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Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Fisica Corso di Studi in Fisica Tesi di Laurea Dal Paradosso EPR alla Disuguaglianza di Bell Laureando: Francesco Paolo Rizzuto Relatore: Prof. Ennio Gozzi Correlatore: Prof. GianCarlo Ghirardi ANNO ACCADEMICO 2014–2015

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Università degli Studi di TriesteDipartimento di Fisica

Corso di Studi in Fisica

Tesi di Laurea

Dal Paradosso EPR alla Disuguaglianza diBell

Laureando:Francesco Paolo Rizzuto

Relatore:Prof. Ennio Gozzi

Correlatore:Prof. GianCarlo Ghirardi

ANNO ACCADEMICO 2014–2015

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IndiceIntroduzione 3

1 La non-separabilità della meccanica quantistica 41.1 Il paradosso di Einstein Podolsky Rosen . . . . . . . . . . . . . . 41.2 Ulteriori considerazioni sul paradosso EPR . . . . . . . . . . . . 5

2 L’approccio a variabili nascoste 7

3 La meccanica bohmiana 93.1 L’equazione del moto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93.2 L’evoluzione deterministica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93.3 Introduzione alla probabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103.4 L’equivalenza con la meccanica quantistica ortodossa . . . . . . . 113.5 L’esperimento della doppia fenditura . . . . . . . . . . . . . . . . 12

4 La disuguaglianza di Bell 144.1 Il principo di località di Bell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144.2 Il Teorema di Bell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154.3 La struttura logica del ragionamento di Bell . . . . . . . . . . . . 19

5 Conclusioni 21

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IntroduzioneFin da quando fu formulata, la meccanica quantistica, a causa del sue carattereintrinsecamente probabilistico, fu guardata con sospetto da diversi scienziati efilosofi. Il fatto che non si potesse più prevedere con certezza l’esito di una misu-ra, come si era sempre fatto con la teoria elaborata da Newton, non venne maidigerito da alcuni pensatori dell’epoca, i quali sostenevano che la meccanica deiquanti fin ora elaborata fosse una teoria incompleta che doveva essere comple-tata in senso deterministico. Tra questi pensatori, uno dei più illustri fu AlbertEinstein, il quale nell’articolo La descrizione quantistica della realtà fisica puòritenersi completa? pubblicato nel 1935 scrisse:

In ogni teoria completa c’è almeno un elemento corrispondente ad ognielemento di realtà. Condizione sufficiente per la realtà di una quantità fisica èla possibilità di predirla con certezza, senza disturbare il sistema. In meccanicaquantistica nel caso di due quantità fisiche, descritte da operatori noncommutanti, la conoscenza di una preclude la conoscenza dell’altra. Quindi o(1) la descrizione della realtà data dalla funzione d’onda in meccanicaquantistica non è completa, oppure (2) queste due quantità non possono avererealtà simultaneamente. Considerazioni relative al problema di fare predizioniriguardanti un sistema sulla base di misure effettuate su un altro sistema cheaveva precedentemente interagito con esso conducono al risultato che se (1) èfalso allora anche (2) è falso. Si è quindi portati a concludere che ladescrizione della realtà data da una funzione d’onda non è completa.

Così si spalancarono le porte alle teorie delle variabili nascoste, infatti, in baseal ragionamento fatto da Einstein, devono evidentemente esistere delle ulteriorivariabili, che insieme al vettore di stato fornito dalla meccanica quantistica or-todossa, permettano di specificare completamente lo stato di un sistema fisico.Tra i vari scienziati che lavorarono su queste teorie vi fu David Bohm. Quest’ul-timo nel 1952 elaborò una teoria deterministica, capace di riprodurre gli stessirisultati forniti dalla MQ.A prima vista potrebbe sembrare che, grazie al fatto che si è riusciti ad elaborareuna teoria dei quanti deterministica, ogni difficoltà sia stata eliminata. Tutta-via, come si accorse lo stesso John Bell, anche in questa teoria sono presenticaratteristiche nonlocali.Quest’ultimo, tentò svolgere un lavoro analogo a quello di Bohm ma in un con-testo locale, ma non vi riuscì. Dopo diversi fallimenti, ebbe la brillante idea diipotizzare che non fosse possibile estendere la MQ, o qualsiasi altra teoria equi-valente ad essa, ad una teoria locale. Nel 1964, riuscì a dimostrare quanto avevaipotizzato e rese quindi evidente che caratteristiche nonlocali dovessero esserepresenti in ogni teoria capace di descrivere correttamente i processi naturali allivello microscopico.

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1 La non-separabilità della meccanica quantisti-ca

La non-separabilità di un sistema quantistico è un’immediata conseguenza deiprincipi generali della meccanica quantistica e comporta un radicale cambia-mento circa l’idea usuale di un oggetto fisico come spazialmente localizzato.Per questo motivo essa ha dato origine a non poche difficolà concettuali. Perinvestigare questo problema in dettaglio conviene partire considerando un ap-parente paradosso elaborato da Einstein e dai suoi collaboratori Podolsky eRosen.

1.1 Il paradosso di Einstein Podolsky RosenIl Paradosso, noto anche come paradosso EPR, è un Gedankenexperiment checerca di mostrare come la meccanica quantistica sia essenzialmente una teoriaincompleta.Le argomentazioni dei tre scienziati si basano sul fenomeno quantistico della nonseparabilità (anche noto come fenomeno dell’entanglement), il quale consiste nelfatto che se due o più sistemi fisici interagiscono tra loro possono perdere la loroindividualità anche se successivamente risultano separati spazialmente di unqualsiasi ammontare.Prendiamo in considerazione, ad esempio, due sistemi A e B che interagisconoper un intervallo di tempo finito. Supponiamo che gli stati dei sistemi A e B,prima dell’interazione, siano preparati in modo da essere descritti rispettiva-mente dai vettori |ϕi〉 + |ϕj〉 e |φ〉 appartenenti agli spazi di Hilbert H(A) eH(B) . Lo stato del sistema A + B, prima dell’interazione, è quindi descrittodal vettore di stato (|ϕi〉 + |ϕj〉) ⊗ |φ〉 ∈ H(A) ⊗H(B). Supponiamo anche chel’interazione tra gli stati |ϕi〉 e |ϕj〉 e lo stato |φ〉 lo alterino, trasformandolo,rispettivamente, nei due stati linearmente indipendenti, |φi〉 e |φk〉.Dopo l’interazione, per la linearità della legge di evoluzione si ha che:

(|ϕi〉+ |ϕj〉)|φ〉 −→ |ϕi〉|φi〉+ |ϕk〉|φk〉 (1)

Prestando attenzione all’equazione (1) si può notare che dopo l’interazione, nonè più possibile associare un definito vettore di stato al sistema A e al sistemaB rispettivamente. Per essere più precisi teniamo conto del fatto che qualsiasistato quantistico è autostato di un’opportuna (di fatto di infinite) osservabile(i).Per rifarci al nostro esempio, lo stato |ϕi〉+ |φi〉 del sistema A potrebbe essereautostato di un’osservabile ΩA relativa all’autovalore ωi, mentre lo stato |φ〉 delsistema B potrebbe essere autostato di un’osservabile ΓB relativo all’autovaloreγj . La teoria ci consente quindi di asserire che il sistema A “possiede” la proprietàωi (nel preciso senso che, anche senza fare una misura si può asserire che se lasi facesse l’esito sarebbe certamente quello indicato). Analogamente la teoria ciconsente di asserire che il sistema B possiede la proprietà γj . Ma, nello statofinale della (1), per l’indipendenza lineare degli stati che entrano in gioco non sipossono, in generale, fare asserzioni circa le proprietà oggettivamente possedutedai sottosistemi, in quanto gli stati non sono autostati di un’osservabile relativia un dato autovalore. Addirittura, come vedremo considerando il caso di dueparticelle di spin 1/2 nello stato di singoletto, tutte le osservabili “componentidi spin” di ciascuno dei costituenti in qualsiasi direzione, hanno probabilità

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uguali ed uguali a 1/2, di dare uno dei due possibili esiti. Queste considerazioniimplicano che non sia sempre possibile associare un vettore di stato ai duecostituenti di un sistema composto da essi che hanno interagito in passato o piùin generale agli stati del sistema composto che non risultano il prodotto direttodi stati appartenenti ai rispettivi spazi di Hilbert.Comunque è lecito chiedersi se non ci sia una descrizione alternativa dello statofinale del sistema A + B che sia compatibile con l’attribuzione di un definitoset di proprietà fisiche ad entrambi i costituenti del sistema composto di A e B.Se si tiene inoltre conto del fatto che il fenomeno dell’entanglement implica lapresenza di correlazioni a distanza tra le quantità fisiche osservabili dei sistemicoinvolti, allora una descrizione alternativa non è più solo un’ipotesi ragionevole.Essa sembrerebbe essere piuttosto, una conseguenza necessaria.

1.2 Ulteriori considerazioni sul paradosso EPRPer comprendere meglio quanto esposto sopra consideriamo il seguente esempio:Una particella di momento angolare totale uguale a zero decade, in onda S(L2 = 0), in due particelle identiche di spin 1/2, che indicheremo rispettivamentecon A e B. Lo stato di spin delle particelle in esame deve quindi corrispondereall’autovalore S2

tot = 0, vale a dire è lo stato di singoletto. In uno stato siffatto,la probabilità di ottenere 1/2 o −1/2 come risultato della misura dello spinlungo una direzione arbitrariamente scelta n di una delle due particelle è 0.5.Dunque, in base alle regole della meccanica quantistica, la componente di spindi ciascuna delle due particelle risulta massimamente indeterminata e quindi,tra l’altro, non è possibile prevedere a priori l’esito di qualsiasi misura di spin.Supponiamo di effettuare ad un istante t (successivo al decadimento) una misuradello spin di A e supponiamo di ottenere come risultato 1/2. A questo punto,dato che il valore dello spin totale del sistema è zero e che il momento angolaresi conserva, possiamo essere sicuri di trovare la particella B in uno stato conspin −1/2 lungo la direzione n.Dunque il sistema B dopo che è stata compiuta una misura dello spin di A siritrova ad avere un ben definito valore dello spin. A partire da quanto soprasembrerebbe ragionevole supporre che lo spin della particella B fosse uguale a−1/2 anche negli istanti precedenti a t.In ogni modo, questa ipotesi, per quanto intuitiva, contraddice quanto previstodalle regole della meccanica quantistica. In base a queste ultime, infatti, ilrisultato della misura dello spin della particella B prima dell’istante t è deltutto indeterminato.Si arriva quindi, all’inevitabile conclusione che una misura compiuta sulla parti-cella A, per quanto le due particelle possano essere lontane, influenza le proba-bilità dei risultati di misure che dovessero eventualmente venir compiute sullaparticella B.È rilevante osservare che il principio di separabilità anche noto come principio diazione locale, secondo il quale se due sistemi durante un certo intervallo sono iso-lati meccanicamente, elettromagneticamente e termicamente, allora l’evoluzionedelle loro proprietà fisiche durante questo intervallo non può essere influenzatada operazioni effettuate sull’altro sistema, deve essere abbandonato.Le conseguenze sono di fatto le stesse ricavate mediante l’osservazione dell’e-quazione (1): A e B non possono in alcun modo, dopo l’interazione, essere

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considerati come due sistemi con precise proprietà fisiche; devono quindi, alme-no per quanto riguarda lo spin, essere considerati come un unico sistema (si notiche di fatto, il sistema totale ha delle proprietà, vale a dire quella che S2

tot = 0.L’incompatibilità della meccanica quantistica con il principio di separabilià uni-tamente al fatto che essa fornisce una descrizione probabilistica (e non deter-ministica) della natura, conducono ragionevolmente all’idea che questa teoriapossa risultare incompleta.Nei paragrafi seguenti analizzeremo la possiblità dell’esistenza di teorie che pos-sano completare la meccanica quantistica fornendo una descrizione deterministi-ca della realtà. In particolare analizzeremo in dettaglio quella che rappresental’esempio paradigmatico di teorie siffatte: la meccanica bohmiana.

