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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO Scuola di Management ed Economia Corso di Laurea in Professioni Contabili IL SETTORE NO PROFIT: BISOGNI, AZIENDA, PERSONE E AMMINISTRAZIONE RAZIONALE. IL CASO A.I.D.O. ONLUS Relatore: Prof. Luigi Puddu Candidato: Fabio Arossa Anno Accademico 2013/2014

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

Scuola di Management ed Economia

Corso di Laurea in

Professioni Contabili

IL SETTORE NO PROFIT: BISOGNI, AZIENDA, PERSONE E

AMMINISTRAZIONE RAZIONALE.

IL CASO A.I.D.O. ONLUS

Relatore:

Prof. Luigi Puddu

Candidato:

Fabio Arossa

Anno Accademico 2013/2014

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IL SETTORE NO PROFIT: BISOGNI, AZIENDA, PERSONE E

AMMINISTRAZIONE RAZIONALE.

IL CASO A.I.D.O. ONLUS

INDICE:

Introduzione. ............................................................................ 5

PARTE 1: Il settore no profit: bisogni, azienda, persone e

amministrazione razionale.

Capitolo 1 : Amministrazione razionale legata al bilancio…….. 8

1.1 : Il ciclo conoscitivo aziendale……………………………….. 8

1.2 : Tipologie di aziende e classi di fonti e impieghi …………...11

Capitolo 2 : La nascita e i valori del settore no profit ………….17

2.1 : Perché nasce il no profit…………………………………… 17

2.2 : Il valore della gratuità……………………………………… 20

2.3 : La visione antropologica……………………………………23

2.4 : La legislazione e le forme giuridiche in Italia………………25

Capitolo 3 : La risorsa umana………………………………… ...30

3.1 Il volontario………………………………………………... .30

3.2 Il volontario e il personale dipendente……………………. ..31

Capitolo 4 : Governance, leadership e managerialità……………35

4.1 I sistemi di governance………………………………………35

4.2 Le competenze del management……………………………..39

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Capitolo 5 :Il Bilancio Sociale e la creazione di valore

aggiunto…………………………………………………………..44

5.1 : La rendicontazione sociale………………………………… 44

5.2 : Il Bilancio Sociale e gli Stakeholder……………………… 47

5.3 : Il valore aggiunto…………………………………………. 49

PARTE 2 : Il caso A.I.D.O. Onlus

Capitolo 6 : L’Associazione………………………………….… 54

6.1 : L’Associazione fino ai giorni nostri e l’evoluzione del suo

ambiente…………………………………………………….……54

6.2 : La mission e gli stakholder………………………………… 59

6.3 : La struttura e la governance interna……………………….. 62

6.4 : A.I.D.O. e amministrazione razionale………………….….. 68

6.5 : Le risorse umane interne…………………………………... 73

Capitolo 7 : Il Bilancio 2013……………………………………77

7.1 : Lo Stato Patrimoniale: le voci più rilevanti………………... 77

7.2 : Il Conto Economico: le voci più rilevanti……………….... 82

7.3 : Gli equilibri della gestione………………………………… 87

Capitolo 8 : La riorganizzazione associativa…………………. 90

8.1 : Cambiare………………………………………………….. 90

8.2 : Il processo di riorganizzazione…………………………….92

8.3 : Le proposte di cambiamento: il finanziamento interno…. 95

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8.4 : Le proposte di cambiamento: riorganizzazione territoriale,

valutazione dei risultati e formazione…………………………...100

8.5 : Le proposte di cambiamento: la formazione e il ricambio

generazionale……………………………………………………106

8.6 : Altre osservazioni sul caso………………………………...109

Conclusioni..................................................................................112

Bibliografia e Sitografia……………………………………… 113

Ringraziamenti………………………………………………. 116

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INTRODUZIONE

Questa Tesi vuole approfondire la tematica delle Organizzazioni

non lucrative. In una prima parte viene sviluppato un focus sul

settore no profit approfondendone non solo le dimensioni

economiche ma soprattutto il ruolo che essi hanno assunto in

qualità di enti che quotidianamente collaborano con la Pubblica

Amministrazione nell’ambito delle politiche sociali e assistenziali

analizzandone la sua dimensione aziendale. Alla luce di questa

realtà, l’obiettivo di questa Tesi è di dimostrare come anche il

settore economico non lucrativo debba riuscire a sviluppare

tecniche e metodologie d’amministrazione e rendicontazione

tipiche del for profit pur mantenendo intatto il suo impegno verso

la soddisfazione di bisogni collettivi proteggendone dunque i

principi ispiratori legati all’utilità sociale.

In una seconda parte viene analizzata una delle maggiori realtà no

profit italiane: l’Associazione italiana donatori di organi, tessuti e

cellule (A.I.D.O.) Onlus. Viene esaminata la struttura aziendalistica

dell’Associazione e vengono descritti i cambiamenti che è in

procinto di attuare dettati dalla necessità di garantire la continuità

dell’ente rafforzandone la mission e individuando strategie e

sistemi amministrativi che la rendano sempre più in grado di

rappresentare una ricerca costante alla soddisfazione di un bisogno

di utilità sociale.

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La ricerca e l’elaborazione dei concetti deriva essenzialmente da

una pluriennale osservazione dell’agire di amministratori di enti no

profit, dalla personale esperienza e quindi da confronti e studi

orientati ad affrontare i cambiamenti che gli enti in questione

necessitano, oltre che da documenti e volumi sulla tematica.

Per quanto riguarda il caso A.I.D.O. la personale esperienza in

qualità di amministratore, membro della Commissione Nazionale

per la riorganizzazione associativa in rappresentanza territoriale del

Piemonte e le interviste al Presidente Nazionale Dottore Vincenzo

Passarelli hanno fornito spunti di indagine e riflessioni utili per

sviluppare la Tesi e giungere alle relative conclusioni.

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1. AMMINISTRAZIONE RAZIONALE LEGATA AL

BILANCIO

1.1 IL CICLO CONOSCITIVO AZIENDALE

Conoscere per deliberare

Luigi Einaudi

Il concetto di Amministrazione razionale è descritto dallo schema

qui sotto riportato.

Figura 1 : Prof. Luigi Puddu. Ragioneria Pubblica: il sistema unico di

rilevazione contabile per le aziende pubbliche. Celid – Torino - 2012

L’amministrazione razionale è la gestione che deriva dalle

informazioni che nascono da un’osservazione dell’amministrazione

sia sotto il profilo temporale (previsione, esecuzione, consuntivo)

che dello spazio ( patrimoniale, finanziario, economico).

Questo intreccio di spazio e tempo, come spiega la Ragioneria

Pubblica, è di estrema utilità per produrre conoscenza necessaria

per lo sviluppo di un’amministrazione razionale; amministrazione

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che poggia sull’esistenza di una ciclicità legata al bilancio, alla sua

analisi e comprensione.

Le fasi dell’amministrazione razionale sono legate all’esistenza di

una documentazione in grado di fornire quella conoscenza che

permette di mantenere allacciata la ciclicità fin qua descritta.

Per poter prendere decisioni è necessario conoscere: in una cultura

legata all’ amministrazione razionale è utile anche agli enti no

profit affinché consapevolizzino le decisioni prese e ne sappiano

seguire in maniera attenta e oggettiva i riflessi nel tempo e nello

spazio.

Ognuna delle fasi dell’amministrazione razionale genera delle

informazioni utili per il processo decisionale sotto forma di

obiettivi, risultati e scostamenti.

Gli equilibri legati allo spazio sono i seguenti:

- patrimoniale: riguarda i rapporti tra le fonti e gli impieghi

dell’ente esaminati sotto il profilo della loro provenienza;

- finanziario: riguarda i rapporti tra le entrate e le uscite;

- economico: riguarda i rapporti tra i proventi correnti e i costi

correnti della gestione.

Questi tre aspetti non sono tra loro indipendenti ma sono legati

dalla relazione descritta dalla Figura qui sotto riportata.

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Figura 2 : Prof. Luigi Puddu. Appunti di Ragioneria Pubblica applicata. Celid -

Torino - 2014

Gli aspetti legati al tempo invece si sviluppano tramite:

- la programmazione: è il momento dove vengono stabiliti gli

obiettivi sia in termini quantitativi che qualitativi della gestione.

Questa è la circostanza in cui vengono prese le decisioni, legate

agli obiettivi operativi e strategici, sulla gestione che verrà in

essere, è l’atto in cui alla luce di ciò che è venuto a conoscenza

dall’ esercizio precedente si programma l’esercizio in corso;

- la rilevazione: è il momento in cui sorti i fatti amministrativi

vengono tradotti in registrazioni contabili;

- il consuntivo: è il risultato delle rilevazioni effettuate durante la

fase di esecuzione. È il momento in cui emergono i risultati

della gestione dell’esercizio.

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Gli strumenti che permettono l’intreccio tra le fasi temporali e gli

aspetti dello spazio sono il bilancio e la contabilità come indicato

nella Figura riassuntiva riportata.

.

Figura 3: Prof. Luigi Puddu. Appunti di Ragioneria Pubblica applicata. Celid -

Torino - 2014

Analizzata l’amministrazione razionale legata al bilancio è utile per

completezza osservare anche i processi di accumulazione e

distribuzione dei capitali con un focus sul settore in esame.

1.2 TIPOLOGIE DI AZIENDE E CLASSI DI FONTI E

IMPIEGHI

Un’analisi sui diversi argomenti trattati mostra numerose

somiglianze tra le aziende profit e no profit ma quest’ultima

categoria gode di alcune peculiarità che la rendono differente dal

resto del panorama del mondo delle aziende.

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Le due figure sottostanti mettono in relazione le tipologie di

aziende con le fonti e gli impieghi possibili.

Figura 4 : Prof. Luigi Puddu. Appunti di Ragioneria Pubblica applicata. Celid -

Torino - 2014

Figura 5 : Prof. Luigi Puddu. Appunti di Ragioneria Pubblica applicata. Celid -

Torino - 2014

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Affrontando le principali differenze è necessario sottolineare

innanzitutto che quando parliamo di Patrimonio netto negli enti no

profit ci si riferisce ad un fondo di risorse complessivo, che subisce

gli eventuali incrementi e decrementi relativi alla gestione annuale,

rivolto esclusivamente a realizzare gli obiettivi dell’ente. Esso non

rappresenta come per le imprese profit una punto di riferimento per

distribuire eventuali dividendi ai soci.

Gli associati di un ente no profit non hanno nessun diritto a vedere

remunerato il proprio apporto e altrettanto non godono di alcun

diritto relativo all’ottenimento di una quota proveniente dalla

liquidazione dell’ente o da un loro recesso.

Un’altra evidente differenza che viene mostrata dalle Figure di cui

sopra è quella relativa alla natura dei ricavi. Ricavi di natura

commerciale sono tipici delle aziende rivolte al profitto. Salvo

particolari casi di cui si accennerà in seguito l’ente no profit non

svolge attività commerciale capace di generare ricavi propriamente

detti.

L’analisi svolta sotto questo profilo mette in evidenza che l’ente no

profit gode di somiglianze che lo avvicinano molto più ad

un’azienda di natura pubblica piuttosto che privata, in particolare

l’appunto sul Patrimonio netto che mostra entrambe come realtà

ove l’obiettivo non è quello di massimizzare il profitto ma di

redistribuire reddito.

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La differenza, in campo agli aspetti analizzati, risiede nella

tipologia delle entrate di natura tributaria, tipiche dell’azienda

pubblica. Restano tuttavia entrambe aziende di consumo volte a

fornire un servizio al cittadino, seppur il no profit sorge da un

accordo privato.

Ma a renderlo speciale quanto flessibile è proprio questa sua natura

ibrida.

Affrontando il tema delle entrate e delle uscite in un ottica di

amministrazione razionale è doveroso parlare di un concetto legato

proprio agli aspetti sopraesposti conosciuto come pareggio di

bilancio.

Il pareggio di bilancio è oggi un pensiero protetto dalla

Costituzione italiana.

A partire dal 2014, in concomitanza con la crisi dei debiti sovrani

dell’area Euro e con la necessità di contenere i disavanzi della

Pubblica Amministrazione, è stata introdotta la regola del pareggio

di bilancio: uno strutturale equilibrio da mantenere tra le entrate e

spese.

Il principio è esplicitato dall’art. 81 (in cui tuttavia si parla di

equilibrio e non di pareggio) al primo comma della Costituzione

che recita quanto segue:

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“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio

bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del

ciclo economico.”

Così come nel pubblico anche il settore privato, di utilità pubblica,

che lavora in un ottica di amministrazione razionale dovrà

allacciarsi a questa idea ragionieristica di fondamentale importanza

per mantenere virtuosità nel tempo dei conti.

Tuttavia bisogna sottolineare che molte organizzazioni sociali

lungimiranti hanno in parte anticipato questo concetto introducendo

nel proprio statuto regole legate all’equilibrio finanziario e

disposizioni che disciplinano che all’approvazione di nuove spese è

necessario provvedere con una copertura. È questo il caso

dell’A.I.D.O., (Associazione italiana donatori di organi, tessuti e

cellule) caso operativo di questa Tesi, che già dal 2008 con

l’approvazione dell’attuale statuto disciplinava quanto segue:

“Il Consiglio provvede, su indicazione della Giunta di Presidenza

(ove prevista), alle variazioni necessarie e/o opportune tra i

capitoli di spesa del bilancio preventivo già approvato

dall'Assemblea, nel rispetto della somma complessiva delle uscite

ovvero alla variazione per nuove o maggiori spese compensate da

nuove o maggiori entrate.”1

Questa peculiarità dell’associazione dimostra principalmente come

il settore no profit sia sempre più parallelo all’ente pubblico non

1 Statuto e Regolamento A.I.D.O. approvato a Sesto Fiorentino il 6 giugno 2008.

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solo in termini di missione base ma anche di concetti

amministrativi legati al bilancio.

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2. LA NASCITA E I VALORI DEL SETTORE NO PROFIT

2.1 PERCHÉ NASCE IL NO PROFIT

È a partire dal secondo dopoguerra, in un’ottica di ricostruzione

materiale e morale, che i Governi dei Paesi occidentali hanno

cominciato a porre interesse alle crescenti domande di sicurezza,

assistenza e uguaglianza economica e sociale.

Lo sviluppo esponenziale del fenomeno ha permesso di modificare

il ruolo dello Stato, le aspettative degli individui, i dibattiti sociali

ed è diventato uno strumento per organizzare politiche economiche

e fiscali soprattutto in un’ottica di assistenza e redistribuzione dei

redditi.

È così che lo stato sociale ha occupato campi di intervento

essenziali per la vita quotidiana degli individui: politiche del

lavoro, sanitarie, pensionistiche, educative ed assistenziali.

Tuttavia la rapidità delle dinamiche sociali, la crescente richiesta di

interventi pubblici e l’aumento della popolazione hanno portato ad

emergere problematiche legate all’efficienza ed all’efficacia del

sistema e quindi di sostenimento finanziario del medesimo da parte

delle bilanci pubblici.

Non passa molto tempo che il sistema fin qua descritto entra in crisi

ma gli individui, molti dei quali hanno assistito ad un elevato

miglioramento del proprio status economico in seguito

all’incremento della ricchezza pro capite, decidono privatamente di

far fronte all’indebolimento dell’intervento pubblico attraverso il

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loro agire privato organizzandosi in forme associative non lucrative

previste dal legislatore arricchendo un ambito produttivo nuovo e

in forte evoluzione: il settore no profit.

Il crescente interesse, anche in Italia, per le organizzazioni no profit

è il frutto della crisi del welfare, in quanto le attività e i servizi

creati nell’ultimo trentennio, nella maggioranza dei casi, non sono

stati prodotti dal sistema pubblico: il terzo settore ha rappresentato

una delle espressioni in cui la società, sempre più complessa e con

bisogni diversificati, ha deciso in modo autonomo qualità e quantità

dei beni che era necessario produrre.2

L’Italia è un emblematico esempio del fenomeno descritto:

rappresenta infatti uno dei Paesi ove negli ultimi anni, in

particolare quelli attraversati dalla crisi economica, ed in seguito

ad un esplosione del debito pubblico ed ad una contrazione del

prodotto interno lordo, lo stato sociale ha visto diminuire le risorse

a disposizione e in certi casi un vero e proprio smantellamento dei

servizi al cittadino portando il settore non lucrativo non solo a

svolgere un ruolo di supplenza nei confronti dello Stato ma di

collaborazione.

A sostegno di questa tesi troviamo i dati dell’ultimo Censimento

ISTAT (anno 2011). Come si può notare dalla Figura 1 il no profit

ha registrato 301.191 imprese rispetto alle 235.232 del 2001, con

un aumento del 28% in soli dieci anni.

