UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “SAPIENZA”

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “SAPIENZA” Facoltà di Psicologia 2 Formazione, Comunicazione e Innovazione nei contesti sociali e organizzativi Tesi di Laurea Employer Branding Process: il caso Ferrero Vanessa Candido Relatore: Correlatore: Prof Gabriele Lizzani Prof. Stefano Livi Anno Accademico 2007- 2008

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “SAPIENZA”

Facoltà di Psicologia 2 Formazione, Comunicazione e Innovazione nei contesti sociali e

organizzativi

Tesi di Laurea

Employer Branding Process: il caso Ferrero

Vanessa Candido

Relatore: Correlatore: Prof Gabriele Lizzani Prof. Stefano Livi

Anno Accademico 2007- 2008

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INDICE

PREFAZIONE 4 INTRODUZIONE 6 PARTE PRIMA CAPITOLO 1 L’EMPLOYER BRANDING: COME TRASMETTERE LA CULTURA ORGANIZZATIVA CON UN APPROCCIO MARKETING 1.1 Premessa 10

1.2 Dal Marketing esterno al Marketing interno: verso l’employer branding 10 1.2.1 Il modello di Jennifer Aaker: dal Product brand

all’Employer brand 16 1.3 Employer branding? Cultura organizzativa 20 1.3.1 Il paradigma della persona a tutto tondo e l’employer branding 21 1.3.2 Conoscere la cultura organizzativa attraverso la voce dei dipendenti 26 CAPITOLO 2 UN MODELLO: L’EMPLOYER BRANDING PROCESS 2.1 Premessa 29 2.2 Gli obiettivi dell’Employer Branding Process: Attraction e Retention 31 2.3 Definizione del target 36 2.3.1 Talenti 37 2.4 Analisi dei competitors e dell’attuale posizionamento 39 2.5 Costruzione dell’employer brand 44 2.5.1 Un modello innovativo: la co - costruzione del messaggio 45 2.5.2 Cenni di marketing esperienziale 50

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2.6 Comunicazione dell’employer brand 52 2.7 Valutazione del processo 55 PARTE SECONDA CAPITOLO 4 IL CASO FERRERO 4.1 Premessa 58 4.2 Ferrero: un’azienda di famiglia 58 4.3 Le survey employer 2006- 2007: la necessità dell’ employer branding 61 4.4 Definizione del target 61 4.5 Il processo di co-costruzione in azione: il coinvolgimento

attivo del target 62 4.6 MBA “Escp- Eap”: analisi dei competitors e

dell’attuale posizionamento 64 4.7 Università Sapienza: costruzione dell’ employer brand 71 4.7.1 Studenti a lavoro: come esplorare Ferrero 72 4.7.2 Studenti e dipendenti: quale immagine employer per Ferrero? 76 4.7.3 Le idee diventano strumenti: Ferrero employer image 82 4.8 Il futuro dell’EB in Ferrero: il coinvolgimento dei talenti 96 CONCLUSIONI 100 BIBLIOGRAFIA 104

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PREFAZIONE L’idea di lanciare un progetto di Employer Branding in Ferrero è nata con il mio arrivo ad ottobre 2006 alla guida della HR della Ferrero S.p.A.. Dopo 17 anni di carriera internazionale in diverse aziende del Gruppo Ferrero, iniziavo una importante e sfidante responsabilità, conscio delle complessità ma dall’altra convinto di avere delle grandi risorse a disposizione data l’importanza delle dimensioni aziendali, dei brand e della leadership di mercato nel settore dolciario. Quale sorpresa fu quella di apprendere che la Ferrero in Italia avesse difficoltà a reperire talenti. Una contraddizione in termini che mi spinse a riflettere superando la tesi sino a quel momento individuata dell’Azienda rinomata con processo di selezione di bassa qualità. Le classifiche più qualificate indicavano chiaramente che i talenti non erano attirati dalla Ferrero. Arrivando da fuori, per me fu più facile intuire che ci fosse un nesso. Insomma cominciai a pensare che la scelta strategica di comunicare solo il prodotto e mai l’Azienda, fosse stata certamente una delle chiavi di successo commerciale di Ferrero ma che purtroppo avesse originato una criticità, che nell’era della rivoluzione della comunicazione stesse determinando una controindicazione nell’immagine percepita dai giovani e in particolare dalla realtà del target dei talenti. Nella primavera 2007, uno studio da me commissionato e realizzato dalla ESCP-EAP confermò l’impressione, regalandoci anche le chiavi di lettura. Con quelle convinsi il Comitato di Direzione, lo slogan tanto pesante quanto provocatorio dell’incontro decisivo citava il talento che mangiava Rocher ma che, per lavorare, cercava un’altra Azienda. Intanto cominciai a frequentare qualche incontro centrato sul tema dell’employer branding. E’ lì nacque l’incontro con Gabriele Lizzani. A quel tempo lo ritenni una casualità fortunata. In realtà quando parli di questo tema non puoi che incontrare Lizzani, che oltre ad essere docente dell’unica cattedra incentrata su questo tema, ha fatto della materia l’oggetto di esperienze con Aziende a livello nazionale di assoluta qualità maturando una professionalità tanto unica quanto antesignana. Ecco da qui è nata una collaborazione fruttuosa che mi ha permesso di realizzare in Ferrero un’esperienza straordinaria che ha convinto superando gli iniziali scetticismi interni, tutta la Ferrero italiana, ottenendo lo sponsor anche dei vertici della capogruppo, la Ferrero International. Il lavoro di realizzazione è stato lungo e appassionante. Lungo perché durato un anno e appassionante perché originale sia nei contenuti che nelle modalità. Soprattutto la modalità ha rappresentato per me un fattore di grande emozione. Si è trattato infatti di costruire l’esperienza con il target di riferimento, insomma insieme ai giovani, nell’Università e con le Università. Un’idea innovante e geniale al tempo stesso, frutto dei tempi che cambiano. I giovani della Sapienza sono entrati in Azienda e ci hanno “messo la tenda”. Hanno lavorato insieme alle nostre risorse favorendo uno scambio arricchente per entrambi. E hanno reintepretato Ferrero con acume e effervescenza dando forma ad una comunicazione

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brillante, concreta e adattata a comunicare l’Azienda al target dei talenti. Vanessa è una di loro. E’ rimasta per collaborare con me al compimento del progetto e ha fatto un’esperienza rilevante nel mondo del recruitement e della comunicazione interna. E’ stata fondamentale per il successo del progetto e per la sua implementazione che è in corso. Da settembre 2008, infatti, è iniziato il nostro lavoro, ovvero l’attuazione dei contenuti del piano di Employer Branding che sono esposti nella tesi di Vanessa. L’obiettivo è di dotare l’Azienda delle armi per affrontare la Guerra dei Talenti con la forza che un’azienda leader e positiva come Ferrero merita. Ai lettori della presente tesi invito a seguire l’andamento di Ferrero nelle classifiche citate nella tesi e dal quale mi aspetto a partire da fine 2009 un forte miglioramento della posizione di Ferrero. Non vi nascondo che l’ambizione sia quella di ottenere una posizione nelle prime 10 aziende più attrattive e che quel raggiungimento sarà per me l’indice del successo di tutto questo lavoro.

Fabio Dioguardi

Direttore Risorse Umane e Organizzazione Ferrero Italia

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Introduzione

Lo scenario economico che si presenta agli occhi del mondo oggi, è particolarmente delicato. La flessione nei consumi, la disoccupazione, l’aumento del costo della vita e la diminuzione delle attività industriali, sono solo alcune delle ricadute più immediate della recente crisi finanziaria. La recessione partita dalla crisi dei mutui e dal conseguente crollo dei colossi bancari negli Stati Uniti, si è allargata a macchia d’olio in tutto il mondo, portando seri problemi all’economia reale. E’ i1 05/11/2008, quando Confindustria sottolinea come questa sia «la recessione più lunga dal dopoguerra… più grave perché comune a tutte le maggiori economie industriali dentro e fuori dall'Unione Europea…con segni preoccupanti di rallentamento dai Paesi emergenti»1. La globalizzazione non rende immune dalla crisi nessun Paese e come sottolinea il neo Premio Nobel per l’Economia P. Krugman: «La fase più acuta si andrà sgonfiando nel corso dei prossimi due mesi, sempre che non accada nulla di nuovo…ma le ricadute sull’economia reale dureranno a lungo». 2 In Italia la situazione se da una parte potrebbe apparire meno problematica per la natura locale delle banche, è resa comunque aspra a causa di due fattori: da una parte le piccole e medie imprese, pilastro dell’economia italiana, non sanno fronteggiare la competitività globale e, dall’altra, il sistema d’istruzione italiano è inadeguato rispetto a quello degli altri Paesi europei (come emerge dalla fotografia dei dati OCSE),3 il ché rende tra l’altro poco competitivi i neolaureati italiani e la qualità delle loro prestazioni lavorative. Accanto a questo, il crollo demografico che si registra in Italia a partire dagli anni’70 ha portato al fenomeno del workforce shortage (Amendola, 2008) cioè alla difficoltà di trovare persone qualificate appartenenti alla generazione dei nati tra il 1966 ed il 1977. Se a partire dagli anni ‘90 il tasso di immatricolazione nelle Università tendeva ad aumentare, infatti, nello stesso tempo il numero complessivo degli iscritti all’Università non cresceva proprio a causa del calo demografico, il ché equivale a dire che in Italia il problema della carenza dei neolaureati di talento è più elevato che altrove. È in questo panorama, all’interno del quale negli ultimi dieci anni gli elementi distintivi delle organizzazioni sono stati l’evoluzione informatica e la necessità di differenziarsi in un mercato ormai saturo, che i protagonisti sono più che mai le persone in grado di generare processi innovativi, i così detti talenti (Parvis, 2002). Ed è in questo scenario che le aziende si fronteggiano in quella che gli uomini di McKinsey nel 1996 definirono come “the war of talent” (Michael, Hadfield- Jones & Axelrod, 2002). Per far fronte a tutto ciò, l’atteggiamento delle aziende nei confronti del recruiting, è cambiato notevolmente, con l’ appropriazione di nuove metodologie di attraction e retention dei talenti, attraverso il processo di Employer Branding (EB). Esso può essere

1 www.ilsole240re.it 2 Semprini F. (2008, November, 15). I leader ostaggi degli interessi nazionali. La Stampa, p. 3. 3 www.oecd.org

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definito come una filosofia aziendale, un approccio, che si concretizza nell’insieme dei modi con cui l’azienda cerca di attrarre, fidelizzare e trattenere i dipendenti qualificati (talenti interni), motivandoli e rendendoli orgogliosi di far parte di quella determinata azienda e non di un’altra (Amendola, 2008). Altresì, l’employer branding guarda all’esterno, per cercare di attrarre e fidelizzare i potenziali dipendenti, ossia il target di candidati particolarmente brillanti (talenti esterni), che l’azienda vorrebbe come propri dipendenti (Lizzani, Mussino, Bonaiuto, 2008). Il modello qui proposto per l’employer branding è quello dell’Employer Branding Process (EBP). Esso si caratterizza per essere molto simile ad un qualsiasi processo di marketing, pur differenziandosi da esso in alcuni elementi chiave. In primis la funzione aziendale a cui spetta sviluppare il processo EB è quella delle Risorse Umane e non quella del Marketing, posto che tra le due deve esserci sinergia. Il marketing ha come target il cliente, consumatore di prodotti e servizi, mentre l’employer branding ha come target i potenziali candidati da una parte e i dipendenti dall’altra (quindi un target esterno e uno interno) che costituiscono i clienti, acquirenti del prodotto/ lavoro che è l’azienda. L’EBP prevede cinque fasi: definizione del target, analisi del posizionamento aziendale proprio e dei competitors, costruzione del messaggio, comunicazione e valutazione della campagna. Così come il marketing comunica il prodotto, anche l’employer branding lo fa, trasmettendo il proprio messaggio sul prodotto/ lavoro, con gli stessi strumenti del marketing e mirando a creare un brand employer, vicino al Corporate Brand e al Product Brand. Il messaggio da comunicare si costruisce a partire dalla cultura organizzativa, che è l’insieme degli assunti di base che i membri di un’organizzazione hanno scoperto, sviluppato, inventato come metodo ritenuto valido per adattarsi alle situazioni organizzative (Schein, 1985). I dipendenti saranno i portavoce dei reali asset dell’azienda, di natura tangibile e intangibile, cioè l’insieme degli strumenti hard (come il capitale, la struttura fisica etc.) e soft, quali il know how tecnico e tecnologico, la visibilità e l’immagine del brand e appunto la Corporate Identity (Itami, 1987). Se la comunicazione non rispecchia la reale cultura organizzativa il target esterno e interno, non tarderà ad avvedersene ed essa non diventerà che un boomerang. Infatti, secondo Amendola (2008), a differenza del marketing, l’employer branding non può non essere veritiero, non può contrabbandare un ambiente di lavoro come ottimo se non è così, perché il suo obiettivo non è solo attrarre i candidati più promettenti, ma far sì che rimangano nell’azienda (Amendola E., 2008). È in questa cornice che si inserisce il Modello ASA (Schneider, 1987) che spiega come aziende e candidati con gli stessi principi tendono a scegliersi a vicenda. Per avere successo come employer, le aziende stanno, dunque, passando da un approccio classico e “accademico” ad un approccio che le avvicina al target in maniera differente rispetto al passato, utilizzando gli strumenti efficaci per stabilire contatti duraturi con le università e i “luoghi” reali e virtuali che il target frequenta, con occhio puntato a tutto ciò che offre il web 2.0 (Lizzani et al., 2008). Nuovo approccio che è ben supportato da una nuova metodologia nella costruzione dell’EBP, quella della co-costruzione. Essa è stata proposta da Lizzani et al. (2008) e utilizzata con

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successo da alcune aziende multinazionali, tra cui quella di cui si parlerà nella seconda parte del testo, Ferrero. Il metodo di Lizzani et al. (2008) prevede il coinvolgimento attivo del target nell’EBP, i talenti interni ed esterni all’azienda, partendo dall’idea che nessuno meglio di un talento può costruire una campagna di comunicazione rivolta al target di cui lui stesso fa parte. Vengono richiamati, dunque, la teoria dell’Identità Sociale (Tajfel, 1981), l’importanza nello sviluppo dei social media (Castells, 2001) , nonché i recentissimi sviluppi nel campo del marketing non convenzionale (Cova, Giordano, Palleri, 2007). I tre attori protagonisti del processo di co-costruzione sono: azienda committente, studenti (target dei talenti) e la società di Consulenza HR, con l’obiettivo di costruire l’immagine dell’azienda committente come best employer. Il concetto, in realtà, non è nuovo ma già sperimentato nelle ricerche di mercato, dove le aziende si fanno “suggerire” dal target la soluzione migliore per prodotti e servizi proposti. Nel 2008 Ferrero ha scelto di affidare la costruzione del proprio messaggio employer branding agli studenti della Facoltà di Psicologia 2 dell’Università Sapienza di Roma, con la mediazione della società Contatto Lavoro. La seconda parte del seguente lavoro, si concentra dunque, sulla costruzione del messaggio che Ferrero, gli studenti e ContattoLavoro hanno implementato.

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PARTE PRIMA

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CAPITOLO 1

L’EMPLOYER BRANDING PROCESS: TRAMETTERE LA CULTURA ORGANIZZATIVA CON L’APPROCCIO MARKETING

1.1 Premessa I livelli concorrenziali raggiunti dal mercato, la lenta crescita demografica registrata nei Paesi economicamente sviluppati negli ultimi decenni, il sistema scolastico e universitario che in Italia è meno competitivo di quello europeo, e oggi la crisi economica dell’ottobre 2008 che è stata giudicata dagli esperti di Confindustria ancora più grave di quella che colpì il mondo nel 1929, hanno reso consapevoli le aziende del fatto che l’unica differenza per creare e mantenere il successo sul mercato, può essere fatta esclusivamente dal Capitale Umano.4 Auteri (1987) affermava circa vent’anni fa che i cambiamenti che si verificano nella realtà del lavoro richiedono una modifica nella strategia di attenzione verso le risorse umane. Esse non rappresentano più un lavoratore/ dipendente ma un lavoratore/ cliente, di cui- ribadisce Auteri- “è fondamentale avere costantemente l’approvazione e l’appoggio” (Auteri, 1987, p.5). È qui che il concetto “Guerra dei talenti”, coniato da McKinsey nel 1997 (Michael et al., 2002) trova un terreno solido su cui poggiare il processo di employer branding. Il punto di partenza in questo capitolo, è una breve introduzione al legame tra marketing interno ed esterno, con particolare attenzione al Modello di Aaker (1997), utile nel passaggio dal marketing all’employer branding. A questo seguirà una panoramica sulla cultura organizzativa e il Modello di Covey (2007), che fornisce una descrizione della cultura “ideale” per lo sviluppo di un ambiente best employer e i metodi utili all’employer branding per conoscere gli elementi da trasmettere al target.

4 Il termine Capitale Umano indica l'insieme delle facoltà e delle risorse umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di creazione. Il Capitale Umano nel mondo del lavoro può essere descritto come la combinazione dei seguenti fattori: le caratteristiche individuali apportate dalla persona nel proprio lavoro; la propria capacità di imparare; la propria motivazione nel condividere le informazioni e le cognizioni. (Becker, 1993)

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1.2 Dal marketing esterno al Marketing interno: verso l’employer branding Il Marketing Interno è il complesso di attività che vede l’azienda comunicare con i propri dipendenti, formandoli e motivandoli affinché offrano al cliente esterno un servizio di qualità capace di distinguerla dai concorrenti. Per dirla con le parole di Kotler (1994), il Marketing Interno consiste nell’ “assumere, formare e motivare con successo i dipendenti a servire bene i consumatori” (Kotler, 1994, in Padula, 2007, p.5). Secondo Berthon P. Ewing M., Hah L.(2003) esso è definito da quattro elementi:

• Internal advertising È l’elemento che spiega il ruolo giocato dall’advertising aziendale sui potenziali dipendenti. • Internal branding Prima di pensare alla vendita del brand al consumatore, l’azienda deve riuscire a venderlo ai propri dipendenti (Zyman, 2002). • Employer branding Attrarre, trattenere, fidelizzare i potenziali e gli attuali dipendenti dell’azienda (Amendola, 2008). • Employer attractiveness L’attrazione dei talenti trova il suo “hot topic” nelle classifiche stilate annualmente circa le Best Employer Company.

È possibile traslare la definizione che dà Kotler (1994) del mercato,5 definendo il mercato interno come l’insieme dei lavoratori di un’azienda che erogano la propria prestazione lavorativa, in cambio di una ricompensa che, sarebbe un errore pensare, sia solo di carattere economico. Essa deve, infatti, mirare a soddisfare tutti i bisogni del lavoratore che, per dirla in chiave maslowiana (Maslow,1964), partono dalla remunerazione fino ad arrivare all’autorealizzazione. Il marketing interno, dunque, crea una dimensione di mercato parallela a quella del marketing esterno e di pari importanza, portando ad una collaborazione attiva e continua tra due aree aziendali che spesso non viaggiano insieme: Marketing e Risorse Umane. Le leve aziendali del marketing esterno sono le stesse di quelle del Marketing Interno, riguardino esse ruoli hard (Finanza) o soft (Cliente, Personale) (Padula, 2007). Ciò che cambia è la disposizione acquisita da queste leve nei diversi ambienti in cui i due versanti del marketing si collocano (Mercato e Azienda). Se, infatti, nel marketing esterno il Personale e la Finanza fanno in modo che tutto ruoti intorno al Cliente, nel Marketing Interno sono il Cliente e la Finanza che diventano esterni rispetto al Personale, che assumerà un ruolo centrale (Fig. 1- Ruolo del Marketing esterno e interno dell’impresa).

5 L’insieme degli acquirenti attuali e potenziali di un determinato prodotto o servizio (Kotler, 1994, in Padula, 2007, p.5)

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Fig. 1- Ruolo del Marketing esterno e interno dell’impresa

Fonte: Adattata da : Padula A. (2007), Marketing Interno, Prospettive e Applicazioni innovative. L’approccio nei confronti del Marketing Interno dagli anni ’50 a oggi, è molto maturato e rispecchia in parte il modo di trattare il dipendente: da una concezione amministrativo- disciplinare, oggi si è passati a una concezione olistica, dove il Marketing Interno diviene una leva fondamentale in termini di strategia. Il cambiamento è dovuto certamente, oltre che ai mutamenti degli scenari lavorativi, ai cambiamenti di paradigma nelle scienze sociali basti pensare (a mero titolo di esempio) agli studi sull’importanza delle competenze emotive in azienda di McClelland (1973) e di Goleman (1999). Si è sviluppata sempre di più la consapevolezza che un buon capo non è solo colui che sa gestire numeri e persone, ma anche colui che possiede un’intelligenza emotiva tale da supportare i dipendenti nei momenti di crescita professionale. L’attenzione e la gestione delle proprie persone, da strumento utilizzato dalla funzione del personale come gestione e controllo, diviene strategia in azienda, costituendo un punto di forza (o di debolezza, se gestita male) nella knowledge economy (Costa, 1992; Paneforte,1999 & Covey 2007). Le fasi peculiari che l’ azienda segue all’esterno, per vendere il prodotto, corrispondono ai criteri, agli strumenti e alle azioni che utilizza la stessa azienda all’interno, nei confronti dei propri dipendenti. Ecco le tre fasi fondamentali del marketing management:

• Marketing Analitico, ossia l’insieme delle attività per decidere quali debbano essere le scelte aziendali riguardanti il mercato.

• Marketing Strategico, ossia l’insieme delle attività per decidere le linee di sviluppo al fine di conseguire gli obiettivi di mercato.

Produzione Produzione

FinanzaCliente Finanza

Marketing

esterno

Cliente Personale

interno

Marketing

Personale

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• Marketing operativo, ossia l’insieme delle attività per realizzare a breve termine le strategie formulate.

Nel marketing esterno, la fase analitica corrisponde all’analisi del mercato esterno (Ambiente Mercato) ossia della Domanda, e all’analisi dei risultati conseguiti a livello di immagine, profitto, soddisfazione della clientela. Nel marketing interno questa fase corrisponde all’analisi dell’Ambiente Mercato e dei risultati conseguiti, ma in termini di Domanda di Lavoro è l’analisi di ciò che ha permesso di raggiungere tali risultati. E’ fondamentale, in questo frangente, servirsi delle analisi condotte sul clima aziendale, che sono in grado di mostrare l’employee satisfaction raggiunta in azienda. Sempre nel marketing esterno, la fase strategica corrisponde alle decisioni inerenti la strategia generale da perseguire, da cui deriverà la specifica strategia di marketing; in parallelo, nel marketing interno, si parlerà di implementazione della People Strategy che anche qui porta ad una più specifica strategia di marketing. La People Strategy, è una componente della Business Strategy, un mix integrato di politiche, progetti e prassi quotidiane volte al cambiamento dei comportamenti organizzativi. In sostanza, gli elementi di marketing interno, vengono integrati con gli elementi di strategia dell’organizzazione per raggiungere il successo dell’impresa. Questa fase è probabilmente la più importante perché fornisce le linee guida per l’azione: a seconda del Contesto di specificità6 dell’azienda e delle sue esigenze, essa dovrà scegliere la People Strategy opportuna, finalizzandola al cambiamento dei comportamenti e all’accrescimento del Business, in termini di Capitale Umano. Infine, nella fase operativa, il marketing esterno realizza le attività del marketing mix che diventano, nel marketing interno, le quattro declinazioni sul Prodotto /lavoro. La Tab. 1- Le quattro P: dal Marketing esterno al marketing interno- spiega il passaggio dagli elementi di marketing esterno a quelli di marketing interno. Tab. 1- Le quattro P: dal Marketing esterno al marketing interno

MARKETING ESTERNO MARKETING INTERNO Prodotto Lavoro Prezzo Rewarding Comunicazione Comunicazione interna Distribuzione Luogo di lavoro Se nel momento analitico diventano chiari gli aspetti su cui intervenire, la percezione del proprio target e le modalità di intervento, nel momento strategico l’azienda ha modo di

6 È l’oggetto su cui si basa la People Strategy. Si può sintetizzare come il “Capitale umano dell’impresa”, ossia l’insieme delle caratteristiche demografiche, degli atteggiamenti, delle potenzialità, dei valori , delle competenze, della soddisfazione e propensione al cambiamento di ogni dipendente dell’impresa. (Padula, 2007, p.30)

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delineare gli obiettivi di lungo termine allocando le risorse necessarie per costruire i vantaggi rispetto ai competitors. Infine, nella fase operativa, l’azienda avrà modo di mettere in pratica quanto finora rimaneva strategia, ossia di utilizzare al meglio l’insieme degli strumenti tangibili e intangibili per la soddisfazione del cliente. La Tab. 2- Marketing Esterno e Marketing Interno: peculiarità a confronto- è una sintesi di quanto espresso finora. Tab. 2- Marketing Esterno e Marketing Interno: peculiarità a confronto

MARKETING ESTERNO MARKETING INTERNO

FASE ANALITICA

Analisi della Domanda di Mercato: immagine, profitto, soddisfazione della clientela etc.

Analisi della Domanda di Lavoro: employee satisfaction

FASE STRATEGICA

Strategia generale per la Marketing Strategy

Attuazione della People Strategy a seconda del Contesto di specificità

FASE OPERATIVA

Marketing Mix

• Prodotto • Prezzo • Pubblicità • Distribuzione

Marketing mix

• Lavoro • Rewarding • Comunicazione interna • Luogo di lavoro

Marketing Interno e Marketing Esterno giocano un ruolo fondamentale nella definizione della Brand Equity, che rappresenta il valore economico finanziario addizionale della marca rispetto al valore tecnico funzionale del prodotto (Aaker, 1991). Essa riflette l’idea, i sentimenti, il rispetto che i consumatori hanno nei confronti del brand così come il prezzo, lo share di mercato e la profitability del brand. Insomma, è un vero asset intangibile dell’impresa. (Kotler & Keller, 2006). Essa ha tra i suoi effetti, quello di influenzare Brand Loyalty e Customer Retention e si realizza attraverso i seguenti fattori relativi al brand:

• conoscenza • atteggiamento da parte del consumatore • associazioni mentali

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• soddisfazioni suscitate • fedeltà al brand • attività relative

Che la Brand Equity costituisca la piattaforma su cui costruire dei vantaggi competitivi, è ormai assodato in letteratura (Zara, 1997), per cui essa diventa oggetto di attenzione costante da parte dell’azienda, che la costruisce e la valuta sia in termini di clienti esterni che in termini di clienti interni. Questo perché sulla Brand Equity incidono fattori di marketing e fattori di impresa che è necessario monitorare per fornire una visione unica e coerente a tutti coloro che vivono il brand. La presentazione che l’azienda fa di sé stessa all’interno e all’esterno attraverso tutti i suoi strumenti è la Corporate Identity e si basa sulla filosofia aziendale e sugli obiettivi a lungo termine dell’impresa. Essa è l’insieme dei modi che l’impresa utilizza per identificare sé stessa nei confronti di tutti i pubblici (Margulies, 1977), presentandosi attraverso comportamenti, comunicazione e “simboli” (Fombrun & van Riel, 1977). Diversamente dalla marca di prodotto, la marca corporate è definita oltre che dall’azienda, dagli stakeholder7. Così come si sono definiti i fattori costituenti la Brand Equity, si possono evidenziare i fattori che definiscono la Corporate Identity:

• Cultura organizzativa • Comportamenti organizzativi • Condizioni di mercato e strategie • Prodotti e Servizi • Comunicazione e design

La Corporate Image a sua volta, può essere definita come l’insieme delle percezioni che il pubblico ha dell’impresa e si articola su: Corporate Identity; Immagine riflessa (come l’azienda vorrebbe essere percepita) e Immagine reale (come l’azienda è percepita dal suo pubblico) (Morelli, 2003). Si può dire che il marketing interno ha tra i suoi scopi quello di valorizzare le risorse in azienda, attirando i migliori talenti e trattenendo il Capitale Umano più importante, per raggiungere il successo dell’azienda. Questo sarà possibile se l’azienda riuscirà a stabilire e mantenere con il dipendente il contratto psicologico (Padula, 2007) stipulato tra le parti, il quale assicura un perfetto grado di concordanza tra ciò che l’azienda ritiene di dover dare e ricevere dal dipendente e ciò che il dipendente si aspetta di dare e ricevere da essa. Se c’è sinergia, allora l’azienda raggiungerà sicuramente i suoi obiettivi e li manterrà nel tempo grazie alle sue Risorse Umane. Un nuovo ruolo alle Risorse Umane, verrà appunto dato dal 7 Letteralmente “portatori di interesse”, gli stakeholder dell’impresa sono le persone e i gruppi che hanno interessi legittimi negli aspetti procedurali o sostanziali dell’attività di impresa, vitali alla sopravvivenza e al successo della stessa o i cui interessi sono legati strettamente a essa. Possono essere definiti come “proprietari assenti” senza i quali l’impresa cesserebbe di esistere (Morelli, 2003).

