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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI La politica americana degli Stati Uniti da Theodore Roosevelt a Richard Nixon Relatore Tesi di laurea di Prof.ssa Liliana Saiu Carlo Passino ANNO ACCADEMICO 2006 – 2007

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN RELAZIONI

INTERNAZIONALI

La politica americana degli Stati Uniti da Theodore Roosevelt a Richard Nixon

Relatore Tesi di laurea di Prof.ssa Liliana Saiu Carlo Passino

ANNO ACCADEMICO 2006 – 2007

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Alla mia famiglia

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Introduzione

La creazione dell’Organizzazione degli Stati Americani nel 1948 costituì un

fatto storico importantissimo nel lungo percorso delle relazioni interamericane. Allo stesso tempo segnò un punto di svolta rendendo realtà il concetto di identità emisferica che fino ad allora era stato un sogno dei leaders latinoamericani del secolo XIX. Durante quasi tutto l’800, le repubbliche americane incoraggiarono questa visione di identità emisferica attraverso una serie di congressi: tra il 1826 e il 1865 furono realizzati quattro congressi ispanoamericani su argomenti considerati di importanza vitale per il continente. I congressi, tenuti a Panama (1826), Lima (1847-1848), Santiago del Cile (1856) e ancora Lima (1864-1865) si occuparono della questione della pace, sicurezza continentale, abolizione della schiavitù, unione federale, minacce esterne e possibilità di un’azione comune contro la presenza spagnola e francese.

Nel 1889, il governo degli Stati Uniti invitò tutti gli stati indipendenti del continente a partecipare alla Prima Conferenza Internazionale Americana. La Conferenza creò l’Unione Internazionale delle Repubbliche Americane per la raccolta e divulgazione di informazioni sul commercio e istituì l’Ufficio Commerciale delle Repubbliche Americane, con sede a Washington, con funzione di segreteria permanente dell’Unione. Nella Quarta Conferenza Internazionale Americana, svoltasi a Buenos Aires nel 1910, le repubbliche americane utilizzarono l’Unione come trampolino di lancio per l’adozione di convenzione con la quale si creò l’Unione Panamericana. A partire da allora e per i successivi 38 anni, i rappresentanti degli stati latinoamericani e degli Stati Uniti si incontrarono periodicamente per stabilire una posizione comune riguardo a questioni regionali.

I congressi, le conferenze e le riunioni interamericane speciali permisero di sviluppare un’agenda regionale che sviluppò notevolmente l’identificazione e l’evoluzione di una coscienza continentale nella regione. Gli incontri dell’Unione Panamericana, motivati dalla necessità di cercare posizioni e risposte comuni nel continente non costituirono però un adeguato contesto per consolidare un’identità emisferica solida. Fu a partire dal 1948, nella Nona Conferenza Internazionale Americana a Bogotà, con la creazione dell’Organizzazione degli Stati Americani, che si crearono i primi meccanismi di base a partire dai quali fu possibile sviluppare un’identità continentale fondata sulle necessità e aspirazioni comuni della regione. Il Trattato di Bogotà, istitutivo dell’OSA, si collocò in un contesto di guerra fredda e completò il Trattato di Rio che nell’anno precedente si era occupato dell’assistenza reciproca fra gli stati del continente contro aggressioni esterne. Come trattati regionali, categoria prevista dallo Statuto delle Nazioni Unite, questi accordi contribuirono e prevenire e neutralizzare l’influenza sovietica nell’emisfero e in questo senso entrarono a far parte della linea di containment, insieme ad altre intese regionali, la NATO , il patto di Bagdad per il Medio Oriente, la Seato per l’Asia del Sud Est. La conclusione del Trattato di Bogotà coincise con un periodo di ottimismo per l’America Latina, diversi paesi si erano arricchiti durante la seconda guerra mondiale e superavano nel reddito pro capite molti paesi europei, ma a distanza di poco tempo i rapporti all’interno del continente andarono progressivamente peggiorando. Per i latinoamericani il trattato divenne in pochi anni un semplice punto di partenza in vista di una relazione non tanto più stretta quanto più utile sul modello delle relazioni instaurate tra Stati Uniti e Europa dopo la seconda guerra mondiale; per Washington rimase, invece, uno strumento essenzialmente politico che servì a ridurre al minimo le

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contese interne e a espellere Cuba, lasciandola isolata. Dopo il fallimento dell’Alleanza per il Progresso, lanciata da Kennedy, che non seppe rispondere al problema dello sviluppo dell’America Latina, bisognò attendere quaranta anni, il 1991, per il lancio di un nuovo programma continentale, l’Iniziativa per le Americhe da parte di Bush Senior, progetto tuttora inoperante e sostituito da intese parziali.

Questo lavoro prende in esame la politica interamericana sviluppata a partire dal primo congresso di Panama del 1826, passando in esame le prime conferenze e congressi a carattere continentale, l’istituzione, nel 1948, dell’Organizzazione degli Stati Americani; l’Alleanza per il Progresso degli anni ’60; i problemi continentali nel periodo della guerra fredda e in particolare i rapporti con Cuba e la sua espulsione dall’Organizzazione, per giungere agli anni ’90 e le nuove iniziative che cercarono di rafforzare un’identità emisferica che ad ora stenta a trovare la sua forma compiuta. La parte più approfondita riguarda la politica americana degli Stato Uniti da Theodore Roosevelt a Richard Nixon. In questa tesi oltre alla prospettiva storica si cercano di analizzare e tenere presente i problemi di un equivoco di fondo: da una parte, Washington, ha visto prevalentemente nel sistema interamericano uno strumento per rafforzare la cooperazione e la solidarietà politica di fronte a minacce interne ed esterne alla sicurezza del continente. Dall’altra, l’America Latina, vi ha ravvisato un mezzo per stimolare lo sviluppo della regione e migliorare le condizioni socio-economiche della popolazione.

Il primo capitolo introduttivo, prende in esame le origini del sistema interamericano che ha mosso i suoi primi passi sullo sfondo di due idee contrapposte: una quella del libertador Simòn Bolìvar e l’altra quella del Presidente Monroe e della sua dottrina. Nel 1889 ci fu il lancio del movimento panamericano e la Prima Conferenza Interamericana, da lì si iniziarono ad affrontare i problemi di una ricca agenda continentale. Il secondo capitolo approfondisce i temi continentali affrontati nelle successive conferenze interamericane e analizza il sistema interamericano di fronte ai problemi creati dalla prima guerra mondiale. Sullo sfondo rimangono, ovviamente, i rapporti tra le due parti del continente che andarono migliorando con la Presidenza Roosevelt e la “politica di buon vicinato”. Il terzo capitolo si sofferma sui problemi che suscitarono le guerre mondiali e le risposte che a questi diede il sistema interamericano con il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca del 1947 e l’istituzione dell’Organizzazione degli Stati Americani. Quest’ultima costituì il punto di arrivo delle relazioni iniziate durante il secolo precedente, ma rappresentò anche il punto di partenza di una nuova politica continentale che poteva da quel momento in avanti contare su un’istituzione nuova. Il quarto capitolo abbraccia il periodo successivo all’istituzione dell’OSA fino alla riforma della Carta dell’Organizzazione, passando per gli anni ’60 e il lancio da parte del Presidente Kennedy dell’Alleanza per il Progresso fallita dopo appena un quinquennio. Un capitolo intero, il quinto, affronta i rapporti del sistema interamericano con la regione dei Carabi, approfondendo particolarmente il caso di Cuba, l’espulsione dell’isola dall’OSA e la questione della Repubblica Dominicana. Infine, nell’ultimo capitolo conclusivo, si trattano gli sviluppi recenti del sistema interamericano che sono caratterizzati dall’interesse continentale per la difesa della democrazia e dei diritti umani e per varie iniziative di rilancio dell’identità emisferica che stenta ancora a trovare una forma univoca.

Parte di questo lavoro è stato realizzato grazie a una borsa di ricerca tesi sul tema della cooperazione internazionale erogata dalla Regione Sardegna e concessa dall’Ente Regionale per il Diritto allo Studio Universitario, che mi ha permesso di recarmi negli Stati Uniti, Washington in particolare, e poter visitare la sede dell’Organizzazione degli Stati Americani e consultare il materiale della Library of Congress e della Columbus Library, potendo così visionare una serie di documenti, in

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particolare quelli intitolati “Conferencias Internacionales Americanas” della Dotaciòn Carnegie1, molto utili per esaminare i contenuti delle varie conferenze intorno alle quali si snoda tutta la politica interamericana. Ugualmente utili si sono rivelate una serie di opere monografiche, di autori statunitensi e latinoamericani, difficili da trovare in Italia, ma che è stato possibile consultare proprio a Washington. In particolare le opere di autori quali Mecham2, Glinkin3, Sepùlveda4 e Connell-Smith5. La maggior parte del lavoro è stata però svolta a Cagliari grazie al materiale che è stato possibile consultare nelle biblioteca della facoltà di Scienze Politiche. Tra le fonti documentarie principali rientrano i documenti diplomatici americani contenuti nei “Foreign Relations of United State”6, pubblicati dal Dipartimento di Stato e i “Documents on American Foreign Relations”7 importanti per reperire tutti quei documenti riguardanti le relazioni USA con l’America Latina. Per il suo carattere monografico e la facilità di consultazione è stata consultata la raccolta di documenti intitolata “The Evolution of our Latin-American Policy: a Documentary Record”8, curata dall’autore James Gatenbein. Tra le opere monografiche di autori italiani un posto particolare merita il testo “L’Organizzazione degli Stati Americani dalle origini ai giorni nostri”9 dei Professori Bruno e Raffaele Campanella dell’università di Bari, testo scritto con la collaborazione dell’Istituto Italo-Latino Americano.

Al termine di una carriera lo sguardo si volge naturalmente indietro, il pensiero si sofferma su tutti i momenti belli che hanno caratterizzato il percorso universitario non posso che rallegrarmi di tutte le persone incontrate e dei bei rapporti instaurati con molti professori e ricercatori. Vorrei rivolgere un sentito ringraziamento alla Professoressa Saiu, per la fiducia sempre dimostrata; al caro amico Christian Rossi per i consigli e i “rimproveri” e a tutti quei docenti che mi hanno fatto sentire molto più che un “alunno”.

Per ultimi ma non meno importanti rivolgo il mio pensiero a tutte le persone che mi hanno accompagnato in questa bellissima esperienza: i miei fantastici colleghi sempre più amici per la vita e non solo “compagni dell’università”. Un ringraziamento particolare a Francesca sempre e costantemente presente.

1 Dotaciòn Carnegie para la paz interamericana, Conferencias Internacionales Americanas (1889-1936), Washington, 1938 2 Mecham J. Lloyd, The United States and InterAmerican Security 1889-1960, University of Texas Press, 1961. 3 Glinkin Anatoly, Inter-American Relations From Bolivar to the Present, Progress Publisher, Moscow, 1994 4 Sepùlveda Cesar, El sistema Interamericano, Editorial Porrua, 1974 5 Connell-Smith G, The Inter-American System, Oxford University Press, New York, 1966 6 Department of State, Foreign Relations of the United States (d’ora in poi FRUS), United States Government Printing Office, Washington, DC; vol. V, 1940, The America Republics (1961); vol. V, 1942, The American Republics (1962); vol. XIII, 1947, The American Republics, (1972); vol. VI, 1955-1957, American Republics: Multilateral; Mexico; Carribbean, (1987); Vol. V, 1958 – 1960, American Republics (1991); vol. VI, 1958 – 1960, Cuba (1991); vol. XII, 1961 – 1963, American Republics (1991); vol. XXXII, 1964-68, Dominican Republic; Cuba; Haiti; Guyana (2005). 7 Council On Foreign Relations, Documents on American Foreign Relations (d’ora in poi DAFR), voll. 1954-1970, Harper, New York, (1955-1972) 8 James W. Gatenbein, The evolution of our Latin-American policy, a documentary record (d’ora in poi solo Gatenbein), New York, Columbia University Press, 1950 9 Campanella Bruno e Raffaele, L’Organizzazione degli Stati Americani dalle origini ai giorni nostri, Cacucci Editore, Bari, 2006

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Capitolo primo

La nascita del sistema interamericano (1826-1902)

1.1 Le origini L’idea di un sistema che comprendesse insieme gli Stati Uniti e i paesi

dell’America Latina anticipò di parecchio tempo la sua realizzazione in forma di organizzazione internazionale. Si può affermare che l’idea di una unione degli stati americani si affacciasse alla mente di molti pensatori dell’epoca contemporaneamente a quella dell’indipendenza dei singoli stati. L’idea che i popoli dell’emisfero occidentale potessero instaurare relazioni particolari gli uni con gli altri, distinguendosi dal resto del mondo trova sostenitori già a partire dall’inizio del XIX secolo. Per alcuni stati si trattava di un sistema per mettere al sicuro la propria indipendenza appena conquistata dalla corona spagnola, altri erano motivati non solo da motivi politici contingenti, ma dal desiderio della realizzazione di un sistema effettivo di collaborazione10.

L’origine dell’idea di un emisfero occidentale derivava direttamente dalla concezione del Nuovo Mondo che i colonizzatori avevano portato con sé dall’Europa e che poteva concretizzarsi solo dopo la raggiunta indipendenza. Non meraviglia quindi che gli Stati Uniti d’America, la prima nazione americana emancipata dal colonialismo europeo, diventasse la guida nello sviluppo del concetto di sistema americano. Il famosissimo messaggio del Presidente Monroe al Congresso del 2 dicembre 1823, postulava l’esistenza di un sistema americano separato al quale apparteneva tutto l’emisfero occidentale non sottoposto al controllo europeo.

Prima di lui Simòn Bolìvar, aveva dato alle idee panamericane la formulazione più completa e geniale e per questo è chiamato il “Padre del Panamericanismo”. In un primo momento egli aveva sognato la fusione dei popoli latinoamericani in una nazione unica, con la Gran Bretagna nel ruolo di stato protettore dal pericolo rappresentato dalle altre potenze europee e dagli Stati Uniti. Le vicende politiche lo portarono poi, a ripiegare verso un’idea più concreta anche se non meno ambiziosa: quella della creazione di una lega di stati americani indipendenti e sovrani. Attraverso l’opera dei suoi rappresentanti personali Joaquin Moschera e Miguel Santamaria, si impegnò in un’intensa opera di promozione del progetto, che portò alcuni frutti nella stipulazione di trattati bilaterali tra la Colombia da una parte e il Perù, il Messico, il Cile e l’America Centrale dall’altra. I traguardi suggerirono a Bolìvar il passaggio ad un’azione più concreta. Il 7 dicembre 1824 inviò da Lima una circolare ai governi della Colombia, Messico, America centrale, Province Unite del Rio de la Plata, Cile e Brasile invitandoli ad inviare i propri plenipotenziari a Panama per un Congresso in cui si sarebbe dibattuto sulla forma da dare alla lega11.

10 Gordon Connell-Smith, The Inter-American System, Oxford University Press, New York, 1966, p.

1 11 Anatoly Glinkin, Inter-American Relations From Bolìvar to the Present, Progress Publisher,

Moscow, 1994, pp.20-27

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Il Congresso si riunì solo due anni dopo, con la a partecipazione di appena quattro stati. Lo stesso Bolìvar non aveva potuto parteciparvi a causa di impegni interni, ma aveva provveduto a fornire dettagliate istruzioni ai suoi plenipotenziari. Nei documenti che scaturirono dall’incontro è possibile rinvenire molti dei principi che sono tuttora alla base dei rapporti interamericani: il principio del non-intervento; il diritto internazionale come base dei rapporti tra gli stati; il rispetto della sovranità degli altri stati, la buona fede come norma di condotta nei rapporti tra stati; la soluzione pacifica delle controversie12.

Risultato principale del Congresso fu il Trattato di Unione, Lega e Confederazione Perpetua, che prevedeva la creazione di un congresso permanente delle nazioni americane, con il fine principale di elaborare misure di protezione contro l’aggressione straniera e di mantenimento della pace nel continente. Solo la Colombia ratificò il patto, che naturalmente non ebbe mai alcun valore. I tempi non erano ancora maturi per la costruzione di un sistema così imponente come quello proposto nel trattato13. Il Congresso di Panama non aveva dato i frutti sperati, ma era comunque degno di nota in quanto per la prima volta aveva riunito vari stati americani nell’intento comune di discutere e trovare un accordo sull’assetto da dare al continente.

L’altro pilastro fondamentale su cui mosse i primi passi il sistema interamericano fu, appunto, la dottrina Monroe. Nel messaggio al Congresso del 2 dicembre 1823, il Presidente Monroe manifestò i propositi americanisti del suo paese e formulò la celebre dottrina di difesa continentale che porta il suo nome: “Il continente americano, per le condizioni di libertà che ha conquistato e mantiene, deve essere considerato per l’avvenire non suscettibile di nessuna colonizzazione da parte delle potenze europee[…] per questo considereremo ogni tentativo da parte di queste potenze di estendere la loro influenza su una parte del nostro emisfero come una minaccia alla nostra pace e sicurezza”14.

La formulazione di questa dottrina rispecchiò sostanzialmente i propositi iniziali degli Stati Uniti nella loro politica panamericana: quello di ottenere l’appoggio necessario a limitare l’influenza extracontinentale nell’emisfero occidentale. La dottrina Monroe poneva gli Stati Uniti fuori dagli affari del Continente europeo, ma allo stesso tempo era diretta contro l’intervento di potenze europee nel continente americano e contro l’acquisizione di territori coloniali in America da parte di potenze europee. In questo è possibile ravvedere la distanza con le idee di Bolìvar15. Un anno dopo la formulazione della dottrina Monroe, apparve la circolare che invitava i rappresentati dei governi sudamericani a Panama e che per iniziativa dei rappresentanti della Colombia, del Messico, e dell’America Centrale era stata successivamente estesa anche agli Stati Uniti. Il Presidente Adams accolse con favore l’invito e lo stesso sentimento manifestò il Segretario di Stato Clay che anni prima aveva proposto una “Lega della Libertà”16. Adams incontrò però molte resistenze nel Congresso, sia per la posizione antischiavista degli stati latinoamericani sia per la politica isolazionista inaugurata da Washington. Le resistenze statunitensi contenevano già i semi della diffidenza che hanno caratterizzato le relazioni tra i paesi del continente.

12 Ibidem 13 Cesar Sepùlveda, El sistema Interamericano, Editorial Porrua, 1974, p.19 14 Annual Message from President James Monroe to the United States Congress, Containing the

“Monroe Doctrine”, December 2, 1823, in Gatenbein, op. cit., p. 323 15 Anatoly Glinkin, op. cit., pp. 28-40 16 Bemis, American Secretary of State and their Diplomacy (d’ora in avanti ASoS), Cooper Square

Publisher, New York, 1963,volume IV, 1963, pp.132-155

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1.2 Monroe contro Bolìvar L’importanza della Dottrina Monroe nello sviluppo del sistema interamericano

è stata da alcuni studiosi sovrastimata. Lo scrittore Gaston Nerval17 peccò di esagerazione quando scrisse che “la storia della Dottrina Monroe è la storia delle relazioni Interamericane”18.

La dottrina Monroe fornì le basi ideologiche del sistema interamericano e allo stesso tempo fu il maggior ostacolo al suo sviluppo effettivo. I suoi principi hanno spesso rappresentato un ostacolo e un freno allo sviluppo, a causa del carattere unilaterale e della natura di politica nazionale della più forte potenza dell’emisfero occidentale, limitando la libertà di azione dei paesi latinoamericani. Così descritta la dottrina potrebbe essere definita “un progetto emisferico di politica nazionale di isolamento”19. I tentativi latinoamericani di trasformarla in una vera alleanza furono rapidamente respinti e i paesi dell’America del Sud non furono invitati a cooperare nella costruzione del sistema. Per gli USA, secondo quanto lo stesso Monroe dichiarò, un sistema politico in America esisteva già ed era sostanzialmente diverso da quello delle potenze europee. Per questo “noi (Stati Uniti) considereremo ogni tentativo di estendere il loro sistema (europeo) in qualsiasi parte di questo emisfero come un pericolo per la nostra pace e sicurezza”20. Il messaggio di Monroe contro la colonizzazione rappresenta un altro aspetto dell’allerta contro la possibile estensione del potere europeo nell’emisfero occidentale21.

Non è facile stabilire che cosa realmente Monroe intendesse con la parola “sistema”. Il termine potrebbe essere applicato alla forma di governo, al sistema di alleanze, ai principi di politica estera o alla separazione dei poteri. D’altra parte, il Presidente era ansioso soprattutto di isolare l’emisfero occidentale dai giochi di potere europei, e questo, molto più che la forma di governo adottata dalle nuove nazioni sudamericane, era il suo interesse principale22. Perciò, gli Stati Uniti mentre predicavano l’esistenza di un sistema americano separato, si rendevano colpevoli di non dare avvio a un serio processo di cooperazione con gli stati vicini.

L’azione del Presidente Monroe era dettata da logiche di lungo periodo e dalla volontà di acquisire una posizione dominante nell’emisfero. D’accordo con quanto affermato da Aguilar Monteverde, figura politica messicana: “Gli Stati Uniti non stavano tentando di rafforzare la giovane indipendenza dell’America Latina e ancor meno erano interessati in un intervento in guerra contro la Spagna. L’obiettivo reale della politica di Monroe era di porre le fondamenta dell’egemonia nordamericana nel continente”23.Una simile visione fu espressa da William Foster, figura prominente del movimento comunista americano, che disse: “Indubbiamente nella formazione della Dottrina Monroe c’era già nascosta l’idea dell’egemonia statunitense nell’intero

17 Gaston Nerval è lo pseudonimo dello scrittore Boliviano Raul Diez de Medina. 18 Gaston Nerval, Autopsy of the Monroe Doctrine: the Strange Story of Inter-American Relations

(1934) 19 Whitaker, Western Hemisphere Idea: its rise an decline, John Hopkins University Press,

Baltimore, 1954, p. 24 20 Annual Message from President James Monroe to the United States Congress, Containing the

“Monroe Doctrine”, December 2, 1823, in Gatenbein, The Evolution of Our American Policy, Octagon Books, New York, 1971, p. 323

21 A.Alvarez, The Monroe Doctrine. Its Importance in the International Life of the States of New World, Oxford University Press, New York, 1924, pp. 3-24

22 Gordon Connell-Smith, op.cit.,P.4. 23 Alonso Aguilar Monteverde, El panamericanismo: de la doctrina Monroe a la doctrina Johnson,

Nuestro Tempo, Mexico, 1965, p. 20

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continente”24. Quanto queste visioni fossero vicine alla realtà è stato dimostrato dalla storia delle relazioni degli USA con i vicini stati del sud.

Monroe dichiarò l’emisfero occidentale zona di interesse vitale per gli Stati Uniti e la sua politica non era solo contro la Gran Bretagna e le altre potenze europee quali possibili concorrenti Usa, ma anche contro gli stessi paesi latinoamericani. Anche il momento per annunciare la Dottrina fu deliberatamente scelto in base a ragioni di politica estera di Washington. Il fattore più importante che spinse Monroe a pronunciare il suo discorso alla fine del 1823 era l’imminente Congresso di Panama. La formazione di un’alleanza stabile tra i paesi del sudamerica, recentemente liberatisi dal dominio straniero, avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile per i progetti egemonici degli Stati Uniti. Per questo gli sforzi in questo campo erano tesi a far si che questi paesi rimanessero disuniti e che il Congresso naufragasse in un nulla di fatto25.

Annunciare la Dottrina quando il Congresso era già a uno stadio avanzato risultò una mossa studiata come avvertimento per coloro in favore dell’unità latinoamericana. Alla luce di questo, le annunciate garanzie di indipendenza ai paesi latinoamericani fatte dagli Stati Uniti attraverso progetti di una futura alleanza emisferica apparivano senza senso. Il messaggio di Monroe era anche diretto ad appoggiare la posizione di quegli uomini di potere, come ad esempio il vicepresidente della Colombia Santander, che preferivano puntare su buone relazioni con gli Stati Uniti e che avevano assunto un atteggiamento negativo verso i progetti di Bolìvar. Dopo la proclamazione della dottrina Monroe, Washington si dissociò da ogni progetto di azione internazionale con i suoi vicini del sud e si riservò il diritto di intervenire nei loro affari interni. Tra il 1824 e il 1826 gli Stati Uniti rifiutarono le proposte di molti paesi sudamericani, come Colombia, Brasile e Argentina, di concludere accordi bilaterali di alleanza in caso di minacce esterne. Allo stesso tempo fecero molta pressione sui governi di Messico e Colombia affinché interrompessero i loro piani di aiuto ai popoli di Cuba e Costa Rica impegnati nel tentativo di liberarsi dal giogo coloniale26.

Indicativo dell’atteggiamento statunitense, fu anche il fatto che gli USA non parteciparono al Congresso nonostante fossero stati invitati. Bolìvar stesso non era intenzionato a estendere l’invito e lo fece presente in una delle sue lettere a Santander: “Non riteniamo possibile permettere agli Stati Uniti di assistere al Congresso”27. Nonostante questo, Santander, in nome del governo colombiano e appoggiato dal Messico, aveva invitato la delegazione statunitense. Nella decisione contò il desiderio di portare gli Stati Uniti ad assumere degli obblighi concreti all’interno delle generiche dichiarazioni della Dottrina Monroe. Si sperava inoltre, con uno sforzo congiunto, di riuscire a costringere gli Stati Uniti ad appoggiare il piano di liberazione di Cuba e Puerto Rico.

La diplomazia nordamericana si trovò di fronte a un grande dilemma. Il rifiuto sarebbe stato una atto di auto-denuncia, ma la partecipazione al Congresso di Panama avrebbe potuto portare a delle alleanze indesiderabili. Dopo lunghi dibattiti fu trovata la via d’uscita. Il Congresso ritardò la sua decisione di inviare propri rappresentanti a Panama fino ad aprile del 1826, e inoltre limitò le loro funzioni a quelle di meri osservatori. “Il sabotaggio USA del Congresso di Panama”28 fu come, Jorge Pacheco Quinterno, storico e Membro dell’Accademia Colombiana di Scienze, definì la politica di Washington.

24 William Z. Foster, Outline Political History of America, New York, 1951, p. 258 25 A. Alvarez, op. cit., pp. 3-20 26 Ibidem 27 Simon Bolìvar, Obras Completas, Vol. III, LEX, 1950. p. 135 28 Pacheco Quintero, El Congreso Anfictionico de Panama, P. 21

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Sebbene siano passati quasi due secoli dal Congresso di Panama, le dispute sul suo significato storico continuano ad essere argomento degli studiosi. Molti politici statunitensi e leaders dell’Organizzazione degli Stati Americani insieme con storici nordamericani e sudamericani presentano Bolìvar e altri importanti personaggi delle lotte di liberazione, come coloro che anticiparono il concetto di solidarietà latinoamericana come mezzo per l’unificazione di tutta l’America nel nome di “una sola patria per tutti gli Americani” e affermano che Bolìvar è il vero padre del panamericanismo. Il Presidente Roosvelt in un discorso durante il Pan American Day, il 15 aprile del 1940 affermò che “l’idea di una Unione Internazionale di Repubbliche Americane fu generata dalla mente di Bolìvar”29. Stesso pensiero emerse dalla Dichiarazione di Panama, firmata nel 1956 dal Presidente Eisenhower e i capi di stato latinoamericani. Nella Dichiarazione si legge che il Congresso di Panama voluto da Bolìvar fu la prima manifestazione collettiva del Panamericanismo. Venti anni più tardi il concetto fu ripetuto, quasi parola per parola dal rappresentante USA alle Nazioni Unite, Bennet, durante una sessione speciale dell’Assemblea Generale dedicata alla memoria di Bolìvar e in concomitanza con il centocinquantesimo anniversario del Congresso di Panama. Nelle sue parole: “il Congresso fu la base dell’ Unione Panamericana e dell’attuale Organizzazione degli Stati Americani”30.

Bennet non era il solo a pensarla così, pensieri simili si trovano analizzando il rapporto intitolato “New Inter-american Policy for the Eighties”, che fu redatto dal Comitato di Santa Fe, un gruppo di esperti del Partito Repubblicano incaricato di formulare la politica estera statunitense. Il Documento serviva come piattaforma ideologica della politica latinoamericana del Presidente Reagan. Senza il minimo imbarazzo gli autori del Documento di Santa Fe definirono il Congresso di Panama l’origine dell’Organizzazione degli Stati Americani. Affermarono inoltre che i sogni di Bolìvar e Thomas Jefferson trovarono espressione nel Trattato di Rio (Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca del 1947).

Nel 1985, il Governo di Washington, utilizzò il nome di Bolìvar per giustificare l’aiuto fornito alle forze controrivoluzionarie in Nicaragua e questo diede origine a una forte ondata di proteste in America del Sud. L’ex Presidente della Repubblica Dominicana, Juan Bosch, inviò un telegramma a Reagan in cui affermava: “le analogie fatte tra Bolìvar e le ex forze di Somoza hanno ferito profondamente i sentimenti dei popoli latinoamericani. Bolìvar era un grande personaggio storico”. L’infondatezza delle affermazioni del Presidente Usa furono sottolineate anche in un discorso del Ministro degli Affari Esteri Venezuelano, Isidro Morales, nel febbraio del 1985. Il Partito Comunista Venezuelano affermò, inoltre, che Washington aveva dimostrato più volte scarso rispetto per la storia e la dignità dei popoli latinoamericani31. Questi esempi dimostrano come la figura di Bolìvar sia tenuta in alta considerazione in America Latina e come il suo pensiero sia difeso contro ogni abuso di nuove interpretazioni. Molti esperti di relazioni internazionali definiscono Bolìvar il precursore dell’antimperialismo. Simon Bolìvar fu uno dei leader che durante le lotte di liberazione seppe valutare con serietà la minaccia proveniente dai vicini del nord, e arrivò a queste conclusioni non attraverso mera speculazione, ma basandosi sull’esperienza vissuta in America Latina. Bolìvar, come molti dei suoi seguaci, guardò all’alleanza dei nuovi stati indipendenti dell’America Latina come l’unico sistema capace di controbilanciare l’influenza statunitense nella regione: la

29 Pan American Day Address by President Franklin D. Roosevelt, before the Governing Board of

the Pan American Union, at Washington, April 15, 1940. Department of State Bulletin, Vol. II, No.43, p. 403, in Gatenbein, op. cit., p. 203

30 Anatoly Glinkin,op. cit.. P. 38 31 Ibidem

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solidarietà latinoamericana era l’unica via da seguire per difendere la sovranità e integrità territoriale e per stabilire forme di cooperazione per risolvere i problemi regionali e assicurarsi un ruolo indipendente e attivo negli affari internazionali. Le idee da loro prospettate avevano poco in comune con i principi che provenivano dal nord del continente.

Lo studioso messicano, Aguilar Monteverde, fece il punto di queste due prospettive nel seguente modo: “C’erano due concetti opposti: il Panamericanismo di Jefferson, Monroe e Clay, che poneva le basi per la sottomissione dell’America Latina alla fine del XIX secolo e il Latinoamericanismo di Bolìvar, San Martìn e Morelos, che rifletteva la lotta dei nostri popoli per la completa indipendenza”32. La distanza ideologica di queste due visioni contrapposte non permise di porre le basi per un progetto continentale comune, anzi, in questo periodo iniziò lo storico conflitto tra panamericanismo e latinoamericanismo.

1.3 Le Conferenze Ispanoamericane L’idea di una solidarietà interamericana e la formazione di un’alleanza tra i

nuovi stati indipendenti era in accordo con i loro interessi vitali e, nonostante il fallimento del Congresso di Panama e la morte di Bolìvar che giunse poco dopo, numerosi sforzi in quella direzione furono portati avanti per tutto il XIX secolo per rendere effettivo quello che ancora era solo un concetto nella mente di molti leaders latinoamericani.

Sono molti gli studiosi statunitensi che non fanno menzione dei tentativi di istituire un sistema di consultazione continentale portati avanti dai paesi latinoamericani durante il XIX secolo, ma la loro non è una omissione accidentale. La storia delle relazioni internazionali nella regione tende a rifiutare i congressi ispanoamericani come primi segni di una crescente unità continentale, dal momento che è dimostrato che durante tutto il XIX secolo due tendenze conflittuali si scontrarono apertamente33. Da una parte stava il desiderio dell’America Latina di rafforzare la propria posizione in politica estera e di porre degli ostacoli sul cammino di un’eventuale influenza esterna negli affari interni del subcontinente, dall’altra il desiderio degli Stati Uniti di stabilire la propria posizione egemonica nel sistema americano e garantirsi diritti e privilegi speciali34.

Durante il periodo tra il 1826 e il 1890 vari paesi, Messico, Venezuela, Perù, Cile, Ecuador e le Repubbliche del Centroamerica, furono i precursori di alcune alleanze difensive degli stati latinoamericani senza la partecipazione degli Stati Uniti, a dimostrazione che la cooperazione latinoamericana rappresentò una parte importante nell’arsenale diplomatico della regione. La necessità di un’azione comune degli stati dell’America Latina in campo internazionale, non fu sostenuta solo dai governi ma trovò eco importante tra i popoli. Importanti figure politiche e sociali emersero in quegli anni come fieri sostenitori dell’unità latinoamericana. Tra questi, Andres Bello, politico, legislatore e diplomatico venezuelano, Juan Batista Alberdi, uno degli autori della Costituzione argentina del 1853, Francisco Bilbao, rivoluzionario cileno, Josè Martì, eroe nazionale cubano e molti altri. Durante questo periodo si tennero quelle che sono ricordate nella storia con il nome di Conferenze Ispanoamericane.

32 Aguilar Monteverde, El panamericanismo de la doctrina Monroe a la doctrina Johnson, Nuestro

Tempo, Mexico, 1965, p. 28 33 H. Davis, J. Finn, F. Peck, Latin American Diplomatic History, Louisiana State University Press,

Baton Rouge, London, 1977 34 Anatoly Glinkin, op. cit., p. 40

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Oltre al già citato Congresso di Panama, legato al nome di Bolìvar, gli altri incontri furono: il Primo Congresso di Lima (11 Dicembre 1847-1 marzo 1848), il Congresso Continentale tenutosi a Santiago del Cile (settembre 1856); e il Secondo Congresso di Lima (14 novembre 1864-13 marzo 1865)35.

Queste conferenze ispanoamericane portarono alla stipulazione di primi importanti accordi interamericani. I più importanti tra questi furono: il Trattato sulla Confederazione (un’alleanza sia difensiva che offensiva), il Trattato Continentale di Alleanza e Assistenza reciproca e il Trattato di Difesa. Questo dimostra la serietà con cui erano portati avanti molti progetti regionali e evidenzia gli sforzi fatti dai paesi partecipanti per raggiungere una unità che li garantisse da ogni forma di aggressione esterna e da ogni minaccia alla loro indipendenza. I pericoli provenivano principalmente dalla Spagna e ciò portò alle conferenze tenutesi nel 1826 e1847, mentre Francia e Gran Bretagna non erano avvertite come una minaccia per la recente indipendenza dei paesi latinoamericani. La paura per le tendenze espansioniste degli Stati Uniti, dimostrate durante la guerra contro il Messico, e le attività di William Walker in Centroamerica, furono invece un fattore decisivo del Congresso Continentale di Santiago del Cile. Infine, i rischi provenienti ancora una volta dall’Europa durante il periodo della Guerra Civile Americana36 portarono al Secondo Congresso di Lima. Queste Conferenze politiche si mossero in un dilemma di non facile risoluzione al tempo: se gli Stati Uniti fossero stati forti abbastanza da rafforzare la dottrina Monroe, il loro potere avrebbe potuto rappresentare una minaccia all’ indipendenza dell’America Latina, mentre se fossero stati troppo deboli, i latinoamericani potevano essere minacciati dall’Europa37.

Altro problema importante di queste conferenze fu il numero limitato di delegazioni presenti. Ad esse parteciparono pochi paesi ispanoamericani e qualche paese extracontinentale nel caso del Congresso di Panama38. L’assenza più importante, significativa dell’atteggiamento tenuto verso questi incontri, era ovviamente quella degli Stati Uniti. D’altro canto esisteva una notevole differenza tra l’idea di cooperazione internazionale prospettata da Bolìvar e il sistema americano concepito con la Dottrina Monroe e appoggiata da alcuni uomini di potere del continente suoi sostenitori. Primo l’America del Libertadòr era indubbiamente un’America Spagnola, poi c’era il suo desiderio di avere la Gran Bretagna come potenza garante dell’indipendenza del subcontinente, idea che era completamente in antitesi con l’esclusione di ogni ingerenza extracontinentale proposta dalla Dottrina Monroe. Ma la predilezione di Bolìvar per la Gran Bretagana e i suoi rapporti freddi con gli Stati Uniti non furono certamente le uniche ragioni per le quali Washington mostrò poco interesse per le Conferenze Ispanoamericane. Il fattore principale era la politica estera degli Stati Uniti che non avevano alcuna intenzione di entrare in nessuna alleanza con i paesi latinoamericani e rifiutarono diplomaticamente ogni proposta di questo genere. La politica di Washington secondo quanto emerge dai discorsi del Presidente John Quincy Adams e dalle istruzioni del segretario di Stato

35 Cesar Sepulveda,op.cit., pp.18-21 36 Nel 1861 la Spagna riprese possesso di Santo Domingo e negli anni seguenti conquisto I territory

di Chincha Island dal Perù. Questo quasi patetico tentativo di riconquistare territori appartenuti all’ex impero coloniale portò la Spagna alla guerra con il Cile, Ecuador e Bolivia. Molto più seri furono gli interventi di Francia Spagna e Inghilterra nel 1862 per costringere il Messico a pagare i propri debiti, e questi furono solo il preludio al tentativo di Napoleone III di imporre una monarchia in quei territori.

37 Virgnia M. Bouvier, The Globalization of U.S.-Latin American Relations, Praeger, Westport, Conneticut, London, 2002, pp. 85-88

38 La Gran Bretagna aveva inviato un proprio rappresentante e l’Olanda era presente con un osservatore.

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Henry Clay, era diretta a mantenere una posizione neutrale tra la Spagna e le sue ex-colonie e a evitare che queste ultime potessero fornire alcun tipo di aiuto a Cuba.

Uno degli argomenti su cui si concentrarono le Conferenze Ispanoamericane fu la questione della sicurezza contro interventi esterni. Anche qui ci si muoveva in un dilemma complicato: fin quando gli Stati Uniti fossero stati risoluti a mantenere una completa libertà di azione in questo campo nessun sistema americano di protezione sarebbe stato stabilito. Quando il potere del governo di Washington crebbe ulteriormente e fu in grado di portare avanti quanto contenuto nel messaggio del Presidente Monroe, vennero ancor meno i motivi per stringere delle alleanze con i paesi latinoamericani e se alla fine del XIX secolo gli USA iniziarono a sviluppare il movimento panamericano esso aveva obiettivi completamente diversi. Per lungo tempo in verità, il sistema interamericano non incluse un’alleanza per la sicurezza collettiva39.

Pur essendo i più importanti, gli Stati Uniti non furono gli unici assenti agli appuntamenti con queste prime Conferenze. Nessuno tra i paesi in cui non si parla la lingua spagnola partecipò. Haiti venne completamente ignorata, mentre il Brasile fu invitato al Congresso di Panama, sebbene non da Bolìvar, come nel caso degli Stati Uniti. L’Argentina, rivale del Brasile, e con velleità di leadership delle nazioni ispanoamericane, non partecipò a nessuno di questi incontri iniziando in questo modo una lunga tradizione di opposizione alle relazioni nell’emisfero. Fra gli altri paesi ispanoamericani solo pochi furono presenti con propri rappresentanti in ognuna delle conferenze. Lo scarso numero dei partecipanti avrebbe reso i risultati delle Conferenze Ispanoamericane limitati nella loro portata, anche se tutti i trattati e accordi raggiunti fossero stati ratificati 40.

Un altro importante aspetto da sottolineare di queste conferenze fu la differenza tra gli obiettivi che i paesi latinoamericani si proposero di raggiungere e i risultati effettivamente conseguiti. All’incapacità di unirsi per far fronte alle minacce esterne si sommò il fallimento nella creazione di un metodo di risoluzione delle controversie che potessero insorgere tra loro. Certamente si trattava di un accordo molto difficile da raggiungere in tempi brevi, ma va anche detto che quando le minacce esterne diminuirono, il nazionalismo, dimostrò più forza dell’internazionalismo. Così, sebbene l’importanza di stabilire un principio di arbitrato per i conflitti interamericani, fosse ampiamente riconosciuta, nessun accordo o nessuna conferenza interamericana venne convocata per risolvere le piccole dispute di confine o per porre fine ai conflitti come la Guerra del Paraguay (1864-70) o la Guerra del Pacifico (1879-83)41.

Forse il vero significato delle Conferenze ispanoamericane nello sviluppo del sistema interamericano va ricercato nel fatto che quando gli Stati Uniti iniziarono a promuovere il loro movimento Panamericano verso la fine del XIX secolo, furono in grado di costruirlo sull’idea della cooperazione internazionale sviluppata durante questi primi tentativi e che gli ideali di Simon Bolìvar furono eretti a simbolo della solidarietà interamericana.

39 Gordon Connell-Smith, op. cit., pp. 36-39 40 Ibidem 41 Jerome Slater, The OAS and United States Foreign Policy, Ohio State University Press, 1961,

pp.19-22

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1.4 Origine del Panamericanismo e la Prima Conferenza Interamericana (1889)

Gli Stati Uniti iniziarono il movimento panamericano negli anni ‘80 del XIX

secolo per tre ragioni principali. Primo, il grande aumento nelle loro produzioni seguito alla Guerra Civile li rese ansiosi di espandere il commercio estero e l’America Latina rappresentava uno sbocco naturale in questo campo specialmente da quando gli Stati Uniti avevano avuto una bilancia commerciale sfavorevole con i loro vicini del Sud. Secondo, gli interessi economici e finanziari europei erano ben radicati in America Latina e secondo una parte della leadership nordamericana andavano contrastati per ragioni sia politiche che economiche. Terzo, ma non meno importante, i conflitti, come la Guerra del Paraguay e la Guerra del Pacifico dimostrarono l’urgenza di stabilire un sistema di soluzione delle controversie, sia per prevenire possibili ingerenze europee, sia per garantire quella stabilità nel continente necessaria allo sviluppo del commercio.

Il termine panamericanismo fu usato per la prima volta sul New York Evening Post il 7 settembre 1889 e successivamente divenne di uso comune42. I difensori e sostenitori del panamericanismo fanno tutto il possibile per mascherare la natura reale di questa dottrina e la corrispondente politica estera. A questo scopo è presentata come il “figlio comune” dei paesi latinoamericani e degli Stati Uniti. Lo storico statunitense, prof. Samuel Bemis scrisse che il Panamericanismo è “una tendenza più o meno pronunciata delle Repubbliche del Nuovo Mondo per associarsi insieme nella comprensione e realizzazione dei comuni interessi”43.

Di frequente gli ideologi del panamericanismo, come il giurista colombiano Jesus Yepes, citano i documenti ufficiali dichiarando che l’Unione Panamericana è l’alleanza morale di tutte le Repubbliche del continente americano, che è basata sull’uguaglianza di tutti i suoi membri e il rispetto reciproco della loro sovranità, indipendenza e sviluppo. Inoltre, il panamericanismo, come è già stato notato, è descritto come la naturale evoluzione del concetto di solidarietà latinoamericana che fu espresso per la prima volta da Simon Bolìvar e che ha avuto due fasi principali quella latinoamericana (fino alla fine del XIX secolo), e quella nordamericana (dalla fine del XIX secolo).

Nonostante tanti alti proclami, la nascita della dottrina panamericana altro non fu che lo sviluppo della dottrina Monroe e delle idee dei Padri Fondatori sulla divina predestinazione degli Stati Uniti alla leadership dell’emisfero occidentale. In questa ideologia erano contenuti concetti reazionari quali la “predestinazione”, “fatalismo geografico”, “la missione civilizzatrice della razza anglosassone” e altri44.

Il fondatore del Panamericanismo può essere individuato nella figura di James Blaine, grande ammiratore di Henry Clay, fu Segretario di Stato durante la breve amministrazione Garfield, e di nuovo sotto Benjamin Harrison. Egli descrisse la politica di Garfield con le seguenti parole: “Ha due obiettivi: il primo di garantire la pace e prevenire future guerre nel nord o nel sud del continente americano; il secondo è quello di coltivare relazioni amichevoli con tutti i paesi americani che possano favorire le esportazioni degli Stati Uniti”45. Fu sua l’iniziativa di convocare una riunione continentale, la prima ad essere voluta dagli Stati Uniti. Nel 1881 invitò tutti

42 Anatoly Glinkin,op. cit., p.51 43 S. F. Bemis, The United States as a World Power, W. W. Norton & Co., New York, 1950, pp.

285-86 44 J. Lloyd Mecham, The United States and InterAmerican Security 1889-1960, University of Texas

Press, 1961, p.34 45 Gordon Connell-Smith, op.cit., p. 40

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i governi del continente a partecipare a una conferenza che si sarebbe occupata dei problemi dell’arbitrato e dei mezzi per prevenire la guerra. In un primo momento la proposta non ebbe seguito, per la morte del Presidente Garfield e le conseguenti dimissioni di Blaine, nonché per i complessi problemi derivanti dalla guerra fra il Cile, la Bolivia e il Perù. L’idea fu ripresa qualche anno dopo e nel 1888 il Congresso degli Stati Uniti autorizzò il Presidente Cleveland ad invitare a Washington i governi del Continente per studiare le questioni proposte da Blaine ed esaminare problemi economici, commerciali e doganali di comune interesse. L’iniziativa provocò apprensione in Europa e fu ricevuta con freddezza in alcuni paesi latinoamericani, che attribuivano agli Stati Uniti pretese di egemonia politica ed economica nel continente. Per dissipare molti di questi timori si decise che la conferenza avrebbe adottato solo raccomandazioni ma non trattati e convenzioni.

Nella circolare indirizzata il 29 novembre 1881 agli ambasciatori degli Stati Uniti accreditati presso i governi latinoamericani, Blaine affermò: “E’ opportuno fin da ora negare ogni proposito da parte degli Stati Uniti di giudicare prima del tempo le questioni che saranno sottoposte alla conferenza. E’ lontano dal nostro governo il pensiero di presentarsi davanti alla conferenza come protettore dei suoi vicini o come arbitro predestinato o necessario delle loro dispute. Gli Stati Uniti parteciperanno alle deliberazioni dell’incontro sullo stesso piano delle altre nazioni rappresentate e con il fermo proposito di considerare ogni proposta non solo in vista dei propri interessi né avendo di mira solo la propria potenza, ma come una delle tante nazioni uguali fra loro”46.

L’invito fu esteso a tutti gli stati latinoamericani e alle isole Hawaii, che secondo Blaine rappresentavano una fallimento della Dottrina Monroe e che non parteciparono perché non confermarono in tempo la propria presenza per inviare dei rappresentanti alla conferenza. Assente fu anche la Repubblica Dominicana che non inviò la propria rappresentanza perché gli Stati Uniti non avevano ratificato il trattato sull’arbitrato e sul commercio firmato nel 1884. In termini numerici la Prima Conferenza Internazionale degli Stati Americani fu un successo, parteciparono tutti gli stati eccetto la già citata delegazione di Santo Domingo.

La Conferenza si aprì a Washington il 12 ottobre 1889. Fu lo stesso Blaine, nuovamente Segretario di Stato, a pronunciare il discorso inaugurale. Per eliminare, fin dall’inizio, ogni equivoco, egli dichiarò solennemente che la riunione doveva essere: “una conferenza pacifica delle 17 potenze americane, nella quale ci si incontrerà insieme in condizione di assoluta uguaglianza, una conferenza nella quale non saranno tollerate velleità di conquista ma che aiuterà a sviluppare simpatia reciproca in tutto il continente, una conferenza, infine dove non si cercherà nulla, non si proporrà nulla e non si farà nulla che non sia opportuno, giudizioso e pacifico”47.

Nell’agenda della Conferenza, approvata dal Congresso degli Stati Uniti e inclusa negli inviti alle delegazioni, lo spazio maggiore fu dato a questioni commerciali, nonostante fosse stata proposta per considerare un sistema di arbitrato per le controversie tra i paesi americani48.

Una proposta degli Stati Uniti per la creazione di una unione doganale di tutti i paesi, sul tipo dello Zollverein tedesco, fu avversata da diversi stati che ne vedevano gli scarsi vantaggi per loro e si preoccupavano delle ripercussioni che tale misura avrebbe avuto in Europa. Fu soprattutto l’Argentina a manifestare la propria opposizione al progetto per bocca del delegato Roque Saenz Peña, futuro presidente

46 Estanislao Zeballos, Conferencias Internacionales Americanas, Buenos Aires, 1910, Anexo, p. 35 47 Address by James G. Blaine, Secretary of State, at the Opening of the International American

Conference, at Washington, October 2, 1889, in Gatenbein, op., cit., p.54 48 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 52

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del paese. Il progetto fu abbandonato e la commissione per l’unione doganale si limitò a raccomandare la stipulazione di trattati commerciali bilaterali e multilaterali.