2 Lazzarini, G. (2003). Universi solidali, il terzo settore tra gratuità e organizzazione efficiente. EGA editore, Torino.

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I numeri continuano a sottolineare lo sviluppo del settore anche

sotto il profilo delle risorse umane impiegate, al quale sarà dedicato

un capitolo di questa Tesi. la risorsa umana negli anni ha

continuato a rendere sempre più centrale la sua posizione. Le

variazioni rispetto ai dati del 2001 mostrano un incremento

costante di ogni dimensione analizzata portando il no profit ad

essere un settore impiegatizio importante dove l’occupazione ha

visto un incremento costante tra i più evidenti negli ultimi 15 anni.

Indipendentemente dalla loro dimensione occupazionale le

istituzioni no profit costituiscono, in alcuni settori, la principale

realtà produttiva del Paese.3

Figura 6 - Fonte: ISTAT, 9° Censimento dell’Industria e dei servizi e

Censimento delle istituzioni non profit. Primi risultati.

http://censimentoindustriaeservizi.istat.it/istatcens/wp-

content/uploads/2013/07/Fascicolo_CIS_PrimiRisultati_completo.pdf

Altro interessante dato fornito dalla ricerca ISTAT è la dimensione

produttiva: quantifica un volume di entrate stimato di 67 miliardi di

euro pari al 4,3% del Pil, in deciso aumento rispetto ai dati Istat del

2001 che attestavano tale cifra a 38 miliardi di euro, pari al 3,3%

del Pil.

3 ISTAT, 9° Censimento dell’Industria e dei servizi e Censimento delle istituzioni non profit. Primi risultati.

http://censimentoindustriaeservizi.istat.it/istatcens/wp-content/uploads/2013/07/Fascicolo_CIS_PrimiRisultati_completo.pdf

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Questo dato diventa ancora più importante se si considera il

risparmio generato, in termini di retribuzioni, per la Pubblica

Amministrazione dalle ore impiegate dal personale volontario.

Questa breve analisi introduttiva dimostra, infine, come lo sviluppo

del settore no profit è frutto di un processo evolutivo della società

in cui la gratuità dell’agire privato è parte fondamentale della

sopravvivenza della società medesima e del suo benessere.

Tuttavia la gratuità del privato non può fare a meno, raggiunte certe

dimensioni, di un’organizzazione dotata di principi aziendalistici

che ne salvaguardino il suo sviluppo nel tempo ma la sfida è quella

di proteggere i principi ispiratori legati all’utilità sociale.

2.2 IL VALORE DELLA GRATUITÀ

Assistiamo ad una realtà dove quotidianamente vengono proposte

frasi e immagini che non fanno altro che ricordano il conflitto che

viviamo tra il lavoro e la crescita economica e dove la stessa

economia, alla ricerca di una spinta verso la ripresa, ci presenta la

possibilità sempre più concreta di non vedere un futuro sereno in

cui potersi realizzare.

La strada per una ripartenza, non solo individuale ma anche

collettiva, deve accogliere il cambiamento, conoscerlo e

indirizzarlo.

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La gratuità può essere un mezzo per raggiungere una

trasformazione economica che necessariamente deve passare per la

morale, l’etica e quindi la responsabilità sociale.

“Gratuità significa pensare e realizzare un gesto o un opera perché

è buona in sé, perché è bella in sé. Senza fare alcuna contabilità

preventiva, anteponendo coscientemente e per scelta un ideale

all’interesse che se ne può ricavare”.4

Il futuro siamo noi in qualità di cittadini, e dobbiamo crearlo con i

nostri gesti quotidiani senza paura ma con determinazione e

conoscenza.

Mezzo delle gratuità è il volontariato, di cui si darà una definizione

nel capitolo successivo, e il volontariato è il volano

dell’associazionismo: luogo dove la gratuità verso la collettività

assume quell’organizzazione tale da diventare un peso che può

giocare una forza determinante per il cambiamento.

Il concetto di crescita ha dovuto scontrarsi contro quello di crisi,

termine che deriva dalla parola greca “momento che separa”. E

questo scontro ha messo in discussione la costante creazione di

valore. Un valore che inderogabilmente era legato alla crescita

economica.

Ma è possibile crescere all’infinito in un mondo di risorse finite?

La risposta non può che essere negativa. E’ dunque necessario

rivedere il concetto di crescita e quindi di valore.

4 Bonancina, R. (2012). Generare valore. La gratuità come motore dell’economia. Asmepa edizioni, Bentivoglio (Bo)

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“Il punto cruciale infatti è come ricominciare a creare valore vero,

inteso come valore sociale, economico, personale”.5

La gratuità è uno dei motori di questo valore, ancor più se

organizzata. Ma per generarla bisogna partire dalle relazioni,

scoprire cosa lega ognuno di noi al resto della collettività. “Il

volontariato, mezzo di gratuità, deve esercitare una sorta di “appeal

educativo”, far capire la bellezza di un simile impegno. Bisogna

mettere in risalto non solo la dimensione del fare e dell’impegno

ma anche quella dell’essere: cosa vuol dire essere volontario, cosa

vuol dire generare gratuità.6

Il volontariato è un mondo che, a volte anche inconsapevolmente,

sta investendo in questa missione. Non dichiara guerra alla realtà e

alle sue difficoltà ma le affronta comprendendole e collaborando

con le istituzioni che rappresentano questo sistema in affanno

cercando di mediare e partecipare al cambiamento.

Sono tanti i segnali che fanno comprendere come le persone

credano nella gratuità e nell’associazionismo, mostrando

riconoscenza in diversi modi. Molti di questi verranno affrontati nei

capitoli successivi in cui verrà analizzata l’organizzazione del

volontariato, le difficoltà e le tematiche che persegue; dimostrando

che dietro alla gratuità si nasconde un modo di creare valore

concreto e consapevole e un settore economico in forte crescita al

5 Bonancina, R. (2012). Generare valore. La gratuità come motore dell’economia. Asmepa edizioni, Bentivoglio (Bo)

6 Bonancina, R. (2012). Generare valore. La gratuità come motore dell’economia. Asmepa edizioni, Bentivoglio (Bo)

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quale le istituzioni di ogni livello e di ogni ambito non possono

evitare di dare attenzione.

2.3 LA VISIONE ANTROPOLOGICA

PERSONA – BISOGNI – AZIENDE

UNA VISIONE ANTROPOLOGICA

Figura 6: Prof. Luigi Puddu. Appunti di Ragioneria Pubblica applicata. Celid -

Torino - 2014

In approfondimento del tema fin qua discusso, la presente Figura 2

spiega come la necessità della persona possa essere soddisfatta

partendo dal principio di sussidiarietà: secondo questo principio i

bisogni devono essere appagati in prima battuta dall’istituzione

pubblica o privata più vicina al cittadino (come anche la stessa

famiglia). Solo in un secondo momento interverrebbero istituzioni

di un livello superiore. Ma il bisogno, che sia pubblico e quindi

sentito da una collettività o privato del singolo cittadino, viene

soddisfatto da quella istituzione chiamata azienda che come

descrive l’Economia aziendale ha come principale obiettivo il

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soddisfacimento dei bisogni. Tuttavia l’evolversi della società e dei

sistemi produttivi hanno individuato due categorie di produttori:

pubblici e privati.

A seconda del sistema economico adottato da ciascun paese

troviamo quantità differenti di queste due tipologie d’imprese.

Ad oggi nella quasi totalità dei paesi occidentali, in seguito ad una

evoluzione storica che ha favorito l’idea capitalistica, troviamo una

presenza nettamente maggiore di aziende private che seguono le

leggi del mercato e quindi orientate al profitto.

Tuttavia il solo mercato non è in grado di soddisfare la totalità dei

bisogni rispettando etica ed eguaglianza, ed è per questo che

interviene il concetto di gratuità e dono in salvaguardia di questi

due aspetti qualitativi.

Negli studi aziendalistici la tematica del dono, insieme a quella

delle aziende pubbliche, è stata, in passato, tenuta ai margini,

mentre ora sta riemergendo in tutta la sua importanza nello

sviluppo della teoria delle “aziende non profit”.7

Vi è “dono” anche nelle “aziende istituzionali pubbliche” come

attività di redistribuzione del reddito tra le varie fasce sociali o con

forme di carattere assistenziale verso le categorie meno protette e

meno agiate.8

7http://www.diocesi.torino.it/diocesitorino/allegati/46246/Luigi%20Puddu%20%20Dono%20Fraternita%20e%20socie

ta.pdf 8http://www.diocesi.torino.it/diocesitorino/allegati/46246/Luigi%20Puddu%20%20Dono%20Fraternita%20e%20socie

ta.pdf

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2.4 LA LEGISLAZIONE E LE FORME GIURIDICHE IN

ITALIA

La terminologia finora indicata per le organizzazioni operanti nel

settore non lucrativo descrive in modo generico un vasto insieme di

strutture che il legislatore ha, nel tempo, classificato in categorie

più omogenee.

Fin dalla nascita della Costituzione Italiana, si è voluto tutelare i

diritti inviolabili dell’uomo garantiti non solo come singolo

individuo ma anche nelle formazioni sociali (Art. 2 Cost.) e la

libertà del cittadino di associarsi per fini non vietati dalla legge. E

così che l’art. 18 della nostra Carta Costituzionale recita:

“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza

autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge

penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono,

anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di

carattere militare.”

Le disposizioni costituzionali hanno ripreso realtà già sancite,

seppur in forma generica, dal Codice Civile del 1942 accettando

una convivenza nel tessuto normativo italiano fino agli anni ’90

quando il legislatore ha preferito normare in maniera più

approfondita un fenomeno in grande espansione.

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È così che oggi troviamo un insieme di norme generali espressione

della Costituzione Italiana e del Codice Civile e di norme speciali,

create ad hoc per disciplinare specifiche tipologie di enti no profit.

Il Codice Civile suddivideva, già nel 1942, realtà associative

riconosciute e non riconosciute, cioè prive o meno di

riconoscimento e di personalità giuridica da parte dello Stato. Va

aggiunto che a partire dall’anno 2000 con il D.P.R. 361/00 è stato

abrogato l’art.12 C.c. che disciplinava questo aspetto semplificando

il procedimento per acquisire il riconoscimento.

Tra le discipline speciali si ricordano:

a) la Legge 49 del 1987 - “Nuova disciplina della cooperazione

dell’Italia con i paesi in via di sviluppo” ,

b) la Legge 266/91 – “Legge quadro sul Volontariato”

c) il Decreto Legislativo 460 del 1997 - “Riordino della disciplina

tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non

lucrative di utilità sociale”

d) la Legge 383 del 2000 – “ Disciplina delle associazioni di

promozione sociale”

e) il Decreto Legislativo 155 del 2006 - “ Disciplina dell’impresa

sociale”.9

Di particolare interesse per la tesi e il caso in esame sono la “Legge

quadro sul Volontariato” del 1991 e quella sul “Riordino della

9http://www.ciessevi.org/sites/default/files/pubblicazioni/collane/formazione/costituire_associazione_2009/5Costitui

reUnAssociazione.pdf

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disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle

organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.

La prima è di fondamentale importanza in quanto va a disciplinare

alla radice la figura del volontario, elemento base per l’esistenza

stessa del settore in discussione.

La L. 266/91 è stato il primo intervento legislativo capace di

chiarire aspetti fondamentali come quello di fornire una chiara

definizione di attività di volontariato, definire le forme giuridiche

che l’ente può assumere e chiarirne gli aspetti costitutivi e di base

democratica della governance dell’ente.

Per quanto riguarda il primo aspetto se ne approfondirà la

discussione nel capitolo successivo.

Riguardo la forma giuridica un’organizzazione di volontariato può

scegliere in base alle proprie esigenze tra quelle già disciplinate nel

Codice Civile salvo il limite di compatibilità con lo scopo

solidaristico, come recita il comma 2 dell’art.3.

Queste sono:

Associazioni: “si tratta cioè di un insieme di persone che

condividono la volontà di perseguire uno scopo di natura ideale.

L’associazione si costituisce attraverso la stipula di un contratto tra

due o più parti (c.d. contratto plurilaterale). In esso le prestazioni di

ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune (c.d.

comunione di scopo - art. 1420 c.c.) che sia aperto all’adesione

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illimitata di nuovi membri senza necessità di modificare l’atto

costitutivo (c.d.struttura aperta – art. 2520 c.c.)”

Fondazioni: “si tratta cioè di un insieme di beni (in denaro e/o in

natura) destinati a uno scopo di pubblica utilità.

La fondazione si costituisce mediante atto unilaterale, fatto in

forma di atto pubblico, con cui il fondatore esprime la propria

volontà di vincolare un determinato patrimonio al raggiungimento

dello scopo annunciato.”

Comitati: “si tratta cioè di un gruppo di persone (c.d. promotori)

che vuole destinare dei beni (in denaro e/o in natura) al

perseguimento di uno scopo di pubblica utilità, ma che non

disponendo di tali beni sollecita i terzi (c.d. sottoscrittori) a

sostenere l’iniziativa mediante oblazioni. Il comitato si costituisce

mediante un contratto plurilaterale con comunione di scopo ma a

struttura chiusa perché di esso fanno parte solo i promotori.”10

Dalla lettura della norma emerge che ci sono alcuni principi

indispensabili per essere ammessi al novero delle organizzazioni di

volontariato descritte. Tra i principali troviamo:

- assenza di scopo di lucro;

- democraticità della struttura;

- elettività delle cariche associative;

- gli accordi tra gli aderenti;

10

Definizioni tratte da: http://www.ciessevi.org/sites/default/files/pubblicazioni/collane/formazione/costituire_associazione_2009/5CostituireUnAssociazione.pdf

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- gratuità delle cariche associative e delle prestazioni fornite dagli

aderenti;

- obbligo di formazione e approvazione del bilancio;

- divieto di distribuire avanzi tra i soci e di devoluzione del

patrimonio associativo ad enti operanti in analogo o identico settore

in caso di scioglimento dell’organizzazione.

Questi principi devono essere esplicitati nello statuto e nell’atto

costitutivo dell’ente affinché possa essere ritenuta

un’organizzazione di volontariato a tutti gli effetti e godere dunque

delle agevolazioni tributarie di cui si accennerà in seguito

esplicitate nella normativa disciplinante le Onlus.

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3. LA RISORSA UMANA

3.1 IL VOLONTARIO

Come accennato poc’anzi un ruolo chiave all’interno della realtà in

esame è svolto dal volontario.

Data l’importanza strategica della risorsa umana si è scelto di

approfondire le principali tematiche che la coinvolgono in un

capitolo ad hoc capace di gettare la base per la discussione del caso

successivo in esame in questa Tesi.

Il ruolo della persona, risorsa irrinunciabile per il settore no profit,

è differente sia nella forma che nella sostanza rispetto al ruolo che

l’individuo ha negli altri settori economici orientati al profitto.

Il fattore umano è per tutte le organizzazioni economiche una

variabile fondamentale ma ancor di più nel settore in discussione,

in quanto l’individuo non si adopera per motivazioni economiche

ma per raggiungere il fine istituzionale.

La risorsa umana viene chiamata comunemente “volontario” in

quanto presta volontariamente parte del proprio tempo libero per il

raggiungimento di un fine istituzionale di importanza collettiva.

“L’azione volontaria si esprime nel lavoro, sempre più

professionalmente qualificato, nella partecipazione attiva e nelle

relazioni che creano un’appartenenza significativa per il

soggetto.”11

11

Lazzarini, G. (2003). Universi solidali, il terzo settore tra gratuità e organizzazione efficiente. EGA editore, Torino

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Tuttavia, come accennato nel precedente capitolo, il no profit è

diventato un campo di sbocco occupazionale retribuito non di poco

conto. Infatti le grandi organizzazioni contano ormai uno staff di

dipendenti o collaboratori retribuiti i cui numeri possono superare

quelli di alcune piccole realtà imprenditoriali.

Il binomio volontario – dipendente retribuito è di fatto necessario

per poter mantenere quegli standard di efficienza ed efficacia dei

servizi offerti che ormai vengono richiesti e attesi dalla collettività.

3.2 IL VOLONTARIO E IL PERSONALE DIPENDENTE

La Corte Costituzionale, in una sentenza del 1992, fornisce una

definizione significativa: “il volontario costituisce un modo di

essere della persona nell’ambito dei rapporti sociali o, detto

altrimenti, un paradigma dell’azione sociale riferibile a singoli

individui o ad associazioni di più individui […] il volontariato

rappresenta l’espressione più immediata della primigenia vocazione

sociale dell’uomo, derivante dall’originaria identificazione del

singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità

e il conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo

alla comunità degli uomini”.12

Da questa definizione emergono due ambiti diversi: azione

individuale e azione organizzata. È dalla seconda fattispecie che

nascono le organizzazioni di volontariato in esame.

