UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI “Aldo Moro” · Lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto,...

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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI “Aldo Moro” DIPARTIMENTO DI STUDI AZIENDALI E GIUSPRIVATISTICI CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA AZIENDALE TESI DI LAUREA IN SOCIOLOGIA DEI CONSUMI LE MORTI CHE NON CONTANO. L’ILVA A TARANTO. Relatore: Chiar.mo Prof. Alfonso ZIZZA Laureando: Francesco SCIALPI ANNO ACCADEMICO 2012/2013

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI

“Aldo Moro”

DIPARTIMENTO DI STUDI AZIENDALI E

GIUSPRIVATISTICI

CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA AZIENDALE

TESI DI LAUREA

IN

SOCIOLOGIA DEI CONSUMI

LE MORTI CHE NON CONTANO.

L’ILVA A TARANTO.

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfonso ZIZZA

Laureando:

Francesco SCIALPI

ANNO ACCADEMICO 2012/2013

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 3

CAPITOLO 1: LA GRANDE INDUSTRIA. LA STORIA

1.1 Dal ’60 all’80: nascita dell’azienda, il boom economico e la crisi petrolifera pag. 6

1.2 Dal ’80 al 2000: la crisi della siderurgia, il declino e la privatizzazione pag. 11

1.3 Dal 2000 ad oggi: la certificazione di un disastro e i processi giudiziari pag. 15

1.4 Due falsità pag. 24

CAPITOLO 2: AMBIENTE SVENDUTO

2.1 Ciò che non si vede: le emissioni inquinati e i parchi minerali pag. 28

2.2 Le pecore, le cozze, il latte di mamma: una catena alimentare

irrimediabilmente compromessa pag. 40

2.3 Lo Studio Sentieri pag. 46

2.4 Due perizie pag. 50

CAPITOLO 3: TARANTO, LA CITTÀ NECESSARIA

3.1 La terra promessa pag. 62

3.2 Una favola sul potere pag. 70

3.3 La famiglia Riva pag. 86

3.4 Due sequestri pag. 96

CAPITOLO 4: PROSPETTIVE FUTURE

4.1 Conflitti disinteressati pag. 99

4.2 Overcapacity: Tra il modello Linz e lo spettro di Bagnoli pag. 104

4.3 Un’occasione perduta? pag. 112

4.4 Due lettere pag. 120

CONCLUSIONI pag. 123

BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA pag. 132

APPROFONDIMENTI pag. 137

3

INTRODUZIONE

Lo stabilimento siderurgico Ilva di Taranto, il più grande in Europa e tra i più

grandi nel mondo, si colloca in una posizione di assoluta centralità, nel

sistema di produzione Ilva poiché, oltre ai prodotti siderurgici finiti destinati

al mercato sia nazionale che internazionale, alimenta il sistema produttivo

aziendale e, per il tramite di questo, ampi settori dell’intera industria

metalmeccanica nazionale (auto, elettrodomestici, tubi, cantieristica, ecc.)1.

Oltre all’importanza strategica dell’impianto, però, ci sono una serie di altri

aspetti di carattere non prettamente economico che coinvolgono la

popolazione residente: l’ambiente, la salute, il lavoro, lo stato sociale, il

fallimento della politica e degli organi istituzionali, la logica preponderante del

capitalismo privato. Queste tematiche contengono, al loro interno, una serie

infinita di implicazioni strettamente intrecciate tra loro, tali da comporre un

ricco ed intricato mosaico, specchio della società italiana.

Il lavoro, strutturato in quattro capitoli, è intento a mostrare l’incoerenza tra

ciò che si è detto e non si è fatto, ciò che è stato promesso e non è stato

mantenuto: la realtà, quella vera e reale rimasta inascoltata e, chiara

espressione del “disastro”, celata dietro “un mare di demagogia sotto ricatto

occupazionale”.

Nella prima parte, tramite un’analisi temporale sviluppata per decenni, verrà

affrontato l’aspetto storico: dalle ragioni che hanno portato la grande industria

nella città di Taranto, alle attuali vicende giudiziarie che hanno coinvolto i

vertici dell’azienda.

All’interno della seconda parte, invece, utilizzando i recenti studi

epidemiologici e chimici, redatti per ordine della Magistratura e del Ministero

della Salute, verrà approfondito il nesso causale tra ambiente e salute.

1 www.ilvataranto.com

4

La terza parte, tratterà il tema sociale: le altre fonti, passate e presenti, di

“contaminazione” dell’area jonica; la radicazione dell’azienda “sul territorio e

nella gente”; i contorni favorevoli della politica (e non solo) tra facili

lasciapassare ed intrecci di intenti poco nobili; la grande famiglia dell’acciaio,

protetta da uno Stato apparentemente assente.

L’ultima parte del lavoro analizzerà i possibili scenari futuri: l’Aia, il decreto

salva – Ilva; il commissariamento e la crisi del mercato; le ipotesi di

riconversione industriale, prendendo come modello di riferimento realtà di

sviluppo e d’eccellenza estere.

5

If you really think

that the environment is less important than economy,

try holding your breath

while you count your money.

Se davvero credi che l'ambiente

sia meno importante dell'economia,

prova a trattenere il fiato

mentre conti i tuoi soldi

Dr. Guy McPherson,

prof. Emerito,

Università dell’Arizona

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CAPITOLO 1: LA GRANDE INDUSTRIA. LA STORIA

1.1 DAL ‘60 ALL’ ‘80: NASCITA DELL’AZIENDA, IL BOOM

ECONOMICO E LA CRISI PETROLIFERA

Nel corso di un incontro al Quirinale proprio rispondendo ad una domanda di

alcuni studenti di Taranto dissi che bisognava rendersi conto che per tanto

tempo il problema numero uno è stato il problema del lavoro, di creare posti

di lavoro, specialmente nel Mezzogiorno d’Italia e sembrava che la strada

maestra fosse quella di costruire fabbriche. In questo senso ho peccato

anch’io: mi ricordo che mi diedi molto da fare e partecipai a delle battaglie

perché si costruisse il grande impianto siderurgico a Taranto. Abbiamo

imparato, dopo, che bisognava essere più prudenti, e che bisognava mettere

nel conto anche tutte le conseguenze negative dell’industrializzazione. Ma si è

dovuti passare per quell’esperienza, per capirlo.2

Giorgio Napolitano,

presidente della Repubblica

La storia dell’Ilva, la storia del più grande impianto siderurgico italiano, la

storia del colosso dell’acciaio, potrebbe essere riassunta forse, e

paradossalmente, all’interno di questa dichiarazione.

È il Capo dello Stato a farla, il rappresentante massimo delle istituzioni, la

figura più autorevole del panorama politico italiano. Ma c’è di più.

2 G. Foschini, Quindici Passi, Fandango Libri, 2009

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Giorgio Napolitano fu uno dei promotori dell’iniziativa che portò la grande

industria a stabilirsi nel territorio di Taranto.

L’Ilva/Italsider nacque su iniziativa di industriali del settentrione d'Italia come

ILVA (nome latino dell'isola d'Elba, dalla quale veniva estratto il minerale di

ferro che alimentava i primi altiforni costruiti in Italia a fine Ottocento).

Con la nascita dell'IRI la società passò sotto il controllo pubblico divenendo

Italsider, per poi riacquisire la denominazione originaria all’inizio degli anni

’90.

Lo stabilimento di Taranto: l’ultimo, nonché il più importante, tassello del

processo di ricostruzione post-bellico, ideato e avviato dall’ingegner Oscar

Sinigallia, ex presidente di Finsider.

La ripresa doveva passare per l’acciaio e per la produzione di massa: 377

miliardi di lire, questo il prezzo iniziale pagato dallo Stato.

Così, il 20 giugno del 1959, il Comitato dei ministri per le partecipazioni

statali deliberò la costruzione, a Taranto, del IV centro siderurgico a ciclo

integrale (dalla materia prima al prodotto finito, per intenderci).

Esso, andò ad aggiungersi agli impianti già presenti sul territorio nazionale

nelle sedi di Bagnoli (AV), Piombino (LI), Porteferraio (LI) e Genova

(quartiere Cornigliano).

In prossimità delle maggiori arterie stradali, ferroviarie e marittime e,

prescindendo dalle prescrizioni imposte dal piano regolatore, vennero

individuate tre aree in possesso delle caratteristiche idonee: 528 ettari e una

strada statale a dividere il quartiere Tamburi dal sito stesso.

Le conseguenze non importano: un’opera abusiva che passa, prima, per le

“licenze in bianco” e, poi, per le “licenze in precario”. Il consorzio ASI,

incaricato della regolamentazione, non batté ciglio.

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C’è ben poco da fare, Taranto fu il sito prescelto: un territorio pianeggiante

abbastanza grande, in grado di accogliere un’imponente flusso migratorio,

dotato delle necessarie caratteristiche strutturali e geomorfologiche e, per

questo, “meno bisognoso” di grossi investimenti.

Il 9 luglio del 1960, si celebrò la posa della prima pietra per opera delle due

maggiori società della Finsider: l’Ilva e Cornigliano. Nel 1961, la fusione

generò l’Italsider e, nello stesso anno, iniziarono i primi lavori di costruzione

dello stabilimento, disboscando un’area ricolma di alberi d’ulivo; buoni

indennizzi a favore dei proprietari terrieri, opportunità di ricchezza nel

presente e garanzia di un prosperoso futuro scacciarono via, tra l’indifferenza

generale, i timori che il cambiamento porta sempre via con sé.

Taranto: città povera, città di pescatori e mezzadri, città dell’Arsenale Militare

e dei Cantieri Navali Tosi, città di analfabeti e disoccupati (26.091 nel 1959),

città di emigranti che vide, nella grande industria, una oramai tangibile rampa

di lancio.

Il ministro dell’Industria e del Commercio, il potentino Emilio Colombo, la

definì come un’industria di base capace di creare un effetto moltiplicatore

sull’economia meridionale:3 accolse gente da ogni parte di Italia, bloccando il

flusso migratorio.

Quindicimila operai parteciparono alla costruzione dello stabilimento.

Il presidente del Consiglio Aldo Moro, nel 1964, assistette alla prima colata:

definì la grande fabbrica come un motivo di legittimo orgoglio per l’intera

nazione che vede finalmente risollevarsi dalla mortificazione del Sud4.

Nel 1965 venne avviato l’altoforno 3 e Giuseppe Saragat, presidente della

Repubblica, inaugurò ufficialmente lo stabilimento.

3 T. Attino, Generazione Ilva, Gli ulivi, le industrie, il boom, il declino, l’inquinamento. La tragica parabola di

una terra illusa dall’acciaio, tradita dallo Stato, Salento Books, Besa Editrice, 2012 4 Ibidem

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Tra il 1968 ed il 1970, fu l’ampliamento dello stesso ad animare i dibattiti

cittadini: da 528 a 1500 ettari, due volte la superficie urbana della città.

Il 26 Novembre del 1970, il CIPE approvò la relazione, redatta dal comitato

tecnico consuntivo dell’IRI: l’opera portò il siderurgico ad estendersi sino al

mare con la concessione di tre dei cinque sporgenti per l’attracco di navi, da

utilizzare per il trasporto delle materie prime. Ingenti furono i danni per

l’ecosistema della rada del mar Grande che, già nella prima fase insediativa,

aveva dovuto subire il depauperamento, con la conseguente distruzione

dell’isola di San Nicolicchio (piccola isola disabitata, utilizzata dai pescatori

per la loro attività).

Il programma di espansione, concepito per contrastare il tentativo di

acquisizione del mercato italiano da parte della siderurgia francese (nascita di

un nuovo centro siderurgico nei pressi di Marsiglia), cominciò a destare non

poche preoccupazioni: l’associazionismo ambientalista locale, mosse i primi

passi nel quartiere Tamburi (il più colpito dall’industrializzazione), mediante

una serie di manifestazioni, con lo scopo di sensibilizzare la cittadinanza.

Gli sforzi non furono del tutto vani: venne istituito il Comitato Regionale per

l’Inquinamento Atmosferico (inoperoso nella area di Taranto) e, a seguito di

un convegno dal titolo “Inquinamento ambientale e salute pubblica a Taranto”,

venne commissionato, dal Comune, uno studio proprio sull’inquinamento

atmosferico.

I primi dati furono eloquenti: la zona occidentale della città risultava

interessata da un processo di crisi ambientale. Per questo, l’Italsider annunciò

investimenti per (complessivi) 125 miliardi di lire.

Nel 1974, vennero creati il Servizio Sicurezza Lavoro e il Servizio per l’Igiene

del Lavoro Ambientale e, a seguito della Vertenza Taranto e dell’accordo con i

sindacati, l’azienda ribadì gli impegni assunti in passato in tema di eco-

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compatibilità: 90 miliardi di lire da destinare, quasi interamente, al capoluogo

jonico.

Il 1975, anche a seguito della crisi petrolifera del ’73, venne segnato dal crollo

del consumo mondiale di acciaio (-8%). Solo nei Paesi della Comunità

Europea la diminuzione si attestava al 18%.

Nel 1976, nonostante la legge Merli (dedicata alla regolamentazione e alla

disciplina degli scarichi industriali) venisse promulgata, a causa dei ritardi del

Governo nell’emanare i decreti esecutivi, essa finì col rimanere inoperosa per

circa un ventennio (concretamente applicata solo a metà degli anni Ottanta).

Decisiva, poi, nel 1979 l’attività svolta dall’Istituto Nazionale per gli Infortuni

sul Lavoro (INAIL): uno studio riguardante l’incidenza della malattie

professionali derivanti dall’esposizione a gas, fumi e polveri altamente nocive.

Il quadro emerso fu allarmante e, a settembre del 1979, si rese necessaria

l’installazione di 5 stazioni fisse di rilevamento posizionate in punti strategici

del territorio provinciale.

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1.2 DALL’ 80 AL 2000: LA CRISI DELLA SIDERURGIA,

IL DECLINO E LA PRIVATIZZAZIONE

I primi anni ‘80 fecero registrare un calo costante della domanda mondiale di

acciaio: il 31 ottobre del 1980, la Comunità Europea dichiarò lo stato di crisi

manifesta.

L’azienda, in grave crisi di liquidità ed incapace di fronteggiare la situazione,

si vide costretta ad esser ceduta alla Nuova Italsider ed esser sottoposta a

ricapitalizzazione: venne avviato un programma di ristrutturazione degli

impianti e dei processi produttivi (TARAP-MRO) su consulenza della Nippon

Steel, con l’impiego di 78 tecnici e manager fino al novembre 1983.

Migliorare l’efficienza produttiva degli impianti (razionalizzando i costi

elevati) e riduzione degli errori gestionali al minimo: questi i capisaldi

dell’iniziativa.

Nel 1982, la pretura di Taranto cominciò ad indagare sui vertici dell’Italsider.

Emissione di polveri, l’inquinamento da gas, fumi e vapori: questa l’accusa.

All’interno del processo, si costituirono parte civile molti abitanti dei quartieri

Tamburi, Paolo VI e Città Vecchia, le associazioni ambientaliste e, solo

inizialmente, il Comune: quasi alla vigilia della sentenza, infatti, il sindaco

dell’epoca, Giuseppe Cannata, venne meno all’impegno, per motivi di

opportunità politica.

La sentenza fu imbarazzante: condanna del direttore dello stabilimento a 15

giorni di arresto, solo, per getto di polveri.

Nel 1985, la forza – lavoro dell’Ilva, si ridusse a 15.000 unità (21.791 nel

1980) mentre quella dei disoccupati a 60.000: fu la conseguenza della crisi del

comparto siderurgico e dei licenziamenti delle imprese dell’indotto (non in

grado di reggere al contraccolpo), della eliminazione degli esuberi, dei pre –

pensionamenti, della cassa integrazione. Un circolo in grado di alimentare,

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automaticamente, il mercato nero: lo fornirà di tutte quelle “competenze” che,

uscite dalla fabbrica, per forza di cose, si vedranno costrette a rivendicare un

posto di lavoro, anche a discapito dei propri figli.

Nel 1986, con la legge n. 349, venne istituito il Ministero dell’Ambiente.

Nel 1988, l’IRI approvò il piano di ristrutturazione: discusso, sia in

Parlamento che in sede comunitaria, prevedeva l’impiego di 5.170 miliardi di

lire. Nel contempo, a maggio dello stesso anno, iniziò la liquidazione

volontaria della Finsider, dell’Italsider, della Nuova Deltasider e della Terni

Acciai Speciali: nel 1989 si costituì una nuova società, l’Ilva spa.

Quest’ultima fatturò, solo in quell’anno, 11.000 miliardi di lire, con un utile

netto di 300 miliardi.

Agli ottimi risultati conseguiti nel 1989, non ne fecero seguito altrettanti:

l’espansione, che aveva caratterizzato il decennio precedente, si rivelò

meramente congiunturale. La siderurgia e l’azienda, soprattutto, entrarono,

dapprima, in una fase stagnazione e, successivamente, in una spirale recessiva,

tanto da portare l’Ilva al crollo definitivo nel 1992.

L’area di Taranto venne dichiarata ad “elevato rischio ambientale”: assieme al

capoluogo jonico, altri 4 comuni della Provincia vennero dichiarati colpiti

(Crispiano, Massafra, Montemesola, Statte) per un totale di 564 km2 e 263.614

abitanti.

Al timone della grande fabbrica, c’era l’amministratore Giovanni

Gambardella: ingaggiato dall’IRI presieduta da Romano Prodi, con l’intento di

porre rimedio ad una situazione tutt’altro che semplice. Il programma di

ristrutturazione proposto, da un lato trovò la ferma opposizione della CEE, in

quanto considerato come aiuto di Stato e, dall’altro, risultò pressappoco

inadeguato: forti investimenti (circa 2000 miliardi di lire) per l’acquisizione di

249 società impegnate in settori lontani dalla siderurgia.

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A Taranto possono esserci gli impianti siderurgici più avanzati, ma che fare se

poi fuori la città è come Addis Abeba?. Gambardella lo disse con la sua

sprezzante tracotanza poco prima di sotterrare la siderurgia pubblica.5

Dopo controversie tra i commissari e il Governo Italiano, nel 1993, venne

stimato “l’impiego necessario” per il risanamento (7.200 miliardi di lire).

L’ultimo disperato e affannoso tentativo di salvare un’azienda oramai sull’orlo

del baratro, venne affidato, nel febbraio del 1993, ad Hayao Nakamura:

manager della Nippon Steel, tecnico capace ed esperto, grande conoscitore

dello stabilimento (avendoci lavorato per molto tempo). Il giapponese tentò

vanamente e, con le buone maniere, di portare il risanamento: contrasti con i

vertici, lo portarono, dopo appena 9 mesi, a lasciare l’incarico.

Nel frattempo, il gruppo IMI venne incaricato dall’IRI come advisor, assieme

alla Barclays De Zoete, per la vendita di Ilva Laminati Piani e Acciai Speciali

Terni.

Nel 1994, cominciarono le contrattazioni per la vendita a privati.

British Steel Corporation (la coalizione costituita dall’imprenditore bresciano

Lucchini e dalla francese Unisor Sacilor), Tarnofin (l’accoppiata formata dal

banchiere statunitense Miller e dagli imprenditori locali di Novi Ligure e

Taranto) e il ragioniere milanese Emilio Riva, ex commerciante di rottami di

ferro, (dal 1988 deteneva già la maggioranza di Cornigliano) erano i maggiori

indiziati all’acquisizione di quella che era divenuta, oramai, l’Ilva Laminati

Piani (società in cui lo Stato aveva collocato gli stabilimenti di Novi Ligure,

Taranto e Cornigliano).

Fu quest’ultimo a spuntarla, il 16 marzo 1995, con l’aiuto del Governo

presieduto da Lamberto Dini, alla modica cifra di 1649 miliardi di lire.

5 T. Attino, Generazione Ilva, Gli ulivi, le industrie, il boom, il declino, l’inquinamento. La tragica parabola di

una terra illusa dall’acciaio, tradita dallo Stato, Salento Books, Besa Editrice, 2012

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Il Gruppo Riva, multinazionale non quotata in Borsa con assetto

prevalentemente familiare, dal 94’ al 95’ portò: il numero di dipendenti da

5.754 a 26.542 (11.000 in più solo a Taranto) ed il fatturato a toccare quota

11.486 miliardi, con utile netto superiore di dieci volte (circa) rispetto ai

precedenti (da 105 a 996 miliardi di lire).

Nel 1996, la Regione Puglia acquistò importanza in materia ambientale, con

l’affidamento di competenze speciali in merito: la collaborazione con il

Ministero dell’Ambiente, portò alla realizzazione del Piano di Risanamento.

Nel 1997, mentre l’atto siglato tra Regione e Ilva (il primo in assoluto) non

prevedeva né limiti di tempo, né vincoli o condizioni stringenti in caso di

inadempienze, il Gruppo Riva decise di presentare il primo piano industriale

(539 miliardi di lire), volto al rifacimento degli impianti, per renderli eco -

compatibili ed in grado di garantire la sicurezza sul lavoro.

Nel 1998, passati otto anni dalla dichiarazione con la quale l’area veniva

dichiarata a forte rischio ambientale, venne messo a punto il “Piano

disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Taranto”

elaborato da ENEA, per conto del Ministero dell’Ambiente, e rimasto nel

dimenticatoio per quattro lunghi anni: venticinque interventi, di cui quattordici

sugli impianti (208 miliardi) affidate al Gruppo e undici (48 miliardi) allo

Stato, con l’intento di porre rimedio a decenni di scelleratezze, inadempienze e

negligenze in tema salute – industria.

L’atto siglato con la Regione e il Piano di risanamento, però, non ebbero

seguito e non vennero rispettati. Nel frattempo, il grave caso di mobilità che

coinvolse 69 lavoratori della vecchia palazzina Laf, indisponibili ad accettare

il declassamento dei contratti, fece da cornice agli ultimi anni del decennio.

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1.3 DAL 2000 AD OGGI: LA CERTIFICAZIONE DI UN DISASTRO E

I PROCESSI GIUDIZIARI

Ai nodi rimasti irrisolti, si cerca di dare soluzione nell’agosto del 2000: il

Ministero dell’Interno affida al presidente della Regione, in qualità di

commissario delegato per l’emergenza ambientale in Puglia, la titolarità

esclusiva del Piano di Risanamento. Nel frattempo, il Presidio Multizonale di

Prevenzione (PMP) redige una relazione, alquanto allarmante, circa

l’inquinamento prodotto dalla produzione del coke: chiede il fermo delle

batterie 3 e 6.

L’anno successivo, l’amministrazione si fa carico del problema e ordina di

intervenire sui forni delle batterie 3 e 6 per apportare migliorie e per ridurne la

produzione di coke. Il Gruppo Riva sembra disposto a collaborare solo con la

Regione, mentre, nel frattempo, viene formulato un ricorso al TAR. Le azioni

messe in atto dall’azienda risultano essere insufficienti: scoppia la “Vertenza

ambiente”. Ai risultati della maxiperizia richiesta dalla Procura, seguono gli

avvisi di garanzia inviati al Gruppo Riva e ad altri due dirigenti dello

stabilimento.

L’Arpa, Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, istituita due anni

prima, non è ancora operativa.

Intanto, vengono chiuse le cokerie dello stabilimento di Cornigliano.

Uno studio epidemiologico (periodo 1988 – 2001) evidenzia la netta

correlazione tra le polveri respirabili emesse dagli impianti e gli effetti che

questi hanno sulla salute: la mortalità complessiva degli abitanti del quartiere,

difatti, risulta essere superiore rispetto al resto di Genova.

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A luglio del 2002, arriva la sentenza di primo grado con la quale l’Ilva decide

di spegnere le batterie. La Magistratura e l’Amministrazione Comunale,

almeno in questa fase, sembrano operare in stretta collaborazione.

A settembre, il Ministero dell’Industria istituisce un tavolo da attivare a livello

regionale: comincia la “stagione delle intese”, con l’obiettivo di definire e

raggiungere un accordo, in merito agli investimenti necessari per il

risanamento dello stabilimento. Accordo di Programma a livello regionale e

primo (di tre) Atto di intesa con il quale vengono definiti gli impegni, gli

interventi e le scadenze temporali per l’adeguamento degli impianti, necessari

per ottenere il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA),

prevista dalle direttive europee.

L’8 gennaio 2003, viene siglato il secondo Atto d’intesa, concernente il

potenziamento del barrieramento tra stabilimento e aree urbane ad esso

contigue.

Il 27 febbraio e il 15 dicembre del 2004, vengono siglati, rispettivamente il

terzo e il quarto Atto d’Intesa: i risultati appaiono limitati anche perché, alcuni

dei problemi strettamente tecnici, vengono affrontati in maniera poco

convincente. Nel frattempo, proprio alla vigilia della condanna definitiva in

Cassazione, Comune e Provincia ritirano la propria costituzione di parte civile

per il processo che vedeva imputati i vertici dell’azienda per le polveri del

parco minerali che ricadevano sul quartiere Tamburi.

Nel 2005, Nichi Vendola viene eletto presidente della Regione Puglia e, a

luglio, viene spento anche l'altoforno numero 2 dello stabilimento di

Cornigliano: la produzione dell’area a caldo viene trasferita a Taranto.

Il 17 Ottobre del 2006 il comune di Taranto viene dichiarato ufficialmente

fallito.

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Il 14 giugno del 2007, Ippazio Stefàno diventa sindaco di Taranto e l’Arpa

inizia una campagna di rilevamenti sull’inquinamento prodotto dallo

stabilimento.

Nel 2008, l’Arpa continua a diffondere una serie di dati relativi alle emissioni

inquinanti: il quadro generale sembra sempre più compromesso. In agosto,

viene firmato l’atto integrativo d’intesa che rende utilizzabili i 10 milioni di

euro che erano stati stanziati nell’ambito del progetto di riqualificazione del

quartiere Tamburi: con esso, veniva prevista la costruzione del mercato

rionale, la realizzazione di urbanizzazioni e spazi verdi, la bonifica dei suoli

impiegati, in attuazione della delibera CIPE n. 3 del 22 marzo 2006.

Nonostante questo, l’allarme inquinamento rimaneva ancora di stretta attualità:

serpeggiava tra le associazioni la possibilità di indire un referendum per la

chiusura dello stabilimento (o dell’area a caldo), mentre Nichi Vendola

decideva di scrivere una lettera indirizzata al presidente del Consiglio Silvio

Berlusconi, affinché questi potesse aiutarlo nella risoluzione del problema.

Ad agosto, la risposta arrivata “per mano” del ministro dell’Ambiente Stefania

Prestigiacomo, da un lato, ribadiva la vicinanza dello Stato alla problematica

tarantina (tanto da promettere un Consiglio dei ministri a Taranto per

settembre, che non avrà mai luogo) e, dall’altro, rivendicava l’operato dei

Riva, sottolineando: gli “sforzi” protratti dalla famiglia, la “non necessaria”

revisione delle limitazioni legislative sulle emissioni inquinanti (anche se

scandalosamente alte rispetto a quelle europee) e l’attendibilità dei dati forniti

dall’Arpa.

L’iter per l’adeguamento alle “migliori tecniche disponibili” (BAT – Best

Available Techniques), intanto, pareva definirsi, con il conseguente rilascio

dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), prevista dalle direttive

europee.

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Il 20 novembre, all’ospedale Testa di Taranto, viene presentata la nuova legge

regionale, approvata il 16 dicembre: imposto a tutti gli impianti che producono

diossine, di rispettare i limiti di 0,4 nanogrammi all’ora, come indicato dal

Protocollo di Aarhus.

Nel 2009, la direzione dell’Ilva oltre a ribadire le proprie perplessità circa la

legge regionale “antidiossina” appena emanata, annuncia ripercussioni sul

piano occupazionale. Per scongiurare la chiusura degli impianti, il Ministero

dell’Ambiente, convoca un tavolo di concertazione tra Regione Puglia

Ministero, sindacati e Ilva.

Il 19 febbraio viene siglato a Roma il Protocollo d’Intesa: previsto il rinvio

dell’entrata in vigore della prima parte della legge regionale “antidiossina” in

cui vengono stabiliti precisi criteri e modalità di monitoraggio delle emissioni.

Rinviato di un anno il raggiungimento “tramite le migliori tecnologie

disponibili” del limite di 0,4 µg.