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nuovo modo con cui questa funzione strutturerà i processi di business e performance (Martin, Beaumont, Doig & Pate, 2005) attraverso una strategia di employer branding. Un esempio concreto della riuscita del processo employer branding per tali scopi è dato dal progetto di Elica (Lizzani et al., 2008), azienda leader mondiale nella produzione di cappe da cucina, che ha incorporato nella Direzione HR la funzione Employer Branding. Il concetto da cui l’azienda è partita è il valore fondamentale attribuito ai dipendenti in quanto risorse/persone e non soltanto lavoratori/ dipendenti. La politica adottata dal top management ha portato Elica al’interno delle Università, a testimoniare e costruire il processo di attraction per i giovani talenti “Fatti un giro*”. Esso rappresenta non (o meglio non solo) uno strumento di recruiting, ma un nuovo approccio nella definizione dell’azienda in quanto employer, che offre occasione di collaborazione e confronto tra studenti/talenti e dipendenti e HR. Inoltre Elica nel 2008 è stata premiata da Great Place to Work come la prima azienda in Italia nella classifica del miglior posto di lavoro. Gli elementi in comune tra marketing interno ed esterno, come si è visto, sono molteplici e si può senza temere, procedere con il parallelismo anche per quanto riguarda la vera e propria proposta employer branding, esaminando il Modello di Aaker(1997). 1.2.1 Il modello di Aaker: dal Product brand all’Employer Brand Come asserisce Aaker (1997) quando è difficile differenziare prodotti e servizi, il valore della marca può poggiare sul simbolo, che diviene la vera, primaria, caratteristica differenziale. Lo stesso si può dire, parlando di employer branding, della differenziazione che le persone di talento possono fare in azienda. Quindi si può dire che il valore dell’azienda quando è difficile differenziasi dai competitors in termini di prodotto o servizi, può poggiare sul simbolo, che diviene la prima caratteristica essenziale di riferimento. In altre parole, il talento che si appresta a “scegliere” l’azienda del cuore, guarda al simbolo che essa evoca. È giunto sicuramente il momento di definire che cosa sia un brand. Si riporta la prima definizione di marca da parte dell’ American Marketing Association (1960) che la definisce come: “Nome, parola, segno, simbolo o logo o una loro combinazione che mira ad identificare beni o servizi di un venditore o di gruppi di venditori e a differenziarli dai concorrenti”. Tuttavia, oggi, si sa che la marca è molto di più, per cui vale la pena riportare il pensiero di Gregory & McNaugthon (2004) che riferiscono come la marca non sia banalmente una cosa, o una rappresentazione dell’azienda. La marca è un costrutto puramente mentale, l’insieme delle esperienze, delle percezioni e delle sensazioni che l’individuo prova per tutto ciò che è commercializzato con il nome di quella marca, che esiste dunque nella coscienza del suo pubblico. Insomma, una marca è più della pubblicità e del marketing, essa è ciò che ogni persona può pensare quando ne vede il logo o ne sente il nome. Alla marca viene attribuita una personalità da parte della letteratura. Per personalità di marca si intende l’insieme delle caratteristiche relativamente stabili che

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vengono evocate dai consumatori/utenti nella relazione con la marca (Caprara & Cervone, 2003) e rappresenta un insieme di caratteristiche umane associate ad una marca (Aaker, 1997). Per l’autrice, l’universo della personalità di marca si inserisce tra i fattori che ne determinano l’Identità, la quale è l’insieme di connotazioni costruite e conservate da coloro che hanno il compito di curare la strategia di comunicazione della marca.8 L’Identità è definita da dodici variabili, collocabili in quattro macro dimensioni quali : Prodotto, Organizzazione, Persona, Simbolo (Fig. 2- Identità di marca). Fig. 2- Identità di marca

Il Modello di Identità di marca fornito dalla Aaker (1997) può essere trasposto in un’ottica employer branding dal prodotto all’azienda, passando dalla Product Brand Image all’Employer Brand Image. Secondo Lizzani (2008) 9 il Prodotto di cui si occupa l’Employer Branding è il Lavoro, inteso come Cultura Organizzativa e il consumatore/ target è il dipendente, cliente interno dell’azienda. In Aaker (1997) Prodotto, Organizzazione, Persona e Simbolo vengono considerati fattori predittivi di un ambiente di lavoro ideale. Ognuna delle quattro dimensioni cui prestano attenzione i candidati in cerca di occupazione”diventa” un’altra dimensione, legata all’Employer Branding. Vale la pena soffermarsi a spiegare tutto in maniera più approfondita. 8 Allo stesso tempo la percezione che all’esterno si ha dell’Identità di Marca è la Brand Image, definita anche dalla storia e dalla reputazione dell’azienda. 9 Intervento al Forum PA 14/05/08- Fonte: www.forumpa.it

IDENTITA’ DI MARCA

Marca come prodotto 1. Scopo del prodotto 2. Attributi del prodotto 3. Rapporto qualità/ valore4. Esperienza

d’uso 5. Utilizzatori 6. Paese

d’origine

Marca comeorganizzazione • Connotazioni istituzionali • Natura locale o globale

Marca come persona • Personalità • Relazione tra cliente e

marca

Marca come simbolo • Metafore • Eredità della marca

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• Marca come Prodotto = Offerta di Lavoro come Prodotto: se l’universo della

marca è il grado di illustrare implicitamente ciò che il prodotto offre e soprattutto rappresenta, allo stesso modo l’offerta di lavoro deve essere in grado di rappresentare non solo una job decription (ossia il lavoro in sé) ma l’intero Universo lavorativo offerto al candidato. L’accento andrà, quindi, sulla tipologia di contratto, sul profilo ricercato, nonché sulle opportunità di mobilità e carriera.

• Marca come Organizzazione = Offerta di lavoro come Organizzazione: qui il

paragone è immediato. In entrambi i casi, infatti, l’oggetto ruota intorno all’Organizzazione. Non si deve pensare che si tratti dell’Organizzazione intesa come clima organizzativo, o cultura organizzativa; si è infatti ancora nell’ambito degli aspetti tangibili; per designare il tipo di organizzazione che l’offerta lavorativa propone occorre chiedersi: si andrà a lavorare per una piccola/ media/ grande impresa? Quotata in borsa? No profit?

• Marca come Persone = Offerta di lavoro come Persone: è riferito al tipo di

ambiente relazionale offerto dall’azienda implicitamente. Ovviamente, esso non è specificato nell’Offerta di Lavoro ma lo si può percepire dal primo giorno di lavoro in azienda, o durante una visita (in veste ad esempio di consulente) e la parola Personalità descrive benissimo questo elemento aziendale.

• Marca come Simbolo = Offerta di Lavoro come Simbolo: così come la marca è

definibile un universo simbolico, in termini di offerta di lavoro, il Simbolo è riferito al significato che esiste dietro il nome dell’azienda, allo status, insomma alla sua Corporate Image. Nel definire questa dimensione, un ruolo cardine spetta agli asset intangibili dell’azienda, quali la Reputazione, la Corporate Identity, la Corporate Social Responsability.

Dunque il passaggio dal Product Brand all’Employer Brand non è solo possibile ma necessario per definire tutte le componenti dell’Employer Brand. Secondo Bursek (Corporate Leadership Council, 1999)10le componenti del Product Brand, infatti, influenzano le percezioni che il candidato ha dell’azienda come employer. Esse corrispondono in parte, alle dimensioni di cui parla Aaker (1997); la Fig. 3- Interconnessione tra il product brand e l’employer brand- illustra il legame tra immagine del prodotto ed immagine employer. 10 Fonte: www.corporateleadershipcouncil.com

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Fig. 3- Interconnessione tra il product brand e l’employer brand

Componenti Product Brand Componenti Employer Brand

Fonte: Adattata da Lizzani G, Mussino G.M., Bonaiuto M.- Employer branding tra ricerca e applicazione,

Franco Angeli, 2008, pag. 24.

Le componenti dell’employer brand sono dunque: Benefit e salario, ossia la remunerazione, lo stipendio che spettano al dipendente. Variano a seconda della funzione rivestita e da azienda ad azienda. Corrisponde in parte al “Prodotto” nel Modello di Aaker (1997). Contesto di lavoro, che corrisponde in parte alla dimensione “Persone” del Modello di Aaker (1997) per quanto riguarda la qualità di vita percepita in azienda e il Work Life Balance; alla dimensione “Prodotto” per quanto riguarda job description, possibilità di carriera e opportunità di mobilità internazionale. Work Life balance, ossia l’insieme delle azioni che l’azienda promuove al fine di creare e mantenere un buon clima organizzativo, che consenta ai dipendenti di conciliare l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Cultura aziendale, ossia la cultura organizzativa: l’insieme delle norme morali, sociali, culturali e di comportamento basate sulle convinzioni, le consuetudini e le priorità condivise dai membri.(Lizzani et al., 2008). Come si approfondirà più avanti, le dimensioni del Modello di Aaker (1997) vengono utilizzate per definire le variabili in base alle quali stilare i “Ranking della Desiderabilità” che indicano periodicamente le Best Employer Company. Esse, inoltre, insieme alle

ProdottoQualità

Performance

Immagine

PrestigioInnovazione

Design

Valori

Prezzo

Benefit

Salario

Contesto di Lavoro

ProductBrand

Cultura aziendale

Work life Balance

ProdottoQualità

Performance

Immagine

PrestigioInnovazione

Design

Valori

Prezzo

ProdottoQualità

Performance

Immagine

PrestigioInnovazione

Design

Valori

Prezzo

Benefit

Salario

Contesto di Lavoro

ProductBrand

Cultura aziendale

Work life Balance

Benefit

Salario

Contesto di Lavoro

ProductBrand

Cultura aziendale

Work life Balance

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componenti del product e dell’employer brand, rappresentano un buon momento per la selezione del target e la definizione del posizionamento nell’employer branding process. Infatti, una volta definite le componenti delle proprie dimensioni, l’azienda non fa altro che presentarsi e “farsi scegliere”da quei candidati che ritrovano in essa l’ambiente di lavoro ideale.

1.3 Employer branding? Cultura organizzativa La parola cultura trova il suo significato originario nel termine “Coltivazione”, come riportato nel Dizionario Zingarelli 2008. Se si risale al significato etimologico del termine, essa indica “Coltivazione di terreno o paese; riferito a uomo vale educazione e istruzione; riferito a popolo, vale civiltà esprimendo la cura assidua per ottenerla, pari a quella dell’agricoltore” (A. Panzini, Dizionario moderno, 1918- 3° edizione in Avallone & Farnese, 2005). Ancora oggi, il termine indica un insieme di sforzi volti a raggiungere una crescita, attraverso un processo che investe risorse fisiche e materiali: l’insieme dei soggetti e delle relazioni sociali in grado di produrre elementi culturali, ossia identità culturali, nonché un processo condiviso di costruzione e interpretazione dei simboli. In particolare, secondo la definizione di Van Maanem & Barley (1985) la cultura implica di per sé che il comportamento umano faccia riferimento ad una collettività, poiché esso è determinato in parte dalla personalità. Il concetto di cultura organizzativa è ancorato a quello di gruppo e gli approcci di studio a tal proposito fanno riferimento alle relazioni tra gruppi in ambito lavorativo; la definizione del termine da parte di Pettigrew (1979) indica nella cultura organizzativa una serie di significati accettati e condivisi pubblicamente dai membri dell’organizzazione in un dato momento storico, che aiuta tali membri a interpretare le situazioni in cui si trovano. Secondo Siehl e Martin (1984) la cultura organizzativa consiste nei valori, nelle credenze e nelle aspettative che tengono insieme l’organizzazione come una colla, costituendo una sorta di schema per la condivisione di tali elementi. Insomma, quali siano le definizioni (e se ne possono trovare migliaia) il punto in comune è che i membri della cultura organizzativa condividono una serie di significati, formando un gruppo. Sebbene il riferimento principe alla cultura nelle organizzazioni risalga a Barnard (1938) con il volume “The functions of the Executives”, il primo a utilizzarlo in ambito aziendale è Jacques nel 1951, descrivendola come un modus di pensare e interpretare gli eventi attraverso gli strumenti che si possiedono e si condividono, diverso in ogni fabbrica, stabilimento, funzione. Ma è solo nel 1983 che, finalmente, il termine acquista rilevanza scientifica nel 1985. Se ne ha la definizione classica da Schein (1985):la cultura organizzativa è l’insieme degli assunti di base che i membri di un’organizzazione hanno scoperto, sviluppato, inventato come metodo ritenuto valido per adattarsi alle situazioni organizzative. Oggi la definizione di Post et al. (2002) descrive la cultura organizzativa

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come l’ insieme degli assunti condivisi che in azienda aiutano a definire un comportamento come “normale” per i dipendenti dell’organizzazione. Il cuore della cultura organizzativa è rappresentato dagli assunti di base che danno orientamenti su come percepire, pensare, sentire e intervenire sulla realtà e affrontare le questioni inerenti la sopravvivenza delle organizzazioni. Infatti, la cultura “rappresenta la chiave unitaria di attribuzione di senso sia agli aspetti cosiddetti informali che agli aspetti cosiddetti formali dell'organizzazione reale [...] non come qualcosa che l'organizzazione ha, [...] ma come qualcosa che l'organizzazione è” (Gagliardi, 1986. Le imprese come culture. Torino: Isedi, p. 25). Gli assunti, secondo lo stesso autore derivano a loro volta dall’insieme dei successi a cui il credere in determinati valori ha portato. Sedimentandosi, essi secondo Schein (1999) danno a loro volta vita ad una serie di valori più superficiali,che definiscono un comportamento come giusto o sbagliato e sono manifesti a tutti i membri. Questi valori si esplicano attraverso gli artefatti culturali, ossi indizi espliciti per la comprensione dell’organizzazione. Assunti, valori e artefatti interagisco interconnessi da un “paradigma culturale” che rende coerente il modello della cultura nell’organizzazione (Avallone et al., 2005). Ai fini utili all’Employer Branding interessa cogliere e mantenere il grado di coerenza tra la cultura organizzativa e la comunicazione che si fa di essa, per stabilire i criteri di Attraction e Retention dei talenti. Ma come indirizzare la cultura organizzativa per attrarre i talenti? Covey (2007) fornisce una risposta che considera l’individuo e l’organizzazione nella sua totalità, a 360°, attraverso il Paradigma della Persona a tutto tondo (2007). 1.3.1 Il paradigma della persona a tutto tondo e l’employer branding Finora si è detto che l’azienda per impostare una campagna employer branding di successo deve trovare il modo di soddisfare i bisogni dei dipendenti, e cercare di comprendere quelli dei candidati. La domande da porsi, a questo punto, è come riuscire a motivare e fidelizzare il target una volta compresi i suoi bisogni. Tante persone si lamentano della propria vita e del proprio lavoro, segno che probabilmente le aziende non fanno abbastanza per intercettare e soddisfare i bisogni dei dipendenti. Spesso sottovalutano l’importanza dei dipendenti in quanto “persona”, abbracciando il paradigma sbagliato della “persona/ cosa”, anziché quello della “persona a tutto tondo” (Covey, 2007). Come sottolinea l’autore, le persone sono guidate da quattro bisogni di base: Corpo, Cuore, Mente, Spirito. I quattro bisogni chiave della vita, per ogni persona sono, dunque, la sopravvivenza (Corpo), il bisogno di amare (Cuore), il bisogno di imparare (Mente) e il voler lasciare una traccia di Sé agli altri (Spirito). Graficamente possono essere rappresentati come un cerchio al centro del quale è posto lo Spirito (Fig. 4- Il paradigma della persona a tutto tondo).

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Fig. 4 Il paradigma della persona a tutto tondo

Fonte: Adattata da S.R. Covey, L’Ottava Regola, Franco Angeli, 2007; pag. 36.

Secondo Covey (2007) ogni persona sceglie il modo con cui comportarsi in azienda sulla base di come l’azienda soddisfa ognuno dei quattro bisogni fondamentali. Ora, i due poli lungo cui un’azienda si può muovere sono il soddisfacimento completo di tutti i bisogni e il mancato soddisfacimento di tutti i bisogni. Le modalità attraverso cui l’azienda sceglie come soddisfare i diversi bisogni:

• I bisogni del Corpo, si soddisferanno attraverso l’equità retributiva • I bisogni del Cuore, si soddisferanno attraverso la promozione del rispetto • I bisogni della Mente, si soddisferanno attraverso il coinvolgimento creativo • I bisogni dello Spirito, si soddisferanno attraverso il senso attribuito al lavoro che il

dipendente svolge e la correttezza dei principi etici dell’azienda. I bisogni e i modi relativi per soddisfarli sono illustrati nella Fig. 5- I quattro bisogni chiave. Fig. 5- I quattro bisogni chiave

Fonte: Adattata da S.R. Covey, L’Ottava Regola, Franco Angeli, 2007; pag. 36.

Spirito

Mente

Cuore Corpo

(Creatività)

Mente

(Senso del Lavoro e correttezza nei principi)

Spirito(Rispetto)

Cuore (Equ

ità

retrib

utiva

)

Corpo

(Creatività)

Mente

(Senso del Lavoro e correttezza nei principi)

Spirito(Rispetto)

Cuore (Equ

ità

retrib

utiva

)

Corpo

(Creatività)

Mente

(Senso del Lavoro e correttezza nei principi)

Spirito(Rispetto)

Cuore (Equ

ità

retrib

utiva

)

Corpo

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Secondo Covey (2007) molti sono gli ambienti di lavoro che non rispettano o rispettano solo in parte questi bisogni, stimolando comportamenti ostici e poco produttivi nei confronti dell’azienda. Questi possono andare dalla reazione più grave, quale la ribellione o il licenziamento, all’obbedienza malevola fino, infine, all’accondiscendenza compiacente. Nessuno di questi tre modi di vivere il lavoro offre valore aggiunto né al dipendente né all’azienda. D’altronde anche l’azienda, può non vedere soddisfatti questi bisogni: quali possono essere in questo caso i danni concreti? Se un’azienda non soddisfa i valori del Corpo, i danni si canalizzerebbero tutti verso la mancanza di alignement: in un’organizzazione senza allineamento ogni manager usa il proprio paradigma per la selezione, la comunicazione, l’organizzazione, i rapporti con i dipendenti: la funzione HR non avrebbe da esistere. Questo si ripercuoterà sui dipendenti che non potranno vedere sfruttato tutto il loro potenziale, non si riconosceranno in una mission comune, non seguiranno la stessa strategia, per cui senza andare avanti si può intuire la gravità degli eventi. Alla fine di tutto, le persone saranno considerate una spesa anziché un investimento e trattate come tali, quindi non motivate. Per risolvere il problema, una volta resasene conto, l’azienda potrebbe pensare che tutto possa risolversi con l’aumento della gestione e del controllo. Questo però non potrà che portare al peggioramento della situazione: non motiverà i collaboratori, anzi li spingerà ad ulteriore diffidenza e a soffocare la loro spontaneità nel lavoro, il ché equivarrà al dipendente che “farà solo ciò che gli verrà detto” e questi non sono certo i presupposti per un’azienda di successo. Si immagini se un’azienda non soddisfasse i bisogni del Cuore, cioè non riuscisse a trasmettere passione e coinvolgimento emotivo ai propri dipendenti, che d’altra parte non riuscirebbe a impegnarsi con entusiasmo e sperimenterebbe una situazione di disempowerment, ossia di delegittimazione nel lavoro, lavorando sognando un altro tipo di azienda, in maniera apatica, evadendo dalla realtà e continuando a svolgere controvoglia il proprio lavoro. Ancora, un’azienda che non soddisfa i bisogni della Mente, che non supporta un obiettivo e una vision comune, senza un sistema di valori condiviso spingerebbe i dipendenti ad agire seguendo i propri secondi fini. Infine, cosa ne sarebbe di un’azienda che non soddisfa i bisogni dello Spirito? Un clima di diffidenza e mancanza di fiducia nelle organizzazioni e la letteratura porterebbe: calunnia, vittimismo, mancanza di comunicazione (Webber, 1994; Luhuman, 2002; Botteri, Duluc, 2003). Covey (2007) dimostra chiaramente come un’azienda può arrivare a perdere milioni di € in pochi anni a causa della mancanza di fiducia11. È evidente come il benessere della persona a tutto tondo si ripercuote nel medio termine sul benessere dell’azienda e come non si tratti di applicare le regole puramente per uno scopo etico, ma soprattutto per promuovere il successo dell’azienda a lungo termine. D’altronde anche Berger (1966) nel parlare delle dinamiche dei gruppi, assume che dal 11 Fonte: www.franklincovey.com

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comportamento di un individuo che non condivide i valori e non si sente appartenente al gruppo in cui è inserito, potranno derivare tre conseguenze: creazione di nuovi gruppi all’interno del macro gruppo, uscita dal gruppo e giustificazione dei comportamenti del gruppo. Per Lizzani et al. (2008), riassumendo, ecco quali sono i vantaggi per un’azienda nel rispettare i bisogni fondamentali:

• Corpo: significherà sopravvivere, essere economicamente solida e avere degli utili in crescita;

• Cuore: creare un buon clima aziendale; • Mente: strutturare obiettivi e nuove sfide, avere una mission solida e delle

competenze distintive; • Spirito: la parte centrale del “Paradigma della Persona a tutto tondo”, che porta ad

intraprendere azioni di Corporate Social Responsability.

Dunque, soltanto un collaboratore che si senta rispettato, pagato equamente, la cui creatività si senta ben accolta e che si riconosce in un lavoro basato sui principi, attuerà dei comportamenti utili a sé e all’azienda. Coopererà vivacemente, mostrerà impegno sincero ed eccitazione creativa: gli elementi della soddisfazione lavorativa coincideranno con i quattro bisogni fondamentali della persona e si avrà “La persona a tutto tondo in un lavoro a tutto tondo”- come nella Fig. 6- La persona a tutto tondo in un lavoro a tutto tondo. Il paradigma di Covey (2007) viene in aiuto di chi si occupa di employer branding, che deve porsi sostanzialmente due domande:

• Dove si pone il target esterno rispetto ai quattro bisogni? Quindi, come soddisfarli? • Dove si pone il target interno (e quindi l’azienda), rispetto a questi bisogni? Come

agire? Lizzani et al. (2008) rispondono a queste domande tracciando un parallelismo tra le componenti dell’employer branding e il Paradigma della persona a tutto tondo. Innanzitutto, cosa significa mettere in pratica il rispetto di ciascuno dei quattro bisogni nell’employer branding? Significa offrire al target le giuste gratificazioni (Corpo), un sistema di valori e relazioni (Cuore), svilupparne il potenziale (Mente) e servirne i bisogni umani, permettendo loro di lasciare un contributo (Spirito). In particolare il legame tra le componenti dell’employer branding e i quattro bisogni fondamentali, si manifesterebbe tra Corpo e Benefit/ Salario, tra Cuore e Contesto di Lavoro, tra Mente e Cultura aziendale, tra Spirito e Work Life Balance (Fig. 7- Collegamento tra le componenti dell’ employer branding e le i bisogni chiave del candidato).

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Fig. 6- La persona a tutto tondo in un lavoro a tutto tondo

Fonte: Adattata da S.R. Covey, L’Ottava Regola, Franco Angeli, 2007; pag. 38.

Fig. 7- Collegamento tra le componenti dell’ employer branding e i bisogni chiave del candidato

Fonte: Adattata da Lizzani G, Mussino G.M., Bonaiuto M.- Employer branding tra ricerca e applicazione,

Franco Angeli, 2008, pag. 26

Quindi le ricerche sul target oltre che individuare le componenti dell’employer branding, dovranno riferire quali dei quattro bisogni è particolarmente presente. Pur se a tutti bisognerà dare importanza, infatti, a seconda della propria posizione nel Ciclo di vita del

Benefit

Salario

Contesto di Lavoro

ProductBrand

Cultura aziendale

Work life Balance

Benefit

Salario

Contesto di Lavoro

ProductBrand

Cultura aziendale

Work life Balance

Benefit

Salario

Contesto di Lavoro

ProductBrand

Cultura aziendale

Work life Balance

Cuore

Sistema di vaori, quakità delle relazioni

Corpo

Avere le giuste gratificazioni

Mente

Sviluppare il potenziale umano

Spirito

Servire i bisogni umani, lasciare un

contributo

Cuore

Sistema di vaori, quakità delle relazioni

Corpo

Avere le giuste gratificazioni

Mente

Sviluppare il potenziale umano

Spirito

Servire i bisogni umani, lasciare un

contributo

Cuore

Sistema di vaori, quakità delle relazioni

Corpo

Avere le giuste gratificazioni

Mente

Sviluppare il potenziale umano

Spirito

Servire i bisogni umani, lasciare un

contributo

Usatemi creativamente

Mente

Servire i bisogni umani

SpiritoTrattatemi bene

Cuore Pagate

mi

bene Corpo

Usatemi creativamente

Mente

Servire i bisogni umani

SpiritoTrattatemi bene

Cuore Pagate

mi

bene Corpo

Usatemi creativamente

Mente

Servire i bisogni umani

SpiritoTrattatemi bene

Cuore Pagate

mi

bene Corpo

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lavoratore12 (Padula, 2007) (concetto che verrà approfondito più avanti) l’uno o l’altro bisogno sarà più intenso; l’azienda quindi, potrà impostare sulla base di ciò anche le proprie strategie di attraction e retention. 1.3.2 Conoscere l’organizzazione attraverso la voce dei dipendenti Il Modello di Aaker (1997) e il Modello di Covey (2007) dimostrano rispettivamente l’importanza della cultura del prodotto e della cultura organizzativa nel rapporto tra dipendenti e azienda. Altresì, nell’employer branding i dipendenti possono essere chiamati in causa quando si tratta di estrapolare dalla cultura organizzativa gli asset su cui basare la campagna employer branding (come avviene nel Modello di co- costruzione proposto da Lizzani et al., (2008)). Sackman (1991) ha articolato lungo un continuum i metodi per indagare la cultura organizzativa, che possono essere utili anche in questo caso. Essi vanno dai metodi etnografici e non strutturati come l’osservazione partecipante, a quelli altamente strutturati come i questionari e le interviste. Senza scendere così meticolosamente nel dettaglio metodologico, data la sede, si può procedere con la classica distinzione tra metodi qualitativi e metodi quantitativi descrivendo brevemente entrambi. Questa dicotomia seppure potrebbe apparire molto netta, in realtà non lo è, in quanto le due metodologie si contaminano e si alternano a vicenda; presentano entrambi elementi di vantaggio e di svantaggio. La costruzione del messaggio employer branding comporta l’indagine della cultura organizzativa o meglio, dell’insieme dei valori che i dipendenti riconoscono nella cultura aziendale, che rappresentano gli asset intangibili dell’azienda. Essi possono essere indagati con i metodi qualitativi e i metodi quantitativi. Dato l’approccio utilizzato, qui si illustreranno soltanto i metodi effettivamente utili all’employer branding. Metodi qualitativi Osservazione partecipante Il primo aproccio di un qualsiasi ricercatore per qualsiasi oggetto di studio è l’osservazione, che può essere condotta dall’esterno, con una “estraneazione” completa da parte del ricercatore, o dall’interno con una completa “immersione” del ricercatore nel contesto organizzativo. Esempi della riuscita di queste indagini sono quella effetuata nel 1983 da Martin e Siehl in General Motors, per l’esame di diverse variabili organizzative e l’indagine di Barley nel 1995 sull’influenza della tecnologia sulla cultura organizzativa di due reparti ospedalieri. Se gli artefatti si pongono spontaneamente agli occhi del ricercatore, essi consentono solo un’analisi superficiale (Schein, 1999) ed è importante discernere come suggeriscono Larsen e Schiltz nella loro ricerca del 1990 gli aspetti “reali” e evidenti dell’organizzazione, dalle percezioni del ricercatore. Queste ultime, d’altra parte,

12 Ogni tappa della vita del lavoratore sarà caratterizzato da diversi bisogni in termini lavorativi, da quando si è neolaureato a quando si è ormai un senior.