12

Corte Costituzionale, sentenza n.75 del 17 febbraio 1992

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Gli elementi qualificanti dell’azione del volontario riguardano tanto

la gratuità del suo impegno quanto la sua libertà di iniziare e

terminare la sua prestazione rendendola comunque sempre rivolta

ai terzi e separata da quelle del lavoro professionale.

Tuttavia l’elencazione delle caratteristiche del volontario fanno

emergere due aspetti che possono essere in sé contradditori ma che

entrambe coinvolgono il soggetto in questione e le sue scelte.

Per prima cosa è evidente che la libertà che ha il volontario di

prestare la sua opera all’interno dell’organizzazione sociale di

riferimento porta inevitabilmente a scontrarsi contro una fragilità

del sistema stesso dovuta proprio al fatto che il soggetto non

essendo legato da vincoli retributivi e contrattuali può abbandonare

la struttura liberamente.

D’altro canto il legame umano verso l’organizzazione e il suo

oggetto sociale è un punto di forza nel mantenere salda

l’organizzazione. Ma questo sentimento deve comunque essere

alimentato nel tempo da esperienze, confronti e dinamicità del

mondo sociale.

Per tutelare i due aspetti elencati diventa di estrema importanza il

ruolo della classe dirigente e la presenza, soprattutto nelle grandi

organizzazione no profit, di personale retribuito che si occupi di

compiti di estrema importanza per la sopravvivenza della stessa e

che non siano in balia della libertà del volontario di abbandonare il

suo ruolo.

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È legittimo quindi porsi una domanda: quali profili, professionalità,

esperienze manageriali vanno ricercate e in che modo questi

elementi possono adattarsi al vissuto quotidiano di aziende che non

devono generare profitti ma offrire servizi e in alcuni casi gestire

progetti?13

La risorsa umana risulta essere la variabile più rilevante per la

determinazione del risultato aziendale; la capacità di adattamento ai

cambiamenti, le motivazioni, le abilità, le competenze,

l’atteggiamento, la cortesia, la professionalità con cui gli individui

operano comportano il risultato14

finale più di ogni altro aspetto

della struttura.

E’ dunque necessaria una selezione attenta che non può che non

portare benefici futuri.

È interessante osservare come il volontario e il lavoratore

dipendente interagiscano e possano innescare un processo virtuoso

capace di incrementare il know how associativo e quindi l’efficacia

del risultato finale. La funzione dei volontari è in quest’ottica

quella di favorire lo sviluppo di comportamenti imitativi da parte

del personale retribuito. I volontari posso assumere il ruolo di

soggetti propulsori di regole e culture interne capaci di migliorare

l’impegno dei dipendenti retribuiti superando ciò che a questi

ultimi viene richiesto dalla semplice natura del rapporto di lavoro.

Inoltre, la compresenza di operatori volontari e retribuiti

13

Spazzoli, F. Liuzzi, F. (2010). Il personale nel no profit. Maggioli editore. Sant’Arcangelo di Romagna. 14

Turri, M. (2001). La gestione del personale negli enti no profit.

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diminuirebbe quella tendenza che spesso porta l’organizzazione ad

essere direttamente dipendente dal destino e dalle azioni di poche

persone.15

.

A questo punto dell’analisi sorge la considerazione che il risultato

positivo che può scaturire da una sana relazione tra le due forme di

risorse umane deve essere assicurato da una compagine di volontari

stabili all’interno dell’organizzazione. Un ricambio continuo,

soprattutto a livelli dirigenziali, dovuto ad un abbandono dell’ente

porta disorientamento e scarsità di punti di riferimento

raggiungendo nella peggiore delle ipotesi l’immobilità del sistema.

E’ qui che bisogna sottolineare l’importanza della motivazione del

volontario. È compito di chi dirige l’organizzazione motivare con

costanza le persone che vi operano. Ma la motivazione passa dalla

comprensione dei soggetti che vi lavorano all’interno, capire le loro

inclinazioni e il ruolo che sono portati a ricoprire fornendo spunti

di riflessione, scambi relazionali continui facendo loro capire l’

utilità all’interno di un sistema a volte complesso che il volontario

stesso spesso non è in grado di valutare a pieno.

15

Borzaga C., Fazzi L. 2000 “Azione volontaria e processi di trasformazione del settore non profit” Franco Angeli S.r.l.,Milano

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4. GOVERNANCE, LEADERSHIP E MANAGERIALITA’

4.1 SISTEMI DI GOVERNANCE

Parlando di cultura organizzativa e di managerialità all’interno del

no profit è senza dubbio doveroso approfondire quali sono le linee

di pensiero su come un dirigente associativo deve svolgere il suo

ruolo all’interno dell’organizzazione.

Come in tutte le realtà economiche si può assistere ad una forma di

gerarchia più o meno accentuata. Ma la domanda che si pone è se

una gerarchia piramidale possa essere uno stile di governance

dirigenziale ottimale per il no profit.

Bisogna tenere presente che la maggior parte dei manager

associativi svolgono, come nel caso esaminato nei capitoli

successivi, questo compito a titolo totalmente gratuito ricadendo

nella definizione della pagine precedenti di volontario.

In questo settore dove la condivisione delle norme, dei valori, degli

stili operativi e degli obiettivi è alla base del funzionamento stesso

dell’azienda, la presenza di un'unica o di poche persone al comando

rischia di annebbiare la struttura stessa dell’organizzazione.

In un ambiente sorretto dal lavoro gratuito dei volontari e dalla

necessità quotidiana di uno scambio continuo di relazioni sia con

l’ambiente esterno sia con i membri interni, uno stile di comando

improntato sulla gerarchia, da un lato renderebbe compatto e rapido

il sistema di direttive ma nell’arco di un breve periodo potrebbe

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perdere il contatto con il personale operativo rischiando di smarrire

la capacità di motivare i volontari e di ascolto delle loro esigenze

inducendoli ad abbandonare la struttura o peggio, al disinteresse

verso ciò che accade.

In un modello “democratico partecipativo”16

in cui si richiede a

tutti i collaboratori una partecipazione attiva nella rappresentazione

e soluzione dei problemi, si presuppone la capacità di saper

comunicare efficacemente, di saper interpretare i comportamenti, di

saper gestire tutte le risorse presenti nell’organizzazione e non può

prescindere dalla trasparenza dei criteri con i quali vengono

formulate le valutazioni, i giudizi e le proposte17

.

Ma questo modello porta con sé un rischio: quello di non

comunicare il problema nella maniera corretta al resto

dell’organizzazione e compromettere il raggiungimento in tempi

rapidi di una soluzione. E’ dunque essenziale che la struttura di

governance comunichi in maniera semplice e diretta in modo tale

che tutta la struttura conosca la realtà che vive e i problemi da

risolvere e sappia indirizzare nella maniera corretta lo spirito

partecipativo con la consapevolezza che troverà accoglimento ai

vertici dell’ente.

Tuttavia l’analisi di uno stile di governo non si limita ad osservare

il grado di gerarchia della struttura. Infatti ogni organizzazione

16

Borzaga C. e Fazzi L. (2008), “Governo e organizzazione per l’impresa sociale” Carocci Editore, Roma 17

Borzaga C. e Fazzi L. (2008), “Governo e organizzazione per l’impresa sociale” Carocci Editore, Roma

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potrà assumere un tipo di governance in relazione a diversi fattori

come:

- la sua storia, i suoi profili, la cultura dell’agire dei suoi membri;

- l’ambiente in cui essa opera;

- le sue dimensioni.

L’interagire di questi aspetti potrà generare una struttura più o

meno piramidale con uno spirito democratico più o meno

accentuato.

Linfa della struttura è la leadership di chi la guida.

Assumere una leadership partecipativa crea condizioni per il

miglioramento del singolo volontario ma non solo: l’intera

organizzazione gioverebbe della crescita dei singoli in quanto

alimenterebbe motivazione.

L’apprendimento quotidiano degli individui volontari è un processo

che richiede tempo ma crea basi solide che garantiranno futuro. Il

singolo individuo, proprio perché presta la propria attività in modo

gratuito, deve trovare nell’organizzazione di riferimento un luogo

in cui mostrare le proprie incertezze e potersi confrontare in modo

libero e spontaneo in quanto consapevole che è parte di un gruppo e

quindi una risorsa di esso.

Ma è il ruolo del leader, inteso come guida, che, trascendendo

dall’aspetto meramente gestionale, assume un’importanza

determinante: deve saper conciliare, guidare la discussione e

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permettere di trovare un punto comune d’accordo comprendendo il

bisogno che c’è dietro ad ogni proposta.

Ma guardando all’esterno, quale rapporto si deve assumere, oggi,

con i portatori di interesse?

Il tema dei portatori di interesse si allaccia a quello della

governance d’impresa: mentre all’interno di un’impresa orientata al

profitto la compagine sociale proprietaria è restia nel condividere il

proprio potere in quanto significherebbe avere più variabili che

agiscono sulla leva che determina la distribuzione dei risultati

economici, in un’impresa no profit l’assenza di interessi economici

porta più facilmente ad una condivisione delle scelte manageriali in

maniera più estesa coinvolgendo la pluralità degli stakeholder

(portatori di interesse) nella responsabilità sociale e decisionale.

Il passaggio gestionale risulta molto più impegnativo, perché

implica la volontà e la capacità di fare diventare gli stakeholder a

tuti gli effetti membri dell’impresa. Quindi non soggetti da

considerare e con cui interloquire che siano esterni

all’organizzazione, ma membri e comproprietari della stessa.

[…] Quest’applicazione della teoria degli stakeholder ha aperto la

strada in anni più recenti ad un approccio esplicitamente

multistakehoder al problema della governance delle ONP.18

È necessario instaurare una cultura aziendale che si estenda oltre la

semplice gestione legata agli “interessi” dei soci.

18

Fazzi L., (2007). Governance per le imprese sociali e il no profit. Carocci Editori. Roma.

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Il GBS (Gruppo di bilancio sociale) nelle sue ultime indicazioni

consiglia l’inserimento nei Consigli direttivi la presenza di

rappresentanti degli stakeholder, la creazione di un Comitato ad

hoc o comunque di stabilire forme di partecipazione dei vari

portatori di interesse.

4.2 LE COMPETENZE DEL MANAGEMENT

Accennato alla leadership nel paragrafo precedente si procede ora a

definire ruoli e competenze del manager.

Nel complesso al vertice strategico spettano un vasto insieme di

compiti che a seconda dell’uso del principio di delega posso

distribuirsi tra i diversi organi.

Si parla di compiti come:

- programmazione economico-finanziaria;

- definizione degli obiettivi;

- allocazione delle risorse e valorizzazione della struttura;

- gestione del personale dipendente e relazioni coi volontari;

- rappresentanza esterna e mantenimento dei rapporti con gli

stakeholers.

Il ruolo del management va dunque oltre la semplice gestione dei

rapporti associativi. Come in ogni ambiente aziendale il manager

dell´impresa no profit deve acquisire quelle abilità che gli

consentono di guidare la specificità operativa del settore in

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questione garantendo comunque le condizioni di efficacia ed

efficienza che ogni realtà economica dovrebbe conseguire. In

particolare, deve essere in grado di pianificare l’assetto

organizzativo linearmente con la mission del no profit.

A questo punto dell’analisi si apre un’ampia parentesi di riflessioni.

Il no profit se vuole fare un salto di qualità deve adattarsi e adottare

regole e comportamenti orientati all’efficienza, all’efficacia e

all’Amministrazione razionale e anche se un’azienda no profit non

è orientata a generare un reddito da distribuire è comunque rivolta

ad offrire un servizio pubblico ed a gestire denaro di altrettanta

provenienza pubblica: necessita dunque di un management non

semplicisticamente ricondotto alla figura del volontario e alla sua

definizione ma deve essere dotato di caratteristiche aggiuntive.

Chi dirige il settore no profit deve assumere il ruolo dirigenziale

con una consapevolezza maggiore rispetto ad un volontario, nel

senso più semplice del termine.

Deve innanzitutto essere consapevole che il successo dell’ente

dipenderà dalle sue azioni e decisioni.

Va da se che il tema delle competenze sta assumendo un ruolo di

importanza fondamentale anche nel settore in discussione.

Queste riflessioni, recepite durante l’osservazione di alcune realtà

no profit, dimostrano che un buon manager deve essere dotato di

competenze. Ma le competenze sono frutto di diverse variabili che

influenzano in manager nel suo agire quotidiano e che hanno

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contribuito a renderlo tale durante la sua vita professionale al di

fuori dell’ente e che inevitabilmente mette a disposizione dello

stesso ma all’interno del quale dovrà riconoscere l’applicazione di

cambiamenti più o meno sostanziali alle sue abitudini professionali.

Come si può notare dalla Figura 3, le competenze manageriali sono

il frutto di pluralità di variabili che interagiscono con il soggetto.

Figura 7. Cozzi T. (2008). Le competenze manageriali tra pubblica

amministrazione, imprese e non – profit. Cacucci Editore. Bari

La figura manageriale in questione non può fermarsi ad utilizzare le

sue competenze acquisite all’interno dell’ente ma deve avere una

cultura e un trascorso all’interno dell’organizzazione perché deve

conoscere ogni suo aspetto, positivo e negativo, punti forti e deboli

e soprattutto conoscere le persone con cui avrà a che fare, deve

instaurare una relazione con il suo team.

Dovrà quindi amalgamare la sua professionalità acquisita

all’esterno con le esigenze dell’ente e il ruolo che è stato chiamato

a svolgere.

Responsabilità Saper fare Saper essere

Orientamenti Sapere Ruolo sociale

Comportamenti Ruolo sociale

Skills Creatività

Tratti Risorse Valori Abilità

Aspettative Capacità Motivazioni Immagine di sé

Attitudini Conoscenze Esperienze finalizzate Qualità

COMPETENZE

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Affinché la conoscenza sia d’aiuto a generare valore non è

sufficiente spostarla da un campo d’applicazione ad un altro ma

deve essere contestualizzata e trasformata.

La trasformazione avviene in tre tappe:

1) de-contestualizzazione della conoscenza originale

2) moltiplicazione e trasferimento della conoscenza

3) ri-contestualizzazione19

L’abilità di un manager è quella quindi di non essere un tecnico

capace di riprendere e ripetere schemi già visti e conosciuti ma di

comprendere l’ambiente circostante e di usare le sue abilità come

punti di forza con la flessibilità mentale necessaria per fare in modo

che esse diventino una ricchezza per l’organizzazione presso il

quale è stato chiamato ad operare.

I dirigenti associativi devono pianificare e progettare adeguando i

piani ai cambiamenti che avvengono nell’ambiente interno ed

esterno.

Devono comunicare e creare una sfera di dialogo ampia per capire

dove il resto del team vuole andare e far conoscere la direzione che

si deve intraprendere. Il manager deve essere in grado di elaborare

progetti, di gestire le priorità e di assegnare compiti.

Un deficit nell’area che definisce missione e obiettivi va a minare

la progettualità e quindi a cascata a colpire il lavoro di gruppo. È

perciò necessario comprendere qual è la missione e la direzione

19

Cozzi T. (2008). Le competenze manageriali tra pubblica amministrazione, imprese e no-profit. Cacucci Editore. Bari

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intrapresa sapendo trasmettere ai colleghi gli obiettivi per i quali ci

si sta mettendo a disposizione. E’ essenziale dunque la dote

comunicativa ma il manager non deve rivolgersi a obiettivi

ambiziosi che non sono in grado di attirare il resto della sua

squadra. Deve dunque pianificare con semplicità.

Con un atteggiamento fondato su chiarezza, rispetto,

determinazione e responsabilità sociale il manager riuscirà a

creare quel valore sociale per gli stakeholder e per la collettività.

Tuttavia il successo dell’organizzazione, oggi più che mai, passa

anche attraverso sistemi di gestione delle risorse e programmazione

delle attività che inevitabilmente riprendono tematiche

aziendalistiche imprenditoriali ma che devono essere canalizzate in

sistemi orientati a creare un valore sociale. Un dirigente associativo

deve essere in grado di gestire questa tramutazioni.

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5. IL BILANCIO SOCIALE E LA CREAZIONE DI VALORE

AGGIUNTO

5.1 LA RENDICONTAZIONE SOCIALE

Le organizzazioni sociali descritte, come già ripetuto, non operano

in una logica di profitto ma al contrario lavorano per uno scopo

sociale.