Il 9 novembre 2011, i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità presentano a

Torino i risultati principali del progetto Sentieri (Studio epidemiologico

nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio di inquinamento),

relativi al periodo 1995 - 2002. I dati sono inquietanti: a Taranto vi è un

incremento del tasso mortalità legata ai tumori oltreché una situazione di

rischio generalizzata, derivante da un incontrollato processo di

industrializzazione che per 50 – 60 anni non ha avuto alcun riguardo in merito

alla salvaguardia di salute e ambiente. Ad avvalorare queste tesi, lo studio

dell'istituto di fisiologia clinica del Cnr nel luglio del 2012.

Il 17 febbraio e 30 marzo del 2012 si svolgono le udienze, a porte chiuse,

davanti al gip del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, dell'incidente

probatorio nell'ambito dell'inchiesta sull'inquinamento che sarebbe stato

provocato dai fumi del siderurgico. Centinaia di persone, tra i quali molti

studenti, appostati dinanzi la sede del palazzo di giustizia jonico, per

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manifestare la loro solidarietà nei confronti degli allevatori costituitisi parte

civile. Le due perizie, una chimica e l’altra epidemiologica, depositate presso

la procura della Repubblica di Taranto, dimostrerebbero, infatti, la

correlazione tra le emissioni dello stabilimento, in particolare diossina ma

anche policlorobifenili e benzo(a)pirene, e la contaminazione di terreni e di

animali degli allevamenti vicini alla fabbrica (animali che qualche anno prima

vennero abbattuti perché rilevata, nelle loro carni e nel loro latte, la presenza

di diossina). La redazione della perizia, avvenuta in un anno e per mano di

quattro esperti, dà così alla Magistratura la possibilità di indagare i vertici

dell’azienda (il patron Emilio Riva, il figlio Nicola, il direttore dello

stabilimento Luigi Capogrosso e il responsabile dell'area agglomerato Angelo

Cavallo), ipotizzando le accuse di: disastro colposo e doloso, avvelenamento

di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul

lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di

sostanze pericolose e inquinamento atmosferico.

A seguito di questo, nel marzo 2012, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini,

riapre d’urgenza la procedura Aia, rilasciata nell'agosto 2011 dal precedente

ministro, per adeguarla alla nuova normativa europea (in vigore dal 2016).

Il 26 luglio 2012 viene stipulato un Protocollo di intesa tra Ministero

dell’Ambiente, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dello

Sviluppo Economico, Ministero per la Coesione Territoriale, Regione Puglia,

Provincia e Comune di Taranto, Commissario straordinario del porto di

Taranto per: interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e

riqualificazione di Taranto.

Nello stesso giorno, il gip di Taranto, Patrizia Todisco, su rapporto dei

carabinieri del NOE, dispone: il sequestro senza facoltà d'uso dell'intera area a

caldo e l’apposizione dei sigilli per parchi minerali, cokerie, area

agglomerazione e altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi; gli

20

arresti di Emilio e Nicola Riva (rispettivamente presidente Ilva spa fino al

maggio 2010 e fino a prima dell’arresto), Luigi Capogrosso (ex direttore dello

stabilimento di Taranto), Ivan Di Maggio (dirigente capo dell’area del reparto

cokerie), Marco Adelmi (capo area parchi), Angelo Cavallo (responsabile

dell’agglomerato), Salvatore De Felice (capo area altoforno) e Salvatore D'Alò

(capo area acciaieria 1 e 2 e capo area Crf).

L’ordinanza viene motivata con queste parole:

Chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato nell'attività inquinante con

coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari

regole di sicurezza6.

Il provvedimento di sequestro, viene notificato dai carabinieri del NOE di

Lecce il 30 luglio 2012, mentre il Tribunale del Riesame, conferma quanto

disposto dal gip.

A luglio 2012, nel tentativo di fermare il sequestro dell'impianto, Bruno

Ferrante succede al dimissionario Nicola Riva alla presidenza dell'Ilva7, come

figura istituzionale di garanzia: la magistratura pugliese, poi, per

incompatibilità tra il ruolo di custode e di amministratore, rimuove Ferrante

dall'incarico fino al suo reintegro disposto dal Tribunale del Riesame.

A Settembre 2012, lo studio del dipartimento di epidemiologia Ssr Lazio

conferma la situazione descritta da Sentieri e rende i dati ancor più

interessanti: riferita ad un periodo più recente (1998-2010), tratta in maniera

specifica l’area urbana della città di Taranto (a differenza di Sentieri che

fornisce i dati sull’intera Regione).

Il 12 ottobre 2012, il ministro Clini presenta alla stampa il risultato del lavoro

istruttorio svolto per la concessione dell’Aia: drastica riduzione del carico di

6 www.rai.it

7 bari.repubblica.it

21

inquinanti (emissione di polveri e benzo(a)pirene, in particolare), copertura dei

parchi minerali, fermata degli impianti a maggiore impatto ambientale ed

adeguamento per gli altri.

Nello stesso mese, vengono pubblicati i dati aggiornati (periodo 2003 – 2009)

relativi allo studio Sentieri: dai risultati presentati, emerge con chiarezza uno

stato di compromissione della salute della popolazione residente a Taranto. I

residenti nei quartieri Tamburi, Borgo, Paolo VI, mostrano una mortalità e

morbosità più elevata rispetto alla popolazione di riferimento8, ammette il

ministro della Salute, Renato Balduzzi.

26 novembre 2012: Terremoto Ilva: 7 arresti, sigilli all'acciaio.

Tra i destinatari dei provvedimenti di custodia cautelare, anche Emilio e

Fabio Riva, al momento irreperibile. In manette l'ex responsabile delle

relazioni esterne del gruppo Archinà e l'ex assessore all'Ambiente Conserva.

Indagato Bruno Ferrante e il nuovo direttore dello stabilimento. Bloccata di

fatto l'attività nella fabbrica da dodicimila posti di lavoro.9

La chiusura degli impianti porta il Governo, il 3 dicembre, ad emanare un

decreto legge (poi convertito dal Parlamento nella legge 231 del 24 dicembre

2012) per sbloccare: gli impianti posti sotto sequestro (oggetto dell’opera di

risanamento contenuta nell’Aia) e i prodotti già realizzati e destinati alla

vendita.

La Procura impugna il provvedimento dinanzi alla Corte Costituzionale.

L’8 gennaio 2013, l’azienda chiede al Tribunale d’Appello, il dissequestro di

un milione e 700 mila tonnellate di merci (che valgono un miliardo) perché

una legge ne autorizzi la commercializzazione. La ferma opposizione dei pm,

trova l’appoggio dei giudici: decidono di sollevare un’eccezione di

8 www.adnkronos.com

9 M. Diliberto, Terremoto Ilva: 7 arresti, sigilli all'acciaio. Arrestato ex assessore, indagato Ferrante, La

Repubblica, 2012

22

costituzionalità alla Consulta in merito alla legge 231, che dà possibilità ad

Ilva di commercializzare quanto prodotto prima del 3 dicembre (giorno di

pubblicazione della legge sulla Gazzetta Ufficiale).

L'11 gennaio 2013, l’ex procuratore generale della Cassazione, Vitaliano

Esposito, è il Garante previsto dalla legge sull'Autorizzazione integrata

ambientale rilasciata all'Ilva di Taranto. E Alfio Pini, capo del Corpo

nazionale dei Vigili del Fuoco, è il commissario delegato agli interventi di

bonifica dell'area di Taranto.10

Nel frattempo, viene annullato un ordine di 25.000 tonnellate di tubi grezzi (25

milioni di dollari valore complessivo), necessari per la realizzazione di un

oleodotto ad Oklahoma. Anche un ordine iracheno viene annullato: i lavoratori

parlano di sciopero ad oltranza; restano ai domiciliari le alte cariche

dell’azienda.

Il 22 gennaio 2013: Fabio Riva, vicepresidente di Riva Fire, e figlio del patron

dell'Ilva Emilio Riva, viene stato arrestato a Londra. Riva era ricercato dal 26

novembre scorso, giorno degli arresti nell'ambito dell'inchiesta per disastro

ambientale a carico dei vertici dell'Ilva di Taranto11

.

Si parla di cassa integrazione per 1400 lavoratori entro marzo, mentre

rientrano in 553 per la riapertura di alcuni impianti dell’area a freddo.

La Corte Costituzionale, il 13 febbraio, ritiene inammissibili i ricorsi che la

procura di Taranto aveva sollevato, in ordine al conflitto di attribuzione tra

poteri dello Stato.

Il via libera a 3479 contratti di solidarietà, scongiura il pericolo di cassa

integrazione per gli operai a rischio e, nel frattempo, Enrico Bondi viene

nominato amministratore delegato.

10

www.ilsole24ore.com 11

www.ilmessaggero.it

23

Intanto, 5 mila persone manifestano in piazza contro la “salva – Ilva”. Tutto è

vano però: la Consulta, il 9 aprile, la dichiara costituzionale.

Il 14 aprile, la popolazione, tramite un referendum consultivo cittadino, viene

chiamata ad esprimersi sulla chiusura dell’area a caldo e dell’impianto: non si

raggiunge il quorum. A votare si presenta solo il 19,5% della popolazione.

Stefàno, sindaco di Taranto, viene coinvolto nell’inchiesta “Ambiente

Svenduto” per abuso di ufficio ed omissione. Gianni Florido, presidente della

Provincia, l’ex assessore all’Ambiente Michele Conserva, l’ex segretario alla

Provincia di Taranto Vincenzo Specchia e Girolamo Archinà, ex

rappresentante istituzionale dell’Ilva: sono i destinatari dei provvedimenti di

custodia cautelare emessi dal gip Patrizia Todisco, nell’ambito della stessa

inchiesta.

A fine maggio 2013, dopo il via libera della Procura al dissequestro

dell’acciaio, sequestrato dalla stessa il 26 novembre del 2013, la procura di

Milano avvia un’inchiesta sul patrimonio dei Riva per riciclaggio e truffa

mentre quella di Taranto “sigilla” 8,1 miliardi di euro alla famiglia.

Il cda dell’azienda si dimette: il Governo, in chiara situazione di emergenza,

decide di commissariarla, per un massimo di 36 mesi, ed affidarla proprio al

dimissionario Enrico Bondi.

L’1 luglio, si procede alla fermata dell’altoforno 2, in anticipo rispetto al crono

programma Aia: il mercato è in crisi, la situazione dello stabilimento appare

incerta.

Il Parlamento, nel frattempo, procede ai lavori di approvazione del decreto

legge sul commissariamento dell’azienda.

24

1.4 DUE FALSITÀ

Era un bello stabilimento, tra l’altro isolato dalla città. E’ stata la città ad

andare addosso all’Ilva, non l’Ilva addosso alla città. Quando andavamo allo

stabilimento, percorrevamo chilometri e non c’era una casa. Se la gente non

fosse andata ad abitare lì, così addosso all’acciaieria, forse, non sarebbe

stata così aggredita dall’inquinamento.

Romano Prodi,

presidente del Consiglio dei Ministri dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008

È nato prima l’uovo o prima la gallina?

E’ lo stabilimento ad essere stato costruito dopo le case, a 135 metri dalle più

vicine. Quelle case vicino a cui sono sorte le ciminiere esistevano pertanto già

prima e sono, per di più, frutto di edilizia pubblica e non certo di abusivismo

edilizio. E’ assurdo dare la colpa alla gente per errori compiuti invece da

politici e da ingegneri privi di conoscenze ambientali. A sbagliare furono i

dirigenti delle Partecipazioni Statali che autorizzarono la costruzione dello

stabilimento siderurgico di Taranto “al contrario”: l’area a caldo (la più

inquinante) venne infatti realizzata vicino alla città e l’area a freddo (la meno

inquinante) fu posizionata a maggiore distanza dalle case. Assurdo!12

Giorgio Meletti, de Il Fatto Quotidiano, intervista l’allora ministro

dell’Ambiente Corrado Clini:

Lei farebbe crescere un suo nipotino nel quartiere Tamburi di Taranto?

“Sicuramente no. E non ci prenderei mai casa. Io credo che il quartiere

12

A. Marescotti, Ilva: caro Prodi, a Taranto ha sbagliato lo Stato non i cittadini, Il Fatto Quotidiano, 2013

25

Tamburi di Taranto, sia la rappresentazione molto concreta di un modo

assolutamente disordinato e scriteriato di localizzare insediamenti abitativi”.13

L’anno di costruzione del quartiere Tamburi è il 1956.

La posa della prima pietra dello stabilimento Italsider risale al 9 luglio 1960.

Lo conferma anche la vedova Corisi:

La moglie del signor Corisi ricorda che in quella casa ci è andata ad abitare

quando aveva 4 anni e adesso lei ne ha 64. Quindi la casa è del 1953. In

quell’anno non esisteva l’acciaieria (l’avvio della costruzione dell’Italsider di

Taranto è del 1960) ma una vasta distesa di campagna e di olivi. I bambini

uscivano dalle case e andavano a giocare e a fare merenda sotto gli alberi

nella zona dove oggi produce l’Ilva. Questo smentisce chi ancora oggi

diffonde la falsa voce che il quartiere Tamburi sarebbe stato costruito

abusivamente “dopo” l’acciaieria e a ridosso di essa.14

Sarà poi lo stesso Clini, a dicembre del 2012, a prendere in considerazione la

possibilità di evacuare il quartiere Tamburi per fronteggiare l’emergenza

ambientale.

Toglietemi tutto, ma non la mia industria.

Quando si è costruito l’impianto a Taranto, la coscienza ambientale, in Italia,

era davvero così inesistente?

No. Assolutamente no.

13

Fonte: http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/08/08/ilva-clini-farei-crescere-nipote-quartiere-tamburi-taranto/203229/ 14

A. Marescotti, Ilva, picchi di sabbia sahariana a Taranto? Peacelink smentisce Bondi, Comunicato Stampa, Inchiostro Verde, 2013

26

Regio Decreto 27 luglio 1934, n.1265.

Testo unico delle leggi sanitarie.

Art. 216

Le manifatture o fabbriche che producono vapori, gas o altre esalazioni

insalubri o che possono riuscire in altro modo pericolose alla salute degli

abitanti sono indicate in un elenco diviso in due classi.

La prima classe comprende quelle che debbono essere isolate nelle campagne

e tenute lontane dalle abitazioni; la seconda, quelle che esigono speciali

cautele per la incolumità del vicinato.

Questo elenco, compilato dal Consiglio Superiore di Sanità, è approvato dal

Ministro per l'interno, sentito il Ministro per le Corporazioni, e serve di norma

per l'esecuzione delle presenti disposizioni.

Le stesse norme stabilite per la formazione dell'elenco sono seguite per

iscrivervi ogni altra fabbrica o manifattura che posteriormente sia riconosciuta

insalubre.

Un’industria o manifattura la quale sia inserita nella prima classe, può essere

permessa nell'abitato, quante volte l'industriale che l'esercita provi che, per

l'introduzione di nuovi metodi o speciali cautele, il suo esercizio non reca

nocumento alla salute del vicinato.

Chiunque intende attivare una fabbrica o manifattura, compresa nel sopra

indicato elenco, deve quindici giorni prima darne avviso per iscritto al

podestà, il quale, quando lo ritenga necessario nell'interesse della salute

pubblica, può vietarne la attivazione o subordinarla a determinate cautele.

Il contravventore è punito con la sanzione amministrativa da L. 40.000 a L

400.000.

27

Art. 217

Quando vapori, gas o altre esalazioni, scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi

provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di

danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per

prevenire o impedire il danno o il pericolo e si assicura della loro esecuzione

ed efficienza.

Nel caso di inadempimento il podestà può provvedere di ufficio nei modi e

termini stabiliti nel testo unico della legge comunale e provinciale.

28

CAPITOLO 2: AMBIENTE SVENDUTO

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e

interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno

può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per

disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti

dal rispetto della persona umana.

Art. 32 della Costituzione Italiana

L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con

l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla

dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché

l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a

fini sociali.

Art. 41 della Costituzione Italiana

2.1 CIÒ CHE NON SI VEDE: LE EMISSIONI INQUINANTI E I

PARCHI MINERALI

La fabbrica dei veleni non esiste. Chiunque afferma il contrario fa

dichiarazioni da procurato allarme, delle quali dovrebbe interessarsi la

procura della Repubblica15

.

Girolamo Archinà,

ex responsabile delle relazioni istituzionali Ilva Taranto,

attualmente agli arresti domiciliari

15

G. Foschini, Quindici Passi, Fandango Libri, 2009

29

Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

Con il termine IPA si comprendono diversi composti organici con due o più

anelli aromatici condensati tra loro. Anche se esistono oltre 100 prodotti

policiclici, solo alcuni di questi possono essere dannosi per l'uomo e la fauna.

A livello industriale gli IPA sono prodotti da numerose attività: lavorazione di

metalli, raffinerie, cantieri, industrie chimiche e plastiche, inceneritori e

depositi di sostanze tossiche.

Presenti anche nell'aerosol urbano, sono generalmente associati alle particelle

con diametro aerodinamico minore di 2 micron e quindi in grado di

raggiungere facilmente la regione alveolare del polmone e da qui il sangue e

quindi i tessuti. Oltre ad essere degli irritanti di naso, gola ed occhi sono

riconosciuti per le proprietà mutagene e cancerogene, tali da poter danneggiare

il messaggio di replicazione genetica - cellulare. Lo IARC (International

Agency for Research on Cancer) ha inserito il benzo(a)pirene e altri IPA nelle

classi 2A o 2B (possibili o probabili cancerogeni per l'uomo).

Il benzo(a)pirene, appunto, in ambiente medico - oncologico, è conosciuto per

i suoi effetti devastanti sulla salute umana (tumori respiratori, tumori

polmonari, tumori del sangue, leucemie, linfomi, mielomi).

Il 13 agosto 2010, mentre l’Italia è in vacanza, il Governo emana un decreto

legislativo (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 15 settembre 2010) con il

quale sospende fino al 2013, un’importante misura di protezione della

popolazione urbana: il limite di emissione di benzo(a)pirene fissato a 1 µg/m³

(in vigore dal primo gennaio del 1999).

A Taranto, questa soglia è superata di ben 3 volte.

30

Un nanogrammo (cioè un miliardesimo di grammo) di benzo(a)pirene in un

metro cubo equivale, se noi facciamo un calcolo complessivo, a mille sigarette

fumate da un bambino in un anno16

.

Alessandro Marescotti,

fondatore di PeaceLink

Polveri PM 10 e PM2.5

Le polveri fini, denominate PM10, sono delle particelle inquinanti presenti

nell'aria che respiriamo. Queste piccole particelle possono essere di natura

organica o inorganica e presentarsi allo stato solido o liquido.

Le polveri fini vengono classificate secondo la loro dimensione, che può

determinare un diverso livello di nocività; infatti, più queste particelle sono

piccole, più hanno la capacità di penetrare nell'apparato respiratorio.

Le PM10 (diametro inferiore a 10 µm) possono essere inalate e penetrare nel

tratto superiore dell'apparato respiratorio, dal naso alla laringe.

Le PM2.5 (diametro inferiore a 2,5 µm) possono essere respirate e spingersi

nella parte più profonda dell'apparato, fino a raggiungere i bronchi.

Le polveri ultrafini (diametro inferiore ad 0,1 µm) potrebbero essere

addirittura in grado di filtrare fino agli alveoli e ancora più in profondità

nell'organismo e, si sospetta, entrare nel circolo sanguigno e poi nelle cellule.

Le fonti principali di polveri fini sono due: naturali e antropogeniche (traffico

veicolare e attività industriale).

16 Servizio tg3, Linea Notte, 2010

31

Il livello di concentrazione delle PM10 nelle aree urbane aumenta nel periodo

autunno-inverno, a cui si aggiungono le emissioni di polveri derivanti

dall'accensione degli impianti di riscaldamento.

Studi epidemiologici, confermati anche da analisi cliniche e tossicologiche,

hanno dimostrato come l'inquinamento atmosferico abbia un impatto sanitario

notevole: quanto più è alta la concentrazione di polveri fini nell'aria, infatti,

tanto maggiore è l'effetto sulla salute della popolazione.

Gli effetti di tipo acuto sono legati ad una esposizione di breve durata (uno o

due giorni) a elevate concentrazioni di polveri contenenti metalli. Questa

condizione può provocare infiammazione delle vie respiratorie, come crisi di

asma, o inficiare il funzionamento del sistema cardiocircolatorio.

Gli effetti di tipo cronico dipendono, invece, da una esposizione prolungata ad

alte concentrazioni di polveri e possono determinare sintomi respiratori come

tosse e catarro, diminuzione della capacità polmonare e bronchite cronica. Per

soggetti sensibili, cioè persone già affette da patologie polmonari e cardiache o

asmatiche, è ragionevole temere un peggioramento delle malattie e uno

scatenamento dei sintomi tipici del disturbo.

A livello di effetti indiretti, il particolato agisce da veicolo per sostanze ad

elevata tossicità, quali ad esempio gli idrocarburi policiclici aromatici.

Metalli

Alla categoria dei metalli pesanti appartengono circa 70 elementi (con densità

>5 g/cm³), anche se quelli rilevanti da un punto di vista ambientale sono solo

una ventina. La normativa nazionale con il d.lgs 155/2010, che ha sostituito la

normativa preesistente, ha stabilito gli obiettivi di miglioramento della qualità

dell'aria per alcuni metalli: piombo (Pb), arsenico (Ar), cadmio (Cd) e nichel

(Ni).

32

A livello antropico derivano dall'attività mineraria, dalle fonderie e dalle

raffinerie, dalla produzione energetica, dall'incenerimento dei rifiuti e

dall'attività agricola.

Il piombo è un elemento in traccia altamente tossico che provoca

avvelenamento per gli esseri umani: assorbito attraverso l'epitelio polmonare

entra nel circolo sanguigno e si distribuisce in quantità decrescenti nelle ossa,

nel fegato, nei reni, nei muscoli e nel cervello.

I composti del nichel e del cadmio sono classificati dalla Agenzia

Internazionale di Ricerca sul Cancro come cancerogeni per l'uomo.

L'esposizione ad arsenico inorganico può causare vari effetti sulla salute, quali

irritazione dello stomaco e degli intestini ed irritazione dei polmoni.

Benzene

Il benzene è un composto aromatico presente nelle benzine in concentrazioni

variabili fino a qualche punto percentuale.

In Italia, dal 1 luglio 1998, la concentrazione del benzene nei carburanti non

può superare il valore dell’ 1%.

Tuttavia, è un composto molto volatile e può disperdersi nell’aria per

evaporazione dai serbatoi o durante il rifornimento di carburante.

A causa della accertata cancerogenicità di questo composto, lo IARC

(Internetional Agency for Research on Cancer) lo ha classificato nel gruppo 1

dei cancerogeni per l’uomo e pertanto non è possibile raccomandare una soglia

di sicurezza per la sua concentrazione in aria.

L’esposizione a questa sostanza deve essere ridotta al massimo possibile

poiché da studi condotti dall’EPA e dall’OMS, risulterebbero da 4 a 10 casi

33

aggiuntivi di leucemia, per milione di persone esposte alla concentrazione di 1

µg/m³ per tutta la vita.

Diossine (TCDD)

Con il termine generale di diossine viene descritto un gruppo di centinaia di

composti chimici, capaci di persistere per lungo tempo nell’ambiente. Almeno

13 di queste molecole sono considerate sicuramente tossiche per l’uomo e gli

animali. Il composto più tossico è la tetraclorodibenzo-p-diossina o TCDD. La

tossicità delle altre diossine e delle sostanze analoghe viene espressa in

relazione alla TCDD.

Le diossine di per sé non rivestono alcuna utilità pratica e non sono mai state

un prodotto industriale: si formano nel corso di numerosi processi chimici in

cui siano coinvolti prodotti clorurati. Le fonti principali di diossina sono

rappresentate da: inceneritori di rifiuti urbani, fonderie di metalli, inceneritori

di rifiuti ospedalieri, emissioni di attività industriali.

La diossina emessa in atmosfera tende solo in parte a depositarsi nel terreno

circostante l’impianto di provenienza, mentre la maggior parte viene

trasportata dai venti a grandi distanze.

Le diossine depositate nel suolo e nei sedimenti entrano nella catena

alimentare terrestre e acquatica. Il consumo di alimenti inquinati, pesci o

prodotti agricoli, è un'importante sorgente di esposizione per l'uomo.

Le diossine vengono assorbite per lo più per via digerente. Un ciclo tipico di

questo processo si può schematizzare come segue: depositandosi ed

accumulandosi nel suolo, le diossine passano nei vegetali, da qui negli animali

da pascolo ove si depositano nei tessuti adiposi. L'uomo può assorbire le

diossine attraverso prodotti quali latte e derivati, e carni. Le diossine possono

essere assorbite anche da pesci che vivono in acque inquinate. Nell'uomo

34

possono raggiungere concentrazioni tossiche per l'organismo e sono in grado

di passare nel latte materno. Tra le diossine, la TCDD è la molecola dotata di

più spiccata tossicità: dimostrata la sua capacità di causare un’ampia gamma di

gravissimi effetti nocivi nell’uomo. In primo luogo la capacità di indurre

tumori. Dal 1997 lo IARC (Agenzia internazionale per la Ricerca sul Cancro)

ha classificato la diossina TCDD in classe 1 come cancerogeno: gli studi

epidemiologici hanno evidenziato un significativo eccesso di tumori in toto

negli esposti.

Esistono chiare evidenze di rischi per la riproduzione, anche a basse

concentrazioni di diossina: effetti mutageni sul DNA, aumentata incidenza di

aborti, malformazioni fetali, riduzione della fertilità con danno agli

spermatozoi.

Le diossine sono in grado di esercitare un effetto tossico sul sistema

immunitario con effetti di depressione delle difese immunitarie. Nell’animale

e nell’uomo è stata dimostrata la capacità delle diossine di interferire con il

sistema endocrino.

L’Austria ha fissato da anni il limite di emissione di diossine a 0,4 µg/m³,

ridotto a 0,1 nel 2006. In Inghilterra il limite è a 0,2. In Germania anche i

vecchi impianti di agglomerazione devono puntare all'obiettivo di 0,1 µg/m³.

In Olanda, caso per caso, il limite oscilla fra 0,4 e 0,1.

Il valore in sede europea è di 0,4 nanogrammi al metro cubo di aria: previsto

dal "Protocollo di Aahrus" del 1998, approvato dalla Comunità con decisione

del Consiglio dell'UE 2004/259/CE del 19.02.2004 e ratificato dall'Italia nel

2008.

Nel 2008 la Regione Puglia ha approvato una legge (n. 44 del 19 dicembre) e

fissato un valore limite di 2,5 µg/m³ di policlorodibenzodiossina e

35

policlorodibenzofurani da rispettare entro il 30 giugno 2009, ridotta poi a 0,4

µg (da applicare dal 31 dicembre 2010).

Ipa, Pm 10, Pm 2.5, TCDD non sono solo acronimi.

Gli acronimi non stanno soltanto nelle parole degli scienziati o dei politici…si

trovano anche nell’aria e per questo colpiscono tutti senza distinzione di

sesso, razza, religione e ceto. Gli acronimi sono democratici…hanno una

funzione sociale: sono stati inventati per non far capire il reale significato di

quello che rappresentano. Per non far spaventare, allarmare, intimorire la

gente. Per permettere loro di andare a lavorare e poi gustarsi la televisione,

un libro, una canna senza troppi pensieri per la testa. Si vive più tranquilli

senza sapere cosa è l’Ipa.17

A Taranto non ci sono solo acronimi.

A Taranto ci sono anche i parchi minerali.

Nei giorni di vento nord – nord/ovest veniamo sepolti da polveri di minerale e

soffocati da esalazioni di gas provenienti dalla zona industriale “Ilva”. Per

tutto questo gli stessi “maledicono” coloro che possono fare e non fanno nulla

per riparare.

Targa affissa dai cittadini di Via De vincetis – Lisippo – Trojlo – Savino

agosto 2001

L’area dei parchi minerali è piuttosto estesa: 70 ettari (pari a 100 campi da

calcio), otto parchi di stoccaggio, equamente suddivisi tra fossili e minerali,

hanno una lunghezza di centinaia di metri ed un’altezza di circa dieci – venti.

