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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO I CICLO DI TFA ORDINARIO 2011-2012 CLASSE A049 MATEMATICA E FISICA RELAZIONE FINALE Relazione di Maria Stella Candela Matricola 0611851 Relatore Dott.ssa Cinzia Cerroni Correlatore Prof.ssa Lucia Lupo ANNO ACCADEMICO 2011 2012

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO I CICLO DI TFA ORDINARIO 2011-2012

CLASSE A049 MATEMATICA E FISICA

RELAZIONE FINALE

Relazione di

Maria Stella Candela

Matricola 0611851

Relatore

Dott.ssa Cinzia Cerroni

Correlatore

Prof.ssa Lucia Lupo

ANNO ACCADEMICO 2011 – 2012

I

ABSTRACT

La presente Relazione Finale si propone di argomentare le principali attività svolte durante il per-

corso del T.F.A., percorso finalizzato alla formazione degli insegnanti e il cui piano formativo pre-

vede insegnamenti di Scienze dell’Educazione, didattiche disciplinari con laboratori e attività di ti-

rocinio. In particolar modo, la relazione riporta descrizioni e osservazioni in merito alle attività che

hanno permesso di calare lo studente T.F.A. nelle problematiche connesse all’insegnamento. A tale

proposito la relazione risulta strutturata in tre parti: nella prima si descrivono le attività e le compe-

tenze didattiche acquisite dalla tirocinante durante il tirocinio diretto svolto presso il Liceo Scienti-

fico Statale “Galileo Galilei” sotto la supervisione del tutor accogliente Prof. Nicolò Cambiaso; nel-

la seconda si descrivono in modo critico i numerosi argomenti affrontati nel corso degli incontri di

tirocinio indiretto effettuati con il tutor coordinatore Prof.ssa Lucia Lupo riguardanti la struttura del-

la Scuola, sia da un punto di vista didattico che legislativo-funzionale; nella terza, infine, si trova la

descrizione di un percorso didattico elaborato dalla tirocinante durante il corso di Didattica e Storia

della Matematica, incentrato sui problemi isoperimetrici, percorso nel quale la ricerca del massimo

e del minimo viene affrontata senza l’uso del calcolo differenziale con lo scopo di accrescere negli

studenti l’interesse e l’importanza nei confronti della dimostrazione, oggi spesso trascurata soprat-

tutto in ambito geometrico.

II

INDICE

INTRODUZIONE ................................................................................................................................ 1

PRIMA PARTE RELAZIONE DI TIROCINIO DIRETTO ............................................................... 2

Descrizione della realtà scolastica sede dell’attività di tirocinio...................................................... 2

La scuola ....................................................................................................................................... 2

La sua tipologia ............................................................................................................................. 2

Il P.O.F. ......................................................................................................................................... 3

Le classi ........................................................................................................................................ 4

Il tutor: le sue scelte didattiche e la programmazione disciplinare adottata ................................. 4

Descrizione delle attività e delle competenze didattiche acquisite .................................................. 5

Tirocinio osservativo .................................................................................................................... 5

Tirocinio attivo di Matematica ..................................................................................................... 7

Tirocinio attivo di Fisica ............................................................................................................... 9

Prove Invalsi ............................................................................................................................... 10

Attività laboratoriale ................................................................................................................... 11

Il Collegio dei Docenti ................................................................................................................ 11

Conclusioni ..................................................................................................................................... 12

SECONDA PARTE RELAZIONE DI TIROCINIO INDIRETTO ................................................... 13

Introduzione .................................................................................................................................... 13

Normativa scolastica: CCNL, Testo Unico .................................................................................... 13

La funzione docente ....................................................................................................................... 14

Le competenze del docente e le specificità del docente di matematica e fisica ............................. 15

Gli organi collegiali ........................................................................................................................ 16

La scuola dell’autonomia ............................................................................................................... 17

Il Piano dell’Offerta Formativa ...................................................................................................... 18

La valutazione di sistema e di istituto. Indagini nazionali (INVALSI) ed internazionali (PISA):

quadri teorici, test e risultati ........................................................................................................... 19

III

La riforma della scuola e le indicazioni nazionali nei nuovi licei .................................................. 20

Le competenze di cittadinanza e gli assi culturali: la valutazione delle competenze alla fine

dell’obbligo di istruzione ................................................................................................................ 22

La valutazione della seconda prova dell’Esame di Stato nel Liceo Scientifico ............................. 23

La didattica laboratoriale in matematica: strumenti e metodologia ............................................... 24

Il laboratorio nella didattica della fisica ......................................................................................... 25

I libri di testo: dal cartaceo al digitale ............................................................................................ 25

Innovazione didattica e uso della LIM ........................................................................................... 26

Strumenti della docenza: il registro elettronico .............................................................................. 27

TERZA PARTE I PROBLEMI ISOPERIMETRICI ......................................................................... 28

Introduzione .................................................................................................................................... 28

Descrizione del percorso didattico ................................................................................................. 28

Classe .......................................................................................................................................... 28

Periodo ........................................................................................................................................ 28

Prerequisiti .................................................................................................................................. 28

Obiettivi generali ........................................................................................................................ 29

Obiettivi specifici ........................................................................................................................ 29

Metodologia e sviluppo dei contenuti ........................................................................................ 29

Conclusioni ..................................................................................................................................... 44

CONCLUSIONI ................................................................................................................................. 45

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................... 46

1

INTRODUZIONE

In una scuola dell'autonomia, che vuole essere al passo con i tempi, bisogna superare l'idea che sa-

pere vuol dire saper insegnare ed essere disposti ad accettare il dato di fatto che il binomio inse-

gnamento-apprendimento non è automatico. Serve, quindi, un percorso formativo alla professione

docente che non sia strutturato per discipline, ma per competenze. Lo scopo del T.F.A. non è fornire

il “sapere” necessario per lo svolgimento di una professione. La sua finalità è l'abilitazione profes-

sionale vera e propria: rendere chi la frequenta competente nell'esercitare la professione di docente

di una classe di concorso con i programmi d'insegnamento vigenti, con la normativa contrattuale,

istituzionale e di stato giuridico esistente, con le attese d'istruzione ed educazione espresse dagli

studenti e dalle famiglie. Per concretare sul piano metodologico e didattico queste consapevolezze,

il percorso di T.F.A. prevede un piano d'attività formativa distinto, all'interno di ogni classe di con-

corso, in tre grandi nuclei generativi: insegnamenti di Scienze dell’Educazione, che hanno permesso

alla tirocinante di analizzare gli aspetti pedagogici-didattici dell’insegnamento, fondamentali non

solo nella formazione delle nuove generazioni, ma anche nella formazione degli adulti (life long

learning); didattiche disciplinari con laboratori, che hanno consentito alla tirocinante di rivisitare

argomenti già trattati nei corsi universitari o di affrontarne altri non solo dal punto di vista teorico,

ma anche dal punto di vista della didattica; attività di tirocinio, relativamente alla quale la tirocinan-

te ha svolto solo 12 CFU dei 19 CFU programmati, avendo già maturato una breve esperienza

nell’ambito dell’insegnamento. Il tirocinio, suddiviso in tirocinio diretto, svolto presso il Liceo

Scientifico Statale “Galileo Galilei” sotto la supervisione del Prof. Nicolò Cambiaso, tirocinio indi-

retto, svolto sotto la guida del tutor coordinatore Prof.ssa Lucia Lupo, e seminari H, ha permesso il

passaggio dalla teoria all’azione diretta, consentendo alla tirocinante di confrontarsi direttamente

col mondo della scuola: dagli aspetti organizzativi generali a quelli didattici e di gestione delle clas-

si. In particolare, il tirocinio diretto ha confermato un messaggio che il T.F.A. ha cercato sempre di

comunicare: l’insegnante, così come il docente universitario, deve possedere una certa propensione

alla ricerca scientifica nel proprio settore disciplinare in maniera tale da offrire, costantemente, un

insegnamento al passo con i tempi. D’altro canto, gli incontri di tirocinio indiretto hanno rappresen-

tato l’occasione non solo per affrontare numerosi argomenti relativi alla struttura della scuola, sia da

un punto di vista didattico che legislativo-funzionale, ma anche l’occasione per mettere in comune

le osservazioni critiche condotte nelle diverse fasi delle attività di tirocinio diretto. I seminari H

hanno, infine, permesso alla tirocinante di acquisire competenze didattiche per l’integrazione degli

alunni con disabilità e di riflettere sulla necessità di creare una scuola sempre più inclusiva (Diretti-

va Ministeriale del 27 dicembre 2012).

2

PRIMA PARTE

RELAZIONE DI TIROCINIO DIRETTO

Descrizione della realtà scolastica sede dell’attività di tirocinio

La scuola

L’esperienza di tirocinio diretto si è svolta presso il Liceo Scientifico Statale “Galileo Galilei” di

Palermo. Il Liceo, rappresentato legalmente dalla prof.ssa Rosa Maria Rizzo, nel corrente anno sco-

lastico accoglie circa 1445 studenti e comprende 64 classi. La sede centrale si trova in via Danimar-

ca 54, ove sono collocati gli uffici della dirigenza e della segreteria, 46 aule, le aule speciali e i la-

boratori (laboratorio di biologia e scienze della terra, laboratorio di chimica, due laboratori di fisica,

un’aula multimediale, due laboratori linguistici, una biblioteca, un’aula audiovisivi, l’Aula Magna

“Vincenzo Santangelo” e due ampie palestre coperte, cui si aggiunge la presenza all’esterno di due

campi attrezzati). Il Liceo dispone di altri due plessi: plesso di viale Strasburgo, con 5 classi, e ples-

so di via Tranchina, con 13 classi. Pertanto, vista la sua collocazione, il Liceo Galilei abbraccia un

bacino di utenza che comprende la zona nord-ovest della città di Palermo e alcuni Comuni limitrofi.

La sua tipologia

L’articolo 8, comma 1, del Regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale, organizza-

tivo e didattico dei licei …” – D.P.R. n. 89 del 15/03/10 stabilisce che “il percorso del liceo scienti-

fico è indirizzato allo studio del nesso tra cultura scientifica e tradizione umanistica. Favorisce

l’acquisizione delle conoscenze e dei metodi propri della matematica, della fisica e delle scienze

naturali. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità ed a maturare

le competenze necessarie per seguire lo sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e per indi-

viduare le interazioni tra le diverse forme del sapere, assicurando la padronanza dei linguaggi,

delle tecniche e delle metodologie relative, anche attraverso la pratica laboratoriale.”

In seguito all’attuazione della riforma del secondo ciclo di istruzione entrata in vigore a partire

dall’anno scolastico 2010-2011, il liceo scientifico ha la durata di cinque anni e si articola in due

bienni e in un quinto anno; si conclude con un esame di Stato, al superamento del quale viene rila-

sciato un diploma che consente l’accesso all’università.

In tutte le classi prime, seconde e terze del Liceo Galilei è in atto il nuovo ordinamento; le restanti

classi si conformano ancora al vecchio ordinamento, comprese le preesistenti sperimentazioni (spe-

rimentazione del P.N.I. nelle classi quarte e quinte dei corsi A e B, sperimentazione della doppia

lingua straniera nelle classi quarte e quinte dei corsi C e D, sperimentazione di scienze naturali nelle

classi quarte e quinte del corso H).

3

Il P.O.F.

Il POF del Liceo Scientifico Galilei pone lo studente al centro della sua progettazione e della sua

azione e ispirandosi ai principi espressi nell’art. 3 e nell’art. 33 della Costituzione si propone di of-

frire pari opportunità a tutti gli iscritti creando le migliori condizioni per il loro successo formativo,

di garantire un’attività formativa di carattere flessibile al fine di tenere conto delle diverse esigenze

degli studenti e di promuovere tutte le forme di valorizzazione della diversità. Il Liceo si propone di

assicurare ai giovani strumenti concettuali e competenze mirate, per fronteggiare i fattori di com-

plessità della contemporaneità, per promuovere una coscienza critica, per acquisire autonomia di

giudizio e capacità di orientarsi in rapporto alle eterogenee forme della comunicazione e

dell’informazione, per affrontare consapevolmente il percorso universitario e il mondo del lavoro.

L’istituto pone molta attenzione all’aspetto della valutazione degli studenti. Il Collegio dei docenti

fornisce ai Consigli di classe delle indicazioni per definire precisi criteri di valutazione, in particola-

re le indicazioni fanno riferimento al comportamento, all’interesse e alla frequenza; viene inoltre

espressa l’opportunità di valutare ogni caso nella sua singolarità tenendo in debito conto il percorso

formativo, le eventuali difficoltà incontrate, le risposte alle strategie didattiche messe in atto, gli

obiettivi perseguiti e le attitudini dell’alunno nel proseguimento degli studi.

Tra gli assi trasversali dell’offerta formativa, il POF del Liceo Galilei pone: l’educazione alla legali-

tà e alla convivenza civile; l’educazione alla cittadinanza europea; l’educazione alla identità di ge-

nere; l’educazione alla salute; l’accoglienza, l’assistenza in itinere e l’orientamento in uscita; la va-

lorizzazione delle eccellenze; l’adesione ai programmi di mobilità studentesca internazionale in col-

laborazione con Intercultura; l’inserimento degli alunni diversamente abili mediante un’offerta for-

mativa che favorisca il pieno sviluppo delle potenzialità di ciascuno. L’istituto considera “gli alunni

diversamente abili come una risorsa per l’intera comunità scolastica”. Esso pone molta attenzione al

loro inserimento mettendo a disposizione aule e strutture adeguate ed insegnanti di sostegno.

Al fine di arricchire la formazione degli studenti il Liceo Galilei promuove numerose attività inte-

grative, tra cui: partecipazione a competizioni scientifiche (giochi della chimica, olimpiadi di ma-

tematica, olimpiadi di fisica, olimpiadi di scienze); corsi per la patente ECDL; seminari di neuro-

scienze; partecipazione al progetto “Palermoscienza”; progetto “Per un pugno di libri” che ha visto

la partecipazione di una classe del Liceo all’omonima trasmissione di Rai tre; presenza di conversa-

tori di lingua inglese e francese; certificazione PET; attività di laboratorio di fisica, ma anche di tea-

tro e di musica; corso di Italiano con la LIM; corso di Alimentazione; corso di fisica applicata ai va-

ri sport; corso per il conseguimento del certificato di idoneità alla guida del ciclomotore; progetti di

stage (stage lavorativo a Londra, stage presso l’agenzia Ausonia viaggi di Palermo, stage linguistico

ad Oxford con certificazione europea Cambridge UCLES); visite guidate e di integrazione culturale.

4

Le classi

L’attività di tirocinio diretto ha avuto inizio il 06/05/2013 e si è conclusa l’01/06/2013. Essa si è

svolta sotto la guida del prof. Nicolò Cambiaso, docente di matematica e fisica in 1a P (21 studenti)

e di fisica nelle classi 1a H (29 studenti), 2a G (24 studenti), 2a H (22 studenti), 2a I (20 studenti) e 3a

H (29 studenti). Visti i tempi limitati e il corposo numero di ore da svolgere entro la fine dell’anno

scolastico (72 ore), d’accordo con il tutor accogliente, si è deciso di svolgere l’attività di tirocinio in

tutte le classi da lui seguite. Ciò ha dato l’opportunità alla tirocinante di avere una visione comples-

siva delle possibili realtà che si possono incontrare in una scuola. Superata la perplessità iniziale

della presenza della tirocinante in classe, gli studenti l’hanno accolta in maniera positiva. Tutte le

classi hanno dimostrato di avere un buon rapporto di interazione con il tutor partecipando attiva-

mente al dialogo didattico-educativo e mantenendo un comportamento sostanzialmente corretto. E’

opportuno comunque fare alcune osservazioni. Le classi prime erano le più difficili da gestire, dato

il carattere vivace e turbolento di alcuni studenti che andavano moderati ed indirizzati verso una

maggiore concentrazione. Gli alunni delle classi seconde risultavano invece più scolarizzati e dal

punto di vista didattico avevano già sviluppato capacità logico-deduttive. La classe 3a H si è dimo-

strata molto matura. Grazie ad interventi frequenti di alcuni elementi venivano richiesti sempre più

approfondimenti riguardanti gli argomenti oggetto di studio. Così facendo gli studenti hanno messo

in luce un ottimo rapporto di collaborazione e stima con il tutor. E’ stato interessante vedere come

ogni classe avesse un proprio carattere e come il docente dovesse essere in grado di affrontarla. In

generale, ciò vale in ogni attività basata sull’interazione con altre persone, con la differenza che gli

allievi di una scuola secondaria di secondo grado stanno vivendo la loro adolescenza e questo deve

necessariamente essere tenuto in considerazione dal docente.

