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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Classe delle Lauree delle Professioni Sanitarie Tecniche
CORSO DI LAUREA TRIENNALE DI
FISIOPATOLOGIA CARDIOCIRCOLATORIA E PERFUSIONE
CARDIOVASCOLARE
Direttore: Chiar.mo Prof. Mario Viganò
CIRCOLAZIONE EXTRA-CORPOREA IN EMERGENZA:
NUOVE PROSPETTIVE
Relatore:
Antonella Degani
Coord. Tecnici Perfusionisti
Tesi di
Cipolla Vanessa
Matr. n. 293223/82
Anno Accademico 2004/2005
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INDICE
INTRODUZIONE
1. EMERGENZE CARDIOLOGICHE
1.a L’IMA
1.b L’ARRESTO CARDIACO
1.c L’EMBOLIA POLMONARE
1.d LO SHOCK CARDIOGENO
2. EMERGENZE TRAUMATICHE
2.a I TRAUMI TORACICI
2.b L’IPOTERMIA
3. LA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE (RCP)
4. I MEZZI DELL’EMERGENZA
4.a IL SOCCORSO SUL TERRITORIO
4.b L’ELISOCCORSO
4.b1 CRITERI PER L’UTILIZZO DELL’ELICOTTERO
4.c TRASPORTI INTRA-OSPEDALIERI URGENTI
5. NUOVE PRESPETTIVE DI RCP: EXTRACORPOREAL CARDIOPULMONARY LIFE
SUPPORT
5.a L’ESPERIENZA MONDIALE
5.b COS’E’ UN ECLS?
6. CONCLUSIONI
7. BIBLIOGRAFIA
8. RINGRAZIAMENTI
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INTRODUZIONE
Recenti stime epidemiologiche indicano che in Italia, ogni anno 160.000 persone sono
colpite da un evento cardiaco acuto di carattere ischemico; a queste vanno aggiunti tutti gli
altri casi rappresentati dall’insufficienza ventricolare sinistra acuta, dall’embolia polmonare,
dalle crisi ipertensive, dalla dissezione aortica, dalle cardiomiopatie primitive e secondarie,
dalle urgenze aritmiche.
Ne deriva che le malattie cardiovascolari sono tra le patologie di più frequente riscontro
nelle urgenze e ancor di più nelle emergenze dei centri DEA dove circa la metà degli
interventi sono effettuati per porre rimedio a patologie acute di quest’ordine.
In tali casi il danneggiamento della funzionalità cardiaca è già in grado di
compromettere le funzioni vitali e quindi si è di fronte a situazioni di immediato pericolo di vita
in assenza di idonei provvedimenti.
L’evento promotore di tale tasso di mortalità è rappresentato dall’Arresto Cardiaco,
fenomeno drammaticamente rilevante, che alla fine del 2002 ha provocato circa 50.000 morti,
di cui circa un terzo presso abitazioni o luoghi di lavoro.
Nonostante il numero di decessi per malattie cardiovascolari in Italia sia diminuito, la
mortalità ad essi legata rimane ancora elevatissima (circa il doppio rispetto ai decessi dovuti a
neoplasie); in particolar modo per quanto riguarda la grossa fetta occupata dalle
coronaropatie, che ancora oggi, rappresentano circa l’80% delle morti improvvise extra-
ospedaliere.
E’ interessante notare, però, come il numero dei decessi per morte improvvisa,
avvenuti sul territorio, è rimasto invariato dagli anni ’60 ad oggi.
Una possibile spiegazione potrebbe trovare riscontro nell’analisi del fattore tempo.
4
Nell’ultimo trentennio, infatti, il miglioramento e l’efficacia delle “terapie”, hanno portato
beneficio in quei casi dove esisteva il margine di tempo sufficiente a raggiungere un
ospedale; ma dove sarebbe stato indispensabile un intervento rianimatorio sul luogo
dell’evento, nulla si è potuto fare per migliorare la sopravvivenza.
In tali casi, infatti, il successo dell’operazione dipende: da un’adeguata gestione del
fattore tempo, dalla qualità delle cure sulla scena e dall’intervallo che intercorre tra evento e
cure definitive.
Un intervento qualificato nelle prime ore aumenta la probabilità dell’utente di rimanere
in vita e ne migliora le condizioni.
Esiste anche un’importante percentuale rappresentata dai traumatizzati, di cui le
urgenze-emergenze toraciche, traumatiche e non, sono entità cliniche di osservazione
piuttosto frequente in un DEA: numerose sono infatti le patologie, i traumi, le complicanze
iatrogene che possono richiedere un trattamento chirurgico e/o rianimatorio d’urgenza.
Nella società moderna i traumi toracici hanno un’incidenza di 10-15 al giorno per
milione di abitanti.
Le cause di morte immediata sono dovute a lesioni del cuore o dei grossi vasi.
Le morti precoci, invece, dall’instabilità cardio-respiratoria dovuta a:
♥ ostruzione delle vie aeree;
♥ pneumotorace iperteso;
♥ tamponamento cardiaco.
Le morti tardive (giorni o settimane dopo il trauma) conseguono principalmente
all’insufficienza respiratoria post-traumatica.
I traumi toracici coinvolgono le strutture che lo compongono e gli organi in esso
contenuti con percentuali di incidenza molto variabile; i quadri clinici, infatti, possono essere
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anche molto complessi perché esiste la possibilità reale che si associno gravi danni di altri
organi e apparati.
I pazienti che subiscono un trauma vivono quindi una situazione di pericolo di vita, non
dovuta esclusivamente alla gravità delle lesioni, ma anche all’associazione di numerosi altri
fattori; tra questi il più sottostimato è l’ipotermia, che può essere riconosciuta e trattata prima
che porti a gravi alterazioni, ma è una possibile e diffusa causa di morte del paziente.
La letteratura italiana è povera di dati al riguardo ma negli Stati Uniti l’ipotermia si
verifica dal 21% al 66% di tutti i traumatizzati, in cui il tasso di mortalità è del 100% con una
temperatura < 32°C.
E’ quindi evidente, che soltanto con un’adeguata rete di assistenza sul territorio, in
grado di effettuare una rianimazione cardio-respiratoria adeguata ed avanzata e attraverso
una educazione e informazione sanitaria capillare del personale medico-chirurgico,
infermieristico e tecnico, si potranno migliorare, almeno da tre a cinque volte, i dati di
sopravvivenza dei pazienti affetti da arresto cardiaco extra ospedaliero e da traumi toracici
gravi, che sfociano in particolare in ipotermia maligna.
Tali criteri, sono sicuramente applicabili, anche a tutti i pazienti critici appartenenti alle
emergenze ospedaliere, non solo dei DEA ma anche di tutti i reparti intensivi e le UO.
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1. L’EMERGENZA CARDIOLOGICA
1.a L’IMA
L’ infarto miocardio acuto è un evento ischemico localizzato, che porta a morte
cellulare e quindi alla formazione di una zona necrotica definita.
Nella maggior parte dei casi l’IMA si verifica quando nel contesto di una placca
aterosclerotica, posta all’interno di un’arteria coronaria, si determinano fissurazioni o
ulcerazioni che favoriscono la trombogenesi, occludendo il vaso e causando una brusca
diminuzione del flusso ematico coronarico.
Seppur raramente un infarto può essere anche dovuto ad occlusione embolica e ad
anomalie congenite, a spasmo coronario e ad un’ampia varietà di patologie sistemiche di
origine infiammatoria.
La gravità del danno miocardio determinato dall’occlusione coronarica dipende:
♥ dalla localizzazione e dalla morfologia della placca aterosclerotica,
♥ dalla profondità della rottura
♥ dall’estensione della zona in cui si verifica vasocostrizione coronarica.
Le dimensioni dell’infarto dipendono, invece:
♥ dall’area irrorata dei vasi colpiti,
♥ dall’entità e durata dell’occlusione,
♥ dalla presenza di circolo collaterale
♥ dalla richiesta di ossigeno da parte del miocardio.
L’ischemia è causa di un’ immediata perdita di contrattilità nel miocardio malato.
La necrosi, infatti, comincia a svilupparsi nel subendocardio circa 15-30 min. dopo
l’occlusione coronarica, mentre cresce attorno all’epicardio in 3-6 ore, eventualmente
espandendosi all’intera parete ventricolare.
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L’espansione dell’infarto, cioè l’assottigliamento e la distensione della zona infartuata,
può verificarsi entro il primo giorno o anche dopo un mese.
Nel corso di alcuni mesi si andrà incontro ad una progressiva dilatazione, non solo
della zona ischemica, ma anche del miocardio sano.
I fattori promotori di tale condizione sono:
♥ l’infarto transmurale (necrosi diffusa nell’intero spessore della parete
miocardia)
♥ la sede anteriore
♥ l’occlusione al 100% del vaso coinvolto
♥ un’infarto esteso
L’espansione dell’infarto espone i pazienti al sostanziale rischio d’insorgenza di
scompenso cardiaco, aritmie ventricolari e rottura della parete libera.
Con infarti estesi, coinvolgenti più del 20-25% del ventricolo sinistro (VS), la
depressione della funzione di pompa è sufficiente per causare Scompenso Cardiaco.
Un IMA coinvolgente più del 40% del VS causa Shock Cardiogeno. L’evoluzione
aritmica più comune è la Fibrillazione Ventricolare (FV), che è causa di morte nell’ arco delle
prime 24 ore e di queste, la metà, avviene nel corso della prima ora dall’evento ischemico.