Viceversa, una risoluzione che riconosceva pari dignità ai cittadini e agli stranieri ed equiparava le obbligazioni e le responsabilità degli stati verso gli stranieri a quelle previste dalla costituzione e dalle leggi dello stato nei confronti dei propri cittadini (sostanzialmente la dottrina Calvo)49, trovò concordi tutti i paesi dell’America Latina, ma contrari gli Stati Uniti, desiderosi di mantenere il proprio potere di agire con i mezzi più adeguati in difesa dei diritti e degli interessi dei propri cittadini all’estero. Un’altra risoluzione non meno importante dal punto di vista del diritto internazionale, fu avversata da Cile come conseguenza dei risultati della Guerra del Pacifico che aveva vinto contro il Perù e la Bolivia. Essa prevedeva la dichiarazione di invalidità e la sottomissione ad arbitrato delle concessioni territoriali fatte sotto la minaccia della guerra e per la presenza di forze armate nello stato. Assai controversa fu anche la più importante fra le questioni trattate nella Conferenza: l’arbitrato obbligatorio per la soluzione pacifica dei conflitti. Al progetto si opposero il Messico e il Cile, quest’ultimo soprattutto perché desiderava prevenire qualsiasi tentativo di discussione sulle sue recenti conquista territoriali. Gli altri stati pur favorevoli in linea di massima al progetto, fecero numerose riserve e eccezioni, che finirono per svuotare il suo carattere obbligatorio50.

Ciononostante dopo un lungo dibattito fu approvato un progetto di trattato fondato sui seguenti punti: 1) l’arbitrato è riconosciuto come principio di diritto internazionale per la soluzione dei conflitti e delle dispute tra due o più stati americani; 2) l’arbitrato è obbligatorio in tutti i casi di controversie fra gli stati con la sola eccezione dei conflitti che a giudizio di uno di essi possano intaccare la sua indipendenza; 3) la commissione di arbitrato deve essere composta da persone nominate dagli stati interessati e le decisioni saranno adottate a maggioranza di voti salvo i casi in cui sia richiesta l’unanimità; 4) alle decisioni dei tribunali arbitrali viene riconosciuto il carattere di sentenza51. Il progetto fu firmato soltanto da nove paesi ( Bolivia, Brasile, Ecuador, El Salvador, Stati Uniti, Guatemala, Haiti Honduras, Nicaragua) ma, non essendo stato ratificato da nessuno di essi nel termine previsto (1 maggio 1891), non entrò mai in vigore.

Il risultato più importante della Prima Conferenza Internazionale degli Stati Americani, che in questo si differenziò dalle conferenze Ispanoamericane, fu la creazione di alcune istituzioni. Nella seduta del 14 aprile 1890 venne creata l’ Unione Internazionale delle Repubbliche Americane il suo organo di rappresentanza a Washington, l’Ufficio Commerciale delle Repubbliche Americane. Entrambe queste istituzioni prevedevano una durate di dieci anni ma potevano essere rinnovate per un periodo altrettanto lungo a meno che la maggioranza degli stati dell’Unione non decidesse diversamente.

L’Ufficio fu creato nel novembre del 1890 e gli fu affidato il compito di raccogliere, compilare e pubblicare tutte le informazioni relative alla produzione, al commercio, ai trattati, alle leggi, alle tariffe doganali ed agli scambi con l’estero dei paesi americani attraverso un bollettino edito nelle tre lingue ufficiali dell’unione (inglese, spagnolo, portoghese)52. Fu questo il primo strumento concreto di informazione e comunicazione che segnò il nascere della cooperazione interamericana: esso costituì il nucleo centrale intorno al quale si sarebbe sviluppata la

49 Dal nome del giurista argentino Carlos Calvo

50 J. Lloyd Mecham, Op. Cit.,p.55 51 First Internatinal Conference of American States, at Washington, October 2, 1889, to April 19,

1890, in Gatenbein,op. cit.,pp.701-709 52 Gordon Connell-Smith,op.cit., p.44

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futura Organizzazione degli Stati Americani. Il suo primo direttore fu William E. Curtis, che aveva svolto un grande lavoro di promozione del movimento panamericano negli Stati Uniti. Curtis però non era apprezzato dai delegati dei paesi latinoamericani a causa di un suo libro, Il Capitale dell’America Spagnola, scritto dopo un breve viaggio tra quei paesi. Blaine lo aveva nominato segretario della Prima Conferenza Internazionale, ma quando la delegazione argentina progettò di eliminarlo, insistendo sul fatto che ci dovevano essere due segretari in grado di parlare sia inglese sia spagnolo (Curtis non parlava spagnolo), lo nominò funzionario esecutivo53.

La nomina di Curtis come direttore dell’Ufficio sottolineò la posizione dominante degli Stati Uniti che diede per lungo tempo a questa istituzione la parvenza di un ufficio coloniale e fu la causa del crescente malcontento tra i paesi latinoamericani. In ogni caso tutte le Repubbliche americane eccetto il Cile e la Repubblica Dominicana entrarono in questa nuova Unione Internazionale, la seconda aderì nel 1892 e la prima nel 1899. Cuba e Panama aderirono non appena acquisito lo status di paesi indipendenti.

Da molti studiosi è stato sottolineato che questa riunione può essere considerata la prima delle Conferenze interamericane, perché solo da quel momento sussiste fra le repubbliche americane una cooperazione di carattere permanente, basata su un accordo internazionale. Solo da allora ci fu una unione fra gli stati aderenti all’accordo, i delegati delle repubbliche si riunirono in funzione dell’Unione e formarono un organo di collaborazione interamericana54.

A parte questo, i risultati della Prima Conferenza, non furono rilevanti. La maggior parte delle raccomandazioni ebbero scarso eco nei governi e finirono per cadere nel nulla: tuttavia il dialogo era cominciato, dando inizio ad una utile anche se ancor modesta collaborazione.

1.5 La Seconda Conferenza Interamericana (1901-1902) Furono nuovamente gli Stati Uniti a convocare la Seconda Conferenza

Interamericana, che si tenne a Città del Messico dal 22 ottobre 1901 al 31 gennaio 1902. Due importanti sviluppi internazionali caratterizzarono il periodo precedente l’incontro. Il primo fu una nuova manifestazione di forza degli Stati Uniti nell’emisfero occidentale attraverso la guerra ispanoamericana, che segnò la sua scalata al rango di potenza mondiale e la contemporanea ritirata della Gran Bretagna in occasione della crisi venezuelana del 1895. Il successo degli Stati Uniti nel sostenere un paese latinoamericano contro una potenza extracontinentale era dovuto alla volontà di riaffermare ancora una volta la Dottrina Monroe nel continente.

Il secondo importante avvenimento fu la Prima Conferenza di Pace dell’Aja (18 maggio-29 luglio 1899), nella quale venne adottata la Convenzione per la Soluzione Pacifica delle Controversie Internazionali, creando la Corte Permanente dell’Aja. Due Repubbliche americane, gli Stati Uniti e il Messico parteciparono a questa conferenza con propri rappresentanti. La loro partecipazione fu il segno del legame che caratterizzò lo sviluppo del sistema interamericano con quello di altre organizzazioni internazionali55.

53 Bruno e Raffaele Campanella, L’Organizzazione degli Stati Americani dalle origini ai giorni

nostri,Cacucci Editore, Bari, 2006, pp. 29-31 54 Per sottolineare l’importanza dell’avvenimento il 14 aprile è celebrato ancor oggi come il giorno

del Panamericanismo. 55 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p.30

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Alla Seconda Conferenza parteciparono tutti gli stati americani indipendenti anche se il delegato del Brasile morì il 18 dicembre 1901 ed il Venezuela ritirò la propria delegazione il 15 gennaio 1902. Questa volta le delegazioni avevano potere per firmare trattati e convenzioni e non solo raccomandazioni come era successo durante la Prima. L’agenda di lavoro prevedeva numerosi temi: 1) esame delle questioni trattate nella Prima Conferenza; 2) arbitrato; 3) Corte Internazionale per i Reclami Pecuniari; 4) misure di protezione per l’industria, l’agricoltura e il commercio; 5) riorganizzazione dell’Ufficio Commerciale56.

Le questioni relative all’arbitrato occuparono gran parte dell’attenzione dell’assemblea, nella quale tornarono ad affiorare i contrasti tra le parti. Ad un progetto della delegazione argentina per un arbitrato ampio, obbligatorio e permanente si oppose il Cile, che ribadiva le sue note posizioni.. Poiché il contrasto minacciava di far naufragare la conferenza, si adottò una soluzione di compromesso. Da una parte fu firmato un Protocollo di Adesione alle Convenzioni dell’Aja del 1899, dall’altra fu stipulato un trattato generale di arbitrato obbligatorio da parte delle delegazioni di quegli stati che accettavano tale forma di soluzione (Argentina, Bolivia, Repubblica Dominicana, Guatemala, El Salvador, Messico, Paraguay, Perù e Uruguay)57.

Gli Stati Uniti, pur contrari all’arbitrato obbligatorio, mantennero una posizione equidistante per espressa volontà del Presidente Roosvelt, il quale aveva dato istruzioni alla sua delegazione di appoggiare la causa dell’arbitrato senza peraltro sacrificare l’unità e la cooperazione americana. Pur essendo contrari all’arbitrato obbligatorio generale, gli Stati Uniti ritenevano, tuttavia, che il principio potesse essere utilmente applicato a questioni limitate, per esempio, ai reclami pecuniari formulati dai cittadini di uno stato al governo di un altro. Dal canto loro molti stati latinoamericani, avendo subito più volte aperte violazioni alla loro sovranità da parte di stati più potenti che agivano in difesa dei loro cittadini, vedevano di buon occhio un accordo che desse finalmente al problema una sistemazione giuridica, eliminando le disuguaglianze fra stati grandi e piccoli, deboli e forti58.

Con l’adesione di tutte le delegazioni fu firmato, quindi, un Trattato di Arbitrato per i Reclami Pecuniari che stabiliva i seguenti principi: 1) deferimento all’arbitrato della Corte Permanente dell’Aja dei reclami presentati dai cittadini di uno stato al governo di un altro che non fosse stato possibile soddisfare per le normali vie diplomatiche; 2) deferimento delle questioni a una Corte Speciale di Arbitrato, a richiesta delle parti; 3) obbligatorietà del trattato soltanto per quegli stati che avessero firmato il Protocollo di adesione alla Convenzione dell’Aja. Il trattato fu ratificato solo da nove stati59.

Altre importanti decisioni della Seconda Conferenza Internazionale, furono la riorganizzazione dell’Ufficio Commerciale chiamato da quel momento Ufficio Internazionale delle Repubbliche Americane, e la creazione di un Ufficio Internazionale della Sanità (1902) con sede a Washington, che fu il primo di quelle che vengono chiamate Organizzazioni Specializzate60.

56 Second International Conference of American States, at Mexico City, October 22, 1901, to

January 31, 1902, in Gatenbein, op. cit., pp.710-716 57 Second International Conference of American States, at Mexico City, October 22, 1901, to

January 31, 1902. Protocol on Adherence to the Convention of the Hague, in Gatenbein, op. cit., pp. 710-711

58 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 61 59 Second International Conference of American States, at Mexico City, October 22, 1901, to

January 31, 1902. Treaty of Arbitration for Pecuniary Claims, in Gatenbein, op. cit., p. 715-716 60 Marco Gerardo Monroy Cabra, El Sistema Interamericano, Editorial Juricentro, San Josè Costa

Rica, 1993, pp. 118-120

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Capitolo secondo

Dagli inizi del novecento alla politica di buon vicinato

(1902-1937) 2.1 Il sistema interamericano agli inizi del’900 L’intervallo di tempo trascorso tra la Seconda e la Terza Conferenza

Internazionale diede ancora prova della politica di potenza e delle ambizioni degli Stati Uniti. Sebbene ci fosse stato un tentativo da parte della Gran Bretagna e della Germania di costringere il Venezuela a pagare i suoi debiti attraverso l’uso della forza (1902), la minaccia più grossa per l’indipendenza dell’America Latina proveniva dagli Stati Uniti. L’influenza europea nell’emisfero occidentale stava scemando e quella dell’Inghilterra in modo particolare. Gli Stati Uniti d’altro canto, durante quegli stessi anni, presero il controllo del Canale di Panama, stabilirono un protettorato su Cuba e Panama e proclamarono il Corollario Roosevelt alla Dottrina Monroe. La strategia degli Stati Uniti in questo campo, fu esposta dal Segretario di Stato Elihu Root in quello che è conosciuto come l’emendamento Platt. Oltre a dare agli Stati Uniti il diritto di intervenire in circostanze chiaramente stabilite da loro stessi, stabiliva che: “il governo di Cuba non entrerà mai in nessun trattato o patto con nessuna potenza straniera che intacchi o tenda ad intaccare l’indipendenza di Cuba, né in nessun modo autorizzi o permetta a nessuna potenza straniera di ottenere per scopi di colonizzazione o militari, una porzione di territorio dell’ isola o controllo politico su di essa”1. Paradossalmente l’Emendamento Platt dava agli Stati Uniti quei poteri che negava alle altre potenze.

Nel 1904, l’anno dopo la presa dal Canale di Panama, Theodore Roosevelt proclamò che: “delinquenza cronica e una certa impotenza che deriva dalla perdita dei legami con la società civilizzata, può in America, come da altre parti, richiedere l’intervento di alcune nazioni civilizzate, e nell’emisfero occidentale l’adesione degli Stati Uniti alla dottrina Monroe può forzare il governo di Washington, sebbene riluttante e solo per manifesti casi di illegalità, a esercitare il potere di polizia internazionale”2.

La distanza delle posizioni tra Stati Uniti, come grande potenza, e i paesi latinoamericani, fu ben evidente nella distanza ideologica tra il Corollario Roosevelt e la Dottrina Drago. In occasione della crisi venezuelana il Ministro degli Esteri argentino, Luis Maria Drago, aveva inviato al Segretario di Stato, John Hay, una nota che dimostrava l’illegalità dell’intervento e chiedeva il riconoscimento da parte degli Stati Uniti del principio che il “debito pubblico non può dar luogo all’intervento armato e ancor meno all’occupazione materiale del territorio delle nazioni americane da parte di una potenza europea”. Drago faceva rilevare la stretta connessione della sua tesi con i principi della Dottrina Monroe.

1 Treaty of Relations Between the United States and Cuba, Signed at Habana, May 22, 1903, in

Gatenbein, op. cit.,p.488 2 Annual Message from President Theodore Roosevelt to the United States Congress, December 5,

1905, in Gatenbein, op.cit., p. 362

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Il Corollario Roosevelt si schierava ugualmente contro l’intervento europeo nell’emisfero occidentale ma non contro l’intervento in se. Al contrario, affermava il diritto degli Stati Uniti al monopolio dell’intervento in America Latina. L’accettazione incondizionata della Dottrina Drago da parte degli Stati Uniti avrebbe comportato la rinuncia di Washington alla protezione degli interessi economici dei propri cittadini all’estero, situazione che gli Stati Uniti non potevano accettare. Non sorprende quindi che il quotidiano argentino La Prensa, (8 dicembre 1904), descrivesse il Corollario Roosevelt come la “più seria e minacciosa dichiarazione di Washington contro l’integrità dell’America del Sud”3. Negli anni seguenti gli Stati Uniti effettuarono una serie di interventi che portarono a controllare tutta la zona dei Carabi che durarono fino alla politica di Buon Vicinato.

2.2 La Terza Conferenza Internazionale a Rio de Janeiro (1906) I rapporti tra Stati Uniti e America Latina non erano di buon auspicio allo

svolgimento della Terza Conferenza Internazionale. Il Segretario di Stato Elihu Root, cercò di assicurarsi che nessun tema riguardante controversie politiche fra gli stati fosse incluso nell’agenda della conferenza. Gli argomenti principali erano: la riorganizzazione dell’Ufficio Internazionale con la creazione di più sedi permanenti; l’adesione al principio dell’arbitrato come mezzo di soluzione delle dispute interamericane; la proroga per ulteriori cinque anni del Trattato per i Reclami Pecuniari firmato alla Seconda Conferenza; le linee guida da seguire alla Seconda Conferenza dell’Aja; la creazione di un comitato di giuristi per preparare dei codici di diritto internazionale pubblico e privato da esaminare in occasione della successiva conferenza.

Nel tentativo di evitare il ripetersi delle accese discussioni che avevano caratterizzato le prime due conferenze, ci si accordò anche sul regolamento dell’incontro. Per evitare lunghe polemiche le deliberazioni della conferenza dovevano essere confinate agli argomenti contenuti nel programma, “eccetto quando attraverso il voto dei due terzi dei delegati, si decidesse di prendere in considerazione un nuovo problema proposto da una delegazione”4.

Il Segretario di Stato Root istruì la delegazione statunitense sulle linee da seguire durante gli incontri: scopo principale della conferenza era trattare questioni di comune interesse e non soggette a controversia. Raccomandò di opporsi a qualsiasi cambiamento sul regolamento dell’incontro e a ogni tentativo di inclusione di questioni non contenute in programma. Elihu Root non fu personalmente un membro della delegazione statunitense alla Terza Conferenza Internazionale, ma la seguì e la indirizzò in modo conciliante. La sua affermazione: “noi (Stati Uniti) non possiamo rivendicare o desiderare nessun diritto che non si possa liberamente concedere a ogni repubblica americana” poteva duramente contrastare con il Corollario Roosevelt e cercò di giustificarla durante gli interventi. Root ribadì che nessuna questione politica dovesse essere discussa, nessuna controversia dovesse essere decisa e nessun giudizio formulato sulla condotta di uno stato. Seguendo queste regole ci sarebbe stata più armonia, ma ci sarebbero anche stati scarsi risultati e la conferenza avrebbe fallito nel riflettere lo stato reale delle relazioni interamericane5.

3 Gordon Connell-Smith, op.cit.,p.49 4 Ibidem. 5 Bemis, ASoS, Cooper Square Publisher, New York,volume IX, 1963 pp. 217-226

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La Terza Conferenza Internazionale si tenne a Rio de Janeiro dal 23 luglio al 27 agosto 1906. Furono presenti le delegazioni di tutte le repubbliche americane (incluse ora Panama e Cuba), eccetto Haiti e Venezuela. La questione dei reclami pecuniari e della riscossione forzata dei debiti furono al centro dell’attenzione. I delegati degli Stai Uniti riportarono che la questione sull’uso della forza per la riscossione forzata dei debiti mise in ombra tutte le altre questioni della conferenza. La soluzione fu trovata adottando una risoluzione con la quale si raccomandava ai governi di dare istruzioni ai propri delegati presso la Seconda Conferenza dell’Aja di adoperarsi affinché l’argomento fosse oggetto di una convenzione generale6.

All’incontro si parlò anche di diritto internazionale designando una Commissione Internazionale di Giuristi per stendere una prima bozza dei codici di diritto internazionale pubblico e privato. Diversamente dalla proposta simile fatta alla Conferenza di Città del Messico e fallita per la mancata ratifica, la Commissione tenne il suo primo incontro a Rio de Janeiro nel giugno-luglio 19127.

Un’altra risoluzione della Terza Conferenza Internazionale prolungò l’esistenza dell’Unione Internazionale delle Repubbliche Americane e dell’Ufficio Internazionale per un periodo di ulteriori dieci anni. Gli scopi, l’organizzazione e le funzioni dell’Ufficio furono rivisti e fu steso un nuovo regolamento per la sua amministrazione. La delegazione dell’Ecuador tentò invano di rendere elettiva la carica di capo del Consiglio Direttivo sempre occupata dal Segretario di Stato Americano. Il Consiglio Direttivo dell’Unione fu autorizzato a decidere il luogo in cui tenere la Quarta Conferenza Internazionale e a provvedere alla stesura del programma e del regolamento.

2.3 La Quarta Conferenza Interamericana a Buenos Aires

(1910) Due incontri importanti si tennero negli anni che intercorsero tra la Terza e la

Quarta Conferenza: la Seconda Conferenza dell’Aja e la Conferenza degli Stati dell’America Centrale a Washington. Durante la Conferenza dell’Aja i paesi latinoamericani tentarono invano di far accettare la Dottrina Drago come principio di diritto internazionale. Gli Stati Uniti, dall’altra parte, ebbero successo nell’assicurarsi l’adozione della loro proposta: ovvero l’accettazione dell’arbitrato cme mezzo di soluzione delle dispute pecuniarie. La Conferenza di Washington, promossa dagli Stati Uniti e dal Messico, adottò misure per la soluzione pacifica delle controversie tra gli stati dell’America Centrale, anticipando gli accordi presi ma non totalmente ratificati nella Conferenza Internazionale. Tra i risultati di questa Conferenza ci fu anche la creazione di una Corte Permanente di Giustizia alla quale i paesi firmatari accettarono di sottoporre ogni disputa che non fosse possibile risolvere attraverso le vie diplomatiche. La Corte tuttavia non durò a lungo e il ruolo degli Stati Uniti nel suo fallimento fu centrale. Quando fu ratificato il Trattato Bryan-Chamorro nel 1916, dando agli Stati Uniti il diritto di costruire un canale attraverso il territorio del Nicaragua e concedendo l’affitto di una base navale nel golfo di Fonseca, Costa Rica e El Salvador si appellarono alla corte perché tale concessione violava i loro diritti. La Corte sostenne i loro appelli, ma il Nicaragua, appoggiato in questo dagli Stati Uniti, ignorò le sue decisioni e questo segnò contestualmente la morte della Corte stessa.

6 Instruction from Elihu Root, Secretary of State, to the United Srtates Delegate to the Second International Peace Conference at the Hague, May 31, 1907, in Gatenbein, op.cit.,p. 365

7 Third International Conference of American States, at Rio de Janeiro, July 23 to August 27, 1906. Convention on International Law, in Gatenbein, op.cit.,pp.719-721

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Chiaramente gli Stati Uniti non erano preparati ad accettare un arbitrato quando fosse in gioco un loro interesse vitale8. Durante la Conferenza di Washington le cinque repubbliche dell’America Centrale si accordarono per non riconoscere nessun governo nel loro territorio creato attraverso una rivoluzione. Sostanzialmente si trattava della Dottrina Tobar che, nonostante gli Stati Uniti non avessero firmato, fu la base del loro politica di riconoscimento verso gli stati dell’America Centrale per oltre un quarto di secolo9.

La Quarta Conferenza Internazionale si svolse a Buenos Aires dal 12 luglio al 30 agosto 1910. Tutte le repubbliche eccetto la Bolivia erano rappresentate. Questa conferenza fu caratterizzata da un clima molto cordiale tra le delegazioni, ma anche da scarsi risultati. Certamente l’accurata preparazione del programma e l’esclusione di temi oggetto di controversia furono complici dell’andamento dell’incontro. Nonostante le relazioni tra gli Stati Uniti e i suoi vicini del sud non fossero affatto migliorate dalla Terza Conferenza il dato non emerse durante le discussioni: un tentativo della delegazione brasiliana di introdurre una mozione che elogiava la Dottrina Monroe dovette essere interrotta perché poteva suscitare critiche per la recente usurpazione degli Stati Uniti in Nicaragua10.

A Buenos Aires si parlò del Consiglio Direttivo e i latinoamericani criticarono la posizione di assoluta preminenza occupata da Washington. In particolare ci si soffermò su due punti. Il primo, dal momento che gli stati erano rappresentati nel Consiglio Direttivo attraverso i loro rappresentanti diplomatici accreditati a Washington, tutti i governi non riconosciuti dagli Stati Uniti erano automaticamente privati anche della loro rappresentanza. Questo aspetto venne corretto prevedendo che “ogni stato privo di rappresentanza accreditata presso il governo degli Stati Uniti potesse designare un membro del Consiglio Direttivo per rappresentarlo nella Unione delle Repubbliche Americane e in tal caso il membro disponesse di un voto per ogni rappresentanza”11. La seconda importante questione riguardava il capo del Consiglio Direttivo. Alcuni delegati notarono, come aveva fatto quello dell’Ecuador nella precedente conferenza, che l’uguaglianza dei membri richiedeva che la carica fosse elettiva. L’incontro tuttavia stabilì, ancora una volta, che la carica fosse affidata al Segretario di Stato degli Stati Uniti12.

Attraverso una risoluzione la conferenza decise che l’Unione Internazionale delle Repubbliche Americane fosse rinominata Unione delle Repubbliche Americane e l’Ufficio Internazionale diventasse l’Unione Panamericana. Quest’ultima aveva sede nel palazzo delle Repubbliche Americane a Washington, costruito principalmente con fondi provenienti dalla famiglia di Andrew Carnegie che era stato il delegato statunitense alla Prima Conferenza13.

Come ultimo argomento vennero delineate le linee per la Quinta Conferenza che però era destinata a non tenersi fino al 1923. Intanto le relazioni internazionali nell’emisfero occidentale erano fortemente influenzate dalla Prima Guerra Mondiale.

8 Gordon Connell-Smith, op. cit., p.51 9 Ibidem 10 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p. 35 11 Fourth International Conference of American States, at Buenos Aires, July 12 to August 30, 1910.

Resolution on the Reorganization of the Union of American Republics., in Gatenbein, op.cit.,pp.722-726 12 Ibidem 13 Ibidem

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2.4 Il sistema interamericano durante la prima guerra mondiale Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il movimento panamericano non era

ancora riuscito a raggiungere degli accordi sostanziali. Erano state fatte quattro conferenze, molti trattati e accordi erano stati firmati, ma solo pochi di questi erano stati ratificati e solo quelli di minore importanza. Alcuni passi avanti erano stati fatti nello stabilire un sistema di soluzione pacifica delle controversie interamericane, lo scopo principale del movimento panamericano. Altra nota positiva era che gli sforzi fatti nel campo della soluzione delle controversie fossero intimamente correlati con le importanti Conferenze dell’Aja.

Quando cominciarono le ostilità in Europa, non esisteva un sistema interamericano in grado di affrontare una possibile aggressione esterna. Nessun accordo di questo tipo era stato raggiunto fin dalla Prima Conferenza, e gli Stati Uniti, forti abbastanza da poter portare avanti unilateralmente la dottrina Monroe, non avevano ragione alcuna per porsi a difesa dei paesi latinoamericani; né i paesi latinoamericani desideravano che gli Stati Uniti si incaricassero di questo onere. La paura di un possibile intervento degli Stati Uniti superava quello delle minacce esterne. Il loro obiettivo principale era quello di contenere il potente vicino, che era al punto di fare dei Carabi una propria zona satellite14.

Durante le conferenze internazionali tenute fino a quella data i paesi latinoamericani non erano riusciti a contenere il potere dei vicini del nord e avevano fallito nel tentativo di far adottare la Dottrina Calvo che avrebbe permesso di trattare i cittadini statunitensi alla stessa stregua dei cittadini dei paesi del sudamerica; gli Stati Uniti avevano rivendicato il diritto all’intervento diplomatico in difesa dei propri cittadini e l’uso della forza armata per la riscossione forzata di debiti nel caso in cui l’arbitrato fosse rifiutato; infine le conferenze non erano riuscite ad essere un veicolo di critica delle politiche statunitensi. Questo era dovuto in gran parte alla posizione dominante degli USA in quella che ora era l’Unione Panamericana. Come è stato sottolineato, non solo il capo del Consiglio direttivo era il Segretario di Stato degli Stati Uniti, ma gli altri membri erano rappresentanti diplomatici, il cui proposito principale era di coltivare buone relazioni con la nazione ospitante. Ovviamente in un sistema così costruito gli stati latinoamericani occupavano una posizione subordinata e cominciavano a domandare cambiamenti sostanziali.

Ma la facciata della solidarietà interamericana stava iniziando a crollare di fronte all’evidenza della realtà delle relazioni internazionali nell’emisfero. Il Panamericanismo non sembrava più di un mantello dietro il quale si nascondeva quello che molti latinoamericani chiamavano l’imperialismo yankee15.

Roosevelt che aveva fatto tanto per aumentare i sospetti e le paure latinoamericane verso gli USA, fu seguito da William Howard Taft e la diplomazia del dollaro e ulteriori interventi. Poi venne Woodrow Wilson, che denunciò la diplomazia del dollaro e l’uso scorretto della Dottrina Monroe, ma fu anche il più interventista. La sua politica di “interventismo missionario” introdusse nuovi elementi di malcontento nella politica degli Stati Uniti verso l’America Latina16. In ogni caso quando gli Stati Uniti entrarono nella Prima Guerra Mondiale, le relazioni con l’America Latina non erano migliorate come era stato promesso dai primi discorsi di Wilson. C’era stata l’occupazione di Vera Cruz, la spedizione Pershing contro Pancho Villa, l’occupazione della Repubblica Dominicana, Haiti e il Nicaragua da parte dei

14 J. Lloyd Mecham, op.cit., pp. 70-91 15 Gordon Connell-Smith, op. cit., p.54 16 A. Whitaker, The Western Hamisphere Idea: its rise and decline ,Ithaca, Cornell UP,1954, pp.

123-124.

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marines. L’apporto della solidarietà interamericana nella Prima Guerra Mondiale fu modesto. Otto stati latinoamericani dichiararono guerra alla Germania, ma solo il Brasile e Cuba fecero qualcosa di concreto. Sebbene altri cinque stati interruppero le loro relazioni diplomatiche con la Germania, tra i neutrali vi erano paesi importanti come l’Argentina, il Cile e il Messico.

In questo lasso di tempo ci fu però anche qualcosa di importante per il sistema interamericano. Dal 24 al 29 maggio 1915, si tenne a Washington la Prima Conferenza Finanziaria Panamericana, con la partecipazione di tutte le repubbliche americane tranne Haiti e il Messico. Promossa dal governo degli Stati Uniti, il proposito principale era quello di studiare i problemi economico-finanziari derivanti dalla guerra europea.. Stabilì la creazione dell’Alta Commissione Internazionale, successivamente chiamata Alta Commissione Interamericana, incaricata di studiare e farsi carico di vari problemi di carattere commerciale17.

Dalla Prima Guerra Mondiale emerse anche la Lega delle Nazioni, la cui esistenza ha avuto importanti implicazioni per il sistema interamericano. Le origini della Lega erano correlate in modo significativo alla Dottrina Monroe e su di essa si riflettevano gli atteggiamenti sia del nord che del sud del continente americano. Per i latinoamericani la Dottrina Monroe era diventata il simbolo dell’interventismo statunitense, e benché il concetto della Lega delle Nazioni si appellasse agli stessi concetti cardine della dottrina Monroe, la creazione di una siffatta organizzazione sembrò offrire la speranza di qualche forma di protezione dagli Stati Uniti che fino a quel momento era mancata. Allo stesso tempo, le ragioni che rendevano attrattiva la Lega per gli stati latinoamericani suscitavano l’ostilità in elementi influenti del governo statunitense. Questi ultimi si opponevano sia a un coinvolgimento eccessivo degli Stati Uniti in Europa sia a qualsiasi limitazione della Dottrina Monroe per assicurare una posizione egemone nell’emisfero occidentale.

In un vano tentativo di far accettare la Lega a questi elementi, l’articolo 21 del patto prevedeva: “Nulla in questo patto deve essere compromettente per i trattati, gli arbitrati e le intese regionali, come la dottrina Monroe, per assicurare il mantenimento della pace”18. Questo riferimento alla dottrina era altamente ambiguo, la dottrina Monroe non era un’intesa regionale, qualsiasi cosa si volesse significare con quel termine.

Non sorprende quindi che il Senato degli Stati Uniti proponesse una riserva all’articolo 21 in cui affermava di non voler sottoporre all’arbitrato dell’Assemblea o del Consiglio della Lega delle Nazioni nessuna questione riguardante la Dottrina Monroe, che rimaneva sotto il giudizio unico e inequivocabile degli Stati Uniti.

Se l’articolo 21 non soddisfava gli Stati Uniti, disturbava ancor di più l’America Latina. L’argentina e il Messico, aderendo alla Lega delle Nazioni affermarono di non riconoscere la Dottrina Monroe come intesa regionale. El Salvador inviò una nota al Dipartimento di Stato il 14 dicembre 1919, sottolineando che la riserva all’articolo 21 aveva suscitato accese discussioni in tutto il continente a causa della sua brevità e scarsa chiarezza e richiedendo perciò agli USA un’esatta interpretazione della dottrina in quel momento storico nonché la sua futura applicazione da parte del governo statunitense19. La risposta fornita di lì a poco non dissipò i dubbi e le diffidenze latinoamericane e rivelò che la Lega non poteva rappresentare un’adeguata risposta al potere statunitense.

Ciononostante non va sottovalutata la sua portata: l’esistenza di una nuova, vasta organizzazione internazionale e il fatto che i paesi latinoamericani fossero

17 The International Conference of American State, 1889-1928,J. B. Scott, 1931, p. 396 18 Gordon Connell-Smith, op.cit., p.56 19 Ibidem

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membri mentre gli Stati Uniti no, era importante per lo sviluppo del sistema interamericano. L’adesione alla Lega era per molti stati latinoamericani una forma di protesta contro la concezione di un sistema interamericano basato sulla Dottrina Monroe. Inoltre l’appartenenza alla Lega aumentava il peso dell’America del Sud negli affari internazionali e rendeva il subcontinente meno dipendente dalla tutela degli Stati Uniti.. All’interno della Lega gli stati latinoamericani si sentivano più protetti che nelle conferenze interamericane dominate dagli USA.

C’è poi da considerare il momento storico in cui la Lega venne alla ribalta. La posizione relativa dell’America Latina rispetto agli Stati Uniti si era indebolita come conseguenza della Prima Guerra Mondiale e la Lega poteva rappresentare uno strumento per controbilanciare lo strapotere degli Stati Uniti, proprio in un periodo in cui la dipendenza economica dai vicini del Nord era notevolmente aumentata. Fino al periodo antecedente la guerra, sebbene la penetrazione economica statunitense in America Centrale fosse stata considerevole, il commercio del Sudamerica con la Gran Bretagana e con la Germania rivestiva ancora una parte importante nella loro economia. La prima guerra mondiale e la depressione europea che fece seguito resero gli Stati Uniti in grado di sfruttare la situazione, conquistando ascendente economico e politico in Sudamerica20.

In questo modo il subcontinente non riuscì più a trarre beneficio dalla divisione del potere sul suo territorio tra Europa e Stati Uniti, la prima era quasi completamente tagliata fuori, mentre i secondi accrescevano progressivamente il loro potere. Alla Fine della Prima Guerra Mondiale gli USA si trovarono in una posizione completamente nuova rispetto ai venti paesi latinoamericani. Questo non fece altro che esasperare le relazione potere forte-potere debole tra Stati Uniti e America Latina.

2.5 La Quinta Conferenza Interamericana Santiago (1923) Lo scoppio della prima guerra mondiale impedì la realizzazione della Quinta

Conferenza Interamericana nella data prevista. Essa si aprì nove anni dopo a Santiago del Cile, il 25 marzo 1923. Vi parteciparono tutti gli stati con eccezione del Messico (il cui governo, presieduto da Alvaro Obregòn, non essendo stato riconosciuto dagli Stati Uniti, non aveva rappresentanza diplomatica presso l’Unione Panamericana a Washington), del Perù e della Bolivia in conflitto con il Cile per questioni territoriali.

L’agenda, la più larga finora presentata ad una conferenza, prevedeva: la riduzione degli armamenti, i diritti degli stranieri; misure di promozione di una più stretta collaborazione tra i paesi del continente americano (la proposta uruguayana della Lega delle Nazioni); e questioni sugli abusi di potere da parte di paesi non americani sui diritti dei paesi americani (in altre parole la Dottrina Monroe).

“L’inclusione di un così elevato numero di argomenti indicava la volontà dei latinoamericani di non accettare la visione anglo-americana dell’associazione interamericana e la stessa agenda rappresentava uno degli attacchi più seri alla concezione statunitense del Panamericanismo”21.

A Santiago il dibattito sul disarmo si concentrò in particolare sulla potenza navale del Brasile e dell’Argentina, ma non fu deciso nulla di definitivo. La questione dei diritti degli stranieri, ancora oggetto di disaccordo tra Stati Uniti e paesi latinoamericani, fu trasferita alla Commissione di Giuristi a Rio de Janeiro. Per quel

20 A. Glinkin, op. cit., pp.60-66. 21 J.Lloyd Mecham, op. cit. p. 95

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che riguarda la parte concernente la Lega delle Nazioni Americana a la Dottrina Monroe, la Conferenza adottò una risoluzione con la quale affidava al Consiglio direttivo dell’Unione Panamericana il compito di studiare le proposte che qualsiasi governo americano le facesse pervenire per rendere più stretta l’associazione continentale e più effettiva la solidarietà degli interessi collettivi. In ogni caso delle critiche alla Dottrina Monrooe vennero mosse dalla Colombia e un certo numero di delegati approfittarono della situazione per chiedere che fosse definita in modo preciso. L’unica risposta che ricevettero da parte della delegazione statunitense era che la dottrina veniva considerata una politica essenzialmente nazionale e che avrebbe continuato ad essere una applicata unilateralmente degli Stati Uniti.

Il carattere unilaterale della dottrina e la volontà statunitense di non “panamericanizzarla” fu sottolineato in quello stesso anno dal Segretario di Stato Charles Evans Hughes22 quando affermò: “essendo la politica contenuta nella Dottrina Monroe una politica essenzialmente americana, il Governo degli Stati Uniti si riserva il diritto della sua definizione, interpretazione e applicazione”23.

I latinoamericani ebbero qualche limitato successo nel modificare l’organizzazione dell’Unione Panamericana. Con la sua sede a Washington, la rappresentanza limitata ai diplomatici accreditati nella capitale, il Segretario di Stato come capo del Consiglio direttivo e un altro cittadino statunitense come Direttore generale, l’Unione Panamericana ricordava più un ufficio coloniale che l’unione di stati uguali fra loro. L’assenza del Messico dalla Conferenza dava ai latinoamericani un ulteriore motivo di malcontento. Il Costa Rica (che rappresentava un certo numero di delegazioni) propose che i membri dell’Unione potessero mettere qualsiasi rappresentasse desiderassero al Consiglio Direttivo, ma gli stati Uniti e alcune altre delegazioni si opposero a questa novità. Come soluzione di compromesso fu approvata la possibilità di nominare un rappresentante speciale presso il Consiglio Direttivo per gli stati che non avessero rappresentanza diplomatica presso la Casa Bianca. Fu approvata la rappresentanza per “diritto proprio” dei governi nelle conferenze e nell’Unione. La carica di capo del Consiglio Direttivo, fino a quel momento occupata dal Segretario di Stato Americano, fu resa elettiva.

Durante la Quinta Conferenza, l’Unione delle Repubbliche Americane e l’Unione Panamericana furono prolungate tramite una risoluzione, e i loro scopi furono ampliati con la creazione di quattro commissioni permanenti che dovevano cooperare con l’Unione Panamericana. I compiti loro assegnati furono i seguenti: sviluppare relazioni economiche e commerciali tra le Repubbliche Americane; studiare le questioni concernenti le organizzazioni del lavoro in America; effettuare ricerche sulla sanità nei paesi del continente e sviluppare la cooperazioni intellettuale, in particolare la cooperazione tra le università24.

La Conferenza di Santiago fu la prima a considerare i diritti delle donne e a raccomandare che questo problema sociale fosse incluso nell’agenda delle conferenze future.

Un importante successo della Quinta Conferenza Internazionale fu il Trattato per Evitare e Prevenire i Conflitti tra i Paesi americani, conosciuto normalmente come Trattato Gondra, che segnò un primo, seppur limitato, passo avanti per la costruzione mezzo per garantire la pace nel continente. L’accordo, che fu poi ratificato dalla maggior parte dei paesi, disponeva che qualsiasi disputa fra due o più stati americani, che non fosse possibile risolvere attraverso i normali canali diplomatici o mediante la

22 Bemis, ASoS, Volume X, 1963, pp. 337-349 23 Address by Charles E. Huges, Secretary of State, Observation on the Monroe Doctrine, at

Minneapolis, August 30, 1923, in Gatenbein, op.cit., p.382-387 24 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., pp. 36-39

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conciliazione o l’arbitrato, dovesse essere sottoposta ad una speciale commissione d’inchiesta. La commissione era formata da cinque membri, due per ogni stato in conflitto, ed un quinto eletto da loro: di essi soltanto uno può essere cittadino dello stato interessato. Furono create, inoltre, due Commissioni permanenti, con sedi a Washington e Montevideo, composte da tre agenti diplomatici accreditate presso quelle capitali, con l’incarico di ricevere la richiesta di convocazione della Commissione speciale25. Una volta convocata, la Commissione speciale doveva effettuare indagini e presentare entro un anno un rapporto ai governi interessati i quali avrebbero cercato, entro i sei mesi successivi, di trovare un accordo. Se la controversia non si risolveva, le parti riacquistavano la piena libertà d’azione per procedere nella maniera più consona ai propri interessi. Durante il termine compreso tra la data di convocazione della Commissione e lo scadere dei sei mesi successivi alla presentazione del rapporto informativo, le parti si obbligavano a non intraprendere alcuna azione militare26.

Un’importante risoluzione per il futuro del sistema interamericano fu quella che decise di continuare il lavoro di codificazione del diritto internazionale americano e la riorganizzazione della Commissione dei Giuristi. La commissione creata nella Terza Conferenza internazionale, aveva concluso poco. Un dibattito interessante che fu discusso a Santiago fu quello sull’esistenza o meno di un qualcosa definibile come “diritto internazionale americano”27. In ogni caso la Commissione si incontrò nel 1927 e dalle sue deliberazioni emerse un documento destinato ad esprimere e suscitare i sentimenti più forti contro gli Stati Uniti nella Sesta Conferenza Internazionale l’anno successivo: la bozza di un codice sui diritti e doveri egli stati che includeva un articolo che affermava che nessuno stato ha il diritto di intervenire negli affari interni di un altro stato.

2.6 La Sesta Conferenza Interamericana dell’Avana (1928) Tra la Quinta e la Sesta Conferenza Internazionale la questione degli interventi

statunitensi nel continente raggiunse livelli di elevata tensione. L’instabilità politica dei paesi dell’America Centrale e dei Carabi, insieme alla loro importanza economica e strategica e alla prossimità geografica con gli Stati Uniti, li rendeva particolarmente vulnerabili a quello che era chiamato l’imperialismo protettivo28.

L’indignazione latinoamericana era stata suscitata in modo particolare dell’intervento statunitense in Nicaragua nel 1926: in questo paese gli Stati Uniti applicavano una politica di non riconoscimento per deporre il presidente e portare all’insediamento di un uomo a loro favorevole attraverso l’intervento dei marines.

La questione del Nicaragua era stata particolarmente al centro della seconda sessione della Commissione Internazionale di Giuristi tenutasi a Rio de Janeiro dal 18 aprile al 20 maggio 1927. La bozza di un codice di diritto internazionale preparata dall’Istituto Americano di Diritto Internazionale, conteneva un articolo che proibiva l’occupazione di qualsiasi parte del territorio di una delle Repubbliche americane da parte di un altro stato, anche se temporaneo o con il suo consenso. Un tentativo di

25 Fifth International Conference of American States, at Santiago, March 25 to May 3, 1923. Treaty

to Avoid or Prevent Conflicts between American States, in Gatenbein, op. cit., p. 731-736 26 Ibidem. 27 Fifth International Conference of American States, at Santiago, March 25 to May 3, 1923.

Resolution on Codification of International Law, in Gatenbein, op. cit., p. 730 28 S.Bemis, The Latin American Policy of the United States: an Historical Interpretation, New

York, 1943, p.224

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escludere l’articolo da parte del comitato organizzativo della Commissione di Giuristi, servì solo a inasprire il dibattito che si era cercato di sviare. Alla fine nella bozza fu inclusa una clausola che proibiva l’intervento di qualsiasi stato negli affari interni di un altro. I rappresentanti degli Stati Uniti accettarono questa clausola nella convinzione che questa non fosse applicabile alle misure prese per la protezione della vita degli stranieri e delle loro proprietà. Altre proposte che condannavano gli interventi esterni furono lasciate cadere quando la delegazione statunitense fece delle riserve. Ma la questione dell’interventismo rappresentava in quel momento, prima della Sesta Conferenza Internazionale, il futuro stesso del sistema interamericano come organizzazione.

La Sesta Conferenza Internazionale, si svolse all’Avana dal 16 gennaio al 20 febbraio 1928 e vide riunite per la prima volta le 21 repubbliche americane ormai tutte libere e indipendenti. Il programma di lavoro prevedeva una vasta gamma di temi: dalla riorganizzazione dell’Unione alla considerazione del cosiddetto ordine giuridico interamericano, dalle comunicazioni alla cooperazione intellettuale, dai problemi economici e sociali all’organizzazione delle future conferenze29. Per sottolineare l’importanza attribuita alla Conferenza decise di assistervi lo stesso Presidente degli Stati Uniti Coolidge.

Dall’agenda gli Stati Uniti avevano cercato di eliminare tutte le questioni politiche, ma il dibattito su di esse si aprì quando in commissione e in assemblea, si discusse la bozza preparata dalla commissione a Rio. In quella occasione il delegato statunitense Huges, fece presente che gli stati Uniti non potevano rinunciare al diritto di proteggere la vita e i beni dei propri cittadini all’estero qualora essi si trovassero in uno stato, che non fosse in grado di offrire adeguata protezione. In questi casi, secondo Huges, sarebbe giustificato dal diritto internazionale un intervento temporaneo30. Da parte di molti paesi si osservò che la protezione dei propri cittadini era spesso servita come pretesto per giustificare un intervento negli affari interni di un altro paese. Le delegazioni si resero però conto che una dichiarazione di condanna dell’intervento senza l’adesione degli Stati Uniti sarebbe stata priva di interesse pratico: si finì quindi per adottare una risoluzione che rinviava la trattazione della questione alla Settima Conferenza.

Numerose proposte per rafforzare il sistema interamericano di soluzione pacifica delle controversie furono presentate all’Avana: quasi tutte furono respinte o rinviate.

Una proposta del Costarica per la creazione di una Corte di Giustizia Americana non ebbe seguito. Stessa sorte ebbero le proposte di Cuba e El Salvador, la prima per la creazione di una sezione di conciliazione presso l’Unione Panamericana, e la seconda per la creazione di una commissione di conciliazione composta dai rappresentanti di cinque stati, per vigilare sul mantenimento della pace e dell’ordine nel continente.

La più importante tra queste proposte fu il progetto di convenzione presentato dalla Commissione dei Giuristi di Rio, che prevedeva come mezzi di soluzione delle controversie i buoni uffici, la conciliazione e la mediazione31.

29 Sixth International Conference of American States, at Habana, January 16 to February 20, 1928,

in Gatenbein,op.cit., pp. 737-741 30 Actas de la sesiones plenarias de la VI Conferencia Internacional Americana. LA Habana 1928,

pp. 107-108 31 Sixth International Conference of American States, at Habana, January 16 to February 20, 1928.

Resolution on Arbitration and Conciliation Conference, in Gatenbein,op.cit., p.737

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Dopo molti dibattiti, si riconobbe che era necessario un esame più accurato del problema e si decise di convocare entro un anno una conferenza speciale a Washington per la conciliazione e l’arbitrato32.

Effettivamente dal 10 dicembre 1928 al 5 gennaio 1929 si riunì a Washington una Conferenza Straordinaria alla quale peraltro non assistette l’Argentina. In quell’occasione furono firmati un Trattato generale di arbitrato interamericano e una Convenzione generale di conciliazione interamericana, che possono considerarsi il passo più importante, fatto fino a quel momento per risolvere pacificamente le controversie.

In virtù della Convenzione, le parti contraenti si obbligavano a sottoporre a procedimento conciliatorio tutte le controversie sorte fra loro, che non fosse stato possibile risolvere per via diplomatica. Alla Commissione Speciale e alle Commissioni Permanenti , create con il Trattato di Gondra, furono affidate funzioni di conciliazione con facoltà per quelle permanenti di agire anche di propria iniziativa quando la situazione poteva comportare un turbamento della pace33.

La Conferenza si occupò anche della riorganizzazione dell’Unione Panamericana. La delegazione messicana presentò un progetto che prevedeva delle riforme tendenti a ridurre il predominio statunitense: 1) le repubbliche americane non dovevano necessariamente essere rappresentate al Consiglio Direttivo dalla loro rappresentanza diplomatica a Washington; 2) le cariche di presidente e di vicepresidente dovevano essere ricoperte ogni anno in forma rotativa da tutti i membri del Consiglio; 3)il direttore generale doveva essere nominato annualmente in forma rotativa e non doveva accettare da nessun governo alcun incarico salvo quelli di natura culturale; 4) in nessun caso dovevano essere attribuite all’Unione funzioni politiche34.

Il primo punto fu approvato con l’aggiunta che potevano continuare ad essere nominati membri del Consiglio anche i rappresentanti diplomatici. Furono invece respinti il secondo e il terzo punto. Particolarmente importante fu l’accettazione della proposta messicana di non investire l’Unione Panamericana di funzioni politiche. Il Messico temeva infatti che l’attribuzione di questi compiti avrebbe accresciuto il potere di intervento degli Stati Uniti e in questo fu accompagnato da molti stati latinoamericani che votarono la proposta.

In ottemperanza ad una risoluzione adottata a Santiago, il Consiglio Direttivo dell’Unione Panamericana presentò un progetto di convenzione per disciplinare in forma organica, l’organizzazione, il funzionamento ed i compiti dell’Unione, che fino a quel momento era stata regolata dalle risoluzioni adottate nelle varie conferenze. Si riteneva che un trattato formale, avrebbe conferito all’Unione una base giuridica più solida e precisa. Il progetto si basava sulle risoluzioni precedenti con alcune modifiche, ma stabiliva che la convenzione sarebbe diventata operativa solo dopo il deposito della ratifica da parte delle ventuno repubbliche americane. Eventuali modifiche sarebbero state approvate all’unanimità.

Dal momento che solo sedici stati depositarono la ratifica, l’accordo non entrò in vigore e l’Unione continuò ad essere regolata dalle risoluzioni delle conferenze. Secondo alcuni studiosi non fu un male perché l’entrata in vigore dell’accordo, con il rigido sistema di modifica previsto, avrebbe ostacolato il funzionamento dell’organismo e reso difficile il suo adattamento alle nuove situazioni35.