Il tutor: le sue scelte didattiche e la programmazione disciplinare adottata

Il confronto con il tutor, di cui si sottolinea la grande disponibilità ed umanità, è stato motivo di ri-

flessione critica e di crescita personale. In particolare, durante la fase osservativa si è notato come il

tutor, pur stimolando sempre gli alunni a formulare ipotesi di soluzione mediante il ricorso non solo

alle conoscenze possedute, ma anche all’intuizione, assumesse un approccio didattico diverso a se-

conda della classe e della materia oggetto di studio. L’insegnamento della matematica in prima pre-

vedeva uno svolgimento graduale degli argomenti in modo da permettere agli alunni di assimilare i

concetti introdotti con un linguaggio semplice e chiaro pur nel rispetto del rigore espositivo. Il do-

cente, inoltre, privilegiava un insegnamento per “problemi” al fine di scoprire relazioni e collegare

razionalmente quanto appreso. Per quanto riguarda l’insegnamento della fisica il tutor utilizzava nel

primo biennio un approccio di tipo concreto: a partire dall’osservazione di fenomeni della vita quo-

tidiana, erano sviluppati percorsi di analisi della realtà, attraverso la risoluzione di situazioni pro-

5

blematiche che richiedevano una trattazione formale semplice. Nel secondo biennio veniva, invece,

dato maggior rilievo all’impianto teorico ed alla sintesi formale, formulando e risolvendo problemi

più impegnativi, sia dal punto di vista delle leggi della fisica che riguardo all’uso di strumenti e mo-

delli matematici. Nell’approccio didattico adottato dal tutor relativamente all’insegnamento della

fisica centrale risultava l’attività sperimentale, tramite la quale lo studente del primo biennio poteva

imparare ad esplorare fenomeni e a descriverli, lo studente del secondo biennio poteva costruire

concetti e condurre osservazioni e misure, confrontando risultati sperimentali e teorie.

Descrizione delle attività e delle competenze didattiche acquisite

Tirocinio osservativo

Durante la fase osservativa del tirocinio si è assistito allo svolgimento in classe di spiegazioni, eser-

citazioni, verifiche orali e scritte. Le spiegazioni e le esercitazioni seguite riguardavano argomenti

sia di matematica (le frazioni algebriche e le equazioni lineari in una incognita in 1a P) che di fisica

(la statica dei fluidi nelle classi prime; l’energia, il lavoro e il principio di conservazione

dell’energia nelle classi seconde; la dilatazione termica, le leggi di Boyle e di Gay-Lussac e

l’equazione di stato dei gas perfetti in 3a H). In generale, il tutor svolgeva lezioni frontali/partecipate

cercando di coinvolgere continuamente gli studenti e richiedendo loro ragionamenti in merito agli

argomenti trattati. Prima di introdurre nuovi concetti, sondava sempre la classe così da capire se

quanto spiegato prima fosse stato assimilato oppure se necessitava di ulteriori approfondimenti. In

questo modo faceva anche un breve ripasso degli argomenti trattati prima di procedere a spiegare

quelli nuovi. Durante le spiegazioni il tutor aveva molta cura di quei ragazzi che presentavano mag-

giori difficoltà, preoccupandosi che la loro attenzione fosse sempre attiva. D’altra parte, anche gli

studenti che seguivano in modo costante e avevano un buon rendimento scolastico venivano sempre

chiamati a contribuire alla lezione con loro suggerimenti. Le varie spiegazioni erano sempre ac-

compagnate dallo svolgimento di esercizi esemplificativi da parte del tutor, strumento utile ad espli-

citare dettagli che non erano stati approfonditi e a chiarire dubbi e difficoltà, e dall’effettuazione in

classe di numerose esercitazioni durante le quali il docente lasciava che gli studenti risolvessero au-

tonomamente alcuni esercizi tratti dal libro di testo. Di fronte a richieste di chiarimento il prof.

Cambiaso era sempre disponibile a fornire i suggerimenti e le spiegazioni necessarie. In particolare,

nella risoluzione di problemi gli studenti venivano guidati dal tutor ad una lettura attenta del testo al

fine di comprenderne il significato e di coglierne in maniera opportuna i diversi dettagli. Le lezioni

così impostate diventavano un vero lavoro di gruppo in cui gli studenti interagivano continuamente

fra di loro e con il docente sempre in modo costruttivo. Molto spesso però al termine

dell’esercitazione non veniva svolta la correzione dell’esercizio alla lavagna. A parere della tiroci-

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nante, questa metodologia didattica, pur avendo il vantaggio di stimolare l’alunno nella ricerca au-

tonoma della soluzione, dovrebbe essere sempre completata da un’ulteriore fase di correzione (an-

che in giorni successivi) in modo tale che anche lo studente che non avesse saputo risolvere

l’esercizio avrebbe potuto vederne lo svolgimento corretto colmando in parte le sue lacune e riflet-

tendo su come applicare i concetti da lui studiati in maniera teorica. Si è infatti osservato che duran-

te le esercitazioni, nonostante la maggioranza degli studenti si applicasse nell’esecuzione del com-

pito loro proposto, alcuni elementi si distraevano e non tentavano nemmeno di iniziare lo svolgi-

mento dell’attività mostrando disinteresse per quanto si stava facendo. Lo stesso tutor ha mostrato

perplessità sulla validità didattica di tale metodo chiedendo il parere della tirocinante, parere che il

tutor ha colto positivamente mettendolo subito in pratica. Da ciò si è potuto evincere come un do-

cente debba essere sempre aperto al confronto con gli altri cogliendo ogni suggerimento valido al

fine di migliorare la propria attività didattica che ha come scopo precipuo la formazione

dell’alunno. Tra gli errori più comuni notati nella fase di osservazione si ricordano quelli legati al

cambio di unità di misura per quanto riguarda la risoluzione di problemi di fisica e quelli legati ad

individuare il campo di esistenza di un’espressione algebrica fratta relativamente agli esercizi di

matematica. Dal momento che l’attività di tirocinio in classe si è concentrata nella fase finale

dell’anno scolastico si è assistito a numerose verifiche orali soprattutto di fisica. Il tutor svolgeva le

prove orali chiamando di volta in volta due o più studenti alla lavagna. Il docente aveva l’abitudine

di impostare le interrogazioni in maniera diversa a seconda dell’allievo. Quando si trovava di fronte

ad alunni più fragili poneva esclusivamente domande di carattere teorico limitandosi a verificare le

conoscenze acquisite. Naturalmente una ripetizione mnemonica della teoria non bastava ad ottenere

la sufficienza, ma correttamente il tutor verificava sempre che gli argomenti esposti fossero stati ef-

fettivamente capiti dall’alunno. In altri casi, iniziava ponendo un esercizio nuovo e chiedendo agli

studenti di ragionare su questo sulla base delle conoscenze da loro possedute. Il timore iniziale do-

vuto alla novità della questione posta era ben presto superato grazie all’intervento del docente che

guidava lo studente alla risoluzione del problema. Così facendo non solo venivano valutate le cono-

scenze possedute dall’alunno, ma anche le competenze acquisite. In ogni caso, durante tutte le veri-

fiche orali osservate, il tutor metteva sempre gli studenti a loro agio cercando di ridurre la tensione

che avrebbe potuto compromettere il rendimento. Anche nelle interrogazioni più faticose non per-

deva mai la calma e guidava sempre lo studente affinché gli argomenti da lui esposti seguissero un

ragionamento ordinato e logico. Al termine delle interrogazioni, l’esito veniva reso immediatamente

noto agli alunni. L’osservazione delle verifiche orali è stata molto educativa in quanto ha permesso

alla tirocinante di capire come si possono svolgere le interrogazioni senza che i ragazzi siano presi

da tensione. E’ stato interessante anche osservare come per quanto riguarda la fisica ci si collegasse

7

continuamente ad esempi pratici della vita quotidiana. La tirocinante ha assistito a diverse verifiche

scritte sia di matematica che di fisica. Il docente dopo avere consegnato il testo del compito agli

studenti lo leggeva tutto fornendo le indicazioni necessarie. Nel corso dello svolgimento del compi-

to il clima in aula era sempre abbastanza tranquillo. Il tutor e la tirocinante passavano fra i banchi

per fornire ulteriori chiarimenti ed eventuali indicazioni agli studenti che ne facevano richiesta o a

quelli che mostravano errori banali di distrazione. Le verifiche di fisica somministrate agli alunni in

questa fase finale sono state elaborate dalla tirocinante sotto la supervisione del tutor. Nella prepa-

razione di queste si è cercato di formulare esercizi che fossero familiari agli studenti basandosi su

quanto osservato in classe e seguendo le indicazioni date dal tutor con cui la tirocinante si è sempre

confrontata prima di stabilire la versione definitiva del compito. Consapevole del fatto che la verifi-

ca costituisce un momento di fondamentale importanza nell’impostazione didattica in quanto per-

mette di appurare le conoscenze, le capacità e le abilità acquisite dagli alunni, nonché il raggiungi-

mento degli obiettivi prefissati, la scelta degli esercizi da inserire nei vari compiti non è stata sem-

plice. In questa fase la guida del tutor è stata fondamentale in quanto ha fatto capire alla tirocinante

come la verifica non deve configurarsi in un giudizio intransigente, bensì in un accertamento circa

l’efficacia dell’azione didattico-educativa che deve servire da stimolo non solo all’alunno, ma anche

al docente il quale attraverso gli errori commessi dagli alunni può individuare le difficoltà attivando

di conseguenza interventi di recupero finalizzati a colmare le carenze accertate o procedendo alla

modifica del percorso didattico programmato. In orari extrascolastici la tirocinante si è occupata an-

che della correzione delle prove scritte di matematica della 1a P svolte il 06/05/2013. La correzione

del compito non è stata un’attività banale, in quanto è stato necessario dover rivedere le verifiche

più volte al fine di ottenere una valutazione che tenesse conto anche di esercizi non completi o non

completamente corretti. Si è proceduto mediante la realizzazione di una tabella in cui per ogni alun-

no sono stati descritti gli errori commessi in ciascun esercizio. Solo dopo aver corretto tutti i compi-

ti e averli revisionati una seconda volta è stata assegnata una valutazione. Il successivo confronto

con il tutor è stato istruttivo in quanto ha fatto riflettere la tirocinante su quanto sia difficile espri-

mere un giudizio il più possibile oggettivo.

Tirocinio attivo di Matematica

Data la ristrettezza dei tempi in cui l’attività di tirocinio si è svolta non è stato possibile realizzare

un percorso didattico progettato in precedenza. Tuttavia, la tirocinante ha avuto la possibilità di te-

nere alcune lezioni in classe. In particolare, in 1a P è stata affrontata la spiegazione del teorema

dell’angolo esterno1 e dei corollari ad esso connessi2, completata dalla classificazione dei triangoli

1 Teorema dell’angolo esterno. In un triangolo ogni angolo esterno è maggiore di ciascuno dei due angoli interni non adiacenti ad esso.

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rispetto agli angoli. La tirocinante ha condotto una lezione dialogica con gli studenti cercando di

coinvolgerli continuamente tramite domande-stimolo e invitandoli anche alla scoperta autonoma

delle proprietà oggetto di studio. Il tutor è intervenuto nei momenti in cui si dovevano richiamare

argomenti studiati in precedenza sollecitando l’attenzione degli studenti, che comunque si sono mo-

strati attenti e partecipi intervenendo ogni volta si presentava loro un dubbio.

Avendo notato, sia durante il tirocinio osservativo sia nella lezione tenuta dalla tirocinante, come

l’apparato formale su cui si basa l’insegnamento della geometria appaia agli studenti come elemen-

to di irrigidimento che soffoca fantasia ed immaginazione, si è deciso di realizzare una lezione in

cui la trattazione dei triangoli e delle loro proprietà fosse affrontata facendo uso di Cabri Géomètre,

un software di geometria dinamica il cui valore è legato alla programmazione strutturata e alla pos-

sibilità di spostare e animare gli oggetti geometrici. In particolare, utilizzando un computer portatile

collegato ad un proiettore, si è mostrato loro come costruire un triangolo isoscele, un triangolo equi-

latero e un triangolo rettangolo. Dopo avere ricordato agli studenti gli enunciati dei tre criteri di

congruenza, si è fatto notare che un triangolo può essere individuato, a meno di congruenze, da tre

suoi elementi. Tale riflessione ha permesso alla tirocinante di procedere alla effettiva costruzione di

un triangolo dato mediante tre elementi (tre lati, due lati e l’angolo compreso, un lato e i due angoli

adiacenti). La possibilità di Cabri di deformare dinamicamente la figura ha consentito poi di discu-

tere sul fatto che non sempre i tre elementi dati in modo casuale consentono la costruzione di un

triangolo: ogni lato deve essere minore della somma degli altri due e maggiore della loro differenza;

la somma di due angoli interni di un triangolo è minore di un angolo piatto. Così facendo si è riusci-

ti a mostrare visivamente quanto spiegato in modo formale prima. Sicuramente sarebbe stato più

istruttivo portare gli alunni in laboratorio di informatica in modo da permettere loro di realizzare le

costruzioni che di volta in volta si elaboravano, ma ciò non è stato possibile dal momento che la

classe 1a P apparteneva al plesso di viale Strasburgo che non era dotato di laboratorio di informati-

ca. Inoltre, sarebbe stato più proficuo procedere in modo inverso, ossia partire da una visione intui-

tiva iniziale e procedere solo in una fase successiva alla formalizzazione dei contenuti. Infatti, la ti-

rocinante ritiene che lo studente deve essere sempre invitato alla scoperta autonoma delle proprietà

oggetto di studio e solo successivamente bisogna passare ad una dimostrazione rigorosa delle pro-

prietà osservate. Tale impostazione sperimentale sembra più opportuna dal punto di vista didattico

in quanto abitua lo studente alla curiosità scientifica e al gusto della scoperta che in ogni caso deve

essere sottoposta ad una verifica razionale. In questa visione del processo di insegnamento-

2 Corollario 1. La somma di due angoli interni di un triangolo è minore di un angolo piatto. Corollario 2. Un triangolo non può avere due (o più) angoli retti, né due (o più) angoli ottusi, né un angolo retto e uno ottuso, cioè in un triangolo due angoli sono sempre acuti. Corollario 3. Gli angoli alla base di un triangolo isoscele sono acuti.

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apprendimento, risulta molto utile, per quanto riguarda lo studio della geometria, l’utilizzo del soft-

ware Cabri Géomètre. Infatti, esso sfrutta la capacità della geometria di stimolare la fantasia anche

estetica dello studente per avvicinare gradualmente l’allievo a quegli aspetti più formali e razionali

che egli può accettare soltanto se ne comprende la possibilità di utilizzo come sistemazione e affi-

namento delle stesse capacità intuitive. In merito alla lezione realizzata con Cabri è stata preparata

una scheda di lavoro che gli alunni hanno completato seguendo le costruzioni realizzate in classe. In

tal modo gli studenti più volenterosi avrebbero potuto rifare le costruzioni anche a casa.

Tirocinio attivo di Fisica

Il tirocinio attivo di fisica si è svolto nella classe 3a H in cui gli studenti stavano affrontando lo stu-

dio delle leggi dei gas. Un primo intervento ha riguardato l’esecuzione di una esercitazione in clas-

se. In vista del compito la tirocinante ha deciso di far svolgere agli alunni alcuni esercizi sulla legge

di Boyle. Seguendo la tecnica che il tutor accogliente ha adottato spesso, si è lasciato che gli studen-

ti risolvessero autonomamente i problemi loro assegnati, mentre si passava tra i banchi fornendo

chiarimenti e spiegazioni a chi lo richiedeva. Un esercizio ha messo in difficoltà anche gli elementi

più bravi della classe dal momento che esso necessitava l’applicazione di regole riguardanti la teoria

degli errori, argomento trattato al primo anno di liceo e non più vivido nella memoria dei ragazzi.