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saranno utili per codificare il vero significato degli artefatti stessi, individuandone la natura e la spiegazione. Ed è proprio nell’approccio della co- costruzione che più avanti si esaminerà, che durante la fase “esplorativa” gli studenti osservando ciò che succede in azienda, non fanno altro che osservarne gli artefatti, oltre che gli aspetti tangibili. Il punto sta poi nel riuscire ad andare oltre e, utilizzando gli altri strumenti qui illustrati, “ricavare” dagli artefatti i veri valori dell’organizzazione. Interviste Secondo Maccoby e Maccoby (1954) l’intervista consiste in uno scambio di opinioni in diversa maniera in cui una persona cerca di avere informazioni o esprimere credenze. Quando l’indagine organizzativa ha come soggetti persone consapevoli dei fenomeni e dei processi che si intendono indagare, come nel caso del metodo della co- costruzione che coinvolge i dipendenti, è opportuno procedere con la metodologia psicologica e psico_ sociale. Esse indagano da una parte i dinamismi soggettivi e i processi individuali delle persone nelle organizzazioni, dall’altra gli atteggiamenti, le percezioni, i comportamenti dei dipendenti protagonisti (Gobo, 2001). Nello specifico, per l’employer branding si potranno usare interviste altamente strutturate (tipo questionario somministrato) o interviste totalmente libere (a partire da uno stimolo del ricercatore). Sarebbe interessante affiancare alle interviste ai giovani dipendenti, le persone che conoscono più profondamente l’evoluzione dell’organizzazione, i così detti osservatori privilegiati. Tecniche proiettive Molto utile durante la fase della costruzione del messaggio di employer branding è porre al soggetto una serie di stimoli che hanno lo scopo di suscitare associazioni, emozioni, significati: quanto più lo stimolo è aperto e polisemico, tanto più la tecnica sarà efficace. Il soggetto potrà esplicitare le proprie associazioni attraverso la produzione di un testo scritto, la realizzazione di un disegno etc. Celebre in letteratura l’applicazione da parte di McClelland (1980) del Test di Appercezione tematica di Murray sulla motivazione al lavoro. Ai soggetti venivano presentati dei disegni raffiguranti situazioni lavorative, chiedendo loro di provare “spiegare” la storia di quel disegno, producendo a tutti gli effetti delle associazioni che evidenziavano la motivazione dominante del successo (riuscita, affiliazione, potere). Nel processo employer branding, si potrebbe pensare di chiedere ai dipendenti che fanno parte del progetto, di associare al prodotto un’immagine, un’idea, una percezione e utilizzare tutti questi elementi per costruire il messaggio. Essi, in fondo, non rappresentano altro che la manifestazione dell’Employer Value Proposition13 dell’azienda, che i dipendenti hanno assorbito e possono raccontare. Brainstorming

13 Verrà definite più avanti nel dettaglio. Consiste nell’insieme degli asset tangibili e intangibili, che l’azienda è in grado di offrire al target (Amendola, 2008).

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Il branstorming di cui parla per la prima volta Osborn nel 1967 (in Besse, 1967), è una metodologia che si basa su una tecnica di gruppo incrociata guidata da un moderatore. L’obiettivo del gruppo è quello di far emergere il maggior numero di idee per risolvere un problema, creare un messaggio…raggiungere, insomma, l’obiettivo. Le idee dei partecipanti devono essere espresse liberamente, senza far emergere giudizi prematuri. Nell’employer branding può essere uno strumento utile per far emergere i valori e le idee dei dipendenti, utili alla costruzione della campagna.

Metodi quantitativi

Il questionario è uno strumento utile a far emergere gli asset tangibili e non, su cui può basarsi la campagna di comunicazione employer branding. Attraverso domande aperte o chiuse, i dipendenti possono esprimere la propria voce “incanalandola” verso i temi che maggiormente sono utili allo sviluppo della campagna.

Nel prossimo capitolo verrà esposto in dettaglio il concetto di employer branding e il modello teorico che è deciso di adottare nel caso di studio.

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CAPITOLO 2 UN MODELLO: L’EMPLOYER BRANDING PROCESS

2.1 Premessa

L’Employer Branding può essere definito come un’azione di marketing strategico compiuta dall’impresa nei confronti di candidati e dipendenti, in modo che sia il brand ad attrarre e fidelizzare i soggetti che si riconoscono nella cultura aziendale (Amendola, 2008, p. 26). Nella definizione dell’Employer Branding come strategia aziendale, sono gli anni ’90 a rappresentare il punto di inizio, a seguito della pubblicazione nel prestigioso “Economist” (2003) della “Employer branding survey”, in cui emergeva l’interesse per il neonato tema anche al di fuori dei confini britannici, dove è comparso per la prima volta. Lo studio dimostra come HR, Comunicazione Interna e Marketing siano le funzioni che debbano collaborare per la riuscita dell’Employer Branding. È a questo punto che Richard Mosley, con la società People in Bussiness, decide di dedicare spazio al tema, soffermandosi sull’ effettiva ragion d’essere dell’Employer Branding14. La sua trattazione ruota intorno alla centralità del tema EB: non una “nuova moda” di interesse passeggero, ma al contrario, un aspetto di sempre maggior rilevanza per le multinazionali. In particolare, le tre ragioni della “here to stay” dell’employer branding per l’autore sono:

• la crisi che le organizzazioni attraversano le spinge ad agire per trattenere, motivare e soddisfare le proprie risorse di talento, per essere competitiva rispetto alle altre aziende. Oggi, più che in passato, data la bassa differenziazione di prodotti e servizi sul mercato, la differenza la compie l’impresa che riesce a costruire un vero Employee Brand e trasmetterlo alle risorse di talento.

• HR, Marketing e Comunicazione Interna sono tre tasselli nel puzzle aziendale che grazie all’employer branding trovano ragione e modo di incastrarsi, tralasciando le classiche rigide assegnazioni di ruolo che spettano a ognuno di essi. Da qui la riscoperta (o si dovrebbe dire la constatazione) dell’importanza del processo di selezione e sviluppo dei dipendenti da parte di tutta l’azienda, aldilà delle aree specifiche di ciascun settore.

• Nonostante le evoluzioni all’interno del Brand Management, rimangono punti fermi l’attenzione per il target, il focus sui benefits offerti, la competitività e la differenziazione della brand experience. Essi pur essendo riferibili al Marketing Interno, non trovano un approccio definito nell’applicazione employer: questo è uno dei motivi per cui l’Employer Branding diviene anche lo strumento attraverso

14 R. Mosley, Why employer branding is here to stay. -People in Business- www.employerbrand.com

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cui Marketing ed HR avranno modo di scambiarsi vicendevolmente le proprie conoscenze e competenze nella gestione dei talenti, interni ed esterni all’azienda.

Nello scorso paragrafo si è detto che il marketing interno ha molti punti in comune con il marketing esterno e si è estesa quest’accezione anche all’employer branding, sebbene tra i due ci siano anche delle notevoli aree di differenziazione. Per prima cosa, si deve dire che l’employer branding, a differenza del marketing non si serve della “pubblicità advertising” in quanto il suo scopo non è rendere desiderabile il prodotto, quanto piuttosto veicolare elementi di cultura aziendale al fine di attrarre il Capitale Umano migliore e fidelizzare quello già presente in azienda. Inoltre, come sottolinea Amendola (2008) l’employer branding a differenza del marketing, non può trasmettere messaggi non veritieri, in quanto il consumatore in questo caso avrà modo di conoscere da vicino il prodotto (che è l’azienda) e se non corrisponderà a quanto promesso deciderà di non rimanere in essa. In Italia la consapevolezza della necessità dell’employer branding come un approccio coordinato e rivolto al business è arrivata in ritardo, e tuttora molte sono le aziende che lo concepiscono esclusivamente come uno strumento di recruiting, un insieme di azioni che nascono e muoiono sul momento. È utile ribadire che non è questa la strada da percorrere e che le necessità della nascita della filosofia employer è ben altra: l’azienda deve definire e implementare le proprie strategie di marketing e branding per il recruitment e la fidelizzazione dei clienti interni con lo stesso impegno con cui lo fa per il cliente esterno un modello proposto è l’employer branding process. L’employer Branding Process è una strategia di marketing finalizzata a creare un’immagine aziendale coerente con l’identità dell’impresa come employer (luogo di lavoro), in sintonia con il target di riferimento e ben distinta da quella dei competitors, attraverso la quale attrarre e fidelizzare le persone di talento (Amendola, 2008; Lizzani et. al., 2008). L’obiettivo qui è creare emozioni, trasformando la propria azienda in un brand e investendo nel processo necessario a fare questo, almeno la stessa energia che si investe per un normale processo di marketing attraverso l’employer branding process. Quando nel marketing si fa riferimento al termine brand, con esso si identifica sostanzialmente l’anima della comunicazione aziendale, l’insieme delle caratteristiche su cui si vuole far leva per trasmettere l’essenza dell’impresa. L’associazione del brand a determinate caratteristiche sensoriali, percettive e soprattutto emozionali, garantisce all’azienda il vantaggio competitivo che le assicurerà la Customer- Based Brand Equity15, e quindi l’effetto differenziale rispetto ai concorrenti. Questo è concretizzato in quella che Amendola (2008) definisce come Employer Value Proposition (EVP), ossia l’insieme degli elementi che il Capitale Umano dell’azienda vive e riceve nell’ambito del rapporto di lavoro, un contratto psicologico, una proposta di

15 Keller (2003) sostiene che la valutazione della marca può essere fatta sulla base di vari fattori: attributi, benefici legati all’uso, immagini, pensieri e sentimenti, atteggiamento, esperienze, consapevolezza.

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Valore (e Valori) fatta ai dipendenti, con cui l’azienda definisce il proprio brand in termini di employabilitè. Gli elementi della EVP riguardano ovviamente aspetti tangibili e intangibili dell’impresa, quindi rewarding, benefit, location, ma anche ambiente di lavoro, cultura aziendale, trasparenza, reputazione, cultura. L’EVP si declina all’esterno e all’interno dell’azienda nei due obiettivi dell’employer branding, l’Attraction e della Retention (Padula, 2007). 2.2 Gli obiettivi dell’Employer Branding: Attraction e Retention Come più volte ribadito da Amendola (2008), è di fondamentale importanza che l’employer branding trasmetta messaggi veritieri sull’azienda, per evitare l’effetto boomerang della campagna. A questo proposito, c’è da dire che l’EVP trasmessa dall’azienda dovrebbe essere “tagliata” su misura del target, in modo che candidati e aziende con “richiesta” e “offerta” simili si attraggano a vicenda; questo è ciò che succede secondo il Modello Attraction Selection Attrit (ASA) sviluppato da Schneider (1987). La similarità tra il target e l’organizzazione è data da un circolo che si instaura tra i valori dell’azienda e i valori del candidato, per cui avvengono i meccanismi descritti in Fig. 8- Modello ASA. Fig. 8- Modello ASA

1. Attraction il candidato è attratto dall’azienda con cui condivide un background valoriale 2. Selection l’azienda seleziona il candidato che sente più vicino al proprio universo

valoriale 3. Attrit in maniera naturale, quando le persone non si adattano all’ambiente di

lavoro, lo abbandonano favorendo ulteriormente la compattezza del gruppo.

Se la percezione employer dell’azienda da parte del candidato corrisponde al messaggio employer che l’azienda vuole trasmettere, si realizza il fit di cui parla Chatman (1989), evidente nella Fig. 9- Incrocio tra i fattori di attraction dell’azienda e i fattori di scelta del candidato.

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Fig. 9- Incrocio tra i fattori di attraction dell’azienda e i fattori di scelta del candidato

Fonte: Adattata da Lizzani G., Mussino G.M., Bonaiuto M.,Employer Branding tra ricerca e applicazione,

Franco Angeli, 2008, pag.31.

Ovviamente, Corporate Identity e Corporate Image giocano un ruolo fondamentale nel definire l’azienda come employer. In questi termini,infatti, l’identità aziendale si definisce in quanto datore di lavoro. Ciò comprende l’insieme dei meccanismi volti ad attrarre, motivare e trattenere le risorse umane di talento (Bagnato, Provera, Boromei, 2006), nei due processi- obiettivo dell’employer branding: attration e retention. Attraction Quando le azioni di employer branding sono rivolte all’esterno, l’obiettivo è attrarre e “sedurre” (Michael set al., 2002) i candidati migliori. La definizione preliminare di Newell & Shackleton (2000) descrive l’Attraction come un processo di attrazione nei confronti dei candidati che potrebbero dare un contributo particolare all’ organizzazione. Con la definizione di Bratton & Gold (2003) viene sottolineato il vero nocciolo della questione, cioè il fatto che durante la fase di Attraction si realizza l'interazione tra i potenziali candidati e la Corporate Reputation dell’organizzazione16. Si parla, quindi, di Invisible Assets per dirla come Itami (1987), ossia il know how tecnico e tecnologico, la visibilità e l’immagine del brand, la Corporate Identity, che devono essere coordinate con gli asset tangibili ossia le persone, i beni dell’impresa, il capitale. L’importanza degli asset intangibili è fondamentale per il successo dell’organizzazione e non è solo la letteratura ad affermarlo, anche l’Economist ne sottolinea l’importanza, affermando come “Sempre più il valore di un business si

16 “La reputazione di un’impresa è una rappresentazione percettiva delle sue azioni passate e delle sue prospettive future che ne descrive l’attrattività complessiva delle componenti, confrontate con quelle dei suoi principali concorrenti”. Fombrun C.J. (1996, in Morelli, 2002). Una misura della Reputazione è quella fornita dal Reputation Institute di New York attraverso il Reputation Quotient, che tiene in considerazione i seguenti fattori: Appeal emozionale, Prodotti e Servizi, Visione e Leadership, Ambiente di Lavoro, Stabilità finanziaria, Responsabilità Sociale. (Morelli, 2002).

Fattori di attraction

Fattori di scelta

Azienda Target

% di successo del reclutamento

Fattori Intangibili prevalenti: Relazioni interpersonali e lavoro impostato su valori sociali. Fattori Tangibili assenti

Fattori Intangibili prevalenti: Relazioni interpersonali e lavoro impostato su valori sociali. Fattori Tangibili assenti

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nasconde non negli asset fisici e finanziari che sono nel bilancio d’esercizio, ma negli asset intangibili”. Fattori target tangibili e intangibili, saranno gli elementi su cui si baserà la comunicazione dell’employer branding. In questo tipo di comunicazione, i fattori tangibili sono rappresentati da benefit/salario, valori product brand quali prodotto, innovazione, qualità, work life balance; i fattori intangibili sono contesto di lavoro, cultura aziendale, valori product brand quali immagine, prestigio, reputazione etc. Essi potranno essere comunicati strategicamente in maniera diversa a seconda del target che si vuole raggiungere. Non bisogna dimenticare, infatti, che ogni momento della vita del lavoratore si caratterizza in maniera diversa e dà vita a bisogni diversi, come mostrato in Fig. 10- Il ciclo di vita del Lavoratore. Fig. 10- Il ciclo di vita del lavoratore

Fonte: Adattata da A.Padula, Marketing Interno, 2007. Hoepli, pag. 111

Retention La Retention si riferisce a quell’insieme di pratiche organizzative volte a mantenere la continuità nel rapporto di lavoro con i dipendenti migliori (David, Coldwell, Billsberry, van Meurs & MarshPer, 2007). Anche qui, come nella fase di Attraction è importante la compatibilità tra la personalità del dipendente e gli obiettivi organizzativi (Schneider, 1987). Naturalmente, visto che si parla di persone già entrate in azienda, qui intervengono anche i fattori sociali inerenti i processi di socializzazione e la creazione dei gruppi. A questo proposito gioca un ruolo fondamentale la comunicazione interna d’impresa che ha il ruolo di costruire, mattone dopo mattone, nei dipendenti il senso di appartenenza ad un gruppo, che è l’azienda. Nel parlare di processi di identificazione non si può certo omettere il riferimento a Tajfel (1981). L’autore dimostrò come in tutti i gruppi (anche quelli formatisi casualmente) emergano sempre un processo cognitivo ossia il senso di appartenenza al gruppo, e un processo motivazionale ossia l’orgoglio e l’autostima

SMART (brillanti)

PROMESSE(neolaureati)

NAVIGATI (con anni di esperienza)

NON IDONEI (In età pensionabile o mal selezionati)

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derivanti dal far parte del gruppo. Il premio Nobel per l’economia H. Simon (1967) fa notare come le stesse dinamiche possono trovarsi in un’organizzazione, con il gruppo costituito dall’azienda stessa. Lo studioso parla di “identificazione con l’organizzazione” sottolineando come quando un individuo si identifica con la propria organizzazione, tende a prendere decisioni secondo valori simili a essa, facendosi carico del successo e della conservazione dell’impresa. Ma su quali fattori bisogna far leva per stimolare l’identificazione? La letteratura li individua nella distintività dei valori, nel prestigio percepito, nella consapevolezza e importanza attribuita all’outgroup (Ashfort & Mael, 1989) e nell’identità e immagine esterna (Dutton, Dukerich & Harquali, 1994). L’employer branding, tenendo presente che ogni organizzazione è diversa dalle altre, può comunque utilizzare queste leve per la retention dei talenti interni all’azienda, comunicandoli attraverso gli strumenti della comunicazione interna e dimostrandoli attraverso le azioni quotidiane dell’impresa. Tutto ciò giocherà a favore della motivazione del lavoratore, la quale come dimostra Herzberg (1966), è improntata su fattori di motivazione (lavoro in sé, responsabilità, promozioni) e fattori di igiene (relazioni con capi e colleghi, politiche aziendali, retribuzioni, condizioni di lavoro). L’autore dimostrò come la presenza di una delle due classi di fattori non fosse sufficiente a produrre soddisfazione, la quale per realizzarsi ha bisogno di raggiungere un livello elevato di entrambi i fattori. È fondamentale quindi che il dipendente si senta soddisfatto in tutti gli ambiti del proprio lavoro, e come ricorda la CSR Europe ''La Corporate Social Responsability può anche avere un grande effetto sulla capacità di attrarre e trattenere buona parte dei dipendenti. Essi, infatti, vogliono una buona retribuzione, ma anche sentirsi orgogliosi della società per cui lavorano''. La ricerca condotta dalla Business in the Community con il Chartered Institute of Personnel Development (CIPD, 2003) che ha coinvolto 1.000 dipendenti in tutta la Gran Bretagna ha dimostrato come la CSR abbia contribuito ad attirare, motivare e trattenere una classe employer molto diversificata, quindi essa è ritenuta importante da tutti i lavoratori, indipendentemente dalla funzione e dal ruolo. A rinforzare quanto detto finora, lo studio del gruppo Cherenson (2001), in cui il 78% degli 800 intervistati, ha detto che preferirebbe lavorare per un’organizzazione valida sotto il profilo etico e con una buona reputazione, piuttosto che ricevere una retribuzione elevata lavorando in un’organizzazione che non possiede queste caratteristiche. Ruolo fondamentale, inoltre, riveste quello che Pratesi e Mattia (2006) chiamano brand engagement, ossia tutto ciò che può incoraggiare il dipendente a seguire e assecondare il valore del Brand aziendale e quindi la loyalty testimonial. Quindi, sicuramente la CSR ha un ruolo preminente nella Retention dei talenti ma, ovviamente, ogni azienda dovrà poi adattare i propri strumenti a seconda del proprio target interno. Se alla CSR non si può prescindere, lo stesso vale per le opportunità offerte in termini di sviluppo professionale, e la creazione di una EVP per i talenti. In particolare, secondo Michaels et al. (2002) sono questi gli asset su cui far leva per garantirsi la Retention:

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• Lavoro stimolante • Azienda eccellente per cultura, valori, leadership, gestione • Sviluppo professionale e work life balance • Premi e ricompense

A questi fattori, si aggiunge l’importanza di differenziare e valorizzare i collaboratori: il talento esige attenzione e tempo, è impaziente rispetto alle politiche retributive e ha delle caratteristiche non sempre facili da gestire, ma tutto sta nel considerare queste caratteristiche come potenziale da sfruttare e non problemi da gestire, come ha affermato Vittorio Colao, amministratore Delegato di Vodafone Omnitel nel 2002 (Michaels, 2002). Definiti gli obiettivi dell’employer branding, si può approfondire come questo processo si realizzi attraverso le sue cinque fasi: Definizione del target; Analisi dei competitors e dell’attuale posizionamento; Costruzione dell’employer brand; Comunicazione dell’employer brand; Valutazione del processo. È importante sottolineare che questi momenti, non si sviluppano in ordine temporale ma in un circolo, un processo appunto, come si vede nella Fig. 11- Employer Branding Process. Fig. 11- Employer Branding Process

Fonte: Adattata da Lizzani G. et al, Mussino G.M., Bonaiuto M. L’employer Branding tra Ricerca e

Applicazione, Franco Angeli, 2008, pag. 20.

Analisi dei competiors e dell’attuale posizionamento

Costruzione del messaggio

Comunicazione delmessaggio

Valutazione

Definizione del Target Analisi dei competiors e dell’attuale posizionamento

Costruzione del messaggio

Comunicazione delmessaggio

Valutazione

Definizione del Target

Employer Branding Process

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2.3 Definizione del target La definizione del target è il primo momento di qualsiasi attività che richieda un processo di comunicazione, quello in cui ci si chiede preliminarmente quali vogliono essere i destinatari del messaggio. Per quanto riguarda l’Employer Branding, il target è rappresentato, in generale, da coloro che cercano un’occupazione e hanno delle caratteristiche che li rende in qualche modo apprezzabili dall’azienda. D’altra parte, come dimostra il Modello ASA (Schneider, 1987) anche il target è portato a scegliere l’azienda che percepisce più simile a sé. Cable e Turban (2001) nel loro “Modello di Conoscenza dell’Employer” dimostrano come le caratteristiche dell’azienda che influenzano la scelta dei candidati siano: Famigliarità; Immagine; Reputazione, gli stessi elementi di cui si è discusso in precedenza. Uno strumento che misura l’attrattività dell’azienda nei confronti dell’employer, è l’ Empate Scale , la scala di Berthon, Ewing & Lian Hah (2003), la quale riprende le dimensioni del costrutto di Ambler & Barrow (1996). Le principali dimensioni che guidano i laureandi nella scelta dell’azienda sono collocabili in una struttura a 3 fattori, che correlano altamente tra di loro:

• Benefits psicologici: interest value e social value • Benefits funzionali: development value e application value • Dimensione economica dell’azienda: rewarding

Allo stesso tempo, gli studi di Lievens (2005), Lievens, Lievens, van Hoye & Anseel (2005) sottolineano come la Reputazione di un’azienda sia un buon predittore della sua attrattività, addirittura più della famigliarità. Anche la famigliarità gioca però un ruolo importante, infatti gli studi di Collins (2006) dimostrano come la scelta dell’azienda dove lavorare sia influenzata dalla conoscenza dei prodotti e dei servizi erogati dalla stessa. Per l’employer branding è ovvio che una buona conoscenza del brand sia importante nell’influenzare la conoscenza dell’azienda, ma non sempre le due cose vanno nella stessa direzione. Si pensi a quelle aziende del panorama nazionale e non (come ad es. Ferrero) che per politica aziendale hanno sempre comunicato il prodotto e scelto di non comunicare l’azienda. Per loro il discorso sulla famigliarità è alquanto arduo: anche se un candidato brillante conosce il brand e consuma i prodotti dell’azienda, non è detto che la consideri una best employer. Come agire in questi casi? Creando un brand employer, e attivando le strategie di comunicazione adatte, che si differenziano da quelle del marketing tradizionale. Tutte le azioni volte alla Definizione del target nell’Employer Branding devono essere finalizzate al raggiungimento di un fit tra candidato e azienda, il quale si realizza come “congruenza tra valori e norme dell’organizzazione e valori delle persone” (Chatman, 1989 in Padula, 2007, p. 55).

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Aldilà delle strategie, però, oggi si pone un problema vero, quello della scarsità dei talenti da una parte e dalla crisi economica che le aziende attraversano, dall’altra. Amendola (2008) traccia un grafico in cui evidenzia la situazione delle caratteristiche del target attualmente disponibile sul mercato nella Fig. 12- Definizione del target e segmentazione del mercato. Fig. 12- Definizione del target e segmentazione del mercato

Fonte: Adattata da Amendola E. (2008). Corporate recruiting. Employer branding e nuove tendenze.

Bologna: Anthea.

L’azienda non potrà non tener conto della situazione che si presenta attualmente nello scegliere a chi si rivolge e dovrà, soprattutto, fare in modo che il target scelto trovi in essa le caratteristiche che ricerca in un posto di lavoro. Evidentemente, i candidati attivi del grafico di Amendola (2008) sono rappresentati da coloro che gli esperti di employer branding definiscono talenti e che qui di seguito si proverà a descrivere. 2.3.1 Talenti Il termine talento dal 1997 è stato al centro di un’espressione oggi molto in voga negli ambienti aziendali: “War of talent”. Essa è stata coniata dagli uomini di McKinsey che, dopo aver avviato una serie di ricerche su settantasette grandi aziende americane in una prima fase e su trentacinque grandi aziende e diciannove medie e piccole aziende in una seconda (sempre americane e quotate in borsa), hanno pubblicato nel 2002 le ricerche in un libro ormai cult per gli esperti del settore: “The War of talent” (Michaels et al., 2002). La cosa interessante è che oltre ai dipendenti, gli uomini di McKinsey hanno coinvolto nella ricerca gli Chef Executive Office delle aziende partecipanti, partendo dalla convinzione che

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“la caccia ai talenti” non possa prescindere dal coinvolgimento delle figure principali dell’azienda, al fine di operare in un’ottica di business strategico di lungo termine. Ma perché la ricerca sui talenti? Alla fine degli anni ’90 in pieno boom economico, emergeva con evidenza la frenesia con la quale le multinazionali americane si adoperassero per attrarre i manager di qualità nelle loro aziende: allora le aziende si trovavano ad avere più posizioni vacanti da ricoprire che candidati disposti a (e in grado di ) ricoprirle. Oggi, come è stato descritto nell’introduzione di questo lavoro, lo scenario è notevolmente cambiato per quanto riguarda il benessere economico, ma non la ricerca dei talenti da parte delle aziende. Secondo gli uomini di McKinsey,infatti, ci sono ancora tre buone ragioni perché la “Guerra dei Talenti” duri per altri vent’anni (Michaels et al., 2002):

• il passaggio irreversibile dall’era industriale all’era dell’informazione che ha portato alla necessità di capitale umano con una forte “conoscenza concettuale” e non più tecnicista

• la domanda sempre più pressante di talenti manageriali che sappiano rispondere alle sfide poste dall’era globale in una società in cui il tasso demografico dei Paesi avanzati è in calo

• la crescente propensione a cambiare azienda: “ I datori di lavoro hanno sicuramente rotto il vecchio patto e gli impegni di lungo termine che comportava, ma non controllano il nuovo patto…è difficile immaginare che cosa potrebbe indurre i dipendenti a rimettere quel controllo e quella responsabilità nelle mani del datore di lavoro” (Cappelli P.,The New Deal of Work: Managing the Market- Dtiven WorkForce, 1999 pp. 17, 226).