Destinati al deposito di materiali di vario tipo (minerali di ferri e carboni

essenzialmente), provenienti dal porto via mare, approdano su due sporgenti,

17

G. Foschini, Quindici Passi, Fandango Libri, 2009

36

e, convogliati su nastri trasportatori (circa 30km), vengono diretti verso l'area

di deposito da cui ripartono per l'alimento degli impianti di trasformazione

dell'area ghisa (altiforni, agglomerati e cokerie).

Queste “colline” sono all’aperto, senza alcun tipo copertura o forma di

protezione: soggette all’azione di qualsiasi agente atmosferico.

In tutto il mondo sono coperte. Persino a Taiwan.

Gli abitanti del quartiere Tamburi le conoscono bene.

Lo chiamano “polverino” o “minerale”, quel concentrato di polvere nera,

rossastra e lucente che si deposita ovunque: sulle macchine, sui balconi, nelle

case, nel cibo, nei polmoni.

Il fenomeno è così evidente da non poter far finta di nulla.

Antonio Ammirato, un fioraio convinto che quelle polveri stessero

compromettendo le proprie serre, intenta causa contro l’azienda. La vince sia

in sede civile che in sede penale: è la prima volta che il siderurgico viene

condannato al risarcimento del danno in favore di un privato.

L’Ilva, però, di lì a qualche anno, sarà protagonista di un altro singolare

processo: condannata in tutti e tre i gradi di giudizio per l’art. 674 del codice

penale (getto pericoloso di cose) e per l’art.13 del d. lgs. “Norme in materia di

qualità dell’aria relativamente a particolari agenti inquinanti”.

Provato in atti che dallo spargimento di polveri nocive provenienti dai parchi

minerari erano derivati, al territorio ingenti danni patrimoniali, e non, con

pregiudizio concreto della qualità della vita della collettività, sotto il profilo

dell’alterazione, del deterioramento o della distruzione, in tutto o in parte

dell’ambiente e lesione del diritto di personalità ed all’immagine e per il

discredito derivato alla sfera funzionale degli enti territoriali ed esponenziali,

37

nonché alla loro onorabilità agli occhi di tutti coloro che da essi si ritengono

rappresentati.18

Gli Enti Locali, almeno per i due primi gradi di giudizio, si costituirono parte

civile all’interno del processo. Poi, a pochi giorni dalla definitiva condanna in

Cassazione, gli stessi Organi, a seguito di un accordo (Patto d’Intesa) inter nos

con i vertici industriali, decisero di ritirare la costituzione, impedendo così agli

organi inquirenti di disporre del sequestro dell’area dei parchi minerali e di

stabilire alcun tipo di risarcimento nei confronti della popolazione

danneggiata.

Nonostante le condanne, negli anni, sul tema si è proceduto sempre utilizzando

soluzioni tampone poco efficaci: le collinette artificiali di terra e loppa, le

recinzioni, il cosiddetto “barrieramento”, l’umidificazione dei cumuli di

polveri tramite l’uso di idranti e cannoni umidificanti (cannon fog).

Enrico Bondi, commissario straordinario dell’Ilva, afferma che: i picchi sopra

la norma di PM10, registrati nel periodo gennaio-maggio 2013, sono in gran

parte riconducibili a cause esterne (sabbia sahariana) e che il numero degli

eventi di slopping (la nube inquinante rossastra) è notevolmente diminuito

rispetto ai primi cinque mesi del 2012.

PeaceLink, fa un sopralluogo in una delle case adiacenti allo stabilimento.

La casa è quella di Peppino Corisi. Egli, prima di essere stroncato dalla

malattia, volle far affiggere, sotto la sua finestra, una targa: Ennesimo decesso

per neoplasia polmonare.

Il video, girato da Luciano Manna, è chiarissimo.

Se le case fossero piene di polveri del Sahara, esse non sarebbero nere e le

polveri non si attaccherebbero alla calamita.19

18 Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. III penale, 2005

38

A Bondi che dichiara, in ordine a quanto prescritto dall’Aia, un impegno

complessivo di 1.800 milioni di euro nel triennio 2013 – 2015, Marescotti fa

notare che: La copertura del parco minerali comporta un impegno di spesa di

circa un miliardo di euro. Come fa Bondi a coprire anche i parchi minerali se

con 1.800 milioni di euro deve sistemare anche tutti gli impianti dell’area a

caldo?20

Discorso pressappoco analogo ha coinvolto i nastri trasportatori: l’azienda

dichiara di aver investito 5,5 milioni di euro nel 2009 – 2010, ma la verità è

un’altra.

L’ultima Aia dava tre mesi di tempo perché la copertura risultava già

realizzata nel 2009, poi, l’azienda chiede una proroga:

Il tempo concesso era inizialmente 3 mesi, ma dopo 2 mesi l’azienda ha

chiesto una riformulazione del periodo di esecuzione di 3 anni: sono tempi

radicalmente diversi e probabilmente uno dei due è completamente

sbagliato.21

Massimo Mucchetti,

presidente della Commissione Industria

La solita storia. La solita commedia all’italiana.22

Lo “sanno” le strade rosse che ci accolgono dalla città, venendo da Bari.

Ce lo “ricorda” il cimitero di San Brunone, ogni qualvolta andiamo a salutare

qualche nostro caro oramai scomparso, forse a causa proprio della grande

industria.

19

A. Marescotti, Ilva, picchi di sabbia sahariana a Taranto? Peacelink smentisce Bondi, Comunicato Stampa, Inchiostro Verde, 2013 20

A. Marescotti, Ilva, Bondi e la sabbia sahariana. Un video lo smentisce, Il Fatto Quotidiano, 2013 21

M. Bartoloni, «Accertate 11 violazioni ambientali», Il Sole 24 ore, 2013 22

A. Marescotti, I nastri trasportatori dell’Ilva, una commedia all’italiana, Il Fatto Quotidiano, 2013

39

Qua a Tamburi tutto è rosa. Pure le cappelle del cimitero.”

Il cimitero è quello di Brunone, quindici passi dalla fabbrica e quindici dalle

case. “Ora le cappelle le pittano già di rosa, perché tanto diventano di quel

colore dopo qualche giorno e a questo punto meglio farlo, si risparmia tempo

e una brutta figura: almeno i nostri morti, almeno loro, non sembrano

sporchi.23

Tina,

abitante dei Tamburi

Ce lo “dice” il vento ogni volta che soffia e porta con sé quest’ammasso di

polveri e parole.

23

G. Foschini, Quindici Passi, Fandango Libri, 2009

40

2.2 LE PECORE, LE COZZE, IL LATTE DI MAMMA: UNA CATENA

IRRIMEDIABILMENTE COMPROMESSA

L’acciaieria l’ho vista nascere. Ero un ragazzino. Ci portò via 100 ettari di

terra, oliveti e vigneti, e la odiai subito. Ma oggi la odio con tutte le mie forze

perché ha avvelenato la mia terra, i miei animali, la mia anima.24

Angelo Fornaro,

allevatore

Angelo Fornaro vive, assieme ai suoi figli Vittorio e Vincenzo, a Statte, in una

masseria ottocentesca, a circa un paio di chilometri dallo stabilimento

siderurgico. Vengono abbattute 700 pecore. Sono le sue. Il motivo?

“Contaminazione da diossina”: così recita la delibera della giunta regionale

della Puglia.

L’abbattimento non riguarda solo le pecore di Angelo, però: milleduecento

animali, distribuiti in sette allevamenti diversi, tutti situati attorno nelle

campagne adiacenti la grande industria. Ad essere sospettata di

contaminazione, è tutta l’area “ricadente in un raggio di almeno dieci

chilometri dal polo industriale”, così è scritto nel provvedimento.

Per le milleduecento pecore e capre abbattute la Regione ha stanziato 160 mila

euro, a titolo di risarcimento, incluse le spese di smaltimento delle carcasse

degli animali.

24

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009

41

Tutto è partito da una foto. Una foto apparsa sul Taranto Sera che ritraeva le

pecore pascolare beatamente nei campi di fronte le ciminiere. Il tutto veniva

accompagnato dall’articolo di Mario Diliberto, intitolato “C’è da stare

tranquilli?”, con il quale il giornalista esprimeva tutta la sua paura. Sulla scorta

di questo articolo, Franco Sebastio, procuratore capo della Repubblica di

Taranto, decise di aprire un fascicolo con l’intento di farne un’indagine

conoscitiva.

Il 20 marzo 2008, i verdetti delle analisi effettuate dall’Arpa: latte e formaggio

provenienti proprio da quegli allevamenti contenevano diossina e Pcb in

quantità superiore a dieci volte il limite consentito dalla legge.

Il principale camino industriale dell’Ilva emette, oggi “solo” 10 grammi di

diossina l’anno. Dieci anni fa ne produceva circa 150 – 200. E, secondo un

calcolo approssimativo e per difetto, in mezzo secolo ne ha prodotti 9.

Non 9 grammi, 9 chili.

Il 98% della diossina si assorbe per via alimentare e soltanto il 2% per via

respiratoria. Questo significa che ci si ammala anche mangiando, non solo

respirando.

Carmelo Ligorio, come Angelo Fornaro. Aveva un gregge di 150 capi, tra

pecore e capre. Pascolavano tutte nelle campagne adiacenti a Statte, nel Parco

Naturale delle Gravine. Anche loro producevano latte e, con il latte, Carmelo

produceva il formaggio. Poi, nel febbraio del 2008, l’associazione PeaceLink

aveva fatto analizzare, a proprie spese, dai laboratori Inca (Consorzio

interuniversitario nazionale “La chimica per l’ambiente”) di Lecce, un pezzo

di quel formaggio. Il risultato? Pesantemente contaminato da diossina e pcb

(tre volte superiori ai limiti di legge), al punto che, nemmeno un bambino che

pesi 20 chili, potrebbe mangiarne più di due grammi, altrimenti supererebbe la

42

dga (ossia la dose giornaliera accettabile che non comporti rischi apprezzabili

per la salute).

In definitiva, il bilancio, oggi, parla di: dodici aziende chiuse, 2270 ovi caprini

abbattuti, divieto di pascolo in un raggio di 20 km attorno lo stabilimento,

riscontrati valori di diossina che raggiungono 168 picogrammi a fronte di un

limite di 5.25

Taranto non si fa mancare niente. Dopo formaggio e carne alla diossina, ecco

il latte materno imbottito di policlorobifenili (pcb) e diossina in percentuali

superiori di trenta volte alla dose tollerabile in base ai parametri

dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

L'annuncio viene dato Pino Merico, pediatra nonché fondatore

dell'associazione «Bambini contro l'inquinamento», affiancato dal primario del

reparto di neonatologia dell'ospedale tarantino, Enzo Vitacco.

I campioni sono stati esaminati dal consorzio interuniversitario Inca di Lecce,

e fanno riferimento al profilo di tre mamme tarantine che, volontariamente, si

sono sottoposte al prelievo di latte: valori complessivi di 26.19 (pcb e

diossina) picogrammi per grammo di grasso (pari a un milionesimo di

grammo) presente nel latte materno della donna di Crispiano; 29.40 nella

mamma del quartiere Tamburi; 31.74 nella signora originaria di Lama ma

abitante a Taranto da sette anni.

La loro dieta è ricca di carne, latte e pesce. L'assorbimento della diossina è

maggiore in presenza di elementi grassi e questo può spiegare percentuali così

alte in un'alimentazione in cui i derivati del latte hanno una forte incidenza.

Il dato è superiore di 25-30 volte al limite indicato dall'OMS resta, comunque,

incontrovertibile.

25

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013

43

A Seveso il «follow up» dopo 25 anni dall'esplosione della ICMESA ha messo

in evidenza una crescita di leucemie e linfomi. A Seveso, però, la diossina,

prodotta a seguito di quel tragico evento, era circa 1/3 di quella prodotta

dall’Ilva di Taranto.

Se ad Alessandro Marescotti va riconosciuta la scoperta della contaminazione

dei prodotti caseari nel 2008, a Fabio Matacchiera va il merito di aver

“smascherato” la cozza, sei mesi prima che ci arrivasse l’Asl, nel gennaio del

2011.

La cozza: uno dei simboli di Taranto e della sua storia. Un simbolo così

importante da essere difeso “con i denti” e non solo in senso figurato: Ippazio

Stefàno, sindaco di Taranto, ingoiandole crude, tenta un vano ed esasperato

tentativo di salvaguardare il prodotto tipico e la sua genuinità.

All’anno, a Taranto, ne vengono raccolte 14.000 tonnellate: il 10% della

produzione italiana. Più di un terzo è immangiabile. I dati forniti dal

Consorzio Interuniversitario Chimica per l’Ambiente di Marghera sono

allarmanti: il valore di pcb e diossina è di 13,5 picogrammi e supera il livello

di 8 picogrammi fissato per legge. Le autorità sanitarie e il sindaco stesso,

all’inizio, negano l’evidenza dei fatti, forse con l’intento di difendere i

miticoltori. Sarà poi l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, esaminando i

campioni prelevati il 13 giugno 2011 per conto dell’Asl, a sconfessare, prima

per eccesso e poi per difetto, l’operato di Matacchiera: 10,5 e 18 picogrammi

per i frutti di mare coltivati nel primo seno del mar Piccolo.

Sulla questione, la colpevolezza dell’Ilva è pressappoco che certa. Quello che

non è certo, è la percentuale con cui essa abbia partecipato, assieme

all’Arsenale Militare e all’azienda San Marco Metalmeccanica srl, al disastro

ambientale che ha coinvolto il bacino del mar Piccolo. Il 4 ottobre 2011, lo

studio condotto dall’ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca

Ambientale, ha parlato di pcb insieme ad una miscela di idrocarburi e metalli

44

pesanti (arsenico, mercurio, antimonio, piombo, rame, selenio, vanadio,

zinco).

Il 70% della falda è inquinata e nulla può cancellare un secolo di

industrializzazione, un secolo di veleni.

Tanto non importa. I due seni non sono collegati tra loro: le cozze del secondo

seno si possono mangiare.

E poi, a cosa serve allarmarsi così tanto per la compromissione dell’atmosfera,

della catena alimentare, dell’ecosistema se poi nella mia urina ritrovo lo stesso

piombo della falda acquifera qui sopra menzionata?

E' stata riscontrata la presenza del piombo nelle urine dei tarantini. Sono 141

i soggetti analizzati (67 uomini e 74 donne). I valori di riferimento <0,5 - 3,5

(microgrammi/litro). Il valore medio riscontrato è stato di 10,8

microgrammi/litro. Il piombo è neurotossico e cancerogeno.26

A Taranto, la catena alimentare è stata irrimediabilmente compromessa, questo

è innegabile: la diossina si deposita nel terreno, le pecore e gli agnelli

pascolano in quel terreno.

A Pasqua mangiamo l’agnello.

La mattina beviamo un bel bicchiere di latte e caffè per cominciare la giornata.

A pranzo? Che domande…Pasta con le cozze, ovviamente.

La sera i bimbi, prima di addormentarsi, lasciano che la loro mamma li allatti:

ignari di tutto e colpevoli di niente.

E forse è proprio questo il vero problema?

Il giorno dopo, non è più un problema.

26

Fonte: http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/36647.html

45

Lo è solo per quei poveri agnellini condannati ad una morte trucida.

Lo è solo per le masserie di Statte ed i suoi allevatori: per la famiglia Fornaro

rimasta senza un lavoro, per Carmelo Ligorio senza un futuro a 57 anni, a

causa di un tumore alla testa.

Lo è solo per la mamma costretta a non allattare i suoi figli perché causa di

contaminazione, o il povero miticoltore che, dopo una vita a “spaccarsi la

schiena” tra i pali del mar Piccolo, si ritrova, di punto in bianco, con un pugno

di mosche in mano.

Il resto è solo psicosi collettiva.

Maledetti allarmisti. Stupidi ambientalisti.

Ci fate prendere un colpo! A Taranto, la diossina non esiste.

46

2.3 LO STUDIO SENTIERI27

Chi vive a Taranto non può neanche permettersi il lusso di fumare28

.

Michele Conversano,

direttore del dipartimento di prevenzione,

Asl di Taranto

I dati relativi all’incidenza dei tumori nel SIN di Taranto mostrano per gli

uomini un eccesso, rispetto al resto della provincia, del 30% per tutti i tumori

e, in dettaglio: del 50% per il tumore maligno del polmone, più del 100% per il

mesotelioma e per i tumori maligni del rene e delle altre vie urinarie (escluso

la vescica), superiore al 30% per il tumore della vescica e per i tumori della

testa e del collo, del 40% per il tumore maligno del fegato, del 60% per il

linfoma non Hodgkin, superiore al 20% per il tumore maligno del colon-retto e

per il tumore della prostata e al 90% per il melanoma cutaneo.

Per le donne residenti nei comuni di Taranto e Statte, sempre a confronto con

il resto della Provincia, si rileva un eccesso di incidenza per tutti i tumori di

circa il 20%. Sono presenti eccessi per una serie di tumori maligni: della

mammella pari al 24%, del corpo dell’utero superiore all’80%, del polmone

48%, del colon-retto 21%, del fegato 75%, del linfoma non Hodgkin 43% e

dello stomaco superiore al 100%. Sia negli uomini che nelle donne gli eccessi

sono presenti, per la maggior parte delle sedi, anche rispetto all’insieme dei

Registri Tumori dell’Italia meridionale.

Questi dati sono stati ottenuti grazie alla collaborazione con il Registro Tumori

Puglia - ASL di Taranto (di recente istituzione), è stato possibile acquisire i

27

Fonte: Conferenza Stampa, Rapporto, Ambiente e Salute a Taranto: Evidenze disponibili ed indicazioni di sanità pubblica, 2012 28 T. Attino, Generazione Ilva, Gli ulivi, le industrie, il boom, il declino, l’inquinamento. La tragica parabola di una terra illusa dall’acciaio, tradita dallo Stato, Salento Books, Besa Editrice, 2012

47

primi risultati prodotti dal Registro stesso e relativi al biennio 2006-2007. Va

ricordato che lo studio dell’incidenza dei tumori, rispetto all’analisi della

mortalità, ha tre principali motivi di interesse: si basa su dati di qualità molto

elevata (solo diagnosi con conferma istologica), consente di valutare anche le

patologie non letali e permette di effettuare confronti più validi fra aree

geografiche diverse, perché la sopravvivenza dei pazienti oncologici non

dipende solo dalla presenza della malattia ma anche dall’appropriatezza delle

cure e quindi dalla presenza nel territorio di centri d’eccellenza.

In questo quadro, per quanto riguarda Taranto e Statte, i due comuni che

costituiscono il Sito di Interesse Nazionale (SIN) per le bonifiche, i dati del

Progetto SENTIERI mostrano incrementi significativi per tutte le cause nel

primo anno di vita e per alcune condizioni morbose di origine perinatale.

L'eccesso di mortalità per tutti i tumori osservato nel periodo 1995-2002 non è

confermato nel periodo 2003-2009, ma occorre rilevare che a causa della

relativa rarità dei tumori infantili e del loro alto tasso di sopravvivenza,

l’analisi dell’incidenza neoplastica è un indicatore più appropriato della

mortalità nella valutazione del rischio cancerogeno nell’infanzia. I dati relativi

all’incidenza dei tumori infantili nel SIN di Taranto, rilevati dal Registro

Tumori Puglia-ASL di Taranto, in età pediatrica, sono tuttora in fase di

validazione di qualità e la loro elaborazione avrà luogo non appena conclusi i

controlli. I risultati saranno forniti appena disponibili i dati validati.

Indicazioni ulteriori per l’area di Taranto, basate su eventi diversi dalla

mortalità, sono fornite dall’analisi dei dati relativi ai ricoveri ospedalieri, che

rappresentano una stima dell’incidenza, per il periodo 1998-2010 effettuata dal

Dipartimento di Epidemiologia del SSR del Lazio – ASL RME nel quadro del

Progetto CCM 2010 “Sorveglianza epidemiologica di residenti in siti

contaminati”. I risultati di quest’analisi mostrano un significativo incremento

dei ricoveri per tumori maligni, malattie dell’apparato respiratorio, e fra queste

48

le infezioni dell’apparato respiratorio, in relazione all’aumento di 10 mg/m3 di

polveri provenienti dalla zona industriale.

I bambini, come è noto, mostrano una maggiore vulnerabilità agli agenti

ambientali perché, rispetto agli adulti, hanno tassi respiratori più elevati e

maggior consumo di cibo per kg di peso, che possono determinare esposizioni

più elevate, per inalazione ed ingestione, a contaminanti presenti nell’aria e

negli alimenti; inoltre il comportamento mano-bocca rende i bambini più

esposti ai terreni contaminati. In aggiunta, lo sviluppo dei sistemi respiratorio,

riproduttivo, endocrino, gastrointestinale e nervoso raggiunge la maturità nel

periodo postnatale, e le finestre di suscettibilità nei bambini sono ampie,

estendendosi dal periodo pre-concepimento alla fine dell'adolescenza; durante

la pubertà, ad esempio, l'esposizione a interferenti endocrini ambientali può

causare danni tiroidei e riproduttivi. La lunga durata dello sviluppo del

cervello e il gran numero di processi neuronali disponibili in questa fase

contribuiscono alla suscettibilità del sistema nervoso alle sostanze tossiche.

E’ stato aggiornato il Progetto SENTIERI, promosso dal Ministero della

Salute nell’ambito del Programma Strategico Nazionale “Ambiente e Salute” e

coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. Questo progetto riguarda l’analisi

della mortalità per 63 cause di morte nei siti di interesse nazionale (SIN) per le

bonifiche, fra i quali vi è l’area costituita dai comuni di Taranto e Statte;

l’analisi confronta la mortalità osservata nei siti in esame con quella media

della regione di appartenenza, tenendo anche conto delle condizioni socio-

economiche della popolazione residente nel sito. I precedenti risultati dello

studio SENTIERI riguardavano il periodo 1995-2002. Sono ora disponibili i

dati 2003-2009. Lo studio della mortalità secondo la metodologia del progetto

SENTIERI mostra che, per le cause di morte per le quali un ruolo causale delle

esposizioni ambientali presenti nel sito è accertato o sospettato, si conferma

anche per il 2003/2009 negli uomini un eccesso di mortalità per tutte le cause

49

(+14%), tutti i tumori (+14%), malattie circolatorie (+14%), tutti i tumori

(+14%) malattie respiratorie (+17%), tumori polmonari (+33%), mesoteliomi

pleurici (+419%). Nelle donne, si conferma, nello stesso periodo un eccesso di

mortalità per tutte le cause (+8%), di tutti i tumori (+13%), per le malattie

circolatorie (+4%), per i tumori polmonari (+30%) e per il mesotelioma

pleurico (+211%).

Sono stati analizzati i “trend”, cioè gli andamenti temporali della mortalità a

Taranto e Statte dal 1980 al 2008, confrontati con la mortalità media regionale

e nazionale. L'andamento dei tassi standardizzati di mortalità nel SIN di

Taranto nel periodo 1980-2008 mostra una diminuzione della mortalità

generale e per importanti cause, in accordo con il trend storico nel nostro

paese, ma i tassi di mortalità sono significativamente superiori alla media

regionale per la quasi totalità del periodo e in particolare per alcune delle

cause esaminate. Inoltre, tra gli uomini, i tassi sono sempre significativamente

superiori non solo a quelli pugliesi, ma anche a quelli italiani, per importanti

patologie quali il tumore del polmone e le malattie del sistema respiratorio nel

loro complesso e le malattie respiratorie croniche in particolare. Anche tra le

donne si osservano segnali di criticità, quali un marcato aumento, nel

trentennio considerato, della mortalità per tumore polmonare.

Dai risultati presentati emerge con chiarezza uno stato di compromissione

della salute della popolazione residente a Taranto. Questo quadro è coerente

con quanto emerso dai precedenti studi descrittivi ed analitici di mortalità e

morbosità, in particolare la coorte dei residenti a Taranto nella quale, anche

dopo avere considerato i determinanti socio-economici, i residenti nei quartieri

di Tamburi, Borgo, Paolo VI e nel comune di Statte mostrano una mortalità e

morbosità più elevata rispetto alla popolazione di riferimento, in particolare

per le malattie per le quali le esposizioni ambientali presenti nel sito possono

costituire specifici fattori di rischio.

50

2.4 DUE PERIZIE

L'imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente urbanizzato e non,

ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute

(pubblica), ma addirittura un gravissimo danno per le stesse, danno che si è

concretizzato in eventi di malattia e di morte.

Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con

coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari

regole di sicurezza.29

Patrizia Todisco,

gip di Taranto,

ordinanza di sequestro dell’Ilva di Taranto,

26 luglio 2012

La perizia chimica30

Prelevando e analizzando campioni ad hoc e utilizzando dati derivanti dagli

autocontrolli dell’ILVA o presenti nella documentazione utilizzata nel corso

dell’indagine, i periti dovevano rispondere a sei quesiti:

1) “Se dallo stabilimento ILVA si diffondano …. sostanze pericolose

per la salute dei lavoratori.. e per la popolazione .. di Taranto.”

Risposta è affermativa

Nel 2010 Ilva ha emesso dai propri camini oltre 4mila tonnellate di polveri,

11mila tonnellate di diossido di azoto e 11mila e 300 tonnellate di anidride

29

corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/ 30

Fonte: Sintesi della perizia chimica (a cura di M.A. Vigotti), Epidemiologia & Prevenzione, 2012

51

solforosa (oltre a: 7 tonnellate di acido cloridrico; 1,3 tonnellate di benzene;

338,5 chili di IPA; 52,5 grammi di benzo(a)pirene; 14,9 grammi di composti

organici dibenzo-p-diossine e policlorodibenzofurani (PCDD/F).

2) “Se i livelli di Diossina e PCB rinvenuti negli animali abbattuti…e

se i livelli ..accertati nei terreni circostanti l’area industriale di

Taranto siano riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello

stabilimento ILVA di Taranto.”

Risposta è affermativa.

I livelli di PCDD/PCDF e PCBdl accertati possono essere ricondotti alla

specifica attivita’ di sinterizzazione (area agglomerazione) svolta all’interno di

ILVA s.p.a.

“L’esame dei profili (fingerprints) dei congeneri PCDD/PCDF e PCBdl,

riscontrati nelle matrici suolo, aria ambiente e bioindicatori prelevati nelle aree

urbane, agricole e i terreni adiacenti all’insediamento ILVA, ha evidenziato

un’elevata correlazione con i profili riscontrati nei campioni prelevati presso

lo stabilimento di ILVA spa, area agglomerazione, quali quelli delle polveri

abbattute dagli elettrofiltri ESP e MEEP e quelle prelevate nei campionamenti

ambientali effettuati in prossimità del reparto, risultando invece meno evidente

il contributo di quanto emesso in atmosfera dall’emissione E312 AGL2, in

quanto caratterizzato da profili di congeneri PCDD/PCDF diversi.”

3) Se all’interno dello stabilimento ILVA… siano osservate tutte le

misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e

polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi.”

La risposta è negativa.

Numerose e varie sono le emissioni non convogliate che si originano dai

diversi impianti dello stabilimento ILVA. Giacche’ la stessa ILVA stima che

52

le sostanze non convogliate emesse dai suoi stabilimenti sono quantificate in

8800 chili di IPA; 15 tonnellate e 4 mila chili di benzene; 130 tonnellate di

acido solfidrico; 64 tonnellate di anidride solforosa e 467,7 tonnellate di

Composti Organici Volatili e in 2148 tonnellate di polveri di cui 544

tonnellate all’anno sono dovute al fenomeno di slopping (fuoriuscita di gas e

nubi rossastre dal siderurgico), fenomeno documentato dai periti chimici e dai

NOE di Lecce.

“Dai dati riportati in tabella emerge, in particolare, la quantità rilevante di

polveri che viene rilasciata dagli impianti, anche dopo gli interventi di

adeguamento, di particolare evidenza è la quantità di polveri che fuoriesce

dall’acciaieria determinata dal cosiddetto fenomeno di slopping, documentato

oltre che dalla presente indagine anche dagli organi di controllo. Per ridurre

tali emissioni è necessario pertanto che la ditta adotti ulteriori misure di

contenimento, evidenziate nella risposta del sesto quesito, dando la priorità

alla riduzione delle emissioni contenenti sostanze pericolose e metalli”;

4) “Se i valori attuali di emissioni di …. e altre sostanze ritenute nocive

… siano conformi o meno alle disposizioni normative …. in vigore.”