“Questa importante peculiarità, la non prevalenza del profitto o del

lucro tra i fini aziendali, non esime queste organizzazioni, non

fosse altro che per un impegno morale nei confronti di coloro che

forniscono le risorse principali (lavoro, finanziamenti, ecc.),

dall’esigenza di dotarsi di strumenti adeguati, a partire dalla loro

stessa struttura organizzativa, affinché dette risorse vengano

utilizzate nel perseguimento dello scopo sociale col massimo grado

di efficienza, efficacia ed economicità possibile, e nel rispetto dei

diritti, purchè legittimi, dei portatori di interessi (o “stakeholder”).

L’insieme delle procedure, dei controlli, degli strumenti adottati per

raggiungere questi obiettivi costituisce la gestione della

responsabilità sociale di queste organizzazioni.”20

Ma quando un’organizzazione è socialmente responsabile?

La risposta a questa domanda si articola sugli argomenti finora

affrontati. Infatti si parla di responsabilità sociale nel momento in

cui l’ente mostra un interesse costante con gli interlocutori e con i

20

Chiappero, G. Barberis, D. Ferreri, L. Foglia, P.L. Il bilancio sociale nell’ambito del no profit. ODCEC Ivrea – Pinerolo – Torino.

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portatori di interesse dell’organizzazione e quando si dota di

strumenti capaci di trasmettere all’esterno i risultati della propria

attività e quindi i suoi impatti sugli ambienti che lo coinvolgono.

Non si tratta quindi di un mera valutazione sugli sviluppi

economici e finanziari, anche sociali e sui rapporti tra i soggetti sia

interni che esterni all’organizzazione.

Ma affinché ciò avvenga è necessario che all’interno dell’ente si

sviluppi una cultura, un insieme di valori consapevolizzati e

accettati che non stagnino nel tempo ma che al contrario vengano

rivisitati, discussi e adeguati.

Lo strumento adottato per rendicontare gli sviluppi economici e

sociali, la crescita e i valori acquisti è il Bilancio Sociale.

Il Bilancio sociale è per sua natura un documento che riprende i

principi di amministrazione razionale in quanto fornisce nel suo

complesso informazioni e conoscenza utili al processo decisionale.

Non può essere dunque classificato esclusivamente come vetrina

dell’organizzazione ma al contempo è uno strumento utile per

pianificare l’attività e la gestione della responsabilità sociale.

Sono numerosi i vantaggi legati al bilancio sociale:

-“Immagine e reputazione: è innegabile che con il bilancio sociale

l’ente che ritiene di avere le “carte in regola”, nel farlo sapere alla

collettività, compie un’importante operazione di immagine, ma

soprattutto di prevenzione del cosiddetto “rischio di reputazione”.

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46

- Gestione dei processi: col bilancio sociale si ottiene innanzi tutto

un maggior coinvolgimento emotivo da parte di tutti i membri

dell’organizzazione, che diventano portavoce e attori della cultura

di riferimento: a ciò segue una maggiore consapevolezza degli

obiettivi strategici e quindi degli obiettivi di processo, con indubbi

vantaggi anche sul piano operativo.”

- Comunicazione informazione: con tutti i portatori di interesse i

avvia un processo virtuoso di miglioramento, che riduce la distanza

tra le attività dell’ente e le loro legittime attese. In particolare:

- Per gli stakeholder interni il bilancio sociale costituisce un

significativo momento di formazione sul campo (la cosiddetta

“formazione/intervento”), a partire dalla conoscenza dei processi

nel loro complesso anche oltre le specifiche funzioni ricoperte;

- Per gli stakeholder esterni, il bilancio sociale rappresenta spesso

l’unico modo per conoscere, e poter quindi giudicare, anche nel

merito, l’operato dell’ente, venendo nello stesso tempo coinvolti

nei processi di miglioramento.

- Reporting: il bilancio sociale è altresì una forma completa di

reporting aziendale, che fornisce una rappresentazione

complessiva delle performance, non limitata all’aspetto

economico-finanziario, che nel caso degli enti pubblici e non

profit non possiede una sufficiente valenza informativa.”21

21

Chiappero, G. Barberis, D. Ferreri, L. Foglia, P.L. Il bilancio sociale nell’ambito del no profit. ODCEC Ivrea – Pinerolo – Torino.

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47

5.2 IL BILANCIO SOCIALE E GLI STAKEHOLDER

Ma quando parliamo di stakeholders negli enti no profit a chi ci

riferiamo?

Alla luce del ruolo che il no profit ha assunto nel soddisfare alcune

tipologie di bisogni umani è necessario individuare quali sono gli

stakeholder (portatori di interesse) per un’impresa no profit e quali

differenze emergono rispetto al sistema orientato al profitto.

Nel momento in cui il no profit si trova a sostituire l’agire

dell’amministrazione pubblica o il disinteresse economico del

privato la mappatura degli stakeholder diventa complicata.

È necessario comprendere quali sono le relazioni che legano

soggetti interni ed esterni all’organizzazione.

Ma per fornire una mappatura organizzata è necessario non

fermarsi ad un’analisi generale classificando i portatori di interesse

semplicemente in “interni” ed “esterni” all’ente ma è utile scendere

nel dettaglio andando ad analizzare il rapporto esistente tra le

risorse, la loro provenienza, l’organizzazione e la destinazione del

suo output. Questo perché il rapporto tra gli stakeholder e l’ente è

dotato di un interscambio nettamente maggiore rispetto al settore

del profitto. Un rapporto fatto di risultati sociali, di valore e

interessi pubblici.

Assodato da sempre che una delle regole fondamentali del settore

no profit è il divieto di redistribuire utili tra i soci, come avviene

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invece nelle realtà imprenditoriali, ne risulta che chi interagisce con

l’organizzazione di riferimento non ha interesse che dal lavoro di

essa ne derivino risultati economici. Si supera così l’approccio

determinativo degli stakeholder che ha come fulcro il semplice

profitto.

Troviamo dunque dei portatori di interesse di largo respiro che si

possono riflettere in una collettività molto ampia di soggetti che

fruiscono dei servizi erogati ma anche di soggetti, consapevoli del

non ritorno finanziario, che forniscono risorse all’ente e che quindi

hanno interesse nell’avere informazioni sull’uso trasparente ed

efficiente della loro gratuità, sia essa monetaria che in termini di

tempo.

Per tutti gli enti no profit la Pubblica Amministrazione rappresenta

un fondamentale portatore di interesse soprattutto ai giorni nostri,

tempi in cui assistiamo ad un decentramento dei servizi ed ad un

exploit di riferimenti al principio di sussidiarietà.

Ergo è necessario con continuità rendere il Bilancio sociale uno

strumento atto a fornire la corretta dimensione dell’organizzazione

sociale e dello scambio tra tutti gli stakeholder valutandone con

costanza il loro consenso e la qualità delle relazioni intercorse.

L’attivazione di un processo virtuoso di questo genere porterebbe i

portatori di interesse ad essere coinvolti nella gestione strategica

dell’organizzazione aumentandone nel tempo la fiducia e

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49

garantendone così quel consenso portatore di risorse e agevolazioni

atte ad assicurare la continuità dei flussi finanziari.

Bisogna inoltre sottolineare che il bilancio sociale ha un’ulteriore

utilità: la responsabilità amministrativa introdotta dal D. lgs.

231/2001 è rivolta ad imprese ed enti, senza esclusione di quelli no

profit. La norma richiede che a propria tutela ogni ente si doti di

modelli organizzativi e gestionali adeguati a prevenire reati contro

la Pubblica Amministrazione. In quest’ottica il bilancio sociale è

sicuramente uno strumento d’aiuto, garante dei piani organizzativi

messi in atto.

Il bilancio sociale si mostra articolato in tre parti fondamentali:

- presentazione e descrizione dell’identità e dell’organizzazione

dell’ente;

- relazione sulle attività svolte e sui risultati raggiunti;

- rendiconto sulle risorse finanziarie e la determinazione e

distribuzione del valore aggiunto.

5.3 IL VALORE AGGIUNTO

Dopo avere analizzato la struttura sotto il profilo qualitativo e

quantitativo è interessante è osservare come è stato creato il valore

aggiunto e soprattutto come esso è stato ripartito tra tutti gli

stakeholder.

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50

Quando parliamo di valore aggiunto ci riferiamo a quel valore che

le risorse impiegate hanno aggiunto agli input acquistati

dall’esterno.

“Nell’ambito degli enti no profit, la possibilità di determinare il

valore aggiunto dipende dall’esistenza di un sistema di indicatori

sociale che ne renda possibile l’individuazione. L’elemento

qualificante nella ricerca del modello di determinazione del valore

aggiunto risiede, in fatti, nella misurabilità e comparabilità dei dati

a disposizione, che nel caso delle aziende for profit sono facilmente

ottenibili dal conto economico d’esercizio.”22

Le linee guida GBS (Gruppo studi per il bilancio sociale) pongono

una grande importanza a questo aspetto.

Per gli enti no profit non è facile determinare la distribuzione di

valore aggiunto in quanto utilizzando semplicemente un metro

economico e monetario (ad esempio il conto economico come per

gli enti lucrativi) si rischierebbe di perdere il concetto di

responsabilità sociale che sta alla base del Bilancio sociale stesso.

Quindi per chi non svolge un’attività produttiva in un contesto di

mercato individuare la distribuzione del valore aggiunto non è

un’attività scontata: è necessario individuare dei parametri

adeguati e sistemi di contabilità sociale dettagliati.

Oltre che una contabilità che classifica i conti per natura è

necessario riprendere una classificazione dei costi per destinazione 22

Chiappero, G. Barberis, D. Ferreri, L. Foglia, P.L. Il bilancio sociale nell’ambito del no profit. ODCEC Ivrea – Pinerolo – Torino..

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51

capace di garantire una comprensione delle macro aree di

intervento e quindi di un corretto riepilogo dell’effettiva ricchezza

distribuita agli interlocutori.

In questa ottica il bilancio sociale mostra ancor più la sua utilità

atta ad evidenziare la trasformazione delle risorse ricevute,

soprattutto quelle a titolo di gratuità, e del lavoro volontario e non

impiegato.

Ma per giungere a questo risultato, oltre ad un sistema contabile

dettagliato, è necessario essere dotati di un sistema informativo

adeguato, di cui quello contabile è integrante.

Questo garantirebbe un controllo di gestione tipico delle aziende

profit oriented il cui utilizzo si rifletterebbe inevitabilmente nei

risultati descritti nel Bilancio sociale e nel valore aggiunto.

Giunti alla distribuzione del valore aggiunto si dovrà valutare

l’operato. La valutazione risulta importante non solo per non

rendere il Bilancio sociale un documento auto-referenziale ma per

capire soprattutto quali sono i punti deboli su cui operare.

Un’organizzazione di volontariato professionale e adeguata ai

tempi non può non dotarsi di un sistema di valutazione che misuri

l’efficacia e l’efficienza delle azioni di tutte le strutture di cui è

composto in relazione agli obiettivi associativi.

Tuttavia un sistema di valutazione dei risultati raggiunti necessita

innanzi tutto una corretta conoscenza della struttura e

l’elaborazione di adeguati indici e margini adattati alla realtà no

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52

profit capaci di garantire una valutazione quali-quantitativa atta a

definire il rispetto della responsabilità sociale e il raggiungimento

degli obiettivi strategici e operativi programmati.

Mantenere aggiornato un buon sistema di indicatori e di

valutazione non potrà che rafforzare il rapporto con gli stakeholder

ed aumentare l’autocritica in un’ottica di costante miglioramento.

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53

IL CASO A.I.D.O. ONLUS

ASSOCIAZIONE ITALIANA DONATORI DI ORGANI,

TESSUTI E CELLULE

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54

6. L’ASSOCIAZIONE

6.1 L’ASSOCIAZIONE FINO AI GIORNI NOSTRI E

L’EVOLUZIONE DEL SUO AMBIENTE

L’Associazione italiana donatori di organi nasce a Bergamo il 26

febbraio 1973 per iniziativa di Giorgio Brumat con un carattere

prettamente provinciale. L’Associazione si sviluppa parallelamente

al contesto medico e al progresso legato ai trapianti, all’epoca

possibili sono per il reni.

La mission iniziale dell’Associazione è quella di creare e

diffondere la prospettiva del trapianto come auspicabile alternativa

alla dialisi per nefropatici.

A partire dal 1975 l’A.I.D.O. incrementa la sua attività grazie ai

primi Convegni di studio di Consigli scientifici in seno

all’Associazione e stringendo accordi di rilevanza nazionale con la

Pubblica Amministrazione, in particolare col Ministero della

Pubblica istruzione con il quale viene stretto un accordo legato alla

promozione dell’A.I.D.O. nelle scuole, con il Ministero della

Salute e con varie personalità del mondo politico per la nuova

legge sui trapianti.

Comincia a delinearsi già poco dopo la sua nascita l’ambiente in

cui l’Ente dovrà operare e con esso i suoi stakeholder.

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55

Si tratta di un ambiente dinamico e sempre più legato alle decisioni

politiche e amministrative degli enti pubblici ma soprattutto si

delinea la sua influenza e la spiccata capacità collaborativa con

questi ultimi.

Si mostra fin da subito la sua natura di ente no profit propriamente

detto, vicino ad un bisogno collettivo, con un obiettivo di carattere

sociale, capace di collaborare e sostenere l’operato pubblico e

soprattutto dotata di capacità amministrative orientate alla

creazione di valore per i suoi portatori di interesse, soggetti la cui

numerosità crescente avrebbe richiesto una conoscenza sempre più

ampia della loro natura e delle loro esigenze.

Intanto la sua fama cresce e assieme le riconoscenze provenienti

dal mondo politico: la prima nel febbraio del 1986 quando riceve la

medaglia d’oro al merito per la Sanità pubblica conferita dall’allora

Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.

A partire dalla metà degli anni ’80 alimenta il suo supporto

pubblico istituendo borse di studio per la formazione di medici

anestesisti e rianimatori partecipanti al programma di trapianti in

Italia.

L’Associazione continua dunque a mostrare la capacità di cogliere

sia le possibilità sia le necessità che l’ambiente che la circonda le

offre, dimostrandosi un ente economico, aperto e dinamico.

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56

Nel mentre i dati statistici mostrano le difficolta presenti nel campo

della donazione degli organi: nel 1991 sono morte oltre 600

persone in attesa di trapianto a fronte di 287 prelievi e 1136

potenziali donatori. Numeri limitati rispetto a quelli attuali ma che

all’epoca destavano particolare preoccupazione soprattutto per

un’Associazione quale l’A.I.D.O. la cui missione rimaneva quella

di garantire una corretta informazione sulla donazione degli organi

e di sensibilizzare al gesto gratuito del dono.

E’ così che si fa portatrice di referendum popolari proponendo

modifiche alla legislazione precedente in tema di trapianti.

Sempre negli anni ’90 incomincia una nuova comunicazione

mediatica promovendo il giornale associativo l’ ”Arcobaleno” per

favorire la cultura della donazione.

Ma nel 1999, con la riforma della legge sui trapianti, il Ministero

della Sanità gli conferisce ufficialmente il ruolo di garante

dell’informativa sulla donazione ai cittadini entrando a far parte

della Consulta tecnica permanente dei trapianti.

A partire dagli anni 2000 sviluppa una nuova forma di found

raising promuovendo la giornata nazionale A.I.D.O., momento di

autofinanziamento e di informazione.

Il suo sviluppo e il suo impegno non si ferma, nel 2003 viene

firmato l’accordo con il Centro Nazionale Trapianti e la

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57

Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere finalizzato

alla realizzazione di iniziative integrate tra i soggetti firmatari volte

a promuovere tra i cittadini la più ampia informazione in materia di

donazione e trapianto di organi e tessuti.

L’A.I.D.O. continua a raccogliere adesioni alla donazione e l’Ente

cavalca il momento favorevole: si parla sempre più di donazione

degli organi; comunicazione ampliata proprio da una crescente

necessità di trapianti mentre la tecnologia medica compie notevoli

passi avanti nel settore.

La sensibilizzazione continua con campagne pubblicitarie ad hoc

stringendo collaborazioni con altre associazioni e continuando

quelle con il Ministero della Salute e il Centro Nazionale Trapianti.