Ecco perché secondo Michaels et al. (2002) è necessario far diventare il recruiting dei talenti una funzione di tutta l’azienda, non soltanto delle Risorse Umane poiché non è una diversa gestione da parte dell’ufficio del personale a fare la differenza, ma la mentalità dell’azienda, dal CEO al dipendente. Ma quindi chi è il Talento?

“Il Talento può essere definito come un modello ricorrente di pensiero o di comportamento che può essere messo in pratica in modo produttivo” (Parvis, 2002 p.42).

Raccogliendo vari spunti da diversi professionisti, che hanno a che fare con le diverse declinazioni di talento, la percezione è che le principali qualità che esso possiede siano: innovazione, autonomia, curiosità, competenza, passione. Nulla a che vedere con voto di laurea, curriculum e conoscenza della materia? Secondo Fabio Ricceri, autore dell’indagine “Best 100: le aziende preferite dagli Italiani” il talento

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va notevolmente aldilà di questi attributi, può possederli o meno, ma come sottolineano Lizzani et al. (2008), è importante che l’azienda nel definire la propria strategia employer branding, abbia chiaro cosa cerchi quando parla di talento. Non si può certo fare esclusivo riferimento a caratteristiche oggettive, dunque quali sono le leve che vanno ricercate durante il processo di recruiting? Nella maggior parte dei casi chi fa recruiting si basa su un metodo che prevede l’esame di dati oggettivi (voto di laurea, tempo medio per la conclusione del percorso di studi, età etc.) ma anche caratteristiche soggettive (abilità relazionali, motivazione, sicurezza, leadership etc.). Tuttavia questa metodologia è parcellizzata, se si tiene in considerazione l’importanza dell’effettivo fit (di cui parla Chatman, 1989) tra azienda e candidato: non esiste un talento valido per tutti, ma un talento che sappia esserlo in quella specifica realtà aziendale. In questo Risorse Umane e Marketing devono lavorare insieme: l’uno definendo il contenuto da trasmettere al target, l’altro fornendo le metodologie e gli strumenti per divulgare il messaggio ed arrivare a quel talento (Lizzani et al., 2008). 2.4 Analisi dei competitors e dell’attuale posizionamento In questa fase l’obiettivo è analizzare come il target che si è definito in precedenza, percepisce l’immagine employer che l’azienda trasmette, utilizzando le ricerche rivolte al target stesso e rilevando il comportamento dei competitors17 (Padula, 2007). In particolare le domande da farsi sono: “Dove si trova la mia azienda rispetto al posizionamento del mio target in termini di motivazioni e aspettative?”,“ Quali obiettivi devo pormi per colmare il gap tra le due posizioni?” e infine,“Come posso differenziarmi dai competitors posizionando la mia azienda agli occhi del target in maniera differente?”. Ecco le risposte. Dove si trova la mia azienda rispetto al posizionamento del mio target in termini di motivazioni e aspettative? Per rispondere a questa domanda le aziende fanno riferimento alle ricerche che le società di consulenza somministrano al target. Queste stilano i così detti “Ranking della desiderabilità” (Lizzani et al., 2008) ossia delle classifiche che mostrano la posizione delle aziende agli occhi dei candidati. In Italia, le società di consulenza che svolgono le indagini sono tante e varie, qui si menzioneranno quelle maggiormente accreditate agli occhi dei media, perché sono quelle che hanno più eco anche presso il target. La Tab. 3 - Ranking di Desiderabilità- mostra i ranking.

17 Quando si parla di competitors nell’employer branding non si fa riferimento soltanto ai competitors della stessa categoria di mercato, ma a tutti coloro che come brand employer possono potenzialmente attrarre gli stessi candidati. (ad es. Ferrero potrebbe avere come competitors non soltanto Barilla, ma anche Accenture).

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Tabella III- Ranking di desiderabilità

Best 100, le aziende

preferite dagli italiani

Rapporto 2007

Employer Branding

Positioning

Best employer of

choise 2007- Top

graduates

Rgs: recent

graduay survey

2007

Indagine Realizzata annualmente

da F. Ricceri e Intermedia

Selection in

collaborazione con

PeopleValue

Realizzata dall'dalla

società Contattolavoro

s.r.l. in collaborazione

con l’ Università

“Sapienza” nei mesi di

aprile e maggio 2007

Realizzata da

Emblema-

Monster ogni anno

Viene svolta

annualmente dal

2001 da Cesop

Communication

Obiettivo Indicare quali sono le

aziende preferite dagli

italiani come luogo di

lavoro

Scoprire il

posizionamento delle

aziende aderenti nel

panorama employer da

parte del target

Individuare

l’azienda eletta

“miglior luogo di

lavoro” da parte

del target

Indicare alle aziende

partecipanti, la loro

posizione in merito

a Best Employer of

Choice; Best

Corporate Brand;

Best Awareness.

Campione 4.956 italiani,

rappresentativi della

popolazione dei laureati e

diplomati

1.605 studenti delle

Università di Milano e

Roma; da 470 dipendenti

neoassunti

650 Top graduates

e 830

Professionals

2500 laureati italiani

di cui il 29%

neolaureati

d’eccellenza e il

14% top graduate o

high flyers, dunque

il 43% del campione

è rappresentato da

talenti. Le aziende

coinvolte sono 81

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41

Strumenti e

procedure

Lo strumento utilizzato è

un breve questionario

somministrato on line, che

chiede al campione di

indicare spontaneamente

le tre aziende preferite

come luogo di lavoro, le

dimensioni peculiari di

un’ azienda e la preferenza

dei canali per cercare

lavoro; infine è presente la

classica sezione anagrafica

Lo strumento utilizzato è un

questionario on/ off line che

indaga diverse aree di

interesse per studenti,

dipendenti e Hr. Vengono

messe a confronto le

opinioni di studenti/

neolaureati (talenti),

dipendenti (azienda)e

funzioni Hr dell’azienda.

La funzione Hr ha modo di

definire quali caratteristiche

dovrebbe avere il talento ed

individuare le strategie di

comunicazione più efficace

Lo strumento

utilizzato è un

questionario on

line, con 50

quesiti che

indagano il

profilo dei

rispondenti e gli

indicatori

employer nel

posizionamento

dell’azienda

Lo strumento

utilizzato per indagare

le opinioni del

campione, consiste in

una survey on line

Ranking

delle prime

5 aziende

nel 2007

1. Ferrari

2. Barilla

3. Fiat

4. Eni

5. Procter &

Gamble

1. Ferrari

2. Fiat

3. Intesa San Paolo

4. Vodafone

4. Microsoft

5. Sony

Top Graduate

1. Barilla

2. Eni

3. Ferrari

4. L’oreal

5. Unilev

er

Professional

1. Ferrari

2. Barilla

3. Eni

4. Nokia

5. Apple

Best Employer of

Choise

1. Intesa San

Paolo

2. Eni

3. Nokia

4. Microsoft

5. Barilla

Best Corporate Brand

1. Bayer

2. Coca Cola

3. Microsoft

4. Ferrari

5. Ikea

Best Awarness

1. Accenture

2. Eni

3. Barilla

4. Microsoft

5. Intesa San

Paolo

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Come si potrà vedere, lo strumento utilizzato nelle indagini è sempre il questionario e in linea di massima, le aziende che salgono sul podio siano sempre le stesse. Probabilmente perché esse hanno strutturato una campagna employer branding che consente un successo a lungo termine sui target che hanno scelto. A proposito di questo, è bene sottolineare come, nonostante si faccia riferimento alla stessa popolazione, per lo più neolaureati o con pochi anni di esperienza, ogni azienda dovrà fare riferimento alla (o alle) survey che analizzano nello specifico le percezioni del proprio target di riferimento. In altre parole, se l’azienda mira (ad esempio) al target dei Top Graduate, non dovrà fare riferimento all’indagine Best 100 di Ricceri, poiché essa è rivolta ad un target indifferenziato di diplomati e laureati; viceversa se l’azienda ha come target dei profili generici sicuramente l’indagine di Ricceri è quella a cui far riferimento. Le survey indagano sostanzialmente le aree cui fa riferimento il Modello di Aaker (1997). Richiamandolo bravemente si può dire che il target delle survey è chiamato a posizionare l’azienda in base a:

• Prodotto/ offerta di lavoro: job descriptions dell’azienda • Organizzazione: tipologia di azienda • Persone: work life balance in azienda • Simbolo: status dell’azienda

Queste indagini consentono ovviamente di vedere anche dove si posizionano le aziende competitors nel ranking e le aziende che lo desiderano, possono approfondire la stima dei punteggi che hanno ricevuto su ognuno dei fattori considerati. Il punto su cui soffermarsi è anche un altro: le aziende trasmettono esattamente ciò che il loro target di riferimento vuole da un best employer? O meglio, possiedono davvero quegli asset? Il costrutto proposto da Bonaiuto, Giacomantonio e Pugliese (Lizzani et al., 2008) coinvolgendo lo stesso campione della ricerca di Sapienza e Contatto Lavoro riportata nella Tab. 3- Ranking della Desiderabilità-, misura l’ Employer Branding lungo diverse dimensioni, esaminando il gap tra Employer Branding Ideale (ossia un luogo di lavoro ideale “ipotetico” immaginato dagli studenti del campione) ed Employer Branding Reale (ossia un’organizzazione reale, considerata come il migliore luogo di lavoro dagli studenti del campione). In particolare, sono state create due scale: una scala individua le componenti che caratterizzano un’organizzazione come “reale ideale”, un’altra individua le componenti che caratterizzano un’ organizzazione come “ideale ipotetica”; in seguito le due scale sono state messe a confronto, per valutarne le differenze tra employer branding ideale e reale e suggerire così gli elementi su cui le aziende possono far leva per avvicinare il più possibile il luogo di lavoro “reale ideale” al luogo di lavoro “ideale ipotetico”. Quello che emerso è che nella maggior parte delle organizzazioni, sono presenti i fattori relativi all’azienda “reale ideale”, ma molto può essere fatto per avvicinarsi al “luogo di lavoro ideale” indicato dal target. Le aree su cui ogni azienda può agire per il miglioramento sono:

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• libertà d’opinione, clima, comunicazione delle informazioni, fiducia nei capi • equità, meritocrazia • benessere, supporto, motivazione, ascolto del dipendente • sicurezza dell’ambiente di lavoro e del lavoro in sé • opportunità di carriera e di creatività

Tutto il campione ritiene importante che l’”employer branding reale” si avvicini a quello ideale nei fattori relativi alla CSR, al work life balance, e alle ricompense basate sulla performance. Un suggerimento, inoltre, deriva per quanto riguarda l’atteggiamento dei talenti. Essi richiedono che fattori quali “innovazione e valorizzazione della diversità” pronunciati nel loro “employer branding ideale”, siano adeguati nell’”employer branding reale”, dove oggi trovano poco seguito. Quindi, ricapitolando, l’azienda possiede fattori tangibili e intangibili che vuole trasmettere al target; il target possiede i medesimi fattori in base ai quali sceglie l’azienda: è necessario che essi siano sovrapponibili perché le due parti trovino realizzazione del loro obiettivo, ossia l’azienda giusta per il candidato giusto e viceversa. Ma se non lo sono? Quali obiettivi devo pormi per colmare il gap tra quello che possiedo e la percezione del target? Sicuramente il primo assioma è trasmettere sempre la verità, perché questa che potrebbe apparire come una scelta etica, in realtà paradossalmente diventa importante nel business (un’azienda con sani principi di CSR infatti, attira i talenti) ma anche perché se i talenti non ritrovano in essa ciò che ha promesso non tardano ad abbandonarla. Se l’azienda non ha mai comunicato sé stessa in termini employer o lo ha fatto senza usare una politica coerente e strutturata, potrebbe esistere un gap tra gli asset intangibili che realmente possiede e vorrebbe comunicare e ciò che viene percepito dal target. Come ricorda Fabio Ricceri (2008)18 non esiste un’azienda che non abbia un’immagine employer, perchè l'employer branding di qualsiasi azienda esiste nella mente e nel percepito dei collaboratori attuali e potenziali (e più in generale nel mercato del lavoro) a prescindere dal fatto che il management se ne interessi o meno. Per valutare se questo è vero è necessario un approccio che “non può esaurirsi nella sola valutazione della posizione dei competitors sul medesimo ranking” (Lizzani et al., 2008, pag. 33) ma che deve chiamare in causa un terzo attore: i dipendenti interni con profilo smart nella Matrice del Ciclo di Vita del Lavoratore. Essi, infatti, sono gli unici che possono testimoniare se i bisogni e le aspettative che avevano all’ingresso sono stati soddisfatti, poiché vivono l’azienda ogni giorno, con il vantaggio di essere in essa da poco tempo e quindi di avere ancora lo “sguardo fresco”. 18 Fonte: Fabio Ricceri, employer branding e pubblicità. www.employerbranding.blogspot.com

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Questo aiuterà nella fase di costruzione del messaggio a conoscere realmente quali sono gli asset che possono essere comunicati senza correre il rischio che alla fase di attraction non corrisponda poi retention e garantendo che il contratto psicologico venga rispettato. Quindi la risposta alla domanda di apertura è: comunicare coerentemente gli asset intangibili che l’impresa realmente possiede, in fase di attraction, e far sì che questi vengano coltivati una volta che il candidato è entrato in azienda, in fase di retention. Come posso differenziarmi dai competitors posizionando la mia azienda agli occhi del target in maniera differente? Nel rispondere a questa domanda l’azienda deve capire esattamente qual è il messaggio che vuole trasmettere al target, quali asset intangibili possono essere comunicati. Così come nella pubblicità marketing volta alla vendita di un prodotto, lo scopo è creare emozioni, anche nell’employer branding bisogna puntare sugli asset in grado di “fare la differenza” rispetto ai competitors: CSR, tensione verso la diversity, attenzione per la sicurezza dei lavoratori. Se i fattori tangibili giocano sull’attraction ma poco sulla retention, quelli intangibili, se promessi e mantenuti, sono in grado di garantire anche la Retention (Padula, 2007). Una volta definito il posizionamento, l’azienda ha pronto il suo Attraction Company Profile (ACP), che è in grado di render conto del suo employer branding reale (evidenziato dai dipendenti) e di confrontarlo con la percezione employer che ha il target, agendo per renderli corrispondenti. 2.5 Costruzione dell’employer brand L’obiettivo in questa fase è costruire la propria immagine in termini employer. Contemporaneamente, questo processo dovrà essere guidato dalla differenziare la propria offerta da quella del target. È questa la fase in cui l’azienda dovrà essere giunta alla piena comprensione del mercato del lavoro e del segmento di target a cui deve rivolgersi. La prima domanda sarà: “L’ azienda ha già avviato delle precedenti campagne di employer branding?”. Nella maggior parte dei casi la risposta data dalle aziende sarà affermativa: a tutte le aziende è capitato di pubblicare un’offerta di lavoro su un sito web o un giornale del settore, e tutte le aziende hanno ormai un sito web con la parte recruiting (se anche questo manca, è il caso di iniziare a costruirne uno prima di ogni altra azione), ma questo non è employer branding. L’azienda,infatti, deve definire esattamente che tipo di immagine vuole trasmettere al target e come lo vorrà fare, attraverso quali strumenti. A tal proposito, più avanti verrà proposto un approccio innovativo, quello della co- costruzione del messaggio employer brand, di Lizzani et al.(2008). In seguito alla costruzione vera e propria del messaggio, si dovrà lasciare libero sfogo alla creatività e ai contenuti emozionali, gli unici in grado di differenziare l’offerta dell’azienda

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A da quella dell’azienda B. In questa fase solitamente, è la funzione Marketing dell’azienda che supporta la funzione HR nel veicolare logo aziendale, colori da utilizzare, nel comunicare valori e asset. Come in qualsiasi campagna di comunicazione, tratto imprescindibile è la coerenza comunicativa non solo con la Corporate Image ma anche tra le varie forme di strumenti che vengono presentati (Lizzani, et al., 2008). 2.5.1 Un modello innovativo: la co- costruzione del messaggio

Fino a vent’anni fa i paradigmi di interpretazione del comportamento del consumatore descrivevano un cliente che di fatto consumava il bene, vestendo a pieno il suo ruolo di consumatore. Oggi la situazione è notevolmente cambiata. Nell’era post- moderna il consumatore sa, si informa stimolato dalla multimedialità, dai nuovi canali di comunicazione e dalla dieta mediatica sempre più ricca. Le grandi aziende e le grandi marche hanno di conseguenza cambiato approccio, rendendo partecipe il cliente nella produzione del bene che lui stesso acquisterà e stimolandolo nel pensiero creativo. Come descrive Normann (2003) nel suo articolo “Il cliente come consumatore e come produttore” (1984) il cliente è protagonista due volte nella gestione del bene di consumo: come consumatore e come da produttore. Già Toffler nel 1980, usò l’espressione di prosumer per indicare l’integrazione crescente tra il consumer e il producer e appunto, questa duplice nuova identità. Il consumatore della nuova era del benessere, si trova a partecipare attivamente alla produzione del bene che acquista in vari modi. Si pensi come nell’acquistare un pacchetto pay tv, l’individuo si trovi a “specificare” il servizio che desidera o nel caso in cui acquisti un mobile da Ikea si trovi a “coprodurre” quello che ha acquistato; ancora quando osserva da dietro il banco del sushi, come viene tagliato il pesce, “controllando” di fatto la qualità del prodotto, fino ad arrivare, dice Normann (1984) alla partecipazione nella definizione dell’”ethos” dell’azienda quando si chiede un feedback ai clienti sulla prestazione del servizio e al cliente “venditore” del proprio servizio. È in questo quadro che si inserisce il così detto “marketing non convenzionale” (Cova et al., 2007) ossia l’insieme delle strategie marketing che comportano il viral, la guerrilla e il tribal marketing. Gli autori descrivono come l’approccio al marketing nella società post- moderna sia completamente cambiato e divenga obsoleto persino il nome market- ing, che presuppone un’azione sul mercato; quello di cui oggi si dovrebbe parlare piuttosto è di co- costruzione con i consumatori che si appropriano e reinventano la marca. Degli esempi? Red Bull ha lasciato che i propri consumatori definissero l’universo di narrazioni intorno alla marca, creandola di fatto insieme a essi. Fiat con lo spazio sul suo sito web “500 want you”19 ha chiamato i consumatori a collaborare per rilanciare la storica automobile. In questo nuovo approccio la conoscenza del modo di essere del consumatore nella vita quotidiana è più che mai fondamentale, per studiare routines, narrazioni e gli usi delle marche. Tutto è in pieno paradigma costruttivista, dove i significati sono continuamente

19 www.fiat500.com

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rinegoziati tra le parti e nascono emozioni. Questo richiede l’unione di metodologie quantitative e semi strutturate utilizzate attualmente nelle ricerche di mercato per studiare il consumatore, e di metodologie qualitative e strumenti quali l’etnografia del consumo, l’osservazione partecipante, le tecniche proiettive etc. Il marketing della co- costruzione può essere traslato alla relazione tra azienda e target employer? Per Lizzani et al.(2008) la strada percorsa è quella della co- creazione della campagna di costruzione del messaggio employer branding delle azienda da parte dei consumatori del prodotto/ lavoro: candidati ed employer.

Il processo di co-costruzione nell’employer branding La metodologia di lavoro che prevede la co- costruzione nel processo di employer branding è completamente nuova. Il primo libro che la affronta in maniera sistematica, è in uscita contestualmente all’esecuzione di questo lavoro (Lizzani et.al 2008). L’adozione che aziende importanti (Procter & Gamble, H3G, Elica, Barilla, Autostrade per l’Italia, Inail, Ferrero)20 hanno effettuato di questa metodologia, fa ben sperare che essa rappresenti,a oggi, una nuova visione nel costruire la fase dell’Employer Branding Process, che è la Co- costruzione del messaggio. Ciò che si propone la co- costruzione è il coinvolgimento del target nella costruzione del messaggio employer branding. La base da cui si parte, è che nessuno meglio di un talento può costruire una campagna di comunicazione rivolta al target di cui lui stesso fa parte, richiamando la teoria dell’Identità Sociale (Tajfel, 1981) nonché allo sviluppo dei social media (Castells, 2001; Amendola, 2008). I tre attori protagonisti del processo di co- costruzione sono: azienda committente, studenti e società di Consulenza HR, e hanno l’obiettivo di costruire l’immagine dell’azienda committente come best employer. Il concetto, in realtà, non è nuovo in quanto già nelle Ricerche di Mercato le aziende si fanno “suggerire” dal target la soluzione. Ma come è nata l’idea del nuovo processo? Grazie alla Società di Consulenza ContattoLavoro e all’Università Sapienza, gli studenti e le aziende (le prime sono state Procter & Gamble e H3G), hanno iniziato questo percorso che ha visto come protagonisti gli studenti e le aziende nel ruolo di committenti; nell’interazione tra le parti ha mediato la società di consulenza ContattoLavoro. Le due aziende hanno assegnato agli studenti il compito di dare degli “spunti creativi” per la creazione di futuri video per la campagna di Employer Branding. Se nella prima fase i protagonisti erano gli studenti provenienti dalla Facoltà di Psicologia- che lavoravano al progetto durante le ore del modulo didattico di “Comunicazione Organizzativa” tenuto dal Prof. M. Bonaiuto (quindi con un timing abbastanza limitante)- nella seconda fase gli studenti trasformatisi in “consulenti” hanno lavorato prevalentemente fuori dal contesto universitario (sia nella sede della ContattoLavoro che in quella dell’azienda committente). Dunque, conclusasi la parte di creazione, all’Università gli studenti hanno avuto modo di 20 www.contattolavoro.it

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presentare il loro lavoro alle aziende, che lo hanno giudicato molto positivamente; un’esperienza utile per entrambe le parti, insomma: le aziende hanno tratto spunti interessanti dal loro stesso target, gli studenti hanno potuto mettersi alla prova, misurando le competenze apprese in Università con aziende multinazionali. A questo punto la sfida, per la società ContattoLavoro e per le nuove aziende partecipanti, è stata quella di dare al progetto uno sviluppo più profondo, coinvolgendo studenti che provenivano da contesti diversi dal punto di vista disciplinare. È così che è nata la metodologia vera e propria della co- costruzione, che prevede sei fasi, che verranno qui esposte con le relative indicazioni procedurali. Divulgazione del progetto aziendale presso il target di riferimento Internet, affissioni in Università, relazioni con le Università, passaparola tra gli studenti: sono questi gli strumenti utilizzati dalla società di consulenza per diffondere la partecipazione nel target al processo di co- costruzione. Per quanto riguarda Internet, l’ovvia promozione dell’iniziativa è sul sito web della società di consulenza, vetrina accessibile ad un pubblico differenziato; lo stesso tipo di iniziativa va promosso, ovviamente, anche sul sito internet dell’azienda partecipante, anch’esso vetrina istituzionale rivolta a un pubblico vasto ed eterogeneo ed elemento di advertising. Le affissioni in Università, a cui si aggiungono i vari materiali informativi come i volantini, rappresentano uno strumento di marketing di massa, si rivolgono ad un target indifferenziato ma, comunque, all’interno del quale ci saranno gli studenti fautori della campagna. Le relazioni con le Università rappresentano, probabilmente, il punto più burocratico e delicato di tutto il processo: ancora troppo spesso, purtroppo, le Università non hanno attive al loro interno, modalità che snelliscano l’approccio con il mondo aziendale e quindi i tempi potrebbero allungarsi. A soluzione di ciò, la via più diretta è rappresentata dal chiedere ai docenti di materie inerenti l’Employer Branding la disponibilità a dedicare alcune ore del loro corso, alle attività di presentazione delle aziende e adesioni degli studenti all’iniziativa presentata. La “marcia in più” della comunicazione effettuata dal docente, è costituita dall’autorevolezza che gli studenti gli attribuiscono che porta ad una percezione positiva del messaggio.21 La comunicazione può avvenire attraverso vari strumenti, come bacheca di facoltà, bacheca elettronica, newsletter dei frequentanti del corso, comunicazione durante il corso etc. Infine, ma non certo meno importante, il Referral Program (Amendola, 200822) tra gli studenti: il passaparola. Ancora una volta, ritorna il tema dell’importanza dei processi di identificazione, che consente di dare una buona e positiva visibilità al progetto.