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2 L’approccio a variabili nascosteIn meccanica quantistica lo stato di un sistema fisico, come mostrato precedente-mente, è rappresentato da un vettore di stato, il quale codifica la probabilità conla quale si può ottenere ciascuno dei possibili risultati di misura. Ne consegueche i risultati di misura non sono in genere determinati (tranne nei casi in cui laprobabilità è uguale a 1 o uguale a 0). Inoltre, in accordo con l’interpretazionedella scuola di Copenhagen, il vettore di stato fornisce una descrizione completadel sistema e questo implica che la natura è fondamentalmente probabilistica.Tuttavia, fin dall’inizio dell’elaborazione della meccanica quantistica, non tuttii fisici furono d’accordo con questa posizione. Alcuni scienziati, infatti, avanza-rono l’ipotesi che potessero esserci descrizioni più complete di un sistema fisicotali che i risultati di qualsiasi misura risultassero determinati dalla specificazionedello stato dei sistemi quantistici. Di fatto, l’ipotesi che la meccanica quantisticafosse una teoria incompleta fu avanzata prima che Einstein e i suoi collabora-tori proponessero il loro paradosso. In altri termini, si provò a rispondere allaseguente domanda: è possibile formulare una teoria, che riproduca esattamentele predizioni della meccanica quantistica, tale per cui gli stati quantici si pos-sano considerare come medie di stati per i risultati di tutte le possibili misurerisultino perfettamente determinate?Per poter rispondere a questa domanda, si potrebbe descrivere lo stato quan-tistico non solo mediante uno stato vettore |ϕ〉 ma anche aggiungendo ad essoo sostituendolo con ulteriori variabili, di cui non si può conoscere il valore, perquesto chiamate nascoste. Va sottolineato il fatto che il valore delle variabi-li non può essere noto perché preparare un sistema in tale stato violerebbe leprevisioni della meccanica quantistica, per esempio, con riferimento al nostrocaso, potremmo avere una situazione nella quale, al tempo stesso, il quadratodello spin totale della coppia di particelle ha il valore zero, ma, ciononostanteciascuna di esse ha valori definiti delle proprie componenti di spin.Nel 1932 von Neumann elaborò un teorema mirato a dimostrare l’impossibilità diteorie a variabili nascoste. Egli, infatti, pensò di poter dimostrare che l’esistenzadelle variabili nascoste non fosse riconciliabile con le previsioni della meccanicaquantistica. La dimostrazione di questo teorema parte dalla considerazione che,sia in fisica classica che in meccanica quantistica, i valori medi delle quantitàosservabili soddisfano la richiesta di linearità:Ogni combinazione lineare di due (quantità osservabili, e quindi in M.Q. di)operatori Hermitiani

O = αP + βQ

che corrisponde a un’osservabile, è tale che il valore di aspettazione di < O > èla stessa combinazione lineare dei valori di aspettazione delle osservabili di cuiO è la combinazione:

< O >= α < P > +β < Q > .

Il problema nasce dal fatto che von Neumann assume che lo stesso valga per ivalori certi che, in una teoria a variabili nascoste, vengono assunti dalle osserva-bili stesse. Non sarà difficile per il lettore rendersi conto che questa assunzione èin contrasto con l’assunzione quantistica che gli esiti delle misure debbano coin-cidere con i relativi autovalori. Risulta banale, per esempio, considerare una

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combinazione lineare delle componenti di spin di una particella che corrispondealla componente lungo una direzione appropriatamente scelta e, ciononostanterisulta impossibile, per la scelta fatta dei coefficienti della combinazione, che at-tribuendo alle componenti i valori +1/2 e -1/2 in qualsiasi modo si abbia ancorauno di questi due valori per la combinazione lineare1.La questione si trasforma allora in un’altra: questa ipotesi a livello di variabilinascoste deterministiche è logicamente necessaria? Ovviamente no, in quantoessa equivale ad escludere ogni teoria a variabili nascoste e quindi l’argomentonon risulta significativo. Qualsiasi teoria a variabili nascoste deve violare larichiesta di linearità fatta da von Neumann e il suo teorema risulta vuoto edirrilevante.A causa di questo teorema per molto tempo si è ritenuto impossibile dare unarisposta positiva alla domanda posta precedentemente. Tuttavia l’assunzione dilinearità formulata da von Neumann non è fisicamente necessaria.In conclusione, possiamo affermare che non vi è alcun ostacolo logico che pos-so indurci a crede che la meccanica quantistica non possa essere riformulatadeterministicamente.

1Per cogliere l’argomento cui si è fatto cenno prima, si pensi di considerare la combinazione:

σ · n =1

2σx +

√3

4σy , (2)

la quale rappresenta la componente di spin nella direzione che ha gli indicati coseni direttoririspetto agli assi x e y. È chiaro che assegnando in qualsiasi modo i valori +1 o -1 a σx e aσy l’espressione a destra non può assumere i valori +1 o -1, che sono gli autovalori di σ · n.

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3 La meccanica bohmianaUn esempio di teoria a variabili nascoste, che fornisce una descrizione deter-ministica di un generico sistema quantistico, è la meccanica bohmiana. Nelseguito di questo capitolo vedremo come si sviluppa questa teoria, analizzandoin particolar modo i punti di convergenza e di divergenza con l’interpretazioneortodossa della meccanica dei quanti.

3.1 L’equazione del motoNell’interpretazione bohomiana della meccanica quantistica si assume che leparticelle quantistiche siano dei punti materiali, quindi occupano oggettivamenteuna ben precisa posizione nello spazio R3. D’altra parte, le variabili nascostedi questa teoria sono proprio le coordinate della posizione. Dunque, anche se leposizioni delle particelle sono perfettamente determinate, non siamo in grado,in alcun modo di conoscerle2.In questo modello la traiettoria percorsa da una particella differisce da quellaclassica poiché obbedisce alla seguente legge:

d~x(t)

dt=

h

m=(ψ∗∇ψψ∗ψ

) (3)

dove m rappresenta la massa della particella. ~x(t) è l’equazione della sua traiet-toria, dunque è il vettore che ne identifica la posizione istante per istante. La fun-zione ψ è per definizione una funzione dello spazio di Hilbert H = L2(R2, Ck).Essa inoltre soddisfa l’equazione di Schroedinger:

h

m

∂ψ

∂t= −h

2

m∇2ψ + V ψ (4)

Da un punto di vista matematico, ψ è, precisamente il vettore di stato dellateoria standard: è una funzione a quadrato sommabile che soddisfa l’equazione(4) .Tuttavia, nell’interpretazione di Bohm, ψ non rappresenta un’ampiezza di pro-babilità, ma assume piuttosto il ruolo di pilotare il moto della particella influen-zando la sua traiettoria secondo la (3). Per questo motivo questa teoria è anchechiamata teoria dell’onda pilota.