I periti rispondono che rispetto alle leggi nazionali e regionali i valori misurati

dall’ILVA nel 2010 risultano conformi.

Queste emissioni, però, dal 1999 dovevano essere presidiate da un sistema di

un controllo automatico in continuo che, invece, ancora manca e quindi non

possono ritenersi conformi.

“Relativamente alla conformità alle norme nazionali e regionali, i valori

misurati alle emissioni dello stabilimento ILVA con gli auto controlli effettuati

dal Gestore nell’anno 2010, risultano conformi sia a quelli stabiliti dalle

precedenti autorizzazioni settoriali delle emissioni in atmosfera (ex-DPR.

53

203/88) e sia ai valori limite previsti dal recente decreto di AIA del

5/08/2011.”

“Poiché, …. allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non

sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto

dei limiti dei parametri inquinanti previsti …. sopra detti, tali emissioni non

risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale in materia di

trattamento termico dei rifiuti. Inoltre poiché ai suddetti camini non sono

installati i sistemi di controllo in continuo alle emissioni, non c'è alcun

elemento che dimostri il rispetto dei limiti previsti … Per quanto concerne le

emissioni non convogliate delle acciaierie, connesse quasi totalmente al

fenomeno dello Slopping,….. all’ atto dell’ accertamento … tali procedure non

risultavano in atto.”

Per quanto concerne la conformità alle norme comunitarie delle prestazioni

ambientali degli impianti ILVA, i periti evidenziano che “ nella maggioranza

delle aree e/o delle fasi di processo, sono emesse quantità di inquinanti

notevolmente superiori a quelle che sarebbero emesse in caso di adozione da

parte di ILVA delle BAT con la performance migliore come stabilito dal

BRef.”

5) Se la pericolosita’ delle .. sostanze,..determinano situazioni di danno

o di pericolo inaccettabile..

Si rinvia la risposta allo specifico collegio peritale (epidemiologico)

6) “In caso affermativo, quali siano le misure tecniche necessarie per

eliminare la situazione di pericolo, anche in relazione ai tempi di

attuazione delle stesse e alla loro eventuale drasticità”

I periti concludono che se all’interno della stessa fabbrica si adottassero le

BAT per tutte le emissioni di ogni fase (e non solo per parte di esse) si

otterrebbe una maggiore efficienza nell’abbattimento degli inquinanti e

54

conseguentemente una riduzione dei carichi emissivi dell’intera fase. La

differenza riscontrata tra i valori misurati e quelli attesi dall’applicazione delle

BAT Conclusions e quelli riportati nel BRef – media europea, evidenzia come

sussista, tuttora, un divario tra le tecniche adottate nello stabilimento ILVA, e

la loro efficacia in termini di inquinanti emessi, rispetto alle BAT, la cui

adozione garantirebbe la riduzione degli inquinanti emessi.

La perizia epidemiologica31

I periti dovevano rispondere a tre quesiti:

1) «Quali sono le patologie interessate dagli inquinanti, considerati

singolarmente e nel loro complesso e nella loro interazione, presenti

nell’ambiente a seguito delle emissioni dagli impianti industriali in

oggetto»

I periti identificano le malattie di interesse nella situazione di Taranto, e che

giudicano a priori di interesse nella valutazione epidemiologica condotta,

suddividendo gli esiti sanitari dovuti ad un possibile danno derivante dalle

emissioni dell’impianto siderurgico o per effetto delle esposizioni in ambiente

lavorativo in:

a) esiti per i quali esiste una forte e consolidata evidenza scientifica [Mortalità

per cause naturali, Patologia cardiovascolare, in particolare patologia

coronarica e cerebrovascolare, Patologia respiratoria, in particolare infezioni

respiratorie acute, broncopatia cronico ostruttiva (BPCO) e asma bronchiale

(molto suscettibili i bambini e gli adolescenti), tumori maligni nella

popolazione generale e/o tra i lavoratori: tutti i tumori, tumori in età pediatrica

31

Fonte: Sintesi della perizia epidemiologica (a cura di M.A. Vigotti), Epidemiologia & Prevenzione, 2012

55

(0-14 anni), tumore della laringe, del polmone, della pleura, della vescica, del

connettivo e tessuti molli, tessuto linfoematopietico (linfoma non-Hodgkin e

leucemie)];

b) esiti per i quali vi è una evidenza scientifica suggestiva ma le prove non

sono ancora conclusive (Malattie neurologiche e renali, tumore maligno dello

stomaco tra i lavoratori del complesso siderurgico).

2) «Quanti sono i decessi e i ricoveri per tali patologie per anno, per

quanto riguarda il fenomeno acuto, attribuibili alle emissioni in

oggetto»

I periti hanno condotto uno studio di serie temporali con approccio case-

crossover sia per la popolazione residente presente per tutto il Comune di

Taranto sia per i due quartieri di Tamburi e Borgo, considerando per la

mortalità le concentrazioni degli inquinanti nel giorno del decesso e nel giorno

immediatamente precedente (lag01) e per i ricoveri ospedalieri le

concentrazione nel giorno del ricovero e nei tre giorni precedenti (lag03). Gli

effetti degli inquinanti sono considerati lineari, senza soglia in base alle

conoscenze attuali e per confrontabilità con la letteratura.

Per entrambe le analisi hanno considerato un’unica serie temporale giornaliera

delle concentrazioni degli inquinanti elaborata dai dati di sette centraline della

rete di monitoraggio della qualità dell’aria per la città di Taranto, forniti da

ARPA Puglia e validate secondo il protocollo MISA e EpiAir.

L’analisi sulla città di Taranto, nel suo complesso, ha mostrato

un’associazione con la mortalità per cause naturali coerente con quanto

registrato in letteratura, cioè una variazione percentuale (vp) di 0,8% per

incrementi di 10 µg/m3 di PM10. Sui ricoveri si osserva un’associazione con

le malattie respiratorie con una vp di 5,8%. L’analisi sui residenti nei quartieri

56

Tamburi e Borgo mostra un’associazione con la mortalità per tutte le cause (vp

3,3%), le cause cardiovascolari (vp 2,6%) e respiratorie (vp 8,3%) e nei

ricoveri con quelli per malattie cardiache (vp 5,0%; p=0,051) e respiratorie (vp

9,3%; p=0,002).

Usando le rispettive stime di effetto per la città e i due quartieri, hanno

calcolato il numero di decessi e ricoveri attribuibili ai superamenti del limite

OMS di 20 µg/m3 per la concentrazione annuale media di PM10 derivanti

dagli impianti industriali ed anche l’Attributable Community Rate (ACR) per

100.000, ossia il rapporto tra gli eventi attribuibili e le persone a rischio di tali

eventi, cioè i residenti.

Le stime di impatto sono coerenti con la maggiore concentrazione degli

inquinanti nei quartieri di Tamburi e Borgo dove i decessi attribuibili nel breve

termine sono 91 (IC80% 55; 127), che rappresentano il 2,8% delle morti

naturali. L’ACR risulta di 20,46 per 100.000 per anno contro 5,87 di Taranto

nel suo complesso. Se si confrontano questi dati con una analisi similare,

pubblicata nel 2011, sui dati della Lombardia: si osserva che per la città di

Milano il numero di decessi attribuibili è pari al 2,03% della mortalità naturale

con un ACR di 17,8 cioè l’esposizione ad inquinanti di origine urbana,

prevalenti nel capoluogo lombardo, risulta meno nociva di quella a cui sono

sottoposti i residenti nei due quartieri più vicini alla zona industriale di

Taranto.

I ricoveri attribuibili tra i residenti a Tamburi e Borgo per malattie cardiache

sono 160 (IC80% 106-214) corrispondenti al 4,3% dei ricoveri non

programmati per malattie cardiache con un ACR di 35,98, e per malattie

respiratorie sono 219 (IC80% 173; 264) corrispondenti al 7,8% con un ACR di

49,24 mentre per Taranto nel suo complesso l’ACR è rispettivamente 13,65 e

32,18. Per mantenere un’ottica ancor più conservativa i periti hanno fatto un

calcolo che tenesse conto della maggiore fragilità della popolazione dei due

57

quartieri per le condizioni socio-economiche e lavorative e del contributo di

inquinanti da altre sorgenti estranee all’area industriale: i decessi attribuibili

diventano circa 40 (1,2% dei decessi totali, 9 decessi per 100.000 persone per

anno), i ricoveri attribuibili per malattie cardiache 70 (16 ricoveri per 100.000

persone per anno) e per malattie respiratorie 50 (11 ricoveri per 100.000

persone per anno).

3) «Qual è l’impatto in termini di decessi e di ricoveri ospedalieri per

quanto riguarda le patologie croniche, che sono attribuibili alle

emissioni in oggetto»

I periti hanno condotto uno studio di coorte di popolazione ricostruendo la

storia anagrafica di tutti gli individui residenti nei comuni limitrofi di Statte,

Massafra e Taranto, a partire dal 1998 (per un totale di oltre 320mila

individui), il loro follow-up fino al 2010 verificando mortalità, ricoveri,

incidenza dei tumori. All’indirizzo di residenza alla data di arruolamento

hanno attribuito il livello di esposizione a PM10 di origine industriale, un

indicatore di stato socioeconomico e l’impiego negli anni ’70-’90 presso

l’industria siderurgica di Taranto e presso i principali impianti di costruzioni

meccaniche e navali. Circa l’85% degli abitanti era presente al 1998 e il 39%

abitava da oltre 20 anni alla stessa residenza.

Nei tre comuni le classi sociali più basse presentano tassi di mortalità e di

ricorso al ricovero ospedaliero più alte di circa il 20% rispetto alle classi

sociali più abbienti. Tenendo conto della stratificazione nei quartieri Paolo VI

e Tamburi, i livelli complessivi di mortalità e di ricorso al ricovero ospedaliero

sono più elevati rispetto agli altri quartieri di Taranto del 27-64% per Paolo VI

e del 10% - 46% per Tamburi. Gli eccessi sono dovuti a tumori, malattie

cardiovascolari e malattie respiratorie.

58

La tabella seguente, rielaborata da quelle riportate, mostra il rischio relativo

(RR) (hazard ratios dal modello di Cox) per ogni incremento di PM10 di

origine industriale di 10 µg/m3, depurato dell’effetto della età, del sesso, della

posizione socioeconomica e per gli adulti della esposizione lavorativa nei

settori siderurgico, costruzioni meccaniche e navali.

La tabella successiva, rielaborata da quella riportata, mostra il valore medio

annuale degli eventi osservati e attribuibili per gli effetti cronici calcolati per

una esposizione media a PM10 di origine industriale di 8.8 µg/m3 della intera

coorte come stimato dal modello di dispersione.

59

I periti commentano i risultati per quanto riguarda gli effetti cardiovascolari e

respiratori del PM10, e dei suoi componenti, sulla popolazione generale

suffragati dalla letteratura scientifica esistente a livello internazionale; questa

analisi testimonia anche un effetto per le malattie neurologiche e renali ed i

ricoveri per tumore del polmone. Inoltre commentano che gli eccessi

riscontrati nel comparto siderurgico, in particolare per tumore della pleura,

vescica e stomaco, hanno un grado elevato di plausibilità considerando

l’esposizione ad amianto, idrocarburi aromatici policiclici e alla possibile

ingestione di polveri minerali. I periti riportano che nella valutazione di

incidenza si registra un eccesso di tumori dei tessuti molli, potenzialmente

attribuibile ad esposizione a diossine.

Riguardo alla latenza tra l’inizio della esposizione e la comparsa dei processi

patologici i periti valutano nel caso dei lavoratori che le esposizioni avvenute

negli anni 60-80 possano essere responsabile dei casi di tumore della vescica,

dello stomaco e dei tumori dei tessuti molli. Invece per le malattie

cardiovascolari e respiratorie e per le malattie respiratorie nei bambini

60

valutano che, in base alla letteratura scientifica che presentano, la esposizione

a sostanze tossiche provenienti dal complesso siderurgico durante gli anni

dello studio sia responsabile dell’aumento di mortalità e di morbosità per le

malattie non neoplastiche

Sono infine riportati i risultati dello studio di follow – up dei lavoratori che

hanno prestato servizio presso l’impianto siderurgico negli anni 70-90 con la

qualifica di operaio da cui si rilevano eccessi di mortalità per patologia

tumorale (+11%), in particolare per tumore dello stomaco (+107%), della

pleura (+71%), della prostata (+50) e della vescica (+69%). Tra le malattie non

tumorali risultano in eccesso le malattie neurologiche (+64%) e le malattie

cardiache (+14%). I lavoratori con la qualifica anche di impiegato presentano

eccessi di mortalità per tumore della pleura (+135%) e dell’encefalo (+111%).

L’analisi dei ricoveri ospedalieri evidenzia eccessi di ricoveri per cause

tumorali, cardiovascolari e respiratorie. L’esame dei dati di incidenza tumorale

mostra un aumento, anche se basato su pochi casi, dei tumori del tessuto

connettivo sia negli operai (3 casi) che negli operai/impiegati (3 casi) del

settore siderurgico ed un coerente incremento di casi di mesotelioma. Infine

gli esperti segnalano che con la presente perizia sono stati notificati i deceduti

per tumore della vescica, dello stomaco, malattie neurologiche e incidenza dei

tumore dei tessuti molli per sospetta malattia professionale

Nell’ultima parte dello studio sono descritti i risultati della analisi sulle attività

di sorveglianza della salute dei lavoratori dello stabilimento siderurgico da cui

emerge che le misure protettive più numerose sono quelle associate al rischio

rumore e al rischio muscolo-scheletrico, mentre quelle connesse al rischio

chimico sono numericamente contenute ma con un il trend temporale in

aumento.

L’esame delle malattie professionali denunciate dai lavoratori e quelle

indennizzate dall'INAIL dal 1998 al 2010 testimonia come il rischio asbesto

61

sia un problema reale all'interno dello stabilimento supportato da un elevato

numero di casi riconosciuti e da un andamento temporale in continua crescita.

Infine, dal confronto con il dato nazionale delle denunce di malattia

professionale verificatesi nello stesso periodo nel settore industriale emerge

che vi sono:

una maggiore frequenza di denunce di malattie respiratorie non da

asbesto tra i lavoratori dell’ILVA rispetto al dato nazionale;

una consistente denuncia di tumori non da asbesto tra i lavoratori,

rispetto al dato nazionale;

una consistente denuncia di malattie da asbesto tra i lavoratori rispetto

al dato nazionale, peraltro riconosciuta dall’INAIL nella maggior parte

dei casi;

Nelle considerazioni finali i periti affermano che l’esposizione continuata agli

inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa

nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo

umano che si traducono in eventi di malattia e di morte.

62

CAPITOLO 3: LA CITTÀ NECESSARIA

3.1 LA TERRA PROMESSA.

C’è una città che è necessaria al nostro sistema industriale. Senza di essa

saremmo ancora più dipendenti da Russia e Cina. È una città che vive nella

trincea della guerra che passa sotto il nome di globalizzazione.32

Alessandro Sortino,

giornalista e conduttore televisivo

La seconda città della Puglia per popolazione è Taranto: 191.810 abitanti su di

una superficie di 217.5 km².

Essa è situata nell’omonimo golfo sul mar Jonio e si estende tra due mari, il

mar Grande (o “rada di mar Grande”, ove sostano le navi in attesa) e il mar

Piccolo (un mare interno, ove confluiscono sorgenti sottomarine chiamate

“citri” che, garantendo l’afflusso di acque salmastri e dolci, creano le

condizioni idrobiologiche ideali per la coltivazioni dei mitili).

A Taranto c’è: la mitilicoltura e la pesca in generale, un grande porto

industriale e commerciale, l’Arsenale della Marina Militare Italiana (dove il

Ministero della Difesa fece costruire le sue navi da guerra fino al 1967,

divenendo la più grande base navale dell’epoca), il polo industriale.

Quest’ultimo vede, nella stessa zona, l’insolita compresenza di una serie di

stabilimenti: siderurgici (Ilva), petrolchimici (Eni, ex Shell), cementiferi

(Cementir, prima statale e poi venduto nel 1992 al gruppo Caltagirone) e di

cantieristica navale (ex Cantieri Tosi, dal ’47 Cantieri Navali di Taranto).

Ognuna di queste attività ha preso possesso della città e, per necessità, ne ha

cambiato la morfologia, i connotati, i tratti peculiari e caratteristici.

32

Fonte: Malpelo, 2008

63

Taranto è la Chernobyl italiana.

Qualche anno fa, quando ancora la reale situazione ambientale non era del

tutto nota, molti bambini ucraini venivano ospitati dalle famiglie tarantine.

Ora è l’Ucraina stessa ad aver vietato il “soggiorno”.

Poi c’è chi come Skanderberg, un blogger in cerca di notorietà, ha costruito la

propria piccola fortuna riportando una notizia, rivelatasi successivamente una

bufala, secondo cui la città stessa colpita dalla catastrofe nucleare, su iniziativa

del proprio sindaco, avrebbe deciso di ospitare duecento bambini tarantini,

utilizzando la seguente motivazione: non si può restare indifferenti di fronte al

disagio della popolazione di una delle aree più inquinate al mondo.33

La notizia è così ben confezionata da essere reputata, per un lungo periodo,

una vera e propria corrispondenza giornalistica da Kiev. Già.

1861: tutto parte da qui.

Subito dopo l’Unità, il Regno d’Italia avviò la sua campagna di espansione

coloniale in Africa orientale: i problemi di natura strategica e militare vennero

ben presto risolti lungo le coste del Mezzogiorno d’Italia.

L’Arsenale, fu costruita nel primo seno del mar Piccolo tra il 1883 e 1889 ed

inaugurata (21 agosto 1889) alla presenza del re Umberto I di Savoia: si

dovette procedere all’abbattimento di un torrione del Castello Aragonese, per

allargarne il fossato e consentire la costruzione di un canale navigabile. Questo

avrebbe permesso la comunicazione tra i due mari: grazie all’aiuto del Ponte

Girevole, infatti, verrà favorita l’entrata e l’uscita delle navi militari nella

pancia della città.

33

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009

64

Un’opera statale (decisa dal Parlamento italiano con la legge n.833 del 29

giugno del 1882) ed un utile avamposto militare nel Mediterraneo.

Ben presto verranno occupati circa 90 ettari recintati da un muro (alto 7 metri

e lungo più di 3 km) e ci saranno strade, viali alberati, quattro bacini di

carenaggio, un acquedotto.

Sullo sfondo, un operaio altamente specializzato: l’arsenalotto.

Cambierà la morfologia di Taranto e non solo: la popolazione passerà dai

34mila del 1861, ai 100mila del 1921.

Sulla scia propulsiva dell’industria bellica, incentivata dall’imminenza del

conflitto mondiale, i Cantieri Navali Franco Tosi si stabilirono nel 1914, a

circa 3 km di distanza dai pontili proprio dell’Arsenale.

Ubicata sul mar Piccolo, in un’area di circa 150mila m², l’azienda di Legnano,

fin ad allora attiva nella produzione di apparati motori, consolidava il rapporto

(quasi decennale) con il Ministero della Guerra, cimentandosi, anche, nel

settore della cantieristica per l’allestimento di navi da guerra.

La fine della guerra segnò l’inevitabile tracollo dell’economia tarantina: nel

1947, l’Arsenale vedeva occupate 12.500 persone che finiranno per essere

6.500 nel 1960 e 4.000 oggi nella nuova stazione della Marina Militare; i

Cantieri Navali, nel 1949, avranno 3.600 occupati che diventeranno 1.200, nel

1960, con la messa in liquidazione speciale dell’azienda ed il ricorso alle

Partecipazioni Statali (passerà alla Fincantieri per poi cessare la propria

attività, definitivamente, il 31 dicembre 1990).

Poi arrivò l’industrializzazione.

Arrivarono le Partecipazioni Statali ed i suoi 377 miliardi di lire.

65

Arrivarono l’Italsider, la Cementir e la Shell: una ventata d’aria fresca che di

ossigeno aveva ben poco.

Arrivò il lavoro e, per qualcuno, il doppio lavoro: nuove figure professionali, il

metalmezzadro, l’urbanizzazione, l’italsiderizzazione, l’orizzonte dei Tobagi.

Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera, ucciso a Milano con cinque

colpi di pistola alla schiena da un “commando” di terroristi della borghesia

milanese (la Brigata XXVIII marzo), fu il primo a teorizzare il cambiamento.

Il vero protagonista sommerso si chiama metalmezzadro. È metalmeccanico,

lavora nello stabilimento Italsider grande due volte e mezzo la città. Abita nei

paesi della provincia e trova il tempo per coltivare il pezzo di terra. Su

trentamila stipendiati della più grande industria del Sud, almeno la metà

appartiene alla categoria dei metalmezzadri. E sono loro che hanno reso

«ricchi» comuni di antica miseria come Grottaglie, Manduria, Massafra,

Mottola, Laterza, Venosa.34

Il metalmezzadro è l’emblema della rivoluzione: diviso tra fabbrica e

campagna, ancorato al passato e proiettato al futuro, mantiene ben salde le

proprie radici e non si snatura del tutto.

È dipendente dell’Italsider quando lavora nel siderurgico.

È un contadino quando torna a casa.

Taranto è la più prosperosa delle città del Meridione: il reddito pro crapite

sfiora il milione e 300mila lire, che grosso modo corrisponde alla media

nazionale. Il metalmezzadro se la passa meglio. Dall’Italsider ricava, in

media, altri due milioni sotto forma di “autoconsumo” della verdura e dei

polli che fa in cortile. Verso la piana di Metaponto, dove l’irrigazione è più

34

W. Tobagi, Il “metalmezzadro”: protagonista dell’economia sommersa del Sud, Corriere della Sera, 1979

66

facile e la terra rende meglio, ci sono dipendenti dell’Italsider che mandano

avanti anche aziende di barbabietole.35

Spesso è un abitante della provincia ed è costretto a fare qualche km per

“cambiar faccia”: una roba di non poco conto, se si considerano le distanze ed

il tempo impiegato per tornare a casa. Fortuna che c’è la terra a garantire un

lavoro ed un reddito, anche quando la crisi degli anni ’80 arriverà e

coinvolgerà gli “espulsi dell’acciaieria”, non integralmente assorbiti dal

terziario.

La rivoluzione è anche urbana però: la raffineria occupò 275 ettari, la

Cementir 31 e per l’acciaieria furono sacrificati migliaia di alberi d’ulivo ed

una superficie pari a 1.545 ettari.

Nel ventennio 1961 – 1981, la rivoluzione industriale produsse effetti

strabilianti. I posti di lavoro quasi quadruplicarono passando dai dodicimila

ai quarantatremila e la popolazione di Taranto salì dai 35 mila di fine

Ottocento ai 260mila dell’età dell’acciaio. Si ipotizzò che sarebbe arrivata a

400mila. La previsione clamorosamente sbagliata non tolse nulla alla

rivoluzione né al boom dell’edilizia, giacché in trent’anni, tra il 1951 e il

1981, vennero costruiti 202.504 nuovi vani, ma già in venti il numero delle

case era raddoppiato.36

Si costruiva ovunque. Si costruiva persino dove non si poteva costruire.

Monte Termiti, antica periferia della città e attualmente quartiere residenziale

del comune di Statte (ufficialmente autonomo dal 1° maggio 1993).

35

Ibidem 36

T. Attino, Generazione Ilva, Gli ulivi, le industrie, il boom, il declino, l’inquinamento. La tragica parabola di una terra illusa dall’acciaio, tradita dallo Stato, Salento Books, Besa Editrice, 2012

67

Mike Liuzzi, l’emigrante tornato da Filadelfia, fiutò l’affare: quella collina

desolata di ulivi selvatici e pietre, poteva essere il sito ideale ove costruire un

vero e proprio quartiere di villette extralusso. A soli due passi dal siderurgico.

Comprò un centinaio di ettari e cominciò la sua opera di riqualificazione: ben

presto 350 villette vennero messe a disposizione dei dirigenti e dei “trasferisti”

provenienti da Piombino e Genova ed impiegati nella fabbrica.

Ai piedi dell’Italsider, proprio come i Tamburi.

Ai piedi dell’Italsider, proprio come il quartiere Paolo VI.

È il 1959, quando si individua, in località “Macchie”, un territorio di 300

ettari: ideale per la nascita di un agglomerato di case, destinato ad ospitare le

famiglie dei dipendenti che lavoravano nell’acciaieria.

Prende il nome proprio dal Papa (definito poi dei Lavoratori) che sarà ospite

nel Natale del ’68 e che la sera del 24 dicembre visiterà la fabbrica,

pronunciando un discorso memorabile in difesa della classe operaia.

Taranto vive un momento storico e controverso: si fa modellare come l’argilla

senza accorgersene.

Tra il 1960 e il 1970, il reddito salì del 374 % contro il 269 % del resto

d’Italia. Nel 1975 il reddito pro capite era di 1.950.200 lire, nel resto d’Italia

stavano peggio: 1.865.100 lire. Diventammo un caso. Il “caso Taranto”.37

La crescita è incontrollata e, molto spesso, eccessivamente supportata: se da

un lato i collegamenti con e nella città vennero migliorati (costruzione del

Ponte Punta Penna nel ’77, il prolungamento dell’autostrada A 14 fino a

Massafra), parimenti, l’incremento edilizio, certamente incurante del piano

regolatore, risultava sproporzionato rispetto alla domanda di mercato.

37

Ibidem

68

Si passa dalla professionalità dell’arsenalotto all’incoscienza dell’italsiderino.

La voglia di emergere ed il generale senso di sazietà, lascia silentemente

incompiute le opere ed irrisolti i problemi di carattere sociale ed ambientale:

diventeranno terreno fertile per la criminalità organizzata, per le lotte di potere

e le lobby, per i morti e le malattie.

Non si può tenere contenti tutti. Nemmeno a Taranto.

Non ci si rende conto dei saccheggi e delle invasioni barbariche private e

statali. Tutte hanno la stessa matrice. Tutte seguono lo stesso disegno e lo

stesso circolo vizioso: un interesse (pubblico o privato che sia) che saccheggia,

devasta e crea un vuoto.

E che sia poi il posto di lavoro o “una mazzetta”, dati in cambio di facili

lasciapassare per un’occupazione territoriale abusiva, irrispettosa e

politicamente garantita, a colmare apparentemente questo vuoto, non importa:

è, e rimane, comunque, un voto di scambio.

L'elettore, promettendo il proprio voto, ha la sensazione di ricavare almeno

qualcosa: cinquanta euro, cento euro, un cellulare. Poca roba, pochissima: in

realtà perde tutto il resto. La politica dovrebbe garantire ben altro. La

capacità effettiva di ripensare un territorio, non certo l'apertura di un circolo

per anziani o un posto auto. In cambio di una sola cosa, il politico che voti ti

toglie ciò che sarebbe tuo diritto avere.38

Poi, quando questo sistema del “baratto improprio” si consolida, è il potere del

contraente forte a legittimare il disprezzo verso una popolazione ormai

genuflessa al ricatto occupazionale.

“Marocchini”. “Etiopi”. Cesare Franceschini fu il primo direttore del quarto

centro siderurgico italiano, Giovanni Garbadella il terzultimo amministratore

38

R. Saviano, Quel voto che uccide la democrazia, Repubblica, 2013

69

delegato dell’Ilva pubblica. Entrambi ci chiamarono “africani”. Si distinsero

solo per una diversa sfumatura sulla nostra provenienza facendoci capire in

momenti successivi, negli anni Settanta e negli anni Novanta, che eravamo un

pò sottosviluppati e in fondo una miserabile colonia.39

Una colonia di disoccupati ed analfabeti che, alle volte, vive in baracca e non

sa nemmeno firmare.

Ti piace vincere facile?

Quando l'acciaieria nacque per mano pubblica, mezzo secolo fa, un vecchio

sindaco dc, Angelo Monfredi, disse che qui erano «talmente poveri» che si

sarebbero fatti mettere gli impianti «anche in piazza della Vittoria», cuore di

Taranto.40

Sono questi i presupposti che accomunano, aldilà che tu possa chiamarti

Arsenale Militare o Cantieri Navali Tosi piuttosto che Raffineria Eni o

Cementir, Ilva o Inceneritore.

Ognuno è figlio di una promessa.

Ognuno è figlio di una promessa puntualmente disattesa.