32 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 105 33 International Conference of American States on Conciliation an Arbitration, at Washington,

December 10, 1928, to January5, 1929, in Gatenbein, op. cit. pp. 742-751. 34 Ibidem 35 J. Lloyd Mecham, op. cit. p. 103

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In sede di discussione del preambolo della convenzione si ebbe un momento di grande tensione per l’atteggiamento della delegazione argentina. All’affermazione che l’Unione delle Repubbliche americane si basa sulla loro uguaglianza giuridica e sul rispetto dei diritti inerenti alla loro sovranità, il delegato argentino Honoris Pueyrredòn propose una dichiarazione di condanna delle barriere doganali poste da taluni stati al commercio interamericano. Negli Stati Uniti l’imposizione di tariffe doganali elevate per l’importazione di merci straniere impedivano l’ingresso di prodotti argentini in quel paese, in considerazione di questo Pueyrredòn affermò che l’unità panamericana era impossibile senza l’unità economica. Sempre in quella sede ripropose la creazione di uno Zollverein americano, lo stesso che il suo paese aveva respinto nel 189036.

Il governo di Washington, ormai protezionista e contrario al libero scambio respinse la proposta. Pueyrredòn minacciò di ritirarsi dalla conferenza: come parziale concessione al suo paese si decise di inserire nel preambolo una dichiarazione in virtù della quale l’Unione doveva promuovere lo sviluppo armonico degli interessi economici delle repubbliche americane. La dichiarazione rimase priva di effetti per la mancata entrata in vigore dell’accordo37.

Alla Conferenza fu presentato anche il progetto di Codice di Diritto Internazionale Privato elaborato dalla Commissione di Giuristi di Rio sulla base di un progetto elaborato dall’internazionalista cubano Antonio Sanchez de Bustamante y Servèn. Il progetto che era stato studiato dall’Istituto Americano di Diritto Internazionale, aveva ricevuto consenso unanime da tutti i paesi. Nella Conferenza non si manifestarono grossi dissensi per la sua approvazione, e in onore del lavoro svolto dal giurista cubano fu votata una risoluzione con la quale si dava al documento il nome ufficiale di Codice Bustamante38. Il codice consta di 437 articoli distribuiti in 4 libri e contiene norme e criteri per l’applicazione delle leggi in materia di diritto civile, commerciale, penale, processuale. È un’opera molto importante per lo sforzo di unificazione dei criteri in una disciplina così importante sia come strumento di collaborazione fra i paesi firmatari. Fu ratificato da molti stati americani, sebbene alcuni apposero riserve importanti. È considerato uno dei più importanti contributi del nuovo mondo allo sviluppo del diritto internazionale. In quanto alla codificazione del diritto pubblico, la Commissione di Rio non elaborò uno schema analogo a causa della complessità della materia e la Conferenza si limitò a presentare e approvare importanti convenzioni sulla condizione degli stranieri, sugli agenti diplomatici, sulla neutralità marittima, sui diritti e doveri degli stati in caso di guerra civile e sul diritto di asilo.

2.7 La politica di buon vicinato È stato sottolineato come dopo la Prima Guerra Mondiale gli Stati Uniti si siano

trovati in una posizione di forza verso i vicini latinoamericani come mai era avvenuto prima. Nessun potere non americano, né la nuova Lega delle Nazioni potevano contrastare la Dottrina Monroe. Certamente se prima potevano presentare la loro politica come uno sforzo per prevenire qualsiasi intervento esterno, in particolare europeo ora tutto questo non aveva più senso e l’utilizzo dei marines non poteva più essere giustificato unicamente come prevenzione di influenze esterne. Per i paesi latinoamericani l’assenza di sfide extracontinentali alla Dottrina Monroe significava un indebolimento nella loro posizione relativa rispetto agli Stati Uniti. L’unica

36 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., pp. 41-42 37 Ibidem, p. . 104 38 Conferencias Internacionales americanas, op. cit., p. 406

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minaccia alla loro sicurezza ora proveniva proprio da questi ultimi, che iniziavano a dare segni di voler iniziare a porre un freno alla loro politica egemonica. È stato visto come il risentimento latinoamericano verso i vicini del nord sia andato crescendo e come la situazione in Nicaragua avesse suscitati parecchia indignazione. Il Nicaragua, segna infatti, un punto di svolta nelle relazioni interamericane in quanto per la prima volta gli stati Uniti cominciarono a ripensare la politica di intervento.

La questione del Nicaragua segnò una profonda crisi all’interno dell’amministrazione di Washington come non era avvenuto per altri interventi in America Latina. Primo per i motivi che avevano suscitato l’intervento, principalmente politici e non per la protezione dei propri cittadini; poi c’era la questione che l’intervento non era confinato unicamente al Nicaragua; terzo le difficoltà incontrate dagli Stati Uniti nel portare avanti i propri obiettivi fecero si che il periodo d’intervento si prolungasse suscitando dure reazioni interne e internazionali39.

Era stato in particolare il divampare della guerra civile a suscitare le critiche più dure per la politica seguita da Washington. Il lungo e sempre meno utile coinvolgimento degli Stati Uniti in Nicaragua provocava reazioni sempre più dure e richiedeva spiegazioni che il Dipartimento di Stato era sempre meno in grado di dare.

Fu Stimson, che era Segretario di Stato nell’amministrazione Hoover, ad annunciare, infine, che i marines sarebbero stati ritirati immediatamente dopo le elezioni presidenziali del 193240. Nel frattempo però nuovi elementi avevano fatto la loro comparsa. Anzitutto le critiche per quello che veniva chiamato l’imperialismo americano non giungevano più solo dall’America Latina ma anche dall’Europa, ma soprattutto, a partire dall’autunno 1931, Stimson si oppose all’intervento giapponese in Manciuria a la presenza dei marines in Nicaragua lo poneva in una situazione imbarazzante. Fu lui stesso a dichiarare che: “ lo sbarco anche di un solo soldato tra questi Sudamericani mi metterebbe in una situazione estremamente difficile in Cina, dove il Giappone ha fatto così tante mostruosità con il pretesto di proteggere i propri cittadini con le proprie truppe”41.

Ulteriori passi in avanti per migliorare le relazioni interamericane vennero fatte durante l’amministrazione Hoover successore di Coolidge. Nel 1928 durante un viaggio che lo aveva portato a visitare dieci paesi latinoamericani egli sottolineò la volontà di voler avviare un apolitica di buon vicinato e di voler abbandonare quella del “grande fratello”. Molti passi vennero fatti in concreto verso la direzione annunciata. Durante la sua presidenza il Dipartimento di Stato fu meno pronto a difendere i propri cittadini in caso di lamentele contro i governi dell’America Latina e si limitò ad alcune azioni di protezione in caso di rivoluzione. La politica di riconoscimento di Wilson venne abbandonata tranne che per l’America centrale. Nel 1930 fu pubblicato il memorandum Clark, che fondamentalmente rappresentava il ripudio del corollario Roosevelt42. Anche la politica nella zona dei Carabi cambiò e nel 1932 i marines furono ritirati dal Nicaragua. In ogni caso le sue politiche non conquistarono la simpatia dei paesi a sud del Rio Grande: solo un’azione più audace avrebbe persuaso i latinoamericani che qualcosa stava realmente cambiando nell’atteggiamento e nelle politiche statunitensi.

Toccò a Franklin D.Roosevelt il compito di convincere l’America Latina che un cambio si era prodotto. Ironicamente prima di diventare presidente la sua unica esperienza con i paesi dell’America Latina era quella avuta con due interventi della

39 B. Wood, The Making of Good Neighbor Policy, Columbia Univ. Press, 1961, p. 26 40 R. Ferrel, ASoS, volume XI, 1963, pp. 157-176 41 Ibidem 42 J. Lloyd Mecham, op. cit. p. 113

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presidenza Wilson. In ogni caso durante la campagna elettorale del 1928 per il Governatore dello stato di New York, Roosevelt scrisse un articolo per il Foreign Affaire, nel quale criticava gli interventi statunitensi nei Carabi e chiedeva la rinuncia “per sempre”, degli “interventi arbitrari negli affari interni degli stati vicini”

Durante la campagna presidenziale del 1932 Roosevelt denunciò l’amministrazione Hoover per la sua politica tariffaria e successivamente nominò Cordell Hull, sostenitore di una politiche di tariffe basse, come Segretario di Stato; tutto questo apparve agli occhi dei latinoamericani come l’inizio reale di un nuovo corso. Nel suo discorso inaugurale il 4 marzo 1933 il nuovo Presidente si impegno a seguire una politica di buon vicinato nelle relazioni internazionali. Roosevelt applicò, nello specifico, il concetto di buon vicinato all’America Latina durante un discorso pronunciato durante la celebrazione del Pan American Day il 12 aprile 1933.43

“Le qualità essenziali di un vero Panamericanismo devono essere le stesse che costituiscono quelle di un buon vicinato, vale a dire, comprensione reciproca e apprezzamento per il punto di vista altrui. Solamente così possiamo sperare di costruire un sistema in cui fiducia, amicizia e cordialità siano le basi”44.

Ovviamente molto doveva essere fatto per convincere i latinoamericani che questo era l’inizio di un nuovo tipo di relazioni tra i loro paesi e gli stati Uniti. I marines si trovavano ancora ad Haiti, sebbene si fosse raggiunto un accordo per il loro ritiro nel 1934; quello stesso paese, la Repubblica Dominicana e il Nicaragua erano ancora protettorati finanziari; l’indipendenza di Cuba e Panama era ristretta da trattati che favorivano gli stati Uniti; la politica di riconoscimento di questi ultimi negava alle Repubbliche centroamericane il diritto alla rivoluzione; gli USA continuavano a insistere sul carattere unilaterale della Dottrina Monroe e invocavano il diritto all’intervento anche se cercavano di limitare questa politica. A questo si sommava la politica tariffaria applicata in risposta alla grande depressione mondiale45. La politica di buon vicinato era pronta ad affrontare queste sfide e cambiare realmente i rapporti con l’ America Latina?

2.8 La Settima Conferenza Interamericana a Montevideo (1933) La Settima Conferenza Interamericana si svolse a Montevideo dal 3 al 26

dicembre 1933 in un clima di inusitata fiducia e armonia. In un discorso, il Segretario di stato Cordell Hull, confermò il cambiamento di indirizzo impresso da Roosevelt alla politica interamericana del suo paese e pronunciò parole che infusero nelle delegazioni vive speranze di un effettivo miglioramento dei rapporti interamericani.

La stipulazione di una Convenzione sui Diritti e Doveri degli Stati, contenente principi molto cari ai latinoamericani e sempre avversati dagli stati Uniti, diede la misura del mutamento sopravvenuto. Fra le disposizioni della Convenzione fu particolarmente importante il riconoscimento del principio di non intervento di uno stato negli affari interni ed esterni di un altro(art. 8) e l’assoggettamento di stranieri e cittadini alle leggi dello stato in cui si trovano senza trattamenti preferenziali a favore dei primi (art. 9). La Convenzione sancì inoltre l’inviolabilità del territorio degli stati

43 R. Dallek, Franklyn D. Roosevelt and American Foreign Policy, Oxford University Press, New York, 1970, pp. 171-260

44 Address By Franklin D. Roosevelt, Delivered before the Governing Board of the Pan American Union, at Washington, April 12, 1933. in Gatenbein, op. cit. p. 160

45 Gordon Connell-Smith, op. cit., pp. 79-81

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e il disconoscimento delle acquisizioni territoriali fatte con la forza46. Infine, furono riconosciute l’esistenza politica di uno stato indipendentemente dal riconoscimento degli altri stati e l’uguaglianza giuridica degli stati fra loro. Per rafforzare gli strumenti per la soluzione pacifica delle controversie, fu stipulato un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Conciliazione di Washington del 1929: con esso si conferiva carattere permanente alle commissioni di inchiesta e conciliazione create dal Trattato di Gondra e si invitavano i firmatari a nominarne al più presto i membri. Si ritenne infatti in quella sede che costituire le commissioni in forma permanente avrebbe favorito il mantenimento della pace47.

Al mantenimento della pace si ispirò una risoluzione proposta dalla delegazione argentina, con la quale si invitavano i paesi rappresentati nella Conferenza ad aderire agli accordi esistenti che avevano come obiettivo la prevenzione dei conflitti e la soluzione pacifica delle controversie: il Trattato di Gondra (1923); il Patto Kellogg-Briand (1928), i Trattati di Conciliazione e Arbitrato (1929) il Patto Antibellico firmato a Rio de Janeiro nel 1933 da alcuni stati su proposta del Ministro degli Esteri argentino, Saavedra Lamas. Oltre alla Convenzione sui Diritti e Doveri degli Stati, furono stipulati altri quattro importanti accordi su: cittadinanza; estradizione; asilo politico; cittadinanza della donna. Quest’ultima che sanciva l’uguaglianza dei sessi in materia di cittadinanza fu frutto del lavoro della Comisiòn Femenina Interamericana e del Suo Presidente Doris Stevens. Da anni la Stevens si batteva in favore di un trattato interamericano che sancisse l’uguaglianza civile e politica dell’uomo e della donna che, di fatto era già riconosciuta dalle legislazioni interne di vari stati americani. La Conferenza adottò una risoluzione con la quale raccomandava ai governi americani di stabilire, nei limiti consentiti dalle proprie situazioni interne, il maggior grado possibile di parità tra l’uomo e la donna in materia di diritti civili e politici.

La Conferenza si occupò anche della codificazione del diritto internazionale. Una risoluzione del 24 dicembre 1933 affermò la necessità di una codificazione graduale e progressiva: fu mantenuta in funzione la Commissione Internazionale dei Giuristi con il conferimento ai suoi membri delle funzioni di ministri plenipotenziari. Fu istituita inoltre una commissione di esperti per organizzare l’opera di codificazione, mentre i governi furono invitati a creare commissioni nazionali per favorire la codificazione del diritto internazionale, composte da funzionari dei Ministeri degli Esteri, studiosi ed esperti48.

La politica di buon vicinato di Roosevelt, di cui aveva dato prova nella conferenza di Montevideo, caratterizzò anche negli anni successivi le relazioni tra Stati Uniti e i vicini del Continente.

2.9 Conferenza Straordinaria di Buenos Aires (1937) La cessazione dell’occupazione militare di Haiti; la stipulazione di un nuovo

trattato con Cuba che prevedeva la concessione di benefici economici e l’eliminazione della clausola Platt (in virtù della quale gli Stati Uniti si riservavano il diritto di intervenire negli affari interni dell’isola); il raggiungimento di accordi soddisfacenti con il Panama dimostravano che la politica annunciata da Roosevelt non era solo una

46 Seventh International Conference of American States, at Montevideo, December 3-26, 1933.

Convention on Rights an Duties of State, in Gatenbein, op. cit., pp.759-762. 47 Seventh International Conference of American States, at Montevideo, December 3-26, 1933.

Additional Protocol to the General Convention of Inter- American Cociliation, in Gatenbein, op. cit., pp. 763-764

48 Conferecias Internacionales Americanas, op. cit., pp. 452-464

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espressione di buoni propositi, ma un nuovo concreto atteggiamento verso l’America Latina49. Questo nuovo clima di fiducia spinse gli Stati Uniti a compiere un ulteriore passo in avanti nel tentativo di rafforzare la solidarietà e la fiducia del continente anche nei confronti dei paesi terzi.

In data 30 gennaio 1936, Roosevelt inviò una lettera ai Presidenti delle Repubbliche latinoamericane per sottolineare l’opportunità di una conferenza straordinaria “allo scopo di stabilire la maniera migliore di mantenere la pace tra le Repubbliche americane: se mediante la sollecita ratifica di tutti gli strumenti di pace già stipulati oppure attraverso emendamenti da apportare ad essi sulla base dell’esperienza acquisita o infine mediante la creazione di nuovi strumenti di pace da aggiungere a quelli già esistenti”50. Queste misure avrebbero avuto anche importanti riflessi internazionali, spingendo la Società della Nazioni e altre istituzioni a rafforzare a loro volta i propri sforzi per evitare la guerra.

La proposta ebbe un seguito e dal 1 al 23 gennaio 1937 si svolse a Buenos Aires la Conferenza Straordinaria per il Consolidamento della Pace, sotto la Presidenza del Ministro degli Esteri argentino, Saavedra Lamas, che era stato insignito del premio Nobel per la pace per il suo Patto Antibellico51. Lo stesso Roosevelt decise di assistervi ed approfittò dell’occasione per fare una visita anche in Brasile e Uruguay, dove fu accolto calorosamente. A Rio pronunciò un discorso dinanzi al Parlamento e alla Corte Suprema, che suscitò vivi entusiasmi e i cui concetti furono gli stessi che il Presidente inviò alle delegazioni a Buenos Aires52.

Alla Conferenza, Roosevelt, riaffermò i principi di solidarietà continentale che distinguevano la politica estera del suo governo. Nell’eventualità di una aggressione extracontinentale, suggerì l’idea che i paesi americani adottassero il principio di consultazione reciproca. Il Segretario di Stato Hull pronunciò un discorso in cui, più esplicitamente, metteva in guardia contro il militarismo crescente nel mondo e sui riflessi di tale situazione nel continente americano, anche in questo caso fu sottolineata la necessità si una più stretta collaborazione sul campo della sicurezza e della pace53.

La Conferenza segnò un altro successo di quel periodo, alimentando lo spirito di collaborazione che animava le Repubbliche latinoamericane in risposta al mutato atteggiamento degli Stati Uniti. La Conferenza vide approvate numerose risoluzioni e convenzioni, ma il risultato più importante fra queste fu l’approvazione dell’atto di consultazione reciproca in caso di minacce della pace. Attraverso la stipula della Convenzione per il Mantenimento, la Preservazione e il Ristabilimento della Pace, nota come Patto di Consultazione, si stabilì che, essendo la guerra un fatto che pone i pericolo i principi di libertà e giustizia che costituiscono per le Americhe il principio cardine della loro politica internazionale, i governi del continente avrebbero realizzato riunioni consultive al fine di ricercare e adottare strumenti di cooperazione in caso di: minaccia alla pace per qualsiasi causa; guerra tra due stati americani e guerra extracontinentale che potesse minacciare la pace delle Americhe54. Il problema principale del patto è che pur stabilendo un principio importantissimo per la politica interamericana, non specificava mezzi e procedure adeguate per rendere effettiva la

49D. Dozer, Are we good neighbours? Three decades of Inter American Relations (1930-1959),

University of Florida Press. Gainseville, Florida 1959, pp. 16-20 50 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p. 45 51 Inter American Conference for the Maintenance of Peace, at Buenos Aires, December 1-23, 1936,

in Gatenbein, op. cit., pp. 765-784 52 Ibidem. 53 Julius W. Pratt, ASoS, volume XII, 1964, pp. 139-180 54 Convention for the Maintenance, Preservation, and Reestablishment of Peace, in Gatenbein, op.

cit., pp. 779-781.

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consultazione. Di queste carenze si occupò largamente la Conferenza di Lima del 1938.

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CAPITOLO TERZO

Il sistema interamericano durante la seconda guerra

mondiale (1938-1948)

3.1 La Dichiarazione di Lima (1938)

La possibilità che un conflitto europeo potesse minacciare direttamente la pace

nel continente fu il motivo principale che portò Roosevelt ad adottare in quegli anni una politica di moderazione. Nei due anni precedenti numerose dispute con i vicini latinoamericani avevano minacciato seriamente gli interessi delle compagnie petrolifere americane, tanto che nel marzo del 1937 la Bolivia aveva annullato la concessione della Standard Oil Company of Bolivia, (di proprietà statunitense) e ne aveva confiscato le proprietà, e quasi esattamente un anno dopo, il governo messicano espropriò le compagnie petrolifere americane. In occasione di queste dispute gli Stati Uniti iniziarono ad abbandonare la loro insistenza sull’arbitrato internazionale e a sviluppare nuove tecniche per influenzare le loro politiche1. Una di queste, diventata poi di uso più comune, era quella di accordare o rifiutare assistenza tecnica e finanziaria ai governi. In una situazione simile gli interessi delle compagnie petrolifere dovevano essere subordinati a quello della sicurezza nazionale2.

Gli Stati Uniti cercarono di promuovere la formazione di un fronte interamericano contro l’eventuale aggressione e penetrazione da parte di potenze extracontinentali. Durante l’Ottava Conferenza Interamericana, svoltasi a Lima dal 9 al 27 dicembre 1938, Washington propose la stipulazione di un patto di difesa reciproca, ma l’idea fu avversata da molti stati latinoamericani3. Nei vicini degli USA era vivo il desiderio di evitare atteggiamenti ostili verso i paesi europei ai quali si sentivano ancora profondamente legati, per vincoli di sangue e di cultura e per interessi economici.

Ancora una volta l’Argentina si mise a capo del gruppo dei paesi oppositori del progetto, accompagnata da Uruguay, Paraguay, Cile e Bolivia. Nel discorso pronunciato di fronte all’ Assemblea, Josè Maria Cantilo, Ministro degli Esteri argentino, sottolineò i legami della sua nazione con l’Europa e, pur riconoscendo l’importanza della cooperazione continentale, parlò dell’importanza di una politica estera autonoma per ogni stato americano in conformità con le proprie tradizioni4.

Si decise allora di evitare la stipulazione di trattati e si optò per la enunciazione di una serie di principi di solidarietà interamericana in una dichiarazione che costituì il risultato più importante della Conferenza: la Dichiarazione di Lima. Questo importante documento era costituito di due parti: la dichiarazione di principi e la individuazione degli strumenti per renderli effettivi.

Dopo un preambolo la Dichiarazione affermava:

11 Preliminaries to the Eight International Conference of American States to be held at Lima in

1938, in FRUS 1937, volume V American Republics, Washington 1954, pp. 1-4 2 Gordon Connell-Smith, op. cit. p. 104 3 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p. 47 4 Eight International Conference of American Stated, at Lima, December 9-27, 1938, in Gatenbein,

op. cit. pp. 785-789.

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“I Governi degli Stati Americani dichiarano: 1) che riaffermano la loro solidarietà continentale e la volontà di

collaborare nel mantenimento dei principi su cui questa solidarietà è basata. 2) Fedeli ai principi menzionati e nella loro assoluta sovranità, essi

riaffermano la loro decisione di difendersi contro tutti gli interventi o attività esterne che li possano minacciare.

3) Nel caso che la pace, la sicurezza o l’integrità territoriale di qualsiasi Repubblica americana, fosse minacciata da un atto di qualsiasi natura, essi proclamano il loro comune proposito di rendere effettiva la loro solidarietà, coordinando le loro volontà sovrane attraverso procedure di consultazione stabilite dalle convenzioni e dalle dichiarazioni delle Conferenze Interamericane.

4) Per rendere più facili le consultazioni stabilite in questo e altri strumenti di pace, i Ministri degli Esteri delle Repubbliche americane, quando giudichino necessario e su iniziativa di uno di loro, si incontreranno nelle capitali a rotazione. Ogni governo può, per ragioni speciali, designare un sostituto per il suo Ministro degli Esteri.

5) Questa Dichiarazione sarà conosciuta come la Dichiarazione di Lima5. Sebbene la Dichiarazione di Lima prevedesse delle consultazioni attraverso

incontri dei Ministri degli Esteri, questi sarebbero stati tenute nei termini degli accordi presi a Buenos Aires. La Dichiarazione non era quindi una convenzione formale e di conseguenza non aveva necessità di essere ratificata. Questo costituì un vantaggio dal momento che Argentina, Bolivia, Perù e Uruguay non avevano ratificato il Patto di Consultazione di Buenos Aires. La Dichiarazione di Lima che molti chiamarono anche la Magna Charta Libertatum delle Americhe, in realtà, riproduceva molti dei principi contenuti proprio nel Patto di Consultazione di Buenos Aires del 1936 e nella Dichiarazione dei Principi Americani adottata nella stessa Conferenza6.

Nei confronti del primo documento essa rappresentava un progresso in quanto la cooperazione difensiva non era limitata alle misure pacifiche, inoltre la dichiarazione era diretta anche contro minacce provenienti da paesi non americani. Altre importanti novità erano rappresentate dal fatto che i motivi di consultazione erano ampliati fino a comprendere le minacce non solo della pace ma anche all’integrità territoriale; dalla novità di un’ azione comune contro attività sovversive e dalla decisione che le riunioni dei Ministri degli Esteri sarebbero state il principale strumento per rendere effettivi il principio di consultazione7.

La Dichiarazione diede avvio a una collaborazione più stretta e a un maggior coordinamento delle politiche dei paesi americani, fattori che si rivelarono molto importanti alcuni mesi dopo a seguito dello scoppio della seconda guerra mondiale.

3.2 La prima Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri (1939)

Poco tempo dopo l’inizio delle ostilità in Europa, gli Stati Uniti presero

l’iniziativa di convocare un incontro tra gli stati per esaminare e fare il punto della situazione. La Prima Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri delle Repubbliche Americane sotto gli accordi interamericani di Buenos Aires e Lima si tenne a Panama

5 Declaration CIX: Principles of the Solidarity of America (the Declaration of Lima), in Gatenbein,

op. cit., pp. 786-787 6 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 143 7 Ibidem.

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dal 23 settembre al 3 ottobre 1939. Il programma, approvato dal Consiglio Direttivo dell’Unione Panamericana, conteneva tre argomenti principali: neutralità, protezione della pace dell’emisfero occidentale e cooperazione economica. Infatti si era stabilito di mantenere la pace nell’emisfero attraverso una politica di neutralità e di salvaguardare le economie degli stati americani contro gli effetti negativi che indubbiamente sarebbero seguiti alla guerra in Europa.

Per il primo obiettivo la Conferenza di Panama adottò una Dichiarazione Generale di Neutralità, che riaffermava la neutralità degli stati americani, lasciando però a ciascuno di essi il modo migliore per dare ad essa la concreta applicazione8.

Come parte della stessa risoluzione, la conferenza votò di stabilire, per la durata della guerra in Europa, un Comitato Interamericano di Neutralità di sette esperti con l’incarico di formulare raccomandazioni ai governi in base agli sviluppi della situazione9.

Per rendere affettiva la dichiarazione di neutralità, la riunione adottò una risoluzione, conosciuta con il nome di Dichiarazione di Panama, in base alla quale si dichiarava zona marittima di sicurezza una fascia costiera di 300 miglia intorno al continente e si proibiva ai belligeranti di realizzare all’interno di essa atti di ostilità per mare, aria e terra. Per garantirne il rispetto si ribadiva il principio delle consultazioni e si dava facoltà agli stati di mantenere la vigilanza individuale e collettiva sulla zona10.

La Riunione adottò un’importante risoluzione anche in materia di cooperazione economica nel continente. In vista delle speciali circostanze, venne affermata la necessità che le repubbliche americane mantenessero stretta la loro collaborazione per proteggere le strutture economiche e finanziarie, mantenere l’equilibrio fiscale, stabilizzare la moneta e sviluppare agricoltura, industria e commercio11.

Nel mentre gli avvenimenti bellici precipitavano e nel continente iniziavano a sentirsi i riflessi della grave situazione creatasi in Europa. L’occupazione della Norvegia e della Danimarca, l’invasione dei Paesi Bassi, l’occupazione della Francia e la minaccia di un’invasione dell’Inghilterra da parte delle forze naziste cominciarono a preoccupare l’opinione pubblica del continente e a indebolire le posizioni neutralistiche. Si faceva strada l’idea di abbandonare la neutralità, che sembrava inizialmente conveniente anche da un punto di vista commerciale, con gli stati belligeranti, e si sviluppava la necessità di intensificare la collaborazione politica e militare nel continente nell’ipotesi di un allargamento del conflitto12.

Gli USA da parte loro aumentavano la preparazione militare in vista di un conflitto e nel giugno del 1940 ribadirono il principio del non trasferimento, parte della Dottrina Monroe, in vista di un passaggio alla Germania delle colonie francesi. In virtù di tale principio, Washington non avrebbe riconosciuto né consentito alcun trasferimento di regioni o territori dell’emisfero occidentale da una potenza non americana a un’altra potenza non americana13.

8 First Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Panama, September 23 to

October 3, 1939. Resolution V: General Declaration of Neutrality of the American Republics, in Gatenbein, op. cit. pp. 795-798

9 Ibidem. 10 First Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Panama, September 23 to

October 3. Resolution and Declaration XIV: Declaration of Panama, in Gatenbein, op. cit. pp. 793-794 1939.Resolution and Declaration XIV: Declaration of Panama, in Gatenbein, op. cit. pp. 793-795 11First Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Panama, September 23 to

October 3, 1939. Resolution III: Economic Cooperation, in Gatenbein, op. cit. pp. 789-793 12 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 187 13 Ibidem

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3.3 L’Atto dell’Avana (1940) Per fare il punto della situazione creatasi in seguito agli sviluppi della guerra, fu

convocata all’Avana la Seconda Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri dal 21 al 30 luglio del 1940. La questione più urgente era quella del passaggio delle colonie europee nel continente. Il risultato più importante dell’incontro fu proprio, a tale proposito, l’adozione di una dichiarazione, nota come Atto dell’Avana, che creava un regime di amministrazione provvisoria per i territori soggetti al pericolo di passare ad un’altra potenza14. L’amministrazione fu affidata a un Comitato d’emergenza composto da un rappresentante per ogni repubblica americana. Esso sarebbe entrato in funzione qualora la Convenzione, che doveva essere firmata sulla stessa materia, non fosse entrata ancora in vigore15. Infatti all’Avana fu firmata anche una formale Convenzione per l’Amministrazione Provvisoria delle Colonie e dei Possedimenti in America, che conteneva fondamentalmente i principi dell’Atto dell’Avana. Questa Convenzione entrò in vigore due anni dopo, ma gli eventi bellici non resero mai necessaria la sua effettiva applicazione16.

Oltre a queste importanti decisioni sul piano del mantenimento della pace fu adottato una terzo importante documento, la Dichiarazione di Assistenza e Cooperazione Reciproca per la Difesa delle Nazioni americane. Secondo la Dichiarazione “qualsiasi attentato da parte di uno stato non americano all’integrità ed inviolabilità del territorio, alla sovranità o indipendenza di uno stato americano” sarebbe stato considerato atto di aggressione contro gli stati firmatari della dichiarazione. In caso di aggressione, quindi, gli stati firmatari si sarebbero consultati per decidere le misure da adottare. Inoltre in caso di aggressione tutti i firmatari, ovvero due o più di essi, avrebbero stipulato, secondo le circostanze, gli accordi complementari necessari per organizzare la loro assistenza reciproca17. Prima di Pearl Harbour, furono così conclusi importanti accordi militari fra gli Stati Uniti e i paesi latinoamericani sulla base del Piano Rainbow per la difesa continentale.

Le attività sovversive, provocate da potenze straniere rappresentavano in questo momento la preoccupazione principale dell’America Latina. Per questo i governi americani si accordarono per tentare di prevenire qualsiasi attività politica realizzata da agenti consolari o diplomatici e per vigilare attentamente sul rilascio dei visti d’ingresso. Lo scopo era quello di proteggere il continente dalle infiltrazioni, dalla propaganda e dalle attività sovversive realizzate dalle potenze belligeranti in alcuni paesi europei alla cui caduta esse avevano contribuito. La sconfitta della Germania e la caduta del nazismo resero inutili queste risoluzioni, ma esse costituivano un importante precedente, per la prima volta i governi americani si erano accordati per combattere questo genere di attività.

La riunione dell’Avana si occupò anche di rapporti commerciali fra gli stati. I problemi che lo scoppio della seconda guerra mondiale aveva portato nell’economia dei paesi latinoamericani, preoccupavano i governi di questi ultimi, ma anche gli Stati

14 Second Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Habana, July 21-30,

1940. Declaration and Resolution XX: Act of Habana Concerning the Provisional Administration of European Colonies an Possession in the Americas, in Gatenbein, op. cit., p. 799

15 Ibidem 16 Second Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Habana, July 21-30,

1940. Convention on the Provisional Administration of European Colonies an Possession in the Americas, in Gatenbein, op. cit., pp. 801-805

17 Second Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Habana, July 21-30, 1940. Declaration XV: Reciprocal Assistance and Cooperation for the Defense of the Nations of Americas, in Gatenbein, op. cit, pp. 798-799

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Uniti che temevano l’assoggettamento al dominio tedesco. La vittoria della Germania avrebbe significato la perdita di importanti mercati per gli Stati Uniti.

Vista la politica di neutralità e isolamento che si era deciso di tenere nel continente, Roosevelt alla vigilia della riunione dell’Avana aveva lanciato l’idea di formare un grande cartello panamericano allo scopo di controllare il commercio estero dell’intero continente. L’idea era stata accolta con favore da quei paesi la cui economia era stata danneggiata dell’inizio della guerra. Altri paesi vi vedevano invece un pericoloso assoggettamento all’economia statunitense18. Negli stessi Stati Uniti il piano fu avversato in considerazione delle spese notevoli e degli scarsi vantaggi dell’importazione di prodotti tropicali. Il piano venne quindi respinto nella riunione dell’Avana, durante la quale si decise invece di ampliare le funzioni del Comitato Consultivo Interamericano economico-finanziario consentendo di cooperare con i paesi dell’emisfero occidentale nella ricerca dei metodi per aumentare il consumo delle eccedenze di esportazione; nella proposta di misure adeguate per aumentare gli scambi interamericani e il mantenimento di eque condizioni di produzione e consumo; nel raccomandare gli strumenti idonei a aumentare il livello di vita dei popoli del continente e infine nella creazione di un organismo per la distribuzione delle eccedenze19.

3.4 La Terza Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri. A mettere alla prova i vari accordi raggiunti nelle conferenze di Panama e

dell’Avana contribuì di lì a poco l’attacco militare giapponese a Pearl Harbor. Di fronte al tragico avvenimento, minaccioso per la sicurezza continentale, la solidarietà interamericana diede prova di solidità. A pochi giorni dall’attacco, alcuni paesi latinoamericani dichiararono guerra al Giappone, altri si limitarono a interrompere le relazioni diplomatiche con i paesi dell’Asse, ma tutti manifestarono la propria solidarietà agli Stati Uniti. Ancora una volta fu l’Argentina, appoggiata dal Cile a rifiutarsi di adottare misure drastiche nei confronti dell’Asse: la prima per paura di un attacco giapponese sulle sue coste nel Pacifico; l’altra seguendo una tradizionale autonomia in politica estera e per gli orientamenti politici del governo. Sebbene questi due paesi incrinassero l’unanimità delle decisioni, dal punto di vista giuridico, il sistema interamericano di sicurezza collettiva prevedeva solo l’obbligo di consultazione reciproca e non la dichiarazione di guerra e la rottura delle relazioni diplomatiche20.

Alla fine anche Argentina e Cile dichiararono guerra all’Asse, benché l’argentina solo in maniera simbolica dietro pressione del Continente il 27 marzo 1945. Fu proprio il Cile a chiedere a pochi giorni da Pearl Harbour, la convocazione di una riunione dei Ministri degli Esteri, in applicazione alla Dichiarazione dell’Avana, allo scopo di esaminare la situazione e adottare le misure più appropriate in difesa dell’emisfero. In data 10 dicembre 1941 gli Stati Uniti inviarono alle Cancellerie degli stati americani un promemoria contenente la relazione degli avvenimenti. Di lì a poco si decise che la riunione si sarebbe tenuta a Rio de Janeiro il 15 gennaio 1942.

Il sotto Segretario di Stato, Welles, propose che fosse adottata una dichiarazione energica contro l’aggressione e fosse decisa la rottura immediata delle relazioni diplomatiche di tutti i paesi del continente con l’asse. Furono molti gli stati che

18 D. Dozer, op. cit.. p.71 19 Gordon Connell-Smith, op. cit., p. 116 20 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p. 51

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appoggiarono la richiesta ma Argentina e Cile si opposero con fermezza. Per mantenere l’unanimità in un momento simile venne raggiunta una soluzione di compromesso che era quella di adottare una dichiarazione meno impegnativa che si limitava a raccomandare agli stati americani la rottura delle relazioni diplomatiche, sulla base delle procedure e delle posizioni di ogni paese21. Come corollario fu anche raccomandato di rompere ogni rapporto finanziario e commerciale con l’Asse per sottrarre il Continente alle influenze dell’Asse e paralizzarne le attività22.

Per rendere effettive le misure di difesa continentale fu creata una Giunta Interamericana di Difesa, composta da militari e tecnici che tenne la sua prima riunione a Washington il 30 marzo del 1942. Contro le attività sovversive e di spionaggio fu creato un Comitato Consultivo d’Emergenza per la Difesa Politica, con la funzione di studiare e coordinare le misure di repressione delle attività realizzate da elementi non americani contro il Continente. Il Comitato si stabilì a Montevideo e fu guidato dal Ministro degli Esteri dell’Uruguay, Alberto Guani23.

3.5 La Conferenza Interamericana di Città del Messico (1945) Gli Stati Uniti avevano cambiato profondamente il loro atteggiamento nei

confronti del subcontinente durante gli anni della seconda guerra mondiale, il quale a sua volta si era rivelato un importante alleato di guerra e un fornitore di materie prime indispensabili per le difficili economie di guerra. L’America Latina traeva i suoi benefici da questa situazione, avvantaggiandosi degli aumentati traffici commerciali tra nord e sud. Attraverso la collaborazione di quegli anni il panamericanismo sembrava avviato verso la formazione di una e vera e propria organizzazione internazionale24.

Il paese che rimase ai margini di questo processo fu, come visto, l’Argentina, segnata da molti problemi interni. In questo paese si susseguirono governi instaurati da colpi di stato e improntati a una rigida neutralità nella politica estera. Cosa prevista anche dagli orientamenti interamericani, ma nel caso dell’Argentina questa neutralità non nascondeva una certa simpatia per l’Asse e, allo stesso tempo, avversione per le politiche imperialistiche statunitensi.25

Cedendo alle richieste statunitensi, il Presidente argentino Ràmirez, aveva rotto le relazioni con l’asse il 26 gennaio 1944, ma la misura era stata accolta con scarso favore da alcuni settori militari, i quali di lì a poco destituirono Ràmirez e portarono alla presidenza il generale Farrel che aveva come vicepresidente il colonnello Peròn, vero uomo forte del sistema.

Preoccupati per gli orientamenti che credevano di riscontrare nel nuovo governo argentino, gli USA applicarono contro quel paese misure di pressione economica. Proclamarono il principio di non riconoscimento e accusarono l’Argentina di collaborare con l’Asse e di violare gli accordi di assistenza reciproca. In molti nel continente appoggiarono queste accuse e ruppero le relazioni con il paese, altri tuttavia, (Cile, Paraguay, Bolivia), criticarono Washington e conservarono normali relazioni con l’Argentina. Il nuovo atteggiamento assunto dal governo statunitense

21 Third Meeting of the Foreign Ministers of the American Republics, at Rio de Janeiro, January

15-28,1942. Reccomandation I: Breaking of Diplomatic Relations with Japan, Germany and Italy. in Gatenbein, op. cit., p. 807

22 Ibidem 23 J. Lloyd Mecham, op. cit., pp. 222-227 24 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p. 52 25 Ibidem.

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contribuì a mantenere l’Argentina temporaneamente lontana dal resto della comunità continentale, in molti notarono che Washington sembrava assumere atti contrari ai principi della politica di buon vicinato26.

Fu in questo modo che l’Argentina non partecipò alla Conferenza Interamericana per i Problemi della Guerra e della Pace che si svolse a Città del Messico dal 21 febbraio all’8 marzo del 1945. La conferenza fu convocata per esaminare i problemi posti dall’imminente conclusione della guerra e della pace successiva. L’agenda prevedeva quattro temi principali: prosecuzione della guerra; organizzazione internazionale; collaborazione economica post-bellica e questione dell’Argentina27.

Per quel che riguarda la prosecuzione della guerra c’era poco da decidere in quanto il conflitto era ormai nella sua fase conclusiva. Furono però ugualmente adottate due risoluzioni, una riguardante la condanna dei crimini di guerra, con cui si affermava che i responsabili dovessero essere processati e condannati; l’altra raccomandava invece che venissero intensificati gli sforzi per eliminare i centri di sovversione del Continente. Preoccupazioni ben superiori suscitarono i problemi della pace in vista della costituzione di una organizzazione mondiale di sicurezza. Bisognava infatti stabilire che ruolo spettasse al sistema di sicurezza regionale all’interno della nuova organizzazione. Il pericolo era che la nuova organizzazione non svuotasse completamente di significato il sistema interamericano, e che il Consiglio di Sicurezza così come era progettato, non riservasse alle grandi potenze un ruolo assolutamente preponderante. La Conferenza di Città del Messico esaminò le proposte di Dumbarton Oaks e formulò delle osservazioni da portare alla Conferenza di San Francisco. In particolare furono sottolineati i seguenti aspetti: ampliamento e maggiore specificazione dei fini dell’Organizzazione e dei poteri dell’Assemblea Generale; estensione della giurisdizione e della competenza della Corte Internazionale di Giustizia; creazione di un’organizzazione per la promozione della cooperazione intellettuale e morale fra i membri28.

Per quanto atteneva ai rapporti con il sistema regionale la Conferenza auspicò che fosse concessa all’America Latina un’adeguata rappresentanza al Consiglio di Sicurezza e che le controversie che potessero sorgere in ambito regionale fossero risolte in base al sistema interamericano in armonia con quanto previsto dalla nuova organizzazione internazionale. Oltre a queste risoluzioni di carattere generale, molti paesi formularono specifiche osservazioni tese a preservare l’autonomia del sistema regionale e vederne conservata la sua validità in caso di controversie nel continente.

Per rafforzare queste tesi la Conferenza adottò una risoluzione nota con il nome di Atto di Chapultepec, nella quale si affermava che “qualsiasi attacco di uno stato contro l’integrità, l’inviolabilità territoriale, la sovranità o l’indipendenza politica di uno stato americano sarebbe stato considerato come un atto di aggressione contro tutti gli stati americani”. In caso di aggressione i firmatari si sarebbero riuniti per discutere le misure più adatte da adottare che potevano giungere fino all’uso della forza. A guerra finita, un trattato avrebbe formalizzato questi principi e le relative procedure29.

A differenza di precedenti accordi nell’Atto non si distingueva più tra aggressioni provenienti da paesi extracontinentali o meno: la procedura di

26 Efforts by the United States to Obtain the Cooperation of the Argentine Governmentin

Combatting Axis Activities, in FRUS 1945, volume IX, Washington 1969, pp. 437-504 27 Inter-American Conference on Problem of War and Peace, At Mexico City, February 21 to

March 8, 1945, in Gatenbein, op. cit., pp. 816-828. 28 Ibidem 29 Declaration and Recommendation VIII: Reciprocal Assistance and American Solidarity (Act of

Chapultepec). in Gatenbein, op. cit., pp. 816-819

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consultazione sarebbe stata avviata ugualmente anche in caso di attacco di uno stato americano contro un altro stato americano. L’Atto rappresentava un’importante novità anche perché per la prima volta prevedeva tra le sanzioni applicabili l’uso della forza. Ciò rappresentava un problema dal punto di vista dei rapporti con la futura Organizzazione, le proposte di Dumbarton Oaks stabilivano infatti che nessuna azione potesse essere intrapresa da organizzazioni regionali senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Per superare l’impasse fu aggiunta una parte che dichiarava che l’Atto era parte di un accordo regionale per risolvere le dispute internazionali e in materia procedurale esso sarebbe dovuto essere compatibile con i principi dell’Organizzazione quando quest’ultima fosse stata istituita. La soluzione venne comunque rinviata alla Conferenza di San Francisco che in molti nelle Americhe attendevano con ansia. In vista delle importanti decisioni da adottare, la conferenza approvò un’altra risoluzione per riorganizzare il sistema interamericano. Con questa si prevedevano la convocazione annuale dei Ministri degli Esteri americani e conferenze generali da tenere ogni quattro anni; l’elezione annuale del Presidente del Consiglio direttivo dell’Unione panamericana e il divieto della sua rielezione; la limitazione del mandato del direttore generale a dieci anni. Furono rivisti e ampliati i compiti e i poteri dell’Unione e del Consiglio Direttivo, conferendogli compiti di natura politica. Il Consiglio era incaricato di intervenire in tutte le situazioni che potessero pregiudicare il normale funzionamento del sistema interamericano o che potessero compromettere il benessere delle Repubbliche americane30.

In questo modo si superava anche una fase storica: quella segnata dal timore che l’attribuzione di funzioni politiche all’Unione potesse essere utilizzata a esclusivo vantaggio della politica statunitense31.

Per quel che riguarda i problemi economici, ebbero meno peso in questa conferenza, tesa ad affrontare i fatti del dopoguerra, e si limito a una serie di enunciazioni con scarsi risultati pratici. In particolare si convenne di stipulare accordi bilaterali fra i paesi produttori e compratori di materiale bellico per attutire gli effetti negativi dovuti all’improvvisa cessazione di tale commercio. La Carta Economica delle Americhe fu il documento elaborato nella Conferenza con il quale si enunciavano gli obiettivi che i paesi americani intendevano perseguire in materia economica e ne indicava i mezzi per la realizzazione. La Carta suggeriva la mobilitazione delle risorse americane fino alla vittoria finale, lo sviluppo dell’emisfero e una ordinata transizione dal periodo di guerra a quello di pace. Tra gli strumenti suggeriti per il perseguimento di tali obiettivi c’erano: parità di accesso alle materie prime e ai beni di produzione per lo sviluppo industriale; riduzione delle barriere al commercio internazionale; equo trattamento dei capitali stranieri; sviluppo delle imprese private; azione concordata internazionale per la distribuzione delle eccedenze32.

Rimaneva la questione argentina e la Conferenza adottò una risoluzione che ribadiva la necessitò di piena solidarietà continentale in caso di aggressione e che allo stesso tempo deplorava il fatto che l’Argentina non avesse potuto partecipare con le altre Repubbliche americane. Il documento auspicava che l’Argentina potesse al più presto trovarsi nelle condizioni di esprimere adesione ai principi della Conferenza e uniformare la politica a quella delle altre nazioni americane. A tal proposito lasciava

30 Inter-American Conference on Problem of War and Peace, At Mexico City, February 21 to

March 8, 1945. In Gatenbein, op. cit., pp. 816-828. 31 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 188 32 Conferencias Internacionales Americanas. Segundo Suplemento 1945-1954. Departamento

Juridico de la Union Panamericana, Washington 1956, pp. 17-20

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aperta la possibilità di adesione alla risoluzione finale della Conferenza di Città del Messico33.

Tale adesione giunse il 27 marzo 1945 dichiarando guerra all’Asse e adottando misure contro le attività nemiche. La comunità interamericana giudicò questi atti sufficienti alla riammissione del governo di Buenos Aires in seno alla comunità e in data 4 aprile 1945 il delegato argentino firmò la risoluzione finale della Conferenza. Pochi giorni dopo, il 9 aprile, le venti repubbliche americane ripresero normali relazioni diplomatiche con l’Argentina.

3.6 Il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR

1947) L’Atto di Chapultepec, come visto, era un accordo solamente temporaneo e

valido unicamente per la durata del conflitto, tale accordo prevedeva che alla fine delle ostilità sarebbe stato firmato un trattato formale tra gli stati continentali per conferire carattere duraturo a un sistema di difesa dell’emisfero.

Nel frattempo la Conferenza di San Francisco aveva deciso la compatibilità dei sistemi regionali di difesa con l’Organizzazione delle Nazioni Unite e per questo si convenne di convocare il 20 ottobre del 1945, una conferenza straordinaria a Rio de Janeiro per approvare un trattato di difesa. La conferenza però non si tenne nella data prevista a causa del riaffiorare di nuovi contrasti regionali, ancora una volta tra Stati Uniti e Argentina, questa volta però appoggiata da molti stati latinoamericani e alla fine venne rimandata di due anni.

La Conferenza Interamericana per la Sicurezza e il Mantenimento della Pace Continentale ebbe luogo dal 15 agosto al 2 settembre 1947, a Quitandinha, Petropolis, a quaranta miglia da Rio de Janeiro. Erano rappresentati venti stati americani, la maggior parte dei quali, Stati Uniti compresi, da delegazioni guidate dai Ministri degli Affari Esteri. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ricevette un invito a partecipare in qualità di osservatore e presenziò anche all’apertura della conferenza. Solo il Nicaragua non partecipò a causa del non riconoscimento del governo da parte della maggior parte degli stati americani. Verso la fine della conferenza anche l’Ecuador perse la propria rappresentanza a causa di un colpo di stato che portò all’instaurazione di un governo non riconosciuto dal resto del continente.34 L’unico argomento in agenda era il trattato di assistenza reciproca, sebbene vennero affrontate in misura molto minore anche questioni economiche35.

La limitazione dell’agenda a un solo argomento e i rinvii, che ne avevano consentito la minuziosa preparazione, erano di buon auspicio per la Conferenza.

La Conferenza adottò l’Atto di Chapultepec, come base del trattato, respingendo una proposta argentina che voleva un accordo limitato a aggressioni da parte di paesi extracontinentali. Questo era di particolare importanza perché significava che le sanzioni prevista dal trattato sarebbero state applicate anche in caso di aggressione di uno stato americano verso un altro stato americano.