3.2 L’evoluzione deterministicaIn questo paragrafo vogliamo mostrare che la meccanica bohmiana è una teoriadeterministica. Ciò significa che possiamo determinare le posizioni occupate dauna o più particelle in ogni istante, se supponiamo note all’istante iniziale, leloro posizioni e la funzione d’onda ad esse associata.Consideriamo, per semplificare la trattazione, una particella vincolata a muo-versi lungo l’asse x. Supponiamo che il pacchetto d’onda associato alla particellaall’istante t0 = 0, sia della forma seguente:

φ(x) = Ce(ikx−x2

2σ0) (5)

2Si potrebbe conoscere la posizione solo nel caso in cui la funzione d’onda associata allaparticella sia una delta di Dirac, ma una funzione d’onda di questo tipo è ovviamente unidealizzazione che non può essere realizzata mediante alcuna procedura sperimentalmente .

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Risolvendo l’equazione di Shroedinger per una particella libera, otteniamo:

φ(x, t) = Ce(ik(x−ut2 )− (x−ut)2

2σ0St) (6)

Dove St = σ0(1 + iht2mσ2

0), mentre u è la velocità di gruppo del pacchetto d’onda.

Se adesso, sostituiamo l’espressione seguente nella (3) otteniamo la velocità dellaparticella in funzione del tempo:

v(x, t) = u+(u− xt)h2t(2mσσ0)2

(7)

Dove σ = σ0[1 + ( ht2mσ2

0)2]1/2

integrando la (7) otteniamo l’equazione del moto della particella:

x(t) = ut+ x0[1 + (ht

2mσ20

)2]1/2 (8)

quest’ultima equazione mostra che, almeno nel caso appena considerato, se co-nosciamo la posizione della particella all’istante iniziale (x0), siamo in grado dideterminarne l’intera evoluzione temporale.

3.3 Introduzione alla probabilitàCome visto nel paragrafo precedente, questa teoria permette di determinare latraiettoria di una particella, purché siano note, ad un certo istante t0 la suaposizione e la funzione d’onda ad essa associata.D’altra parte la grossolanità degli strumenti, la presenza di rumore di fondo el’influenza inevitabile di fattori esterni non permettono di preparare il sistemain uno stato iniziale perfettamente definito.Quindi, se supponiamo di preparare, con un adeguata procedura sperimentale,lo stato iniziale della particella, in modo da potere associare ad essa una funzioned’onda ψ(~x, t0), al termine della fase preparatoria, la particella occuperà unaposizione perfettamente definita, ma impossibile da conoscere.Di conseguenza, non potendo conoscere la posizione della particella all’istantet0, non possiamo, di fatto, determinarne l’evoluzione temporale.Tuttavia, questa teoria permette almeno di conoscere con che probabilità laparticella occuperà una certa posizione all’istante t.Infatti, il modello assume che, in un ensemble di particelle identicamente pre-parate per quanto riguarda il loro stato quantistico, la posizione iniziale seguauna certa distribuzione di probabilità p(~x, 0) nota. A partire da quest’ultimapossiamo ricavare la distribuzione di probabilità della posizione ad un istantegenerico p(~x, t).Per ricavare p(~x, t) dobbiamo per prima cosa osservare che è direttamente pro-porzionale alla denistà di particelle per unità di volume P (~x, t).Quest’ultima deve soddisfare la relazione seguente:

d

dt

∫V

P (~x, t)d3x = −∫A

vP (~x, t)da (9)

poiché, la variazione temporale del numero delle particelle contenute nel vo-lume V , deve essere uguale al numero di particelle che, nell’unità di tempo,oltrepassano la frontiera di quest’ultimo.

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Se adesso supponiamo che lo stato quantistico delle particelle sia descritto daϕ(~x, t) = A(~x, t)e

iS(~x,t)h . Utilizzando la (3) ricaviamo che:

v =∇Sm

Sostituendo quest’ultima espressione nella (9) ed applicando il teorema delladivergenza otteniamo:

d

dt

∫V

P (~x, t)d3x = −∫V

∇(∇Sm

P (~x, t))d3x (10)

Da cui segue che:

∂P (~x, t)

∂t= −∇(

∇Sm

P (~x, t)) (11)

Se supponiamo di conoscere P (~x, 0), grazie all’equazione precedente, possiamodedurre il valore di P (~x, t) ad ogni instante, e questo, come mostreremo, coincidecon |ψ|2 .In conclusione questa teoria, anche se non permette di conoscere la posizioneche occuperà la particella ad un certo istante t, permette comunque di ricavarela probabilità di trovarla nella generica posizione ~x.