Ciò ha richiesto l’intervento della tirocinante. In particolare, un alunno ha chiesto quale fosse la dif-

ferenza tra errore assoluto ed errore relativo. La tirocinante, traendo spunto da questa domanda, ha

fatto un breve riepilogo sull’argomento soffermandosi anche sulla propagazione degli errori sia nel-

le addizioni e nelle sottrazioni, che nelle moltiplicazioni e nelle divisioni, al fine di dare agli alunni

gli strumenti necessari per rispondere alle richieste del problema. Al termine si è chiamato un alun-

no alla lavagna per effettuare la correzione dell’esercizio. La tirocinante, avendo osservato che i ra-

gazzi di fronte ad aride formule le imparavano a memoria e le applicavano in maniera meccanica

senza capire il significato di queste, si è chiesta come interessare gli alunni allo studio delle leggi

dei gas. Partendo dalla consapevolezza che la storia può rinforzare l’insegnamento delle teorie fisi-

che, ha pensato di coinvolgerli attraverso la conoscenza del processo storico che ha portato alla loro

formulazione. In particolare, il suo intervento si è focalizzato sulla prima legge di Gay-Lussac. Nel

fare ciò, non si è limitata a spiegare l’esperimento storico di Gay-Lussac, ma ha parlato anche della

fase storica antecedente a questo, mostrando alla classe come dietro ad ogni legge vi fosse il lavoro

e lo studio di numerosi scienziati. Alla fine dell’ora ha chiesto ai ragazzi di esprimere un giudizio

sulla lezione da lei tenuta. Alcuni le hanno fatto notare che nonostante l’argomento li avesse inte-

ressati, il non avere utilizzato un proiettore che permettesse a tutti di osservare le immagini che de-

scrivevano l’apparato sperimentale dell’esperimento svolto da Gay-Lussac aveva ridotto l’efficacia

del suo intervento. Questa osservazione ha fatto riflettere la tirocinante sulla necessità di utilizzare

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in maniera opportuna gli strumenti didattici per ottenere lezioni più efficaci ed interessanti. Il tutor è

sempre stato presente durante tutte le ore di tirocinio attivo, intervenendo con opportune osserva-

zioni utili ad una maggiore comprensione degli argomenti da parte degli studenti.

Prove Invalsi

Tra le attività svolte dalla tirocinante molto interessante è stata l’osservazione delle prove Invalsi

che si sono svolte 16/05/2013 in tutte le classi seconde della scuola secondaria di secondo grado e

che consistevano nella somministrazione di una prova di Italiano, una di Matematica e in un Que-

stionario studente. Al Liceo Galilei il regolare svolgimento delle prove, il cui referente era proprio il

prof. Cambiaso, è stato fin da subito intralciato dalla telefonata (molto probabilmente effettuata da-

gli stessi alunni) che segnalava la presenza di un ordigno a scuola. L’evacuazione dell’istituto e

l’arrivo della Polizia per controllare la sicurezza del luogo ha ritardato l’inizio delle Invalsi, che al

Liceo Galilei sono incominciate alle 10:00 e non alle 9:00 così come stabilito da regolamento. Le

prove Invalsi dovevano essere infatti svolte in contemporanea su tutto il territorio nazionale. Alcuni

docenti hanno scioperato contro i test Invalsi sostenendo che “i quiz standardizzati avviliscono il

ruolo dei docenti e della didattica, abbassando gravemente la qualità della scuola”. La protesta dei

Cobas si opponeva duramente al sistema di “autovalutazione” della scuola basato sui quiz Invalsi e

sui parametri forniti dal Miur, ritenendola una procedura non giusta in quanto non teneva conto di

molti fattori rilevanti, tra i quali il contesto sociale. Questi test verranno infatti restituiti a tutti gli

istituti al fine, come spiega l’Invalsi, di “stimolare l’avvio dei processi di autovalutazione da cui le

scuole dovrebbero poter identificare i propri punti di forza e criticità, individuando possibili inter-

venti di miglioramento.” Durante il tirocinio osservativo, la tirocinante ha seguito lo svolgimento

del test Invalsi di Matematica nella classe 2a I, in cui è rimasta per due ore. Il test, della durata di 90

minuti, era composto da 32 domande a scelta multipla. Ogni quesito presentava 4 possibilità di scel-

ta e una sola risposta corretta. Il testo era impaginato in cinque maniere diverse per evitare la copia-

tura fra compagni di classe. Si potevano usare la calcolatrice, il compasso, il goniometro e il righel-

lo, ma era vietato l’uso del cellulare. La prova ha avuto inizio alle ore 11:45. Essa era costituita pre-

valentemente da esercizi di logica, calcolo delle probabilità, esercizi che richiedevano

l’applicazione del concetto di percentuale, di nozioni di geometria euclidea e di geometria analitica.

Era pure presente un esercizio sul moto rettilineo uniforme. La maggior parte degli alunni riteneva

la prova difficile, solo un allievo la considerava fattibile. Ad avviso della tirocinante alcuni esercizi

presentavano una difficoltà piuttosto elevata per studenti della seconda classe della scuola seconda-

ria di secondo grado (richiedevano infatti l’applicazione di conoscenze a loro non note: geometria

analitica, elementi di calcolo delle probabilità); altri quesiti invece erano più semplici e richiedeva-

no l’applicazione di capacità logiche e delle competenze matematiche che ogni studente dovrebbe

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possedere. Lo svolgimento del test si è concluso alle 13:15. Subito dopo è stato somministrato “Il

questionario dello studente”, uno strumento di raccolta dati affiancato alle prove Invalsi avente lo

scopo di raccogliere informazioni relative allo studente e alla famiglia, alle attività svolte durante il

tempo scolastico e libero, alle opinioni e agli atteggiamenti in merito allo studio e alla scuola. Tra i

punti di criticità notati dalla tirocinante si segnala la presenza di un solo insegnante somministratore

di tutte le prove in una classe il che rendeva molto gravoso l’impegno del docente. Sarebbe stato

preferibile l’alternanza di due docenti. Inoltre, quest’anno, a differenza degli anni precedenti, la cor-

rezione dei test è stata eseguita su piattaforma on-line, creando diverse difficoltà organizzative. No-

nostante le numerose polemiche riguardanti le Invalsi, queste possono rappresentare uno stimolo

per i docenti al fine di sviluppare una didattica per competenze. Naturalmente, è necessario un ade-

guamento del sistema ai diversi contesti sociali e ai programmi effettivamente svolti dai docenti.

Attività laboratoriale

Tra le competenze di un docente vi è l’utilizzo di modalità diverse di comunicazione e di varie

strumentazioni. In quest’ambito si colloca l’uso dei laboratori didattici. Nel corso del tirocinio diret-

to è stata data la possibilità alla tirocinante di comprendere il funzionamento di un laboratorio di fi-

sica grazie allo svolgimento, sotto la supervisione della prof.ssa Lucia Lupo di alcune esperienze

sulla legge di Boyle e sulla seconda legge di Gay-Lussac. Gestire un laboratorio di fisica richiede

impegno, in quanto è necessario catalogare e mantenere in funzione tutte le apparecchiature con

l’aiuto dell’assistente tecnico, realizzare delle schede didattiche di lavoro che spiegano come si ese-

guono gli esperimenti, preparare nuove esperienze. Ma, l’uso del laboratorio è indispensabile

nell’insegnamento della fisica. Essa è infatti una disciplina sperimentale e il laboratorio di fisica è il

momento di effettivo avvicinamento ai fenomeni reali, alle loro caratteristiche e complessità.

Il Collegio dei Docenti

Un’ulteriore attività formativa è stata anche la partecipazione al Collegio dei docenti tenutosi al Li-

ceo “Galileo Galilei” il 13/05/2013. La tirocinante ha potuto conoscere alcune delle funzioni svolte

da tale organo collegiale, tra cui la valutazione periodica dell’andamento complessivo dell’azione

didattica, la delibera, nel quadro delle compatibilità con il P.O.F. e delle disponibilità finanziarie,

delle attività aggiuntive all’insegnamento (nel caso osservato, il piano PON 2012/2013) e la ratifica

dell’adozione dei libri di testo, su proposta dei consigli di classe. Ciò ha permesso alla tirocinante di

riflettere sulla centralità del Collegio dei docenti al fine di garantire un adeguato funzionamento di-

dattico dell’Istituzione scolastica e sull’importanza del ruolo di ogni docente al suo interno. Ogni

insegnante ha infatti il diritto/dovere di partecipare attivamente al Collegio prestando la massima

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attenzione nel momento delle delibere affinché tale organo non sia ridotto ad un ruolo di mera rati-

fica notarile di decisioni prese altrove venendo così esautorato dalle sue funzioni.

Conclusioni

L’attività di tirocinio diretto ha permesso alla tirocinante di calarsi nell’attività di insegnamento e di

riflettere su di essa. Positivo è stato il rapporto con l’insegnante di classe (prof. Nicolò Cambiaso),

sempre disponibile al confronto, al dialogo, alla condivisione della propria esperienza e professiona-

lità, al fine di contribuire costruttivamente alla formazione della nuova classe docente. Grazie alla

sua guida la tirocinante ha potuto apprendere come l’insegnante, oltre ad essere competente nel suo

ambito disciplinare, deve sempre attuare scelte didattiche mirate al miglioramento dell’alunno. Le

lezioni non vanno mai improvvisate, altrimenti perdono in efficacia ed efficienza. Adattare gli ar-

gomenti da trattare e il linguaggio alla classe, senza perdere il rigore, è un aspetto fondamentale che

richiede un’analisi critica e continua del proprio operato al fine di apportare i giusti correttivi didat-

tici. Spetta, inoltre, al docente di integrare le metodologie classiche con le tecnologie multimediali

al fine di motivare gli studenti e attirarne l’attenzione in maniera più incisiva. Centrale è, infatti, la

relazione docente/allievo. Se dall’esperienza diretta in classe la tirocinante ha potuto conoscere ed

applicare alcune strategie per promuovere il buon comportamento degli studenti, dall’altro ha preso

consapevolezza della necessità si essere aperti al dialogo e al confronto con gli alunni, pur mante-

nendo sempre una propria figura professionale che comunichi loro la sicurezza di trovarsi di fronte

una guida, ma soprattutto un essere umano. I ragazzi pertanto dovrebbero sentire, percepire “auto-

revolezza” piuttosto che “autorità”. A conclusione, è possibile asserire che l’esperienza di tirocinio

a scuola sia stata molto formativa in quanto, grazie al confronto con il tutor, ha permesso alla tiroci-

nante di avere conferma dei propri punti di forza, avere consapevolezza delle aree da migliorare,

avere un supporto esterno per il proprio processo di miglioramento ed iniziare quella buona pratica

di autovalutazione continua che dovrebbe accompagnare il docente in tutto l’arco della sua attività.

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SECONDA PARTE

RELAZIONE DI TIROCINIO INDIRETTO

Introduzione

Nel corso degli incontri di tirocinio indiretto effettuati a partire dal 23/04/2013 con il tutor Prof.ssa

Lucia Lupo, sono stati affrontati numerosi argomenti relativi alla struttura della Scuola, sia da un

punto di vista didattico che legislativo-funzionale. Non è il caso di effettuare una rivisitazione stori-

ca delle normative che hanno interessato i diversi ordinamenti scolastici, in materia di alunni, do-

centi, personale A.T.A. o delle varie modifiche legate a problemi quali l’edilizia scolastica o la di-

dattica. Ovviamente, pur essendo tutte le normative organiche al funzionamento della Scuola, è più

utile affrontare, data la classe di concorso, la parte relativa alle norme che governano la scuola se-

condaria di secondo grado. A tale scopo è opportuno iniziare dal T.U. 297/94 e dagli argomenti di

carattere teorico-normativo per continuare con la parte più propriamente didattica e concludere con

le innovazioni tecnologiche, con la convinzione che tutti gli strumenti legislativi, metodologici e

tecnologici possono fornire un positivo contributo al miglioramento della vita scolastica e del ren-

dimento degli alunni solo se si sviluppa una reale sinergia tra le componenti del sistema scolastico.

Normativa scolastica: CCNL, Testo Unico

Il Testo Unico, approvato il 16 aprile 1994, con il D.L. n. 297, fornisce disposizioni legislative sul-

le varie componenti della Scuola. Tale Testo è di fondamentale importanza in quanto raccoglie, al

suo interno ed in modo organico, le norme legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle

scuole di ogni ordine e grado. Suo merito fondamentale è stato quello di aver affrontato, con un di-

segno unitario, l’intero impianto del sistema scolastico nazionale, nei suoi diversi e variegati aspetti,

superando la frammentarietà dei precedenti interventi, per costruire un quadro coerente e sistemati-

co dell’intero sistema formativo. Il Testo Unico si ispira alla Costituzione Italiana, in particolare

agli articoli 33, 34, 36, 39, 40, che riguardano la libertà d’insegnamento, il diritto all’istruzione, i

diritti del lavoratore, la libertà sindacale e il diritto di sciopero. In riferimento alla funzione docente,

l’art. 395 prevede che i docenti di ogni ordine e grado svolgano il normale orario di insegnamento,

espletino le altre attività connesse, partecipino al governo della comunità scolastica. Con finalità

diverse, ma con lo stesso spirito, si muovono le disposizioni contrattuali relative alla funzione do-

cente contenute nel CCNL 2006/2009, in cui si ribadiscono i diritti e i doveri dell’insegnante e se ne

regolano le attività, articolandole in attività di insegnamento, attività aggiuntive ed attività di am-

pliamento dell’offerta formativa (art. 26-29). Nelle scuole e istituti di istruzione secondaria ed arti-

stica, le attività di insegnamento si svolgono in 18 ore settimanali, distribuite in non meno di cinque

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giorni a settimana. I docenti con orario di cattedra inferiore alle 18 ore settimanali sono tenuti al

completamento dell’orario di servizio con la copertura di ore di insegnamento disponibili in classi

collaterali, con interventi didattici ed educativi integrativi, con la sostituzione dei docenti assenti,

con le attività parascolastiche ed interscolastiche programmate. Qualunque riduzione della durata

dell’ora di lezione ne comporta il recupero, con delibera del collegio dei docenti che ne determina le

modalità. Le attività funzionali all’insegnamento si possono distinguere in adempimenti individuali

e collegiali. I primi riguardano la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni, la correzione degli

elaborati, i rapporti individuali con le famiglie. Le attività collegiali sono costituite dalla partecipa-

zione alle riunioni del Collegio dei Docenti (fino a 40 ore annue), dalla partecipazione alle attività

collegiali dei consigli di classe (non superiore a 40 ore), dallo svolgimento di scrutini ed esami

compresa la compilazione degli atti relativi alla valutazione. L’espletazione della funzione docente

comprende anche le attività di programmazione e progettazione, ricerca, valutazione, documenta-

zione, aggiornamento e formazione, preparazione dei lavori degli organi collegiali, partecipazione

alle riunioni, attuazione delle delibere adottate dagli organi collegiali.