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I principali obiettivi del trattamento di pazienti con IMA sono quelli di prevenire la morte
improvvisa e minimizzare l’estensione della necrosi; riperfondendo il territorio in cui il
processo necrotico si sta verificando, mediante la “riapertura” del vaso, la cui occlusione ha
determinato il danno ischemico.
L’immediata rivascolarizzazione, infatti, non solo può limitare l’area infartuate ma
serve, almeno in parte, a ripristinare un equilibrio “perfusorio” tra aree irrorate da vasi sani,
vasi malati e circoli collaterali.
E’ importante quindi, ottenere nell’immediato, la riapertura del vaso coronarico: non ha
importanza se con trombolisi, terapia antiaggregante e/o con l’angioplastica primaria (PTCA).
Il trattamento chirurgico (bypass aortocoronarico) deve essere considerato
complementare al trattamento cardiologico.
L’opzione chirurgica, è difatti utile, soprattutto se:
♥ sono presenti complicanze meccaniche;
♥ se l’esame emodinamico evidenzia una lesione del tronco comune o lesioni
multivasali;
♥ l’angioplastica non sia tecnicamente fattibile (come nel caso precedente);
♥ la PTCA non riesca a stabilizzare il quadro clinico emodinamico, mediante il
solo trattamento del vaso responsabile, in quel momento dell’infarto acuto.
La rivascolarizzazione miocardia chirurgica ha i seguenti vantaggi:
♥ immediata assistenza cardiocircolatoria mediante circolazione extracorporea,
utile, soprattutto, nei casi in cui si ha evoluzione verso lo shock cardiogeno;
♥ completezza della rivascolarizzazione;
♥ possibilità di scegliere la composizione del perfusato per fornire substrati
ritenuti idonei alla limitazione del danno ischemico;
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♥ controllo della riperfusione.
Trattandosi di una patologia ad alto rischio di mortalità, la decisione terapeutica deve
essere presa considerando i seguenti fattori:
♥ fattibilità della trombolisi domiciliare od ospedaliera;
♥ risposta alla terapia antitrombotica;
♥ disponibilità 24h/24hdel reparto di emodinamica, per la coronarografia
d’urgenza e l’angioplastica primaria;
♥ condizioni clinico emodinamiche del paziente infartuato;
♥ anatomia coronaria (grado di fattibilità tecnica);
♥ lesioni cardiache associate;
♥ patologia associata condizionante, controindicazioni ai vari tipi di trattamento
medicochirurgico;
♥ efficienza dei trasporti dalla sede di inizio della sintomatologia, al punto di
primo soccorso e da qui ad un centro ospedaliero, dotato sia di laboratorio di
emodinamica che di un reparto di cardiochirurgia;
♥ esperienza del team cardiologico-cardiochirurgico.
L’efficacia del trattamento sarà in ogni caso, direttamente e principalmente correlata, alla
rapidità con la quale i pazienti vengono soccorsi sul luogo dell’evento acuto e ricoverati
presso i centri d’emergenza.
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1.b L’ARRESTO CARDIACO
L’arresto Cardiaco è un evento drammatico di cui l'aritmia è la principale responsabile,
in quanto determina un sovvertimento completo dell’ eccito-conduzione cardiaca, con brusca
interruzione dell'attività di pompa.
Nell'80-85% dei casi il ritmo di presentazione dell'AC è la Fibrillazione Ventricolare
(FV) o la Tachicardia Ventricolare (TV) senza polso, definiti, a differenza dell’ Asistolia o
Dissociazione elettromeccanica (DEM) riscontrabili solo nel 15-20% dei casi, "ritmi della
salvezza", in quanto, se trattate prontamente con la defibrillazione elettrica, possono essere
interrotte creando i presupposti per il recupero di un ritmo valido, con conseguente ripristino
dell'attività contrattile del cuore.
L'efficacia della defibrillazione dipende però dall’ ossigenazione del cuore (importanza della
rianimazione cardio-polmonare precoce), dall’ energia utilizzata e dalla impedenza toracica.
Uno dei maggiori problemi indotto da un AC è l'anossia cerebrale, in quanto provoca
inizialmente lesioni reversibili, che divengono irreversibili dopo solo 6 -10 minuti; la
prevenzione del danno cerebrale dipende principalmente dalla rapidità ed efficacia delle
manovre rianimatorie e dalla precocità della defibrillazione.
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Un AC non trattato prontamente, diviene irreversibile; in tali casi, quando la sua causa
scatenante è una patologia cardiaca, si parla di Morte Cardiaca Improvvisa: evento naturale
preceduto da un' istantanea ed inaspettata perdita di coscienza, che si verifica entro un'ora
dall'inizio della sintomatologia acuta, in un soggetto con o senza cardiopatia nota
preesistente, in cui l'epoca e la modalità di morte sono imprevedibili.
L’eziologia di un AC è nel 90% dei casi riferibile a patologie cardiache:
♥ cardiopatia Ischemica (85%);
♥ cardiomiopatia Dilatativa / Ipertrofica (10% );
♥ cardiopatia Ipertensiva / Valvolare (5%);
♥ sindromi Aritmogene Ereditarie (5%);
♥ cause extracardiache come grave insufficienza respiratoria, emorragie, ecc..
(10%).
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1.c L’ EMBOLIA POLMONARE
L’embolia polmonare (EP) è l’espressione dell’ostruzione improvvisa di parte
dell’albero arterioso polmonare, dovuta, nella maggioranza dei casi, ad emboli derivanti da
trombi, situati nel letto vascolare venoso profondo (Trombosi Venosa Profonda - TVP).
La fonte emboligena più frequente ha sede nel distretto venoso degli arti inferiori, più
raramente negli arti superiori, nei plessi pelvici, nell’atrio destro; l’embolo, trova inoltre origine,
da focolai settici (processi endocarditici, pace-maker o cateteri venosi centrali infetti).
La conseguenza immediata della Tromboembolia Polmonare è l’interruzione, parziale
o completa, del flusso di sangue arterioso alle zone di polmone distali all’ostruzione.
Questa condizione, è strettamente dipendente dal carattere terminale della
circolazione polmonare; cioè zone di parenchima contigue, perfuse da rami vascolari diversi,
non collegate da vasi collaterali.
Poiché il flusso polmonare, in condizioni fisiologiche, è distribuito secondo un gradiente
gravitazionale (aumenta cioè dagli apici alle basi del polmone), gli emboli polmonari
occludono preferenzialmente le arterie dei lobi inferiori.
Ciò ha come conseguenza immediata la ridistribuzione del flusso polmonare, verso i
segmenti non occlusi prevalenti, nella metà superiore dei polmoni.
L’Embolia polmonare, altera inoltre gli scambi gassosi: nella maggior parte dei casi è
presente ipossiemia con normo- o ipocapnia.
La patogenesi dell’ipossiemia è in parte ascrivibile all’aumento dello spazio morto
fisiologico per la presenza di segmenti ventilati e non perfusi.
La sintomatologia dell’Embolia Polmonare e l’impegno ventricolare destro, sono
proporzionali principalmente alla gravità dell’ostruzione, ma anche a eventuali situazioni
pregresse a carico dei sistemi cardiaco e respiratorio.
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L’Embolia Polmonare Massiva è il quadro clinico più drammatico e ad alta mortalità,
causato dall’occlusione delle arterie polmonari principali da parte di emboli di grandi
dimensioni (con riduzione una riduzione del letto arterioso almeno del 50%).
Il quadro clinico è dominato dall’insufficienza acuta del ventricolo destro, causato
dall’improvvisa ipertensione polmonare, dovuta ad una riduzione dell’area di sezione del letto
arterioso polmonare, con un notevole aumento del flusso ematico, e secondariamente dalla
liberazione di sostanze vasoattive a livello del trombo (per esempio da parte delle piastrine) e
dell’endotelio vascolare.
Nonostante l’Embolia polmonare sia caratterizzata dall’interruzione della perfusione,
con persistenza della ventilazione, questo aspetto è modificato dalla broncocostrizione
riflessa, che tende a ridurre la ventilazione alle zone non per fuse.
L’aumento acuto della pressione ventricolare destra, nell’Embolia Massiva, può anche
causare uno shunt destro-sinistro attraverso un forame ovale pervio (difetto inter-atriale),
contribuendo così all’ipossiemia.
La terapia dell’Embolia Polmonare mira a ridurre la mortalità e le conseguenze
cardiopolmonari (infarto polmonare, ipertensione polmonare cronica), nonché nella
prevenzione delle recidive.
La dissoluzione del trombo, risolvendo l’ostruzione al flusso nell’arteria polmonare, è in
grado di abbassare rapidamente la pressione dell’arteria polmonare, migliorare la perfusione
dei tessuti polmonari, minimizzare la risposta neuroumorale ed i conseguenti effetti negativi
(vasocostrizione e broncospasmo).
Come nella terapia da TVP i farmaci disponibili sono gli anticoagulanti e i fibrinolitici.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a notevoli progressi delle metodiche chirurgiche,
dovuti, oltre all’evoluzione tecnologica dei dispositivi stessi, alle modifiche della tecnica
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chirurgica ed anestesiologica, oltre che endovascolare, migliorando non solo i risultati a breve
e medio termine, ma hanno anche ridotto sensibilmente i rischi connessi a queste patologie.
Le terapia chirurgica prevede essenzialmente :
♥ l’interruzione parziale della vena cava inferiore, mediante posizionamento di
filtro cavale;
♥ trombectomia chirurgica;
♥ embolectomia polmonare.