3.4 L’equivalenza con la meccanica quantistica ortodossaAbbiamo visto che la Meccanica bohmiana, come la M.Q., fornisce una previ-sione probabilistica sui risultati di una misura.Adesso mostreremo che, con queste due teorie, facendo le opportune ipotesi,otteniamo le stesse previsioni.Innanzitutto, facendo riferimento alla funzione d’onda ϕ(~x, t) introdotta nelparagrafo precedente, osserviamo che |ϕ|2 = |A|2 soddisfa l’equazione (11).Infatti:

∇2φ = [∂A(~x, t)

∂t+i

hA(~x, t)

∂S(~x, t)

∂t] (12)

Sostituendo quest’ultima espressione nell’equazione di Schroedinger e prendendosoltanto la parte immaginaria otteniamo:

∂A(~x, t)

∂t+∇A∇S +

1

2A∇2S = 0 (13)

Da cui segue che

∂|A(~x, t)|2

∂t= −∇(

∇Sm|A(~x, t)|2) (14)

Quindi le funzioni A2(~x, t) e p(~x, t) soddisfano la stessa equazione di continuità.Se inoltre imponiamo che esse debbano coincidere all’istante iniziale

|A|2(~x, 0) = p(~x, 0)

allora coincideranno ad ogni istante successivo. Il che equivale a dire che, la di-stribuzione delle posizioni prevista dalla teoria dell’onda pilota riproduce esat-tamente quanto predetto dalla meccanica quantistica nella sua formulazione

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standard. Inoltre, poiché tutte le misure di grandezze fisiche sono riconducibiliad una misura di posizione, si riscontra un totale accordo tra questo modelloe la teoria standard, quando lo stesso esperimento è ripetuto su un insieme disistemi preparati nello stesso modo.Per concludere è importante sottolineare che, anche se queste due teorie ripro-ducono gli stessi risultati sperimentali, sono concettualmente molto differenti.Infatti, la meccanica di Bohm parte dal presupposto che la particella occupioggettivamente una posizione, sia prima che dopo il processo di misura. Al con-trario, nell’interpretazione ortodossa, prima che una misura sia stata effettuata,la particella, in genere, si trova in una sovrapposizione di stati associati a diverseposizioni.

3.5 L’esperimento della doppia fendituraAl fine di osservare caratteristiche nonlocali presenti nella teoria formulata daBohm, in questo paragrafo, analizzeremo come viene interpretato l’esperimentodella doppia fenditura.Per iniziare consideriamo la figura 1.

fig. 1

Supponiamo che la sorgente S sia sufficientemente debole da emettere non piùdi una particella alla volta. Per semplificare la trattazione conviene considerarein modo schematico i due casi seguenti:

1. CASO 1: La fenditura A è aperta, la fenditura B è chiusaIn questo primo caso il moto della particella dalla fenditura fino allo scher-mo sarà guidato da una funzione d’onda che assume valore non nullo soloall’interno della fenditura aperta. Ad esempio, possiamo assumere cheabbia valore costante all’interno e si annulli all’esterno. Con questa as-sunzione la particella seguirà un traiettoria iperbolica, il cui vertice e lacui convessità dipendono dalla posizione iniziale occupata, come mostratoin figura 2.

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fig. 2

Questo spiega perché, dopo aver fatto passare un numero sufficientementegrande di particelle, sullo schermo si forma un pattern di diffrazione.

2. CASO 2: entrambe le fenditure sono aperteIn questo secondo caso, a differenza del precedente, la funzione d’ondaassume valore non nullo anche nella fenditura B. Per questo motivo laparticella seguirà una traiettoria del tipo mostrata in figura 3,

fig. 3

in accordo col fatto che le particelle si distribuisco sullo schermo formandoun pattern di interferenza come si vede in figura 4.

fig. 4

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Bisogna sottolineare innanzitutto che nella descrizione di questo esperimentofornita dalla meccanica bohmiana, la particella, essendo un punto materiale,deve necessariamente passare per una delle due fenditure. Nel primo caso passasicuramente per la fenditura A. Nel secondo caso o passa per A o per B.Tenendo in mente quanto appena detto, possiamo mettere a confronto la figura2 con la figura 4. Da tale confronto deduciamo immediatamente che la traiettoriaseguita dalla particella che passa per A quando B è chiusa, è differente da quellache segue quando B è aperta.Questa osservazione mette in risalto la presenza, in questa teoria, di aspettinonlocali. Infatti quanto appena visto, viola il principio di azione locale dicui abbiamo parlato nel secondo paragrafo del capitolo 1, poichè il moto dellaparticella è influenzato da operazioni compiute sulla fenditura che è un sistemada essa isolato.

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4 La disuguaglianza di BellNel capitolo precedente abbiamo visto che la teoria dell’onda pilota ha il meritodi fornire un’interpretazione deterministica dei processi naturali a livello micro-scopico. Ma conserva caratteristiche nonlocali, che abbiamo visto essere presentianche nell’interpretazione ortodossa. Arrivati a questo punto, probabilmente, illettore si starà chiedendo se sia possibile incorporare la meccanica quantistica inuna teoria locale. Per poter dare una risposta esaustiva a questa domanda è ne-cessario approfondire il concetto di località e quindi di teoria locale. Tratteremoquesto delicato argomento nel paragrafo seguente.

4.1 Il principo di località di BellIn questo paragrafo vogliamo cercare di capire la definizione di teoria localeelaborata da Bell.Possiamo iniziare richiedendo che in una teoria locale se due sistemi sono isolatiper un certo intervallo di tempo, allora, durante tutta la durata dell’intervallo,l’evoluzione delle proprietà fisiche del primo sistema non è influenzata da opera-zioni effettuate sul secondo sistema e viceversa. Ma come possiamo garantire chedue sistemi siano isolati? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo conside-rare la teoria della relatività di Einstein, fino a toccare uno dei pilastri fondantidella fisica: il principio di causalità. Supponiamo di osservare da un certo si-stema di riferimento un evento A seguito da un evento B. Se questi due eventisono distanziati da un intervallo di tipo spazio, allora, mediante un opportunatrasformazione di Lorentz, è possibile trovare un sistema di riferimento tale percui A si verifica dopo B. Quindi A e B, o in generale due eventi distanziatida un intervallo di tipo spazio, non possono essere legati da un a relazione dicausa-effetto, poiché l’effetto, in nessun sistema di riferimento, può precedere lacausa. Ritorniamo alla domanda precedente e focalizziamo la nostra attenzionesui due sistemi che vogliamo isolare. Supponiamo che gli eventi di interesserelativi al primo e al secondo sistema siano limitati alle regioni spaziotemporali1 e 2, mostrate in figura 5.

fig. 5

Se vogliamo garantire che, durante un certo intervallo di tempo, il primo e ilsecondo sistema siano isolati, allora dobbiamo assicurarci che tutte le operazionirelative alla completa specificazione del sistema 1 avvengano nella regione spa-ziotemporale 3 (appositamente scelta al di fuori della sovrapposizione dei dueconi di luce), e fare altrettanto per il sistema 2. In questo modo siamo sicuriche non vi può essere alcuna relazione di causa effetto tra gli eventi situati nellaregione 2 e le operazioni effettuate sul sistema 1 e viceversa.