21 Quando l’informazione proviene da una fonte autorevole, il messaggio viene recepito dal target in maniera positiva e più credibile, rispetto a quando proviene da una fonte sconosciuta o poco autorevole (Pierro, 2006) 22 Amendola E. www.risorseumane.monster.it

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Selezione del team che costruirà il progetto Lontana dall’essere una forma di selezione di personale da inserire in azienda, questa fase seleziona gli studenti non soltanto sulla base del loro vissuto accademico, ma soprattutto valutandoli come dei consulenti junior. Essi infatti, supportati dalla società di consulenza, dovranno esprimere tutta la loro creatività dimostrando di possedere skills come capacità di innovazione, curiosità, intraprendenza e altre caratteristiche che non sempre sono rispecchiate solo dal curriculum. D’altra parte, la società di consulenza nel selezionare gli studenti, dovrà tenere conto in misura elevata, della motivazione ad intraprendere il progetto e della performance durante l’assessment di selezione. Il gruppo di lavoro A questo punto, il compito dell’azienda sarà quello di dialogare con i consulenti junior al fine di spiegare bene gli obiettivi del progetto e motivare il gruppo di lavoro che da parte sua, dovrà cercare di cogliere più materiale possibile per elaborare il proprio contributo. E la società di consulenza? Essa deve costruire il gruppo di lavoro, suddividendolo in piccoli gruppi a cui assegnerà i compiti motivandoli per raggiungere l’obiettivo comune; fornire il know how di base a tutti i partecipanti al progetto, data l’eterogeneità dei percorsi di studio; promuovere incontri con aziende con best practices nel campo dell’employer branding; far costruire agli studenti gli strumenti di rilevazione per le fasi di vera e propria realizzazione del progetto. Il ruolo della società di consulenza, inoltre, è quello di monitorare l’andamento del singolo all’interno del macro gruppo, in modo da individuare i punti di forza di ognuno, utili nelle fasi successive. Non meno importante, un aspetto “meno didattico”: un buon consulente deve sapersi comportare con le aziende; quindi, senza esagerare, fornire agli studenti la competenza di base sul modo di proporsi in un contesto del genere. A lavoro: esplorare l’azienda Il primo passo che gli studenti- consulenti si preparano ad affrontare è la costruzione di uno strumento da somministrare ai dipendenti, per rilevare le informazioni utili al raggiungimento dell’obiettivo. Quest’ultimo consiste nel capire, “cogliere” l’immagine employer dell’azienda, andando aldilà dell’immagine istituzionale comunicata se necessario, dei prodotti e dei servizi dell’azienda. Come afferma Van Maanen (1988) una cultura è espressa e costituita dalle azioni e dalle parole dei membri dell’organizzazione e, compito del ricercatore, non è quello di “vedersi consegnata” la cultura, quanto di interpretarla. In nessun modo, e in questo la società di consulenza ha un ruolo chiave, le comunicazioni corporate (né a livello esplicito, né implicito durante i lavori) devono influenzare i consulenti junior. La metodologia da seguire è diversa a seconda dell’azienda che si ha di fronte, della sua “apertura”, della “disponibilità” dei dipendenti: l’importante è accostarsi ad essa con gli occhi di che la vede per la prima volta e vuole scoprirne il clima, i valori e lo stile. È superfluo dire che è necessario che gli studenti entrino materialmente

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in azienda, in modo da poterne respirare il clima ed analizzare così, i risultati ottenuti attraverso la somministrazione dello strumento, alla luce di ciò che l’azienda è realmente. Creatività in azione Ecco il momento della realizzazione vera e propria del processo di co- costruzione. La creatività del gruppo di lavoro deve essere lasciata completamente libera, perché a seguito dell’”esplorazione” dell’azienda, gli studenti incanaleranno il loro percepito negli strumenti di comunicazione. Dopo aver effettuato l’analisi in azienda e compreso il suo Employer Branding attuale, non resta che comunicare gli asset aziendali che hanno evidenziato. Dunque via libera a brochure, fliyers, business card, gadget, pagine pubblicitarie, poster, postcard, newsletter, newspaper, advertising, CV format, employment web site, banner, power point presentation, stand etc. Il ruolo della società di consulenza sarà espressamente quello di fornire al gruppo gli strumenti tecnici e grafici per realizzare le loro idee e ovviamente, di supervisionare e organizzare bene tempi e lavori. Allo stesso modo, l’azienda non deve in nessun modo influenzare il gruppo: in questa fase non deve essere quasi percepita dagli studenti, se non come punto di riferimento negli asset che possiede. Presentazione delle proposte all’ azienda In questa ultima fase, l’azienda gioca un ruolo chiave. Spetta ad essa, infatti, veicolare un messaggio di attenzione nei confronti di ciò che gli studenti hanno realizzato e, il modo per farlo, consiste nel far sì che le funzioni aziendali più significative siano presenti. Questo momento, infatti, rappresenta per l’azienda un ulteriore momento di comunicazione interna ed aumento del commitment sulla tematica dell’employer branding. Tutto ciò che gli studenti presenteranno, verterà sullo stile e sulla cultura organizzativa trasmesso in chiave creativa con l’employer branding. La società di consulenza, qui, ha il ruolo cardine di organizzatore della presentazione. Essa dovrà avvenire preferibilmente non in aule universitarie, ma in contesti che trasmettano l’idea di “professionalità” più che di “accademicità” quindi presso la società di consulenza, l’azienda o, in alternativa, la sala meeting di un hotel. Premesse fatte, a questo punto gli studenti possono iniziare la presentazione, che ripercorrerà in tre momenti il lavoro fatto dai tre attori della co- costruzione. La prima parte della presentazione sarà infatti dedicata ad una panoramica generale sull’employer branding in modo che tutti “parlino” lo stesso linguaggio; si passerà quindi all’esposizione dei risultati a cui il gruppo è pervenuto dall’analisi dei risultati della ricerca esplorativa che hanno condotto in azienda. Questo momento rappresenta una cartina al tornasole per l’azienda che avrà modo così di avere un resoconto di come il target effettivamente la percepisce in termini di employer branding; infine si tratterà di esporre tutto ciò che gli studenti hanno prodotto dando libera concessione alla loro creatività.

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In linea con l’approccio adottato per costruire la campagna di employer branding, anche la fase della valutazione della campagna può essere condotta affidandosi al metodo della co- costruzione. In qualsiasi contesto, come appare ovvio la valutazione spetta sempre e comunque al target che esprime (esplicitamente o implicitamente) in maniera più o meno diretta, un giudizio sulla “riuscita” del messaggio. Ma l’approccio che Lizzani et al. (2008) propongono va oltre, va a cercare il target che era esterno fino a poco prima e che è diventato interno da poco rispetto all’azienda: i neoassunti. Essi infatti, hanno vissuto le prime fasi del lancio della campagna employer branding e hanno avuto già modo di respirare il clima aziendale. In grado di individuare l’eventuale gap tra messaggio trasmesso e percezione del target, dunque, gli inseriti dopo il lancio della campagna employer branding, sono i primi che ad averla “testata”. Và da sé che l’azienda potrebbe chiedere al proprio target interno che percezione abbia rispetto ad un eventuale gap tra ciò che viene comunicato e ciò che poi effettivamente trovano i dipendenti all’ingresso, così da intervenire tempestivamente qualora il gap esistesse, modificando il messaggio veicolato e adattandolo ulteriormente ai propri asset reali. Grazie a questo genere di intervento metodologico, la campagna employer branding sarebbe monitorata costantemente con costi d’immagine per l’azienda inferiori rispetto ad un intervento più in là nel tempo. 2.5.2 Cenni di marketing esperienziale Il marketing tradizionale,di cui si è parlato in precedenza, attribuisce importanza soprattutto alle caratteristiche di un prodotto o di un servizio, reputandole la base da cui partire per qualsiasi tipo comunicazione l’azienda voglia trasmettere. Da alcuni anni, è emersa una nuova prospettiva di marketing, il marketing esperienziale, che rivolge la sua attenzione al cliente (e non solo al prodotto) e a migliorare, rendola unica, quella che è la sua esperienza di fruizione o di consumo. Questa diversa prospettiva è motivata dall’aver notato che il caricare di promesse l’anticipazione di consumo (attraverso la pubblicità) e il momento dell’acquisto (attraverso il punto vendita) porta spesso ad una delusione nel momento in cui il cliente entra in relazione con il prodotto o il servizio. Anche la Customer Satisfaction o il Customer Relationship Management classici sono volti ad indagare il grado di soddisfazione del cliente al riguardo della performance del prodotto, e non misurano invece il processo che lo ha portato ad essere soddisfatto e lo stato d’animo che il consumo ha prodotto in lui. È di importanza fondamentale in un’epoca in cui chi effettua un acquisto ha pagato non tanto il bene o il servizio, quanto il “senso”connesso a quell’evento. Ciò che conta, nello studio del marketing esperienziale, sono i processi invece che gli scopi, le relazioni invece che le gerarchie, le percezioni più che i dati statistici, le capacità innovative invece che le regolamentazioni ordinate e sistematiche in un’ approccio multidisciplinare. Questo parte dalla consapevolezza che il consumatore non è un soggetto totalmente razionale, accantonando la logica “bisogno-acquisto-beneficio” mettono in luce

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l’aspetto soggettivo e irrazionale del processo d’acquisto. Si è, insomma, finalmene capito che l’oggetto di studio non è più l’homo economicus, che effettua le sue scelte in base a criteri razionali e al calcolo dei costi-benefici, poiché esso in realtà non esiste, e si assiste piuttosto al tentativo di accattivarsi l’homo ludens, orientato al gioco guidato e alla ricerca continua di divertimento, emozioni e gratificazioni. Abbate e Ferrero (2203) per citarne solo alcuni, nello spiegare l’inesistenza della visione dell’homo economicus, fanno riferimento alle ricerche neuroscientifiche che negli ultimi decenni hanno studiato l’emisfero destro del cervello, le quali hanno dimostrato come nell’animale esistano due modalità di pensiero, l’una razionale (afferente alla parte sinistra del cervello) e l’altra irrazionale (afferente alla parte destra), distinte ma interagenti fra loro. Secondo gli stessi autori, questi studi forniscono un apporto importante alla ricerca orientata al mercato poiché consentono di comprendere meglio le scelte del consumatore e, quindi, anche di mettere a punto una comunicazione più mirata. Come si sa, la sfida, oggi non è più quella tra prodotti - per ciascuna categoria merceologica ne esistono fin troppi di qualità equivalente - ma quella tra percezioni attorno ai prodotti; ed è allora la comunicazione, che sulle percezioni lavora, a fare la differenza. Si parla insomma di marketing emozionale, che Abbate e Ferrero (2003) definiscono come l’interpretazione della realtà circostante interpretate dalla parte destra del cervello, analizzate attraverso tecniche raffinate che si servono della psicolinguistica applicata secondo metodi aggiornati e verificati. Come sostiene Schmitt (1999), autore del libro Experiental Marketing, le esperienze si dicono tali solo quando l’idividuo ha sperimentato realmente situazioni e stimolazioni sensoriali. Queste, infatti, uniscono l’azienda e la marca allo stile di vita del cliente e collocano sia le azioni del singolo che l’occasione d’acquisto nel contesto sociale, fornendo valori sensoriali, emotivi, cognitivi, comportamentali e relazionali che sostituiscono quelli funzionali, ormai saturati. L’ autore suddivide l’esperienza umana in cinque differenti tipologie - ognuna con le proprie strutture e i propri processi intrinseci - che chiama SEM, Strategic Experiential Module. Il SEM è costituito da Sense, Feel, Think, Act e Relate. Esse possono essere il punto di partenza per costituire cinque branche differenti di marketing e di azioni strategiche che avranno come obiettivo quello di creare esperienza basandosi su uno dei cinque moduli, e che agiscono in una scala di coinvolgimento crescente. Vedendoli più nel dettaglio, il Sense è il primo e più basso livello di esperienza; costruisce esperienze sensoriali utilizzando il gusto, l’olfatto, il tatto, l’udito e la vista. Il suo obiettivo è quello di ottenere un impatto sensoriale sui clienti o potenziali clienti per aggiungere valore all’identità di marca o di prodotto. Il Feel, fa riferimento a esperienze affettive e interiori del cliente, con l’obiettivo di creare esperienze affettive collegate alla marca, saper suscitare emozioni, sentimenti, stati d’animo del consumatore postmoderno. Il Think ha l’obiettivo di creare stimoli ed esperienze per la mente, facendo appello alle capacità intellettive e creative dell’uomo, alle sue abilità di problem solving, alla sua voglia di

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scoprire, capire e apprendere cose sempre nuove. L’Act consiste nel proporre azioni fisiche e corporee ai clienti, che vengono coinvolti mostrando loro nuovi stili di vita, in grado di arricchire la loro esistenza e suggerire prospettive alternative. Il Relate, infine, ingloba al suo interno tutti i moduli precedenti ma va oltre l’esperienza personale dell’individuo, perché lo inserisce in un contesto sociale più ampio, in relazione con il sé ideale, con gli altri individui e con le altre culture. La sintesi delle differenze peculiari tra marketing tradizionale e marketing esperienziale è rappresentata nella Tabella 4- Marketing tradizionale e marketing esperienziale a confronto. Tabella IV- Marketing tradizionale e marketing esperienziale a confronto

MARKETING TRADIZIONALE MARKETING ESPERIENZIALE

Qualità del prodotto e del servizio Qualità dell’esperienza

Homo oeconomicus Homo ludens

Bisogno Desiderio e piacere

Agire di consumo razionale Agire emozionale

Benefici e attributi Stili di vita ed esperienza olistica di consumo

Scopi Processi e relazioni

Appare chiaro, in conclusione, che oltre il prodotto, oltre il servizio, oltre il features and benefit marketing, oggi le aziende devono mettere a punto un progetto globale di intrattenimento e di spettacolarizzazione della merce che sia in grado di abbagliare tutti i sensi del consumatore, che riesca a stimolarne la mente e a toccarne il cuore, e che gli procurino relazioni coinvolgenti, facendogli vivere un evento memorabile che impegni globalmente gli individui nell'atto stesso del consumo. 2.6 Comunicazione dell’employer branding Scopo di qualsiasi campagna di comunicazione è la diffusione del messaggio che si è costruito presso il target di riferimento. Così è anche nel caso dell’employer branding, dove tuttavia è bene fare una riflessione. Il miglior strumento per aumentare l’efficacia del messaggio employer è quello che gli inglesi definiscono il word of mouth, ossi la testimonianza diretta del brand da parte dei dipendenti aziendali. Un forte employer brand, infatti, si costruisce attraverso coinvolgenti storie personali raccontate da persona a persona perché non c'è nulla che abbia più chance di essere ascoltata, creduta e a sua volta raccontata che una storia di successo professionale che dimostra nei fatti come si lavora in una data azienda. Le occasioni possono essere varie: seminari, conferenze, articoli, presentazioni aziendali alle Università, le fiere del lavoro in cui distribuire gadget e

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materiale informativo sull’employer branding, sponsorizzazione di eventi che coinvolgono il target come i business game, etc. con la partecipazione ai quali i collaboratori diventano i testimonials dell’azienda. Questa modalità di viral communication può essere affiancata ai media convenzionali. Essi possono sommariamente essere suddivisi in canali on line e canali off line, a seconda che comportino o meno il canale web. Tra i canali on line le campagne di comunicazione per l’employer branding possono servirsi di siti corporate dedicati esclusivamente al recruiting , banner sui siti di recruiting e maggiormente frequentati dal target, invio di newsletter sui siti di recruiting, sui siti universitari, forum e blog del settore. La campagna off line include, ovviamente, il canale cartaceo, quindi la stampa (e qui la scelta strategica sarà se comparire sugli organi di stampa di massa come i quotidiani, o sulle riviste maggiormente specialistiche) attraverso company page, interviste, articoli, redazionali, spazi pubblicitari. Infine, sarebbe quantomeno superficiale ignorare i mezzi di comunicazione che l’era del web 2.0 mette a disposizione anche delle aziende: You Tube, Myspace, Facebook, Second Life sono solo alcuni degli esempi sui social media che aprono nuovi scenari e sono l’espressione della nuova generazione che usa questi strumenti per creare la propria rete sociale virtuale, ma realmente esistente (Castells, 2001). L'espressione Web 2.0 definisce l'inizio di una nuova stagione per il web nella quale informazioni e contenuti non vanno più in senso unidirezionale ma multidirezionale, da molti a molti, dove i lettori diventano autori e anche editori, favorendo la nascita di contenuti autonomamente prodotti dai navigatori. Per quanto riguarda il mondo delle aziende, ciò avviene dando la spinta e gli strumenti giusti per favorire lo sviluppo del lavoro collaborativo, ovvero la compartecipazione, mediante la Rete, ad un progetto, a prescindere dalla localizzazione geografica: si tratta per le aziende di passare da una comunicazione unidirezionale verso i collaboratori ad un dialogo interattivo con i propri dipendenti e i futuri collaboratori in un'ottica di employer branding. Il concetto che si presenta, è quello di "employer collaboration": attraverso gli strumenti offerti dal web 2.0 il target interno ed esterno all’azienda può partecipare a diverse fasi dello sviluppo dei prodotti o dei servizi (si pensi a siti web come Zooppa.com, in cui gli utenti costruiscono una campagna di comunicazione pubblicitaria in cambio di premi; o ai business game attraverso cui le aziende invitano attuali e futuri dipendenti a sfidarsi per risolvere casi di strategia organizzativa; o ancora al recruiting marketing che molte aziende hanno avviato su Second Life). Il vantaggio è duplice: nei confronti dei consumatori, ci sono positive ricadute sul gradimento finale del prodotto o del servizio; per quello che in questa sede è più importante nei confronti del target employer aumenta engagement, motivazione e senso di appartenenza all’azienda, oltre che trasmetterne un’immagine positiva e innovativa. L’importanza della scelta dei canali mediatici nel lancio di una campagna di comunicazione viene ribadita negli studi di Collins, Han J. (2004). Gli autori identificano

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due differenti pratiche per la diffusione dei messaggi employer: la modalità a bassa e ad alta informazione. Quella a bassa informazione, consiste in pubblicità e sponsorship generiche, quella ad alta informazione in pubblicità dettagliate sul modo di lavorare nell’organizzazione e sul sostegno ai dipendenti. Se la prima appare inutile quando l’azienda non è conosciuta, la seconda è particolarmente efficace nei casi di elevata conoscenza dei prodotti e dei servizi dell’azienda. Ma come fa l’azienda a sapere quali sono i media maggiormente efficaci sul target? La ricerca di Sapienza e ContattoLavoro nel 2007 condotta sul campione di 1605 studenti iscritti all’ ultimo anno universitario e 450 dipendenti HR offre una risposta (Grafico 2- Dati sull’efficacia dei canali di comunicazione: confronto tra studenti e dipendenti HR). Grafico 2- Dati sull’efficacia dei canali di comunicazione: confronto tra studenti e dipendenti HR.

Fonte: Adattata da Lizzani G., Mussino G.M., Bonaiuto M.,Employer Branding tra ricerca e applicazione,

Franco Angeli, 2008, pag. 40

Dall’indagine emerge chiaramente come studenti e dipendenti Hr vedano nello stage il canale migliore per comunicare agli studenti. Dopo gli stage, per i dipendenti i canali più efficaci sembrano essere le fiere del lavoro, apprezzati anche dagli studenti, i quali però dopo lo stage, vedono nel supporto alla tesi il canale più efficace, poco apprezzato invece dalla funzione HR. Opinioni profondamente diverse sembrano emergere confrontando i dati relativi ai premi alle tesi: mentre gli studenti li reputano un buon canale di comunicazione, i dipendenti li reputano i meno efficaci. In generale, dalla ricerca di Bonaiuto et al. (Lizzani et al., 2008) emerge come sia la Didattica la strategia di presentazione dell’employer branding preferita dalli studenti. Probabilmente perché essi cercano un contatto diretto, con un’azienda che li metta alla prova per sperimentarsi e conoscere il mondo del lavoro e sperano che questi strumenti possano essere un modo per avviare una possibile collaborazione lavorativa.

42%36%

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17%

28%

39%

58%

24%18%

3%

23%16%

43%34% 34%

StudentiDipendenti HR

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D’altra parte, le aziende per attivare questi canali di comunicazione devono investire a breve termine risorse umane ed economiche in maniera maggiore rispetto alle altre modalità e, molto spesso, non sono pronte a guardare a questi canali come ad un “investimento per il futuro” (Lizzani et al., 2008). A questo punto, non resta all’azienda che valutare se la campagna di comunicazione ha avuto gli effetti desiderati. 2.7 Valutazione del processo Come in ogni tipologia di valutazione, si può scegliere di fare affidamento ad una metodologia qualitativa o quantitativa. Nel caso dell’employer branding possono essere adottati entrambi gli approcci anche se le aziende finora, come sottolineano Lizzani et al. (2008) hanno privilegiato l’approccio quantitativo. Esso consiste, nel valutare una campagna efficace se in seguito alla sua diffusione:

• è aumentato sensibilmente il numero di cv ricevuti • è migliorato il rapporto tra il numero di colloqui di selezione effettuati e la

percentuale di inserimenti • abbassamento del turn over degli inseriti

Sebbene questa tipologia di dati sia in grado di fare una fotografia ai numeri che la campagna ha generato, è anche vero che essi sottovalutano altri aspetti importanti quali gli aspetti intangibili che come si è detto prima, sono di fondamentale importanza. Tra questi i così detti fattori soggettivi dei candidati, che vanno aldilà degli aspetti che fanno di un curriculum, una candidatura oggettivamente positiva. Senza dimenticare, ovviamente, che il miglior candidato è quello con cui l’azienda può realizzare il fit. Inoltre, la possibilità di intervenire tempestivamente per modificare la campagna renderebbe opportuno predisporre degli strumenti che consentano di valutarla “in itinere”. A questo proposito, anche per la fase della valutazione Lizzani et al. (2008) propongono uno strumento innovativo, che suggerisce la modalità della co- costruzione come metodologia valida, attraverso il coinvolgimento dei dipendenti interni (neo inseriti) in qualità di target. Si può chiudere il capitolo applicando l’osservazione di Schein (1985), sulla conoscenza della cultura organizzativa come processo co- costruito e ricorsivo, al processo employer branding. E’ idoneo l’aggettivo “co- costruito” in quanto l’interpretazione delle informazioni emerse durante l’indagine e l’”esplorazione” dell’azienda non è di uso esclusivo del consulente, ma è una ricerca comune degli asset organizzativi; quello “ricorsivo” in quanto il processo di conoscenza così come quello di employer branding, non si può mai dire concluso poiché è costantemente rinegoziato partendo da formule e

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ipotesi del target interno, che vanno comprese e riviste a loro volta come base per gli assunti organizzativi.

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PARTE SECONDA

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Capitolo 4 Il caso Ferrero 4.1 Premessa Molte delle informazioni di questa seconda parte sono state messe a disposizione all’autore da Ferrero s.p.a. Informazioni, dati e immagini riguardanti il Gruppo Ferrero e in particolare alcune indagini condotte sul tema dell’employer branding, sono tratti, infatti, dal materiale documentale interno alla funzione Risorse Umane di Ferrero s.p.a nel periodo che va da aprile 2008 a novembre 2008. Molte informazioni, infine, derivano dai siti web ufficiali dell’azienda.23 4.2 Ferrero: un’azienda di famiglia L’ azienda Ferrero è leader nel mercato dolciario europeo e rappresenta la quarta azienda mondiale nel mercato del cioccolato. Quella che era la piccola pasticceria albese di Pietro Ferrero del 1946, è cresciuta fino a contare, oggi, circa 50 società in 110 Paesi nel mondo. La solidità familiare (il figlio di Pietro, Michele prima e i nipoti Pietro e Giovanni oggi, gestiscono il Gruppo) e finanziaria (fatturato nel 2007 di 6 mld di € ) consente a Ferrero di non essere quotata in borsa. L’azienda che vanta circa 50 prodotti, ha il suo quartier generale a Sennininberg, in Lussemburgo, dove è la sede di Ferrero International. Oggi, sul piano economico con un utile che continua a crescere , tra le sfide del Gruppo, è aperta quella verso i Paesi emergenti (come la Cina, dove Ferrero ha da poco vinto una battaglia contro i falsi). Ma com’è nata l’azienda? Nel 1946 ad Alba, nel cuore di Cuneo nasce la pasticceria di Piera e Pietro Ferrero, alla cui proprietà si aggiungerà il fratello di Pietro, Giovanni. Con la loro pasta gianduia “Il Giandujot”, essi danno vita alla prima pasta di cioccolato ad uso industriale, acquistabile dalla massa e non solo dall’élite. È subito successo: il segreto sono le nocciole impiegate in gran quantità che garantiscono una crema (l’antenata dell’attuale Nutella) unica nel gusto e nel genere, ad un prezzo di produzione e d’acquisto accessibile anche in un periodo come quello del dopoguerra. Da qui a fondare il primo stabilimento di produzione, proprio ad Alba, il passo è breve. Nel 1954 nasce il primo prodotto industriale: il Mon Cheri, a cui segue negli anni ’60 la registrazione dell’attuale marchio Ferrero e la nascita del prodotto simbolo del Gruppo, la Nutella. Gli anni ’70 e ’80 rappresentano un vero e proprio boom per la nascita di vari prodotti e di diverse sedi all’estero, soprattutto

23 www.ferrero.com.; www.ferrero.it; www.ferrerocareers.com; www.fondazioneferrero.it.

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grazie al figlio di Piera e Pietro, Michele, che ha fatto di Ferrero l’impero famigliare di adesso. Sessant’anni fa come oggi, la mission e i valori portanti dell’azienda sono gli stessi e vedono sempre al centro il consumatore, a cui bisogna offrire: plus di qualità e gusto, plus di servizio in freschezza, disponibilità del prodotto e nel confezionamento, nonché plus nutrizionali. Tutto questo deve essere realizzato attraverso un radicato insediamento nel territorio, un attento impiego e utilizzo delle risorse umane, un utilizzo sostenibile, efficace ed efficiente delle risorse naturali ed economiche. Sono questi i valori che hanno permesso all’azienda non solo di crescere economicamente, ma di sviluppare un forte senso di appartenenza tra i suoi dipendenti. Anche a essi va certamente il merito di aver aiutato il Gruppo a far fronte alla sfiorata crisi del 1994, anno in cui un alluvione ha seriamente minacciato lo stabilimento di Alba (che tra l’altro era già stata colpito da un alluvione nel 1948): l’acqua era arrivata ad un livello tale da poterlo compromettere per molto tempo, sennonché tutti i dipendenti, indistintamente, si adoperarono per rimetterlo in funzione. Entro due settimane la produzione riprese, salvando di fatto le commesse natalizie. Attimi drammatici per la famiglia Ferrero ma anche per tutti i dipendenti e gli abitanti di Alba che in quello stabilimento non vedono solo un lavoro, ma una ricchezza economica ed umana per tutto il territorio, come testimoniano le loro parole sul sito web dell’azienda www.fondazioneferrero.it. D’altronde non poteva che essere così per un’azienda che ha iniziato a fare responsabilità sociale da quando è nata, negli anni ’40, prima che questo divenisse un modo per incrementare il business o una nuova tendenza da seguire quando si parla di cultura aziendale. Lo dimostra, tra le altre cose, la “Fondazione Piera, Pietro e Giovanni Ferrero” inaugurata nel 1983 ad Alba e presieduta dalla moglie di Michele Ferrero, Maria Franca. Scopo della fondazione, che ha come leitmotif le parole “Lavorare, creare, donare” (www.fondazioneferrero.it) può essere riassunto nelle parole di Michele Ferrero al suo discorso inaugurale: “Desidero che le persone che hanno contribuito con noi a sviluppare prodotti innovativi e a diffonderli in tutto il mondo, e che per questo hanno continuamente stimolato la loro creatività, possano avere uno spazio fisico, delle risorse umane e finanziarie a disposizione, per continuare ad imparare cose nuove, con il patto che il frutto delle cose imparate sia anche donato al territorio.” (Michele Ferrero, Alba 1983, www.fondazioneferrero.it). Nelle parole del signor Ferrero, l’essenza di un’azienda che aldilà dei numeri, guarda alle proprie persone come parte attiva e vitale, anche dopo la loro vita lavorativa, a voler ulteriormente sottolineare l’importanza della “persona in quanto tale” e dell’insediamento glocale nel territorio. Terminato questo brevissimo e di certo non esaustivo excursus per la presentazione dell’azienda, si può passare al tema core di questa sede, quello dell’employer branding in Ferrero Italia. Non si può che partire dal mondo HR che, oggi, ha l’ occhio puntato sulla competizione in un campo parallelo a quello dolciario: la Fabbrica del Cioccolato dovrà combattere la battaglia dell’ attraction con nuove armi se vuole vincere la Guerra dei talenti. I prodotti da soli non sono più sufficienti, occorre mostrare gli asset che l’azienda

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piemontese, forte della sua riservatezza, non ha mai ostentato ma che di certo non deve inventare. Il Gruppo Ferrero in Italia, è costituito come mostrato nella Fig. 13- Ferrero Italia. Fig. 13- Ferrero Italia

FERRERO S.p.A.

FERRERO PUBLIREGIA FERRERO INGEGNERIA SOREMARTEC MPG: MAGIC PRODUCTION GROUP Pur se, come si è detto, l’holding albese continua a crescere, la mancanza di un’adeguata azione comunicativa presso il target employer di riferimento, l’ha portata a subire le prime problematiche avvisaglie di un percepito “non appeal” da parte del target sul mercato del lavoro. Presa consapevolezza della necessità di comunicare i propri asset corporate, l’ azienda ha deciso di implementare un piano di employer branding, soprattutto a seguito di una serie di constatazioni non positive nel processo di recruiting. Tale problematica viene confermata dai risultati delle survey che trattano il tema dell’employer branding.