Il Trattati Interamericano di assistenza Reciproca, stabilì che ogni attacco armato di un qualsiasi stato contro uno stato americano fosse considerato come

33Inter-American Conference on Problem of War and Peace, At Mexico City, February 21 to

March 8, 1945. Resolution LIX: On the Communication Addressed by the Argentine Government to the Pan American Union, in Gatenbein, op. cit., p.821

34 J. Slater, op. cit., pp. 28-38 35 Inter-American Conference for the Maintenance of Continental Peace and Security, at

Quitandinha, Brazil, August 15 to September 2, 1947, in Gatenbein, op. cit., pp. 822-830

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attacco verso tutti gli stati americani. Gli stati contraenti si obbligarono ad aiutare lo stato aggredito a respingere l’attacco, come esercizio della legittima difesa prevista dall’articolo 51 delle Nazioni Unite. A richiesta dell’aggredito, ogni firmatario poteva da solo adottare le misure necessarie ritenute convenienti fino a quando l’assistenza collettiva non fosse decisa dall’organo di consultazione del sistema interamericano (la riunione dei Ministro degli Esteri) oppure dal Consiglio Direttivo dell’Unione in via provvisoria. Le misure adottabili previste erano: il ritiro degli ambasciatori, la rottura delle relazioni diplomatiche e consolari, sanzioni economiche e uso della forza36.

Il sistema di difesa prevedeva non solo gli attacchi armati ma a tutte le situazioni che potessero pregiudicare la sicurezza del continente, anche in questi casi era obbligo dell’organo di consultazione stabilire caso per caso le misure da adottare37. In caso di conflitto quindi i Ministri degli Esteri si sarebbero riuniti per ristabilire la pace nel continente: il rifiuto dell’azione dell’organo di consultazione sarebbe stato preso in considerazione per stabilire lo stato aggressore e applicare le relative misure. Per quanto attiene il sistema di votazione il trattato stabilì che le decisioni richiedessero una maggioranza di due terzi dei voti degli stati che avessero ratificato il trattato. Le sanzione erano obbligatorie per tutti salvo l’invio di truppe che richiedeva il consenso dello stato interessato. Questo significava l’inizio di una nuova era nelle relazioni interamericane, infatti anche gli Stati Uniti avrebbero assoggettato la propria volontà nazionale alle decisioni collettive per la tutela della sicurezza e della pace nel continente.

L’altra questione che impegnò a lungo la Conferenza fu la questione dei rapporti tra le Nazioni Unite e il nuovo Trattato di Assistenza Reciproca. Una serie di disposizioni cercarono di coordinare la questione. Nel preambolo venne riaffermata la volontà di rimanere uniti in un sistema interamericano compatibile con i principi e le disposizioni delle Nazioni Unite; l’articolo 3 stabilì che assistere la vittima dell’aggressione fosse considerato esercizio di legittima difesa in base all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite e fu stabilito l’obbligo di fornire al Consiglio di Sicurezza un rapporto dettagliato sulle misure da adottare; si decise che le misure previste potevano essere applicate solo fino a quando il Consiglio di Sicurezza non fosse intervenuto per mantenere la pace; l’art. 10 stabilì i rapporti tra il Trattato di Rio e la Carta di San Francisco disponendo che nessuna norma potesse essere interpretata in modo da menomare i diritti e doveri derivanti dalla Carta dell’ONU; l’art. 15 affidò al Consiglio Direttivo dell’Unione la funzione di organo di raccordo tra i firmatari del Trattato e l’ONU38.

Il Trattato di Rio rappresentò un momento importante per la storia interamericana, per la prima volta si era riusciti a stabilire un sistema capace di garantire assistenza reciproca e la difesa collettiva contro le minacce alla pace del continente. Certo non si potevano ridurre tutti i ritardi del sistema continentale a questioni di sicurezza militare, il continente era ancora travagliato da molti problemi economici e da squilibri di potere che non ne permettevano un armonico sviluppo. Tra le questioni più urgenti da affrontare c’erano sicuramente la lotta alla povertà, alla fame, all’analfabetismo e la creazione di adeguate condizioni per lo sviluppo economico delle economie latinoamericane39. In molti nel continente consideravano i problemi economico-sociali altrettanto importanti di quelli della sicurezza e solo il

36 Inter-American Treaty of Reciprocal Assistance, in Gatenbein, op. cit., pp. 822-828 37 Ibidem. 38 Inter-American Conference for the Maintenance of Continental Peace and Security, at

Quitandinha, Brazil, August 15 to September 2, 1947. Pertinent Provision of the United Nations Charter with Respect to the Inter-American Treaty of Reciprocal Assistance. in Gatenbein, op. cit., pp. 828-830

39 J. Lloyd Mecham, op. cit., p. 285

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superamento dei gravi disequilibri poteva portare a un sistema interamericano effettivo.

3.7 La Conferenza di Bogotà (1948) Dopo 60 anni di cooperazione continentale, l’inaugurazione della politica di

buon vicinato, gli avvenimenti della seconda guerra mondiale e la firma del TIAR, si giunse alla conclusione che i tempi fossero maturi per la realizzazione di una vera e propria organizzazione regionale. Il sistema si era infatti retto negli anni senza una specifica organizzazione internazionale, ma solo tramite le conferenze che di volta in volta avevano affrontato i problemi del continente. In più ora si poneva un problema nuovo, quello della Organizzazione delle Nazioni Unite e della necessità di coordinare le politiche interamericane con la nuova organizzazione mondiale. In effetti era gia stato affrontato in altre sedi la questione della creazione di una organizzazione formale e c’era anche chi si era schierato a favore di un assetto pragmatico del sistema interamericano. Le politiche del continente infatti si erano rette sulle risoluzioni adottate nelle conferenze come quella del 1890 che istituì l’Unione Internazionale delle Repubbliche Americane e che poteva essere considerata la pietra fondamentale su cui era stato edificato tutto il sistema. Erano in molti a sostenere che le risoluzioni, non avendo bisogno di ratifiche, si potevano adattare meglio al carattere dei rapporti interamericani, facilitando l’evoluzione del sistema. L’Unione inoltre, non avendo avuto per molti anni funzione politiche, non aveva avvertito l’esigenza avere un trattato costitutivo40.

Dopo i difficili anni ’20 la cooperazione interamericana era migliorata notevolmente a partire dal 1933 iniziando a investire anche il campo politico. Le conferenze se da un lato avevano risposto concretamente alle esigenze del momento del sistema interamericano, dall’altra però avevano facilitato la proliferazione di organismi panamericani a volte dotati delle stesse funzioni che creavano confusione e incertezza nel sistema e che spesso erano causa di malfunzionamento dello stesso41.

Per dare sistemazione organica al sistema si decise di convocare la Nona Conferenza Internazionale Americana che si svolse a Bogotà dal 30 marzo al 2 maggio 1948. Alla Conferenza parteciparono le 21 Repubbliche americane, anche se qualche dubbio era sorto sull’invitare o meno il Nicaragua, il cui governo continuava a non essere riconosciuto da molti paesi. Dieci stati, inclusi gli Stati Uniti furono rappresentati dai Ministri degli Esteri. Il Segretario di Stato, George Marshall, che rimase tutta la conferenza tranne l’ultima settimana, guidò un nutrita delegazione statunitense, che includeva anche il Segretario del Tesoro42.

L’agenda della conferenza era stata accuratamente preparata dal Consiglio Direttivo dell’Unione Panamericana e i lavori furono divisi in sei comitati nei quali ogni paese era rappresentato.

La Nona Conferenza era stata preparata nei minimi dettagli e anche questa volta l’agenda era stata ridotta a pochi temi essenziali per far si che si giungesse a dei buoni risultati. Anche il clima era molto favorevole e segnato dalla ferma volontà di

40 The Ninth International Conference of Amerrican States, Held at Bogotà, Colombia, March30-

May 2, 1948. Preparation and organization of the Conference, in FRUS 1948, volume IX, Washington 1972, pp. 1-23

41 Gordon- Connell-Smith,op. cit., pp. 189-190 42Ibidem, p. 196

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comprensione che aveva segnato gli ultimi anni e che animava le delegazioni ad utilizzare con profitto i sessanta anni di cammino percorso insieme43.

Pochi giorni dopo l’apertura della Conferenza però un fatto sconvolse il paese ospitante: l’assassinio del capo del partito liberale colombiano, Jorge Eliecer Gaitàn. Le masse popolari reagirono con violente manifestazioni di piazza, in quanto rappresentava un difensore dei diritti del popolo e accusarono dell’assassinio il governo guidato da un partito conservatore. Nelle manifestazioni trovarono la morte centinaia di persone. La stessa Conferenza dovette essere sospesa a causa dei disordini che si spinsero fino alla sua sede. quando l’ordine fu ristabilito gli incontri ripresero in una scuola sotto la presidenza del nuovo Ministro degli Esteri colombiano, Angel Zuleta44. Nonostante i tragici avvenimenti e le dolorose impressioni che lasciarono sulle delegazioni, le commissioni portarono avanti i propri lavori e furono in grado poco tempo dopo di presentare le proprie conclusioni alla Conferenza.

Il 30 aprile del 1948, veniva firmata dalle 21 delegazioni presenti la Carta dell’Organizzazione degli Stati Americani, il nuovo statuto che avrebbe regolato i rapporti interamericani. Si giungeva così dopo molti anni a stabilire un assetto del movimento panamericano e si disciplinavano i suoi numerosi organi.

La Carta entrò in vigore solo tre ani dopo quando, il 31 dicembre 1951, la Colombia depositò la quattordicesima ratifica. Nel preambolo fu sottolineato lo spirito di collaborazione che aveva spinto gli stati a formare la nuova organizzazione e ricordata l’esistenza di numerosi patti precedenti tutto improntati dal comune scopo di “vivere in pace e provvedere al miglioramento di tutti nell’uguaglianza e nel diritto, attraverso la reciproca comprensione e nel rispetto della sovranità di ognuno”45.

Furono enunciate come finalità dell’Organizzazione: il raggiungimento di un ordine di pace e giustizia, lo sviluppo della cooperazione, la difesa della sovranità, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale degli stati membri.

Il documento affermò che per la realizzazione “dei principi da cui è animato il sistema interamericano, si perseguono le seguenti finalità in conformità con quanto stabilito dalla Carta delle Nazioni unite: consolidare la pace nel continente; prevenire i conflitti e assicurane la soluzione pacifica; organizzare l’azione comune degli stati in caso di aggressione; assicurare la soluzione dei problemi giuridici, politici e d economici che possano insorgere nel continente; promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale nell’emisfero46.

Quanto ai principi a cui gli stati intendevano uniformarsi la Carta affermò che la norma di condotta degli stati era il diritto internazionale: “l’ordine internazionale è assicurato essenzialmente dal rispetto della personalità, della sovranità e dell’indipendenza degli stati e dall’adempimento delle obbligazioni internazionali derivanti dal diritto e dai trattati; la buona fede deve essere il principio regolatore dei rapporti fra gli stati; la solidarietà fra gli stati americani e il perseguimento dei loro fini richiedono un’organizzazione politica basata sulla democrazie rappresentativa; l’aggressione contro uno stato americano rappresenta un’aggressione contro tutti gli stati membri; le controversie internazionali devono essere risolte attraverso mezzi pacifici; la cooperazione economica è un requisito fondamentale per il benessere; I diritti fondamentali della persona devono essere riconosciuti senza distinzioni dei sesso, nazionalità, razza o religione”47.

43 C. Sepulveda, op.cit.,pp. 41 e ss. 44 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., p. 62 45 Ninth International Conference of American States, at Bogotà, March 30 to May 2, 1948.

Charter of the Organization of American States, Signed April 30, 1948, in Gatenbein, op. cit., pp. 855-871 46 Ibidem 47 Ibidem.

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Il capitolo dedicato ai diritti e doveri degli stati riprendeva molte delle conclusioni a cui si era pervenuti nelle precedenti dichiarazioni.

Nella Carta venne ribadita: l’uguaglianza giuridica degli stati; l’esistenza politica di uno stato a prescindere dal riconoscimento accordato dagli altri e stati e il suo diritto di organizzarsi internamente nel modo migliore per i propri interessi con la limitazione dei diritti degli altri stati derivanti dal diritto internazionale; il diritto per ciascuno stato di sviluppare la propria vita culturale e politica nel rispetto della persona umana e della morale universale48.

Nella Carta veniva ribadito con particolare enfasi anche il principio di non intervento che aveva causato gravi contrasti in passato. Il documento affermò che: “nessuno stato o gruppi di stati ha il diritto di intervenire in modo diretto o indiretto negli affari interni di un altro stato” e sottolineò la portata della disposizione affermando che: “per intervento non si intende solo l’uso della forza, ma qualsiasi forma di ingerenza contro la personalità dello stato”49.

La disposizione fu estesa tramite altri articoli all’applicazione di misure coercitive di carattere economico o politico che tendessero a forzare la volontà sovrana di uno stato proibendo anche l’occupazione militare o altre misure di forza adottate da uno stato in modo diretto o indiretto.

Per quel che attiene alla sicurezza collettiva la Carta non incluse molte disposizioni in quando si decise di mantenere, come testo incorporato alla Carta, il Trattato di Rio de Janeiro. Al Trattato si sarebbe ricorsi in caso di aggressione contro uno stato americano o per situazioni che potessero compromettere la pace delle Americhe.

Come evidenziato da quanto fin qui detto, l’attenzione della conferenza fu incentrata prevalentemente su questioni politiche anche se non mancarono discussioni sui problemi economico-sociali che erano causa di malfunzionamento del sistema interamericano. Le disposizioni contenute sulla Carta riguardo a questi argomenti erano di carattere generale e riaffermavano la volontà degli stati membri di collaborare da buoni vicini e nella misura delle proprie possibilità nel consolidamento delle strutture economiche del continente per stimolare l’agricoltura, l’industria e il commercio. Fu anche ribadita la volontà di collaborare nel raggiungimento di condizioni di vita eque per i popoli del continente. Le discussioni rimasero ovviamente su un piano molto generale anche se rivelarono l’attenzione per queste tematiche. Nel tempo, invece, insieme al consolidamento della democrazia, avrebbero pesato molto nel sistema portando a crescenti richieste di riforma della Carta50.

Secondo quanto previsto nel documento, membri dell’Organizzazione erano tutti gli stati americani che ratificarono la Carta. Questi serano membri de jure, e al di fuori della ratifica della Carta, la loro partecipazione non poteva essere subordinata ad altri requisiti. Si decise inoltre che gli stati estranei al continente non potessero chiedere di entrare nell’Organizzazione e che gli stati dovessero essere effettivamente tali, cioè stati sovrani nel senso del diritto internazionale. Per facilitare il raggiungimento degli obiettivi preposti, la Carta istituì una serie di organi che successivamente sarebbero cresciuti di numero e funzioni con le riforme successive.

48 Ibidem.

49 Ibidem 50 Vaky, Muňoz, The Future of the Organization of American States, The Twentieth Century Fund Press, New York, 1993. pp.72-86

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3.8 Natura giuridica dell’OSA Un problema che impegnò a lungo la conferenza di Bogotà fu la scelta di quale

natura giuridica dare al sistema interamericano. Accantonata l’idea della denominazione Sistema Interamericano, utilizzata nella Conferenza Straordinaria di Città del Messico, la delegazione messicana propose quella di Unione Panamericana.

La delegazione argentina si oppose al progetto nella paura che il termine unione potesse far pensare alla creazione di un soggetto giuridico nuovo diverso dagli stati e per lo stesso motivo furono respinte altre proposte simili (associazione, società, comunità). Alla fine si giunse a una soluzione di compromesso tecnicamente valida e politicamente poco impegnativa: quella di organizzazione. L’analisi delle discussioni sulla denominazione permette di comprendere meglio anche la natura giuridica dell’OSA51. Il suo documento fondamentale, la Carta di Bogotà, nonostante avesse apportato modifiche rilevanti all’Unione, non ne aveva snaturato completamente i trattati essenziali52.

La Carta infatti non istituì un nuovo soggetto internazionale con poteri verso gli stati membri, né creò un organismo sovranazionale. Benché rappresentasse il punto di arrivo di un lungo processo continentale e storico, la Carta di Bogotà basicamente diede forma e struttura unicamente ad una associazione di stati sovrani uniti dalla volontà di cooperare. Tuttavia pur non avendo una sua specifica soggettività internazionale, per il proficuo svolgimento delle sue attività specifiche, furono riconosciuti all’Organizzazione alcuni diritti e poteri. In questo senso si può affermare che l’OSA possieda una limitata personalità giuridica, come quando al Consiglio è affidato il compito di stipulare accordi con gli altri organismi specializzati al fine di determinare la relazione di ciascuno di essi con l’Organizzazione e di concludere accordi con altri organismi interamericani di riconosciuto prestigio. Stesse osservazioni si possono fare per le funzioni di mantenimento della pace che il Trattato di Assistenza Reciproca affida alla Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri e al Consiglio. Il Trattato infatti permette a questi organi di adottare, con il voto di due terzi, misure adeguate in caso di attacco armato o situazioni che possano mettere in pericolo la pace del continente. Se la decisione di provvedimenti importanti anche per membri terzi, si deve ammettere, che in certe situazioni, sussiste una personalità dell’Organizzazione differente da quella degli stati membri53. L’obbligatorietà di alcune decisioni che come è successo a Punta del Este nel 1962 e a Washington nel 1964, possono essere adottate contro la volontà di alcuni stati, costituisce una limitazione alla sovranità degli stati membri in favore dell’Organizzazione a cui hanno deciso di legarsi. Altro argomento, che permette di giungere indirettamente al riconoscimento di una personalità internazionale dell’organizzazione, può dedursi dalle disposizioni della Carta che proibiscono al personale di ricevere istruzioni dai governi e di compiere atti che possano compromettere la loro responsabilità di funzionari internazionali.

L’OSA inoltre mantiene la propria individualità sia nei confronti degli stati membri sia verso le organizzazioni e istituzioni internazionali con cui abbia rapporti. Agli organismi specializzati dell’OSA, che stabiliscano rapporti e concludano accordi con organismi simili di carattere mondiale, è fatto obbligo di mantenere la propri

51 The Ninth International Conference of Amerrican States, Held at Bogotà, Colombia, March30-

May 2, 1948Proceedings of the Conference., in FRUS 1948, volume IX, Washington 1972, pp. 1-23 52 J. Kunz. The Bogotà Charter of the Organization of American States, in The American Journal of

International Law, luglio 1948, p. 569 53 G. Pallieri, Diritto Intrnazionale Pubblico, Giuffrè, Milano, 1962, pp.196-197

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identità come parte dell’Organizzazione degli Stati Americani, anche quando svolgano funzioni regionali di organismi internazionali. Nel territorio degli stati membri, viene riconosciuta all’Organizzazione il godimento della capacità giuridica , dei privilegi, e delle immunità necessarie per lo svolgimento delle proprie funzioni.

Per l’applicazione di queste disposizioni della Carta è stato stipulato un Accordo per i Privilegi e l’Immunità dell’Organizzazione degli Stati Americani, soggetto all’approvazione degli stati membri. Con gli Stati Uniti l’OSA ha stipulato un accordo speciale per il riconoscimento di privilegi e immunità aggiuntive ai rappresentanti degli stati membri presso il Consiglio dell’Organizzazione54.

3.9 Il Patto e l’Accordo economico di Bogotà La Conferenza di Bogotà non va ricordata solo per l’approvazione della Carta,

altrettanto importante fu la stipulazione di un Trattato Interamericano per la Soluzione Pacifica delle Controversie, più noto con il nome di Patto di Bogotà.

Il trattato aveva come obiettivo quello di mettere ordine e coordinare i vari accordi per la soluzione pacifica delle controversie precedentemente stipulati. Teoricamente avrebbe dovuto rappresentare il terzo pilastro fondamentale del sistema interamericano che stava sorgendo dalla conferenza, insieme alla Carta di Bogotà e al Trattato di Assistenza Reciproca.

Le discussioni su questo progetto si basarono su due progetti elaborati in tempi diversi dal Comitato Interamericano dei Giuristi. La differenza fondamentale tra questi due progetti risiedeva nel fatto che mentre uno, più moderato, limitava l’applicazione dell’arbitrato alle sole controversie di natura giuridica (intendendo quelle suscettibili di decisione mediante l’applicazione del diritto internazionale), l’altro più ambizioso, proponeva l’arbitrato obbligatorio per tutte le controversie che non fosse stato possibile risolvere mediante sistemi pacifici (mediazione, conciliazione, inchiesta), senza distinzione tra controversie giuridiche o di altra natura55.

Sottoposte le proposte alla Conferenza, si riproposero le divergenze che avevano caratterizzato l’argomento fin dalle prime conferenze interamericane. Per superare tali difficoltà e con il proposito di dare al trattato la portata più ampia possibile, fu presentato un terzo progetto che prevedeva il ricorso obbligatorio al procedimento giudiziario come istanza finale per tutte le controversie non risolte attraverso altri procedimenti. Tale proposta, avanzata da Messico, Uruguay e Colombia, prevedeva che il procedimento giudiziario si sarebbe svolto davanti alla Corte Internazionale di Giustizia: l’arbitrato sarebbe stato obbligatorio solo nei casi in cui la Corte avesse dichiarato la propria incompetenza.

La proposta venne accolta e fu stipulato un trattato che ribadiva una serie di principi: “le parti si obbligano ad astenersi dall’uso della forza e si impegnano a ricorrere ai procedimenti previsti dal trattato per risolvere le controversie di qualsiasi natura; le controversia tra stati americani devono essere risolte mediante procedimenti regionali prima di essere portate al Consiglio di Sicurezza; iniziato un procedimento non può esserne affrontato un altro prima della risoluzione del precedente; i vari procedimenti fra cui conciliazione e inchiesta, buoni uffici e mediazione, procedimento giudiziario e arbitrato sono previsti e disciplinati in appositi capitoli; il

54 A. Wyenes Thomas & A.J: Thomas, The Organization of American States, Southern Methodist University Press. Dallas, Texas 1963, pp. 43-48

55 The Ninth Conference of American States, Held at Bogotà, Colombia, March 30-May 2, 1948. In Frus, pp. 14-15.

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procedimento giudiziario è affidato alla Corte internazionale di giustizia; il trattato entra in vigore con la progressiva deposizione delle ratifiche”56.

Il trattato però non ebbe lo stesso successo degli altri documenti della conferenza, forse a causa di una certa rigidità. Molti paesi lo firmarono con riserve e successivamente solo dieci di essi, (in particolare stati centroamericani), lo ratificarono. La soluzione definitiva al problema della soluzione pacifica delle controversie era ancora lontana dall’essere trovata.

Come visto altre volte, da più voci nel continente si faceva sempre più pressante la richiesta di cooperazione economica come requisito fondamentale per uno sviluppo adeguato dell’emisfero e come mezzo per superare i numerosi problemi che lo affliggevano. La conferenza di Bogotà si occupò anche di questo aspetto. Il problema fondamentale che le delegazioni dovevano affrontare già al tempo era la presenza di due realtà continentali completamente differenti. Da un lato gli Stati Uniti con un’economia fiorente, potenziali industriali e tecnologici enormi e standard di vita elevati. Dall’altra i paesi latinoamericani caratterizzati da sottosviluppo economico, sociale ed educativo,mancanza di capitali, basse o addirittura infime condizioni di vita. La contrazione di investimenti privati e la contrazione di debiti pubblici americani, in conseguenza del conflitto mondiale, avevano ulteriormente aggravato la condizione di molti paesi. La conferenza si fece carico di questi problemi con la stipulazione di un Accordo Economico Interamericano.

Base delle discussioni furono un documento del Consiglio Interamericano Economico-Sociale e le conclusioni della Commissione per gli Affari Economici della Conferenza. In molti avevano pensato che la Conferenza sarebbe stata la sede adatta per proporre un piano Marshall per l’America Latina, cosa che gli Stati Uniti non presero seriamente in considerazione. Le discussioni rimasero su un piano generale per sviluppare un accordo che stabilisse i principi fondamentali della cooperazione interamericana e per risolvere progressivamente i problemi del continente. Non vennero proposti né un piano economico immediato né una operazione finanziaria internazionale.

Anche tra i paesi latinoamericani c’era chi sottolineava che un Accordo economico non dovesse prevedere unicamente impegni finanziari a carico di una sola delle parti. Si chiedeva piuttosto che fossero gettate le basi di una cooperazione effettiva che permettesse ad ogni paese di raggiungere la prosperità desiderata.

Per sottolineare l’incidenza dei problemi economici sull’efficacia del sistema, fu segnalato da più parti che un’intensa collaborazione in questo settore, soprattutto mediante il sostanziale contributo degli Stati Uniti, sarebbe stato lo strumento più adatto per garantire la stabilità e la sicurezza del continente, nonché per prevenire il malcontento delle masse popolari, le cui condizioni di vita potevano essere di stimolo ai disordini e all’anarchia.

La collaborazione sarebbe stata a lungo termine un investimento per gli stessi Stati Uniti, sia sotto il profilo economico, perché avrebbe assicurato nuovi mercati per i prodotti americani, sia da quello politico, perché avrebbe contribuito consolidare la stabilità di molti paesi con effetti positivi sulla pace del continente.

L’Accordo Economico, stipulato a Bogotà il 2 maggio 1948, cercò di rispondere a queste esigenze. Proclamò l’impegno dei firmatari a impegnarsi in una collaborazione economica di ampia portata e a svolgere un’intensa cooperazione tecnico-finanziaria. Il documento stabiliva norme per regolare gli investimenti privati, l’industria, i trasporti marittimi e ferroviari, la soluzione delle controversie

56 Ibidem

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economiche e il coordinamento degli organismi interamericani con quelli internazionali57.

Ovviamente ai buoni propositi era necessario che facesse seguito la volontà di impegnarsi seriamente e in attività concrete di collaborazione, volontà che non si manifestò adeguatamente nei successivi anni. L’Accordo si ridusse a una espressione di buoni desideri e pochi stati lo ratificarono. Nella stessa Conferenza, probabilmente presagendo gli scarsi risultati di un accordo di carattere generale, si decise che l’esame specifico degli aspetti della collaborazione economica fosse affidato a una Conferenza Speciale a Buenos Aires da tenere entro la fine dell’anno. Nell’agenda della suddetta conferenza erano inclusi argomenti quali l’analisi della politica di credito commerciale, i trasporti, l’istituzione di una Banca Interamericana e di un Istituto Interamericano del Commercio. La Conferenza non si riunì nei tempi stabiliti, ma solo nove anni dopo e con risultati alquanto modesti.

La mancata di collaborazione in un settore giudicato prioritario da molti paesi provocò un raffreddamento tra i paesi latinoamericani da una parte e gli Stati Uniti dall’altra. Seguì un periodo di crisi del panamericanismo che culminò nel 1957-1958 e che necessitava di un cambio della politica statunitense nel continente e misure radicali per rilanciare il panamericanismo.

3.10 Altre risoluzioni della Conferenza di Bogotà La Conferenza approvò altre importanti risoluzioni e dichiarazioni per la

politica interamericana. Tra queste vanno ricordate: 1) la Dichiarazione Americana dei Diritti e Doveri dell’Uomo,

contenente un’enunciazione di diritti e doveri, in particolare relative alle attività politiche e sociali. Alcune delegazioni suggerirono che fosse espressamente proclamato l’obbligo degli stati firmatari di rispettare e proteggere i diritti elencati e che fossero inflitte sanzioni in caso di violazione. Alla fine però prevalse l’opinione di dare al documento unicamente un valore dichiarativo, affidando al Comitati Interamericano dei Giuristi il compito di elaborare un progetto di statuto per la creazione di una Corte Interamericana per la Protezione dei Diritti dell’Uomo da analizzare durante la Decima Conferenza Interamericana58.

2) La Risoluzione XXXII riguardante la Preservazione delle Democrazia in America. Adottata in seguito ai moti di Bogotà, la risoluzione dichiarava l’incompatibilità del comunismo internazionale e di tutti i tipi di totalitarismo con la concezione di libertà americana, basata sul rispetto della dignità umana, sul principio democratico e sulla sovranità degli stati. Il documento prevedeva l’adozione di misure per prevenire attività sovversive nel continente o movimenti che tendessero a ostacolare il diritto dei popoli americani a governarsi democraticamente59.

3) La Risoluzione XXXIIII su Colonie e Possedimenti in America. La risoluzione condannava il colonialismo e auspicava la creazione di una Commissione Americana per i Territori Dipendenti con sede all’Avana per studiare il problema e trovare soluzioni adeguare. Il documento trovò l’opposizione del Brasile e degli Stati Uniti, ma l’Argentina e il Guatemala riuscirono con l’appoggio degli altri paesi a farla approvare60.

57 The Ninth Conference of American States, Held at Bogotà, Colombia, March 30-May 2, 1948.

Economic Agreement of Bogotà, Signed May 2, 1948, in Gatenbein, op. cit., p. 841 58 Ibidem 59 Ibidem 60 Ibidem

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Capitolo quarto.

Da Bogotà alla riforma della Carta dell’OSA (1948-

1970) 4.1 Tensioni nei Caraibi Nel continente ci si aspettava che dopo la Conferenza di Bogotà e i principi di

fratellanza lì proclamati si potesse avviare un periodo sereno di relazioni interamericane, ma gli accordi raggiunti furono subito messi a dura prova dalle crisi che scoppiarono nei Carabi. La zona era da sempre stata un punto debole del continente a causa della sua instabilità. Questa volta a ricomporre le crisi poteva contribuire un nuovo importante organo: la neonata Organizzazione degli Stati Americani che venne aiutata dal Comitato Interamericano per la Pace. Si trattava di un organo non previsto dalla Carta di Bogotà che venne istituito nella Seconda Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri dell’Avana nel 1940, l’incontro raccomandò all’Unione Panamericana la creazione “nella capitale americana che risultasse più idonea un Comitato composto dai rappresentanti di cinque paesi membri con il compito di vigilare e assicurare la più rapida soluzione in caso di controversia tra due o più stati americani”1. Il Comitato aveva il compito di suggerire alle parti il metodo di risoluzione da adottare. La sede fu fissata a Washington e i cinque paesi furono Stati Uniti, Messico, Cuba, Brasile e Argentina.

Gli Stati Uniti richiesero l’intervento del Comitato il 3 agosto 1949 per studiare la situazione della zona dei Carabi caratterizzata da contrasti tra i paesi con regimi dittatoriali e quelli che avevano instaurato regimi democratici2. Il Comitato preparò una relazione e invitò i governi ad attenersi al principio di non intervento.

Poco dopo, il 3 gennaio 1950, il governo di Haiti accusò la Repubblica Dominicana di intervenire nei suoi affari interni e il 6 gennaio in applicazione al Trattato di Rio, il Consiglio dell’OSA divenne Organo Consultivo Provvisorio e convocò la Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri.

Una commissione accertò il coinvolgimento nella questione di Cuba e del Guatemala e furono approvate delle risoluzioni con le quali si chiedeva ai governi di prendere provvedimenti per far si che il loro territori non fossero utilizzati come basi per movimenti sovversivi ai danni dei paesi loro vicini.

Una Commissione Speciali per i Caraibi ebbe il compito di vigilare sulla situazione e già nel rapporto del 30 giugno poteva riportare al Consiglio un sensibile miglioramento. In quella del 31 ottobre la Commissione notava un continuo miglioramento nei rapporti fra le parti in causa e il 14 maggio 1951 dichiarava conclusa la sua missione dal momento che tra Haiti e la Repubblica Dominicana si erano ristabilite normali relazioni diplomatiche3.

1 Second Meeting of the Ministers of Foreign Affairs of the American Republics, at Habana, July

21-30,1940, in Gatenbein, op. cit., pp.798-806 2 United States policy regarding political developments in the Central American and Caribbean areas, in FRUS 1955-57, volume VI, Washington 1987, pp. 581-630

3 J. Dreier, The Organization of American States and the Hemisphere Crisis, Council of Foreign Relations, New York, 1962, p. 60

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Non fu la sola occasione di tensione e di conseguente intervento del Comitato. Il 13 agosto 1948 la Repubblica Dominicana richiese l’intervento del Comitato per la soluzione del conflitto con Cuba. L’avana era accusata di favorire un tentativo di golpe da parte di esiliati e rifugiati. Il Comitato si adoperò per fare da mediatore per accordi diretti tra le due isole. Anche in questo caso l’impresa fu coronata da successo con la stipula di un accordo in base al quale il governo cubano dispose l’arresto dei capi dell’invasione progettata e il sequestro del materiale bellico che doveva essere utilizzato4.

Al Trattato di Rio si appellò invece il Costarica per risolvere un conflitto con il Nicaragua. In data 11 dicembre 1948 il Costarica presentò all’OSA una denuncia di invasione del suo territorio da parte di truppe nicaraguesi. Secondo la procedura del TIAR il Consiglio si costituì Organo Consultivo Provvisorio, raccolse informazioni e convocò la Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri. Una Commissione accertò che in Nicaragua si stava preparando un movimento per invadere il Costarica. Il Consiglio adottò una risoluzione che invitava i governi a risolvere i motivi della controversia, e fornire assicurazioni che si sarebbero attenuti al principio del non intervento. Il Patto di Washington, stipulato il 21 febbraio 1949 pose fine al conflitto5.

Era da poco terminata la questione tra Costarica e Nicaragua, quando Haiti accusò la Repubblica Dominicana di favorire la preparazione di interventi contro il suo governo. L’OSA giudicò non applicabile la procedura del TIAR e le parti richiesero l’intervento del Comitato che istituì una commissione di tre membri. Dopo un’opera di mediazione caratterizzata da colloqui con i due governi venne raggiunto un accordo tra le parti firmato il 9 giugno del 1949. Secondo quanto sottoscritto le parti si impegnavano a non permettere nel proprio territorio l’attività di gruppi o partiti con finalità non compatibili con i principi dell’OSA o tendenti a turbare la pace del continente6.

Il Comitato aveva dato prova in quegli anni di funzionalità e per questo il 24 maggio 1950 fu approvato uno Statuto per il miglioramento delle sue funzioni. Il documento elaborato stabilì che il Comitato poteva intervenire nella soluzione di qualsiasi controversia a patto che: le parti ne facessero richiesta; fossero prima stati tentati negoziati diretti; non fosse in corso un altro procedimento per la soluzione delle controversie. La sua competenza fu estesa a richieste da parte di stati non interessati che giudicassero una controversia suscettibile di giudizio da parte del Comitato7.

Il Cile sollevò delle obiezioni riguardanti lo status dell’Organo che vennero respinte dal Consiglio dell’OSA giudicando che non esistesse alcuna sovrapposizione tra le funzioni del Comitato e quelle degli altri organi interamericani. La questione del Comitato venne affrontata anche nella Conferenza di Caracas del 1954. L’incontro analizzò un rapporto sull’operato del Comitato, ne riconobbe l’autorità e ne approvò l’utilità decidendone il mantenimento. Due anni dopo il Consiglio approvò il nuovo statuto che ne restringeva le funzioni e la portata. Il Comitato poteva intervenire solamente su richiesta di una delle parti interessanti e solo con l’accettazione dell’altra. In caso di non accoglimento dei suoi servizi la procedura risultava nulla. Al contrario, la Quinta Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri, si pronunciò per allargare la sfera d’azione del Comitato al quale venne assegnato il compito di esaminare misure per prevenire attività esterne per abbattere governi insediati democraticamente e stabilire il nesso tra la violazione dei diritti dell’uomo e le tensioni politiche nel continente.

4 Ibidem, pp. 60 e ss. 5 J.Lloyd Mechem, op.cit., p. 270 6 J. Slater, op. cit., pp.67-78

7 A. Glinkin, op. cit., pp. 77-86

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In base a questi poteri, il Comitato presentò un rapporto all’Ottava Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri di Punta del Este (1962) contribuendo alla sospensione di Cuba dal sistema interamericano8.

4.2 Problemi economico-sociali nel continente Le controversie nei Carabi pur rappresentando un pericolo per la pace

continentale non incrinarono i rapporti interamericani, si potrebbe anzi dire che la coesione continentale ne uscì rafforzata grazie ai sistemi di risoluzione delle controversie creati a Rio e Bogotà.. Viceversa, come altre volte sottolineato, a preoccupare l’America Latina erano i problemi socioeconomici. Questa parte del continente faceva appello alla solidarietà interamericana per risolvere i gravi problemi economici causa del ritardo nello sviluppo; dall’altra parte gli USA, impegnati in politiche di più grande respiro, si limitavano all’affermazione di principi generali.

Già durante la Conferenza di Bogotà, alcuni osservatori americani avevano sottolineato il divario che si stava creando tra Washington e il resto del Continente, altri avevano appoggiato queste osservazioni e auspicavano un cambio radicale nelle relazioni internazionali. Si trattava però di voci isolate che avevano scarso eco nel governo di Washington impegnato in questioni internazionali giudicate più importanti.

Ulteriore fattore di destabilizzazione continentale fu l’affacciarsi del pericolo della penetrazione comunista. Di fronte al pericolo che questa ideologia potesse prendere piede nel continente gli stati reagirono sempre in forma compatta proclamando l’incompatibilità del sistema con tale dottrina. Le divergenze tra USA e America Latina emersero riguardo il modo di combattere questo pericolo. Si trattava del riemergere delle note divergenze sulle priorità continentali. Da una parte i latinoamericani ritenevano indispensabili massicci aiuti economici per elevare il tenore di vita delle popolazioni, dall’altra gli Stati Uniti erano propensi a soluzioni politico-militari. L’insistenza con cui Washington parlava di libertà e democrazia per contrastare la penetrazione comunista, mettevano in secondo piano argomenti molto cari ai latinoamericani come il sottosviluppo, l’analfabetismo, la miseria, le sperequazioni sociali in America Latina. Per molto tempo le richieste latinoamericane in questi settori non incontrarono alcun tipo di risposta e tendenze estremiste cominciarono a fare presa sulle popolazioni.

Questa situazione contribuì alla nascita di una situazione di tensione crescente nel continente. Se ne ebbe prova con le reazioni negative suscitate dai risultati della Quarta Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri. (Washington 1951).La riunione era stata convocata per esaminare la situazione della guerra in Corea. L’America Latina aveva in nome della solidarietà continentale aveva appoggiato gli Stati Uniti nelle posizioni tenute in Consiglio di Sicurezza e Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma poiché la situazione aveva cominciato a evolversi in modo pericoloso per la pace del mondo occidentale, gli Stati Uniti decisero di consultarsi con i propri vicini continentali. A Washington i 21 Ministri degli Esteri approvarono delle risoluzioni che riaffermavano: la decisione delle repubbliche del continente di mantenersi unite per respingere qualsiasi minaccia contro di esse e appoggiare la missione delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace; l’impegno di dare attraverso l’OSA il proprio contributo alla difesa del continente e di cooperare con le Nazioni Unite per prevenire e risolvere conflitti in altre parti del mondo. Si raccomandava inoltre di allestire contingenti militari da utilizzare per la difesa continentale. I piani di difesa

8 Gordon-Connell-Smith, op. cit., pp. 229 e ss. e pp. 243 e ss.

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del continente da sottoporre ai governi interessati furono affidati a una Giunta Interamericana di Difesa.

Quanto alle questioni economiche, la riunione riconobbe la necessità di creare le condizioni per un adeguato sviluppo delle economie americane, di consolidare la sicurezza interna e di aumentare le capacità di difesa individuale e collettiva dei paesi latinoamericani. Fu ribadito l’impegno dei paesi del continente di collaborare attivamente in tutti i settori economici, nel miglioramento dei trasporti e delle condizioni dei lavoratori9.

I risultati pratici furono però modesti. All’appoggio dato dai latinoamericani in un momento difficile per il governo di Washington non fece seguito una risposta adeguata statunitense e molte voci di protesta si levarono contro il crescente imperialismo “yankee”10.

La Decima Conferenza Interamericana servì a riaccendere un po’ di speranze America Latina. L’incontro si svolse a Caracas dal 1 al 28 marzo 1954, sotto una nuova amministrazione USA, guidata da Eisenhower, che aveva annunciato i propositi di migliorare i rapporti con il resto del continente11. Questo atteggiamento sembrò trovare conferma nelle affermazioni del Segretario di StatoFoster Dulles e nel viaggio in vari paesi latinoamericani affrontato dal fratello Milton. In questo viaggio durato 36 giorni ebbe modo di confrontarsi con presidenti e ministri latinoamericani e il 18 novembre 1953 presentò un rapporto della sua esperienza con accurate descrizioni degli stati d’animo incontrati nel subcontinente e dei motivi di incomprensione con il potente stato del nord. Il rapporto suggeriva anche le misure da adottare per riconquistare la fiducia perduta, in particolare suggerì e sottolineò l’importanza data in Sudamerica alla cooperazione economica e a tutte le misure capaci di migliorare l’economia e i servizi di questi paesi.12 Il rapporto colpì molto il governo americano e suscitò scalpore ma non fu seguito da cambiamenti sostanziali di una politica estera troppo impegnata a far fronte alla minaccia comunista.

A Caracas si ripeteva quella differenza di visioni, già evidenziata a Bogotà e Washington, e destinata a diventare un punto fermo per lungo tempo: gli Stati Uniti erano preoccupati di mantenere lontano dal continente ogni ideologia sovversiva contro cui prospettavano un intervento militare; i paesi latinoamericani, privi di interessi extracontinentali erano convinti che la maniera più efficace di risolvere i problemi fosse quella di sradicare miseria, ignoranza, malattie e sperequazioni sociali creare adeguate condizioni di vita nel continente. A Caracas prevalsero però gli USA, riuscendo a far appoggiare le proprie tesi e mostrando scarso interesse per le proposte avanzate da altre delegazioni. Il Segretario di Stato, Foster Dulles, fu il vero protagonista dell’incontro riuscendo a conciliare una dura condanna della penetrazione comunista con concetti cari ai latinoamericani come il principio di non intervento e l’autodeterminazione dei popoli. Nel farlo si appellò direttamente alla dottrina Monroe, dichiarando che aveva cessato di essere una politica unilaterale statunitense per diventare un principio valido in tutto l’emisfero. Per placare le proteste di alcuni delegati che vedevano nelle dichiarazioni di Dulles una possibile violazione del non intervento, il Segretario fece aggiungere alla risoluzione sul comunismo un paragrafo finale secondo cui “la dichiarazione di politica estera formulata dalle Repubbliche americane in relazione ai pericoli extracontinentali mira

9 Acta final de la IV Reuniòn Consultiva de Ministros de Relaciones Exteriores. Serie sobre

Conferencias y Organismos. Numero 13. Uniòn Panamericana. Washington 1951. Ris. I,II,III, XII. In www.oas.org

10 Cercare riferimento frus 1951 11 The Tenth Inter-American Conference (Caracas March 1-28, 1954), in DAFR 1954, pp. 407-414

12 D. Eisenhower, Gli anni della Casa Bianca, Arnoldo Mondatori Editore, 1964, pp. 541-557

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a proteggere e non a diminuire l’inalienabile diritto di ogni stato americano di scegliere liberamente la propria forma di governo”13.

Diciotto delegazioni votarono a favore della Dichiarazione di solidarietà per la preservazione dell’integrità politica degli Stati americani contro l’intervento del comunismo internazionale, il Guatemala si oppose e il Messico e l’Argentina si astennero. Il documento stabiliva che: il comunismo internazionale per sua natura antidemocratico e incline a intervenire negli affari interni di uno stato non è compatibile con il concetto di libertà americana; il carattere aggressivo del movimento comunista internazionale costituisce una minaccia per le istituzioni, la pace e la sicurezza degli stati americani; il dominio delle istituzioni politiche di qualsiasi stato americano da parte del movimento comunista internazionale, costituisce una minaccia alla sovranità politica degli stati americani, mette in pericolo la pace nelle Americhe e richiede la convocazione di una Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri.

La Conferenza adottò un’ulteriore risoluzione che ribadiva questi principi: la Dichiarazione di Caracas. Nella dichiarazione si riaffermava il diritto di ogni stato americano di scegliere liberamente le proprie istituzioni, raggiungere l’indipendenza economica e decidere la propria vita sociale e culturale. Veniva ribadita anche la convinzione degli stati americani che uno dei mezzi più efficaci per consolidare le istituzioni democratiche consiste nel rafforzare il rispetto dei diritti individuali e sociali dell’uomo e nell’adottare un apolitica di benessere economico e giustizia sociale. Per dare effettivo corso alla collaborazione annunciata, la conferenza formulò una serie di raccomandazioni per intensificare il commercio interamericano; ridurre le restrizioni alle importazioni; creare condizioni favorevoli all’aumento di investimenti da parte di capitali sia pubblici che privati; realizzare riforme agrarie e programmare lo sviluppo economico14.

Dei punti sopra annunciati si stabilì che si sarebbe occupata una Riunione dei Ministri Economici da tenersi a fine anno a Rio de Janeiro.

Oltre a trattare gli aspetti economici citati la conferenza adottò due importanti convenzioni. La prima riguardava l’asilo politico e stabiliva che: l’asilo diplomatico è concesso a persone perseguitate per motivi o delitti politici; la concessione dell’asilo è facoltà dello stato ospite che non è obbligato a concederlo né a giustificare il rifiuto; sono escluse le persone condannate per delitti comuni da tribunali ordinari competenti; la determinazione della natura politica del delitto corrisponde allo stato che concede l’asilo15.

L’altra convenzione riguardava invece l’asilo territoriale e stabiliva che: ogni stato ha il diritto di ammettere nel proprio territorio le persone che ritenga conveniente, senza che tale atto possa dar motivo a reclami da parte di altri stati; nessuno stato è obbligato a consegnare o espellere persone perseguitate per motivi politici, a richiesta dello stato interessato, lo stato ospite può disporre la vigilanza o l’internamento, a prudente distanza dalla frontiera, di quei rifugiati politici che fossero noti dirigenti di movimenti sovversivi; le libertà di espressione, riunione o associazione riconosciute ai propri abitanti del paese ospite e di cui si avvalga il rifugiato non può essere motivo di reclamo, salvo sia utilizzata per promuovere l’uso della forza16.

13 Ibidem 14 Ibidem, p. 414 15 Convention on Diplomatic Asylum, in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-46.html,

sito dell’OAS 16 Convention on Territorial Asylum, in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-47.html, sito

dell’OAS

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In adempimento alla risoluzione di Caracas si svolse a Rio de Janeiro la Riunione dei Ministri Economici dal 22 novembre al 2 dicembre 1954. Il carattere tecnico di questa riunione faceva sperare di ottenere migliori risultato rispetto a Bogotà, Washington e Caracas. Nel discorso di benvenuto il Presidente brasiliano, invitò i delegati a impegnarsi al massimo per dare avvio una cooperazione economica di ampio respiro. La risposta statunitense, per bocca del Segretario di Stato Humprey, si limitò ad assicurare concessioni di credito più ampie e celeri e ad aprire una linea di credito a media scadenza da parte dell’Export Import Bank per l’esportazione di macchine industriali.

Si trattava ovviamente di palliativi che non andavano a fondo nella questione per la quale era invece necessaria l’adozione di una politica che assicurasse prezzi remunerativi ai prodotti latinoamericani e assistenza economica. La delusione delle delegazioni latinoamericane per l’atteggiamento statunitense causò un’ulteriore deterioramento dei rapporti17.

Il 130° anniversario del Congresso di Panama apparve l’occasione propizia per rilanciare la solidarietà continentale. Il Consiglio dell’OSA aveva deciso di tenere a Panama una seduta commemorativa e il Presidente del Panama invitò tutti i capi di stato delle Repubbliche americane per discutere questioni di comune interesse. Dal 18 al 22 luglio 1956 si tenne una riunione informale di 19 capi di stato (assenti Colombia e Honduras), che culminò con la firma di un documento noto come Dichiarazione di Panama. Il documento ribadiva l’appoggio alla cooperazione interamericana, dava atto dell’opera dell’OSA per assicurare la pace e la sicurezza del continente, riaffermava l’avversione degli stati americani ad ogni forma di totalitarismo. Ancora una volta venne data enfasi allo sviluppo economico: “la piena realizzazione del destino delle Americhe è inseparabile dallo sviluppo economico e sociale dei suoi popoli e rende necessario intensificare gli sforzi nazionali e di cooperazione interamericana per risolvere i problemi economici ed elevare le condizioni di vita del continente”18.

Il Presidente Eisenhower per tradurre in pratica questi propositi invitò i capi di stato a nominare un rappresentante per un comitato incaricato di studiare i problemi economici del continente. Le raccomandazioni di questo comitato furono la base delle deliberazioni della Conferenza Economica Interamericana che si svolse a Buenos Aires dal 15 agosto al 4 settembre 1957. La conferenza era stata decisa a Bogotà, ma vari motivi ne avevano impedito la realizzazione.

Poiché in questo frattempo gli accordi economici di Bogotà avevano rilevato la loro inadeguatezza si decise di stipulare una Convenzione Generale Economica che rispondesse meglio alle mutate condizioni continentali.

Le delegazioni latinoamericane si riproponevano di ottenere dagli Stati Uniti prezzi stabili e remunerativi per le loro materie prime, consistenti prestiti per l’industria, contributi per l’istituzione di una banca interamericana dedicata allo sviluppo dell’America Latina e aiuto per la creazione di un mercato comune latinoamericano. Ancora una volta l’atteggiamento degli USA rivelò che la loro politica economica verso il continente non era cambiata.19

Nei loro interventi, il Presidente dell’Argentina, Pedro Eugenio Aramburu, e il Segretario dell’OSA, Mora, dopo aver deplorato taluni mali dell’America Latina auspicarono che i problemi fossero risolti fra le nazioni “sorelle” come si trattasse

17 J. Lloyd Mecham, op. cit., pp. 373-374 18 Panama Meeting of the President of the American Republics and Meetings of the Inter-American

Committee of Presidential Rapresentatives, Inter-American Yearbook (1955-1957). Pan American Union, Washington 1958, p.92 19 The Economic Conference of the Organization of American States, Held in Buenos Aires, Argentina, Auust 15-September 4, 1957, in FRUS 1955-57, volume VI, Washington 1987, pp. 497-580.