39

T. Attino, Generazione Ilva, Gli ulivi, le industrie, il boom, il declino, l’inquinamento. La tragica parabola di una terra illusa dall’acciaio, tradita dallo Stato, Salento Books, Besa Editrice, 2012 40

G. Buccini, Vent’anni di omissioni dietro un dramma nazionale, Corriere della Sera, 2013

70

3.2 UNA FAVOLA SUL POTERE.

Qualcosa sta cambiando in questa campagna arida e rossastra, legata fino a

ieri ad un’economia arretrata e agricola. Quello di Taranto sarà lo

stabilimento siderurgico più grande d’Italia e uno dei maggiori d’Europa:

coprirà una zona di 5milioni di m² (più vasta della stessa città di cui fa parte).

Così, una città meridionale, si prepara a vivere un destino industriale che ne

sconvolgerà le abitudini e ne farà uno dei centri della rivoluzione economica e

sociale. Anche qui nel Sud, ai tempi incerti ed avventurosi dell’inizio,

seguiranno certamente quelli in cui l’industria entrerà a far parte delle

abitudini, dei ricordi, del benessere quotidiano. E, l’acciaio, avrà partecipato,

come protagonista, a questa rivoluzione.41

Questa è la favola di una città.

È una favola un pò particolare. È un insieme di storie in cui ognuno dei

protagonisti fa ciò che vuole: avidi e asserviti si intrecciano al potere; si

discostano dal ruolo al quale sono preposti e, favoriti dal contesto sociale e

culturale, si radicano nel territorio e lo depauperano fingendosi “giardinieri”.

I sindacati di provincia.

Due date: 2 agosto 2012, 15 maggio 2013.

È il 2 agosto quando la protesta esplode a Taranto: “La rovina dell’Italia siete

voi!”. Le grida sono rivolte agli esponenti delle associazioni sindacali:

Angeletti (Uil), Camusso (Cgil), Landini (Fiom - Cgil), Bonanni (Cisl).

Seguiranno scontri e tafferugli, anche tra gli stessi operai. Ma perché?

Bene, la nostra favola comincia proprio da qui: cos’è il sindacato?

41

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013

71

Associazione di lavoratori per la tutela dei diritti e degli interessi di categoria

sul posto di lavoro e nell'ambito della società.

Walter Tobagi aveva parlato: di italsiderizzazione e di metalmezzadro, di un

fenomeno espansivo in cui una fabbrica stava sottraendo risorse alla città, di

sindacati appunto.

La gente finisce per ritenere il sindacato uno dei potentati del sistema, come

dimostra una ricerca del giovane sociologo Nino Aurora. E si può dar retta

alla spiegazione del segretario dei metalmeccanici Uil, Aldo Pugliese, quando

dice: «Nel Sud è considerato potente chi aiuta a trovare un posto di lavoro.

Negli anni passati, non c’è dubbio, i dirigenti Italsider hanno spesso dato la

preferenza ai nomi segnalati dai sindacati».42

Ed ancora:

Vista da quaggiù, l’autonomia del sindacato sembra indefinibile come

un’araba fenice. E forse non potrebbe essere altrimenti: la disoccupazione

costringe a cercare continue alleanze politiche, per ottenere nuove iniziative

pubbliche che diano lavoro. Inevitabile, quindi, che il sindacato nuoti come un

pesce nell’acqua della politica: fino a diventare, come s’è visto, uno dei centri

di potere più influenti.43

15 maggio 2013: Permessi illeciti per ottenere l'Aia, l'autorizzazione

ambientale con la quale la grande fabbrica di acciaio ha potuto continuare a

produrre e inquinare. Queste le accuse che hanno portato a una nuova

pioggia di manette a Taranto nell’ambito dell’inchiesta “ambiente svenduto”

(…) Tra gli arrestati anche il presidente della Provincia Gianni Florido.44

42

W. Tobagi, Il “metalmezzadro”: protagonista dell’economia sommersa del Sud, Corriere della Sera, 1979 43

Ibidem 44

M. Diliberto e G. Foschini, "Ilva, autorizzazioni illecite per ottenere l'Aia". 4 arresti, in manette presidente della Provincia, La Repubblica, 2013

72

Un'informativa di 182 pagine, allegata all'ordinanza di custodia cautelare,

recita così: “Si evidenzia - scrivono i militari della Finanza - che alla luce di

quanto accertato, vanno ascritte al dottor Gianni Florido, Presidente della

Provincia di Taranto, specifiche responsabilità penali per il delitto di

concussione o, in subordine, di violenza privata”.45

Discarica Mater Gratiae: interna allo stabilimento siderurgico, occupa qualche

km² ed è una delle più grandi d’Italia. Si trova nel territorio del comune di

Statte e viene utilizzata per la gestione dei rifiuti speciali pericolosi. È il 2010:

ai Riva serve un’autorizzazione, a cui è subordinata il rilascio dell’Aia.

Parliamo di un'area dalla capacità di 300 mila metri cubi, necessaria a

stoccare i residui nocivi della lavorazione dell'acciaio, la cui costruzione è

stata ultimata tre anni prima, nel febbraio del 2007. Ma parliamo, soprattutto,

di un'autorizzazione senza la quale - scrivono i pm - "l'Ilva rischia di veder

bloccato l'iter istruttorio dell'Aia che in quel momento pende al Ministero

dell'Ambiente". E senza la quale l'Ilva dovrebbe ridurre la produzione con una

perdita di profitti di qualche centinaio di milioni di euro.46

Girolamo Archinà, responsabile delle relazioni istituzionali dell’azienda ed ora

detenuto, mette in moto la macchina e la guida: fa pressioni sull’assessore

provinciale Michele Conserva affinché egli stesso possa convincere Ignazio

Morrone, ingegnere della Provincia, a cambiare opinione e a concedere la

propria autorizzazione. L’assessore, poi, rendendosi conto di essere “spiato”,

decide di andare “controcorrente”. I vertici dell’acciaieria, a questo punto,

stizziti dalla sua ritrosia, decidono di puntare tutto proprio su Gianni Florido,

chiedendogli di “dare spiegazioni”.

45

C. Bonini e G. Foschini, Ilva, presidente della provincia sotto inchiesta: "Concussione per dare l'ok alla discarica", La Repubblica, 2012 46

Ibidem

73

Lo dice chiaramente proprio Archinà intercettato al telefono l’11 marzo 2010.

L’avvocato Francesco Perli, uno dei legali dell’Ilva, chiede spiegazioni in

merito ad una nuova lettera inviata dalla Provincia all’azienda. Una lettera

sulla discarica assolutamente inattesa dal legale tanto da definirla come “due

dita negli occhi” e sulla quale l’ex pr dell’Ilva non sa fornire spiegazioni.

Archinà si giustifica dicendo “non so quali siano state le indicazioni che ha

dato il presidente della provincia agli uffici” e dopo aver appreso però che il

presidente aveva rassicurato l’Ilva dicendo “tutto a posto, gli uffici

procederanno” lancia l’anatema: “E ora bisogna chiedere il conto al

presidente della provincia e il ‘tutto a posto’ cosa sta a significare”.47

Nella sintesi della conversazione, l'informativa della Finanza rileva come, in

alcuni passaggi, le parole dell'Archinà fossero il frutto di scelte politiche in

precedenza concordate e condivise.

In proposito ricordiamo il trasferimento di Romandini, il predecessore ostinato

di Morrone:

Abbiamo tolto una peste… e ne abbiamo tre di pesti…48

Girolamo Archinà,

ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva,

intercettazione telefonica,

05 marzo 2010

Dagli interrogatori effettuati nei mesi scorsi dai finanzieri sarebbero giunti

riscontri puntuali sulla “capacità di penetrazione dei vertici aziendali negli

47

F. Casula, Ilva, Florido “pilotato” da Archinà: “Amministrazione asservita all’azienda”, Il Fatto Quotidiano, 2013 48

A. Congedo, Ilva, l’arresto di Florido – Pressioni su dirigenti – E Romandini era la “peste”, Inchiostro Verde, 2013

74

apparati della pubblica amministrazione” talmente radicata da permettere di

“intervenire direttamente a condizionare i processi decisionali quanto alla

nomina dei dirigenti responsabili dei settori strategici ai fini del

consolidamento degli interessi illeciti degli indagati”.49

Gianni Florido, 61 anni, vanta un importante passato come sindacalista.

Ex segretario locale della Cisl, nel 2002, invece, si esprimeva così:

Quando la maggiore produzione diventa figlia di logiche esclusivamente

finanziarie, economiche, produttive, urbanistiche, ecc. che mortificano la

efficienza dell’eco – sistema, i risultati nefasti verranno per tutti, caricando di

ipoteche i destini futuri dell’umanità.50

La lungimiranza del Tobagi.

La politica dell’informazione.

Provincia, Regione, Comune: Echevelodicoafare?.

Gianni Florido, presidente della provincia di Taranto dal 2004 e rieletto nel

2009 col Pd, si rese protagonista di una vicenda a dir poco inverosimile: alla

vigilia della definitiva condanna in Cassazione, Comune e Provincia, per

l’appunto, decisero di ritirare la propria costituzione di parte civile nel

processo che vedeva imputati i vertici aziendali, per le polveri del parco

minerali che ricadevano sul quartiere Tamburi.

All’epoca dei (mis)fatti Raffaele Fitto, dal bel seguito di giudiziario (vedi

inchiesta “La Fiorita” per tangenti in sanità), è presidente della Regione Puglia

49

F. Casula, Ilva, Florido “pilotato” da Archinà: “Amministrazione asservita all’azienda”, Il Fatto Quotidiano, 2013 50

D. Fumarola, Oggi sarà domani, Per uno sviluppo di Taranto eco – sostenibile (10.09.2002) , Pubblicazione della Cisl di Taranto, 2012

75

e Rossana Di Bello è, invece, “il più bel sindaco d’Italia”, diceva

Berlusconi.51

Chi continua a sostenere che non c’è futuro senza l’Ilva dovrà ricredersi.52

Rossana Di Bello,

ex sindaco di Taranto

Tante belle parole.

Invoca una Taranto pulita, legata al mare, alla pesca e a tutte quelle attività

che sposano le vocazioni naturali del territorio, una Taranto da reinventare su

un modello di sviluppo ecosostenibile.53

Eletta nel 2000, si dimette dall’incarico il 17 febbraio 2006: condanna ad un

anno e quattro mesi (pena sospesa) per abuso d’ufficio e falso ideologico

nell'ambito dell'inchiesta sull'affidamento della gestione

dell'inceneritore cittadino alla società Termomeccanica.54

In sostituzione, Tommaso Blonda viene nominato commissario straordinario

(in carica sino alle elezioni del 2007). Francesco Boccia è, invece, capo della

commissione di liquidazione.

Peccato però che mentre il sindaco Di Bello declamava i testi del suo

paroliere, il Comune di Taranto andasse in rovina, fino a dover dichiarare

bancarotta per un miliardo e 200 milioni di euro.55

A Taranto le regole sono saltate da vent' anni e a nessuno frega nulla. La città

viveva al di sopra dei suoi mezzi e la demagogia cavalcava lo spreco, lo

51

C. Maltese, Bancarotta e Fatalismo: così si muore a Taranto, La Repubblica, 2007 52

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009 53

Ibidem 54

Dopo condanna, sindaco Taranto si dimette, Gazzetta del Mezzogiorno, 2006 55

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009

76

incoraggiava. Si è perso il senso del limite, come se la pratica dell'illegalità

non avesse confini.56

Si tratta del più grave dissesto finanziario di un ente locale italiano mai

verificatosi. Secondo, nel mondo, solo a quello di Seattle.57

Secondo, solo in

ordine cronologico, a quello che colpì il comune di Napoli nel 1993.

Una voragine creata in pochi anni, a colpi di appalti fasulli, parentopoli

scellerate, eventi milionari, consulenze e stipendi d'oro, con le buste paga dei

ragionieri del Comune, dipendenti e consulenti, gonfiate fino a 10, 12, 20 mila

euro al mese.58

Prima di lei, Giancarlo Cito. “Il telepredicatore”? “L’onorevole”? “Il

geometra”? “Lo sceriffo”? Insomma qui gli aggettivi, gli appellativi si

sprecano, come le parole. Tanta demagogia anche qui. Le grida e le urla sono

“trasversali” e si amplificano sugli schermi televisivi: Antenna Taranto 6, la

sua tv – partito.

Il "sindaco tuttofare" che dirige il traffico, caccia drogati e immigrati, pulisce

la città, ferma le auto e fa passare un'ambulanza, controlla di persona i

lavori, s' arrabbia se un lampione è rotto.59

Diventa anche, per un breve periodo, presidente onorario del Taranto Calcio.

Dopo di ché, svariati guai giudiziari lo travolgono.

Ed ora, dopo questa bufera: Chi è il sindaco? Chi è il presidente della Regione

Puglia? Anche loro fanno parte del “sistema”?

Ippazio Stefàno è sindaco di Taranto dal 2007.

56

C. Maltese, Bancarotta e Fatalismo: così si muore a Taranto, La Repubblica, 2007 57

P.A. Amicelli, Taranto: la contestualità, Corriere del Mezzogiorno, 2012 58

C. Maltese, Bancarotta e Fatalismo: così si muore a Taranto, La Repubblica, 2007 59

C. Vulpio, Cito, il sindaco tuttofare, Corriere della Sera, 1995

77

Sindaco, pediatra, vendoliano, pacifista. Ma con la pistola a tamburo nella

cintura.60

È il primo cittadino eletto dopo il dissesto e il commissariamento.

Montagne di spazzatura, buche non riparate da anni, strade buie, fontane

asciutte, bus che si fermano di colpo e scaricano i passeggeri, il Comune

assediato da centinaia di dipendenti in attesa dello stipendio del mese

precedente, cumuli di bare all'obitorio perché non ci sono i soldi neppure per

seppellire i morti.61

Una situazione disastrosa, certamente. Così disastrosa che l’Ilva si permette il

lusso di non pagare l’Ici. Tanto lo fa tutto il polo industriale.

L’Ilva, dal 1993 fino al 2007, deve al Comune, tra imposta, sanzioni e

interessi, 31 milioni e 505 mila euro. La Edison, 33 milioni e 312 mila euro.

Mentre la raffineria Eni deve la bellezza di 105 milioni e 849 mila euro. Ci

sarebbe anche la Cementir, ma il suo debito di un milione e 493 mila euro

sembra, rispetto agli altri, solo una multa un pò più salata.62

Dal punto di vista ambientale è forse anche peggio. Il 24 maggio 2010, è

proprio il sindaco a presentare in Procura un esposto di 21 pagine sulla

drammatica incidenza dei tumori a Taranto.

Per fortuna che c’è l’Ilva ad agevolare i compiti.

Ottobre 2011, Il Ponte (rivista edita dal gruppo Ilva):

Mi complimento per gli sforzi e i risultati ottenuti da Ilva. Attraverso i recenti

dati clinici che ci giungono dalle Asl territoriali, emergono dati confortanti in

60

M. Ventura, Ezio Stefàno, sindaco "pistolero" contro l'antipolitica, Panorama, 2012 61

C. Maltese, Bancarotta e Fatalismo: così si muore a Taranto, La Repubblica, 2007 62

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009

78

relazioni alle malattie più gravi, patologie che non risultano in aumento,

anche grazie al miglioramento dell’ambiente e della qualità dell’aria.63

Ippazio Stefàno,

sindaco di Taranto

La qualità dell’aria è così migliorata da non consentire ai bambini del quartiere

Tamburi di giocare in un ambiente sano: l’ordinanza “contingibile e urgente”

vieta ai cittadini “l’accesso alle aree verdi non pavimentate del quartiere

Tamburi”. In particolare l’ordinanza riguarda le cosiddette ‘case

parcheggio’: un agglomerato di edilizia popolare che versa in condizioni

particolarmente drammatiche. Nei terreni, oltre al berillio, sono state

individuate, dalle analisi commissionate dal comune di Taranto, inquinanti

come mercurio, nichel e cadmio, la cui somma potrebbe essere dannosa per la

popolazione.64

È il 18 agosto del 2012. Lo stesso provvedimento era stato emanato del 2010.

Il sito contaminato doveva essere oggetto di bonifica. Nessuna traccia.

Quando scoppia l’allarme berillio il sindaco sente i vertici dell’Arpa per

prendere una decisione in merito.

Il solito Archinà è peggio di una molla però: accusa Stefàno di allarmismo e

per screditarlo si avvale della collaborazione dell’allora caposervizio per la

redazione di Taranto del Nuovo Quotidiano di Puglia, Pierangelo Putzolu.

Quest’ultimo,il 24 agosto del 2010, fa pubblicare, nella rubrica “Punto di

Vista”, un articolo dal titolo “L’allarme berillio e i fondi pubblici per la

bonifica”, a firma di un certo Angelo Battista, definito esperto ambientale, che

63

Fonte: «Il Ponte» n.3, 2011 64

F. Casula, Ilva, il sindaco di Taranto vieta l’accesso alle aree verdi del rione Tamburi, 2012

79

secondo quanto scrive il gip non esisterebbe, ma sarebbe solo un’invenzione

di Archinà.65

Il 31 agosto il Taranto Sera, pubblica, anch’esso, un articolo dal titolo:

“Esclusiva: documento top secret dell’Arpa smentisce tutto. Un affare di

milioni euro dietro la finta emergenza berillio”.

Archinà e Michele Mascellaro, direttore di Taranto Sera, vengono intercettati.

Questi due casi non rimangono isolati. Anche Studio 100, la tv locale, viene

coinvolta: secondo la polizia giudiziaria, l’Ilva avrebbe commissionato ad

un’agenzia pubblicitaria degli spot (al costo di 120.000 euro), trasmessi dal

network facente capo ai Cardamone.

«Il complesso delle attività tecniche svolte fa emergere uno spaccato nel quale

si vede come l’Ilva utilizzando lo strumento delle “sponsorizzazioni

pubblicitarie”, veicoli in maniera più o meno “lecita” delle somme agli

organi d’informazione, sia stampa che radio-televisivi, al fine di non essere

continuamente avversata in conseguenza dei numerosi e costanti comunicati

stampa e delle frequenti manifestazioni che le associazioni ambientaliste del

territorio (Altamarea, Peacelink, etc) promuovono contro l’Ilva considerata la

principale fonte inquinante del territorio».66

Con Ilva migliora la qualità della vita. Ed anche della morte.

Succede, infatti, che se le fontanelle del cimitero non funzionano, a ripararle

ci pensa patron Riva a sue spese.67

65

A. Congedo, Rapporti tra Ilva e giornalisti, indaga l’Ordine, Inchiostro Verde, 2012 66

Ibidem 67

M. Diliberto, “Grazie Ilva”, Taranto si spacca, La Repubblica, 2007

80

Stefàno, accetta e ringranzia. Difende a muso duro la nuova conquista, contro

chi lo critica aspramente:

Era il diritto all’acqua delle persone di ottanta anni (…) Se non si rispettano

neanche i morti!68

Stefàno, quel giorno, celebra il taglio del nastro per le nuove fontanelle del

cimitero, assieme ad Archinà.

Attualmente il sindaco è indagato per abuso e omissione di atti d’ufficio, sulla

base, secondo indiscrezioni, di un esposto presentato tempo fa dal consigliere

comunale Aldo Condemi nel quale si portava la magistratura a conoscenza

delle misure che il sindaco Stefàno non avrebbe preso a tutela della salute dei

cittadini.69

Nicola Vendola è presidente della Regione Puglia dall’aprile 2005, oltre che

presidente nazionale di Sinistra Ecologia Libertà.

Anche qui, un percorso costernato di ombre e di parole. Tante parole.

Un dossier, anche sul suo sito, mette in luce l’impegno regionale sulla

questione Ilva. Peccato che questo venga oscurato da una serie di

intercettazioni e da ”numerosi e costanti contatti” tra l’ex grande capo delle

relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà e rappresentanti della

Regione, Vendola compreso.70

Il Gip di Taranto Patrizia Todisco, lo accusa di essere il “regista” di

un’operazione occulta per assecondare le pressioni dell’Ilva71

:

C’è «la regia» di Nichi Vendola dietro le pressioni dell’Ilva sull’Arpa

(Agenzia regionale di protezione ambientale) e c’è una Regione che «invece di

68

Fonte: Malpelo, 2008 69

Ibidem 70

Ilva, il gip: “Regia di Vendola dietro le pressioni sull’Arpa”, La Stampa, 2012 71

A. Marescotti, Ilva, quello che il “dossier” di Nichi Vendola non dice, Il Fatto Quotidiano, 2013

81

imporre misure urgenti» all’azienda, per ridurre l’inquinamento, mette in atto

una serie di escamotage «per non risultare inoperosa» di fronte all’opinione

pubblica.72

Il 16 luglio 2010, ad esempio, il solito Archinà, in un momento di disappunto,

viene intercettato: la Magistratura aveva aperto un fascicolo riguardante i

nuovi dati, già in suo possesso in via confidenziale, sulle emissioni

benzo(a)pirene. Questi, messi a disposizione da Arpa Puglia, nonostante le

dovute cautele, trapelano e portano il sindaco Stefàno ad emettere

un’ordinanza.

Il giorno seguente, Fabio Riva, vice presidente del gruppo dell’acciaio, è già

in riunione con Vendola. All’uscita Riva chiama il figlio Emilio e gli comunica

che il nuovo piano d’azione è basato sul “vendere fumo”: l’azienda

comunicherà di essere disposta a collaborare con la Regione e questa

spiegherà che il rapporto instaurato con l’Ilva è l’esempio da seguire anche

con le altre grandi realtà industriali del territorio.73

Si cerca di delegittimare Giorgio Assennato, presidente dell’Arpa. Lo afferma

lo stesso responsabile delle relazioni istituzionali dell’azienda, all’interno di

un’intercettazione: parla del chiaro appoggio fornitogli dal presidente

Vendola, di Fratoianni e dell’avvocato Manna, “asserendo che sono tutte

persone che hanno avuto il compito di frantumare Assennato”74

Vendola non si defila: gli vuole bene ad Archinà75

. Ne vuole così tanto da

complimentarsi con lo stesso per uno scatto felino compiuto in difesa del

patron Emilio, al quale un giornalista di Blustar Tv, Luigi Abbate, aveva

contestato i dati “paradisiaci” forniti dall’azienda, al termine della conferenza

stampa di presentazione del Rapporto Ambiente e Sicurezza dell’Ilva.

72

Ilva, il gip: Regia di Vendola dietro le pressioni sull’Arpa, La Stampa, 2012 73

F. Casula, Ilva, Riva al telefono: “Ho visto Vendola, vendiamo fumo”, Il Fatto Quotidiano, 2012 74

Vendola-Bersani-Ilva, tutta la verità. La ragnatela politica dei Riva, Affariitaliani.it 2012 75

G. Fasano, Il governatore ai Riva «State tranquilli: Non mi sono defilato», Corriere della Sera, 2012

82

È il 6 luglio 2010. Al telefono si ride.

Opere di bene. Opere di carità.

«Ho la gioia di annunciarvi che ho ricevuto una missiva del presidente

dell’Ilva, l’ing. Emilio Riva», e un assegno di 365mila euro per la

ristrutturazione della chiesa parrocchiale Gesù Divin Lavoratore. «Vogliamo

ringraziare Dio per questo dono della Sua Provvidenza».76

mons. Benigno Luigi Papa,

arcivescovo di Taranto dal 1990 al 2011

Secondo quanto emerge dall’inchiesta giudiziaria, una serie di donazioni

periodiche vengono effettuate dall’azienda come conferma Francesco Cinieri,

cassiere dell’Ilva dal 1986, tra il 2010 e il 2011.

Poi, la presunta mazzetta da 10 mila euro consegnata da Archinà a Lorenzo

Liberti, ingegnere e perito del Tribunale di Taranto: per la Procura, pagati per

aggiustare una relazione, e, per l’azienda, diretti all’arcivescovo di Taranto per

finanziare la processione di Pasqua.77

Liberti nega di aver ricevuto tangenti e sostiene che nella busta ci fosse una

bozza di accordo fra il Politecnico di Bari e l’Ilva, per il futuro avvio di una

Facoltà di Ingegneria Siderurgica a Taranto. L’Ilva è anche sponsor di feste ed

eventi organizzati e promossi dalla Diocesi di Taranto.

I meriti vanno certamente riconosciuti.

Cataldus d’argento, 10 maggio 2011: riconoscimento attribuito dalla città e

dalla Diocesi ai tarantini benemeriti. A ritirare il premio chi c’è?

Nientepopodimeno che Girolamo Archinà che afferma:

76

Fonte: Arcidiocesi di Taranto e Ilva:un patto d’“acciaio”?, Adista notizie n.30, Archivio Anno 2012 77

G. Foschini, Quei diecimila euro per il vescovo. La donazione fantasma dell’Ilva, Repubblica, 2012

83

Lo dedico anche ai bisogni di Taranto. Bisogni di Taranto che non sono solo

quelli emergenziali del dare il tozzo di pane. I bisogni di Taranto che sono una

politica che sceglie il meglio, delle istituzioni che siano leali, delle imprese

che siano tali.78

Archinà aveva un budget di 400 – 450 mila euro l’anno che utilizzava per

soddisfare le esigenze: le esigenze della società sportiva che voleva un

patrocinio, dell’associazione che doveva organizzare una mostra e voleva il

patrocinio. Il comune di Taranto ebbe 600mila euro che destinò alle società

sportive.79

Mimmo Mazza,

giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno

Non ci sono royalties “a compensazione”. Tutto viene fatto sottobanco, sotto

coperta.80

E così nel 2010 - 2011: 5.000 euro al comitato festeggiamenti festa

patronale, 5.000 all’ Unitalsi (Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a

Lourdes e Santuari Internazionali), contributo alla direzione didattica e alla

banda municipale di Crispiano.81

Per non parlare della masseria Vaccarella: gestita dal ' 96 da un' associazione

guidata da un presidente e da due vicepresidenti, espressione di Fiom, Fim e

Uilm. E' registrata come una Onlus ma in realtà lavora come una vera

propria azienda a fini commerciali e a scopo di lucro. E soprattutto non

vengono rendicontati come si spendono 400mila euro all' anno». Procura e

Finanza si sono mosse. Fim e Fiom nei giorni scorsi hanno rimandato al

78

Fonte: Tg Studio 100 Tv, 2011 79

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013 80

F. Casula, Ilva, Riva al telefono: “Ho visto Vendola, vendiamo fumo”, Il Fatto Quotidiano, 2012 81

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013

84

mittente le accuse. Ma nello stesso tempo si sono disimpegnati dalla

Vaccarella, facendo dimettere dalla gestione i loro uomini.82

Lì si organizzavano mostre, eventi e spettacoli di una certa caratura: Benigni,

Paolo Conte e Fabrizio De Andrè, il coreografo e ballerino Lindsay Kemp, la

Blues Brothers Band, solo per citarne alcuni.

Dal 1996 ad oggi - ha spiegato l' operaio Massimo Battista insieme che con

l'avvocato Francesco Nevoli ha presentato denuncia alla Finanza - l' Ilva ha

elargito circa 9 milioni di euro al Vaccarella, soldi che sarebbero dovuti

confluire nel salario accessorio dei dipendenti: eppure non risulta alcun

operaio che abbia mai percepito, ad esempio, contributi scolastici per i libri

di testo».83

.

Il sistema Ilva è questo.

Tappezzavano di pubblicità i giornali. Pagavano processioni e ristrutturazioni

di chiese. Installavano fontanelle nei cimiteri guadagnando il plauso di preti e

politici. Sponsorizzavano i convegni di architetti e ingegneri, medici e

professori universitari. E - denunciano oggi gli stessi operai - finanziavano

con assegni a sei zeri sport e mondanità dei lavoratori e delle loro famiglie. E'

questo il prezzo che l' Ilva ha dovuto pagare per inquinare serena, mischiando

i fumi alla distrazione e all' indifferenza.84

Non ci sarebbe altro da aggiungere. O forse c’è troppo da dire, da avere seria

difficoltà a riordinare le idee e a mettere insieme i pezzi di un puzzle, di puzzle

mai completo. Manca sempre qualcosa e quel qualcosa è stata volutamente

insabbiata, dinanzi a coscienze consapevolmente corrotte.

