pubblici;

� ascolto dei pubblici (in modo particolare degli stakeholder);

� identificazione degli strumenti di ascolto (relazione interpersonale, o

mediata da influencer);

� definizione degli obiettivi;

� inclusione delle aspettative degli stakeholder negli obiettivi da

raggiungere;

� definizione dei messaggi chiave (tenendo in considerazione quanto

emerso dalla fase di ascolto delle aspettative);

� definizione delle modalità di contatto;

� scelta degli strumenti di comunicazione;

� pianificazione delle azioni;

� definizione dei ruoli e delle responsabilità.

Nella fase 2 “Peacebuilding” trova posto l’azione importantissima della

diplomazia che come abbiamo potuto capire dalle parole di Federico

Mayor Zaragoza, ha un ruolo fondamentale, prima e dopo la fine del

111

negoziato, per la costruzione di un ambiente in cui si possa stabilire la e

consolidare la pace.

Dalla mia analisi e riflessione molti sono i punti di convergenza dei due

ambiti: sia la diplomazia che le relazioni pubbliche mettono al centro

delle loro attività la comunicazione, cioè un processo strategico per

sviluppare relazioni positive con stakeholder influenti. Inoltre, diplomatico

e relatore pubblico, per raggiungere i loro obiettivi, devono possedere

specifiche abilità:

� capacità negoziali;

� chiarezza comunicativa;

� conoscenza dello scenario;

� conoscenza degli stakeholder;

� disposizione all’ascolto e alla conciliazione di diverse esigenze;

� abilità nel trovare soluzioni di compromesso;

� propensione all’adattamento alla diversità culturale;

� ampia visione generale.

La fase 3 “Peacekeeping”, o mantenimento della pace, è la fase successiva

agli accordi dove ancora gli equilibri sono fragilissimi e le decisioni non

ancora accettate. In questa fase spesso sono necessarie azioni “buffer” o

cuscinetto, che aiutano a consolidare il cambiamento avvenuto e non

ancora totalmente integrato nel nuovo tessuto politico-sociale. Poiché le

missioni di “Peacekeeping” sono normalmente missioni sotto l’egida delle

Nazioni Unite con mandato e regole d’ingaggio chiaramente definite, che

lasciano poca libertà d’azione, dall’analisi di quanto testimoniato dal

Tenente Colonnello Giovanni Boggeri, ritengo che le modalità utilizzate

nelle azioni militari di consolidamento della pace, afferenti alla disciplina

delle relazioni pubbliche, siano state le seguenti:

� conoscenza degli stakeholder;

� disposizione all’ascolto;

112

� abilità comunicative;

� ricerca del dialogo;

� adattamento e rispetto della diversità culturale;

� empatia;

� creazione di un ambiente favorevole.

Emerge chiaramente che l’architettura strutturale ed operativa delle

dinamiche di relazioni pubbliche è utilizzata nelle tre fasi dei processi di

pace. La loro applicazione durante lo svolgimento delle trattative di pace,

avviene generalmente in modo inconsapevole e l’utilizzo di questa

disciplina è percepita prevalentemente in maniera debole e non

chiaramente definita, benchè svolga di diritto un ruolo fondamentale in

tutti i negoziati di pace.

Considerando, però, che sia le relazioni pubbliche che i processi di pace

sono basati sulla comunicazione, posso così sottilmente concludere,

parafrasando il proverbio latino:

SI VIS PACEM, PARA VERBUM

113

Bibliografia

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www.unipd-centrodirittiumani.it

www.wikipedia.it

www.wikipedia.org

www.youtube.com

117

Ringraziamenti

Sono molte le persone che hanno contribuito a titolo diverso a questo

mio percorso e che voglio ringraziare. Ringrazio innanzitutto Gabriele,

che mi ha sostenuta, supportata e sopportata in questo cammino,

assecondando le mie giornate buie e la mia esigenza di silenzio e

incoraggiandomi sempre verso la meta; ringrazio i miei genitori Adriana

e Franco e le mie zie Gina, Giulia e Fernanda, da sempre miei grandi

sostenitori e fan, che tra consigli chiacchere e manicaretti hanno

contribuito al raggiungimento di questo risultato.

Ringrazio Francesca e Giulia che hanno da sempre fatto il tifo per me e

che soprattutto nell’ultimo periodo mi hanno aiutato e sostenuto

contribuendo a questo prodotto finale.

Ringrazio Federico Mayor per la sua disponibilità, e la cui azione per la

pace e i diritti umani, ha ispirato molti dei miei ideali di vita.

Ringrazio Claudio Mario Betti, che squisitamente ha accolto la mia

richiesta e mi ha reso partecipe delle trattative che hanno condotto

all’accordo di pace in Mozambico, ringrazio Giovanni Boggeri, che mi ha

permesso di accedere alla prospettiva militare e per la sua costante

amicizia.

Ringrazio le mie amiche e i miei amici che mi hanno incoraggiata e

sostenuta moralmente in questa impresa e particolarmente Antonella che

nella fase finale mi è stata molto vicina, ma una menzione particolare và

al gruppo fantastico di RPOL che annovero tra le esperienze più positive

di questo corso di laurea.

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