• Marketing • Servizi di Marketing • Vendite • Logistica distributiva

Pino Torinese; depositi locali

Alba; depositi Alba,

Pino Torinese

Ricerca e Sviluppo

Alba

Realizzazione delle sorprese a per i Prodotti Sorpresa per tutte le società del gruppo nel mondo

Chieri

Agenzia di pubblicità del gruppo Ferrero. Opera in modo esclusivo per tutte le società del gruppo nel mondo, in una situazione di mercato aperto

Progettazione e realizzazione di macchinari e impianti per la realizzazione dei prodotti

Chieri Alba

Bussiness Unit Operation Management services

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La prima parte di questa tesi, dunque, indaga in chiave qualitativa la percezione che dell’azienda ha il suo pubblico interno (i dipendenti) ed esterno (i talenti). La seconda parte descrive la campagna di comunicazione employer branding creata da un gruppo di studenti, che l’azienda ha deciso di utilizzare nella propria strategia. 4.3 Le survey employer 2007: la necessità dell’ employer branding Nel 2007 Ferrero decide di accettare la sfida dell’employer branding, puntando l’attenzione su una serie di ricerche per scoprire dove essa si colloca nel percepito dei giovani universitari. Le survey pubblicate sull’employer branding vengono realizzate da enti specifici con lo scopo di creare un ranking di posizionamento delle “Best choise to work” da parte di studenti, neolaureati e senior, soprattutto dei così detti talenti. Da un’attenta analisi dell’andamento recruiting da parte dell’azienda, emergono sostanzialmente due problemi complementari:

• Scarso appeal di Ferrero come employer da parte dei neolaureati: su 400 candidati contattati per un colloquio, solo 160 accettano di sostenerlo e l’80% di essi rifiutano le opportunità di stage offerte dall’ azienda (Fonte Ferrero HR interna);

• Difficoltà nel recruitment e nella “gestione” dei talenti: pochissimi candidati tra quelli selezionati sono all’altezza del lavoro che li attenderebbe nella multinazionale; quelli che lo sarebbero rifiutano, alla fine, di lavorare per Ferrero (Fonte Ferrero HR interna).

Finora Ferrero non ha un’identità employer definita, ma ha sempre basato la sua forza comunicativa sul prodotto. Il brand di prodotto, tuttavia, nel mercato del lavoro odierno, non basta più ad attirare il talento, il quale nello scegliere a chi inviare il proprio curriculum, predilige, ovviamente, l’azienda che meglio di tutte comunica (e di riflesso sembra garantire) un “best place to work”. L’insieme di queste ragioni, porta Ferrero a implementare un Ferrero employer branding process, con l’obiettivo di aumentare l’appeal aziendale ed essere l’eccellenza anche nel campo employer branding. In questo lavoro non verrà approfondito l’intero processo employer branding ma soltanto la parte relativa agli step: target, costruzione della campagna e comunicazione, poiché da parte dell’ azienda sono stati implementati al momento solo queste tre fasi. In particolare, per la costruzione della campagna, il metodo scelto è quello della co- costruzione con il coinvolgimento attivo del target. Si ribadisce la premessa fondamentale fatta all’inizio,cioè che queste informazioni sono state fornite in via riservata da Ferrero s.p.a.. Dunque, non pretendono di avere un’esaustività scientifica, ma di fornire un quadro d’insieme delle basi a partire dalle quali l’azienda si è mossa per costruire un’identità employer definita.

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4.4 Definizione del target Il primo passo nel processo employer branding, è stato è stato l’individuazione del target. Per l’azienda il target a cui rivolgersi è rappresentato dai talenti; in particolare, si parla di neolaureati d’eccellenza e top flyer, individuati facendo riferimento alle seguenti caratteristiche, oggettive e soggettive:

• Laurea conseguita nei tempi previsti con età massima 26 anni • Voto di laurea non inferiore a 105/110 • Buona/ ottima conoscenza dell’inglese • Esperienze di formazione/ di lavoro all’estero • Caratteristiche personali quali:dinamicità, motivazione, flessibilità, l’orientamento

ai risultati, lo spirito imprenditoriale e la propensione all’innovazione. Non solo 110 e lode quindi, ma soprattutto persone in grado di fare la differenza grazie ad una serie di caratteristiche personali e competenze acquisite al di fuori dell’ambiente accademico. 4.5 Il processo di co-costruzione in azione: il coinvolgimento attivo del target Sposando il modello della co-costruzione della campagna di comunicazione, Ferrero sceglie di percorrere una strada nuova, ma già sperimentata nel 2005 da importanti imprese (Procter&Gamble, H3G, Barilla)24 che hanno affidato ad un gruppo di studenti della specialistica della Facoltà di Psicologia II della Sapienza di Roma, il compito di definire e creare l’immagine di Top Employer. L’azienda piemontese, a differenza delle altre che hanno sperimentato questo percorso, è stata l’unica a implementare immediatamente la campagna. Scegliere un gruppo di studenti come attori attivi in grado di realizzare un progetto di comunicazione ha comportato per l’azienda una scelta sicuramente non convenzionale e controcorrente, che può sollevare dubbi sulla correttezza dei dati prodotti. Per sciogliere le perplessità basti dire che in primis non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di persone con un bagaglio di conoscenze che consente loro di svolgere un lavoro di tale portata, comunque supportati da un’azienda di consulenza; inoltre questi studenti, essendo tali, hanno la possibilità di sondare molto da vicino il target, e ne prendono parte, producendo delle idee che sono molto vicine ad esso e che conducono a processi identificativi. Infine, questo è anche un modo che l’azienda potrà utilizzare come ulteriore elemento di comunicazione positiva presso il target di riferimento, enfatizzandolo proprio come leva di comunicazione. 24 www.contattolavoro.it

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Il processo di co- costruzione dell’employer branding Ferrero è stato coordinato dalla funzione HR, in particolare dal Direttore e dalla responsabile Gestione e Sviluppo HR. La scelta è stata, dunque, quella di affidare la consulenza a due gruppi rappresentativi del target di riferimento, attraverso l’assegnazione di due company project. Da una parte gli studenti della Scuola francese Mba Escp- Eap (qui di seguito Escp) con cui Ferrero ha rapporti continuativi e di sponsorship, dall’altra gli studenti del biennio specialistico della Facoltà di Psicologia 2 dell’Università “Sapienza” di Roma, coordinati nel lavoro dalla società di consulenza ContattoLavoro, il cui Amministratore Delegato è docente di Marketing interno ed employer branding in questa facoltà. Nel dettaglio ora verranno esposte caratteristiche, modalità di lavoro e risultati prodotti dagli studenti. Escp- Eap I sei studenti di uno dei Master più importante d’ Europa25, si sono occupati dell’ “Analisi dei competitors e dell’attuale posizionamento”, la seconda fase del processo employer branding. Gli studenti provengono dalla sede di Torino e hanno elaborato il company project nella primavera 2007, ospiti dell’azienda per la presentazione nel giugno dello stesso anno, dopo aver avuto il brief d’orientamento dalle Hr ed essere stati seguiti da esse durante lo svolgimento dei lavori. Sapienza I sedici studenti della Sapienza, hanno lavorato sulla costruzione dell’immagine di Ferrero Employer, oltre che con ContattoLavoro, con UniromaNetwork, il polo editoriale più importante della Regione Lazio26, allo scopo di creare pillole di comunicazione da diffondere sui canali multimediali. All’interno del corso di “Marketing Interno e Laboratorio di employer branding” tenuto dal Professor Lizzani (Amministratore delegato di ContattoLavoro), è avvenuto il primo incontro tra i circa 70 studenti frequentanti e Ferrero, con lo scopo di sondare la possibilità di una futura collaborazione. La giornata trascorsa presso la Facoltà è stata molto articolata e ha visto l’azienda dapprima intervenire nella didattica come testimonial di primo piano circa i temi trattati dal corso; il Direttore HR e la sua assistente hanno trascorso la mattinata del 07/12/07 insieme gli studenti. In seguito alla presentazione aziendale e alla distribuzione di nuovi prodotti Ferrero su cui gli studenti hanno effettuato un “test di gusto”, è seguito il coinvolgimento attivo dell’aula sulle tematiche employer. I futuri psicologi, infatti, sono stati suddivisi in gruppi di lavoro dal Docente e, in 45’, hanno elaborato delle idee per Ferrero, seguendo l’Employer Branding Process. Alla fine del timing, un rappresentante per gruppo ha esposto il lavoro del proprio team: idee per realizzare brochure da distribuire nei luoghi più frequentati dagli studenti,

25 www.financialtimes.com 26 www.uniromanetwork.it

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mapping dei luoghi più probabili per avviare un guerrilla marketing, proposta di un “Ferrero tour” nelle Università, questionario di valutazione della campagna finale. A gennaio 2008 gli studenti hanno sostenuto l’esame di profitto del corso e, alla pubblicazione dei voti, sono stati contattati dal Docente per sostenere un assessment di gruppo, con lo scopo di selezionare i migliori studenti per continuare il progetto avviato in aula per Ferrero. Tutti gli studenti frequentanti sono stati dunque valutati nella sede di ContattoLavoro, attraverso la conduzione di diverse prove selettive. Sedici di essi sono stati selezionati in base alla prova di assessment, alla motivazione e al curriculum accademico per iniziare la collaborazione con Ferrero e costruire la campagna comunicativa di Employer Branding 2008. 4.6 Mba “Escp- Eap”: analisi dei competitors e dell’attuale posizionamento La Bussiness Unit Italia ha commissionato agli studenti Escp il compito di definire il secondo punto dell’ Employer branding process: rilevare i criteri che guidano nella definizione e nella scelta dei best place to work, per la definizione del posizionamento di Ferrero, anche rispetto ai competitors. L’obiettivo dello studio è stato l’analisi del target di riferimento attraverso la comprensione di:

• Asset su cui puntare per la comunicazione; • Aspettative del target; • Percezioni dell’azienda e dei competitors da parte del target; • Strumenti utilizzati dal target per cercare lavoro.

Lo strumento utilizzato per compiere l’indagine, di tipo esplorativo, è un questionario, elaborato dagli studenti. L’indagine è stata condotta nell’inverno del 2007 a Torino e Milano su un campione di 181 studenti, contattati tramite i job placement delle Università, la piattaforma on line di Escp, presso le Università di Torino e il Collegio Einaudi. Tra questi, i nominativi di 38 studenti, con caratteristiche per cui possono essere definiti “talenti” sono stati forniti da Proposte (società di selezione che lavora per il Gruppo Ferrero). Essi provengono dalle Università di Parma, Roma, Milano, Firenze, Pisa, Napoli, Verona,Urbino, Bologna e dai Master Mib di Trieste e Sole 24 Ore. Il Campione è descritto qui di seguito nella Tab. 5- Descrizione del campione.

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Tab. V- Descrizione del campione

Data di laurea Dopo settembre 2006

Prima di settembre 2006

Non ancora laureati

29,3% 19,7% 51% Voto di laurea <90 /110 90- 95/110 96- 105/110 106- 100/110

6,3% 9,8% 47,5% 36,4%

Studi effettuati Economia Ingegneria Altro 68,5% 18,7% 12,8% Fonte interna Ferrero HR

Il questionario utilizzato per l’indagine indaga le seguenti aree:

• Istruzioni generali e area demografica: nazionalità, età, genere, istruzione. • Criteri principali nella scelta di un’azienda: quali sono gli asset su cui un’azienda

dovrebbe puntare? • Aspettative lavorative: quali sono i fattori imprescindibili perché un’azienda sia

considerata eccellente? • Percezioni di Ferrero e competitors come employer: cosa viene percepito delle

aziende eccellenti, e in particolare da Ferrero, oggi? • Canali usati per cercare lavoro: quali i canali su cui puntare per raggiungere il

target? Il compito dei soggetti era quello di indicare la loro preferenza con risposte predeterminate su un totale di 22 item, che venivano presentati nelle sezioni del questionario. Il primo passo è stato quello di individuare età, studi effettuati, data di laurea e voto di laurea del campione, così da averne una prima analisi fondamentale, indicata nella Tabella V- Descrizione del campione. Superata la parte anagrafica, le domande del questionario erano volte ad indagare la percezione di Ferrero relativamente alle aree sopra indicate; verranno qui esposte le risposte degli studenti. Per le aree “Criteri principali nella scelta di un’azienda: gli asset su cui puntare” e “Aspettative lavorative”, l’analisi delle risposte è stata fatta distinguendo due gruppi:

Età 18- 20 anni 21- 23 anni 24- 26 anni 7,6% 31,5% 47,6%

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Talenti e Studenti Generici, al fine di garantire una migliore risposta in termini di targettizazione nei risultati finali da presentare all’azienda. Criteri principali nella scelta di un’azienda:gli asset su cui puntare I criteri più importanti per gli studenti generici sono Salario e Benefits. Gli studenti Talenti ritengono, invece, più importante Possibilità di carriera internazionale e viaggi, come mostra la Fig. 14- Criteri di scelta. Fig. 14- Criteri di scelta

Fonte interna Ferrero HR

Aspettative lavorative Esse riguardano principalmente, per gli Studenti Generici la coerenza con il job profile e i compiti lavorativi descritti in esso. Per i Talenti è più importante la possibilità di Formazione e sviluppo di carriera come mostrato nella Fig. 15- Aspettative lavorative studenti .

Studenti generici Talenti

Salaries & Benefits Job Security Company Reputation/Prestige Company Products & Services International Career & Travel

International Career & Travel Salaries & Benefits Job Security Company Reputation/Prestige Company Products & Services

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Fig. 15- Aspettative lavorative studenti

Fonte interna Ferrero HR

Ora, per le rimanenti aree, le opinioni di Studenti Generici e Talenti verranno esaminate contemporaneamente. Percezioni di Ferrero e competitors come employer In un ranking che posiziona le aziende competitors in ordine da 1 a 18, Ferrero acquista la 14° posizione per quanto riguarda l’ Internazionalità. Acquista la 7° posizione nello stesso ranking per quanto riguarda Salari e Benefit; la 14° per Formazione e sviluppo carriera. Posizioni più elevate (rispettivamente la 7° e la 4°) per quanto riguarda Innovatività e successo e Sicurezza sul lavoro. I competitors con cui Ferrero è messa a confronto e le posizioni che ottiene nei vari item analizzati sono mostrati in Fig. 16- Percezioni Ferrero & Competitors.

Location

Internazionalità

Crescita aziendale e prestigio

Reputazione aziendale

Salario & Benefit

Formazione e sviluppo di carriera

Job profile e compiti

Prodotti e servizi aziendali

TalentiImportanza

0 10

Studenti generici

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Fig. 16- Percezioni Ferrero & Competitors

Internazionalità

Salari & Benefit

Formazione e sviluppo carriera

Innovazione e successo

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8

10

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Innovatività e successo

Sicurezza sul lavoro

Fonte interna Ferrero HR

Canali usati per cercare lavoro Gli strumenti principale utilizzato dal target (Studenti Generici e Talenti), per cercare lavoro sono i canali multimediali di Internet, ossia i siti web dedicati al recruitment e alla selezione, e i siti web company istituzionali. Seguono la carta stampata, conoscenti, parenti ed amici che possono essere d’aiuto nella ricerca del lavoro, i placement universitari, tirocini formativi e stage, fiere del lavoro, workshop aziendali. La Fig. 17- Strumenti per la scelta del place to work.

0123456789

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Fig. 17- Strumenti per la scelta del place to work

Internet Conoscenze Giornali Placement Tirocini Fiere Workshop

Fonte interna Ferrero HR L’analisi dei dati effettuata dagli studenti dell’Escp tramite il calcolo delle frequenze nelle risposte degli intervistati, ha fornito all’azienda delle linee guida per l’azione. Per quanto riguarda il primo obiettivo, ossia l’individuazione dei criteri più importanti per gli studenti nella scelta del lavoro, è emerso che l’azienda deve investire maggiormente nella comunicazione su asset differenziati a seconda che:

1) si rivolga ad un target di studenti generici, per cui andranno comunicati vantaggi in termini di Salari & Benefit e Sicurezza sul lavoro;

2) si rivolga ai Talenti, per cui dovrà puntare su Opportunità di carriera internazionale (messa come ultima in ordine di importanza dagli studenti generici) e anche qui, su Salari & Benefit.

10 0

Importanza

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Non sembra ricoprire un ruolo importante la voce Prodotti & Servizi per nessuno dei due profili. Il secondo obiettivo, che riguarda le aspettative che il target nutre sul proprio lavoro, emerge come sia per gli studenti generici che per i Talenti, l’aspettativa più forte è nei confronti della corrispondenza tra il lavoro svolto e il job profile, segue per entrambi la possibilità di Formazione e Sviluppo Carriera, anche se in maniera nettamente superiore per i Talenti. Differenze emergono nei due sottogruppi per quanto riguarda l’internazionalità dell’azienda, considerata importante dai Talenti, meno dagli Studenti Generici. Infine, il canale maggiormente utilizzato per cercare lavoro è Internet, declinato sui siti specifici dedicati al tema e il sito corporate, considerato al pari dei siti specifici per recruitment e selezione. A questi seguono i classici strumenti quali giornali e conoscenze dirette. La percezione di Ferrero nei confronti dei competitors è bassa per quanto concerne proprio quei temi indicati come più importanti nella scelta e nelle aspettative: internazionalità, formazione e sviluppo carriera e salari e benefit. Le linee guida forniti dagli studenti Escp suggeriscono all’ azienda di Alba di associare i propri prodotti alla comunicazione sui valori aziendali e al brand. Infatti, pur essendo percepita come innovativa e di successo, e garante di sicurezza sul lavoro, Ferrero deve comunicare in modo più incisivo le possibilità offerte in termini di Formazione e Carriera, così come la propria Internazionalità. Questi, infatti, sono asset che l’azienda effettivamente possiede, ma che finora, ha trascurato di comunicare. Altra indicazione, fornita dagli studenti dell’ Escp, è quella di migliorare e investire sul sito web dell’azienda dedicato all’area lavoro. Ancora, i suggerimenti riguardano collaborazioni con le Università per farsi conoscere dagli studenti come employer. Fatta la premessa che rappresenta il preambolo motivazionale per l’avvio della campagna, ecco qui illustrata la modalità con cui il messaggio employer è stato costruito. 4.7 Università “Sapienza”: costruzione dell’ employer brand L’indagine che i sedici studenti del gruppo “Sapienza” hanno condotto parte da un piano strategico avviato da Ferrero S.p.A. che vede il target protagonista della costruzione della campagna di comunicazione employer branding. Rispetto agli studenti Escp che hanno dovuto lavorare in maniera sostanzialmente indipendente dall’azienda, fornendole poi il risultato finale, gli studenti della Sapienza hanno agito diversamente. La costruzione della campagna è stata portata avanti, insieme ai dipendenti Ferrero più giovani, con anzianità aziendale inferiore ai 2 anni. Questo consentirà da una parte agli studenti di basare la campagna su asset che gli stessi rappresentanti dell’azienda

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definiscono come reali e dall’altra, all’azienda di avere un’idea (anche se in chiave qualitativa) di come i dipendenti la percepiscono in termini di valori e soprattutto coerenza comunicativa tra fase di attraction e la successiva (dopo l’assunzione) di retention. Il target è costituito da dipendenti delle diverse aziende del Gruppo Ferrero: Operation, Bussiness Unit, Soremartec e Mpg/ Publiregia. Poiché si richiede il coinvolgimento dei dipendenti, il gruppo di lavoro è stato ospitato dalla Ferrero in Piemonte, presso le sedi di Alba e di Pino Torinese. Essendo l’immagine employer di Ferrero sostanzialmente legata alla comunicazione del prodotto, l’obiettivo del gruppo di lavoro sarà quello di recuperare alcuni aspetti sostanziali del Corporate Brand e usarli per trasmettere la parte Corporate Identity di Ferrero. La strada percorsa è dunque quella di evidenziare e costruire l’employer value proposition, identificando le diverse fasi attraverso cui l’azienda entra in contatto con il candidato e la coerenza espressa con l’employer branding promise. La metodologia di lavoro ha previsto la suddivisione degli studenti in quattro gruppi, ciascuno dei quali lavorerà con 2 dipendenti, coordinato da Contatto Lavoro e in collaborazione con UniromaTvNetwork. Gli strumenti creati con la collaborazione dei dipendenti saranno di matrice prettamente qualitativa, così come il campionamento dei dipendenti usato nell’indagine. 4.7.1 Studenti a lavoro: come esplorare Ferrero Non avendo mai condotto Ferrero una campagna employer, ed essendo anche gli studenti nuovi a questo, la prima azione da intraprendere è la creazione degli strumenti di lavoro per costruire la campagna e coinvolgere i dipendenti. Sono stati dunque creati 4 gruppi di lavoro, ognuno dei quali individua e costruisce per Ferrero parte l’ Eb process . I gruppi sono: Gruppo A: ricerca dei drivers Ferrero Gruppo B: media planning Gruppo C: costruzione degli strumenti di comunicazione Gruppo D: valutazione della campagna

È stato creato il forum web “Progetto Ferrero” sulla directory Yahoo27 attraverso il quale ogni gruppo di lavoro scambiava le proprie idee. Inoltre presso la sede di ContattoLavoro ogni settimana gli studenti si sono riuniti per elaborare il progetto e scambiare le idee tra i gruppi.

27 www.yahoo.groups.com/group/progettoferrero

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Gruppo A: Ricerca dei Drivers Ferrero Lo scopo di questo gruppo è quello di definire i driver Ferrero sui quali basare la campagna di comunicazione. Gli studenti, in questa fase, hanno creato gli strumenti per individuare gli asset nell’incontro con i dipendenti in Piemonte. Previa analisi della letteratura gli studenti, infatti, hanno elaborato due questionari, entrambi rivolti ai dipendenti: il “Questionario- asset” e il “Questionario- coerenza organizzativa”. Come si è detto, il coinvolgimento attivo dei dipendenti è essenziale poiché essi rappresentano i talenti interni all’azienda: analizzando i loro criteri di approccio e scelta rispetto alla Ferrero, il gruppo sarà in grado di ricostruire i meccanismi sottostanti l’attraction e la retention, servendosene come prototipo dei comportamenti di scelta del target di talenti esterni. Il “Questionario- asset” si rivolge solo ad una parte dei dipendenti, al fine di permettere agli Studenti (dei gruppi Driver e Valutazione) di individuare gli asset su cui poggiare la campagna; il “Questionario- coerenza organizzativa2 verrà, invece, somministrato a tutti i dipendenti del campione, in quanto mira a rilevare la coerenza nel mantenimento delle promesse fatte dall’azienda ai dipendenti. Questionario- asset Questo questionario ha l’obiettivo di individuare i valori Ferrero, attraverso domande aperte e chiuse, ed è strutturato in tre parti:

• Personalizzazione del brand (evidenziare valori Ferrero) • Idee per la comunicazione employer (evidenziare valori Ferrero applicabili

all’employer branding process) • Clima aziendale (percezione dell’ambiente di lavoro)

Le domande chiuse sono strutturate su scala Likert a cinque punti (da “Per nulla importante” a “Assolutamente importante”) e riguardano l’indagine della cultura aziendale, indagata anche attraverso domande aperte. Questionario- coerenza comunicativa Il “Questionario- coerenza comunicativa” con domande aperte, indaga gli aspetti riferiti alla selezione, attraverso quattro sezioni:

• sezione anagrafica (età, sesso, istruzione) • posizione lavorativa in Ferrero (lavoro effettivamente svolto) • coerenza dell’azienda nei confronti dei dipendenti (promesse in sede di selezione e

riscontri che si hanno avuti una volta assunti) • aspettative dei dipendenti (prima e dopo l’assunzione)

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Il gruppo di studenti, inoltre, chiederà ai dipendenti di associare dei valori aziendali ad una serie di prodotti Ferrero tra i più conosciuti, facilitando così l’espressione degli asset aziendali veicolati attraverso il prodotto, utilizzando le tecniche proiettive. Ai dipendenti viene chiesto di enunciare “le prime cose che vengono in mente” davanti all’immagine del prodotto fornita dagli studenti. Gruppo B: Media Plannning Una volta individuati gli asset su cui basare la comunicazione, si dovranno scegliere con cura i canali attraverso cui comunicare. L’obiettivo del Gruppo B è, appunto, quello di individuare una serie di canali on e off line per la divulgazione della campagna employer branding, ricercando attentamente quelli più in linea con il target indicato dall’azienda e più idonei a trasmettere i valori Ferrero. Ciò può essere fatto soltanto attraverso un confronto attivo con i dipendenti per ricostruire le loro modalità di scelta dei canali di reclutamento e con la funzione HR per valutare gli strumenti e le metodologia attualmente utilizzate. In previsione del focus group con i dipendenti, gli studenti hanno costruito lo strumento, di matrice qualitativa, che li guiderà nella scelta dei canali mediatici. Lo strumento utilizzato sarà un questionario a domande aperte, che indaga le seguenti aree:

• Tipologia dei canali (canali convenzionali/ non convenzionali per la diffusione della campagna)

• Contenuti dei job posting (veicolare o meno determinati valori negli annunci di lavoro)

• Contenuti di un redazionale (eventuale articolo mediatico che parli di Ferrero) • Comunicazione del progetto Sapienza (modalità e scelta dei media)

Gruppo C: costruzione degli strumenti di comunicazione Non resta ora che definire la modalità con cui, una volta individuati, comunicare gli asset Ferrero. Sicuramente il Gruppo C è quello a cui si richiede una maggior dose di creatività e la capacità di tradurre i valori in immagini e contenuti comunicativi ed emozionali. L’obiettivo del gruppo di lavoro è, infatti, quello di creare materiali e gadget che comunichino la campagna employer branding al target cercando il più possibile di differenziarla rispetto ai competitors, e soprattutto che siano capaci di trasmettere emozioni, valori e tutto ciò che riguarda l’immagine corporate, anche svincolandola da quella del prodotto. La metodologia usata dal Gruppo C è di tipo qualitativa e ha visto l’utilizzo del brainstorming tra i quattro componenti del gruppo di lavoro. Inoltre per avere un contatto diretto con tutte quelle aziende che ricercano i Talenti, e farsi un’idea di come

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Alcuni esempi di stand…..

effettivamente le best employer comunicano, gli studenti si sono serviti di materiali distribuiti in università, nelle fiere del lavoro presso cui si sono appositamente recati per effettuare un’analisi dei competitors sul campo e respirare l’ambiente in cui l’azienda dovrà comunicare sé stessa. Al fine di massimizzare gli spunti creativi per la costruzione di brochure, gadget e stand allestiti, il gruppo ha implementato uno strumento qualitativo da somministrare ai dipendenti, che consiste in una serie di spunti verbali da cui partire per un brainstorming guidato, presentati attraverso le slides in Fig. 18- Slides gruppo C Anche qui, in un certo senso, il gruppo utilizzerà la tecnica proiettiva, stimolando i dipendenti ad esprimere le loro idee in maniera immediata ed emozionale. Fig. 18- Slides gruppo C

Fonte interna Ferrero HR

Se dovessi raffigurare l’azienda Ferrero con un gioco…

• a cosa penseresti? • Perché hai pensato proprio a quel

gioco? • Potrebbe rappresentare un gadget

da distribuire nel job meeting?

• Di che forma sono?• Di che colore sono? • Riportano lo stesso stile dello

stand?• Cosa risalta di più: l’immagine o il

testo?• Dal contenuto è possibile risalire a

valori e cultura aziendali?