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Forti delle considerazioni appena fatte, possiamo comprendere le parole utiliz-zate da Bell per definire una teoria locale:

Una teoria si dice essere localmente causale se le probabilità relative a valori dibeables3 locali in una regione spaziotemporale 1 non sono alterate dallaspecificazione di valori di beables locali in una regione spaziotemporale 2separata dalla prima da un intervallo di tipo spazio, quando ciò che accade nelcono di luce retrostante la 1 è già sufficientemente specificato, ad esempio dauna specificazione completa di beables locali in una regione spaziotemporale 3.È importante che la regione 3 sia completamente fuori dalla sovrapposizionedei coni di luce retrostanti le regioni 1 e 2. Inoltre è importante che gli eventinella regione 3 siano specificati completamente. In caso contrario, le traccenella regione 2 di cause di eventi in 1 potrebbero benissimo completarequalsiasi altra cosa che è stata utilizzata per calcolare le probabilità relative allaregione 1. L’ipotesi è che le informazioni riguardanti la regione 2 diventinosuperflue quando la 3 è specificata completamente.

Questa definizione è il punto da cui si parte per poter dimostrare il famosoTeorema di Bell. Quest’ultimo è la risposta alla domanda che ci siamo posti adinizio capitolo, ovvero se sia possibile estendere la meccanica quantistica ad unateoria locale.

4.2 Il Teorema di BellBell elaborò questo teorema per mostrare che nessuna teoria locale può ripro-durre le stesse previsioni della meccanica quantistica. Nella dimostrazione sipossono individuare due passaggi fondamentali:

• In primo luogo si ricava, partendo dalla definizione di teoria locale, unadisuguaglianza ( la disuguaglianza di Bell) che ogni teoria locale devesoddisfare.

• Successivamente, si osserva che una teoria che riproduce gli stessi risultatidella meccanica quantistica non può soddisfare la disuguaglianza di Bell.

fig. 6

Iniziamo considerando il diagramma spaziotemporale di figura 6. Denotiamocon A e B i risultati di una misura effettuata rispettivamente nella regione disinistra e di destra. Con a e b denotiamo delle variabili relative al settaggiodell’esperimento che possono essere liberamente modificate da colui che effettuala misura. Se, ad esempio, vogliamo misurare la componente di spin di unaparticella lungo un certo asse, a (o b) rappresenta l’angolo tra questo asse ed

3Con il termine beables Bell intende parlare di entità corrispondenti a qualcosa di reale

16

un asse di riferimento. Infine denotiamo con c e λ le variabili che descrivonoil set-up sperimentale. c rappresenta ogni variabile ordinaria ammessa nellaM.Q. ortodossa, mentre con λ denotiamo le ipotetiche variabili nascoste, cheeventualmente servono per completare la meccanica quantistica. Supponiamoche c e λ diano una specificazione completa degli eventi che si verificano nellaregione 3, e consideriamo la probabilità di ottenere dei particolari valori di A eB:

P (A,B|a, b, c, λ)

Per le regole usuali della teoria della probabilità si ha che

P (A,B|a, b, c, λ) = P (A|B, a, b, c, λ)P (B|a, b, c, λ)

Tenendo conto della definizione di teoria locale data nel paragrafo precedente laprobabilità

P (A|B, a, b, c, λ)

non può dipendere da B e nemmeno da b. Analogamente la probabilità

P (B|a, b, c, λ)

non può dipendere da a. Infatti le due regioni mostrate nella figura precedentesono separate da un intervallo di tipo spazio. Quindi non vi può essere nessunarelazione causale tra gli eventi che si verificano nella prima e gli eventi che siverificano nella seconda. Inoltre, poiché gli eventi necessari per la preparazionedell’esperimento avvengono in una regione esterna alla sovrapposizione dei dueconi di luce, allora non vi può essere relazione di causa effetto tra le proceduredi preparazione relative alla prima regione e gli eventi che si verificano nellaseconda regione e viceversa. Da ciò segue che:

P (A,B|a, b, c, λ) = P (A|a, c, λ)P (B|b, c, λ). (15)

Per poter ricavare la disuguaglianza di Bell, è necessario introdurre il valore diaspettazione,

E(a, b, c, λ) =∑A

∑B

ABP (A,B|a, b, c, λ)

Dato che che λ, per definizione di variabile nascosta, non può essere conosciuta,allora, evidentemente non si potrà ricavare nemmeno il valore di E(a, b, c, λ).D’altra parte, possiamo supporre, come abbiamo fatto nel capitolo 4 per la teoriadi Bohm, che la procedura fisica corrispondente alla preparazione di uno statoquantistico, porti le variabili nascoste a spargersi secondo una distribuzionenota, tale da riprodurre le stesse previsioni statistiche fatte dalla meccanicaquantistica. Il che significa che la quantità effettivamente osservabile è la mediadi E su λ ∫

E(a, b, c, λ)P (λ)dλ (16)

e quest’ultima deve coincidere con quella prevista dalla M.Q.Poiché c e λ si ripetono in tutte le espressioni seguenti, per semplicità li omet-teremo dove possibile. Osserviamo che:

|∫

[E(a, b, c, λ)−E(a, b′, c, λ)]P (λ)dλ | + |∫

[E(a′, b, c, λ)−E(a′, b′, λ)]P (λ)dλ |≤

17

∫(|E(a, b, c, λ)− E(a, b′, c, λ)|+ |E(a′, b, c, λ)− E(a′, b′, c, λ)|)P (λ)dλ (17)

supponendo che A e B possano assumere solo i valori 1 e −1 ed utilizzando la(15) otteniamo che:

E(a, b, c, λ) = [P (1|a, c, λ)− P (−1|a, c, λ)][P (1|b, c, λ)− P (−1|b, c, λ)] (18)

d’altra parte deve sicuramente valere che

[P (1|a, c, λ)− P (−1|a, c, λ)] = 1− 2P (−1|a, c, λ)

Dato che P (−1|a, c, λ) assume valore tra 0 e 1, allora il valore assoluto del-l’espressione precedente non può essere maggiore di 1. Da ciò segue immediata-mente che

| E(a, b, c, λ)−E(a, b′, c, λ) |≤| [P (1|b, c, λ)−P (−1|b, c, λ)]−[P (1|b′, c, λ)−P (−1|b′, c, λ)] | .(19)

Ripetendo il ragionamento appena fatto otteniamo anche:

| E(a′, b, c, λ) + E(a′, b′, c, λ) |≤| [P (1|b, c, λ)+

+P (−1|b), c, λ]− [P (1|b′, c, λ)− P (−1|b′, c, λ)] | (20)

sommando la disuguaglianza (19) con la disuguaglianza (20) otteniamo

| E(a, b, c, λ)− E(a, b′, c, λ) | + | E(a′, b, c, λ)+

+E(a′, b′, c, λ) |≤ 2 (21)

infatti l’espressione

| [P (1|b, c, λ) + P (−1|b, c, λ)]− [P (1|b′, c, λ)− P (−1|b′, c, λ)] | +

| [P (1|b, c, λ) + P (−1|b, c, λ)]− [P (1|b′, c, λ)− P (−1|b′, c, λ)] |≤ 2

perché, come abbiamo visto precedentemente, i due termini di questa sommasono minori o uguali a 1.Se sostituiamo la disuguaglianza (21) nella (17) otteniamo la disuguaglianza diBell, nella versione di Clauser-Holt-Horne-Shimony:

|∫

[E(a, b, c, λ)−E(a, b′, c, λ)]P (λ)dλ | + |∫

[E(a′, b, c, λ)−E(a′, b′, c, λ)]P (λ)dλ |≤ 2

(22)Bisogna enfatizzare che questa disuguaglianza, per come è stata ottenuta,

deve necessariamente essere sempre soddisfatta da ogni teoria locale.Arrivati a questo punto, vogliamo mostrare che, in certi casi, le previsioni fornitedalla meccanica quantistica, o da teorie equivalenti, violano la (22). Conside-riamo, ad esempio, il caso, trattato nel capitolo 1, di una particella di momentoangolare totale uguale a zero che decade, in onda S, in due particelle identiche dispin 1/2. Supponiamo di misurare la componente di spin della prima particella

18

lungo un asse che forma un angolo a, con l’asse z e di misurare la componentedi spin della seconda particella lungo un asse che forma un angolo b con lo stes-so asse di riferimento. Per una teoria equivalente alla meccanica quantistica,l’espressione ∫

E(a, b, c, λ)P (λ)dλ (23)

essendo una quantità fisicamente osservabile, deve coincidere col valore di aspet-tazione previsto dalla teoria ortodossa. D’altra parte sappiamo che 4

EMQ(a, b, c) = − cos(a− b)

Quindi ∫E(a, b, c, λ)P (λ)dλ = − cos(a− b)

Se adesso supponiamo di fare le misure con gli angoli a = 0, a′ = 45, b = 90

e b′ = 135 ricaviamo che:

|∫

[E(a, b)− E(a, b′)]P (λ)dλ | + |∫

[E(a′, b)− E(a′, b′)]P (λ)dλ |

=| − cos(45) + cos(135) | + | − cos(45)− cos(−45) |= 2√

2 > 2

Come volevasi dimostrare, una teoria che riproduce gli stessi risultati dellaM.Q. può violare, e in certi casi viola sicuramente, la disuguaglianza (22).Grazie al Teorema di Bell siamo giunti all’importante conclusione che qualunqueteoria capace di riprodurre la distribuzione statistica, relativa agli esiti di misure,prevista dalla meccanica quantistica non può essere locale. Si arriva, quindi,all’inevitabile conclusione che le caratteristiche nonlocali di un microsistema nondipendono dalla particolare teoria utilizzata, né dall’interpretazione adottata,ma sono insite nella natura quantistica del sistema.

4Infatti

EMQ(a, b, c) = P (1, 1, a, b)− P (1,−1, a, b)− P (−1, 1, a, b) + P (−1,−1, a, b)mentre la probabilità di trovare le particelle con spin concorde o discorde è rispettivamente

P (1, 1, a, b) = P (−1,−1, a, b) =1

2sin2(

a− b2

)

P (1,−1, a, b) = P (−1, 1, a, b) =1

2cos2(

a− b2

)

PerchéP (1, 1, a, b) = | < a, b,+,+|ψsing > |2

= |(cos(a

2)

sin(a2)

)(cos( b

2)

sin( b2)

)1√2[

(10

)(01

)−(01

)(10

)]|2

=1

2sin2(

a− b2

)

Da cui si ricava che

EMQ(a, b, c) = sin2(a− b2

)− cos2(a− b2

) = − cos(a− b)

19

4.3 La struttura logica del ragionamento di BellAl fine di chiarire maggiormente la posizione assunta da Bell per quanto concernela nonlocalià, conviene esplicitare la struttura logica del suo ragionamento.Per prima cosa riassumiamo le ipotesi da cui parte la dimostrazione del teorema:

• Si considera una teoria generale tale che la specificazione massima del-lo stato di un sistema composto con costituenti distanti, determina uni-vocamente la probabilità di tutti i possibili risultati di misure singole ecorrelate;

• Lo stato è specificato da due tipi di variabili c e λ che sono rispettiva-mente accessibili e inaccessibili. Queste ultime seguono una distribuzionedi probabilità tale che la media di osservabili fatta sopra queste variabiliriproduca quanto previsto dalla M.Q.;

• Le due operazioni di misura sono scelte, eseguite e completate nelle regioniA e B separate da un intervallo di tipo spazio.

• La specificazione dello stato iniziale, data da c e λ, fa riferimento ad unasuperficie spaziotemporale che non comprende l’intersezione dei coni diluce retrostanti la regione A e la regione B;

• alcuni parametri del settaggio sperimentale sono liberamente modificabilidallo sperimentatore.