Considerata tra le malattie cardiovascolari più frequenti, dopo IMA ed ictus, l’Embolia
Polmonare è spesso grave fin dal suo esordio (shock cardiogeno) e comporta una mortalità
non trascurabile anche in pazienti giovani.
Le casistiche mondiali, sono difatti concordi, nell’affermare un’incidenza nella
popolazione così elevata da posizionare l’Embolia Polmonare tra le prime cause di morte.
E’ stato inoltre evidenziato, che nel 30% dei casi, la morte sopraggiunge nelle prime
ore dall’esordio.
L’estrema gravità dei suoi sintomi può causare decesso prima dell’arrivo del paziente
in ospedale.
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1.d SHOCK CARDIOGENO
Lo Shock Cardiogeno è una sindrome, caratterizzata da una sofferenza tissutale
periferica, legata ad un deficit di rifornimento energetico, conseguente ad un'alterazione del
normale funzionamento della pompa cardiaca, qualunque ne sia la causa.
Si parla di Shock Cardiogeno quando sono presenti:
♥ pressione arteriosa sistemica < 80 mmHg 0 < 90 mmHg con infusione di
isotropi;
♥ segni clinici di ipoperfusione periferica (cute fredda e pallida, oliguria, etc…);
♥ indice cardiaco < di 1,8-2 l/min/m2;
♥ pressione capillare wedge > 18 mmHg;
♥ alte resistenze vascolari sistemiche.
Si distinguono due stadi.
Il primo è quello dell'insufficienza cardiaca acuta con:
♥ caduta della gittata cardiaca;
♥ aumento della pressione telediastolica dei ventricoli destro e sinistro;
♥ elevate resistenze vascolari periferiche;
♥ pressione arteriosa media (PAM) mantenuta;
♥ moderata sofferenza tissutale periferica (in principio reversibile);
Il secondo stadio è quello dello shock manifesto con:
♥ sofferenza tissutale periferica;
♥ ipossia tissutale e metabolismo anaerobico;
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♥ elevato tasso di lattati
♥ acidosi metabolica;
♥ PAM ridotta;
♥ Aggravamento delle turbe tissutali.
Lo Shock Cardiogeno è eziologicamente riferibile a:
♥ danni non-miocardici, sono quelli valvolari (insufficienza e stenosi aortica, vizi
mitralici),le embolie polmonari (EP) e i tamponamenti. Questi sono autentici
shock cardiogeni, ma la loro reversibilità, grazie ad un trattamento chirurgico
urgente, è in principio possibile.
♥ lesioni miocardiche, che comprendono i casi, in cui il muscolo cardiaco vede
la sua capacità contrattile alterata, in modo momentaneo o definitivo. Questa
alterazione può essere localizzata e/o limitata ad un territorio più o meno
esteso, come nel caso dell'infarto miocardico o della contusione miocardica.
Può essere diffuso nelle miocarditi acute o croniche o nel caso di danni
metabolici tossici.
In questi ultimi casi, dal punto di vista fisiopatologico, lo shock cardiogeno può
manifestarsi per:
♥ Presenza di ampia area necrotica;
♥ Estensione dell’area necrotica;
♥ Progressiva disfunzione di aree ischemiche “distanti”, inizialmente diventate
ipercontrattili per mantenere un’adeguata portata cardiaca;
♥ Complicanze meccaniche.
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In caso di IMA, quindi, lo shock cardiogeno può essere espressione, o di una necrosi
che coinvolge oltre il 40% del muscolo cardiaco, oppure di necrosi meno estese, in cui si
manifesta un’ischemia del miocardio residuo, che normalmente ha carattere ipercinetico, allo
scopo di mantenere un’adeguata portata cardiaca.
Si manifesta:
♥ nel 2,9% dei casi in pazienti con Angina instabile;
♥ nel 2,4%-4,5 % dei casi all’esordio dell’IMA;
♥ nel 6%-7% dei casi subito dopo il ricovero o durante la degenza;
Lo shock cardiogeno, dimostra qui, l’incapacità del muscolo necrotico di contrarsi e/o
l’inefficienza del muscolo vitale, ma ischemico, a mettere in atto o a mantenere, i meccanismi
di compenso necessari di una sufficiente gettata cardiaca.
La probabilità di sviluppo dello shock cardiogeno è di conseguenza, in rapporto,
all’estensione della necrosi e/o al numero di vasi coronarici eventualmente stenotici, nell’area
lontana dall’area infartuale.
Lo shock cardiogeno, rappresenta la principale causa di morte nei pazienti con infarto
miocardio acuto e ha un tasso di mortalità ospedaliera di circa il 70%.
Nel gruppo di pazienti in cui lo shock cardiogeno rappresenta una complicanza di IMA,
il 40% aveva già avuto un infarto precedente.
Nel 20% dei casi, la comparsa dello shock cardiogeno, è associata alla presenza di un
infarto acuto del ventricolo destro.
Gli scopi della terapia, nel trattamento dello Shock Cardiogeno, sono triplici:
♥ trattare la causa dell'insufficienza cardiaca;
♥ preservare gli organi e i tessuti periferici dai danni di una sofferenza anossica;
♥ evitare l'aggravamento delle lesioni miocardiche.
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Il trattamento della causa non è sempre realizzabile, ma nel caso di lesioni aggredibili
chirurgicamente, il trattamento radicale deve essere il più precoce possibile.
Le attuali scelte terapeutiche, (trombolisi o angioplastica nell'infarto del miocardio in
fase acuta, trombolisi o chirugia nelle embolie polmonari), devono comportare molto
rapidamente la messa in atto di queste strategie, che permettono un trattamento eziologico
dello stato di shock ad esse associato.
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2. L’EMERGENZA TRAUMATICA
2.a I TRAUMI TORACICI
Questo tipo di patologia, è in continuo aumento principalmente a causa del crescente
numero degli incidenti stradali (50% circa dei traumi toracici), di quelli sul lavoro e delle ferite
accidentali (da punta taglio e arma da fuoco).
I traumi del torace, vanno innanzitutto distinti in due grosse categorie:
♥ traumi aperti, cioè penetranti attraverso la parete toracica;
♥ traumi chiusi, dai quali non deriva soluzione di continuo della parete toracica.
I traumi aperti sono rappresentati da ferite penetranti attraverso la parete toracica,
determinate da oggetti taglienti o appuntiti, oppure da proiettili di armi da fuoco.
La ferita può essere più o meno profonda in relazione alla natura e alle dimensioni
dell’oggetto che ha prodotto la lesione, oltre che in rapporto all’energia cinetica conferita
all’oggetto stesso, all’atto della penetrazione.
Diversamente dal caso delle lesioni chiuse, quelle aperte raramente interessano solo
lo scheletro toracico: è invece più frequente l’evenienza di un danno parenchimale.
In queste circostanze le lesioni possono essere distinte in soffianti e non soffianti, sulla
base del fatto che esista o no la comunicazione con l’albero respiratorio: le ferite soffianti
sono quelle fisiopatologicamente più pericolose e che impongono un trattamento immediato.
Nel caso di traumi aperti è alta la probabilità di lesione di uno o più vasi.
Particolarmente gravi possono essere le conseguenze di ferite inferte nelle porzioni
superiori del torace, in prossimità della base del collo, per il numero e l’importanza dei vasi
arteriosi e venosi che vi scorrono.
Nel caso delle ferite nelle regioni basali, esiste invece il rischio che le lesioni
interessino anche l’addome e il suo contenuto viscerale.
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Anche l’esofago e il dotto toracico possono essere lesi nel caso di ferite penetranti: le
lesioni esofagee inducono turbe funzionali più o meno rilevanti e si accompagnano a un
rischio elevato di stenosi cicatriziali o di fistole esofagobronchiali; la rottura del dotto toracico
si traduce invece in versamento chiloso (chilotorace) e, nei casi più gravi, in collasso
circolatorio.
Particolarmente gravi risultano le ferite penetranti a carico del miocardio: queste
risultano più spesso mortali a causa della grave emorragia.
I traumi chiusi, possono interessare invece, tutte le strutture della parete e il contenuto
viscerale.
Sono determinati dall’azione di shock meccanico, esercitata sul torace, da un corpo
contundente o da un’onda d’urto.
Per la sua natura osteocartilaginea il torace possiede un’elevata deformabilità: se da
una parte tale caratteristica gli consente di sopportare insulti, anche intensi, senza subire
fratture, dall’altra però risulta limitata l’efficacia protettiva nei confronti degli organi in esso
contenuti, con possibile riscontro di lesioni interne anche gravi.
Le lesioni da traumi chiusi che riguardano la parete toracica comprendono:
♥ fratture costali semplici;
♥ fratture costali multiple (lembo parietale mobile o volet, costale o sternale);
♥ rottura del diaframma.
Quelle riguardanti invece gli organi interni possono interessare il polmone, la pleura e il
sistema cardiovascolare.
Nelle lesioni polmonari, l’evenienza che si realizza più frequentemente è la contusione
del polmone: in questo caso sul mantello polmonare si produce una zona più o meno estesa
di consolidamento alveolare, dovuta a spandimento emorragico e a edema.
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Tale area diviene per tanto sede di shunt in quanto perfusa ma non ventilata.
Se invece il mantello polmonare subisce una lacerazione si determina la penetrazione
di aria nel cavo pleurico con conseguente pneumotorace.