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della difesa del continente sottolineando l’inseparabilità della collaborazione politica da quella economica. Le risposte ricevute dal Segretario del Tesoro americano provocarono molta amarezza tra i Latinoamericani e alla fine non si giunse alla firma della Convenzione ma solo alla Dichiarazione Economica di Buenos Aires, ennesima dichiarazione di principi scarsamente vincolante per gli Stati Uniti. La affermazioni di massima contenute assomigliavano a quelle ripetute in precedenti riunioni che finivano per rimanere lettera morta a causa della scarsa volontà politica dei governi interessati.

Il progressivo deterioramento dei rapporti nord-sud raggiunse dopo Buenos Aires il suo punto più basso. Il panamericanismo era in crisi: l’OSA incapace di rispondere adeguatamente ad una delle esigenze latinoamericane sembrava giunta a un punto morto.

4.3 Il viaggio di Nixon in America Latina Nel 1958 il vicepresidente Nixon compì un viaggio in America Latina durante

il quale si ebbe modo di verificare l’avversione che questa parte del continente nutriva ormai verso gli Stati Uniti.

L’occasione era fornita dalla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente dell’Argentina, Arturo Frondizi. Il governo argentino aveva invitato numerose delegazioni a partecipare all’evento, gli Stati Uniti affidarono la propria al vicepresidente che era a capo di un gruppo di alti funzionari. Prima tappa del viaggio fu l’Uruguay. Pur essendo un paese che intratteneva buoni rapporti con gli Stati Uniti l’accoglienza riservata alla delegazione fu particolarmente fredda e in alcuni casi ostile, ci furono numerose dimostrazioni di piazza che invitarono Nixon a tornare al proprio Paese. La visita procedette senza intoppi in Argentina e in Paraguay, nel primo caso le circostanze particolari scongiurarono ogni dissenso, nel secondo, il paese era retto da un regime che non permetteva aperte manifestazioni. Gravi episodi si verificarono invece, in Bolivia e in particolare a Lima in Perù. Qui gruppi gli studenti impedirono l’ingresso di Nixon all’università San Marcos e arrivarono a colpire e ferire il vicepresidente con una pietra. La bandiera americana che era stata piazzata dallo stesso Nixon sulla statua di S. Martin fu fatta a pezzi20.

Gruppi di manifestanti, definiti dal governo americano una minoranza comunista, protestarono pubblicamente accusando gli Stati Uniti di praticare imperialismo economico, rallentare lo sviluppo e appoggiare i regimi dittatoriali21.

In Venezuela gli incidenti assunsero dimensioni preoccupanti. Durante la visita a Caracas la macchina sulla quale viaggiava Nixon venne fermata e assalita da una folla di circa 4000 persone, il finestrino venne rotto e la stessa sicurezza personale del vicepresidente corse seri pericoli. La delegazione dovette rifugiarsi presso l’ambasciata americana e la folla manifestò diverse ore fin quando venne dispersa dalle truppe venezuelane22. Intanto dagli Stati Uniti era stato dato l’ordine di piazzare truppe di marines vicino a Caracas pronte ad intervenire qualora si fosse reso necessario. Fortunatamente il pericolo di un intervento armato venne scongiurato, ma

20 Memorandum from the Acting Assistent Secretary of State for Inter-American affairs (Snow) to

the secretary of State. In FRUS 1958-1960, Volume V American Republics. 21 Ibidem. 22 Memorandum of a Telephone Conversation Among the Minister-Counselor of the Embassy in

Venezuela (Burrows), the assistano Secretary of State for Inter-american Affairs (Rubottom) in Caracas, and the deputy Directorof the south American Affairs (Sanders) in Washington, May 13, 1958, 2 p. m..In FRUS 1958-1960, Volume V American Republics.

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il fatto stesso di aver piazzato dei marines armati e pronti a intervenire suscitò gravi reazioni in tutta l’opinione pubblica sudamericana.

Il viaggio indusse Washington a impegnarsi a rivedere la propria politica verso il continente.23 Le dichiarazioni ufficiali parlavano sempre in termini di manifestazioni legate a gruppi minoritari di orientamento comunista, ma fu Nixon stesso, a sottolineare l’inadeguatezza di certe politiche e ad auspicare a un cambiamento di rotta che valorizzasse i rapporti con l’America Latina. Nella relazione conclusiva, Nixon, sottolineò che i latinoamericani erano pronti a instaurare rapporti amichevoli con gli Stati Uniti molto più che con la Russia, il vero problema era il modo di coltivare al meglio questa relazione ricordando che la minaccia comunista era al tempo più grave che mai. L’America del Sud era talmente stanca dei regimi dittatoriali che volgeva naturalmente lo sguardo al comunismo, per questo la battaglia, andava giocata nel campo della propaganda, conquistando le masse studentesche e sapendo che molti latinoamericani non facevano distinzione tra il capitalismo americano e il vecchio capitalismo imperialista. Nixon promosse quindi una politica di compromesso che non fosse ostile né ai dittatori né ai governi rappresentativi24. Ad analoghe conclusioni giunse il Presidente Eisenhower, che effettuò un viaggio alcuni mesi dopo. Era giunto il momento per gli Stati Uniti di riallacciare i rapporti con questa parte del continente e di instaurare una nuova era di relazioni basate sulla comprensione reciproca.

4.4 Operazione Panamericana Del clima generale creato dagli avvenimenti del viaggio di Nixon, seppe

approfittare il Presidente del Brasile, Juscelino Kubitschek, per rilanciare l’idea del panamericanismo.

In una lettera indirizzata al Presidente Eisenhower il 28 maggio 1958 si espresse nei seguenti termini: “Gli spiacevoli avvenimenti hanno dimostrato che non ci si capisce a vicenda in questo continente. E’ giunto il tempo di chiederci se tutti noi stiamo facendo il massimo per difendere i nostri sentimenti, aspirazioni, interessi, di fronte e una grave situazione internazionale. La mia profonda convinzione è che qualcosa vada fatta per ricomporre l’unità continentale…e affinché questi sforzi siano perfetti e duraturi dobbiamo fare un esame di coscienza e chiederci se ci troviamo sulla giusta strada per il panamericanismo”25.

L’appello venne ribadito anche agli altri capi di Stato del continente incontrando opinioni favorevoli, anche perché proveniva da uno dei più importanti paesi dell’America Latina, da sempre legato agli Stati Uniti da vincoli di amicizia

Dopo una breve visita di Foster Dulles a Brasilia, culminata con la firma della Dichiarazione di Brasilia, fu convocata a Washington una riunione non ufficiale dei Ministri degli Esteri per discutere come dare corso all’operazione. Dato il carattere informale dell’incontro le discussioni si svolsero in un clima di grande franchezza.

Lo stesso Dulles affermò: “Dichiro serenamente che sono andato alla conferenza con molta trepidazione e con preoccupazione riguardo a ciò che sarebbe potuto nascere dal nostro incontro. E i risultati alla fine sono stati completamente diversi da

23 United States policy regarding certain political developments in the Caribbean and Central American Area, in FRUS 1958-60, volume V, Washington 1991, pp. 357-459.

24 Memorandum of Discussion at the 366th meeting of the National Security Council, Washington, May 22, 1958, in FRUS 1958-1960, Volume V American Republics.

25 President Kubitschek’s proposal for strngthening of Inter-American Relations.- Correspondence with President Eisenhower, in Keesing’s contemporary Archives, Volume 1959-1960

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quanto previsto.[…] La gente ha parlato con molta franchezza e con il massimo rispetto, l’atmosfera era di grande solidarietà e inusuale per questo genere di incontri”.26

Le discussioni dei Ministri degli Esteri si basarono su un memorandum del Presidente Kubitschek, intitolato appunto, “Operazione Panamericana”, che delineava gli argomenti di maggior interesse economico nei campi degli investimenti pubblici e privati, assistenza tecnica, controllo dell’inflazione, stabilizzazione dei prezzi di esportazione, l’impatto del Mercato Comune Europeo e la possibilità di realizzare un simile mercato in America Latina. Ci furono, inoltre, molte discussioni riguardo al ruolo generale delle Repubbliche americane, in particolare l’obbligo degli Stati Uniti di consultarsi con i propri alleati prima di muovere ogni passo, come per le decisioni che erano state recentemente prese in Medio ed Estremo Oriente27.

Dulles sottolineò il successo dell’incontro e riportò che i Ministri degli Esteri presenti rimasero stupiti dal numero di progetti e di discussioni affrontate in un incontro durato appena un giorno e mezzo. Dulles attribuiva questi risultati, in particolare, al carattere informale dell’incontro e al fatto che non avesse un grande eco nella stampa locale. Altri osservatori attribuirono almeno altrettanta importanza ai toni e all’atteggiamento aperto degli Stati Uniti.

Incoraggiati dai toni rassicuranti dello stesso Eisenhower, che assicurava che gli Stati Uniti avrebbero garantito le piena cooperazione nel raggiungimento di obiettivi concreti, i Ministri degli Esteri intrapresero tre azioni importanti: chiesero al Consiglio dell’Organizzazione degli Stati Americani di creare un Comitato dei Ventuno per approfondire l’esame delle misure di cooperazione economica; chiesero al Consiglio Interamericano Economico-Sociale ( CIA-ECOSOC un organo del consiglio dell’OSA), la convocazione di un comitato speciale per la formulazione di un progetto di istituzioni economiche per il Comitato dei Ventuno; richiesero azioni concrete per realizzare mercati regionali comuni per il Centro e Sudamerica28.

La conferenza si chiuse con i toni cordiali con i quali era cominciata, ma per i Ministri presenti fu più un’occasione per elaborare buoni principi che per delineare azioni reali. La prova se quanto stabilito era valido si sarebbe potuta avere nella riunione che il Comitato dei Ventuno tenne a Washington dal 17 novembre al 12 dicembre 1958. Fu in questa occasione che gli Stati Uniti delinearono più chiaramente il loro punto di vista sulla natura e le funzioni della Banca interamericana. L’incontro fu anche l’occasione per gli Stati Uniti di chiarire la loro posizione riguardo al problema dei prezzi di mercato dei prodotti di base. Secondo Dulles il Sudamerica non poteva affidarsi unicamente agli aiuti esterni, ma dovevano essere le politiche economiche di ciascun paese e gli investimenti privati il vero motore dello sviluppo, in questo quadro si sarebbe inserita in forma ausiliaria l’azione della Banca Interamericana. Il nuovo atteggiamento verso i vicini si stava pian piano delineando. Milton Eisenhower si espresse così al ritorno dalla sua missione in America Centrale: “Raccomando che le nazioni latinoamericane e gli Stati Uniti rivedano le loro attitudini e le loro politiche reciproche e cerchino costantemente di rafforzare le loro relazioni economiche, culturali e politiche per il loro stesso interesse”. Raccomandò anche un nuovo atteggiamento verso le dittature sudamericane, adottando i

26 The Inter-American System. Its development and Strengthening, Oceana Publications, New York,

1966, pp. 209-214 27 Meeting of the Foreign Minister of the American Republics, Washington, September 23-24, 1958,

in DAFR1958, pp. 511-515 28 Ibidem

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suggerimenti del vicepresidente Nixon che aveva affermato: “Dobbiamo avere un abrazo per i leader democratici e una formale stretta di mano per i dittatori”29.

4.5 La Seconda conferenza del Comitato dei Ventuno (1959) e

l’Atto di Bogotà (1960) I risultati di Washington furono discussi e approfonditi nella Seconda Riunione

del Comitato dei Ventuno che si tenne a Buenos Aires dal 27 Aprile all’8 maggio 1959. Nel frattempo la questione della creazione di una Banca Interamericana di Sviluppo era stata affrontata da un altro gruppo dei ventuno, costituito da esperti di finanza che si incontrarono a Washington dall’8 gennaio all’8 aprile 1959 per preparare un accordo adeguato30.

Ora che gli Stati Uniti si erano mossi nella direzione che i latinoamericani attendevano da cinquant’anni, la questione più importante era stabilire le finanze a disposizione di quest’organo. Si arrivò a stabilire la cifra di 1 miliardo di dollari destinati a piani di riforme e prestiti per operazioni commerciali. La Banca cominciò a funzionare il 30 dicembre 1959 essendo stata ratificata la Carta da 18 Paesi che rappresentavano l’87% del capitale.

L’incontro del Comitato dei Ventuno che si tenne a Buenos Aires costituì un’ulteriore occasione di confronto per i paesi del Sudamerica. Tra le trentatré risoluzioni adottate dal Comitato e successivamente ratificate dal Consiglio dell’OSA, una delle più importanti prevedeva uno studio paese per paese delle necessità e possibilità di sviluppo economico, e stabiliva il principio che ogni crisi economica che potesse seriamente compromettere il processo di sviluppo di un qualsiasi stato Americano al punto da minacciare la pace sociale e il benessere dei cittadini dovesse essere considerato un problema prioritario per tutto gli altri paesi. A tale scopo veniva stabilito che un Consiglio dei Ministri degli Esteri si sarebbe riunito ogni qual volta un problema non potesse essere risolto dal singolo paese interessato.

Un altro argomento molto importante che vene trattato in quella sede fu quello della creazione di mercati regionali e subregionali sulla base di quello esistente tra i cinque paesi centroamericani e si auspicava a una progressiva liberalizzazione del commercio latinoamericano31.

Alla riunione di Buenos Aires aveva partecipato il Primo Ministro cubano, Fidel Castro, che aveva sorpreso le delegazioni con la sua richiesta di un Piano Marshall di dieci ani per l’America Latina per una spesa complessiva di trenta miliardi di dollari.

Ancora coperto dalla gloria della sua vittoria contro il regime di Batista, Castro fu accolto a Buenos Aires con simpatia. Era guardato con ammirazione da vasti strati del continente, soprattutto da taluni settori che vedevano in lui il rivendicatore appassionato dell’indipendenza politica e dell’autonomia dell’America Latina “dall’imperialismo di Washington”, nonché l’assertore dei diritti del sottoproletariato a lungo repressi dai governi conservatori e dalle dittature militari.

Per cercare di neutralizzare l’influenza politica che l’esperienza cubana cominciava ad esercitare sul resto del continente, il Presidente Eisenhower realizzò,

29 Report by the Rappresentative of the President (Milton Eisenhower), December 27, 1958, in

DAFR 1958 30 Second Meeting of the Special Committee of the Inter-American Economic and Social Council to

Study the Formulation of New Measures for Economic Cooperation, Buenos Aires, April 27-May 8, 1959, in DAFR 1959

31 Elba Kybal, Los Veinteuno en Buenos Aires, Revista Americas, Union Panamericana, Washington, vol. II N° 8 agosto 1959, pp. 9-13

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un viaggio in diversi paesi latinoamericani. Le accoglienze furono diverse da quelle ricevute da Nixon, essendo in via di ripresa le relazioni con l’America Latina per la maggiore volontà di cooperazione che gli Stati Uniti avevano cominciato a dimostrare negli ultimi tempi in campo economico. Durante il viaggio discusse con gli altri capi di stato i diversi aspetti delle relazioni interamericane, tanto in campo politico quanto in quello economico-sociale e assicurò la collaborazione del suo paese.

Pochi mesi dopo, Eisenhower, ottenne dal Congresso l’autorizzazione per l’istituzione di un Fondo Speciale per il Progresso Interamericano di 500 milioni di dollari destinati a finanziare un programma di riforme sociali ed educative32.

Ulteriore occasione di approfondimento della collaborazione interamericana fu la Terza Riunione del Comitato dei Ventuno, ufficialmente chiamato Comitato Speciale del Consiglio dell’OSA per lo Studio di Nuove Misure di Cooperazione Economica, si tenne a Bogotà dal 5 al 13 settembre 1960. Le deliberazioni di questo incontro culminarono nell’atto di Bogotà che rappresentò l’atto di appoggio più forte all’Operazione Panamericana.

L’Atto dichiarava che per lo sviluppo dell’America Latina era necessaria un’azione immediata nel quadro dell’Operazione Panamericana e riconosceva la necessità di crediti a lunga scadenza per promuovere tale sviluppo. Particolarmente apprezzate dagli Stati Uniti furono le raccomandazioni fatte ai singoli paesi: si segnalò l’urgenza di interventi per equilibrare la bilancia dei pagamenti dei paesi che dipendevano soprattutto dall’esportazione dei prodotti di base; venne dato rilievo alla previdenza sociale; si auspicò una razionale riforma agraria e programmi per un migliore sfruttamento della terra; infine si sottolineò l’urgenza di finanziare piani di ricostruzione case, di lotta all’analfabetismo, di promozione della formazione primaria e di riforma sanitaria.

Per l’attuazione di tutti questi progetti il Segretario di Stato, Douglas Dillon, a capo della delegazione americana, offrì il Fondo di 500 milioni di dollari, messo a disposizione precedentemente dal Congresso e ne affidò l’amministrazione alla Banca Interamericana di Sviluppo.

4.6 L’Alleanza per il Progresso e la conferenza di Punta del Este

(1961) I nuovi orientamenti della politica di Washington che avevano iniziato a

manifestarsi negli ultimi anni della presidenza Eisenhower, come conseguenza del viaggio di Nixon e delle iniziative di Kubitschek, divennero più effettivi a partire dalla presidenza Kennedy. Il nome e i principi del programma chiamato Alleanza per il Progresso fecero la prima comparsa nel testo della campagna elettorale per la presidenza pronunciato a Tampa, in Florida. Per Kennedy l’America Latina e i rapporti con questa parte del continente rappresentavano la priorità del suo programma elettorale.

La data ufficiale della nascita del progetto fu il 13 marzo 1961, quando il Presidente convocò nella sala Est della Casa Bianca gli ambasciatori dell’America Latina. “La nostra missione per l’emisfero non è ancora completa”,disse, “il nostro compito è quello di dimostrare al mondo intero che le aspirazioni insoddisfatte dell’uomo per il progresso economico e la giustizia sociale possono essere realizzate più facilmente da uomini liberi che lavorano nell’ambito di istituzioni democratiche. Se siamo in grado di realizzare questo nel nostro emisfero e per la nostra gente

32 J. Lloyd Mecham, op. cit., pp. 383-384

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possiamo realizzare la profezia del patriota messicano, Benito Juarez: la democrazia è il destino futuro dell’umanità”33. Il programma proposto si articolava in dieci punti da portare avanti nell’arco di dieci anni. Un progetto molto ambizioso che toccava tutti gli aspetti, dall’economico al sociale. L’obiettivo era di fare degli anni ’60 una decade di grande progresso democratico. “Se avremo successo, se i nostri sforzi saranno abbastanza audaci e abbastanza determinati allora la fine di questo decennio segnerà l’inizio di una nuova era nella storia americana. Gli standard di vita di ogni famiglia americana saranno cresciuti, la fame sarà un’esperienza dimenticata, l’educazione di base sarà per tutti, il bisogno di massicci aiuti esterni sarà terminato, la maggior parte delle nazioni saranno entrate in un periodo di crescita autonoma, sebbene ci sarà ancora molto da fare, ogni Repubblica americana, sarà la padrona della propria rivoluzione, delle proprie speranze e del proprio progresso”34.

Il programma venne accolto con favore nel Continente, il quale intravedeva nell’Alleanza per il Progresso il Piano Marshall per l’America Latina. Per dare il via al suo Piano Kennedy propose che si riunisse nell’ambito dell’OSA, una Conferenza Economica con la partecipazione di tutti i Paesi del Continente. Suddetta conferenza, convocata dal Consiglio Interamericano Economico e Sociale (CIA- ECOSOC), si tenne a Punta del Este in Uruguay dal 5 al 17 agosto 1961, con la partecipazione di oltre 300 delegati35.

Il 5 agosto incominciò quindi per il Consiglio Interamericano Economico e Sociale, la riunione dei Ministri, che segnava non solo la data ufficiale di inizio del “Decennio di Sviluppo” per l’America Latina, ma anche la possibilità di confrontarsi sui problemi del Continente tra cui Cuba e la minaccia comunista. Numerosi erano infatti gli avvenimenti che ci si aspettava potessero influenzare l’andamento della Conferenza. Anche senza menzionare Cuba, basti pensare agli avvenimenti delle due parti dell’isola di Hispaniola, vale a dire Haiti e la repubblica Dominicana, colpite entrambe da sconvolgimenti politici interni che verranno trattati maggiormente nel prossimo capitolo.

Kennedy aveva pensato di recarsi di persona a Punta del Este e nel viaggio fare visita ai Presidenti Qadros e Frondizi. Venne però trattenuto a Washington dalla crisi di Berlino e dai problemi dei bilanci sugli aiuti esteri, affidò perciò la guida dell’ampia delegazione americana al Segretario del Tesoro Douglas Dillon. Gli obiettivi degli Stati Uniti a Punta del Este erano già stati anticipati per molti aspetti in vari contatti con i governi degli stati americani e furono ulteriormente ribaditi in un messaggio speciale del Presidente per il Segretario Dillon che segnava le linee guida da seguire. In sostanza il compito principale dal punto di vista di Washington era quello di disegnare piani dettagliati, definire obiettivi e scegliere gli strumenti per una rivoluzione controllata in America Latina, che agli occhi degli Stati Uniti almeno, rappresentava l’obiettivo principale del programma dell’Alleanza per il Progresso36. In contrasto con le esperienze delle precedenti conferenze economiche interamericane, le delegazione USA a Punta del Este si mostrò disposta e addirittura desiderosa di parlare di progetti ben definiti. L’obiettivo di fondo, suggerì Dillon, era quello di una crescita notevole in campo economico per tutta l’America Latina37.

33 Address by President Kennedy at a White House Reception, March 13,1961. In DAFR 1961.

Council on Foreign relations, 1962, p. 395 34 Ibidem. 35 The Inter-American Economic and Social Conference, Punta del Este, Uruguay, August 5-17,

1961. In DAFR 1961, pp. 408-433 36 Alliance for Progress, in FRUS 1961-63, volume XII, Washington, 1991, pp. 1-170

37 The Inter-American System. Its development and Strengthening, Oceana Publications, New York, 1966, pp. 209-214

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Come obiettivo per ogni Paese sudamericano, il segretario propose, un tasso di crescita pro capite annuo non inferiore al 10,5 per cento, un traguardo minimo se il decennio voleva davvero offrire un miglioramento sensibile negli standard di vita. Dillon intraprese anche una complicata operazione di calcolo dell’ammontare di capitali esterni disponibili per integrare gli sforzi dei Paesi latinoamericani nell’arco del decennio38.

Tenendo conto delle risorse di finanziamento esterno, dal nord America, Europa e Giappone , così come delle Istituzioni internazionali, prospettò un ammontare totale non inferiore ai venti miliardi di dollari, la maggior parte dei quali provenienti da risorse pubbliche. A prescindere dalle incertezze sul futuro degli aiuti esterni degli Stati Uniti, Dillon sottolineò che gran parte degli aiuti sarebbe stati proprio forniti dal suo governo. “Gli Stati Uniti hanno già triplicato gli aiuti allo sviluppo dell’America Latina rispetto agli anni precedenti” affermò il Segretario di Stato39.

Dillon elencò un’altra serie di azioni che gli Stati Uniti erano disposti a portare avanti nonostante l’opposizione degli anni precedenti. In particolare le misure rivolte a rafforzare, stabilizzare e allargare i mercati per le esportazioni del sudamerica costituivano parte integrante dell’Alleanza per il Progresso. Gli Stati Uniti si impegnavano anche a cooperare nelle ricerca di soluzioni praticabili nel campo delle materie prime e a stimolare l’attività delle istituzioni internazionali in quel settore. Riguardo al caffè, ad esempio, propose un nuovo accordo internazionale che riunisse insieme sia i paesi esportatori sia quelli importatori e promise che gli USA sarebbero stati pronti ad entrare nell’accordo impegnandosi in una politica di stabilizzazione dei prezzi attraverso i controlli sulle importazioni. Dillon rinnovò inoltre l’impegno del governo nella ricerca di un equo trattamento per i prodotti latinoamericani nei mercati europei.

Gli stati Uniti allo stesso tempo richiesero ai propri partner sudamericani un notevole sforzo, non solo dal punto di vista economico e di pianificazione a lungo termine, ma soprattutto per far si che i traguardi una volta raggiunti fossero estesi a tutta la popolazione. “Noi diamo il benvenuto a una rivoluzione di aspettative crescenti tra la nostra gente e intendiamo trasformarla in una rivoluzioni di soddisfazioni crescenti”40, furono le parole testuali di Dillon. Riforma agraria, urbana, fiscale, miglioramento dell’istruzione e delle condizioni sanitarie, costruzione di alloggi, furono segnalati come i punti fermi da studiare e portare avanti immediatamente. Per far si che ogni nazione si impegnasse al meglio nel raggiungimento dei propri scopi, Dillon, propose la creazione di un comitato di esperti che rivedesse i vari piani di sviluppo nazionali e raccomandasse la corretta allocazione delle risorse esterne, fossero queste statunitensi o provenienti da altre istituzioni internazionali. In altre parole i soldi esterni non sarebbero stati spesi indiscriminatamente ma solo dopo previa autorizzazione di un programma in sintonia con gli obiettivi generali dell’Alleanza per il Progresso.

Si trattava di idee che ragionevolmente nessun paese si sentiva di rifiutare a priori, ma allo stesso tempo nessuno si sentiva disposto a portarle avanti in maniera che ledessero la sovranità nazionale o indebolissero la possibilità di usufruire di altri aiuti esterni.. La maggior parte dei Paesi latinoamericani espressero pareri favorevoli a un progetto di sviluppo vincolato a fondi provenienti dalla Banca Interamericana, verso la quale potevano esercitare una certa influenza, una piccola parte invece

38 Address by Secretary of the Trasury Douglas Dillon, Chairman of the United States Delegation,

August 7, 1961. In DAFR 1961, pp. 408-415 39 Ibidem 40 Ibidem

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timorosi di essere discriminati dai propri vicini, erano favorevoli a un consiglio indipendente slegato dalla Banca.

La questione fu infine risolta con la creazione di progetti opzionali di sviluppo elaborati da un gruppo di esperti responsabili verso la Banca, ma facendo salvo il diritto di ogni Paese di scavalcare questa procedura nel caso che ogni singolo paese fosse in grado di agire meglio per proprio conto.

Questo indebolimento del progetto originario fu in qualche modo caratteristico del cambio di orientamento dei programmi statunitensi che si verificò tra l’annuncio ufficiale del segretario Dillon, e l’incorporazione negli atti ufficiali della Conferenza conosciuti come Carta di Punta del Este, del 17 agosto 1961.

In generale le delegazioni si mostrarono sensibili all’impegno economico degli Stati Uniti stimato in 20 miliardi di dollari, ma allo stesso tempo timorosi di conseguenze non ben esplicitate da questo impegno. Molto del loro interesse tese a focalizzarsi nella possibilità di ottenere l’assegnazione di aiuti a breve termine da parte di un fondo speciale per le emergenze, che poteva raggiungere l’entità dei 150 milioni di dollari stanziati dagli Stati Uniti per questo fine. Dal punto di vista economico Dillon definì la conferenza un decisivo passo storico verso la realizzazione di obiettivi interamericani comuni: “Questa è l’Alleanza per il Progresso: un coraggioso e imponente sforzo per dare senso e dignità alla vita della nostra gente per dimostrare al mondo che la libertà e il progresso possono camminare mano nella mano”.

Dal punto di vista politico i risultati furono meno soddisfacenti per il governo degli Stati Uniti, nonostante i successi della delegazione nell’evitare problemi sui punti fondamentali. Se gli Stati Uniti avessero voluto unicamente archiviare il caso cubano e concentrarsi nel rinsaldare i rapporti con i propri vicini certamente si poteva parlare di successo, ma come già annunciato le risoluzioni di Punta del Este erano viste a Washington non solo come il punto di inizio dell’Alleanza per il Progresso, ma anche come un passo essenziale verso un’azione Interamericana per il problema Cuba.41

Cuba infatti lungi dal trovarsi isolata, seppe sfruttare l’occasione per riavere credito politico da parte dei vicini latinoamericani. Niente era più lontano nelle intenzioni degli USA che dare il benvenuto alla Cuba Castrista come membro dell’Alleanza per il Progresso. Ma l’abilità diplomatica del maggiore Ernesto Che Guevara e l’atteggiamento conciliante del Brasile e di alcuni altri Paesi che spingevano perché Cuba firmasse la Carta di Punta del Este riabilitarono il governo dell’Avana nella grande famiglia interamericana, nonostante non entrasse comunque a far parte di nessuna delle organizzazioni economiche interamericane che avrebbero gestito il programma. Per contrattaccare questa tendenza favorevole a Cuba, il Perù, il più influente tra i Paesi che muovevano delle critiche a Castro, iniziò un movimento contrario basato sulla Dichiarazione ai Popoli d’America che riproponeva i punti principali della Carta di Punta del Este, rafforzando i riferimenti ai principi democratici che erano stati violentemente ripudiati a Cuba. Alla fine per l’insistenza del governo brasiliano e di altri Paesi, il testo finale, nonostante riprendesse molti dei traguardi raggiunti dalla conferenza venne ripulito dai toni anticubani. Alla fine Che Guevara non firmò la Carta, ma ritornò sui suoi passi definendo l’Alleanza per il Progresso uno strumento dell’imperialismo economico americano. Dillon rispose che non ci sarebbero stati aiuti per Cuba fino a quando l’isola fosse rimasta sotto il controllo sovietico.

41 The Cuban question in Latin America, in FRUS 1961-63, volume XII, Washington 1996, pp. 250-355

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Certamente l’Alleanza rappresentava un notevole salto di qualità della politica di Washington verso i Paesi dell’America Latina, basti pensare ai 500 milioni di dollari offerti l’anno prima dagli Stati Uniti alla conferenza di Bogotà, contro i venti miliardi totali stanziati a Punta del Este. Era la prima volta che gli Stati Uniti davano in maniera sostanziale il loro aiuto per affrontare i secolari problemi dell’America Latina, mettendo in atto una collaborazione destinata ad avere profonde ripercussioni sull’assetto del Continente e sui rapporti nord-sud42.

4.7 Il primo quinquennio dell’Alleanza per il Progresso: il

fallimento del progetto. Il successo di un programma di tale portata non dipendeva solamente dagli aiuti

internazionali e dall’appoggio degli Stati Uniti, ma da una molteplicità di fattori, primo fra tutti la capacità dei singoli Paesi di aiutare se stessi a superare i mali che per decenni li avevano relegati ad un ruolo marginale. Il compito non era di facile realizzazione e per questo fin dal principio pose non pochi problemi all’Alleanza. In molti applaudivano gli sforzi fatti da Washington e la decisione dei Paesi latinoamericani di porsi sulla strada dello sviluppo, ma quello dei rapporti tra nord e sud era da sempre un problema complicato, aggravato dallo squilibrio delle forze in campo che non era facile ricomporre in poco tempo.

L’Alleanza per il Progresso dovette da subito affrontare molti problemi. Tra il 1961 e il 1963 una serie di colpi di stato militari rovesciarono i governi eletti costituzionalmente in sette paesi dell’America Latina e sfidarono in questo modo i principi stessi su cui si basava l’Alleanza. La risposta di Washington generalmente fu il non riconoscimento dei nuovi governi, interruzione dei rapporti diplomatici e sospensione degli aiuti economici. Alcuni governi latinoamericani appoggiarono questo tipo di politica, ma la maggior parte erano restii a partecipare a qualsiasi incontro o consultazione, invocando la tradizione interamericana della non interferenza negli affari interni di un altro paese. I Latinoamericani furono criticati dalla stampa nordamericana per la loro tolleranza dei regimi dittatoriali e al tempo stesso per la scarsa collaborazione nel boicottarli nonostante l’adesione ai principi democratici dell’Alleanza per il Progresso. La politica di Kennedy cambiò col tempo passando dal rifiuto totale dei regimi e l’interruzione degli aiuti in risposta ai golpe in Argentina, Perù, Guatemala e Honduras a una politica più pragmatica e vicina alla realtà43. Nel caso dell’Ecuador il nuovo governo fu riconosciuto poco tempo dopo il suo insediamento. In una dichiarazione al New York Herald Tribune de 6 ottobre 1963, l’Assistente Segretario di Stato per gli affari Interamericani Edward M. Martin condannò il colpo di Stato ma riconobbe che alcuni regimi militari avevano mostrato una leadership capace e responsabile (quello dell’Ecuador era tra questi)44.

Dopo la morte di Kennedy nel novembre del 1963 e la successione del vice Presidente Johnson, gli Stati Uniti non destituirono i dittatori né promossero la democrazia attraverso interventi e unilaterali. Thomas C. Mann, Assistente Segretario di Stato per gli Affari Interamericani, chiarì la posizioni dell’amministrazione in un discorso pubblico nel giugno 1964. Egli riaffermò l’impegno del governo nel

42 Per gli atti finali: The Charter of Punte del Este, signed August 17, 1961. in DAFR 1961, pp. 416-

432 43W. La Feber, Inevitable Revolution, W.W. Norton & Co., New York, pp. 150-156

44 Atkins; Latin American in the International Political System; The Free Press A division of Macmillan Publishing Co., Inc; New York, 1977 Pp. 109-111.

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promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani ma allo stesso tempo rifiutò ogni forma di intervento unilaterale degli Stati Uniti45.

Al fine di promuovere la democrazia Mann suggerì di intensificare i rapporti diplomatici e le azioni collettive. L’approccio dell’amministrazione Johnson verso i governi militari rifletteva la scarsa fiducia nella precedente politica e il bisogno crescente di realismo politico così come un atteggiamento ottimista verso il ruolo che i regimi militari potevano giocare nello sviluppo economico e sociale del Paese. Gli Stati Uniti affermarono che era possibile lavorare con i regimi militari anche qualora fossero corrotti o poco professionali tentando di trasformarli proprio attraverso la collaborazione46.

Sia Nixon che Ford, dopo di lui, mostrarono poca propensione a cambiare l’atteggiamento pragmatico versi i regimi militari che aveva condizionato i loro predecessori. L’amministrazione Nixon, come indicato dal Rockfeller Report del 1969, accettò chiaramente l’idea del “Nuovo Militare”: “Per dirla in breve, un nuovo tipo di militare sta venendo alla ribalta, diventando spesso il fattore più importante di cambio sociale nelle Repubbliche americane. Motivato da una crescente intolleranza verso la corruzione, inefficienza e stagnazione dell’ordine politico, il nuovo militare è pronto ad adattare le sua tradizionale autorità ai traguardi del progresso sociale ed economico”47.

4.8 La conferenza di Buenos Aires (1966) Dal 25 marzo al 2 aprile 1966 si tenne nella capitale argentina la Quarta

Riunione del Consiglio Interamericano Economico e Sociale a livello ministeriale, che fu preceduta da una riunione di esperti Tenutasi dal 16 al 25 marzo48. La Riunione aveva il compito tecnico di tracciare un bilancio dell’Alleanza per il Progresso a cinque anni dal lancio kennedyano.

Durante il dibattito furono messe in rilievo luci e ombre dei piani dell’Alleanza e si riaffermarono le esigenze fondamentali. Al di là delle affermazioni di principio e delle dichiarazioni ufficiali, i lavori evidenziarono una certa delusione per i risultati dell’Alleanza e rivelarono alcune dissonanze di base sull’esecuzione dei piani futuri. Il bilancio dei primi cinque anni dell’Alleanza furono così sintetizzati dal Presidente della Banca Interamericana di Sviluppo, Felipe Herrera: “I progressi ottenuti durante il primo quinquennio dell’Alleanza per il Progresso non toccano in profondità i fattori di ristagno, il cui superamento è indispensabile per modificare in forma sostanziale la realtà socioeconomica dell’America Latina”.

Dalla riunione emerse un quadro deludente e i latinoamericani rivolsero dure critiche al governo di Washington, accusandolo di inefficienze, lentezze e mancanza di coordinamento. Molti però, Messicani e Cileni in testa, attribuirono pesanti responsabilità anche all’America Latina in cui i ceti dominanti, caratterizzati da un forte conservatorismo avevano fino a quel momento sbarrato la strada ad ogni tipo di riforma. Da più parti si levarono voci di protesta contro la politica restrittiva e discriminatoria posta in pratica non solo dagli Stati Uniti ma anche dai Paesi del Mercato Comune Europeo contro il commercio dei prodotti di base latinoamericani, segnalando l’incidenza negativa di tali restrizioni sullo sviluppo della regione.

45 La Feber, op. cit., pp. 157-194 46 Ibidem

47 The Rockfeller report on the Americas; Quadrangle book of Chicago;1969 48 Bruno e Raffaele Campanella, op.cit.,pp.107-110

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Durante la conferenza emersero alcuni dei limiti precisi che causarono il fallimento dell’Alleanza: da un alto gli Stati Uniti agivano secondo una concezione assistenziale che impediva il disegno di dinamiche promozioni di sviluppo; dall’altra, le oligarchie latinoamericane strumentalizzavano a proprio vantaggio gli aiuti provenienti da Washington. Il Presidente dell’Argentina, Arturo Humberto Illia, nel discorso di chiusura, mise in luce la paradossale situazione che creava questo malfunzionamento: “Il deterioramento del commercio estero dell’America Latina è più accentuato proprio nei rapporti commerciali con il grande Paese che ci accompagna nello sforzo comune dell’Alleanza per il Progresso”. Il delegato di Washington, Lincoln Gordon, cercò di rassicurare i vicini del sud sulla bontà della politica del suo governo: “bisogna correggere l’errore che l’Alleanza per il Progresso sia solo una risposta agli avvenimenti di Cuba; […] il programma dell’Alleanza per il Progresso deve continuare ad avere negli Stati Uniti l’appoggio del Congresso, dei partiti politici e dell’opinione pubblica;[…] l’Alleanza per il Progresso deve continuare ad essere la pietra fondamentale della politica nordamericana nell’emisfero occidentale […]; non devono essere interpretate come differenze di politica o di principi le temporanee divergenze di opinioni sui termini precisi in cui devono essere concretate le obbligazioni contenute nei trattati, tenendo conto delle speciali procedure e delle esigenze costituzionali degli Stati Uniti; […] bisogna lavorare tutti entro la cornice dei principi precedentemente elencati per sviluppare programmi di azione concreti al fine di portare avanti l’impresa comune”49.

Nonostante il quadro deludente, i delegati tentarono di apportare elementi nuovi all’Alleanza per renderla più efficace: questi tentativi si concretizzarono in un documento chiamato “Programma di azione di Buenos Aires per l’Alleanza per il Progresso”, i cui punti più importanti del documento erano: stimolare la crescita e la mobilitazione del risparmio privato; adottare misure in materia di spese pubbliche e in campo tributario per aumentare i mezzi pubblici destinati agli investimenti; adottare misure di sviluppo per l’agricoltura e l’allevamento del bestiame; programmare lo sviluppo e le priorità dell’industria; stabilire rapporti più diretti tra gli uffici per la pianificazione e le autorità politiche e amministrative.

Per quanto riguarda il commercio estero il documento raccomandava di: applicare effettivamente gli impegni derivati dagli accordi internazionali sui prodotti di base; intensificare il coordinamento dell’azione interamericana in questo campo; incaricare il Comitato Interamericano per l’Alleanza per il Progresso di far pervenire ai governi le sue conclusioni sulla creazione di una agenzia interamericana per l’incremento delle esportazioni; raccomandare allo stesso organismo di preparare un piano per favorire gli scambi di prodotti alimentari tra i Paesi latino-americani.

Altri argomenti su cui si concentrò il documento furono: il finanziamento estero, l’integrazione economica dell’America Latina, l’istruzione e la tecnologia, lo sviluppo sociale e il lancio di un piano di azione immediata50.

Al di là delle enunciazioni programmatiche e delle soluzioni tecniche, i numerosi ostacoli che si erano presentati fino a quel momento richiedevano una decisa volontà politica che permettesse quel salto in avanti che richiedeva l’attuazione di un programma tanto articolato. Questa necessità fu evidenziata dal Presidente dell’Argentina, Illia, a conclusione degli incontri: “L’Alleanza corre il rischio di perdere il suo impulso e di affievolirsi come programma di orientamento e di coesione delle nostre nazioni, se non le infondiamo un alito vivificante che muova le coscienze dei popoli e dei governi. Per raggiungere questo risultato è necessaria una categorica

49 Bruno e Raffaele Campanella, op.cit., p. 45 50 Annuario di politica internazionale, vol. 1966; p. 343.

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riaffermazione politica che serva da orientamento chiaro e definitivo per il raggiungimento di queste finalità”51.

Di fronte alle difficoltà e ai risultati non soddisfacenti del primo quinquennio di questa esperienza venne fatto un ulteriore tentativo per stimolare la cooperazione economica interamericana.

Nel 1967, un anno dopo la riunione di Buenos Aires , ebbe luogo il secondo vertice dei capi di stato del continente dopo quello del luglio 1956 a Panama. L’incontro avvenne a Punta del Este e mise a confronto 19 capi di stato tra cui il Presidente Johnson. Da questo vertice emersero un programma di azione e una dichiarazione incentrati sull’idea della creazione di mercato unico latino-americano simile alla CEE sorta pochi anni prima in ambito europeo52. In realtà anche questo progetto rimase per lungo tempo senza seguito forse a causa dei notevoli ritardi di numerosi paesi del continente.

4.9 Necessità di una Carta al passo con i tempi La necessità di adeguare alle esigenze dei tempi la struttura e il funzionamento

del sistema interamericano spinsero i governi a riesaminare l’assetto dell’Organizzazione dato nel 1948.

I tempi erano profondamente cambiati e le novità a livello politico, sociale ed economico spingevano ad adattare alla nuova situazione la Carta dell’OSA che rischiava altrimenti di non rimanere al passo con i tempi.

Il 21 ottobre 1964, il Segretario Generale, Josè A. Mora, parlando al Consiglio dell’OSA enunciò il proposito e la necessità di un aggiornamento: “Dopo la IX Conferenza Internazionale si sono verificate nel mondo profonde trasformazioni: il movimento di emancipazione dei popoli ha reso possibile l’incorporazione alla comunità internazionale di nuove nazioni dell’Asia , dell’Africa e delle Americhe. I progressi della scienza e della tecnica, la conquista dello spazio, l’utilizzazione di nuove ricchezze hanno aperto all’umanità enormi opportunità. La nostra epoca è stata caratterizzata da una rivoluzione in tutti i campi della conoscenza che ci ha costretti a rivedere molti concetti classici in materia di convivenza e di cooperazione internazionale. Il sistema interamericano deve contribuire ad aprire spazi per le future generazioni del continente. Si tratta di un patrimonio che non appartiene solo al presente ma soprattutto alle generazioni del domani”53.

La sede in cui si dovevano decidere le riforme da apportare era la Seconda Conferenza Straordinaria Interamericana, che si tenne a Rio de Janeiro dal 17 al 30 novembre 1965. Alcuni osservatori scrissero che il risultato più importante della Conferenza è il fatto che si fosse tenuta. Erano in tanti infatti che al tempo vedevano il sistema interamericano in fase agonizzante e prossimo alla morte. Le crisi del continente in particolare quella dominicana avevano peggiorato questo stato di cose e ci si aspettava un abbandono a tempo indeterminato delle riunioni continentali54.

Alla riunione parteciparono 19 delegazioni guidate dai rispettivi Ministri degli Esteri, mancavano i rappresentanti di Cuba già espulsa dall’Organizzazione nel 1962, e del Venezuela, poiché questo paese, seguendo la “dottrina Betancourt” che non riconosce i governi non regolarmente eletti non aveva riconosciuto il regime di

51 Cercare riferimento sui frus. 52 Annuario di politica internazionale, vol.1967-1971, pp.284-301 53 La cronica de la OEA Vol. I, n.4 febrero 1966. Union panamericana, Washington 1966. p. 1 54 Annuario di politica internazionale, vol.1965, p. 446

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Castelo Branco e di conseguenza non poteva inviare una propria delegazione in Brasile.

L’ordine del giorno prevedeva temi che comprendevano tutta la complessa attività dell’Organizzazione: funzionamento e rafforzamento del sistema interamericano; sviluppo economico e sociale; perfezionamento dei metodi di soluzione pacifica delle controversie; protezione dei diritti dell’uomo e consolidamento della democrazia rappresentativa nel Continente55.

Uno dei motivi costanti che face da sfondo costante ai dibattiti fu il desiderio latinoamericano di contrastare il peso statunitense in seno all’organizzazione. Gli Stati Uniti si erano a poco a poco allontanati dall’indirizzo promosso da John Kennedy per vari motivi, in particolare l’andamento della politica estera, le pressioni interne e la personalità profondamente diversa del nuovo Presidente. Nel fare questo Washington si era irrigidita nelle sue posizioni verso l’America Latina e aveva spostato l’accento dai programmi economico-sociali dell’Alleanza per il Progresso, considerati comunque validi, all’esigenza della difesa dall’estremismo rivoluzionario (comunista).Da questo cambio di rotta derivarono alcune conseguenze nella politica statunitense la fiducia di Johnson nei consigli di Thomas Mann, uomo ritenuto dalla leadership politica statunitense un “duro” e divenuto per questo l’uomo ispiratore della politica verso l‘America Latina; l’appoggio dato ai colpi di stato militari in Bolivia e Brasile; l’intervento nella Repubblica Dominicana e il progetto di una forza permanente interamericana.

Proprio quest’ultimo punto fu uno degli argomenti più dibattuti che divise da subito le delegazioni. Gli Stati Uniti erano favorevoli alla creazione di una forza permanente di vigilanza e repressione dei fuochi sovversivi del continente, ritenevano infatti necessaria la creazione di un corpo permanente all’interno dell’OSA pronto all’intervento in ogni occasione e capace di evitare azioni unilaterali come quella di Santo Domingo e in grado di condurre la lotta alla sovversione latente in varie Repubbliche latinoamericane.

Il Segretario di Stato, Dean Rusk, presentò questo progetto a Rio de Janeiro: “Può essere utile per noi esaminare, alla luce dell’esperienze fatte e della natura della responsabilità collettiva per la pace e la sicurezza dell’emisfero, la possibilità di dare il nostro contributo volontario alla creazione di una forza di peacekeeping internazionale, anche in base al suo possibile utilizzo futuro non solo all’interno dell’OSA ma anche da parte delle Nazioni Unite. Se guardiamo al fatto che viviamo in tempi burrascosi e che c’è chi è pronto a distruggere la democrazia, Io credo che con pazienza potremmo trovare il modo di raggiungere due obiettivi importanti: primo saremo in grado di muoverci con efficacia e rapidità quando qualche situazione pericolosa minaccerà l’emisfero, secondo eviteremo la situazione attuale dove nessuno dei nostri governi è in grado di mobilitare le proprie forze armate salvo che attraverso una decisione nazionale ai più alti livelli e in particolari circostanze”56.

Tuttavia il progetto venne avversato dalla maggioranza dell’opinione pubblica del subcontinente a causa della recente esperienza dominicana. Solo le nazioni più dotate militarmente, Argentina, Brasile e Bolivia sembrarono favorevoli mentre per la maggior parte il progetto era un tentativo di codificazione della supremazia statunitense. Il Cile, l’Uruguay, il Messico, il Perù e la Colombia opposero un rifiuto deciso, rivendicando il principio di non intervento e attribuendo all’idea della Forza la

55 George Meek, Nuevas proyecciones de la OEA. La Segunda Conferencia Extraordinaria

Interamericana, Revista AMERICAS. Vol. 182, n.2, Union Panamericana, Washington, 1966, p. 1 56 F. The Second Special Inter-American Conference, Rio de Janeiro, November 17-30, 1965.

Address by Secretary of State Rusk, Incorporating a Message from The President, November 22, 1965, in DAFR 1965, New York 1966.

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possibilità di applicazioni contrarie ad esso57. Il Ministro degli Esteri del Cile la qualificò: “un’idea pericolosa che potrebbe causare la morte dell’OSA”58. La Colombia per vari giorni sostenne una mozione alla risoluzione, nella quale riaffermava la fedeltà all’OSA, al non intervento e condannava qualsiasi risoluzione che potesse ledere la sostanza di questi principi. Agli occhi di molti osservatori la posizione colombiana era dettata da quanto accaduto nella Repubblica Dominicana e conteneva una esplicita condanna allo sbarco dei marines a Santo Domingo. Rusk a questo punto con spirito diplomatico ritirò il progetto della Forza interamericana, ottenendo da parte colombiana il ritiro della mozione.

Superata questa fase il dibattito si concentrò sui provvedimenti da adottare per consolidare l’OSA sul piano politico e tecnico. Quanto alle modifiche da apportare alla struttura e al funzionamento dell’Organizzazione, le delegazioni furono concordi nel sostenere la necessità di una riforma, ma manifestarono forti dissensi circa la convenienza di conferire ulteriori poteri al Consiglio: alcuni, con alla testa il Cile intendevano cogliere l’occasione per accelerare il ridimensionamento della partnership con gli Stati Uniti nell’ambito di un’OSA più dinamica, altri frenarono gli impulsi e suggerirono di limitare il discorso a certi accorgimenti organizzativi. Mentre alcuni Paesi consideravano inutile, se non addirittura nociva, l’attribuzione di ulteriori poteri al Consiglio, opponendosi alla sua politicizzazione, altri sostenevano la convenienza di un organo più potente.