Nello stand sono presenti delle Brochure…

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Le slides chiedono al dipendente di immaginare di trovarsi in un contesto dove la comunicazione employer sarà la protagonista, al fine di individuare quelli che sono gli elementi capaci di emozionare il target, attraverso la differenziazione e l’evocazione dei valori Ferrero. Attraverso l’esplicitazione di quello che per i dipendenti può essere “lo stand ideale”, gli studenti possono rilevare, infatti, il tipo di informazioni da trasmettere al target dei neolaureati. Grazie a questa modalità, probabilmente la campagna di comunicazione andrà a colpire lo stesso target di soggetti che hanno valori e asset corrispondenti a quelli che Ferrero possiede, realizzando già dalla fase di selezione un fit perfetto. Gruppo D: Valutazione della campagna La fase di valutazione della campagna, messa a punto dal Gruppo D, consiste nella creazione di strumenti che consentano di stabilire se le promesse fatte dall’azienda ai dipendenti in sede di selezione, sono poi state mantenute nel corso del tempo. In particolare, è necessario indagare se i contenuti valoriali che emergono dalla realizzazione prima e dalla diffusione poi, della campagna di recruiting, sono coerenti con ciò che i neoassunti hanno trovato in Ferrero. Il gruppo si occuperà dell’analisi dei dati alla fine della visita aziendale e lavorerà con due dipendenti, somministrando il Questionario- coerenza organizzativa creato dal Gruppo Driver (Gruppo A). 4.7.2 Studenti e dipendenti: quale immagine employer per Ferrero? Le date in cui gli studenti, lo staff di ContattoLavoro e di UniromaTvNetwork sono stati ospiti della Ferrero sono il 12/13/14 febbraio 2008. Tutti i lavori fatti in Piemonte, sono stati video ripresi da UniromatvNetwork, con lo scopo di creare pillole di comunicazione da diffondere sul web, tranne la visita allo stabilimento, dove non era consentito accedere con le video camere. L’intero lavoro è stato seguito dalla Responsabile Sviluppo e Organizzazione Ferrero. Presso la sede, alla presentazione individuale tra gli studenti e la Responsabile Sviluppo e Organizzazione, è seguito un de briefing generale su quello che la Ferrero si aspetta dagli studenti della Sapienza. La Responsabile ha parlato del fatto che per la prima volta l’azienda, da sempre riservata e tradizionalista, si affaccia al mondo dell’employer branding aspettandosi che il target stesso indichi la direzione da intraprendere. Inoltre ha più volte sottolineato come non sia affatto facile questo tipo di operazione, in quanto presuppone un cambiamento culturale non indifferente all’interno dell’azienda. La strada da intraprendere sarà quella di costruire la campagna per attrarre gli studenti migliori tenendo presente l’ottica tradizionalista dell’azienda. Le opzioni che gli studenti hanno davanti sono quindi due:

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a) Costruire una campagna in linea con l’impronta tradizionalista b) Costruire una campagna che sia innovativa ma rompa gli schemi, pur continuando a

rispettarli Come si potrà evincere andando avanti con il testo, gli studenti non hanno disdegnato nessuna delle due opzioni, offrendo all’azienda la possibilità di scelta sullo stile comunicativo da intraprendere. D’altra parte, nello sviluppo di una strategia di employer branding, non tutto può essere mutuato dal prodotto, e la identità di prodotto può anche essere diversificata rispetto all’identità employer, pur essendone parte integrante e imprescindibile. Lo scopo, infatti, non è pubblicizzare il prodotto, ma l’azienda come miglior luogo di lavoro per i talenti. Già questo primo incontro ha dato modo agli studenti di iniziare a conoscere l’azienda e i suoi modelli valoriali di riferimento. Durante la visita allo stabilimento produttivo, gli studenti hanno avuto modo di osservare da vicino come nasce un prodotto Ferrero e anche di conoscere e approfondire il rapporti che i dipendenti più anziani vivono con l’azienda. Lungo il percorso, su una superficie di 155.500 mq, sono stati accompagnati da un ex dipendente Ferrero in pensione, che meglio di chiunque altro poteva raccontare loro la nascita e l’evoluzione dell’azienda. Durante l’iter, oltre che descrivere per intero come nascono i prodotti, a partire dalla provenienza delle materie prime, fino ad arrivare al prodotto finito, la guida ha raccontato vari aneddoti, utilizzati poi dagli studenti come spunti di riferimento per creare la campagna employer. La tappa successiva è stata la Fondazione Ferrero, gestita dalla signora Maria Franca, moglie di Michele Ferrero, e dagli anziani dipendenti in pensione. La Fondazione, con i suoi numerosi laboratori, permette di coltivare svariati hobby, dallo sport alla pittura, all’artigianato e trova espressione nel motto che appare più volte al suo interno: “Lavorare, creare, donare”. L’attività della Fondazione, infatti, non ha scopo di lucro ma di beneficenza e gli anziani che vi lavorano, hanno detto più volte, di trovare in essa un motivo per continuare a essere attivi nella società. Ferrero rappresenta, così, il luogo di lavoro ideale e luogo di divertimento e svago, un modo per fare responsabilità sociale attivamente. Gli anziani hanno raccontato agli studenti aneddoti e pezzi di storia dell’azienda, come l’alluvione del 1994, che li ha visti protagonisti in prima persona per permettere all’azienda di riprendere le normali attività dopo solo 15 giorni. Anche questo, ovviamente, rappresenta un ottimo momento per raccogliere spunti e riflessioni, il racconto di storie significative da parte dei dipendenti. Gli studenti durante la giornata hanno avuto modo di appurare il rapporto esistente tra gli employees e l’azienda, raccogliendo un bagaglio di frasi, immagini, racconti, aneddoti sicuramente utili al loro lavoro sull’employer branding. E’ infatti essenziale capire il rapporto che l’azienda ha instaurato con i vecchi dipendenti per poter toccare con mano lo

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spirito che contraddistingue chi ha lavorato e chi oggi lavora in Ferrero. Mettere a confronto il modo di vivere l’azienda da parte di vecchie e nuove generazioni, sarà utile agli studenti per mettere a punto una campagna di comunicazione che tenga conto da una parte dei valori della “Ferrero tradizionale”, dal’altra dei valori della “Ferrero Giovane”. La mattina del 13 febbraio tra gli studenti e i dipendenti Ferrero, c’ è stata la reciproca presentazione. Due studenti del gruppo hanno esposto, creando un’atmosfera interattiva, il progetto ai dipendenti, con una presentazione power point preparata insieme al docente in ContattoLavoro. C’è stato dunque modo, anche per i dipendenti meno avvezzi alla materia, di parlare di cosa sia l’employer branding e del progetto Sapienza e di come gli studenti avessero lavorato finora. Dopo lo scambio di idee all’interno del macro gruppo, si sono creati i 4 gruppi di 4 studenti e 2 dipendenti, ciascuno dei quali ha avuto a disposizione una sala attrezzata dove lavorare. Il cameraman e il docente si alternavano con la loro presenza tra i vari gruppi per riprendere in ogni momento la nascita delle idee nate proprio dallo scambio tra dipendenti e studenti. Verranno ora esposti i risultati raggiunti da ogni singolo gruppo, inerenti all’area riferita all’obiettivo. I risultati relativi al Questionario- coerenza organizzativa, somministrato da tutti i gruppi a tutti i dipendenti, verranno presentati alla fine in maniera aggregata per i quattro gruppi. Gruppo A e D: Driver e Valutazione Il lavoro dei due gruppi viene esposto contemporaneamente poiché entrambi hanno somministrato il “Questionario – asset” e ne analizzeranno le risposte insieme. Il gruppo A e D hanno somministrato il questionario ai dipendenti Soremartec e Operation. L’idea che sta alla base di questo primo lavoro è quella di verificare l’esistenza di una possibile congruenza tra ciò che Ferrero comunica come prodotto e ciò che potrebbe comunicare dal punto di vista dell’Employer Branding. Tuttavia, per brevità espositiva, non si riportano i singoli risultati del questionario. Si è deciso di riportare, invece, le associazioni che i dipendenti hanno fatto in merito ai prodotti, guidati in un focus group dalle slides che il Gruppo Driver ha prodotto. Come detto precedentemente, è stata utilizzata la tecnica proiettiva che, per sua natura, ha consentito ai dipendenti di esprimere appieno le proprie percezioni circa gli aggettivi associabili ai prodotti. Aggettivi che tra l’altro, nella maggior parte dei casi, sono riferibili a valori che spesso in letteratura fanno riferimento al mondo organizzativo. I prodotti indicati sono, in ordine, Nutella, Opera, Gran Soleil, Kinder cioccolato, Kinder Brioss, Mon cheri, Ferrero Rocher, Tic Tac, Kinder Sorpresa. La chiave di lettura è che seppur le descrizioni sono relative ai prodotti, esse potranno essere applicate all’employer branding, realizzando il passaggio che vede il Product Brand componente fondamentale dell’ Employer Brand. La Fig. 19- Associazioni con il prodotto- mostra i risultati del focus group.

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Fig. 19-Associazioni con il prodotto

Fonte interna Ferrero Hr

I prodotti che Ferrero ha attualmente sul mercato sono circa cinquanta. Appare ovvio come si sia dovuta operare una selezione da parte dell’azienda dei prodotti da utilizzare durante il focus group. La scelta ha riguardato prodotti tradizionali, come Nutella che da soli sono in grado di rappresentare l’azienda, ma anche prodotti nuovi come Gran Soleil. Tradizione e innovazione è il file rouge che percorre l’azienda e le associazioni che i dipendenti vi hanno effettuato. Volendo effettuare un’analisi, certamente sommaria, e riassumere le

Innovazione, qualità, storia, tradizione

Classico, creativo,eleganza, maschile,qualità, raffinatezza, sperimentazione

Innovazione, nazionalismo/italianità, sfida

Familiarità, fiducia, mito, rassicurazione, salute, storia,tradizione

Classicità, continuità, freschezza, sobrietà,tradizione

Attenzione ai particolari, continuità, distinzione,eccellenza, inimitabilità, tradizione

Accessibilità, differenziazione, energia, freschezza,gioventù, innovazione, versatilità

Aggregazione, energia, italianità, quotidianità,tradizione, velocità

Allegria, attenzione per gli altri,felicità, gioia, mito, potenza delle idee, sorpresa

Amicizia, crescita, collaborazione, genuinità,italianità/nazionalismo, scrupolosità, tradizione

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associazioni emerse, lei principali sono proprio relative a queste due macroaree del vecchio e del nuovo, del consolidato e della sfida. Sarà questo il segreto del successo dei prodotti Ferrero? Potrebbe essere questa la chiave per la comunicazione dell’employer brand?

Gruppo B: Media Planning Il gruppo Media Planning ha impostato il lavoro in modo da intervistare separatamente i due dipendenti della Bussiness Unit per quanto riguarda la parte anagrafica, e procedere poi con entrambi sulla parte strettamente attinente al media planning. Obiettivo del gruppo era ricostruire come il candidato è entrato in contatto con l’azienda, ossia l’iter di scelta e le metodologie utilizzate per ricercare lavoro da parte dei talenti interni, che hanno scelto Ferrero. L’eterogeneità delle opinioni dei dipendenti sugli stessi temi, ha fatto emergere degli spunti interessanti per il lavoro che gli studenti dovranno affrontare tornati a Roma. Ecco le risposte date dai dipendenti per ogni area indagata: Canali I canali che i dipendenti suggeriscono per la comunicazione sono di tipo non convenzionale e svincolati dalla comunicazione classica: eventi nelle piazze, brochure, distribuzione mirata dei prodotti. Anche i canali più tradizionali potrebbero essere utilizzati, in maniera non banale: dalle maggiori testate stampa della città di Torino (dove Ferrero ha la sede) alle radio con target universitario. L’idea dei due dipendenti è comunque, legata al prodotto: va valorizzata la forza del prodotto/mito per attrarre i talenti. Allo stesso tempo viene suggerita l’idea del marketing virale, che riesca a convogliare i curriculum più brillanti sul sito www.ferrerocareers.com, ancora poco conosciuto secondo i dipendenti. L’efficacia del canale da utilizzare, infine, potrebbe essere poi valutata facendo una stima del numero di curriculum ricevuti e della loro qualità. Contenuti del job posting Secondo i dipendenti il job posting non dovrebbe emozionare, poiché chi sceglie di inviare il proprio curriculum a Ferrero vi è già interessato. È importante sottolineare però, le possibilità di formazione e di mobilità internazionale che l’azienda garantisce. La variante discriminante dovrebbe essere la conoscenza della lingua del Paese in cui si andrà ad operare se la posizione da ricoprire è all’estero, oltre che l’ottima conoscenza di italiano e inglese. Il job posting, non dovrebbe essere redatto facendo riferimento alla tradizione ma bisognerebbe puntare sull’appealing dei prodotti più nuovi, sulla creatività e la libertà che dà l’azienda . Bisognerebbe inoltre trasmettere la sicurezza che Ferrero offre in termini contrattuali e non per ultimo il senso di appartenenza che si respira nell’azienda e lega tutti i dipendenti, senza riferimenti gerarchici. Nel job posting, andrebbero enfatizzate le caratteristiche del candidato ideale: entusiasmo prima di tutto, profili di laurea diversificati, ottimo voto di laurea, attaccamento al lavoro (con il rimando all’esempio di Michele

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Ferrero)28. Infine, da evidenziare con forza che lavorare in Ferrero significa lavorare in un’élite, dove si fanno nascere dei prodotti mito. Anche qui i riferimenti a tradizione e innovazione sembrano essere le linee guida. Contenuti di un Redazionale Secondo i dipendenti coinvolti sarebbe utile pubblicare dei redazionali sul tema dell’employer branding (su testate ad hoc), che contengano oltre che informazioni sul prodotto in tutte le sue fasi, anche riferimenti alla presenza da leader sui mercati esteri e l’attaccamento dei dipendenti nei confronti dell’azienda. I portavoce dell’azienda dovrebbero essere “papà e mamma del prodotto”, ossia Soremartec, che è l’azienda del gruppo che si occupa dello sviluppo di nuovi prodotti. Nello stesso tempo, dovrebbe essere data l’opportunità di parlare della propria azienda a tutti i dipendenti, ognuno dei quali a diversi livelli vive il prodotto. Redazionale sul Progetto Sapienza Parlare dell’attenzione dell’azienda verso le Università dando risalto a progetti come quello svolto con gli studenti della Sapienza rientra in uno dei temi possibili da divulgare attraverso un redazionale. Quando si parla di employer branding i canali mediatici non sono- o non sono soltanto- quelli classici, di massa. Al contrario, l’idea è quella di proporre diverse soluzioni redazionali da utilizzare anche nei nuovi spazi di comunicazione offerti dal web 2.0. Il progetto realizzato dagli studenti, dovrebbe essere comunicato quindi sui giornali, le rubriche di approfondimento, ma anche su Internet, sui media “alternativi” e negli specifici programmi tv. Esso andrebbe raffigurato come progetto molto innovativo che coinvolge l’Università, con una comunicazione che non punterà solo sul prodotto, ma a questo proposito sull’innovazione nel recruiting dei talenti, inserendo magari dei video multimediali. I contenuti di questa comunicazione dovrebbero vertere sulla visita fatta dagli studenti in azienda da paragonare all’innovazione di alcuni prodotti che continuano a mantenere la tradizione. Tradizione che dovrebbe essere mantenuta anche nel nome da dare al progetto, che deve comunque puntare all’innovazione.

28 A tal proposito, la figura del proprietario del Gruppo Ferrero viene percepita in maniera molto diversa dai giovani rispetto ai dipendenti ormai in pensione, incontrati dagli studenti nella Fondazione. Mentre questi ultimi lo percepiscono come molto vicino,una persona famigliare, semplice, che saluta tutti e si ferma davanti alla Madonnina di Lourdes posta sempre nei punti di aggregazione, per i giovani è diverso. Pur chiamandolo anch’ essi, semplicemente, “Il signor Michele” non lo percepiscono in maniera così vicina, ma come il proprietario (spesso mai visto) del Gruppo. Probabilmente, la diversa collocazione storica e sociale in cui le due fasce di dipendenti si collocavano al momento dell’assunzione, gioca molto nell’attribuzione di senso: il proprietario industriale che aiuta il territorio a crescere da una parte, il proprietario del quarto gruppo dolciario al mondo in cui si ha il merito di lavorare, dall’altra.

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Gruppo C: costruzione degli strumenti di comunicazione Il gruppo cartaceo aveva l’obiettivo di collaborare con i dipendenti Mpg/ Publiregia per la realizzazione degli spunti creativi per la campagna. Insieme, studenti e dipendenti, hanno fatto un brainstorming, da cui sono emerse le principali idee che poi hanno guidato nella costruzione vera e propria della campagna. Anche questi dipendenti hanno indicato in tradizione e innovazione i valori che meglio rappresentano Ferrero e i suoi prodotti. Il brainstorming con i dipendenti, ha stimolato gli studenti a concepire nuove idee, guidati dalle slides riportate in precedenza. Fine dei lavori in Piemonte La giornata si è conclusa con un confronto tra i quattro gruppi e gli otto dipendenti, sotto forma di un brainstorming da cui è nato il claim che guiderà gli studenti nella produzione della campagna di comunicazione. I concetti che secondo studenti e dipendenti devono essere trasmessi al target dei talenti e rappresentano Ferrero come employer sono in primis l’internazionalità e l’innovazione. Tutto questo senza dimenticare la tradizione e i principi Ferrero, uniti al dinamismo che si respira in tutte le aziende del Gruppo. Aziende in cui l’italiano è la lingua che tutti devono conoscere, perché non bisogna dimenticare che Ferrero è un’azienda italiana, una delle poche che è in grado di rappresentare il Paese dall’Europa all’Africa, dall’America all’Asia, scegliendo di operare sempre in maniera glocale. Ferrero è dunque un mondo, il mondo in cui tutti parlano la stessa lingua: quella dei valori e delle persone che lo hanno reso tale. Da qui, la nascita del claim “Tutto il mondo parla Ferrero” che guiderà gli studenti nella realizzazione della Ferrero employer image. Nel prossimo paragrafo verranno descritti nel dettaglio gli strumenti di comunicazione creati dagli studenti. 4.7.3 Le idee diventano strumenti: Ferrero employer image Tutto quanto descritto finora, servirà da linea guida per la comprensione degli strumenti che gli studenti hanno prodotto dopo la visita in Piemonte. Le idee sorte durante il brainstorming guidato con i dipendenti e i contenuti espressi nelle story board, hanno delineato degli scenari per la creazione di stand per fiere del lavoro, brochure e gadget da distribuire al target di interesse. I risultati prodotti dalle interviste e dai focus group sono ad uso esclusivo dell’azienda, per cui non è stato possibile divulgarli per questo lavoro, che analizza però nel dettaglio il risultato applicativo della collaborazione tra le due parti. Da questa collaborazione sono nate due linee di comunicazione con cui Ferrero presenta al target la propria identità employer. Esse partono da gadget, brochure e stand con cui l’azienda potrà presentarsi alle fiere del lavoro e rappresentano a tutti gli effetti la base per la nascita di una campagna di comunicazione. Come insegna la metodologia della co- costruzione, gli studenti hanno traslato i frutti delle attività connotate insieme ai dipendenti

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nelle idee di realizzazione della campagna, in una logica di marketing esperienziale. Nessuna scelta grafica quindi, è casuale ma tutte sono in qualche modo dettate dagli spunti raccolti: ogni studente ha interpretato e vissuto in maniera personale la visita in azienda, trasferendo le proprie emozioni e conoscenze nelle creazioni grafiche. Rientrati a Roma, gli studenti hanno ricomposto i gruppi di lavoro, incontrandosi nella sede ContattoLavoro. I gruppi Driver e Valutazione, hanno lavorato insieme procedendo contemporaneamente all’analisi delle frequenze nelle risposte ai due questionari. Il gruppo Media Planning, tenendo in considerazione le risposte dei dipendenti ha completato il piano media; il gruppo Costruzione degli strumenti di comunicazione ha dato vita ad una serie di idee creative, partendo dagli spunti delle due story board e dall’intervista con i dipendenti. Da sottolineare, come in questa seconda fase, tuttavia, i gruppi non abbiano lavorato separatamente ma hanno raggiunto l’obiettivo finale attraverso una forte collaborazione intergruppo. Questa infatti, è l’ultima fase del lavoro per gli studenti e le loro energie e conoscenze devono essere convogliate per il raggiungimento dell’obiettivo, che è costruire l’immagine di Ferrero come best employer per il target a cui si rivolge. La società di consulenza ha avuto il ruolo di coordinatore qui, come nelle sezioni precedenti, ma tutto ciò che è stato prodotto deriva dalla sinergia dei tre protagonisti del processo di co- costruzione: dipendenti Ferrero, studenti Sapienza e ContattoLavoro. Gli studenti hanno dato vita a due differenti linee di comunicazione tra cui l’azienda potrà scegliere, l’una centrata sul prodotto (Product Identity), l’altra sul marchio Ferrero, nell’ottica Corporate Identity. Entrambe seguono il claim “Tutto il mondo parla Ferrero”. Il compito degli studenti è stato quello di proporre dei contenuti che riescano a conciliare da una parte le idee espresse dai dipendenti (da cui è emerso il suggerimento circa l’utilizzo del prodotto nella creazione del messaggio employer), dall’altra quello di tener conto del briefing con la Responsabile Gestione e Sviluppo. La Bussiness Unit Italia, nel briefing ad Alba, ha chiaramente manifestato la volontà di una comunicazione che riesca anche ad allontanare dal tradizionalismo aziendale, e dal prodotto; per questo motivo gli studenti hanno pensato alla realizzazione di una linea comunicativa senza il l’utilizzo di quest’ultimo. Intrinseco al modo di procedere, e suo file rouge, il loro punto di vista di studenti/consulenti/target che è ciò che caratterizza l’intero lavoro. La linea comunicatica Corporate Identity gira invece intorno al tema dell’internazionalità e del Mondo, riprendendo il layout e i colori del sito www.ferrerocareers.com (bianco e oro). Questa è la parte che Ferrero Italia sicuramente ha comunicato di meno nella sua storia, ma che è molto viva in azienda, nel percepito dei dipendenti. L’internazionalità, d’altronde è una caratteristica che gli studenti hanno percepito chiaramente durante la visita in Piemonte, ed è un asset che non può che essere presente d’altronde, in un’azienda multinazionale presente in centodieci Paesi nel mondo.

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Si ricorda che quello che ha guidato entrambe le produzioni è il claim, “Tutto il mondo parla Ferrero”. Nel dettaglio si analizzerà ora la linea comunicativa Product identity. Essa è stata concepita dagli studenti partendo dai colori e dalla forme Ferrero: il rosso del layout Kinder e il marrone del cioccolato, l’arancione del packaging di alcuni prodotti (es. la merendina Fiesta, la pralina Pocket Coffee), la forma curvilinea delle uova e delle praline. Questo tipo di comunicazione, si riferisce molto all’immaginario infantile di Ferrero, quello legato al mito dei prodotti Kinder. La tradizione e l’innovazione nella linea Kinder sono più che mai presenti: nell’immaginario di tutti, i prodotti Kinder sono legati alla tradizione, ma pochi sanno che rappresentano un’innovazione, come dimostra per esempio il Kinder Sorpresa che ha creato un mercato, quello dell’uovo di Pasqua tutto l’anno che prima non esisteva. D’altronde gli stessi dipendenti hanno associato ai prodotti Kinder: famigliarità, fiducia, tradizione: sono troppo giovani per ricordarsi il periodo in cui i prodotti Kinder non esistevano. Ma come trasmettere questa tradizione e innovazione? Facendo sì che la parte product del brand entri nella parte di comunicazione employer senza invaderla e non dimenticando di sottolineare l’innovazione. La forza del marchio in questo caso, aiuta solo nell’inserire Ferrero come brand affermato (tradizione) ma non come innovativo. Ed è qui che entra in scena l’esperienza che gli studenti hanno vissuto con l’azienda: in una logica di marketing esperienziale, i valori dell’innovazione e della tradizione sono rappresentati nelle brochure e nello stand ideati, a rappresentanza del fatto che Ferrero è tradizionale, ma in essa si respira innovazione anche solo dall’approccio che ha adottato per creare la campagna employer branding. Gli studenti hanno, dunque, presentato diverse proposte per la linea Product Identity. Nel dettaglio, due layout per le brochure, un render per uno stand e due layout per la cartellonistica. In questa sede è stato dato loro un nome a scopo semplificativo. La brochure “Tutto il mondo parla Ferrero: All the world speak Ferrero, Todo el mundo ablas Ferrero…” (Fig. 20- “Tutto il mondo parla Ferrero: All the world speak Ferrero, Todo el mundo ablas Ferrero…”) si presenta con due alette che, aprendosi, mostra la realtà lavorativa dell’azienda attraverso le parole che meglio ne descrivono il clima secondo studenti e dipendenti: solo chi lavora in Ferrero e ha quindi le caratteristiche che l’azienda ricerca può avere accesso a un mondo fatto di innovazione, valori e tradizione, dove la carriera internazionale è un must, che il layout esprime attraverso le diverse lingue con cui è tradotta la frase “Tutto il mondo parla Ferrero”. Ciò a dimostrare che il linguaggio è unico, quella dei valori e della ferrerità ma si esprime nelle lingue di tutto il mondo. Non poteva mancare, infine, il rimando al sito internet www.ferrerocareers.com, un’area molto importante quando si parla di employer branding; esso è diverso dal sito web istituzionale dove l’azienda presenta i propri prodotti perché è riferito esclusivamente al recruiting e come tale va enfatizzato nella comunicazione. Con le alette chiuse, la brochure mostra i volti di giovani sorridenti e dinamici, con cui i talenti potrebbero identificarsi, quando le alette si aprono la brochure mostra i valori dell’azienda e la sua dimensione internazionale.