Anche la trachea intratoracica e i bronchi di maggior calibro possono essere
occasionalmente sede di lesioni traumatiche: queste sono rappresentate da schiacciamenti,
lacerazioni longitudinali o trasverse; nel caso estremo si può realizzare la completa
transezione della via aerea in una porzione prossimale e in una distale.
L’entità delle conseguenze funzionali dipende naturalmente dall’importanza della via
aerea e dal tipo di lesione: una rottura completa della trachea dà luogo ad un’insufficienza
respiratoria acuta.
I traumi del fascio mediastinico cardiovascolare, sono relativamente comuni, in
relazione all’evenienza frequente di fenomeni di schiacciamento contro il volante negli
incidenti automobilistici.
In questi casi può determinarsi tutta una gamma di lesioni:
♥ contusione cardiaca, quella più semplice, che può essere epicardica o
transmurale;
♥ rottura delle pareti cardiache o del setto interventricolare (patologia assai più
grave);
♥ lesione dei vasi coronarici che può condizionare il prodursi di un infarto
miocardio secondario.
In tali evenienze è comune il riscontro di emorragia pericardica con conseguente
rischio di tamponamento cardiaco.
Anche l’aorta e gli altri vasi intratoracici possono essere danneggiati nel corso di
traumatismi: anzi la rottura dell’aorta toracica è l’evento più frequente tra questa tipologia di
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lesioni, specialmente a livello dell’istmo, cioè dal punto di passaggio tra l’arco aortico e il tratto
discendente.
Si ritiene che in questi casi, operi un meccanismo di inerzia a carico dell’arco, rispetto
all’aorta discendente, che è invece protetta e fissata dalla pleura e dalla fascia endotoracica.
La conseguenza più frequente alla rottura dell’aorta toracica è un’emorragia assai
grave e potenzialmente letale.
Meno frequentemente, si determina una raccolta ematica (pseudoaneurisma) da
contenimento dello spandimento emorragico, da parte dei tessuti perivascolari; questa può
evolvere verso la rottura e costituire un esito stabilizzato del trauma.
L’approccio terapeutico più urgente, nella generalità dei traumi toracici, è quello diretto
ad assicurare la sopravvivenza mantenendo la pervietà delle vie aeree e un’adeguata
funzione respiratoria e cardiocircolatoria.
Un’attenta sorveglianza clinico-funzionale ed emogasanalitica deve essere comunque
condotta sul paziente anche dopo l’apparente superamento della fase più acuta, poiché
potrebbe sussistere il rischio dell’ Acute Respiratory Disteress Sindrome (ARDS).
Per quanto riguarda le terapie di stretta pertinenza chirurgica, soltanto i pazienti in
condizioni molto gravi rendono urgente e indifferibile l’approccio a tale procedura.
In tutti gli altri casi, invece, lo svolgimento delle manovre chirurgiche, eventualmente
necessarie a correggere il trauma, può essere differito ad una fase successiva, quando siano
ripristinati adeguati scambi gassosi e accettabili condizioni emodinamiche.
Un’attenzione particolare, deve essere posta in tutti i casi, nella cura dell’asepsi e nella
prevenzione delle contaminazioni, in quanto le complicanze settiche (polmonite, mediastinite
ecc..) costituiscono un evento intrinsecamente temibile, in pazienti in condizioni respiratorie e
23
cardiocircolatorie precarie; inoltre l’infezione aumenta significativamente il rischio di un’ ARDS
secondaria.
24
2.b L’IPOTERMIA
L’ipotermia viene definita come un abbassamento della temperatura corporea al di
sotto dei 35°C.
A questa temperatura, il sistema responsabile della termoregolazione si indebolisce,
perché la risposta fisiologica compensatoria, per ridurre la perdita di calore, è parzialmente
inibita.
Possiamo riconoscere un’ ipotermia accidentale o primaria, a seguito di permanenza in
ambiente freddo senza adeguata protezione, e un’ipotermia secondaria.
Quest’ultima può rappresentare la complicanza di una patologia che influisce sul
controllo centrale o periferico della termoregolazione; la cause si traducono in:
♥ diminuzione della produzione di calore per:
♥ insufficienza endocrinologia;
♥ alimentazione insufficiente;
♥ esposizione ambientale;
♥ vasodilatazione indotta dall’assunzione di alcool e droghe.
♥ accidenti cerebrovascolari;
♥ neuropatie;
♥ infusione di liquidi freddi per via parenterale.
L’ipotermia si classifica in:
♥ lieve (36°C - 34°C);
♥ moderata (34°C – 30°C);
♥ severa (< 30°C).
Sulla base del grado di classificazione, la diminuzione della temperatura
corporea determinerà manifestazioni cliniche diverse.
25
In generale, comunque, il freddo induce:
♥ la depressione delle funzioni cardiache, ventilatorie, renali, epatiche e del
sistema nervoso centrale;
♥ alla coagulopatia, promuovendo ulteriori emorragie;
♥ all’aumento dell’affinità dell’emoglobina per l’O2, problema rilevante per un
traumatizzato in debito di ossigeno, derivato soprattutto da emorragie,
ipotensione e shock.
Nel paziente traumatizzato, c’è un rischio iatrogeno di ipotermia, dovuta alle terapie
utilizzate nelle procedure di soccorso:
♥ l’infusione di fluidi a temperature più basse di quella ambientale.
Liquidi somministrati a 20°C determinano la perdita di 1°C ogni 3 litri
d’infusione.
♥ La sedazione e la curarizzazione, che aboliscono del 40% la termogenesi; il
paziente non ha brivido e la vasodilatazione cutanea aumenta la dispersione
termica.
Il trattamento dell’ipotermia si rifà a diverse tipologie di riscaldamento, utilizzate sulla
base della gravità delle condizioni del paziente e soprattutto del grado di abbassamento della
temperatura.
Le tecniche di riscaldamento passivo non sono altro che l’utilizzo delle semplici
coperte, di un ambiente caldo e delle “metalline” (teli che agiscono per rifrazione e, se
collocate a diretto contatto con la cute, impediscono ogni ulteriore dispersione di calore).
Le tecniche di riscaldamento attivo esterno includono bagni caldi, materassi ad acqua
o ad aria calda forzata e lampade; permettono un aumento di temperatura da 0,3°C a 2°C/h.
26
A tali metodiche, si associano con successo quelle a riscaldamento attivo interno, quali
le infusioni calde e l’O2 umidificato e riscaldato a 42°C, che induce un inna lzamento della
temperatura da 1°C a 2,5°C/h.
Nei casi di ipotermia severa è possibile utilizzare le infusioni calde per il lavaggio di
cavità corporee: lavaggio gastrico, toracico o peritoneale.
Il lavaggio peritoneale è efficacissimo e si avvale di fluidi, privi di potassio, riscaldati a
40°C, ad una velocità di 6 l/h, che permettono un i nnalzamento da 1°C a 3°C/h.
Vi sono poi quattro tecniche per il riscaldamento ematico extracorporeo: l’emodialisi, il
riscaldamento arterovenoso, il riscaldamento venovenoso e il bypass cardiopolmonare
(CPBP).
Il CPBP ha il vantaggio di offrire un supporto emodinamico durante il riscaldamento,
promuovendo un innalzamento della temperatura interna da 1°C a 2°C, da 3 a 5 minuti, con
un flusso da 2 a 3 l/min.
Questa è l’unica metodica di riscaldamento, per pazienti ipotermici, in arresto
cardiocircolatorio e permette il proseguimento della rianimazione cardiopolmonare fino alla
normotermia.
27
3. LA RIANIMAZIONE CARDIOPLOMONARE (RCP)
L’American Heart Association, stabilì nel 1986, una sequenza di procedure, per la
realizzazione di una Rianimazione CardioPolmonare, che si riassumono nell’ esecuzione di
un soccorso precoce di base o BLS-D (Basic Life Support – Defibrillation), in attesa di
un’eventuale soccorso avanzato o ALS (Adveced Life Support).
Lo scopo del BLS è quello di riconoscere prontamente la compromissione delle
funzioni vitali e di sostenere la respirazione, prevenendo i danni anossici cerebrali, e la
circolazione.
Attraverso la ventilazione bocca a bocca o bocca-maschera sarà possibile mantenere
la pervietà delle vie aeree e assicurare lo scambio di ossigeno, mentre con il massaggio
cardiaco esterno, sostenere il circolo fino all'arrivo di mezzi efficaci, per correggere la causa
che ha prodotto l'AC.
In alcuni casi particolari il BLS può risolvere completamente il quadro clinico, come ad
esempio nell'arresto respiratorio primitivo.
L’utilizzo del defibrillatore (DAE), come ultimo “step” del BLS-D, nella correzione diretta
della causa di AC, quando è causato da FV o TV senza polso, crea i presupposti per il
ripristino di un ritmo cardiaco valido ed il recupero del soggetto.
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La tempestività dell'intervento è fondamentale, in quanto bisogna considerare che le
probabilità di sopravvivenza nel soggetto colpito da AC, diminuiscono del 7-10% ogni minuto
dopo l'insorgenza di FV/TV. Dopo dieci minuti dall'esordio dell'AC, in assenza di RCP, le
possibilità di sopravvivenza sono ridotte quasi a zero.