Gli Stati Uniti, sostenevano ad esempio, che il Consiglio doveva essere messo in condizioni di intervenire tempestivamente sia nella soluzione delle controversie fra gli Stati membri sia nelle funzioni di mantenimento della pace nel continente59 e per questo desideravano riorganizzarlo secondo il modello del Consiglio di Sicurezza. Alla fine prevalse una tesi di compromesso riassunta nell’Atto di Rio de Janeiro, firmato al termine dei lavori: “L’Atto riconosce che il sistema interamericano costituisce la manifestazione più alta della volontà degli Stati americani in merito alle garanzie per la pace e la sicurezza dell’emisfero e per il suo sviluppo economico e sociale, riconosce anche, tuttavia, la necessità di rafforzare la sua struttura, per meglio assicurare il conseguimento dei fini dell’OSA. Per questo fissa nel luglio 1966 la III Conferenza straordinaria interamericana per l’approvazione delle modifiche della Carta”60.

Al fine di intensificare i contatti fra i Paesi del Continente le delegazioni sostennero la necessità che le conferenze interamericane fossero tenute annualmente e non ogni cinque anni, come prevedeva la Carta di Bogotà. In tal modo quest’organo sarebbe diventato una vera e propria Assemblea dell’OSA sulla falsariga dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Anche la struttura degli organi interni fu oggetto di revisione, vista l’importanza assunta nell’ambito dei rapporti interamericani dai problemi economici, sociali e culturali e l’incidenza che una loro soluzione avrebbe avuto sulla stessa sicurezza del continente.

Venne deciso quindi di strutturare tre Consigli che dipendessero direttamente dalla Conferenza Interamericana, passando da organi ausiliari a Consigli autonomi: “L’attuale Consiglio dell’Organizzazione che avrà carattere permanente, oltre alle facoltà che gli attribuiscono la Carta dell’Organizzazione, i trattati e gli accordi

57 Bruno e Raffaele Campanella, op.cit.,p. 83 58 Eduardo Warschaver, La Fuerza Militar Interamerican, Ediciòn de la Asociaciòn Internacional

de Juristas Democratas, Bruxelles 1965, p.4 59 F. The Secon Special Inter-American Conference, Rio de Janeiro, Novembre 17-30, 1965.

Address by Secretary of State Rusk, Incorporatine a Message from The President, November 22, 1965. In DAFR 1965, New York 1966.

60 The Act of Rio de Janeiro, Adopted November 30, 1966., in DAFR 1965

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internazionali nonché quelle relative al mantenimento della pace e della soluzione pacifica delle controversie, sarà l’esecutore di quelle decisioni che la Conferenza interamericana o la Riunione Consultiva non abbiano affidato al Consiglio economico e sociale interamericano (CIA-ECOSOC), al Consiglio Interamericano per l’Educazione, la Scienza e la Cultura o ad altri organismi”61.

Al contrario rimasero sostanzialmente invariate le funzioni e la struttura della Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri, che si era rivelata assai utile: le riunioni avrebbero dovuto continuare a tenersi sia nei casi previsti dalla Carta (questioni urgenti di interesse comune) sia in quelli indicati nel trattato di Rio (aggressione, attacco armato o situazione che possa mettere in pericolo la pace del continente). Invariate rimasero anche le funzioni dell’Unione Panamericana, quale organo centrale e permanente, e il Segretariato Generale dell’Organizzazione62.

La Conferenza di Rio si occupò anche di questioni economiche, i delegati segnalarono la necessità di dare impulso all’economia dell’America Latina, rafforzando la struttura, intensificando il commercio, appoggiando i piani di riforma ed i miglioramenti sociali, portando la collaborazione economica tra gli Stati del continente allo stesso livello di quella politica. Nel suo intervento il Ministro degli Esteri argentino, Zavala Ortiz, chiese l’incorporazione al sistema interamericano del concetto di sicurezza economica oltre a quello di sicurezza politica con la stipulazione di un protocollo aggiuntivo al trattato di Rio de Janeiro. Felipe Herrera, Presidente della Banca Interamericana di Sviluppo, sottolineò l’urgenza che l’America Latina raggiungesse al più presto la piena maturità “mediante la marcia verso l’integrazione economica”63.

Il documento di gran lunga più importante che venne approvato Rio de Janeiro fu proprio l’Atto Economico e Sociale, in cui vennero per la prima volta enunciati con carattere di obbligatorietà i principi di collaborazione economica spesso rivendicati dai Latinoamericani. Si trattava principalmente di un’enunciazione di principi, tuttavia il documento sembrava vincolare Stati Uniti e America Latina in un patto di reciproca collaborazione. In cambio di una più stretta collaborazione politica con gli USA, i paesi latinoamericani avrebbero avuto più peso nel determinare i casi di assistenza reciproca e il governo di Washington si sarebbe impegnato in una più effettiva attuazione dell’Alleanza per il Progresso stabilendo che quest’ultima proseguisse al di là del termine del 197164.

“I principi di solidarietà che ispirano la cooperazione interamericana nel campo della politica e della sicurezza reciproca devono necessariamente essere applicati anche nei campi economico e sociale; perciò le Repubbliche americane hanno risolto di unirsi in uno sforzo comune per procurare ai loro popoli una maggiore giustizia sociale, e un accelerato e armonioso progresso economico, necessari alla sicurezza del continente”65. L’Atto economico e sociale inizia con questa enunciazione di principi che ne ispira tutto il contenuto e lo rende uno dei documenti più fattivi realizzati dalle riunioni interamericane. In una parte del mondo e in un periodo in cui i nazionalismi erano fortissimi, le delegazioni americane riconobbero attraverso l’Atto, che il progresso economico e lo sviluppo politico potevano ottenersi unicamente al di sopra delle frontiere, grazie alla mutua assistenza, all’azione comune e l’integrazione.

61 Ibidem 62 Ibidem. 63 The Second Special Inter-American Conference, Rio de Janeiro, Novembre 17-30, 1965. Final

Act, Panamerican Union,Washington 1965, pp. 6-9 64 Annuario di politica internazionale, vol.1965, p. 450 65 Economic and Social Act of Rio de Janeiro, Adopted November 30,1965, in DAFR 1965.

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Questi i principali punti toccati e ai quali doveva ispirarsi la riforma della Carta di Bogotà in materia economico-sociale:

1) Sicurezza Politica e Sviluppo Economico-sociale. Del quale sopra è stato riportato il principio ispiratore in questo campo.

2) Sforzo nazionale. Il progresso economico e sociale dei pesi membri deve dipendere fondamentalmente dalla mobilitazione delle risorse umane e materiali interne da parte dei paesi interessati.

3) Assistenza reciproca. Gli stati membri, nella misura delle proprie risorse e nell’ambito dei rispettivi assetti costituzionali, si impegnano ad aiutarsi mutuamente e ad offrire ai paesi meno sviluppati dell’emisfero, al fine di avviarli al più presto verso una situazione di sviluppo sostenuto.

4) Commercio estero. In considerazione della stretta correlazione fra il commercio internazionale e lo sviluppo economico e social, gli stati membri si impegnano a coordinare i loro sforzi in favore di azioni individuali e collettive volte ad ottenere: a) l’eliminazione di tariffe elevate, imposte interne, sussidi, gravami ed altre restrizioni che possano ostacolare l’esportazione delle materie prime dei paesi americani; b) l’eliminazione di trattamenti preferenziali o di altre pratiche discriminatorie che possano ostacolare l’accesso dei prodotti del Continente ai mercati mondiali; c) la stipulazione di accordi internazionali per il raggiungimento di prezzi remunerativi delle esportazioni; d) la riduzione di tutte le restrizioni e discriminazioni al consumo ed all’importazione dei prodotti di base.

5) Integrazione economica. Gli stati americani riconoscono che l’integrazione economica del continente deve essere un obiettivo basico del sistema interamericano e si impegnano a orientare i loro sforzi e ad adottare le misure necessarie per accelerare questo processo di integrazione66.

L’Atto affermava l’unità di tutto il continente e legava i due blocchi, il Sud in via di sviluppo e il Nord già sviluppato, più strettamente di quanto non fosse mai avvenuto prima. Se tale programma fosse stato accettato in forma definitiva nella futura conferenza, il futuro del continente ne avrebbe tratto grande vantaggio. Alcuni osservatori affermarono che seguendo le politiche dell’Atto l’America diverrebbe più americana poiché un’unica integrazione la unirebbe in un solo blocco.

Il documento indicava anche la speranza in un aiuto europeo67. La vera importanza dell’Atto Economico e Sociale stava nell’aver incluso alcuni principi da sempre ribaditi dagli economisti latinoamericani, come l’impegno da parte statunitense per la conclusione di accordi per la stabilizzazione dei prezzi delle materie prime. Uno dei punti su cui gli economisti dell’America Latina insistevano sempre era proprio il fatto che le fluttuazioni dei prezzi producevano effetti devastanti sulle deboli e poco stabili economie latinoamericane.

Oltre agli aspetti economici la Conferenza di Rio si soffermò su altri importanti aspetti della politica interamericana:

1) soluzione pacifica delle controversie. Nonostante solo 10 stati avessero ratificato il Patto di Bogotà, la conferenza di Rio non accolse la richiesta di revisione di quel trattato avanzata da alcune delegazioni. Si impegnò però a esortare i governi americani, che ancora non si fossero impegnati in tal senso, ad esaminare i vantaggi della ratifica e procedere in tal senso al più presto secondo le proprie procedure costituzionali. Alla commissione speciale, incaricata di redigere il progetto di riforma della Carta di Bogotà, fu raccomandato di studiare le misure opportune per rafforzare la capacità dell’Organizzazione di aiutare in maniera effettiva gli stati membri nella

66 Ibidem 67 Annuario di politica internazionale 1965; Istituto per gli studi di politica internazionale, Roma

1966. p. 450

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soluzione pacifica delle controversie, conferendo al Consiglio dell’OSA le necessarie facoltà.

2) Comitato Interamericano per la Pace. La conferenza di Rio espresse il proprio plauso per l’azione di tale organismo e diede istruzioni al Consiglio affinché, dopo una consultazione con i governi, decidesse se fosse il caso di riformarne lo Statuto. Furono date per concluse le funzioni che a tale organo erano state affidate dalla Quinta riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri.

3) Rafforzamento della democrazia rappresentativa e riconoscimento dei governi de facto. Pur essendo risultati vani gli sforzi per stabilire un’azione collettiva in difesa della democrazia rappresentativa nel Continente, il Costarica presentò una proposta in quella direzione. La proposta approvata con 14 voti e 5 astensioni (Guatemala, Haiti, Messico, Nicaragua e Paraguay) divenne la risoluzione XXVI, secondo la quale si raccomandava agli stati membri di effettuare consultazioni nel caso si verificasse la destituzione di un governo del Continente e la sua sostituzione con un governo de facto. A tal proposito la risoluzione raccomandava di tenere conto delle seguenti circostanze: a) se la caduta del governo fosse avvenuta con la complicità o con l’aiuto di governi esteri o di suoi funzionari o agenti; b) se il governo de facto fosse disposto ad adottare le misure necessarie per la realizzazione di elezioni in un termine ragionevole; c) se il governo de facto si impegnasse ad adempiere alle obbligazioni internazionali contratte dal Paese e rispettare i diritti dell’uomo, gli obblighi assunti con la Dichiarazione ai Popoli d’America ed i principi della Carta di Punta del Este68.

4.10 Commissione Interamericana a Panama (1966) e il

Protocollo di Buenos Aires (1967) In adempimento alle risoluzioni adottate dalla Conferenza di Rio de Janeiro, si

riunì a Panama dal 25 febbraio al 1 aprile 1966, la Commissione Interamericana incaricata di redigere il progetto di riforma della Carta di Bogotà. Durante le discussioni emersero i soliti contrasti che da sempre caratterizzavano le discussioni tra Stati Uniti e America Latina riguardanti le priorità da dare alle riforme del sistema.

Da una parte gli Stati Uniti insistettero da subito sulle loro richieste di dar vita a un Consiglio Interamericano di Difesa che potesse disporre di una forza militare permanente e chiesero che venissero definiti in modo particolareggiato i metodi di soluzione delle controversie. I paesi latinoamericani da parte loro avanzarono le proprie proposte, che come sempre riguardavano il campo economico: Cile, Messico, Argentina, Brasile e altri, chiedevano l’inserimento nella nuova Carta dell’OSA dei principi giuridicamente vincolanti stabiliti a Rio de Janeiro. I Paesi dell’America Latina rifiutarono le proposte degli Stati Uniti, gelosi delle proprie prerogative nazionali e timorosi di dover subire ingerenze nei propri affari interni. A loro volta gli Stati Uniti rifiutarono le proposte della controparte affermando che il Senato non avrebbe mai appoggiato tali principi.

Per poter proseguire le conversazioni le delegazioni si concentrarono sull’unico argomento che poteva incontrare il favore di tutti: il perfezionamento della struttura dell’OSA.Al termine dei lavori fu approvata la bozza del progetto di riforma della Carta di Bogotà. La commissione di Panama, nella stesura finale del documento non

68 F. The Secon Special Inter-American Conference, Rio de Janeiro, Novembre 17-30, 1965. Address by Secretary of State Rusk, Incorporatine a Message from The President, November 22, 1965. In DAFR 1965, New York 1966.

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fece cenno alla creazione di una “Forza Interamericana di Pace” ed accolse l’orientamento della maggioranza di conferire al Consiglio dell’Organizzazione nuove funzioni per il mantenimento della pace e della sicurezza nell’emisfero e per la soluzione delle controversie fra gli Stati.

Furono definitivamente istituiti due nuovi Consigli, quello Economico e Sociale e quello per l’Educazione la Scienza e la Cultura; alla Conferenza Interamericana venne assegnata la funzione di Assemblea Generale con la disposizione di riunirsi ogni anno.

Nonostante l’opposizione statunitense, il documento adottò varie misure in campo economico per rafforzare la cooperazione fra i vari paesi. Alla chiusura della Conferenza le delegazioni segnalarono che con le riforme si cercava rendere il sistema interamericano più efficace ed operativo attraverso nuove politiche dell’OSA che ne rafforzassero i poteri.

In base a quanto previsto dalla conferenza di Rio, il Progetto della Commissione di Panama, dopo esser stato esaminato dal Consiglio dell’OSA e dai governi interessati, avrebbe costituito la base delle deliberazioni della Terza Conferenza Straordinaria Interamericana, che si riunì a Buenos Aires il 15 febbraio 1967 e che approvò il protocollo di riforma dell’OSA, chiamato Protocollo di Buenos Aires.

Ai tempi il solo fatto che si fosse riusciti a far convenire tutte le delegazioni a Buenos Aires venne considerato un successo dello “spirito panamericano”. I problemi insoluti rimanevano sempre gli stessi e sempre latenti: la sistemazione statutaria della collaborazione economica e l’istituzionalizzazione di un meccanismo di difesa. Come più volte segnalato in questi campi si contrapponevano due blocchi distinti e nettamente separati: da una parte gli Stati Uniti dall’altra i paesi latinoamericani: questi ultimi come sempre insistettero per far accettare a Washington degli impegni vincolanti. Desideravano sancire nella Carta dell’OSA l’obbligo per tutti i paesi membri di aiutarsi con i mezzi più appropriati allo scopo di garantire le migliori condizioni di vita per i propri popoli e l’obbligo per ogni paese di non compiere atti e non prendere provvedimenti che in qualche modo potessero pregiudicare l’economia e l’evoluzione delle Repubbliche americane. Come era prevedibile Washington si oppose decisamente all’istituzionalizzazione di un’assistenza economica che sarebbe gravata interamente sugli Stati Uniti, la diplomazia era tuttavia conscia di non poter deludere completamente la controparte. Ci si accordò per un compromesso stabilendo un principio di cooperazione che presentasse notevoli garanzie pur non essendo vincolante. Sull’altro versante, quello dell’istituzionalizzazione di una Forza Permanente Interamericana, si incontrarono difficoltà ancora maggiore nell’accordare le due parti.

Argentina e Brasile erano a favore del progetto e guidavano un gruppo di stati che lo avrebbero appoggiato. Cile, Messico e Venezuela si opponevano alla costituzione di qualsiasi forza permanente. Ancora una volta spettò alla diplomazia statunitense muoversi in questo delicato equilibrio cercando di non scontentare nessuna parte. I rappresentanti di Washington si ritirarono in una posizione di attesa, ma velatamente appoggiavano la proposta della delegazione argentina che consisteva nella sostituzione della Giunta di difesa interamericana (organo consultivo dell’OSA formato dai rappresentanti militari), con un organo dotato di poteri maggiori e capace, in catodi necessità, di predisporre l’allestimento di un corpo militare di pronto impiego. Dopo aspri dibattiti anche questa proposta venne respinta: a favore si schierarono sei paesi (Argentina, Brasile, El Salvador, Honduras, Nicaragua e Paraguay), 11 paesi bocciarono la proposta (Cile, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana,Ecuador,Guatemala, Haiti, Messico, Perù, Uruguay e Venezuela) e tre si astennero (Bolivia, Panama e Stati Uniti).

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La conferenza si risolse in un nulla di fatto per quel che riguardava gli argomenti più scottanti sui quali le parti cercavano da tempo un accordo, invece fu ricca di contenuti e deliberazioni riguardanti l’aspetto organizzativo e il nuovo assetto costituzionale dell’OSA, riprendendo quanto delineato a Panama.

Organo supremo dell’Organizzazione divenne l’Assemblea Generale, che aveva il compito di riunirsi annualmente e con una sede a rotazione per delineare la politica generale. L’Assemblea sostituiva la Conferenza Interamericana, ma rispetto a quest’ultima aveva maggiori e più articolati poteri. Non venne toccata da alcuna riforma la Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri. I Consigli divennero tre: il Consiglio Giuridico e Politico, chiamato Consiglio Permanente, il Consiglio Economico e Sociale, il Consiglio Educativo Scientifico e Culturale. Il Comitato Giuridico Interamericano, la Commissione Interamericana per i Diritti dell’uomo divennero organi specializzati. Il Comitato Interamericano per l’Alleanza per il Progresso (CIAP), divenne la segreteria permanente del Consiglio Economico e Sociale, i poteri rimasero invariati, ma l’incarico del segretario generale venne ridotto da 10 a 5 anni69.

Altro aspetto importantissimo del Protocollo di Buenos Aires, fu la possibilità di incorporare nuovi membri all’OSA. Questo fatto consentì l’ingresso nell’Organizzazione degli Stato anglofoni che al momento dell’approvazione della Carta di Bogotà, non rientravano nella prospettiva emisferica. L’articolo 6 della nuova Carta sanciva gli aspetti formali dell’ammissione: richiesta indirizzata al Segretario, firma e ratifica della Carta, accettazione degli obblighi dello status di membro in particolare per la sicurezza collettiva70.

I problemi dell’allargamento non erano pochi perciò il processo fu lento e graduale. A Trinidad e Tobago e Barbados che erano entrate rispettivamente nel 1967 e 1969, si aggiunsero gradatamente altri stati di recente indipendenza: Grenada (1975), Suriname (1977), Antigua y Barbuda, San Vincente e Granadinas (1981), St Kitts e Nevis (1984). Con l’ingresso di questi stati il numero dei membri dell’OSA passava da 21 a 32. Il processo di allargamento si espanse ulteriormente negli anni successivi con l’ingresso del Canada (1990) che avrebbe dato un importante contributo all’OSA in tema di difesa della democrazia e dei diritti umani. Nel 1991 divennero membri Belice e Guyana portando a 35 il numero degli stati dell’Organizzazione. Come venne osservato: “L’ingresso degli Stati anglofoni e del Canada conferì maggiore credibilità all’Organizzazione come entità totalmente emisferica e permise di sancire la sua vocazione regionale. Si crearono le circostanze propizie per una proiezione senza precedenti dell’interazione emisferica destinata ad approfondire ed ampliare la dimensione del Panamericanismo”71.

Con il nuovo assetto dato all’OSA si superava un periodo difficile dell’Organizzazione che per alcuni osservatori dell’epoca era prossima a morire. Un nuovo ottimismo sembrò conquistare gli studiosi: “Un esame generale dell’Organizzazione suggerisce che il periodo intercorso tra il 1948 e i primi anni del ’70 ha avuto un carattere essenzialmente formativo, durante il quale l’Organizzazione ha raggiunto maturità, identità, sviluppo. Questo periodo di crescita ha messo l’Organizzazione in condizioni di avviare una serie di iniziative di vasto impatto

69 PROTOCOL OF AMENDMENT TO THE CHARTER OF THE ORGANIZATION OF

AMERICAN STATES "PROTOCOL OF BUENOS AIRES" . In http://www.oas.org/juridico/english/treaties/b-31.html,

sito dell’OAS 70 Ibidem 71 Christopher R Thomas Medio siglo de la OEA-Panorama de un compromiso regional, OEA,

1998 pp.37-38

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Continentale”72. Come sempre però gran parte del futuro dipendeva dalla volontà dei singoli Paesi membri, come sottolineò il Segretario Generale Josè A. Mora nel discorso conclusivo della Conferenza. La nuova Carta entrò in vigore il 27 febbraio 1970.

72 Ibidem

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Capitolo quinto

L’OSA di fronte alle crisi dei Carabi: l’espulsione di

Cuba e la questione Dominicana (1959-1965)

5.1 Il problema dei Caraibi I rapporti tra gli Stati Uniti e le Repubbliche latino-americane nella zona dei

Carabi erano da sempre state caratterizzate da grandi difficoltà. Nel 1959 vennero messe ancora una volta alla prova dalla tensione creatasi nei Carabi all’indomani della vittoria di Fidel Castro a Cuba, sfociata in una pericolosa crisi agli inizi del mese di giugno.

Dal punto di vista degli Stati Uniti e dei larghi interessi della comunità interamericana la rivoluzione cubana era viziata da tre fattori principali: una incomprensibile e esagerata diffidenza e ostilità verso gli Stati Uniti; un’allarmante compiacenza verso elementi comunisti locali che avevano fatto poco o nulla per sostenere la rivoluzione, ma si astennero dalle opportunità di infiltrazione offerte dal suo successo; e una determinazione non solo nel portare avanti una completa rivoluzione sociale a Cuba ma anche il proposito di lavorare per la rapida eliminazione dei restanti dittatori nei Carabi e in America Latina.

Queste marcate caratteristiche furono abbastanza per trasformare quella che inizialmente sembrava una incoraggiante vittoria per la democrazia in America Latina in un segno premonitore dalle implicazioni distruttive per tutto il sistema interamericano1. Questo fu ancor più evidente quando appena tre settimane dopo la caduta di Batista, Castro visitò il Venezuela e lì ebbe modo di parlare e di invocare la formazione di un “blocco di Paesi democratici” all’interno dell’OSA e invitare all’espulsione dall’Organizzazione dei paesi ancora retti da regimi dittatoriali. Castro stesso mise i governi del Nicaragua, Repubblica Dominicana e Paraguay tra i primi obiettivi e affermò che gli esuli di questi Paesi potevano fare affidamenti sul suo aiuto e su tutta la sua simpatia2.

Tra le prime conseguenze della rivoluzione a Cuba ci fu e l’acuirsi delle spaccature politiche nei Carabi. Quasi immediatamente Cuba divenne la sede di una “guerra di nervi” contro la dittatura del generalissimo Rafael L. Trujillo e i governi dittatoriali e semi-dittatoriali presenti in Nicaragua, Haiti e Panama. Al fianco di Cuba in questa attività, si trovava il nuovo governo del Venezuela, guidato da Romulo Bentancourt, che era occupato nel tentativo di liquidare l’eredità della recente dittatura nel suo paese, oltre che mantenere delle visioni più equidistanti negli affari dei Caraibi consapevole dell’importanza di mantenere relazioni corrette con gli Stati Uniti3.

La prima scintilla rivoluzionaria ebbe luogo a Panama durante il mese di aprile 1959. Panama non era una dittatura e il problema riguardava una lunga faida politica

1 The United States in World Affairs, vol. 1959, pp. 352-353 2 Royal Institute of International Affaire, Survey of International Affaire 1959-60, London, 1964. p.

470. 3 Ibidem. p. 353

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tra il Presidente Guardia e la famiglia Arias4. Nonostante questo Cuba fu coinvolta. Infatti i Cubani formarono la maggioranza della forza di invasione (80 su 90 uomini) che atterrarono a Panama il 25 aprile. Alla luce della notizia che altre due imbarcazioni cariche di rivoluzionari si trovavano sulla rotta, il governo Panamense, il 27 aprile, fece appello all’OSA ai termini dell’articolo 6 del trattato di Rio5. In accordo con questo, un gruppo di investigazione costituito da cinque nazioni dell’OSA fu prontamente inviato sul campo. Nel frattempo gli USA fornirono a Panama piccole armi da difesa attraverso la zona del canale, e procurarono forze aeree e navali nelle acque territoriali di Panama che vennero mantenute per alcuni giorni sotto l’autorità del Consiglio dell’OSA.

La resa della maggior parte degli invasori il primo maggio permise di stabilire che essi provenivano sicuramente da Cuba, sebbene nessuna protesta formale venne fatta contro il Governo cubano. Il governo dell’Avana non fu però in grado di negare che la forza di invasione si fosse mossa dal loro paese6. In questa come in altre occasioni, sembrò necessario precisare e distinguere tra le attività del Governo cubano e quelle di alcuni ufficiali legati a Castro che solitamente operavano fuori dalla struttura governativa. Il carattere equivoco di questo episodio non sminuì la sua serietà per la sicurezza della regione. Nonostante Cuba negasse qualsiasi responsabilità dell’invasione, il fatto alimentò i sospetti che si andavano sviluppando negli Stati Uniti e altrove riguardo le intenzioni del movimento legato a Castro. Per la prima volta si parlò seriamente di una possibile affiliazione di alcuni luogotenenti castristi al comunismo internazionale, tra questi il fratello Raul Castro e uno degli uomini più vicini a Fidel, il comandante Ernesto (Che) Guevara.

Appena un mese dopo un’altra minaccia sconvolse il Nicaragua. Il primo giugno due aerei carichi di ribelli volarono nel paese provenienti dal Costa Rica e nei giorni seguenti il governo del Nicaragua fece appello all’OSA affermando che delle imbarcazioni cariche di uomini armati stavano partendo da Cuba per dare man forte alla rivoluzione. In sede di Consiglio dell’OSA, il delegato cubano affermò che il trattato di Rio non poteva essere applicato nel caso che gli invasori non fossero stranieri, ma del Nicaragua. Ma dopo una forte richiesta di investigazione da parte del delegato degli Stati Uniti, il Consiglio accordò di esaminare la richiesta del Nicaragua con una maggioranza di 17 voti a favore e 2 contro (Cuba e Venezuela)7.

Il 13 giugno, il comandante della guardia nazionale, Anastasio Somoza, accusò pubblicamente Castro di complicità nell’invasione, e tre giorni dopo, il fratello, Luis, Presidente del Nicaragua dichiarò: “sappiamo che Cuba sta fornendo aiuto ed è coinvolta in un movimento finanziato dai comunisti”8. Accusò di coinvolgimento nella vicenda anche il governo venezuelano. Dopo una battaglia con i ribelli nicaraguensi nel loro territorio, il governo honduregno, intercettò una lettera del comandante Che Guevara che invitava le autorità cubane a fornire ogni forma di

4 Roberto Arias era il figlio di un ex presidente di Panama, Harmodio Arias. Lui e il cugino, Ruben Mirò, furono i responsabili della tentata rivoluzione. Il fatto che Roberto Arias fosse sposato con una ballerina inglese, Margot, Fonteyn, assicurò che il fatto attirasse la massima attenzione della stampa mondiale.

5 L’articolo 6 del Trattato interamericano di reciproca assistenza firmato a Rio de Janeiro il 2 settembre 1947, afferma: “Se l’inviolabilità o l’integrità del territorio o la sovranità o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato americano dovesse essere minacciata da un’aggressione anche non rappresentato da un attacco armato, o da un conflitto extra o intra-continentale, o da qualsiasi altro fatto o situazione che possa mettere in pericolo la pace dell’America, l’Organo di Consultazione si incontrerà immediatamente con il compito di accordarsi sulle misure da prendere…”

6 Royal Institute of International Affaire, Survey of International Affaire 1959-60, London, 1964. p. 471 7 G. Connell-Smith, op. cit., pp. 237-250

8 N.Y. Times, 14 June 1959.

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cooperazione e aiuto ai ribelli del Nicaragua. Tutto quello che Castro riuscì ad affermare a su discolpa fu che non era in grado di controllare tutte le attività dei suoi subordinati.

Un Comitato di quattro nazioni visitò il Nicaragua, Costa Rica e Honduras e notò che nessuno delle tre imbarcazioni accusate di muoversi verso il Nicaragua giunse a destinazione. Il Comitato scrisse un rapporto alquanto impreciso sulla sua missione che tendeva a coinvolgere alcuni membri dell’entourage di Castro, ma che di fatto fallì nuovamente nel riuscire a stabilire le esatte responsabilità in modo inequivocabile9.

Contemporaneamente alle vicende del Nicaragua la tensione montava anche tra la Repubblica Dominicana e Cuba, i due principali esponenti delle opposte tendenze nei Caraibi. In qualità di più antica dittatura dell’America Latina, il regime del Generale Trujillo era un spina nel fianco nel processo di democratizzazione di tutto il sub-continente. Castro nutriva particolare rancore verso i Dominicani per aver offerto ospitalità all’ex dittatore Batista e ad altri criminali di guerra. Anche il Venezuela aveva motivi di risentimento verso la Repubblica Dominicana. Le relazioni tra i due Paesi erano tese fin dal mese di gennaio quando l’ambasciata venezuelana a Ciudad Trujillo aveva offerto asilo a tredici rifugiati politici dominicani, e dopo mesi di crescente incomprensione, il Venezuela ruppe le relazioni diplomatiche con la Repubblica Dominicana il 23 giugno.

Il 23 giugno la radio dominicana annunciò che gruppi armati provenienti da Cuba, e che erano sbarcati da mezzi battenti bandiera statunitense, erano stati distrutti dalle forze governative10. Nei giorni successivi fu annunciato che 65 ribelli erano stati fatti cadere in trappola da un ufficiale dell’aeronautica dominicana che si era finto un ribelle. Contemporaneamente il governo dominicano accusò Castro di essere schierato a favore del comunismo e di cercare l’aiuto e le armi sovietiche per dominare i Caraibi. La risposta di Castro a queste accuse fu la rottura delle relazioni diplomatiche con la Repubblica dominicana il 28 giugno. Il governo dominicano prontamente si appellò all’OSA dichiarando che sia Cuba sia il Venezuela stavano congiurando per rovesciare il governo. Quando il Consiglio dell’OSA si incontrò, gli Stati Uniti, il Brasile, il Cile e il Perù, proposero una risoluzione che stabiliva un incontro speciale dei Ministri degli Esteri dell’OSA per discutere la situazione di tensione nei Carabi. Sia Cuba che il Venzuela rifiutarono di partecipare a qualsiasi tipo di incontro senza che prima fosse fatta chiarezza sul fatto che il governo dell’Avana fosse estraneo a qualsiasi intervento contro il governo dominicano.

Fu deciso di convocare l’incontro ai termini della Carta dell’OSA e non del Trattato di Rio, che era stato inizialmente invocato dalla Repubblica Dominicana. Il governo dominicano accondiscese a questo tipo di manovra procedurale. Inoltre Venezuela, Ecuador e Uruguay riuscirono nell’allargare lo scopo dell’incontro proponendo l’introduzione nell’agenda dei problemi da affrontare quello dell’esercizio della democrazia rappresentativa e il rispetto dei diritti umani. Questa volta non si trattava solo di riportare l’ordine nell’America Centrale e di riappacificare tra loro alcuni paesi, ma anche e soprattutto di precisare l’atteggiamento dell’Organizzazione nei confronti del contrasto tra democrazia e dittatura che in quel momento attraversava in tutto il subcontinente una fase dinamica e non priva di pericoli per la concomitanza dei tentativi di infiltrazione economica, politica e ideologica da parte dei paesi comunisti. In particolare era la posizione degli Stati Uniti che richiedeva di essere chiarita in modo univoco e definitivo. Non sembrò tuttavia

9 The United States in World Affairs, vol. 1959, p. 355 10 Royal Institute of International Affairs, Survey of International Affairs 1959-60, London, 1964, p.

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che il governo di Washington fosse preparato a tanto. Un articolo del New York Times affermava: “Che gli Stati Uniti abbiano dimostrato negli anni recenti un certo favore per i dittatori latino-americani è innegabile. Tuttavia ciò non è accaduto perché gli Stati Uniti preferissero le dittature ai regimi democratici ma per colpa di un’ottusa diplomazia e di un’errata interpretazione della politica di non intervento. Pertanto gli Stati Uniti si sono visti attribuire la reputazione di amici dei tiranni. Ora, a Santiago, può essere necessario, per difendere il principio del non intervento e della pace nell’emisfero, apparire sostenitori del generalissimo Trujillo nella Repubblica dominicana. Una politica più saggia ci avrebbe risparmiato questo dilemma, ma tant’è: esso esiste”11.

Con questi dilemmi e con scarsa chiarezza sul futuro della regione si apriva la conferenza.

5.2 La Quinta Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri americani Santiago del Cile (1959)

Il problema principale al Quinto incontro dei Ministri degli Esteri che ebbe

luogo a Santiago del Cile dal 12 al 18 agosto, fu espresso dal Segretario di Stato Herter nella sua prima apparizione come delegato a una conferenza interamericana. Brevemente si trattava di riuscire a conciliare la crescente richiesta di progresso democratico e cambio sociale in America Latina, nei Caraibi in particolare, con i tradizionali principi interamericani di relazioni pacifiche e di non-intervento negli affari internazionali12.

“La pietra portante delle relazioni che sono state sviluppate in questo emisfero”, dichiarò, “è il Principio di non intervento di nessuno Stato americano negli affari di un altro Stato americano. Nei Carabi, tuttavia, questo principio è stato sottoposto a serie tensioni”13. Herter mise in guardia sulla pericolosità dell’attuale situazione nella zona caraibica: “Le tensioni che si sono sviluppate nell’area dei Carabi negli ultimi sei mesi, fomentando condizioni di conflitto interno, di sfiducia internazionale e di malanimo hanno fornito le prove che il comunismo internazionale sta cercando di progettare le sue politiche antidemocratiche all’interno dei nostri paesi”14. Per far fronte a questa situazione il governo degli Stati Uniti articolò una proposta su tre fronti: primo, la conferenza avrebbe dovuto ribadire la fede ai principi cardine del sistema Interamericano; secondo, avrebbe dovuto considerare la possibilità di creare un comitato speciale temporaneo autorizzato a studiare la situazione nei Carabi; terzo, la conferenza avrebbe dovuto riconoscere che il sistema di pace interamericano uscirebbe notevolmente rinforzato se un organo permanente dell’OSA come il Comitato Interamericano per la Pace, fosse autorizzato ad occuparsi di problemi come quelli che hanno minacciato la zona dei Carabi prima che questi diventino delle serie minacce per la pace.15

Come sottolinearono i ben informati corrispondenti del New York Times, la maggior parte dei governi rappresentati alla conferenza condivisero la fede espressa da Herter nel principio di non intervento, e d’altra parte non erano certo pronti a

11 Annuario di politica internazionale vol.1959, p. 367 12 Fifth Meeting of Consultation of the Minister of Foreign Affairs of the American Republics,

Santigo de Chile, August 12-18, 1959. Address by the Secretary of State (Herter), August 13, 1959, in DAFR 1959, pp. 221-224

13 Ibidem. 14 Ibidem.

15 Gordon Connell-Smith, op. cit., pp.242-243

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violarlo, appoggiando la proposta cubana di creazione di un “cordone sanitario” attorno alle dittature. Cuba e Venezuela d’altra parte si opposero alla creazione di un comitato speciale per la zona caraibica. Caldeggiarono invece l’espansione dell’esistente ma per gran parte inefficace Comitato Interamericano per la Pace per renderlo capace di operare in caso di denunce di attacco indiretto o di violazione dei diritti umani. L’ostilità cubana verso la repubblica dominicana arrivò quasi all’aggressione fisica durante gli incontri16.

Nonostante il clima molto difficile la conferenza operò nella ricerca di un accordo. Il 17 agosto fu adottata una risoluzione che affidava al Comitato Interamericano per la Pace, organo permanente dell’OSA creato nel 1940, composto da 5 rappresentanti di altrettanti paesi membri, e preposto alla soluzione pacifica delle controversie, il compito di esaminare: i metodi e le procedure necessarie ad impedire i tentativi di intervento, aggressione o sovversione dall’esterno, diretti a rovesciare governi in carica nella zona caraibica; i diritti e le libertà degli esiliati politici; il rapporto tra le violazioni dei diritti umani e la paralisi della democrazia rappresentativa da una parte e l’esistente tensione politica dall’altra; il rapporto tra il sottosviluppo economico e l’instabilità politica17. Come ulteriore concessione a Cuba e al Venezuela ci si accordò affinché l’attività del Comitato fosse soggetta al consenso espresso degli stati in caso di una investigazione da fare nei loro rispettivi territori.

La risoluzione fu accompagnata dalla Dichiarazione di Santiago che affermò che “l’esistenza di regimi antidemocratici costituiva la violazione dei principi sui quali l’Organizzazione degli Stati Americani è fondata, e metteva in pericolo la coesistenza pacifica nell’emisfero”18. Inoltre enumerava una serie di principi attraverso i quali giudicare i governi. Questi includevano: libere elezioni, la protezione dei diritti umani e la libertà di informazione e di espressione. Il fatto che il Ministro degli Esteri Herrera firmasse la dichiarazione in nome della Repubblica Dominicana provocò duri commenti durante gli incontri.

La conferenza si chiudeva così con una condanna morale dei dittatori implicita nella Dichiarazione di Santiago che non rimase del tutto priva di conseguenze. Il parlamento del Nicaragua, approvò una riforma costituzionale che vietava la rielezione immediata del presidente della Repubblica, punto, questo, toccato dalla Dichiarazione; gli Stati Uniti dal canto loro rifiutarono il visto d’ingresso al deposto dittatore cubano Batista, trasferitosi verso la fine di agosto in Portogallo, dopo aver abbandonato la Repubblica Dominicana.

5.3 Il problema di Cuba Altro nodo centrale della politica statunitense nella zona era il rapporto con

Cuba e il pericolo della penetrazione comunista. In effetti i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti erano andati progressivamente e rapidamente peggiorando a causa dei frequenti attacchi verbali e provocatori di Castro, della confisca e espropriazione dei beni e dei capitali statunitensi nell’isola, dell’ispirazione ideologica del governo cubano vicina all’Unione Sovietica e alla Cina comunista. Washington era sempre più convinta che Castro fosse un agente del comunismo internazionale. Le mosse dell’Avana provocarono molte reazioni e diedero luogo a proteste e rappresaglie, che

16 Bruno e Raffaele Campanella, L’Organizzazione degli Stati Americani dalle origini ai giorni

nostri, Cacucci Editore, Bari, 2006 17 Resolution on the Inter-American Peace Committee, August 18, 1959, in DAFR 1959 18 Declaretion of Santiago de Chile, August 18, 1959, in DAFR 1959

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culminarono nella cancellazione della quota d’importazione di zucchero cubano negli Stati Uniti decisa dal Presidente Eisenhower il 6 luglio 196019. Questo non fece che avvicinare ulteriormente il governo cubano a quello sovietico, definendo la misura presa da Washington un’aggressione economica e per questo condannabile in base alla Carta di Bogotà. Appena tre giorni dopo il governo sovietico, assunse il protettorato dell’isola, dichiarando che qualsiasi attacco degli Stati Uniti contro Cuba sarebbe stato respinto dalle forze sovietiche. La situazione ovviamente non era di esclusiva pertinenza dei due singoli governi ma rappresentava ormai un problema capace di minacciare la pace dell’intero continente.

L’Avana tentò dapprima di portare la questione davanti al Consiglio di Sicurezza, ma il tentativo fallì e il problema cubano fu demandato alla Settima Riunione dei Ministri degli Esteri che ebbe luogo dal 22 al 29 agosto a San Josè di Costa Rica. L’ordine del giorno parlava di infiltrazioni comuniste e di interventi sovversivi della Cina Popolare e dell’Urss nei confronti delle Americhe20. Era evidente che il dibattito si sarebbe presto trasformato in un processo a carico di Cuba.

Il Segretario di Stato Herter, distinse due aspetti della questione: uno interessava l’intero Continente per il fatto che Cuba rappresentava una minaccia alla pace e alla sicurezza dell’emisfero; l’altro relativo ai rapporti bilaterali tra Cuba e Washington. Herter aveva presentato già prima dell’inizio della conferenza, un memorandum sugli sviluppi della situazione cubana nel quale si cercava di dimostrare l’agganciamento di Castro al Comunismo internazionale e quindi l’avvenuta ingerenza di Paesi extracontinentali (Cina e Urss) negli affari interni americani21.

Mentre per l’esame del secondo aspetto Herter si limitò a proporre la creazione di una commissione ad hoc, nei confronti del primo avvertì che l’instaurazione di un regime comunista in una repubblica americana comportava automaticamente la perdita dell’indipendenza trasformando il paese in una base di infiltrazione e sovversione negli affari interni degli altri paesi. Herter sperava che al suo seguito si unissero gli altri Ministri condannando Cuba e il comunismo sino-sovietico in America Latina. In realtà le delegazioni non videro con favore una denuncia di Cuba e proposero una generica dichiarazione di condanna degli interventi esterni.

Il 28 agosto fu raggiunta una posizione di compromesso con l’adozione della Dichiarazione di San Josè con la quale: si condannava energicamente l’intervento di una potenza extracontinentale negli affari delle repubbliche americane e si dichiarava che l’accettazione da parte di uno stato di tale intervento costituiva un pericolo per la solidarietà e la sicurezza del Continente; si respingeva la pretesa delle potenze sino-sovietiche di utilizzare la situazione politica, economica e sociale di qualsiasi stato americano per rompere l’unità dell’emisfero e metterne in pericolo la pace e la sicurezza; si dichiarava che nessuno stato americano può intervenire in nessun altro stato americano per imporre la propria ideologia e i propri principi politici, economici e sociali; si proclamava che tutti i membri dell’OSA sono obbligati a comportarsi in conformità con i principi della Dichiarazione di Santiago e le disposizioni della Carta di Bogotà; infine si ribadiva la fiducia nel sistema regionale quale mezzo per la soluzione delle controversie22.

19 Further Action on The Cuban Sugar Quota: Statement By the President, December 16, 1960. In

DAFR, 1960, Council on Foreign relations, 1961 20 Seventh Meeting of Consultation of American Ministers of Foreign Affairs, San Josè, Costa Rica,

August 22-29, 1960., in DAFR 1960 21 Statement By Secretary of State Herter, August 20, 1960, in DAFR 1960

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Per il superamento del conflitto fra Cuba e gli Stati Uniti la riunione creò una Commissione di buoni uffici con il compito di “facilitare la soluzione delle controversie fra i due governi mediante l’interposizione di buoni uffici e il chiarimento dei fatti oggetto della disputa”23.

Consapevoli della connessione tra la situazione sociale e la sicurezza del continente, i Ministri affermarono che “l’obbligo della cooperazione economica fra gli Stati americani è essenziale per consolidare il sistema interamericano e per rafforzare la solidarietà dell’emisfero di fronte alle minacce di intervento che possono attentare contro esso”, per questo chiesero al Consiglio dell’OSA di preparare un progetto di Protocollo aggiuntivo di assistenza economica al trattato di Rio24.

La Dichiarazione di San Josè non cambiò l’atteggiamento di Cuba verso gli StatiUniti e gli altri stati del continente. Nemmeno la politica estera dell’Avana cambiò il suo corso, anzi ad ogni inasprimento con Washington, corrispondeva un avvicinamento al blocco sovietico e i tentativi di penetrazione ideologica negli stati vicini. Per ribadire le sue posizioni Castro, durante una manifestazione popolare, fece approvare la Dichiarazione dell’Avana, che riaffermava il diritto di Cuba e di tutta l’America Latina all’effettiva indipendenza politica ed economica e l’emancipazione da ogni soggezione all’imperialismo25.

Questa situazione che aveva provocato la rottura delle relazioni diplomatiche di 13 paesi con Cuba, spinse il governo colombiano a presentare al Consiglio dell’OSA una richiesta ai sensi dell’articolo 6 del Trattato di Rio, per la convocazione di una Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri al fine di analizzare la situazione, le minacce alla pace e all’indipendenza politica derivanti dall’ingerenza di potenze extracontinentali26. La richiesta venne approvata dal Consiglio il 4 dicembre del 1961, ma l’astensione del Messico, Argentina, Brasile e Cile, evidenziò l’esistenza di visioni contrastanti riguardo al caso cubano.

L’Ottava Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri dell’OSA si tenne a Punta del Este dal 22 al 31 gennaio 1962. Anche in questa occasione vennero a delinearsi due fazioni opposte. Da una parte lo schieramento che propugnava la linea dura faceva capo agli Stati Uniti appoggiati dagli stati centroamericani, dal Perù, dalla Colombia, dal Venezuela e dal Paraguay. Questi volevano una ferma condanna del castrismo con sanzioni economiche e diplomatiche e l’espulsione di Cuba dall’OSA.

L’altra parte, comprendeva sette repubbliche, Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Ecuador, Messico e Uruguay, che propendevano per una linea di condotta blanda, con la condanna di Cuba e dell’incompatibilità di un regime marxista leninista, quale aveva affermato di essere il regime di Castro con l’appartenenza all’OSA, ma respingendo qualsiasi proposta di sanzioni effettive in base al principio del non-intervento. Sebbene in minoranza, la linea blanda era di particolare peso perchè sostenuta da quattro tra i più importanti stati dell’America Latina.

Il Segretario di Stato, Dean Rusk, si trovò così a dover fare da mediatore tra le due posizioni. Consapevole della difficoltà di snaturare completamente la posizione dei sostenitori della linea blanda riuscì a raggiungere una posizione di compromesso attraverso concessioni reciproche. Il 31 gennaio furono approvate una serie di risoluzioni che prevedevano: il riconoscimento dell’incompatibilità del regime

23 Seventh Meeting of Consultation of American Ministers of Foreign Affairs, San Josè, Costa Rica, August 22-29, 1960, in DAFR 1960

24 Ibidem 25 Annuario di politica internazionale 1965; Istituto per gli studi di politica internazionale, Roma

1966. P. 392 26 Bruno e Raffaele Campanella, L’Organizzazione degli Stati Americani dalle origini ai giorni

nostri, Cacucci Editore, Bari, 2006. p. 116.

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cubano, affiancatosi al blocco sino-sovietico, con il sistema interamericano; l’immediata esclusione di Cuba dalla Giunta interamericana di Difesa e in un secondo momento la sua esclusione dagli organi dell’OSA; la sospensione di ogni forma di commercio; la creazione di un Comitato Speciale di Sicurezza27.

La risoluzione più importante era quella che prevedeva l’espulsione di Cuba dal sistema interamericano. L’espulsione comunque non aveva valore immediato, era infatti devoluta ad una decisione del Consiglio dell’OSA. La Conferenza si chiuse senza vincitori né vinti, la stampa statunitense plaudì all’operato di Rusk, pur sottolineando i limiti del successo. D’altra parte anche a Cuba si festeggiava la vittoria. Il Presidente Osvaldo Dorticos Torrado, che aveva diretto la delegazione a Punta del Este, dichiarò in una conferenza stampa che gli Stati Uniti avevano registrato dopo la Conferenza una grande perdita di prestigio in cambio di minimi vantaggi e che la mancanza di unanimità dimostrava che l’imperialismo poteva essere battuto. Dorticos aggiunse che l’espulsione era illegale in quanto non esistevano nella Carta dell’OSA disposizioni per un tale provvedimento, di conseguenza l’Avana l’avrebbe sempre respinto.

Gli Stati Uniti si misero subito al lavoro per sfruttare gli scarsi risultati ottenuti alla conferenza. Il primo febbraio in una conferenza stampa, Rusk, affermò di voler effettuare un embargo su Cuba. Kennedy il 3 febbraio invocando il Foreign Assistence Act del 1961, proclamò l’embargo su tutto il commercio con Cuba a partire dal 7 febbraio. Secondo Kennedy “la perdita di questi guadagni ridurrà la capacità del regime di Castro di intraprendere atti di aggressione, sovversione o altre attività che possano mettere in pericolo la sicurezza degli Stati Uniti o di altre nazioni dell’emisfero occidentale”28.

Castro reagì come sempre energicamente alle decisioni prese a Punta del Este. Il 4 febbraio al Congresso Mondiale dei Popoli, organizzato all’Avana come risposta alla riunione dell’OSA e al quale parteciparono esponenti progressisti e filocomunisti latinoamericani e rappresentanti dell’Europa Orientale, il Primo Ministro cubano lesse la seconda Dichiarazone dell’Avana, una dura critica contro il governo di Washington e l’imperialismo da esso praticato.

Il 14 febbraio il Consiglio dell’OSA prese atto degli atti di Punta del Este e dichiarò Cuba esclusa espulsa dal sistema regionale. Cuba uscì quindi formalmente dall’Organizzazione, per gli Stati Uniti il risultato fu fonte di grande soddisfazione.

A due mesi dall’espulsione di Cuba dal sistema interamericano, il governo dell’isola era apertamente schierato con il blocco comunista. L’assorbimento totale di Cuba nell’orbita sovietica, unita alle difficoltà in campo interamericano e in quello dell’Alleanza per il Progresso, posero molti e nuovi problemi a Washington29.