Nel mentre l’A.I.D.O. continua a rafforzare il suo ruolo realizzando

una struttura operativa informatica denominata S.I.A. di respiro

nazionale che fa dell’Organizzazione il principale punto di raccolta

e condivisione delle dichiarazione di volontà alla donazione

creando una vera e propria rete condivisa con il Centro Nazionale

Trapianti. Passaggio di importanza storica per l’Associazione in

quanto vede convogliare il suo operato in un vera e propria banca

dati nazionale facente capo al Centro Nazionale trapianti, quello

che diventerà il principale stakeholder legato alla Pubblica

Amministrazione.

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Negli anni successivi A.I.D.O. evolve i suoi metodi comunicativi

passando dai più celebri social network a Pubblictà progesso

cercando di mantenersi sempre più reperibile ed alla portata delle

persone.23

La tematica della donazione degli organi diventa cultura nazionale

ed oggi l’impegno dell’Associazione nei suoi quarantadue anni

d’attività mostra i suoi risultati.

La struttura conta a fine 2014 1.311.292 soci, 1.224 strutture

territoriali. Un vero e proprio franchising del no profit, una realtà

che deve mantenersi capace di resistere ai cambiamenti a cui

inevitabilmente dovrà andare incontro per continuare a garantire

continuità: rafforzare la mission ed individuare strategie e sistemi

amministrativi che la rendano sempre più in grado di rappresentare

una ricerca costante alla soddisfazione di un bisogno di utilità

sociale.

Per raggiungere questo a partire dal 2012 ha cominciato a guardare

al cambiamento con concretezza a fronte della richiesta di nuove

strategie e riforme richieste da ogni livello della struttura.

L’A.I.D.O. consapevole dei cambiamenti dell’ambiente che la

circonda e con la determinazione che da sempre l’ha distinta

23

Informazioni storiche da Bilancio Sociale A.I.D.O. 2013 – Via Cola di Rienzo, 243 - Roma

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comincia questo percorso di riforma nominando una Commissione

ad hoc col compito di ridisegnare i profili associativi e proporre un

documento ufficiale rivolto successivamente alla discussione delle

strutture territoriali.

6.2 LA MISSION E GLI STAKEHOLDER

L’A.I.D.O., da quarantadue anni, con la sua attività di informazione

ha come missione quella di creare e mantenere una sensibilità

sociale adeguata di modo che i cittadini sappiano che la sua

collaborazione è essenziale per realizzare la terapia del trapianto.

L’A.I.D.O. è costituita tra Persone favorevoli alla donazione

volontaria, anonima e gratuita di organi, tessuti e cellule. È

apartitica, aconfessionale, interetnica, senza scopi di lucro, fondata

sul lavoro volontario e informata ai principi etici ed a quelli dettati

dall’ordinamento giuridico dello Stato.

Sono finalità dell’Associazione:

• promuovere, in base al principio della solidarietà sociale, la

cultura della donazione di organi, tessuti e cellule;

• promuovere la conoscenza di stili di vita atti a prevenire

l’insorgenza di patologie che possano richiedere come terapia il

trapianto di organi;

• provvedere per quanto di competenza, alla raccolta di

dichiarazioni favorevoli alla donazione di organi, tessuti e cellule

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60

post mortem.

L’attività dell’A.I.D.O. non si limita alla raccolta delle adesioni,

poiché questo ne è soltanto un aspetto. Essa è preceduta,

accompagnata e seguita da un ventaglio di iniziative che

comprendono interventi di informazione sanitaria e di educazione

civica. Un posto di rilievo spetta, ad esempio, all’attività nelle

scuole, poiché aiutando i ragazzi a riflettere serenamente sul

problema dei trapianti e sul profondo significato umano e civile del

consenso al prelievo di organi si contribuisce concretamente al

superamento delle paure, quasi sempre irrazionali, con cui

abitualmente ci si scontra.24

Il panorama di portatori di interesse a cui la missione associativa si

rivolge è molto ampio. Il Bilancio Sociale, redatto secondo i canoni

del GBS presentato nei capitoli precedenti, è uno strumento che

annualmente aiuta a comprendere come questo panorama è

modificato. La figura sottostante mostra come l’Associazione ha

avuto uno slancio relazionale notevole, elemento che si può dedurre

dalla sua storia.

Tra le principali organizzazioni troviamo il Centro Nazionale

Trapianti e la Società Italia per la Sicurezza e la Qualità dei

trapianti, stakeholder testimoni dei risultati che l’A.I.D.O.

24

Bilancio Sociale A.I.D.O. 2013 – Via Cola di Rienzo, 243 - Roma

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61

concretizza e poi i volontari e i cittadini: i primi risorse interne

indispensabili e i secondi gli ultimi ricettori del lavoro associativo.

Figura 8: la mappa degli stakeholder A.I.D.O. Bilancio sociale 2013 pag. 35

La struttura sopra presentata mostra con evidenza quanto descritto

nei capitoli precedenti.

Si tratta di fatti di un panorama molto ampio di portatori di

interesse che parte dai soggetti interni ad A.I.D.O. fino ad arrivare

al sistema pubblico di riferimento (nel caso specifico quello

sanitario) per terminare verso l’intera società civile e il terzo settore

nel suo complesso. Ciò a testimonianza che l’interesse nel corretto

funzionamento dell’ente e verso il suo operato ha una ricaduta

sociale di enorme portata proprio per la sua missione di interesse

collettivo, missione che come già ripetuto va a supportare il ruolo

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che la Pubblica Amministrazione in mancanza di A.I.D.O. sarebbe

onerata a ricoprire.

Il rapporto più importante risulta essere con il mondo che gravita

attorno alla donazione e al trapianto di organi e tessuti: Ministero

della Salute, Coordinamenti della donazione e del trapianto,

Responsabili amministrativi e politici della programmazione

sanitaria. In alcuni momenti si è trattato di collaborazione, in altri

come emerge dai colloqui con il management associativo, di

denuncia.

6.3 LA STRUTTURA E LA GOVERNANCE INTERNA

La struttura associativa e la sua Governance si mostrano

particolarmente articolate.

Passando alla lettura dello Statuto e dell’ultimo Bilancio Sociale

approvato relativo all’esercizio 2013, A.I.D.O. si mostra dotata di

una capillarità territoriale molto forte.

Gli ultimi dati di fine 2014 parlano di:

- 1.100 Gruppi comunali/intercomunali;

- 103 Sezioni provinciali;

- 21 Consigli regionali;

- la struttura centrale Nazionale.

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63

Si tratta di una struttura piramidale composta da quattro livelli

principali.

Ogni livello è dotato di funzioni in parte differenti che si

classificano in base alla competenza territoriale di ciascuno e che

partono dalla base con le attività di sensibilizzazione e

informazione verso la cittadinanza nel rispetto del principio di

sussidiarietà. Gli organismi comunali sono anche coloro che

rappresentano la base democratica per eleggere gli organi direttivi

della struttura superiore e a cascata fino al vertice.

Le funzioni tipiche delle sezioni provinciali e regionali sono quelle

di coordinamento del livello inferiore e di intrattenimento di

relazioni con gli organismi pubblici e privati. In particolare il

Consiglio regionale ha il compito specifico di intrattenere rapporti

con le istituzioni sanitarie di riferimento. Sono di fatto unità

ausiliarie e funzionali alle precedenti, detti anche organismi di

coordinamento e collegamento.

Il livello più alto invece ha il compito di mettere in atto gli indirizzi

di politica associativa indicati dall’Assemblea Nazionale riversando

operatività verso la base mantenendo legami con le strutture

regionali e con gli organismi pubblici e privati di livello nazionale.

La struttura mostra evidenti punti di forza: la presenza sul territorio

è garantita da una quantità di enti periferici di grande respiro a loro

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64

volta supportati da un numero di volontari pari a circa 4.900

persone che garantiscono operatività e mantengono radicalità.

Ma altrettanto una struttura piramidale, seppur cosi capillare,

rischia di creare dispersione nel momento in cui il legame tra i vari

organi si incrina e l’informazione non passa nel modo corretto

creando interpretazioni errate che a cascata si possono riversare

sulle strutture inferiori come un vero e proprio “telefono senza fili”.

Per far fronte a questa difficoltà ogni organismo è dotato di organi

di governance atti a garantire il mantenimento dei legami

all’interno della piramidalità della struttura oltre che

operativamente a gestire l’organismo a cui sono stati demandati.

Come descritto nelle righe successive A.I.D.O. è dotata di una

struttura di governo alquanto articolata.

Gli organi di governance sono per ogni struttura:

- Assemblea;

- Consiglio direttivo eletto dall’Assemblea;

- Giunta di Presidenza eletta dai Consigli direttivi;

- Presidente.

I Consigli direttivi sono gli organi decisionali, di controllo,

coordinamento ed operativi soprattutto ai livelli comunali e

provinciali. Essi mettono in atto gli indirizzi provenienti

dall’Assemblea.

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L’operatività e la decisionalità, invece, ai livelli superiori è

maggiormente garantita dalla Giunta di Presidenza: organo

composto dal Presidente, Vice Presidente, Amministratore e

Segretario col compito di mettere in atto gli indirizzi del Consiglio

direttivo di riferimento ma con un largo potere operativo e

gestionale che va dalla supervisione dei processi d’acquisizione di

beni pluriennali e non, all’assunzione del personale; tutto nel

rispetto dei bilanci preventivi a loro volta approvati dall’Assemblea

ma dalla rispettiva Giunta predisposti.

A questi organi se ne aggiunge un altro che tuttavia non ha compiti

gestionali ma di raccordo: la Conferenza dei Presidenti. Organo

rappresentato dai Presidenti delle strutture inferiori. E’ la sede dove

le linee unitarie di indirizzo politico, definite dall’A.I.D.O.

Nazionale/Regionale, vengono declinate sulle singole realtà

regionali/provinciali e dove si concordano le modalità per

l’attuazione dei programmi delle attività di interesse

sovraregionale/interprovinciale nonché dei protocolli di intesa e

delle azioni di sostegno a favore delle realtà carenti.25

Si mostra una struttura di governance articolata con evidente

intenzione di rappresentare l’equilibrio tra la rappresentatività e la

governabilità e con l’obiettivo di mantenere compattezza della

struttura attraverso organi ausiliari di raccordo ma con un potere

decisionale raccolto per lo più nell’organo di Giunta. La gerarchia è

25

Statuto e Regolamento A.I.D.O. approvato a Sesto Fiorentino il 6 giugno 2008.

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66

amalgamata da un’orizzontalità garantita dalla partecipazione dei

volontari alle decisioni attraverso gli organi predisposti.

Affrontando la tematica con il Presidente Nazionale A.I.D.O. Dr.

Vincenzo Passarelli è emersa una definizione di governance che la

definisce come il processo attraverso cui collettivamente

risolviamo i nostri problemi e rispondiamo ai bisogni della società.

A sostegno di quanto affermato nei capoversi precedenti, Passarelli

aggiunge: “la governance di A.I.D.O. si fonda sulla libera

partecipazione, sull’effettiva valorizzazione di tutte le componenti

e sul coinvolgimento personale dei volontari nei processi

progettuali, operativi e decisionali. In definitiva è un lavoro in

“rete”. Ciò comporta comunque la capacità di mettersi in

discussione; riconoscere il lavoro degli altri, eliminare i

settorialismi, la fiducia reciproca, la capacità di lavorare per

progetti, saper valutare il proprio e l’altrui lavoro, essere capaci di

confronto. Purtroppo molte volte tutto ciò non avviene in A.I.D.O.”

La struttura può essere infine riassunta nella figura sotto esposta.

Figura 9: Fabio Arossa – Tesi il settore no profit: bisogni, azienda, persone e

amministrazione razionale – il caso A.I.D.O. Onlus

Assemblea Con. Direttivo Giunta di Presidenza

Organi di indirizzo di consultazione e attuativi

Conferenza dei Presidenti -Presidente;

-Vice Presidente;

-Amministratore;

-Segretario

Organo ausiliario

di raccordo

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67

Non stupisce l’ampiezza della struttura di governo data la

dimensione dell’Ente in questione.

Tuttavia il rischio intrinseco che questa struttura porta con sé è

quella che può derivare dalla grandezza stessa. Più le dimensioni

sono grandi minore diventa la partecipazione e la comprensione,

proprio come afferma Passarelli. Nel settore degli studi

cooperativi, è presente un’amplia letteratura che mette in luce

l’esistenza di un trade-off fra dimensione dell’organizzazione e

livelli di partecipazione.26

Con l’aumento dei soggetti titolati a prendere decisioni aumenta il

tempo necessario per trovarne di condivise moltiplicando così

rischi di divergenze e incomprensioni. Risulta quindi difficile in

Enti di grandi dimensioni un approccio multistakeholder proprio

come A.I.D.O. dimostra per le motivazioni sopra esposte seppur i

rapporti con i portatori di interesse sono da tempo salvaguardati.

Per affrontare il capitolo successivo è necessario illustrare la

struttura finanziaria associativa.

Essa risulta, seppur dotata di semplicità, abbastanza articolata.

L’Associazione gode ad ogni livello di una serie di entrate come

offerte, liberalità, marginalità commerciale e possibilità di ricevere

lasciti testamentari.

26

Fazzi L., (2007). Governance per le imprese sociali e il no profit. Carocci Editori. Roma.

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68

In più la sede centrale è detentrice del 5 per mille e degli incassi

derivanti dalla giornata nazionale al netto di un contributo che

rimane alla sezione locale.

Caratteristica dell’Associazione è la presenza di quote sociali: la

quota sociale è un quantum per iscritto che a partire dalla base

bisogna riversare alla struttura superiore che riverserà una parte

dell’incasso a quella sopra ancora e così fino ad arrivare al vertice.

Forza dell’Associazione, questa strategia è diventata la principale

fonte di entrata di ogni struttura, in particolare di quella Nazionale.

L’Associazione non ha elaborato nel tempo forme di fund raising

alternative atte a diversificare il portfolio di finanziatori e ciò la

può rendere vulnerabile a periodi di congiuntura sfavorevole dove

la base della struttura mostra difficoltà di raccolta.

6.4 A.I.D.O. E AMMINISTRAZIONE RAZIONALE

Il Bilancio sociale A.I.D.O. si rifà espressamente ai principi

provenienti dal Gruppo di Studio per il Bilancio Sociale oltre che

alle linee guida dell’Agenzia delle Onlus. Il documento di Bilancio

inoltre riprende, seppur in parte, i principi dell’amministrazione

razionale.

Lo Statuto e il regolamento A.I.D.O. prevedono la formazione di

due documenti di bilancio cardini: lo schema di bilancio consuntivo

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e quello preventivo. Seppur quest’ultimo non presente nel Bilancio

Sociale.

Queste affermazioni inducono a far emergere un approccio

dell’Associazione legato alla ciclicità amministrativa osservata

sotto il profilo temporale dell’amministrazione razionale.

Approfondendo l’analisi, l’Ente afferma di adottare una contabilità

di tipo economico-finanziario-patrimoniale: sistema non

obbligatorio per gli enti no profit ma che indubbiamente garantisce

maggiore trasparenza e dal quale si è in grado di recepire maggiori

informazioni.

L’utilizzo di un sistema contabile orientato a sviluppare i tre aspetti

della gestione rafforza l’applicabilità dell’Amministrazione

razionale interna ad A.I.D.O. Per completezza ripropongo la

Figura 1 del Cap.1 per riprendere il concetto in esposizione e

rapportarlo nell’Ente in esame:

Figura 10: Prof. Luigi Puddu. Ragioneria Pubblica: il sistema unico di rilevazione contabile

per le aziende pubbliche. Celid – Torino - 2012

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Seppure l’Associazione riesca a sviluppare sia l’aspetto temporale

che dello spazio, dal Bilancio Sociale non emerge il ritorno

informativo di questo utilizzo.

Il Bilancio mostra gli schemi quantitativi a consuntivo ma non

supera il concetto monetario rischiando così di fermarsi ad una

semplice rappresentazione della situazione al termine dell’esercizio

senza dimostrare, ai lettori, di ricavarne informazioni e deliberare

strategie provenienti dall’esaminazione quantitativa degli schemi.

Inoltre la mancanza dello schema a preventivo rende “zoppa” la

rappresentazione della ciclicità amministrativa oltre che

l’impossibilità all’utilizzatore di trarre conclusioni legati al

mantenimento dei tre equilibri nel tempo.