La sequenza del BLS-D è rappresentata da una serie di azioni che, per convenzione,
vengono indicate con le lettere:
♥ A
♥ B
♥ C
♥ D
A (Airway) Apertura delle vie aeree
B (Breathing) Respirazione (Bocca a bocca)
C (Circulation) Circolazione
D (Defibrillation) Defibrillazione
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Ogni fase del BLS-D deve iniziare con una valutazione che condiziona le successive
azioni:
FASE A: valutazione coscienza = azione A
FASE B: valutazione respiro = azione B
FASE C: valutazione circolo = azione C
FASE D: valutazione ritmo = azione D
Esistono inoltre, situazioni particolari, in cui l’utilizzo del DAE ha bisogno di maggiori
accortezze:
♥ In ipotermia grave. Se il paziente è in ipotermia grave la sequenza degli
shock è limitata ai primi tre. Se questi sono inefficaci, si deve trasportare la
vittima in ospedale (dove potrà essere ripristinata la temperatura corporea),
praticando la RCP durante il trasferimento. Si ricorda che in ipotermia i danni
anossici cerebrali sono ritardati.
♥ A cute bagnata. Se il paziente si trova in prossimità di acqua (piscina, riva del
mare), va allontanato ed asciugato prima dell'applicazione degli elettrodi, per
evitare un arco voltaico superficiale tra le due polarità, che potrebbe
provocare un'ustione senza efficacia di shock.
♥ In gravidanza. In caso di arresto cardiaco in una donna in gravidanza, il
protocollo BLS-D non subisce nessuna variazione.
♥ Annegamento. Valgono le indicazioni che sono state descritte nell'ipotermia
ed in caso di cute bagnata.
30
L'Advanced Life Support è invece, di pertinenza medica; ha lo scopo di trattare
adeguatamente l'arresto cardiopolmonare, le situazioni che possono potenzialmente evolvere
verso un arresto cardiaco e la stabilizzazione dei pazienti nella fase del post-arresto.
L'ALS mira pertanto a:
♥ fornire il supporto vitale di base;
♥ mantenere una ventilazione ed una circolazione efficaci anche sfruttando
attrezzature avanzate (intubazione orofaringea, RCP meccanica);
♥ monitorizzare il ritmo cardiaco e gli altri parametri vitali
♥ valutare l'ECG a 12 derivazioni;
♥ stabilire e mantenere un accesso venoso, possibilmente duplice;
♥ trattare farmacologicamente i pazienti in arresto cardiaco o respiratorio e
stabilizzarli nella fase del post-arresto;
♥ trattare i pazienti con sospetta sindrome coronarica acuta, incluso l'IMA.
L’ALS ha quindi la possibilità di cercare e correggere, durante l’RCP, le cause
reversibile che hanno portato all’AC, che potenzialmente sono:
♥ ipovolemia;
♥ ipossia;
♥ acidosi;
♥ iperKaliemia/ipoKaliemia, altri disturbi metabolici;
♥ ipotermia;
♥ farmaci (sovradosaggio, intossicazioni accidentali);
♥ tamponamento cardiaco;
♥ pneumotorace iperteso
♥ Trombosi coronarica e/o polmonare (embolia)
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4. I MEZZI DELL’EMERGENZA
4.a IL SOCCORSO SUL TERRITORIO
Il soccorso pre-ospedaliero, e non il trasporto, è l'obiettivo principale di un Servizio di
Urgenza ed Emergenza Medica.
Questo deve garantire, livelli di intervento sul posto, differenziati in base alle necessità
cliniche del paziente: assistenza del medico rianimatore, assistenza infermieristica,
assistenza da parte di operatori tecnici professionali o volontari.
Il personale infermieristico, proviene da reparti di terapia intensiva, ed è
specificamente preparato per prestare le prime cure ai pazienti.
Il soccorso medico sul posto è riservato ai pazienti in condizioni critiche: riducendo
l'intervallo tra l'infortunio e l'inizio delle terapie, può ridurre la mortalità e limitare l'incidenza di
esiti invalidanti.
A seconda delle situazioni, il medico può essere inviato sul posto con l'ambulanza,
con un'auto attrezzata ("automedica") o con l'elicottero.
Tutti i mezzi hanno a bordo dotazioni sanitarie e tecniche per consentire il supporto
delle funzioni vitali, il monitoraggio, l'estrazione e l'immobilizzazione dei feriti.
32
4.b L'ELISOCCORSO
Nell'ambito del soccorso primario, l'elicottero ha come obiettivo principale, il trasporto
rapido sul posto del medico rianimatore, per garantire un tempestivo intervento medico anche
ai pazienti che si trovano in località lontane dall'ospedale o difficilmente raggiungibili.
Dopo la stabilizzazione delle condizioni cliniche sul posto, l'elicottero consente inoltre
di trasportare il paziente non solo all'ospedale più vicino, ma al centro ospedaliero più
attrezzato per la patologia in atto, riducendo di molto il tempo necessario per la terapia
definitiva.
Grazie all’eventuale collaborazione con il Soccorso Alpino l'elicottero è in grado di prestare
soccorso ai feriti anche in montagna, con l'impiego delle più avanzate tecniche di recupero.
4.b1 CRITERI PER L’UTILIZZO DELL’ELICOTTERO
L'elicottero ha come compiti istituzionali:
♥ soccorso primario di pazienti critici;
♥ trasporto secondario di pazienti critici;
♥ soccorso e recupero in montagna in collaborazione con il Soccorso Alpino;
♥ interventi in caso di grande emergenza.
NB. Per gli interventi in montagna e per le grandi emergenze si applica lo specifico protocollo
L'elicottero può essere attivato da:
1. Interventi primari:
♥ dall'operatore di centrale all'atto della ricezione di una chiamata;
♥ dall'operatore di altre centrali all'atto della ricezione di una chiamata;
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♥ dall'equipe dell'ambulanza intervenuta sul posto.
2. Interventi secondari:
♥ su richiesta del medico di reparto, approvata dal medico del Dipartimento di
Emergenza;
♥ su indicazione del medico del Dipartimento di Emergenza.
Intervento primario: indicazioni.
Le indicazioni cliniche in cui deve essere inviato l'elicottero sono:
♥ Infortunato incosciente;
♥ Emorragia acuta massiva;
♥ Ferita penetrante centrale (testa, collo, torace, addome);
♥ Annegamento con ipossia;
♥ Paziente pediatrico politraumatizzato;
♥ Patologia medica acuta che necessita di stabilizzazione
(arresto cardiaco, insuff. respiratoria, stroke);
♥ Amputazione di arto;
♥ Trauma midollare.
In assenza di indicazioni cliniche l'utilizzo dell'elicottero è indicati nei seguenti
criteri situazionali:
♥ Veicolo rovesciato o uscito di strada;
♥ Occupanti sbalzati dal veicolo;
♥ Frontale tra auto su strada a scorrimento veloce;
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♥ Ciclista investito su strada a scorrimento veloce;
♥ Scontro tra moto;
♥ Paziente pediatrico politraumatizzato;
♥ Caduta da altezza > 4 m;
♥ Pedone investito su strada extraurbana;
♥ Auto investita da autocarro;
♥ Pedone, ciclista o motociclista investito da autocarro;
♥ Elettrocuzione e folgorazione.
L'invio dell'elicottero deve essere disposto dall'operatore quando:
♥ sia supposta la presenza di una delle indicazioni cliniche o sia verificato uno
dei criteri situazionali e contemporaneamente;
♥ non sia disponibile con tempi minori di intervento un soccorso medico
avanzato.
Pur essendo soddisfatte queste due condizioni, l'elicottero NON deve essere inviato se
il tempo di ospedalizzazione del paziente con ambulanza è inferiore a quello necessario
all'elicottero per giungere sul posto.
Indicazioni per la richiesta da parte dell'ambulanza sul posto.
Le indicazioni cliniche in cui l'ambulanza deve richiedere l'invio dell'elicottero sono:
♥ Trauma Score < 13;
♥ Glasgow Coma Score < 9;
♥ Trauma cranico con GCS > 8 con segni clinici di evolutività;
35
♥ Pressione art. sistolica < 90 mmHg dopo riempimento volemico;
♥ Ustionati di II e/o III > 20 % sup. corporea;
♥ Politrauma;
♥ Trauma vertebro-midollare mielico;
♥ Necessità di trasportare il paziente ad un centro specialistico.
L'invio dell'elicottero deve essere richiesto quando:
♥ è presente un'indicazione clinica e contemporaneamente;
♥ è presente un medico in grado di sostenere le funzioni vitali oppure il tempo di
trasporto all'ospedale è maggiore di quello di arrivo dell'elicottero.
Indicazioni all'impiego per trasporti secondari.
Criteri generali:
♥ Pazienti che necessitino di un rapido inizio delle terapie, per cui il
trasferimento in ambulanza allungherebbe i tempi;
♥ Pazienti critici il cui è opportuno ridurre il tempo in cui si trovano all'esterno
dell'ospedale;
♥ Pazienti in cui il trasporto via terra potrebbe aggravare le lesioni;
♥ Livello di assistenza sanitaria che non può essere assicurato dal mezzo
terrestre.
Criteri di impiego nelle patologie mediche e chirurgiche:
♥ Pazienti intubati;
36
♥ Trasferimento da una Terapia Intensiva ad altro reparto intensivo che richieda
tempi > a 30' ;
♥ Pazienti con patologia cardiaca da sottoporsi a terapia acuta (trombolisi,
PTCA, CABG, etc);
♥ Ipotermia (grado medio o grave, morte apparente);
♥ Sindrome da Annegamento;
♥ Glasgow Coma Score < 9;
♥ Trauma midollare non stabilizzato chirurgicamente;
♥ Patologia da decompressione, intossicazione da CO;
♥ Aneurisma dell'aorta toracica o addominale in fase di rottura;
♥ Terapia infusiva vasoattiva continua (dopamina, dobutamina, adrenalina,
noradrenalina);
♥ Morte cerebrale con consenso all'espianto (entro i criteri di possibilità di
trapianto);
♥ Necessità di instaurare terapia chirurgica cardio-toracica o neurochirurgica
non effettuabile nell'ospedale di ricovero primario.