In tutta l’America Latina era presente un senso di preoccupazione per la situazione di tensione con Cuba. Il Segretario di Stato, Dean Rusk, approfittò per proporre una riunione non ufficiale dei Ministri degli Esteri americani per esaminare il problema. La proposta fu accettata e la riunione si svolse a Washington dal 2 al 3 ottobre. Nel comunicato finale emerse per la prima volta che i paesi dell’America Latina erano in accordo con gli Stati Uniti nel riconoscere nell’intervento sino-sovietico il tentativo di trasformazione dell’isola in una base per la penetrazione comunista nelle Americhe30. La dichiarazione questa volta fu sottoscritta anche da

27 Resolutions adopted by The Meeting, January 31, 1962, in DAFR 1962 28 Annuario di politica internazionale, vol. 1962, p. 328 2929 The United States in World Affairs 1962, Council on Foreign Relations 1963 pp. 280-287 30 Reaction in The Americas: Communiquè of the Informal Meeting of American Foreign Minister

and Special Rapresentatives, Washington, October 2-3, 1962, in DAFR 1962

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Brasile e Messico due tra le principali nazioni che avevano sostenuto la linea blanda a Punta del Este.

La situazione da lì a poco precipitò e sfociò nella settimana dal 22 al 28 ottobre in una delle crisi che è stata annoverata tra le più tese e drammatiche dal dopoguerra. Il 22 Kennedy annunciò la scoperta di basi missilistiche sovietiche nell’isola di Cuba e ordinò un blocco intorno all’isola tale da impedire l’arrivo delle navi provenienti dall’URSS per il trasporto delle armi. La reazione di Mosca non si fece attendere e tredici ore dopo il Governo di Mosca pubblicò un’aspra requisitoria. Iniziò così un duro braccio di ferro tra le due super potenze in cui, sostanzialmente, Cuba rimase al margine, travolta da eventi che avevano superato il suo caso particolare.

Il 23 ottobre Rusk pronunciò un discorso nella sede dell’OSA per spiegare la decisione statunitense e richiedere la solidarietà dei paesi dell’emisfero. Nello stesso giorno il Consiglio dell’OSA approvò una risoluzione con la quale: richiedeva lo smantellamento e il ritiro immediato da Cuba di tutti i messili e le altri armi con capacità offensiva; raccomandava agli stati membri di adottare, ai sensi del trattato di Rio, tutte le misure individuali e collettive, compreso l’uso della forza, che apparissero necessarie per assicurare che il governo di Cuba non continuasse a ricevere assistenza militare; informava il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di queste decisioni, ai sensi dell’art. 54 della Carta delle Nazioni Unite31. Quello stesso giorno il Presidente Kennedy predispose il blocco navale per impedire la fornitura di armi e richiese al governo sovietico il ritiro delle basi missilistiche installate in territorio cubano.

Sui giorni che seguirono e sulla situazione di estrema tensione che si creò sono stato scritte pagine su pagine. Ci fu una febbrile attività diplomatica che mirava ad evitare un possibile scontro frontale tra le due superpotenze32. Dopo molti scambi tra il Presidente degli Stati Uniti, il Primo Ministro sovietico, il Segretario Generale ad interim delle Nazioni Unite e il Primo Ministro cubano si arrivò infine alla decisione di smantellare le basi missilistiche. La crisi era formalmente conclusa, ma uno stato di perenne tensione continuava a permanere in tutta l’America Latina e Cuba continuava a essere percepita come una minaccia in questa parte del mondo e per tutto il 1963 il livello statunitense di attenzione al caso cubano fu altissimo.“Penso che gli Stati Uniti abbiano affermato chiaramente che la loro politica in questo campo sia l’isolamento del comunismo nell’emisfero”33 affermò il Presidente Kennedy dopo la crisi di ottobre.

Da quel momento in avanti il Venezuela iniziò a emergere come il primo tra gli obiettivi delle minacce castriste. Fu proprio da parte del Venezuela che il 23 novembre 1963 giunse la richiesta della convocazione dell’Organo Consultivo, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Rio, “allo scopo di considerare le misure da adottare in presenza di atti di aggressione e di intervento del governo di Cuba contro l’integrità territoriale e la sovranità del Venezuela e contro il funzionamento delle sue istituzione democratiche”34. Le accuse mosse a Cuba erano di aver fornito appoggio ai guerriglieri delle FALN nel tentativo di infiltrare il castrismo nel paese. Il Consiglio dell’OSA creò una commissione di inchiesta presieduta dal delegato argentino e composta dai rappresentanti della Colombia, Costa Rica, Stati Uniti e Uruguay. Il 19

31 Action by The American Governments: Resolution of the Council of the Organization of

American States, Washington, October 23, 1962. In DAFR, 1962, Council on Foreign relations, 1963. 32 R. Kennedy, I tredici giorni delle crisi di Cuba, Garzanti, 1968, pp. 113-120.

33 The United States in World Affairs 1963, Council on Foreign Relations 1964 p. 275 34 Organizaciòn de los Estados Americanos. Informe del Secretario General al Consejo de la

Organizaciòn. Enero 1963-Junio 1964. Uniòn Panamericana, Washington, pp. 20-21.

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dicembre la Commissione pubblicò un rapporto in cui erano elencate le responsabilità cubane nel Venezuela e in altri paesi latinoamericani.

In base al rapporto si decise di tenere la Nona riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri dell’OSA il 21 luglio 1964. A pochi giorni dall’inizio della Conferenza, il 6 luglio, Castro concesse un’intervista al New York Times, che sorprese notevolmente per l’atteggiamento del Primo Ministro. Castro si dichiarò disposto a negoziare un modus vivendi con gli Stati Uniti attraverso proposte chiare. Agli USA chiedeva la sospensione di ogni appoggio alle organizzazioni degli esuli cubani, il riallaccio degli scambi commerciali, e la risoluzione del problema dei voli di ricognizione condotti dall’aeronautica militare statunitense. In cambio Castro offriva l’interruzione dei finanziamenti ai gruppi rivoluzionari che operavano in America Latina, la liberazione del novanta per cento dei prigionieri politici, l’arretramento della linea di vigilanza posta ai confini della base di Guantanamo e l’istituzione di un organismo internazionale di controllo sull’intesa tra USA e Cuba.

Il nuovo atteggiamento di Castro lasciò spiazzati molti dei Ministri che si preparavano all’incontro. Nella settimana precedente la riunione si delinearono tre linee di pensiero differenti. La prima è quella detta degli 11 (Guatemala, Costa Rica, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Panama, Repubblica Dominicana, Haiti, Paraguay, Colombia, Ecuador) favorevoli ad una linea dura, in base all’articolo 8 del Trattato di Rio chiedevano l’adozione di tutte le sanzioni previste. La posizione intermedia, auspicata soprattutto da Argentina,Brasile e Perù, tendeva a evitare una rottura nel blocco americano. Infine Messico, Bolivia Cile e Uruguay, si mostrarono nettamente contrari a qualsiasi forma punitiva.

Anche questa volta un ruolo di primo piano fu giocato dal Segretario di Stato, Dean Rusk, facendosi sostenitore della linea più dura nei confronti di Cuba, respingendo le offerte di Castro e affermando che le politiche sovversive e le infiltrazioni comuniste nel continente non erano negoziabili.

Il 26 luglio si giunse alla conclusione degli incontri e al voto. La risoluzione applicò pesanti sanzioni collettive: rottura delle relazioni diplomatiche e consolari da parte di tutti i paesi americani; interruzioni di tutti gli scambi commerciali diretti e indiretti, con eccezione degli alimenti e dei medicinali; interruzione di tutti i trasporti marittimi con eccezione di quelli per motivi umanitari. La risoluzione dichiarava inoltre, che qualora il governo di Cuba avesse opposto resistenza all’applicazione di tali misure, gli stati americani si riservavano il diritto di legittima difesa individuale e dell’uso della forza ove necessario35.

A dimostrazione che le misure prese non andavano contro il popolo dell’isola di Cuba ma solo contro il regime imposto da Fidel Castro, la riunione preparò una dichiarazione rivolta al popolo cubano, con la quale spiegava le misure adottate ed esprimeva la consapevolezza della pericolosità di tale regime e la preoccupazione per il popolo cubano sottomesso. La dichiarazione auspicava che Cuba potesse al più presto liberarsi dalla tirannia e adottare un sistema di governo liberamente eletto.

La riunione aveva condotto a delle conclusioni uniche nella storia interamericana, creando un precedente con l’espulsione di un membro dell’OSA. Dalle vicende descritte in questo capitolo era l’Organizzazione stessa ad uscirne profondamente cambiata attraverso modifiche all’interpretazione dei propri trattati dettate dalle nuove minacce che gli Stati Uniti e il sistema tutto avevano dovuto fronteggiare.

35 Novena reunion de Ministro de relaciones exteriores. Washington 21-26 de julio 1964. Actas y

Documentos. Union Panamericana, Washington 1965 , in Conferencias Internacionales Americanas,,op. cit.,pp295-322.

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5.4 Riforme dell’OSA in seguito ai fatti di Cuba Come accennato precedentemente i fatti di Cuba consentono di osservare il

modo in cui è andata modificandosi l’applicazione del Trattato di Assistenza Reciproca di Rio de Janeiro, raggiungendo una portata e un’estensione notevolmente superiori rispetto a quanto era dato prevedere all’atto della sua formulazione. Senza dubbio le circostanze storiche avevano giocato un ruolo preponderante in questa vicenda. Il pericolo della penetrazione comunista era stato il motore dei cambiamenti avvenuti all’interno del sistema interamericano e il TIAR era stato il principale mezzo di difesa da quel pericolo, nonostante risalisse al 1947 in epoca ben differente rispetto alla situazione politica degli anni ’60.

Gli Stati Uniti, appoggiati da altri Stati americani erano stati i principali interpreti degli accordi interamericani, applicando di volta in volta in maniera differente, il concetti di aggressione, attacco e situazione che possono mettere in pericolo la pace delle Americhe, a cui l’art. 6 del Trattato fa riferimento fino a giungere all’espulsione nel caso di Cuba

Ma l’applicazione di determinate sanzioni non fu sempre frutto di decisioni uniformi e pacifiche. In molti casi ci furono forti opposizioni, basti pensare alle astensioni di paesi come Cile e Messico nelle risoluzioni contro Cuba. Alcuni stati giudicavano l’OSA inefficace, altri ritenevano che alle volte travalicasse i propri poteri con risoluzioni che andavano oltre la sua portata.

Per superare queste divergenze, che potevano minacciare l’unità del continente, fu avvertita da più parti la necessità di una revisione del sistema creato nel 1948 e un aggiornamento delle sue strutture. Tale compito fu affidato a una serie di Conferenze Straordinarie. La prima tra queste fu quella di Washington del 16 dicembre 1964 che doveva esaminare la questione e la procedura dell’ingresso di nuovi membri. Il documento approvato al temine della conferenza, noto come Atto di Washington, prevedeva che uno stato per essere ammesso possedesse i requisiti della Carta di Bogotà: essere stato indipendente, essere situato nel continente americano, firmare e ratificare la Carta di Bogotà. Per quanto riguarda gli organi incaricati di vigilare sui requisiti e sulla procedura venne disposto che: qualsiasi stato americani indipendente, che desiderasse esser membro dell’OSA, dovesse farlo presente mediante una nota indirizzata al Segretario Generale in cui indicava di essere disposto a firmare e ratificare la Carta di Bogotà e accettare le obbligazioni che derivano dalla condizione di membro; il Consiglio, informato dal Segretario Generale, dovrà determinare con i due terzi dei voti l’autorizzazione della richiesta; il Consiglio non adotterà nessuna decisione sulla richiesta presentatata da un’entità politica il cui territorio sia oggetto totalmente o parzialmente, di controversia fra un paese extracontinentale e uno o più stati dell’Organizzazione, fino a quando non sia conclusa la controversia mediante procedimento pacifico36.

Mediante le disposizioni dell’Atto, l’ammissione perdeva il carattere di automaticità che sembrava possedere dalla lettura della Carta. Ora infatti un organo (il Consiglio dell’Organizzazione), poteva autorizzare o negare la firma della Carta in base a un’analisi dei requisiti dello stato richiedente e dell’impegno dello stato in materia di sicurezza collettiva.

36 “Primera Conferencia Interamericana Extraordinaria”. Washington 16-18 diciembre 1964.

Actas y Documentos-Union Panamericana. Washington 1965,in Conferencias Internacionales Americanas, op. cit., pp. 136-137.

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Poiché la Carta, per quanto riguarda la sicurezza collettiva fa riferimento ai trattati esistenti in materia, bisogna ritenere che gli stati si impegnino anche sul fronte degli altri trattati interamericani, in particolare quello di Rio. Durante i lavori della Conferenza alcune delegazioni a tal proposito insistettero per avere nella procedura di ammissione di nuovi membri oltre alla firma e ratifica della Carta di Bogotà anche quella del Trattato di Rio. Tale richiesta venne rifiutata in quanto significava introdurre un quarto requisito non previsto dalla Carta. Fu adottata invece la formula proposta dall’Argentina e dal Cile e sostenuta da Stati Uniti, Brasile e Messico, secondo cui l’accettazione degli obblighi del Trattato di Rio doveva ritenersi assunta per via indiretta. Attraverso questa formula praticamente si imponeva allo stato che voleva partecipare al sistema interamericano, l’obbligo di svincolarsi dagli obblighi internazionali incompatibili. L’esame finale spettava poi al Consiglio dell’OSA, il quale ritenendo che non esistessero i requisiti poteva negare l’ammissione al sistema.

Alcune delegazioni sollevarono perplessità riguardo a una presunta disparità di trattamento tra vecchi e nuovi membri, in quanto questi ultimi sembravano sollevati dall’obbligo di ratifica del Trattato di Rio. In realtà il potere dato al Consiglio rappresentava una garanzia anche su questo aspetto in quanto poteva decidere sull’adesione o meno di un nuovo membro e addirittura sull’espulsione, qualora le obbligazioni internazionale fossero incompatibili con il sistema interamericano come era avvenuto nel caso di Cuba. Quando nel 1965 la Seconda Conferenza Straordinaria si occupò della riforma dell’OSA, decise di includere l’Atto di Washington nella Nuova Carta dell’Organizzazione degli Stati Americani37.

5.5 La questione dominicana Dopo la crisi cubana, la questione dominicana tornò alla ribalta sconvolgendo

gli equilibri della zona. A Santo Domingo dopo un periodo di assestamento seguito al crollo della dittatura di Trujillo, era stato eletto Presidente Juan Bosch, uomo di sinistra, deciso ad introdurre radicali riforme nella struttura economica e politica del paese. Accusato di filocomunismo, Bosch fu deposto da un colpo di stato e si rifugiò a Portorico, al suo posto si insediò un triumvirato presieduto da Donald Reid Cabral. Il 25 aprile 1965 un movimento militare depose il triumvirato e chiese il ritorno di Bosch. In questa situazione assunse la presidenza ad interim il Presidente della Camera dei Deputati, Molina Urera, che ripristinò la Costituzione del 1963 fatta approvare da Bosch. Contro questa decisione ed in difesa del triumvirato si sollevò un settore delle forze armate, capeggiato da Wessin, con la conseguenza di scatenare la lotta fra le due fazioni. Il 28 aprile il Presidente Johnson annunciò l’invio di truppe statunitensi con lo scopo dichiarato di “proteggere la vita dei cittadini statunitensi residenti a Santo Domingo” in quanto le autorità dominicane avevano fatto sapere al governo di Washington di non poter garantire la loro sicurezza ed incolumità. Allo stesso tempo il governo degli Stati Uniti chiese una riunione dell’Organizzazione degli Stati Americani per studiare la crisi.38 Il consiglio dell’OSA si riunì d’urgenza a Washington il 29 aprile, emise un appello per una tregua immediata a Santo Domingo e si offrì come mediatore tra le due fazioni. In assenza di ogni autorità costituita nel paese vanne chiesto al nunzio pontificio, mons. Emanuele Clarizio, di stabilire i contatti con le due fazioni e di cercare di giungere ad un accordo per il cessate il fuoco

37 Segunda Conferencia Extraodinaria Interamericana. Rio de Jeaneiro 17-30 noviembre 1965. Acta Final, in Conferencias Internacionales Americanas, op. cit. p.9 38 Relations of U.S. with Dominican Republic, in FRUS 1964-68, volume XXXII, Washington 2005, pp. 1-170

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sulla base di una formula che prevedesse: garanzia di sicurezza per tutti i cittadini senza distinzione di partito e accettazione di una commissione dell’OSA per arbitrare il conflitto. Grazie all’intervento del nunzio si riuscì a far accettare una tregua provvisoria che venne firmata il 30 aprile a San Isidro dal Colonnello Pedro B. Benoit, capo della Giunta militare e da Fausto Caamano per gli insorti39.

In data 1 maggio, ricevuto il rapporto di mons Clarizio, il Consiglio dell’OSA decise di mandare sul posto il Segretario Generale, Josè A. Mora, coadiuvato da una missione di cinque membri: i rappresentanti dell’Argentina, Brasile, Colombia Guatemala e Panamà40. Al rientro della Commissione, la Decima Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri, nella seduta del 3 maggio, invitò gli Stati membri ad inviare a Santo Domingo medici, infermieri, medicinali e generi alimentari per soccorrere la popolazione. In quei giorni, furono recisamente smentite da Juan Bosch le affermazioni secondo cui la rivoluzione era guidata da elementi comunisti. In una intervista concessa il 3 maggio, Bosch, affermò che i ribelli avevano fini democratici, che non vi era nessuna giustificazione per l’intervento statunitense, e infine che le forze di Wessin sarebbero state battute senza l’arrivo dei marines. “Una rivoluzione democratica è stata schiacciata dagli Stati Uniti” affermò Bosch.

Gli avvenimenti di Santo Domingo ebbero riflessi internazionali e furono molte le reazioni dure alla mossa di Johnson. Il delegato di Washington cercò di motivare l’intervento unilaterale con la gravità della minaccia comunista e pertanto invocò la solidarietà dell’America Latina, che questa volta venne a mancare. Significative furono le posizioni del Cile e del Venezuela, di due governi quindi che fino al giorno prima erano stati esaltati alla Casa Bianca, quali esempio di democrazia e che ora invece si rifiutavano di accogliere la tesi della cospirazione comunista. Gli Stati Uniti trovarono alleati più sicuri negli stati centroamericani, nel Paraguay e nel Brasile. Ma detto appoggio no fu sufficiente41.

Per aggirare l’impasse in seno all’OSA il rappresentante statunitense, Ellsworth Bunker, propose la creazione di una Forza Interamericana di Pace, composta dai contingenti armati che gli stati membri dell’OSA avessero desiderato inviare42. Questa forza incorporando i marines già sbarcati ne avrebbe giustificato la presenza agli occhi internazionali. Il progetto venne approvato a fatica. Il 6 maggio grazie all’astensione del Venezuela il progetto passò con 14 voti favorevoli e 5 contrari (Cile, Ecuador, Messico, Perù e Uruguay). La decisione ebbe un’importanza rilevante: per la prima volta il sistema regionale americano stabilì di impiegare una forza armata comune onde garantire l’emisfero dalla comparsa di un regime inviso all’OSA. All’intervento unilaterale, vietato dall’art.15 della Carta di Bogotà, si sostituì l’intervento collettivo. Nel mondo latinoamericano l’impressione suscitata da questa misura fu enorme: la reazione delle masse fu per lo più ostile; si ebbero dimostrazioni dovunque; i partiti democratici si unirono a quelli di estrema sinistra nella condanna dell’intervento e per la prima volta si formò un fronte popolare latinoamericano anti-yankee.

Un ulteriore colpo al prestigio dell’OSA fu la decisione presa il 13 maggio dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU di inviare a Santo Domingo un rappresentante del segretario generale U Thant, per un tentativo di pacificazione negoziata. Fu prescelto

39 Resolution of the Council of the Organization of American States, Calling for a Cease Fire and

The establishment of an International Neutral Zone of Refuge, Adopted April 30, 1965, in DAFR 1965 40 Resolution of the Tenth Meeting of Consultation of the Minister of Foreign Affairs of The

American Republics, Establishing a Committee of Good Offices, Adopted May 1, 1965, in DAFR 1965 41 W. La Feber, op. cit., pp. 157-162

42 Resolution of the Tenth Meeting of Consultation of the Minister of Foreign Affairs of The American Republics, Establishing an Inter-American Force for the Dominican Republic, Adopted May 6, 1965, in DAFR 1965

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il venezuelano Jose Antonio Mayobre, personalità molto stimata nel mondo latinoamericano. Specialmente negli Stati Uniti non fu gradita l’interferenza dell’ONU in una questione da essi ritenuta di esclusiva competenza dell’OSA. D’altro canto è noto che la Carta di San Francisco negli articoli 52-54 inquadra la disciplina dei sistemi regionali, subordinandoli al Consiglio di Sicurezza per quanto concerne le misure relative al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tuttavia l’iniziativa dell’ONU ebbe un contenuto più politico che giuridico, da una parte della stampa fu presentata come una garanzia di a maggiore obiettività rispetto all’azione dell’OSA. Il generale Rikhye, che affiancava nella missione il venezuelano Mayobre, fu accolto a Santo Domingo dai costituzionalisti del col. Caamano con manifestazioni di giubilo al grido di “ ONU si! OSA no!”43. Le manifestazioni di piazza era ravvisabile il nucleo centrale della crisi dell’OSA: tutto il sistema si era fino a quel momento retto sul presupposto del predominio statunitense, la stessa Carta di Bogotà, dietro una facciata egalitaria ne era una conferma.

Il 25 maggio sotto la direzione di un comando unificato, affidato al generale brasiliano Hugo Paňasco Alvino, fu costituita la Forza Interamericana e nel frattempo giunsero nell’isola alcuni contingenti di truppe dei paesi che avevano aderito alla decisione dell’OSA.

Il 4 giugno l’OSA inviò a Santo Domingo una nuova Commissione di mediazione. Tuttavia il problema politico dominicano era ben lungi dall’esser risolto, le parti in lotta continuavano a fronteggiarsi senza segni di cedimento. Ciò che invece mutò fu l’atteggiamento statunitense nei riguardi del problema: il Dipartimento di Stato cominciò ad assumere sempre di più una linea di equidistanza. Ciò era facilmente spiegabile dopo l’ondata di critiche riversatesi sull’azione statunitense44.

La crisi sembrava non trovare soluzione: accuse e contro accuse, interessi e odi personali si sommavano rendendo imbrogliata la matassa, mentre il paese era completamente paralizzato dalla guerra civile. Dopo estenuanti trattative la commissione riuscì a presentare un progetto di pacificazione per le due parti. Esso constava di due documenti principali. Il primo era l’Atto Istituzionale che riprendeva la vecchia costituzione e stabiliva le norme per il periodo transitorio. Il governo provvisorio doveva durare 9 mesi durante i quali il paese doveva cercare di ristabilire la pace e l’equilibrio sociale interno e prepararsi per libere elezioni.. Il secondo documento era l’Atto di Riconciliazione, il documento più importante perché era quello che prevedeva le modalità di ritorno alla normalità, la consegna delle armi da parte dei civili, l’incorporazione nell’esercito degli ufficiali rivoluzionari, l’amnistia politica e infine la partenza delle truppe interamericane45. A dirigere il governo provvisorio fu proposto Hector Garcia Godoy, diplomatico di 44 anni del partito riformista di centro dell’ex Presidente Joaquin Balaguer. Il 31 agosto i capi costituzionalisti, i membri della Commissione dell’OSA e il Presidente designato Garcia Godoy firmarono i documenti. I capi militari da parte loro si impegnarono ad aumentare le garanzie di pace firmando una dichiarazione di appoggio al futuro governo provvisorio. Il 3 settembre Garcia Godoy assunse ufficialmente l’incarico e si chiuse, almeno formalmente, la crisi dominicana.

43 Annuario di politica internazionale 1965; Istituto per gli studi di politica internazionale, Roma

1966. P. 440. 44 Relations of U.S. with Dominican Republic, in FRUS 1964-68, volume XXXII, Washington 2005, pp. 1-170

45 Formation of a provisional government in the Dominican Republic: Statements by the President, in DAFR 1965

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Capitolo sesto

Ultimi sviluppi del sistema Interamericano. Sistema interamericano di protezione dei diritti umani

6.1 L’OSA e la sicurezza emisferica I rapidi cambiamenti avvenuti dopo la seconda guerra mondiale sulla scena

internazionale indussero l’OSA ad adeguare al nuovo assetto globale il proprio sistema di sicurezza. In particolare, il concetto di sicurezza regionale iniziò a subire cambiamenti dopo la rivoluzione cubana.

Di fronte alla minaccia sovietica alla propria sicurezza ed al pericolo di un’espansione del comunismo nel subcontinente, il governo di Washington tentò di coinvolgere con tutti i mezzi l’insieme dei paesi dell’area nella lotta contro la “sovversione comunista”. All’isolamento politico ed economico voluto dagli Stati Uniti, Cuba contrappose un’azione sistematica di guerra clandestina. Il braccio destro di Fidel, il comandante Che Guevara, lasciò l’Avana per proseguire l’azione rivoluzionaria dapprima in Africa e poi in Bolivia dove venne ucciso nel 1967.

Su un piano più generale, la formazione del blocco sovietico aveva spinto gli Stati Uniti a rinsaldare un sistema di alleanza politiche e militari funzionale al contenimento del comunismo. Washington assumeva quindi la guida di un blocco omogeneo di paesi che costituiva circa la metà del mondo. Nella visione statunitense l’occidente coincideva con il mondo libero, non comunista. Questo obbiettivo strategico provocò problemi che sono stati motivo di preoccupazione per i responsabili americani: come gestire le crisi, come agire verso i regimi dittatoriali e verso quelli rivoluzionari, come diffondere la democrazia, come migliorare le condizioni di vita nel mondo. Durante la decade del ‘60 agitazioni studentesche e di massa coinvolsero diversi pesi latinoamericani. Nell’Ottobre 1968 in Messico, comandato di fatto dal suo Ministro dell’Interno Echevarria, poi divenuto Presidente della Repubblica, queste manifestazioni vennero represse a costo di migliaia di morti e feriti. In Argentina un movimento operaio di protesta, con epicentro la città di Còrdoba, segnò nel 1969 l’avvio di un’azione sindacale che rivendicava un rinnovamento politico e che portò alla caduta del governo militare di Ongania.

Nel corso degli anni successivi gli equilibri politici del continente avrebbero subito notevoli modifiche.

Nel 1970 si formò in Cile un governo di unità popolare, retto da un fronte delle sinistre presieduto da Savador Allende: questi fu deposto nel settembre 1973 da una giunta militare guidata dal generale Pinochet, che instaurò una feroce dittatura. Nello stesso anno, tornava per la terza volta al potere in Argentina come Presidente liberamente eletto Juan Domingo Peron, il cui governo creò notevoli problemi, che si aggravarono dopo la sua morte, con l’affidamento della presidenza alla moglie Isabelita. Nel 1976 una giunta militare assunse il potere dando luogo ad una brutale repressione politica.

Intanto, la dottrina Nixon aveva avuto un certo impatto nella regione: ad un atteggiamento paternalistico succedeva negli Usa l’idea di paternariato. La

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responsabilità della soluzione dei problemi economici e sociali della regione doveva ricadere in prima battuta sugli stessi paesi latinoamericani: a questa nuova prospettiva doveva far riscontro una minore interferenza di Washington nelle questioni continentali. L’Assistenza finanziaria ufficiale doveva cedere il posto alle preferenze commerciali, all’assistenza multi laterale ed all’intervento dei privati.Da parte loro i latinoamericani cominciavano a muovere i primi passi verso forme di consultazione regionale o di iniziale integrazione subregionale per far valere le proprie istanze verso il mondo industrializzato ed in primo luogo nei confronti degli Stati Uniti.

Cinque paesi diedero vita al “Patto Andino” (1969), mentre su un versante più ampio i latinoamericani dopo il fallimento dell’Associazione Latinoamericana di Libero Commercio (ALALC), concordarono le loro posizioni nell’ambito del gruppo dei 77 con il CECLA e successivamente con il Sistema Economico Latinoamericano (SELA 1975). E’ significativo osservare che i documenti CECLA costituivano in pratica un lungo elenco dei motivi di risentimento della politica di Washington. Come aveva dichiarato il Presidente venezuelano Carlos Andrès Pèrez, il SELA era considerato nella prospettiva latinoamericana “un foro permanente per la difesa dei nostri interessi comuni”. L’insediamento dell’Amministrazione Carter portò ad una riflessione di un nuovo approccio di Washington verso i vicini del Sud1.

La Commissione Linowitz propose una rielaborazione della posizione degli Stati Uniti, suggerendo di dare priorità ai problemi dei diritti umani ed alle questioni economiche e sociali, nel quadro di una relazione da inserire in una visione globale di interdipendenza. L’Amministrazione Carter propose di sviluppare una relazione politica ed economica con le cosiddette potenze regionali. La cooptazione delle potenze regionali emergenti costituiva parte della strategia globale del Presidente Carter “ritenendosi tale la tendenza a trattare il Sud come una unità ed a classificarne i paesi secondo criteri economici o strategici a prescindere dall’area di appartenenza. In questo contesto il globalismo economico di Carter valutava i paesi più che per l’appartenenza ad un’area geografica secondo il livello di sviluppo economico e la loro importanza per il sistema globale”. Sul piano dei rapporti economici continuò in questo periodo la tendenza degli Stati Uniti a ridurre l’assistenza finanziaria ufficiale, a mantenere quella bilaterale in funzione degli obbiettivi di sicurezza ed a stimolare i rapporti economici. Va segnalato in tal senso il flusso notevole di capitali delle banche private verso l’America Latina durante il periodo in questione2.

L’accento posto dall’amministrazione Carter sulla difesa e promozione dei diritti umani non fu esente da critiche circa l’efficacia reale di una politica del genere, mentre suscitò reazioni, anche dure, da parte di governi autoritari o dittatoriali del subcontinente3.

Sul primo aspetto non mancò chi fece notare che una politica di questo tipo, pur comprensibile e condivisibile sul piano dei principi, poteva rivelarsi in concreto inutile se non addirittura controproducente. In effetti i regimi dittatoriali potevano essere indotti, in nome della sovranità nazionale e del principio di non intervento, a proseguire l’azione repressiva per dimostrare la loro capacità di resistere alle “indebite” pressioni esterne. Tale fu il caso, tra gli altri, della giunta militare di Videla che interpretò la politica in materia di diritti umani come una intollerabile ingerenza negli affari interni del suo paese impegnato in una “guerra sporca” contro il terrorismo comunista sovversivo.4

1 Bruno e Raffaele Campanella, op. cit., pp. 127-130 2 Vaky & Muňoz, op. cit., pp.31-47 3 W. La Feber, op.cit. pp. 208-213 4 Vaky & Muňoz, op. cit., pp.31-47

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Quanto alla turbolenta regione dei Carabi, a mano a mano che si aggravavano le interferenze statunitensi, i paesi dell’America Latina si coordinavano per cercare una soluzione alle diverse crisi (El Salvador,Nicaragua,Guatemala). Negli ultimi anni della decade del ’70 e fino alla metà dell’80, l’OSA visse un periodo di torpore. Questa inerzia è da mettere a rapporto con la sua scarsa capacità di dare risposte idonee ad una serie di eventi accaduti nel Continente, contrari allo spirito della Carta.

In particolare, i primi anni della decade dell’80 costituirono un passaggio difficile per l’Organizzazione. Al letargo che veniva dalla fine degli anni ’70 si aggiungeva una serie di processi che spingevano l’OSA verso una pericolosa fase di stallo. Un esempio di ”immobilismo organizzativo” lo si trova nelle crisi centroamericane degli anni 1978-1985 in cui la logica del confronto est-ovest si impose per la forza delle circostanze. Questi eventi ebbero inizio in Nicaragua nel 1978 con l’uccisione dell’editore e giornalista Pedro Joachim Chamorroe e si estero rapidamente in El Salvador e in Guatemala.

Con l’insediamento di Reagan (1981) si acuì il conflitto est-ovest. Dalla nuova amministrazione americana la distensione veniva percepita come una drastica diminuzione dell’egemonia statunitense nel mondo con la conseguente espansione sovietica nelle zone considerate “aree di influenza” degli Stati Uniti.

Così, mentre durante l’amministrazione Carter i rapporti degli Stati Uniti con diversi paesi del subcontinente avevano subito un deterioramento a causa delle reiterate denunce di violazione dei diritti umani (Argentina,Brasile,Cile,Uruguay), l’amministrazione Reagan si propose di modificare questa situazione e svolse una intensa attività per recuperare e rafforzare le relazioni con gli autoritarismi amici5.

In questo senso è significativo il documento elaborato dal Comitato di Santa Fè: le relazioni interamericane scudo della sicurezza nel Nuovo Mondo e spada della proiezione globale degli Stati Uniti. Furono così elaborate proposte per la regione che comportavano implicitamente o esplicitamente una critica dell’amministrazione Carter ed in particolare della rigida applicazione della sua politica dei diritti umani. Per i repubblicani l’amministrazione democratica si era resa responsabile del trionfo della rivoluzione sandinista in Nicaragua, dell’avanzata della guerriglia in EL Salvador ed in altri paesi centroamericani, della perdita di paesi amici “puniti” per violazioni dei diritti umani. Una delle più vivaci critiche alla politica del Presidente Carter fu formulata da Jeane Kirkpatrick, nota per il suo appoggio ai regimi autoritari della regione. Secondo la sua opinione: “i governi autoritari tradizionali sono meno repressivi delle autocrazie rivoluzionarie che sono meno compatibili con gli interessi statunitensi e meno suscettibili di liberalizzazione”6.

Durante la seconda presidenza Reagan, l’America Latina diventò un’area di crescente interesse per gli Stati Uniti e il recupero della leadership americana nella regione divenne un obiettivo importante all’interno della nuova concezione globale dell’amministrazione repubblicana. Le azioni verso i paesi dell’America Latina dovevano svilupparsi non soltanto in funzione del carattere di alleato o avversario degli Stati Uniti, ma anche secondo la diversa valenza regionale dei vari paesi. In base a queste considerazioni l’America Latina venne divisa in tre settori: il primo includeva America centrale e Carabi, era considerata l’area più critica per gli interessi americani poiché la penetrazione sovietica era rilevante. Per questo motivo l’obbiettivo prioritario dell’amministrazione repubblicana era contenere l’espansionismo sovietico a partire dallo sviluppo di una strategia d’intervento che prevedeva 3 fasi progressive che potevano sfociare nell’intervento militare diretto. Il secondo settore era rappresentato da paesi intermedi ai quali si riconosceva importanza strategica nella 5 W. La Feber, op. cit., pp. 275-322 6 Ibidem

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politica regionale e si auspicava un rafforzamento delle relazioni bilaterali con essi. Nel rapporto del Comitato di Santa Fè si suggeriva un’attenzione particolare al Brasile e al Messico che, per territorio e peso politico, occupan un peso rilevante in America Latina. L’amministrazione statunitense doveva tentare di stringere con questi paesi relazioni forti in campo politico e economico anche mediante il ritorno a forme di “relazione speciale”.Il terzo settore era rappresentato dall’America del Sud che, dopo la caduta di Allende, non rappresentava una minaccia diretta all’espansione del comunismo per cui la loro importanza strategica appariva minore, anche se andavano monitorati.

In questa cornice si inserisce la politica della Casa Bianca nelle crisi centroamericane, politica che peraltro non fu del tutto omogenea. Ci furono differenze tra i fatti accaduti in Nicaragua (dove il Frente Sandinista accedette liberamente al potere) e quelli che ebbero luogo in Guatemala o El Salvador. Da parte sua l’OSA, si dimostrò incapace di assumere posizioni nette. Le sue difficoltà operative furono aggravate da un altro avvenimento destinato destina ad avere ripercussioni sul sistema interamericano: il conflitto anglo-argentino per le Falklands-Malvinas (1982), provocato dalla giunta militare del generale Galtieri. Dopo l’invasione argentina delle isole si moltiplicarono le iniziative diplomatiche per trovare una via d’uscita al conflitto. Ma le posizioni delle due parti erano ispirate a grande rigidità e determinazione nel far valere le proprie ragioni e rimanevano assai distanti tra loro. L’Argentina avvertì che, se la Gran Bretagna avesse attaccato le isole, si sarebbe appellata al TIAR. Il Presidente Reagan affidò una missione di buoni uffici al Segretario di StatoHaig. Per tutta risposta il premier britannico Margareth Thatcher appoggiandosi sulla risoluzione 502 del CdS, chiese il ritiro delle truppe argentine come precondizione per avviare le trattative. La reazione del governo militare fu immediata: il Presidente Galtieri affermò che il conflitto si sarebbe allargato se le truppe britanniche avessero rimesso piede nelle isole. La “Dama di Ferro” inviò le proprie truppe che in poco tempo occuparono gli arcipelaghi delle Georgiee Sandwich del Sud. Con l’aumento dei combattimenti l’organo consultivo del TIAR approvò una risoluzione di solidarietà con L’Argentina, riconoscendo i diritti che essa vantava sulle isole dal 1833. La svolta della Casa Bianca fu chiara, Washington appoggiò le posizioni britanniche e annunciò sanzioni economiche e militari contro l’Argentina: in queste condizioni era evidente che l’interesse di Haig si sarebbe risolto a favore di Londra. L’affondamento da parte britannica della nave da guerra Argentina General Belgrano, che si trovava fuori dalle acque territoriali, vanificò definitivamente il proposito della comunità internazionale di continuare i tentativi per porre fine al conflitto. Vano fu anche l’intervento del Presidente peruviano Belaunde Terry, favorevole alla tesi di una “amministrazione multinazionale” affidata a quattro paesi garanti (Stati Uniti, Italia, Germania e Canada). Tutti i paesi latinoamericani, tranne il Cile, criticarono con accenti diversi l’aperto sostegno statunitense al governo di Londra. Come conseguenza di una nuova richiesta Argentina al Consiglio di Sicurezza fu approvata la risoluzione 505 che richiedeva alle parti di cooperare con il Segretario Generale dell’ONU per una soluzione politica della controversia7. Di netto stampo “interventista” fu l’invasione USA di Grenada l’anno dopo (1983). Nell’ottobre 1983 il Presidente Maurice Bishope tre suoi ministri furono uccisi da un gruppo di ufficiali ribelli: fu costituito un Consiglio Militare Rivoluzionario che proclamò lo stato di assedio. Reagan accusò la giunta di “connessione cubana”, attribuendole l’intenzione di stabilire a Grenada un regime comunista. Fidel Castro fu accusato di sostenere il golpe: soldati americani invasero il paese con truppe di stati

7 Bruno e Raffaele Campanella, op.cit,,pp. 129-131

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vicini (Giamaica, San Vincente, Santa Lucia ). Costituitasi la nuova giunta provvisoria vennero indette nel 1984 elezioni generali, a seguito delle quali assunse il potere un governo di orientamento pro-statunitense. Fu così che per le incertezze dell’OSA, la mancanza di altri organismi emisferici operativi, la posizione assunta dagli Stati Uniti nel conflitto Falklands-Malvinas e nella crisi di Grenada si diedero i primi passi per la conformazione di istanze subregionali: il “Grupo Contadora”, il “Grupo de apoyo”, il “Grupo de los Ocho e infine il “Grupo de Rio”8. Grazie a questi nuovi meccanismi il sistema interamericano cominciò a ripartire.

6.2 L’OSA e il consolidamento della democrazia. La Risoluzione 1080 (1991)

L’ondata di democratizzazione che investì molti paesi del Continente a partire

dalla seconda metà degli anni ’80 ebbe un effetto decisivo nel processo di rivitalizzazione dell’OSA. Con il progressivo affermarsi di regimi democratici la questione del consolidamento della democrazia rappresentativa diventava fondamentale per l’Organizzazione. Si trattava di individuare gli strumenti più idonei affinché quest’opera di rafforzamento potesse svolgersi nell’ambito del sistema interamericano, mediante decisioni ed azioni comuni adottate in base a valori condivisi. A ciò provvidero la Risoluzione 1080 (1991) e il Protocollo di Washington (1992). D’altra parte, al di là degli aspetti ideologici, le situazioni di crisi, verificatesi in diversi paesi dell’America Centrale (Repubblica Dominicana, Cuba, Grenada, Haiti, Nicaragua, Panama, ecc.), avevano già messo in evidenza la necessità di analizzare in profondità le cause dell’interruzione dei processi democratici nel continente e di trovare rimedi adeguati per evitare il ripetersi di situazioni analoghe.

Così nel corso del XXI Periodo Ordinario di Sessioni dell’Assemblea Generale, (Santiago, giugno 1991), vennero approvate una Dichiarazione di principio (Compromiso de Santiago para la democracia y la renovaciòn del sistema interamericano) e la risoluzione 1080 sulla democrazia rappresentativa, che indicava gli strumenti per rendere operativo l’impegno assunto dai paesi membri in questo delicato settore.

Opportunamente gli estensori della Risoluzione inclusero nel preambolo un esplicito riferimento alla Carta di Bogotà, sottolineando che essa non solo indicava nella democrazia rappresentativa una delle condizioni indispensabili per assicurare la stabilità, la pace e lo sviluppo della regione, ma indicava come uno degli obbiettivi fondamentali dell’OSA la promozione e il consolidamento della democrazia, nel rispetto del principio di non intervento9. La Risoluzione stabilì che: “qualora in un paese membro si verifichi un’interruzione improvvisa e irregolare del processo istituzionale politico e democratico oppure dell’esercizio legittimo del potere da parte di un governo eletto democraticamente, il Segretario Generale è incaricato di

8 Il Grupo Rio, fondato nel 1986, è composto da numerosi paesi: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Messico, Paraguay, Uruguay e Venezuela cui si aggiunsero successivamente Perù e Panama e rappresentanti dei paesi centroamericani e di quelli anglofoni dei Carabi. Le riunioni si svolgono attraverso il denominato “mecanismo permanente de consulta y concertaciòn publica”. Questo gruppo ebbe le sue origininel momento in cui alle nazioni del Grupo Contadora, sorto per promuovere la pace ela democrazia in Centroamerica (Colombia, Messico, Panama e Venezuela) si aggiunse il Grupo de Apoyo (Argentina, Brasile, Perù, Uruguay). Esso è diventato un organismo latinoamericano di consultazione per i problemi regionali: sicurezza, debito estero, commercio internazionale, ecc.

9 Rapresentative Democracy, AG Res. 1080 XXI O/91, In http://www.oas.org/juridico/english/agres1080.htm, sito dell’osa

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convocare immediatamente una riunione del Consiglio Permanente per esaminare la situazione ed adottare le decisioni più appropriate. In particolare, potrà essere convocata d’urgenza una riunione ad hoc dei Ministri degli Esteri oppure una seduta speciale dell’Assemblea Generale, il tutto nel termine massimo di 10 giorni”10. E’ importante osservare che la Risoluzione stabilisce esplicitamente che le decisioni adottate dai Ministri degli Esteri o dall’Assemblea Generale devono essere conformi alla Carta di Bogotà ed al diritto internazionale: ciò per eliminare ogni dubbio sulla loro fondatezza sotto il profilo sia del diritto internazionale sia dei diritti e degli obblighi derivanti agli stati membri dalla loro appartenenza all’Organizzazione come firmatari della Carta11. La risoluzione 1080 fu completata l’anno successivo dal Protocollo di Washington (1992) che dispose la sospensione parziale o totale dell’Organizzazione fino al ripristino del sistema democratico, di quei governi che avessero assunto il potere in forma illegale. I meccanismi introdotti dalla risoluzione 1080 e dal Protocollo di Washington furono messi alla prova in occasione dello scoppio di situazioni di crisi in quattro paesi: Haiti, Perù, Guatemala, Paraguay.

Ad Haiti, nel settembre del 1991 il Presidente Aristide, eletto democraticamente, fu rovesciato da un golpe guidato dal Generale Raùl Cedras. Invocando per la prima volta la Risoluzione 1080, i Ministri degli Esteri dell’emisfero firmarono una dichiarazione congiunta che denunciava il golpe, richiedeva il ristabilimento del governo eletto democraticamente e raccomandava il blocco commerciale contro il regime autoritario.

Il secondo caso si verificò in Perù nel 1992: il Presidente costituzionale Alberto Fujimori effettuò un autogolpe chiudendo il Parlamento, sospendendo le cortes e controllando i politici oppositori. Sulla base della risoluzione 1080, il Segretario Generale dell’OSA convocò il Consiglio Permanente per una urgente riunione cui fece seguito quella dei Ministri degli Esteri. Fu denunciato formalmente l’operato di Fujimori ed invocato il ripristino dell’ordine costituzionale. Gli Stati Uniti andarono al di là delle posizioni dell’OSA, riducendo gli aiuti economici e militari promessi al Perù. Le diverse missioni dell’OSA si conclusero con l’impegno di Fujimori di convocare elezioni per una assemblea costituente. In Guatemala nel 1993 il Presidente Jorge Serrano Elias volle seguire l’esempio peruviano. L’OSA invocò la Risoluzione 1080 e riuscì ad imporre una rapida soluzione. Anche in questa occasione Washington fece pressioni minacciando di cancellare le concessioni fatte al Guatemala per favorire l’introduzione dei suoi prodotti negli Stati Uniti. I membri del Grupo di Rio intervennero sulla corte costituzionale che dichiarò l’incostituzionalità dell’autogolpe. Jorge Serrano ed il vicepresidente Espina Salguero dovettero dimettersi.

Infine in Paraguay nel 1996 il capo delle forze armate Lino Oviedo, effettuò un tentativo di golpe che minacciò di interrompere il processo costituzionale del paese. L’OSA intervenne sulla base della Risoluzione 1080 e convocò una riunione dei Ministri degli Esteri. Alla sua azione si affiancò quella degli altri tre soci del Paraguay nell’ambito del Mercosur: la crisi fu superata con la rinuncia del Generale Oviedo. A differenza dei casi precedenti la Risoluzione 1080 non fu invocata invece nel tentativo di golpe contro il Presidente del Venezuela Carlos Andrès Perez, (febbraio 1992), e nel caso della destituzione irregolare del Presidente dell’Ecuador Abdalà Bucaràn (febbraio 1997). L’esame complessivo dei casi indicati e l’intervento o non intervento dell’OSA in ciascuno di essi nonché l’evoluzione del subcontinente negli ultimi 20 anni verso l’accettazione, che sembra ormai definitiva, della democrazia, fanno ritenere ad alcuni analisti che si stia delineando un vero e proprio “regime 10 Ibidem

11 Ibidem

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democratico interamericano”. Secondo questa analisi, che sembra privilegiare gli aspetti formali del sistema democratico, le minacce ad una democrazia del continente sarebbero sentite dagli altri paesi dell’area come una minaccia a tutte le democrazie dell’emisfero. Questa nuova consapevolezza spingerebbe i paesi a reagire con crescente rapidità ed efficacia ad eventuali interruzioni o gravi alterazioni dei processi democratici che si dovessero verificare in uno di essi. Il ruolo dell’OSA in questo scenario sarebbe fondamentale, ma non unico, affiancandosi ad esso quello di altre strutture e fori latinoamericani (Mercosur, Grupo Rio ecc.), degli interventi bilaterali (USA) e delle pressioni internazionali.

A questo fine un posto molto importante occupano i Vertici dei Capi di Stato e di Governo che hanno riaffermato la funzione rivelante dell’OSA nella difesa e promozione della democrazia nel continente. In particolare il vertice di Quebec (2001) ha fatto un ulteriore passo avanti rispetto alla Risoluzione 1080 ed al Protocollo di Washington nell’adottare una “clausola democratica“ che esclude dai Vertici dei Capi di Stato quei governi che si siano resi responsabili “alterazioni o rotture incostituzionali dell’ordine democratico”12. Naturalmente i limiti dell’azione dell’OSA sono quelli inerenti a qualsiasi intervento internazionale, fatta eccezione ovviamente per le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Le deliberazioni degli organi dell’OSA (Assemblea Generale,Riunione dei Ministri degli Esteri, ecc.) hanno valore di raccomandazioni e non sono strettamente vincolanti. É perciò fondamentale la volontà politica degli stati membri di dare seguito effettivo alle decisioni assunte in forma congiunta, non avendo l’organizzazione né la competenza né la facoltà di far applicare da sola le decisioni dei suoi organi. Va inoltre tenuto presente che, nonostante la positiva evoluzione dell’America Latina negli ultimi vent’anni, non pochi regimi democratici sono ancora fragili ed imperfetti né si può dire che la cultura e la pratica democratica abbiano permeato tutti gli strati delle diverse società latinoamericane. In vari paesi l’equilibrio tra i poteri è ancora precario, la trasparenza difficile da raggiungere, il peso politico delle forze armate tuttora importante, la magistratura e la stampa non sempre pienamente indipendenti. Ma soprattutto le condizioni socio-economiche di ampi strati della popolazione escludono di fatto milioni di persone dall’esercizio effettivo di una cittadinanza piena e dalla reale partecipazione alla vita democratica.

6.3 I problemi economici e sociali: il Protocollo di Washington

(1992 ) Partendo da questa consapevolezza, il Protocollo di Washington del 1992,

mentre sul piano politico-istituzionale sancì la sospensione dall’OSA dei paesi membri i cui governi eletti democraticamente fossero deposti mediante l’uso della forza, riaffermò la necessità di “sradicare dal Continente la povertà estrema, che rappresenta un ostacolo al pieno sviluppo democratico dei popoli dell’emisfero”. Il protocollo aggiunge che “l’eliminazione della povertà estrema è parte essenziale della promozione e del consolidamento della democrazia rappresentativa e costituisce una responsabilità comune e condivisa degli stati americani”13. Esso indica gli standard minimi che gli stati membri devono raggiungere per centrare l’obbiettivo

12 Third Summit, Plan of Action , Quebec, 2001, in http://scm.oas.org/Reference/english/SUMMITS%20OF%20THE%20AMERICAS/PLAN%20OF%20ACTION%20-%20QUEBEC%20-%202001.doc, sito dell’OSA

13 Vaky, & Munoz, op.cit., pp. 5-30

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dell’eliminazione della “povertà estrema”: ciò comporta l’attuazione di coraggiose politiche di sviluppo in campo economico, sociale, sanitario ed educativo ed un’equa distribuzione delle risorse fra i diversi strati della popolazione. Il Protocollo, riformando in tal senso la Carta di Bogotà, proponeva quindi un nuovo modello nell’impegno regionale per lo sviluppo. In questa prospettiva era necessario un adeguamento dei meccanismi istituzionali anche nel settore economico e sociale. Fu perciò decisa la fusione del Consiglio Economico-Sociale e del Consiglio Culturale che predisposero un programma integrale di sviluppo regionale amministrato dal Consiglio Interamericano per lo Sviluppo Intergrale (CIDI)14.