82

G. Foschini, Quel ricco circolo aziendale: nove milioni ai sindacati per sport, cinema e concerti, La Repubblica, 2013 83

Ibidem 84

G. Foschini, Quel ricco circolo aziendale: nove milioni ai sindacati per sport, cinema e concerti, La Repubblica, 2013

85

C'è da augurarsi che la Todisco abbia preso un abbaglio immane. In caso

contrario siamo in presenza di un'operazione coloniale (in senso tecnico:

sfruttamento di un territorio da parte di un'entità economica esterna, nativi

danneggiati, risorse portate altrove). Un'operazione non consumata, tuttavia,

nel buio dell'Africa del diciannovesimo secolo, ma oggi, sotto i riflettori del

villaggio globale. Tutti potevano vedere. Tutti si sono girati dall'altra parte.85

Cosa ci ha insegnato questa favola? Quale è la morale?

Tutto ha un prezzo. Tutto si può comprare: la coscienza, la dignità, la fede.

Chiesa Gesù Divin Lavoratore, quartiere Tamburi: un mosaico raffigura Gesù

immerso tra i fumi delle ciminiere dell’Ilva.

In Italia se vuoi fare politica devi essere ricattabile, perché nell’ambiente

politico devono sapere qual è il tuo prezzo e quanto è lungo il tuo guinzaglio.

Se non sei ricattabile, non sei controllabile. E quindi non ti ci vogliono.

Giuliano Ferrara,

giornalista e direttore de “Il Foglio”

La favola non potrà mai essere completa.

Al puzzle mancherà sempre qualche pezzo.

Forse questa non è una favola.

Le favole hanno sempre un lieto fine.

85

G. Buccini, Vent’anni di omissioni dietro un dramma nazionale, Corriere della Sera, 2013

86

3.3 LA FAMIGLIA RIVA

A un certo punto inizia a parlare Calisto Tanzi. I testimoni non si ricordano le

esatte parole del fondatore della Parmalat, ma il senso dell’intervento era

questo: «Noi imprenditori» diceva rivolgendosi ai membri della giunta della

Confindustria «dobbiamo modernizzarci, usare la borsa, fare più finanza...».

Finito il discorso, una voce lo gela: «Non sono d’accordo». È Emilio Riva,

uno che di solito parla poco. Tanzi replica irritato, ma con tono fermo Riva lo

zittisce così: «Vede, signor Tanzi, se io la prendo per i piedi e la scrollo, dalle

sue tasche esce tanta, tanta carta. Se invece prende me per i piedi, dalle mie

tasche escono tanti, tanti soldi. Ecco qual è la differenza tra noi due».86

Emilio Riva, nasce a Milano il 22 giugno del 1926.

È un industriale. È un grande industriale italiano. È così grande da essere, con

il suo gruppo, il primo nel settore siderurgico in Italia, il quarto in Europa e il

ventitreesimo nel mondo. Il 100% del gruppo è riconducibile alla famiglia

Riva: il 39,9%, tramite una capogruppo con sede in Lussemburgo denominata

"Utia"; il 35,10% è proprietà della Stahlbridge Bv, una società di diritto

olandese; infine il 25% è posseduto dalla società fiduciaria Carini Spa.87

Il

100% dell'intero gruppo è da attribuire ad Angelo ed Emilio Riva e relativi

figli: possiede 36 siti produttivi, di cui 19 in Italia dove viene prodotto il 62%

dell'acciaio dell'intero gruppo e dove l'azienda realizza circa il 67% del

fatturato. Altri siti si trovano in Belgio, Francia, Germania, Spagna, Grecia,

Tunisia e Canada. Quasi 22 mila dipendenti a carico.

Fanno parte del gruppo anche 24 strutture correlate divise fra centri di servizio

e società commerciali a cui affianca società finanziarie.

86

G. Fontanelli, Emilio Riva. Ilva, la vera storia dell’uomo accusato di avvelenare la città, Panorama, 2012 87

G. Dragoni, Ilva. Il Padrone delle Ferriere, Chiarelettere ebook, original, 2012

87

Sei figli: due femmine e quattro maschi. Il più grande, Fabio, è il vero numero

due del gruppo: desaparecido a Londra, in attesa di giudizio, circa la richiesta

di estradizione, dopo il provvedimento di custodia cautelare emesso dalla

procura di Taranto; Claudio, dal carattere spigoloso, fa l’armatore in proprio

assieme ad un socio, pur continuando a rimanere nel consiglio di

amministrazione della Fire e a svolgere attività di trasporto marittimo proprio

per il gruppo; Nicola, finito agli arresti con il padre, è l’uomo della

produzione; Daniele guida lo stabilimento di Genova; alle figlie Alessandra e

Stefania è impedito entrare in azienda, se non all’interno dell’azionariato.

Nella grande famiglia, però, c’è da lavorare per tutti, anche per Angelo e

Cesare, figli di Adriano, ed Emilio Massimo junior, primogenito di Fabio.

Gestione a carattere prevalentemente familiare con assetto poco trasparente ed

attenzione maniacale dei costi: questi i punti fermi.

L’attività di Emilio comincia nel 1954 con la società Riva & C. s.a.s.:

coadiuvato dal fratello minore Adriano, decise di avviare un’attività

industriale incentrata sul commercio e sulla lavorazione di rottami ferrosi

forniti ai siderurgici bresciani (che lo trasformavamo in prodotti finiti,

essenzialmente tondo per cemento armato). Poi, una costante ed inesorabile

escalation: l’acquisizione delle Acciaierie del Tanaro nel cuneese (1966), della

S.E.E.I. nel bresciano (1970) e della “Officine e Fonderie Galtarossa” di

Verona (1981).

Il “ragiunatt” è un tipo molto ambizioso. Lo è così tanto, che l’Italia comincia

a stargli stretta: entra nella Siderurgica Sevilliana in Spagna (1971) e nella Iton

Seine in Francia (1976). E poi ancora il Belgio e, persino, la ex Germania Est,

con l’acquisizione di tre grandi fabbriche.

88

In proposito, racconta con orgoglio:

Sono bastati sei mesi per far capire ai tedeschi che gli italiani non sono solo

venditori di cravatte o pizzaioli ma anche gente che sa fare acciaio88

.

Il successo all’estero è tale da vedersi riconosciuta: dal Re del Belgio (2000) e

dal Presidente della Repubblica Federale di Germania (2002), la Gran Croce al

merito per l’impegno ed i successi in campo economico e sociale, e, la Legion

d'onore dal Presidente della Repubblica Francese (2005), per la più che

cinquantennale attività nel campo industriale.

Dal 1988, possiede la maggioranza delle acciaierie di Cornigliano (Ge): il

grande altoforno a ciclo continuo capace di produrre un milione di tonnellate

di acciaio grezzo all’anno. Il ragioniere se lo aggiudica dopo una difficile

commistione tra pubblico (Italsider nel consorzio Cogea) e privato (si arrivò

alla lite tra Riva ed i due bresciani Lucchini e Leali): lo Stato si accollava le

perdite e gli industriali ne avevano la gestione.

L’ascesa del gruppo, trova il suo culmine nel 1995: con la collaborazione di

alcune banche (tra le quali Cariplo che qualche anno dopo confluirà in Banca

Intesa) e dei soci di minoranza (il gruppo indiano Essar della famiglia Ruia,

Nicola Amenduni delle Acciaierie Valbruna di Vicenza e l’industriale Luigi

Fedele Farina con Metalfar di Erba), infatti, battendo la concorrenza dell’ex

presidente di Confindustria (alleato con il colosso statale francese Unisor

Sacilor), mette le mani sul centro siderurgico di Taranto. Altro che Genova.

Taranto ha una capacità produttiva di 12 milioni di tonnellate di acciaio l’anno

e per venderla, nel 1993, il gruppo Iri, capitanato da Romano Prodi, mette in

liquidazione la vecchia Ilva, in cui confluiscono debiti per circa 7000 miliardi

di lire. Viene creata una nuova società: Ilva Laminati piani.

88

G. Dragoni, Ilva. Il Padrone delle Ferriere, Chiarelettere ebook, original, 2012

89

Dotata di impianti nuovi, è la terza realtà siderurgica europea (dietro la British

Steel e la Unisor Sacilor), in grado di produrre utili mensili da 100 miliardi di

lire. Un portento, in pratica. Un portento a “prezzi stracciati”, “in saldo”

potremmo dire. Si, perché Riva sborsa 1460 miliardi di lire per averla, “salvo

conguaglio forfettario” di 228,66 miliardi (per i profitti accumulati sotto la

gestione statale negli ultimi 98 giorni del ’95 e rimasti nell’azienda oramai

privatizzata) stabilito dall’Iri (rappresentante delegato alla vendita per conto

dello Stato) a fronte sì di un indebitamento 1500 miliardi di lire, ma con un

fatturato di quasi 9000 miliardi di lire.

Nonostante questo e nonostante non sia stato previsto alcun obbligo di

bonifica, la nuova proprietà lamenta, però, la necessità di adeguare gli impianti

con investimenti nell’ecologia per ridurre l’inquinamento, chiedendo uno

sconto all’Iri di circa 800 miliardi: la controversia, viene affidata a un collegio

arbitrale, composto da tre giuristi (Guido Rossi, scelto dall’Ilva; Gustavo

Visentini, a difesa dell’Iri; Alberto Crespi, presidente del collegio). Il verdetto

del 2000, impone ai Riva il pagamento di 180 miliardi di lire circa, portando

così il prezzo della vendita dagli iniziali 1460 miliardi “salvo conguaglio” ai

1649 definitivi.

Sebbene, l’imprenditore sia risultato perdente nell’arbitrato, negli anni

successivi, il fatturato toccherà 11.500 miliardi di lire, la produzione

triplicherà, i dipendenti saranno 17.300.

È un affare per davvero, contrariamente a quanto possa affermare Riva.

Lui è solo un brontolone: avaro di denaro e di potere, molto attento ai bilanci,

a cui piace comandare senza “ammucchiate” che possano destituire la propria

egemonia.

Mentre il 26 luglio 2012, l’Ilva viene sequestrata e il suo padrone, suo figlio

Nicola e sei dirigenti finiscono agli arresti domiciliari, nelle stanze notarili di

90

uno studio lussemburghese, prende vita un progetto di fusione tra

Stahlbeteiligungen Holding Sa e Parfinex Sa, due società estere che stanno

sopra al gruppo italiano dell’acciaio.

Il 5 ottobre si procede allo scorporo: dalla prima, del 25,38% dell’Ilva per

confluire in Siderlux, lasciando Riva Fire in possesso del 61,62%.

All’interno della Stahlbeteiligungen Holding Sa rimangono soprattutto

importanti fette dei pacchetti azionari riconducibili alle attività estere: dal

Canada al Belgio, dalla Spagna alla Francia e alla Germania.

Nel frattempo, nonostante il rilascio dell’Aia, i padroni dell’acciaio continuano

a rimescolare le carte. Questa volta in Italia però. Il 17 ottobre, l’assemblea di

Riva Fire approva la cessione di un ramo aziendale (quello che produce e

commercializza prodotti lunghi) a favore della Riva Forni Elettrici, a cui

passano peraltro riserve per 320,6 milioni di euro.

In definitiva: a Riva Fire, che controlla Ilva, restano i laminati piani a freddo e

a caldo; in Riva Forni Elettrici confluisce il business dei prodotti lunghi; a

Stahlbeteiligungen Holding Sa prevalentemente le attività estere.

Operazioni che vengono nell’ombra, sullo sfondo, in silenzio ma con

lungimiranza: sottolineano ancora una volta la volontà della proprietà di

difendere il proprio patrimonio dai possibili attacchi della magistratura.

Una linea di potere che, per quanto spietata, rimane coerente con il carattere

del capofamiglia: improntata al guadagno senza scrupoli.

Il caso della palazzina Laf, nel 1997, è l’emblema di tutto ciò.

L’acronimo Laf, almeno per questa volta, non indica una qualche forma di

inquinante. La Laf è la vecchia palazzina del laminatoio a freddo. Lì dentro

vengono rinchiusi e costretti all’ozio 69 dipendenti per non aver accettato il

91

declassamento professionale. I patti sono chiari: chi non accetta la novazione

del rapporto di lavoro viene alienato nel capannone, e non è uno scherzo.

Occhi fissi sui muri, un telefono abilitato solo a chiamare e non a ricevere,

finestre senza vetri, bagni piccoli e sporchi, poche sedie e qualche tavolo; una

pattuglia di vigilantes fuori a controllare che nessuno esca; in orario a timbrare

il cartellino per stare lontani dal mondo ed immersi nei propri pensieri; stesse

facce, stessi discorsi, emarginazione sociale e personale. E, anche quando ci si

fa forza a vicenda convincendosi che la strada giusta sia non desistere, Angelo

Greco, caporeparto, è lì a ricordare la forza e il potere dell’azienda,

riproponendo l’ipotesi di retrocessione.

I racconti sono agghiaccianti. La palazzina Laf, dopo qualche settimana, è già

un laboratorio in grado di produrre gli effetti dell’alienazione umana. Gente

che passeggia avanti e indietro contando i mattoni del pavimento o i buchi dei

muri, gente che prende a calci le sedie o le scaraventa per terra, persone che

fanno ginnastica o giocano a carte senza fermarsi mai, oppure che urlano a

squarciagola tutti i pomeriggi alla stessa ora, o che camminano a testa bassa

parlando da sole e ripetendo che loro sono lì per sbaglio e che usciranno

presto. Ma c’è anche chi si arrampica su una gru e minaccia di spiccare il

volo.89

La diffidenza si sostituisce alla solidarietà delle prime settimane di reclusione:

il tempo di permanenza è dato dal grado di resistenza di ognuno dei

“laffizzati”. C’è chi è tenace e lotta fino a rasentare l’implosione mentale. E

c’è chi sarà costretto a ricorrere alle cure psichiatriche e ne ha ben d’onde:

crisi isteriche, disturbi del sonno, idee suicide.

È la legge del più forte, di chi ha il coltello dalla parte del manico, di chi ha il

potere di decidere la tua sorte. E non è un semplice eufemismo. È una

89

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009

92

constatazione di fatto. Le regole son dettate dal Kapo e lui dice che: non devi

scioperare e fare attività sindacale o politica, devi attenerti agli orari di lavoro

senza straordinari e accettare ogni tipo di lavoro ed ogni forma di

calpestazione morale ed etica pur di sfamare la tua famiglia. In silenzio. In

ginocchio. Amen.

Se ne accorge Franco Sebastio che, a seguito della segnalazione

dell’Ispettorato del lavoro, il 9 novembre 1998 irrompe, accompagnato dai

carabinieri all’interno dello stabile.

Il 7 dicembre 2001, il Tribunale di Taranto emette undici condanne per tentata

violenza privata per mobbing: leggermente ridotte in appello e confermate in

Cassazione (un anno e sei mesi per Riva, un anno e otto mesi per il direttore

dello stabilimento Luigi Capogrosso).

La Corte d’Appello di Lecce non parla di mobbing. Parla di bossing: ossia la

strategia aziendale volta a ridurre o eliminare personale o dipendenti non

graditi, inducendoli alle dimissioni.

Riva, Capogrosso e un terzo dirigente sono condannati anche per frode

processuale nei lavori di aggiustamento fatti dall’azienda nella palazzina, al

fine di renderla più vivibile, proprio prima che arrivasse l’ispezione: pitturare i

muri, aggiustare bagni e plafoniere delle lampade, mettere qualche pianta

ornamentale. Cose da niente. Tanto nessuno va in galera.

Forse non è un caso: un pò di processi a carico, qualche condanna di poco

conto, qualche querela fatta per intimidire, ma nemmeno un giorno di carcere.

Nel febbraio del 2007, per esempio, Emilio e il figlio Claudio, vengono

rispettivamente condannati a tre e diciotto mesi di reclusione per omissione di

cautele contro gli infortuni sul lavoro e violazione di norme antinquinamento,

sempre con riferimento all’impianto pugliese (pena confermata in secondo

93

grado).90

Nel 2008, la situazione addirittura peggiora: il ritrovamento di tracce

di diossina nel latte, formaggi e carni provenienti da sette masserie adiacenti lo

stabilimento di Taranto, preoccupano e non poco la Regione, la quale

subordina il proprio benestare, nell’ambito della procedura di autorizzazione

ambientale in corso, all’intervento migliorativo dell’azienda in campo

ecologico. Nessun pericolo, però: si “scopre” che le misurazioni fatte dagli

uffici regionali non sono attendibili. Lo dice il Ministero dell’Ambiente

guidato da Stefania Prestigiacomo, in cui, guarda caso, il direttore generale è

proprio Corrado Clini, autore del famoso decreto 231 Salva – Ilva, nostro

migliore amico al Ministero91

, secondo l’ambasciata americana come risulta

da un’intercettazione di WikiLeaks.

Il ministro Prestigiacomo ed il suo entourage, sono i primi, in tal senso, a dar

vita al valzer dei facili lasciapassare: per evitare la chiusura dell’impianto nel

2011, il decreto governativo del 4 agosto, autorizza Ilva a proseguire per sei

anni la produzione. Nella nuova Aia vengono fissati limiti e controlli, ma nulla

più. Il siderurgico è necessario. Il siderurgico non deve chiudere.

Emilio Riva è noto alle cronache anche per una serie di amicizie. Amicizie che

hanno portato ad accordi ad alleanze, spesso poco rispondenti con il profilo del

ragioniere: votato alla siderurgia, confinato nel suo mercato, lontano da

operazioni finanziate da banche ed intrecci d’interessi.

Nel 2008, però, in questa prospettiva, accade qualcosa.

Silvio Berlusconi gli propone di partecipare alla cordata Cai. Lui non si tira

indietro. L’alleanza salva Alitalia, compagnia di bandiera ed oggetto del

desiderio della compagnia pubblica Air France – Klm, promossa dal governo

Prodi: allestita con il Progetto Fenice da Intesa San Paolo, guidata da Corrado

90

G. Dragoni, Ilva. Il Padrone delle Ferriere, Chiarelettere ebook, original, 2012 91

S. Maurizi, Clini l’americano, L’Espresso, 2012

94

Passera, ex ministro dello Sviluppo Economico del governo Monti, vanta la

presenza di altri venti soci italiani.

Dovremmo essere sempre grati a questi capitani coraggiosi.92

Silvio Berlusconi, 18 agosto 2008

Nel 2009, poi, mentre Air France – Klm acquista il 25% della nuova Alitalia,

(costo dell’operazione: 323 milioni di euro93

) il Gruppo Riva (primo dei soci

italiani) sborsa 120 milioni di euro per averne il 10,62%.

L’operazione viene spacciata come una grande manifestazione di patriottismo,

ma non è così.

Le amicizie si sa, aiutano. Ancora di più, se poi, a finanziare il Gruppo ci

pensa proprio Intesa San Paolo, promotrice dell’iniziativa Alitalia: 106,8

milioni di dollari utilizzati per la copertura finanziaria parziale

dell’investimento relativo alla costruzione di due nuove navi tipo bulk

carrier,94

commissionate ad un cantiere cinese ed in grado di trasportare un

enorme quantitativo di minerale di ferro, proprio da utilizzare nello

stabilimento di Taranto.

Già, l’Ilva. Già Taranto. Nessuno se ne preoccupa. Ci si ricorda della sua

esistenza solo quando c’è da salvare l’amico fraterno dell’acciaio, magari con

336 milioni di euro, come avviene nell’agosto del 2012:

92

G. Foschini, Quindici Passi, Fandango Libri, 2009 93

Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Alitalia 94

V. Malagutti, Mister Acciaio ha trovato un miliardo, L’Espresso, 2009

95

Il governo farà di tutto per evitare la chiusura dell’Ilva, per questo bisogna

andare oltre la sterile contrapposizione tra istituzioni e magistratura.95

Corrado Passera,

ex ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti,

Governo Monti

Per non parlare dei: 245 mila euro per la campagna elettorale di Forza Italia;

98 mila per quella di Pierluigi Bersani (non per il partito di Bersani, i Ds, ma

proprio per lui che era responsabile industria del partito e stava diventando

ministro dello Sviluppo Economico, cioè il controllore politico dell’Ilva). Poi,

Federacciai, l’associazione di categoria di cui vicepresidente è Nicola Riva,

dona 110 mila euro in 4 anni a Bersani. E poi la faccenda del senatore Roberto

della Seta e dell’onorevole Ludovico Vico.96

Insomma: chi più ne ha, più ne metta.

Ora, non nascondiamo la testa sotto la sabbia. Non prendiamoci in giro.

Numeri della magistratura alla mano… bastano i 386 morti per emissioni

industriali in 13 anni (30 decessi, in media, ogni anno) per potere definire tutto

questo come un ignobile baratto?.

95

P. Festuccia, Bisogna evitare la chiusura sarebbe un danno irreparabile, La Stampa, 2012 96

Fonte: Servizio Pubblico, La crosta, 2012

96

3.4 DUE SEQUESTRI.

22 maggio 2013: Sequestri per 1,2 miliardi euro bloccati nei paradisi fiscali e

perquisizioni nelle abitazioni di alcuni componenti della famiglia Riva a

Milano. L'indagine riguarda una maxi evasione fiscale con soldi della

famiglia Riva sottratti indebitamente alle casse dell'azienda. I fratelli Emilio e

Adriano, patron del Gruppo cui fa capo anche il siderurgico di Taranto, sono

indagati a Milano per trasferimento fittizio di beni e truffa ai danni dello

Stato. Altri due professionisti risultano indagati per riciclaggio.97

Immobili, titoli e disponibilità finanziarie: tutto custodito nel paradiso fiscale

di Jersey. Attraverso complesse operazioni societarie su partecipazioni

detenute da società di diritto olandese e lussemburghese, avrebbero fatto

confluire nei trust accesi a Jersey soldi frutto "di molteplici delitti di

appropriazione indebita aggravata in danno delle varie società del Gruppo

industriale di riferimento, frode fiscale, infedeltà patrimoniale e false

comunicazioni sociali".98

Occultando, di fatto, la reale titolarità delle

medesime, i Riva potevano godere di vantaggi derivanti dall’utilizzo dello

“scudo fiscale” del 2009, voluto da Tremonti: beni formalmente all’estero, ma,

effettivamente, a disposizione della famiglia.

La Guardia di Finanza ha anche accertato che il reale proprietario del

gruppo è Emilio Riva, in virtù di un patto di famiglia che gli consente di

«decidere da solo sulle questioni di maggiore rilevanza per la società».99

Sequestri e perquisizioni anche tra chi ha curato la pianificazione fiscale:

Franco Pozzi ed Emilio Gnech, sono accusati di riciclaggio. L'ipotesi della

Procura è che gran parte dei beni sequestrati, siano stati, tra il ’96 e il 2006,

sottratte alle casse del siderurgico per la compravendita di azioni.

97

G. Foschini e M.Diliberto, Riciclaggio e truffa, indagati i fratelli Riva "Il tesoro dell'Ilva sui conti off-shore", La Repubblica, 2013 98

Ibidem 99

A. Mincuzzi, Riva, sequestrati 1,2 miliardi, Il Sole 24 ore, 2013

97

Un sistema di vera ingegneria finanziaria, che conferma come e quanto i Riva

tenessero a porre i propri bene inattaccabili. L'idea di affidarle a un trust era

proprio per rendere il patrimonio non aggredibile. Ma in questo caso, secondo

il giudice, il trust era falso, "si trattava di un mero espediente per creare un

diaframmma" che eludesse "le ragioni creditorie dei terzi, comprese quelle

dell'Erario ". A supporto di questa teoria, il giudice cita il "patto di famiglia "

siglato nel 2005 attraverso il quale i Riva si erano autoregolamentati per

gestire l'azienda. Da un lato c'era un "capo indiscusso ", Emilio, che decideva

"da solo sulle questioni di maggior rilevanza" e, dall'altro, il consiglio di

famiglia, con divisione tra membri "attivi" con diritto di voto, membri

"onorari" e "osservatori".

24 maggio 2013: Sequestro da oltre otto miliardi di euro all'Ilva. I militari

della guardia di Finanza di Taranto hanno avviato questa mattina il

provvedimento di sequestro per equivalente disposto dal gip Patrizia Todisco

su richiesta del pool guidato dal procuratore capo Franco Sebastio, titolare

dell'inchiesta per disastro ambientale in cui è indagato anche il presidente

dell'Ilva Bruno Ferrante. La procura ha ottenuto il sequestro di beni

riconducibili alla famiglia Riva e in particolare alla società Riva Fire spa.100

Il provvedimento si muove partendo da un presupposto: il mancato

risanamento degli impianti e dei reparti dell’area a caldo ha comportato un

guadagno per i Riva. Un guadagno quantificato dai consulenti dei pubblici

ministeri che hanno potuto verificare come l’azienda abbia contratto profitti

dovuti al mancato abbattimento dell’impatto ambientale, non acquisendo,

appunto, le tecnologie necessarie rivolte alla tutela della salute pubblica.

Medesimo discorso inerisce: la mancanza di sicurezza all’interno dello

stabilimento, causa di morte alle volte, e l’inquinamento del mar Grande,

documentato da Arpa Puglia.

100

M. Diliberto e G. Foschini, Ilva, sequestro record da 8,1 miliardi ai Riva Il procuratore: "La fabbrica non si tocca", La Repubblica, 2013

98

"La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli

investimenti per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica". "La

produzione non si tocca - ha sottolineato Sebastio, che ha aggiunto: "Si tratta

di un sequestro preventivo per equivalente sulla base della legge 231 del 2001

sulla responsabilità giuridica delle imprese" che dal 2011 contempla anche i

reati ambientali.101

Ovviamente, gli effetti del sequestro potranno colpire anche i beni (tranne

quelli funzionali alla produzione) della Ilva Spa, qualora la Riva Fire non sia

in grado di ottemperare a quanto disposto dalla magistratura.

Nelle 46 fitte pagine del decreto di sequestro si trova una raccapricciante

illustrazione del funzionamento di una grandissima fabbrica, e della sua

influenza sull'umanità di dentro e di fuori. La città di Taranto è la piccola

appendice di un gigantesco mondezzaio.102

1995 – 2013: fine di una egemonia?

101

Ibidem 102

A. Sofri, Mega-sequestro da 8 miliardi ai Riva. Lo scandalo Ilva è il doppio dell'Imu, La Repubblica, 2013

99

CAPITOLO 4: LE PROSPETTIVE FUTURE

4.1 CONFLITTI DISINTERESSATI

La legge ‘salva Ilva‘ è costituzionale. Lo ha stabilito la Corte costituzionale al

termine dell’udienza con la quale ha dichiarato inammissibili o infondati i

ricorsi proposti dalla magistratura ionica. Per la prima volta in Italia, il

diritto alla salute viene posto in secondo piano rispetto al lavoro.103

È il 9 aprile 2013. La Consulta, dopo aver giudicato inammissibili i due ricorsi

presentati dalla procura di Taranto sul conflitto di attribuzione, in ordine alla

legge di conversione e al decreto, poi convertito nella legge 231, rispedisce al

mittente le accuse di illegittimità.

In quanto atto amministrativo, rimangono comunque possibili gli ordinari

rimedi giurisdizionali previsti dall'ordinamento, volti a verificare

l’inosservanza delle prescrizioni ambientali e l’accertamento delle eventuali

responsabilità in sede penale.

Un successo per il Governo. Un fallimento per le associazioni ambientaliste e

per qualche politico realmente interessato alla vicenda (vedi Angelo Bonelli).

Un colpo basso nei confronti: della magistratura tarantina, del suo operato e di

coloro i quali hanno riposto, in quest’ultimo, enorme fiducia.

Alla speranza di un futuro diverso si sostituiscono rabbia e sgomento.

Il cambiamento appare un’utopia.

Il rafforzamento di questo generale senso di rassegnazione si ripercuote nel

referendum consultivo del 14 aprile: presentato dal comitato Taranto Futura,

dopo una lunga battaglia contro il Comune dinanzi al Tar di Lecce, poneva

103

F. Casula, Salva Ilva, Consulta respinge ricorso Tribunale e gip: “Costituzionale”, Il Fatto Quotidiano, 2013

100

due quesiti a cui erano legittimati a rispondere i soli residenti nel comune di

Taranto.

1° QUESITO: volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra

salute nonché la salute dei lavoratori contro l’inquinamento, proporre la

chiusura dell’Ilva?