Tuttavia A.I.D.O. resta dotata di norme interne che potrebbero

mettere in atto un processo in grado di garantire amministrazione

razionale. Ma non solo, seppur non rappresentato in bilancio e

approfondendo la ricerca tramite intervista al management interno

ad A.I.D.O. emerge che “Il Consiglio Nazionale A.I.D.O., ha

sempre perseguito il principio di amministrazione razionale,

fondata sulla programmazione, l’esecuzione e il controllo. Ne

fanno fede i resoconti annuali, controllati dai Revisori dei Conti,

approvati nel corso dell’ Assemblea Annuale e inviati alle sedi

territoriali. Si è cercato di renderli intellegibili e comprensibili ai

nostri portatori di interesse e soprattutto sono stati rappresentati

secondo le regole contabili. Nel corso delle riunioni del Consiglio

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Nazionale, nell’ordine del giorno, uno dei punti ha sempre

riguardato e riguarda l’analisi del bilancio in rapporto alla

programmazione annuale, decisa e approvata dall’Assemblea.”

come da parole del Presidente Nazionale A.I.D.O.

Si può concludere che A.I.D.O. utilizza internamente il concetto

d’amministrazione razionale ma non lo rende alla portata dei lettori

del bilancio.

Continuando l’analisi sotto il profilo quantitativo, punto di forza

del Bilancio sociale esaminato è sicuramente la rappresentazione di

come è stato distribuito il valore aggiunto.

L’Associazione è tipicamente un ente redistributivo, caratteristica

che si nota proprio dalla tabella di valore aggiunto, ma questa

peculiarità rende lo schema in questione in parte una copia del

conto economico.

Sarebbe interessante elaborare uno schema che dimostri come ogni

elemento di entrate generatore di risorse sia stato impiegato, sullo

stesso schema della rendicontazione sul 5 per mille, e collegare la

distribuzione del valore aggiunto ai risultati in termini qualitativi e

operativi dell’Associazione.

Si eliminerebbe quella sensazione di isolamento degli schemi di

bilancio dal resto.

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Ad esempio:

Figura 11 : Fabio Arossa – Tesi il settore no profit: bisogni, azienda,

persone e amministrazione razionale – il caso A.I.D.O. Onlus

Una metodologia di questo genere aiuterebbe a raggiungere:

- un approccio di unità dell’associazione;

- maggiore consapevolezza sui risultati conseguiti.

Per quanto riguarda il primo aspetto si intende un’elaborazione che

unisce la dimensione dell’ente in termini qualitativi e operativi a

quella strettamente economica finanziaria.

Questo primo risultato porterebbe a raggiungere il secondo aspetto

in discussione.

Un approccio di questo genere aiuterebbe ad ottenere una

panoramica più immediata dei risultati conseguiti e un’analisi degli

scostamenti dal preventivato più diretta permettendo così di operare

in un ambito di amministrazione razionale e garantendo ai fruitori

del Bilancio sociale una più istantanea nonché riassuntiva

comprensione dei risultati raggiunti e al management associativo

uno schema chiaro e diretto relativo alle criticità e ai punti di forza.

Nei paragrafi successivi si approfondirà il rispetto dei tre equilibri

nell’ultimo bilancio approvato.

Progetti di

comunicazione con

neo maggiorenni

Entrata n. 1 Numero di nuovi

soci neo

maggiorenni

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6.5 RISORSE UMANE INTERNE

Come anticipato nei capitoli precedenti la risorsa umana è

l’elemento di importanza strategica per il no profit. La forza di

questo settore si fonda proprio sulla presenza della figura del

volontario, persona che presta gratuitamente opera all’interno

dell’ente ma che, soprattutto in organizzazioni di grandi

dimensioni, si deve interfacciare con un’altra categoria di risorsa

umana: il dipendente.

L’A.I.D.O. ricade in questa emblematica realtà: con circa 4900

volontari e un numero di lavoratori dipendenti pari a 4. Quantità

esigua rispetto alla prima, qualità che fa ricadere l’Ente all’interno

delle organizzazioni di volontariato disciplinate dalla L. 266/91.

Come desumibile dall’ultimo Bilancio approvato il ruolo dei

dipendenti è legato a quei compiti che, come anticipato nelle

riflessioni del capitolo 2 di questa Tesi, sono di primaria

importanza e la cui strategicità è fondamentale per l’operatività

dell’Associazione e per un concetto di responsabilità sia sociale che

civile. Infatti il loro ruolo ricopre incarichi delicati che non

potrebbero essere totalmente lasciati in balia della libertà del

volontario di abbandonare l’associazione e che soprattutto

richiedono un certo grado di professionalità.

Si tratta di ruoli che vanno dal mantenimento dei rapporti

istituzionali con gli Enti pubblici ( Ministero della salute, Centro

Nazionale Trapianti, …) e privati alla gestione del SIA, sistema

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informativo che raccoglie i dati anagrafici dei soggetti che hanno

espresso la loro volontà alla donazione degli organi oltre che

adoperarsi per l’ordinaria amministrazione.

Ma alla base della struttura rimane in auge la figura del volontario,

soggetto che tuttavia interagisce con il lavoratore dipendete.

Quale rapporto si è creato tra il lavoratore dipendente e il

volontario?

A rispondere a questo mio interrogativo è direttamente il Presidente

A.I.D.O. Nazionale Dr. Vincenzo Passarelli: “A.I.D.O. Nazionale

attualmente ha quattro dipendenti a tempo pieno . Questa scelta è

stata dettata dall’enorme lavoro che oggi l’Associazione svolge nei

confronti delle realtà territoriali associative ( Gruppi Comunali,

Sezioni Provinciali, Sedi Regionali), delle Istituzioni (Ministero

della Salute, Centro Nazionale Trapianti, Centri Interregionali e

Regionali Trapianti, Conferenza Stato-Regioni, Società

Scientifiche del settore trapianti), di Enti e altre associazioni

nazionali ed internazionali e dei cittadini (numero verde nazionale,

sito associativo, pagina facebook, sistema informativo A.I.D.O.).

Nel fare questa scelta abbiamo comunque tenuto presente che:

- nello svolgimento complessivo delle attività l’apporto volontario

deve rimanere sempre prevalente rispetto a quello del personale

retribuito;

- i rapporti di lavoro sono stati instaurati con persone che non hanno

mai rivestito il ruolo di volontari.

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- la programmazione del personale è stata collegata alla

programmazione di bilancio.

Per quanto riguarda l’impegno dei dipendenti da sempre hanno

partecipato alla vita associativa indipendentemente dalla

retribuzione. […] In molti casi sono stati di sprone a prendere

determinate decisioni alla luce della perfetta conoscenza dei

bisogni degli associati e non. Giornalmente sono il punto di

riferimento, anche perché la maggior parte dei volontari sono

impegnati nell’attività lavorativa e salvo le ore serali o i fine

settimana non hanno la possibilità di rispondere a quanto viene

richiesto dai cittadini e dagli associati.

[….] Tutto ciò ha portato a inserire nel documento della

Commissione sulla riorganizzazione associativa e votato

dall’Assemblea Intermedia di Bressanone del giugno 2014, alla

voce “Quali valori” l’impegno di tutta l’associazione alla

valorizzazione della struttura operativa, composta da dipendenti e

collaboratori retribuiti. Questo permette ad A.I.D.O. il regolare

funzionamento di tutte le attività in maniera qualificata e

professionale, ed è garanzia di continuità e rapidità nei servizi

erogati in applicazione degli indirizzi nazionali deliberati dagli

organismi direttivi.

Ciò rappresenta anche una significativa svolta nella gestione

organizzativa e nel futuro rapporto tra volontari e struttura; le

esigenze di tempo e di dinamismo che richiederanno le generazioni

di nuovi dirigenti rispetto alle esigenze della attività associativa,

saranno bilanciate proprio da un nuovo e diverso rapporto con i

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collaboratori. Attraverso questo sarà possibile mantenere la qualità

e la credibilità, oltre che alla efficienza dell’impegno associativo.”

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7 IL BILANCIO SOCIALE 2013

7.1 LO STATO PATRIMONIALE

L’ultimo bilancio approvato dall’Assemblea Nazionale è il

Bilancio che risale all’anno 2013.

Qui sotto si riportano gli schemi di Stato Patrimoniale e Conto

Economico e successivamente i commenti relativi alle voci più

rilevanti capaci di descrivere la realtà associativa. Non adotta

schemi a stati comparati rendendo difficile il diretto confronto con

gli anni precedenti.

L’ente adotta una contabilità di tipo economico – finanziario –

patrimoniale: metodo migliore per rappresentare l’associazione ed

ai fini di una trasparente contabilità.

Nonostante questo gli schemi del Bilancio sociale hanno delle forti

incongruenze, successivamente spiegate, che minano la

rappresentatività immediata soprattutto agli aocchi dei meno

esperti.

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Stato Patrimoniale

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Figura 12: Bilancio Sociale A.I.D.O. 2013 pag.71 -72

Lo Stato Patrimoniale attivo presenta tre voci che meritano un

approfondimento e un commento:

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- Quote dei consigli regionali: sono crediti interni all’Associazione.

Si tratta di contribuzioni che annualmente devono provenire dalle

strutture regionali calcolate tramite il rapporto di un quantum

per iscritto attribuito ad ogni Regione. Il conto mostra una serie di

sotto-conti che enunciano l’ammontare non ancora riscosso per

ciascun anno addietro. Il totale ammonta ad 117.800,84 Euro, di cui

il 64% proveniente dal solo 2013. Dato che allarma gli

amministratori in quanto evidenzia l’incapacità crescente negli anni

delle strutture regionali di garantire quella che è l’entrata principale

della struttura Nazionale.

- Crediti della giornata informativa: si tratta di crediti derivanti dal

mancato versamento delle strutture territoriali delle liberalità

proveniente dalla giornata nazionale A.I.D.O. che per regolamento

sono di competenza Nazionale. Crediti di natura diversa rispetto a

quelli precedentemente descritti ma che comunque aumentano la

preoccupazione ne confronti del territorio che mostra difficoltà

crescenti nel contribuire al mantenimento della struttura. Se a

queste due voci aggiungiamo anche i Crediti diversi otteniamo una

somma pari a 164.448,84 Euro rappresentanti crediti interni

all’associazione.

- Magazzino: il magazzino mostra valori elevati e contiene tutto il

materiale informativo e propagandistico a disposizione

dell’Associazione. L’Ente per ottenere sconti sulla quantità ha

ordinato in massa il materiale. Dovrebbe riuscire a lavorare in un

ottica di just in time.

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Queste le voci principali dell’Attivo di Stato Patrimoniale al quale

bisogna aggiungere la Banca che mostra le disponibilità liquide in

capo all’Ente e le Immobilizzazioni materiali che includono i costi

di ristrutturazione della sede il cui processo d’ammortamento

risulta essere pressoché terminato.

Passando all’analisi del Passivo non troviamo voci particolarmente

rilevanti o che possano destare attenzione in quanto mostrano

dimensioni tipiche alla natura del conto stesso. Meritano un

approfondimento le voci:

- Fondo attività programmate che accoglie gli accantonamenti degli

avanzi di esercizi precedenti che come prassi per gli Enti No profit

devono trovare una destinazione. Il fondo ammonta ad 270.330,52

Euro e rappresenta risorse a disposizione dell’Ente per finanziare le

attività legate alla sua operatività ed alla mission. Il fondo non

mostra differenze rispetto all’anno precedente ove l’Ente andò poco

più che a pareggio. La sua non diminuzione dimostra che

l’Associazione è riuscita a coprire l’operatività con le entrate

dell’anno e con il 5 per mille senza intaccare le riserve.

- Fondo 5 x1000 Anno 2011 che mostra il quantitativo di

contribuzione derivante dal 5 per mille che non è ancora stato

destinato ad attività.

- Fondo lascito Iozzo che rappresenta un fondo vincolato ad

accogliere le risorse in entrata e in uscita legate da un lascito

testamentario ma non ancora utilizzabili in quanto le pratiche di

successione non sono terminate.

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7.2 IL CONTO ECONOMICO

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Figura 13: Bilancio Sociale A.I.D.O. pag. 73-74

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Il Conto Economico mostra le voci relative all’operatività

dell’Associazione sostenute e incassate durante l’anno 2013

seguendo un principio di competenza tenendo in considerazioni che

alcune voci di costo come gli ammortamenti non hanno generato

uscite monetarie in quanto per loro natura costi non monetari.

La voce di spesa più rilevante è quella relativa al personale che con

un ammontare pari a 201.668,71 mostra due aspetti: il primo

sottolinea come spiegato precedentemente che il personale risulta

essere una risorsa indispensabile ma altrettanto onerosa in quanto

assorbe il 35 % delle risorse, percentuale che tuttavia non si

discosta dalla media delle aziende for profit ma che aumenta la tesi

seconda la quale risulta essere una risorsa di estrema importanza

alla quale l’Associazione non riesce a rinunciare.

Altra voce rilevante è quella relativa alla stampa di materiale

informativo necessario per promuovere l’attività dell’Associazione

che ammonta ad 135.347,40 Euro. Voce che va confrontata con la

rispettiva voce di entrata, nettamente superiore, par ad 219.014,05

Euro derivante dal rimborso del materiale ceduto alle strutture

territoriali ( viene rimborsato il 50%). Operazione che a primo

impatto mostra un avanzo. Tuttavia si mostra un’incongruenza con

l’utilizzo del 5 per mille. Esso viene utilizzato per l’acquisto di

materiale informativo ma le risorse provenienti da questa fonte non

transitano in Conto Economico né come ricavo né come spesa.

Creando una distorsione nella rappresentatività del fenomeno.

Andando a leggere gli schemi del 5 per mille che per completezza

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vengono inseriti successivamente, l’acquisto di materiale

informativo risulta pari a 72.374,01 Euro: uscite che se inserite in

Conto Economico ridurrebbero questo presunto avanzo fino quasi

ad azzerarlo.

Voce che presenta un vistoso calo rispetto al 2012 è quella relativa

alla ricerca in cui era pari a 49.549,50 Euro contro i 4.457,92 Euro

del 2013. Ma questo non è un segnale che desta preoccupazioni

infatti come si evince dalla lettura del Bilancio Sociale gran parte

delle attività di ricerca e di propaganda sono state finanziate dal 5

per mille per un ammontare pari ad 291.538,82 Euro: queste spese

non transitano da Conto Economico ma a diretta riduzione dei

Fondi del 5 x 1000 in Stato Patrimoniale. A sostegno di ciò bisogna

evidenziare che nell’anno 2013 sono stati azzerati tutti fondi

derivanti dalle contribuzioni degli anni precedenti lasciando a

disposizione quello derivante dall’anno 2011. Non sono state

intaccate così le risorse accantonate dall’Associazione negli anni

precedenti salvaguardando la sua solidità. Sintomo anch’esso di

un’associazione rivolta alla continuità e all’attività.

Altra voce di spesa è quella relativa agli organismi nazionali ed al

loro mantenimento. Essa con 33.127,67 Euro di ammontare

rappresenta il costo della struttura di Governance, costo contenuto

ma che rappresenta una buona leva per poter generare futuri nuovi

avanzi. Le altre entrate quantitativamente più importanti sono

quelle relative alle contribuzioni territoriali e alla giornata

nazionale; le stesse che mostrano maggiori difficoltà ad essere

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incassate e che generano crediti sempre maggiori di anno in anno

minando così all’equilibrio finanziario.

Elemento, questo, che non può non generare preoccupazione agli

occhi degli amministratori associativi che nonostante le difficoltà

sono riusciti a gestire efficientemente la struttura generando un

consistente avanzo salvaguardando la continuità dell’ente.

Figura 14: Schema di 5 per mille – Bilancio Sociale A.I.D.O. 2013 pag. 76

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L’Associazione chiude, come si può osservare da entrambi gli

schemi, con un avanzo di 117.920,60 Euro. Risparmio di notevoli

dimensioni che però non rappresenta una certa manifestazione

finanziaria dovuta dal fatto che il Conto Economico è redatto sì

secondo principio di competenza ma che una delle entrate e uscite

più rilevanti non transitino nel momento in cui nascono come

ricavo/costo. Tuttavia questo avanzo rappresenta risorse che, come

da delibere intraprese durante il 2014, saranno destinate alla

riduzione delle contribuzioni dei Consigli regionali e a fondi

dedicati per le attività. La prima destinazione aiuta ad attenuare

l’incremento dei relativi crediti aumentando così le probabilità di

incasso dei sospesi.

7.3 GLI EQUILIBRI DELLA GESTIONE

Analizzando il rispetto dei tre equilibri:

-patrimoniale: equilibrio mantenuto. Durante il 2013 ha aumentato

la solidità dell’Associazione non intaccando le riserve accantonate

ma facendo ricorso esclusivamente alle risorse correnti;

-finanziario: equilibrio apparentemente stabile. La mancanza di un

rendiconto finanziario rende complesso ottenere una panoramica

chiara di come le risorse in entrata abbiano coperto quelle in uscita.