Criteri di impiego nel bambino (oltre a quelli sopra riportati):
♥ Aritmie cardiache o insuff. cardiaca che richiedano terapia specialistica;
♥ Avvelenamento o Intossicazione acuta;
♥ Trasferimento da una Terapia Intensiva ad altro reparto intensivo che richieda
tempi > 30';
♥ Insufficienza circolatoria;
♥ Sindrome di Reye;
37
♥ Meningite con complicanze;
♥ Stato di male epilettico;
Criteri di impiego in ambito perinatale (oltre a quelli sopra riportati):
♥ Ventilazione meccanica o necessità di ventilazione e pressione positiva di fine
espirazione (CPAP);
♥ Ipossia (Necessitaà di respirazione arricchita con O2 e FiO2 >0.6);
♥ Neonato prematuro con età gestazionale < 30 sett. e con complicanze;
♥ Neonato con pneumotorace o pneumomediatino;
♥ Trasferimento da una Terapia Intensiva Neonatale ad altro reparto intensivo
che richieda tempi > 30';
♥ Arresto cardiaco o respiratorio nelle precedenti 24 h;
♥ Temperatura corporea non controllabile;
♥ Terapia infusiva vasoattiva continua (dopamina, dobutamina, adrenalina,
noradrenalina).
♥ Convulsioni, insuff. cardiaca congestizia, coagulazione intravascolare
disseminata;
♥ Emergenze chirurgiche (ernia diaframmatica, enterocolite necrotizzante, pat.
della parete addominale, intussuscezione, volvolo, difetti cardiaci congeniti);
♥ Gestosi;
♥ Minaccia di parto prematuro;
♥ Gravidanza a termine con neonato a rischio o malformato.
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Approvazione dell'utilizzo dell'elicottero: l'impiego è subordinato all'approvazione del
medico coordinatore del Dipartimento di Emergenza, successivamente ad un colloquio con il
medico che ha in cura il paziente.
Controindicazioni all'impiego dell'elicottero:
♥ Malati terminali;
♥ Impossibilità di mantenere condizioni vitali stabili in ambiente ospedaliero
(arresto cardiaco, stato di shock irreversibile);
♥ Lesione emorragica trattabile nell'ospedale in cui si trova il paziente;
♥ impossibilità ad alloggiare il paziente in elicottero (fissatori esterni, posizioni
particolari, etc).
Procedure: dopo aver attivato l'elicottero per un trasporto primario o secondario
l'operatore e l'equipaggio devono attenersi alle procedure previste per la specifica tipologia di
trasporto.
39
4.c I TRASPORTI INTRA-OPEDALIERI URGENTI
Le ambulanze attrezzate e l'elicottero sanitario consentono di assistere il paziente
anche durante il trasporto con dotazioni analoghe a quelle di un reparto di terapia intensiva,
garantendo il trasporto in condizioni di sicurezza anche dei pazienti in condizioni molto
critiche. Specifiche attrezzatture di bordo consentono anche il trasporto neonatale e
pediatrico.
40
5. NUOVE PROSPETTIVE DI RCP: EXTRACORPOREAL
CARDIOPULMONARY LIFE SUPPORT
Nel 1959, Safar e coll. dimostrarono come il controllo di un’emergenza respiratoria,
attraverso la respirazione bocca a bocca, fosse superiore rispetto al controllo sulla
ventilazione che veniva espletato da altre tecniche prima utilizzate.
A tale documentazione, seguì un articolo, pubblicato nel Journal of the American
Medical Association del 1960, in cui Kouwenhoven e coll. presentarono la loro esperienza di
un supporto circolatorio “artificiale” attraverso una tecnica di compressioni toraciche esterne,
da effettuare in casi di emergenza.
La pubblicazione di entrambe queste “pietre miliari” della tecnica rianimatoria mondiale
e la loro combinazione, ha stabilito l’ormai consolidata procedura di Rianimazione
CardioPolmonare (RCP) distinta nelle sue due fasi: il Basic Life Support (BLS) e l’Advanced
Life Sopport (ALS).
“The World Federation of Societies of Anaesthesiologists (WFSA)” espresse,negli anni
‘70, sul Cardiopulmonary Cerebral Resuscitation, con Safar & Bircher, la grande importanza
di espandere l’RCP a RCPC-Rianimazione CardioPolmonare-Cerebrale.
Per realizzare ciò, ritennero necessario includere nelle tecniche rianimatorie, innovativi
e avanzati “life support system”, inserendo tra questi il ByPass CardioPolmonare
d’emergenza.
Nel 1954, John Gibbon descrisse, per primo, come la macchina cuore-polmone
potesse essere utilizzata nelle situazioni di emergenza: da lì iniziò lo sviluppo degli ECPS-
Emergency CardioPulmonary Support.
Il primo caso trattato con un ECPS e portato a termine con successo, fu un paziente
con un problema acuto di embolia polmonare, e nonostante apparisse ovvio, come il bypass
41
cardipolmonare fosse l’effettivo strumento per supportare un “failing” polmonare e cardiaco,
tale tecnica venne circoscritta solo per i teatri operatori (T.O.) e al campo della chirurgia
cardiaca.
Un ECPS, rispetto al bypass cardiopolmonare “standard”, deve avere due importanti
caratteristiche: un immediato approccio al paziente e una circolazione extracorporea a lunga
durata.
Questo ha fatto si che l’evolversi di tali tecniche non avesse luogo fino agli anni ’70, in
cui ci fu un’evoluzione degli ECPS verso il trattamento d’emergenza.
Con l’avvento infatti dei circuiti in materiale biocompatibile e degli ossigenatori a
membrana a fibre cave, si è potuto prolungare la durata del supporto cardiopolmonare.
Nel 1972, Hill riporto con successo l’applicazione di un “ExtraCorporeal
cardiopulmonary Membrane Oxygenation (ECMO), introducendolo nel trattamento delle
“failure” cardiaca e polmonare.
Il Netional Registry of Cardiopulmonary Support for Emergency Applications, riporta
nella tabella sottostante, l’enorme esperienza dell’utilizzo e delle applicazioni degli ECPS, nei
T.O. e nel laboratori di Emodinamica come supporto a pazienti ad alto rischio di Angioplastica
o di altre procedure interventistiche.
42
Arresto Cardiaco 55%
Arresto Cardiaco, post cardiotomia 9%
Shock Cardiogeno 18%
Shock Cardiogeno, post cardiotomia 4%
Ipotermia 5%
Insufficienza Respiratoria 6%
Altro 3%
Totale 100%
43
5.a L’ESPERIENZA MONDIALE
La sopravvivenza dei pazienti dopo un prolungato Arresto Cardiaco è spesso inadeguata.
L’ECLS rappresenta un’alternativa terapeutica per i pazienti che non rispondono alle
convenzionali RCP, in cui l’obiettivo “fisiologico”, è di provvedere temporaneamente al
supporto circolatorio degli organi vitali e di scaricare il lavoro cardiaco dato l’insulto
miocardico.
Un bypass cardiopolmonare portatile è un sistema semplice ed efficace, per il controllo della
funzione cardiaca e respiratoria in un’emergenza, in cui siano state adeguatamente valutate
le cause dello shock emodinamico del paziente, per iniziare i trattamenti adeguati alla
risoluzione del problema.
L’ospedale Universitario di Caen, in Francia, ha effettuato un’analisi (Ann Thorac Surg 2005)
della propria esperienza, dal 1997 al 2003, per tutti i pazienti trattati con ECLS a causa di un
prolungato arresto cardiaco.
In questo studio, che utilizza l’ECLS come terapia d’emergenza, Massetti e coll.,
hanno incluso i pazienti:
♥ in arresto cardiaco refrattario trattato con massaggio cardiaco esterno;
♥ con una mancata ripresa spontanea della circolazione entro i 45 min;
♥ con ECLS istituito in ospedale.
44
Sono stati esclusi, invece, tutti gli ECLS istituiti per:
♥ svezzamento da bypass cardiopolmanare standard;
♥ ipotermia accidentale;
♥ “failure” respiratoria.
I pazienti inclusi in tale studio furono in totale 40 , tutti con un pregresso arresto cardiaco
refrattario alle procedure ordinarie e con il supporto di un massaggio cardiaco esterno.
Questi furono suddivisi in tre gruppi di studio, sulla base dell’analisi delle popolazioni di
appartenenza, della sopravvivenza nelle 24 ore, dello svezzamento dal supporto
extracircolatorio e della dimissione dalla struttura ospedaliera.
La distribuzione nei tre gruppi di studio, venne fatta secondo determinate caratteristiche,
riportate in tabella 1.
Il tempo interscorso dall’insorgenza dell’arresto all’istituzione dell’ECLS è estremamente
variabile, dipende per esempio dal luogo d’insorgenza dell’arresto cardiaco.
Della totalità dei pazienti presi in analisi, 35 su 40 andarono in contro ad arresto cardiaco
all’interno dell’ospedale, di questi:
45
♥ 18 (45%) sono sopravvissuti grazie all’istituzione dell’ECLS,
di cui 6 (30%) hanno dimostrato un recupero totale delle funzionalità
cardiaca, con un periodo di assistenza fino allo svezzamento di circa 91+/-
57h (in un range da 20 a 240h);
♥ 2 pazienti sono stati messi in attesa di trapianto dopo 82 +/-
68h (in un range da 30 alle 180h);
♥ 9 pazienti (50%) sono stati convertiti ad un VAD dopo 37 +/-
26h (in un range da 4 alle 90h).