2° QUESITO: volete voi cittadini di Taranto, al fine di tutelare la vostra

salute e quella dei lavoratori, proporre la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva,

maggiore fonte di inquinamento, con conseguente smantellamento dei parchi

minerali?

L’esito è sconcertante.

Ha votato il 19,52 per cento degli elettori tarantini: 33mila 774 su 173mila e

61 (il totale degli aventi diritto). Il quorum era oltre gli 86mila voti (50,1 per

cento). I numeri dell’affluenza alle urne nei quartieri fotografano la realtà. A

ripudiare il referendum sono stati i quartieri operai. Tamburi e Paolo VI

hanno fatto registrare i dati più bassi di affluenza alle urne, rispetto agli altri

rioni cittadini. Ai Tamburi, lì dove più sentito è il problema ambientale per la

vicinanza alle acciaierie, ha votato il 14,5 per cento e a Paolo VI il 9,7, molto

al di sotto del dato finale. Più generoso, ma sempre al di sotto della media, il

dato offerto, per esempio, dai quartieri Italia Montegranaro-Salinella (23,3

per cento).104

Al primo quesito hanno risposto SI l’81,29% dei votanti e NO il 17,25%.

Al secondo quesito hanno risposto SI il 92,62% dei votanti e NO il 5,30%.

Il risultato referendario viene accolto in maniera contrastante: Alessandro

Marescotti, fondatore dell’associazione ambientalista PeaceLink, non demorde

e ricorda che, anche quelle 30 mila persone, non son poche per portare avanti

104

F. Colucci, Referendum sull'Ilva non raggiunge quorum vota solo il 19 per cento, La Gazzetta del Mezzogiorno, 2013

101

“la battaglia”; Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, invece, lancia pesanti

accuse alla macchina organizzativa messa a disposizione del comitato

referendario dalle istituzioni.

È stata fatta una scientifica opera di boicottaggio!! Non solo non c’è stata

un’informazione adeguata in grado di raggiungere tutta la popolazione ma

l’amministrazione comunale ha tagliato del 50% i seggi elettorali e gli

scrutatori.105

Certamente, il referendum consultivo (inefficace e privo di effetti, anche

qualora si fosse raggiunto il quorum) desta una serie di ulteriori interrogativi:

la mancata estensione ai residenti dei comuni della Provincia (all’Ilva è forte

la presenza di operai provenienti dai medesimi) e la data (14 aprile) scelta per

il voto.

Su quest’ultimo punto appare non chiaro il ruolo del sindaco Ippazio Stefàno,

finito sulla graticola per una telefonata intercettata dalla Guardia di Finanza di

Taranto:

Quel 29 luglio 2010 fu Archinà a chiamare Stefàno per chiedere di fissare il

referendum cittadino sulla chiusura dell’Ilva il più tardi possibile. “La data la

più lontana possibile” chiese Archinà ottenendo un primo “va bene” dal

sindaco per poi motivare la richiesta dicendo “per farci lavorare un po’

tranquilli” e ricevendo una nuova rassicurazione dal sindaco “tranquilli!!! Va

benissimo! Ciao Girolamo”.106

Così si procede. Nel bene o nel male si procede: sì, al dissequestro di un

milione e settecentomila tonnellate di tubi e coils (valore stimato: un miliardo

di euro) sequestrato il 26 novembre 2012 dalla procura di Taranto perché

ritenuto provento di reato; sì, alla continuazione dell’attività produttiva per un

105

A. Spinelli Barrile, Referendum Ilva di Taranto, niente quorum: risultati definitivi, Ecoblog, 2013 106

F. Casula, Ilva Taranto, sindaco Stefàno indagato per abuso e omissione di atti d’ufficio, Il Fatto Quotidiano, 2013

102

periodo di trentasei mesi, nel rispetto del cronopogramma stabilito

dall'Autorizzazione Integrata Ambientale.

Nonostante questo però, le disposizioni riguardanti i parchi minerali, le

acciaierie, gli altiforni e i nastri trasportatori vengono puntualmente disattese:

stato di avanzamento dei lavori per i nastri trasportatori stimato al 20%,

fenomeno slopping non eliminato (249 casi in un anno, denuncia l’Arpa), su

tutti.

I guai per l’Ilva sono dietro l’angolo: i sequestri operati dalla procura di

Taranto e da quella di Milano, mettono in ginocchio un’azienda in cui, già da

tempo, regna il caos generale.

Il mancato rispetto delle prescrizioni imposte dall’Aia, le incertezze poste alla

continuità aziendale da provvedimenti della Magistratura e le difficoltà

contingenti al mercato, portano il cda a dimettersi.

La necessità di un provvedimento urgente porta all’emanazione di un decreto

con il quale l’azienda viene commissariata temporaneamente (12 mesi

rinnovabili fino a 3 anni). Ad Enrico Bondi, amministratore delegato di Ilva,

dimissionario dopo soli cinquanta giorni dalla sua nomina, viene affidato il

salvataggio dell’azienda: un mandato con obiettivi precisi al termine del quale

i soci proprietari resteranno proprietari107

, afferma il ministro dello Sviluppo

Flavio Zanonato. Due i sub commissari: uno è Edo Ronchi, ex ministro

dell’Ambiente. All’attuale ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, è invece

affidato il compito di nominare un comitato di 5 esperti che, entro 60 giorni

dalla nomina, stilerà "il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale

e sanitaria dei lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di

incidenti rilevanti".108

107

M. Diliberto e Giuliano Foschini, Ilva, il governo vara un 'salva-Ilva' bis. Ecco il decreto, Bondi commissario, La Repubblica, 2013 108

Ibidem

103

Bondi? È come prendere il centravanti della squadra avversaria e farlo

arbitro". "Sai quei film western, dove arriva il castigamatti, e il vecchio che

fabbrica le bare si frega le mani. Solo che Bondi fa tutte e due le parti". "Si

sono ripresi tutto, il comando, e i miliardi".109

L’Ilva va avanti. L’Ilva deve andare avanti.

La chiusura della fabbrica costerebbe circa 8 miliardi all'anno: Sei miliardi

circa riguarderebbero la crescita delle importazioni, 1,2 miliardi tra sostegno

al reddito e minori introiti per l'amministrazione pubblica, 500 milioni per la

minore capacità di spesa per il territorio.110

Flavio Zanonato,

ministro dello Sviluppo Economico

109

A. Sofri, Ilva, tra gli operai esplode la rabbia:"Bondi? Il centravanti avversario fa l'arbitro", La Repubblica, 2013 110

M. Diliberto e Giuliano Foschini, Ilva, il governo vara un 'salva-Ilva' bis. Ecco il decreto, Bondi commissario, La Repubblica, 2013

104

4.2 OVERCAPACITY: TRA IL MODELLO LINZ E LO SPETTRO

DI BAGNOLI

L'Ilva fermerà da oggi l'altoforno 2 per la crisi del mercato siderurgico.

Resterà inattivo per circa tre mesi, periodo nel quale, utilizzando la fermata,

saranno effettuati, in anticipo sul programma dell'Autorizzazione integrata

ambientale, i lavori di ammodernamento che riguarderanno fra l'altro il

sistema di raffreddamento e la parte alta dell'altoforno. La fermata

dell'altoforno 2, insieme con quella dell'acciaieria 1, era già stata annunciata

a metà giugno.111

Altoforno 2: la produzione a regime è di circa 5.000 tonnellate di ghisa al

giorno. Il blocco, che ha già colpito (8 dicembre) l’altoforno 1 porterà

l’azienda ad utilizzare i soli altiforni 4 e 5, essendo già il 3 da tempo inattivo.

Nei prossimi giorni verrà fermata anche l'acciaieria 1: rispetto all’altoforno 2

per il quale sono stati previsti 3 mesi, lo stop sarà più contenuto e l’azienda

utilizzerà la sola acciaieria 2. La prossima estate, poi, verrà fermato l’altoforno

5, il più grande d’Europa.

L'intervento sull'altoforno 2, prescritto dall’Aia del 26 ottobre, però, non era

previsto in questa fase.

L'andamento negativo del mercato ha spinto l'Ilva ad anticipare la fermata e

quindi anche i lavori. Con questo ulteriore stop la produzione giornaliera di

ghisa scende da 17-18mila tonnellate a 14-15mila al giorno. Prima che si

fermasse l'altoforno 1 si producevano 21-22mila tonnellate di ghisa sempre al

giorno.112

Ottocento i lavoratori in esubero, per i quali si farà ricorso ai contratti di

solidarietà.

111

Agi, Crisi del mercato siderurgico l'Ilva ferma anche l'altoforno 2, La Repubblica, 2013 112

Ibidem

105

Ma il punto non è questo o, almeno, non è solo questo: l’acciaio è in crisi.

Sono tutti in negativo i numeri del settore siderurgico: -5,3% la produzione

interna, -23,2% il consumo, -4,7% la produzione europea, mentre a livello

globale nel 2013 bisognerà fare i conti con una sovrapproduzione di 500

milioni di tonnellate. Solo per quanto riguarda l'Italia, l'eccesso di capacità

produttiva è pari a una volta e mezza quella dell'Ilva di Taranto.113

Si produce più acciaio di quanto il mercato ne richieda: 1,8 miliardi di

tonnellate di acciaio prodotte all’anno, a fronte di un consumo di 1,5.

Si chiama overcapacity. Il Wall Street Journal evidenzia un quadro di

riferimento destinato a peggiorare ulteriormente.

Roberto Capezzuoli, ex giornalista del Sole 24ore ed esperto delle questioni

riguardanti i mercati delle materie prime, afferma che: dall’inizio del 2008 ad

oggi, negli Usa, i prezzi dei coils laminati a caldo hanno perso il 35%,

arrivando a 636 dollari per tonnellata. Ne ha fatto le spese la RG Steel, il

quarto gruppo siderurgico statunitense, che ha dichiarato bancarotta e ha

fermato impianti la cui capacità è di 7,5 milioni di tonnellate annue.114

L’Ilva è un grande produttore di coils (lamiere di acciaio arrotolate in bobine).

I termini della crisi dell'acciaio europeo sono questi: domanda -27% dai

livelli pre-crisi, 40mila posti di lavoro persi, sovracapacità produttiva 80

milioni di tonnellate (dato globale 572 mln di cui 200 mln in Cina). Con un

aumento della domanda ai tassi di crescita attuali, la Commissione europea

calcola che sarebbero necessari 5-7 anni per raggiungere l'equilibrio tra

domanda e capacità.115

113

G. Dossena, I conti della crisi dell’acciaio, Corriere della Sera, 2013 114

R. Capezzuoli, Il mondo dell’acciaio ha un problema, l’eccesso di capacità produttiva, First online, 2012 115

A. P. Salimbeni, Acciaio: Ue vara piano per contrastare crisi e concorrenza sleale, EuroParlamento24, 2013

106

E poi, ci sono: le concorrenti Russia, Ucraina, Turchia, India, Cina e Usa;

l’accentuata tendenza a proteggere i produttori nazionali, con condizioni di

disparità all’interno del mercato stesso.

Le problematiche inerenti costi dell'energia e le politiche ambientali ed

energetiche completano il quadro.

Aumenta il costo delle materie prime ed in particolare del minerale di ferro

(+65% nel febbraio di quest’anno116

) e, per l’eccesso dell’offerta sulla

domanda, si determina una riduzione del profitto (e non un aumento del prezzo

di vendita, come dovrebbe ragionevolmente attendersi).

Situazione industrialmente insostenibile117

, tale da portare un colosso come

ArcelorMittal, a ridurre il numero di altiforni funzionanti da 28 (nel 2008) a 18

(oggi).

Secondo Siderweb, il portale della siderurgia, risulta tanto chiara

l’impossibilità futura per l’Europa di rimanere un produttore di materiale

grezzo standardizzato (commodity), da rendere necessario l’investimento in

settori innovativi (cosa che l’Ilva non ha fatto, a differenza delle aziende

tedesche).

L’unico punto a favore dell’Ilva risulta essere la contemporanea produzione di

ghisa e di energia (a basso costo per autoconsumo): ciò le garantisce un

risparmio di costi notevoli.

Come può la più grossa realtà industriale italiana versare in simili condizioni?

La risposta è piuttosto semplice se vogliamo: un’azienda “spremuta come un

limone”, prima dallo Stato e poi dai Riva (una gestione rivolta a macinare

profitti da “imboscare” nei molti in paradisi fiscali con l’obiettivo, poi, di

rimpatriarne una parte esentasse grazie allo scudo fiscale di Tremonti).

116

A. Marescotti, Ilva traslocherà in Cina?, Il Fatto Quotidiano, 2013 117

Ibidem

107

Riva ha sfruttato gli impianti mettendo in conto di abbandonarli, una volta

diventati non più redditizi: lo ha potuto certamente fare perché favorito, a più

riprese e in più circostanze, da decreti ad aziendam. Un pò come avviene nel

2010 con la concessione dell’AIA da parte del Ministero dell’Ambiente, il cui

ministro è Stefania Prestigiacomo ed in cui il direttore è, da tempo immemore,

Corrado Clini. Marco Travaglio, giornalista e vice direttore de Il Fatto

Quotidiano, racconta, all’interno del programma di Michele Santoro, Servizio

Pubblico, la telefonata del 22 luglio 2010 tra l'avvocato Perli e Fabio Riva,

all’interno della quale si discute dell’inerzia di Luigi Pelaggi (capo

commissione IPCC) nel rilasciare l’AIA, a causa del superamento delle

emissioni inquinanti.

Su sta roba salta la Prestigiacomo e noi mettiamo in mobilità 5-6000 persone.

Cioè, cosa dobbiamo fare di più? Ve l'abbiamo scritta noi!118

Ma la politica industriale, anche quando privata, può interamente basarsi sul

raggiungimento del profitto, prescindendo dalle questioni di carattere

ambientale?

Crises famously serve to prompt therapeutic change. This can't happen if all a

leader feels he can do is keep a moribund nation on life support in the hope

that a miracle drug might be discovered.119

Le crisi notoriamente servono per chiedere un cambiamento terapeutico.

Questo può non accadere se tutto quello che può sentirsi di fare un politico è

mantenere in vita una nazione moribonda in vita nella speranza che una

miracolosa medicina possa essere scoperta.

C’è una nazione, l’Irlanda, che ha deciso di affrontare la crisi non solo con il

piano di salvataggio speciale disposto dal Fondo Monetario Internazionale

118

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013 119

T. Parks, European politics are impotent, moribund and in need of life support, The Guardian, 2012

108

(1,17 miliardi di dollari): popolazione e Governo hanno deciso, infatti, di

operare attivamente e di comune accordo, basando la propria strategia

sull’utilizzo delle energie rinnovabili.

Secondo l'Economist, l'Irlanda dovrebbe essere in grado di riportare il

rapporto deficit-Pil al di sotto della soglia del 2% grazie a una crescita che

potrebbe a sua volta raggiungere un "miracoloso" 2%. Tutto questo è stato

possibile anche grazie a un nuovo modello di tassazione sull'utilizzo di

combustibili fossili, attraverso il principio, stavolta davvero messo in pratica,

del più inquini più paghi.120

In tal modo, l’aumento (dal 5 al 10%) del costo di petrolio, gas naturale e

cherosene, diventa insostenibile per la popolazione.

Il Paese esce dalla crisi e lo fa in modo sano con livelli di emissioni calati del

15% dal 2008 e del 6,7% nel solo 2011.

Di fronte all'imposizione della carbon tax, che in tre anni ha permesso al

governo irlandese di raccogliere circa un miliardo di euro, di cui 400 milioni

solo nel 2012, i partiti irlandesi non hanno battuto ciglio e la popolazione ha

risposto investendo in energie rinnovabili e riciclaggio rifiuti.121

Poi c’è un’altra nazione, l’Austria, che ha voluto continuare il proprio

“cammino siderurgico”, a condizioni differenti.

Linz, terza città austriaca per popolazione, capoluogo dello Stato federato

dell'Alta Austria.

A Linz c’è un’industria: la VoestAlpine.

Linz, trent’anni fa, era proprio come Taranto.

120

S. Ficocelli, L'Irlanda ha sconfitto la crisi economica diventando 'green': il pil in salita del 2%, La Repubblica, 2013 121

Ibidem

109

Fino a qualche anno fa la città di Linz era la più inquinata dell’Austria.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, diventa la capitale nazionale

della produzione industriale pesante. L’economia gira ma condanna gli

abitanti a respirare quello che si respira anche a Taranto: polveri e fumi

tossici dei camini delle acciaierie e delle industrie chimiche. Le foreste della

zona stavano morendo e i danni alla salute delle persone si vedevano già nei

bambini. Negli anni ’80 i cittadini decidono di riprendersi il loro diritto alla

salute e Linz diventa teatro di proteste e manifestazioni. La politica li ascolta

e l’obiettivo del sindaco dell’epoca è far diventare Linz la città più pulita del

paese. Vengono varati dei pacchetti di misura antinquinamento e dopo

vent’anni di applicazione delle leggi e controlli sulle emissioni l’aria di Linz è

pulita.122

I punti di forza dello stabilimento austriaco sono: l’utilizzo delle migliori

tecniche produttive disponibili (BAT); una politica aziendale incentrata sulla

salute e la sicurezza dei propri addetti.

Le BAT, sono state sviluppate in collaborazione con la Siemens VAI, casa

leader nella costruzione di impianti per le lavorazioni siderurgiche,

sviluppando e implementando nel 2007 il processo “MEROS” (Riduzione

massimizzata delle emissioni dell’agglomerato) che ha consentito di ridurre le

emissioni: si tratta di una serie di trattamenti in cui le polveri e i componenti

inquinanti ancora presenti nelle emissioni dopo il passaggio nei filtri

elettrostatici vengono ulteriormente abbattute con ulteriori trattamenti di

ricircolo e filtraggio. Si calcola che MEROS, considerato ad oggi il più

moderno e potente mezzo per ridurre le emissioni, consenta una riduzione fino

al 90% di anidridi solforose, polveri sottili, metalli pesanti, diossine, furani e

altro.123

122

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013 123

G. Caforio, L’acciaio fra le Alpi. La fabbrica – modello di Linz, Radio Fiom, 2012

110

La partecipazione attiva dei lavoratori ai “circoli della salute”, inoltre, ha

portato al miglioramento delle politiche di sicurezza interna: l’introduzione di

programmi di esercizio fisico e di servizi di assistenza sociale; la

predisposizione di asili nido aziendali e orari part-time; sale per il riposo e

relax hanno permesso una facile conciliazione tra le esigenze lavorative

dell’acciaieria e la vita privata di ognuno lavoratori.

Le emissioni di diossine e furani a Linz si attestano a un livello prossimo a 0,1

µg/m³ (ben al di sotto dei 0,2-0,4 prescritti dal Protocollo Aarhus e degli 0,4

della legge regionale pugliese). Il livello di soddisfazione del personale è

aumentato ed è diminuito dal 7,9% al 7,2% il tasso di assenteismo per

malattia, gli infortuni sul lavoro sono scesi dallo 0,9% allo 0,8%. Completa il

quadro il ruolo di primaria importanza nella promozione del territorio che la

VoestAlpine svolge sostenendo vari programmi di rinnovamento urbano e

incentivando strutture e iniziative prettamente culturali e artistiche.124

Lo stabilimento di Linz: fattura oltre 12 miliardi di euro l’anno ed è il primo

per produzione industriale in tutta l’Austria con 5 milioni di tonnellate

prodotte ogni anno e quasi 50mila dipendenti occupati in 60 paesi nel mondo.

Il budget previsto in ricerca e sviluppo passa dai 30 milioni di euro del 2001 ai

132 investiti quest’oggi. Negli ultimi 25 anni risultano investiti un miliardo di

euro per abbattere l’inquinamento ed altri 200 milioni di euro, ogni anno, per

la manutenzione degli impianti di filtraggio e la protezione ambientale. Linz è

la seconda città dell’Austria per l’aria più pulita.125

Ma a quanto ammonta la spesa dell’Ilva, in ordine alla protezione ambientale?

I dati sono piuttosto eloquenti: una redditività netta complessiva pari a 1,4

miliardi di euro, interamente mantenuta all'interno dell'azienda. Un totale di

124

Ibidem 125

Fonte dati: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013

111

6,1 miliardi di euro investiti, di cui 1,1 destinati alla salvaguardia

ambientale.126

Male, molto male. Tentiamo di riacciuffare un’azienda oramai al collasso.

Verificando l’attuale situazione delle importazioni, infatti, i numeri dicono:

Turchia (+280%), India (+176%), Corea del sud (+114%), Russia (+89%),

ma anche Paesi Bassi (+400%), Belgio (+91%), Austria (+32%) e, in misura

minore, Germania (+1,2%). Le importazioni straniere di acciaio in Italia

vanno di corsa. I «signori dell'acciaio» invadono il mercato italiano, andando

a riempire, in molti casi, i «buchi» lasciati dall'Ilva nei mesi scorsi, quando

gli impianti pugliesi sono stati costretti a marciare a singhiozzo. «Nel breve e

medio periodo la situazione potrebbe essere più devastante. Se non si risolve

la situazione in Puglia, senza dubbio i cinesi, i turchi e le altre acciaierie

europee acquisiranno ulteriori quote sul mercato interno».127

L'inquinamento industriale delle più grandi sorgenti di emissione europee,

inoltre, è costato ai cittadini dell'Unione tra i 102 e i 169 miliardi di Euro: è

quello che si legge in un recente studio (pubblicato il 24 novembre 2011) della

European Environment Agency128

, l'Agenzia ufficiale dell'Unione Europea

incaricata del monitoraggio ambientale.

L'impianto Ilva di Taranto è al 52mo posto in classifica: il danno alla salute e

all'ambiente è valutabile tra i 283 e i 463 milioni di euro.

Il rischio di una nuova Bagnoli, forse, non è così lontano.

126

M. Meneghello, Ilva, utili per 1,4 miliardi 1,1 investiti per l'ambiente, Il Sole 24 ore, 2012 127

M. Meneghello, Boom delle importazioni di acciaio, Il Sole 24 ore, 2013 128

Fonte: www.eea.europa.eu

112

4.3 UN’OCCASIONE PERDUTA?

Sono arrivato infine nella vetusta molle Tarentum, e mi è parso di respirare

un'aria più dolce, come appena sono arrivato nei dintorni della città. Non so

se vi abbia contribuito la mia immaginazione esaltata dai ricordi dell'antica

Tarentum, così felice una volta e così temuta, o se il clima delizioso abbia

avuto particolare influenza sul mio corpo; certo è che ho sentito un generale

benessere. Non appena sono entrato nell'antica colonia del fiero Phalantus(...)

Nelle ore pomeridiane, abitualmente passeggiavo lungo la costa orientale del

Mar Piccolo, di cui il bellissimo bacino a guisa di uno specchio, misura sedici

miglia e mezzo di circonferenza, e le cui rive, sinuose e variate da seminati di

grano, da vigneti, da piantagioni di fichi e di alberi di aranci, presentavano

ad ogni passo un punto di vista nuovo ed interessante.

Carl Ulysses von Salis-Marschlins,

Viaggio nel Regno delle Due Sicilie nel 1789

Il 21 dicembre 2012, Tim Parks, nell’articolo pubblicato sul The Guardian, nel

commentare le condizioni e le vicissitudini dell’acciaio, e dei suoi produttori

europei, si chiedeva, tra le altre cose, se fosse possibile un’alternativa:

un’alternativa meno vincolata alla necessità di produrre acciaio.

L’alternativa esiste. Le alternative esistono e come.

A Dortmund c’è il Museo della birra, a Duisburg un grande parco naturale

costruito sulle ceneri dell’acciaieria. A Pittsburgh va forte il settore

biomedico mentre a Bilbao è stato costruito il Guggenheim, tra i musei più

importanti al mondo.129

129

S. Cannavò, Dalla Ruhr a Bilbao: le città che hanno detto basta all’inquinamento, Il Fatto Quotidiano, 2012

113

Germania: città della Ruhr. Nonostante la Ruhrgebiet sia la più grande regione

industriale d’Europa, il panorama offre scorci di natura davvero incantevoli.

Certamente, il territorio ha risentito del suo recente passato, ma si è saputo

riconvertire: ha trasformato le vecchie aree industriali in accoglienti città e i

vecchi siti in musei, sia di storia tecnica e sociale, sia di arte contemporanea. È

così la regione della Ruhr è diventata “strada della cultura industriale” lungo la

quale si incontrano le città di Dortmund, Duisburg, Oberhausen, Essen,

Bochum: rappresentano l’esempio di come la riqualificazione industriale sia

possibile se fatta in maniera programmatica.

Il bacino della Ruhr, ricco di carbone e di ferro, ha conosciuto un notevole

sviluppo, nel corso del XIX secolo, nelle attività estrattive e metallurgiche.

Poi l’inversione di tendenza. Viene elaborato negli anni Ottanta un imponente

piano di riconversione dell’area: circa 6000 ettari di aree industriali dismesse,

una dimensione pari al 70 per cento delle aree abbandonate della Germania

dell’Est. Il processo ha visto l’intervento diretto dello Stato e delle autorità

locali con una serie di finanziamenti straordinari, ma soprattutto con

l’attivazione dei fondi europei e di sviluppo regionale con un costo

complessivo superiore ai 2 miliardi di euro.130

Ed oggi?

Oggi si presenta come uno degli agglomerati urbani più grandi d'Europa, con

cinque milioni di abitanti e uno dei panorami culturali più ricchi dell'intero

continente. Sono ancora in piedi gli altiforni, i gasometri e le torri d'estrazione:

sono simboli ben visibili dell'eredità industriale della Regione ed, ancora oggi,

un tratto tipico del bacino della Ruhr. Tuttavia, “il sostegno” non va più

all'estrazione del carbone, bensì al teatro, alla musica, alla pittura, alla danza,

alle più svariate forme artistiche.

130

Ibidem

114

Cinque città capofila: Dortmund, Duisburg, Oberhausen, Essen, Bochum.

Eventi internazionali di grande portata come la Ruhrtriennale, il festival del

pianoforte e il festival della Ruhr coinvolgono l'intera regione, offrendo eventi

tra i più coinvolgenti dell'odierno panorama teatrale e musicale tedesco. Gli

spazi espositivi della Ruhr danno vita alla concentrazione più elevata del

mondo di musei dedicati all'arte moderna: 20 centri in 15 città, tutti a pochi

km l'uno dall'altro.

Dortmund è la più grande città della Regione e la settima città in Germania

per numero di abitanti. In questi ultimi decenni Dortmund si è trasformata da

città industriale a centro tecnologico: un tempo note per la lavorazione

dell’acciaio e del carbone, ora le aziende si dedicano ai servizi, alla ricerca e

alle alte tecnologie. Forte è la passione per la birra Dortmunder e per il

Borussia Dortmund, la squadra di calcio della città. La cokeria, dismessa nel

1992, viene utilizzata come museo della birra: accanto ha i musei Ostwall e

Adleturm e teatri di opera e prosa; da lontano si vede risplendere all'orizzonte

un'imponente "U" (alta nove metri) dell'ex magazzino e camera di

fermentazione del birrificio Union, che oggi ospita il nuovo centro per l'arte, la

creatività e l'economia; spostandosi in direzione sud-est si raggiunge la fonte

del fiume Emscher, una volta considerato uno dei percorsi d'acqua più

inquinati della Germania, ed ora, in via di recupero (dopo mastodontici lavori

di risistemazione dei suoi 83 km di lunghezza potrebbe trasformarsi, entro il

2020, in un modello di depurazione dai liquami, tanto da risultare balneabile.

Sono al lavoro 1.500 operai dell’impresa più avanzata nel trattamento delle

acque reflue). Dortmund diviene Capitale Europea della Cultura nel 2010.

A Duisburg, il parco Duisburg – Nord: un complesso industriale dismesso

trasformato in un'area multifunzionale. Gli altiforni vengono illuminati di

notte e accanto c’è un grande parco naturale; il vecchio magazzino del ferro è

stato trasformato in una parete per arrampicate; l’ex gasometro (45 metri di

115

diametro) è stato riempito d’acqua divenendo il più grande sito artificiale

sottomarino d’Europa esplorato, ora, da centinaia di sub. E poi i musei: nel

Museum der Deutschen Binnenschiffahrt, si ripercorre la storia

dell’evoluzione della navigazione fluviale tedesca; nel Wilhelm Lehmbruck

Museum, edificio in vetro e cemento, si raccolgono le opere di Wilhelm

Lehmbruck, ma anche di Picasso e Dalì; nel Museo Kuppersmuhle, all’interno

di un vecchio mulino, vengono esposte le opere di artisti tedeschi del

dopoguerra; il porto fluviale, è il più importante d’Europa ed è possibile

visitarlo con un battello.