Il calcolo di un Cash Flow operativo partendo dai dati di Conto

economico (avanzo+/-costi e ricavi non monetari) riporta una

valore positivo pari a 61.960,91 Euro che delinea il mantenimento

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dell’equilibrio. Ma se andiamo ad aggiungere la differenza tra 5 per

mille speso e incassato nell’anno non transitante da Conto

Economico otterremo un differenziale negativo di 55.753,85 che

ribalta l’affermazione precedente mettendo in mostra una tendenza

all’erosione delle risorse.

-economico: le entrate della gestione sono stati più che sufficienti

per coprire le spese ma tuttavia gran parte si sono trasformati in

crediti minando all’equilibrio finanziario. Anche in questo caso se

si aggiungessero i costi e i ricavi derivanti dal 5 per mille

(differenziale negativo di 117.714,76 Euro) otterremmo un avanzo

notevolmente ridotto.

L’Associazione non riporta l’utilizzo di un rendiconto finanziario,

schema senza dubbio utile per comprendere i flussi di entrate ed

uscite evitando di analizzare la situazione prescindendo da uno

schema di natura economica quale il Conto economico.

Inoltre il non passaggio delle entrate del 5 per mille a Conto

Economico non aiuta ad avere una rappresentazione completa delle

risorse adisposizione dell’ente durante l’anno ma è necessario

l’analisi dello Stato patrimoniale per ottenere un dato completo a

consuntivo. Spesso il 5 per mille viene utilizzato per l’acquisto di

materiale promozionale che alimenta il magazzino e il cui acquisto

non passa da Conto economico ma a diminuzione del relativo

fondo creando una distorsione nella comprensione delle dinamiche

finanziarie. Motivo in più per sostenere l’utilizzo di un rendiconto

finanziario.

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Nonostante ciò è doveroso sottolineare che il management

associativo ha preso provvedimenti affermando che già a partire dal

2014 queste incongruenze saranno ripianate.

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8 LA RIORGANIZZAZIONE ASSOCIATIVA

8.1 CAMBIARE

A.I.D.O. risulta oggi una delle maggiori realtà associative italiana

e leader nel settore in cui opera.

La sua posizione, dimensione e le capacità operative e

organizzative che possiede sono dovute ad un lavoro continuo nel

tempo e soprattutto ad una inclinazione di adattamento all’ambiente

in cui l’Ente ha operato.

I forti cambiamenti socio economici attuali non hanno reso estranea

l’Associazione ma anch’essa ha dovuto mettere in discussione

alcuni aspetti del suo operare e della sua struttura affinché riesca a

trovare un compromesso valido per garantirsi continuità nel tempo.

L’ambiente attorno all’Associazione è profondamente variato:

- l’ambiente economico si è impoverito e questo impoverimento

si riflette sull’Associazione ai vari livelli della struttura ma

soprattutto sul il basso, livello su cui tutta la struttura poggia la

principale fonte di flusso finanziario: le quote sociali. Ma non

solo in quanto e da li che parte l’operatività A.I.D.O. soprattutto

durante le manifestazioni in larga scala ove la raccolta di

liberalità raggiunge dimensioni tali da riuscire a garantire la

stabilità e quindi la continuità;

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- l’ambiente tecnologico: A.I.D.O. si è sempre mostrata capace

di comprendere gli sviluppi tecnologici, vedi ad esempio le

implementazioni dei sistemi informativi per la gestione dei

soci, ma tecnologia e comunicazione, oggi più che mai,

viaggiano parallele. Ecco che adattarsi alle nuove tecnologie,

soprattutto comunicative, rappresenta per l’Ente un compito

fondamentale;

- l’ambiente politico-amministrativo: il no profit vive un

momento in cui, seguito ad una contrazione dell’intervento

pubblico, deve implementare il suo ruolo di supplenza. E così

anche A.I.D.O. deve riuscire a comprendere questa necessità e

farvi fronte. Ma a cambiare è anche la geografia politica del

nostro Paese e mentre A.I.D.O. ha sempre elaborato una

struttura che riprendeva quella amministrativa ( Gruppi

comunali, Sezioni Provinciali, Consigli Regionali, Sezione

Nazionale) deve rivedere questo aspetto cercando semmai

metodi alternativi di approccio a questa tematica;

- le risorse umane: un ambiente più nuovo e complesso richiede

maggiore formazione, cultura associativa, consapevolezza e

soprattutto ringiovanimento.

Condizione necessaria per affrontare questa delicata situazione è la

capacità del management di saper affrontare il cambiamento con

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flessibilità e con una predisposizione ad esso che permetta di

volgere uno sguardo al futuro con chiarezza e determinazione.

8.2 IL PROCESSO RIORGANIZZATIVO

Il processo riorganizzativo cominciò con l’Assemblea Nazionale

del 2012 ove furono dettate le linee strategiche per i quattro anni

avvenire. Tra le tematiche affrontate vi era anche quella della

riorganizzazione associativa.

I lavori iniziarono nella primavera del 2013 quando il vertice

associativo chiese agli enti territoriali di far pervenire una

documentazione atta a riassumere i cambiamenti e le necessità che

quel preciso territorio proponeva e avanzava.

Pervenute solo 7 documentazioni su 21 possibili i lavori della

Commissione nominata ad hoc cominciarono a fine 2013.

Questa scarsa partecipazione propone un primo problema: la

lontananza della territorio dalle decisioni comuni.

La Commissione conviene che il cambiamento è un obiettivo

ambizioso ma allo stesso inderogabile e che di cambiamento non si

potrà parlarle solo in quel frangente ma vivendo in un ambiente in

costante cambiamento l’Associazione dovrà riuscire a mitigare le

distanze ed ad amalgamarsi alle variazioni del sistema.

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I membri incaricati iniziano i lavori con una valutazione dei

documenti pervenuti dalle sedi territoriali regionali ed ad elencarne

le problematiche.

I punti principali su cui i documenti pervenuti si soffermano

maggiormente sono:

- gestione territoriale della struttura;

- metodologia di finanziamento;

- ricambio generazionale e formazione;

- valutazione dei risultati.

Vengono inizialmente fissati i valori su cui il cambiamento deve

poggiare:

- la promozione culturale dei valori del civismo, del dono e della

solidarietà;

- l’essere un attore fondamentale del Sistema trapianti;

- l’essere collegamento con la Comunità favorendo

l’integrazione (E’ riconosciuto il ruolo di A.I.D.O. nel territorio

dove favorisce la coesione sociale e l’integrazione non solo dei

migranti ma anche tra generazioni e generi).;

- la capacità di aggregazione e di socializzazione;

- Il ruolo di testimonianza e di pratica;

- La dinamicità e l’innovazione (Per promuovere progettualità,

investire sui mezzi e sulle modalità di comunicazione, sia in

termini di linguaggi che di tecnologie);

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- La formazione dei dirigenti (Un’azione che deve essere

costante e di livello per farli crescere e per far crescere una

classe dirigente più giovane e con maggiori capacità di agire in

un contesto in continuo mutamento);

- L’investimento sui giovani (I giovani portano entusiasmo,

nuove energie e nuove idee);

- Il ricambio dirigenziale (La presenza tra i donatori di giovani,

donne e migranti, dovrebbe trovare rispondenza anche a livello

di organizzazione associativa e di presenza nei livelli

dirigenziali). 27

I lavori della Commissione sono partiti stabilendo ciò che

l’Associazione vuole diventare e su cosa vuole investire in futuro.

È evidente l’intenzione rivota alla continuità e alla conoscenza

costante e migliorativa dell’ambiente in cui essa opera. Ma non

solo, tra gli obiettivi e i valori da consolidare troviamo anche

l’intenzione di essere costante partecipe del sistema sanitario a cui

l’Ente è rivolto. Indicazione che l’Associazione intende continuare

a consolidare la posizione raggiunta negli anni.

Primi cambi di direzione che possono essere desunti sono quelli

rivolti alla necessità di migliorare il personale. Miglioramento che

passa per due vie: il ringiovanimento e la formazione, considerati

elementi sempre più fondamentali per il futuro.

27

Documento interno associativo A.I.D.O. “Commissione per la riorganizzazione associativa”

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95

A questo appunto è necessario aggiungere che le discussioni

interne hanno evidenziato fin da subito la necessità di

professionalizzare la figura del volontario. Adeguarsi al

cambiamento significa riuscire ad utilizzare una flessibilità atta ad

accettarlo e quindi al migliorarsi.

La Tesi passa ora ad analizzare i cambiamenti proposti dalla

Commissione al resto della struttura, fornendo un’analisi del

cambiamento atta ad evidenziare i punti di forza e di debolezza del

medesimo.

8.3 LE PROPOSTE DI CAMBIAMENTO: IL

FINANZIAMENTO INTERNO

L’Associazione, come descritto nei paragrafi precedenti, gode di un

sistema di finanziamento interno molto semplice quanto tuttavia

rischioso.

La commissione non ha messo in discussione le fonti di

finanziamento tipiche dell’ente, quali 5 per mille o introiti

provenienti dalla giornata nazionale piuttosto che le liberalità da

privati ma ha concentrato l’attenzione sulla contribuzione interna

proveniente dalle quote associative.

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96

Dal territorio è pervenuta una forte richiesta di un loro

abbattimento. La quota ha con sé una rischio intrinseco dovuto al

fatto che se la “base” dell’Associazione non riesce a raccogliere

fondi sufficienti, questa insufficienza ricade a cascata su tutta la

struttura A.I.D.O. fino al vertice, luogo in cui la sicurezza del

reperimento di fonti è fondamentale per garantire la stabilità

finanziaria e operativa dell’intera Associazione.

Prima di analizzare le proposte pervenute e le riflessioni che ne

derivano è giusto verificare come la rischiosità appena descritta si

sia effettivamente realizzata supportando la tesi dai dati di bilancio.

La congiuntura economica è stata particolarmente sfavorevole,

soprattutto per i gruppi comunali e le sezioni provinciale che si

occupano principalmente del tipico fund raising: la raccolta di

liberalità da privati, in quanto tipicamente non dotate dei mezzi

necessari (dimensioni e know how) necessari per elaborarne altri.

La difficoltà nel reperimento fondi di questi soggetti si è riversata

sul resto della struttura mettendo a nudo il punto di debolezza

principale di questa fonte di finanziamento interna.

Osservando i dati dell’ultimo bilancio approvato si nota, come da

Figura n.12 , che i crediti derivanti dal mancato pagamento delle

suddette quote sociali rincarano sulla sede Nazionale per un

ammontare di Euro 117.800,84 e che il picco principale lo troviamo

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nel 2013 ove i Consigli regionali hanno vissuto la difficolta

maggiore nel pagare le quote sociali.

A supporto di questa riflessione troviamo la voce di Conto

economico nella Figura n. 13 che vede su un totale di Euro

182.669,98 un credito in Stato patrimoniale del 42%, risorse

finanziare non pervenute.

Figura 15: estratto Bilancio sociale 2013 A.I.D.O. pag. 71

Figura 16: estratto Bilancio sociale 2013 A.I.D.O. pag. 74

Informazione derivante dal bilancio che permette di deliberare la

necessità di rivedere il metodo di contribuzione interna.

Altro fattore che va ad indebolire ulteriormente questa forma di

finanziamento è il metodo del calcolo della quota che vede un

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quantum versato per ogni socio iscritto presso ciascuna sezione

territoriale.

Infatti alla luce dei recenti avvenimenti in cui i Comuni italiani

stanno aprendo i registri comunali dei donatori di organi si rischierà

nel tempo di vedere ridotta l’adesione all’Associazione; con i

relativi riflessi sul finanziamento interno nello stesso momento in

cui all’Associazione stessa viene richiesta una costante e in

aumento propaganda della sua mission.

Di risposta la Commissione, che si trova a ricercare una soluzione

tra le forze che comprimono ai lati questa forma di finanziamento,

ribadisce la necessità di individuare forme di finanziamento

alternative a quelle in vigore prima di procedere con l’eventuale

abbattimento delle quote in quanto un’eliminazione improvvisa

minerebbe alla stabilità finanziaria della struttura.

Ma l’analisi su questo tipo di intervento verte anche su un altro

aspetto: l’interrogativo che ci si pone è se l’eliminazione della

contribuzione interna risulti una minaccia all’idea di Associazione

ed alla sua uniformità.

Il processo di soluzione individuato può essere riassunto in:

- progressivo abbattimento delle quote pur mantenendo una

contribuzione minima per garantire il senso d’appartenenza;

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- abbattimento delle quote razionalizzato ai tagli di spesa che

A.I.D.O. dovrà operare;

- individuazione di nuove forme di finanziamento finalizzate a

coprire il gap proveniente dal calo della contribuzione interna.

Ma come si prevede di attuare l’abbattimento?

Le soluzione individuate sono molteplici, spetterà all’Assemblea

decidere la metodologia adeguata.

Parallelamente la Commissione ha discusso sulla possibilità di

slegare la contribuzione dal numero degli iscritti per sezione ( può

disincentivare il territorio a promuovere iscrizioni) individuando

soluzioni alternative che vanno a misurare il potenziale del

territorio in termini di raccolta fondi, ad esempio legato al numero

di abitanti.

Un’analisi ragionieristica porterebbe ad affermare che la quota

sociale non debba essere un onere eccessivo e superiore alle

possibilità economiche gravanti sulle sezioni territoriali, minando

all’autonomia delle stesse ma nello stesso tempo ravviserebbe

l’utilità di trovare nuove forme di finanziamento per un duplice

motivo: per quanto affermato nel capoverso precedente (quota

sociale non deve essere un onere superiore alle proprie capacità), e

per la difficile congiuntura economica che inevitabilmente ha

colpito anche l’ Associazione richiedendo per garantire certezza di

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continuità una diversificazione del portfolio delle forme di

reperimento fondi.

Tuttavia un abbattimento delle stesse o una diminuzione per

determinate realtà locali deve avvenire per una comprovata

difficoltà per non rischiare di cadere in una vera e propria trappola

della povertà capace di creare disparità sul territorio e difficoltà che

si riverserebbero sull’intera realtà associativa.

Risulta necessario traghettare l’Associazione verso un

cambiamento sicuro che vede maggiore flessibilità nella gestione

delle quote sociali ma nello stesso tempo l’individuazione di forme

alternative di finanziamento o revisioni di spesa capaci di coprire

quel differenziale derivante dalla riduzione contributiva.

8.4 LE PROPOSTE DI CAMBIAMENTO:

RIORGANIZZAZIONE TERRITORIALE E

VALUTAZIONE DEI RISULTATI.

La riorganizzazione territoriale: gran parte dell’Associazione

lamenta un’eccessiva burocratizzazione della struttura. La

burocrazia è tuttavia parte integrante della gestione associativa:

essere associazione, come spiegato nel capitolo 2, implica proprio

per la natura stessa dell’ente un minimo di amministrazione che

non può essere eliminata. La lotta interna è tra la burocrazia e

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l’operatività del volontario: emerge dunque che chi opera alla

“base” dell’Associazione, per lo meno la maggioranza, o per

mancanza di formazione amministrativa o per necessità temporale è

legato alla mission dell’Ente ma non è portato a pensare questo

come un’impresa che opera in un ambiente tendendo così a vedere

la gestione amministrativa come pura e semplice burocrazia.

Essendo tutte le realtà territoriali enti autonomi sia sotto il profilo

civilistico che fiscale le incombenze burocratiche nascono per gli

obblighi derivanti da questa caratteristica.

Vengono perciò sintetizzate due proposte che osservano

l’Associazione su due piani differenti:

- la prima propone di demandare ai Consigli regionali il potere di

scegliere come organizzare il proprio territorio scegliendo i

criteri di ripartizione sulla base delle necessità sentite nella

specifica realtà (possibilità già in parte garantita dall’attuale

Statuto);

- la seconda analizza la struttura trascendendo dalla gerarchia

piramidale e dalla distribuzione territoriale ma la analizza nel

suo insieme cercando di trascendere da questo aspetto e

sviluppando metodologie nuove di definizione della struttura

sulla base dei cambiamenti tecnologici e sociali a cui

l’Associazione va incontro.

Il primo metodo ripropone una struttura che non va ad eliminare il

problema della gestione amministrativa ma delega il potere

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dell’organizzazione territoriale ad una realtà più vicina al territorio

e in grado di coglierne le richieste e necessità. La seconda invece

va a deframmentare la struttura così come la si conosce proponendo

un sistema strutturale completamente orizzontale che punta sulla

flessibilità ad adeguarsi ai cambiamenti sociali.