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Il gesto di aprire le alette rende protagonista la persona della scoperta di ciò che si nasconde dietro di esse: il riferimento alla sorpresa è tipico del mondo Ferrero e può essere ben traslato all’universo employer branding. Il prodotto a cui gli studenti hanno fatto riferimento per produrre il layout è il Pocket Coffee, scelto per il connubio che garantisce tra dinamismo, vitalità e al contempo tradizione: il caffè, simbolo dell’italianità si unisce al cioccolato per offrire al consumatore il gusto di un prodotto nuovo e simbolo di “velocità” come hanno riportato i dipendenti durante il focus di cui sopra. Allo stesso tempo al candidato ideale, per Ferrero è richiesto di essere brillante, curioso del mondo, e sveglio, che si affaccia senza timore ed è pronto ad accogliere le sfide e le opportunità che l’azienda gli offre con lo stesso sprint che caratterizza Pocket Coffee, il cui playoff è “La carica del caffè e l’energia del cioccolato”29, dunque la carica e l’energia richieste al candidato nel lavorare in Ferrero. Fig. 20- Tutto il mondo parla Ferrero: All the world speak Ferrero, Todo el mundo ablas Ferrero…

29 www.ferrero.it

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L’altra brochure della linea comunicativa Product Identity, “Ferrero, deliziosa…mente in te” (Fig. 21- Ferrero, deliziosa…mente in te) fà riferimento esplicito al mondo del cioccolato e dei prodotti Ferrero (in particolare in questo caso la merendina Fiesta) attraverso il colore marrone e rosso del Kinder. Anche qui il candidato è chiamato in prima persona ad intervenire in doppia maniera. Innanzitutto, deve aprire la brochure, per scoprire ciò che si nasconde nel mondo Ferrero, ossia l’employer branding promise aziendale; una volta aperta la brochure, è invitato a interpretare il gioco di parole “deliziosa…mente in te” che rimanda almeno a due significati. Da una parte invita il candidato a pensare alla Ferrero consueta, come tutti la conoscono in termini di prodotto, come “deliziosa”. Dall’altra parte i puntini di sospensione tra “deliziosa” e “mente” aprono lo scenario all’interpretazione di una Ferrero che entra in maniera deliziosa nella mente di chi apre la brochure (il candidato target) come employer: “mente”, quindi stimolo alla creatività e al mettersi in gioco come consumatore del prodotto/lavoro. Oltre che al colore, il rimando è verso un prodotto Ferrero particolare, la merendina Fiesta, che si rivolge presumibilmente ad un target adulto e non infantile, data la natura degli ingredienti. Al pari di Pocket Coffee essa rimanda ai concetti di energia e carica, ma anche piacere e gusto con il payoff che la caratterizza “Nutre con piacere”. Anche qui l’apertura della brochure porta a scoprire il mondo Ferrero e ovviamente, il riferimento al sito web per le candidature. La frase “deliziosa…mente in te” gioca sull’allusione dei riferimenti al

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prodotto “delizioso” che entra nella “…mente” del consumatore, così come succederebbe all’azienda nei confronti del candidato. Inoltre la brochure riproduce la forma di un morso, presupponendo ulteriormente il coinvolgimento del candidato, invitato quasi a “dare un morso” per assaporare con gusto il lavoro in Ferrero. Fig. 21- Ferrero, deliziosa…mente in te

Per quanto lo stand della linea Product Identity, lo stand “Prodotto- employer ” (Fig. 22- Prodotto- employer), l’immagine dello stand pensato per le fiere del lavoro, ha la forma tondeggiante e richiama in molti dei suoi elementi, il prodotto Kinder Sorpresa. In primis per il colore predominante, che è il rosso e poi per l’elemento sorpresa in sé con cui il visitatore è chiamato a confrontarsi. Sempre in una logica di marketing esperienziale, gli studenti hanno riportato nello stand il percorso che loro stessi hanno compiuto in azienda,

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esplorandone la cultura e scoprendone gli asset e i valori. Colui che si trova davanti allo stand, è incuriosito dalle forme e dall’organizzazione dello spazio, peraltro insolito rispetto agli stand con cui si presentano comunemente le aziende, ed è quindi spinto ad entrare. Dopo aver “varcato” la soglia e superato il gradino con la scritta Ferrero, gli si apre un mondo di possibilità! Il banco desk è stato immaginato per l’accoglienza da parte di un rappresentante dell’azienda che, dà le informazioni richieste circa le possibilità di carriera. Se il candidato dopo un primo colloquio sembra corrispondere al profilo cercato da Ferrero, lo si invita a lasciare un video curriculum in una cabina apposita; in alternativa può lasciare nell’urna il curriculum cartaceo. Inoltre ai visitatori saranno distribuiti brochure e prodotti, immancabili, in uno stand che si ispira al prodotto. Posti in uno scaffale, essi sono presenti pur non invadendo lo spazio per non dimenticare infatti, che il prodotto può essere elemento dell’employer image, ma non dev’essere il protagonista. Protagonista qui è la comunicazione dell’azienda, dei suoi valori e dei motivi per cui un talento dovrebbe sceglier di lavorare in Ferrero. L’armonia del tondo, i colori vivaci, l’innovatività rappresentata dall’utilizzo della tecnologia per il video curriculum, la tradizione di prodotti consolidati in un’azienda che ne reinventa costantemente, è così che entrambi si compenetrano nello stand. La forza non è puntare sui prodotti, peraltro conosciuti e poco bisognosi di pubblicizzazione, ma utilizzarli per comunicare con altrettanta efficacia come l’azienda che li ha creati e ne inventa sempre di nuovi abbia bisogno, per farlo, di giovani e brillanti potenziali a cui è disposta a garantire lo stesso successo dei prodotti, in termini ovviamente di prodotto/ lavoro. Fig. 22- Prodotto- employer

Desk reception Video cv Scaffale prodotti

Urna cv

Desk reception Video cv Scaffale prodotti

Urna cv

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Si passa ora all’altra linea di comunicazione, la Corporate Identity. In questo tipo di comunicazione, gli studenti hanno voluto mettere da parte il prodotto, pur tenendolo presente ovviamente nell’ideazione della comunicazione. Essendo, come più volte ribadito, il product brand un elemento costituente l’employer branding, è inevitabile fare riferimenti anche impliciti ad esso, se non altro per evitare di creare una employer image che non sia coerente con il resto della comunicazione trasmessa dall’azienda. Anche qui, l’approccio utilizzato in prevalenza è stato quello del marketing esperienziale e più che nella comunicazione Product Identity, il gruppo di lavoro ha tenuto presente l’esperienza fatta in Piemonte come linea guida per l’azione. Innanzitutto, il claim “Tutto il mondo parla Ferrero” diventa protagonista sia nell’ideazione dello stand che per i layout della brochure. A differenza che nella comunicazione Product Identity, qui c’è un’unica brochure coordinata con lo stand. Per quanto riguarda il layout della brochure “Tutto il mondo parla Ferrero” (Fig.23- Tutto il mondo parla Ferrero) mostra la brochure esso è incentrato sulla frase “Tutto il Mondo parla Ferrero” con protagonista l’immagine del mondo oltre che la frase, elementi che già da soli sono in grado di incuriosire il candidato e rappresentare l’internazionalità della lingua che si parla in Ferrero. A rafforzare tutto ciò, nel retro della brochure, le immagine di giovani di diverse nazionalità, con cui il potenziale candidato può identificarsi, come sfondo alla descrizione del mondo Ferrero. L’azienda si rivolge al candidato in prima persona, invitandolo a scoprire chi è Ferrero e cosa lo attenderà una volta intrapresa la carriera che la multinazionale offre ai propri talenti. I colori predominanti qui non riguardano più il prodotto, ma il sito internet www.ferrerocareers.com, quindi sono il bianco e l’oro. L’essenzialità del bianco, la brillantezza dell’oro, e lo sguardo dei giovani rappresentati, sono in grado di raffigurare un’azienda innovativa e che guarda al futuro, forte del proprio successo in tutto il mondo.

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Fig. 23- Tutto il mondo parla Ferrero

Lo stand “I cinque sensi” (Fig. 24- I cinque sensi) nasce con la volontà di far percorrere al candidato durante le fiere del lavoro, le stesse emozioni e lo stesso percorso virtuale che gli studenti hanno compiuto metaforicamente durante la visita in azienda. L’idea su cui esso è improntato, infatti, è quella di un percorso polisensoriale che riesca a soddisfare i cinque sensi, come da paradigma di marketing esperienziale. Un’azienda come Ferrero ben si presta a questo tipo di comunicazione; i suoi prodotti, infatti, richiamano nella mente di

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tutti profumi, sapori, immagini, musiche e sensazioni che riportano spesso all’infanzia (con la linea Kinder) ma non solo. Oltre a questa che possiamo chiamare “dimensione della tradizione”, lo stand evoca aspetti relativi al futuro e all’innovazione, sia per il modo con cui è strutturato, che per quello che offre al candidato, come d’altronde fa Ferrero ogni volta che con i suoi prodotti crea nuovi mercati (si pensi ancora una volta a Kinder Sorpresa o al più recente Gran Soleil). Ma come avviene questo percorso? Una volta che il candidato ha scelto di fermarsi allo stand Ferrero, vede tutti i suoi sensi soddisfatti: dopo l’accoglienza da parte di un rappresentante aziendale, ha modo di compiere infatti, il percorso dei cinque sensi. Un video che racconta la storia di Ferrero è proiettato in modo da far conoscere l’azienda, i suoi valori e la sua storia e soddisfare così vista e udito; ai candidati più brillanti, individuati grazie ad un primo colloquio, viene offerta la possibilità di videoregistrare il proprio curriculum. In un’area dello stand appositamente dedicata, in cui lo studente potrà entrare facendosi largo con una banda elastica (metaforicamente facendosi spazio per entrare in azienda), amplificando ulteriormente la sensazione uditiva e visiva, il candidato può raccontare sé stesso e vivere l’esperienza sensoriale in prima persona. Inoltre, gli interessati, possono lasciare il loro curriculum cartaceo in un’urna a forma di mondo: la metafora qui rappresenta il mondo Ferrero che è pronto a ricevere il curriculum del candidato che vuole entrarvi a far parte. A questo punto del percorso, è la volta di gusto e olfatto, con i prodotti Ferrero che vengono offerti ai candidati; in questo modo il prodotto entra nell’immagine employer senza condizionarla eccessivamente. Infine, è la volta del tatto: il candidato è chiamato a lasciare la propria impronta in Ferrero su un pannello attrezzato, gesto con un forte significato metaforico. I colori dello stand sono sempre quelli del bianco e dell’oro, in linea con la brochure “Tutto il mondo parla Ferrero” e quindi con il sito web. Il senso del percorso è altamente metaforico rispetto a ciò che il candidato troverà una volta entrato in Ferrero. Lo stand, infatti, rappresenta un’isola Ferrero fatta di spazi, opportunità, innovazione e curiosità ch trasmette come tutto ciò sia solo un “assaggio” rispetto a quello che lo studente troverà entrando nel mondo lavorativo della multinazionale.

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Fig. 24- I cinque sensi

Area accoglienza

Video istituzionale

Urna per i curriculum

Area video curriculum

Prodotti

Lascia la tua impronta

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Gli studenti hanno infine pensato anche al modo con cui comunicare la campagna employer branding una volta decisa la sua implementazione. Per quanto riguarda la cartellonistica, essa è declinata in due maniere: facendo riferimento esplicito al prodotto, con il riferimento a Kinder da una parte e senza richiami al prodotto dall’altra. Dunque, con la prima linea cartellonistica, denomita qui “Layout Kinder”, si ritorna al mondo Kinder con il richiamo al bianco e al rosso del brand. Si coinvolge il candidato interrogandolo in maniera diretta (Fig. 25- Layout Kinder). “Che Ferrero sarebbe senza di me?” e “Che mondo sarebbe senza di te?” sono i due slogan dei layout. Il primo fa l’occhiolino al dipendente Ferrero, testimonial che porta all’esterno la propria percezione di contribuire attivamente al successo dell’azienda. Si costruisce,così, un’immagine employer sicuramente forte e positiva. Il celebre e ormai mitico slogan “Che mondo sarebbe senza Nutella?”, può essere ben adattato alle esigenze employer branding. Ancora una volta, quindi, il prodotto aiuta a definire la comunicazione employer. Figura 25- Layout Kinder

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L’altra linea scelta per la cartellonistica, “Dolce carriera con Ferrero” (Fig. 26- Dolce carriera con Ferrero) non fa riferimenti al prodotto, e ne fa di velati all’azienda. L’elemento messo in risalto è invece il sito web www.ferrerocareers.com. Gli studenti hanno pensato a questo tipo di comunicazione in prospettiva di una campagna di recruiting dell’azienda, durante la quale è fondamentale che il target sia invitato a candidarsi tramite il sito web. Come è emerso anche dall’indagine dell’Escp- Eap vista in precedenza, esso hasogno di essere ancora pubblicizzato, poiché ancora poco conosciuto. Il punto di partenza è stato il riferimento alla teoria dei lovemarks,30 secondo cui per differenziarsi, oggi, un’azienda deve puntare più che mai sulle emozioni e in maniera esplicita, sull’innamoramento che i suoi prodotti possono suscitare. Il layout “Dolce carriera con Ferrero” ha un forte effetto sorpresa sullo spettatore, per il gioco a cui rinvia la frase “Sei single nel mondo del lavoro?” che è quasi ironico (single vuol dire disoccupato in questo caso, situazione certo non positiva) e predispone la persona all’attesa verso una risposta altrettanto ironica o divertente. La risposta, invece, è più che mai seria- “Scegli un dolce partner”- con il rimando a www.ferrerocareers.com: lasciando intendere che la dolcezza di cui si parla fa’ riferimento soprattutto allo stile di lavoro che l’azienda promuove, a una carriera dolce e che porta lontano, come rappresentato dal furgoncino e che aspetta il single pronto a intraprendere un’avventura (sentimentale?) lavorativa, certamente gratificante e dolce come i prodotti Ferrero. Il tutto è sigillato dal payoff “lavorare con Ferrero” dove la prima “A”di lavorare è sostituita da un cuore, anche questo pozzo di metafore.

30 Roberts, K. (2005). Lovemarks - The Future Beyond Brands. New York, PowerHouse Books.

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Fig. 26- “Dolce carriera con Ferrero”

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Tutto il materiale prodotto dagli studenti, compreso quello che in questa sede non si è illustrato per brevità espositiva, è stato presentato all’azienda che ha mostrato notevole interesse sia per i contributi empirici, che per la metodologia di lavoro che gli studenti hanno utilizzato, tanto da decidere di implementare da subito alcune idee, illustrate nel paragrafo successivo. 4.8 Il futuro dell’EB in Ferrero: il coinvolgimento dei talenti Tutto il materiale prodotto dall’incontro di idee tra dipendenti e studenti è stato messo al vaglio di una commissione interna. Da un’attenta analisi circa la coerenza comunicativa con il brand ufficiale aziendale è stato deciso di adottare il claim “Tutto il mondo parla Ferrero”. La campagna employer branding Ferrero, come più volte si è detto, ha come target il mercato dei talenti, pertanto sono i luoghi frequentati dagli stessi che deve presidiare. Con un azione efficace e tramite gli strumenti adatti (costruiti in questo caso da un campione del target che mira a conquistare), Ferrero sceglie di diffondere il proprio messaggio su canali specifici per l’employer branding, tralasciando quelli di massa. Innanzitutto, sceglie di essere presente nelle Università e nei master primi nei ranking nazionali e internazionali, dove i talenti nascono e si sviluppano; sceglie di esserci nelle fiere del lavoro dove studenti e aziende si incontrano, al fine di costruire la propria notorietà employer ed essere competitiva; infine per divulgare il proprio messaggio fa una lista dei media su cui non può non esserci, perché parlano ai talenti con il loro linguaggio. Proseguendo nel proposito di coinvolgere attivamente il target, l’azienda in seguito al lavoro degli studenti, ha lanciato la propria campagna. Sono stati avviati i contatti con le Università italiane più importanti e le facoltà più prestigiose, al fine di posizionare Ferrero come employer, all’interno di un panorama didattico- formativo. Questo garantisce una scelta strategica in quanto consente all’azienda di collocarsi come punto di riferimento per lo studente, ancora prima che questi termini il suo ciclo di studi. Oltre agli investimenti economici, è necessario abbandonare la logica degli eventi spot che l’azienda ha utilizzato finora. La presenza e la testimonianza di manager ed HR all’interno delle Università, va utilizzata come una leva strategica, rivalutandone l’importanza e rendendola continuativa, soprattutto inserendola in un contesto strutturato e di visione a medio periodo. Agli studenti più meritevoli delle Università con cui Ferrero mantiene rapporti continuativi, vengono già assegnate delle borse di studio e garantita la possibilità di fare uno stage all’interno dell’azienda, nonché delle tesi di laurea. A molte delle aule con cui Ferrero entra in contatto, vengono inoltre assegnati dei company project, non a puro scopo promozionale ma come vere e proprie occasioni per sviluppare strategie che, se efficaci,

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l’azienda utilizzerà. Insomma, Ferrero non si limita a presentazioni autoreferenziali, ma mette in gioco il talento degli studenti, assegnando ai più brillanti tesi, stage e possibilità di conoscere il suo contesto aziendale. Oltre che presente nelle Università e nelle fiere del lavoro, Ferrero nel 2009 sarà supporter di tre squadre al Global Management Challenge (GMC)31 in qualità di Supporter Plus. Il GMC rappresenta il torneo di strategia di impresa più importante al mondo dove squadre di talenti, accuratamente selezionati e provenienti da tutto il mondo, si sfidano attraverso un sofisticato software di business simulation. Per Ferrero gli scopi sono molteplici: farsi conoscere e apprezzare come employer, avere un ritorno di immagine, utilizzare il GMC come momento di recruiting. In questo modo l’azienda opera insieme agli studenti, creando e promuovendo al tempo stesso la propria immagine employer. La presenza alle fiere del lavoro è un momento irrinunciabile per un’azienda come Ferrero, che per essere notata e apparire appeal fra decine di aziende, a centinaia di studenti, deve trasmettere nella maniera migliore il proprio employer branding. Partendo dal concept della linea comunicativa Corporate Identity elaborato dal Gruppo Sapienza, di cui si è diffusamente parlato in precedenza, l’azienda ha creato una linea di comunicazione, mantenendo il claim “Tutto il mondo parla Ferrero” e i colori del sito www.ferrerocareers.com. Per quanto riguarda la brochure, la rappresentazione è quella del mondo, qui composto dalle scritte relative a sito internet per la candidature: un mondo composto da tutti i candidati Ferrero in cui tutti parlano la stessa lingua e dove l’employer branding promise è “un vero talento merita una carriera dal gusto internazionale, in un mondo che parla Ferrero”. Rievocati il mondo, le persone, la carriera internazionale anche nello stand, dove viene mantenuta l’idea del percorso dei cinque sensi e tutto ciò che ne deriva, sebbene, dato lo spazio ristretto che l’azienda ha nelle fiere del lavoro, si siano rivisti alcuni concetti proposti dal gruppo Sapienza. Viene mantenuta l’area del video curriculum, l’urna raccogli curriculum e l’esposizione dei prodotti. Cambia nello stile, ma rimane inalterato il significato, dell’area “lascia la tua impronta”: il candidato lascia un’impronta metaforica, scrivendo un pensiero employer su Ferrero. In Fig.27- Brochure e stand Ferrero vengono illustrati brochure e stand.

31 www.globalmanagementchallenge.it

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Fig. 27- Brochure e stand Ferrero

La realizzazione della campagna di employer branding Ferrero, dunque, è stata avviata partendo dal concept comunicativo che hanno sviluppato insieme studenti e dipendenti.

prodotti

Video cv

Lascia la tua impronta

cv

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Rappresenta già un successo adottare la metodologia nuova della co- costruzione, che rafforza la concezione di Ferrero come azienda aperta alle sfide e capace di creare nuovi mondi, che siano essi prodotti, modi di comunicare, approcci al talento. Le aziende che vogliono costruire o consolidare il loro employer branding, dovrebbero guardare quantomeno con interessa a questa filosofia che consente loro di parlare al target, attraverso le persone di cui esso si compone. D’altra parte anche le Università, riescono con questo metodo, a far fronte alla sempre maggior esigenza da parte degli studenti, di confrontarsi davvero con il mondo del lavoro, così da poter essere competitivi con i colleghi europei. Il supporto irrinunciabile delle società di consulenza, pone queste ultime di fronte a nuove sfide che, se ben accolte e affrontate, garantiranno soluzioni che porteranno il cliente a vincere la competizione nel mercato dei talenti, con un ritorno in termini di fidelizzazione.

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CONCLUSIONI Nel 2002 il libro “La guerra dei talenti” di Michaels et al. (2002) apre la strada a quello che sarà il nuovo modo con cui le Risorse Umane dovranno affrontare il tema del recruiting. In modo particolare, la situazione economica, demografica e sociale che si delinea nell’era della globalizzazione, mette in evidenza la necessità di configurare un sistema nuovo per attrarre e fidelizzare i talenti, ossia le persone che possiedono l’insieme le soft skill necessarie per far raggiungere all’azienda il successo a lungo termine. L’employer branding process si propone, dunque, di strutturare con una serie di fasi l’insieme delle azioni volte ad attrarre e fidelizzare il target, e a fare in modo che la propria azienda venga percepita come migliore luogo di lavoro da una parte e differenziata rispetto ai competitors dall’altra. In particolare i talenti sempre meno presenti sul mercato, sono quelli appartenenti alla così detta generazione X (Amendola, 2008) e i neolaureati di qualità. Le fasi con cui si sviluppa il processo employer branding sono quelle di un qualsiasi processo di marketing: definizione del target, analisi dei competitotors e del proprio posizionamento, costruzione del messaggio, comunicazione del messaggio e valutazione della campagna. Tutto ciò si sviluppa in un mercato parallelo: quello interno, in cui ciò che si cerca di “vendere” non un prodotto o un servizio, ma il prodotto/ lavoro, ossia l’insieme degli asset e dei valori aziendali. Lizzani et al. (2008) propongono un metodo alternativo per la costruzione del messaggio, quello della co- costruzione. Partendo dall’assunto che nessuno meglio di un talento può comunicare ai talenti che sta cercando, l’idea di fondo è quella di coinvolgere tre attori principali del processo di EB: studenti, azienda e società di consulenza. L’approccio che è stato adottato è di tipo integrato e interdisciplinare. Sono infatti le competenze distintive della funzione HR e di quella del Marketing che hanno collaborato insieme nella realizzazione del progetto. Degno di nota questo nuovo approccio che ha, tra gli altri, il merito di avvicinare gli studenti e le aziende, mondi troppo spesso ancora troppo lontani. Questi tre attori sono stati gli autori della campagna di employer branding di una delle multinazionali più importanti nel mercato europeo, la Ferrero, punta d’eccellenza in Affidabilità (la più affidabile in Italia e quarta nel mondo secondo la classifica 2008 del Reputation Institute di New York32) ma con difficoltà nel recruiting e nel far percepire sé stessa nei confronti dei neolaureati, Ferrero sceglie il modello proposto da Lizzani et al. (2008) per costruire la propria strategia di employer branding. Vengono coinvolti gli studenti della Facoltà di Psicologia 2, la società ContattoLavoro e i dipendenti interni all’azienda. Insieme, hanno evidenziato i driver su cui la campagna Ferrero si basa, maturando il concept “Tutto il mondo parla Ferrero” che esprime attraverso una linea di comunicazione integrata i driver Ferrero. L’idea di internazionalità è quella che guida tutta

32 www.reputationinstitute.com

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l’ideazione della campagna, con riferimento nei colori e nei concetti al sito web www.ferrero.careers.com. Il mondo accademico da una parte e quello esperto della consulenza dall’altra, possono dare un grosso contributo nella comprensione e nella strutturazione di campagne di employer branding di successo, dove l’obiettivo non è certamente il recruiting immediato, ma la costruzione di un branding per l’azienda che sappia andare oltre e aldilà dei prodotti o dei servizi. Ferrero, da brand diffuso con prodotti peculiari e unici, azienda famigliare e con una forte tradizione e riservatezza nel comunicare sé stessa, ha colto la sfida, strizzando l’occhio ai talenti affinché costruiscano e divulghino il mondo Ferrero. Per il futuro, oltre che valutare l’andamento del proprio brand nelle survey sul posizionamento del Brand, sarebbe auspicabile un’attenzione verso ciò che il target interno ha percepito dal messaggio veicolato. Per meglio dire, la domanda che la multinazionale dovrà porsi è: ”Tutto il mondo parla Ferrero raggiunge il target che per valori, norme e percezioni si avvicina a Ferrero?”, ai dipendenti neoassunti la risposta. Essi una volta entrati, hanno percepito ciò che la campagna comunicava? E l’azienda in essi, vede le giovani promesse che la porteranno al successo? Una survey che coinvolga target interno ed esterno, che faccia emergere percezioni e aspirazioni, avvicinando le aspirazioni dei candidati ideali per Ferrero ai valori e al mondo che Ferrero offre. Accanto a tutto ciò, è spontaneo chiedersi se i valori comunicati dall’azienda sono in grado di attirare i talenti in grado di portare l’ innovazione necessaria per competere e differenziarsi nel mercato attuale. Ciò che l’azienda ha chiesto agli studenti nell’affidare loro la campagna di employer branding, è proprio di cercare di creare una campagna di comunicazione che comunichi da una parte i valori fondanti dell’azienda, quindi la tradizione, dall’altra l’innovazione nella sperimentazione continua della multinazionale, da sempre in effetti tesa tra i due poli. Se la figura del signor Michele Ferrero, rappresenta tuttora un punto di riferimento all’interno quando si parla di nuove idee in grado di creare nuovi mercati, è evidente il bisogno fisiologico dell’azienda di un ricambio generazionale. Per garantire il miglioramento continuo e il successo di sempre, Ferrero ha sempre agito in un’ottica glocale, nel miglioramento del territorio, in nome della Corporate Social Responsability, prima che questo fosse consigliabile a qualsiasi azienda. Lo testimoniano le numerose iniziative di solidarietà mai proclamate, la Fondazione Ferrero, così come il rispetto e la promozione del territorio di ogni Paese Ferrero. Stupisce che tale coerenza nella glocalità globale nel modo di con cui agisce la multinazionale, non tocchi anche aspetti relativi al recruiting, che la glocalità globale con cui si tratta e presenta il corporate brand non tocchi anche all’employer brand. Quello che avviene oggi è, infatti, il perseguimento da parte di ogni azienda del Gruppo, della propria politica e strategia di employer branding quando essa è presente; ci sono anche Paesi (come l’Italia prima del lavoro esposto in questa tesi) in cui essa manca o è trattata come un momento poco importante nella strategia di business con conseguente fallimento dei processi di recruiting, nell’attraction nella retention. Quello che si dovrebbe prospettare per una multinazionale di tale livello dovrebbe essere, al

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contrario, la promozione di una strategia globale di employer branding, che unisca tutte le aziende del Gruppo nel recruiting dei talenti. L’employer value proposition Ferrero dovrebbe, quindi essere comunicata in maniera coerente in tutto il mondo. Ciò ovviamente presuppone che tutte le aziende del Gruppo abbiano la stessa employer value proposition da comunicare, con gli stessi valori e lo stesso sviluppo da offrire ai talenti; in poche parole che la mission indicata sessant’anni fa dai fondatori, sia oggi applicabile con la stessa intensità alle tematiche employer branding. E’ possibile pensare che finora l’azienda abbia voluto adottare per il recruiting gli stessi criteri di comunicazione del corporate brand, ossia un approccio globalmente glocale, adattato ai diversi Paesi, nel rispetto e nella promozione dei vissuti locali, pur nella maniera in cui lo può fare una multinazionale, ossia senza cadere mai nell’incoerenza della comunicazione. La consapevolezza, tuttavia, sviluppata da Ferrero Italia è che oggi il brand non basta più per attrarre e trattenere i talenti. L’evoluzione del mercato del lavoro in primis e la recente crisi finanziaria più che mai, impongono una strategia di comunicazione unitaria e coerente in termini di attraction e retention dei candidati migliori. Un leitmotiv e che esprima un’employer value proposition valida per i candidati di Bangkok come quelli di New York, e per entrambi la medesima possibilità di candidarsi con lo stesso sistema che, nell’epoca del web 2.0 non può che passare attraverso la rete Internet. Il sito www.ferrerocareers.com è sicuramente un buon inizio, visto che a oggi è il canale d’accesso alle candidature da tutto il mondo. Appare chiaro dall’esempio di Ferrero, come anche una società con un forte brand non sempre abbia una strategia efficace per attrarre i talenti, sempre più rari e per questo più esigenti. Nessuna funzione, se non quella HR, è in grado di raccogliere la sfida e avviare un processo di attraction e retention che porti alla considerazione dei propri collaboratori come risorse preziose, persone a tutto tondo (Covey, 2007) prima che dipendenti. Fino ad ora il ruolo e il merito di plasmare brand che suscitino l’innamoramento del cliente è spettato alla funzione marketing. Oggi, la funzione HR può guidare l’azienda verso la creazione di un employer brand in grado di sedurre i talenti, i quali meritano dei best place to work in grado di coltivare e far crescere le loro potenzialità e di farli innamorare della loro azienda.

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