L’articolo 94 indica i compiti e le finalità di quest’organo: “promuovere in applicazione del dettato della Carta, la cooperazione tra gli stati americani per raggiungere lo sviluppo integrale e in particolare per contribuire all’eliminazione della povertà estrema”15. Un’altra importante iniziativa fu assunta in occasione dell’Assemblea Generale dell’OSA che si tenne a Città del Messico nel febbraio 1994. La Dichiarazione approvata in quella circostanza aveva due aspetti significativi: da una parte ribadiva la necessità di sradicare la povertà come conditio sine qua non per lo sviluppo della regione; dall’altra stabiliva un meccanismo regionale attraverso il quale si doveva raggiungere questo obbiettivo. La Dichiarazione sottolineava l’impegno di “stimolare la cooperazione solidaria per lo sviluppo come obbiettivo fondamentale dell’OSA e come strumento idoneo per appoggiare collettivamente gli sforzi nazionali in favore della crescita ed in modo particolare per contribuire a superare la povertà estrema nell’emisfero”. Per quanto concerne l’area dei Carabi, particolarmente interessata da questi fenomeni, una dimostrazione dell’interesse dell’OSA fu la raccomandazione fatta dall’Assemblea Generale del 1992 di analizzare con speciale attenzione i problemi della sicurezza e le necessità economiche dei piccoli stati di quell’area. Nel 1996 venne convocata in seduta speciale la Commissione per la Sicurezza Emisferica che realizzò “un importante sforzo per identificare e definire in forma omnicomprensiva i problemi di sicurezza che affrontano le isole dei Carabi”16. Da allora l’agenda dei Caraibi è stata presa in considerazione dall’OSA per l’esame di numerose questioni: commercio, turismo, droga, prevenzione dei disastri naturali, ecc. Una prima riunione di alto livello, presieduta dal Segretario Generale, si svolse nel 1998 a El Salvador. Si misero in evidenza i risultati ottenuti con la creazione di varie unità operative: Unidad para el desarollo sostenibile y el medio ambiente”, Unidad de turismo, Comisiòn interamericana contra el abuso de drogas, Unidad de commercio” quest’ultima collegata con l’organizzazione mondiale del Commercio (OMC). Queste ripetute prese di posizione a diversi livelli indicavano con chiarezza la necessità che i governi e gli organismi interamericani e internazionali competenti assegnassero risorse adeguate per sradicare la povertà estrema ed individuassero meccanismi idonei per elevare progressivamente il livello di vita delle popolazioni. Si riconosceva che l’azione centrale di tutta l’area americana doveva essere indirizzata in forma prioritaria al benessere individuale e collettivo. Per raggiungere questa finalità il sistema interamericano ha via via istituito una serie di organismi specializzati: “La Organizaciòn Panamericana de Salud (1902); l’Istituto Panamericano de Geografia e Historia(1928); l’Istituto Interamericano de Cooperacion para la Agricoltura (1944); l’Istituo Indigenista Interamericano”(1949); la “Comisiòn Interamericana para el

14 Washington Protocol (1992), in http://scm.oas.org/Reference/english/WSHINGTON %20PROTOCOL%201992, sito dell’OSA 15 Ibidem 16 J. Tulchin, Redefiniciòn de la seguridad nacional en el hemisferio occidental: la funciòn del multilateralismo, Flacso, Santiago de Chile, 1996, pp. 47-64

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control del Abuso de Drogas “(1986). Per il proseguimento degli stessi obiettivi il Segretario Generale mantiene rapporti con numerosi organismi: Segretariato delle Nazioni Unite; Sistema di Integrazione Centroamericana (SICA); Sistema Economico Latino-Americano (SELA); Commissione Economica per l’America- Latina e i Carabi (CEPAL); Banca Interamericana di Sviluppo (BID); Associazione Interamericana di Integrazione (ALADI); Associazione Stati dei Caraibi (ACS); Istituto Americano di Cooperazione per l’Agricoltura (IILLCA); Patto Andino; Banca di Sviluppo dei Carabi. Sul piano più strettamente costituzionale possono considerarsi complementari alle Conferenze specializzate: la Cumbre de las Americas sobre desarollo sostenibile(Bolivia1996); la Conferencia especializada interamericana sobre terrorismo (Perù,1996); la Conferencia especializada para la redacciòn de la convenciòn interamericana para la corrupciòn” (Venezuela 1996), la Reuniòn de alto nivel sobre la preocupaciones especiales de seguridad de los pequenos Estados Insulares” (El Salvador, 1998)

6.4 La Carta Democratica Interamericana ( 2001) Un ulteriore importante sviluppo nel processo di consolidamento e di

promozione della democrazia in America Latina è stato fatto all’inizio del nuovo millennio con l’approvazione della Carta Democratica Interamericana da parte dell’Assemblea Generale dell’OSA riunitasi in seduta straordinaria a Lima l’11 settembre 2001. Alla sua approvazione contribuirono anche gli eventi verificatisi in Perù, durante la presidenza Fujimori. Il documento riprende l’idea di base, ribadita in atti e documenti precedenti, sulle stretta correlazione tra democrazia e sviluppo, tema a cui viene dedicato, uno speciale capitolo dal titolo “democrazia, sviluppo integrale e lotta alla povertà” (cap.III artt.11-16)17. Il capitolo si apre con una affermazione netta: “la democrazia e lo sviluppo economico-sociale sono interdipendenti e si rafforzano reciprocamente”(art. 11). Questa affermazione è esplicitata in due articoli successivi: “la povertà, l’analfabetismo ed i bassi livelli di sviluppo umano sono fattori che incidono negativamente sul consolidamento della democrazia”(art. 12); “l’educazione è uno strumento chiave per rafforzare le istituzioni democratiche”(art. 16)18. Su un piano più strettamente politico la Carta richiama anteriori dichiarazioni e decisioni, ma innova rispetto ad esse stabilendo un meccanismo di prevenzione delle situazioni di crisi, che non era stato previsto da quei documenti. Il sistema si arricchisce, quindi, di un nuovo strumento. In base alla Carta, l’OSA può intervenire non solo in risposta a crisi già verificatesi, ma per cercare di prevenire e di evitare quelle in gestazione o in fieri. Si tratta di una importante limitazione ai principi di sovranità e di non intervento, per lungo tempo ritenuti valori assoluti e intangibili, basata sulla difesa di valori superiori. La base concettuale, su cui si fonda questa limitazione, è la distinzione tra diritto degli stati e diritto dei popoli, spettando la priorità a quest’ultimo. In tal senso è significativo quanto afferma l’articolo 1 che costituisce il fondamento politico-filosofico di questa parte della Carta: “I popoli d’America hanno diritto alla democrazia ed i loro governi hanno l’obbligo di promuoverla e di difenderla. La democrazia è essenziale per lo sviluppo sociale, politico ed economico dei popoli d’America”19. Ancora più esplicito è il preambolo quando afferma che la missione dell’OSA non si limita alla difesa della democrazia nei casi di rottura dei suoi valori e

17 Inter-American Democratic Charter. In

http://www.oas.org/OASpage/eng/Documents/Democractic_Charter.htm, sito dell’osa 18 Ibidem 19 Ibidem

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i principi fondamentali, ma si estende ad un’azione permanente volta a consolidarla nonché “ad uno sforzo continuo per prevenire e anticipare le cause stesse dei problemi che alterano il sistema democratico di governo”. Sulla base di queste premesse la Carta istituisce un meccanismo di intervento preventivo articolato in maniera tale da offrire un ampio ventaglio di possibili azioni da poter mettere in campo contro ogni topo di attacco alla democrazia tramite la possibilità di richiesta di assistenza o di intervento conoscitivo al Segretario Generale o la facoltà di chiedere al Consiglio Permanente l’interposizione di buoni uffici. Il ventaglio delle opzioni è ampio e tende ad offrire ai diversi organi dell’OSA la possibilità di adoperarsi in ogni momento per prevenire, fin dal nascere, situazioni di crisi interne o per cercare di sanarle mentre esse sono in corso o si siano già verificate. E’ interessante a quest’ultimo riguardo la disposizione che consente di effettuare gestiones diplomaticas anche durante la sospensione di uno stato membro per cercare di ristabilire il sistema democratico nel paese interessato20.

La Carta indica, inoltre, i parametri a cui i paesi membri devono attenersi per rendere effettivo l’esercizio della democrazia all’interno di essi: rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; libere elezioni; pluralità dei partiti; separazione dei poteri; libertà di stampa; subordinazione delle istituzioni ai governi liberamente eletti; stato di diritto; trasparenza della gestione pubblica. Essendo la Carta un documento relativamente recente, è difficile valutarne l’efficacia e l’impatto sullo sviluppo democratico del continente. Il Segretario Generale dell’OSA uscente Cesar Gaviria la considerò non a torto, la sintesi degli sforzi dell’Organizzazione “volti a fare della difesa della democrazia e della protezione dei diritti umani la ragione d’essere della nostra stessa esistenza come organizzazione regionale”21. Egli ricorda gli sforzi dell’OSA per la soluzione delle crisi verificatesi nel 2003-2004 in Bolivia, Haiti, Venezuela e Colombia nonché il contributo dell’Organizzazione a sostegno dei processi elettorali in Argentina,Paraguay, Guatemala e Grenada. Il bilancio che egli traccia dell’attività dell’Organizzazione nella decade 1994-2004 è nettamente positivo, quasi entusiasta: “Se cerchiamo di fare un bilancio di quanto è avvenuto nell’emisfero durante gli anni 1994-2004 si può dire che abbiamo raggiunto gli obbiettivi indicatici dai nostri fondatori a Bogotà e che la realtà ha superato le aspettative iniziali…l’OSA è ora una Organizzazione Internazionale consolidata ed efficace sia in materia di promozione e difesa della democrazia sia nel proseguimento dell’azione volta ad ottenere una crescita economica per tutti”22. Con maggiore realismo il Vice Segretario Generale Luigi Enaudi, pur sottolineando l’indubbia importanza della Carta nell’evoluzione del sistema interamericano, ne fa rilevare i limiti. Egli osserva che “non vi sono ancora grandi accordi consensuali sulla questione di che cosa si possa o debba fare una volta che si sia prodotta un’interruzione dell’ordine costituzionale. Abbiamo scoperto che le sanzioni non sono molto utili e del resto nell’OSA non è previsto l’uso della forza. Pur con questi limiti è indubbio, tuttavia, che la Carta costituisce un progresso non indifferente nell’evoluzione del sistema interamericano, almeno sul piano del consolidamento della democrazia formale. I problemi di sostanza, attinenti ai gravi ritardi nello sviluppo socio-economico del subcontinente ed alle carenze del funzionamento effettivo della democrazia in vari paesi, richiedono un impegno degli stati membri di ben altra portata. In proposito va segnalato che dopo i vertici di Panama (luglio 1956) e Punta del Este (aprile 1967), i paesi del Continente per vari decenni non si erano più riuniti

20 Ibidem

21 Cesar Graviria, Informe 2003-2004-La OEA 1994-2004 una decada de transformaciòn, OEA, 2005, p. 134

22 Ibidem.

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al massimo livello di incontri che comprendessero tutti i capi di stato dell’area. L’iniziativa di rivitalizzare questo importante foro di consultazione e di dialogo fu assunta dal Presidente Clinton che convocò a Miami il primo vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’era postbipolare (9-11 dicembre 1994). Era caduto il muro di Berlino, la democrazia ormai si era diffusa in tutto il Continente, numerosi nuovi membri si erano via via integrati nel sistema interamericano che ormai contava 34 paesi (oltre Cuba sospesa dal 1962): si rendeva necessario quindi riunire intorno ad un tavolo i nuovi leader continentali per rilanciare i rapporti inter-americani. Da questo incontro, che faceva seguito all’Iniziativa per le Americhe lanciata due anni prima da Bush senior, nacque fra l’altro l’idea dell’ALCA, un ambizioso progetto per la creazione di un’area di libero scambio che si estendesse all’intero continente, da realizzare non oltre il 200523. Sostanzialmente interlocutorio fu invece il Vertice di Santiago (1998), mentre più importante risultò il Vertice di Quebec (20-22 aprile 2001) che, come si è visto, diede un impulso decisivo alla stipulazione della Carta Democratica Interamericana24. Dopo il Vertice di Quebec, il Primo Ministro canadese Jean Crètien assunse l’iniziativa di convocare un vertice straordinario delle americhe per affrontare le difficili sfide economico-sociali e rafforzare le istituzioni democratiche dell’emisfero. L’incontro ebbe luogo nel 2004 a Monterrey (Messico) e si concentrò sui problemi della crescita economica, della riduzione della povertà, dello sviluppo sociale e della governabilità democratica. Particolare attenzione fu riservata alla promozione della “inclusione sociale”, all’occupazione ed alla equa distribuzione delle risorse. La stretta interdipendenza tra rafforzamento della democrazia e sviluppo economico-sociale appare quindi un dato acquisito, almeno a livello concettuale e di dichiarazione di principio. Ad essa fanno da complemento non secondario altri elementi sottolineati in varie prese di posizione ed atti ufficiali che concorrono a consolidare il sistema democratico: trasparenza, lotta alla corruzione, rafforzamento dei partiti, libertà di stampa, partecipazione della società civile alla cosa pubblica, contrasto al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di persone, armi e stupefacenti, all’insicurezza individuale e collettiva25. Per quanto attiene gli aspetti che riguardano più specificatamente la sicurezza emisferica, è da sottolineare il ruolo della Conferenza speciale sulla sicurezza varata dal vertice di Quebec e realizzata in Messico nel 2003. L’esigenza di una riflessione sul concetto di sicurezza emisferica nasce dalle profonde trasformazioni sopravvenute negli ultimi 15 anni in America Latina e nel Mondo: caduta del muro di Berlino e quindi del sistema bipolare; abbandono in America Latina dei sistemi dittatoriali e dei regimi militari e progressivo affermarsi della democrazia; sfide del terrorismo internazionale; narcotraffico e traffico di armi; spese militari e riorganizzazione delle forze armate in funzione del mutato scenario regionale e internazionale. In questo nuovo contesto si pone, secondo alcuni, l’esigenza di ridefinire il concetto di sicurezza emisferica nonché gli strumenti e gli organi posti a presidio di essa. In tal senso Cesar Gaviria, a conclusione dei suoi 10 anni di mandato come Segretario Generale dell’OSA (1994-2004), propose l’adozione di alcune importanti riforme: revisione del TIAR e del patto di Bogotà; valorizzazione della Commissione per la Sicurezza Emisferica come

23 First Summit, Plan of Action, Miami, 1994, in

http://scm.oas.org/Reference/english/SUMMITS%20OF%20THE%20AMERICAS/PLAN%20OF%20ACTION%20-SEFP-94.txt, sito dell’osa

24 Third Summit, Plan of Action , Quebec, 2001, in http://scm.oas.org/Reference/english/SUMMITS%20OF%20THE%20AMERICAS/PLAN%20OF%20ACTION%20-%20QUEBEC%20-%202001.doc, sito dell’osa

25 Cumbre Extraordinaria de las Americas, Declaration of Nuevo León, in http://scm.oas.org/Reference/english/SUMMITS%20OF%20THE%20AMERICAS/DECLARATION%20OF%20NUEVO%20LEON.doc, sito dell’osa

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principale strumento per assicurare l’esame complessivo di queste problematiche e l’attuazione delle decisioni politiche attinenti alla sicurezza dell’area; riconduzione della Giunta Interamericana di Difesa sotto la piena egida dell’OSA e della Conferenza dei Ministri della Difesa sotto quella dei vertici dei Capi di Stato e di Governo. L’insieme di queste riforme richiederà da parte dell’OSA la predisposizione di nuovi strumenti da sottoporre all’approvazione dei stati membri per mettere in grado l’Organizzazione di far fronte anche sotto questo specifico profilo, alle nuove sfide che attendono il continente nei prossimi anni. Sarà questo uno dei tanti compiti del nuovo Segretario Generale dell’Organizzazione, il cileno Miguel Insulza, eletto il 2 maggio 2005, dopo un lungo braccio di ferro fra gli Stati uniti e vari importanti paesi del continente (Argentina, Brasile, Cile, Venezuela). Il contrasto si è protratto per diversi mesi ed è culminato con la decisione degli Stati Uniti di ritirare il proprio candidato, il messicano Luis Ernesto Derbez, che non riusciva a raccogliere i consensi necessari. L’elezione di Insulza è stata salutata con favore, come premessa per un rilancio dell’azione dell’OSA in un momento di difficoltà nei rapporti tra gli Stati Uniti e vari paesi dell’Area. Alcuni analisti ritengono che negli ultimi anni, dopo l’insediamento di Bush, si sarebbe verificato un progressivo raffreddamento nei rapporti tra Washington e varie capitali latino-americane: Washington ritiene di non aver ricevuto l’appoggio necessario da parte del subcontinente alla sua politica verso l’Iraq, mentre diversi paesi latinoamericani sarebbero delusi per l’insufficiente attenzione dell’amministrazione repubblicana ai problemi della regione. Il braccio di ferro sull’elezione del nuovo Segretario Generale dell’OSA, risoltosi sostanzialmente con una sconfitta diplomatica degli Stati Uniti, sarebbe una spia importante di questo stato di disagio.

6.5 L’OSA e la protezione dei diritti umani La lotta per il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani nei Paesi americani

ha diverse radici storiche: i regolamenti sui trattamenti degli indigeni e sul lavoro degli schiavi ai tempi della conquista e della colonizzazione; le influenze intellettuali civilizzatrici dell’umanesimo; gli ideali delle rivoluzioni francese e americana con le dichiarazioni sui diritti dell’uomo; i movimenti politici di emancipazione; il costituzionalismo liberale e le dottrine sociali che si svilupparono in Europa nel XIX e primi decenni del XX secolo. A partire da quel periodo le aspirazioni per raggiungere i diritti civili e politici si espansero al punto da diventare la bandiera e il programma degli incipienti movimenti e partiti politici che nacquero in quasi tutti i paesi d’America per far fronte agli autoritarismi e per lottare contro le visibili disuguaglianze sociali e economiche. Gli antecedenti più diretti dell’attuale diritto internazionale americano dei diritti umani si trovano nel processo di formazione del sistema regionale di cooperazione politica26. Nel Trattato di Unione Perpetua, Lega e Confederazione firmato a Panama nel 1826 per ispirazione di Simon Bolivar, si riconobbero principi che oggi fanno parte delle moderne convenzioni sulla materia, come per esempio l’uguaglianza giuridica tra gli abitanti di uno stato e gli stranieri che risiedono nel suo territorio e la cooperazione internazionale per l’abolizione della tratta degli schiavi27.

Nelle diverse Conferenze interamericane che iniziarono a riunirsi alla fine del XIX secolo, dalla prima di Washington nel 1889-1890 fino alla settima celebrata a

26 A. Schlesinger Jr, The Cycles of American History, Andre Deutsch, 1986, pp. 87-110

27 C. Sepulveda, op. cit., pp. 18-21

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Montevideo, Uruguay nel 1933 si affrontarono temi generali relativi ai diritti umani: diritti degli stranieri, questioni su nazionalità e asilo,accordi sul mantenimento della pace; accordi sulla protezione dei diritti dei bambini; convenzioni sui diritti del lavoratori in generale, e delle donne lavoratrici in particolare.; ecc.. Già durante l’Ottava conferenza internazionale americana (Lima, 1938) si adottarono risoluzioni specifiche sui diritti umani, coma la risoluzione sulla “Libera associazione e libertà di espressione dei lavoratori”, la “Dichiarazione di Lima in favore dei diritti delle donne”, la risoluzione XXXVI, in base alla quale gli stati d’America condannarono, in quanto contraria al loro regime giuridico e politico, ogni forma di persecuzione per motivi razziali o religiosi; e la Dichiarazione in difesa dei diritti umani, nella quale i governi d’america espressero la propria preoccupazione per la violazione di tali diritti sia durante i conflitti bellici sia in tempo di pace28.

Prima della nascita dell’OSA e dell’Adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo due fatti contribuirono fortemente allo sviluppo di azioni emisferiche concrete nel campo dei diritti umani: da un lato i crimini orrendi contro la persona commessi dai totalitarismi durante la Seconda Guerra Mondiale; dall’altro la vittoria delle democrazie su vari fronti, ideologico, bellico e in politica internazionale.

Il sistema interamericano di promozione e protezione dei diritti umani, nasce formalmente con la Dichiarazione dei Diritti e Doveri dell’Uomo e con la Carta Americana di Garanzie Sociali, entrambe approvate durante la Nona Conferenza Internazionale Americana, riunita a Bogotà, Colombia, nell’aprile-maggio del 1948. Nella medesima Conferenza vide la luce l’OSA, nella cui Carta venne fermamente stabilito di “consolidare in questo Continente, all’interno di istituzioni democratiche, un regime di libertà individuali e giustizia sociale, fondato sul rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo”, precisando allo stesso tempo che uno dei principi base sarebbe stata la difesa e protezione dei “diritti fondamentali della persona umana senza distinzioni di razza, nazionalità, religione e sesso”29.

La Dichiarazione Americana sui Diritti e Doveri dell’uomo, ha il grande merito di essere stato il primo strumento internazionale in materia di diritti umani. Fu adottata otto mesi prima che la terza assemblea generale delle Nazioni Unite, approvasse la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo il 10 dicembre del 1948. Nonostante dopo tale data siano state adottati e entrati in vigore molti altri strumenti internazionali in materia, la Dichiarazione continua ad avere non solo una influenza determinante nell’orientare la politica di protezione dei diritti umani del sistema regionale, ma possiede anche effetti giuridici su tutti i Paesi membri dell’OSA.

Come segnalò la Corte interamericana sui diritti umani, nella riunione consultiva 10/89, per gli Stati membri dell’OSA “la Dichiarazione è il testo che determina quali siano i diritti a cui si riferisce la Carta e costituisce in materia una fonte di obbligazioni internazionali30.

La Dichiarazione ebbe la grande virtù di includere nel proprio testo tutti i diritti umani, senza alcuna distinzione, avvicinandosi in tal modo alle moderne correnti di pensiero che oggi enfatizzano la indivisibilità, interdipendenza e universalità di tali diritti.

28 Eight International Conference of American States, at Lima, December 9-27,1938, in Gatenbein,

op. cit.,pp. 785-788 29 Declaration XXX: American Declaration of the Rights and Duties of Man, in Gatenbein, op. cit.,

pp. 831-837 30 Corte Interamericana de Derechos Humanos: Serie A: Fallos y Opiniones, Numero 10: Opiniòn

Consultiva OC-10/89 del 14 julio 1989: Interpretaciòn de la Declaraciòn Americana del los Derechos y Deberes del Hombre en el marco del Articolo 64 de la Convenciòn americana sobre Derechos Humanos. Secretaria de la Corte. San Josè, Costa Rica, 1990.

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Nel preambolo e nei suoi 38 articoli la Dichiarazione si riferisce tanto ai diritti civili e politici quanto a quelli economici, sociali e culturali, affermando che devono essere trattati come attributi fondamentali della persona umana. D’altra parte la Dichiarazione proclama la stretta correlazione esistente tra diritti e doveri, affermando che “i diritti di ogni uomo sono limitati dai diritti altrui” e che il compimento del dovere di ogni uomo è esigenza del diritto di tutti”31.

Approvando la Dichiarazione, gli Stati d’America riconoscevano che con tale strumento ponevano appena le basi di un processo che doveva svilupparsi progressivamente, dal punto di vista normativo e istituzionale, che aveva come ultimo fine quello di raggiungere la più ampia promozione, protezione e tutela dei diritti umani nell’emisfero.

Nonostante l’immenso valore storico e politico, il sistema di protezione creato originariamente dalla Dichiarazione americana soffriva di due carenze fondamentali: da una parte non era di per se uno strumento che stabiliva obbligazioni per gli stati; dall’altra parte, non possedeva organi incaricati di vigilare e esigere il rispetto degli impegni presi. Per questo, all’interno del lavoro di sviluppo previsto, una volta adottata la Dichiarazione, si iniziarono i lavori per l’elaborazione di uno strumento convenzionale interamericano di protezione dei diritti umani e per la creazione di organi permanenti incaricati di funzioni di tutela e controllo.

6.6 Sviluppo del sistema di protezione: la convenzione americana

sui diritti umani, Pacto de San Josè de Costa Rica. Sin dal principio si era pensato all’elaborazione di uno strumento in forma di

Convenzione che stabilisse obbligazioni giuridiche per gli Stati per rispetto e protezione dei diritti umani.

In tali termini si era parlato prima di tutto a Chapultepec nel 1945, poi nel testo stesso della Dichiarazione nel 1948, infine nella Quinta Riunione consultiva dei Ministri degli Esteri degli Stati Americani, tenutasi a Santiago del Cile nel 1959. Fu in questa riunione che si approvò una risoluzione sui diritti umani nella quale gli stati americani dichiaravano che dati i progressi raggiunti dopo undici anni dalla Dichiarazione Americana e visti i progressi fatti parallelamente in seno alle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa in quanto a regolamentazione in materia: “il clima nell’emisfero era favorevole alla creazione di una Convenzione” concludendo che era “indispensabile che tali diritti fossero protetti da un regime giuridico”.

Nella stessa Risoluzione il Consiglio Interamericano di Giuristi, venne incaricato di elaborare “un progetto di Convenzione sui diritti umani e uno sulla creazione di una Corte Interamericana per la Protezione dei Diritti umani e di altri organi adeguati per la tutela e osservanza di tali diritti” 32.

Il progetto fu preparato dal Consiglio Interamericano di Giuristi e perfezionato in seguito dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani. Una volta adottato il progetto come documento di lavoro, il Consiglio dell’OSA convocò una Conferenza Specializzata per considerarlo e discuterlo, che svolse i suoi lavori nel novembre del 1969 a San Josè de Costa Rica.

In quella sede dopo numerose discussioni e dibattiti, venne approvato il 22 novembre il testo della Convenzione Americana sui Diritti Umani o Patto di San Josè

31 Declaration XXX: American Declaration of the Rights and Duties of Man, in Gatenbein, op. cit.,

pp. 831-837 32 Fifth Meeting of Consultation, Actas y Documentos, OEA/Ser F/III. 5, 1961

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de Costa Rica, che entrò in vigore solamente nove anni dopo, il 18 luglio 1978, quando venne raggiunto il numero di ratifiche necessario.

La convenzione è formata da un Preambolo e tre parti, per un totale di 82 articoli raggruppati in undici capitoli.

Nel preambolo si riafferma il proposito, già espresso nella Carta dell’OSA di “Consolidare nel Continente, all’interno delle istituzioni democratiche, un regime di libertà personale e giustizia sociale fondato sul rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo” e si ribadisce la necessità che i principi e diritti consacrati nella Carta dell’OSA, nella Dichiarazione Americana e nella Dichiarazione Universale siano protetti nell’ambito regionale da uno strumento di natura convenzionale33.

Inoltre viene ribadito che la protezione internazionale dei diritti umani è complementare a quella che deve essere garantita dagli Stati ai propri cittadini e a coloro che abitano quel territorio.

La prima parte della Convenzione è Costituita da cinque capitoli. In questi capitoli sono enumerati, definiti e stabiliti i diritti civili e politici protetti e garantiti dalla Convenzione; vengono stabiliti i tra impegni fondamentali degli Stati nel campo dei diritti umani: 1) l’obbligo di rispettare i diritti e le libertà riconosciute dalla Convenzione; 2) l’obbligo di garantire il pieno e libero esercizio di tali diritti; 3) l’obbligo di adottare disposizioni di diritto interno nel caso che i diritti consacrati nella Convenzione non fossero già protetti e garantiti da disposizioni legislative o di altro tipo vigenti nello stato. Sempre nella prima parte un capitolo intero è dedicato allo “sviluppo progressivo”, ovvero l’impegno degli stati di adottare misure, specialmente economiche e tecniche, tanto a livello interno, quanto attraverso la cooperazione internazionale, per raggiungere progressivamente la piena effettività dei diritti che derivano dalle norme economiche, sociali e riguardanti educazione, scienza e cultura, contenute nella Carta dell’OSA.

Il IV e il V capitolo sono dedicati rispettivamente il primo all’applicazione specifica di tali diritti in situazioni particolari, come in guerra ad esempio, alle norme di interpretazione, ai casi di restrizione di tali diritti, e allo sviluppo di diritti dell’uomo, in particolare quelli economico-sociali; mentre il secondo stabilisce così come fa la Dichiarazione Americana, la correlazione tra diritti e doveri dell’uomo, enfatizzando l’idea che i diritti della persona sono limitati dai diritti altrui.

La seconda parte della Convenzione stabilisce che l’organo competente ad occuparsi del compimento delle obbligazioni prese dagli Stati è la Commissione Interamericana per i Diritti Umani. In quanto alla Commissione veniva ratificata la sua esistenza in quanto già creata nel 1959 e vengono precisate le sue funzioni e competenze34.

Nella terza parte infine si occupa della firma, ratifica, denuncia e delle disposizioni transitorie della Convenzione35.

6.7 Altri Trattati interamericani in materia di dir itti umani . A partire dall’Approvazione della Convenzione e della sua entrata in vigore il

corpus juris interamericano in materia di diritti umani è andato progressivamente

33 AMERICAN CONVENTION ON HUMAN RIGHTS "PACT OF SAN JOSE, COSTA RICA, in

http://www.oas.org/juridico/english/treaties/b-32.html, sito dell’ OAS 34 M. Celli, El Sistema Interamericano de Protecciòn de los Derechos Humanos, La OEA y sus

Retos, Istituto de alto Estudios Diplomaticos Pedro Gual, Caracas, 2000, pp. 431-451 35 Ibidem

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ampliandosi. Oggigiorno la Convenzione è integrata dai seguenti strumenti di carattere internazionale:

1) La convenzione interamericana per prevenire e punire la tortura, approvata e sottoscritta a Cartagena de Indias, Colombia, il 9 dicembre del 1985, durante l’Assemblea Generale dell’OSA. Entrò in vigore il 28 febbraio del 1987. Sino ad oggi è stata sottoscritta da venti Stati dei quali tredici hanno ratificato36.

2) Il protocollo Addizionale alla Convenzione Americana sui Diritti Umani in materia di Diritti Economici, Sociali e Culturali o Protocollo di San Salvador, approvato e sottoscritto a San Salvador il 17 novembre 1988, durante l’Assemblea Generale dell’OSA. Entrerà in vigore quando, d’accordo con il suo articolo 21.3, undici stati avranno ratificato37.

3) Il Protocollo alla Convenzione Americana sui Diritti umani relativo alla Abolizione della Pena di Morte, approvato ad Asunciòn, durante la ventesima sessione ordinaria dell’Assmblea Generale dell’OSA. Entrò in vigore il 28 agosto del 1991.

4) La Convenzione Interamericana sulla Sparizione Forzata delle Persone, che fu adottata a Belen do Parà, Brasil, il 9 giugno 1994, durante la ventiquattresima sessione ordinaria dell’Assemblea Generale dell’OSA, entrò in vigore il 29 marzo 199638.

5) La Convenzione Interamericana per Prevenire, Sanzionare, Sradicare la Violenza contro la Donna, o Convenzione di Belen do Parà, adottata a Belèn do Parà il 9 giugno 1994, durante la ventiquattresima sessione ordinaria dell’Assemblea Generale dell’OSA. Entrò in vigore il 5 marzo 195539.

6.8 Gli organi preposti alla tutela dei diritti umani: la

Commissione Interamericana per i Diritti Umani e la Corte Interamericana per i Diritti Umani.

Praticamente tutti gli organi del sistema politico interamericano hanno

responsabilità di supervisione e tutela sulla condotta degli stati in materia di diritti umani. L’Assemblea Generale che si riunisce annualmente conosce la situazione interna di ogni stato sui diritti umani, discute i progetti per la creazione di nuovi strumenti di tutela, approva le risoluzioni corrispondenti, effettua delle raccomandazioni. Il Consiglio Permanente, conosce, all’interno dei limiti posti dalla Carta dell’OSA e dai trattati e accordi interamericani, ogni questione riguardante i diritti umani che le venga posta dall’Assemblea Generale o dal Consiglio dei Ministri degli Esteri. Il Consiglio Interamericano Economico e Sociale promuove la cooperazione tra gli stai membri dell’OSA con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo economico e sociale. Il Consiglio Interamericano per l’Educazione, la scienza e la Cultura, promuove la cooperazione nei suddetti campi. Il Comitato giuridico interamericano è il corpo consultivo dell’OSA per ogni questione giuridica, e tra le

36 INTER-AMERICAN CONVENTION TO PREVENT AND PUNISH TORTURE., in

http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-51.html, sito dell’ OAS 37 ADDITIONAL PROTOCOL TO THE AMERICAN CONVENTION ON HUMAN RIGHTS IN THE

AREA OF ECONOMIC, SOCIAL AND CULTURAL RIGHTS "PROTOCOL OF SAN SALVADOR, in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-52.html, sito dell’OAS

38 INTER-AMERICAN CONVENTION ON FORCED DISAPPEARANCE OF PERSONS, in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-60.html, sito dell’OAS

39 INTER-AMERICAN CONVENTION ON THE PREVENTION, PUNISHMENT AND ERADICATION OF VIOLENCE AGAINST WOMEN "CONVENTION OF BELEM DO PARA, in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/a-61.html, sito dell’OAS

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sue responsabilità c’è quella della promozione dello sviluppo progressivo e della codificazione del diritto internazionale, incluso il diritto internazionale americano sui diritti umani. Oltre agli organi citati sopra si possono ancora ricordare le Conferenze Specializzate e gli Organismi Specializzati Interamericani, che occupandosi tecnicamente di vari aspetti hanno più volte dedicato il loro lavoro alla materia.

Tra tutti gli organismi che si occupano di diritti umani ce ne sono due pienamente competenti in materia e incaricati della promozione e tutela del diritto internazionale sui diritti umani: la Commissione Interamericana per i Diritti Umani e la Corte interamericana per i Diritti umani.

La creazione e il successivo sviluppo della Commissione sono il frutto della confluenza di alcune congiunture storiche favorevoli con la volontà degli Stati membri dell’OSA. La CIDH fu creata con una risoluzione approvata durante la Quinta Riunione Consultiva dei Ministri degli Esteri degli Stati Americani svoltasi a Santiago del Cile nell’agosto del 1959. Questo modo relativamente particolare di creare una istituzione di tale importanza, che in seguito divenne uno degli organi principali dell’OSA, fu la conseguenza del nuovo clima politico dell’emisfero. I sistemi democratici si erano instaurati nella maggior parte dei paesi d’America dopo un decennio di predominio delle dittature militari e avevano raggiunto una influenza determinante negli organi politici regionali americani.

In quella occasione i Ministri degli Esteri firmarono una dichiarazione, contenuta anche nella Carta dell’OSA in cui si afferma che “l’armonia tra le Repubbliche americane può essere effettiva solo se il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e l’esercizio della democrazia rappresentativa diventino realtà all’interno di ognuna di quelle” e sollecitarono i propri governi affinché stabilissero e assicurassero all’interno dei paesi un regime di libertà individuali e giustizia sociale fondato sul rispetto dei diritti fondamentali della persona umana. In quella Riunione venne creata la commissione ad hoc per tale compito40. La CIDH aprì per la prima volta i lavori a Washington DC dal 3 al 28 ottobre 1960. Il primo Presidente fu lo scrittore e politico venezuelano, Romulo Gallegos, ex-presidnte costituzionale del paese, conosciuto per la sue lotte in favore della democrazia, dei diritti umani e libertà fondamentali in Venezuela e in tutta America.

Dalla sua creazione ad oggi, la CIDH, si è sviluppata e ha assunto poteri più ampi. Il suo Statuto originale, approvato dal Consiglio dell’OSA, la rese entità autonoma, incaricata della promozione della difesa e protezione dei diritti umani. La seconda Conferenza interamericana straordinaria riunita a Rio de Janeiro nel 1965 ampliò le sue funzioni e in particolare diede sanzione legale a quella che già era una pratica comune della Commissione, ovvero esaminare comunicazioni individuali o denunce per violazione dei diritti umani da parte degli stati. La Terza Conferenza Straordinaria, tenutasi a Buenos Aires nel 1967, modificando la Carta dell’OSA innalzò la Commissione alla categoria di organo principale del sistema interamericano41. Durante varie sessioni dell’Assemblea Generale dell’OSA tra il 1979 e il 1980, lo Statuto della Commissione venne modificato. In questo nuovo documento, che è il vigente, la CIDH viene definita come un organo principale dell’OSA, creato per promuovere l’osservanza e servire come organo consultivo in materia di diritti umani, con compiti di monitoraggio e tutela sulla condotta di tutti gli stati che siano o che siano stati membri dell’OSA, siano parte o meno della Convenzione Americana sui Diritti Umani. In successive sedute dell’Assemblea

40 Fifth 41 PROTOCOL OF AMENDMENT TO THE CHARTER OF THE ORGANIZATION OF AMERICAN

STATES "PROTOCOL OF BUENOS AIRES", in http://www.oas.org/juridico/english/treaties/b-31.html, sito dell’OAS

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Generale, dei Consigli, delle Riunioni dei Ministri degli Esteri, sono stati conferiti alla CIDH nuovi mandati che ampliano ulteriormente le sue funzioni, competenze e responsabilità42.

Come precedentemente annunciato l’altro organo che affianca la Commissione nel difficile compito del monitoraggio della tutela dei diritti umani nell’emisfero è la Corte Interamericana per i Diritti Umani. La Corte fu creata dalla Convenzione Americana sui Diritti Umani, approvata nel 1969, ma in vigore dal 1978. La Corte è una Istituzione giuridica autonoma il cui obiettivo è l’ampliamento e l’interpretazione della Convenzione Americana. L’indipendenza di tale organo viene espressa nell’articolo 59 della Convenzione. La sede si trova a San Josè de Costa Rica ed è composta da sette giudici che devono essere cittadini degli Stati membri dell’OSA, “eletti a titolo personale tra giuristi dalla più alta autorità morale e dalla riconosciuta competenza in materia di diritti umani”, il mandato dura sei anni e sono rieleggibili solamente una volta. Per l’elezione possono concorrere solo gli stati che fanno parte della Convenzione.

La Corte ha competenza giurisdizionale nei casi sottoposti ad essa dagli stati parte della Convenzione e da parte della Commissione interamericana dei Diritti Umani. Inoltre ha competenze consultive che possono essere sollecitate dagli stati membri dell’OSA, e tali pareri possono abbarcare diversi temi, ad esempio, questioni interpretative della Convenzione Americana o compatibilità delle leggi interne di uno stato e la Convenzione Americana o qualsiasi altro trattato sui diritti umani.

6.9 Un sistema che funziona? In più di mezzo secolo, dall’approvazione della Dichiarazione Americana, si è

registrato in America un progresso notevole nel campo dei diritti umani, specialmente dalla creazione e funzionamento della Commissione nel 1959, progresso accelerato notevolmente dalla entrata in vigore della Convenzione nel 1978. Il sistema regionale da questo punto di vista è stato rinforzato sotto il profilo istituzionale e normativo. Nuovi strumenti internazionali sono entrati in vigore e il numero degli stati che hanno ratificato la Convenzione e i Protocolli addizionali è aumentato. Altro aspetto importante, la cooperazione tra i due organi principali, la Commissione e la Corte, si è fatta più profonda, interagendo anche con l’Istituto interamericano per i Diritti Umani. Sono stati creati nella maggior parte dei vari stati, istituzioni di alto livello, incaricate di amministrare programmi di promozione e sensibilizzazione sul tema e di vigilare sul compimento delle obbligazioni prese dagli Stati, stabilite da leggi interne e dagli impegni internazionali sulla materia.

Si è presa maggior coscienza dell’importanza dei diritti umani con attività di promozione che passano attraverso corsi interdisciplinari specializzati, diretti da giudici, avvocati, funzionari pubblici, forze armate ecc.

I definitiva i diritti umani sono diventati materia di interesse e preoccupazione in diversi settori, sia pubblici che privati. La società in generale, la comunità internazionale e gli stati in particolare danno al tema la massima importanza. In generale si riconosce che i diritti umano hanno a che vedere con il prestigio internazionale degli stati e con la convivenza pacifica, con la pace sociale interna, con la giustizia e il benessere collettivo, con lo sviluppo e la stabilità delle istituzioni.

42 M. Celli, op. cit., pp. 431-451

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Il naturale progresso della democrazia nell’emisfero ha giocato un ruolo importantissimo nel creare l’ambiente appropriato per lo sviluppo dei meccanismi di protezione e per il rispetto delle decisioni prese in materia.

Nonostante tutto i progressi raggiunti hanno incontrato nella pratica serie difficoltà e punti d’arresto il che ci fa affermare che la situazione dei diritti umani nell’emisfero non è affatto soddisfacente. Contro il rispetto e la garanzia di tali diritti cospirano vecchie e nuove circostanze. In termini generali, la debolezza e la corruzione dei sistemi di amministrazione della giustizia, dei corpi di polizia e dei servizi penitenziari, impediscono la realizzazione di politiche che combinino il rispetto dei diritti umani con la lotta contro la delinquenza. La scarsa capacità di molte classi politiche e dirigenziali e in alcuni casi il debito pubblico e le difficoltà economiche si concretizzano nell’assenza di programmi sociali per affrontare e risolvere problemi ricorrenti come la povertà, la disoccupazione, la scarsa qualità dei servizi abitativi, la diminuzione nella qualità dei programmi educativi, nella sanità, nei trasporti e nei servizi in generale.

D’altra parte, i progressi della democrazia nell’emisfero non hanno generato, come ci si aspettava, un maggiore appoggio politico e materiale al sistema regionale di protezione dei diritti umani. Gli stati hanno incontrato molte difficoltà nel rispetto delle responsabilità e degli impegni presi in questa materia: debito estero, traffico di droga, guerriglia, delinquenza e inflazione sono alcuni dei problemi che rendono drammatica la situazione in alcuni paesi in centro e sudamerica. Alcune delle democrazie nei paesi americani sono sorte dopo lunghi periodi di guerra interna, di violenza generalizzata, o dittature crudeli, i cui traumi e ferite non sono stati superati. Altre sono sorte da accordi politici con settori legati alle vecchie dittature ai quali la democrazia ha dovuto fare umilianti concessioni. Infine altri paesi continuano a vivere quotidianamente sotto la pressione della sovversione e del terrorismo.

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Conclusioni Come visto, la preoccupazione per i problemi economico-sociali dell’America

Latina risale agli anni ’60, fu quindi un atteggiamento comparso abbastanza tardivamente nel sistema interamericano. L’Alleanza per il Progresso era stata concepita non solo per ragioni di politica di buon vicinato, ma anche per motivi legati alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Fin dalla proclamazione della dottrina Monroe, gli USA non permisero mai che si discutesse il proprio presunto diritto, come potenza dominante dell’area, di ricorrere a interventi anche militari, quando minacce interne o esterne potessero procurare dei pericoli agli interessi americani. In questo senso molti studiosi americani non esitano a sottolineare che, nonostante alcune differenze tra amministrazioni democratiche e repubblicane, una costante domina il sistema interamericano: l’egemonia statunitense.

La fine della guerra fredda, le discussioni sul ruolo dell’ONU e del multilateralismo, l’avvio dell’era della globalizzazione con i suoi aspetti positivi e negativi, il terrorismo internazionale, le gravi sperequazioni economiche e sociali, i progressi tecnologici, la crescente potenza delle multinazionali, le cicliche crisi finanziarie, stanno portando i paesi americani siano essi grandi potenze o piccoli stati a rivedere le priorità della politica interna e internazionale. Per questo l’America Latina si trova ora come ora ad avere una agenda sempre più complessa che deve affrontare il problema di una illegalità ancora profondamente radicata in molti paesi e una economia con una polarizzazione senza precedenti. Se si guarda alla situazione in una prospettiva storica non si può negare che il subcontinente abbia fatto passi da gigante. La regione è retta da governi eletti e non più dittature come avveniva solo alcuni decenni addietro e nonostante la scarsa capacità politica di molti di questi governi, esiste poca propensione della popolazione ad invocare un ritorno ai governi militari.

Dal suo ingresso nell’OSA (1990), il Canada, è stato il primo paese a promuovere una Unità di Difesa della Democrazia, istituita in quello stesso anno e confermata dall’Assemblea generale dell’OSA di Lima (2001). La vicinanza con gli USA e l’ingresso nel NAFTA hanno permesso al governo di Ottawa una crescente partecipazione nelle questioni latinoamericane in molti casi svolgendo la funzione di mediatore tra Stati Uniti e America Latina. Il Messico invece, altro partner nel NAFTA, negli ultimi tempi, in particolare dopo la crisi finanziaria del 94-’95 si è mostrato più bisognoso di aiuti esteri e più incline a seguire la politica americana.

Stesso problema si è verificato con la crisi del 2000-2001 in Argentina, dove il governo di Washington ha affrontato questa crisi come un problema di carattere macroeconomico senza un’attiva partecipazione, demandata invece al FMI e altre istituzioni. Nemmeno l’altro gigante dell’America Latina, il Brasile, ha ricevuto attenzioni da Washington, nonostante il pacchetto di aiuti deliberato nel 2002, gli Stati Uniti puntano all’appoggio brasiliano soprattutto per portare avanti il progetto dell’ALCA (Area di Libero Scambio delle Americhe), l’area di libero scambio fortemente voluta dalla Casa Bianca da quando fu proposta nel 1994 nel vertice di Miami. Dal canto suo l’OSA, in questi anni, ha risposto con prontezza, sebbene con risultati contradditori, a diverse crisi nei processi democratici. Questi interventi hanno sottolineato il ruolo importante che dovrà assumere l’OSA nel futuro. L’Organizzazione malgrado abbia risposto positivamente in varie occasioni non svolge ancora un ruolo decisivo.

Il lavoro ha evidenziato come “l’equivoco di fondo” su sui si creò il sistema interamericano sia stato una costante nei rapporti statunitensi con l’America Latina, che dalle prime conferenze fino all’OSA è stata relegata in un secondo piano,

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assegnandole volta per volta delle mansioni strettamente funzionali alla politica statunitense impegnata a far fronte a “problemi più seri” rispetto a quelli dei suoi “vicini”

Questo nuovo secolo si è aperto con numerosi interrogativi e fenomeni nuovi: la fine del bipolarismo, la globalizzazione, i problemi ambientali, il potere delle multinazionali, il terrorismo, l’emergenza di nuovi attori internazionali (l’UE, la Cina, l’India), il ruolo nel mondo degli Stati Uniti e dell’ONU, sono alcune delle varianti su cui si giocherà il futuro. Il modo in cui l’America Latina saprà rispondere alle sfide di questo XXI secolo, dipenderà da molti fattori: alcuni fanno parte del contesto regionale e internazionale, altri dipendono direttamente da politiche interne. Non c’è dubbio che il potere di Washington nella sfera economica, militare e tecnologica non abbia rivali nella regione, meno chiaro è invece l’uso che essi faranno di questo potenziale. Nessuno può prevedere l’assetto mondiale futuro, ma per ragioni storiche, culturali, linguistiche, umane e economiche, l’America Latina è il retroterra naturale tanto dell’Europa quanto degli Stati Uniti e forse proprio questo giocherà un ruolo decisivo nell’assetto mondiale futuro. Pur essendo comprensibili le esigenze globali della politica statunitense quale superpotenza e le varie priorità politica dell’Europa che sta volgendo il suo sguardo verso i paesi vicini (Mediterraneo, Est Europeo, Medio Oriente), probabilmente la situazione più prevedibile è quello della formazione di un triangolo occidentale costituito da America settentrionale, Europa e America Latina. La risposta a una impostazione strategica di questo tipo è ovviamente nelle mani dei governi ma anche nella capacità di sollecitazione delle classi dirigenti, dei media e delle opinioni pubbliche.

Qualunque sia la collocazione che si voglia dare all’America Latina, da molti chiamata “l’altro Occidente”, “Estremo Occidente” o “Terzo Occidente”, è indubbia la sua appartenenza a questa parte del mondo “appartenenza giustificata sia dalla sua storia e dalla sua cultura sia da una adesione volontaria che non ha riscontro nelle aree extra occidentali dell’Africa o dell’Asia”43.

In un periodo storico caratterizzato da mille incognite il futuro dipenderà dalle scelte dell’Europa in risposta alle nuove sfide, dalla volontà politica dell’America Latina di fare il salto di qualità nelle sue relazioni internazionali, nella politica interna e nella capacità di inserirsi in un processo di cambiamento su un piano di parità con i suoi partner, ma soprattutto, ci saranno le scelte di Washington che potranno innalzare l’America Latina al rango di partner regionale o relegarla a un ruolo marginale.

43 L. Incisa di Camerana, Il Tterzo Occidente, in “PanAmerica Latina” Limes n° 4/2003

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