La funzione docente

L’art. 2 del decreto delegato n. 417 del 31 maggio1974, ripreso dall’art. 395 del D.Lgs. n. 297 del

1994, definisce la funzione docente sottolineandone le finalità che potremmo definire istituzionali:

trasmissione, elaborazione e compartecipazione dell’alunno al processo culturale, con un preciso

riferimento alla “formazione umana e critica” della personalità del giovane, che costituisce il tratto

distintivo dell’istituzione scuola rispetto al altre agenzie culturali. Il profilo professionale dei docen-

ti è più specificamente delineato nel CCNL del 2007 come sintesi di competenze disciplinari, psi-

copedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di ricerca, documentazione e

valutazione. A questa definizione istituzionale seguono i compiti aggiuntivi, definiti “attività con-

nesse alla funzione docente”, in cui è importante sottolineare il risalto dato all’aggiornamento cultu-

rale e professionale degli insegnanti: nel CCNL l’aggiornamento è definito diritto-dovere fonda-

mentale del personale docente, ed è inteso come processo mirato ad aggiungere, a quelle già pos-

sedute, conoscenze culturali e disciplinari, competenze didattiche e organizzative, relazionali e pe-

dagogiche, per integrarle, adeguarle, rinnovarle. Occorre evidenziare anche la dimensione e le com-

petenze di natura collegiale, sia sul piano dello stesso aggiornamento, sia su quello delle iniziative

educative promosse dalla scuola, sia su quello dei rapporti con le altre componenti della comunità

scolastica. Sottolineature non casuali, perché si tratta in realtà di una sorta di tessuto connettivo che

ritorna in tutta la complessa costruzione dei decreti delegati e della cogestione della comunità scola-

stica. Molto più complesso risulta il principio della libertà di insegnamento, i cui capisaldi risiedo-

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no nella “autonomia didattica” e nella “libera espressione culturale” del docente. Terreno quanto

mai irto di difficoltà non solo nella sua definizione, ma soprattutto nella sua delimitazione, assicura-

ta dal dettato costituzionale (art. 33 della Costituzione italiana), dagli ordinamenti scolastici (leggi,

programmi, indicazioni nazionali), dai diritti degli alunni. La libertà di insegnamento è prerogativa

di tutti i docenti e vale a garantirli contro ogni intromissione o prevaricazione, ma non è fine a sé

stessa: tanto più si manifesta come autentica libertà quanto più è indirizzata al raggiungimento di

quegli obiettivi sociali specifici (trasmissione, elaborazione, partecipazione al processo culturale)

per i quali è stata sancita. Non può scadere nella libertà assoluta di autodeterminazione nel merito

delle scelte programmatiche, poiché è esigenza prioritaria di uno stato moderno assicurare a tutti i

suoi cittadini una omogeneità nei traguardi formativi di base, ma la legge sull’autonomia scolastica

(legge n. 59 del 15 marzo 1997) lascia ai singoli istituti ampia possibilità di articolazione dei conte-

nuti più adatti al raggiungimento di quei traguardi e ai singoli docenti le opzioni metodologico-

didattiche ritenute più idonee. L’autonomia didattica è infatti l’area più vasta di esercizio della li-

bertà di insegnamento, purché non si vada oltre il diritto garantito al singolo docente di scegliere il

metodo di insegnamento che ritenga più opportuno per raggiungere le finalità previste.

Le competenze del docente e le specificità del docente di matematica e fisica

Partendo dal presupposto che l’intera azione formativa dei docenti si deve basare sulla convinzione

che “tutti i ragazzi possono imparare”, definire oggi che cosa gli insegnanti devono sapere e saper

fare non è cosa facile. Esistono in letteratura diversi modelli per descrivere le competenze dei do-

centi. Si tratta di modelli che elencano, raggruppano, classificano i comportamenti professionali at-

tesi e ne indicano standard ottimali. Facendo riferimento all’allegato A del Decreto Ministeriale n.

153 del 1998 intitolato “Criteri generali per la disciplina da parte delle università degli ordinamen-

ti dei Corsi di laurea in scienze della formazione primaria e delle Scuole di specializzazione

all’insegnamento secondario” e all’articolo “Le competenze professionali della docenza” pubblica-

to dall’ADI (Associazione Docenti Italiani) nel gennaio 2000, un “modello di eccellenza professio-

nale” deve comprendere i seguenti punti fondamentali:

· Possedere adeguate conoscenze nell’ambito dei settori disciplinari di propria competenza e sa-

pere come insegnarle attraverso “il sapere pedagogico dei contenuti” (PCK, Shulman 1987).

· Dedicare il suo impegno al successo formativo di tutti gli studenti adeguando le modalità di in-

segnamento non solo agli interessi e alle abilità degli allievi, ma anche alle differenze individua-

li nell’apprendimento.

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· Ascoltare in modo empatico, osservare, comprendere gli alunni durante lo svolgimento delle at-

tività formative, assumendo consapevolmente e collegialmente i loro bisogni formativi e psico-

sociali al fine di promuovere senza pregiudizi la costruzione dell’identità personale.

· Essere responsabile dell’organizzazione dell’apprendimento, anche attraverso la pianificazione

della propria azione educativa, e del suo monitoraggio che richiede una valutazione costante del

progresso e dell’impegno degli alunni.

· Riflettere sulla propria pratica didattica e continuare a sviluppare e approfondire le proprie

competenze professionali, con permanente attenzione all’evoluzione delle teorie didattiche.

· Esercitare le proprie funzioni in stretta collaborazione con i colleghi, le famiglie, le autorità sco-

lastiche, le agenzie formative, produttive e rappresentative del territorio.

· Organizzare il tempo, lo spazio, i materiali, anche multimediali, le tecnologie didattiche per fare

della scuola un ambiente per l’apprendimento di ciascuno e di tutti.

· Promuovere l’innovazione nella scuola, anche in collaborazione con il mondo del lavoro.

· Assumere il proprio ruolo sociale nel quadro dell’autonomia della scuola, nella consapevolezza

dei doveri e dei diritti dell’insegnante e delle relative problematiche organizzative e con atten-

zione alla realtà civile e culturale (italiana ed europea) in cui essa opera, alle necessarie aperture

interetniche nonché alle specifiche problematiche dell’insegnamento ad allievi di cultura, lingua

e nazionalità non italiana.

Gli organi collegiali

Le esigenze sempre crescenti di partecipazione alla gestione della cosa pubblica, la volontà di far

uscire dall’isolamento la scuola e soprattutto le lotte del movimento sindacale e del movimento stu-

dentesco sono alla base della legge n. 477 del 1973 e dei conseguenti Decreti Delegati, che hanno

introdotto forme di governo democratico nella struttura centralizzata e autoritaria della scuola ita-

liana, dando vita ad una vera e propria rivoluzione nel sistema scolastico nazionale. I caratteri sa-

lienti delle norme delegate possono essere sintetizzati in: unitarietà del disegno riformatore, unicità

della funzione docente e sperimentazione. La visione unitaria si fonda su identiche forme di gover-

no democratico per tutti gli ordini e i gradi di scuola e su di un unico stato giuridico per il personale

docente, direttivo ed ispettivo della scuola tutta, dal che discende l’unicità della funzione docente,

finalmente parificata a livello retributivo, giuridico e di formazione universitaria. Il potere di speri-

mentare ed innovare, non solo sul piano metodologico-didattico, ma anche su quello degli ordina-

menti e delle strutture, consente alla scuola di mettere a frutto risorse interne spesso trascurate e di

mantenere vivo il legame tra scuola, ricerca e progresso sociale. La partecipazione agli organi col-

legiali costituisce per i docenti una costante situazione di confronto con i colleghi: la collegialità

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impone una logica di cooperazione, un interscambio di esperienze, una compartecipazione alle fina-

lità dell’istituzione scolastica. Il Collegio dei docenti è in genere una struttura troppo ampia per po-

ter realizzare livelli produttivi efficaci ed è difficile pervenire ad apprezzabili livelli di sintesi, per i

tempi non sufficienti di discussione e per le dinamiche che possono scatenarsi. Maggiore flessibilità

si trova invece nei Consigli di classe, caratterizzati da un’articolazione più agile del Collegio, con-

trassegnati da maggiore concretezza e minore conflittualità. La presenza dei genitori, vissuta

all’inizio come ingerenza, poco incisiva anche per una non chiara definizione delle competenze da

esercitare, trova la sua migliore espressione all’interno del Consiglio di istituto, centro del governo

della scuola e luogo di uguale dignità per tutte le componenti che lo costituiscono. La speranza che

la democratizzazione della scuola potesse provocare la conseguente trasformazione della società è

stata ovviamente disattesa, mentre gli entusiasmi e la voglia di partecipazione sono andati via via

scemando, generando una crisi di partecipazione che arriva all’apatia e all’assenteismo di oggi. Gli

scarsi poteri reali che alcuni organi esprimono, la difficoltà a ritagliarsi spazi di intervento tra le li-

nee segnate dal legislatore, i limitati risultati dell’autogoverno rendono quanto mai necessaria una

riforma degli OO.CC. della scuola, il cui dibattito è già iniziato in sede legislativa.

La scuola dell’autonomia

Le principali fonti normative cui fare riferimento in materia di autonomia scolastica sono la legge

N°59- 15 marzo 1997 (Legge Bassanini) e il conseguente Decreto applicativo D.P.R. 8 marzo 1999,

n. 275. Il termine autonomia (autòs + nòmos, sé stesso + legge, darsi da sé una regola), riferita ad

un ente pubblico, indica la possibilità di realizzare le finalità istituzionali assegnate dalla Legge, au-

toregolandone le attività. Il DPR 275/1999, in vigore dal 1° settembre 2000, riguarda tutte le diverse

articolazioni del sistema scolastico, detta la disciplina generale dell’autonomia delle istituzioni sco-

lastiche e individua le funzioni trasferite alle istituzioni. L’autonomia scolastica si sostanzia nella

progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, di formazione e di istruzione, che

mirano allo sviluppo della persona umana, con l’obiettivo di garantire il successo formativo dei

soggetti coinvolti, in coerenza con le finalità e gli obiettivi del sistema di istruzione e con l’esigenza

di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento-apprendimento. Essa si articola in: autonomia

didattica che declina e concretizza gli obiettivi nazionali in percorsi formativi funzionali

all’apprendimento e alla crescita educativa degli alunni, riconosce e valorizza le diversità, promuo-

ve le potenzialità individuali mettendo in atto tutte le iniziative utili a raggiungere il successo for-

mativo; autonomia organizzativa che consente all’istituzione scolastica di adottare ogni modalità

organizzativa che curi la promozione e il sostegno dei processi formativi e del miglioramento

dell’offerta formativa; autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo; autonomia finanziaria ri-

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guardante la dotazione finanziaria assegnata ad ogni istituzione dallo Stato; autonomia funzionale

che consiste nel riconoscere all’istituzione scolastica funzioni e competenze proprie

dell’Amministrazione scolastica centrale e periferica. Sulla base di quanto detto, appare chiaro che

dopo oltre 150 anni di centralismo ministeriale, si è passati ad un sistema scolastico policentrico,

nel quale, oltre al Ministero, ci sono nuovi soggetti che contano sul piano progettuale e delle scelte

(Regioni, Enti locali, singole scuole), ciascuno con specifiche competenze che si devono integrare.

Il Piano dell’Offerta Formativa

Le istituzioni scolastiche, in quanto espressioni di autonomia, provvedono alla definizione e alla

realizzazione del Piano dell’offerta formativa (P.O.F.) che è il documento fondamentale costitutivo

dell’identità culturale e progettuale delle scuole ed è un obbligo per ognuna di esse. Esso deve esse-

re coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi ed indirizzi di studio e riflette le

esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale. Tiene conto della pro-

grammazione territoriale dell’offerta formativa, riconosce le diverse scelte metodologiche e valoriz-

za le differenti professionalità. Il P.O.F. esplicita la progettazione curriculare, extracurriculare, edu-

cativa ed organizzativa che le singole scuole adottano autonomamente. Il Consiglio di Istituto, tenu-

to conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi collegiali e dalle associazioni dei geni-

tori e degli studenti, definisce gli indirizzi generali per le attività della scuola e le scelte generali di

gestione e di amministrazione, mentre il Dirigente scolastico attiva i rapporti con le diverse realtà

istituzionali, culturali, sociali ed economiche del territorio. Il Collegio dei docenti elabora il P.O.F.

sulla base di quanto fissato nella delibera del Consiglio di Istituto, che successivamente adotta il do-

cumento, reso pubblico e consegnato alle famiglie al momento dell’iscrizione. I docenti, nelle attivi-

tà collegiali, attuano e verificano il P.O.F. per gli aspetti pedagogico-didattici, adattandone

l’articolazione alle diverse esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto socio-economico in

cui operano. La mappa del P.O.F. prevede l’individuazione di diverse aree, che dovrebbero operare

in sinergia per consentire l’attuazione di quanto previsto: area della negoziazione collegiale, della

progettazione educativa e didattica, delle collaborazioni con il territorio, dell’innovazione, delle re-

gole condivise, della progettazione del curriculo “nascosto”, tecnico-amministrativa.

L’ampliamento dell’offerta formativa consiste in iniziative in favore di alunni ed adulti e prevede

l’arricchimento del curricolo con discipline ed attività facoltative programmate dalle scuole sulla

base di accordi con le Regioni e gli Enti locali allo scopo di realizzare percorsi formativi integrati.

La predisposizione del POF introduce una notevole differenziazione sul territorio, che potrebbe por-

tare a disattendere quanto previsto dal sistema di istruzione nazionale. Questo non accade grazie al-

le Indicazioni Nazionali, che costituiscono un forte riferimento unitario rispetto alla varietà delle si-

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tuazioni scolastiche. La relazione tra i due strumenti è molto stretta, non sono giustapposti, ma

complementari: garantire tanto la specificità progettuale delle scuole quanto la tenuta complessiva

del sistema nazionale è un problema ineludibile.

La valutazione di sistema e di istituto. Indagini nazionali (INVALSI) ed interna-

zionali (PISA): quadri teorici, test e risultati

Una valutazione di sistema consiste nella formulazione di un giudizio di valore espresso su più di-

mensioni (formative e organizzative) del contesto scolastico, con l'indicazione della loro distanza da

livelli definiti come ottimali. La valutazione di sistema ha una natura funzionale e serve principal-

mente ad orientare le decisioni di politica scolastica e a regolare l'interno del sistema. Per i sistemi

scolastici si parla di valutazione esterna nazionale ed internazionale degli apprendimenti che trova

giustificazione in una serie di fattori: grande diffusione dei sistemi d’istruzione nel secondo dopo-

guerra; massificazione dell’istruzione e incertezza sulla confrontabilità dei voti scolastici e dei titoli

di studio all’interno di un paese; trasparenza sul valore dei titoli e delle certificazioni a causa

dell’incomparabilità delle valutazioni degli insegnanti; apertura dei confini e necessità di favorire la

mobilità della forza lavoro e il riconoscimento delle qualificazioni nel mercato comune; passaggio

da modelli burocratici di governo del sistema scolastico a modelli post-burocratici. In Italia nume-

rosi sono stati i decreti ministeriali che a partire dalla fine degli anni Novanta hanno posto

l’attenzione sulla valutazione di istituto. Ma solo con il Consiglio dei Ministri n. 72 dell’8 marzo

2013 si giunge in via definitiva ad un regolamento che disciplina il Sistema Nazionale di Valutazio-

ne (S.N.V.) in materia di istruzione e formazione al fine di rispondere agli impegni assunti nel 2011

con l’Unione europea, regolamento che giunge a coronamento di un percorso cominciato nel luglio

2001 con la costituzione di un gruppo di lavoro voluto dall'allora ministro Letizia Moratti (D.L. n.

286 del 25 marzo 2004), proseguito con i ministri Giuseppe Fioroni (Direttiva dell’agosto 2006) e

Mariastella Gelmini. Il S.N.V. si basa sull’attività dell’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione

del sistema di istruzione e formazione), sulla collaborazione dell’Indire e sulla presenza di un con-

tingente di Ispettori. L’INVALSI, istituito con il D.L. 20 luglio 1999, n. 258, assurge a ruolo di Isti-

tuto al servizio della singola scuola con il fine di dare alle scuole un mezzo tramite il quale miglio-

rare la propria attività. Le prove INVALSI riguardano la scuola primaria, secondaria di primo grado

e secondo grado. Per quest’ultima le prove comprendono un test di Italiano, uno di Matematica e un

questionario studente. INVALSI affianca alla rilevazione dati censuaria una rilevazione su classi-

campione che riguarda solo una o due classi appartenenti a scuole selezionate su base regionale del-

la scuola secondaria di secondo grado in cui vi è la presenza di un osservatore esterno a garanzia

della correttezza dello svolgimento del test. I risultati vengono restituiti a ciascuna scuola, che ha in

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tal modo la possibilità di individuare le aree disciplinari in cui eccelle e quelle in cui presenta delle

lacune. L’Italia inoltre affianca alle prove INVALSI un programma di valutazione internazionale

che si esplica tramite le prove PISA (Programme for International Student Assessment). E’

un’indagine promossa dall’OCSE a partire dal 2000 per accertare con periodicità triennale i risultati

dei sistemi scolastici. L’obiettivo consiste nel verificare quanto i ragazzi di età intorno ai 15 anni

abbiano acquisito alcune competenze funzionali in lettura, in matematica e in scienze ed alcune

competenze trasversali nell’apprendimento. La rilevazione dei dati passa per prove scritte strutturate

con domande chiuse e aperte e questionari per rilevare informazioni di contesto. I test Invalsi e le

prove Pisa sono uno strumento di rilevazione esterno alla scuola, che può avere una sua ragion

d’essere solo se “i risultati delle prove standardizzate” sono confrontati con la performance degli

studenti così come tradizionalmente misurata dai voti assegnati dagli insegnanti nel corso dell’anno

e negli esami di fine d’anno. I risultati devono altresì essere confrontati con opportune prove non

standardizzate per effettuare una valutazione basata su più dimensioni che consenta di non perdere

alcuni aspetti fondamentali della nostra "cultura" scolastica non rilevabili attraverso prove standar-

dizzate, quali la verifica della capacità di esposizione orale, di composizione di un testo, di esposi-

zione critica del proprio pensiero, di cogliere i nessi fra più discipline. Inoltre, tale strumento di va-

lutazione ha una sua ragione d’essere solo se si promuova una forma di responsabilizzazione e di

rendicontazione sociale delle scuole (basata in primis sull’autovalutazione) che non generi meccani-

smi di selezione e competizione tra docenti e tra scuole fortemente condizionabili da comportamenti

opportunistici, da nuove forme di discriminazione sociale, da una didattica finalizzata

all’addestramento, ma che riconosca e valorizzi tutti i processi cooperativi dell’attività educativa,

dall’organizzazione delle attività scolastiche allo svolgimento dell’attività didattica, al rapporto con

le famiglie e con le istituzioni culturali e sociali.