Oberhausen, a pochi chilometri di distanza: Zinkfabrik Altenberg, una

vecchia fabbrica di zinco, chiusa nel 1981 e riconvertita in museo della storia

dell’industria metallurgica; il gasometro, situato tra il canale Reno-Herne, è la

seconda torre di stoccaggio del gas più grande del mondo (un cilindro di

acciaio di 117 metri di altezza e 68 di diametro, la più grande d’Europa),

riconvertita, nel 1994, per ospitare mostre, spettacoli teatrali e concerti; l'area

per lo shopping e il tempo libero CentrO, è un gigante di acciaio costruito nel

1929 come deposito per lo stoccaggio dei gas di cokeria, oggi rappresenta uno

degli spazi espositivi più singolari di tutta Europa. Tutta la città è stata

rimodellata: arricchita di giardini, parchi e di verde che fa scomparire alla vista

e, quasi anche al ricordo, le torri delle miniere e le ciminiere. Migliora la

qualità dell’aria, pur persistendo, ancora, l’odore pungente e polveroso dei

fumi di qualche fabbrica rimasta in funzione.

Essen, importante centro economico, ospita attività industriali e terziarie

anche di rilievo mondiale. La città è indissolubilmente legata alla famiglia

Krupp: nel 1811 Friedrich Krupp creò la sua prima fabbrica e ne fece il fiore

all’occhiello dell’allora panorama industriale europeo. Oggi, Essen è sede di

uno dei due quartieri generali della ThyssenKrupp, la principale azienda

siderurgica europea, nata nel 1999 dalla fusione tra la Thyssen della vicina

116

Duisburg e l’azienda della famiglia Krupp. Diverse le attrattive anche qui:

Zeche Zollverein XII, distretto minerario, non è solo un sito del patrimonio

dell'umanità dell'UNESCO, ma anche il simbolo per eccellenza della

trasformazione dell'intera Regione. È possibile effettuare dei tour che

permettono di scoprire tutte le fasi di lavorazione del carbone, dall’estrazione

al prodotto finale; nella sala caldaie di un edificio del sito dello Zollverein, si

trova l’originale museo Red Dot, dedicato al design (circa 1.000 icone del

mondo del design, coprono una superficie che supera i 4.000 metri quadrati);

Villa Hugen, circondata da uno spettacolare giardino, ove si trova la residenza

dei Krupp; Museum Folkwang e Ruhulandmuseum Essen, due musei che si

trovano nello stesso edificio: il primo espone importanti collezioni dei più

grandi pittori europei del XIX e XX secolo (circa 800.000 visitatori l'anno), il

secondo riguarda la vita della regione della Ruhr del secolo scorso. Nel 2010

Essen è stata Capitale Europea della Cultura.

Sempre nei paraggi troviamo Bochum, che ospita il punto focale della

Ruhrtriennale: il centro eventi Jahrhunderthalle (uno dei primi esempi di

architettura moderna e funzionale e uno dei simboli del nuovo carattere della

Regione). E poi: il museo tedesco dell'industria mineraria (il più grande del

mondo nel suo genere) dove oltre 400.000 visitatori si avventurano ogni anno

negli abissi delle miniere, per poi salire sulla torre di estrazione alta 63 metri,

da cui si gode di uno splendido panorama su Bochum e sulla Regione

circostante; il planetario Zeiss, da cui è possibile ammirare le stelle; l’elevata

concentrazione di teatri sparsi per tutta la città.

Oltre alla Germania, c’è: la Spagna con Bilbao, la Francia con Metz, gli Stati

Uniti con Pittsburgh, la Svezia con Stoccolma.

A Bilbao c’è il Guggenheim Museum: costruito in una città che viveva di

industria, di cantieri navali, di fumi e di inquinamento (proprio come Taranto)

è considerato un capolavoro dell’architettura del ’900. Fa parte di un piano di

117

ristrutturazione urbana iniziato nel 1989 e rivolto al rilancio di un’area della

Spagna fortemente depressa: un Palazzo dei Congressi, un Aeroporto

Internazionale, un piano di sistemazione delle rive del Nervion e una nuova

metropolitana. Aperto nel 1997, il museo, nel primo anno di attività, ha attirato

100 mila visitatori l’anno e milioni nei successivi.

Metz, capitale della Lorena mineraria storicamente contesa dalla Germania:

qui, Centre Pompidou (un museo francese dedicato principalmente all'arte

moderna e contemporanea, ubicato nel distretto dell'anfiteatro, vicino alla

stazione dei TGV e al centro della città). Festeggia i 600mila visitatori, nel suo

secondo anno di vita, a dispetto della crisi economica dalla quale risulta

anch’essa colpita.

La città di Pittsburgh, negli Stati Uniti, rappresenta, forse, “l’esempio” per

antonomasia.

Oggi Pittsburgh è una delle dieci città più pulite d'America secondo la

classifica Forbes del 2007. Ed è la città più vivibile del paese secondo la

classifica dell'Economist del 2009. Ha una delle orchestre migliori d'America,

la Pittsburgh National Symphony, musei di fama internazionale come il

Carnegie Art Museum e l'Andy Warhol Museum, due università rinomate a

livello internazionale, la Carnegie Mellon University e la University of

Pittsburgh, dove Jonas Salk sviluppò il vaccino antipolio.131

Due milioni e mezzo di abitanti. Centro industriale che produce metà

dell’acciaio americano per oltre un secolo e fornisce le armi utilizzate in ogni

conflitto a partire dal 1861. Poi la crisi degli anni ’70 e il cambiamento:

A partire dalla fine degli anni 70 la città ha effettuato investimenti nelle

infrastrutture, nell'istruzione, nelle università, negli spazi pubblici preparando

il terreno per il rilancio dell'economia. Dopo la chiusura degli stabilimenti di

131

D. Roveda, Pittsburgh dall'acciaio alla soft economy, Il Sole 24 ore, 2009

118

acciaio, gli imprenditori sono fioccati a Pittsburgh, attratti da prezzi

immobiliari bassi e una qualità della vita elevata.132

Le grandi industrie vengono così riconvertite in produzione per la robotica, la

biomedicina, l’ingegneria nucleare, la finanza e i servizi. Tutto questo

produce un giro di affari di circa 11 miliardi di dollari. Pittsburgh è ora la

sede di Google mentre il Pittsburgh Medical Center dà lavoro a oltre 48.000

persone. E nel 2009 la città ha organizzato il G20.133

Ed infine la Svezia, sud di Stoccolma.

Hammarby Sjöstad, il futuro è qui: il primo quartiere totalmente

ecocompatibile, con 10.000 appartamenti e 25.000 residenti. Il progetto

iniziale era stato concepito per accogliere il villaggio olimpico nel 2004,

utilizzando una ex area industriale. Successivamente, perduta la candidatura ai

Giochi, si è trasformato in un progetto urbanistico con il quale il Comune ha

imposto requisiti di ecosviluppo a tutto il quartiere. L'acqua del lago Mälaren

che bagna la città, rappresenta la fonte principale di energia. Tramite le turbine

dei purificatori, poi, è possibile ottenere acqua potabile.

Si gira in bicicletta, il car sharing è diffusissimo e le case, con pareti di vetro,

hanno tutte una doppia esposizione per favorire la ventilazione e ridurre il

consumo di elettricità (comunque rigorosamente fornita da pannelli solari e

da lampadine a basso consumo). Hammarby sfrutta il concetto di metabolismo

circolare: gli abitanti riescono a produrre il 50% dell'energia di cui hanno

bisogno per illuminare, riscaldare e cucinare. L'energia è prodotta da una

centrale di biogas derivato dalla combustione dei rifiuti domestici. Il rigoroso

senso estetico nazionale non prevede cumuli di spazzatura accatastati agli

angoli delle strade in attesa dei camion: i rifiuti, già separati in origine,

vengono raccolti da un sistema pneumatico sotterraneo e convogliati nella

132

Ibidem 133

S. Cannavò, Dalla Ruhr a Bilbao: le città che hanno detto basta all’inquinamento, Il Fatto Quotidiano, 2012

119

centrale. Il Modello Hammarby è già stato esportato in Russia e in Gran

Bretagna.134

Ma in Italia, e con l’Ilva, è possibile proporre un modello che preveda il

concetto di riconversione industriale?

La risposta è affermativa. Anzi, secondo Alessandro Marescotti, fondatore di

PeaceLink, è l’unica alternativa possibile:

E l’unica prospettiva, dunque, è quella di includere Taranto – come Trieste –

in un piano di riconversione industriale, utilizzando l’articolo 27 del Decreto

Sviluppo 2012 (“Misure per la crescita sostenibile”). 135

L’articolo 27 recita:

Nel quadro della strategia europea per la crescita, al fine di sostenere la

competitività del sistema produttivo nazionale, l’attrazione di nuovi

investimenti nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali nei casi di

situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla politica

industriale nazionale, il Ministero dello sviluppo economico adotta Progetti di

riconversione e riqualificazione industriale.136

Dunque, volere è potere. Anzi, volere è dovere:

Visto che la crisi dell’Ilva sembra irreversibile, in un quadro gravato da una

forte ‘overcapacity’, il nodo della riconversione è la questione chiave. Se non

affrontata con anticipo e con competenza, rischia di essere un’occasione

perduta per chi ha veramente a cuore la sorte dei lavoratori dell’Ilva e della

siderurgia italiana.137

134

E. Dallorso, Stili di vita a impatto zero, Il Sole 24 ore 135

A. Marescotti, Ilva traslocherà in Cina?, Il Fatto Quotidiano, 2013 136

Fonte: Misure per la crescita sostenibile, Art.27, Decreto Sviluppo 2012 137

A. Marescotti, Ilva traslocherà in Cina?, Il Fatto Quotidiano, 2013

120

4.4 DUE LETTERE

When you crack the sky, scrapers fill the air.

Will you keep on building higher

'til there's no more room up there?

Will you make us laugh, will you make us cry?

Will you tell us when to live, will you tell us when to die?

I know we've come a long way,

We're changing day to day,

But tell me, where do the children play?

Cat Stevens,

Where do the children play,

Tea for the Tillerman, 1970

Quando rompi il cielo, si sente l'aria a pezzi

vuoi continuare a costruire sempre più in alto

fintanto che non ci saranno più camere lassù?

vuoi farci ridere, vuoi farci piangere?

vuoi dirci quando vivere, vuoi dirci quando morire?

lo so abbiamo percorso una lunga strada

stiamo cambiando giorno dopo giorno

ma dimmi, dove giocano i bambini?

121

Chi decide cosa è importante e cosa non lo è? Esistono bambini di serie A e

bambini di serie B?

A Taranto se lo domandano in tanti. Forse in troppi. Forse troppo spesso.

Due lettere:

Piero Tinelli, ex operaio Ilva, alcuni giorni prima che si ponesse tragicamente

fine alla non – vita di Eluana Englaro, scrive una lettera aperta, mai

pubblicata:

“Sono disturbato e dispiaciuto per la storia di Eluana. Di lei si è occupata

l’Italia politica, religiosa, giuridica e sociale. Ma qui a Taranto ci sono tante

Eluana. Sono ammalate e hanno problemi connessi alle industrie. E nessuno si

preoccupa. Qui c’è in gioco la vita di tanti bambini, uomini, anziani indifesi,

imbavagliati. Per loro non c’è clamore. In gioco non c’è la difesa di alcuni

interessi di parte politica o la competizione elettorale. Per questo sono triste e

provo dolore”. Infine, due parole al ministro per l’Ambiente in carica:”Caro

ministro Prestigiacomo, io ho lavorato all’Ilva e abito a ridosso dell’Ilva. In

Italia si discute tanto del diritto alla vita, ma a Taranto si muore lentamente.

Vorrei chiederle perché quando si tratta di salvare la vita delle tante Eluana,

certe persone non ci sono mai”.138

Tonia Marsella, mamma di Taranto, all'indomani della firma del decreto

“salva – Ilva” del Governo da parte del Quirinale, scrive a Giorgio Napolitano:

“Avevo davvero riposto in lei la mia fiducia, credevo che fosse una persona

per bene, che difendesse la nostra Costituzione. Credevo che quei valori, di

cui tanto parla, fossero davvero radicati in lei e fossero il punto di riferimento

per ogni sua azione, per ogni sua decisione. Credevo che avrebbe scelto la

vita e non la morte.. E invece ha firmato la nostra condanna. La condanna di

una città sacrificata da anni in nome del profitto più squallido e criminale,

138

C. Vulpio, La città delle nuvole, Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, Edizione Ambiente, 2009

122

abbandonata nelle mani di una famiglia di imprenditori senza scrupoli,

plurindagati e pluricondannati e tutt'oggi agli arresti domiciliari o addirittura

latitanti. Come credere ancora nello Stato Italiano? Come credere nella

politica e in chi dovrebbe difendere e promuovere il bene comune..e invece ci

ha rubato anche il diritto alla vita? A Taranto c’è un'ordinanza del sindaco

che vieta il pascolo entro un raggio di non meno di 20 km attorno all'area

industriale...ma in quei 20 km noi ci viviamo. Vivono i nostri bambini. Le

pecore e le capre sono state uccise...ora lo Stato uccide anche noi...per

decreto. Ho bisogno di sapere da lei, signor presidente, cos’hanno di diverso i

bambini di Genova rispetto ai nostri. Perché lì l'area a caldo è stata chiusa in

quanto incompatibile con la città, e la produzione spostata a Taranto? Chi ha

compiuto il "miracolo" rendendola "compatibile"? Venga qui venga a visitare

i nostri bambini devastati dal cancro (e non solo), li guardi negli occhi e

sostenga il loro sguardo, se ci riesce, gli spieghi perché lo Stato ha preferito

darli in pasto al Mostro, quel mostro che ha distrutto il nostro mare,

violentato la nostra terra, insozzato il nostro cielo. Dica alle loro mamme che

la malattia e la morte del figlio è necessaria altrimenti cala il Pil".139

139

Fonte: La Repubblica, 2012

123

CONCLUSIONI: FIGLI DELL’ILVA, ALIENI NEL DESERTO

Non è l’operaio che adopera i mezzi di produzione ma sono i mezzi di

produzione che adoperano l’operaio; invece di venire da lui consumati come

elementi materiali della sua attività produttiva, essi consumano lui come

fermento del loro processo vitale; e il processo vitale del capitale consiste

solo nel movimento di valore che valorizza se stesso.140

La proprietà privata aliena l’uomo da sé.

Il fine del processo lavorativo non è più l’uomo ma il capitale.

Nella società capitalista l’uomo è passato dall’essere il fine all’essere il

mezzo.

Chi ha studiato filosofia conosce bene questi concetti. Potremmo definirli

degli assiomi o, ancor meglio, postulati: costituiscono il punto di partenza per

l’elaborazione di qualsivoglia teoria.

Il “sistema Ilva” ha sovvertito ogni logica: ha portato una città ad identificarsi

con un’azienda, ha portato un’azienda ad identificarsi con una città.

Ha spazzato via migliaia di anni di miti e gloriose storie: ha lasciato spazio ad

un deserto sahariano di idee e contenuti, ricolmo di demagogia e di ipocrisia,

dove le “alternative” son state ben poche.

L’acciaio ha comprato e ha tolto tutto. Ha comprato il pensiero e la dignità di

essere chiamati uomini. Ha portato morte e disperazione sotto ricatto

occupazionale.

A Taranto, la morte è rosa141

, diceva Alessandro Sortino nel corso del suo

Malpelo.

140

K. Marx, Il Capitale, 1867 141

Fonte: Malpelo, 2008

124

A Taranto la morte ha tanti colori, tante sfumature. Facciamo persino fatica a

seppellire quei morti di cui tanto si parla:

Cimitero inquinato e salme nelle celle frigorifero. Sono tre i defunti che non

trovano pace da oltre venti giorni. Sono parcheggiati nei freezer del

camposanto, in attesa che arrivino delle mascherine per i necrofori.142

E questo perché? Perché nei terreni sono stati riscontrati inquietanti livelli di

diossina, pcb, piombo e berillio.

In teoria i familiari dei defunti parcheggiati nei freezer avrebbero anche

dovuto pagare per la sosta nelle celle frigorifero. La tariffa è di sei euro al

giorno, ma almeno questa umiliazione sarà risparmiata.143

La solita storia. Oramai siamo abituati a morire ogni giorno senza nemmeno

accorgercene. Tutto è incolore. Tutto è insapore.

Persino le cozze, simbolo per antonomasia della gastronomia tarantina, non

possiamo più mangiarle, né venderle. A Venezia, sui cartelli delle pescherie,

c’è scritto: “Non vendiamo le cozze di Taranto.”144

“Erano il nostro documento di riconoscimento. Ce lo stanno stracciando”.145

Taranto è l’ultima per la qualità della vita. Avevate dubbi?

Sul totale degli abitanti, il numero di giovani è sceso del 6% in dieci anni;

105esimi su 107 in Italia per l'imprenditorialità dei 18-29enni; tassi di

disoccupazione alle stelle; il turismo che va a picco e l’Hotel Delfino cita per

danni l’Ilva e l’Arpa.146

E allora cosa fare?

142

M. Diliberto, Cimitero inquinato dall’Ilva le salme restano nel freezer, La Repubblica, 2013 143

Ibidem 144

M. Pennetti, Gli operai che allevano cozze. «Così l'Ilva ha cambiato il mare», Corriere del Mezzogiorno, 2013 145

Ibidem 146

G. Foschini, Turismo a picco, l’hotel di Taranto cita per danni l’Ilva e l’Arpa, La Repubblica, 2013

125

Allora si è costretti a partire, a lasciare la propria città, i propri affetti, i propri

cari: in cerca di un lavoro dignitoso, che garantisca lo stipendio ogni dodici del

mese, o di un Università che, magari, possa essere chiamata tale.

Ma perché?

In fondo, Taranto è una città meravigliosa. La chiamano “la città dei due mari”

perché ha una caratteristica unica al mondo: due quartieri, il Borgo e la Città

Vecchia, separati da due mari, il mar Piccolo e il mar Grande.

Due sono anche i ponti che la congiungono: il Ponte Girevole, per mezzo del

quale le navi entrano nella pancia della città, e il Ponte Punta Penna, questa

struttura imponente dal sapore brooklyniano che si innalza tra i pali delle

cozze e dalla quale è facile cogliere il succo di tutto, il sapore della spaccatura.

E, proprio percorrendo questo pezzo d’asfalto, che diventa piuttosto semplice

accorgersi di quanto la linea di confine sia netta: da un lato una città splendida,

baciata dal sole, dal mare e dalla storia e, dall’altro, un quadro dell’Inghilterra

di fine Ottocento con, sullo sfondo, una fabbrica che lavora incessantemente

h24, senza né pause né interruzioni, una coltre di fumo che ingrigisce il cielo,

oscura il sole e rende l’aria irrespirabile.

Forse Taranto ha due volti: quello degli irriducibili e quello degli ignavi.

Il gruppo degli irriducibili è ancora “in formazione”: capitanato dagli

ambientalisti, da Alessandro Marescotti e PeaceLink, da Fabio Matacchiera e

il Fondo Anti Diossina, da Taranto Futura; dalla Magistratura che fa le veci

della politica, da Patrizia Todisco e Franco Sebastio; dai medici coscienziosi

che protestano contro la salva – Ilva assieme alla gente comune, agli ammalati,

alle famiglie delle vittime, a chi ci crede, a chi si informa.

Il gruppo degli ignavi è folto. Ci sono un pò tutti dentro: gli operai che fanno i

cortei pro – azienda per “un pugno di noccioline”; quelli il cui pensiero è

126

nascosto dietro l’alibi del ricatto occupazionale; quelli che preferiscono morire

da militi ignoti in uno stabilimento assassino che garantirsi, e garantire alla

propria famiglia, un futuro migliore; quelli che sono morto se perdo il

lavoro147

; gli ignoranti che non leggono i giornali, i libri, non si documentano,

prendono la macchina per fare 100 metri per buttare tutto nell’indifferenziato

o, per terra, per risparmiare tempo; quelli del “ce mene futt'a mme?”148

che non

vanno a votare e credono che tutto sia lontano e nulla possa mai colpirli; quelli

che continuano a vivere tra il sentito dire e il menefreghismo dell’apparenza

indebitata; quei 9 mila che circondano il palazzo di giustizia per protestare

contro “il complotto delle toghe rosse”, in occasione del primo processo per

mafia che vede imputato l’ex sindaco Giancarlo Cito149

; quelli che “Mi

raccomando: tutti a piazza Ebalia se il Taranto viene promosso!”.

I componenti di questo gruppo hanno una particolarità: l’incoerenza che vien

dalla malattia e dalle sofferenze, dalla consapevolezza di essere fragili e quindi

esseri umani. Forse, però, una sottile linea di coerenza vien mantenuta: si resta

comunque ignavi, si rimane comunque sottesi ad una legge, quella del più

forte, quella che passa dal potere esercitato dal siderurgico a quello imposto

dalla malattia.

Alieni? Automi? I figli dell’Ilva sono questi: incapaci di reagire, rassegnati al

proprio destino.“Gli parlo di tragedie e ti guardano con l'aria dei concorrenti

al quiz televisivo in difficoltà, nella speranza di un aiutino...”150

Tommaso Blonda,

ex commissario straordinario del Comune di Taranto

Due falsità, due perizie, due sequestri, due lettere, due quesiti referendari, due

mari, due ponti, due volti, due gruppi. 147

F. Colucci, Antonio: sono morto se perdo il lavoro, La Gazzetta del Mezzogiorno 148

G. Buccini, Vent’anni di omissioni dietro un dramma nazionale, Corriere della Sera, 2013 149

Fonte: C. Maltese, Bancarotta e Fatalismo: così si muore a Taranto, La Repubblica, 2007 150

Ibidem

127

Due? Ma che numero è?

È solo un numero come tanti altri scelto per creare contrasto, opposizione, per

mettere in antitesi delle tesi divergenti.

È solo un modo come un altro scelto dalla stampa o dalla politica per stabilire

se “sei d’attualità” oppure no, se appartieni alla “categoria dei tutelati” oppure

no.

Di Taranto se ne parla ogni tanto per qualcosa che magari succede però poi

ci si dimentica molto facilmente. Amo definirla “lo zerbino d’Italia”, perché è

un pò il tappeto sotto il quale nascondere la polvere…e noi di polvere ce ne

abbiamo abbastanza.151

Michele Riondino,

attore tarantino e figlio operaio Ilva

Michele Riondino avrebbe fatto l’operaio dell’Ilva come il papà e gli zii, se

non avesse deciso di lasciar tutto ed andare a Roma per iscriversi alla scuola di

recitazione.

Primo maggio: è lui ad organizzarlo, assieme ai “Cittadini e Lavoratori Liberi

e Pensanti”. Così anche Taranto, come Roma, ha il suo “concertone". Fiorella

Mannoia, Francesco Baccini, Luca Barbarossa, Elio Germano, Roy Paci: sono

solo alcuni degli artisti che si sono esibiti e hanno portato il loro contributo

alla causa tarantina.

Circa 40 mila persone a rivendicare il proprio diritto al lavoro e alla salute. E

da qui che bisogna partire: un futuro programmato sulla cultura, sulla cultura

che abbatte le ciminiere che, a prescindere da tutto, sarà il tempo e le

congiunture economiche a portare via.

151

Fonte: The Show Must Go Off, La 7, 2012

128

Un percorso che parta dal basso: entri nelle scuole, educhi i bambini al rispetto

del prossimo, delle leggi, dell’ambiente in cui si vive.

Non basta una campagna pubblicitaria milionaria della Regione, né tantomeno

proporre la candidatura di Taranto come Capitale Europea della Cultura 2019.

Non abbiamo ancora le strutture fisiche, mentali e culturali per farlo.

È un lavoro lento e costante, che può passare dallo sfruttamento del mare e

dell’energie rinnovabili, a patto di evitare che si ripetano gli errori del passato.

Un lavoro in cui tutti devono essere partecipi: anche lo Stato e i politici, anche

coloro che erano in dormiveglia e sentivano tutto, anche coloro che sono stati

consapevolmente assenti e son rinsaviti al calo del Pil.

È un problema nazionale e, come tale, va affrontato, tenendo conto di un

territorio martoriato anche: dai gas (che periodicamente invadono la città) e

dal petrolio (che si riversa spesso in mare) dell’Eni; dalle scorie

dell’inceneritore di Massafra; dalle emissioni della Cementir.

Non basta la legge 257/92, a farci dimenticare dell’amianto che i Cantieri

Navali e l’Arsenale Militare han portato, assieme all’Italsider, sul nostro

territorio e nel nostro mare.

E se le ceneri del vulcano islandese Eyjafjöll, nel 2010, hanno paralizzato il

traffico aereo di un continente intero, non crediate che le polveri dell’Ilva non

possano arrivare altrove.

Due è solo un numero, come lo sono gli altri: serve solo per creare confusione,

quando non supportato dai fatti.

La bufala dei 40mila posti di lavoro per destare preoccupazione (L’indotto a

Taranto oggi conta circa 3 mila lavoratori. Tutto il Gruppo Riva nel mondo

129

ammonta a 21.711 dipendenti. A Taranto sono 12.859152

); la discrasia tra

Vulpio e Attino su quanti alberi d’ulivo vengono abbattuti (20mila o 40mila?);

“l’inattendibilità” dei morti sul lavoro o dei morti di tumore presi da un

registro (si dice) attivo da più di due anni.

Le contrapposizioni si creano così: il tuo numero ha lo stesso valore di quello

del tuo avversario.

A Taranto si è fatto di peggio: si son creati una serie di ossimori per “vendere i

giornali”.

Salute e lavoro ad esempio.

Come è possibile mettere in contrasto questi due sacrosanti diritti?

Morire per lavorare. Lavorare per morire.

Provando la chemio ho capito che non si può pensare di barattare un posto di

lavoro per la salute.153

Massimo Falcone, 27 anni

Danno genotossico: da Taranto non si può scappare.

La Sla è una patologia rara. Nel solo quartiere Tamburi ci sono tre casi.

Tumori a Taranto? Colpa delle sigarette154

, afferma il commissario Ilva Enrico

Bondi.

Sull’insegna del cimitero di San Brunone, qualcuno sotto la scritta “cimitero”

ha aggiunto “Ilva”.

Lorenzo Semeraro, ex operaio Ilva, me l’ha detto: “ E chi li conosce i numeri e

i morti dell’Ilva? Non si sanno nemmeno lì dentro”.

152

A. Marescotti, Ilva, la bufala dei 40 mila posti a rischio, Il Fatto Quotidiano, 2013 153

Fonte: Presa diretta, Lavoro sporco, 2013 154

D. Palmiotti, Tumori a Taranto? «Colpa delle sigarette». Bufera su Enrico Bondi, commissario Ilva. Il ministro lo convoca (e nomina tre esperti), Il Sole 24 Ore, 2013

130

Un “burlone”, al telefono, ci scherza su:

"Due casi di tumore in più all'anno? Una minchiata".155

Fabio Riva,

vicepresidente Riva Group

arrestato il 21 gennaio 2013 dalla polizia di Londra

Allora, è proprio vero: a Taranto, le morti non contano.

155

Arresti Ilva, nelle carte spunta Vendola. Clini: "Possibili effetti devastanti", La Repubblica, 2012

131

Tratta bene la Terra.

Non ci è stata data dai nostri padri,

ci è stata prestata dai nostri figli.

Massima dei pastori nomadi del Kenya

132

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APPROFONDIMENTI

- Servizio Pubblico, La crosta, puntata del 29.11.2012

- Malpelo, puntata del 26.11.2008

- L’infedele, puntata del 01.10.2012

- Piazza Pulita, puntata del 30.11.2012

- Presa diretta, Lavoro sporco, puntata del 27.01.2013

- Tv7

- Servizio tg3, Linea Notte, 01.11.2010

- Tg Studio 100 Tv, 10.05.2011

- The Show Must Go Off, La 7, 04.03.2012