46
I tentativi, quindi, di “rianimazione cardiopolmonare” attraverso l’utilizzo di un dispositivo
ECLS ha ottenuto ottimi risultati, con:
o una sopravvivenza variabile dall’1% al 5% nei casi di arresto cardiaco
extraospedaliero;
o una sopravvivenza dal 17% al 25% per arresti cardiaci interni
all’ospedale.
La ripresa spontanea della circolazione è avvenuta nel 50 % della totalità dei pazienti e solo il
10%-30% ha sviluppato danni neurologici permanenti, che devono essere valutati nell’arco
delle prime 12h di supporto cardiopolmonare extracorporeo.
La decisione di interrompere l’ECLS o di protrarlo per un’assistenza a lunga durata deve
essere presa nell’arco delle prime 24h.
Anche Nagao e coll., Department of Emergency and Critical Care Medicine and the
Department of Cardiology, Nihon University School of Medicine, Tokyo, Japan, hanno
proposto uno studio (Journal of the American College of Cardiology 2000) per valutare
l’efficacia di un metodo alternativo di cardiopulmonary cerebral resuscitation (CPCR)
utilizzando un bypass cardiopolmonare d’emergenza, riperfusione coronaria e ipotermia
moderata.
47
E’ sempre difficile ottenere out-come positivi nei pazienti che subiscono un arresto cardiaco in
ambiente extra-ospedaliero, ancor di più se refrattari ai trattamenti convenzionali.
Lo studio verte sull’analisi di 50 casi di arresto cardiaco fuori dall’ospedale, in cui i pazienti
sono stati trattati con RCP standard.
Nei casi refrattari è stato istuito un bypass cardiopolmonare d’emergenza associato ad un
contropulsatore (Intra-Aortic Balloon Pump-IABP).
A questi trattamenti può essere associata una riperfusione coronarica immediata in caso di
sospetta sindrome coronaria acuta e una ipotermia moderata (34°C per un minimo di due
giorni), indotta da un sistema di raffreddamento per paziento con una pressione sistolica >
90mmHg e un “Glasgow coma scale score” tra 3 e 5.
La figura qui sotto descrive una modalità possibile di trattamento per integrare l’intervento di
un bypasss cardiopolmonare d’emergenza in una procedura di RCP standard.
48
I risultati hanno riportato che 36 pazienti, su 50, sono stati trattati con un ECLS e 30 su 39
sono stati sottoposti ad esame angiografico perché affetti da sindrome coronarica acuta.
Della totalità del gruppo di studio, inoltre, l’92% ha avuto un recupero netto dell’emodinamica
circolatoria e nell’87% ha avuto successo la procedura di riperfusione coronaria.
L’ipotermia moderata è stata applicata su 23 pazienti, di cui 12 (52%) ha avuto buoni esiti di
guarigione.
Joseph J.Sistino e coll., del Medical University of South Carolina, Cardiovascular Perfusion
Program, hanno riportato (Perfusion 2004) il successo dell’uso di un ECLS, combinato a una
perfusione retrograda dell’arteria polmonare, nel trattamento di un embolia polmonare
massiva.
Il paziente, un uomo di 56 anni, fu recuperato , in fase acuta, in ambiente extra-ospedaliero e
subito sottoposto ad una TC diagnostica e a terapia trombolitica con insuccesso.
Il chirurgo e il perfusionista, tramite un mezzo dell’elisoccorso, raggiunsero il paziente
istituendo immediatamente un bypass femoro-femorale d’emergenza, con l’ausilio di un
dispositivo ECLS a circuito eparinato, mantenendo un ACT tra i 186-250 secondi, attraverso
somministrazione di eparina per via endovenosa.
La saturazione d’ossigeno salì velocemente dal 73% al 100% e il paziente, in supporto
extracorporeo, trasportato in ambulanza.
Dopo stabilizzazione emodinamica e respiratoria del paziente, nell’unità di Terapia Intensiva,
è stato possibile, il giorno seguente, effettuare un’embolectomia polmonare in sala operatoria,
convertendo l’ECLS in un bypass cardipolmonare standard: la saturazione venosa si
presentava stabile tra 92%-95%.
Il paziente, dopo l’intervento chirurgico, venne svezzato dal respiratore in terza giornata e
dimesso dall’ospedale senza complicanze.
49
Nel corso di due anni, è stato riportato, come l’utilizzo di una diagnostica precoce e
l’intervento immediato nella fase d’emergenza acuta di un’ EP, ha aumentato il tasso di
sopravvivenza all’86% sui 29 interventi realizzati.
Il bypass d’emergenza può essere quindi considerato una procedura “salvavita” in fase
critica, se applicata velocemente nel corso di deterioramento emodinamico dovuto a Embolia
Polmonare Massiva.
Il successo dell’istituzione di un bypass cardipolmonare d’emergenza è stato inoltre
documentato nei casi di arresto cardiaco peri-operatorio, nel corso di interventi chirurgici non
cardiaci.
L’esperienza di Hiroshi Sunami e coll., Departement of Anesthesiology, Intensive Care
Medecine and Gastroenterological Surgery Kawasaki Medical School Okayama Japan, ha
riportato (Anesthesiology 2003) il successo di un ECLS su 2 pazienti con FV refrattaria,
durante interventi non cardiochirurgici, rispettivamente una resezione gastrica e un dreneggio
pancreatico dovuto alla presenza di una pseudociste.
In entrambi i casi, è stato effettuato un massaggio cardiaco esterno di circa 30-35 min. e
nell’arco dei 10 min seguenti, è stato possibile istituire il bypass cardiopolmonare con l’ausilio
di un sistema d’emergenza portatile.
I 2 pazienti, un uomo di 75 anni affetto da carcinoma gastrico allo stadio iniziale e un uomo di
68 con una pseudociste pancreatica, non sarebbero sopravvissuti senza l’ausilio intra-
operatorio di un ECLS che non ha portato loro nessun tipo di danno neurologico.
Anche in situazioni di pazienti traumatizzati è possibile istituire un ECLS, come cita Kevin e
coll., Division of Trauma, Cardiothoracic, and Burn Surgery, Departement of Surgery, Oregon
Burn Center, Shock Trauma Program, Emanuel Hospital and Haelth Center, Legaci Health
System, Portland, Oregon, in un suo Case Report (J Trauma 2000) che tratta di una ragazza
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di 19 anni che si presenta, a causa di un incidente stradale, con lesioni e lacerazioni multiple
all’addome e al torace (contusione polmonare bi-laterale, edema polmonare, rottura della
milza, lacerazioni epatiche, frattura sacrale).
La ragazza, all’arrivo in ospedale, presentava ipossiemia, bradicardia, ipotermia e
ipotensione: si è ritenuto necessario dopo una splenectomia e una sternotomia mediana, al
fine di effettuare un massaggio cardiaco interno, istituire immediatamente un ECMO.
Questo, associato all’inalazione di NO nelle 6 ore successive l’intervento chirurgico, ha
contribuito attivamente alla rianimazione e al recupero della paziente.
Il dato più significatio è stato l’incremento della PaO2: da valori di 20-30 mmHg poco prima
dell’intervento chirurgico, fino a 133-254 mmHg dopo l’istituzione dell’ ECMO e la
somministrazione di NO.
Questo studio è stato confermato anche da Perchinsky e coll., presentando 6 casi di pazienti
traumatizzati, con lesioni multiple polmonari, emorragie polmonari e severa ipossiemia, in cui
l’utilizzo dellECMO ha portato ad un aumento del tasso di sopravvivenza del 50%.
I sistemi portatili di bypass cardipolmonari di emergenza, sono anche stati istituiti per il
trasporto di pazienti instabili su mezzi di diversa origine.
Reiss e coll., Clinic for Thoracic and Cardiovascular Surgery, Heart Center North Rhine-
Westphalia, Ruhr University of Bochum, Bad Oeynhausen, Germany, hanno svolto uno
studio (Artificial Organs 1995) sul trasporto di pazienti emodinamicamente instabili, attraverso
bypass cardipolmonari femoro-femorali d’emergenza e IABP, facenti parte degli strumenti del
“Mobile Mechanical Circulatory Support Team (MMCST)”.
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La loro esperienza porta un totale di 22 pazienti (14 uomini e 8 donne), supportati da
l’MMCST e trasportati fino alla clinica per intraprendere un iter diagnostico e terapeutico
adeguato.
Le diagnosi comprendevano:
♥ in 12 pz. IMA;
♥ in 7 pz. CMD (CardioMiopatia Dilatativa);
♥ in 3 pz. Miocardite fulminante.
Di questi, 15 sono stati trasportati con un bypass cardiopolmonare femoro-femorale
d’emergenza, associato a IABP; solo cinque invece hanno avuto bisogno del supporto del
solo contropulsatore.
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Il trasporto di pazienti in shock cardiogeno, attraverso un MMCST, permette oltre al controllo
immediato delle condizioni emodinamiche e respiratorie, anche la rapida e veloce gestione di
eventuali complicanze possibili, senza abuso di farmaci con possibili effetti tossici.
L’applicazione di ECLS è possibile anche su mezzi dell’elisoccorso.