Il secondo renderebbe più facile l’amministrazione a quella che

oggi è la “base” della struttura ma rischierebbe di disperdere

l’operatività e la capacità di avere dei punti di riferimento certi e

concreti, garanzie che al contrario offre la presenza di una struttura

amministrativamente organizzata sul territorio.

La figura sotto riportata riassume le possibilità individuate legate

all’aspetto in considerazione.

Figura 17: Fabio Arossa – Tesi il settore no profit: bisogni, azienda, persone e

amministrazione razionale – il caso A.I.D.O. Onlus

Attuale struttura

Quatto livelli: -sede Nazionale

-consigli Regionali -sezioni Provinciali -gruppi comunali

Mantenimento dei livelli con delega ai consigli regionali di auto organizzarsi

Sedi di coordinamento

Resto dell’associazione

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103

Si riuscirebbe ad attuare la seconda fattispecie di proposta solo con

la presenza di personale volontario consapevole della mission

dell’Associazione e solo nel momento in cui non ci sia alcuna

discrepanza nei flussi informativi interni; si rischierebbe inoltre di

perdere ruoli e poteri, presenti invece in realtà mantenute nella

prima proposta, che indubbiamente danno sicurezza a chi si occupa

esplicitamente di operatività. Senza contare la perdita della

presenza materiale dell’Associazione a cui soci e cittadini sono

abituati.

La valutazione: Un’organizzazione di volontariato che rivolge

attenzione al cambiamento e all’adeguarsi alle variazione

dell’ambiente deve orientare la formazione ad un approccio

valutativo delle performance. Un’associazione si può affermare

professionale e adeguata ai tempi quando presenta approcci che

tendono a misurare i risultati raggiunti con un approccio oggettivo

e orientato non alla auto referenzialità ma alla comprensione dei

punti di debolezza e di forza e quindi alla conoscenza della realtà

operativa. Dunque non può non dotarsi, di un sistema di

valutazione che misuri l’efficacia e l’efficienza delle azioni di tutte

le strutture in relazione agli obiettivi associativi.

Un primo, ma seppur primitivo, approccio ai sistemi di valutazione

è l’organizzazione di un sistema di controllo interno.

A.I.D.O. ha da sempre attuato questa primo processo attraverso

organismi di staff nominati quali Collegio dei revisori dei conti,

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organo presente in quasi tutte e realtà no profit oltre che per le

maggiori realtà for profit. Tuttavia si può affermare che esso non si

può ritenere un organo che orienti l’Ente ad avvicinarsi alla

valutazione dei risultati ma soltanto al controllo della regolarità

degli atti amministrativi.

La Commissione addetta ai lavori ritiene che sia necessario ai fini

della creazione di un processo valutativo la:

1. definizione degli obiettivi, distinti in primari (tali perché previsti

dall’art. 1 dello Statuto), interni ed esterni

2. creazione di una matrice obiettivo / elementi di valutazione

3. creazione di una matrice elemento di valutazione / strutture

interessate e per quale aspetto / metodo di misura. 28

Questo processo richiederà tempo non solo per creare un prototipo

sperimentale di matrice e indici valutativi ma anche per formare

una cultura associativa orientata a questo.

L’approccio alla valutazione delle performance è ricollegabile al

concetto di Amministrazione razionale e di rappresentazione in

Bilancio sociale dei risultati raggiunti in base agli schemi di

determinazione del valore aggiunto.

L’analisi si sviluppa su due piani:

- la quantificazione dei risultati conseguiti risulta essere un apporto

fondamentale per il management all’attività decisionale e di

28

Documento interno associativo A.I.D.O. “Commissione per la riorganizzazione associativa”

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pianificazione permettendo allo stesso di poter deliberare con più

consapevolezza e orientando la premiazione di atteggiamenti

virtuosi e la correzione di quelli viziosi;

- allo stesso modo un approccio di questo genere aiuta ad

alimentare il rapporto di fiducia tra l’ente e la comunità degli

stakeholder aumentando la propensione alla responsabilità sociale

in quanto questi ultimi sarebbero in grado di giudicare la coerenza

dell’operatività del management agli obiettivi previsti.

Inoltre un efficace sistema di valutazione, basato su elementi di

valutazione misurabili collegati a obiettivi predefiniti e collegato a

un “sistema premiante”, è già di per sé un fattore sburocratizzante

della struttura, in quanto riduce la necessità di onerosi e fastidiosi

controlli e autorizzazioni preventivi pur consentendo di mantenere

sotto controllo l’operato delle diverse strutture. 29

Per concludere questa parte bisogna aggiungere che la definizione

del sistema richiede che lo stesso debba essere sottoposto a un

continuo monitoraggio affinché rimanga adeguato all’evolversi

delle situazioni orientandolo alla correzione.

29

Documento interno associativo A.I.D.O. “Commissione per la riorganizzazione associativa”

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106

8.5 LE PROPOSTE DI CAMBIAMENTO: LA FORMAZIONE E

IL RICAMBIO GENERAZIONALE.

Formazione e ricambio generazionale: la formazione è uno

strumento indispensabile per rafforzare l’Associazione e acquisire

un nuovo e costantemente aggiornato know how. La conoscenza è

fonte di capacità e in un’associazione ove il ruolo della persona è

fondamentale essere coscienti e quindi capaci risulta necessario per

avviare un circolo virtuoso in grado di creare successo.

In A.I.D.O. in passato si è registrato un disinteresse ai momenti di

formazione proveniente dal territorio generando così una ricaduta

ininfluente.

Le discussioni della Commissione hanno portato a ritenere che ci

deve essere un vero cambio di tendenza verso questo fenomeno:

oggi più che in passato per essere rappresentati dei valori del no

profit in generale e soprattutto dell’Associazione di riferimento è

necessario essere formati e coscienti.

La formazione deve essere permanente e deve riuscire a

coinvolgere l’intera struttura per proteggersi dal rischio di creare

personale operativo con forti differenze sul piano formativo

ponendo a rischio la comprensione reciproca, l’informazione e di

riflesso l’operatività.

Avere del personale operativo formato significa poter vantare un

intangible asset di straordinaria importanza garante di continuità.

Da un punto di vista aziendale una formazione mirata a

comprendere la missione dell’Ente, la sua pianificazione e strategia

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permette di rendere compatta e consapevole la struttura. Investire

sulla persona risulta essere indispensabile non solo per garantire un

futuro ma in primis per comprendere il cambiamento al quale

l’Associazione si approccia. Capire la sua struttura, i ruoli delle

persone stesse, le forme di finanziamento e i nuovi approcci

valutativi sono elementi che in modo imprescindibile dipendono

dalla formazione: formare il personale per cambiare l’ente con

consapevolezza e solidità.

Alla formazione bisogna affiancare il serio problema del ricambio

generazionale: per garantire continuità è necessario inserire

all’interno della struttura persone nuove, giovani e capaci che

vedano in A.I.D.O. un luogo in cui esprimersi. Oggi l’Associazione

vive un serio invecchiamento dei direttivi che mette in discussione

la formazione stessa. A.I.D.O. deve porsi l’obiettivo di riuscire ad

accompagnare al ricambio dirigenziale le strutture sul territorio.

L’Associazione deve mettere la persona al centro del cambiamento

cercando di gestire questo fenomeno in modo uniforme affinché il

rischio di avere personale con livelli formativi diversi sia molto

basso o nel caso deve essere in grado di gestire questo rischio

destinando ruoli e competenze in base alle capacità dei singoli.

Questa affermazione è appoggiata anche da Passarelli che alla

domanda “Su quali aspetti investiresti maggiormente?” la risposta

risulta essere proprio “ la valorizzazione della figura del

volontario” affermando che “I volontari sono una risorsa

importante che però richiede l’individuazione di meccanismi

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operativi che possano integrare e coordinare le esigenze dei

volontari e dell’associazione. In oltre 40 anni di vita associativa

non si è mai riflettuto su quanto gli elementi che

contraddistinguono il volontario (gratuità dell’azione, libertà della

scelta di impegno e tutto quello che ne consegue) influenzino

profondamente il contesto organizzativo da un punto di vista sia di

cultura e valori dominanti, sia di regole e processo di lavoro. Io

penso che la definizione delle modalità di gestione, delle regole

organizzative e di precisi processi di lavoro non devono essere visti

come un tentativo per ingabbiare i volontari, quanto piuttosto come

un modo per permettere ad ognuno di portare un contributo

rilevante rispetto agli obiettivi dell’associazione, per assicurare

continuità all’associazione stessa e garantire la qualità nei servizi

offerti, per meglio indirizzare le attività operative.”

Figura 18: Fabio Arossa – Tesi il settore no profit: bisogni, azienda, persone e

amministrazione razionale – il caso A.I.D.O. Onlus

formazione

Riorganizzazione

territoriale

Finanziamento

Ricambi

generazionali

Amministrazione

razionale

Comprensione dei

sistemi valutativi

PERSONA

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109

8.6 ALTRE OSSERVAZIONI SUL CASO

Altre osservazioni sul caso operativo vengono esplicitate col fine di

completare l’analisi dello stesso.

In primo luogo si può affermare che un’associazione di dimensioni

così elevate e con un ruolo sociale in crescita debba per ottimizzare

la sua realtà orientare la gestione ad una continua maggiore

conoscenza qualitativa e quantitativa del territorio.

Ciò significa che ai fini rappresentativi e informativi l’Ente

potrebbe accogliere un’ulteriore aspetto legato al bilancio: la

rappresentazione delle dimensioni del territorio nel Bilancio

sociale.

La struttura ramificata consente alle singole realtà di avere

un’autonomia finanziaria e operativa ampia capace di rendere le

stesse forti e stabili sul territorio di competenza.

Indubbiamente un punto di forza ma è importante la conoscenza del

territorio stesso attraverso un approccio unificatore nel rispetto

dell’autonomia.

Per arrivare a questo e per conoscere il vero potenziale associativo,

riconoscendo la difficoltà operativa, un orientamento rivolto a

rappresentare nel Bilancio sociale anche le realtà territoriali sotto

un profilo quali-quantitativo renderebbe chiaro il potenziale

operativo dell’ente.

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Un criterio di questo tipo richiederebbe un’armonizzazione degli

schemi di rendicontazione sociale ad ogni livello ( regole contabili

uniformi, comune piano dei conti) e quindi un’implementazione

degli sforzi contabili.

Riconoscendo l’importante ruolo delle risorse umane e della loro

costante formazione risulterebbe utile ed interessante fornire una

valutazione (anche in un parametro monetario) di questo elemento:

potrebbe essere classificato come intangibile anche negli schemi di

bilancio piuttosto che attraverso una rappresentazione distinta. Esse

risultano attività dotate nel loro complesso di caratteristiche tipiche

degli asset : fonte di probabili benefici economici futuri, che sono

stati “acquisiti” o sviluppati internamente sostenendo costi

identificabili come ad esempio quelli legati alla formazione.

Si ritiene necessario inoltre considerare la realizzazione di schemi a

stati comparati e l’elaborazione di un rendiconto finanziario capace

di mettere in luce i flussi di entrata e di uscita.

Per concludere l’analisi ritengo che si può ulteriormente affermare,

anche alla luce dei GBS, che l’ istituzione di un comitato o di un

focus group per la redazione del Bilancio sociale possa essere una

strada percorribile con lo scopo di individuare risposte e per

comprendere meglio i punti di vista degli stakeholder.

Sempre riguardo al bilancio l’Associazione dovrebbe rivolgere

interesse all’elaborazione di un rendiconto finanziario evitando

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111

distorsioni nell’uso del principio della competenza nel Conto

Economico.

L’Associazione esaminata in questa Tesi mostra di approcciarsi al

cambiamento attraverso un metodo che la porterebbe ad

abbracciare sistemi di gestione e di amministrazione tipici del

sistema for profit e delle aziende pubbliche.

Nonostante questa tendenza A.I.D.O. si mostra orientata a

mantenersi consapevole del suo impegno sociale e della sua

mission rivolta alla collettività.

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CONCLUSIONI

Il no profit risulta sempre più il settore economico che, affiancando

l’Amministrazione pubblica con un ruolo di sostegno nelle sue

attività, abbina la nozione d’azienda al soddisfacimento di un

bisogno sociale.

In una tale ottica si è dimostrato in questa Tesi come proprio per

riuscire a garantire il soddisfacimento di un bisogno sociale anche

quella che può essere considerata un’azienda non orientata al lucro

debba indirizzare la propria gestione verso un’amministrazione

tipica del for profit ma non più distintiva esclusivamente di

quest’ultimo.

Raggiunte certe dimensioni, come il caso in esame, è inevitabile

che per continuare a mantenere l’impegno sociale preso nei

confronti della collettività l’Ente debba adottare sistemi di

rendicontazione e di gestione orientati alla trasparenza,

all’efficienza e all’efficacia dei risultati passando per il rispetto di

un’amministrazione razionale e della coltivazione delle risorse

interne in particolare quelle umane, asset imprescindibile per il no

profit.

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Bibliogafia:

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sociale nell’ambito del no profit. ODCEC Ivrea – Pinerolo –

Torino.

- Bilancio Sociale A.I.D.O. Onlus anno 2013 realizzato dal gruppo di

lavoro composto da Navarra A,, Passarelli V., Pientrangeli N. e

Pientrangeli E. come supplemento al n.2/2014 dell’anno XVII del

giornale trimestrale “L’Arcobaleno” – Via Cola di Rienzo, 243 –

Roma.

- Bonancina, R. (2012). Generare valore. La gratuità come motore

dell’economia. Asmepa Edizioni, Bentivoglio (To) .

- Borzaga, C. e Fazzi, L. (2000). Azione volontaria e processi di

trasformazione del settore no profit. Franco Angeli S.r.l., Milano.

- Borzaga, C. e Fazzi, L. (2008). Governo e organizzazione per

l’impresa sociale. Carocci Editore, Roma.

- Corte costituzionale, sentenza n. 75 del 17 febbraio 1992.

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- Documento interno associativo A.I.D.O. “Commissione per la

riorganizzazione associativa” - Via Cola di Rienzo, 243 – Roma.

- Fazzi, L. (2007). Governance per le imprese sociali e il no profit.

Carocci Editore, Roma.

- Lazzarini, G. (2003). Universi solidali, il terzo settore tra gratuità e

organizzazione efficiente. EGEA Editore, Torino.

- Puddu, L. (Professore) (2014). Appunti di Ragioneria Pubblica

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- Puddu, L. (Professore) (2012). Ragioneria Pubblica: il sistema

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Sitografia:

- ISTAT, 9° Censimento dell’Industria e dei servizi e Censimento

delle istituzioni non profit. Primi risultati.

http://censimentoindustriaeservizi.istat.it/istatcens/wp-

content/uploads/2013/07/Fascicolo_CIS_PrimiRisultati_completo.p

df

- http://www.diocesi.torino.it/diocesitorino/allegati/46246/Luigi%20

Puddu%20%20Dono%20Fraternita%20e%20societa.pdf

- http://www.ciessevi.org/sites/default/files/pubblicazioni/collane/for

mazione/costituire_associazione_2009/5CostituireUnAssociazione.

pdf

- www.aido.it

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Ringraziamenti

Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella

redazione di questa Tesi e nel mio percorso di studi con

suggerimenti ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine.

Ringrazio innanzitutto il Prof. Luigi Puddu per avermi seguito

durante la redazione della Tesi.

Ringrazio mio Padre e mia Madre per avermi supportato

costantemente in ogni scelta, mia Sorella Sonia per avermi

sempre seguito e aiutato con razionali consigli, mia Nonna

Piera, punto fisso di riferimento, per avermi seguito passo a

passo durante tutta la mia formazione con ascolto e dedizione,

mio cognato Vito e Luisa.

Ringrazio l’A.I.D.O. Onlus a partire dal Consiglio Direttivo di

Canelli con il quale ormai da dieci anni collaboro, il Consiglio

Regionale del Piemonte, la Commissione Nazionale per la

riorganizzazione associativa e il Presidente Nazionale Dr.

Vincenzo Passarelli insieme allo staff dei collaboratori della

sede centrale che mi hanno fornito con grande disponibilità

tutte le informazioni di cui necessitavo.

Ringrazio Elena e Nicola perché sono stati i migliori compagni

di viaggio durante questi studi.

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Ringrazio il Dott. Rocco De Lorenzo e la Signora Anna per

avermi dato l’opportunità di avvicinarmi al mondo del lavoro

mentre completavo i miei studi insegnandomi a lavorare in un

ambiente d’amicizia e familiarità.

E ancora tutti i miei colleghi universitari che ho incontrato in

questi anni: Valeria, Federica, Selene, Adele, Peter e Luca.

Infine i miei amici più stretti con i quali ho condiviso alcuni dei

momenti più belli.