La riforma della scuola e le indicazioni nazionali nei nuovi licei

In tema di riforma dei cicli, l’accordo del 24/09/96 tra Governo e parti sociali pone le basi per un

riordino del sistema scolastico e della formazione professionale. Numerosi sono stati i tentavi di ri-

formare l’assetto scolastico italiano; basti pensare alla Riforma Berlinguer (legge 30/2000), alla Ri-

forma Moratti (legge 53/2003) e alla Riforma Fioroni (legge 139/2007). Ma solo con la Riforma

Gelmini trova attuazione un piano programmatico di riordino e di sviluppo del sistema scolastico

(legge n.133 del 06/08/08) all’interno di un quadro di riforme improntato sulla razionalizzazione

delle risorse e sul contenimento della spesa pubblica. Con la sua attuazione, nella scuola secondaria

di secondo grado si assiste ad una pesante riduzione degli insegnamenti di indirizzo negli Istituti

tecnici e professionali, all’attuazione della legge 53/03 che sancisce la valutazione del comporta-

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mento, ma soprattutto ad un drastico snellimento del comparto degli indirizzi che porta alla formu-

lazione di soli 20 ordinamenti uguali, obbligatori e unitari per tutta l’Italia. In particolare, con il

D.P.R. 89/10 dall'anno scolastico 2010/2011 tutte le opzioni sperimentali liceali sono riportate in sei

effettivi licei di ordinamento obbligatorio: il Liceo Artistico, il Liceo Classico, il Liceo Scientifico

(tradizionale e opzione scienze applicate), il Liceo Linguistico, il Liceo Musicale e coreutico, il Li-

ceo delle Scienze umane (tradizionale e opzione economico-sociale). Il percorso di studi si articola

in due bienni ed in un quinto anno. In ogni liceo vi è lo studio di almeno una lingua straniera per

tutti i 5 anni e durante l'ultimo anno è previsto lo studio di una disciplina non linguistica in inglese.

Si potenzia l’asse matematico-scientifico e lo studio del latino è confermato nel liceo classico,

scientifico, linguistico e delle scienze umane, mentre negli altri indirizzi è opzionale. Al riordino dei

cicli ha fatto seguito la riscrittura delle Indicazioni nazionali degli obiettivi specifici di apprendi-

mento per i licei (26/05/2010), per la cui elaborazione si è tenuto conto sia delle strategie suggerite

nelle sedi europee ai fini della costruzione della “società della conoscenza” sia dei quadri di riferi-

mento delle indagini nazionali e internazionali e dei loro risultati. Qui di seguito si analizzano le in-

dicazioni per Matematica e Fisica attraverso un confronto dei quadri orari, delle principali variazio-

ni di contenuto rispetto ai programmi pre-riforma risalenti al 1945 (Programmi dei Governi Alleati)

e delle indicazioni metodologiche. Innovazione fondamentale è l’introduzione della didattica per

competenze. Per la Matematica i quadri orari non sono completamente soddisfacenti eccezion fatta

per il Liceo scientifico di ordinamento in cui si ha un aumento considerevole delle ore di insegna-

mento (si passa da 5-4-3-3-3 a 5-5-4-4-4). E’ vero che rispetto al PNI vi è una riduzione di ore (da

5-5-5-5-5 a 5-5-4-4-4). Ma dal momento che le sezioni sperimentali erano in numero molto inferio-

re rispetto a quelle di ordinamento, si assiste ad un aumento delle ore dedicate all’insegnamento di

tale disciplina. D’altra parte il numero dei contenuti da affrontare è maggiore (bisogna dare più at-

tenzione alla probabilità e alla statistica). In particolare, il primo biennio del Liceo scientifico appa-

re troppo carico. In esso risulta problematica la collocazione delle funzioni circolari (trigonometria)

e del calcolo con i vettori e con le matrici. La situazione più critica è però quella concernente i Licei

Umanistici in cui si assiste ad una drastica diminuzione delle ore settimanali (ad eccezione del Li-

ceo classico, si passa da 4-4-3-3-3 a 3-3-2-2-2), cui fa seguito un aumento dei contenuti da trattare

(probabilità e statistica). La conseguenza è immediata: agli argomenti tradizionali, specialmente di

calcolo, bisogna dedicare molto meno tempo. Non si dimentichi, infatti, che: “L’indicazione princi-

pale è: pochi concetti e metodi fondamentali, acquisiti in profondità”. In questo riordino i quadri

orari riguardanti la Fisica sono in parte più soddisfacenti rispetto a quanto visto per Matematica. In-

fatti, la Fisica diventa quinquennale in tutti i licei scientifici con un conseguente consistente aumen-

to orario settimanale (ad eccezione del PNI, si passa da 0-0-2-3-3 a 2-2-3-3-3-) dando la possibilità

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al docente di approfondire maggiormente gli argomenti trattati, di affrontare la fisica moderna e di

porre più attenzione alla pratica laboratoriale. Nei Licei Umanistici il numero delle ore settimanali

complessivo o risulta in parte aumentato o rimane stabile.

Le competenze di cittadinanza e gli assi culturali: la valutazione delle competen-

ze alla fine dell’obbligo di istruzione

Con la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio (18 dicembre 2006) relativa alle compe-

tenze chiave per l’apprendimento permanente, l’Unione Europea ha invitato gli stati membri a svi-

luppare, nell’ambito delle loro politiche educative, strategie per assicurare che l’istruzione e la for-

mazione offrano ai giovani gli strumenti per sviluppare le “competenze chiave di cittadinanza”: non

ci può essere una condizione di cittadinanza attiva se non si acquisiscono competenze per imparare

ad imparare in un mondo in continua evoluzione, se non si sa interagire con gli altri anche in lingue

diverse, se non si è creativi e progettuali. L’Unione Europea individua 8 competenze chiave (Impa-

rare ad imparare, Progettare, Comunicare, Collaborare e partecipare, Agire in modo autonomo e re-

sponsabile, Risolvere problemi, Individuare collegamenti e relazioni, Acquisire ed interpretare

l’informazione); in sostanza un nucleo di competenze fondamentali relative all’istruzione obbligato-

ria sino a 16 anni, con la collocazione di altri apprendimenti nell’ambito del “Long Life Learning”.

Solo le “competenze di cittadinanza” possono realizzare i principi/valori di partecipazione, demo-

crazia, responsabilità, solidarietà che sono alla base della vita civile e della coesione sociale: impe-

gno, questo, che in una società in continuo mutamento e caratterizzata da ampi processi di globaliz-

zazione, investe tutto l’arco della vita. La normativa italiana aderisce alle raccomandazioni

dell’Unione Europea il 22 agosto 2007 tramite il decreto 139, firmato dal ministro Fioroni, recante

le norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione. Con riferimento al Quadro Europeo

dei Titoli e delle Qualifiche (EQF) si parla di conoscenza (assimilazione di informazioni), di abilità

(capacità di applicare le conoscenze) e di competenza (comprovata capacità di usare conoscenze,

abilità e capacità personali, sociali e metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello svi-

luppo professionale e/o personale). Per l’istituzione scolastica, programmare per competenze signi-

fica progettare e realizzare un percorso didattico che tenga conto delle competenze di cittadinanza

da acquisire attraverso conoscenze e abilità che si articolano lungo quattro assi culturali cardine

(Asse dei linguaggi, Asse matematico, Asse scientifico/tecnologico, Asse storico/sociale) e permet-

tere la valutazione dei saperi, delle abilità e delle competenze. E’ ovvio che non è sufficiente cam-

biare gli ordinamenti per modificare la didattica, per cui è essenziale che Ordinamenti e Didattica

vadano rivisti insieme: sarebbe un grave errore creare una nuova architettura del sistema formativo

senza che tale sistema possa dire quali operazioni interne intende svolgervi, perché e a quali condi-

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zioni. Sul versante didattico tutto questo si declina in singole unità didattiche da realizzare utiliz-

zando una didattica per competenze, una flessibilità dell’impianto formativo, una didattica laborato-

riale con l’accentuazione della multidisciplinarietà. La valutazione delle competenze acquisite dagli

alunni dovrà essere il più oggettiva possibile, in modo che le certificazioni rilasciate da ciascuna

scuola siano equivalenti ed ugualmente spendibili. In Italia la valutazione di sistema è svolta

dall’INVALSI e prende il nome di SNV (sistema nazionale di valutazione), mentre a livello mon-

diale le prove OCSE-PISA mettono a confronto le competenze acquisite dagli studenti quindicenni

di 65 paesi diversi. A tal fine la scuola deve progettare un percorso condiviso tra collegio, diparti-

menti per assi e dipartimenti disciplinari: il Collegio stabilisce compiti, funzioni, organizzazioni e

competenze; i Dipartimenti per assi culturali e i Dipartimenti disciplinari progettano percorsi forma-

tivi per asse/disciplina, descrivono i risultati di apprendimento in termini di competenze e produco-

no materiale per valutarle. I Consigli di classe progettano la programmazione di classe, attuano il

percorso formativo di apprendimento, realizzano e somministrano le prove di verifica. Il docente,

infine, progetta il suo piano annuale individuale. La valutazione delle competenze alla fine

dell’obbligo di istruzione consiste nello stabilire se le competenze di base relative agli assi culturali

sono state acquisite dallo studente con riferimento alla competenze chiave di cittadinanza.

La valutazione della seconda prova dell’Esame di Stato nel Liceo Scientifico

Valutare la prova di matematica all’Esame di Stato del Liceo Scientifico è un’operazione comples-

sa, laddove si cerchi di essere il più possibile oggettivi. Oggi, la correzione della seconda prova vie-

ne fatta attraverso l’uso di opportune griglie di valutazione stabilite dalla Commissione d’Esame.

Spesso i commissari decidono di avvalersi delle griglie di correzione predisposte dal Consiglio di

classe nel documento del 15 Maggio e già utilizzate dai docenti nella fase di simulazione anteceden-

te l’esame. Una griglia di valutazione è un insieme di informazioni codificate che descrivono le pre-

stazioni di uno studente-candidato in relazione a degli obiettivi. Sono composte da indicatori (criteri

di valutazione) e da descrittori che servono a specificare ciascun indicatore, ad ognuno dei quali è

attribuito un peso, ossia un coefficiente che serve a stabilire “l’importanza” che quell’indicatore ha

nella prova. L’adozione delle griglie cerca di assicurare trasparenza ed obiettività all’operazione di

valutazione. Nonostante tutto, l’oggettività in senso vero non è realizzabile in quanto l’esperienza

dimostra che è possibile assegnare voti differenti ad una medesima prova a seconda che si attribui-

sca maggiore o minore “peso” all’uno o all’altro degli aspetti che si intendono verificare. Bisogna in

ogni caso cercare di raggiungere la massima obiettività possibile, ossia il più alto grado di imparzia-

lità ed equità, lavorando con la soggettività. Solo così si potranno rendere comparabili i risultati.

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La didattica laboratoriale in matematica: strumenti e metodologia

Tra le competenze di un docente vi è sicuramente l’utilizzo di modalità diverse di comunicazione e

di varie strumentazioni. In quest’ambito si colloca l’uso dei laboratori didattici. L’importanza del

laboratorio di matematica nasce dall’esigenza di sperimentare percorsi modulari didattici alternativi

ed integrativi a quelli tradizionali anche in considerazione delle indicazioni della riforma per favori-

re un avvicinamento degli studenti al mondo di questa disciplina. L’obiettivo del laboratorio è quel-

lo di far comprendere agli allievi che la matematica non è una materia avulsa dal mondo concreto

che li circonda ma che è a questo assolutamente applicabile e che dallo stesso vengono “suggerite

evidenze” e sotterranee vie che vanno scoperte e che si intrecciano in molteplici settori della vita e

del sapere. L’attività del laboratorio di matematica si esplica attraverso molteplici percorsi di appro-

fondimento delle tematiche dell’area tradizionale, favorendo una visione multi-prospettica

dell’argomento, un approccio personalizzato dell’allievo, una impostazione pluridisciplinare. Gli

strumenti da usare possono essere di varia natura, dai materiali più poveri e tradizionali, come carta,

fogli quadrettati e trasparenti, spilli, riga e compasso, a quelli più recenti come software di geome-

tria dinamica (Geogebra, Cabri Géomètre) il cui valore è legato alla programmazione strutturata e

alla possibilità si spostare e animare gli oggetti geometrici, software atti ad eseguire calcoli numeri-

ci e simbolici (Derive, Mathematica – quest’ultimo è anche un potente linguaggio di programma-

zione), fogli elettronici (Excel), collegamenti Internet. All’interno di attività di laboratorio di mate-

matica si possono perseguire le seguenti finalità: aiutare gli studenti a scoprire fatti matematici e a

produrre congetture attraverso la manipolazione di oggetti e concetti; aiutare gli allievi a controllare

le congetture formulate, verificandole o dimostrandone la falsità attraverso l’individuazione di con-

troesempi; consentire agli studenti di lavorare autonomamente; aiutare gli studenti a comunicare

matematicamente coinvolgendoli in discussioni attive; favorire negli studenti la costruzione di sen-

so, evitando che l’aspetto sintattico determini un apprendimento puramente meccanico. La didattica

in laboratorio si propone di superare lo schema di insegnamento classico, fondato sulla triade spie-

gazione del docente, studio individuale, verifica, per una metodologia che ponga al centro lo stu-

dente quale protagonista della propria formazione. In quest’ottica la funzione del docente non è più

quella di detenere-trasmettere la conoscenza, ma quella di lavorare alla progettazione e alla facilita-

zione della ricerca che impegna lo studente. Conseguentemente, l’attenzione non ricade più di tanto

o soprattutto sull’acquisizione di contenuti quanto sul raggiungimento di competenze che consento-

no autonomia di indagine e interpretazione sugli eventi.

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Il laboratorio nella didattica della fisica

Nel corso del tirocinio è stata data la possibilità alla tirocinante di comprendere il funzionamento di

un laboratorio didattico di fisica. Diversi sono gli esperimenti che si possono realizzare in un labo-

ratorio di fisica: esperimenti illustrativi, per visualizzare un determinato fenomeno fisico e per atti-

rare l’attenzione degli studenti e stimolarli alla riflessione; esperimenti operativi per misurare una

grandezza o verificare/scoprire una legge, cioè la relazione tra le varie grandezze fisiche coinvolte

nell’esperimento. Questi ultimi hanno valenze didattiche prevalenti per la realizzazione delle misu-

razioni, l’analisi dei dati, la formalizzazione della legge. Oltre all’utilizzo della strumentazione di

base, fondamentale in un laboratorio di fisica è l’uso del computer che permette, mediante opportu-

ni sensori, interfacce di collegamento e software specifici (come ad esempio Logger Pro), non solo

di raccogliere i dati di un esperimento on-line, ma anche di analizzarli. Il computer è utile in parti-

colare per raccogliere dati che variano molto rapidamente o molto lentamente nel tempo permetten-

do così di percepire aspetti di un fenomeno difficilmente acquisibili. Gestire un laboratorio di fisica

richiede per un docente sicuramente impegno, in quanto è necessario catalogare e mantenere in fun-

zione tutte le apparecchiature con l’aiuto dell’assistente tecnico, realizzare delle schede didattiche di

lavoro che spiegano in modo chiaro come si eseguono gli esperimenti, preparare nuove esperienze.