Attualmente gli elicotteri del 118 di alcune zone d’Italia, collaboranti con il Soccorso Alpino,
hanno a bordo console per bypass cardiopolmonari femoro-femorali d’estrema emergenza da
utilizzare in casi d’ipotermia da cause eccezionali quali valanghe etc…
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5.b COS’E’ UN ECLS?
Un supporto cardiopolmonare meccanico, può essere chiamato in molto modi,
generalmente tutti racchiusi in ExtraCorporeal Life Support.
Quando la macchina cuore-polmone è utilizzata nelle sale operatorie per provvedere al
totale supporto cardiaco e polmonare, in modo da agevolare l’intervento, tramite un accesso
veno-arterioso, la tecnica viene comunemente definita CardioPulmonary ByPass (CPB).
Quando invece, l’ECLS, viene utilizzato all’esterno di un T.O. e di un intervento
chirurgico, per fornire un supporto respiratorio ed eventualmente circolatorio, con una tecnica
di cannulazione solitamente extratoracica, può essere chiamato:
♥ ExtraCorporeal Membrane Oxygenetion (ECMO);
♥ ExtraCorporeal Lung Assist (ECLA);
♥ ExtraCorporeal CO2 Removal (ECCO2R).
Sulla base della sede di cannulazione, quando l’approccio è extratoracico e il supporto
è utilizzato in caso di emergenza, si parla di CardioPulmonary Support (CPS) o
Extracorporeal CardioPulmonary Resuscitation (ECPR).
L’utilizzo solo della pompa è impiegato nei casi delle assistenze ventricolari, possiamo
quindi avere:
♥ left ventricular assist device (LVAD);
♥ right ventricular assist device (RVAD);
♥ biventricular assist device (BiVAD).
Le abbreviazioni ECLS ed ECMO, sono considerate entrambe sinonimi di supporti
cardiopolmonari a lunga durata; generalmente questi device includono:
♥ cannule specifiche per l’accesso vascolare stabilito;
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♥ un circuito eparinato con relative connessioni e vie di riempimento;
♥ una pompa centrifuga portatile con relativa campana e testata di supporto per
la stessa;
♥ un ossigenatore;
♥ uno scambiatore di calore;
♥ sistemi vari di monitorizzazione (flussimetri…).
L’ECMO è la tecnica extracorporea a medio lungo termine, più utilizzata; è effettuata
mediante una pompa, che integra la funzione contrattile del cuore e di un ossigenatore a
membrana, che integra o sostituisce temporaneamente la funzione di scambio del polmone.
Esistono due tipologie di assistenze:
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♥ l’ECMO veno-venoso (V-V), utilizzato quando via sia solo bisogno di un
supporto respiratorio;
♥ l’ECMO veno-arterioso (V-A), tecnica di assistenza mista che supporta il
circolo e la respirazione.
La cannulazione può avere luogo in svariate sedi:
♥ giugulo-femorale
♥ femoro-femorale
♥ atrio dx-aorta
♥ femoro-femorale (V-A)
♥ giugulo-carotidea (casi pediatrici)
Esistono diverse tipologie di cannule, scelte non solo in base alla sede d’approccio, ma
anche alle caratteristiche del paziente (altezza, peso, bsa, flussi, condizioni dei vasi…) e alla
situazione per cui viene richiesta l’istituzione dell’ECMO.
In emergenza, infatti, si predilige l’accesso periferico (femoro-femorale) attuato
attraverso la tecnica di Seldinger modificata, per il posizionamento di cannule percutanee
femorali eparinate.
Nel caso di un ECMO V-V
Nel caso di un ECMO V-A
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Questo tipo di accesso è vantaggioso per ridotto ingombro ed invasività, oltre che per
un guadagno netto sul tempo di cannulazione; vi sono però alcune problematiche, tra cui
l’ischemia dell’arto, considerata la più diffusa.
Alcuni centri utilizzano, in previsione del problema, un catetere 8F, posizionato tra il
lato dell’ingresso della cannula arteriosa e un punto localizzato distalmente, di qualche
centimetro, alla superficie dell’arteria femorale.
Questo sistema di shunt arterioso permette, così, una perfusione distale dell’arto.
Il fulcro centrale di un dispositivo ECMO è sicuramente l’ossigenatore, capace, dal punto di
vista strettamente funzionale, di fare le veci del polmone.
Esistono diversi tipi di ossigenatori, ma i più utilizzati sono:
♥ Ossigenatore a fibre cave eparinato, con sistema covalente (tipo Carmeda);
♥ Ossigenatore a diffusione in polimetilpentene eparinato con metodo bioline
(tipo Quadrox D);
♥ Ossigenatore a membrana in silicone non eparinato (tipo Sci-Med).
Il Quadrox D è l’ultima novità degli ossigenatori a lunga durata e in base alle sue
caratteristiche sembra aver dato ottimi risultati.
Da un punto di vista tecnico/fisico il Quadrox D si presenta con:
♥ Geometria quadrangolare;
♥ Membrana di diffusione in polymethylpentene di 1,8m2;
♥ Scambiatore di calore capillare in polietilene di 0,6m2;
♥ Uscita luer lock per spurgo dell’aria;
♥ Riempimento statico di 250mL;
♥ Portata da 0,5 a 7 L/min;
♥ Trasferimento di O2 di 288 ml/min con flusso di 4L/min;
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♥ Trasferimento di CO2 max 305 mL/min;
♥ Pressure drop di 40mmHg.
Da un punto di vista funzionale, invece, in Quadrox D è ritenuto un ottima opzione
perché:
♥ pratico per forma e dimensione;
♥ basso volume di riempimento;
♥ minime superfici di scambio;
♥ minima pressure-drop;
♥ facile decollaggio;
♥ efficiente regolazione termica;
♥ lunga durata;
♥ ottima biocompatibilità.
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L’intreccio tra flusso ematico, flusso dei gas e
flusso dell’acqua consentono di ottenere elevate
prestazioni all’interno del dispositivo.
Una volta assemblato, il circuito deve essere riempito con del priming; la soluzione più
utilizzata è il Ringer acetato con l’aggiunta di 1cc di Eparina.
E’ buona consuetudine scaldare il priming, se possibile, onde evitare arresto cardiaco
da brusco decremento della temperatura.
La coagulazione è un importante e fondamentale fattore, da tenere in considerazione,
una volta presa la decisione di istituire un ECMO.
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Al paziente vengono generalmente somministrate 50 UI/Kg di Eparina per il
mantenimento di un ACT (Activeted Clotting Time) tra i 160 e i 180 sec. a pieni flussi,
superiore a 200 sec. per flussi attorno a 1,5 L/min e tra 250-300 sec. per flussi attorno a 500
mL/min (particolare attenzione nella fase di svezzamento).
Il management della coagulazione consiste quindi:
♥ nel controllare l’ACT ogni ora per le prime 48h dall’istituzione dell’ECMO;
♥ dopo le 48h, il controllo dell’ACT può essere fatto ogni 2h;
♥ nel monitoraggio quotidiano di: PLT, PT, PTT, FIBRINOGENO,
ANTITROMBINAIII (sopra 70%) ,Hb libera plasmatica, APTOGLOBINA, LDH.
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6. CONCLUSIONI
L’avvento delle nuove tecnologie ha contribuito ad ottenere strumenti sempre più pratici ed
efficaci per intervenire sulla salute dei pazienti.
Questo vale anche per i supporti cariopolmonari extracorporei, che, com’è stato dimostrato,
possono avere grande utilità d’impiego nelle situazioni critiche più comunemente diffuse nelle
emergenze quotidiane.
Ciò che permette l’eventuale utilizzo di questi dispositivi, è innanzitutto lo sviluppo di ECLS
sempre più funzionali, pratici, piccoli e sicuri; applicabili a qualunque situazione in qualunque
luogo.
Un contributo sostanziale alla realizzazione di tali proiezioni è l’evoluzione della figura del
tecnico Perfusionista nel corso di questi anni, che è diventato un professionista sempre più
competente e di larghe vedute, anche a problematiche non solo risolvibili nelle sale operatorie
delle cardiochirurgie.
Questa proiezione al futuro, non vuol essere “un’emancipazione” professionale o di settore,
ma semplicemente un voler portare benefici sempre più concreti e avanzati al sistema
sanitario.
La Sanità si propone come unico e solo obiettivo il benessere della popolazione, sia dal
punto di vista della salute , che dal punto di vista economico.
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Sarebbe infatti interessante, valutare i costi di degenza e delle terapie, di pazienti non
sottoposti a cure tempestive ed adeguate, e confrontarli con un preventivo finanziario per
l’addestrameto e il reclutameto all’”emergenza” del personale (medico, infermieristico, tecnico
e volontario), per l’acquisto della strumentazione adatta e il riassestamento dei mezzi di
trasporto e dei luoghi in cui queste procedure potrebbero essere applicate.
Per quanto riguarda infatti, le attrezzature necessarie all’applicazione di un ECLS, la
tecnologia è già proiettata al futuro, con device ed apparecchiature
semplificate e miniaturizzate, migliorate per supporti prolungati e versatili.
L’istituzione invece di un “Team CardioPolmonare di Emergenza” è ancora molto
avvenieristica, soprattutto per la mancanza di linee guida attuali e per il futuro, che
dovrebbero essere fondate su “dogmi” quali:
♥ la Programmazione
♥ la Rapidità di Esecuzione
♥ la Chiarezza di Intenti ed Applicazione
♥ la Motivazione
♥ il Training Costante
♥ l’Aggiornamento
♥ la Ricerca
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