Per semplicità focalizziamo la nostra attenzione sullo stato di singoletto trattatoin precedenza. L’unica richiesta che dobbiamo fare è che la nostra teoria rispettiil principio di località elaborato da Bell (che in seguito indicheremo con Loc-B).Il che equivale a chiedere che la probabilità di fare una misura in una regione nondipenda né dal setup sperimentale dell’altra regione (parameter independence),né dall’esito che si ottiene in quest’ultima (outcome independence). In altritermini:

Loc−B ←→ P (A,B|a, b; c, λ) = P (A|a; c, λ)P (B|b; c, λ) (24)

Sappiamo che, nello stato di singoletto, non è possibile misurare gli stessi valoridi spin se la misura viene eseguita lungo la stessa direzione:∫

ρ(λ)P (A,A|a, a, c, λ)dλ = 0 −→ P (A,A|a, a, c, λ)dλ = 0 (25)

Invocando il principio di località, si ha 5:

P (A|a, ∗; c, λ)P (A|∗, a; c, λ) = 0 (26)

L’equazione precedente implica che

P (A|a, ∗; c, λ) = 0

oppureP (A|∗, a; c, λ) = 0

5Abbiamo aggiunto l’asterisco per indicare che la probabilità è calcolata supponendo chenon siano state fatte misure nell’altra regione.

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D’altra parteP (A|a, ∗; c, λ) = 0 −→ P (−A|a, ∗; c, λ) = 1

in modo analogo

P (A|∗, a; c, λ) = 0 −→ P (−A|∗, a; c, λ) = 1

abbiamo quindi provato che tutte le probabilità individuali assumono valore 1o 0, il che equivale a dire che siamo arrivati al determinismo. Sostanzialmente,il determinismo è una diretta conseguenza delle perfette correlazioni sperimen-tali, e della richiesta che venga rispettato il principio di località di Bell. Vasottolineato quindi che il determinismo non viene assunto, ma dedotto.Arrivati a questo punto, è facile ricavare, come abbiamo visto nel paragrafo pre-cedente, la disuguaglianza di Bell e verificare che essa viene violata dai risultatipredetti dalla meccanica quantistica.Il ragionamento complessivo può essere riassunto schematicamente nel seguentemodo:

Perfette correlazioni sperimentali e Loc−B =⇒ Det

Det e Loc−B =⇒ disuguaglianza di Bell

Correlazioni Quantistiche =⇒ ¬Disuguaglianza di Bell

¬Disuguaglianza di Bell =⇒ ¬Det o ¬Loc−B

¬Det =⇒ ¬PerfetteCorrelazioniSperimentali o¬Loc−B

Traendo le somme dalle inferenze precedenti:

Processi Naturali =⇒ ¬Loc−B

Il che significa che in natura, a livello microscopico, non vige il principio dilocalità di Bell.

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5 ConclusioniIl grande merito del lavoro di Bell è stato, non solo di aver dimostrato che lanatura è non localmente causale, ma anche di aver permesso di dare una rispo-sta sperimentale a quella che sembrava essere una domanda metafisica. Infatti,qualche anno dopo la pubblicazione del suo teorema, vennero realizzati numerosiesperimenti che verificarono l’esistenza delle correlazioni quantistiche. Tuttaviacoloro i quali non si sentivano ancora disposti ad abbandonare il principio dilocalità di Bell, avanzarono alcuni dubbi sull’esito di questi esperimenti. Percapire le loro obiezioni dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sull’appara-to sperimentale di uno di questi. Prendiamo ad esempio un esperimento checoinvolge coppie di fotoni.

fig. 7

L’apparato sperimentale, mostrato in figura 7, comprende essenzialmenteuna sorgente di fotoni in uno stato entangled, due collimatori, per selezionaresolo i fotoni che si propagano in un’opportuna direzione, due dispositivi che ese-guono misure di polarizzazione6 e due rivelatori. Durante lo svolgersi dell’espe-rimento, l’orientazione delle lenti polarizzatrici viene scelta prima di eseguire larivelazione. Dunque, in linea di principio, si può ipotizzare che l’atto di orientareuna lente possa influenzare sia il processo di emissione dei fotoni, costringendoliad avere una polarizzazione ben precisa, sia le misure di rivelazione compiutenel ramo opposto. Solo dopo l’esperimento realizzato nel 1982 da Alain Aspect,questi dubbi si sciolsero del tutto. L’idea di fondo dell’esperimento di Aspectconsiste nello scegliere l’orientazione del polarizzatore solo all’ultimo minuto.In questo modo nessun segnale che si propaga ad una velocità minore o ugualedi quella della luce può, partendo da una lente, raggiungere il fotone che si stamuovendo nel ramo opposto. Anche questo esperimento ha verificato le previ-sioni quantistiche, confermando che l’ipotesi di un completamento locale dellateoria deve essere scartata, vale a dire che i processi naturali risultano esserefondamentalmente nonlocali.

6La proprietà di polarizzazione dei fotoni è analoga alla proprietà di spin delle altreparticelle

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Riferimenti bibliografici[1] John S. Bell, Speakable and Unspeakable on Quantum Mechanics,

Cambridge University Press, Cambridge, 1988.

[2] GianCarlo Ghirardi, Un occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, Milano,1997.

[3] Bernard d’Espagnat, Conceptual Foundation of Quantum Mechanics,Addison Wesley, 1976.

[4] Peter Holland, The Quantum Mechanics Theory: an account of the deBroglie-Bohm causal interpretation of Quantum Mechanics, CambridgeUniversity Press, Cambridge, 1993.

[5] David Bohm, Quantum Theory, Prentice Hall, New York, 1989.

[6] A. Einstein, B. Podolsky, N. Rosen, Can Quantum-Mechanical Descriptionof Physical Reality Be Considered Complete? , Physical Review 47, 777,Marzo 1935.

[7] GianCarlo Ghirardi, John Stuart Bell: recollection of a great scienti-st and great man, (conferenza tenuta ad Erice il 4 novembre 2014, inarxiv.org/abs/1411.1425).

LATEX.

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