Ma, l’uso del laboratorio è indispensabile nell’insegnamento della fisica. Essa è infatti una discipli-

na sperimentale e il laboratorio è il momento di effettivo avvicinamento ai fenomeni reali, alle loro

caratteristiche e complessità. Lo studente in laboratorio può scoprire proprietà, relazioni, può verifi-

care ipotesi e leggi, può costruire modelli o validarli, verificandone i limiti di applicabilità. Il labo-

ratorio di fisica, inoltre, non solo aiuta lo studente a padroneggiare i concetti base della materia, af-

frontandoli attraverso la realtà sperimentale, ma gli dà la possibilità di agire in autonomia, permet-

tendogli di fare scelte, sia pur minime, di procedere per tentativi ed errori, di sviluppare strategie

nella convinzione che non tutto deve essere “confezionato” o predisposto.

I libri di testo: dal cartaceo al digitale

Il libro di testo è il principale strumento didattico che rappresenta il punto di incontro tra docente e

studente. Le adozioni dei libri di testo sono deliberate dal Collegio dei Docenti, dopo aver sentito il

parere dei Consigli di Classe, nella seconda decade di maggio. Analisi, valutazione e scelta del libro

di testo iniziano con l’individuazione dei bisogni dei discenti e la definizione degli obiettivi generali

e specifici e dei tempi didattici. Solo dopo si può procedere all'analisi e valutazione del libro di testo

per individuarne punti forti e carenze. Esso non può sostituire l’insegnate perché è concepito per af-

fiancarne il lavoro, è un sostegno che nasce dall’elaborazione di un’idea che è scelta di contenuti e

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di metodologia. Un altro aspetto rilevante è quello dell'apprendimento autonomo, e per questo è im-

portante avere a disposizione un testo che guidi il discente verso una sempre maggiore autonomia,

fornendogli strumenti per una autovalutazione dei progressi fatti o indicazioni su come migliorare o

potenziare le sue conoscenze e competenze. Inoltre, con il D.M. n.43 del 10 maggio 2011 la fase di

adozione di un libro di testo deve rispettare un tetto di spesa massimo. Oggi, le nuove tecnologie

dell’informazione hanno introdotto modalità di comunicazione diverse e hanno arricchito il contesto

didattico di varie opportunità di incontro con le tecnologie avanzate. Così, con il D.M. n. 63 (Gel-

mini) del 28 luglio 2010 a partire dall’anno scolastico 2011-2012 non possono più essere adottati

testi scolastici redatti esclusivamente nella versione cartacea. Il passaggio al testo digitale arricchi-

sce di nuove funzionalità gli ambienti di apprendimento; educa alla comprensione non solo di testi

ma anche delle immagini. I libri digitali pesano pochissimo e i ragazzi non hanno più l’obbligo di

portare in spalla zaini pesantissimi. Rispetto a quelli cartacei, consentono di approfondire le materie

con l’utilizzo di contenuti multimediali e tutte le edizioni vengono aggiornate velocemente. Il prov-

vedimento dà però per scontato che tutti possiedano un computer o un tablet con la connessione ad

internet; in realtà ci sono famiglie italiane che non hanno questa possibilità, per cui la digitalizza-

zione dei libri di testo può avere come effetto l’esclusione di una parte della popolazione scolastica

il che significherebbe minare il diritto costituzionale all’istruzione.

Innovazione didattica e uso della LIM

L’integrazione delle TIC con la normale pratica didattica a scuola è oramai da anni diventato un te-

ma cruciale dal punto di vista educativo, politico e amministrativo. Un uso appropriato delle tecno-

logie didattiche diventa essenziale per preparare studenti competenti nel XXI secolo. Uno strumento

efficace per promuovere un percorso graduale di innovazione nella didattica può essere individuato

nella LIM (Lavagna Interattiva Multimediale), un dispositivo di input e output con tecnologia touch

screen connesso a un computer e a un videoproiettore che permette esperienze di tipo visivo, uditivo

e tattile. La LIM in classe comporta una trasformazione dell’ambiente di apprendimento: dalla rea-

lizzazione di un setting d’aula flessibile e polivalente, volto a favorire relazioni, collaborazioni e un

consapevole utilizzo di risorse digitali e tecnologie, alla promozione di una didattica attiva, interat-

tiva, laboratoriale e quindi innovativa, all’attuazione di interventi di individualizzazione e persona-

lizzazione orientati alla valorizzazione delle differenze, alla sollecitazione di processi di apprendi-

mento basati sulla scoperta, la problematizzazione, la costruzione sociale e comunitaria delle cono-

scenze. Se da un lato la LIM rende possibile l’interattività all’interno del gruppo classe, favorisce

un incremento dei livelli di attenzione, motivazione e coinvolgimento degli studenti, innalza le

competenze digitali dei docenti, facilita l’organizzazione e la pianificazione della lezione e integra

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le TIC nella didattica, dall’altro lato è criticabile nella misura in cui si considerano i costi di inve-

stimento su larga scala e la loro sostenibilità, intralci di tipo tecnico che potrebbero rallentare i ritmi

didattici e soprattutto la possibilità di stancare la vista degli allievi.

Strumenti della docenza: il registro elettronico

All’interno del "Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istru-

zione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e fami-

glie" contenuto nell’articolo 7 del decreto-legge 95/2012, si colloca a partire dall’anno scolastico

2013/2014 l’introduzione obbligatoria nelle scuole e “senza nuovi o maggiori oneri a carico della

finanza pubblica” del registro elettronico. Esso sostituisce sia il registro di classe sia il registro per-

sonale del docente, svolgendone entrambe le funzionalità. Sicuramente il passaggio al registro on

line ha dei vantaggi in termini di integrazione dell’aspetto didattico con quello amministrativo (sia

dal punto di vista segreteria-alunni, che segreteria-docenti), di trasparenza della scuola nei confronti

della famiglia, di miglioramento delle comunicazioni scuola-famiglia. Infatti, i genitori tramite una

password possono accedere al sistema e conoscere in tempo reale i voti, le assenze, le note discipli-

nari, gli esiti intermedi e finali del figlio. Ma la sua introduzione presenta anche numerose difficoltà

legate soprattutto nella fase iniziale alla formazione del personale docente, ai costi

dell’adeguamento delle strutture fisiche (acquisto notebook per tutte le aule, creazione di reti wire-

less) e a quelli di gestione del sistema (basato su connessione internet). Inoltre, l’uso del registro on

line potrebbe portare a ridurre ulteriormente i già difficili rapporti scuola-famiglia. Infatti, i genitori

avendo la possibilità di vedere i voti dei figli sul video potrebbero anche decidere di non partecipare

più ai colloqui con i docenti oppure di andare a scuola solo a fine quadrimestre o a fine anno per

contestare il voto in pagella, qualora non rispetti la media dei voti monitorata per mesi online. In

questo processo, la famiglia deve essere educata nel prendere consapevolezza che la fase finale del-

la valutazione non è legata ad una mera media aritmetica dei voti, ma tiene conto di tutto

l’andamento scolastico dell’alunno, e quindi anche dei progressi rispetto ai livelli di partenza, della

partecipazione all’attività didattica e dell’impegno mostrato.

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TERZA PARTE

I PROBLEMI ISOPERIMETRICI

Introduzione

Il percorso didattico descritto qui di seguito è stato estrapolato da un lavoro più ampio realizzato

dalla tirocinante durante il corso di Didattica e Storia della Matematica riguardante i problemi di

massimo e minimo, il cui studio viene solitamente affrontato nell’ultima classe dei Licei Scientifici

come applicazione del calcolo differenziale. Esso, pur svolgendo un ruolo fondamentale

nell’applicazione della matematica alla risoluzione di problemi sia matematici sia pratici legati a

scelte e ottimizzazioni, è di fatto ridotto e vissuto dagli alunni come un insieme di regole e procedu-

re da imparare a memoria ed applicare in maniera meccanica, e non come un efficace strumento di

indagine da usare in modo critico. Inoltre ci si dimentica che tali problemi sono nati storicamente in

seno alla geometria prima dell’avvento dell’analisi. Da tale consapevolezza nasce l’idea di creare un

percorso didattico che affronti la ricerca del massimo e del minimo senza far uso del calcolo diffe-

renziale con lo scopo di accrescere negli studenti l’interesse e l’importanza nei confronti della di-

mostrazione, oggi spesso trascurata soprattutto in ambito geometrico. Al fine di colmare il distacco

tra matematica e realtà ci si è concentrati sulla risoluzione di questioni che ruotano attorno al cele-

berrimo problema isoperimetrico: “Tra tutte le figure piane aventi lo stesso perimetro, determinare

quelle di area massima.” E proprio la consapevolezza che i problemi isoperimetrici traggono origi-

ne da bisogni concreti delle popolazioni, come dividere in modo equo terreni tra cittadini, stimare la

grandezza di territori o innalzare monumentali costruzioni, permette di dare una collocazione stori-

ca alla nascita delle questioni di massimo e di minimo e alle difficoltà risolutive ad esse connesse.

Pertanto, sono stati inseriti approfondimenti storici con lo scopo di evidenziare che la matematica

non è una disciplina a “sé”, ma invece investe con i suoi problemi la vita di oggi e del passato.

Descrizione del percorso didattico

Classe

Il modulo è rivolto ad una classe quarta di un Liceo Scientifico.

Periodo

Tale percorso didattico verrà effettuato durante il secondo quadrimestre.

Prerequisiti

Prima di affrontare l’argomento oggetto di studio in questo percorso, è opportuno accertarsi che gli

studenti siano in possesso dei seguenti prerequisiti:

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· Saper effettuare costruzioni con Geogebra;

· Conoscere la Geometria Euclidea del piano;

· Conoscere il concetto di funzione;

· Conoscere i prodotti notevoli;

· Conoscere l'equazione di una parabola con asse di simmetria parallelo all'asse y;

· Conoscere la definizione di ellisse come luogo geometrico;

· Conoscere i teoremi fondamentali della trigonometria.

Obiettivi generali

· Sviluppare l’attitudine alla collaborazione con gli altri studenti e con il docente;

· Matematizzare situazioni riferite a problemi;

· Utilizzare consapevolmente e criticamente le procedure di calcolo e il formalismo matematico;

· Colmare il distacco fra matematica e realtà;

· Inquadrare storicamente qualche momento significativo della storia del pensiero matematico.

Obiettivi specifici

· Conoscenze

o Conoscere la definizione di massimo e minimo;

· Competenze

o Determinare il massimo e il minimo con metodi sintetici o algebrici;

o Tradurre un problema in forma algebrica utilizzando il formalismo matematico.

· Capacità

o Saper interpretare un problema;

o Essere in grado di trovare la strategia risolutiva di un problema.

Metodologia e sviluppo dei contenuti

Prima fase

La metodologia didattica che si intende adottare per introdurre l’argomento, parte dalla condivisio-

ne da parte del gruppo classe dei saperi informali e non formali posseduti da ogni singolo alunno sui

concetti di massimo e minimo. Si inizierà con il proporre domande alle quali gli alunni sono tenuti a

dare una risposta, utilizzando la tecnica del Brainstorming, volta a fare emergere il concetto di mas-

simo e di minimo posseduto dall'alunno e il suo pensiero su cosa sia affrontare un problema di mas-

simo e di minimo. Alcune domande che si possono porre agli alunni sono:

Quando hai incontrato per la prima volta le parole “massimo e minimo”?

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Cosa pensi che sia un “problema di massimo o minimo”? Sapresti fare degli esempi?

È ovvio che non si possono prevedere quali saranno le risposte, ma dobbiamo cercare di far emerge-

re problemi che portino a scoprire quale sia l’oggetto di apprendimento che intendiamo trattare.

Capita spesso di trovarsi di fronte a questioni che riguardano scelte di ottimizzazione:

· Qual è il percorso più breve fra due città?

· Quando un’azienda realizza il massimo guadagno rendendo minimo l’impiego delle risorse a

sua disposizione?

Allora la domanda “Che cosa è un problema di massimo e minimo?” trova la sua risposta in modo

naturale: c’è sempre una grandezza di varia natura che cambia e occorre trovare in quali circo-

stanze essa è massima o minima a seconda della situazione problematica che si intende risolvere.

Seconda fase

Criteri metodologici

Una volta individuato l’oggetto di apprendimento, gli alunni sono coinvolti dall’insegnante nella

lettura di brani a carattere storico e nella realizzazione di ricerche individuali o di gruppo attraverso

le quali possono apprendere come le questioni di massimo e di minimo abbiano tratto origine dai

bisogni concreti delle popolazioni, bisogni che risultavano essere strettamente correlati al problema

isoperimetrico, la cui risoluzione si è protratta per secoli lungo la storia della matematica. Inoltre, la

conoscenza di tale processo storico permette di individuare le difficoltà incontrate dai vari matema-

tici che se ne occuparono e che oggi possono essere un ostacolo nell’apprendimento degli studenti.

Sviluppo dei contenuti

È cosa abbastanza nota che la matematica, e la geometria in particolare, trasse le sue origini da bi-

sogni concreti delle popolazioni. In particolare, in molte comunità greche (del tipo che oggi si di-

rebbero comuniste), era d’uso dividere terreni in appezzamenti dallo stesso perimetro prima di di-

stribuirli tra i membri. Ma tale scelta si rivelò presto essere non buona. Infatti i geometri, una volta

intuito come misurare un’area, si accorsero che misurare il perimetro non era un criterio efficiente

per stabilire l’estensione di una superficie, poiché figure di ugual area potevano benissimo avere pe-

rimetri estremamente differenti e, viceversa, figure con ugual perimetro potevano avere aree molto

diverse. Quanto appena detto giustifica, sul lato pratico, perché le questioni geometriche riguardanti

le aree interessassero molto i matematici greci; tra queste trovarono posto alcuni problemi di mas-

simo strettamente legati alle osservazioni fatte in precedenza, come il cosiddetto problema isoperi-

metrico: Tra tutte le figure piane aventi lo stesso perimetro, determinare quelle aventi area massi-

ma. Molto più immersa nel mito è l’origine di un altro problema di massimo, collegato e molto si-

31

mile al problema isoperimetrico, il cosiddetto problema di Didone3. Nel I Libro dell'Eneide si narra

che nel lontano 800 a.C. Didone, principessa di origine fenicia, dopo avere scoperto che il re Pigma-

lione (suo fratello) ha assassinato suo marito Sichéo, fugge da Tiro per mare insieme alla sorella e a

pochi fedeli finché approda sulle coste africane. Lì chiede al re della Libia, Iarba, un pezzo di terra

su cui fondare una città. Il re, folgorato dalla bellezza di Didone, non vuole dare ai fuggiaschi né

asilo né terre ove stabilirsi, a meno che lei non acconsenta a sposarlo. La donna rifiuta e ottiene da

Iarba tanta terra “taurino quantum possent circumdare tergo” (quanta una pelle di bue ne potesse

circondare, Eneide I, 367-368). Didone non si lascia sfuggire l’occasione, taglia la pelle in strisce

sottili, le annoda fra di loro ottenendone un lungo filo che dispone in modo tale da recintare la mas-

sima estensione di terra, la quale comprenda anche la costa, come richiesto dai seguaci. È così che

Didone riesce ad occupare la terra necessaria per fondare Cartagine. Nella fretta di recintare

l’appezzamento di terreno più grande possibile, Didone agisce d’istinto, formando con la striscioli-

na di pelle un semicerchio. Intanto però tutti i peregrini si interrogano se sia realmente quella la

scelta migliore. Ecco spiegati l’origine ed il nome del problema di Didone: Tra tutte le curve della

stessa lunghezza aventi estremi su una retta assegnata, determinare quelle che delimitano con la

retta la figura piana di area maggiore. Ma la leggenda di Didone non è l’unico mito che affronta

tale problema. Anche Tito Livio, nella narrazione della storia della Ricompensa di Orazio Coclite,

parla di un appezzamento di terreno di assegnato perimetro del quale, il protagonista del mito, pote-

va stabilire la forma, e quindi l’area a lui più conveniente. O, discostandoci da quegli autori che ap-

partengono al nostro bagaglio culturale, anche in Danimarca si narra qualcosa di simile. Saxo

Grammaticus, letterato danese del XII secolo, narra di Iwar, figlio del leggendario re vichingo Ra-

gnar Lodbrok, al quale fu fatta una proposta quasi uguale a quella che si narra nel mito di Didone:

recintare tanta terra quanta potesse contenerne una pelle di bue. Nel corso dei secoli, molti studiosi

e matematici si occuparono di risolvere il problema isoperimetrico. Già i Greci avevano capito che

la soluzione era rappresentata dalla circonferenza (semicirconferenza nel caso di Didone), ma non

ne possedevano una dimostrazione. I primi risultati nella determinazione delle soluzioni sono da at-

tribuirsi al matematico greco Zenodoro4 (II secolo a.C.) che scrisse un trattato sui poligoni aventi lo

stesso perimetro. Questo lavoro purtroppo è andato perso. Comunque, alcuni suoi risultati ci vengo-

no riportati da Pappo nell’opera Collezioni matematiche il cui Libro V è dedicato proprio ai pro-

blemi di isoperimetria. I teoremi di Zenodoro che sono di interesse per il nostro problema sono:

TEOREMA 1. Tra tutti i poligoni aventi lo stesso numero di lati e lo stesso perimetro, il poligono re-

golare è quello di area massima.

3 Schirru Claudia, Il problema di Didone e altri problemi isoperimetrici, http://www.luciocadeddu.com/tesi/Schirru_triennale.pdf 4 Porter, Thomas Isaac, A History of the Classical Isoperimetric Problem, University of Chicago, Department of Mathematics, 1931, pagg. 6 – 9

32

TEOREMA 2. Tra i poligoni regolari che hanno lo stesso perimetro, il cerchio ha area massima.

La dimostrazione del teorema 1 dipende da due lemmi:

LEMMA 1. Tra tutti i triangoli di assegnato perimetro, con la stessa base, quello che ha area mas-

sima è il triangolo isoscele.

LEMMA 2. Dati due triangoli isosceli tra loro non simili, se si costruisce sulle loro stesse basi due

triangoli che sono tra loro simili e tali che la somma dei perimetri dei triangoli simili è uguale a

quella dei perimetri dei due triangoli originali, allora la somma delle aree dei triangoli simili è

maggiore della somma delle aree dei triangoli non simili.

DIMOSTRAZIONE DEL TEOREMA 1 SECONDO ZENODORO.

Figura 1 5

Figura 2 Si supponga per assurdo che, tra tutti i poligoni di cinque lati aventi lo stesso perimetro, il poligono

non regolare ABCDE abbia area massima. Siano AB e BC disuguali. Si costruisca AF congruente a

CF e tale che la somma di AF e CF sia uguale alla somma di AB e BC. Da ciò segue, per il lemma

1, che il triangolo AFC ha area maggiore del triangolo ABC. Pertanto, l’area del nuovo poligono è

maggiore dell’area del poligono iniziale. Ma ciò contraddice l’ipotesi che ABCDE ha area massima.

Ripetendo tale ragionamento per le altre coppie di lati, è possibile affermare facilmente che affinché

ABCDE abbia area massima deve essere un poligono equilatero.

Si supponga, ora, per assurdo che, tra tutti i poligoni equilateri di cinque lati aventi lo stesso perime-

tro, il poligono ABCDE abbia area massima. Sia l’angolo maggiore dell’angolo . Si co-

struiscano, quindi, i triangoli isosceli AFC ed EGC in modo tale che siano simili tra loro e che la

somma dei loro perimetri sia uguale alla somma dei perimetri di ABC ed EDC. Da ciò si deduce,

per il lemma 2, che la somma delle aree dei triangoli AFC ed EGC è maggiore della somma delle

aree dei triangoli ABC ed EDC. Pertanto, si è costruito un nuovo poligono equilatero AFCGE aven-

te lo stesso perimetro del poligono ABCDE, ma area maggiore. Ciò contraddice l’ipotesi che ABC-

DE ha area massima. Ripetendo tale ragionamento per le altre coppie di angoli, è possibile afferma-

re facilmente che affinché ABCDE abbia area massima deve essere un poligono equiangolo. Pertan-

to, è possibile concludere che tra tutti i poligoni di cinque lati aventi lo stesso perimetro, il poligono

5 Fig. 1, Fig.2, Fig.3, Fig.4: http://math.arizona.edu/~dido/porter1933.pdf

33

regolare ha area massima. La dimostrazione del teorema 1 non è completa, in quanto si assume sen-

za provarlo che tra tutti i poligoni di perimetro assegnato ne esiste uno che ha area massima.

DIMOSTRAZIONE DEL TEOREMA 2 SECONDO ZENODORO.

Figura 3

Figura 4

Sia un cerchio di perimetro p e sia un poligono regolare avente lo stesso perimetro. Sia un

poligono che circoscrive e simile a . Siano e gli apotemi di e di , rispettivamente. Si

nota che è il raggio del cerchio . Dal momento che i poligoni e sono simili, è chiaro che il

rapporto è uguale al rapporto . Ma, il perimetro è maggiore del perimetro del cerchio .

Da ciò si ricava che è maggiore di . D’altra parte, l’area di è, usando un teorema provato da

Archimede, pari ad un mezzo dell’area di un rettangolo la cui lunghezza è pari al perimetro di e la

cui altezza è pari al raggio di , cioè , e l’area di è . Pertanto, l’area di è mag-

giore dell’area di .

I teoremi 1 e 2, se completamente dimostrati, permettono di concludere che, tra tutti i poligoni di

perimetro assegnato, un cerchio avente lo stesso perimetro ha area massima. Comunque, per una

completa dimostrazione del problema isoperimetrico è necessario discutere anche il caso in cui la

figura che si sta confrontando con il cerchio non sia un poligono.

I ragionamenti di Zenodoro segnarono profondamente il modo di approcciare il problema isoperi-

metrico, tant’è che si trovano ripetuti più o meno fedelmente in tutte le discussioni riguardo

l’isoperimetria fino alla fine del 1700. Il primo matematico a dire qualcosa di veramente innovativo

sulla questione fu Jacob Steiner6, operante a Berlino nella prima metà dell’Ottocento, il quale in-

ventò alcune tecniche per dimostrare che ogni figura d’assegnato perimetro realizzante l’area mas-

sima è necessariamente un cerchio. Le tecniche inventate da Steiner si basavano su un semplice

principio: detta E una figura piana d’area massima, se E non è un cerchio si può determinare una

seconda figura F che abbia stesso perimetro di E ma area maggiore. Quindi è evidente che nessuna

figura piana tranne il cerchio può dare il massimo all’area, quando il perimetro venga fissato. Tutta-

via, la dimostrazione fornita da Steiner del problema isoperimetrico fu duramente criticata

dall’analista Dirichlet. Steiner infatti aveva sottointeso l’ipotesi di esistenza della figura massimiz-

6 Schirru Claudia, Il problema di Didone e altri problemi isoperimetrici, http://www.luciocadeddu.com/tesi/Schirru_triennale.pdf

34

zante, soluzione del problema isoperimetrico. Analizziamo la dimostrazione di Steiner, consapevoli

del fatto che sarebbe più completa aggiungendo l’ipotesi di esistenza della figura massimizzante.

TEOREMA SUGLI ISOPERIMETRI. Data una lunghezza , fra tutte le curve piane chiuse di

lunghezza L, la circonferenza è quella che racchiude l’area massima.

DIMOSTRAZIONE. La dimostrazione fu sintetizzata in tre passi chiave come di seguito.

PRIMO PASSO. La regione A racchiusa dalla curva deve essere convessa7.

Consideriamo due punti sulla curva , oggetto del problema isoperimetrico, e uniamoli con un seg-

mento. Se tale segmento è interamente contenuto in A, allora abbiamo concluso; se non è contenuto

in A, ribaltiamo intorno a se stesso il tratto di curva che si trova sotto al segmento, ottenendo così

una nuova figura avente una sporgenza anziché una rientranza. Ripetiamo la manovra per tutti i

punti di ottenendo una figura che sarà sicuramente convessa. Tale operazione geometrica con-

siste quindi nel considerare l’involucro convesso, il quale avrà area maggiore di quella di partenza,

ma la lunghezza L della curva rimane invariata. ha quindi area maggiore di quella di A, per cui A

non era la regione ottimale, mentre quella ottimale deve sicuramente essere convessa.

Figura 5: Manovra di ribaltamento.8

SECONDO PASSO. La soluzione del problema isoperimetrico è ottenuta raddoppiando la figura che

risolve il problema di Didone.

Data una soluzione D del problema di Didone con assegnata lunghezza pari a L/2, consideriamo la

figura ottenuta ribaltando una copia di tale soluzione lungo il segmento di base, e unendo le due su-

perfici. La nuova figura, che chiameremo I, avrà perimetro pari a L e area doppia di quella di D. I è

la soluzione del problema isoperimetrico.

Per dimostrare ciò ragioniamo per assurdo. Supponiamo che I non sia la soluzione del problema

isoperimetrico, ma che lo sia una regione I´ di lunghezza assegnata L. Per definizione di problema

isoperimetrico, I´ ha area maggiore di I . Presi sulla curva , bordo della regione I´, due punti qual-

siasi P e Q che separino archi di lunghezza uguale, e quindi pari a L/2, consideriamo il segmento

PQ: quest’ultimo è interamente contenuto in I´ (per la proprietà di convessità esposta al passo pre-

cedente) e divide la regione di piano I´ in sottoregioni, una delle quali avrà area maggiore dell’altra.

Sia D´ quella con area più grande. Dato che I´ ha area maggiore di I , allora anche D´ avrà area

7 Def. Una regione A è detta convessa se, presi due qualsiasi punti al suo interno, o sulla curva che la delimita, il segmento che li congiunge è totalmente contenuto all’interno della regione stessa. 8 Fig. 5: http://www.luciocadeddu.com/tesi/Schirru_triennale.pdf

35

maggiore di D. Infatti, . Questo significa che D´ è una soluzione migliore di D, il

che è assurdo per definizione di problema di Didone. Possiamo quindi concludere che se D è la so-

luzione del problema di Didone, allora I sarà la soluzione del problema isoperimetrico.

TERZO PASSO. La figura che risolve il problema di Didone è un semicerchio, quindi quella che ri-

solve il problema isoperimetrico è un cerchio.

Sia la figura che risolve il problema di Didone. Prendiamo sul bordo di un punto e conside-

riamo il triangolo .

Figura 6: Manovra di Steiner.9

Mostriamo di seguito che l’area di ACB è massima quando l’angolo in C è retto. Se per assurdo

l’angolo non fosse retto, potremmo “muovere” le due regioni di D delimitate dai lati AC e BC

e dai rispettivi archi di D fino a che non lo diventi. In tale manovra (la “manovra di Steiner” appun-

to) non si alterano né le lunghezze dei lati AC e BC, né l’area delle regioni suddette. Ma cambia

l’area del triangolo ACB. Ci troviamo di fronte al problema di come varia l’area di un triangolo

avente due lati assegnati. Se fissiamo le lunghezze di due lati del triangolo (senza ledere la generali-

tà, possiamo supporre che uno dei due sia la base AC) e facciamo variare l’angolo fra essi compre-

so, si ha che l’altezza del triangolo è massima quando questo angolo è retto.

Figura 7

Siccome l’area di un triangolo è direttamente proporzionale sia alla base che all’altezza, essendo la

base fissata, l’altezza massima determinerà un’area massima. Pertanto, il triangolo rettangolo ha

area massima fra quelli aventi due lati assegnati. Nella manovra di Steiner l’area del triangolo è

quindi aumentata facendo così aumentare l’area di D. Assurdo perché D è la figura di area massima.

Quindi ACB è rettangolo in , l’arco della figura è una semicirconferenza10, D è un semicerchio

e la figura che risolve il problema degli isoperimetri è un cerchio. Prima di concludere questo terzo

9Fig. 6: http://digidownload.libero.it/leo723/materiali/UD_ssis/UD_max_min_.pdf 10 Proprietà. Ogni triangolo inscritto in una semicirconferenza è rettangolo.

36

ed ultimo passo della dimostrazione notiamo che la manovra di Steiner presenta una lieve impreci-

sione di tipo tecnico. Egli, infatti, non si preoccupò di analizzare i casi estremi, ossia quelli che si

ottengono quando C ≡ A o C ≡ B, oppure, più in generale, quando C appartiene al segmento AB. In

queste situazioni infatti il triangolo degenererebbe in una retta e non avrebbe più senso tutta la di-

mostrazione che abbiamo portato avanti. Abbiamo già detto che i metodi sintetici di Steiner furono

attaccati dal punto di vista analitico dai suoi contemporanei, primo tra tutti Dirichlet. Sfortunata-

mente, infatti, Steiner ipotizzava l'esistenza della curva massimizzante, mentre ciò che dimostrò è il

fatto che se tale curva esiste allora è una circonferenza. La dimostrazione dell’esistenza di una curva

massimizzante creò non pochi problemi ai matematici negli anni successivi fino a quando Weier-

strass fece ricorso a strumenti di analisi (il calcolo delle variazioni).

Terza fase

Criteri metodologici

In questa fase sono proposti agli alunni diversi problemi concernenti questioni di isoperimetria, la

cui risoluzione viene effettuata senza l’uso del calcolo differenziale. I problemi presentati sono dati

in ordine gerarchico, dal più semplice al più complicato, in modo da non scoraggiare gli studenti,

favorendo così la loro autostima e il loro senso di autoefficacia. L’approccio didattico è basato sulla

metodologia del problem solving, al fine di stimolare la scoperta di procedimenti attivi che, moti-

vando e interessando il gruppo classe, portino a interpretare analiticamente il problema, per poi

giungere a conclusioni consistenti. In base al tipo di problema l’insegnante di volta in volta decide

come calibrare i seguenti aspetti: modalità di formulazione della domanda, passaggi da esplicitare,

spazi problematici da lasciare insoluti.

“Il docente che insegna in modo sistematico mediante la soluzione di problemi ha la possibilità di

analizzare, confrontare e classificare i sistemi di rappresentazione e le strategie che gli studenti

usano per risolvere certi tipi di problemi in un determinato livello e può avvalersi di queste infor-

mazioni per orientare il lavoro successivo in classe” (Rico)11.

Poiché inoltre “il risolvere problemi e il saper scegliere come comportarsi in situazioni problemati-

che siano veicolo eccellente per la formazione dei concetti” (D’Amore)12, si ritiene fondamentale,

in questo progetto, dedicare uno spazio significativo alla soluzione di problemi non solo come mo-

mento in cui gli studenti debbano mettere in atto diverse conoscenze e strategie già apprese, ma an-

che come strumento per portarli a dedurre nuovi metodi risolutivi.

11 Rico L., Gonzales-Lopez M. J., Segovia I. Strategie di risoluzione nei problemi geometrici. La matematica e la sua didattica, 2, 2000, 144-165. 12 D’Amore B. Problemi. Pedagogia e psicologia della matematica nell’attività di problem solving. Franco Angeli. Milano 1993.

37

Poiché molti studenti incontrano difficoltà davanti ai problemi, sarà importante guidarli nell’analisi

di alcuni di essi aiutandoli a scomporli in parti più semplici e procedere per passi verso la soluzione.

Ovviamente si terrà conto in questa fase del fatto che “il frazionamento di un problema complesso

in componenti dà un miglioramento significativo nella percentuale di soluzioni solo se il nodo con-

cettuale del problema è evidenziato in modo esplicito” (D’Amore)13.

Inoltre, l’attività didattica si realizza sotto forma di “cooperative learning”, che consiste nell’utilizzo

di un insieme di tecniche di conduzione degli allievi, grazie alle quali gli studenti lavorano in picco-

li gruppi per attività di apprendimento e ricevono valutazioni in base ai risultati acquisiti. Il “coope-

rative learning” si pone l’obiettivo di migliorare l’apprendimento scolastico insegnando contempo-

raneamente agli studenti a lavorare in modo cooperativo. Il contributo effettivo dei membri di cia-

scun gruppo, impegnati con mansioni diverse a perseguire il medesimo obiettivo, crea interdipen-

denza positiva. Al termine di ogni attività il docente aiuta il gruppo classe a valutare le fasi di riso-

luzione del problema e le tipologie di ragionamento che si sono rivelate più efficaci; le scoperte de-

gli allievi si tramutano in contenuti consolidati quando il docente le colloca in un sistema ordinato

di preconoscenze e conoscenze disciplinari, aiuto di cui i ragazzi hanno bisogno per organizzare e

interiorizzare quanto appreso intuitivamente. Per rendere più intuitiva la risoluzione di alcuni pro-

blemi si utilizza la didattica laboratoriale tramite l’uso del software di geometria dinamica Geoge-

bra, che sfruttando la capacità della geometria di stimolare la fantasia anche estetica dello studente

avvicina l’allievo a quegli aspetti più formali e razionali che egli può accettare soltanto se ne com-

prende la possibilità di utilizzo come sistemazione e affinamento delle stesse capacità intuitive.

Inoltre, l’uso della didattica laboratoriale permette di valorizzare la relazione tra apprendere e fare

(J. Dewey) e stimola l’alunno ad imparare ad imparare essendo il laboratorio sede privilegiata per

l’osservazione, la scoperta, la ricerca-azione (F. Frabboni).

Sviluppo dei contenuti

PRIMO PROBLEMA. Due figure geometriche aventi lo stesso perimetro hanno la stessa area?

Molto spesso gli studenti commettono l’errore di pensare che due figure geometriche aventi lo stes-

so perimetro hanno la stessa area. Ma utilizzando in laboratorio il software Geogebra essi possono

osservare facilmente che non vi è alcuna proporzionalità fra perimetro ed area.

13 D’Amore B. Problemi. Pedagogia e psicologia della matematica nell’attività di problem solving. Franco Angeli. Milano 1993.

38

SECONDO PROBLEMA. Fra i triangoli aventi due lati di misura assegnata, qual è quello di area

massima?

Si procede per via intuitiva. I ragazzi utilizzando in laboratorio il software Geogebra possono rea-

lizzare la seguente costruzione:

· Si tracci una circonferenza di centro .

· Si consideri un triangolo qualsiasi di base e

avente il vertice appartenente alla circonferenza.

· Si tracci l’altezza rispetto alla base .

· Muovendo il punto sulla circonferenza si ottengono

infiniti triangoli aventi i lati e fissati.

· Per visualizzare ciò si prendono a scelta dei punti ,

sulla circonferenza e si considerano i triangoli

, , di cui si tracciano le altezze ,

.

Possibili domande:

1. Muovendo il punto sulla circonferenza quali elementi del triangolo cambiano e quali no?

2. Come varia l’area dei triangoli?

3. Qual è il triangolo che ha l’area maggiore di tutti?

Osservando che spostando il punto sulla circonferenza l’angolo compreso tra i due lati di misura

fissa varia, si ricava che l’altezza del triangolo è massima quando quest’angolo è retto. Sapendo che

l’area di un triangolo è direttamente proporzionale sia alla base che all’altezza, essendo

la base fissata, l’altezza massima determina un’area massima. Pertanto, il triangolo rettangolo ha

area massima fra quelli aventi due lati assegnati.

TERZA PROBLEMA. Fra tutti i triangoli di dato perimetro qual è quello di area massima?

PRIMO METODO. Anche nella risoluzione di tale problema si può procedere per via intuitiva utiliz-

zando il software Geogebra. Data un’ellisse, si costruisce un triangolo avente come base

la distanza tra i due fuochi. Sfruttando la nota proprietà dell’ellisse, luogo geometrico dei punti del

piano per cui è costante la somma delle distanze dai fuochi, muovendo il punto sull’ellisse si ot-

tengono infiniti triangoli isoperimetrici di base fissata.

39

È allora immediato dedurre che il triangolo è di area massima quando ha massima altezza, ossia

quando appartiene all’asse del segmento e quindi coincide con uno dei vertici secondari. Si

è così provato che tra i triangoli di base e perimetro assegnati quello isoscele ha area massima.

Poiché il ragionamento si può ripetere fissando ciascun lato, segue che fra i triangoli di uguale pe-

rimetro, quello di area massima è equilatero.

SECONDO METODO. Nella risoluzione di tale problema si può procedere anche per via analitica. Ini-

zialmente si considera un triangolo di perimetro e avente un lato di lunghezza assegnata .

Si indichino con ed le lunghezze variabili degli altri due lati. Applicando la formula di Erone,

l’area del triangolo si può esprimere nella forma . Osservando che

, si ha , che assume valore massimo in

corrispondenza del massimo della quantità

.

Possibili domande:

1. Rappresentando tale funzione in un piano cartesiano, qual è il suo grafico?

2. In quale intervallo deve variare la affinché il problema ammetta soluzione?

3. Nell’intervallo considerato, la funzione possiede punti in cui ammette valore massimo?

Tale valore è unico?

La funzione è facilmente individuabile: si tratta di una parabola con asse parallelo all’asse delle or-

dinate, avente concavità rivolta verso il basso.

Dal momento che la rappresenta la misura di un lato del trian-

golo, essa deve essere un numero positivo e non può superare il

valore di , ossia . Considerando il grafico

della parabola in tale intervallo, si osserva che in esso cade il

vertice la cui ascissa è , che è l’unico punto di mas-

simo. Da ciò si ricava che .

40

Pertanto, tra tutti i triangoli aventi un lato e il perimetro assegnati quello isoscele ha area massima.

Poiché il ragionamento si può ripetere fissando ciascun lato, segue che fra i triangoli di uguale pe-

rimetro, quello di area massima è equilatero.

A questo punto si propongono due problemi, uno il duale dell’altro.

QUARTO PROBLEMA (IL PROBLEMA DEI RETTANGOLI ISOPERIMETRICI14

). Fra tutti i rettangoli di

perimetro assegnato determinare quello la cui area è massima.

Assegnando il perimetro di un rettangolo, si assegna automaticamente la somma dei due lati del ret-

tangolo, cioè il suo semiperimetro; si può dunque trasformare un problema di tipo geometrico in un

problema algebrico equivalente: dati due numeri reali positivi aventi somma costante, quando è

massimo il loro prodotto?

Gli alunni possono procedere alla risoluzione per via analitica. Sia il perimetro assegnato di

un generico rettangolo . Si indichino con e sia i lati che le misure. Nello specifico rap-

presenta la base e l’altezza del rettangolo .

L’area sarà , che è una funzione che dipende da due variabili. Ricordando che il semiperi-

metro , è possibile eliminarne una. Infatti, , da cui segue che:

.

Possibili domande:

1. Rappresentando tale funzione in un piano cartesiano, qual è il suo grafico?

2. In quale intervallo deve variare la affinché il problema ammetta soluzione?

3. Nell’intervallo considerato, la funzione possiede punti in cui ammette valore massimo?

Tale valore è unico?

La funzione è facilmente individuabile: si tratta di una parabola con asse parallelo all’asse delle or-

dinate, con concavità rivolta verso il basso, vertice e avente come intersezioni con l’asse

i punti e .

14

Il problema dei rettangoli isoperimetrici, insieme al suo duale, permette di scoprire una interessante proprietà relativa al quadrato. Inoltre, la sua interpretazione algebrica è un modo per legare le proprietà delle figure a quelle dei numeri.

41

Dal momento che rappresenta la misura della base del rettan-

golo, essa come tale deve essere un numero positivo e non può

superare il valore del semiperimetro. Di conseguenza, può va-

riare nell’intervallo . Se come caso limite si assume che in

corrispondenza dei valori e il rettangolo degenera

in un segmento è possibile considerare come intervallo di varia-

zione della .

Considerando il grafico della parabola in tale intervallo si osserva che in esso cade il vertice

che è l’unico punto di massimo. Da ciò si ricava facilmente che il rettangolo di area mas-

sima ha la base di misura , l’altezza e l’area . Si tratta quindi di un quadrato. Per-

tanto, tra i rettangoli di dato perimetro il quadrato ha area massima.

Inoltre, gli studenti, analizzando sia in questo problema che in quello precedente il grafico della pa-

rabola, iniziano a prendere confidenza con il concetto di punto di massimo e vengono così condotti

in modo autonomo a darne una definizione:

DEF. (PUNTO DI MASSIMO). Sia una funzione definita in un insieme . Un punto si di-

ce punto di massimo per se per ogni si verifica che .

Si nota che introducendo in tal modo il concetto di punto di massimo non solo l’alunno diventa arte-

fice del proprio sapere, ma si evita anche la confusione generata negli studenti da molti testi scola-

stici che distinguono tra massimo e punto di massimo di una funzione definendo il massimo come

il più grande valore che la funzione può assumere nel suo codominio e come punto di massimo il

valore della variabile indipendente in corrispondenza del quale la funzione assume il suo valore

massimo.

Analogamente nel caso di un punto di minimo si ottiene la seguente:

DEF. (PUNTO DI MINIMO). Sia una funzione definita in un insieme . Un punto si dice

punto di minimo per se per ogni si verifica che .

QUINTO PROBLEMA. Fra tutti i rettangoli aventi area assegnata determinare quello il cui perimetro

è minimo.

Assegnando l’area di un rettangolo, si assegna automaticamente il prodotto dei due lati; si può dun-

que trasformare un problema di tipo geometrico in un problema algebrico equivalente: dati due nu-

meri reali positivi il cui prodotto è costante, quando è minima la loro somma?

Gli alunni possono procedere per via algebrica. Sia l’area assegnata di un generico rettangolo

. Si indichino con e sia i lati che le misure. Nello specifico rappresenta la base e

l’altezza del rettangolo .

42

Osservando che l’area è data da e il semiperimetro , gli alunni saranno stimola-

ti dal docente a cercare una relazione matematica che leghi queste quantità.

Ad esempio, si può partire dalla formula:

,

cui gli alunni possono giungere ricordando che e

. Da qui sapendo che , si ricava:

.

Ma, il perimetro è minimo quando e quindi è minimo, ossia nel caso in

cui è minimo. Ciò si verifica solo quando si annulla, ovvero . Da ciò se-

gue che . Concludendo, tra i rettangoli di area assegnata il quadrato ha il

perimetro minimo.

SESTO PROBLEMA. Tra i quadrilateri di perimetro assegnato si determini quello di area massima.

La risoluzione del problema procede per passi.

PRIMO PASSO. È possibile limitare la nostra analisi a quadrilateri

convessi. Se infatti il quadrilatero non lo fosse, è possibi-

le sempre sostituirlo con uno convesso avente lo stesso

perimetro ma area maggiore, come in figura.

SECONDO PASSO.

Si consideri una diagonale qualsiasi del quadrilatero convesso

, ad esempio . Questa divide il quadrilatero in due

triangoli, e di base assegnata e con somma dei

lati assegnata. Per quanto visto nel terzo problema, il triangolo

ha area minore del suo isoperimetrico isoscele , e

analogamente ha area minore di . Quindi, il quadrila-

tero è isoperimetrico ad , ma la sua area è mag-

giore.

Il quadrilatero è diviso in due triangoli congruenti

dall’altra diagonale . Ancora per il terzo problema, il trian-

golo ha area minore del suo isoperimetrico isoscele ,

ed analogamente ha area minore di . Quindi, il qua-

drilatero è isoperimetrico ad , ma la sua area è

maggiore. Inoltre, è un rombo, avendo tutti i lati congruenti.

43

TERZO PASSO. L’area del rombo così ottenuto è data da , dove è la misura del lato del

rombo e è l’angolo . Di conseguenza, l’area è massima per , cioè quando il

rombo è rettangolo, ossia è un quadrato. Pertanto, da ciò si ricava che tra tutti i quadrilateri di pe-

rimetro assegnato il quadrato è quello di area massima.

SETTIMO PROBLEMA. Tra tutti i poligoni aventi lo stesso numero di lati e lo stesso perimetro, de-

terminare quello di area massima.

La figura seguente suggerisce il ragionamento da seguire e da generalizzare.

I triangoli e hanno uguale perimetro,

ma il secondo, isoscele, ha area maggiore. Per-

tanto, il poligono regolare ha lo stesso

numero di lati e lo stesso perimetro del poligono

irregolare , ma ha area maggiore.

OTTAVO PROBLEMA. Quale figura geometrica a parità di perimetro ha area maggiore?

PRIMO METODO. Dato un poligono regolare di lati e di perimetro , è possibile costruire un

poligono di lati, non regolare, isoperimetrico e di area maggiore. La costruzione è suggerita

dalla figura seguente in cui si considera come caso particolare il pentagono regolare .

Siano:

· il punto medio del lato ;

· un triangolo isoscele isoperimetrico al

triangolo e di area maggiore;

· un triangolo isoscele isoperimetrico al

triangolo e di area maggiore.

Si ottiene così l’esagono irregolare isoperimetrico al pentagono, ma di area maggiore.

Poiché l’area dell’esagono irregolare è minore di quella dell’esagono regolare isoperimetrico, si può

affermare che, nell’insieme dei poligoni regolari isoperimetrici, l’area cresce al crescere del numero

dei lati. Si osserva inoltre che man mano che il numero dei lati aumenta, la misura del lato diminui-

sce in modo da lasciare invariato il perimetro; in tal modo il poligono approssima sempre meglio un

cerchio. Se ne deduce che, al limite, per un numero di lati molto grande, il poligono si confonde con

un cerchio di eguale perimetro e area massima. Riassumendo, la figura geometrica che a parità di

perimetro ha area maggiore è il cerchio.

SECONDO METODO.

44

Fissato un valore del perimetro esprimiamo il valore

dell’area di un poligono regolare in funzione del numero

dei lati. Congiungendo il centro O del poligono con i vertici,

si ottengono triangoli isosceli di base e altezza

. L’area del poligono è pertanto

.

Rappresentiamo con Geogebra la successione che compare al denominatore.

Si osserva dal grafico che essa, al tendere di n all’infinito, decresce tendendo al valore di . Di con-

seguenza, l’area del poligono regolare cresce all’aumentare del numero dei lati e, al tendere di

n all’infinito, tende al valore che è proprio uguale all’area del cerchio isoperimetrico di raggio .

Riassumendo, la figura geometrica che a parità di perimetro ha area maggiore è il cerchio.

Conclusioni

In sé i concetti di massimo e di minimo non sono difficili, ma spesso l’argomento viene proposto

con metodi rigidi, legati fortemente ai teoremi e spesso limitati a casi particolari. In questo percorso,

grazie all’uso del problem solving e della didattica laboratoriale connessa all’utilizzo del software

Geogebra, si cerca di rendere più intuitiva ed interessante l’attività didattica riguardante la risolu-

zione dei problemi di massimo e di minimo, con particolare riferimento ai problemi isoperimetrici,

in modo tale che il processo di insegnamento si trasformi in effettivo apprendimento da parte degli

alunni. In tutto il percorso, infatti, lo studente è protagonista del proprio apprendimento, visto come

processo di costruzione della conoscenza e non come semplice passaggio da mancanza di nozioni a

presenza di nozioni. Porre l’alunno al centro del proprio processo di apprendimento significa appun-

to per il docente integrare la didattica tradizionale con metodologie e strategie operative innovative

che coinvolgano fattivamente lo studente motivando il suo interesse ad apprendere e migliorare.

45

CONCLUSIONI

L’impegnativa attività del percorso del T.F.A. ha dato la possibilità alla tirocinante di approfondire

molte delle questioni relative alla professione del docente, fornendole quegli strumenti che le per-

metteranno di intraprendere tale difficile percorso in maniera più consapevole.

Infatti, se gli insegnamenti “trasversali” di Scienze dell’Educazione hanno consentito di analizzare

gli aspetti pedagogici-didattici dell’insegnamento, i corsi dell’area di indirizzo hanno permesso di

completare il bagaglio di conoscenze già possedute ed acquisire attitudini e competenze relative alle

metodologie didattiche disciplinari sviluppando in particolare la capacità di definire

un’organizzazione curricolare efficace, l’attività di tirocinio ha consentito di apprendere gli elemen-

ti fondamentali inerenti la normativa, l’organizzazione ed il funzionamento degli istituti scolastici,

ma soprattutto di acquisire ed affinare le competenze educative e didattiche attraverso l’esercizio

diretto dell’insegnamento, tutto il percorso del T.F.A. ha portato la tirocinante a riflettere a lungo

sull’attività di insegnamento e sulla complessità del ruolo che il docente riveste nel contesto cultura-

le attuale.

E proprio sulla base di tale riflessione, la tirocinante ha potuto comprendere come oggi l’insegnante

sia chiamato a progettare percorsi di apprendimento e a cooperare con i suoi allievi per realizzare,

insieme, un processo educativo che non solo sia rispettoso delle diverse individualità, ma renda lo

studente parte attiva e costruttiva del proprio apprendimento, visto come processo di costruzione

della conoscenza e non come semplice passaggio da mancanza di nozioni a presenza di nozioni.

46

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